L europa ferma l avanzata dell islam

Page 1

L’Europa ferma l’avanzata dell’Islam East vs West

di Diego D’Oro & Tommaso Corvino


La civiltà occidentale fu salvata dall’islamizzazione Le battaglie di Poitiers, Lepanto e Vienna


[In sintesi] Battaglia di Poitiers 732 d.C.

I Franchi guidati da Carlo Martello fermarono l’avanzata islamica che dalla Spagna si dirigeva verso il cuore della Francia. L’imponente esercito musulmano, guidato dal comandante al-Andalus, spintosi attraverso l’Aquitania verso Bordeaux, puntava in direzione della città di Tours. Questo fu però sconfitto in questa storica e leggendaria battaglia dall’esercito dei Franchi appoggiati dalla cavalleria visigota e da contingenti di Bavari, Alemanni, Sassoni e Gepidi.


[In sintesi] Battaglia di Lepanto 1571 d.C. In questa storica battaglia navale, le flotte della Lega Santa sconfissero le flotte musulmane. Quest’ultime, reduci dalla sconfitta di Cipro, avvenuta malgrado l’eroica e disperata resistenza dei Veneziani a Famagosta, si preparavano a dilagare nell’Europa continentale. La Lega Santa, guidata da Don Giovanni d’Austria, e promossa da Papa Pio V, era costituita da Impero spagnolo, Regno di Napoli, Repubblica di Venezia, Repubblica di Genova, Stato Pontificio, Ducato di Savoia, Granducato di Toscana e Repubblica di Lucca. Le flotte musulmane, comandate dall’ammiraglio Alì Pascià, furono sconfitte e costrette a ripiegare.


[In sintesi] Battaglia di Vienna 1683 d.C.

L’Impero Ottomano che ormai, –nonostante tutto- aveva inglobato tutta l’Europa Sud-Orientale, iniziò la sua avanzata verso il cuore dell’Occidente investendo la città di Vienna con un esercito di 140mila uomini guidato dal Gran Visir Mustafà Pascià. I musulmani furono fermati in questa storica battaglia da un esercito cristiano di 75mila uomini tra Polacchi, Austriaci, Haliani, Franconi, Sassoni, Svevi e Bavaresi sotto la guida del re polacco Sobiesky.


Battaglia di Poitiers 732 d.C. Franchi vs Musulmani Vittoria dei Franchi Motivazioni

Avanzata islamica diretta verso il cuore della Francia e quindi dell’Europa.


[Poitiers 732] Preludio La battaglia di Poitiers (conosciuta anche come battaglia di Tours) fu combattuta in un giorno indeterminabile di ottobre (forse il 10, forse il 17, forse il 25) del 732 tra l'esercito arabo-berbero musulmano di al-Andalus e quello dei Franchi di Carlo Martello, maggiordomo di palazzo dei re merovingi. Il governatore arabo si era spinto, attraverso l'Aquitania, verso Bordeaux e puntava in direzione della città di Tours e della sua ricca basilica, dedicata a Martino di Tours, per depredarla. Non è escluso che, in mancanza di reazioni, la razzia si sarebbe potuta trasformare in ulteriore avanzata e in un'azione di conquista. Ottone, duca della marca d'Aquitania, che in passato aveva avuto utili intese coi musulmani e pessime invece con Carlo, tentò di arrestare il passaggio dell'esercito musulmano ma fu sconfitto nella battaglia della Garonna. Fu allora costretto a chiedere suo malgrado l'intervento del potente maggiordomo di Austrasia e Carlo si presentò con un composito esercito, essenzialmente composto da Franchi, con forti presenze di Gallo-latini e Borgognoni e con minori aliquote di Alemanni, di abitanti dell'attuale Assia e Franconia, di Bavari, di genti della Foresta Nera, di volontari Sassoni e, forse, di Gepidi e di cavalleria leggera visigota, con imprecisabili quantità di contingenti composti da altre popolazioni germaniche. Tanto poco Carlo era preoccupato che non proclamò alcuna mobilitazione generale, limitandosi a una semplice mobilitazione parziale.


[Poitiers 732] Avvenimenti della battaglia (1) Carlo Martello accettò di venire in soccorso di Oddone a patto che a lui spettasse il comando supremo dell'esercito coalizzato, il che venne ufficializzato con un solenne giuramento sulle reliquie dei santi conservati nella cattedrale di Reims. Il piano di Carlo Martello era quello di schierare la fanteria pesante franca alla confluenza di due fiumi in modo che fosse protetto sui fianchi dai corsi d'acqua contro i quali non era possibile un'azione decisiva della cavalleria nemica. La fanteria di prima linea era composta soprattutto da uomini armati della tradizionale ascia, mentre in seconda linea erano schierati fanti armati di picche e giavellotti, in modo che ai fanti armati di ascia toccasse il compito di tenere il corpo a corpo con la fanteria leggera musulmana e ai fanti armati di picche e di lance quello di tener a debita distanza la cavalleria avversaria. La cavalleria di Oddone era invece mimetizzata in un bosco con un duplice incarico, di intervenire al momento concordato per depredare il campo musulmano sguarnito e per attaccare il fianco destro della formazione avversaria una volta che questo si fosse sbilanciato per eliminare la seconda fila dei fanti franchi. L'esercito cristiano attese pertanto il nemico in una compatta formazione quadrata in mezzo alla confluenza di due fiumi, il Clain e il Vienne, forte di una posizione naturale pressochÊ inespugnabile, schierandosi in un'unica formazione, robusta e profonda, formata da una prima linea nella quale si era disposta la fanteria pesante intervallata da piccoli reparti di cavalleria. Altri cavalieri si erano posizionati sui lati esterni della seconda linea, lasciando il vuoto nella parte centrale per evitare improvvisi aggiramenti. Inoltre alla sinistra dello schieramento, molto arretrato e nascosto in un bosco, vi era Oddone I d'Aquitania insieme alla sua cavalleria, pronto ad attaccare in ambo le direzioni.


[Poitiers 732] Avvenimenti della battaglia (2)

I musulmani invece si schierarono nel seguente modo: l'ala sinistra era formata da cavalleria leggera e si «appoggiava» al fiume Clain; la parte centrale, composta interamente da fanti ed arcieri, si era posizionata sull'antica via romana, mentre l'ala destra del fronte musulmano era schierata su una bassa collina. Dietro ad ognuna delle due ali vi erano due schieramenti di dromedari da trasporto: gli Arabo-Berberi infatti sapevano che l'odore pungente di questi animali poteva far imbizzarrire i cavalli dei Franchi smobilitandone le schiere. La formazione iniziale era quella tipica a forma di mezzaluna, con le cavallerie un po' avanzate rispetto alle fanterie e disposte a tenaglia allo scopo di stringere il nemico sulle ali e accerchiarlo. Dopo che gli eserciti si furono fronteggiati, addirittura per una settimana, cominciò la vera e propria mischia, dall'alba al tramonto: i musulmani si lanciarono all'attacco per primi facendo partire le cavallerie dei Berberi che investirono i fanti cristiani con una vera e propria pioggia di giavellotti, concentrando ripetuti assalti nelle zone del fronte avversario dove credevano possibile l'apertura di un varco. La linea di condotta di Carlo Martello fu quella di non cadere nella trappola della tattica musulmana: cioè dell'attacco seguito da una programmata ritirata, mirante ad illudere l'avversario dell'imminenza di una facile vittoria e di un ancor più facile bottino, per poi portare un improvviso e inatteso nuovo attacco. Ordinò dunque che i suoi guerrieri attendessero l'attacco senza altra reazione che non fosse quella del momentaneo eventuale corpo a corpo, impartendo severe disposizioni affinché i suoi uomini non cadessero nella tentazione dell'inseguimento del nemico in apparente fuga. Il suo «muro di ghiaccio» resse splendidamente, forte anche della scarsa velocità delle sue cavalcature europee che s'accompagnava però a una loro maggior solidità.


[Poitiers 732] Avvenimenti della battaglia (3) L'espediente del diversivo sul campo mussulmano fu decisivo per far retrocedere parte della cavalleria nemica all'inseguimento di quella aquitana lasciando così senz'alcuna copertura gli arcieri nemici che vennero letteralmente massacrati dalla fanteria franca. Quando gran parte della cavalleria dei musulmani era ormai persa contro gli scudi, ma soprattutto contro le picche dei fanti cristiani, Carlo Martello diede un segnale che fece sbucare, dal bosco in cui era nascosta, la cavalleria di Ottone che caricò il fianco destro dei musulmani travolgendolo e mettendolo in fuga. Nel frattempo cominciava l'avanzata compatta della fanteria che, abbandonate le posizioni di partenza, travolse tutto ciò che le si poneva di fronte. I fanti musulmani, privi di corazzatura, non potevano reggere il corpo a corpo con i robusti guerrieri del nord, pesantemente armati. Dallo scontro si passò quindi alla carneficina, che durò fino al tramonto quando anche ʿAbd al-Raḥmān venne ucciso da un colpo d'ascia, infertogli forse dallo stesso Carlo Martello. Quando si sparse questa notizia gli Arabo-Berberi sopravvissuti scapparono rapidamente, lasciando sul terreno feriti e tende, ma soprattutto il bottino conquistato durante tutte le razzie in Aquitania. La storiografia araba non dà una descrizione dell'andamento della battaglia molto diverso da questo, infatti descrive come ad un certo punto i cavalieri berberi erano riusciti a far breccia nelle file dei franchi, ma alcuni di questi si erano diretti all'accampamento musulmano per impossessarsi del bottino islamico. A questo punto, molti musulmani, accortisi di quello che stava accadendo, si sarebbero diretti verso l'accampamento stesso per proteggere il bottino, ma sfaldando, così, lo schieramento e facendo il gioco dei cristiani. Fu la rotta per i musulmani, che caddero in gran numero.


[Poitiers 732] Opera ispirata alla battaglia


Battaglia di Lepanto (Battaglia navale) 1571 d.C. Lega Santa vs Musulmani Vittoria della Lega Santa Motivazioni

Tentativo poi trasformato in successo della Lega Santa di fermare le flotte musulmane pronte a dilagare nell’Europa continentale.


[Lepanto 1571] Antefatto La battaglia di Lèpanto, detta anche delle Echinadi o delle Curzolari (chiamata Epaktos dagli abitanti, Lepanto dai veneziani e İnebahtı in turco), è uno storico scontro navale avvenuto il 7 ottobre 1571, nel corso della guerra di Cipro, tra le flotte musulmane dell'Impero ottomano e quelle cristiane della Lega Santa che riuniva le forze navali della Repubblica di Venezia, dell'Impero Spagnolo (con il Regno di Napoli e di Sicilia), dello Stato pontificio, della Repubblica di Genova, dei Cavalieri di Malta, del Ducato di Savoia, del Granducato di Toscana e del Ducato d'Urbino federate sotto le insegne pontificie. Dell'alleanza cristiana faceva parte anche la Repubblica di Lucca, che pur non avendo navi coinvolte nello scontro, concorse con denaro e materiali all'armamento della flotta genovese. La coalizione cristiana era stata promossa alacremente da Papa Pio V per soccorrere materialmente la città veneziana di Famagosta, sull'isola di Cipro, assediata dai turchi e strenuamente, ma invano, difesa dalla guarnigione locale. L'occupazione ottomana dell'isola fu legittimata dai turchi con la necessità di bloccare gli scali portuali da cui i pirati cristiani erano soliti salpare per depredare le navi turche dirette a Costantinopoli.


[Lepanto 1571] Scontro (1) Per i cristiani gli scontri coinvolsero all'inizio il veneziano Barbarigo, alla guida dell'ala sinistra e posizionato sotto costa. Egli dovette parare il colpo del comandante Scirocco, impedire che il nemico potesse insinuarsi tra le sue navi e la spiaggia per accerchiare la flotta cristiana. La manovra ebbe solo un parziale successo e lo scontro si accese subito violento. La stessa galea di Barbarigo diventò teatro di un'epica battaglia nella battaglia con almeno due capovolgimenti di fronte. Ferito gravemente alla testa, Barbarigo in seguito morì e le retrovie dovettero correre in soccorso dei veneziani per scongiurare la disfatta: ma grazie all'arrivo della riserva guidata dal Marchese di Santa Cruz le sorti si riequilibrarono e così Scirocco viene catturato, ucciso e immediatamente decapitato. Al centro degli schieramenti Alì Pascià cercò e trovò la galea di Don Giovanni d'Austria, la cui cattura avrebbe potuto risolvere lo scontro. Contemporaneamente altre galere impegnarono Venier e Marcantonio Colonna. Molti furono gli episodi di eroismo: l'equipaggio della galera toscana Fiorenza dell'Ordine di Santo Stefano fu quasi interamente ucciso, eccetto il suo comandante Tommaso de' Medici con quindici uomini. Con il vento a favore e producendo un rumore assordante di timpani, tamburi e flauti i turchi iniziarono l'assalto alle navi di Don Giovanni che erano invece nel più assoluto silenzio. Quando i legni giunsero a tiro di cannone i cristiani ammainarono tutte le loro bandiere e Don Giovanni innalzò lo Stendardo di Lepanto con l'immagine del Redentore Crocifisso. Una croce venne levata su ogni galea e i combattenti ricevettero l'assoluzione secondo l'indulgenza concessa da Pio V per la crociata. Improvvisamente il vento cambiò direzione: le vele dei turchi si afflosciarono e quelle dei cristiani si gonfiarono. Don Giovanni d'Austria perciò puntò fulmineamente diritto contro la Sultana. Il reggimento di Sardegna diede per primo l'arrembaggio alla nave turca, che divenne il campo di battaglia: i musulmani a poppa e i cristiani a prua. Al terzo assalto i sardi arrivarono a poppa.


[Lepanto 1571] Scontro (2) Don Giovanni fu ferito ad una gamba. Più volte le navi avanzarono e si ritirarono, Venier e Colonna dovettero disimpegnarsi per accorrere in aiuto a Don Giovanni che sembrava avere la peggio assieme all'onnipresente Marchese di Santa Cruz. Alla sinistra turca, al largo, la situazione era meno cruenta ma un po' più complicata. Giovanni Andrea Doria disponeva di poco più di 50 galee, quasi quante quelle del veneziano Barbarigo sul corno opposto ma davanti a sé trovò 90 galere, cioè circa il doppio dei nemici fronteggiati dai veneziani ed oltretutto in un'area molto più ampia di mare aperto; per questo pensò ad una soluzione diversa dallo scontro diretto. Giovanni Andrea Doria infatti, a un certo momento della battaglia, si sganciò con le sue navi genovesi facendo vela verso il mare aperto. Al centro, il comandante in capo ottomano Müezzinzade Alì Pascià, già ferito, cadde combattendo. La nave ammiraglia ottomana fu abbordata dalle galee toscane Capitana e Grifona e, contro il volere di Don Giovanni, il cadavere dell'ammiraglio ottomano Alì Pascià fu decapitato e la sua testa esposta sull'albero maestro dell'ammiraglia spagnola. La visione del condottiero ottomano decapitato contribuì enormemente a demolire il morale dei turchi. Di lì a poco, infatti, alle quattro del pomeriggio, le navi ottomane rimaste abbandonavano il campo, ritirandosi definitivamente. Il teatro della battaglia si presentava come uno spettacolo apocalittico: relitti in fiamme, galee ricoperte di sangue, morti o uomini agonizzanti. Erano trascorse quasi cinque ore quando infine la battaglia ebbe termine con la vittoria cristiana. Don Giovanni d'Austria riorganizzò la flotta per proteggerla dalla tempesta che minacciava la zona e inviò galee in tutte le capitali della lega per annunciare la clamorosa vittoria: i turchi avevano perso 80 galee che erano state affondate, ben 117 vennero catturate, 27 galeotte furono affondate e 13 catturate, inoltre 30.000 uomini persi tra morti e feriti, altri 8.000 prigionieri. Inoltre vennero liberati 15.000 cristiani dalla schiavitù ai banchi dei remi.


[Lepanto 1571] Scontro (3) I cristiani liberati dai remi sbarcarono a Porto Recanati e salirono in processione alla Santa Casa di Loreto dove offrirono le loro catene alla Madonna. Con queste catene furono costruite le cancellate davanti agli altari delle cappelle. Gli Ottomani avevano salvato un terzo delle loro navi e se tatticamente si trattò di una decisiva vittoria cristiana, la dimensione della vittoria strategica è dibattuta: secondo alcuni la sconfitta segnò l'inizio del declino della potenza navale ottomana nel Mediterraneo. Altri fanno notare che la flotta turca si riprese rapidamente, riuscendo già l'anno successivo a mettere in mare un grosso contingente di navi, grossomodo equivalente a quelle messe in campo dalla Lega. Queste flotte erano però meno armate e addestrate delle precedenti, e dopo Lepanto la flotta turca evitò a lungo di ingaggiare grandi battaglie, dedicandosi invece con successo alla guerra di corsa e al disturbo dei traffici nemici. Anche da parte cristiana si riaffermò una pirateria attiva. Dopo Lepanto gli occidentali ebbero a disposizione migliaia di prigionieri che furono messi ai remi assicurando, per diversi anni, un motore nuovo alle loro galere. Inoltre molti prigionieri ottomani, in particolare gli abilissimi e addestratissimi arcieri e i carpentieri, furono uccisi dai veneziani, sia per vendicare i prigionieri uccisi dai turchi in precedenti occasioni, sia per impedire alla marineria turca di riprendersi rapidamente. Quindi le navi fecero rientro a Napoli.


[Lepanto 1571] Conseguenze e significato religioso La battaglia di Lepanto fu la prima grande vittoria di un'armata o flotta cristiana occidentale contro l'Impero ottomano. La sua importanza fu perlopiù psicologica, dato che fino a quel momento i turchi erano stati per decenni in piena espansione territoriale e avevano precedentemente vinto tutte le principali battaglie contro i cristiani d'oriente. Come già per la Battaglia di Poitiers e la futura Battaglia di Vienna, la battaglia di Lepanto ebbe un profondo significato religioso. Prima della partenza, il Pontefice Pio V, benedetto lo stendardo raffigurante su fondo rosso il Crocifisso tra gli apostoli Pietro e Paolo e sormontato dal motto costantiniano “In hoc signo vinces”, lo consegna al Duca Marcantonio Colonna di Paliano: tale simbolo, insieme con l’Immagine della Madonna e la scritta S. Maria succurre miseris, issato sulla nave ammiraglia Real, sotto il comando del Principe Don Giovanni d’Austria, sarà l'unico a sventolare in tutto lo schieramento cristiano all'inizio della battaglia quando, alle grida di guerra e ai primi cannoneggiamenti turchi, i combattenti cristiani si uniranno in una preghiera di intercessione a Gesù Cristo e alla Vergine Maria.


[Lepanto 1571] Schieramenti della flotta della Lega Santa e della flotta Ottomana


[Lepanto 1571] Schieramento della flotta della Lega Santa 30 galee di Alvaro de Bozan de Santa Cruz 12 galee spagnole e napoletane 12 galee veneziane, 3 toscane e 2 genovesi 4 galee veneziane e 4 siciliane (Comandante: Juan de Cardona)

40 galee e 2 galeazze veneziane 10 galee spagnole e napoletane 2 galee toscane 1 galea genovese 53 galee e 2 galeazze miste (Comandante: Agostino Barbarigo)

28 galee e 2 galeazze veneziane 15 galee spagnole e napoletane 8 galee genovesi 7 galee toscane 58 galee 2 galeazze miste (Comandante: Don Giovanni d’Austria)

25 galee e 2 galeazze veneziane 16 galee genovesi 8 galee spagnole e siciliane 2 galee toscane 51 galee e 2 galeazze miste (Comandante: Gianandrea Doria)


[Lepanto 1571] Ottomana

Ala sinistra 20.000 uomini su un numero indefinito di navi (Comandante: Uluch AlĂŹ)

Schieramento

della

Parte centrale 180 galere 30 galeotte 25.000 uomini nello schieramento sulle navi (Comandante: AlĂŹ PasciĂ )

flotta

Ala destra 20.000 uomini su un numero indefinito di navi (Comandante: Mehmet Shoraq)


[Lepanto 1571] Comandanti dei due schieramenti


[Lepanto 1571] –Muezzinade Alì PasciàMüezzinzade Alì Pascià (Lepanto, 7 ottobre 1571) è stato un ammiraglio turco. Müezzinzade Alì Pascià sostituì nel 1567 Piyale Pascià come ammiraglio della flotta ottomana e ne ebbe il comando diretto nella battaglia di Lepanto del 1571. In quell'occasione la sua nave ammiraglia fu abbordata e, sebbene il comandante della flotta cristiana, don Giovanni d'Austria, avesse impartito l'ordine di catturarlo vivo, venne ucciso. Discordanti sono le versioni sulla sua morte: secondo alcune fonti fu colpito alla testa da una pallottola, secondo altre fu ferito e poi finito da un soldato spagnolo, altri ancora riportano che si suicidò tagliandosi la gola. Certo fu che venne decapitato e la sua testa ostentatamente infilzata su una picca e sull'albero maestro della Sultana, sua nave ammiraglia, venne ammainato lo stendardo ottomano e innalzato quello cristiano. Nonostante l'effetto psicologico non indifferente, questo fu solo uno degli elementi che fiaccarono la resistenza turca. La battaglia sarebbe durata ancora alcune ore. Nel 1571 venne nominato suo successore Uluch Alì, già comandante dell'ala sinistra musulmana nella battaglia di Lepanto.


[Lepanto 1571] –Don Giovanni d’AustriaL'infante don Juan de Austria, italianizzato in don Giovanni d'Austria (Ratisbona, 24 febbraio 1547 – Bouges, 1º ottobre 1578), fu condottiero e diplomatico spagnolo. Figlio illegittimo dell'imperatore Carlo V d'Asburgo, don Giovanni è ricordato per la sua carriera militare che lo vide al comando della flotta della Lega Santa con la quale sconfisse gli Ottomani nella battaglia di Lepanto del 1571. Nato a Ratisbona, Germania, da Carlo V e Barbara Blomberg, figlia di un uomo della classe media cittadina, don Giovanni crebbe nell'anonimato in Spagna col nome di Jerónimo, e fu soprannominato Jeromín. Seguendo l'ultimo volere del padre, il re Filippo II riconobbe don Giovanni come suo fratellastro, e gli diede una rendita ma non gli diede mai il titolo di Infante, e a corte veniva solo chiamato eccellenza. Filippo avrebbe voluto indirizzare don Giovanni alla carriera ecclesiastica, ma non fu capace di placare l'attrazione di questi al mondo militare. Il primo incarico di don Giovanni fu nel 1568 contro i Pirati barbareschi; il suo successo gli permise una rapida ascesa al comando delle forze spagnole contro la rivolta dei Moriscos a Granada, che represse entro il 1571. Nel 1571, all'apice del prestigio di don Giovanni, Filippo lo mise a capo della flotta della Lega Santa schierata contro l'Impero Ottomano, che partì dal porto della città di Messina. Don Giovanni, proprio grazie al suo forte carisma, fu capace di riunire, anche grazie a papa Pio V, che tale Lega tanto perorò, una coalizione estremamente eterogenea e ad infliggere una sconfitta di proporzioni storiche ai Turchi Ottomani nella Battaglia di Lepanto. Questa vittoria infiammò le ambizioni di don Giovanni, ma Filippo era restio a concedere al fratellastro un ruolo troppo importante nella politica europea: lo nominò governatore dei Paesi Bassi spagnoli nel 1576, sperando che questo incarico appagasse le sue mire e limitasse il suo desiderio di potere; Giovanni accettò solo a patto che gli fosse permesso di sposare Maria I di Scozia, allora prigioniera in Inghilterra, invadendo e "liberando" il Paese. La sua scarsa dimestichezza con la politica olandese e i l declino dei suoi rapporti col re Filippo fecero fallire tutti i suoi progetti ed egli morì a Bouges, vicino a Namur (nell'odierno Belgio), nel 1578.


[Lepanto 1571] Opere ispirate alla battaglia (1)


[Lepanto 1571] Opere ispirate alla battaglia (2)


[Lepanto 1571] Opere ispirate alla battaglia (3)


[Lepanto 1571] Opere ispirate alla battaglia (4)


Battaglia di Vienna 1683 d.C. Lega Santa vs Impero Ottomano Vittoria della Lega Santa Motivazioni

Invasione degli Ottomani dell’Europa Sud-Orientale e avanzata verso il cuore dell’Occidente investendo la città di Vienna.


[Vienna 1683] Preludio La battaglia di Vienna ebbe luogo l'11 e il 12 settembre 1683 e pose fine a due mesi di assedio posto dall'esercito turco alla città di Vienna. Questa battaglia campale fu combattuta dall'esercito polacco-austro-tedesco comandato dal re polacco Giovanni III Sobieski contro l'esercito dell'Impero ottomano comandato dal Gran Visir Merzifonlu Kara Mustafa Pasha, e fu l'evento decisivo delle guerre austro-turche, conclusasi definitivamente con la firma del Trattato di Karlowitz. L'assedio di Vienna fu posto a partire dal 14 luglio 1683 dall'esercito dell'Impero Ottomano, composto da circa 140 000 uomini. La battaglia decisiva cominciò l'11 settembre, quando cioè si concluse il raggruppamento dei rinforzi dalla Polonia, comandati da Sobieski stesso, dalla Germania e dal resto dell'Austria, oltre alle forze presenti nella città. L'imperatore Leopoldo I si era rifugiato a Passavia, da cui dirigeva l'attività diplomatica. Le forze cristiane, appena arrivate, conoscevano malissimo il territorio, mentre i soldati all'interno della città erano mal ridotti a causa dei due mesi d'assedio. Buona parte dell'esercito ottomano aveva comunque una scarsissima preparazione militare, e alcuni contingenti ottomani (come i tartari e i magiari) parteciparono solo in maniera indiretta alla battaglia e all'assedio, limitandosi a saccheggiare i territori circostanti e a compiere incursioni. Durante la battaglia l'esercito ottomano non si riunì, ma inviò un corpo ad affrontare i polacco-imperiali, mentre altre truppe continuavano ad assediare la città. In pratica la battaglia fu uno scontro fra i polacchi e la parte militarmente più capace dell'esercito del Gran Vizir, che quindi si trovò a combattere in condizioni di rilevante inferiorità e di stanchezza, visto che combatteva da giugno contro la guarnigione di Vienna ed era stato indebolito da diverse epidemie, soprattutto di dissenteria. La maggior parte dell'esercito Ottomano era partita per la guerra nell'autunno dell'anno precedente, con marce che avevano avuto inizio in Crimea, Valacchia, Mesopotamia, Armenia, o dalla stessa Istanbul.


[Vienna 1683] La battaglia (1) La battaglia ebbe inizio all'alba, subito dopo la messa celebrata da Marco d'Aviano. Furono i Turchi ad aprire le ostilità nel tentativo di interrompere il dispiegamento di forze che la lega santa stava ancora ultimando. Carlo di Lorena ed i tedeschi rintuzzarono l'attacco in attesa che Sobieski ed i suoi fossero pronti. Kara Mustafa ancora una volta rinunciò ad ingaggiar battaglia sperando di riuscire a entrare in Vienna in extremis, lasciando così altro tempo alle forze cristiane di ultimare il dispiegamento. Ma ormai le sorti volgevano decisamente in favore degli occidentali, e addirittura gli assediati, galvanizzati dall'arrivo dei rinforzi, attaccavano le file turche. La battaglia era cominciata, furibonda come e più del previsto. I turchi pagarono subito l'errore di non essersi preparati a difendersi dalle forze provenienti dal nord, trovandosi di fatto con l'élite dell'esercito (i Giannizzeri) schierati dove non serviva, cioè presso le mura che erano ancora in piedi, e le retroguardie difese solo da truppe poco preparate. A questo punto Kara Mustafa capì che la battaglie era persa, e tentò con tutte le forze di vendere cara la pelle, cioè prendere Vienna, complicando così di molto i piani della Lega Santa e soprattutto infliggendole lo smacco di entrare in città proprio mentre la battaglia volgeva a favore dei cristiani.


[Vienna 1683] La battaglia (2) Inoltre i generali turchi capivano perfettamente che quel politicante non si rendeva conto di quello che faceva. Molti di loro intervennero in maniera corretta per approfittare delle falle nell'attacco cristiano, per altro mal condotto e mal organizzato perché nessuno dei generali cristiani era abituato a muovere eserciti così grossi, formati da una coalizione disomogenea per lingua e religione, e privi di un comando centrale organizzato, tuttavia le controffensive turche fallivano una dopo l'altra: se gli assalti si rivelavano infatti ben azzeccati e ben diretti, d'altro canto la mancanza di riserve, il caos nelle retrovie e l'assenza di ordini faceva sì che i turchi vittoriosi si ritrovassero circondati, e finivano con l'essere eliminati un po' alla volta, in scontri molto violenti e molto confusi. Ma ancora l'esercito cristiano non aveva giocato la sua carta più forte: la cavalleria polacca. Nel tardo pomeriggio dopo aver seguito dalla collina l'andamento dello scontro 4 corpi di cavalleria (1 tedesca e 3 polacche) scesero all'attacco a passo di carica. L'attacco fu condotto da Sobieski in persona e dai suoi 3000 Ussari. La carica sbaragliò definitivamente l'esercito turco, mentre gli assediati uscirono dalle mura a raggiungere i rinforzi che già inseguivano gli ottomani in rotta. Kara Mustafa pagò con la vita i suoi errori strategici e soprattutto tattici: il 25 dicembre successivo, per ordine del Sultano Mehmed IV, fu strangolato a Belgrado, che a sua volta si apprestava a capitolare. Subito prima aveva fatto impiccare Ibrhaim di Buda, privando così i turchi dell'unico generale che sarebbe riuscito a gestire la ritirata.


[Vienna 1683] Opera ispirata alla battaglia


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.