Tesi / Relazione Tecnica / N'ART - arte e cultura

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n’art arte e cultura

Elena Piccolo





Dipartimento di Progettazione e Arti Appliccate Scuola di Progettazione Artistica per l’Impresa Corso di Diploma Accademico di II° livello in Grafica e Fotografia

n’art arte e cultura

Progetto tesi: Elena Piccolo matricola 13282 A.A. 2016 / 2017

Docente relatore: Stefano Mosena



non c’è tanta possibilità, ma quando ho la possibilità, credo sia possibile.


INDICE INDICE


I

La grafica editoriale

II

Autoproduzione di una rivista

III

Autonomia di una pubblicazione

IV

Tra passato e futuro

V

N’art - arte e cultura


ABSTRACT ABSTRACT

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N’art nasce con l’intento di creare una rivisra, free press cartacea, per parlare, raccogliere, diffondere notizie, cultura e progetti relativi alla Regione Campania. N’art è: arte, cultura, musica, moda, cinema, storia, turismo, cucina... è un mezzo per comunicare, far conoscere e vivere i diversi aspetti di un Luogo. N’art è una rivista rivolta a chi “vuole guardare”. È distribuita gratuitamente, e la puoi trovare in: caffetterie, negozi di abbigliamento, librerie, locali, musei... se “guardi” N’art è ovunque!

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INTRO INTRO

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L’idea di N’art nasce per caso, nasce per la passione e per l’interesse nei confronti della grafica editoriale sviluppata durante il mio percorso di studi. Il voler essere parte di questo mondo in maniera attiva mi ha portato a scegliere di proporre come tesi un progetto che poi potesse essre sviluppato al di fuori dell’ambito Accademico. L’idea di N’art è quella di voler creare una rivista che parlasse di una Regione in questo caso la (mia) Campania, ma non solo rivolta a chi ci vive, ma soprattutto a chi non la conosce. Questa tesi ci mostra il processo di come trasformare un’idea in un prodotto cartaceo, avendo le giuste competenze, sia tecniche che pratiche, nello specifico si occupa di trattare il settore editoriale cartaceo, quello dell’editoria autoprodotta, sono spiegati gli elementi grafici di base, metodi di imaginazione, vengono citati diversi Grafici e Pubblicitari, e infine spiega la creazione della rivista a partire dalla testata fino alla pubblicazione del numero 0.

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I

CAPITOLO

La grafica editoriale

La nascita della stampa Cos’è la grafica editoriale? Scopi e funzioni della grafica editoriale Le diverse forme della grafica editoriale - Le riviste



la grafica editoriale

La nascita della stampa

I

Intorno alla metà del 1400 ci fu la nascita della stampa a caratteri mobili, ad opera di Johann Gutenberg, e quindi la nascita della tipografia. In Italia, nel 1480, si diffonde la tipografia, ad opera di tipografi tedeschi; le prime stamperie furono impiantate a Roma, Firenze, Torino, Milano ma soprattutto a Venezia. Si stampavano in particolar modo, testi in latino a carattere religioso, giuridico e scientifico, su commissione per un pubblico ristretto (il circuito religioso e in minor misura quello delle università e delle scuole). Si sviluppò anche la figura dello “stampatore viaggiante” in cerca di commissioni di lavoro presso i monasteri, le dimore aristocratiche e i comuni. Nel 1500 con l’Umanesimo e Rinascimento vi fu lo sviluppo delle “lingue volgari” che determinarono un allargamento dei destinatari e del commercio librario, quindi dell’alfabetizzazione, mediante la traduzione dei testi in latino e l’incremento delle opere composte direttamente in lingua italiana. Intorno alla metà del 1500, il libro stampato subentrò negli usi più importanti dell’insegnamento, delle pratiche e delle culture religiose. Nacquero per la prima volta in Europa, in particolare a Lione e Francoforte, le fiere internazionali del libro. Venezia, invece, detenne il primato della stampa italiana, grazie all’attività di famiglie e

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la grafica editoriale

figure di spicco nell’ambito della carta stampata (in modo particolare Aldo Manunzio, i Gioito e i Giunti). Nel 1600 nacquero nuovi generi di consumo, definiti “leggeri” come il romanzo barocco, l’agiografia e il libretto di teatro. Si sviluppò l’attività di traduzione di opere narrative dall’inglese, dallo spagnolo e dal francese. Si determinò una maggiore diffusione dei formati piccoli, trasportabili, leggibili in ogni occasione. Insieme al romanzo, si sviluppò, la stampa periodica. I “giornali” comparvero in diverse città come strumenti di informazione sugli eventi soprattutto politici, poi seguirono i periodici di recensioni letterarie, che segnalavano e commentavano l’uscita di libri. Nel 1700 vi fu un incremento nella produzione e nella diffusione di riviste periodiche di letteratura, scienza e arte. Vi fu la nascita di nuovi luoghi di ritrovo e di lettura, come i caffè letterari e i “gabinetti di lettura”. Verso la fine del secolo si diffuse un nuovo genere letterario, l’almanacco, una sorta di rivista annuale di attualità, letteratura, scienze e arti, rivolta a un pubblico vasto. Nei centri più importanti come Milano, Torino e Firenze si affermano iniziative editoriali di tipo moderno, favorite soprattutto dal miglioramento nelle tecnologie di stampa e da una crescita dei modelli di

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la grafica editoriale

alfabetizzazione. Vi fu anche l’introduzione del primo torchio azionato da motore a vapore, grazie al quale si velocizzarono i processi di stampa, si riuscì a stampare contemporaneamente e in modo semiautomatico entrambi i lati dei fogli e così via aumentò la tiratura dei volumi stampati. L’editoria assunse un ruolo sempre più “industriale”. Nacque la figura dell’ “editore” in chiave moderna, quindi le prime case editrici vere e proprie. Cominciò anche a manifestarsi l’interesse, verso la narrativa per ragazzi, che, attraverso l’uso delle illustrazioni, sviluppava la tecnica della memoria visuale. Nel 1900 vi fu una vera e propria crisi del libro a favore dei quotidiani. Il giornalista divenne il nuovo “eroe” della carta stampata. Il libro cambiò funzioni, assunse un ruolo marginale come strumento tecnico accademico, come testo scolastico, come raccolta successiva in volume di articoli giornalistici o di appendici romanzesche ai giornali e, infine, come letteratura e saggistica. Verso la fine degli anni ‘50, grazie alla diffusione della televisione, il livello di alfabetizzazione e di scolarizzazione aumentò notevolmente. Fu una fase di scoperta della lettura da parte della popolazione che sino a quel momento non aveva avuto accesso alla

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la grafica editoriale

carta stampata. L’editoria, come altri settori dell’economia italiana, conobbe dagli inizi degli anni 60 un vero e proprio boom. Per una buona parte di questo periodo, l’editoria e la televisione, due diversi generi di consumo, non entrarono in collisione. L’editoria e i media crebbero anzi parallelamente.

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la grafica editoriale

Cos’è la grafica editoriale?

L

La grafica, nello specifico, la grafica editoriale può essere definita “giornalismo visivo”; definizione che meglio la distingue da altri tipi di grafica, come quella pubblicitaria o commerciale, che tendono a promuovere un singolo punto di vista o prodotto. Una pubblicazione editoriale può intrattenere, informare, istruire, comunicare, educare o combinare tutti questi aspetti. Il termine grafica, (dal greco antico gráfo, vuol dire sia scrivere sia disegnare), indica il settore della “produzione artistica” orientato alla “progettazione” ed alla realizzazione di prodotti per la comunicazione visiva. Il libro, il libro d’arte, il giornale, la rivista, il catalogo, il depliant illustrativo, il manifesto, sono i protagonisti della progettazione grafica editoriale.

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la grafica editoriale

Scopi e funzioni della grafica editoriale

A

Alla base della maggior parte dei prodotti editoriali vi è la volontà di comunicare idee o storie, organizzando e presentando immagini e parole. Ognuno di questi elementi ha una funzione diversa, non tutti gli artefatti grafici funzionano allo stesso modo: un marchio, per esempio, concentra la sua potenza comunicativa in un segno distintivo e memorabile; un sistema di segnaletica, si rivolge nel massimo della chiarezza, senza mai tralasciare l’imperativo della leggibilità; un manifesto pubblicitario, che dura molto meno, mira invece ad attrarre l’attenzione del passante distratto; mentre le pagine di una rivista fungono da calamita per l’occhio. La grafica di un prodotto editoriale ha molte e diverse funzioni, quali esprimere e conferire spessore e contenuto, attrarre e fidelizzare i lettori, strutturare in modo chiaro il materiale. Questi ruoli devono coesistere e cooperare al fine di fornire un prodotto che sia piacevole, utile o informativo, e possa avere successo. Nella sua forma migliore, la grafica dei prodotti editoriali è uno stimolante laboratorio di ricerca in continua evoluzione e una rampa di lancio per innovazioni stilistiche, spesso adottate in molte altre aree della comunicazione visiva.

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la grafica editoriale

Le diverse forme della grafica editoriale - Le riviste

L

La grafica editoriale è un camaleonte che cambia colore e forma. Dipende dal mezzo di comunicazione e dai suoi contenuti; ad esempio un giornale quotidiano dovrà presentare una veste grafica molto diversa da una rivista mensile, così come un libro per bambini sarà costruito graficamente e strutturalmente in modo diverso da un libro giallo o un saggio scientifico. Nell’ambito della grafica, quello delle riviste è senz’altro uno dei più interessanti terreni di sperimentazione. Dalle Arts & Crafts e dalle operazioni editoriali condotte da William Morris alla fine dell’800, contemporaneamente all’impaginazione di libri, cominciano a diffondersi le riviste, un’ importante occasione per sperimentare nuove configurazioni. Nella cultura contemporanea la rivista rappresentò sotto tutti gli aspetti una rivoluzione totale, sia perché abbandonò la forma libraria tradizionale per sceglierne un’altra priva di frontespizio; sia perché la necessità di disporre insieme sempre più numerosi testi sostanzialmente brevi e diversi tra loro, obbligò a inventare nuove gerarchie testuali e nuovi modelli di disposizione, come quello a più colonne affiancate; perché la periodicità obbligata e poi la

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la grafica editoriale

quotidianitĂ imposero ritmi di composizione, di produzione meccanica e di distribuzione del tutto nuovi; e crearono nuove abitudini di lettura, piĂš libere e sciolte che per il passato, nuovi spazi per il leggere, nuovi usi familiari della carta stampata e un nuovo rapporto con lo scritto.

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“La grafica editoriale è la struttura attraverso la quale una data storia viene letta e interpretata. È costituita dall ’architettura complessiva della pubblicazione (e dalla struttura logica che questa implica) e dal trattamento specifico della storia (che piega o addirittura contrasta quella stessa struttura logica).” #Martin Venezky



II

CAPITOLO

Autoproduzione di una rivista

Cosa vuol dire autoproduzione? In cosa si distingue un’autoproduzione? Le riviste autoprodotte



autoproduzione di una rivista

Cosa vuol dire autoproduzione?

L

Le autoproduzioni sono delle pubblicazioni editoriali che partono da un’idea di un autore e da esso vengono realizzate e, se è il caso, finanziate. Solitamente si crea un artefatto in autoproduzione per esprimere i contenuti e gli elementi interni in maniera unica ed esaltando i punti di originalità. Oppure si vogliono trattare gli argomenti sotto un punto di vista differente, staccandosi dal metodo tradizionale, sfruttando linguaggi ed espressioni nuove o sperimentali. Da un punto di vista strettamente editoriale l’autoproduzione concede un ampio margine di libertà nel manipolare le regole classiche dell’editoria modificando i formati o utilizzando la tipografia in maniera totalmente personale.

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autoproduzione di una rivista

In cosa si distingue un’autoproduzione?

A

A prescindere dal fatto che ogni autoproduzione editoriale è unica nel suo genere, possiamo riscontrare diversi punti di distinzione dalle pubblicazioni ufficiali. L’autore, producendo un pezzo unico e proprio, si sente in diritto di intervenire a proprio gusto nell’artefatto, pertanto troveremo: 1. una presentazione grafica e stilistica pensata ad unicum per quella pubblicazione, in modo che la renda diversa dal solito. 2. l’utilizzo di un vocabolario libero, talvolta con termini in slang o inventati. 3. è comune il rifiuto del concetto di copright: si può dire che la mentalità è che nell’autoproduzione non esiste una proprietà di testi o immagini, ma tutto è comune. 4. le riviste autoprodotte vengono spesso stampate o riprodotte con l’uso di mezzi economici e veloci. Per quanto riguarda la distribuzione al pubblico, la vendita generalmente avviene a un prezzo molto ridotto o gratuitamente, e spesso la distribuzione è manuale.

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autoproduzione di una rivista

Le riviste autoprodotte

P

Per rivista autoprodotta si intende una pubblicazione creata con la volontà di differenziarsi per estetica e contenuti rispetto ad una rivista di consumo, che tratta di argomenti riguardanti un particolare settore in modo più o meno esauriente, prevalentemente al fine di diffondere idee, punti di vista, o un messaggio in particolare. Può intrattenere, informare, istruire, comunicare, educare o mirare a cambiare tutti questi aspetti. In genere è un insieme di testo e immagini ma può essere costituita solo dall’uno o dall’altro elemento. Alla base della maggior parte vi è la volontà di comunicare idee o storie organizzando e presentando immagini e parole e ricercare una originalità estetica e stilistica.

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III

CAPITOLO

Autonomia di una pubblicazione

Elementi graficia Marchio e identitĂ Copertina Timone Layout Gabbia Margini Colonne Formato Testo Immagini



autonomia di una pubblicazione

Elementi grafici

C

Come già detto la grafica di un prodotto editoriale ha molte diverse funzioni tra cui: esprimere e conferire spessore a un contenuto, attrarre e fidelizzare i lettori, strutturare in modo chiaro il materiale. Nel caso delle riviste autoprodotte, introdurre elementi grafici più coerenti potrebbe aiutare ad organizzare meglio queste elaborazioni. Avere queste regole come punto di riferimento e seguirle in modo più o meno rigido può dare alla rivista una maggiore comprensibilità, rendendola di più semplice comprensione, organizzandola, migliorandone l’utilizzo e di conseguenza anche ampliandone il pubblico di fruitori.

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autonomia di una pubblicazione

Marchio e identità

P

Per potere iniziare la creazione di una pubblicazione, la prima cosa da stabilire è il marchio/logo; la rappresentazione grafica del titolo è l’elemento più importante della copertina. Il logo essendo il biglietto da visita della pubblicazione deve essere visibile, in quanto ha lo scopo di catturare l’attenzione e di comunicare il carattere della rivista.

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autonomia di una pubblicazione

Copertina

O

Oltre al marchio/logo la copertina è un altro elemento principale di qualsiasi pubblicazione, è la parte della rivista che riassume lo stile e i contenuti in un concentrato visivo. Per questo ha un compito continuo e instancabile, attrarre il lettore e sorprenderlo ad ogni uscita. Questa semplice regola dell’attrazione fa riferimento su elementi fondamentali come: formato, titolo, elementi visivi, testi o strilli. Se questi elementi concordano tra di loro e riescono a convincere il lettore, allora la copertina sta svolgendo nel modo giusto il suo ruolo. Diventa quindi un elemento fondamentale nella progettazione di una rivista, questo perchè essendo “l’abito” della pubblicazione, deve essere curata e non avere punti deboli. Inoltre, la copertina ha una grammatura diversa (peso e spessore del foglio maggiore), e rientrano in tre categorie: - figurativa: predilige l’utilizzo di elementi visivi e il testo passa in secondo piano - astratta: utilizzata per lo più in riviste specializzate, presenta pochi o nessun testo, fa solo riferimento al nome della rivista - testuali: composte unicamente da elementi tipografici, caratteri modificati o semplici testi.

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autonomia di una pubblicazione

Timone

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Il timone è lo schema delle pagine che compongono lo stampato, dove, in modo sintetico, si vanno a stabilire gli ingombri delle varie sezioni, dei vari servizi e rubriche, la posizione di pagine pubblicitarie. Il timone è una prima visualizzazione della struttura che assumerà la rivista o qualsiasi altra cosa stiamo progettando.

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autonomia di una pubblicazione

Layout

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Creare un layout significa sistemare e ordinare i vari elementi, in modo da rendere la pagina una costruzione organizzata e sensata, facilitandone sia la creazione che la comprensione. All’interno delle fasi di progettazione, decidere il layout è fondamentale, con esso impostiamo lo stile dell’impaginazione.

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autonomia di una pubblicazione

Gabbia

U

Una volta definito il tema e lo stile di riferimento, il passo successivo è senza dubbio decidere una sorta di criterio generale per organizzare i contenuti, in modo che il lettore sia facilitato nella lettura e nell’interpretazione del messaggio, quindi creare una gabbia. La gabbia o griglia di impaginazione, strumento principe di ogni progettista grafico, ricopre esattamente questa funzione. In un progetto grafico classico, infatti, la composizione è guidata dalla gabbia, l’elemento più difficile da formalizzare, considerato che deve essere sufficientemente flessibile per raccogliere coerentemente tutti i contenuti e permettere alcune inevitabili eccezioni alla regola. Una gabbia è quindi un insieme di regole che permette di organizzare i testi, i titoli, le immagini e le didascalie, all’interno di uno spazio delimitato dalle dimensioni del foglio di carta. In una rivista, ad esempio, la gabbia compositiva definisce i valori dei margini, la distanza verticale tra le linee del testo, la dimensione e il numero di colonne, il rapporto tra immagini e scritti, la posizione delle didascalie. Una volta individuata la gabbia, è sicuramente utile verificarne il funzionamento in due o tre casi limite, in modo da non trovarsi troppo tardi di fronte a problemi irrisolvibili.

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autonomia di una pubblicazione

Per costruire una gabbia bisogna: 1° Stabilire il formato della nostra rivista. 2° Creare una gerarchia: decidere quindi quanta importanza ogni elemento avrà all’interno della pagina e in base a quello stabilire delle variabili. 3° Stabilire stile e corpo del testo in base anche al fine che questo svolge. 4° Stabilire gli spazi ed il numero di pagine in base alla quantità di materiali che andremmo ad utilizzare. 5° Suddividere la pagina in margini e colonne.

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autonomia di una pubblicazione

Margini

U

Un elemento molto importante nella creazione della gabbia sono sicuramente i margini. I margini hanno la funzione di centrare e delimitare in modo ordinato i contenuti nella pagina all’interno di uno spazio ben preciso lasciando, appunto, un margine di vuoto tra di essi e la fine della pagina. L’utilità dei margini è anche, su un livello più concreto, quella di evitare che certi elementi vadano persi in fase di stampa ma anche quella di agevolare la rilegatura del prodotto evitando che parti di testo diventino illegibili. Nel caso di un artefatto che verrà poi rilegato è quindi importante considerare quanto spazio ci serve per poter girare agevolmente le pagine e quindi aumentare il margine interno per far si che testi o immagini non si perdano nella rilegatura. Nel caso in cui si vogliano inserire degli elementi (spesso immagini) che arrivino fino al taglio della pagina in questo caso i margini vengono “annullati” e l’elemento si definisce “al vivo”, cioè esce fuori dal foglio. A seconda dei diversi casi potremmo avere quindi margini speculari all’interno della pagina e in questo caso parleremo di gabbia simmetrica, oppure se i margini sono diversi tra loro si parla di gabbia asimmetrica.

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autonomia di una pubblicazione

Colonne

P

Per costruire lo scheletro della pagina e posizionare quindi testi, immagini o qualsiasi altro elemento, generalmente si divide la pagina in colonne. Questa azione organizza il testo e lo divide facilitandone la lettura. Solitamente il numero di colonne con le quali si divide la pagina varia a seconda del formato e dello scopo di un progetto editoriale. Le colonne hanno il compito di suddividere la pagina in parti uguali, all’interno delle quali andremo ad inserire gli elementi che ci interessano in modo da tenere una larghezza uniforme e quindi creare una coerenza visiva.

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autonomia di una pubblicazione

Formato

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Quando si parla di formato della carta si fa riferimento alle dimensioni del singolo foglio (lunghezza per altezza). Esistono diversi tipi di misurazione del formato ma il piÚ utilizzato e probabilmente noto a tutti è lo standard ISO A, o detto in maniera piÚ semplice, il formato A4 e i suoi derivati. A0 A1 A2 A3 A4 A5 A6

841 594 420 297 210 148 105

x x x x x x x

1189 841 594 420 297 210 148

mm mm mm mm mm mm mm

I formati possono essere anche altri fino ad arrivare all’A10.

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A6

A4

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A1

A3

A5


autonomia di una pubblicazione

Testo

S

Si può dire che all’interno di una rivista il testo ha sicuramente un ruolo molto importante, in qualsiasi modo esso venga composto, dal manuale al digitale. Al fine della fruzione del testo l’elemento grafico fondamentale che bisogna considerare è il carattere del testo che si sceglie di utilizzare. Una pubblicazione dovrebbe essere un esperienza piacevole, semplice e gratificante per i suoi lettori. Un lettore abituato a pubblicazioni con pagine fitte di testo e monotone di un romanzo non leggerebbe una pagina simile in una rivista, dalla quale si aspetta decorazioni, spazio e l’utilizzo di elementi grafici, per questo chi crea la rivista deve pensare ad intrattenere anche visivamente il lettore. Testi troppo piccoli, fitti e uniformi, scoraggiano il lettore, così come grossi blocchi di testo, bisogna trovare quindi delle soluzioni creative che interrompano questa noia testuale e rendano il tutto più interessante. L’utilizzo di un carattere “particolare” per titoli o per testi può creare un collegamento visivo con il significato o messaggio che si vuole trasmettere, ma la cosa che non si deve mai dimenticare è di mantenere la leggibilità del testo.

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autonomia di una pubblicazione

Immagini

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Dire che ci troviamo in una società delle immagini, di questi tempi, è quanto di più vero si possa affermare, basta pensare alla realtà in cui ciascuno di noi vive e lavora. L’uso preponderante delle immagini da parte dei mezzi di comunicazione di massa (televisione, fotografia, pubblicità) evidenzia ancor di più che l’epoca in cui viviamo è un’epoca “visiva”: ‹‹siamo bombardati continuamente da immagini, dalla mattina alla sera. Aprendo il giornale mentre prendiamo il caffelatte vediamo fotografie di uomini e donne, e alzando gli occhi ci imbattiamo nella figura che campeggia sul pacchetto dei biscotti. Arriva la posta e una busta dopo l’altra ci mostra volantini a vivaci colori con immagini di paesaggi seducenti e di ragazze che fanno bagni di sole per indurci a intraprendere una crociera, o di eleganti modelli per allettarci a comprare un abito nuovo. Usciti di casa, per strada, passiamo in rassegna un’intera sfilata di manifesti e cartelloni pubblicitari che cercano di catturare il nostro sguardo e far leva sul nostro desiderio di essere belli, di bere o di mangiare. Sul posto di lavoro è più probabile che dobbiamo occuparci con qualche genere di informazione illustrata: fotografi, bozzetti, cataloghi, progetti, carte geografiche o almeno grafici. Quando, finalmente la sera possia-

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autonomia di una pubblicazione

mo distenderci, ci sediamo davanti al televisore, la nuova finestra sul mondo, e osserviamo il susseguirsi di immagini mobili di piaceri e di orrori. Le stesse immagini create in passato o in paesi lontani sono più accessibili a noi di quanto lo siano mai state per il pubblico a cui erano destinate in origine. Libri illustrati, cartoline, diapositive a colori si accumulano nelle nostre case come ricordi di viaggio; così come le istantanee di famiglia››. E.H. Gombrich Attualmente il ruolo assolto dalla comunicazione per immagini è sicuramente fondamentale per lo sviluppo della grafica, del design, della pubblicistica, della segnaletica, dei mass-media, settori nei quali si sono raggiunti livelli notevoli e qualitativi.

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“Ciò che affascina di una rivista in genere è la sua natura organica; a differenza dei libri o di altri prodotti stampati, è una creatura in costante evoluzione, che subisce minimi cambiamenti a ogni uscita.” #Jeremy Leslie



IV

CAPITOLO

Tra passato e futuro

Studiare il passato Grafici e Pubblicitari M.f. Agha Terry Jones Cipe Pineles Vince Frost Fabien Baron Merz e la Nuova Tipografia Oz Vice Un occhio al futuro



tra passato e futuro

Studiare il passato

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Per avere coscienza delle differenze, dei cambiamenti culturali, e delle tendenze nascenti in ambiti quali l’editoria, la tipografia, l’illustrazione, la fotografia, la carta ecc., è importante studiare e considerare i personaggi e le opere del passato, che erano strettamente connessi/e a movimenti artistici e culturali, e legati/e al contesto politico e sociale.

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tra passato e futuro

Grafici e Pubblicitari M.F. Agha

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Mehemed Fehmy Agha fu uno dei primi “art director” della storia della grafica editoriale. Costruttivista turco-russo, impegnato nell’edizione tedescha di Vogue, nel 1929 diventò responsabile dell’edizione americana; seguì la direzione di Vanity Fair e House & Garden. Il suo contributo fu una direzione fresca, nuova e viva. Fu pioniere nell’uso dei caratteri senza grazie, di tecniche di stampa e fotografia come il fotomontaggio, la bicromia e le foto in quadricromia, preferendo la fotografia alle illustrazioni di moda. Sperimentò nuovi layout fotografici, sfruttando la doppia pagina per ampliare l’immagine oltre il margine di piega e usando la stampa al vivo. Con Vanity Fair M.F. Agha adattò i canoni stilistici del modernismo europeo a una testata americana e al suo mercato; semplificò l’uso dei caratteri, usando la doppia pagina come una tavolozza su cui i vari elementi grafici, come i margini, bordi, titoli e spazio bianco, potevano spandersi all’infinito ed essere manipolati per creare pagine sempre nuove e vitali. Comprese che giocando con la posizione e dimensione degli strumenti grafici, si creavano impatto visivo ed energia. Gli elementi decorativi tradizionali scomparvero dalla pagina per fare posto a layout scarni, dove le proporzioni e la forma diventarono i principali ornamenti.

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Terry Jones

L’

L’inglese Terry Jones, grazie al lavoro come art director dell’edizione inglese e tedesca di Vogue e di Donna, ha appreso i principi delle testate di moda a larga diffusione. Fu però nella rivista giovanile alternativa i-D che Jones diede il meglio di sé. Nata dal movimento punk, questa testata indipendente fu lanciata nel 1980 in formato album. Era famosa per le pagine dal montaggio frenetico, stile taglia e incolla, su cui comparivano i lettori stessi. L’atteggiamento contro le celebrità, basato sulla moda di strada, nell’immagine come nel contenuto era fresco. Oltre all’estetica punk alla base della grafica di i-D è evidente anche l’influenza di tecniche dada quali il montaggio e il fotomontaggio. La grafica di Jones era determinata dalla cura per il dettaglio e da una precisa conoscenza della stampa, che gli consentivano di ottenere immediatezza e spontaneità su ogni pagina. Jones raggiungeva questo risultato soprattutto con tecniche di stampa tradizionali, applicate prima e durante l’esecuzione della stampa principale: fotocopiata, manipolazione dell’immagine, montaggio, stratificazione, marezzatura e serigrafia erano strumenti di lavoro vitali, come la manipolazione e la stratificazione del carattere per rendere il testo meno leggibile e così rallentare il lettore. In tal modo, Jones è riuscito a costruire un vero prodotto editoriale fai da te che ha conservato attualità, pubblico e un piacevole atteggiamento anti-modaiolo per oltre 25 anni.

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Cipe Pineles

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Oggi è un dato di fatto che fotografi, illustratori, artisti e grafici editoriali abbiano la possibilità di dare una personale interpretazione a una storia; questa pratica garantisce un risultato che, sia esso concettuale, impressionistico, espressionistico o letterale, è comunque originale e inatteso. Questa pratica nasce dall’ingegno di Cipe Pineles, che nel 1946 iniziò ad applicarla alla rivista Seventeen, commissionando materiale visivo per la narrativa. Pineles nel 1942, diventò la prima art director donna, con piena autonomia, di Glamour. Qui fece scatti di moda nelle gallerie d’arte e all’aperto, usò immagini al vivo su intere doppie pagine, guidò i lettori dalla quadricromia alla bricomia, introdusse nelle fotografie i concetti di tensione drammatica e proporzione, e soprattutto diede uno stile personale alla grafica, integrandovi i principi modernisti di struttura e astrazione con l’uso giocoso di elementi visivi e dei caratteri. Fu però su Seventeen, la prima rivista per le adolescenti, che trovò il suo ambiente ideale. Introdusse un sistema con cui il carattere definiva e dava forma a singole sezioni e portò la tipografia figurativa americana nelle doppie pagine di moda e dei servizi, sostituendo i caratteri con oggetti per creare bisticci visivi, e manipolan-

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do e integrando con la forma delle lettere (graffiate, strappate, scritte a mano, ecc.), per aggiungere significato ed espressione a una storia. In tal senso richiamava quello che stava avvenendo nell’arte americana, dove l’espressione deviava dal percorso figurativo per esplorare strade, come l’arte astratta e concettuale, con mezzi estremamente vari. Pineles sperimentò e manipolò ulteriormente i caratteri tipografici in Charm, nel 1950, una pubblicazione il cui motto dichiarava per “donne che lavorano”, dando alla rivista un realismo moderno, gradevole e nuovo. Durante la sua vita ha vinto tutti i maggiori premi per la grafica, testimoniando l’importanza di avere solidi rapporti produttivi con i collaboratori e la capacità di comunicare con efficacia.

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tra passato e futuro

Vince Frost

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Vince Frost è leader nei settori della grafica e della direzione creativa e frequentemente presenta conferenze di design, business e cultura in tutto il mondo. Nessun grafico ha usato il carattere in modo tanto espressivo quanto lui, la sua costante è intigrare e sfidare il lettore con una grafica vitale e stimolante. Oltre a essere stato art director della rivista The Independent on Saturday nella metà degli anni ‘90, Frost ha ideato la grafica di FT The Business, supplemento del Financial Times. Entrambe rivelano il piacere per un’intelligenza grafica concettuale. Frost preferisce una grafica semplice e “pulita”, il che spiega la sua capacità di impiegare caratteri a stampa tipografica e xilografica come elementi decorativi, sempre pienamente legati al contenuto. Riducendo il numero di strumenti grafici, Frost si concentra per ottenere il massimo da ogni elemento e giungere a soluzioni armoniose e audaci. Alla rivista di stile alternativo Big, stampata in spagnolo e inglese, ha lavorato con il guru della stampa tipografica, Alan Kitching, per creare caratteri impiegati giocosamente come grattacieli, fumetti o maschere e altri oggetti, legati alle sbalorditive fotografie che li accompagnano, che a loro volta si rifanno al lavoro dell’eminente fotografo newyorkese William Klein. A

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tra passato e futuro

Zembla, rivista letteraria che voleva “divertirsi con le parole”, Frost ha letteralmente interpretato quel divertimento su ogni pagina, con grafiche luminose, energiche, irriverenti e imprevedibili, che per lo più ruotavano attorno al carattere con effetti decorativi. L’abilità di Frost va però oltre la singola pagina, incorporando un altro aspetto di pari importanza nella grafica editoriale: la gestione dell’andamento dell’intera pubblicazione, così che risulti un’esperienza stimolante, sepre inaspettata. Su nessuna rivista ciò è più evidente che su Zembla, dove la fotografia sbalorditiva, spesso in bianco e nero, si combinava alla stampa tipografica, producendo un effetto piacevole e sorprendente, in cui le regolari sezioni redazionali, ricevano la stessa attenzione data ai servizi.

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Fabien Baron

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Per Fabien Baron la direzione artistica è una tradizione di famiglia. Dopo aver studiato un solo anno all’École des Arts Appliqués di Parigi, iniziò a lavorare con il padre, art director di vari giornali francesi, per poi passare a Self e in seguito a GQ, negli USA. Fu però lavorando all’edizione italiana di Vogue nel 1988 e poi ad Harper’s Bazaar, con Liz Tilberis, che divenne noto come art director dallo stile forte e distintivo, indifferente alle regole, anche a quelle di mercato. Nell’edizione italiana di Vogue, ignorò semplicemente il diktat di usare in copertina primi piani figurativi, chiedendo a fotografi come Albert Waston di creare sorprendenti ritratti astratti, riducendo le forme a elementi grafici di forte impatto. Il marchio di fabbrica di Baron, era basato su un uso minimale degli elementi grafici, impiegando per la tavolozza colori primari usati con parsimonia e associandoli a grandi blocchi di nero con effetti sbalorditivi. Allo stesso modo, lo stile illustrativo era frutto di pochi artisti scelti e le fotografie erano per lo più immagini in bianco e nero rifilate in modi insoliti per spiazzare il lettore. Baron è soprattutto noto per l’impiego della composizione tipografica come elemento architettonico costruttivo. Sul Vogue italiano, gli enormi titoli

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tra passato e futuro

introduttivi a tutta pagina, combinati con uno stile minimalista e molto spazio bianco, hanno creato una nuova estetica moderna. La forma delle lettere richiamava l’immagine; la proporzione unita a una forma, una curva o un colore fungeva da base su cui costruire una nuova soluzione tipografica. Queste diventarono suggestioni e connessioni visive perfettamente tagliate sulla rivista. Su Interview questo approccio rafforzava i ritratti testuali degli intervistati; i caratteri interpretavano visivamente persona. In entrambi i casi, Baron presentava al lettore soluzioni frutto di una grafica editoriale coerente ed esuberante. Oltre un decennio più tardi, continua ad applicare questo stile a Vogue Paris, giocando con l’immagine, il testo, lo spazio e le proporzioni per esprimere il dinamismo e la vitalità della moda nel nuovo secolo.

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tra passato e futuro

Merz e la Nuova Tipografia

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Il peso di dadaismo, futurismo e costruttivismo sul boom postbellico della grafica editoriale non va sopravvalutato. Se esiste una pubblicazione in cui i loro canoni sono evidenti, questa è Merz. Disegnata nel 1919 da Kurt Schwitters come serie di collage e poi, nel 1924, da El’ Lisickij come rivista, Merz si ispirò ai principi di quei movimenti e in particolare alle possibilità offerte dalla meccanizzazione, e li applicò ai vari aspetti del design grafico. Fondamentale nella scelta fu la comprensione che la forma e la composizione della pagina stampata potevano essere radicalmente riplasmate, e quindi liberate, con il movimento, il dinamismo, l’equilibrio e un nuovo approccio tipografico, noto come la “Nuova Tipografia”. Ciò fu reso possibile dalle nascenti tecniche di produzione, quali la litografia e la linotipia; la più importante trasformazione fu però l’implicito, enorme cambiamento nella stampa introdotto da queste innovazioni, la possibilità di ottenere nel design grafico una vera espressione, un’organizzazione razionale e democratizzazione, giungendo a una comunicazione più efficace. Ciò ha influenzato non solo l’aspetto anarchico delle fanzine punk e del lavoro di Neville Brody, ma ha anche avuto un impatto, in modo più sottile, sulla giocosità visiva di molte pubblicazioni da edicola opera di art director come Fabien Baron.

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tra passato e futuro

Oz

L

La rivista psichedelica radicale Oz all’inizio era pubblicata a Sidney come rivista satirica curata da Richard Neville, in collaborazione con Richard Walsh e, soprattutto, dall’artista, cartoonist, paroliere e cineasta Martin Sharp. Fu Sharp a occuparsi del design della rivista nella sua seconda vita come pubblicazione hippy di Londra, dove guadagnò tanta rinomanza artistica quanta infamia da parte delle istituzioni, per arrivare, nel 1970, a una causa da cui nacque il più lungo processo, fino ad allora, per oscenità nella storia legale del paese. Per l’edizione londinese di Oz, Sharp sfruttò i progressi nella stampa, nella carta e negli inchiostri, per progettare o esporre alcune delle più sperimentali e avventurose copertine mai viste in editoria; molti numeri includevano splendide copertine avvolgenti o poster staccabili ed erano stampati con inchiostri metallizzati o su supporti laminati. Con tali copertine e materiali, Sharp spingeva più in là i confini della tecnologia di stampa e offriva una ricca metafora per il contenuto di Oz, che ampliava i limiti della tolleranza esplorando le nozioni di pornografia, liberalismo, oscenità e pensiero radicale. Sharp voleva esplorare le possibilità sia dei formati a libro che ad album, il formato e le dimensioni della rivista cambiavano

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tra passato e futuro

spesso; ciò che rimase costante fu l’abilità di Oz di riflettere ed esprimere con acutezza il passaggio della sottocultura dall’anarchia antiautoritaria, alimentata dalle droghe, e dallo sperimentalismo, allo temperamento e infine all’assorbimento nello stesso sistema osteggiato con tanta ferocia. Grazie alla capacità delle copertine e del design di Jon Goodchild, spesso in collaborazione con Sharp e altri, trasformò il reparto artistico in un “teatro della sperimentazione”, creando con tecniche di montaggio collage e layout tipografici liberi, che allontanavano la progettazione editoriale dal rigore e dalle costrizioni del dominante stile svizzero ed ebbero un duraturo impatto sulla grafica.

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tra passato e futuro

Vice

N

Nel 1994 due ragazzi di Montréal, Surrosh Alvi, ex tossicodipendente, e Gavin McInnes, fumettista, sfruttarono un programma di welfare e ottennero finanziamenti statali per pubblicare una free press mensile, Voice of Montréal, che si occupa sin da subito di cultura underground, dalla droga al punk-rock. Poco dopo si unisce al gruppo Shane Smith, giornalista; nel 1996 il magazine cambia strategia di mercato, decise di puntare soltanto sui ricavi della pubblicità, abbandonando il programma di welfare e perdere i finanziamenti; venne distribuito anche negli Stati Uniti e cambiò nome in Vice. Il cambiamento più significativo della storia di Vice ci fu nel corso degli anni 2000, vennero spostati i maggiori investimenti dalla stampa al web, in particolare alla produzione video. Oggi Vice è un network con sedi in tutto il mondo, pubblica ancora il mensile cartaceo, cura una rete di siti tematici e produce video per il web e per la televisione. Tratta e ha trattato argomenti di ogni genere, dai guerriglieri nelle Filippine alle curiosità sulla cacca, con toni provocatori e linguaggio scurrile, usando spesso immagini violente o a sfondo sessuale. Uno dei tre fondatori, Gavin McInnes, riassume così il loro approccio: ‹‹fare cose stupide in modo intelligente e cose intelligenti in modo stupido››.

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tra passato e futuro

Un occhio al futuro

P

Per alcuni anni, il futuro del design grafico ha visto i propri orizzonti in espansione, mentre in passato era difficile oltrepassare i confini tra discipline diverse, oggi il designer grafico è una figura “interdisciplinare”, è un pò stampatore, un pò fotografo, programmatore, editor, illustratore ecc. Oggi giorno sempre più i grafici devono essere consapevoli dei cambiamenti economici, culturali, tecnologici e delle nuove tendenze nei vari mezzi di comunicazione; e di conseguenza la buona grafica editoriale, data la sua natura periodica e seriale, riflette la cultura, risponde a essa e con essa si intreccia. Uno dei maggiori cambiamenti culturali ora in corso è ancora legato a internet; nel progettare pagine internet, i grafici hanno sempre dovuto tener conto della riluttanza dei più giovani a leggere articoli lunghi, del disagio di leggere grandi blocchi di testo sullo schermo, dei limiti della tipografia e del formato orizzontale, così come della necessità di più testi di richiamo. In un mondo sempre più digitalizzato, veloce, alfabetizzato tecnologicamente, l’uso della carta stampata si è ridotto moltissimo. Ogni giorno segniamo un numero di telefono sul cellulare invece che in rubrica, appuntiamo una nota su un editor di testo del nostro desktop invece che su un postit, prendiamo appunti su word e non su un quaderno. Quando l’uso di un oggetto, di uno stile, o di un modo di agire diventa generalizzato e comune, questo perde fascino e interesse, diminuisce

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tra passato e futuro

di valore, poiché arriva ad essere alla portata di tutti. Il supporto fisico, in questo caso la carta, diventa qualcosa di speciale e unico, un oggetto che ci riconduce alla vera natura dei rapporti professionali. Non è forse vero che osservare le pagine di un giornale, odorare il profumo della carta e ascoltare il suono dei fogli che si muovono dona un piacere particolare? I prodotti cartacei, per la maggior parte stampati, sono davvero uno strumento molto potente se usato correttamente. Sono utili per acquisire nuovi clienti, per fidelizzare quelli già acquisiti e per raggiungere nuovi importanti risultati legati alla comunicazione e al marketing. Al di là dei luoghi comuni per cui si crede che la carta stia scomparendo, la realtà, invece, racconta tutta un’altra storia. Gli stampati vengono inoltre percepiti come “caldi” e unici, coinvolgenti per i sensi, gratificanti nell’acquistarli e riceverli. Gli stampati cartacei vengono guardati con più attenzione, conservati a lungo, riutilizzati e mostrati, in virtù di qualcosa di vero e tangibile. Il cartaceo attira sempre l’attenzione, viene sempre aperto, viene sempre sfogliato, viene sempre letto anche velocemente, viene sempre identificato chiaramente con il mittente. Soprattutto, forse il punto più importante di tutti: gli stampati sono unici perché sono pochi. E quando si è in pochi ci si distingue.

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V

CAPITOLO

N’art - arte e cultura

Naming Logotipo di testata Tipografia Layout Stampa e confezionamento



n’art

Naming

I

Il nome N’art può assumere diversi significati: Napoli Arte, Nuova Arte, Nuovi Artisti (Naples Art, New Art, New Artist). Ma in realtà N’art nasce dal dialetto napoletano. È una parola che tradotta in italiano significa “opera d’arte”. Fa je semp n’art! Fai sempre un’opera d’arte! Questa espressione viene utilizzata da chi la esclama, per indicare ed esprimere un’azione, discorso, processo, lungo e complesso, così come realizzare un’opera d’arte.

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n’art

Logotipo di testata

n’art arte e cultura

CYMK: 20 20 20 100 RGB: #161412 CYMK: 0 31 38 0 RGB: #F9C1A0

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n’art

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arte e cultura

n’art

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arte e cultura 45 mm

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n’art

Tipografia

U

Una buona tipografia è interessante da vedere e facile da leggere. Nella scelta del carattere da usare è fondamentale tener conto diversi fattori, quali: le grazie, il peso, la crenatura (kerning), l’allineamento del testo, la dimesione, l’interlinea, il contrasto ecc., la scelta è inoltre dettata dal mezzo di fruizione finale e dall’abilità del carattere di adattarsi a piattaforme e supporti diversi. È anche importante stabilire una gerarchia tipografica e assegnare ruoli ben precisi a ogni font scelta (titolo, corpo del testo, citazioni ecc.), differenziandola tramite dimensioni e spessori diversi. Tenendo conto di questi diversi fattori, per la realizzazione del progetto la scelta tipografica è caduta su tre diversi caratteri: - Il carattere utilizzato per la testata, numero di pagina e intestazioni è il Bakery. È un carattere script a pennello, fluido, simile alla scrittura manuale, costituito da tratti morbidi e imprecisi, e da aste sottili. - Il carattere scelto per le titolazioni e testo corrente, è il Quicksand. È un sans serif con diversi pesi, è abbastanza leggibile da poter essere utilizzato anche in piccole dimensioni. - Il carattere scelto per la tipografia libera, titolazioni e citazioni è il Knewave. È un graphich cursive font, ovvero un pennello corsivo.

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n’art

ABCDEFGHIJKL MNOPQR STUVW XYZ abcdefghijl mnopqrstuvwxyz 0123456789

AaCc 89


n’art

ABCDEFGHIJKL MNOPQRSTUVWXYZ abcdefghijl mnopqrstuvwxyz 0123456789

Aa Cc 90


n’art

ABCDEFGHIJKL MNOPQRSTUVWXYZ abcdefghijl mnopqrstuvwxyz 0123456789

Aa Cc 91


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Layout

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Gli interni della rivista sono stati realizzati senza seguire un layout specifico, il testo e gli elementi variano in base alla tipologia dell’argomento trattato. L’obiettivo è stato quello di creare una struttura più flessibile e libera alle pagine.

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n’art / design

n’art / design

TERRY DI RENZO LA REINTERPRETAZIONE DEI SIMBOLI DI NAPOLI #Teresa Di Pasqua

D

a sempre Napoli è stata fonte di ispirazione, lo è per tutti, lo è stata per tanti. A Napoli si sono ispirati i più grandi e chi ci è nato e ci vive la ama incondizionatamente per quello che è. Terry di Renzo ci è nata e ci vive, crea gioielli handmade sperimentando con i materiali e si è lasciata ispirare in particolare da un aspetto della sua Napoli per la nuova collezione: l’amore per il sacro e per il suo Santo patrono San Gennaro. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con lei per scoprire le origini e lo sviluppo di questa idea. Ultimamente, rispetto alla tua prima collezione di gioielli, c’è stato un cambiamento nell’impronta stilistica. Sentivi arrivato il momento di dare una svolta? Sì, ma tutto è nato in maniera spontanea senza pianificarlo, ho sentito l’esigenza di avvicinarmi di più al mio intimo immaginario che però ho sempre coltivato nel tempo e pian piano è venuto fuori. Ti sei ispirata a Napoli e in particolare hai posto l’accento sull’aspetto sacro, sulla devozione del popolo napoletano con i San Gennaro e gli Ex Voto. Da cosa nasce questa idea? L’idea nasce dalla mia passione per gli oggetti sacri di cui Napoli presenta una ricca scelta, ma mi sono naturalmente approcciata al nostro santo patrono quasi per istinto. Sono nati prima gli Ex Voto che hanno attirato la mia intenzione per forma, significato e valore simbolico nell’immaginario religioso.

Sei napoletana, vivi a Napoli e ora lavori con oggetti che sono ispirati a questa città. Trovi che il legame con la questa terra si sia rafforzato creando qualcosa che la rappresenta così tanto? Napoli è la mia città, siamo legate nelle viscere e questo mio amore affonda le radici nella sua cultura popolare. Il mio legame è stato sempre forte e considero questa collezione un omaggio di oggetti che amo verso un luogo che amo.

mente. La gente li apprezza molto e questo dimostra come le icone e i simboli si portano dietro sempre il loro valore nonostante siano realizzate in materiali totalmente paradossali rispetto al contesto. Il design handmade è il tuo mondo. Quanto incide la scelta dei materiali e soprattutto quanta ricerca c’è dietro per riuscire a creare una collezione diversa ogni volta? I materiali sono tutto, specialmente in operazioni di reinterpretazione simbolica come quella che ho approcciato nelle ultime collezioni. Le mie ricerche derivano dai viaggi, dalle persone, dai luoghi, tutto mi è fonte di ispirazione, talvolta basta un istante per immaginare ciò che voglio realizzare con le mie mani.

Oltre ai gioielli ti sei cimentata nella realizzazione di statuette. Come è cambiato, se è cambiato, il lavoro che c’è dietro questo tipo di oggetto? Il mio lavoro è sempre stato molto inclusivo, mi sono occupata di cose diverse, dalle scenografie agli allestimenti, dai gioielli alle resine, senza per questo separare necessariamente le cose. Le statuette di San Gennaro fanno parte dello studio sugli oggetti sacri e tutto il simbolismo che si porta dietro, ma si inseriscono in una più ampia passione per le tradizioni popolari che passano anche attraverso la religione.

Parlando di design, con questa collezione ti sei avvicinata anche molto al mondo dell’arredo. I San Gennaro e gli Ex Voto realizzati come fine puramente decorativo saranno solo l’inizio della tua sperimentazione anche in questo ambito o è stata una parentesi isolata? Questa collezione è destinata ad arredare ma il design è sempre stata una costante nella mia esperienza professionale. Frequento eventi legati a questo ambito da anni e sicuramente non mi fermerò qui ma ho intenzione di ampliare le mie realizzazioni che possano essere sia indossate che esposte in uno spazio. Come ho detto prima il mio lavoro è molto inclusivo quindi non riesco mai a separare i vari ambiti, per me sono solo la naturale evoluzione di ciò che creo.

Tra i tuoi lavori più riconoscibili ci sono senz’altro gli Ex Voto, presentati in uno stile molto pop anche grazie alle scelte cromatiche. È stata una scelta funzionale per alleggerirne l’aspetto simbolico e renderli quindi più fruibili o una decisione puramente estetica? La resa di questa collezione Ex Voto e San Gennaro è una reinterpretazione materica in chiave contemporanea di oggetti che conosciamo e sono già fissati nella nostra

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n’art / cinema

n’art / cinema

NAPOLI E IL CINEMA I SET DI IERI E DI OGGI #Filomena Diana

I

l cinema, fin dai suoi primordi, ha sempre guardato con un notevole interesse alla città di Napoli per la bellezza dei suoi panorami, per il carattere eclettico e complesso della sua gente, e per i riti, le usanze e le tradizioni che costituiscono il particolarissimo folklore partenopeo. Napoli offrì, infatti, alla prima stagione realistica del cinema muto dei primi decenni dello scorso secolo, un bacino di potenzialità infinite da interrogare e sviluppare.

Tra i famosissimi “dal vero” girati a Napoli in quegl’anni è impossibile non ricordare “L’Eruzione del Vesuvio” di Roberto Troncone, con riprese fatte in tempo reale dalla Circumvesuviana di Torre Annunziata e Ottaviano. Il mito della città partenopea non si esaurisce certo in questi sfarzi naturalistici e tanti sono stati gli approdi di celebri registi stranieri che hanno deciso di ambientare i loro kolossal a Napoli, per coglierne il suo aspetto incredibilmente lirico e romantico. Così un pubblico mondiale segnò sulle immortali immagini della storia d’amore tra Cleopatra e Marco Antonio nel pluripremiato “Cleopatra” di Mankiewicz: tutto accadde sullo sfondo dei magnifici

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colori di Ischia, galeotto dell’amore (reale) tra Liz Taylor e Richard Burton. Si cambia totalmente registro se si pensa, invece, agli esperimenti neorealistici che a Napoli seminarono un grandioso successo e sul cui panorama regna sovrano Rossellini con il suo “Paisà”. Il film catapulta gli spettatori nella parte “stretta” della città, fatta di vicoli, di miseria, di quel frenetico e, al contempo, compassionevole mondo degli “scugnizzi”. Non raramente accade che la “napoletanità” si impone all’immaginario collettivo come sinonimo di comicità, e questo grazie anche all’imponente contributo di Antonio De Curtis, Totò, le cui pellicole hanno consacrato alcuni luoghi della città resi parte integrante dei suoi geniali imbrogli e continui qui-pro-quo, in un teatro cittadino altrettanto altisonante e vivace.

Numerosi sono gli angoli di Napoli che hanno fatto da sfondo ai cult-movie italiani. Tra i più famosi: il Rione Sanità, non solo quartiere nativo del grandissimo Totò ma teatro di pellicole come “L’oro di Napoli” del 1954, diretto da Vittorio de Sica. Un’emblematica risonanza cinematografica acquista il Palazzo dello Spagnolo, collocato nel quartiere e set di numerosi film come “Giudizio Universale” e “La pelle”. Recentemente il quartiere ha ospitato le telecamere di Mediaset per la realizzazione della miniserie “O professore” con Sergio Castellitto e la sua difficile scolaresca. Piazza del Gesù Nuovo è un’altra frequentatissima location scelta da molti registi; basti pensare al film “Pacco, contropacco e doppiopacco” di Nanni Loy, o “Matrimonio all’Italiana” che immortala la Loren nella celeberrima trasposizione filmica della “Fulumena Marturano”. Altra tappa obbligata è Castel Nuovo: il monumento più rappresentativo di Napoli e set prediletto da Nanni Loy per le prime scene della rocambolesca e grottesca vicenda dei protagonisti di “Mi manda Picone”.

Spostandoci nella zona di Chiaia incontriamo le scale di via Crispi e diventa impossibile percorrerle senza ricordarci di Lello Arena e delle sue pene d’amore nel capolavoro di Massimo Troisi, “Scusate il ritardo”. Venendo a tempi più recenti, attraverso una rilettura del best seller di Roberto Saviano, Matteo Garrone riprende le storie del maleaffare dei quartieri di Scampia e le imprime nel suo “Gomorra”, ispirando la fortunatissima serie omonima, girata nei medesimi luoghi.

Ma ad Hollywood Napoli è ancora vista con grande ammirazione e così, nel 2010, Rayan Murphy conduce la diva hollywoodiana Julia Roberts nel vivo delle sue strade sicché in “Mangia, prega, ama” è possibile ammirare l’attrice che mangia a quattro mani la sua fetta di margherita ne L’Antica Pizzeria da Michele: un’immagine che immediatamente diventata un cult. Ancora una Napoli turistica è quella che ci viene mostrata ne “Il talento di Mr Ripley” girato a Procida, nella cui soleggiata e poetica intimità, Matt Damon, Jude Law e Gwyneth Paltrow si immergono in un intrigante thriller. Ultimo-ma solo per mere questioni cronologiche-il capolavoro “made in Naples” è sicuramente “I bastardi di Pizzofalcone”. Sei episodi tratti dagli appassionanti scritti di Maurizio De Giovanni il cui set è stato allestito in pieno centro antico: tra piazza San Domenico Maggiore, via Nilo, San Gregorio Armeno e San Biagio dei Librai, con tappa anche a palazzo Marigliano. Insomma, il cinema di tutti i tempi, cavalcando le ispirazioni di una città dalle mille sfaccettature come Napoli, ha cucito sulle sue trame immagini intramontabili che ancora oggi recano lustro a luoghi che da sempre affascinano, inquietano, sorprendono.

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n’art / moda

n’art / moda

Questa frase di Elsa Morante, che ben interpreta la realtà in cui versa la città di Napoli, ha ispirato il racconto di quei numerosissimi ed affascinanti posti in cui ogni giorno ci ritroviamo a vivere. Napoli è ricca, ricca di storia, arte, ricca di costumi e tradizioni. Napoli è dove riesci a vedere il “bello” ovunque, dove sei certo di vedere sempre posti nuovi ogni giorno, posti incantati, dimenticati. Napoli è scegliere tra migliaia di luoghi da visitare e sapere che forse non riuscirai mai a vederli tutti. La bellezza di Napoli non deriva solo dalla moltitudine di storia di cui è intrisa, spesso inquinata dalla “paccottiglia kitsch”, ma dal continuo meravigliarsi esplorando gli innumerevoli particolari che ogni monumento presenta. Le rifiniture, i particolari, le decorazioni ed infine i fregi che ogni singolo monumento della città offre a chiunque abbia occhi per guardare. È proprio da queste premesse, e la generosa arte presente nella città di Napoli che nasce il progetto di Clarice Borrelli, creatrice e stylist della capsule collection “BLACK INNOCENCE”, che letteralmente vuol dire “INNOCENZA NERA”, rappresenta la rabbia di chi non vuole abbandonarsi ai cliché che tormentano Napoli. Una rivoluzione culturale, non solo per patriottismo, ma soprattutto per volontà di denuncia proprio come ci insegna Vivienne Westwood, simbolo assoluto dell’anticonformismo nella moda. La regina del punk conferma ogni volta in passerella la sua ammirazione per tutto ciò che è passato e tradizione, ed è proprio da quest’ultima che nasce la capsule collection. La tradizione è tutto, e tutto parte da lì, senza il nostro passato non saremmo nulla. La rinascita dei fregi passa attraverso la moda e lo streetwear riproposto nella capsule collection. La mission di “BLACK INNOCENCE” è quella di immettere la collezione sul mercato ai fini di devolvere il ricavato alla ristrutturazione di palazzi e monumenti della città di Napoli. La collezione si prefigge, inoltre, lo scopo di valorizzare il lavoro della sartoria campana, attraverso l’hand-made del capo, partendo dalla realizzazione del cartamodello delle t-shirt, conferendo così una qualità ed una vestibilità unica.

“BLACK INNOCENCE”

t-shirt 100% CO Jersey stampa inchiostro ad immersione € 60,00.

“BLACK INNOCENCE”

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n’art / arte

n’art / arte

PERCORSI REALI: UN VIAGGIO TRA LE REGGE DEL CASERTANO #Filomena Diana

Prodotta dalla magistrale mano di Luigi Vanvitelli, la Reggia di Caserta è il gioiello borbonico più prezioso d’Italia, tanto prezioso da ispirare Versailles e la corte settecentesca più celebre del mondo occidentale. Questo splendido sito sorge nel cuore di quella che anticamente era conosciuta la terra di lavoro, una provincia campana che proprio in quel periodo cominciava a fiorire per via dell’autonomia che il regno di Napoli aveva conquistato rispetto alla corona spagnola. Prima dell’arrivo dei Borbone la reggia era un palazzo nobiliare e tantissimi anni vennero impiegati per l’ultimazione dei lavori della nuova residenza reale, la cui data succedette quella della morte del suo architetto. La Reggia di Caserta ha una pianta rettangolare che si sviluppa lungo una struttura che affaccia su quattro grandi cortili interni. A rapire completamente la vista e l’animo dei suoi visitatori sono però i giardini che costituiscono l’immenso parco fino alla famosa cascata, posta scenograficamente al culmine della fuga prospettica e adornata da mirabili sculture rappresenti figure storiche e mitologiche. L’arte scenografica settecentesca riveste l’intera struttura raggiungendo il suo culmine nell’ardito Scalone d’Onore che collega il vestibolo inferiore e quello superiore. Attraverso di esso si può accedere agli appartamenti reali. Procedendo verso gli interni, si trovano le sale destinate alla famiglia reale rispecchianti la cosiddetta “unità d’interni”, una delle principali caratteristiche della concezione architettonica e decorativa settecentesca. Il Novecento è stato per la real dimora un secolo di grande importanza che ha portato la Reggia ad accogliere iniziative artistiche d’avanguardia di marcato spessore storico-sociale.

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A questo proposito è da citare la collezione Terrae Motus, costituita dopo il sisma dell’Ottanta che colpì la Campania e custodita tra gli ambienti della casa borbonica grazie al lavoro meticoloso di uno dei più grandi galleristi del tempo: Luicio Amelio, amico di molti artisti contemporanei tra cui Andy Warhol. Ai primi decenni del Novecento è da far risalire anche la creazione del Museo della Reggia di Caserta; in quello stesso periodo il sito venne dismesso dal patrimonio reale per diventare a tutti gli effetti Patrimonio dello Stato d’Italia. Seguendo l’arteria tracciata dai reali della famiglia Borbone nel Casertano, è facile che si venga condotti sino al piccolo paesino di San Tammaro. Qui sorge un magione strettamente collegato alla storia della Reggia di Caserta, noto come Reggia di Carditello. Anticamente ricoperta dal medesimo splendore della dimora che troneggia nella provincia, oggi purtroppo la Reggia di Carditello versa in condizioni disagiate ma c’è da dire che al suo destino si stanno interessando numerose associazioni ed enti che hanno dimostrato, attraverso tante iniziative di riqualificazione del sito, di avere a cuore il suo riscatto. Nonostante gli spazi interni pressoché distrutti e malridotti, la Reggia conserva ancora la sobria ed elegante architettura neoclassica. A firmare il progetto della Reggia di Carditello fu un allievo di Luigi Vanvitelli di nome Francesco Collecini. Tale fabbricato venne destinato a Carlo di Borbone e, sfruttando la grande distesa di boschi che l’attorniavano, ha avuto a lungo la funzione di appoggio per le tenute di caccia della corte. In seguito, per volere del Re Ferdinando IV, fu trasformata in una fattoria per la coltivazione del grano e l'allevamento di razze pregiate di cavalli e bovini.

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STORIE DI TALENTI I DISEGNI DI PIETRO ZARA SUL PODIO PER CASAPESENNA #Filomena Diana

Pietro Zara è un giovane di Casapesenna che, con le sue conquiste in campo artistico, ha tentato di dare un volto nuovo al suo paese, spesso martoriato da notizie di gran lunga più cupe e spiacevoli. Ma non è questo il caso. Qui si vuol parlare di arte, di riscatto, di passione e del coraggio di mettersi in gioco. I disegni di Pietro hanno un marchio immediatamente riconoscibile: sono un groviglio fantasioso di figurine che si attorcigliano su se stesse secondo un criterio solo apparentemente caotico. Il caos di Pietro è, in realtà, scrupolosamente architettato, meticolosamente rigoroso. Il suo talento, coltivato tra le aule dell’ Accademia di Belle Arti di Napoli, è stato subito riconosciuto attraverso un concorso che lo porta per un periodo a Milano, a inaugurare t-shirt, cover e palloni riportanti i suoi disegni. A motivarlo, come lui stesso conferma, è stata la mamma. Lo abbiamo intervistato per capire nel dettaglio come ha vissuto la sua formazione accademica, nonché il suo piccolo successo che sceglie nobilmente di dedicare e condividere con il suo amato paese.

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n’art / arte

n’art / arte

Com’è nata la tua passione? Ho iniziato sin da bambino. Partivo da un particolare a caso a tutta forma. I miei genitori hanno notato la mia passione e mi hanno consigliato di iscrivermi al Liceo Artistico di Aversa. Lì mi sono specializzato in scultura creando oggetti con la carta pesta e l’argilla. I tuoi disegni sono molto particolari. A cosa ti sei ispirato? La footlocker è stata la mia prima fonte di ispirazione. Andavo lì e venivo affascinato da questo tipo particolare di grafica che c’era su alcune t-shirt. Tra gli artisti, sono stato influenzato da Keith Haring. Poi cosa è successo? Ho approfondito il mio stile e dopo la laurea all’ Accademia di Belle Arti di Napoli sono maturato tantissimo. È allora che passai dalle composizioni di oggetti illustrati ai segni compositivi che formano un’immagine. Parliamo ora del tuo debutto nel mondo dell’arte! Come ogni passione che si rispetti, la mia è stata una di quelle coltivata nella mia cameretta. Poi, grazie alle spinte motivazionali di mia madre, ho deciso che era arrivato il momento di espormi. Ho partecipato a diversi concorsi

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ma uno in particolare, 26motiviperfarearte, ha cambiato il mio percorso artistico. Lo vinsi con un’opera intitolata Natura Astratta. Fu una grande soddisfazione perché quel concorso prevedeva che i miei disegni venissero stampati su delle t-shirt che tutti potevano indossare e portare in giro per le strade. Cosa ti è rimasto di quella vittoria? La cosa che più ritengo sia stata preziosa di quell’esperienza è il fatto che, grazie ad essa, sono riuscito nel mio piccolo a dare un volto più pulito al mio paese, Casapesenna. La mia vittoria la dedico proprio al mio territorio che sono orgoglioso di rappresentare e che rispetto moltissimo. L’arte può riscattare l’immagine di un paese come Casapesenna? Io ci credo! L’arte può salvare un territorio perché rispecchia la bellezza ed è espressione di un’alternativa, di unione. Nuovi progetti in arrivo? Continuo a studiare e a creare ma sto sperimentando strade diverse, ora mi dedico al graphic design e i disegni fatti a mano li passo al computer. Il digitale è un universo molto complesso ma affascinante e pieno di risorse.

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n’art / cultura

n’art / cultura

SII TURISTA DELLA TUA CITTà! L’ ESPERIENZA CHE MI HA CAMBIATO LA VITA! #Luca De Martino

L’amore che provo per questa terra è un qualcosa di indescrivibile attraverso le parole. Forse anche attraverso le azioni. Di certo però le azioni, a differenza delle parole, producono una vera e propria trasformazione dell’amore in realtà. Quando ho iniziato questo percorso e sognavo di potermi battere per la mia cultura ero appena ventunenne e uscivo da un periodo molto movimentato e tumultuoso della mia vita. Avevo biso-

gno di un grande input per continuare a vivere, per uscire da abitudini e stili di vita ben distanti da quelli che invece oggi mi vedono schierato ad alimentare il bene, la consapevolezza, il senso di appartenenza e ad abbracciare le speranze e i desideri di altre persone, talvolta mie coetanee, altre volte molto più grandi di me. La mia vita è strana, forse paradossale. In ogni prova accademica o percorso

ESSERE NAPOLETANO È MERAVIGLIOSO! APRITE I VOSTRI CUORI A NAPOLI. APRITE I VOSTRI CUORI.

re che ero un adolescente che schifava Napoli, idolatrava l’estero, voleva vivere a Londra e Berlino, non conosceva nulla di questa città. Oggi sono un ragazzo diverso alla guida di un sogno cresciuto molto più di quanto potesse immaginare; ma questo ragazzo si sente sempre troppo giovane per un qualcosa di così grande. Non saprei mettere la mano sul fuoco su chi potrebbe vivere anche senza questo progetto, ma una cosa certa la so: ho giurato dinanzi al mare di servire la mia terra e il mio popolo a qualsiasi costo, a prescindere da ogni sofferenza e ostacolo. Non saranno problemi economici a farmi desistere, non saranno offerte economiche lavorative migliori a distrarmi, non saranno posti di potere a farmi dimenticare le mie origini. Il mio cuore sarà incorruttibile, non cercherà ricchezza e potere per risollevarsi; lui – il mio cuore – cercherà una vita migliore su questa terra e in questa città. Se serve qualcuno che si sacrifica un pò in più per gli altri, io ci sono e senza freni.

istituzionale, ho fallito; pensiamo ad esempio alla scuola, al calcio, al nuoto e al canottaggio. Insomma, dove ho trovato regole ferree e gerarchie, dove c’era da subire le scelte altrui, io ho sempre raggiunto il traguardo con ritardi vari. Qui in Sii Turista Della Tua Città, invece, non esiste questa difficoltà, perché finalmente in un’esperienza della mia vita condivido con gli altri i miei tempi e la mia visione di una vita diversa da quella vista con gli occhi rassegnati al destino di una società alla deriva. Tante volte vorrei piangere dall’emozione, vorrei riuscire a liberarmi di un carico emotivo che per ora mi invade il cuore e l’anima ma che purtroppo non mi godo, perché le emozioni sono una cosa strana: te le godi e te le vivi solamente quando riesci a cacciarle fuori! In questi primi 6 anni dedicati alla mia città, con la quale sento un legame speciale, mi sono conosciuto tanto, mi sono messo alla prova tanto, mi sono distrutto tanto, ho vissuto tanto e tutto solo grazie all’accettazione dell’Amore. E pensa-

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n’art / ricettario

RICETTE CAMPANE MIGLIACCIO #GialloZafferano

HAPPY CARNIVAL 10/11/12/13 FEBBRAIO 2018

Difficoltà:

Preparazione:

Cottura:

Dosi per:

Costo:

bassa

20 min

60 min

10 persone

basso

A Carnevale ogni “torta” vale ma una delle leccornie carnevalesche che dovete assaggiare è sicuramente il Migliaccio, appartenente alla tradizione campana e dalle origini molto antiche. L’ingrediente principe è appunto il miglio: la farina ottenuta da questo cereale era legata alla cucina povera partenopea, dove era impiegata in numerose preparazioni. Oggi si usa generalmente il semolino, fatto cuocere in un composto di latte e burro quindi amalgamato ad altri basilari ingredienti quali uova, zucchero e ricotta. Tanto semplice da preparare quanto unico per gusto e consistenza, il migliaccio diventerà uno dei vostri dolci preferiti soprattutto in queste gioiose e colorate occasioni di festa.

INGREDIENTI Semolino 200 g

Latte 500 g

Zucchero 250 g

Acqua 500 g

Ricotta vaccina 350 g

Uova 4 medie

Burro 40 g

Scorza d’arancia 1

Baccello di vaniglia 1

Sale fino 1 pizzico

Zucchero a velo q.b

NOTA i tempi di cottura del semolino CONSIGLIO

CENTRO STORICO, CAPUA (CE)

Potete insaporire l’impasto aggiungendo un liquore di agrumi, gocce di cioccolato fondente, uvetta passa, pinoli, canditi... CONSERVAZIONE

inviaci le tue ricette all’indirizzo mail: nartricettario@gmail.com

Il migliaccio può essere conservato in frigo per 3/4 giorni.

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n’art

Stampa e Confezionamento

I

Il supporto scelto per la stampa è una carta ecologica riciclata e biodegradabile, la Shiro da 120 g per gli interni e da 300 g per la copertina, invece per la sopraccoperta è stata utilizzata una carta naturale traslucita Fedrigoni GSK da 300 g. La rivista è stata stampata in digitale con una macchina Konica Minolta Bizhub C6000L e rilegata con Filo Refe a vista.

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Bibliografia

Professione: grafico editoriale Yolanda Zappaterra Logos Il manuale del graphic design* *progettazione e produzione Gavin Ambrose - Paul Harris Zanichelli Caratteri testo gabbia guida critica alla progettazione grafica Ellen Lupton - Marco Brazzali - Remigio Decarli Zanichelli Tipografia del XX secolo teoria e design Bruno Tonini - Paolo Tonini L’Arengario Studio Bibliografico Graphic Design David Dabner - Sheena Calvert - Anoki Casey Enrico Hoepli

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Sitografia

https://issuu.com/ https://library.rit.edu/gda/ http://vincefrost.com/inspire/ http://www.design-is-fine.org/ http://lolaproduction.com/ https://www.frizzifrizzi.it/ http://www.artwort.com/ http://www.artnoise.it/ http://www.lungarnofirenze.it/ http://coverjunkie.com/ https://www.behance.net/ http://www.oilproject.org/ http://www.vesuviolive.it/

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Ringraziamenti

G

Giunta alla fine di questo percorso, voglio ringraziare tutti voi, che con la vostra costante presenza mi avete supportata in questi anni di studio. In primis ringrazio l’Accademia di Belle Arti di Roma, e tutti coloro che mi hanno “insegnato”, in particolar modo vorrei dire grazie al Prof. Stefano Mosena, relatore di questa tesi, per la supervisione, la disponibilità, e per la fiducia che mi è stata data. Grazie ai miei colleghi ormai diventati “compagni di vita”, Gaspare, Ilaria, Simona, Giulia e Ilaria D, per tutti i momenti di difficoltà, ma soprattutto di gioia trascorsi insieme, non li dimenticherò! Grazie a mia madre, mio padre, i miei fratelli e mia sorella, spero di poter ripagare almeno in parte tutti i sacrifici che hanno fatto per permettermi di arrivare fino a qui. Grazie ad Antonio, che con amore, pazienza e fiducia mi ha sempre sostenuta e incoraggiata. Infine, grazie anche alla città di Roma, viverci è stato un sogno fin da bambina.

grazie a tutti, vi voglio bene.


Finito di stampare nel mese di aprile 2018 presso la Legatoria, Roma



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