Catalogo presente 2014 2

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PRESENTE - PROGETTO MAIONESE 17ma edizione Curatori: Elena Privitera, Marco Filippa http://www.epa.it Organigramma Associazione Culturale En Plein Air: Presidente - Elena Privitera Vicepresidente - Marco Filippa Segretaria - Carla Bertolino

Credits fotografici e video: Pietro Campagnoli “Ypres” Patrizia Chiarbonello Rosanna Giani Laura Govoni Elena Privitera Pamela Schimperna per la foto di Susanna Schimperna Ringraziamenti: Direttore del Museo Storico dell’Arma di Cavalleria di Pinerolo Tenente Colonnello Paolo Caratori Assessora alla cultura Roberta Falzoni Assessora al Personale e Politiche Sociali Agnese Boni Dott. Roberto Bellasio - Comune di Pinerolo - organizzatore Panettone in Vetrina Dott.ssa Livia Chiriotti “Pasticceria Internazionale” Alberto Chiriotti Editore Pasticceria Ferraud di Pinerolo. L’Associazione En Plein Air è inclusa nel circuito dei Musei Civici della:

Con il contributo della Regione Piemonte

En Plein Air è inserita nel circuito di:

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2015? Venti anni di attività, un centinaio di mostre, trentotto cataloghi: molta energia. Se resta indiscutibile il postulato fondamentale della meccanica classica di Lavoisier per cui, “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma” allora, le esperienze di questo ventennio dell’En Plein Air, continueranno a lasciare un segno nel tempo, per quello che sono state e per la scia che hanno prodotto. Se è così, in questi anni abbiamo giocato col tempo, ignorando volutamente ogni linea evoluzionistica (Darwin permettendo, ovviamente) e, infatti, siamo passati dal Futuro del 2013 al Presente del 2014 e il 2006 fu l’anno di Remake, un cortocircuito nel e sul mondo dell’arte. In fondo non abbiamo fatto altro che essere fedeli e rispettosi al principio dell’eterno ritorno. Un anno stra-ordinario nel segno della fedeltà verso la ricerca e quindi della sperimentazione, di sguardi aperti verso il mondo cercando di non avere pre-giudizi e, contemporaneamente, senza cavalcare le onde fortunate dell’immediatezza travolgente cercando invece di sondare gli interstizi di valore che si annidano ovunque anche nell’apparente conservatorismo di alcune esperienze che hanno ben poco da invidiare a certi avanguardismi politically correct. Un anno dopo l’altro senza sapere cosa accadrà. Con profonda onestà intellettuale, unita all’umiltà del vivere, sapendo che l’unica cosa possibile continua a essere il fai quel che devi e accada quel che può. Marco Filippa

5 luglio 2014 conferimento “Premio Pinarolium 2013” all’associazione nel suo ventennale di attività per la scelta innovativa nel campo dell’arte contemporanea dalla commissione presieduta dal Prof. Mario Marchiando Pacchiola e il Consiglio Direttivo dell’ Associazione Turistica Pro Loco di Pinerolo.


PRESENTE di Roberta Falzoni

Assessora alla Cultura del Comune di Pinerolo

Il progetto Maionese, giunto alla sua diciassettesima edizione, continua anche quest’anno nell’ambito “contenitore culturale” denominato “Alfabetomorso” (dedicato alle nuove forme di comunicazione) assumendo il titolo/progetto “PRESENTE”. Quattro mostre nell’arco dell’anno e quindi quattro dimensioni del presente che hanno accolto una rosa di artisti e linguaggi visivi in uno spirito di ricerca molto attento alle nuove generazioni. La prima mostra, inaugurata il 3 maggio nella sede dell’En Plein Air, ha visto partecipare una nutrita schiera di creativi pinerolesi affiancati da opere della collezione e da una mostra di volti di anziani tibetani, un omaggio al popolo che dal 1959 vive separato dalla sua terra. Un secondo appuntamento nel mese di giugno, nell’ambito del Festival Internazionale Teatro di figura, con una personale dedicata a Martha Nieuwenhuijs e al suo universo figurativo profondamente poetico. Nella collettiva, inaugurata il 6 settembre, una trentina di artisti, di generazioni diverse, ha esplorato, con una molteplicità di codici visivi, il loro “presente” offrendoci un interessante percorso emozionale e al contempo riflessivo attraverso le loro produzioni. Il 21 novembre è stato inaugurato l’ultimo appuntamento di questo caleidoscopico progetto; una mostra tutta incentrata sul tema dell’eccellenza dolciaria pinerolese, il panettone, ospitata nel prestigioso Museo Storico dell’Arma di Cavalleria ha terminato quest’anno speciale dell’En Plein Air. Un interessante percorso non solo espositivo ha caratterizzato i quattro appuntamenti in un anno particolare, il ventesimo di quest’associazione culturale che ha donato prestigio alla nostra città occupando un ruolo dentro al sistema museale cittadino. Lo sguardo, non sempre facile, sulle espressioni contemporanee resta comunque fondamentale per provare a soffermarsi su ciò che gli artisti propongono, con il loro punto di vista diverso e, proprio per questo, suscitatore di nuove possibilità di conoscenza. Perché l’arte, da sempre, è anche questo, un linguaggio che ci accompagna da secoli e che non ha bisogno di traduzioni perché viaggia su un territorio che appartiene a quasi tutti, quello visivo. In un tempo in cui le immagini ci frastornano, spesso anche invadendoci, quelle che gli artisti ci propongono e chiedono è attenzione e, solo con questa calma, possiamo apprendere lasciandoci catturare dentro ad emozioni autentiche arricchendo, sicuramente, il nostro essere umani.


atto primo 3 maggio - 21 giugno sede En Plein Air - arte contemporanea


PRESENTE PROS SIMO: il mondo in presa diret ta. di Laura Marchiando Pacchiola “Dove il mondo cessa di essere il palcoscenico delle nostre speranze e dei nostri desideri per divenire l’oggetto della libera curiosità e della contemplazione lì iniziano l’arte e la scienza. Se cerchiamo di descrivere la nostra esperienza all’interno degli schemi della nostra logica, entriamo nel mondo della scienza; se, invece, le relazioni che intercorrono tra le forme della nostra rappresentazione sfuggono alla comprensione razionale e pur tuttavia manifestano intuitivamente il loro significato, entriamo nel mondo della creazione artistica”. Albert Einstein

Da che presupposti possono partire le ultime generazioni di giovani artisti, ragazzi cresciuti nel villaggio globale, nativi digitali, informati e frastornati (?) da un universo segnico multiforme, dal ritmo immediato ma non sempre decodificabile? Che senso può avere ancora l’arte, fare arte, parlare di arte, praticare arte, in un PRESENTE PROSSIMO che più che ” un già e non ancora” è un “ hic et nunc “ che brucia il tempo nel momento stesso del suo dispiegarsi e sembra non lasciare spazio ad alcun tipo di sedimentazioni? L’orizzonte con cui avviene il confronto, primo presupposto, non può essere che il mondo intero: certo un mondo filtrato e multiforme, quello del web e dei social network, dove la connessione è virtuale e raramente reale. Ma tant’è. Walter Benjamin già nella prima metà del secolo scorso indagava (e si preoccupava) di che ne sarebbe stato dell’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità. La questione è stata superata dai fatti: anzi la stessa riproducibilità e replicabilità sono diventati mezzi in più a disposizione degli artisti, uno di quegli aspetti, anche ludico, che ne hanno ampliato il potenziale espressivo (secondo presupposto). Parrebbe configurarsi un’immagine di esperienza artistica simile alla deriva dei continenti, un pluralismo di significanti e significati talmente diversificato anche nei livelli, da fungere da alfabetizzazione estetica (terzo presupposto). Non si spiegherebbero altrimenti esperienze come la cultura dei graffiti dove il grado zero corrisponde alla tag che è la presa di possesso dello spazio ( né più e né meno come l’impronta della mano rupestre) fino a quelli più raffinati e complessi che esprimono il bisogno innato degli artisti di tutti i tempi di estetizzare il proprio habitat. Sto quasi chiudendo il cerchio nel cercare un de-

Claudia Petacca nominatore comune a tutte queste esperienze e personalità che En plein air ha raccolto, declinate in forme e modi che partendo dalle proprie interiorità sono approdate a risultati segnici e formali già con una loro grande dignità. Il quarto presupposto è senz’altro il non poter fare a meno del confronto con lo storico, con le esperienze che hanno preceduto anche questa generazione di artisti perché l’arte si è sempre nutrita di arte, confrontata e scontrata. I loro percorsi sono paralleli e coprono le varie tipologie espressive passando dal figurativo, all’espressionismo, al graffitismo, alla street art ed il loro retroterra si è ben nutrito della lezione dei padri e dei fratelli maggiori (Vermeer, Leonardo, Grosz, Warhol, Basquiat, O’Keeffe , Moore, Bay, Bacon, Freud, Saville…fino all’universo disneyano e burtoniano) di cui ne fanno uso come amplificatore espressivo non certo “ scimmiottatore”. Sembrerebbe che il loro fare arte obbedisca più ad un primario bisogno fisiologico, ad un imperativo categorico in cui le istanze problematiche si fanno “ esprit de finesse” : il mondo viene filtrato attraverso le sensibilità e le esperienze di ciascuno in una replica infinità. Questo non è che il proprio personale contributo alla necessità inconscia di integrazione ad una realtà complessa e contraddittoria che è il mondo in cui viviamo in cui anche l’opposizione è un processo previsto e autorizzato (forse cominciano a sospettarlo). Omologazione? No, mai, piuttosto il proprio personale urlo, il proprio “Dasein” (esserci) che rivendica tutta la propria personalità e la propria autonomia, un impegnarsi nel mondo in una personale Weltanschauung (intuizione del Mondo).


atto primo E allora eccoli finalmente nelle loro unicità. Federica Beltramo, la cui figurazione a grandi e sapienti colpi di colore, anche nei disegni a pantone, rimanda ad uno sfaldamento dell’immagine che sulla tela va a ricomporsi, come in un tentativo estremo di ricostruzione della realtà, dei suoi complessi e contraddittori significati.

Pietro Campagnoli allarga il campo anche alle installazioni e opera con attenzione particolare al significato semantico del pezzo. Infine il senior Joel Angelini la cui opera scultorea rimanda a forme archetipe primigenie la cui materia è in potenza ciò che la farà divenire la sua storia. Forma ancora indistinta dove prevale il curvilineo, il vuoto e il pieno: non un regresso formale ma espressione di un divenire, di ciò che non è ancora.

Federica Beltramo In Claudia Petacca, per contro, la grafia sottile e delicata, quasi evanescente, rimanda ad una fuga onirica o, forse, “se il sonno della ragione genera mostri”, allora eccoli qui, ombre, spettrali apparizioni fugaci ed inquietanti. Quasi un tentativo estremo per esorcizzare le nostre paure, il lato inconscio del nostro Io profondo.

Marco Abrate “Rebor”

Le figure femminili di Tommaso Sacchetto mostrano tutta la loro anoressica solitudine in un crudo iperrealismo dai colori acidi ed aspri che sembra alludere ad una condizione umana disperante ma lascia intravedere una parvenza di fuga nell’innesto di porzioni di fantastico nelle figure stesse.

Pietro Campagnoli “Ypres”

Tommaso Sacchetto Marco Abrate “Rebor” e Pietro Campagnoli “Ypres” sono accomunati dalla lezione della street art “una delle forme d’arte più oneste che ci siano” (Banksy) dove il fare coincide con essere e il vastissimo assortimento di materiali disponibili amplia enormemente il potenziale espressivo. Abrate è istintivo ed incontenibile, esplora tutti i temi, i materiali ed i supporti con creazioni che vanno dal ludico all’irriverente.

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Joel Angelini


SOGNANDO CASA: appunti su una mostra. di Marco Filippa Una teoria di fotografie si staglia sulle pareti, sono i volti di anziani tibetani ritratti da Samkyil Delek, un giovane fotografo, un tibetano di Milano. Dal 1959, con la rivolta di Lhasa, il Tibet non esiste più perché il regime Cinese ha imposto la dottrina di Stato e ha progressivamente cancellato ogni futuro che non incarni il proprio presente claustrofobico e impermeabile a ogni spiritualità. L’autorità spirituale, il Dalai Lama, e il suo governo provvisorio da quel momento hanno sede a Dharamsala in India e, da quell’anno, nulla è più come prima ma i nonviolenti tibetani continuano a ricercare una soluzione per un Tibet libero in una Cina libera. Delek ha fotografato i volti degli anziani e continua a farlo; ogni scatto è accompagnato da un pensiero che incarna il sentimento umano e racconta un sogno infranto ma nessuno, in qualche modo, ha smesso di sognare ma qualcuno ha cessato di vivere. Gli scatti sono primi piani, in un ruvido bianco e nero che confonde la pelle, facendola diventare trama del tempo; lasciando evaporare ogni sentimentalismo per mostrarsi nella sua bellezza nuda, autentica, senza maquillage… pelle che parla, occhi che guardano, umanità che trasuda di verità senza infingimenti; racconto che si snoda davanti ai nostri occhi perché comunque è questo che diventa, pur nel suo impeto documentario: vuoi per il fuori scala, perché i volti sono più grandi dei nostri, vuoi per il sommarsi l’una dopo l’altra delle immagini, tutto contribuisce a spostare il discorso, verso una ricerca dell’autentico che racconta il dolore del tempo, in cui la speranza non è mai soffocata, ma respira ancora l’idea che si possa un giorno tornare a casa.


P R E S E N T E di Andrea Bergese 1 È nata una stella e anche 150 bambini. Le bambine non sono esattamente 75. Sette miliardi di cuori hanno fatto bum. Qualcuno per l'ultima volta. Achille insegue la tartaruga. Che è ancora davanti. La freccia va verso il bersaglio. Non sappiamo il suo destino. Io sono. Anche tu. Una stella, no, non la stessa, se n'è andata. Ha lasciato un buco. Ecco, non c'è più. Non può esserci un buco, chiedilo al formaggio. La pasta è cotta. La sigaretta brucia. Un gatto passa veloce sui tetti bagnati di pioggia. Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendia si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui [suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio.] non avrebbe voluto essere lì. Code a Barberino del Mugello. No! Non ancora. Aspetta, aspetta-a-ami! Ecco, si, si, adesso! Cooosì! Così! Ti è piaciuto? Non più. L'eterno? Le morte stagioni. Il suon di lei. Il pensier mio. 2 - presente su Marte Su Marte il presente ha tutto un altro aspetto. Lo si intuisce appena si sbarca. Innanzi tutto ha un odore. I marziani lo percepiscono quando arrivano a coincidere con se stessi. Però se chiedete a un marziano come si fa a coincidere con se stessi vi rispondono immancabilmente che è quando si sente quell’odore. Gli astronauti che sono stati là dicono che coincidere con se stessi per i marziani (anche se non tutti) significa fare le cose che è giusto fare ed essere le cose che è giusto essere. Più a fondo di così nel comprenderli, è difficile andare. I latini dicevano hic et nunc, ma non tutti gli astronauti concordano con tale lettura. Secondariamente il presente si presenta in momenti costanti della vita (una vita media leggermente più breve di quell a terrestre): sono le occasioni in cui i marziani provano una delle otto emozioni fondamentali: rabbia tristezza gioia attesa paura disgusto sorpresa fiducia. Quando si attiva uno degli organi fisici (i marziani localizzano nel fisico le loro emozioni) preposti all’emozione corrispondente, ecco in quell’istante riconoscono di essere presenti. Un marziano emozionato sfiora l’assoluto. La tristezza è devastante, la gioia esplode incontenibile, la sorpresa è stupefacente, la fiducia incondizionata, la rabbia è cieca, la paura è paralizzante, è profondo il disgusto, l’attesa sembra infinita. Nessuno sa come, ma non ci sono passaggi intermedi. Di colpo, come risvegliandosi da un’anestesia spugnosa, si passa ad altro. All’emozione successiva. Inoltre su Marte non c’è la

meteorologia. Sarebbe inutile. Questo è l’aspetto che manda in tilt i terrestri che si recano sul pianeta. Si spiazzano le aspettative, le previsioni, le consapevolezze, i programmi. Non esiste la stagione dei fiori, o il periodo delle vacanze. Non si prenotano gli spettacoli a teatro. Non si viene assunti, né si va in pensione. Non si guarda il cielo per capire cosa accadrà. Non esistono i tarocchi e le sibille. Mangiano se hanno fame, dormono se hanno sonno. Non c’è il fine mese, le bollette sono inesistenti. I marziani si lasciano accadere, se così si può dire. Tutto è per caso. Difficile da sopportare per un terrestre. A volte si va, altre volte si resta, capita di essere, succede di avere. La certezza – infine – è una sola, sempre la solita. 3 - Erminio Durante Erminio Durante nasce il ventisettesimo secondo del trentunesimo minuto della dodicesima ora, del quarantanovesimo giorno del millenovecentosettantatreesimo anno dopo la stella cometa. Proprio lì. Mica prima e nemmeno dopo. Lì. Nulla di nuovo in questo. Si noti, en passant, che era atteso e subito dopo è stato il benvenuto, godendo così di respirare atmosfere serene per buona parte della sua vita. Qui, invece, la novità è presente. Erminio Durante fa le cose quando è ora di farle e tutti si accorgono che le cose accadono solo quando lui le fa. Se non le fa, tutti sentono che certe cose andrebbero fatte. Le cose assenti sono terribilmente mancanti, prima o poi. Erminio Durante non sbaglia mai una parola e nemmeno un accento. Non sbaglia mai un calcolo e traccia segmenti di linea retta che non vanno avanti all'infinito, però vanno avanti finché occorre. Come faccia a cogliere l'attimo giusto prima che diventi fuggente è una questione che resterà sempre irrisolta. Ma proprio questa è la sua patente. Erminio Durante faceva l'attendente e questo era il suo lavoro permanente. «Un giusto lavoro», diceva - rimante - la gente. Erminio Durante se ne va in un impalpabile istante prima che il giorno si trasformi nel giorno successivo e nessuno, nemmeno i gatti e la luna, si accorgono se è accaduto qualcosa o niente. 4 – Il presente è come Un imbuto dove l’acqua non scende; gira intorno come la lancetta dei secondi. Una foto smarrita. Forse intenzionalmente La lista della spesa. Il calzino spaiato, ecco dov’era finito. C’è l’anello di nozze della nonna, ma non si vede.


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atto primo

È lì, è certo lì, fin dall’ultimo trasloco …solo che non lo si trova! Un equinozio noioso, sempre uguale. Il legno di quercia, l’ombra della quercia, Dei fiammiferi intonsi. Una carta d’identità senza la carta. La plastica. L’amore (è d’obbligo citarlo, tanti ancora ci credono) Una scarpa comoda. La serendipità. La nuvola nel vento. Ctrl+Alt+Canc 5 – Senso di colpa Ti ricordo che cosa hai fatto e non dovevi. Non avresti dovuto. Se sei stato bene devi pagare. Se sei stato male arrangiati. Non avresti proprio dovuto. Adesso staresti meglio. Hai goduto? Come vedi non è durato. Ora, soffri. Te lo meriti. Non si dovrebbe ambire a ciò che non ci si può permettere. Con quale diritto vorresti estendere lo spazio e il tempo concessi? Sarebbe comodo. Eh già. E poi? Solo io permango. È il mio compito. Resisto, io. So dove sono, cosa devo fare. Sono il parametro imparziale. Per questo mi definiscono crudele. La debolezza, la caduta, la miseria. Io sono il riscatto. Ho un prezzo, lo riconosco. D’altronde, si può sempre tentare di non pagare. Non per questo io rinuncio. So aspettare. Ho colpito il mio stesso artefice. S’è accorto tardi che non poteva tornare e distruggermi. Credi dunque di spaventarmi? Tu? I miei sgherri sono terribili e ingestibili. Lacrime vere. Io sono solo il primo avvertimento. Puoi non aprire, non farti trovare in casa, essere troppo impegnato. Vai, vai, mica ho fretta. Mi metto in attesa. Ti ho visto abbaiare inseguendo bagliori e lodi. Non farmi ridere. Non hai diritto all’emancipazione. Io sono. Tu transiti. 6 - Quello che credevo non avrei mai fatto. E sto facendo Smettere di fumare. Guardare la trilogia di Batman. Lavorare per i preti. Usare le Nike. Restare senza automobile. Accettare che esistono i razzisti. Dubitare di essere uno di loro. Immaginarmi sposato (ma non ho ancora TUTTO quel coraggio!) Approvare l’uccisione dell’orsa. Fingere di pregare. Regalare fiori a mia madre. Vivere con le parole che scrivo. Apprezzare un logorroico. Volergli bene.

Scegliere sei numeri a solo un Euro. Inutilmente. Cercare il sole per i panni stesi. Leggere sedici volumi di una storia universale. E dimenticarli subito. Riparare una lavastoviglie. Ora funziona. Dovrei sapere perché. Spaventare il gatto randagio. Perdere tempo con le previsioni del tempo. Rifare il letto prima di uscire. Distruggere illusioni, conservare le speranze. 7 -‘nte È possibile produrre il niente? Lo fece quella cocciuta regina, inchiodata a Itaca, che il giorno “si, si” diceva – e la notte, la notte un accidente. E tutti aspettavano la fine poiché l’impegno era lampante. “La tela non è mica evanescente!” Solo al cane quella gente pareva irrilevante. Aspettava che tornasse il navigante. E la masnada malmostosa lo lasciava indifferente. Ma il pensiero dei cani – si sa – è spesso incoerente. Talvolta corre, oppure rimane silente Occorre un cervello pulsante e un cuore intelligente Per capire che solo il cane ha la risposta presente 8 – Punti di vista Il presente è il vento. A starci fuori, le cose passano e vanno. Tu resti. A starci dentro tu resti. Le cose passano e vanno.

(Copyright - tutti i diritti riservati all’autore)

Andrea Bergese Baby boomer. Quasi generazione X. Studi approfonditi e ininfluenti: per circa vent’anni. Lavori vari. Troppi e troppo diversi tra loro per cercarvi un senso. Qualcuno in nero. Il cuore occupato, nessun gatto al davanzale. Lingue europee, un paio, in modo discreto. Boy scout, un pizzico. Acido e dissacrante, ma con generosità. Libertario pentito, razionalista traballante. Cinemaviaggileggeresportascoltaremusica è la solita solfa Patente B


atto secondo 21 giugno - 28 giugno Nell’ambito del Festival internazionale del Teatro di Figura presso il Teatro del Lavoro di Pinerolo


Tr a f i l i b l u … Martha Nieuwenhuijs

Tra fili blu… la musica dell’anima. Michelangelo scolpiva levando di Martha Niewenhuijs si potrebbe dire che dipinge spostando, ed è sottinteso il colore; come se le sue immagini fluenti fossero estratte, magicamente, da un magma cromatico primordiale, in un’alba della pittura sempre viva, eterna. So che non è vero, tecnicamente parlando, ma è verosimile e poi poco importa, in fondo, perché il suo mondo è sicuramente cromaticamente splendente e, se sono rintracciabili, le sue origini (posso immaginare abbiamo amato certe cose di August Macke, di Franz Marc, di Alexej von Jawlensky e sia stata colta dal piacere della perdita gravitazionale di Marc Chagall) è indubbio che il suo linguaggio sia maturo e autonomo. Le sue figure sono raffigurazioni di un’umanità animata dal soffio vitale (ànemos in greco è traducibile non a caso con la parola “soffio” o vento), figure che aleggiano indistintamente tra animalità diverse: umane e no. La sua pittura è cromaticamente sonora, musica da camera direbbero gli esperti del settore, anche se talvolta sfocia in punte di orchestralità dirompenti. La sua musica-visiva è certamente armonica con echi del passato e sonorità modernissime ma mai contemporanee… non me ne voglia Martha, non si tratta di un dato dispregiativo ma l’esatto contrario: tanto per intenderci nulla che abbia a che fare con le atmosfere dodecafoniche o rumoriste, Igor Stravinsky piuttosto che Arnold Schönberg. Martha con la sua pittura riscatta l’uomo dalle aride terre in cui si è cacciato nel nostro tempo, lo ri-umanizza perché lo libera dalle ingessature di un presente che idealizza la materia materializzando le idee; non si preoccupa di essere vero-somigliante perché aspira a molto di più, alla verità, non ricerca corrispondenze cromatiche con la realtà perché guardandola dentro, ritrova gli accordi cromatici che la fanno risuonare e per la proprietà transitiva siamo noi a risuonare concedendoci alla poesia dell’anima che la sua pittura riesce a farci ri-trovare. Marco Filippa

Quando si ci si trova di fronte alle figure di Martha, dipinte pescando in un inconscio giocoso per ribellione, capiamo, noi marionettisti, come dare colore alle nostre marionette, ma non nella banalità di una tinta superficiale o di una linea forse superflua, perché stupidamente definita e così prigioniera, ma nell’essenza di un colore denso e coraggioso che, scommettendo sulla drammaturgia dell’equilibrio dei corpi, crei un contesto immaginifico in cui esse, come metafore di una vita vissuta, possano immergersi sicure con movimenti emozionanti, dichiaratamente libere e strabiliabilmente umane. Damiano Privitera Direttore Artistico “Festival Interazionale Teatro di Figura”


I n t e r v i s t a a G I U S E P P E G A L E T TA di Marco Filippa (marco filippa) Benvenuto sul nostro catalogo/rivista Giuseppe. La rete è probabilmente l’esempio più eclatante di quello che Zygmunt Bauman definisce società liquida, dove tutto si sgretola e le grandi narrazioni della modernità, penso al saggio fondamentale di Jean-François Lyotard, spariscono per lasciare il posto alla metanarratività. La rete è uno di quei nonluoghi di cui parla Marc Augè e noi ci siamo conosciuti in questo modo e voglio quindi pensare che, capovolgendo la massima di Macchiavelli, i mezzi giustificano il fine e gli esiti possono essere splendidi. A proposito di rete vuoi raccontarci il tuo progetto web di piattaforma internazionale sull’arte contemporanea? (giuseppe galetta) Grazie Marco! Come già sai, mi occupo a livello accademico di psicologia dell'arte e della creatività e, attraverso una ricerca sulla Contemporary Art Community durata tre anni, ho cercato di comprendere in che modo le nuove tecnologie potessero diventare uno strumento utile per i professionisti dell'arte contemporanea, in particolar modo i giovani artisti emergenti. Molto spesso, infatti, l'attuale “sistema dell'arte” chiude ingiustamente le proprie porte ad artisti davvero talentuosi, solo perché non riescono ad accedere alle “giuste” conoscenze che gli permetterebbero di entrare “nel giro”. L'industria culturale, con i suoi sottili giochi di potere e i suoi interessi, è in grado di creare dal nulla veri e propri fenomeni di mercato, ruotando attorno a pochi professionisti capaci di decidere il destino e la fama di un artista, indipendentemente dal suo reale talento. Mi sono allora chiesto in che modo riuscire a sfruttare le potenzialità “democratizzanti” della rete e dei social media, allo scopo di creare un sistema di relazioni professionali “imparziale” ed “orizzontale”, che permetta agli artisti di ottenere la giusta visibilità sulla base del proprio reale talento, fornendo al tempo stesso tutti gli strumenti operativi in grado di gestire autonomamente la propria carriera a livello globale. Mi è quindi venuta in mente l'immagine del pannello di controllo di un aereo, dove il pilota (l'artista) ha a disposizione tutti i comandi in grado di far decollare un pesante velivolo (la propria carriera), facendolo volare per migliaia di chilometri, e permettendogli di arrivare a destinazione in piena sicurezza. Da questa immagine io e il mio team

stiamo sviluppando WhazART, la prima piattaforma internazionale di arte contemporanea basata su tecnologia web 3.0. Secondo i nostri progetti, WhazART sarà un ambiente di lavoro integrato, multisocial e multiutility, dove l'artista avrà a disposizione tutti gli strumenti in grado di “connetterlo” alla comunità globale dell'arte contemporanea, ed attraverso i quali potrà gestire in piena autonomia le proprie relazioni professionali da un'unica piattaforma. La tecnologia web 3.0 (il cosiddetto web semantico) permetterà di amplificare gli effetti reali di interazioni virtuali tra identità digitali.

(marco filippa) Molto interessante tutto questo e assolutamente condivisibile. State facendo un lavoro eccellente e mi auguro riesca a incidere profondamente e a scardinare il gioco lobbystico che poco ha a che fare col valore dell’arte. Credo, ma questo esula in modo diretto da questo discorso, che stiamo attraversando un tempo “malato” e solo un nuovo umanesimo potrà restituire valore alle relazioni umane e quindi anche alle cose che gli uomini creano. Se non ricordo male, mi hai parlato di una ricerca sulla precognizione estetica… posso intuire alcune cose, però mi piacerebbe ti addentrassi nel discorso. (giuseppe galetta) La mia ricerca sulla “precognizione estetica” nasce per caso. Occupandomi di psicologia dell'arte e della creatività, da qualche


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atto secondo

tempo stavo analizzando l'influenza delle nuove tecnologie digitali sui processi di fruizione estetica da parte del pubblico. Utilizzando Facebook per lavoro e postando frequentemente immagini di opere d'arte, mi sono accorto che miei amici, attraverso il sistema di “like” e “share” tipico di questa piattaforma, esprimevano sempre le stesse preferenze nei confronti di opere dotate di ben precisi elementi compositivi. Attraverso un lavoro basato sull'analisi metrica delle interazioni degli utenti con i contenuti postati sul social network, sono giunto all'elaborazione di una teoria della cognizione estetica secondo la quale, nel processo di fruizione di un'opera d'arte, le preferenze estetiche del pubblico sarebbero influenzate dalla presenza di ben precisi “marcatori estetici” presenti all'interno delle opere, in grado di attivare i meccanismi cerebrali connessi all'insorgenza del piacere estetico nell'osservatore, condizionando in tal modo il giudizio estetico del soggetto percipiente nei confronti delle opere stesse. Attraverso la mia ricerca, condotta attraverso l'utilizzo di un protocollo sperimentale innovativo, lontano dai metodi di ricerca standard, sono riuscito ad isolare gli elementi compositivi in grado di stimolare il piacere estetico dell'osservatore, giungendo alla conclusione che il giudizio estetico su un'opera d'arte potrebbe non essere del tutto soggettivo ed individuale, ma condizionato dalla presenza di tali elementi compositivi (che io ho definito “sensibili”) all'interno delle opere. Infatti, attraverso la ricerca, è stato possibile rilevare che i picchi più elevati di preferenza nei confronti delle immagini di opere d'arte si verificavano proprio quando tali elementi erano presenti, riuscendo a prevedere con una certa precisione se un'opera d'arte sarebbe piaciuta o meno agli utenti prima che la relativa immagine fosse postata. Sono giunto quindi alla conclusione che è possibile prevedere - ed addirittura influenzare in anticipo - il giudizio estetico del pubblico. Pensa se la “precognizione estetica” venisse strategicamente utilizzata da un artista per condizionare il giudizio del pubblico: il risultato potrebbe essere uno stravolgimento dei criteri di attribuzione di valore alle opere d'arte, con il risultato di mettere in discussione le “valutazioni” di critici e galleristi, sempre più legate alle logiche del mercato dell'arte. Insomma: più potere all'operato dell'artista ed al giudizio del pubblico, e minori condizionamenti da parte del sistema. (marco filippa) Tutto questo è molto interessante e per certi versi inquietante. Inutile chiederti quali sono questi

“marcatori estetici” perché non credo tu intenda al momento rivelarli. Quello che mi interessa sapere è se si tratta sempre e solo di opere d’arte contemporanea o anche di altri periodi. Questa libertà che prefiguri creerebbe un nuovo tipo di artista però, mi sorge il dubbio, potrebbe trattarsi di un metodo, passami il termine, subliminale. Francamente l’argomento mi interessa moltissimo e proprio per questo pone anche molti interrogativi. Liberarsi del “sistema dell’arte” e quindi di un sistema valoriale spesso discutibile è sicuramente importante ma…

(giuseppe galetta) La “precognizione estetica” è certamente una possibilità offerta all'artista per affermare meglio il proprio lavoro, ma non ha nulla di eticamente sbagliato. Infatti la risposta a determinati stimoli estetici si basa sulla normale struttura neurofisiologica del cervello umano, che nel corso dell'evoluzione è diventato sensibile a determinate forme, colori o configurazioni spaziali in grado di attivare l'insorgenza del piacere estetico nell'osservatore. Parte di tale sensibilità si è sviluppata in seguito all'esposizione ripetuta e prolungata ad immagini di opere d'arte che, stratificandosi nel tempo, sono diventate in qualche modo prototipiche dell'ideale di bellezza. Non si tratta quindi di manipolare il giudizio pubblico, aggirando le sue capacità di valutazione cosciente attraverso tecniche in grado di agire in maniera subliminale, ma di realizzare opere d'arte in grado non soltanto di esprimere la personalità, il vissuto e l'inconscio dell'artista, ma di incontrare i gusti del pubblico, il quale è già naturalmente “programmato” alla percezione del bello. I “marcatori estetici” ai quali accennato non sono affatto segreti: ho già presentato i risultati della mia ricerca nel corso di alcuni convegni internazionali e in una pubblicazione in lingua inglese per una rivista americana di psicologia,


atto secondo ma sto già lavorando alla versione italiana, che presto sarà pubblicata. Essendo parte integrante del sistema percettivo, tali marcatori “sensibili” possono essere applicati alla valutazione di opere d'arte di qualsiasi periodo storico, anche se, come già detto, la sensibilità estetica dell'uomo si è andata progressivamente modificando ed affinando nel corso dei secoli, grazie ai processi di acculturazione e all'avvento dei mezzi di comunicazione di massa, che hanno aumentato l'esposizione alle immagini d'arte su scala globale, favorendo lo sviluppo di nuove sensibilità estetiche. Il “sistema valoriale” cui tu accennavi, che è alla base dell'attuale mercato dell'arte, è una sovrastruttura indipendente dai processi di percezione estetica del pubblico, che sono legati a processi psicobiologici propri della neurofisiologia umana: il “sistema dell'arte” si è andato progressivamente affermando in seguito alla nascita dell'industria culturale e del mercato dell'arte ai primi dell'Ottocento. Del resto, con l'arte contemporanea si è parlato di “morte dell'arte” e la “perdita dell'aura” dell'opera d'arte, determinata dall'avvento dei processi di riproducibilità tecnica propri dell'industria culturale, era già stata messa in luce negli anni '30 del secolo scorso da Walter Benjamin. Non è un problema di valutazione (opinabile, mutevole e soggetta alle leggi di mercato), ma di percezione estetica: sono due piani differenti. Ma un artista deve pur vivere della sua arte, per cui: the show must go on! (marco filippa) Grazie Giuseppe. Ho volutamente posto dei dubbi e tu li hai sfatati scientificamente. Ti propongo un’ultima riflessione proprio intorno al concetto di “morte dell’arte”. La “perdita dell’aura” e le inevitabili componenti del mercato dell’arte (galleristi, critici e collezionisti ecc.) pongono in essere nuove domande e la nostra “società dello spettacolo” tende a livellare i rapporti valoriali in ogni ambito. Non sono un marxista ma credo che l’analisi di Guy Debord offra ancora un sistema di riferimento, cosa ne pensi? (giuseppe galetta) L’analisi di Debord mi sembra utile per comprendere i rapporti di forza venutisi a creare tra le figure professionalmente coinvolte nei processi di produzione e diffusione dell’arte in età contemporanea, le quali non sono affatto poste sullo stesso piano. Con l’avvento della società di massa e la nascita dell’in dustria culturale si è imposto un modello di separazione tra la fase di produzione e quella di consumo culturale che ha privato l’artista del pieno controllo economico sul

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proprio operato, asservendolo ai meccanismi di mercato e alle logiche della “società dello spettacolo”, che spesso hanno poco a che vedere con il vero valore dell’arte. La spettacolarizzazione dell’arte e i suoi rituali hanno determinato la strumentalizzazione della figura dell’artista e la manipolazione simbolica del valore dell’opera d’arte a fini commerciali, cui l’artista, stretto dalle proprie necessità di sopravvivenza sociale, si è inevitabilmente piegato, legittimando suo malgrado un sistema di cui egli stesso è vittima e protagonista al tempo stesso: l’opera d’arte entra a far parte di un sistema simbolico e rituale basato su rapporti di mercificazione e subordinazione, in un continuo processo di détournement, come lo definisce Debord. Neanche io sono un marxista, ma condivido alcuni spunti dell’analisi di Debord, così come quella dei teorici della Scuola di Francoforte, come Adorno, Horkheimer e Marcuse. (marco filippa) Grazie Giuseppe per questa conversazione.

Giuseppe Galetta

Dottorando di Ricerca in Psicologia dell’Arte e della Creatività, è assistente universitario e cultore della materia presso le cattedre di Psicologia Generale, Psicologia delle Emozioni, Psicologia della Creatività e Psicologia dell’Arte e della Letteratura presso il Dipartimento di Scienze Umane, Sociali e della Salute dell’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale. Ha focalizzato la sua attività di ricerca sulla Psicologia delle Arti Visive, concentrando i suoi studi sull’analisi psicologica e psicanalitica dei nuovi linguaggi espressivi dell’Arte Contemporanea. Il suo percorso d’indagine comprende: le dinamiche psicologiche alla base della relazione artista-opera-pubblico; il rapporto tra estetica, psiche ed emozioni; l’analisi dei processi cognitivi nella creazione e fruizione dell’opera d’arte in differenti contesti culturali; le basi psicobiologiche della creatività artistica ed i nuovi orizzonti della neuroestetica; la psicosociologia dei processi culturali; il rapporto tra nuove tecnologie, processi di fruizione estetica ed affermazione di una nuova identità di artista. Laureatosi con lode in Lettere Moderne presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi “Federico II” di Napoli (con indirizzo in Arte Contemporanea), ha conseguito un Perfezionamento Universitario in Scienze Umane e Nuove Tecnologie con specializzazione in Comunicazione Digitale per le Arti e la Cultura ed un Master Universitario di II Livello in Service Management, con specializzazione in Economia e Management dell’Arte e della Cultura, presso la Facoltà di Economia della stessa università.


atto terzo 6 settembre - 30 novembre sede En Plein Air - arte contemporanea


PRESENTE:

U N PA S S AT O I M M E D I ATA M E N T E F U T U R O. di Marco Filippa Sei settembre 2014 alle ore 17.00, volendo prevedere un futuro abbastanza certo, inaugureremo il terzo atto di “Presente”, un’articolazione di “Alfabetomorso” nell’ambito del progetto “Maionese” giunto alla sua diciassettesima edizione, un anno particolare trattandosi dei vent’anni che compie l’En Plein Air. Mi piace pensare che, in fondo, il nostro procedere in questi anni sia diventato una matrioska e il “seme” (la parte più piccola indivisibile delle note bambole russe) è la storia della nostra associazione culturale, il suo cercare e affermare uno spazio nel mondo della ricerca artistica contemporanea ed è questa la vera “madre” (la bambolina più grande che le contiene tutte) di ogni cosa che abbiamo realizzato in questi decenni. Il terzo atto, che probabilmente potrebbe essere l’ultimo di quest’anno, è composito: si tratta di una mostra personale, dedicata a Luigina Turri (ospitata nell’ambito del Premio Internazionale “ORA”) che occupa il piano terra e di una collettiva che si articola a partire dalle scale per “abitare” il primo piano. Potrà sembrare sbagliato utilizzare il termine abitare per delle opere ma penso invece che l’arte, quando è tale, animi gli spazi perché intercetta le nostre emozioni ed è quindi viva… e lo è altrimenti Giotto, Michelangelo, Van Gogh non riuscirebbero tuttora a scuoterci e interrogarci anche sul presente. Con Luigina Turri abbiamo cercato di percorrere la sua storia artistica, selezionando una serie di opere che coprono un decennio (dal 2003 al 2014), assicurando in questo modo il racconto di una ricerca che non è ancora conosciuto in questo territorio. Veronese di nascita dove vive e lavora dopo un periodo vissuto a Modena. Il suo interesse per la pittura e il suo legittimarla oggi sono palpabili, verrebbe da dire letteralmente, per il coinvolgimento tattile che scaturisce dai suoi interventi. Anche senza toccare le opere siamo coinvolti dalle cromie stratificate e dall’impiego di materiali eterogenei che accarezzano la visione. I titoli confermano una passione per le cose della vita e sono sintomatiche non già di una malattia ma, al contrario, di una terapia che solo attraverso l’arte può cercare di salvarci dalla seducente materialità caduca. La sua materia pittorica a volte è scabra, dialogando con superfici pure e materiali sapientemente posti in relazione dialettica. Altre volte, come nei cicli dedicati a Ilaria la danzatrice oppure con i rimasugli consumistici prelevati da qualche rivista, come nella serie “riciclarts”, l’impianto compositivo si articola in un percorso visivo che ricerca equilibri inediti. Raggiunge esisti interessantissimi nell’ultima produzione, dove sembra voler scomparire

ogni riferimento reale per tuffarsi in una dimensione spirituale in cui sono i fatti energetici che contano, dove i dati emozionali, tradotti in pittura, toccano la nostra dimensione fluttuante di esseri alla ricerca continua di uno spazio vitale.

Luigina Turri Lasciamo la sala e proseguiamo il nostro giro nel terzo atto di Presente e andiamo ad incontrare le opere dei soci dell’associazione che condividono con noi quest’avventura. Antonella Casazza ci accoglie con la sua Sacerdotessa dei cuori ricuciti-la Maria bambina di oggi, un tripudio kitsch sacramente profano.

Antonella Casazza Caterina Bruno lascia aleggiare il suo acquerello per imbibire la visione nel piacere della pittura. Salendo le scale, la quindicesima lezione di scrittura di Margherita Levo Rosenberg, trascritta a biro su pellicola radiografica, ci racconta, con un linguaggio afono e crittografico, la tecnica dell’apprendere attraverso la mimesi. Gli fa eco la composizione cartoni animati di Ornella Rovera, quattro pannelli con una figura arcaicodigitale, che si snoda davanti al nostro sguardo rivelando la complessità dei punti di vista. Riprendiamo le scale per raggiungere il primo


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atto terzo pittura lievemente strutturata, in una neonata figurazione, continuamente sospesa tra disegno e colore. Ruotando ora il corpo di 90° le opere di François Nasica e Gian Carlo Giordano ci fanno sussultare di emozioni calde, impetuose, ruvide, dove l’umano si scarnifica e s’interroga sulla sua dimensione. In un registro simile, ma più enigmatico, le tavole di Rosa Ubeda ci riportano a un grado zero della pittura svelando codici atavici.

Caterina Bruno piano, l’opera di Tere Grindatto, nella grafia

composita e in un collage elegante, l’artista evoca la corporeità femminile riesumandola da una secolare interpretazione per porla nell’immediatezza del presente. Laura Govoni ci ripropone una delle sue panchine ma, questa volta, non è pronta ad accoglierci perché è colta nell’imminenza di sfasciarsi diventando quindi inservibile, perdendo la sua funzione. Nelle torsioni dei verdi e nelle ombre accavallate si svela un segno quasi antropomorfo e quindi un’allusione di speranza, testimoniata anche dai legni autentici lasciati a terra.

Margherita Levo Rosenberg Gli studi di scarpe ad acquarello, di Sabina Villa, sono ironiche interpretazioni di quest’oggetto femminile catapultato di volta in volta in un universo fluido in cui scorre la sua e la nostra immaginazione. Nadia Magnabosco ancora una volta ci sorprende con il suo delicato traslare nell’immaginario femminile; tra pizzi e pizzini è un cassetto, dove l’artista ha riunito memorie incrociate con profonde allusioni anche al nostro tempo. Entrando nel salone gli occhi sono attratti immediatamente dal foglio gigantesco col volto di donna reclinato, in dialogo contrapposto con l’autointervista dell’artista Chen Li. Rosanna Giani offre un saggio di una dolce pittura fantasiosa. Ruotiamo il corpo di 360° e le opere di Martha Niewenhuijs e Paolo Bovo ci rituffano nella pittura-pittura; con Martha che sembra prelevare le sue immagini fluenti, come fossero estratte magicamente da un magma cromatico primordiale, in un’alba della pittura sempre viva, eterna; con Paolo nel costante esercizio di una

Ornella Rovera Marco Lavagetto con la sua serie di tabule picte scava un confine tra la pittura e la vita, anche rinnovando e irrorando di nuova vitalità gli umori seriali pop. Due piccoli affreschi fotografici di Domenico Doglio esplorano mediante l’inquadratura scene contemporanee, restituendoci indizi di vita riflessivi. Usciamo dalla sala e, con un video, Lidia Bachis ricrea la sua antologia personale di Spoon River, fissando nella quotidianità di un cimitero con rumori urbani un proposito e un auspicio condivisibile riassunto nel titolo stesso: Ricordateci; e il circolo si chiude magicamente nella comunità dei vivi e dei morti.Di diversa angolazione e sentimento l’immagine fotografica trattata di Giovanna Ricca: la ragazza inquadrata non ci guarda ed è concentrata in un momento di assoluta iperrealtà. Roberta Aymar propone due tavole che sembrano prelevamenti microscopici neo-botanici. Tre elementi scultorei partecipano a Presente-atto terzo, di Carla Crosio, Rèdha Sbaihi e Tea Taramino. La prima ci propone un magma primordiale urtante e

Tere Grindatto


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inquietante fissato per essere osservato nei suoi effetti premonitori di un tragico futuro.

Chen Li

Laura Govoni Il secondo avvolge, stira, modula una gomma inscenando una torsione di assoluta eleganza. La terza, con la sua terra cruda, evoca una sfericità che è al contempo mondo e grembo, vuoto e pieno… Presente-atto terzo è anche la volontà di dare spazio a due giovani emergenti e al loro linguaggio ancora in via di definizione ma già fortemente contraddistinto. Claudia Petacca espone i suoi volti sfibrati, cancellati, vibranti di una fisicità tutta interna al segno, volti senza un’identità che scivolano velocemente nel nostro sguardo. Marco Abrate “Rebor” con i suoi infiniti appunti ci catapulta invece in una galleria enciclopedica a metà strada tra gli ex voto e le sue esperienze graffitiste. Siamo giunti al terzo atto di questo 2014, con la fatica, la volontà e la passione di cercare di portare avanti l’esperienza dell’En Plein Air e di riuscire a compiere 21 anni nel 2015, se sarà possibile.

Nadia Magnabosco

Sabina Villa Rosanna Giani


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atto terzo

Paolo Bovo

Franรงois Nasica

Martha Niewenhuijs

Marco Lavagetto


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Domenico Doglio

Gian Carlo Giordano

Rosa Ubeda

Giovanna Ricca

Lidia Bachis


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Carla Crosio

Tea Taramino

Marco Abrate “Rebor”

Rèdha Sbaihi

Claudia Petacca

Roberta Aymar


Q u a r t e t t o M AU R I C E di Aline e Giorgia Privitera

In occasione dell'inaugurazione di Presente Atto Terzo del 6 settembre 2014, Aline e Georgia Privitera hanno presentato due brani di musica contemporanea. Entrambi si possono definire "studi" in quanto i compositori hanno sperimentato ed inventato nuove tecniche per gli strumenti ad arco. Nella sala della mostra al piano terra hanno eseguito "Study for string instrument n 2" di Simon Steen-Andresen dove è chiaro il gioco sia visuale che uditivo tra il violoncello e il whammy pedal, distorsore generalmente usato come effetto dai chitarristi elettrici. Invece nella sala al primo piano è stato eseguito "Pression" di Helmut Lachenmann, compositore tedesco che in questo caso ha esplorato a 360° le capacità sonore del violoncello. "Study for string instrument n 2" è uno dei brani presentati da Aline e Gerogia alla biennale di Venezia del 2013 in occasione del loro concerto come musiciste del Quartetto Maurice. Il quartetto nasce a Pinerolo all'interno dell'istituto A. Corelli nel 2002 sotto l'ispirazione del Trio Debussye. Ha proseguito i suoi studi presso la scuola di musica di Fiesole dove ha conosciuto maestri di altissimo livello, come A. Bayerle, G. Kurtag, A. Farulli e A. Nannoni. Parallelamente ha seguito diverse lezioni presso il conservatorio di Parigi con il maestro C. Giovaninetti. Il gruppo ha manifestato sin dall'inizio del loro percorso l’esigenza di porre in primo piano la musica contemporanea, fino a farla diventare la loro l'essenza artistica. Oltre ad avere un vasto repertorio di brani classici contemporanei, alcuni compositori hanno dedicato proprio al Quartetto Maurice i loro nuovi lavori. Si sono esibiti in concerti in tutta Italia e all'estero, tra i quali: Biennale di Venezia 2013, per la stagione “music@villaromana" di Firenze 2012 e 2013,a Strasburgo (FR) per il festival "Minifest De Musique de Demain", a Macerata per la "Rassegna Nuova Musica", per il festival "Nuova Musica" di Treviso, presso il Teatro Dal Verme di Milano , al Teatro Quirino di Roma, al Teatro Bibiena di Mantova, al "Festival dei Due Mondi" di Spoleto, al Circolo della Stampa di Torino, nella rassegna "Compositori a Confronto" di Reggio Emilia, al museo Marini di Firenze, al Teatro Vittoria di Torino.


D i a l o g o c o n S u sanna S c h i mpern a di Marco Filippa (marco filippa) Susanna, sei instancabile. Scrivi, intervieni in televisione e nelle radio, pubblichi su face book pensieri che scatenano dibattiti e ragionamenti mai banali. Voglio riprendere un tuo ragionamento sull’evoluzione, sull’idea, di derivazione darwiniana, che le cose abbiano una direzione, evolutiva appunto. Una freccia, che parte da sinistra andando destra (come la nostra scrittura) e punta al miglioramento, ammettendo sempre e solo una trasformazione positiva. Poni un interessante interrogativo critico, vuoi svilupparlo? (susanna schimperna) A me sembra che siamo tutti vittime - e con tutti intendo proprio tutti, anche quelli che consapevolmente non la pensano così - di una concezione da una parte progressista e dall'altra ciclica. Questo perché non ce la facciamo a non credere che esista una freccia del tempo che proceda in modo irreversibile trascinando con sé cambiamenti che "per forza" ci distaccano dal passato, ma allo stesso tempo ci pare che studiare la storia ci insegni che tutto prima o poi si ripropone, che esistono delle fasi a cui sia impossibile sottrarsi. Ci sono naturalmente anche i primitivisti, come l'anarchico John Zerzan, che auspicano e praticano un'esistenza semplice, in cui non ci sia per esempio posto per le tecnologie. Però gli stessi primitivisti, se analizziamo bene la loro posizione, non prescindono dalle due doppie concezioni di progressismo obbligato e ciclicità. D'altra parte se non cercassimo spiegazioni e non avessimo pregiudizi non saremmo umani. Io posso criticare quanto voglio l'idea che lungo la strada che stiamo percorrendo non sarà possibile fermarci, ma dentro di me sento che sarà comunque così, e che se mai dovessimo invece fermarci, anche questo avverrà perché parte di un piano generale evoluzionistico. Non so se questa propensione a credere all'evoluzione si possa chiamare spirito religioso. Di fatto, abbiamo il rinforzo della scienza: le osservazioni astronomiche confermano che l'universo nasca da un big bang e poi si sia espanso. Il dubbio è solo se continuerà a espandersi o a un certo punto comincerà a contrarsi, in una sorta di rewind. Un'evoluzione inarrestabile comunque, uno sviluppo. Ecco la stranezza: gli scienziati trovano ormai impossibile, quando parlano del tempo, ragionare in termini di passatopresente-futuro, eppure parallelamente ci raccontano questa realtà cosmica in cui il passato, il presente e il futuro esistono ec-

come. La verità è che tutto questo è nella nostra mente, e sarebbe più saggio convincerci che una realtà oggettiva non esista, o comunque non sia conoscibile da noi. «Is the Moon there when nobody looks?» si domandava Einstein (la Luna è davvero lì quando nessuno la guarda?). Solo che riuscire ad accettare questo richiederebbe una mente... non umana. Sulla mia instancabilità: io faccio davvero pochissimo, ma dato che faccio cose di vario tipo e che sono anche piuttosto veloce, trasmetto questa impressione... che appunto è solo un'impressione, come quella che esista una freccia del tempo. (marco filippa) Le impressioni che lasciamo, per definizione potremmo dire, sono indipendenti da noi e quindi, è un po’ come dire, che gli effetti che tutte le teorie e i pensieri avranno sugli altri sfuggono a regole certe, per fortuna… se poi pensiamo agli effetti dell’inevitabilità dell’interpretazione, anche solo al livello più immediato del linguaggio verbale… beh verrebbe da affermare: come non ci capiamo mai. La ciclicità degli eventi finisce per assoggettarci all’ambiguo concetto bipolare: evolutivo/ involutivo; come se si trattasse di una sinusoide infinita, anche se forse lo è. Se penso alla storia dell’arte, ma vale per un’infinità di cose, assistiamo alla pretesa ordinatrice di immaginare tanti tasselli conseguenziali che, secondo molti storici, sarebbero riassumibili in due grandi famiglie concettuali: quella classica e quella romantica. Tutto regge fino a quando non arriva qualcuno (penso a Francis Bacon, per citare un nome) che non è ascrivibile necessariamente a una delle due “famiglie” ed è proprio come un figlio anomalo e indipendente e le soluzioni sono in qualche modo due: o lo osservi come anomalia, arrendendoti, oppure lo soffochi negandogli la vita. Mi sembra quello che accade quotidianamente in molte cose, cosa ne pensi? (susanna schimperna) Penso che sempre meno ci sia la possibilità che si osservi qualcosa o qualcuno come un'anomalia. Basta che siano soltanto percepiti come tali e l'operazione di soffocamento è immediata, eseguita attraverso l'emarginazione, l'isolamento, l'indifferenza. Non credo nemmeno che tutto questo avvenga dopo una riflessione e con un'azione volontaria. E' un automatismo. (marco filippa) Hai (purtroppo) ragione. Quello che un tempo, che fosse vero o meno, veniva definito “spirito critico” sembra sparito e si è portato dietro


atto terzo

un’onda lunga che ci rende incapaci di analizzare con lo scopo di comprendere. Mi interessa l’arte ma non riesco e non voglio svincolarla, in alcun modo, dai processi di conoscenza e dai valori emozionali della vita e anche per questa ragione ospitiamo, in questo catalogo/rivista, tematiche apparentemente lontane. Collabori con il quotidiano “Il Garantista” diretto da Piero Sansonetti e mi sembra che si tratti di un progetto/ manifesto di cui abbiamo enormemente bisogno in questo momento. Vuoi parlarne? (susanna schimperna) Nel mio ultimo libro Cattivi Pensieri - appunti e metodi per lo studio della felicità, scritto prima che nascesse "il Garantista", dico: «lo sguardo anarchico sul mondo è tanto sofisticato quanto ruvido, iperrealista, fuori da ogni ideologia, e quindi per accettare perlomeno di confrontarsi con la sua radicalità non basta una mente aperta, ci vuole un cuore coraggioso». Ecco: mente aperta e cuore coraggioso, che è un diverso modo di dire che processi di conoscenza e valori emozionali, come tu li chiami, non possono essere separati. Dobbiamo smettere di credere al dualismo ragione/sentimento, che è un abuso non della ragione, ma dell'irragionevolezza. Nell'essere garantisti, per esempio (e qui mi riferisco al giornale), entrano ovviamente in gioco anche l'emotività, l'empatia, la comprensione, la pietà. Mettersi nei panni dell'altro: che cos'altro potrebbe aiutarci di più a capire? Non possiamo cercare le risposte soltanto nei libri. (marco filippa) Dopo la prima intervista capii che la parola più adatta per definire questo nostro “parlare” era dialogo perché penso si tratti proprio di questo. Anche in questo caso, o forse più ancora in questo, le premesse che sento necessarie per proporti una riflessione (perché non si tratta veramente di domande) occupano molto spazio. Penso però che possa solo aiutarci a entrare, in qualche modo, in una dimensione che si pre-occupa, soltanto e soprattutto, di cercare una prospettiva di crescita umana e questo può avvenire, potenzialmente, se riusciamo ad ascoltarci senza avere la frenesia del giudicare e, il cuore coraggioso come lo definisci amabilmente tu, apre nuove frontiere da superare per non sconfinare nell’irragionevolezza. Zygmunt Bauman, analizza il nostro tempo associandolo al concetto di liquidità, contrapposto alla solidità della prospettiva moderna. Alejandro Jodorowsky propone azioni psicomagiche per curare le nostre ferite. Specchiarsi negli altri, non sempre è piacevole ma ci

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consente di misurare il nostro stato delle cose. Continuo, per certi versi ostinatamente, a credere nel dialogo come via per cercare di crescere e capire, perché gli altri sono comunque il migliore specchio disponibile. I libri, come i dipinti, le fotografie, la musica, ecc. sono veicoli a volte importanti, ma se non nascono da una reale necessità umana rischiano di diventare solo superficie senza sostanza. Sai che sono un democratico liberale ma anche un libertario e un qualche apparentamento storico-culturale con lo sguardo anarchico mi sembra ci sia. Le democrazie sono sempre più apparenti e quello che ne consegue è sotto gli occhi di tutti e la strage dei diritti, come direbbe Pannella, finisce per diventare strage di popoli. In questi giorni da Hong Kong ci arrivano notizie incoraggianti soprattutto osservando che il leader/non leader di questo movimento che essenzialmente chiede libertà, ha diciassette anni. Detesto ogni giovanilismo a tutti i costi e contemporaneamente penso ai nostri modelli gerontocratici mafioso/clientelari che hanno letteralmente rubato il futuro ai giovani… tanti spunti per una tua riflessione, come sempre aperta. (susanna schimperna) Parliamo subito di questa espressione così comune, ormai: "strage di diritti". Non che non sia corretta, anche se ovviamente le stragi in democrazia avvengono in modo meno sanguinolento che nei regimi in cui per mettere a tacere i dissidenti si spara (e nelle rivoluzioni in cui si ghigliottina e si tortura: a quando, a proposito, una seria riflessione sugli orrori, sui sadismi, sui massacri di vecchi, bambini e malati nella tanto osannata Rivoluzione francese?). Ma il fatto che ci troviamo a parlare di "diritti" al plurale, come se ce ne fossero tanti, magistralmente e necessariamente catalogati o catalogabili, a me suona talmente stonato, e dovrebbe, davvero, generare qualche domanda. I diritti sono al plurale perché abbiamo costruito una società finta, che ha perso e sempre di più sta perdendo la nozione elementare e istintiva del diritto alla vita, da cui consegue tutto il resto: libertà, salute, conoscenza. I ragazzi sì, ancora conservano quei nuclei di resistenza che fanno urlare il bambino che genitori folli comprimono con un abbigliamento che sembra una camicia di forza, limitano nei movimenti, nutrono con schifezze, portano in luoghi malsani, puzzolenti, rumorosissimi e orribili. A diciassette anni, secondo le ultime scoperte scientifiche, quel leader che nomini non è eccessivamente giova-


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ne: ha un anno di troppo, anzi, se vogliamo considerare solo il suo sviluppo intellettivo, che raggiungerebbe il picco a sedici anni. Tornando invece a quello che dici su cuore coraggioso e irragionevolezza, è difficile, difficilissimo, eppure è l'unica via possibile, riuscire a conciliare cuore e ragione, sentimento e logica. Quando avremo imparato a farlo, ci accorgeremo che in realtà non c'era alcuna opposizione, che i sentimenti quando non sono malati (e sono malati spesso per colpa di una razionalità malata) seguono una logica, e che la logica è tale solo quando obbedisce a sentimenti non malati (e quindi è logica di vita, non di morte, e alla vita tende quando si applica alla risoluzione dei problemi). Una riflessione tristissima: nel tenere lontani i giovani dalle decisioni non c'è solo la preoccupazione degli adulti per il proprio potere, piccolo o grande che sia, ma l'idea - che può essere inconsapevole, ma purtroppo è sempre giusta - che più anni passeranno e più i giovani si omologheranno, appiattiranno, spegneranno. Già la scuola, in questo senso, fa un bel lavoro, e quando dico "bel" sono ovviamente ironica. (marco filippa) Ci lavoro nella scuola è condivido assolutamente il tuo giudizio. Da questo punto di vista è la struttura omologante per eccellenza. Tenta di produrre quello che vorrebbe, e dico tenta perché è un luogo della confusione per eccellenza e non uso impropriamente il termine produrre perché la scuola assoggetta il termine educazione a quello di omologazione. Continuo a voler pensare che un luogo sociale sia un luogo in cui le persone possono interagire con la loro libertà e quindi l’esatto contrario di una qualche forma di ordine precostituito. L’invenzione dei diritti nasce infatti negli ambiti rivoluzionari, con tutte le nefandezze indiscutibili a cui accenni. La malattia diffusa nei nostri mondi è palpabile e riconoscibile, o almeno così a me sembra, nella cronaca quotidiana, nell’improvviso esplodere di tendenze criminali nella gente cosiddetta normale. Continuo a pensare che la creatività sia, come sostenne lo psicologo americano J.P.Guilford, un pensiero divergente. Quello che però penso è che la creatività non sia affatto relegabile soltanto a certi ambiti ma possa invece essere un modo di vivere e quindi di guardare alle cose e potremmo tranquillamente capovolgere il principio: guardando le cose si sviluppa un modo di vivere. Siamo in una specie di vicolo cieco ma, forse, questa è propria un’occasione formidabile per trovare soluzioni nuove, quelle vecchie non

sono soluzioni altrimenti non saremmo finiti dove siamo finiti. Servono pensieri e quindi azioni, in un incessante conseguenzialità reciproca, per rinascere. (susanna schimperna) D'accordo sull'analisi e anche sull'idea che mai come in questo momento, proprio mai nella storia, abbiamo avuto occasioni così incredibili di trovare soluzioni nuove. Però evidentemente la legge di compensazione funziona sempre, nel paleolitico e nell'era di internet, quindi quegli stimoli al creare, direi anche quelle condizioni, che in passato c'erano, ora sono venute completamente a mancare. Per esempio, manca il tempo. E' completamente segmentato, è il nostro incubo, scandisce tutta la serie di doveri-piaceri quotidiani, scandisce i nostri programmi su base settimanale, mensile, semestrale. Appuntamenti precisi, pause pranzo al minuto, si incastra la palestra, ci si fa il conto di quanto tempo al mattino si possa dedicare alla doccia. Non esiste più nulla che sia flusso, niente ci permette una sospensione da questi ritmi innaturali. Ma lo sai che fino a pochi secoli fa, pochi avevano la nozione del tempo, del secolo in cui stavano vivendo? Inutile fare il discorso delle fabbriche, dell'industrializzazione che ha sconvolto le nostre esistenze meccanizzando anche l'essere umano, perché sappiamo tutti come sia andata ma sappiamo anche che c'è ben altro: non solo l'operaio è vittima del minutaggio, lo siamo tutti, a tutte le età. Persino se ci prendiamo una settimana di vacanza. In questa situazione, io penso che la creatività incontri ostacoli proprio strutturali. Il lampo di illuminazione che nasce da una vera osservazione delle cose, cioè un'osservazione frutto di curiosità, di caso, di ozio... il gusto di giocare con le ipotesi, di immaginare come potrebbe essere se... Ma ti sembra che tutto questo si possa facilmente fare, ridotti come siamo sotto il giogo della scansione del tempo? Per me questo è uno dei problemi maggiori, e tu inconsapevolmente lo adombri, quando parli di "incessante conseguenzialità reciproca": non esiste alcuna conseguenzialità, perché c'è, in ogni campo, spezzettamento, frammentazione. C'è nella nostra testa, c'è nella nostra giornata. Come potrebbe non esserci nei nostri pensieri e nelle nostre azioni? (marco filippa) Hai ragione Susanna. Pecco sempre di un’inguaribile ottimismo perché aspiro, come disciplina personale, a cercare visioni della realtà che ci


atto terzo aiutino a migliorare (è sottinteso che penso tu faccia esattamente la stessa cosa.) Continuerei a conversare all’infinito con te ma voglio provare a farti (forse) l’ultima domanda. Ho finito da poco di leggere il tuo splendido ultimo libro: Cattivi pensieri – appunti e metodi per lo studio della felicità che tra l’altro consiglio a tutti per l’immensa capacità, riprendo un tuo concetto espresso in una trasmissione televisiva, di addentrarsi con autentico metodo filosofico nelle cose della vita. Nel capitolo intitolato “Senza un Altrove del pensiero nessun futuro è possibile” citi il critico Bernard Berenson e poni un interrogativo sulla qualità delle opere (letterarie, pittoriche e musicali) contemporanee. Convengo con te questo è un tempo frammentato e tutto ne risente, non può essere altrimenti. Vuoi approfondire? (susanna schimperna) Tempo frammentato e pensiero unificato. Certo non sono la prima a ribellarmi al “pensiero unico”. Quante volte abbiamo sentito questa espressione? Da destra e da sinistra, da intellettuali e giornalisti. Tutti a scalmanarsi contro il pensiero unico, così come tutti a schernire la politically correctness. Ma prova a sostenere che i bianchi sono superiori ai neri, che l’omosessualità è una malattia oppure una benedizione, che le persone con imperfezioni fisiche sono segnate da Dio, che la tortura è necessaria. Idee orrende, vero? Eppure fino a poco tempo fa erano non solo in voga, ma erano di tutti, considerate veridiche, condivise dal colto e dall’ignorante. E allora, dato che io non credo affatto che di colpo queste idee si siano dissolte, voglio che si possano esprimere e liberamente dibattere, senza censure e senza rischio di denunce. Idee repellenti? Pericolose? Cito il mio libro: “Se così è, esiste un solo modo di stemperarne la virulenza: permettere loro di fuoriuscire, di trovare accoglienza. Non saranno così eluse con rabbioso disprezzo (o magari in forza della legge), ma criticate aspramente ricorrendo ad argomenti validi. Io sono nemica della norma che proibisce l’apologia del fascismo, tanto per essere chiari. E’ illiberale. Di più. E’ un’insensatezza, una resa. Soltanto nella libertà ci si educa alla libertà. Molto semplice, eppure impossibile da accettare”. Aggiungo che persone diversissime tra loro, come Buscaroli (fascista) o Zerzan (anarchico), hanno delle idee talmente forti, e una visione talmente “altra” della società, che possono essere censurati solo dall’imbecillità di un sistema, il nostro, di fronte a cui quello descritto da Huxley ne “Il Mondo

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Nuovo” impallidirebbe. Buscaroli dice cose tremende della resistenza, Zerzan inneggia a Unabomber. E dunque? Io voglio sapere, voglio ascoltare, voglio avere la possibilità di conoscere i loro punti di vista e rifiutarli. Sai perché in passato c’è stata tanta più arte, tanta più creatività? Perché magari non potevi criticare il dittatore, il re, il Papa, ma potevi concepire e far circolare le idee più bislacche. Lo sai che Michel Onfray per aver scritto un libro contro Freud e la psicoanalisi è stato minacciato, ha subito attacchi vergognosi, è un miracolo che non sia stato costretto a emigrare al Polo Nord? Erri de Luca, in Italia, denunciato per istigazione alla violenza per le sue idee sulla resistenza NoTav in Val di Susa… Oggi il mondo delle idee si è ristretto, giochiamo alla lana caprina con un minimalismo talmente ridicolo che si sprecano pagine e pagine sui giornali in polemiche su una mezza parola detta o non detta. Il problema è che ci stiamo autocensurando, tutti. Perché, credendo che ormai poco ci sia da fare a livello concreto, e troppo sia ormai acquisito a livello teorico, ci costringiamo a pensare entro schemi di cui nemmeno ci accorgiamo. Chiacchiere interminabili, ma su cosa? Da quanto non sentiamo e non facciamo discorsi che toccano il cuore e mettono in moto la mente, al di là dello stupido populismo che parla alla pancia e sollecita quanto di peggiore c’è in noi, l’invidia, il gusto dello scherno, la rabbia, l’odio? Io vedo un deserto. Ma non perché non ci siano talenti, ce ne sono e moltissimi. Però oggi i ragazzi devono lavorare nei call center, gli artisti fanno la fame se non sono bravi a finire in televisione per qualche trovata “scandalosa”. Meglio quando i ragazzi lavoravano a bottega, allora. Sfruttati, ma col cervello libero. Sfruttati, ma con le orecchie e gli occhi aperti ad imparare dai maestri. Ci lamentiamo tanto, oggi. E però ho paura che non ci lamentiamo delle vere storture, non le cogliamo, non vogliamo conoscerle. Se continueremo a impegnare tutte le nostre energie in una sterile lotta contro i politici (che da tempo non rappresentano più nulla e nessuno, e contano poco più di zero), non ce la faremo. La vita è davvero altrove. Anzi, Altrove. Non c’è più l’Altrove geografico, né quello del Pensiero? Ricreiamoli. Prima di tutto dentro di noi e tra noi, nei rapporti umani, in un diverso approccio alla realtà, in un diverso modo di pensare, di vivere, di amare. Abbiamo citato tanti personaggi illustri, fammi citare un songwriter tra i miei preferiti, Cat Stevens.


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atto terzo

In un suo stupendo brano a un certo punto fa: “And love is all, he said”. E l’amore è tutto, egli disse. Amore romantico, amore per la vita, amore per qualcosa. Si costruisce e si vive, si lotta e ci si riposa, si può sperare in un sonno sereno e in un risveglio allegro solo nell’amore, per amore. Il resto è robaccia. Lasciamo che i cattivi pensieri ci tengano vivi, all’erta, curiosi, dubbiosi, mai sazi. Ma i cattivi sentimenti, quelli buttiamoli via. Ci rendono meschini, ci imbruttiscono. E ci fanno anche perdere un sacco di tempo. (marco filippa) Giuro mi sono venute le lacrime leggendo gli ultimi cattivi pensieri che hai scritto. Sono un colabrodo da questo punto di vista ma, ed è una cosa che penso da molto tempo e che chiamo la forza della debolezza, un ossimoro e puoi rovesciarlo ma è quella cosa che mi fa sentire vivo e vero. Forse si tratta di un’illusione (di chiamarla illusione1) ma è proprio quello che dici, non possiamo porre barriere alle barriere ma solo aprire porte, sempre perché soltanto così possiamo esplorare nuovi Altrove. ______________________ 1_Claudio Rocchi, La realtà non esiste, 1971)

Susanna Schimperna Scrittrice, conduttrice televisiva e radiofonica. E’ nata e vive a Roma.


I n t e r v i s t a a Fa u s t o S a n m a r t i n o di Marco Filippa (marco filippa) Sei volato a Londra lasciando l’Italia, sono quasi due anni. Vogliamo partire dall’oggi per un viaggio indietro nel tempo; a volte andare indietro significa portarsi avanti. A te la parola. (fausto sanmartino) Credo che talvolta sia necessario ripercorrere i propri passi, voltarsi indietro per poi muoversi con maggior consapevolezza in una nuova direzione. Ogni qual volta che prendo un appunto,creo uno schizzo o un progetto per un nuovo lavoro e ritorno dopo qualche tempo a guardarli, ecco l'instaurarsi di un nuovo dialogo; capace di aprire un varco a nuove riflessioni. Ecco allora che ogni cosa fatta non e' fine a se stessa e non muore li, bensì e' di stimolo e crea nuove realtà.

(marco filippa) Mi sembra proprio che l’opera viva in relazione allo spazio in cui viene esposta e, se penso alle cose che dici, sono portato a pensare che tutto cio’ abbia a che fare profondamente con l’esistenza. Parafrasando un testo del Consorzio Suonatori Indipendenti potrei dire: Ciò che deve accadere accade. E come se tu cercassi questo accadimento, lo accompagnassi per farlo diventare un’esperienza per chi vede, e non solo vede. Insisto su questo fronte perché mi piacerebbe approfondire. Sono una di quelle persone che pensa, comunque, che non necessariamente un’artista sia consapevole di tutto ciò che fa perché il suo lavoro è il fare stesso altrimenti che ne so, sarebbe un filosofo, uno scrittore… penso al ciclo Reflection II e non solo.

Suspended time (marco filippa) Caspita, quante cose metti sul tappeto. Quello che si intuisce è che il tuo lavoro arriva da una serie di processi creativi che accettano l’accadimento, forse potremmo dire, come trasformazione. Se accetti la sintesi, il risultato finale che proponi è contraddistinto, mi sembra, dalla ricerca sulla precarietà visiva fissata in un istante che però dura. (fausto sanmartino) L'immagine finale che presento e' il risultato di un processo che non si ripete e che spesso e' ignoto anche a me. Ecco allora che l'accadimento e' in parte accettato come del resto "l'errore/imperfezione" in quanto capaci di spostare l'attenzione ed il proprio punto di vista. Tutto viene messo in discussione e forse trasformato in un immagine caratterizzata da un senso di sospensione tra il reale e l'astratto, tra l'opera e lo spazio che la ospita.

Suspended (fausto sanmartino) Cio' che faccio e' vivere un esperienza che e' inizialmente individuale ma che poi diviene condivisibile per chi vede. Tutto cio' e' una necessita'. Reflection II; questo e' stato il titolo del mio secondo open studio qui a Londra e voleva essere in qualche modo il proseguimento di quello precedente. I lavori in entrambi i casi si sono evoluti in un tempo ristretto, con la particolarità' che alcuni di essi installati all'interno dello spazio sono divenuti a loro volta strutture che hanno dato il via a nuove installazioni, una sorta di reazione a catena. La precarietà degli elementi installati attraverso la giustapposizioni ed il loro bilanciamento scandiscono lo spazio dello studio. Al suo interno la luce, il tempo ed il silenzio riaffiorano come di riflesso. Il tutto avviene in automatico e a volte mi sorprende.


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atto terzo

(marco filippa) Tutto cio’ mi sembra proprio che abbia a che fare, profondamente, con la vita. Anche il titolo che hai scelto mi sembra rientri in questa logica ed inoltre incarna una molteplicità di interpretazioni, materiali e immateriali, molto interessanti. Concordi, dissenti? (fausto sanmartino) Mi piace questo tuo "profondamente", cio che segue e' per me il tempo che culla l'ignoto. Ognuno interpreta cio' che vede e sente a seconda della propria sensibilità ', di quanto tempo intende soffermarsi difronte ad una nuova immagine e di quanto questa sia capace di parlare. (marco filippa) Grazie Fausto.

When inside is still dark night

Fausto Sanmartino Born in Pinerolo,Turin - Italy, 1982 Currently lives and works in London Formation


21 novembre - 30 novembre presso Museo Storico dell’Arma di Cavalleria di Pinerolo


S W E E T di Marco Filippa Quando alla fine del 2013, progettato all’insegna del Futuro, iniziammo a pensare al nuovo anno, con una certa dose di spregiudicatezza e una saggia indifferenza nei confronti della scansione temporale cui siamo abituati, decidemmo di dedicarci al Presente anzi agli infiniti presenti. Quell’idea, incarnava proprio uno sguardo aperto in cui la concezione temporale assumeva la dimensione di fine del tempo elaborata da Julian Barbour1. Intorno a quell’idea realizzammo un primo progetto cui ne seguirono altri tre di cui questo è l’ultimo e, non senza ambizioni, li chiamammo atti, proprio come a teatro come a dire che la successione crea la storia, ma non c’è un ultimo atto, perché la storia è aperta. Questo appuntamento ha un titolo interpretabile in modo diretto, alludendo alla decima edizione della manifestazione “Panettone in vetrina”, organizzata dal Comune di Pinerolo, di cui è un elemento di novità; al contempo Sweet allude alla dolcezza non necessariamente nel suo aspetto solo gastronomico culinario. Del resto è vero che anche l’arte dolciaria investe non solo il gusto e l’olfatto ma anche la vista. Le arti cosiddette visive hanno la prerogativa di interagire con gli occhi ma sappiamo bene che il loro potere va ben oltre quest’aspetto meramente materiale. L’En Plein Air per vocazione concepisce da vent’anni progetti che hanno l’ambizione di superare il momento puramente espositivo ricercando invece di riflettere sulla contemporaneità a tutto tondo. Procedere in questo modo significa anche avere uno sguardo attento non solo a chi è già, in qualche modo, patrimonio storico nella ricerca artistica, ma anche e soprattutto a chi si affaccia con i suoi linguaggi e, per un dato puramente anagrafico, è giovane e necessità di “vetrine” per farsi conoscere. Per questa ragione in questa mostra convivono, proprio come nella vita quotidiana, personalità già note e altre ancora sconosciute e l’arco anagrafico conseguentemente ad ampio raggio. Ognuno di loro ha sviluppato il tema proposto, con linguaggi e tecniche affini al proprio percorso artistico; ha accettato di affrontare un tema, che poteva rischiare di diventare meramente decorativo, cogliendo l’occasione per interpretarlo attraverso i propri codici comunicativi. Tutte opere indiscutibilmente figurative e, sappiamo bene che, per diversi decenni, era diventato un tabù realizzare opere in cui la riconoscibilità in qualche modo emergesse; dalla grande stagione astrattista d’inizio secolo fino alle esperienze aniconiche e/o materiche o performative degli anni ’70, la figurazione era bandita così com’era rifiutata ogni esperienza estetica che potesse preve-

dere un qualche effetto specchiante col mondo. La figurazione e insieme l’abilità tecnica, per ragioni certo comprensibili, ha vissuto decenni d’isolamento capovolgendo le domande di libertà artistica relegando il saper fare a una reclusione decennale. Dalla fine degli anni ’80 e ancora prima con certe esperienze d’oltreoceano negli anni ’60, la realtà è ridiventata direttamente il palcoscenico delle arti figurative. In silenzio c’è chi ha continuato a coltivare linguaggi e tecniche con un interesse per il vero riconciliandosi col mondo e oggi, questi linguaggi, possono ritrovare un loro spazio. Intendiamoci, il vero non è il verosimile, ma è un vero a se, una costruzione di realtà che si produce davanti ai nostri occhi seducendoci attraverso la trasformazione, di ciò che è stato visto e interpretato, per offrirsi come veicolo per parlarci del reale. Che si tratti di dipinto o fotografia poco importa perché il procedimento è il medesimo. E allora voglio partire proprio dal lavoro fotografico di Benedetta Picco per cercare di spiegarmi. Cinque scatti pensati. Una narrazione elaborata nel tentativo di fissare l’attimo, pur sapendo di non poterlo mai veramente coglierlo. L’alternarsi del bianco e nero col colore sta nei margini di questa consapevolezza: fermare la realtà non è possibile ma si può raccontarla, osservandola in una molteplicità di punti di vista.

Benedetta Picco Altri, come Marco Abrate “Rebor”, filtrano il loro linguaggio urbano dentro la storia dell’arte. In questo caso, attraverso l’immaginario poetico di Jean-Michel Folon; il giovane artista costruisce un’immagine fluida in cui stratifica i suoi segni accentuando gli scontri visivi per restituirci una visionarietà molto poetica.


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Marco Abrate “Rebor” Fabio Petani preleva elementi simbolici del paesaggio urbano pinerolese e, con un mix fumettistico, inscena la conquista della città del panettone evocando, attraverso la porta ad arco fiammeggiante (arabo-normanno?), la multiculturalità contemporanea.

Wally Piccone Ruben Laurendi si prodiga in un esercizio di stile stemperando nella materia quasi monocromatica il ragazzo alla ricerca di un equilibrio. Nell’affannosa ma ponderata ricerca del verosimile, contempla, con il suo guardare al mondo attraverso i ritratti, il gioco dell’essere visti da chi lui ha guardato in un gioco labirintico infinito che al suo centro ha il volto del mondo.

Fabio Petani Wally Piccone reinventa una cartellonistica, avvalendosi dei codici compositivi pubblicitari e risolvendoli nel suo maturo impianto pittorico riuscendo in un attimo a mettere tutto al suo posto, restituendoci anche Macario, redivivo, che contempla sornione il dolce natalizio. Ruben Laurendi


34 Ci seduce con eleganza, accarezzando lo sguardo, l’opera di Rosanna Giani. Allude a delicatezze tutte interne all’immagine esplorando tutte le accezioni del termine dolce suffragandole col suo immaginario visivo pronto a svelare il suo appartenere all’universo delle immagini e non per questo meno vere del vero.

Rosanna Giani Claudia Petacca sfiora l’universo arcimboldiano trasfigurando insieme un volto e il panettone scegliendo una scala di grigi per allontanarsi dal vero per restituirci un’immagine pura: una metamorfosi visiva che accade davanti ai nostri occhi per sconvolgere momentaneamente la nostra percezione.

con composizioni tradizionali ma irrorandole di nuova linfa vitale.

Caty Bruno

Claudia Petacca Caterina Bruno e Carla Filippi scelgono l’acquarello per sciogliere nelle trasparenze la loro interpretazione visiva, accettando di misurarsi

Carla Filippi


35 Sabina Villa e Francesca Bocchetto, seppure in modo profondamento diverso, concentrano la loro attenzione sull’oggetto del desiderio; Sabina, stuzzicandoci con inedite e squillanti armonie cromatiche, mentre Francesca con una visione sur-realista improntata nell’immaginario cittadino.

l’almeno duplice significato della parola “dolce”.

Federica Beltramo

Sabina Villa

L’occasione ci ha regalato la possibilità di far ospitare la mostra in un importante museo cittadino, quello Storico dell’Arma di Cavalleria; e di poter affiancare, alle opere degli artisti invitati, alcune teche che contengono interessanti oggetti, legati all’arte dolciaria provenienti dalla collezione del "Centro Studi di Pasticceria Internazionale" Chiriotti Editori e inoltre un dipinto prestato dalla pasticceria Ferraud. La ricchezza di questi documenti conferisce ulteriore qualità al progetto strappando, ai pur rispettabili sensi investiti dai dolci, un interesse che in qualche modo aggiunge un tassello all’universo umano e di questo, crediamo, continuiamo ad avere un estremo bisogno per affrontare le fatiche del presente riuscendo a proiettarci in una visione del futuro, nutrendo lo spirito.

Francesca Bocchetto Infine Federica Beltramo punta il suo sguardo su un abbraccio reale intorno al dolce evocando l’infinita preziosità di questo gesto che contiene e dona, che avvolge condividendo, che rianima gli esseri che lo ricevono per donarsi sentendosi parte di un dialogo umano; il suo sguardo è davanti ai nostri occhi e contiene in se proprio

Marco Filippa Docente di Discipline Grafico-Pubblicitarie e Storia dell’Arte Vice-Presidente di En Plein Air - arte contemporanea


dg

omaggio a SWEET collage fotografico di Patrizia Chiarbonello


En Plein Air arte contemporanea Nel 1994 Elena Privitera attua una sfida: decide di trasformare la propria abitazione, una cascina del ‘700 immersa nella campagna del pinerolese, in una sede per un’Associazione Culturale, per il tempo libero ed in particolare per l’arte contemporanea. Si tratta di dare una connotazione concreta ad un’idea già da tempo ben fondata, nella convinzione che la scelta sia tanto innovativa quanto necessaria. Il nome dell’ Associazione, En Plein Air, fa riferimento alla natura come sintomo di armonia interiore: essa diventa una cornice efficace per situazioni che sin dall’inizio si sviluppano secondo due direttrici progettuali, la presenza di artisti affermati e la proposta di giovani artisti.

Vista aerea – En Plein Air (Frazione Baudenasca)

femminile The world from the female, realizzata nell’autunno 1997, induce ad una riflessione sulla condizione attuale della donna artista, sulla consapevolezza e sulla nuova identità dell’arte al femminile. Di qui prende corpo il Progetto Maionese, ideato da Elena Privitera, cui è strettamente collegata la necessità di ampliare lo spazio fisico della Galleria, così’ da poter proporre in contemporanea più eventi. Di qui si avvia anche l’idea che caratterizzerà i progetti dell’En Plein Air: concepire mostre organicamente tematiche che non siano soltanto una sporadica occasione espositiva ma che ambiscono ad a riflessioni multiple intorno a tematiche sul mondo contemporaneo. Bice Lazzari, Carol Rama, la giovane Marzia Migliora… Il progetto si articola in diverse “stazioni”: la costruzione di una “galleria” virtuale, capace di soddisfare le esigenze pressanti del mondo on line e la presentazione di una vasta gamma di espressioni nell’ambito delle arti dalla pittura all’installazione, alla ceramica, al design, al gioiello, alla fotografia virtuale. Nell’estate 1998: l’evento coincide con l’acquisizione di una cascina contigua alla casa, comprensiva di fienile, sottoportico e ampio cortile. Avere uno spazio più grande consente altresì di offrire ospitalità all’artista, così che il suo rapporto con l’associazione diventi il punto di riferimento per lo sviluppo di nuovi progetti, all’insegna dell’innovazione e dello scambio di esperienze con altre realtà culturali: in mostra sono infatti presenti numerose artiste straniere. Avere uno spazio più grande consente di articolare il momento espositivo in spazi conformi ad un allestimento dinamico e vivo; aiuta a far convivere esperienze artistiche di segno diverso allontanandosi da ogni visione addizionale, da ogni mera aritmetica espositiva.

La prima mostra è dedicata a un giovane artista russo che costituisce il punto di avvio delle “nuove proposte”; si tratta di Serghej Potapenko che si muove in un ambito pittorico iconico, un universo di echi nel quale le immagini si addensano in un intreccio sospeso tra realtà e sogno; curarono la mostra Luisa Perlo e Francesco Poli e nel 2006 riproponemmo i lavori della collezione di Potapenko presentandoli in parallelo a quelli di un altro russo, Sacha Nojkin, entrambi caratterizzati da un pensiero figurativo di grande intensità emotiva. Seguono rassegne che alternano figurazione (Gianpiero Viglino) e astrazione (Giorgio Ramella). Tra il 1995 e la primavera 1998 l’Associazione propone artisti emergenti quali Andrea Nisbet, Carlo Galfione, Luca Bernardelli accogliendo al contempo artisti noti Gilberto Zorio, Vasco Are, Robert Gligorov, Jannis Kounellis. Una mostra tutta al

Nelle stagioni successive si alternano curatori (Tiziana Conti, Demetrio Paparoni, Luca Beatrice, Guido Curto, Olga Gambari, Lisa Parola, Juan Maria Calles… per citarne alcuni) e tematiche (ogni mostra ha un incipit particolare); artisti emergenti e noti; collaborazioni e interazioni con altre realtà culturali (Il Filatoio (Cn) - Museu de Belles Arts de Castellòn – Spagna, …). Alcuni dei titoli che in se già contengono un’idea dell’universo culturale di indagine: Bereshit - La piccola porta (1999); Apologia dell’imprecisione e viceversa (2000); Soap Opera (2000); Corporate Identity (2001); In Viaggio (2002) mostra migrante realizzata in collaborazione con la Regione Piemonte nell’Antiguo Museu de Belles Arts de Castellòn (Spagna); Il peso del virtuale (2002); Wulbari, intorno ad una fiaba africana, curata dal Prof.Wences Rambla (2003).


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A partire dal 2003 nasce la collaborazione sistematica tra Elena Privitera e Marco Filippa: un osservarsi a distanza, per gli interessi e le passioni comuni, ci porta a sperimentare i primi progetti condivisi. L’esperienza dell’En Plein Air è ormai consolidata mentre quella mia è nata sul campo a Villafranca Piemonte (To), nel 1997, con la creazione di Villafranca Arte Contemporanea, inaugurata con il duetto dello scultore Elio Garis e del pittore Francesco Preverino; un progetto annuale realizzato da un’associazione apposita, affiliata alla biblioteca comunale, nata con l’intento di tutelare e conservare il patrimonio artistico del paese e al contempo farlo dialogare con le esperienze della contemporaneità. La collaborazione si avvia nei mesi estivi con il progetto Insitu: interagendo con la città (installando opere nel centro storico di Pinerolo) e al contempo in “galleria”. Nello stesso anno si sperimenta Enpleinvideo una rassegna non-stop di video d’artista riproposta per il 2008 con connotati online. Si sviluppa ovviamente il progetto Maionese e continuano le collaborazioni e interazioni con vari curatori. Nel 2004 presentiamo Dai tetti in giù la vita, curata da Tiziana Conti ed Elena Privitera e nello stesso anno, a cura di Giorgio Bonomi: Il corpo solitario ovvero la

necessità dell’autorappresentazione; sempre nel 2004 In Situ anno bianco curata da Marco Filippa ed Elena Privitera con un escursione nel mondo della moda e della fotografia anche attraverso una performance di Ilena Rossello con musiche di Luca Pagani. Il 2004 si conclude con MiscelArt mostra realizzata in collaborazione con la Comunità Montana Pinerolese: un’indagine sui giovani artisti del territorio. Nel 2005 due mostre in parallelo: una nella sede di En Plein Air curata da Tiziana Conti, Corsi e Ricorsi della Storia, è un'altra nella sede del Museo Storico di Mutuo Soccorso di Pinerolo curata da Marco Filippa ed Elena Privitera, Solidarietà e vita in comune. Il progetto Maionese del 2005 è firmato da Lisa Parola e Luisa Perlo prendendo a prestito il titolo di un film: Personal velocity. Nel 2006, nell’ambito delle iniziative per le Olimpiadi invernali l’En Plein Air realizza due eventi: uno nella propria sede, con un’installazione dell’artista Carla Crosio, intitolata La montagna dell’incanto-ombra pericolosa e con installazioni presso le piste di sci nel Comune di Pragelato in collaborazione con l’Associazione Sassi vivaci di Barge dal titolo PromenArt. Il 2007 è l’anno del progetto I linguaggi del Mediterraneo: una ricognizione sulla creatività con artisti di vari paesi in una concezione di mediterraneo non ortodossa ma glocale. L’anno ha infine previsto due personali, rarissime per la filosofia En Plein Air: quella di Valter Luca Signorile, un omaggio/sfida a W.Burroughs Cibo Nudo e Le ragazze sono Asine di Marzia Gallinaro per la decima edizione del Progetto Maionese: un ironico viaggio nell’universo femminile. Nello stesso anno si inaugurano esperienze con alcune realtà scolastiche, non solo del territorio limitrofo, concepite con il principio didattico-laboratoriale come strumento di conoscenza veicolate attraverso l’esperienza artistica.


39 A partire dal 2008, si sviluppano collaborazioni con il Comune di Cavour (realizzando due mostre presso il complesso Abbaziale) e con il Comune di Villafranca Piemonte (presso l’exMonastero). Nel 2008 prosegue il progetto I linguaggi del Mediterraneo che assume come titolo l’acronimo del sistema cromatico della stampa, la quadricromia: CMYK. Altre mostre nella propria sede e nel complesso Abbaziale di Cavour coronano l’esperienza espositiva fino al 2009. Nel 2010 Arte Alchemica-Trasformazioni e trasmutazioni personale di Tere Grindatto e poi la collettiva Work to Work che avvia la sistematica collaborazione con la Pinacoteca Civica Pinerolese e il suo Conservatore il Prof. Mario Marchiando Pacchiola facendo interagire le opere del passato con quelle di artisti contemporanei. Nel 2011, con il progetto Alfabetomorso, scegliemmo di indagare le nuove realtà comunicative, gli spazi relazionali virtuali (in primis i social network); nel 2012 con il progetto Profile, l’indagine è proseguita incarnando come centrale il tema della rappresentazione del se, le nuove identità liquide (come direbbe il sociologo Zygmunt Bauman), di questa contemporaneità sfuggente in perenne crisi e trasformazione. Con il 2013 vorremmo continuare l’avventura di questa ricerca e proprio nell’incalzare di una crisi economico/finanziaria/politica vogliamo affrontare la mancanza di prospettive affidando agli artisti, con il loro agire parallelo, le possibili risposte a questa condizione perché siamo convinti che la cultura (e quindi anche l’arte) continui a essere una via di ricerca che non può cessare di offrirci risposte anzi, puo’ nuovi versanti di visioni, magari momentanee, ma non per questo riduttive. Ecco che allora il tema che necessariamente ne consegue è il futuro e il titolo lapalissianamente diventa quindi Future. La mostra ha però un sottotitolo: le stanze del futuro. Il tema del 2013 risponde alle inquietudini e alle incertezze del presente e proprio per questo abbiamo deciso di affidarci a una regia curatoriale plurima coinvolgendo questa volta, non soltanto gli artisti “consacrati” o emergenti, ma anche coloro che si stanno muovendo nell’ambito artistico pur frequentando ancora le istituzioni scolastiche. Nel momento in cui stiamo scrivendo hanno aderito al progetto l’Accademia Albertina di Torino e quella Ligustica di Genova e sono in corso contatti con alcuni Licei del territorio non solo pinerolese. Il 2014 lo abbiamo dedicato al Presente anzi ai molteplici presente in cui ci muoviamo e si è trattato di un anno all’insegna della

progettualità immediata, quella che nasce dalle circostanze e dalle necessità. Quattro appuntamenti volutamente chiamati “atti” come se si trattasse di un’opera teatrale ma non esisteva un canovaccio preciso e neppure una finalità… pure azioni dettate dal momento accettando di viverlo per quello che è, niente di più e niente di meno. In questi anni abbiamo potuto realizzare questo numero considerevole di progetti, tutti caratterizzati da uno spirito mai meramente aritmetico e mai all’insegna della pura occasione espositiva perché abbiamo trovato il sostegno anche finanziario del Comune di Pinerolo, della Regione Piemonte, il sostegno di fondazioni bancarie (soprattutto la C.R.T. – Fondazione Sanpaolo) e di alcuni sponsor privati. La forza e la qualità dei progetti è stata patrocinata in primis dal Comune di Pinerolo che ci ha voluto includere nel circuito dei Musei Pinerolesi con cui godiamo di una convenzione. L’avventura dell’En Plein Air ha potuto festeggiare questi venti anni soprattutto per la totale disponibilità umana della Presidente dell’associazione, Elena Privitera, che offre i suoi spazi per creare ogni anno un’esperienza culturale riconosciuta ampiamente soprattutto, ma non solo, da chi gravita nella cultura dell’arte contemporanea.

Il patrimonio di mostre, ricerche, creatività che caratterizzano questo ventennio di En Plein Air è storia documentata con cataloghi e video o mediante il sito (http://www.epa.it). Per una cronistoria delle esposizioni si rimanda al link: http:// www.epa.it/esposizioni.html. L’archivio virtuale è raggiungibile al link: http:// www.epa.it/maionese/artiste/index.html


dg

Progetto Grafico: Arch.Marco Filippa Catalogo n째38


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