periodico Alfabetomorso anno 2011

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A-PERIODICO REALIZZATO DA

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ALFABETO MORSO - PROGETTO MAIONESE 14ma edizione Curatori: Elena Privitera, Marco Filippa, Sergio Gabriele Links: http://www.epa.it - http://www.enpleinair.it - http://www.alfabetomorso.it

Organigramma Associazone Culturale En Plein Air: Presidente - Elena Privitera Vicepresidente - Marco Filippa Consigliere - Sergio Gabriele Segretaria - Carla Bertolino Courtesies: Edoardo Di Mauro Prof.Mario Marchiando Pacchiola Conservatore della Collezione Palazzo Vittone CittĂ di Pinerolo Lorenzo Marchi - Tropic Corridors Luigi Aghemo concessione di Graziella Dotti Augusto Cantamessa courtesy Galleria Losano Associazione Culturale Pinerolo Nicola Bolaffi, Gianni Gianasso e Giulio Lucente courtesy P.O.W Gallery Torino Officina Tom courtesy Cristina Gilda Artese arsprima - Milano Robert Gligorov courtesy Galleria Pack Milano Credits fotografici e video: Marina Buratti Marco Casolino Patrizia Chiarbonello Donato Di Poce Sergio Gabriele Francesco Muro Cristina Pedratscher Margherita Levo Rosenberg Milena Galeoto per Irene Ester Leo Flavio Romualdo Garofano per Solidea Ruggiero Flavio Cappellano per Federico Galetto Ringraziamenti: Paolo Gagliardi Marco Lampis Silvio Tomaselli (per la carta) Sergio Fiorucci e Filippo Tinnirello Azienda Agricola Dario Gasca Giorgio Melli Con il Patrocinio di:

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Sponsor:

L’ORAGIUSTA / COMPUTER LINE / GIANADDA / COPY POINT / MAX VUERICH BOTTEGA DEI COLORI / Compagnia di assicurazioni NOBIS / LA POSTA DI CAVOUR


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EDITORIALE di Elena Privitera

Parlare di Alfabeto Morso è come affacciarsi su un pozzo di cui non si vede il fondo, l’immagine che se ne ricava può sembrare tenebrosa ma è pur vero che il pozzo è fonte di vita, di essenza vitale, di riflessi e suoni cavernosi ed echi di bisbigli. Così l’Associazione En Plein Air ha iniziato il suo percorso di ricerca rimestando tra le nuove forme di comunicazione, tirando e portando acqua e sostegno alla sua innata voglia di indagare, chiedere e chiedersi: come si comunica oggi? Quali strumenti stiamo utilizzando per esserci e capirci? L’Associazione da anni insegue l’individuo, l’identità conscia o inconscia che si esprime attraverso l’arte. Dove sta andando la società? E qui ci è parso naturale e direi ovvio domandarsi perché il desiderio di esistere, di assorbire e lasciarsi impregnare da un apparente gioco virtuale che è diventato essenziale e direi vitale alla propria realizzazione? Chi pratica forme d’arte, nei suoi più variegati aspetti, decide di superare i paletti imposti da una società … e così fiumi di parole, considerazioni, provocazioni, licenze poetiche … vagano sul web. En Plein Air dal network ha sviluppato una rete di contatti e conoscenze tra profili e utenti di varia estrazione: dal collezionista al fruitore, dal pittore al poeta, esperienze unite da un forte e impellente desiderio di parlare nuovi linguaggi, pur tralasciando l’aspetto umano del contatto fisico. Tanti elementi sono stati condivisi per unirli in un progetto ampio, in divenire come, per definizione è Alfabeto Morso. E’ sempre stata una prerogativa dell’Associazione, realizzare progetti che esplorino aspetti particolari della società: il Progetto Maionese, nato nel 1997, ha sempre affrontato e cercato di sviscerare l’arte, quella connessa con la vita delle persone. In questo cammino decisivo è stato l’incontro con FemminArt e, di conseguenza con Sergio Gabriele che, con Marco Filippa (caro amico prezioso con cui condivido da anni lo spirito dell’En Plein Air) ha reso possibile, con passione, questa esperienza. La mostra, le riflessioni, gli incontri, avuti nello spazio dell’En Plein Air, hanno dimostrato che questo pozzo è profondo, la luna ci aspetta in fondo ma molto ancora è da navigare in questo mare di segnali e arie nuove. La rivista/catalogo che qui presentiamo raccoglie l’esperienza fatta con gli artisti e con le molteplici personalità del mondo creativo che, con grande generosità, hanno compiuto questo viaggio riflettendo con noi. Un cartaceo che indaga e narra, tutto ciò può solo dimostrare che è vero che il linguaggio cambia (il virtuale con la sua estrema velocità è più usufruibile) ma, con apparente contraddizione si è considerato proficuo e vitale darne una visibilità tradizionale. Questo numero “0” vuol essere presente in una forma dinamica innovativa, il catalogo di tutti da tenere tra i libri in biblioteca, su una scrivania o un comodino. Mi piace pensare che in questi spazi antichi e pieni di storia si siano incontrate figure e “profili” umani e insieme si siano riconosciute; dagli artisti ai poeti, agli attori giunti da vari luoghi, gli spazi hanno respirato e inspirato a pieni polmoni, tutto si è realizzato e compiuto in allestimenti particolari e luminosi, performance e danze e rime e poesie, tra i salici del mio prato ci siamo ristorati di un cibo sano, fatto di sguardi e sorrisi, l’Arte ha compiuto il suo miracolo, quello di far vivere questa isola di energica vitalità in spazi dove tutto racconta di un passato e di un futuro presente … oggi, domani. Sono grata a

tutti.


UN DIALOGO APERTO di Edoardo Di Mauro

Negli anni ’80 si entra in quella che molti definiscono, non di rado con confusione terminologica, stagione postmoderna, etichetta che va usata come parziale sinonimo di contemporaneità, a meglio indicarne una condizione di non del tutto compiuto dispiegamento.Molti segnali fanno intendere come anche questo interregno volga al termine, e sono una globalizzazione economica e culturale ansiosa di essere governata con spirito giusto ed equanime, come richiedono ampi movimenti di opposizione, la cultura occidentale messa alle corde dai flussi migratori e dal terrorismo islamico, con il crollo delle Torri Gemelle ad indicarci che il mondo virtuale in cui ci siamo più o meno pigramente cullati per un ventennio abbondante si è alla fine manifestato con una oggettività concreta e devastante, la crisi definitiva degli ultimi nuclei di capitalismo tradizionale, ancora non piegatisi alla necessità di collocarsi in un ambito sopranazionale di scambi ed accorpamenti governati dalle leggi della finanza internazionale. Tuttavia, pur in presenza di una sensazione diffusa di sconcerto ed incertezza, si avverte il senso di una stagione che si libera da una sia pur compiacente stagnazione per approdare ad un orizzonte, in un modo o nell’altro, rinnovato, ad una nuova epoca. Naturalmente l’arte, e non poteva essere diversamente, ha seguito in parallelo questi mutamenti, ora assecondandoli, ora precedendoli. A partire dalla seconda metà degli anni’70 e per tutti gli anni’80, ha inizio quella fase di esaurimento dell’incedere progressivo del linguaggio delle avanguardie con l’avvento di un nuovo e diffuso clima, caratterizzato inizialmente dal ritorno della manualità pittorica ed in seguito da un eclettismo stilistico dove la citazione delle principali esperienze formali del Novecento si è abbinato al tentativo di stabilire un dialogo con una realtà caratterizzata da una presenza sempre più invasiva delle nuove tecnologie e degli strumenti di comunicazione. Gli anni’90 hanno sostanzialmente proseguito in questa direzione, con una marcata presenza della fotografia e del video ed un graduale infittirsi delle presenze operanti a vario titolo nella scena artistica. Nell’ambito di un panorama sempre più uniforme e globalizzato, la connotazione negativa dell’arte italiana dell’ultimo decennio è stata la conformistica adesione a moduli compositivi estranei alla nostra tradizione. Particolarmente riguardo la vasta area del cosiddetto “neoconcettuale”, dove è stato privilegiato quello che ha stancamente ricalcato i canoni espressivi degli anni ’60 e ’70 proponendo un ap-

piattimento totale sulla realtà, spesso limitato alla dimensione del proprio microcosmo individuale, ed invece hanno spesso faticato ad imporsi quelle opere in grado di esprimere autenticamente lo spirito del tempo, in bilico tra realtà ed allegoria, e dotate di una carica di corrosiva e disinibita ironia, peculiarità del “genius loci” italiano. I confini artistici di quella fase erano, a mio parere, delimitati da due precisi stati d’animo in bilico tra realtà ed allegoria, tra un’arte che aderisce il più possibile al reale adottando le “protesi” tecnologiche di cui l’uomo si è provvisto o, all’opposto, cerca di dialogare con la contemporaneità con un distacco vissuto come rifugio nella magia del simbolo, con frequenti casi in cui queste tendenze convivono all’interno della medesima opera. Ora mi pare che queste due ipotesi sempre più tendano a convergere verso una soluzione unitaria, per quanto non omologata a canoni seriali, sempre dotata di confortanti scarti linguistici derivanti dall’ispirazione e dalla cultura del singolo autore, con una conciliazione estetica tra particolare ed universale. Dopo la data emblematica del 1968, non a caso corrispondente ai moti sociali e giovanili di piazza che caratterizzarono l’intero Occidente ed alla smaterializzazione dell’arte con le varie correnti concettuali che, peraltro, ricercavano momenti di collegamento con la ribellione politica e di costume del periodo, inizia l’accelerato ingresso in una nuova dimensione produttiva e relazionale caratterizzata dall’invasività tecnologica. . Tutto ciò non ha mancato di generare effetti nel mondo dell’arte. Riprendendo quanto scritto un po’ di tempo fa in un testo critico prodotto per una rassegna centrata sulla “crisi della presenza”, vi è la visione in negativo del filosofo dell’arte francese Jean Baudrillard, da poco scomparso, la cui recente teoria indica il ruolo dell’arte come interamente assorbito dalla visualità della pubblicità e dei media mentre diverse posizioni, tra vari distinguo, rinvengono, ad esempio, una insolita alleanza tra i miti arcaici e le simbologie religiose della premodernità con la realtà futuribile delle nuove tecnologie e sostengono come ci si stia incamminando verso la costruzione di una nuova estetica, dove il confine tra arte e vita è ormai sempre più ravvicinato, pur continuando a non coincidere, a mantenere un fondamentale per quanto minimo scarto. Il confronto con l’oggetto, con le nuove tecnologie ed il rinnovamento dell’iconografia, il desiderio di analizzare i complessi meccanismi sociali denunciandone i limiti, quanto emerso, cioè, nell’ultimo


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ventennio, non fa a meno della citazione perché in arte questo è culturalmente impossibile quanto meno a partire dalla tarda antichità, dalla stagione ellenistica. Ma essa non è più il riferimento centrale della composizione. Attualmente vari artisti, e quanto conforta è che molti di loro appartengono alla più giovane generazione, alla quale si uniscono in una insolita alleanza diversi dei migliori talenti apparsi negli anni precedenti, adoperano con sicurezza e maturità le opzioni stilistiche prima citate, con una risultante linguistica dove lo spiazzamento ironico spesso si abbina e dialoga con una vena di simbolicità quasi mistica, dove le tecnologie si fanno docili strumenti nelle mani dell’artista. Questa collettiva, organizzata dall’attiva e vitale Elena Privitera con Marco Filippa e Sergio Gabriele, che ha qualificato il suo spazio En Plen Air come uno dei più significativi nella provincia di Torino e nell’intero Piemonte, con un’attenzione particolare nei confronti dell’arte al femminile, deve il suo originale titolo Alfabetomorso, al tema prescelto, cioè il rapporto che l’arte intrattiene con le “nuove forme di alfabeti virtuali e le nuove agorà della comunicazione” in cui tutti i soggetti del sistema arte si trovano inevitabilmente immersi, in particolare internet ed i social network. Inoltre vi è un evidente richiamo all’alfabeto Morse, che simboleggia la necessità dell’uomo di dotarsi di un codice. Il tema delle nuove possibilità offerte dalla comunicazione è decisamente ambiguo, presenta due aspetti. C’è chi, come l’estetologo Mario Perniola, sostiene che “ nel suo rivolgersi direttamente al pubblico, saltando tutte le mediazioni, essa ha un’apparenza democratica, ma è in realtà una forzatura che omologa ogni differenza”. Altri invece, ed io sono tra questi, tende a vedere il bicchiere mezzo pieno, notando l’impossibilità della censura, specie del sistema editoriale dell’arte, e l’aumento delle possibilità espositive che, se da un lato genera confusione, dall’altro sta favorendo la rivalutazione di artisti volutamente ed ingiustamente sottovalutati. Una maggiore libertà nei comportamenti individuali, indotta dalla comunicazione, non si disgiunge dalla necessità di aderire ad una ritualità collettiva parallela alla crescente complessità del sistema arte. Molti protagonisti della scena dell’arte non vogliono rinchiudersi in una torre d’avorio ma aprirsi al dialogo con il mondo, secondo le regole della “presenza”, quindi non possono sottrarsi ai riti dell’arte, ma debbono evitare i pericoli del conformismo e della passiva omologazione facendo costante appello

alla propria intelligenza. I protagonisti di questa manifestazione, articolata in più giornate con una scaletta di installazioni, performance e video, selezionati con una attenzione alla qualità ma anche con spirito anticonformista, sviluppano originali riflessioni su questo tema oggi così centrale.

Edoardo Di Mauro, critico d’arte ed organizzatore culturale, vive e lavora a Torino e a Bologna. Docente dell’Accademia Albertina e Direttore Artistico del Museo d’Arte Urbana di Torino


LA LACERANTE CERTEZZA di Sergio Gabriele

Alfabetomorso nasce da una esigenza logorata, congiungere le istanze interiori dell’individuo a comunicare la sua ansia di partecipazione, condivisione, con la meticolosa disabilitazione degli elementi fondanti che ne sono alla base. Stabilire se è nativa la coercizione o liberalizzazione del segnale è argomento capzioso visto il carattere estremamente dinamico delle trasformazioni subite dall’uomo nel corso della sua pur breve permanenza su questa terra. Mutazioni spesso impreviste e imprevedibili che hanno dato alla comunicazione fra simili connotazioni spesso agli antipodi, vedasi la formazione di codici di appartenenza che sono andati oltre non solo al quantum informativo, ma all’origine della stessa effettiva necessità di trasferire informazioni. La comunicazione sembra a volte confusa nella sua finalità, avvolta in un mistero sporco di imbonimento di massa, persuasione che in taluni momenti è stata definita occulta, ma che oggi così segreta non è, come le logge P (che sta per Propaganda) da 1 all’infinito. L’esigenza di ridare lustro al Linguaggio, in tutte le sue forme, assume quindi un significato più generale di rivalsa, riconquista individuale e sociale. Le notizie della moderna attualità globale, e tralasciamo l’origine stessa del termine globale, sono improntate alla diffusione di incertezza, terrore, ansia e paura derivante non solo dalle tempeste economiche che evidenziano la fallacità del sistema perfetto della matematica, della Scienza, ma da una semplice risibile contraddizione: gridare alla cautela, autodifesa, di un organismo sociale che, semmai abbia avuto nel passato un qualche riconoscimento, dall’era delle guerre e dispute sanguinose, ovvero da sempre, ha perduto perfino la valenza di “pura espressione geografica”. Quindi la notizia è oggi un appello alla vigilanza su una catastrofe imminente che in realtà è già avvenuta da un pezzo, e appare sempre più palese l’ordito strumentale dell’informazione che non ha più tema alcuna di smentita, e viaggia ormai sull’ondulazione ciclica delle Borse che con la stessa facilità “bruciano” miliardi e li ricostituiscono, anzi no, la ricostituzione viene posta in secondo piano, come l’innocenza accertata di un presunto colpevole, esattamente allo scopo di lasciare inalterata l’ansia della catastrofe. Questa piramide di menzogne ha fatto straccio della salutare varietà delle forme spontanee di Linguaggio, dall’Arte alla Scrittura, dalla Parola al Silenzio, dalla Retorica alla Politica, citando volu-

tamente due termini puri nell’accezione originaria e oggi divenuti sinonimo di ipocrisia e malaffare. E così i vertici della piramide si arrogano il diritto di interrompere qualsiasi merito di una comunicazione in atto giudicandola perfettamente secondaria rispetto al dramma, ignorando che anche un quadro, e non ci voleva Picasso con Guernica a dimostrarlo, è un libro di storia e un bollettino di pace. Ma l’onore delle armi impone un coprifuoco su qualsiasi espressione di Linguaggio e Comunicazione, espropriate di ogni significato in ragione dell’emergenza. Al di là della Babele dei segnali, apparente confusione parametrica del Linguaggio cui sembriamo essere pervenuti, il segno della crisi della Comunicazione sta proprio nella esautorazione del trasferimento di informazioni al di là della sua forma, sempre labile eppure sempre ferma, nonostante le mutazioni endemiche naturali, nella storia dell’uomo. I corsi e ricorsi storici stanno lì a dimostrare che l’obiettivo raggiunto dal piccione viaggiatore è lo stesso perseguito, con maggior fatica, da un i-phone. Viceversa, quando l’informazione viene negata anche le velocità più eccelse appaiono vane. Internet è nata come un sistema militare di creazione di una rete di by-pass che fosse in grado di reagire a qualsiasi sabotaggio della comunicazione, e in realtà agli albori questa rivoluzione è stata salutata come una rivincita democratica sul grande fratello. La storia attuale, con l’esplosione nucleare dei social-network e relativo fall-out di informazioni vuote e superficiali, dimostra che la democrazia è una conquista e non un perfezionamento tecnico del mezzo.Alfabetomorso tende ad evidenziare queste discrasie fra il cosiddetto virtuale, paciosa televisione di fronte alla quale vengono parcheggiati bimbi irrequieti, e la comunicazione reale, in una parola Arte, che si giova di qualsiasi mezzo quando ha chiara la sua finalità. Arte intesa come propagazione di idee per accrescere il patrimonio proprio e altrui, e non rincorsa ai vertici della piramide, sala di controllo, di gestione, di connivenza nella manipolazione. Per non correre il rischio di essere acclamato come nuova Marianna della rivoluzione, Alfabetomorso si occupa precipuamente del segno, semantica o semiologia del risveglio dal torpore della nullità gestita, quindi privilegia quelle forme d’Arte che semplicemente mostrino un subbuglio interiore che non è fatto di nuove verità, ma dell’unica di saper acquisire il fermento del cosmo imperituro e saperlo rilanciare in un’ottica di moltiplicazio-


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ne senziente. Non si limita, Alfabetomorso, alla creazione ex-novo di stimoli, ma a saper utilizzare l’enorme cumulo degli stessi già presenti dalla Preistoria. Nulla da rifondare, ma cautela dell’acquisito, dell’esperienza, della coscienza, vero significato della figura dell’Angelo erettasi spontaneamente a simbolo del Progetto. E non per una semplice contrapposizione fra Bene e Male, strumentale assioma del vertice, ma del loro amalgama di un Uomo che pare essersi date delle regole allo scopo di contravvenirle, ed essersi inventate delle forme artistiche per rivelare ciò che era già manifesto. Alfabetomorso non è il futuro, ma il passato dimenticato, non è virtù di proposta, ma Amore per la Vita, finché questa ci è data.

Sergio Gabriele Critico d’Arte, Scrittore, ideatore di FemminArt vive e lavora a San Donato Val di Comino (Fr)

www.sergiogabriele.it - www.femminart.it


ALFABETOMORSO: OVVERO UN ALTRO MODO DI IMMAGINARE L’ANGELUS NOVUS DI PAUL KLEE di Marco Filippa “Non è che il passato getti la sua luce sul presente o che il presente getti la sua luce sul passato; l’immagine è piuttosto ciò in cui il passato viene a convergere con il presente in una costellazione.” Walter Benjamin Il 25 giugno, inaugurando Alfabeto morso, ricordo che lasciai fluire il mio pensiero, orientandolo con le parole, intorno ad alcuni principi elementari e al contempo risolutivi (frammenti di un discorso critico avrebbe potuto definirli il grande Roland Barthes), o almeno con l’ambizione di essere tali, con la consapevolezza di stare affrontando una contemporaneità che fluttua, appunto, in quell’universo liquido in cui galleggiamo, molto spesso cercando di nuotare, per approdare su nuove isole di certezze. Dedicai volutamente il progetto artistico ad Ai Weiwei, da poco rilasciato dall’autorità cinese (dopo mesi di silenzio asfissiante), perché il suo percorso umano/artistico mi sembrava, in qualche modo, significativo della condizione odierna in cui, l’uomo/artista, può essere dis-turbante fino al punto di cercare di annientarlo, anche fisicamente, per poi rilasciarlo con un’accusa subdola: qualcosa tipo evasione fiscale. Ai Weiwei ha utilizzato la Rete, organizzava una cospirazione fatta di documenti, invettive, azioni … risvegliava coscienze; era un altro modo tra i tanti possibili di fare arte, proprio lui che aveva progettato l’edificio simbolo delle Olimpiadi Cinesi, vietate al Tibet fino al punto di rendere innominabile l’esiliato Dalai Lama. La mia presentazione si ancorava al pensiero di Zygmunt Bauman, alla sua idea di liquidità, che pervade il nostro tempo sottraendosi alla solidità della modernità, per lasciarci precipitare in un magma che ci rende sicuramente più fragili e posticci ma non per questo, necessariamente arrendevoli. Nella società liquida di Bauman tutto diventa precario, dal lavoro ai sentimenti e ovviamente il sesso. Nell’analisi di Bauman la Rete è uno degli attori di questa nuova socialità che si risolve con un click, che può essere di apertura o chiusura di un possibile dialogo che comunque avviene, ma è altra cosa da quella che abbiamo conosciuto prima. Alfabeto morso nasce in Rete con l’apporto formidabile di Elena Privitera soprattutto, io ne sono compartecipe non sono comprimario, il mio esserci nasce durante ma soprattutto dopo; il progetto è di Elena e anche di Sergio Gabriele io, onestà intellettuale vuole sia così, ci sono entrato a lavori avviati. Anche questo in fondo, anche questa meta-riflessione, “racconta” che siamo profondamente dentro la liquidità di cui parla Bauman. Il

progetto nasce nella Rete di dialoghi ma diventa solido e si configura come uno sguardo interessante sul nostro tempo, con la lente particolarissima dell’Arte. Rubo un frammento prelevandolo dai video di Maria Korporal, dal fluttuare incessantemente dolce dei suoi suoni visivi, dalle poetiche visioni dei suoi mondi in un divenire che ci sfugge, per ritrovarsi nel comporre frammenti, con una nuova consapevolezza, quella dell’imperiturità. La scena si sposta, cambia, muta, talvolta repentinamente, ma sentiamo di essere comunque dentro la stessa situazione, soltanto che il caleidoscopio dell’arte ci offre molteplici punti di vista. Nel luogo della comunicazione libera: struttura concepita come casa-discussione, Francesco Muro occupa i sensi civilmente, riesce a dare ossigeno alle parole delle Costituzioni, restituendole al loro fondamento in uno spazio che ci coinvolge, se solo vogliamo superare il muro ideale e, come dicevano gli antichi greci, quel limite non è il punto in cui qualcosa finisce ma quello in cui inizia a esistere altro, nel mare di carta dell’installazione. E la parola ritorna nelle modernamente antiche tabule picte di Maria Cristina Balestracci, nei suoi frammenti di un’archeologia cui fanno eco le ricostruzioni pittoriche, emozionalmente asettiche, dell’alfabeto smile di Rosanna Giani. Prosegue il mio peregrinare negli spazi della mostra e, salendo le scale, l’installazione di Bernadetta Ghigo mi accoglie, con una teoria di sagome umane che gravitano per ri-appropriarsi dei loro ritagli di spazio vitale. Pausa ironicamente gioiosa: Angelo Barile ci invita a una preghiera mistico-ecologica col suo pregatoio solare e, a due passi, Giovanna Torresin si auto-ritrae abbracciando serenamente un’infinità di cuori come nella video-performance, concepita come un’azione in cui il suo corpo restituisce un nuovo valore emozionale all’amore. Marina Buratti “recupera” dal suo video (Vocale) due fotogrammi del giovane a torso nudo, instabilmente alla ricerca di un equilibrio come se la classicità corporea ci restituisse, nel suo mirabile bianco e nero, il chiasmo scultorio greco oramai perduto. Anche Augusto Cantamessa sembra voler insistere, attraverso le delicate e precise gradazioni di grigio, su una classicità perduta ritraendo, con una sapiente inquadratura, un’opera di Vincenzo Vela, ponendo interrogativamente l’androginia al centro del suo dilemma angelico. Con un tutt’altro registro Rosa Ubeda mette in opera i suoi magici rebus mentre Nadia Magnabosco ci propone un vestitino appa-


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rentemente giocoso che, a una lettura più attenta, rivela drammatiche cronache della violenza contemporanea. E poi, Patrizia Cau e Cristina Pedratscher, con i loro scatti introspettivi, rivolti a indagare una femminilità da riscattare. E ancora Simona Palmieri e Mirella Sannazzaro che nelle loro teche congelano, con calorosa umanità, tracce del tempo. Margherita Levo Rosenberg allestisce il suo lieve superb marché condito concettualmente con atmosfere pop, nel tempo del consumato consumismo. Di tutt’altro tenore l’apocalisse di Gian Carlo Giordano, esplosiva e incandescente, con la sua autentica necessità pittorica mentre Gabriela Bodin ci incanta nelle sue labirintiche architetture mentali. L’angelo torna ancora, si riaffaccia sulla scena con la scultura di Bozena Krol Legowska, sembra rinascere da se stesso, continuando ad aleggiare sulla mostra, come un messaggero. Scendo le scale e l’odore di fieno, che invade il pavimento della cripta, stordisce lievemente i miei sensi; l’apparente vuoto dell’installazione di Luigi Stoisa, si colma di senso sorprendendomi: un nido, che sprigiona delicati pigmenti, si somma all’umidità del luogo ed ecco che la vita inizia a esistere. Risalendo, mi accolgono i giochi trasparenti delle quinte di Tere Grindatto che dipanano l’eterno dilemma, dello spazio-tempo, naturalmente non risolvendolo e, in altro modo, con un fare sommesso e preciso, si stagliano sfuggenti le figure di Marco Lampis, apparizioni momentanee nei desertici e desolanti spazi della contemporaneità. Ruoto la visione di novanta gradi e la tela ossidata di Roberta Ubaldi fa scorrere le lancette indietro nel tempo dell’arte: com’è vero che non esiste una direzione temporale e forse non esiste neppure il tempo ma soltanto la percezione di un possibile, qui e ora. E il qui e ora di Andrea Nisbet si risolve, con fare squisitamente pittorico, sul piano metaforico di una partita a scacchi. In una mostra che ha come tema centrale il linguaggio, i nuovi alfabeti che dalla virtualità approdano a una consistenza reale, non potevano mancare i libri; Anna Maria Scocozza con la sua creazione d’artista esplora letteralmente la profondità della pagina, e poi Ilaria Margutti con i suoi cataloghi, campionari di assemblaggi biografici, di esistenze vissute pienamente e ancora Rita Vitali Rosati con il suo urlare gioioso scandagliando il quotidiano col suo libro “Ahi”. E la parola visiva torna ad animarsi di nuova vitalità con i post-aforismi di Mafalda Coen o di Melita Rotondo, con gli alfabeti trasparenti di Chen Li per arrivare all’as-

semblaggio delle net story di Mimmo La Grotteria passando per gli appunti graffitari nei quaderni di scuola di Marina Pepino. Il peregrinare negli spazi di En Plein Air, concede molteplici registri emozionali: Pietro Mancini, con le sue icone elettrizzate e ironiche, affida a pseudo-divinità il suo codice linguistico, neanche troppo criptico; con l’installazione di Marco Casolino, nella ricostruzione di un ambiente borghese, l’artista ci invita ad appropriarci del suo volto, per riaggregare il nostro io nella visione poliedrica di se stesso, continuamente ri-contestualizzato, senza il bisogno di una falsa personalità, parafrasando Franco Battiato. Il viaggio continua e il leitmotiv dell’angelo, messaggero funambolico, aleggia sulla mostra: dalle plasticità delicate di Luigi Aghemo fino all’estremo kitsch di Antonella Casazza sorvolando le terre calde di colore di Giovanna Ricca, e del suo Cactus art Torino, con il suo omaggio Molliniano; sfiora le temperature degli appunti cromatici di Caterina Bruno per approdare alle tracce neo-avanguardistiche di Cati Briganti per poi seguire i mille passi biomorfici di Gianfranco Sergio. E il vagabondare estetico prosegue tra installazioni e video e opere che continuano a sfidare le tecniche tradizionali, in questa contemporaneità che tutto contiene rendendo liquida ogni solidità moderna. Elisa Cella, nei suoi labirintici bianchi e neri, intrappola la solitudine riscattata nelle ariose pennellate di François Nasica per poi ri-liquefarsi nelle figurazioni di Ioanna Spanaki ri-materializzandosi nelle profondità segniche delle carte di Sonia Agosti o nella matericità di Mauro Rea. Il flusso poetico riemerge nelle foto-performance di Daniela Carati per toccare onde d’urto comunicative con l’azione di Natasa Koroseck e Marco Tiraboschi e oscillare, alla ricerca di un’identità terrena che cerca elevazioni, nei video di Francesca Maranetto Gay o di Carla Della Beffa o nei tentativi di volo nella corsa del giovane Giulio Nocera. E sono ancora molti gli artisti che hanno accettato di far parte di questo progetto, che l’hanno condiviso, scritto, discusso fino a prenderne parte materializzandosi ora in questo elenco finale. Non me ne voglia nessuno ma questi appunti travalicherebbero la loro ragion d’essere… non me ne voglia: Laura Ambrosi, Nicola Bolaffi, Carla Crosio, Innokentiy Fateev, Federica Galetto Nightingale, Gianni Gianasso, Sara Grazio, Charles Jean Paul, Gianni Lodi, Denis Lucas, Giulio Lucente, Jacob Kleyn, Youliana Manoleva, Martha Nieuwenhuijs,


Mario Piselli, Ilaria Sabbatini + Marcantonio Lunardi, Officina Tom, Paolo Sangermano e Rédha Sbaihi. Alfabeto morso è un progetto, non meramente espositivo, piuttosto complesso; un caleidoscopio che cerca di intercettare gli umori contemporanei che, come i frammenti delle torri gemelle, catapulta al suolo nuove direzioni, molteplici, divergenti … di cui cogliamo le traiettorie, ma ancora non riusciamo ad afferrare il disegno, se disegno c’è. Spingendo l’acceleratore di particelle visive (e da quando l’uomo ha guardato la terra dalla luna, il cortocircuito conoscitivo è profondamente mutato) approdiamo in un fuori che è al margine dell’inizio in quel termination shock che l’immaginifica visionarietà di Robert Gligorov ci fa assaporare sospendendo il tempo per spingerci verso nuovi confini da superare.

Marco Filippa Docente di Discipline Grafico-Pubblicitarie e Storia dell’Arte

Maria Cristina Ballestracci

Rosanna Giani

Maria Korporal

Bernadetta Ghigo

Francesco Muro

Margherita Levo Rosenberg


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Charles Jean Paul

Marina Buratti

Angelo Barile

Giovanna Torresin

Augusto Cantamessa


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Rosa Ubeda

Patrizia Cau

Nadia Magnabosco

Cristina Pedratscher


13

Simona Palmieri

Gabriela Bodin

Mirella Sannazzaro

Laura Ambrosi

RĂŠdha Sbaihi

Federica Galetto

Bozena Krol Legowska


14

Tere Grindatto

Marco Lampis

Rita Vitali Rosati

Ilaria Margutti

Roberta Ubaldi

Anna Maria Scocozza


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Gian Carlo Giordano

Ilaria Sabbatini+Marcantonio Lunardi

Mario Piselli

Andrea Nisbet


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Pietro Mancini

Mimmo La Grotteria

Marina Pepino

Chen Li


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Melita Rotondo

Caterina Bruno

Antonella Casazza

Carla Crosio

Giovanna Ricca - Cactus Art Torino


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Mauro Rea

Ioanna Spanaki

Cati Briganti

Daniela Carati


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Jacob Kleyn

Giulio Lucente

Denis Lucas

Gianni Lodi


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Officina Tom

Gianni Gianasso

Sara Grazio

Paolo Sangermano

Michele Lambo


DIALOGO IN RETE

tra Anita Tania Giuga e Elena Privitera Chi sono? Una donna che si è lasciata attrarre dall’arte visiva e performativa come fosse il canto delle sirene. Mi dicono che l’arte, la cultura, la possibilità di declinare il tempo secondo piacere e passione, è roba da ricchi. Ci sono riuscita anch’io. Almeno per dieci lunghi anni. Certo è che l’avventura si è dipanata in maniera rocambolesca, se vogliamo, per almeno tre motivi: sono siciliana, provengo da un ambiente piccolo borghese, le mie risorse finanziarie sono tutt’altro che illimitate. Uso Facebook come finestra sul mondo delle arti e come mezzo di promozione caldo. Perché scrivo? Non posso farne a meno. Si tuona, da almeno un biennio, sui tagli alla cultura, sul “tetto di vetro” contro il quale le donne ambiziose, e non, battono il capo; si sacramenta e poi si torna a un pianto greco sommesso e inutile. Ma io voglio stringere “l’occhio di bue” sul cascame più grave dei tempi presenti: l’insofferenza. Ogni giorno studio un modo per far convergere le mie personali iniziative culturali, poetiche, artistiche e il mondo degli altri. Ho circa 4.800 contatti, spalmati in più parti del mondo. Abito in Sicilia, ma fingo di vivere altrove, nell’altrove dove potrei esistere, crescere, entrare nei musei gratuitamente, ricoprire il ruolo di specialista pubblico nel ramo della cultura visiva. Ogni giorno ho l’obbligo di domandarmi se produco contenuti accessibili a quei tanti che conducono una vita diversa dalla mia. Ogni giorno sono costretta a chiedermi se il mio decennale investimento in cultura non sia stata una frode. Inutile, nonché dannoso, che citi l’assenza di meritocrazia, piuttosto vorrei alzare la voce sulla lobotomizzazione della sensibilità. Per più di un anno ho portato avanti una personale battaglia per un iter universitario che inizialmente mi ha sorretto, permettendomi, grazie alla vittoria di una borsa di studio per un Dottorato di ricerca, di continuare a dedicarmi alla punta più sperimentale dell’arte contemporanea, oltre che di foraggiare una minima mobilità. Essendo contravvenuta alla cieca ubbidienza nei confronti del mio tutor, dopo lunga malattia, mi son trovata prima sotto procedimento di esclusione dallo stesso Dottorato e, in seguito, espulsa al terzo anno dallo stesso tutor che si è rifiutato di seguirmi. Lei pensa abbia avuto solidarietà? Pochissimi amici, ancor meno nel novero dei colleghi, hanno teso una mano o hanno speso una parola. E quando ciò si è verificato ha sortito uno stranissimo effetto contrario. Al contrario, molti fra i miei “contatti” alzano la voce se al posto dei loro “con-

tenuti” promuovo le mie piccole lotte di periferia. Battaglie per contrastare abusi di potere, a causa dei quali la legge del più forte, che schiaccia i nemici dell’ingiustizia come esseri non conformi, passa per una mia personale incapacità di cavalcare la diplomazia (leggasi ipocrisia) invece del diritto. Vorrei consigliare a quanti si sperticano in critiche e superiore discernimento a rettifica dello status quo di farsi un bell’esame di coscienza. Considerassero, questi paladini del buon senso, i “cadaveri” che sbalzano e le occasioni ereditate per buon karma più che per meriti individuali. Lo facciano in segreto, di notte, magari prima di dirsi ecumenicamente impegnati nella lotta contro i soprusi disseminati sul campo della società civile. Contro la purezza, come dice Isabella Bordoni citando Hannah Arendt, ma verso una più reale forma democratica dell’esperienza. Una scalza che brucia Anita T. Giuga Cara Anita è un testo di grande impatto, la tua testimonianza parla a tutti e tutte, la storia di donna tra muri e paletti, li scavalca. li abbatte, ma che fatica… quando mai sapremo che “riceviamo” per i nostri meriti o demeriti, per la valenza del nostro fare, della forza che portiamo con noi. Ti capisco cara Tania, le sirene ci avvincono e suonano canti melodiosi, l’arte è un filo (a volte spinato) che porta con sé la passione, struggente e avvincente. Perché io son qui, a volte me lo chiedo, chiusa in questa galleria anomala e particolare, anch’io di origine siciliana, mai ambientata né qui né altrove, e vado per la mia strada in questa isola d’arte, tra muri vecchi e cortili immensi, su face book ed i net work in genere ho trovato una strada di fuga e di coinvolgimento, porto avanti l’enpleinair virtuale appaiata a quella reale. Vedo cose e incontro persone come te preziose, mi aiutano a comprendere la vita. Forse noi donne ci ripetiamo ma la storia è sempre la stessa, spiace dirlo ma è sempre una lotta fiaccante, ti fermi a volte ma riprendi il cammino. Se permetti mi piacerebbe pubblicare il tuo testo sul catalogo che farò per alfabeto morso, raccolgo più testimonianze, un contributo alle donne per le donne, il progetto in sintesi è questo, alfabeti comunicazione linguaggi e parole …per decifrarci di più… è sempre l’ora, poco cambia, il nostro è un contributo all’arte e alle donne. Grazie Tania in attesa di una tua conferma, ti saluto caramente Elena


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Cara Elena, il network serve a questo. A sentire che un linguaggio c’è ed è comune. Siamo tutti neri, siciliani, ebrei, palestinesi, russi e americani. Donne atavicamente calpestate, dee castranti e castrate; siciliane gravide di doni e maledizioni. Il web esattamente serve a darsi la voce, come le missive, all’epoca della carta (come unico supporto), assolvevano il compito di tenere la rotta fra pensatori, poeti, filosofi, letterati, mecenati e scrittori. Noi tramandiamo, con nuove tecnologie, la memoria dell’odore e del peso che “la carta” ha avuto nella Nostra storia comune. Bisogna sfatare un mito, o una mitologia, cattolico: non è affatto vero che chi soffre è più sensibile e disponibile. Sulla mia strada i frustrati e gli infelici si sono trasformati quasi sempre in carnefici. I mediocri ostacolano l’ascesa di uomini e donne ai margini di quella specie elevata di notorietà che fornisce loro anche il salvacondotto per quel lavoro pulito, al quale la maggior parte di noi aspira. Ci consoliamo pensando che a essere corrottisi faccia una fatica terribile e si dorma poco. Boia senz’anima né etica spadroneggiano nei pubblici uffici e nelle università, con atteggiamenti vili con i potenti e prepotenti con i senza nome; terrorizzati che la loro mediocrità, unita a un millantato quanto fittizio culto dell’ottimismo, sia appannata dal talento, dalla forza, dal pensiero trasversale di una donna. Grazie a te Anita T.Giuga

Francesca Maranetto Gay

Carla Della Beffa

Anita Tania Giuga è Critico d’Arte, poeta e contributor per testate di settore: Flash Art, Juliet, Insideart, Espoarte, art a part of cult(ure), Giudizio Universale, Demetra, Golem.

Giulio Nocera


VIANDANTE VIRTUALE di Irene Ester Leo

Ho sempre pensato alla rete come ad un grandissimo mosaico, un nonluogo per citare Augé, dove ogni cosa ha una personalità umana di rimando, in se’ non esiste è a beneficio di chi ne fa uso, è il mezzo e non il fine. Ecco in questo contesto del mezzo inteso come servizio, mi sono immaginata viandante in movimento. Viandante e non Pellegrino. Il primo percorre strade che non sono segnate, le segna con il proprio passo, il secondo ha di già una rotta prefissata e si limita a seguirla. Le potenzialità in uno spazio virtuale privo di confini ed il suo contrario, sono innumerevoli, pertanto è inutile fissare una rotta delineata. Sono approdata a questo mondo con un vecchio modem 56K, di quelli rumorosi e coreografici. Avevo diciotto anni e gli occhi liquidi come da bambini di fronte ad una vetrina di dolciumi. Ogni cosa era sorpresa e novità, i browser pesantissimi da caricare, la linea incostante, i tempi di collegamento spesso ristretti viste le tariffe non vantaggiose. Il che voleva dire programmare, costruire un’idea, proporla in senso pratico. Il tutto secondo un sistema prestabilito ma veloce. Il mio primo esperimento? Un piccolo litblog su una piattaforma ancora dondolante, che un giorno ogni quattro perdeva colpi. Da lì i primi contatti con la letteratura della rete, esperimento che poi divenne cartaceo, una pubblicazione, un poema collettivo. Il mezzo internet mi aveva portato a conoscere persone reali, così come capita in piazza, o quando si prende il bus. Ma la cosa bella fin da subito lampante agli occhi fu che queste persone avevano con me in comune tantissimo, più di quanto avrei potuto trovare per caso, in altre occasioni. Il tutto sicuramente in maniera più rapida. Da qui l’illuminazione: la condivisione quale finalità unica per far gruppo, confrontarsi in maniera critica anche, crescere, contaminarsi, uscirne non diversi ma nuovi. E allora altra esperienza in merito, un modem veloce adsl, maggiore accessibilità e flessibilità. E persone. Gente complementare ai miei principi e al mio modo, altra invece sulla stessa lunghezza d’onda. Ogni metro pronto a insegnare e a lasciare qualcosa. Ora accade con molta più frequenza grazie anche ai social network grandi motori di aggregazione, utili ma velocissimi, il che è rischioso, anche se poi è confortante notare che i punti saldi di ognuno di noi non vengono toccati se si rimane fedeli a se stessi e non ad un nikname. Calibrarsi non è semplice, dove ogni cosa ha un’eco deformante, e spesso diventa responsabilità scrivere, così come mostrarsi è un’arma a doppia lama, ma questa è

una sfida che fa bene in fondo. Come accennavo la scrittura quindi, la poesia che nello specifico mi riguarda, ha segnato il mio passo ed ha trovato una sua evoluzione naturale in questo grande giardino stratiforme e bizzarro e multimediale soprattutto. La poesia fatta di parole e poi voce e poi suoni ed immagini nette, la comunicazione si colora in questo senso di diverse luci, in successione cromatica. Un’evoluzione che non lascia indifferenti, per me che scrivevo da che ero bambina, sui fogli di carta però, retrocopertine, ai margini delle pagine dei libri cose che spesso rimanevano là, ferme, bellissime e ieratiche, ma private dell’occasione di specchiarsi nell’altro, nell’altra idea, in altri approcci. Ora a trent’anni, mi dico che tutto ciò è una fortuna, chè lascia cadere timori reverenziali questo modus di intenet, cancella le distanze e costituisce un quasi abbattimento della formalità. Ma mi preme ribadire che in questo passaggio di stato in stato di evoluzione in evoluzione, la crescita si è fatta personale, sempre umana e mai simulacro, sino alla messa a fuoco totale di una sorta di poetica non inscatolata ma viva, come i tralci dell’uva. La scrittura per come la intendo io è una morte sottile, poi rinascita, sotto la sostanza di nuova pelle. E’ violento l’input che la genera e si sbiadisce tra le parole mediate dalla luce. Nasce dall’ombra è tutta fatta di veli e punte, e di assenze. Di innumerevoli assenze senza tempo e luogo. La mancanza pregevole ed assettata che spinge il viandante di Nietzsche, appunto, per vie mai nate prima del passo che avanza. Lo stesso dettato da una conoscenza che ambisce ad un cielo più chiaro, e di contraltare ad una notte più nera. Nessuna reazione consona al viver quotidiano, ma la consapevolezza del viaggio in quanto unica salvezza possibile. E’ un incastro, è una feritoia questa volontà che alla scrittura anela, e di poesia canta. Sgraziato, sempre, umano, terreno che si sporca e si riempie il grembo di terrena compassione: certezza che per giungere alla sapienza sospesa nelle altezze degli occhi, strisciare nei reconditi anelli della materia, è necessario. Non cerca di piacere, né di catturare. Rimane sul margine del lettore, si mostra nudo questo movimento, pieno di coraggio, vuoto di armature. E si lascia spettinare le vesti dal vento, e lo fa nella rete, questo straordinario mezzo, che va ritenuto mezzo e non fenomeno ma anche sulla carta delle mie pubblicazioni. All’oggi dico che è impossibile arrestare il futuro, occorre essere parte integrante di questa eterna oscillazione, sempre ciclica, evolutiva.


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Mai ferma, sempre un po’ oltre. Ma occorre anche mediare: buon senso e spirito creativo sottobraccio, ecco gli ingredienti. Carissima Irene, la tematica è ampia eccome, ma io punto sull’esperienza personale, sul come e perchè una donna di talento, di poesia,(nel tuo caso donna artista quindi) si sia trovata a condividere la propria immagine, il proprio vissuto e le sue parole sul network, è un desiderio di uscire dalla conformità? di aprirsi a un mondo che essendo virtuale non assale e non giudica direttamente? Da parte mia mi trovo qui perchè mi piace condividere, apprendere soprattutto da te, da altri ecc mi incanto a vedere l’immaginario altrui attraverso le opere, le rime e tutto ciò che viene introdotto in questo placido (non sempre) stomaco di facebook, inghiottito ad alta velocità ...direi. ecco vorrei avere l’esperienza tua personale il tuo pro e contro se c’è, se nella vita è uguale o trovi che è solo apparenza. spero di averti consigliato bene, ma io so che tu hai molto da dire, ed io al confronto svanisco, grazie per il tuo prezioso contributo, ciao un buongiorno sincero da Elena

Youliana Manoleva

Irene Ester Leo si occupa di scultura e modellazione di materie plastiche; è Critico d’arte, illustratrice, crea eventi culturali, è performer, autore-poeta.

François Nasica


NEANCHE ZEUS E’ RIUSCITO A FECONDARE QUANTO IL WEB di Maria Vittoria Berti

Sono anni che mi basta azionare un pulsante per trovarmi nello spazio infinito a scegliere una direzione. Sul mio tavolo c’è una comoda astronave. Sedici anni di navigazione web contro trenta di non navigazione, eppure oggi non potrei farne a meno. Addiction? Depauperamento intellettuale? Perdita di veri valori sociali e di comunicazione? Una volta cercai di spiegare ad una persona che il web non è lo stesso per tutti, ma nemmeno il mondo reale lo è. Si può uscire una sera per andare a teatro od a puttane. La scelta di una ipotesi non è fatta dal mondo, contenitore ecumenico, ma da chi esce di casa. Se per vivere nella realtà ci vuole una struttura caratteriale e culturale che ci permette di seguire alcune direzioni piuttosto che altre, lo stesso è per il web. Provo una bruciante antipatia per chi demonizza ogni cosa in nome di chissà quale purezza perduta. Non sopporto quelli che dicono che una volta era meglio, anche perché non mi risulta proprio, dati alla mano. Mi infastidiscono persino i prodotti biologici e le ideologie new age. Sono e voglio essere cittadina contemporanea del mondo, che non è così perché un misterioso alieno lo ha edificato in una notte, non lo abbiamo trovato al risveglio, è prodotto umano, e noi siamo gli umani. Nonostante questo, ho anche un legame forte con la cultura tradizionale, fatta di serietà, impegno e sacrificio. Ma essa è base per nuovi orizzonti, non impedimento. Non è una muraglia fortificata dietro cui sentirmi sicura, ed è proprio grazie a quel poco di nozioni ragionate che ho, se capisco che bisogna mollare gli ormeggi, lasciarsi portare avanti. Lo sguardo al faro serva da punto di riferimento per navigare, e non ci si leghino lunghe corde cui aggrapparsi. Siamo o non siamo figli di Colombo? Dobbiamo lasciarci modificare, non opporre resistenza. Non è facile per me, imbevuta di nozioni antiche, leggere scritti di giovani che introducono nell’alfabeto italiano lettere che non ci sono, la “k” per esempio, al posto del “ch”. Ma conosco il mutamento delle cose, so che una contrazione grammaticale è normale ed inevitabile nell’evoluzione di una lingua. So che una tastiera sostituirà la Bic dal tappo masticato. Mi disturba enormemente leggere però la “k” davanti alla “a” od alla “o” od alla “u”. Di quella mutazione non ci sarebbe alcun motivo, ma accade per ignoranza di base. Allora, per proprietà transitiva, bisogna dire che è l’ignoranza ad infastidirmi, quei paraocchi che generano ideologie inespugnabili, che impediscono la libera osservazione critica, che forniscono pe-

ricolose deviazioni. Giorni fa, ad una conferenza su due fotografi di spicco nel panorama mondiale, l’eminente relatrice ha esordito dicendo che si trattava di “vera” fotografia, “niente digitale”, cito testualmente. Ed in quel “niente digitale” si esprimeva un fastidio, un compiaciuto rifiuto. Di certo la signora non naviga sul web se non utilizzandolo come un postino od un taxi, e non degna di alcuna considerazione le sue infinite possibilità. Ma ha la pretesa di fare cultura, cultura vera intende lei. Io invece vorrei sapere quale sia la cultura. Ho almeno il dubbio. Sono uno storico dell’arte (come lei, ma molto meno quotata), e credo nella tecnologia e nel web. A patto che davvero lo si usi come nuovo mezzo e non per duplicare ciò che si potrebbe fare altrimenti in modo consueto e magari anche più facile. Ho partecipato a progetti, curato mostre virtuali, presenziato, in forma di avatar alato, a vernissage on line. Certo, i contenuti cui noi siamo abituati, fatti soprattutto di parole e di scritti, in ambito virtuale si riducono al minimo necessario, ma si ampliano invece contenuti sensoriali differenti, fruibili attraverso nuovi pori che dobbiamo imparare a tenere aperti. Gli artisti sono più bravi in questo. Alcuni lo hanno capito da subito, il web avrebbe potuto creare nuovi orizzonti e stravolgere velocemente molte regole. L’arte visiva è privilegiata. E’ immagine, come la natura del virtuale, mentre altre forme d’arte non possono che replicarsi ed adattarsi. Ed essa è inoltre da sempre la creazione di ambienti metareali, inventati, impossibili o sognati, lontani, immaginati, e si può andare avanti all’infinito. Il web ha fornito ad essa un reattore per viaggi prima inimmaginabili ma, come per la “k” di cui sopra, la rotta va razionalizzata sin dai suoi intenti iniziali. Chi riesce in questo viaggia, chi non lo intende perde tempo. In fondo è sempre stato così, bisogna avere qualcosa da dire, un progetto, ancor prima della tecnica con la quale dire. Arte visiva e virtuale sono due ambienti che si appagano l’un l’altro. Il valore comunicativo dell’immagine, potenziato dal mezzo attraverso cui si diffonde, raggiunge oggi anche utenti inconsapevoli, parla cioè anche a quelli che nemmeno si rendono conto di ascoltare. E’ un gioco riproduttivo, l’inseminazione del mondo che ha occhi. E, se oggi gli occhi sono sul web, esso dimostra allora di essere il mezzo più fecondante in assoluto. Nemmeno Zeus riuscì in un numero così alto di fecondazioni. Il virtuale produce una serie innumerevole di figli-pensiero, che a loro volta generano nuovi figli-pensiero, moltiplicandosi all’infinito.


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I figli-pensiero sono immateriali, godono allo stesso tempo dell’astrattezza della carne e dell’esistenza dell’idea, sono dunque pura possibilità senza corpo. Liberandosi della pesantezza della materia, tutto fluttua così nell’etere, costruisce e distrugge mondi, si teletrasporta da un capo all’altro di una galassia immaginaria, si traveste, si inventa, si stravolge. E, grazie alla velocità con cui le informazioni ed i contatti avvengono via internet, il mezzo si offre anche e soprattutto, al suo uso più facile. Una volta un pittore mi disse: “in un mondo di ciechi non dipingerebbe nessuno”. L’arte ha bisogno di essere vista, gratificata dagli sguardi. Raggiungerne il più possibile è banalmente lo scopo più perseguito sul web, diffondersi, propagarsi, farsi visibile, esistere e, perché no (anzi, soprattutto) sperare di ottenere la considerazione di qualche gallerista, critico o collezionista senza dover attendere, come un tempo, che essi si presentino alla porta dello studio. E’ la legge del mercato, non è più il compratore che va al prodotto, ma il prodotto al compratore, e più probabili compratori si raggiungono più sono le possibilità di farcela. La vetrina My Space è l’apoteosi di questo concetto facilissimo. Si perde poesia, ma si guadagna realismo. Si rischia di rendere l’arte merce banale, pare terribile, ma se questo è, rimane a noi che facciamo l’”arduo” mestiere il compito di selezionarla e riportarla per quanto possibile nel suo ambito aurato. Non si può contrastare la corrente. Il mare è forte e la corrente è la spinta dell’uomo. Sempre per il motivo che il mondo non è il paradiso creato in sette giorni da un’entità estranea, ma una costruzione tutta umana. Io sono grata al mondo immateriale di avermi fatto conoscere opere di artisti che non avrei mai visto altrimenti, sono grata al web che confonde le carte della realtà con quelle dell’irrealtà, che offre speculazioni filosofiche infinite, che mi permette di essere ovunque ed allo stesso tempo nella mia casa. E’ sempre chi esce la sera che decide se andare a teatro o andare a puttane.

Maria Vittoria Berti è Critico d’Arte.

Luigi Aghemo


LA DONNA CONNESSA di Martha Nieuwenhuijs

Non è stato facile decidere di avventurarmi nel bosco incantato di Internet. Molti i pregiudizi, in gran parte giustificati, le perplessità, le riserve, ma grande anche la curiosità di studiare un fenomeno come quello dei social network, di conoscere e capirne le dinamiche, le potenzialità, il linguaggio. E’ così che mi trasformai da un giorno all’altro in una “donna connessa”. La prima cosa che mi colpì una volta entrata nell’agorà virtuale fu il desiderio di condivisione, una condivisione a livello planetario… vedere e condividere opere e pensieri con artisti di ogni paese dava la sensazione inebriante di sconfiggere i limiti dello spazio e del tempo, volando in un flusso continuo di proposte, scoperte, stimoli, ritrovamenti e nuovi incontri. Alla donna connessa spuntarono le ali. Belle, bianche, fragili…adatte ad un volo simulato in un mondo di amici e doni virtuali, in cui basta un click e ogni elemento di disturbo viene annullato. La donna connessa, come l’uccello, dalla sua gabbia osservava il mondo attraverso il rettangolo del suo monitor. I colori seccavano sulla tavolozza…forse fu uno sguardo desolato ad una tela interrotta che insinuò i primi dubbi…c’era una scala… doveva tornare a respirare l’aria del mondo reale. Perse le ali e ritrovò la sua pesantezza fatta di domande, riflessioni, divagazioni che puntualmente annotava nel suo “Journal d’artiste” tra uno schizzo ed un bozzetto. Si chiedeva per esempio “Che senso ha la condivisione in Internet? La rapidità del flusso di notizie, temi, problemi, video che scorrono ma su cui non ci si sofferma non rischia di togliere significato alla condivisione?” e ancora “La quantità di stimoli non finisce per disorientare in modo che dinanzi a tante scelte non se ne faccia alcuna? Quali ripercussioni vi sono sulla vita reale per un abuso di comunicazione virtuale , non si rischia una specie di dissociazione tra fisico e mente che porta ad abitare sempre più il virtuale e a sentire il fisico come una specie di zavorra?” Un altro giorno annotava “In un mondo sempre più violento e che offre sempre meno speranze, in cui ci si deve confrontare con problemi ogni giorno più complessi, il virtuale non finisce per costituire una via di fuga?” I dubbi si moltiplicavano, si chiedeva ancora “ L’uomo di oggi, perennemente collegato tramite cellulare e connesso in rete, è ancora capace di rimanere solo con se stesso e di interrogarsi? Oppure questo uomo connesso non è in realtà disperatamente solo?” Ma il dubbio che pian piano si insinuava come un tarlo riguardava le ripercussioni che la visionedi un flusso costan-

te di immagini poteva avere sulla creatività di un artista. Quest’ultima domanda, come artista, era per lei la più inquietante.…mai come in questo “tempo connesso” aveva sentito, dopo una prima sensazione di stimolante confronto, la mancanza di ispirazione e di disorientamento. Il processo creativo è un fenomeno molto complesso, fatto di ascolto del proprio mondo fantastico, di silenzio per lasciar riaffiorare memorie e sedimentazioni del nostro subconscio, di bisogno di credere che siano importanti e soprattutto che si è capaci di elaborarle, tradurle in un espressione artistica. Necessita di concentrazione, energia, di uno stato mentale che arriva alla trance creativa. Tutto questo viene disturbato da un flusso di immagini, per lo più molto colorate, che non è affatto senza conseguenze per la nostra mente, per lo sguardo. Queste perplessità sulla comunicazione virtuale si riferiscono certamente a un uso improprio di un mezzo dalle potenzialità straordinarie. “La libertà è partecipazione” cantava Gaber…In questo senso Internet, nonostante risvolti ambigui che riguardano per esempio il controllo e la manipolazione di dati e notizie, è senz’altro un ineguagliabile mezzo democratico che dà voce anche a chi non l’ha mai avuta e ha permesso l’organizzazione di eventi che hanno superato ogni previsione. E’ importante per la politica, per il sociale, e per l’arte poiché può togliere l’artista dall’isolamento a cui lo condanna il perverso meccanismo del sistema dell’arte contemporanea. Riuscire attraverso la rete a tessere rapporti che poi si concretizzano in incontri e condivisioni nella vita reale, come è avvenuto per il progetto Alfabeto Morso, questa è la vera magia della comunicazione virtuale.

Martha Nieuwenhuijs


HO FAME DI UN DIALOGO di Solidea Ruggiero

Ho fame di un dialogo. Non sono stitica nella torica, che forse questo sistema che sembra alle convinzione di voler essere contaminata, di vo- volte cosi aggressivo, invadente e virale, ha dato ler contribuire alla promiscuità delle idee, alla l’opportunità a chi non aveva mezzi pratici, economescolanza di visioni, che siano esse parallele mici, o che non era dentro a certi circuiti –storicaalle mie, o meglio di direzioni completamente op- mente viziati e viziosi, chiusi come piccole lobby poste. Ho fame di capire, di scrutare, di ricono- – di emergere, di condividere, di confrontarsi, di scere. L’avvento tecnologico dei nuovi strumenti far conoscere i propri lavori espressivi, la propria di veicolazione del pensiero, è già, a mio avviso personalità artistica, il proprio interno intelletto, “l’opera nell’opera”. Basta non subirlo, basta non la capacità singola d’interpretare e d’indagare le rimanere passivi, basta governarlo per renderlo incognite dell’essere umano, la storia e la sue mefunzionale agli scopi necessari. E quello che è tamorfosi, senza cedere a compromessi alcuni. E necessario non è la chiacchiera, non è un voyeu- questa è una conquista a mio avviso, una grande rismo spicciolo, ma per l’appunto una comunica- conquista!. Ritorno a sottolineare: è poi la capacizione diretta, tesa e propensa alla divulgazione di tà di selezione, la ricerca meticolosa come dentro espressioni d’intelligenza, di creatività, di eman- una grande antologia culturale che fa la differenza cipazione della nostra cultura -ad oggi troppo e l’atto stesso decifra il tutto. E’ una nuova forma spesso deviata- in qualsiasi forma noi la ricono- di con-divisione e di connettività. Il luogo poi, la sciamo e la sviluppiamo, tenendo sempre in luce stanza, il salotto, una chat, una mail o un sito web, dei punti fondamentali come l’etica, la coscienza, un social network, sono solo altre forme d’inconla dignità e il rispetto del valore umano. E lo stu- tro che la storia ha evoluto, una nuova idea, forse, dio e la ricerca in questo calderone di input come di corrente culturale che l’intelligenza dell’uomo ad esempio la rete e il web in generale, la capaci- ha creato, sviluppato e sfruttato, ogni volta che si tà umana, intellettuale, culturale e quindi critica, è sentito chiuso. Che poi, dall’immaginato al reasono l’atto che fa la differenza, con cui si distin- le, dallo scritto al toccato, si fa presto a divenire guono i contenuti, si scelgono delle prospettive, presenti, ad esserci e sentire il bisogno di assisteda cui nascono nuovi linguaggi. Che poi questo re, d’incontrare quello che ci ha colto e catturato, avvenga come un gioco, un telefono senza fili di a ritornare alla forma essenziale dell’umano, della parole dette sottovoce all’orecchio dell’altro o at- presenza umana che è inevitabile. traverso il peer to peer, non è importante, è solo una metafora. Lo strumento in questo caso può fare la differenza. E’ vero che i canali mediatici dal giornale, alla radio, dalla tv alla rete, incessantemente subiscono un degenero delle informazioni, un ostentare di bassi profili venduti come interessi di massa, uno svilimento di meritocrazia, un abbassamento delle qualità e delle competenze, ma è pur vero, che è proprio grazie alla libertà, alla Solidea Ruggiero, autrice e scrittrice facilità, all’immediatezza di quest’ultimi io sono qui a scrivere, vengo a conoscenza di progetti di valore e d’ interesse come Alfabetomorso e En plein air, che scopro che esistono ancora figure importanti come quella di Elena Privitera. Io nella rete ho ritrovato i Maestri, che si erano depistati a causa di un’allergia diffusa verso la miseria delle incompetenze. E la nostra epoca ha bisogno dei Maestri. Io nella rete mi sono contrapposta, ho trovato un modo per oppormi a certi stereotipi, ho potuto agire attraverso la parola, la mia, condividendola con un raggio di utenza che mi sarebbe stato impossibile altrimenti e questo solo grazie ad un passaparola virtuale. Io nella rete mi sono Nicola Bolaffi distinta. Con questo voglio dire, eliminando la re-


OUTSIDE OF THE INTERNET THERE IS NO GLORY di Lorenzo Marchi

Nell’aumento esponenziale dello spazio comunicativo, con le finestre aperte di Facebook e di Flickr, con le email dei portali d’arte che vengono gettate dagli strilloni sulle nostre soglie, prevale l’atteggiamento scettico (e ascetico) della distanza fisica. E’ generato dal rumore, dalla sovrabbondanza e dalla ridondanza. Le chimiche e le dinamiche della rete permettono la moltiplicazione dei pani e dei pesci, le piazze si moltiplicano come in una scia di specchi, rimpicciolendo gli oggetti alla vista a all’udito, come funzioni esponenziali del tempo tendenti a zero. Rimane la riserva di verificare se, in questa moltiplicazione miracolosa di bond informativi i pani saziano e i pesci nutrono. Buona regola è quella di controllare l’etichetta della filiera del prodotto, ammesso che sia identificabile. Sugli scaffali, tra i molti prodotti industriali dal sapore edulcorato e omologato, qualche elemento di materia prima e di processo indipendente si può trovare. Corridoio di supermercato o piazza virtuale, i colori, le etichette e le voci si coprono l’una con l’altra, in sovrapposizione di visibilità. Occorre muoversi fra gli oggetti e i soggetti per dar senso al grido, alla chiamata, al gesto, all’espressione dell’idea. Scettico è l’occhio che va sull’icona, immaginando l’immagine reale, l’astanza, i particolari compressi in jpeg, lo spessore attraverso l’ombra fissa di un mondo tolemaico, l’odore attraverso il filtro freddo o caldo della luce digitale. E’ la conclusione inevitabile e il trionfo del valore di scambio universale della merce informazione rispetto al suo valore d’uso particolare, locale. Anche nell’arte, con poche eccezioni. Se non ci fossero stati Duchamp e Warhol, il capitalismo avrebbe trovato altri soggetti per registrare il ready-made e l’icona come trademark e nominare la concettualità a sistema. Una concettualità che dilata e sperde l’orizzonte, come un universo in espansione. Restano le forze gravitazionali, che ci ancorano alla terra, ma Picasso è entrato nel secondo novecento come un sopravvissuto senza saperlo.

Elisa Cella

Sonia Agosti


NEL SEGNO DELL’ANGELO 1991/2008 di Alberto Terrile

1) Genesi Nel gennaio dell’anno millenovecentonovantatre, la vita, cogliendomi di sorpresa, mi offrì l’opportunità di sperimentare una profonda crisi personale. Avevo perso tutto nella frazione di un battito di ciglia : gli affetti, la voglia di creare e il lavoro. Lasciai la mia casa coperta da un manto di polvere, per trasferirmi da un amico. Il giorno e la notte erano un continuum. Il tempo scorreva lento, ed io sopravvivevo nella penombra di una tapparella abbassata. Non mangiavo nulla e mi muovevo meno. Non c’è recinto che possa contenere l’anima umana. Senza gioia, giocherellavo con la gatta e bevevo forte, scendevo giorno per giorno in un abisso del quale pareva impossibile intravedere il fondo. La prostrazione non tardò a manifestarsi: reggeva tra le mani la mia volontà come fosse un corpo morto. Venne per annunciare che l’ispirazione era perduta. Il buio scese fitto dentro di me sino a penetrare ogni fibra. Una notte, una delle tante in cui non riuscivo ad appartenere al sonno né alla veglia, mi parve d’udire una voce che bisbigliava queste parole:- quando l’ispirazione si palesa, devi lasciare ogni cosa e incamminarti sulla via che ti si apre innanzi. Non chiederti il perché, né cosa significa o potrà significare, accetta che sia una forza superiore a te, non contrastarla. Affidati a lei. Sii umile e abbandona quanto conosci, ciò che ti è stato insegnato e quanto hai appreso da solo. Lascia che sia lei a lavorare in te. L’immaginazione è una fanciulla bellissima. Sorge sulla soglia della tua vita, desidera incontrarti per intrattenersi un po’ con te. Per lei, la tua porta dovrà essere sempre aperta e la tavola imbandita. Se imparerai a conoscerla, non verserai lacrime quando la vedrai scomparire perché, così com’è giunta, se ne potrà andare. Ricorda:- quando viene non la si può contenere;quando va, non la si può fermare. Non avere timore, se il tuo cuore è puro e l’anima pulita, lei tornerà da te. Poco prima del mio trentaduesimo compleanno, nel mese di marzo decisi di voltare pagina trasferendomi a Parigi dove Larrio(1) poteva ospitarmi. Presi possesso di una stanza con vista sul retro del Moulin Rouge, in boulevard de Clichy, zona Pigalle, poco sotto Montmartre. Non conoscevo assolutamente la lingua francese; la mia maestra fu una bimba senegalese di 6 anni che viveva con la sua famiglia nello stesso immobile. Attraverso la forma semplice dei suoi costrutti cominciai ad apprendere la lingua e a comunicare, sebbene, a parte Larrio, Birdy(2) e Carolyn Carlson(3), non conoscessi altre perso-

ne nella capitale francese. Ero partito con pochi soldi che cercavo di gestire accuratamente come potevo. Per integrare il fondo, ogni tanto suonavo l’armonica a bocca con un chitarrista di strada conosciuto per caso in rue des Abbesses. Con i pochi franchi raccolti, mangiavo un sandwich o acquistavo della vodka al supermercato. Il bere non aiutava a dimenticare i dolori. L’alcol faceva riemergere figure scomparse tragicamente, amici che si erano consegnati in circostanze diverse alla morte. L’umore era quello di un giovane come tanti, arrabbiato con la vita e con il mondo, incapace di comprendere che i semi di quel malessere si trovavano interrati nel suo giardino.Una sera, un forte temporale mi sorprese mentre ero ancora per strada. Trovai riparo in un bar tabacchi in rue Lepic, ordinai una birra, e scolo d’acqua presi a scrivere di getto questa frase su un foglio di carta che avevo in una tasca: Le forme simboliche vuote, ricevono l’immaginario delle masse. Preferisco abitare la periferia del sistema, nella quotidiana sospensione tra il Paradiso e l’Inferno di ogni mia giornata. Già da un po’ di tempo(4), forse inconsapevolmente, realizzavo immagini legate alla gravità e alla sospensione, immagini che assunsero nel 1991(5) l’aspetto di figure sospese in aria. Quella sera, debitore verso quelle parole scaturite in un momento della vita che consideravo “non felice” compresi due cose sul concetto di Tempo: 1) Stavo dando una forma al concetto di “rappresentazione dell’invisibile”attraverso il mezzo fotografico, che ha la specificità di “non poter prescindere dalla realtà”. Non è possibile fotografare ciò che non esiste. (6)Noi vediamo dei corpi che si sollevano da terra come se si sprigionasse una forza dal basso verso l’alto, le persone sembrano sollevarsi, come se ci fosse una forza contraria alla gravità. E’ come se nell’immagine fotografica si potesse impressionare ciò che non è fotografabile, quel mondo che non appare agli occhi di chi è incarnato nello spazio e nel tempo. La sospensione di un corpo, non visibile dall’occhio umano, è resa possibile dalla rapidità del tempo fotografico che congela la frazione di secondo in cui un corpo fisico, compiendo un salto, raggiunge un culmine nel quale resta sospeso, prima di ridiscendere verso il suolo assecondando la gravità. Poeticamente, è come se, nell’immagine fotografica, si potesse impressionare ciò che non è fotografabile. L’Angelo personifica una direzione e un senso, ha la sua origine nella divinità ma la sua traiettoria passa attraverso il mondo umano.


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2) Un atteggiamento corrente consiste nel giudicare il tempo mentre lo stiamo vivendo. Come scrissi ad un’amica : ...sia benedetto ogni giorno, quello bello, così come quello brutto. Non voglio chiamare un giorno “brutto”, semmai “disarmonico”. Il giorno che porta quel nome disonorevole, è il tempo che non capisco, il tempo che non accetto e che credo di non potere amare. I miei giorni belli, oggi come ieri, sono gli stessi. Sono giorni in cui non odio, non piango, giorni che non mi sporcano di malinconia. I miei giorni belli sono verdi d’erba e non hanno mai gli occhi stanchi.Iniziò in quel locale, al riparo dalla pioggia, la consapevolezza del viaggio che avevo intrapreso da alcuni anni. (7)”Non il cielo. Non il Paradiso. Non il sopra. Non il dentro. L’Anima non è né sopra né dentro. E’ un vagabondo sulla strada. Non attraverso la meditazione. Non attraverso il digiuno. Non esplorando un Paradiso dopo l’altro, all’interno di sé, come i grandi mistici. Non con l’esaltazione. Non con l’estasi. Non per mezzo di un qualsiasi di questi sistemi l’Anima potrà entrare in sé stessa. Solo imboccando la strada. Non attraverso la carità. Non con il sacrificio. E nemmeno con l’amore. Non per mezzo di opere buone. Non è attraverso queste cose che l’Anima si realizza. Solo con il viaggio sulla strada. Il viaggio in sé stesso, lungo la strada. Esposti al contatto. Su due piedi lenti. Incontrando chiunque passi sulla strada. In compagnia di coloro che vagano nello stesso modo lungo lo stesso cammino. Verso nessun obiettivo. Sempre la strada.” Lungo il percorso, che ancora oggi non è giunto al termine, ho incontrato tante persone che camminavano al fianco delle loro opinioni. Non mi scoraggiai quando mi dissuasero dal proseguire. Sapevo che: l’uomo in viaggio può non conoscere la meta, ma comprende la motivazione di quel cammino. L’uomo in viaggio non porta bagaglio, ma ha con sé, nel profondo, la bellezza che è in grado di riconoscere nel mondo.Adoperando come bussola il cuore incontrerà sul suo tragitto, quindi con i tempi della vita, le persone fondamentali affinché questo percorso si schiuda alla verticalità e non sia un mero pellegrinaggio sulla linea dell’orizzonte. 2) La figura dell’Angelo/ Spazio reale e spazio poetico La figura dell’Angelo è radicata nell’immaginario collettivo da secoli. Nell’antichissima tradizione indiana troviamo i Deva, in Arabia i Djinn.. Gli Angeli si manifestano anche in Israele, nella

Qabbalah ebraica così come tra i protestanti, che attraverso il cinema (Chaplin, Disney, Lubitsch, F. Capra) hanno affrontato il tema angelico. La storia dell’arte medioevale, rinascimentale e barocca li innalza ai nostri occhi attraverso pale e dipinti, affreschi e sculture. Il passaggio dal novecento al nuovo secolo è contraddistinto, invece, dal triste primato dell’angeologia consolatoria e pacchiana del movimento new age che, in virtù di un sincretismo da ipermercato globale, porta i messaggeri alati a volare nel punto più basso della loro storia. Thomas Merton afferma: - ...quando ci abbandoniamo a Dio impariamo a riconoscerlo non nella “presenza” che si ritrova in una considerazione astratta in cui lo vestiamo dei nostri fronzoli,ma nel vuoto di una speranza che può avvicinarsi alla disperazione, perché la perfetta speranza si acquista sull’orlo della disperazione, quando invece di cadere oltre il ciglio del burrone ci troviamo a camminare per aria. La storia che vi racconto è questa: disperazione e redenzione sono sorelle che dormono nella stessa camera, in letti vicini. La terra attira a se l’uomo per legge di gravità, e l’uomo è attratto dalle sue lusinghe ( potere e ricchezza) come da un campo magnetico. L’uomo nasce e muore con i piedi sulla terra, la stessa dove troverà sepoltura. Questi miei Angeli sospesi si rivelano prendendo sembianze umane e un corpo in prestito. In questo senso è possibile una discendenza iconografica con gli Angeli Biblici. Angeli dagli sguardi severi. Nei loro occhi, vive il riflesso della nostalgia per l’imperfezione dell’uomo vissuta come una “mancanza”. In questo sentire c’è una condivisione dialettica con gli angeli rappresentati nell’universo Wendersiano (8). Li raffiguro mentre con un gesto della mano annunciano. L’indice puntato in alto è il momento dello “svelarsi” nell’attimo. E’ lo svelarsi di mondi che abitualmente sono interdetti al nostro sguardo ancorato a terra. De Goncourt scrisse che “ Imparare a vedere è il tirocinio più lungo in tutte le arti” Quanto mostro non è l’intero, ma solo una parte di un dittico o di un trittico, così come nelle rappresentazioni sacre conosciute col termine di “Pale”. Sposando il concetto di “opera aperta”, offro allo spettatore il ruolo attivo per completare questo lavoro. “..Quando ero in manicomio, e vedevo l’erba dalla parte delle radici,ero convinta (e ancora lo sono) che il grande arazzo della volontà divina lo vedano gli angeli,mentre noi,incamminati verso l’indolenza o il sacrificio estremo,non comprendiamo nulla.” Alda Merini. Un tempo, gli “ini-


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ziati”, coglievano aspetti del “reale” che altri non potevano vedere. Erano persone che, avendo intrapreso un cammino interiore, avevano la capacità di porsi “sulla verticale dell’anima”, aprendosi a nuove dimensioni. La cosa più difficile per l’essere umano è prendere distanza dal falso io, l’io che esiste solo nei desideri egoici , l’io che fa credere che questa sia l’unica realtà fondamentale della vita. I miei Angeli, appena staccati dal suolo, restano vicini al mondo, ridotto ad elementi essenziali quali stanze chiuse, cantieri, strade, rotaie. Attraverso la loro sembianza, si fanno messaggeri di questo “stato dell’essere”. Le vesti, i gesti e lo spazio, rimandano attraverso la bidimensionalità della fotografia, alle altre dimensioni. La scelta dell’abito, spesso bianco e sobrio, ha la funzione di evocare la quarta dimensione: il viaggio attraverso il tempo. Le ali, che spesso compaiono nell’iconografia angelica tradizionale, in questa mostra sono visibili in una sola fotografia(9), con la complicità dell’ombra portata, di cui Masaccio fu maestro(10).In alcune immagini, la figura angelica ha la sua ombra congiunta, segno di una non permeabilità assoluta del corpo. Nel contempo, l’ombra, si colma dell’essenza sottile dell’essere. In accordo con gli assunti di C.G. Jung, mostro l’ombra per significare un mondo che sta dietro la maschera della persona, i sotterranei dell’anima. E laddove, nei miei scatti, l’ombra manca, non è tanto il segno di un’anima assente, quanto piuttosto, simbolicamente, della possibilità di essere rassicurati. Lo “smarrimento” dell’ombra, la sua perdita, cioè, sono il segno del “pienamente umano” tragicamente, eternamente ( un tempo eterno quasi infernale) sospeso fra la speranza di una redenzione e la certezza di un esilio indesiderato. Nel segno del tragico, i miei Angeli, rappresentano un dramma senza redenzione, perennemente assorti nella contemplazione del divino, che è lontananza irriducibile, fermi sulla soglia di un improbabile speranza. Complici della mia vita e del mio sguardo, sfogliando queste pagine inizierete il vostro viaggio senza meta, per niente consolatorio, “Nel segno dell’Angelo”. Iola di Montese, Settembre 2008

NEL SEGNO DELL’ANGELO 1991/2011 work in progress 5 immagini e 5 piccole storie contenute “la vera arte è sempre là ove non la si attende là ove nessuno pensa a lei né pronuncia il suo nome” Jean Dubuffet (1) Il nostro mondo è un set nel quale vengono create in due minuti più immagini di quante non ne siano state prodotte nell’arte del ‘600 e ‘700. Socrate diceva che se noi potessimo sollevarci al di sopra della terra ci renderemmo conto “che questa è la vera terra” e soltanto allora comprenderemmo pienamente il mondo in cui viviamo. Le gambe sono i pilastri che sostengono il nostro corpo in posizione eretta tra cielo e terra. Il peso del corpo rolla in avanti verso la punta dei piedi mentre le ginocchia si flettono. Ora siamo pronti per un balzo verso il cielo.

1) Francesca S. Iola di montese 27ottobre1994 ore17.50

(2) Da sempre per me, “arte e vita” camminano a braccetto. Con Francesca S. raggiungemmo il punto più alto (le tane) del paese (Iola di Montese-Mo, sull’appennino tosco emiliano, luogo dal quale provengo per parte di padre). La giornata era tersa e il vento tagliente come la lingua di Francesca che pativa il freddo e incitava a scattare velocemente. Il mio intento era richiamare attraverso un gesto della mano la pittura del medioevo e rinascimentale sposandola ad un paesaggio naturale. La vergine delle rocce che incontra il cinema di Ingmar Bergman e Dreyer porterà i più a pensare


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a Wenders.Non sarà un caso avere il regista tedesco in qualità di amichevole photoeditor anni dopo, proprio in occasione della mia personale Berlinese ENGEL nel 1995. E’ l’unico scatto frontale da questa seduta, ne feci solo un secondo di profilo che scartai. Il tempo mi darà ragione: quest’ immagine ha fatto il giro del mondo. (3) L’Arte è trasformazione, catarsi, redenzione. La mia forza è la capacità di tradurre poeticamente le cose belle al pari dei dolori della vita. Qui tratto una storia personale: l’inganno da parte della donna amata con un pilota d’aeroplani. La figura femminile passa dal primo piano allo sfondo, perde dettaglio e sfoca: la fiducia svanisce e si crea allontanamento mentre in primo piano resta il feticcio rappresentato da un aeroplano giocattolo. In un’unica immagine concentro la disillusione nei confronti del mondo adulto e la mia difficoltà nell’accogliere e metabolizzare un personale dolore. Stilisticamente questo è il primo Angelo “non a fuoco”. (4) Camminare è uno stato in cui la mente, il corpo e il mondo sono allineati al pari di tre protagonisti che dialogano tra di loro. Tre note che formano un accordo. Ogni volta che andavo in direzione levante sull’Aurelia i miei occhi facevano una breve sosta su quella corona di stelle su fondo azzurro. Ciò che per i più era un semplice tributo di vittoria per una squadra di calcio per me diveniva un rimando alle volte a crociera di certe chiese con le decorazioni di un cielo stellato. Durante una passeggiata immaginai Francesca Abd El sospesa in elevazione in quell’aureola/corona. Le mie immagini sono come il tuffo in mare di un fanciullo che conta a voce alta e si lancia senza troppi indugi: ho l’Anima veloce. Il giorno successivo mentre la luce s’apprestava a calare l’immagine era stata scattata, la mente, il corpo e il mondo avevano suonato il loro magico accordo. (5) Il 29 agosto 2010 scendevo in macchina dai monti dell’appennino tosco emiliano per tornare a Genova dove il giorno successivo avremmo disperso in mare le ceneri dell’adorato amico Lino Montemurro. Tra i monti e il verde che lentamente lasciavo alle spalle rivedevo come spezzoni cinematografici i frammenti della mia relazione sentimentale da poco terminata sovrapporsi ai ricordi di Lino, l’amico che avevo accompagnato dolcemente alla fine dei suoi giorni in terra. Il respiro si fece affannoso e il cuore prese a battere oltre il suo ritmo normale spalancando le porte ad un

attacco di panico che detonò quando oramai avevo imboccato a Pistoia l’autostrada. Fermo sulla corsia d’emergenza. Le quattro frecce lampeggianti sotto un caldo afoso mentre un serpente di vacanzieri rientrava dalle vacanze. Mi sentivo solo. Ero solo. Nessuno mi attendeva a casa. Facevo la conta di quanto avevo perso quell’anno. Mi feci forza e lentamente, quasi la macchina barcollasse al pari del conducente, raggiunsi Montecatini Terme per uscire dall’autostrada. La statale col suo ritmo più lento poteva forse calmarmi. Da Montecatini a Lucca trascorse un tempo infinito e quella città fu il simbolo di una nuova partenza, ripresi l’autostrada e nello stesso istante le redini della mia vita. A Lucca, alcuni mesi dopo, il 9 dicembre realizzai un’immagine di catarsi personale, un atto psicomagico dove la natura dell’uomo (enfatizzata dai tatuaggi floreali che decorano il corpo di Ilaria) sposa la natura del paesaggio. Ogni mia immagine è come un piccolo albero che pianto nella terra che sono. “Quest’anno ho piantato un viale di tigli lungo la stradina che conduce al mio eremo: mi son chiesto se riuscirò a godere della loro ombra e soprattutto delle ventate di profumo dei loro fiori nel mese di maggio. Ma li ho piantati per rendere più bella la terra che lascerò, li ho piantati perché altri si si sentano inebriati dal loro profumo, come lo sono stato io da quello degli alberi piantati da chi mi ha preceduto. La vita continua e sono gli uomini e le donne che si susseguono nelle generazioni, pur con tutti i loro errori, a dar senso alla terra, a dar senso alle nostre vite, a renderle degne di essere vissute fino in fondo”. Enzo Bianchi “Ogni cosa alla sua stagione” (pp.117.18) Einaudi editore

2) Miriam F Iola di Montese 1 agosto 2005 ore 16.07


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3) Francesca A. Genova 25 Giugno 2008 ore 19,30

4) Ilaria P. Lucca Giovedì 9 dicembre ore 12,40

Poco prima di compiere cinquant’anni decisi di dare “un segno forte” al mio lavoro “Nel segno dell’Angelo”. La tradizione cattolica ci ha abituato a considerare gli angeli come degli esseri spirituali dalle sembianze antropomorfe intermediari tra l’uomo e Dio. Essa ritiene che gli angeli, come gli uomini, siano stati fatti “ad immagine e somiglianza di Dio”, ma che siano dotati di una natura sostanzialmente diversa rispetto a quella divina. Ho scelto Sara H. che è stata miss trans Liguria . Il suo sguardo, forte e diretto punta alla coscienza di chi la guarda ed è rivolto verso piazza Princesa*** . L’Angelo del ghetto unisce “maschile e femminile”. E’ stato creato nella zona dei “bassi” genovesi, territorio dove agiscono don Andrea Gallo, fondatore della Comunità di San Benedetto al Porto, e “testimonial” dell’associazione Princesa, fondata da persone transgender per promuovere i diritti e l’identità sociale e personale dei trans. Questa nuova creatura angelica è il mio piccolo contributo alla comunità trans e alla straordinaria figura di Don Andrea Gallo che nel ghetto ospita tra le tante realtà anche l’associazione per lo sviluppo dell’immagine fotografica che dirigo www. percorsimagici.net Don Gallo, adesso, vorrebbe dare un nome anche ad un luogo che un nome non lo possiede: è la cosiddetta piazza Anonima, o Senza Nome, che spunta da vico dei Fregoso e vico Ombroso: uno spazio minimo in mezzo ai carruggi nato, narrano le cronache metropolitane, dagli squarci profondi di un bombardamento della seconda guerra mondiale. Come potrebbe cantare un poeta con la chitarra, “dai diamanti non nasce niente, dalle bombe può nascere una piazza”, e aggregare uomini e donne, per quanto soli, per quanto in difficoltà. Nominare quella piazza è nominare quei cittadini, quegli abitanti di inquietudini e solitudini, per renderli un po’ meno inquieti, un po’ meno soli. Tanto più se, come propone don Gallo, a quella piazza si dà il nome di “Princesa”, la canzone con cui Fabrizio De Andrè ha dipinto la dolorosa vitalità di una creatura nata in un corpo sbagliato, il suo soffrire e sopportare giudizi ed epiteti di chi sentenzia senza sentire, il suo ostinato (soprav)vivere, alla ricerca, disperatamente felice, di un’identità sessuale, di lineamenti in cui riconoscersi, di un nome. I SEMIFRESCHI - PIAZZA PRINCESA, LA SFIDA DI DON GALLO

da Repubblica Genova del 16/07/10 5) Sara H.Ghetto ebraico di Genova 10 Marzo 2011

Alberto Terrile Fotografo creativo. Attivo nel campo editoriale, dello spettacolo (teatro, danza, cinema, musica) e pubblicitario.


INTERVISTA A ROBERT GLIGOROV di Marco Filippa

(marco filippa) Da quando ho visto Termination Shock 03 al PAC a Milano, continuano a frullarmi per la testa alcuni pensieri e contemporaneamente una canzone di Battiato, che tra l’altro è anche il titolo del suo ultimo film, Niente è come sembra. Mi sembra possa calzare bene il nucleo di questa mostra: Niente è come sembra / Niente è come appare / perché niente è reale, recita nel ritornello. Sei opere installative di straordinaria bellezza contemporanea ma non voglio ora addentrami in quello che penso in merito, a parte l’indubbio giudizio positivo. (robert gligorov) Si certo, più’ indicazioni o sollecitazioni da pareri esterni che provengono per definire questa mostra T.S 03 e sempre più’ si delinea un’ identikit verosimile. Solo che questo andrebbe a delimitare e a definire una proposta di concetto e correrebbe il rischio di azzerarne il contenuto. Nulla e’ reale , nulla e’ ciò che sembra ma proprio in questa deduzione ne ricava una spinta perché sia calzata da ogni singola mente nel modo più idoneo, personale. Ho sempre cercato la sintesi nelle mie opere più’ che il barocco e il caos , ma l’opera perfetta e’ quella in cui il nulla e’ tutto e che la percezione dell’irreale , dell’impalpabile e dell’invisibile e’ percepita non tanto dall’opera ma da come reagiscono gli elementi attorno. Un esempio potrebbe essere la teoria sui buchi neri quando si scoprono dei pianeti invisibili ai telescopi ma si percepisce la loro presenza dal comportamento del movimento degli astri più’ grandi come le stelle o altra materia. Tra la teoria dell’oggetto artistico e la sua concreta forma vi e’ un dialogo , quindi nel dialogo tra il critico d’arte e l’artista si completa il probabile significato dell’oggetto d’arte. Perché l’artista ha bisogno del sostegno di un critico visto che l’opera e la sua contestualizzazione nascono in due momenti diversi e raramente nascono in un dibattito tra i due .. il critico si appropria dell’opera e la difende nei suoi contenuti.. Ci tengo a dirlo perché oggi più che mai c’e una controtendenza in cui un curatore- critico mette in scena delle mostre , per la maggior parte delle volte collettive, dando un filo conduttore all’evento e scegliendo artisti la cui opera completa questo progetto. Ma esattamente e’ ciò che fa un artista quando ordina delle opere ad artigiani .. quindi non vorrei che l’artista fosse un artigiano alle dipendenze del curatore/artista … Mi domando se prima nasce la forma e l’immagine e poi se ne cuce il contenuto

o viceversa. Puo’ un’opera essere geniale senza contenuto o meglio il contenuto non e’ dato a sapersi ? ..un po’ come la fede o il mistero della fede . C’e un qualche cosa che unisce molti fedeli dal collante che e’ il dogma , ma di fatto non si ha una risposta certa , al limite nella vita terrena , ma una supposizione appunto .. che sia questa l’opera perfetta? Nulla si crea e nulla si distrugge diceva de Lavoisier… esattamente più ti inoltri nel capire il significato dell’origine della materia e più le cose appaiono imparentate una con l’altra per quanto diverse nella sensazione e nel contenuto chimico. Dicono che siamo fatti di polvere di stelle ..bello come concetto , fa sognare un’ipotesi del genere probabilmente vera , ma l’essere umano (e includo anche me) non ha ancora il controllo e la piena consapevolezza del suo ruolo nel disegno “divino” , ci sono troppe incongruenze nel nostro mondo e nelle nostre singole vite. L’arte ti suggerisce una proposta intellettuale fantastica ed evolve l’essere nel tempo ma la realtà e i problemi delle vite delle persone viene sommersa dalle problematiche oggettive materiali, quindi l’infinito discorso sulla vivisezione, il fatto di vedere l’animale come materia da consumare per qualsiasi nostra esigenza come l’uomo della preistoria, i nostri vandalismi nei confronti dell’ambiente e le nuove caste che nascono sotto i nostri occhi (alla faccia della democrazia), l’aumento della forbice tra il ricco e il povero .. porterà dei grossi cambiamenti in futuro, tragici passaggi obbligati perché si assesti ogni tassello in un mosaico equilibrato .. non possiamo che esserne testimoni .. Quello che mi ha colpito della mia mostra era l’attenzione che il pubblico dava ad ogni singola opera e non essendo quadri o sculture ..oggetti convenzionali dell’arte, ma dei veri e propri ready-made .. soltanto riproposti in un’altra chiave , ho avuto la netta sensazione che il pubblico e’ maturato, si e’ sprovincializzato e quindi e’ vera la frase che dal momento che si propone e si accetta un’idea, una provocazione, nulla sarà più come prima nel mondo dell’arte .. anche se li’ per li’ può sembrare una proposta indecente, inaccettabile. L’ informazione dei media e il lavoro di certi pionieri dell’arte sta portando l’arte contemporanea forse in un territorio, il più’ genuino, il più’ propositivo, privo di regole legate al marketing e senza un fine commerciale divenendo terreno e l’arena di un reale dibattito su ciò’ che siamo e di come vorremmo che il mondo fosse. La musica, il cinema e la letteratura per colpa del loro successo commerciale


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hanno percorso una strada alla fine viziata, obbligata, alla ricerca del consenso commerciale e nel tempo hanno perso la loro intuizione originale. Questo sta accadendo adesso anche nell’arte e si cerca di farla rientrare (o forse lo e’ sempre stato ).. in un ambiente elitario, gestito da pochi, una lobby che di fatto non esiste ma di cui si percepisce la presenza (un po’ come gli astri di cui parlavo prima). Rischia di crearsi un vero e proprio monopolio a livello planetario in cui non si parlerà di arte ma di prodotto. Una sorta di prolunga della finanza in cui l’opera d’arte avrà’ un valore come un bond..merce da scambiare o vendere .. su un mercato che non ha nulla a che fare con quello che si intende per arte contemporanea.

mentre invece in Termination Shock 03 la gente si vedeva affollare le sale, incuriosita probabilmente anche dall’eco prodotto dai media ma, comunque, questo dimostra anche la sprovincializzazione e maturazione del pubblico di cui parli e su cui concordo pienamente (Ministro Bondi a parte). Dopo aver visto la mostra ho pensato che esisteva un trait d’union o, potremmo dire, che le sei installazioni siano state concepite come opera totale di cui ognuna è un particolare tassello che si conclude con Still in cui noi diventiamo opera nel momento stesso in cui ne siamo fuori. Delirio mio o in qualche modo hai concepito tutto questo?

(marco filippa) Caspita,quanto materiale su cui ragionare. Il dubbio che mi viene è uno: mi lascio catturare dai tuoi pensieri e quindi divento io l’intervistato oppure proseguo indifferente nel farti un’altra domanda? Come in uno specchio le cose si ribaltano e lo dimostri bene con Mirage, nella sua unicità duale (o duale unicità).

Interessanti e condivisibili le considerazioni sul ruolo della critica e sul sistema dell’arte (che poi tanto sistematico non è se non nel suo rischiare di essere puramente finanziario). L’artista è l’attore, il protagonista; il critico può essere al massimo paragonato ad un comprimario, che si destreggia dentro lo sguardo sull’opera per cercarne fondamenti, per coglierne significati possibili anche se, resto dell’idea, che la grandezza di un’opera stia nella sua capacità di farsi interpretare all’infinito e non escludo neppure il ruolo religioso soltanto che oggi, nelle chiese-gallerie, si rischia una visione settaria, o elitaria come dici tu, dove le lobby avanzano e il valore dell’arte non si innesta più sul presente, non incontra il pubblico,

(robert gligorov) Sai, si sente spesso dire dibattito sull’arte , dibattito sulla letteratura.. o meglio un confronto tra varie esperienze o espressioni , pero’ guardando meglio fuori dalle accademie vi e’ più’ che altro un confronto con se stessi , con i media (sempre se si ha la possibilità’ di acquistare i magazine d’arte ..sempre più’ costosi e raffinati) … faccio una piccola osservazione sulla proposta editoriale a proposito dell’arte contemporanea.. certe edicole specializzate hanno visto negli ultimi anni un aumento effettivo del numero di riviste sull’arte contemporanea e non solo (architettura/ design..) per la maggior parte delle volte sono bilingue perché’


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l’editore cerca di distribuire il suo prodotto in tutto il mondo, però questo aumento del cartaceo era abbastanza prevedibile qualche anno fa perché’ e’ il modo più’ comodo per informarsi o per vedere nuove opere e in questo includo anche internet .. come saprai ultimamente si e’ inaugurata anche una fiera in rete (V.I.P ART FAIR) e su questo ci sarebbe da fare tutto un discorso interessante. Credo, o credevamo in molti che la prerogativa di un’opera d’arte sta nella sua originalità’ e presenza scenica, cioè’ vista dal vivo . Perché’ sia il dipinto che la foto o la scultura, ma anche il video vengono sempre pensati per essere visti dal vivo. La maggior parte delle opere che io conosco però, e questo vale per tanti credo, sono opere viste sulle riviste , libri e in rete .. e quando mi capita di incontrarle dal vivo ho notato che la mia emozione nei confronti dell’opera si equivale a quando l’ho vista per la prima volta virtualmente . Ora, penso che un buon politico non e’ quello che vuole conservare il già’ detto o il già’ fatto ma colui che ha una visione innovativa del futuro .. e’ abbastanza difficile immaginare la novità’ e riuscire a portarla a buon fine. Questo vale per ogni campo.. l’essere umano e’ un animale abitudinario, ama fare e ripetere sempre le stesse cose per tutta la vita .. quando c’e un cambiamento epocale generazionale si sente escluso da tale progetto ed e’ di solito in polemica. Questo lo si vede specialmente nell’arte. Per esempio dei critici certi del loro credo in difesa di certi artisti e di certe opere in modo incondizionato , certe volte privi di critica sugli artisti che sostengono, ma non mancano mai l’occasione di confermarne il valore. Un po’ come se la scelta degli artisti che difendono condizionasse la loro stessa credibilità’ .. ti faccio un esempio .. Bansky e’ un artista o no ? perché’ dei musei gli danno spazio ? grossi collezionisti lo acquistano ? ha raggiunto quotazioni importanti alle aste .. eppure non sembra un artista per molti curatori “elitari” .. ma allora che cosa e’ ? .. lo stesso Keith Haring in vita non e’ stato mai preso sul serio come artista, oggi come oggi e’ un dato di fatto … non credo che un direttore di museo avrebbe qualcosa da ridire su una retrospettiva del buon Haring… Questa e’ stata una frustrazione e condizione di molti artisti .. lo stesso Andy Warhol ha avuto difficoltà’ agli inizi nel proporre il suo lavoro… ma che siano stati questi artisti per quanto non artisti a portare , diciamo così, il seme del nuovo ? Per quelli che li osteggiano o che li hanno osteggiati non ci sarà’ mai un appello .. o un contraddittorio..

le cose oggi sono un dato di fatto e quando superano una certa barriera di credibilità’ o di rispetto diventa impossibile stroncarne il lavoro, perché’ l’aspetto mediatico ha vinto. Ti posso garantire che artisti contemporanei italiani che insegnano all’accademia , influenti nel sistema dell’arte contemporanea, e certi artisti innovativi dell’arte contemporanea italiana, ahimè’ defunti, hanno sempre , all’epoca, parlato male di Gino De Dominicis .. un po’ per sentito dire e un po’ perché’ l’ho sentito con le mie orecchie. Lo si voleva far passare per “stravagante”, bizzarro, delirante .. etc.. mentre l’opera più’ poverista aveva sicuramente un valore già’ di partenza superiore. Oggi De Dominicis ha vinto, il suo lavoro ha cavalcato certe tendenze che sarebbero poi diventate normali nell’arte ed ha anche con la sua ispirazione fatto la fortuna di molti artisti.. solo che si ha la memoria corta e si dimenticano certe resistenze dell’epoca. Tornando al discorso mediatico credo che la fruibilità’ dell’arte sarà’ sempre più’ virtuale, mentre crescerà’ in un modo esponenziale la celebrazione ed il pellegrinaggio per vedere le opere moderne o del passato. Questo e’ proprio un grattacapo e andrebbe a contraddirsi con l’intento e la preparazione che hanno gli artisti. Perché’ la piattaforma del dibattito si sposta in un mondo sconosciuto e non afferrabile.. Ora e’ difficile vederlo ma ci sono tutti i presupposti perché’ ciò’ accada . I giovani artisti più’ che innovatori hanno una conseguenza logica del loro lavoro nell’arte e quindi sono quelli più’ adattabili al nuovo. Un opera d’arte può’ realmente imporsi al mondo con una formula matematica e questo e’ stato dimostrato. Non che le opere di successo non siano di valore ma si e’ visto che più’ che l’artista e’ il sistema o una strategia di puro marketing che si impone e stupisce il mondo. Ci si meraviglierà’ per lungo tempo ancora sempre di fronte al valore economico di un’opera più’ che dell’opera stessa. Oggi e’ molto di moda vestire un’opera d’arte di un valore commerciale perché’ siamo ancora legati all’economia . Se questo e’ giusto o sbagliato non so , non voglio dare un parere .. pero’ vedo opere cariche di “Kitchame” che sono delle vere e proprie trappole per occhi ingenui , che vengono celebrate da critici e da un sistema in modo certo , così’ anche loro sperano attaccandosi a quel meccanismo di guadagnarsi il paradiso dei famosi. Lasciando però il discorso mediatico del sistema arte per un altro eventuale approfondimento, vorrei tornare al discorso del mio modo di vedere l’oggetto d’arte. Mi viene in


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mente, quando ho iniziato in un modo più’ deciso a realizzare opere, molti miei colleghi erano legati alla pittura, perché’ un buon artista lo si vede quando fa un quadro, ma anche questo e’ stato contraddetto. Il reale operare dell’artista sul manufatto dell’opera non e’ obbligatorio e neanche determinante . Conta di più’ una buona regia e l’intuizione della novità’ della proposta . Questo in realtà’ crea un nuovo tipo di art director /artista. L’artista non ha più’ bisogno di uno studio o di assistenti. Volta per volta ci si arrangia alle esigenze del progetto. Proprio si e’ delineata una nuova figura dell’artista; il pittore vorrebbe tirarsene fuori dicendo che lui e’ un pittore, non un artista, ma ciò’ non e’ possibile. Lui deve tener conto di questa situazione. Forse si parlerà’ in futuro sempre meno di nomi di singoli artisti ma emergeranno dei team .. quale modo migliore di approfondire un idea se non nel confronto, per scardinarne i punti deboli. Quello che sembra certo nell’arte non può’ essere riproposto all’infinito, perché’ e’ un non-sense .. e quindi si e’ sempre alla ricerca della novità’ .. infatti molti artisti tentano strade apparentemente originali .. tipo Tony Segall o Rirkrit Tiravanija pero’ in realtà’ non stravolgono il sistema .. e’ come se fossimo sempre intorno alla stessa Mecca.. ma una cosa e’ sicura non ci sono all’orizzonte novità’ apocalittiche perché’ l’artista o gli artisti vogliono essere accettati da un certo sistema apparentemente vincente e se ci fai caso, guardando anche le proposte a livello mondiale, le opere non si allontanano di molto dalla concettualita’ poverista, ma questo perché’? sembra ci sia il giusto e lo sbagliato nell’arte .. o sei un genio o sei terribile .. possibile non ci sia una via di mezzo? Questo modo condiziona molto la libertà’ dei cosiddetti artisti, ora ci troviamo in una proposta Tsunamica di opere tutte buone, come se tutti avessero capito il metodo, ma allora che senso ha? ha vinto un sistema e non certo l’idea eroica che abbiamo dell’artista. Devo dire infine che la mia mostra a Milano al Pac l’ho voluta in questi termini ed ho difeso a spada tratta le opere esposte, non ho assolutamente badato all’aspetto commerciale o quello “furbetto” .. per me il pubblico e’ importante ma prima di tutto devo essere sereno con me stesso perché’ se c’e qualcosa che non va lo capti ed e’ un tormento interiore. Ci sono due modi, credo, per realizzare un opera .. una e’ quella di cercare un idea dentro di te e l’altra e’ quella di osservare l’ambiente, il mondo attorno a te e trarne una conclusione.. questi atteggiamenti hanno una grossa dualità’ perché’ il

forte narcisismo degli artisti deve trovare un compromesso tra la purezza dell’idea e dove collocare la propria firma. A volte puoi realizzare qualcosa di estremamente forte ma di fatto non essere coinvolto emotivamente in quell’opera, in quello che hai fatto.. e questo, mi domando se e’ giusto.. Se in realtà’ ogni idea e’ di tutti e tu sei semplicemente uno che capta delle sensibilità’ e cerca di dare un ordine traducendo in opera .. non vorrei, Io ..o tanti artisti contemporanei, aver passato la vita a fare le cose giuste ma di fatto non aver mai appagato la domanda o la vocazione originale.

(marco filippa) Come sempre la tua acuta intelligenza riesce a stupirmi e mi sento sovrastato da tutti gli argomenti che proponi. Riconosco in te un’onesta intellettuale piuttosto rara e del resto la mostra al PAC. è paradigmatica, non insegue furbescamente il pubblico ma si propone come ricerca reale e non è cosa da poco, anzi. Dall’arte povera in poi l’Italia vive “furbescamente” un’idea dell’artista che finisce (quasi sempre) per riprodurre in varianti infinite la stessa opera. Non mi manca il coraggio di fare nomi ma è sotto gli occhi di tutti quello che dico, se si vuole vedere e, del resto, quello che dici sul geniale Gino De Dominicis, è l’esemplificazione di come un discorso reale sia addirittura stato sbeffeggiato a suon di ironiche considerazioni. Per quanto riguarda la virtualità delle opere (sia che viaggino in rete, sia riprodotte su riviste patinate) basta pensare al fatto che nelle scuole si finisce per parlare d’arte senza mai vedere veramente le opere. Citi Bansky ma lui è soltanto l’esemplificazione di un sistema dell’arte sempre più lontano dalla ricerca. Credo che il problema sia altrove e probabilmente aveva ragione Argan quando sosteneva la tesi della “morte dell’arte” in quanto parte fondamentale di un sistema di conoscenza che, in una logica piramidale, diventa l’apice alla cui base si trova l’artigianalità. Non rimpiango nulla ma constato che siamo dentro a qualcosa di diverso, ad una nuova funzione delle immagini non più relegate ad un sistema di conoscenza ma sempre più votato ad una folle idea, residuo della modernità, di novità assoluta, in qualche modo insensibile a veicolare un pensiero autentico e sempre più un surrogato dell’ansia contemporanea. Il problema della ricerca, artistica e non, sembrerebbe essere sempre più lontano da necessità sociali, umane. La stessa cosa accade o rischia di accadere nell’ambito scientifico: l’industria farmaceutica si occupa di creare realmente farmaci utili o è sempre e più soltanto industria? Viviamo tempi convulsi e gli artisti e


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i creativi non sono indenni da questa confusione. Ma siamo ora e qui e questo, ci piaccia o meno, è il mondo migliore possibile fino a quando non riusciremo ad immaginarne un altro… giustamente dici che un buon politico è quello che ha la capacità di avere una visione del futuro ma, se ci guardiamo intorno, sulla scena abbiamo molti vuoti a perdere che vendono sogni, quando va bene, ma non propongono nulla realmente e non ne faccio una questione di destra o sinistra (categorie obsolete) ma di idee che mancano e di come si impedisca un dibattito serio perché le idee, e chi le ha non manca di certo, nella politica come nell’arte, nella scienza come nella scuola … insomma anche in Italia non mancano le idee, anche se potrebbe sembrare il contrario. (robert gligorov) Sarebbe una grande responsabilità’ cercare nell’arte e ovviamente negli artisti delle proposte risolutive per il problema energetico del futuro, per tutti gli altri settori che non riescono ad avere una crescita di profitto costante ..ma si e’ saturato quasi ogni angolo della domanda .. Sarebbe una responsabilità’ per gli artisti non da poco .. pero’ se qualche anno fa i cantanti o gli attori venivano coinvolti come testimonial, ma non solo, anche come ambasciatori nel mondo per varie tragedie planetarie (Live Aid, Darfur, problema climatico etc..), oggi questi professionisti pare perdano appeal, mentre l’arte e gli operatori del settore sono sempre stati un po’ come dire, sottovalutati dall’industria.. ma da un po’ di tempo noto che grossi gruppi industriali investono molto, non tanto nell’artista, ma l’opera come paravento di credibilità’ intellettuale e quindi “cultura” e il contenuto che indirettamente viene dato al loro prodotto. Gli artisti sedotti dal glamour, dal denaro e da una facilitazione della divulgazione del loro lavoro ne diventano, malgrado loro o bontà’ loro, schiavi .. ma personalmente devo dire che fanno bene .. perché’ chi si occupa di arte e’ di fatto un vero lavoratore. Si l’arte può’ essere una grande passione ma non per questo meno faticosa di un lavoro. In fondo credo che gli artisti siano un po’ tutti degli hippie, dei bambini mai cresciuti, dei sognatori ..e come tali la loro massima aspirazione e’ quella di poter passare il tempo su questa terra a fare il loro lavoro e non dover avere una seconda attività’ per potersi permettere il lusso di fare arte. C’e una sensazione generica in cui l’artista e’ un po’ “sottomesso” dalla paura di non essere accettato dal contesto a cui si rivolge e quindi per la paura di essere isolato e’ poco presente nel dibattito. Inviterei i miei

colleghi a usare anche di più’ la parola, sentire di più’ la loro voce e non vivere rancorosamente il loro tempo e vedere che a loro avviso vengono premiati sempre i soliti. Insomma anche la partecipazione dialettica e in prima persona dell’artista sarebbe importante, il mondo dell’arte e’ vasto ma di fatto e’ un piccolo numero che ne stabilisce i valori e l’identità. A prescindere da dove l’arte sta andando oltre l’opera esiste l’immagine dell’artista e soprattutto il suo verbo. Peccato, gli ambienti artistici del passato erano molto più’ divertenti proprio garze alla vivacità’ e al coraggio degli artisti di essere coinvolti in prima persona, sia per il loro tempo storico e politico, sia proprio per un temperamento più’ istrionico. Questo oggi e’ un aspetto vacante, assente ..i festival dove si riuniscono i vari cosiddetti operatori di settore sono in realtà’ esercizi di parola , e’ sempre una forma di autopromozione del curatore o relatore .. si, anche l’artista dice un po’ la sua ..ma e’ poco. L’artista e’ si’ utile a questo sistema ma rigorosamente tenuto da un guinzaglio al collo. (marco filippa) Ci fermiamo qui Robert. Alla prossima occasione.

Robert Gligorov - Artista Nato Kriva Palanka (Macedonia) vive e lavora


INTERVISTA A SUSANNA SCHIMPERNA di Marco Filippa

(marco filippa) Il tema di Alfabeto morso (mi riferisco al testo di Sergio Gabriele) è, in qualche modo, reso visibile e al contempo nascosto nel gioco di parole scelto come titolo di questo progetto artistico; annuncia qualcosa non rinunciando a decretarne la sua fine. L’interesse indubbio per il virtuale affonda le sue radici nella superficie della contemporaneità e sul ruolo che la comunicazione assume oggi con la rete. I social network sono divenuti da tempo un non-luogo, dove il personale e il politico si sfiorano; il governo cinese ne ha compreso pienamente la dimensione, sapendo blindare egregiamente la rete. Yoani Sanchez è una delle dimostrazioni viventi di quello che si può fare con un semplice blog. Dalla Tunisia all’Egitto, fino alle recenti sommosse Libiche, le nuove generazioni ri-voltano il mondo dimostrando, se occorreva dimostrarlo, della necessità di libertà, democrazia. Nelle democrazie reali (così com’era nei paesi del comunismo reale) stenta invece ad avanzare il nuovo azionismo virtuale e le censure in rete vedono l’Italia in pole position. Ti offro un giro a 360°, Susanna, a te la parola. (susanna schimperna) Questa non è la parola: è la scrittura e il fraintendimento la scrive lunga (non dice, nota bene). E’ così che i più attenti cadono nella rete che li pesca nel mare del “virtuale”; ma la rete è a maglie larghe e noi sappiamo districarci senza farci pescare. La censura italiana è risibile. Ancora. Godiamo di un momento magico, di libertà che rischiamo di non valutare appieno. Scatta la censura in presenza di nomi di politici, di insulti ben noti, di immagini di nudi. E’ dunque uno scherzo non farla scattare. Al momento possiamo veicolare idee e persino linee guida di portata rivoluzionaria senza che la rete se ne accorga. A noi lo sforzo di essere incisivi. A noi ricorrere a contenuti e non a slogan. Purtroppo tutto questo finirà presto, e il rimpianto enorme sarà di non aver capito e utilizzato come sarebbe stato possibile questo spazio miracoloso, mai sperimentato prima, imparagonabile a qualunque altra cosa. Sulle illusioni virtuali: io penso che non siano tali. Tutto dipende dai modi d’uso degli spazi interiori ed emotivi. I migliori sanno da sempre che «la realtà non esiste» (cfr. canzone di Claudio Rocchi) e come la nostra unica, residua, imperitura, inalienabile libertà sia nel campo della scelta di atteggiamenti e metodi per confrontare gli accadimenti che subiamo senza avere purtroppo potere alcuno sulle loro dinamiche (per quanto

è in nostro potere bastiamo noi ad esserci nemici: dagli amici, si diceva, ci salvi Dio. Vale anche per i senza Dio, credo). La scommessa si gioca sul terreno della nostra capacità di “sentirci” liberi e comportarci come tali in una dimensione - il virtuale che ora ci collega a una gran parte del mondo - in cui a me personalmente sembra che davvero possiamo esserlo. Finché non verrà trovato un sistema per toglierci la libertà online (quello cinese fa molti danni ma non funziona quanto potrebbe). Ovvero: a breve. A te. (marco filippa) Un’annotazione a margine: sto facendo un’altra intervista all’artista Robert Gligorov, relativamente alla sua recente mostra al PAC a Milano, e nell’introdurre la prima domanda, ho fatto riferimento e Niente è come sembra di Franco Battiato (canzone e film al contempo) e tu citi, giustamente, la canzone di Claudio Rocchi (di cui ho perso le tracce ritrovandolo però su FB). L’immaterialità del reale è in qualche modo sempre più vera da quando esiste la rete e gli artisti, il mondo dell’arte, stanno cogliendo questa nuova opportunità. Elena Privitera fu tra le prime galleriste ad utilizzare la rete con il suo progetto Maionese, e all’inizio, come tutti i pionieri, fu snobbata portando l’En Plein Air nel mondo del virtuale e nel 2002, con la mostra Il peso del virtuale e, ancora prima, nel 2000 con Soap opera che indagava il presente non solo mediatico. Ricordo poi l’evasione virtuale di Santino Stefanini (carcerato di San Vittore) realizzata da Laurie Anderson nel 1998 con la complicità di Miuccia Prada e Germano Celant. Insomma il virtuale avanza ed è semplicemente un altro aspetto della caleidoscopica realtà. Temo anch’io che non abbiamo ancora compreso pienamente la potenzialità, veramente globale, della rete. La dimensione del virtuale, per quanto si possa avvalere di trasmissione di dati di tutti i generi, rimane uno spazio altro, una nuova terra in cui il locale coincide col globale. Mai come ora il precetto di Beuys, la rivoluzione siamo noi, è stato così potenzialmente a portata di mano anche se nulla esclude che ci possa sfuggire questa potenzialità. I tentativi subdoli di imbrigliare la rete oramai sono tanti; occorrerebbe spingere l’acceleratore per andare verso l’e-democracy non dimenticando il potenziale ecologico insito nella rete. Nei tuoi pensieri risuona un pessimismo o un semplice realismo verso l’uso dei new-media e l’incapacità di cogliere la loro portata. Avaaz.org è uno dei tanti acceleratori: ci schianteremo o decolleremo?


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(susanna schimperna) Arte e Web. Un confronto interessante. Se consideriamo cosa sia il potenziale nell’arte, non possiamo che accorgerci, con stupore e felicità, che risiede in qualcosa di molto semplice: la dimensione estetica. Solo in un secondo momento siamo costretti a notare che, come tutte le cose semplici, la dimensione estetica è irragionevolmente e direi addirittura razzisticamente complessa. Tocca in sorte a pochi, per quanto la nostra speranza sia che questa realtà dipenda da fattori sociali e dunque mutevoli, rimediabili. Il potenziale della rete, invece, è nella prassi unita alla razionalità, all’immaginazione (che è cosa diversa dalla fantasia, humus dell’arte), alla capacità di sintesi. Molto difficile. Molto più alla portata di una task force prezzolata per scopi politici-finanziari o comunque motivata unicamente da interessi economici, perché capisci bene che l’artista può essere solo, mentre un movimento trascinatore che si serva di Internet muore di asfissia se avviato e portato avanti da una sola persona, non importa quanto geniale. Chi è diventato noto attraverso la rete è infatti stato rapidamente (e bene per lui/lei) cooptato dagli altri media, perdendo le proprie peculiarità. Sono pessimista? Sì. Ma proprio perché vedo tante difficoltà, spero in uno scatto di orgoglio degli individui, in un movimento dal basso, in un’aggregazione su base egualitaria che preceda e renda inefficace qualunque tentativo di ufficializzare, imbrigliare, condizionare. Non sarei anarchica se non nutrissi fiducia nella possibilità umana di capire ciò che è più conveniente, sano, utile (per sé e per tutti: la coincidenza mi pare ovvia e prima o poi diventerà intuitiva). Riguardo a questo discorso, l’utilità è mettersi insieme, da esseri liberi, e insieme gestire ciò su cui il singolo può incidere solo a tempo limitato e in uno spazio minimo.

Luigi Stoisa

Marco Casolino

(marco filippa) Alla prossima occasione, grazie Susanna.

Susanna Schimperna - Scrittrice, conduttrice televisiva e radiofonica. Nata e vive a Roma.

Innokentiy Fateev


NINO C.

di Sergio Gabriele Un altro angelo che ho incontrato, o che ha voluto incontrarmi, è stato Nino C. Ero sul viale, imbestialito di traffico come spesso, in auto, in coda, e per la prima volta ero tranquillo e pacifico nell’attesa, come se non vi fosse tempo da spezzettare, né timori per il gioco continuo di prima marcia e frizione, prima marcia e. Non avevo impegni, ma questo altre volte non era bastato a farmi sentire rilasciato, a non agitarmi come invece vedevo fare dai variegati autisti, mamme con bambini frenetici, forse le più preparate, giovani sussultanti su ritmi rabbiosi, lacchè su auto di lusso stupiti per il fatto di dover condividere quella ressa, mani scosse nevrotiche che mandano strani messaggi a fantasmi unicidell’abitacolo. Stavo decidendo se lambiccarmi in inutili scorciatoie, ma poi decisi di assecondare la fila in compagnia di una musica lieve. Fu fermo a questo punto che, senza soprassalto alcuno, vidi una figura sul finestrino di destra, china per traguardare il mio sguardo, che mi faceva cenno di qualcosa. Visibilmente anziana, ma immediatamente dignitosa, decorosa, sarà stato per via del suo abbigliamento, un completo color avorio, vissuto, non inamidato, panciotto dello stesso colore, camicia e cravatta. Magro, tanto che l’abito risultava non attillato, leggermente lento, quasi fosse una livrea di dismessa cerimonia, misurato su un corpo di qualche tempo prima. Dandy, con un bastone sottile, ma dall’aria così cortese che pareva chiedere scusa per la sua richiesta, che ascoltai abbassando il vetro. - Potrebbe accompagnarmi fino al ponte? - Ma certo, salga. - Non è distante, ma sono vecchio, non ce la faccio.. e poi ho cercato un taxi, ma non ce ne sono. Si accomodò non senza qualche fatica, ansimava leggermente, ma non dava l’idea di essere allo stremo. Soffriva con sufficiente distacco il caos, l’indifferenza, il trambusto cui la sua lunga vita doveva averlo comunque preparato, ma di contrasto mostrava già i segni di una insofferenza gentile, per nulla alterata, che lascia alla deriva le ovvie considerazioni. Tipo la mia: - Che vuole farci, oggi nessuno ha più tempo per nulla, se non per innervosirsi, spesso vanamente, senza motivo voglio dire, senza speranza di mutare minimamente lo stato che li circonda, e che li affligge. Tanto che sono sordi a qualsiasi richiamo, hanno paura, di chiunque… Annuiva, e presto iniziò a ringraziarmi, a lodare la mia disponibilità, a dirmi che si vedeva che ero una persona a posto, di come non ce ne sono più, molte. Fissavo l’auto avanti, il suo continuo lampeggiare degli stop, non c’eravamo

spostati neanche di un metro, e quelle parole, oltre ad un mio impercettibile tirare su col naso, mi facevano pregustare una lieta conversazione, che stava per prendersi tutto il tempo dovuto, il tempo giusto, confortato da quell’immobile chilometro scarso che ci attendeva. Lo osservai meglio, un gentleman, una persona che incuteva rispetto per ogni lieve respiro emettesse, nella modestia del suo spazio occupato con sussiego, mestizia riconoscente, e insieme felicità per essere capitato fortunatamente nel posto giusto. Mancava giusto un the servito da una vittoriana nurse, perché l’aria che emanava fin dall’inizio era decisamente anglosassone, ma il suo italiano era, altrettanto chiaramente, stanziale. - Lei è di qui? – chiesi con palese curiosità - Lo ero.. una sessantina di anni fa. - Bella questa – mi sfuggì con un mezzo sorriso di meraviglia. Quante volte ho pensato di appartenere ad un mondo che non riconosco più, ma la cui origine non mi sfugge, mi è chiara, come doveva esserlo per quell’uomo, che in una battuta mi aveva narrato la sua esistenza. - Sono nato e vissuto qui fino all’età di ventisette anni, poi sono emigrato in Irlanda, a Dublino, e vi sono rimasto fino ad oggi, tornando ogni tanto perché qui mi rimane una sorella, quella da cui sto andando ora. Ricollegai di averlo preso a bordo, qualche metro prima, davanti ad un Hotel, quello dove probabilmente soggiornava, a poco più di un chilometro da sua sorella, cui evidentemente non voleva dare ingombro. Straordinario, continuavo a riconoscermi in quell’uomo, così discreto da impedire che il mondo si avvedesse di lui, che aveva cercato un taxi e non il numero dei nipoti per farsi andare a prendere, che aveva preferito chiedere un passaggio, evitabile anche questo se non fosse stato per le sue gambe stanche… Mi faceva pensare aimiei viaggi in moto, in posti sconosciuti, periferie trasudanti preferite ai monumentali itinerari di una storia finita. - Finché sono stato qui ho lavorato, fin dopo il diploma di ragioniere, presso il magazzino di… - e fece un nome riconosciuto del posto – che allora stava dove è ora la Scuola… - e fece il nome di un Istituto fra l’altro di strada – ed ero Capo Contabile, lavoravo con serietà e il padrone se ne accorgeva. Poi decisi di emigrare, non proprio per bisogno.. parenti che erano lì, che mi avevano detto che si poteva far fortuna.. Quindi non era stato costretto, come il mio povero zio d’America, trent’anni qui di fame, nera, e trenta lì di faticata opulenza mal digerita, difatti è morto a sessant’anni di diabete, perché non ce la faceva a


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veder buttar via gli avanzi. - E una volta lì, ha proseguito il suo lavoro di Contabile? - No.. tutt’altra cosa.. patatine.. - Patatine?! Fish an’ chips? - No no, solo patatine. Ho aperto un locale dove cucinavo patate, che in breve si è molto affermato, anche perché servivo importanti alberghi e ristoranti. Pensi che poco distante da me vi era un Hotel fra i più lussuosi ed esigenti, ebbene, non voleva patate da nessuno se non da me. “Non c’è patatina in tutta Dublino, che non sia la patatina di Nino”, diceva orgoglioso il proprietario, e orgoglioso e felice ero io, e non sono mai mancate le soddisfazioni economiche.. Incredibile. Quell’uomo stanco, ma fiero, elegante, ma modesto, riverente, verso i doni che la vita gli aveva dispensato ad onore del suo ingegno, della sua industre solerzia, e dei quali ora, non solo non faceva ostentazione alcuna, ma quasi idealmente si espropriava. Per la scontata coscienza di non potersi portare tutto nell’al di là? Hm.. era altro, ed era la sua dolce sofferenza a mostrarmelo. Una sofferenza antica, che io conosco molto bene, che esula dal risultato, gratificante o meno, ma che affonda le sue radici tentacolari nell’origine stessa dell’uomo, della sua solitudine, della sua inetta incapacità ad assistere il suo simile e ugualmente farsi assistere, in una simbiosi di riconoscenza, verso la Vita, che è di tutti. In fondo, quel suo cambiare di colpo direzione alla propria esistenza era il presagio della resa invincibile, e l’essere diventato famoso a Dublino per il suo fare non era bastato, evidentemente, a regalargli non dico la felicità, ma per lo meno la spocchiosa tracotanza dell’uomo che si è fatto da sé, qui o lì poco importa. L’ostentazione della propria superiorità, che tanto gratifica l’essere umano. Avevamo superato il semaforo, mentre lui mi parlava di non avere qui ormai più alcun legame se non con la sorella, e del fatto di tornare fra l’altro piuttosto di rado. Ancora una volta mi accorava il suo rimpianto di felicità, di quella felicità che non avrebbe avuto anche se non fosse mai andato via. Ecco, era come se celasse, secondo il mio sentire, che so, una diaspora famigliare, delle divisioni traumatiche di figli una volta sposati, o di nipoti indifferenti o peggio, attaccati al suo denaro, nel disprezzo completo del suo fare. Ma se mi avessero chiesto di avallare questa ipotesi avrei decisamente scosso la testa. Il suo dramma non era personale, questo lo sentivo penetrare i miei pori uno ad uno, il suo dramma era di genere. - E lei, è di qui? – mi chiese ad un certo punto con decisa dolcezza, una domanda posta in modo da farmi

sentire uomo, come lui. - Ohh.. – feci sorridendo – anch’io una volta lo ero.. una trentina di anni fa.. ma io non ho mai lasciato questo posto. Con la mente sì, sono stato gaucho della pampa, coltivatore di caffè in Brasile, ingegnere alla IBM a Milano, artista all’ombra dei sassi di Matera, amante infuocato di geishe nell’antico Giappone imperiale, pallido questuante di servigi asfittici della sopravvivenza.. ma come lei, ho spesso creduto di non avere un posto dove tornare, da persone che sapessero apprezzarmi, ma, grazie a lei, so che questo esiste, da sempre, e per sempre esisterà. Il mio viaggio è come il suo, alla scoperta del senso stesso del ritorno, e la mia più grande felicità è la speranza di avergliene dato motivo, perché io spesso non lo vedo… - Ma lei è giovane.. un ragazzo.. – fece con una smorfia sincera, come tutto il resto. - Beh.. giovane.. sì, giovane! Posso chiederle quanti anni ha? - Quasi 89 - 89… Dire che non dimostrasse la sua età, sebbene incanutito, è falso. Nei suoi occhi erano i secoli, i millenni, i frammenti cosmici dello scontro casuale dei mondi, la pioggia siderale degli istanti di cui si nutre l’Amore. Allo sbocco maleodorante del viale chiesi dov’è che di preciso dovesse andare, era lì vicino, accostai e spensi il motore, stemmo ancora qualche minuto a conversare. Rinnovò i complimenti per la mia persona, la fiducia nel mio positivo futuro, che contraccambiai esternando l’onore di aver fatto la sua conoscenza, e augurandogli ogni bene possibile per la Vita, ancora a venire. - Ecco – indicò – mia sorella abita lì - ma avrebbe potuto indicare anche lì, e lì, e poi ancora lì, e dovunque. Mi strinse forte la mano, la sua ossuta e delicata come quella di un bimbo, tutta la sua persona era ingenua, pulita, irradiante come quella di un bimbo. Scese con la pesantezza gentile della soddisfazione. E si avviò sul marciapiede. E mi lasciò a tirare su col naso, stavolta senza vergogna.

Angeli - Sergio Gabriele www.sergiogabriele.it – info@sergiogabriele.it Copyright © 2010


Performance: Combina2ione Impossibility TO..create di Natasa Korosec e Marco Tiraboschi

Eventi Collaterali

Installazione: Taste an Artist Dinner di Lisa Parmigiani e Cristina Brunelli

Happening: Rifrazioni Emozionali - Live Visual Projection Mapping di Federico Galetto’s Video Mixing Live


Eventi Collaterali 10 Settembre 2011 Performance: ContaminAzioni

di Cristiano Ferrua, Daniela Gazzera e Adriana Ribotta del gruppo “Voci Erranti”

ContaminAzione ALFABETICA

ContaminAzione QUOTIDIANA

ContaminAzione VICENDEVOLE

UN MARE DI CARTA / UN MURO DI PAROLE (Per Francesco Muro, Adriana Ribotta, Daniela Gazzera e Cristina Pedratscher) Avanti Signore e Signori! / Il muro della comunicazione è abbattuto / Una cornice virtuale c’invita Ad entrare in un cosmo virtuale / Un mare di carta reale / Oasi digitali di comunicazione Tra dissoluzione e contaminazione. Passi leggeri accarezzano immagini e parole / E si lasciano accarezzare / Da rifili d’utopie innamorate E accolgono la grazia felina / Di due donne disperse e ritrovate / Che cercano l’ultima parola Forse l’ultimo abbraccio d’Amore / Inseguite da sogni di bellezza / Che le danzano accanto Che vogliono metterle a fuoco. Si rotolano felici nel nido di carta / E non serve altro nel letto di parole / Solo il rosso e il blu Di due corpi innamorati / Che girano e gravitano accanto / Come galassie d’amore sopravvissuto A un mare di carta / A un muro di parole. Donato Di Poce (Pinerolo/Milano, 07.07.2011)


Eventi Collaterali 10 Settembre 2011

Open Space: Blog Poetry-Graffiti Verbali dedicato alla Poesia in Rete e non solo a cura di Sergio Gabriele e Donato Di Poce L’ALTRA FACCIA DELLA POESIA di Donato Di Poce La poesia è un silenzio che danza Nel cuore dei poeti Donato Di Poce La poesia e i poeti con la loro parola visionaria, errante, clandestina, etica, sonora, performativa e il loro corpo poetante, incastonati all’interno di una splendida mostra multimediale, ovvero il progetto Alfabetomorso nuovo, originale e di grande ricognizione dell’Arte contemporanea, nato nel segno della contaminazione di linguaggi ed esplorazioni della creatività e stupendamente creato, curato e realizzato da Elena Privitera, Marco Filippa e Sergio Gabriele. Quest’ultimo ideatore e curatore con me anche dell’evento nell’evento dedicato alla poesia Blog Poetry nel segno della contaminazione dei linguaggi e la danza delle arti, un linguaggio e una poesia che attraversi la vita e il sogno, il virtuale e il reale dove oggi è sempre più difficile scorgere i confini verso una poesia che pensiamo sempre più libera da classicismi e aureole, e un linguaggio sempre più contaminato di vita, arte e poesia. Una scommessa crediamo vinta e un successo annunciato visto anche l’autorevolezza e le performance dei partecipanti ( su tutte quelle di Rita Pacilio in corrispondenza onirica e visione recitante con l’Angelo e di Tiziana Cera Rosco, in immediato feeling con il luogo, una chiesa sconsacrata, un letto di paglia, una parete bianca di una stalla, un pianoforte dimenticato, un’ edera rampicante fino all’io visionario più intimo e assoluto), che hanno accompagnato e caratterizzato la visita di EnPleinAir, sito magico e rurale catalizzante le meridiane cosmiche dell’arte contemporanea e un primo momento illustrativo della mostra Alfabetomorso, fatto con appassionata e lucida competenza da Sergio Gabriele. Citiamo alcuni versi esemplari come: Quando tutto sgretola/la vita oscilla nel ricordo… lei ha attraversato tutte le parole, dentro il quadrato dei giorni …(Gabriela Fantato); I cuori vivono, sulla memoria e il dolore, senza dimenticar, e, senza perdonare… (Maurizio Alberto Molinari); …arriva l’ombra e cavalca la pietr, cammina sulla retina del mondo, ha una mano sui binari… (Lorenzo Morandotti); Ama la Libertà prima di amare te stesso. Sarai Eterno. (Aky Vetere); Solo di notte vivo, non esisto al giorno violaceo, vagheggio come compagna e serva, un riflesso indipendente da me. (Rita Pacilio); le ortiche resistono, anche d’inverno. Emergono, come selva dai sassi, non cedono,

nemmeno al vento. Vivono, tra figure, di pietra e case abbandonate. (Cristina Balzaretti); I veri poeti, sono diamanti sfuggiti, alle collezioni degli editori. (Donato Di Poce); Tra la vita e la morte c’è il corpo. Il corpo è tutto. E nel corpo tutta l’ingenuità e l’ingiustizia del mondo. Tutta la storia dell’uomo e di Dio. La differenza tra salute e salvezza, tra bene e benessere. Scrivo perché la mia esistenza è incarnata e voglio di me tutta la presenza sondabile, stremando, come ogni carne fa, l’ordine completo della logica, perché non vuole sottostare alla cultura della disgiunzione. Vuole essere l’ambivalenza che è, per permettere alla coscienza di vivere tutto il suo turbamento, il conflitto permanente, l’apertura di sé che ribadisce più che può la vulnerabilità e la potenza dell’esistenza anche a costo di una rottura. (Tiziana Cera Rosco); …e poi comincia…nel ricordo di una foglia, poi nella carne comincia: della Dea Venere diede labbra piene diede il corpo chiaro della vertigine, tuffo dell’occhio – verde su verde…porta sempre la vertigine della storia, la goccia rossofiore – quando spuma, la goccia dell’oro, una vertigine viola (Chiara Daino). Ma vediamo l’elenco dei partecipanti alla 1^Edizione di Alfabetomorso Blog-Poetry: Anna Toscano, Brunella Pelizza, Chiara Daino, Daniela Cattani Rusich, Diana Battaggia - LietoColle Editrice , Donato Di Poce, Gabriela Fantato, Loredana Semantica, Lorenzo Morandotti, Maria Grazia Casagrande, Maria Grazia Galatà, Maurizio Molinari, Melita Rotondo, Rita Pacilio, Salvatore Sblando, Silvia Rosa, Tiziana Cera Rosco, Sergio Gabriele. A parte le assenze giustificate di alcuni ( chi alle prese con gravidanza, chi per ritirare premi letterari, chi perso nel gorgo esistenziale), c’è stata la partecipazione appassionata degli autori (numerosa e attiva la partecipazione di autori Lietocolle, splendidamente presentati da Diana Battaggia che ha presentato anche i poeti Cristina Balzaretti e Aky Vetere), oltre l’invio di testi inediti e di video di autrici che non potevano essere presenti. Un’attenzione particolare merita la realizzazione all’interno dell’evento, di un’area Video curata da Sergio Gabriele con proiezione in sequenza di VideoPoesia di Chiara Daino, Daniela Cattani Rusich, Loredana Semantica, Maria Grazia Casagrande, LietoColle Editrice, Maurizio Molinari, Salvatore Sblando, Silvia Rosa, Tiziana Cera Rosco, Sergio Gabriele. Il grande poeta Orazio creò la formula Ut pictura poesis, ovvero Come la pittura la poesia e in ossequiosa obbedienza a questo rapporto e al valore della trasversalità e contaminazione tra le arti che mi hanno sempre accompagnato, ho avu-


to il piacere di leggere il mio testo Un mare di carta, un muro di parole dedicato alla performance di Voci Erranti, ContaminAzioni, articolata in tre momenti, al cui secondo, all’interno dell’installazione di Francesco Muro, avevo avuto l’onore di assistere il 25 Giugno in anteprima e fotografare l’improvvisazione qui stupendamente replicata, che aveva ispirato i miei versi erotici, eretici, erranti. Tra gli altri eventi della giornata poetica che ha visto snodarsi: Installazione Opere di Mafalda Coen, Melita Rotondo, Marco Casolino-Disgregazione dell’Io, Francesca Maranetto Gay, Margherita Levo Rosenberg, Innokentiy Fateev, Giulio Nocera, Federico Galetto’s video Mixing live Rifrazioni Emozionali-Live Visual Projection Mapping, Rita Vitali Rosati con presentazione del suo libro fotografico “Ahi” a cura di Sergio Gabriele. Tutti di grande interesse e sollecitazioni emotive/ creative, ci hanno particolarmente colpito proprio quest’ultimo evento, per l’intensità e l’approccio poetico che ha caratterizzato intervento critico di Sergio Gabriele, raro e prezioso per una presentazione di un libro fotografico, che oserei definire creATTIVO più che creativo e la performance teatrale di Voci Erranti, per la capacità di amalgamare e interagire con tutte le forme espressive in atto che caratterizzano Alfabetomorso, evidenziando di volta in volta, la parola, il corpo i gesti, utilizzando lo spazio EnPleinAir, l’installazione di Francesco Muro, testi poetici e la location interna della mostra. Abbiamo lasciato Pinerolo con il cuore denso di emozioni e la mente colma di energia creativa e gratitudine soprattutto per Elena Privitera, ideatrice, curatrice, angelo custode e musa ispiratrice di questa danza delle Arti e di tutto quanto è stato realizzato e con la certezza che nel rumore di fondo che circonda e infesta la nostra civiltà multimediale, c’è chi ama davvero l’arte e cerca, crede e ama ancora la poesia, convinti che etica, verità e bellezza possono e devono andare insieme e ridare entusiasmo e vitalità a una società fossilizzata e morente, aggressiva e violenta senza più valori e speranze e che La poesia è un silenzio che danza, nel cuore dei poeti.

Donato Di Poce è Poeta e scrittore.

corso Torino 234 10064 Pinerolo Tel. 0121374922

Vendita - Installazione - Assistenza Concessionario per video e audio di: BANG&OLUFSEN - LOEWE - BRIONVEGA LENUS SCHAUB LORENZ Concessionario per sistemi hi-fi audio di: TIVOLI AUDIO - GENEVA - TEAC- SENNHEISER Impianti satellitari e terrestri Humax


Progetto Grafico: Arch.Marco Filippa Catalogo n째35 - Stampato presso Copypoint - Pinerolo


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