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Lettera dell’assistente spirituale

Bisogna ammettere che la parola “collegio” continua a suscitare un certo disagio nelle ragazze che si preparano alla vita universitaria. Impiegata per rafforzare le reprimende di molti genitori (“Guarda che se continui così... ti mando in Collegio!”) o evocata per placare le ansie a fronte della metropoli spesso lontana (“Milano è pericolosa... puoi andare, se entri in Collegio...”), questa parola risuona nelle giovani menti producendo risonanze affettive ed immaginative non sempre incoraggianti. Se poi si tratta di un Collegio esclusivamente femminile e diretto pure da una suora, per giunta Orsolina, le previsioni rischiano di farsi proprio buie... Ebbene, una delle soddisfazioni più “nutrienti” che ho avuto nei dieci anni passati come Assistente pastorale del Collegio “Paolo VI” è stata proprio quella di sentirmi raccontare, nei consueti colloqui di fine anno, come molte “paoline” avevano sì avuto aspettative simili a quelle descritte, ma che erano anche state quasi subito smentite dalla ricchezza della vita collegiale. Per la gran parte delle ragazze, il vero volto del “Paolo VI” iniziava a manifestarsi quasi sempre con l’uscita a Desenzano. Partenza al venerdì sera e ritorno per la cena della domenica, solitamente a base di pizza, dopo la consueta visita a Sirmione, questo fine settimana di ottobre ha costituito immancabilmente un tempo di riflessione, di gioco, di preghiera nel quale conoscersi e divertirsi, impiegando al meglio “la testa e il cuore”. Perché le parole, come diceva una vecchia battuta di Nanni Moretti, sono importanti. E a Desenzano, così come in tanti altri momenti, dai ludi alle conferenze, emergeva chiaramente il senso della parola “collegio”, al di là delle incrostazioni che insospettiscono ancora le nostre ragazze. “Collegio”, in latino Collegium, deriva da colligere, composto di cum e legere, che significa appunto “con-legare”, “raccogliere insieme”. Se nei primi giorni prevale spesso il disagio di chi si sente “slegato” da casa e dal proprio ambiente, progressivamente le “paoline” prendono coscienza del fine della realtà che le ospita: offrir loro la possibilità di vivere al meglio la formazione universitaria, attraverso legami con altre ragazze prima sconosciute, scoperte poi come compagne di strada ed amiche. Questa fondamentale esperienza di riconoscimento reciproco – nella libera adesione al Cristo presente nella Parola, nell’Eucaristia e nei cuori di ciascuna – costituisce una tappa fondamentale nella maturazione delle ragazze, soprattutto nel contesto della nostra società ferita da un individualismo mortificante e da troppe relazioni meramente virtuali. Quel che consola, dopo anni di accompagnamento pastorale, è il pensiero che ogni “paolina” sarà sempre, in un certo senso, “collegiale”, ossia “co-legata” con altre donne in una rete di legami che – manifestatasi concretamente al “Paolo VI” nel contesto più ampio dell’Università Cattolica – viene tessuta, misteriosamente, dallo Spirito Santo.

Fr. Marco Salvioli O.P.

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