in bloom ELEONORA CALVELLI
Appartengo alla generazione per la quale tutto è possibile. La mia generazione si è formata negli anni ‘80, gli anni del boom economico, dell’ottimismo, della realizzazione individuale. Nel 1989 abbiamo vissuto il crollo del muro di Berlino e la fine della Guerra Fredda; siamo diventati i testimoni dell’implosione delle ideologie. Oggi, nel giorno in cui scrivo, il Papa ha “rimesso il suo mandato”, ha implicitamente riconosciuto la sua fallibilità: da oggi la Chiesa, per come abbiamo imparato a conoscerla, non esiste più e forse non sarà più la stessa di un tempo. La mia generazione è anche la prima ad aver visto due coppie di uomini o di donne “procreare”. Ed è soprattutto per questo che ritengo che per noi tutto sia possibile. Con il lavoro sulle famiglie omogenitoriali volevo scoprire un aspetto di un nuovo e vasto campo di possibilità sociali. Volevo capire come il paradigma familiare tradizionale, la “sacra famiglia” italiana (che poi è quella dalla quale io provengo), stesse evolvendo sulla spinta di tali possibilità. Intendevo approfondire il tema della scelta consapevole di dare la vita; una scelta che, nel caso delle famiglie omogenitoriali, oltrepassa i confini biologici e diventa politica, perché si va a scontrare con i limiti prescritti dalle leggi e da chi le leggi approva. Chi non conosce la quotidianità delle famiglie con genitori omosessuali teme che i
I belong to the generation for which everything is possible. My generation grew up in the 1980s, the years of the economic boom, optimism and individual fulfilment. In 1989 we lived through the fall of the Berlin Wall and the end of the Cold War, becoming witnesses to the implosion of ideologies. Today, as I writing, the Pope has announced his resignation, implicitly acknowledging his fallibility: from this moment onwards the Church, as we have learned to know it, no longer exists and perhaps will never be the same again. My generation is also the first to have seen same-sex couples “procreate”. It is because of this in particular that I believe that everything is possible for us. With this work on families with LGBT parents, I wished to explore an aspect of a vast new sphere of social possibilities. I wanted to understand how the traditional family paradigm, the Italian “sacred family” (from which I come myself ), was evolving under the stimulus of these possibilities. I intended to probe the theme of the conscious choice to give life; a choice that, in the case of families with LGBT parents, goes beyond the confines of biology to become political, as it clashes with the limits prescribed by laws and by those who approve them. Those unfamiliar with the day-to-day life of families with LGBT parents fear that their children are destined to be “different” because
loro bambini siano destinati a essere “diversi” perché nati in un tipo di famiglia che li porterà certamente a interrogarsi sulle proprie origini. Ma non sono forse le stesse domande che si pone ogni figlio, a prescindere dalla propria “nascita”: perché mi trovo qui, perché esisto? Sono frutto del caso o di una scelta? E non sono forse altrettanto universali i dubbi che assalgono ogni futuro genitore quando si chiede: è giusto mettere al mondo una nuova vita? Indubbiamente, in comune con le mamme e i papà che ho seguito c’è il “mito condiviso dell’infanzia”, come scrive Tommaso Giartosio nel testo che ha scritto per In Bloom. Ma a guidarmi non è solo una dimensione emotiva, intima, personale. È la volontà di esplorare la capacità dell’uomo di scegliere e di autodeterminare il proprio destino, la necessità di analizzare “il fuori”, il mondo, la società; il processo attraverso il quale le motivazioni interiori trovano il loro spazio nell’ambiente esterno. E poiché il “mondo” pone dei limiti in senso assoluto, la domanda diventa: come ci poniamo noi di fronte a tali limiti? Le famiglie omogenitoriali devono confrontarsi con molte barriere, dal punto di vista dell’approvazione sociale, dei diritti, delle pari opportunità. Quelle che ho incontrato hanno affrontato e superato i vincoli che venivano loro imposti. In prima persona, con il loro
they were born in a type of family that will undoubtedly lead them to question themselves about their origins. But aren’t these the same questions that all children ask themselves, regardless of their “birth”? Why am I here? Why do I exist? Am I the product of chance or choice? And aren’t the doubts that assail all future parents equally universal when they ask themselves whether it’s right to bring a new life into the world? Like the mothers and fathers that I documented, I undoubtedly subscribe to the “shared myth of childhood“, as Tommaso Giartosio wrote in his text for In Bloom. However, I was guided not only by an emotional, intimate and personal dimension, but also by the wish to explore man’s ability to choose and determine his own destiny; the need to analyse “the outside”, the world, society; the process through which inner motivations find their space in the outer sphere. And, because the “world” sets absolute limits, the question becomes “where do we stand in relation to these limits?” Families with LGBT parents have to tackle many barriers, in terms of social approval, rights and equal opportunities. Those that I met had dealt with and overcome the constraints that had been imposed on them. They have personally enacted a political choice with their body, shifting the ontological,
corpo, hanno messo in atto una scelta politica. Hanno spostato il margine, insieme ontologico, esistenziale, politico e sociale, di ciò che oggi è permesso nel nostro Paese. Ecco, un figlio che nasce in una famiglia omogenitoriale non è solo un dono del destino, o almeno lo è nella misura in cui due uomini e due donne si incontrano e si innamorano; un figlio che nasce in una famiglia omogenitoriale è sempre il frutto di una scelta consapevole, maturata senza lasciare nulla al caso. In questo senso, l’essere biologico si è esteso, diventando tutt’uno con il “ruolo”: “per noi la biologia è importante, ma è ancora più importante scegliere di fare i genitori”, dicono le mamme lesbiche e i papà gay che ho intervistato. Alcuni genitori mi hanno chiesto perché una donna eterosessuale sentisse il bisogno di portare avanti un progetto sull’omogenitorialità. È vero, sono partita dalle infinite implicazioni di un tema così intriso di giustizia, di valori sociali, di vita, perché mi occupo di fotografia documentaria. Poi la bellezza ha preso il sopravvento. Tuttavia, raccontare la bellezza delle famiglie che ho conosciuto non è stata solo una scelta estetica. La loro storia somiglia alla nostra, e a quella di chi, prima o poi, deve confrontarsi con la libertà di scegliere e di esistere secondo nuove prospettive e bisogni.
existential, political and social boundaries of what is permitted in our country today. A child born into an LGBT family is not only a gift of destiny, at least to the extent in which two men or two women meet and fall in love; a child born into a LGBT family is always the fruit of a conscious decision, taken without leaving anything to chance. In this sense, the biological state is extended, merging with “role”: “Biology is important to us, but it is even more important to choose to be parents,” the lesbian mothers and gay fathers that I interviewed told me. Some parents asked me why a heterosexual woman felt the need to conduct a project on LGBT parenting. In truth, my starting point was the infinite implications of a theme imbued with justice, social values and life, because I work as a documentary photographer. Then beauty took over. However, documenting the beauty of the families I met was not merely a visual consideration. Their story resembles our own, and that of those who, sooner or later, will have to tackle the freedom of choosing and existing according to new perspectives and needs.
Eleonora Calvelli
Felici e contenti C’era una volta una famiglia: papà, papà, due gemelle di cinque anni e un piccoletto di un anno. È la storia della mia famiglia, del viaggio che io e mio marito abbiamo fatto prima all’interno dei nostri cuori e poi dall’altra parte dell’Oceano, dove una donna straordinaria di nome Tara ci ha aiutati a realizzare il nostro sogno. E di come poi ci siamo sposati a Ginevra, la città che è diventata la nostra nuova casa. Ogni famiglia ha la sua storia, una favola con protagonisti, avversità, amici, nemici e, spesso, un magico lieto fine, benché quella delle famiglie con due genitori omosessuali debba quasi sempre passare per un paese che non sia l’Italia. Eppure le nostre favole, che siano riconosciute o meno dalle istituzioni, sono belle esattamente come le altre. Senza accontentarsi di un generico “e vissero felici e contenti”, Eleonora Calvelli è andata a documentare alcune storie italiane di omogenitorialità, raccontando con le sue immagini di vita quotidiana l’amore e i sorrisi che regnano nelle nostre case. Per scoprire che, sì, i figli di genitori omosessuali sono effettivamente felici e contenti. Ma come in ogni favola che si rispetti, anche qui c’è un cattivo. In questo caso sono le leggi, i governi e soprattutto i cittadini che non si
Happily ever after Once upon a time there was a family: dad, dad, two five-year-old twin girls, and a oneyear-old baby boy. It’s the story of my family and the journey that my husband and I made, first within our hearts and then across the ocean, where an extraordinary woman called Tara helped us make our dream come true. And of how we then got married in Geneva, the city that has become our new home. Each family has its own story, a story with characters, adversities, friends, enemies and, often, a magical happy ending, although that of families with two same-sex parents almost always has to be set in a country other than Italy. Yet our tales, regardless of whether they’re officially recognised, are just as beautiful as the others. Without settling for a generic “and they all lived happily ever after”, Eleonora Calvelli set out to document some Italian stories of LGBT parenting, recounting the love and smiles that fill our homes in her pictures of everyday life. To discover that, yes, the children of same-sex couples do indeed live happily. However, as in every self-respecting story, there’s a baddie here too. In this case it’s the laws, governments and, above all, the citizens who don’t fight to ensure that everyone has
battono per garantire che tutti abbiano diritto a vedere riconosciuto il proprio amore e progetto di vita comune. E così la trama della storia di una famiglia può cambiare radicalmente a seconda del Paese in cui è ambientata. Per esempio, se io fossi rimasto a vivere in Italia, la mia storia sarebbe stata più o meno così: “C’era una volta un padre single di due gemelle che per caso si ritrovò ad abitare insieme a un altro padre single di un bambino di un anno”. Praticamente un racconto di fantascienza molto poco credibile, dove io, mio marito e i nostri tre figli diventiamo un bizzarro fenomeno che farebbe la gioia dei sociologi. Eppure ci basta oltrepassare una qualunque frontiera per ritrovarci magicamente sposati. Niente male, eh? Sono certo che a molti italiani non dispiacerebbe affatto potersi prendere una pausa dal matrimonio semplicemente passando un weekend all’estero. Ma questo privilegio è riservato alle coppie di persone omosessuali. Grazie alla giungla dei diritti LGBT in Europa, che va dal riconoscimento dell’uguaglianza in Spagna fino al deserto giuridico di Italia, Grecia e Polonia. Passando per tutte le sfumature possibili. Così che in Spagna io sono sposato con tre figli; in Svizzera sono sposato con due figlie e ho qualche responsabilità nei confronti del figlio di mio marito; in Francia ho due figli e un’unione
the right to see their love and shared life plan recognised. Consequently, the plot of a family’s story may change radically according to the country in which it is set. For example, if I’d carried on living in Italy, my story would have gone more or less like this: “Once upon a time there was a single dad with two twin girls who, by chance, found himself living with another single dad with a one-year-old baby boy.” It’s practically a science-fiction story, a highly implausible one, in which my husband, three children and I become a bizarre phenomenon that would delight any sociologist. Yet it is sufficient for us to cross a border to find ourselves magically married. Not bad, is it? I’m sure that many Italians would welcome being able to take a break from marriage simply by spending a weekend abroad. But this privilege is reserved for same-sex couples, thanks to the jungle of LGBT rights in Europe, which run the gamut from recognition of equality in Spain to the juridical desert of Italy, Greece and Poland, with all possible variations in between. Consequently, in Spain I’m married with three children; in Switzerland I’m married with two daughters and I also have responsibility towards my husband’s son; in France I have two children and a civil union with my partner; and in Italy I’m the single father of twin girls, who has casually found himself living with another single
di fatto con il mio compagno e in Italia sono un padre single di gemelle. Che si è trovato per caso ad abitare con un altro padre single di un bellissimo bambino. Finché si parla di matrimonio, la cosa è seccante ma non gravissima. Ma chi spiega a quel bellissimo bambino che, se andiamo in vacanza in Polonia, io non sono più suo padre? Nel 2011 si è svolta a Strasburgo una conferenza intitolata: “La mancanza del riconoscimento reciproco di unioni civili e matrimonio omosessuale tra gli stati membri dell’Unione europea e del Consiglio d’Europa: un ostacolo alla libertà di movimento delle persone?”. La risposta è stata: “Sì”. Vi faccio un esempio: due padri gay spagnoli adottano una bambina a Siviglia, poi si trasferiscono per lavoro a Torino. E le nostre istituzioni come gestiscono la cosa? Li trattano come due uomini single che per caso si trovano a vivere con una bambina di due anni? La scuola, gli ospedali, gli uffici pubblici italiani saranno costretti a riconoscere questa famiglia. Tanto più che, in mancanza di un genitore biologico, non si potrà neanche applicare quella tanto amata discriminazione basata sulla presunta idea di “padre vero”. Quando ci siamo trasferiti in Svizzera ci siamo trovati più meno nella stessa situazione. Come far capire all’ufficio visti di Berna che
dad with a lovely baby boy. Until we speak of marriage, the situation is annoying, but not really serious. But who will explain to that lovely baby boy that, if we go on holiday to Poland, I’m no longer his father? In 2011, Strasbourg was the venue for a conference entitled “The lack of mutual recognition of same-sex partnerships and marriages in the European Union and member states of the Council of Europe: an obstacle to the freedom of movement of persons?” The answer to that question was “Yes”. Here’s an example: two Spanish gay fathers adopt a little girl in Seville and subsequently move to Turin for work. How do the Italian institutions deal with this? Do they treat them as two single men living with a twoyear-old girl by chance? Italian schools, hospitals and public offices will be forced to recognise this family. Furthermore, in the absence of a biological father, it will not even be possible to apply that muchbandied variety of discrimination based on the presumed notion of the “real father”. When we moved to Switzerland we found ourselves in more or less the same situation. How could we make the visas office in Berne understand that the two single fathers about to arrive were actually a family? It was simple: the multinational for which my husband works explained it to them. It was sufficient for us to
questi due padri single in arrivo erano in realtà una famiglia? Molto semplice: gliel’ha spiegato la multinazionale per cui lavora mio marito. È bastato che raccontassimo i fatti all’ufficio del personale e la multinazionale, usando tutto il suo potere multinazionale sulla piccola Svizzera, ha garantito per noi e ha fatto ottenere a tutti noi il permesso di soggiorno. Assumendo persone che arrivano da ogni angolo del mondo, le multinazionali si stanno assestando su standard di rispetto molto alti, perché a loro non interessa con chi sei sposato, ma solo quanti soldi gli fai guadagnare. E non hanno certo tempo di mettersi a litigare con tutte le diverse legislazioni in fatto di omosessualità. E vi sembra normale? Vi sembra giusto che la prima istituzione a trattarci come una vera famiglia sia stata una multinazionale? Che il sistema capitalistico elargisca più libertà e rispetto delle nostre istituzioni politiche? Caso a parte è poi l’Onu, che qui a Ginevra applica il principio della legislazione del Paese di provenienza. In pratica, se sei gay e italiano ti becchi il simpatico trattamento che ti riserva il tuo paese e, per esempio, non puoi far avere il permesso di soggiorno al tuo compagno, neanche se te lo sposi in Svizzera. E mentre tu ti perdi tra le scartoffie in cerca di una soluzione, la tua collega finlandese è
inform the personnel office and the multinational, wielding its full multinational power over little Switzerland, guaranteed for us and allowed us all to obtain our residence permits. By employing people from all corners of the world, multinationals have developed very high levels of respect, because they’re not interested to whom you’re married, only in how much money you make them earn. And they definitely don’t have time to argue with all the various legislations regarding homosexuality. Does that seem right to you? Do you think it’s right that the first institution to treat us like a proper family was a multinational? That the capitalist machine grants more freedom and respect than our political institutions? The UN is a case unto itself, and here in Geneva it applies the principle of the legislation of the country from which you hail. In practice, if you’re Italian and gay you receive the same congenial treatment that you’d get at home, and you can’t get a residence permit for your partner, not even if you marry him in Switzerland. And while you’re drowning in red tape in the quest for a solution, your female Finnish colleague is enjoying her lunch break with her wife and their nine children. Years ago a French friend told me that the FAO, the UN agency based in Rome for which he worked, had found a good Italian-style
scesa in pausa pranzo con sua moglie e i loro nove figli. Anni fa un amico francese mi raccontava che la Fao, l’agenzia delle Nazioni Unite con sede a Roma per cui lui lavorava, per far arrivare i coniugi gay nel nostro paese aveva trovato una bella soluzione all’italiana: utilizzare il visto per personale di servizio a cui aveva diritto ogni funzionario. Come a dire: invece della donna delle pulizie ti porti tuo marito. E che problema c’è? C’è un problema di dignità, rispetto e uguaglianza. Solo quando sarà riconosciuta in tutti i Paesi la completa uguaglianza tra le persone a prescindere dal loro orientamento sessuale potremo uscire dalla giungla dei diritti e finalmente scrivere: “E vissero felici e contenti, nel loro Paese”. Così che il lieto fine raccontato dalle immagini di Eleonora Calvelli, possa essere finalmente scritto anche sui documenti ufficiali.
solution for bringing gay spouses to Italy, by using the visa for domestic staff to which all officials were entitled. As if to say, you can bring your husband instead of a cleaning lady. Where’s the problem with that? It’s a problem of dignity, respect and equality. Only when all countries grant complete equality to everyone, regardless of their sexual orientation, will we be able to emerge from the jungle of rights and finally write, “And they all lived happily ever after, in their own country.” Then it will also finally be possible to write the happy ending recounted by Eleonora Calvelli’s pictures on official documents as well.
Claudio Rossi Marcelli
I miei figli Certo, per tutti i genitori del mondo quando nasce un figlio desiderato è un evento sempre straordinario ma nello stesso tempo rientra nel processo banale della vita che ricomincia all’interno di una coppia e poi di una comunità accogliente e felice. Ma per me, una donna lesbica nata nel ‘63 e cresciuta in un momento in cui vigevano l’omertà e la vergogna su tutto ciò che riguardava l’omosessualità, dire queste tre semplici parole, “I miei figli”, rivela qualcosa di quasi magico che avrà sempre dello straordinario. Eppure già da bambina mi vedevo madre e non potevo immaginare un futuro senza figli, anche se prestissimo ho affermato che non mi sarei mai sposata, due affermazioni antitetiche che facevano impazzire mia madre e che io stessa non capivo. E poi m’innamorai di Raphaelle e tante cose buie diventarono limpidissime: sapevo finalmente chi ero e ogni cosa trovò il proprio posto e mi sentii finalmente completa e solida. Amavo una donna e ne ero ricambiata e in quel momento niente poteva essere più importante. Nel momento in cui capii di essere lesbica feci una semplice constatazione serena sul fatto che, insieme, non avremmo avuto mai figli ed era l’unico neo alla nostra nuova felicità.
My children The birth of a wanted child is always an extraordinary event for parents the world over, but it’s also part of the mundane cycle of life that starts over again within a couple and subsequently in a welcoming and happy community. However, for me, a lesbian woman born in 1963, who grew up at a time when everything regarding homosexuality was taboo and shameful, saying the two simple words “my children” is almost magical and will always be extraordinary. Yet even as a child I could see myself a mother and couldn’t imagine a future without children, although I declared at an early age that I’d never get married: two diametrically opposed statements that drove my mother crazy, and which I didn’t understand myself. Then I fell in love with Raphaelle and many obscure things suddenly became very clear. At last I knew who I was and everything fell into place, making me feel complete and solid. I loved a woman who loved me back, and at the time nothing could have been more important. When I understood that I was lesbian I calmly realised that we’d never have children together, and that was the only shadow over our newly found happiness.
Era una rinuncia formulata molto tranquillamente: essere lesbica e decidere di viverlo pienamente voleva dire semplicemente non avere figli. Avevo come tutti assorbito un concetto mai veramente espresso ma presente e pesante come un macigno: gli omosessuali sono sterili; non sterili biologicamente certo ma sono persone a cui viene imposta una sterilità sociale indiscussa e indiscutibile. I miei figli. I miei figli hanno due mamme. Nel ‘78, avevo 15 anni, in piena adolescenza ribelle e mi ricordo ancora con quanta attenzione seguii la notizia della nascita di Louise Brown, la prima bambina al mondo nata grazie a un concepimento in vitro, una FIVET. Mi sembrava straordinario e non so come spiegarlo ma sentivo senza capirlo che questa cosa mi riguardava da molto vicino. I miei figli sono nati tutti e due grazie a una FIVET e grazie a doni di gameti esterni alla coppia. Sono nati perché un giorno, avevo 38 anni, capii una cosa semplicissima ma rivoluzionaria: io non ero sterile e nemmeno la mia compagna era sterile. Ciò che ci aveva rese sterili fino allora erano due elementi che potevano trovare soluzione entrambi: il primo elemento era estremamente potente, l’oppressione sociale; il secondo aveva soluzioni immediate se si
It was a very peacefully formulated sacrifice: being lesbian and deciding to live it to the full simply meant not having children. Like everyone, I’d absorbed a concept that is never truly expressed, but which is as heavy and everpresent as a millstone around our necks, namely that homosexuals are sterile, not biologically sterile of course, but they are people upon whom an undisputed and undisputable social sterility is imposed. My children. My children have two mothers. In 1978 I was fifteen, at the height of my rebellious teenage years, and I still remember how carefully I followed the news of the birth of Louise Brown, the first world’s first testtube baby. It seemed an extraordinary event to me and I don’t know how to explain it, but without knowing why, I felt that it was very relevant to me. Both my children were born by in vitro fertilisation with donor gametes. They were born because one day, when I was 38, something very simple but at the same time revolutionary dawned upon me: I wasn’t sterile and nor was my partner. What had hitherto made us sterile were two elements that could both be resolved. The first was social oppression, which was extremely strong, but if we could overcome it, then the second – the
riusciva a superare il primo: la mancanza di un gamete maschile. Tutto il resto funzionava o almeno poteva funzionare o era programmato per funzionare. E io potevo diventare madre semplicemente se passavo da un concetto all’altro, da una consapevolezza all’altra e cioè dalla sterilità sociale imposta alla molto più semplice sterilità di coppia. Scoprii in effetti con liberazione che la nostra era una semplice sterilità di coppia, equivalente in tutto e per tutto alla sterilità che affliggeva migliaia di coppie eterosessuali incapaci di concepire per motivi “tecnici”: aspermia, ovuli non adeguati, uteri assenti e mi resi conto che la scienza poteva aiutare noi come aiutava loro. I miei figli sono nati perché abbiamo rifiutato l’imposizione della sterilità obbligata per le coppie e le persone omosessuali. Perché piano piano abbiamo disimparato a “non pensarci”, a negarci questa possibilità. I miei figli sono nati grazie a Louise Brown, a Robert Geoffrey Edwards e alle centinaia di migliaia di coppie infertili che non si sono arrese “al destino”,“alla volontà di dio”, “alla maledizione”. Oggi nel mondo nascono bambini grazie alla PMA (procreazione medicalmente assistita) ogni secondo e ognuno di loro è un regalo straordinario che la vita e la scienza fa ai loro genitori e ai bambini stessi. Il fatto che alcuni di questi
lack of a male gamete – could be promptly remedied. All the rest worked, or at least it could work or was programmed to work. Consequently, I could become a mother simply by making the transition from one concept to the other, from one awareness to the other, and thus from imposed social sterility to the far simpler condition of sterility within the couple. Indeed, it came as a liberation to consider our sterility in this way, equivalent in every respect to the infertility that afflicted thousands of heterosexual couples unable to conceive for “technical” reasons: aspermia, inadequate eggs, lack of a uterus, and so on, and I realised that, just as science helped them, it could help us too. My children were born because we refused the forced sterility imposed on homosexual couples and individuals. This was possible because we gradually unlearned to “not think about it” and thus deny ourselves this opportunity. My children were born thanks to Louise Brown and Robert Geoffrey Edwards, and to the hundreds of thousands of infertile couples who refused to surrender to “destiny” or “God’s will” or the “curse”. Today assisted reproduction technologies are responsible for the birth of babies every second throughout the world, and each of them is an extraordinary gift that life and science make
genitori felici e appagati siano omosessuali dovrebbe essere un particolare che non cambia nulla nella magia dei fatti. Un particolare per certi aspetti perché una famiglia è una famiglia è una famiglia, punto. Ma una rivoluzione per tanti altri aspetti… Una rivoluzione in atto, resa possibile da tante donne e sempre più uomini omosessuali che hanno voluto andare fino in fondo e non rinunciare al proprio sogno, quello di vivere la loro vita immaginata da piccoli e alla quale, per un tempo, avevano dovuto rinunciare. Grazie a questi sognatori determinati, oggi per i giovani omosessuali tutte le vie sono percorribili, tutti i percorsi possono essere tentati. Non dobbiamo più rinunciare a priori, perché imposto da altri, alla famiglia che avevamo nel cuore da sempre.
to their parents and the babies themselves. The fact that some of these happy and fulfilled parents are homosexuals should be a detail that detracts nothing from the magic of it. A detail, in some respects, because a family is a family is a family and that’s all there is to it. But in other respects it’s a revolution... It’s an ongoing revolution, made possible by many homosexual women and an ever-growing number of men who have gone all the way in order not to give up their dream, that of living the life that they’d imagined as children, which they’d once have to have sacrificed. Thanks to these determined dreamers, today all paths are open to young homosexuals, all paths can be attempted. We must never give up the family that we have always had in our heart without trying, just because it’s imposed by others.
Giuseppina La Delfa
Eleonora Calvelli, a vederla Eleonora Calvelli, a vederla, sembra più giovane della sua età. Molti pensano che sia una donna molto giovane, poco oltre l’adolescenza. In realtà quello che intendono è che a volte ha il modo di fare di una bambina: la curiosità, la cautela, l’allegria selvaggia, la capacità di creare dimestichezza. È anche una fotografa molto brava, seria, rigorosa. Su questo doppio livello (benché il rigore, a rigore, sia anche dei bambini) si costruisce, nella mia esperienza, il rapporto tra Eleonora e i soggetti che fotografa. Si sente subito che mette in campo una professionalità adulta e un’esperienza a tutta prova. Tempi, esposizione, pose, luce: nulla è lasciato al caso (cioè: tutto viene determinato con fermezza in modo che anche il caso possa poi fare bene il suo lavoro). E oltre a questa competenza tecnica, c’è all’opera un’idea ben precisa del proprio ruolo e del progetto in corso. Però alla fine le foto sembrano fissate da uno sguardo infantile. O meglio, si prestano a una doppia lettura. Per esempio: quel pallone incastonato tra due rami mi viene (a me adulto) di leggerlo come un simbolo: della bimba-leggerezza sorretta da due mamme-forze, oppure del felice casuale incastro di gameti che fa nascere una vita. O ancora, posso vederci una sospensione del gioco che è anche miracolosa essenza del gioco. Ma so con
Eleonora Calvelli at first sight Eleonora Calvelli at first sight looks younger than she is. Many people think she’s a very young woman, little more than an adolescent. Actually, what they mean is that sometimes her curiosity, caution, high spirits and ability to make people feel at ease make her seem like a child. She’s also a very good, professional, exacting photographer. In my experience, the relationship between Eleonora and the subjects that she photographs is based on this dual nature (for children too know how to be exacting). You immediately sense her adult professionalism and her great experience. Timing, exposure, poses and lighting: nothing is left to chance (or rather, everything is resolutely determined so that chance too can do its job perfectly). Eleonora accompanies this technical expertise with a very clear idea of her role and her current project. However, ultimately her photographs appear as though through the eyes of a child, or rather they can be interpreted in two ways. For example, as an adult I’m inclined to interpret that ball lodged between two branches as a symbol: the child-lightness supported by two motherpowers, or the fortunate chance union of gametes that bring forth a new life. However, I can also interpret it as a suspension of the game that is also the miraculous essence of the game.
certezza che quella palla a mezz’aria è, prima di tutto, il tipo di cosa davanti a cui un bambino si incanta: senza sapere perché. Quasi tutte le foto di Eleonora Calvelli arrivano fresche fresche dall’infanzia e raccontano il mondo prepotentemente percettivo dei bambini. Un mondo che molto spesso ignora la media distanza. Appare sfocato da un’adiacenza che è anche immedesimazione (Calvelli è una virtuosa del fuori fuoco). O al contrario spazia e porta lontano lungo fughe di tavoli, auto, colline. La luce, sovente atmosferica e vibratile, a volte vistosamente artificiale, è comunque liquida, amniotica (l’infanzia come ogni condizione profonda è un ambiente). Cose e corpi sono sempre un po’ ammucchiati e mischiati, ma a volte porte si socchiudono, spalle e polpacci si scostano come tende, e nello spiraglio brilla un gesto o un viso. Solo le torte di compleanno e i vestiti da principessa, o anche certi alberelli rigogliosi, brillano di una luce quasi interna: perfettamente inquadrati e a fuoco, eterni nel loro istante. Credo che Eleonora e molte mamme lesbiche e papà gay si siano incontrati proprio a partire da questo mito condiviso dell’infanzia. Certo è un mito che non riguarda solo noi di Famiglie Arcobaleno. Ma non si spende tanto tempo, energia e denaro per fare figli se non si ha già in partenza un investimento profondamente
But I know for sure that that ball, mid air, is first and foremost the sort of thing that enchants a child, without knowing why. Almost all Eleonora Calvelli’s photos come fresh from the world of childhood and recount the compellingly perceptive world of children. It is a world that frequently ignores the middle distance, which appears blurred by a proximity that is also identification with the subject (Calvelli is a virtuoso of out-of-focus shots). Alternatively, her lens sweeps the scene and leads our eye far away towards the vanishing point, channelled by tables, cars and hills. The light, often atmospheric and vibratory, sometimes glaringly artificial, is nonetheless liquid, amniotic (childhood, like all profound states, is a enviroment). Things and bodies are always rather heaped together and mixed, but sometimes doors are left ajar, shoulders and calves draw aside like curtains, and a gesture or a face shines in the narrow gap. Only birthday cakes and princess dresses, or certain exuberant saplings, shine with an almost inner light: perfectly framed and focused, eternal in their moment. I think that it was precisely this shared myth of childhood that drew Eleonora and many lesbian mothers and gay fathers together. It is certainly not a myth exclusive to us members of Famiglie Arcobaleno. However, one doesn’t lavish much time, energy and money on having
sentito. E poi c’è il fatto che – parlando in generale – riconoscere la propria omosessualità ha significato molto spesso contrapporsi alla propria famiglia. Una volta cresciuti, il desiderio di essere genitori sarà dunque desiderio di mettere al mondo un soggetto, non un oggetto. Non si rischia certo il bambino-giocattolo (come vorrebbe lo stereotipo omofobico). Eleonora questo lo sa, non indulge mai in leziosità, invece di tinte pastello mostra i colori quasi acidi delle plastiche industriali, i peluches non sono cuccioli coccolosi ma vere controparti dei bambini nel paese dei mostri selvaggi. Casomai le famiglie arcobaleno devono fare attenzione a tenere sotto controllo il mito opposto, del bambinoeroe. Sarà un pregiudizio (suffragato però da diversi studi), ma questi sono bimbi più autonomi e consapevoli della media. Forse anche più soli, più individuali. Calvelli mostra anche questo, non ha paura a far vedere come i loro occhi esplorino il mondo e portino sulle cose un’espressione che i grandi non possono prevedere né curare: lo spaesamento e la noia, la provvisorietà e la distrazione. I vasti spazi da riempire che sono privilegio non ultimo dell’infanzia. Ci siamo anche noi grandi in queste foto. Si può immaginare la tensione iniziale di persone che sentono già tutti i giorni di venire severamente giudicate in quanto genitori e in quanto genitori omosessuali: ora, anche mediante una
children without already having a deeply felt investment to start with. Then there’s also the fact that, generally speaking, acknowledging one’s homosexuality frequently signifies coming into conflict with one’s own family. Once we are adults, the wish to become parents thus becomes the desire to generate a subject, not an object. There is absolutely no risk of creating a child-toy (as the homophobic stereotype would have us believe). Eleonora knows this and never indulges tweeness, preferring the almost acid hues of industrial plastics to pastel colours, and her soft toys aren’t cuddly puppies but the true counterparts of children where the wild things are. If anything, lesbian and gay parents should take care to keep the opposite myth, that of the child-hero, under control. It may be a preconception (although one that’s supported by several studies), but these children are more independent and aware than average. Perhaps they are also more alone, more individual. Calvelli reveals this too, she is not afraid of showing how their eyes explore the world and look at things with an expression that adults are unable to predict or cure: disorientation and boredom, impermanence and distraction. Huge spaces to fill are an important privilege of childhood. We adults are in these photos too. We can imagine the initial tension of those who
macchina fotografica e poi un libro a stampa! Nelle foto però siamo tutti passati oltre. Eleonora ci ha fatto abbassare la guardia. Non siamo rilassati, ma normalmente stanchi e vigili. Se in questa stanchezza c’è anche il logoramento di chi appartiene a una famiglia senza diritti, non lo si vede. Calvelli ha scelto di mostrare la nostra quotidianità, l’amore, l’impegno, l’unione, la complicità, la routine. Il diniego dei diritti, la discriminazione, qui non ci sono: spiccano per contrasto con quello che invece c’è. Come i giochi o i silenzi o, appunto, quella bassa tensione continua che è tipica di chi è sempre occupato a badare ai figli piccoli. In inglese “essere molto impegnati” si può dire to have one’s arms full, “avere le braccia piene”. Da quando sono nati Lia e Andrea mi scopro a usare questa espressione di continuo. Ci sono molte braccia in queste foto. Cos’è un braccio? È forza, ma non vero potere. Non è la mente, che progetta e decide, anzi è il suo contrario: “il braccio e la mente”. Ma non è neanche spalla o schiena, non trasporta, non copre, non sorregge; non è neanche mano o dito, non afferra, non manipola, non sceglie. Può solo cingere, spingere, sollevare. Fa quello che va fatto, trasmette un’energia limitata e di breve raggio, le due braccia lavorando in coppia, collaborando con il bambino. Le braccia, queste fasce diagonali come scale o ali che
already feel that they are severely judged on a daily basis in their capacity as parents and as homosexual parents: now even through the camera and then a printed book! However, in the photographs we have all gone beyond that sensation; Eleonora made us drop our guard. We’re not relaxed, but normally tired and vigil. If this tiredness also encompasses the wear derived from belonging to a disenfranchised family, it is not visible. Calvelli has chosen to show our everyday life, our love, commitment, union, complicity and routine. The denial of rights and discrimination are not portrayed here. This absence is heightened by the contrast with what is instead visible, such as play or silence or, indeed, that constant state of low tension typical of those continuously engaged in caring for small children. In English we might say that we have our arms full, and since the birth of Lia and Andrea I’ve often used this expression. There are many arms in these photos. What’s an arm? It’s force, but not real power. It’s not the mind, which plans and decides; in fact, it’s the opposite: “the arm and the mind”. But it’s not a shoulder or a back either, it doesn’t carry, or cover, or support. Neither is it a hand or a finger, it doesn’t grasp, manipulate or select. It can only encircle, push, lift. It does what needs to be done, transmitting limited, short-range energy; the two arms
attraversano le foto di Calvelli, segnano il senso e il limite dell’essere genitori. Tra le altre c’è una foto scattata in macchina. In primissimo piano a destra, il grande viso sfocato di una bambina fissa l’obiettivo, come il corrispettivo visivo del pronome personale “io”. Un’altra bambina, molto più indietro nell’angolo sinistro, guarda in basso giocando con qualcosa. Così anche una delle loro mamme si distrae, e in alto a destra si perde a guardare fuori dal finestrino. Forse programma gli impegni famigliari, forse pensa a tutt’altro o a nulla. Ma un braccio intanto è venuto a occupare, monumentale, il centro della scena. Sta fermo nella media distanza, in piena luce. Avvolto nella manica di un bel vestito viola, ma non inerte. Il polso si flette, forse ruota piano. Gioca. In questa inconsapevolezza (e forse solo qui) incontriamo i nostri bambini, come se dormendo sognassimo lo stesso sogno. È brava Eleonora Calvelli che li vede da sveglia.
working together, collaborating with the child. The arms, these diagonal bands like steps or wings that cross Calvelli’s photographs, mark the meaning and the limit of parenthood. There is one particular photo taken in a car. In the foreground on the left, the huge blurred face of a little girl stares into the lens, like a visual equivalent of the personal pronoun “I”. Another little girl, much further back in the left corner looks down as she plays with something. One of their mothers is distracted and gazes out of the window, at the top right, lost in thought. Maybe she is planning family engagements, perhaps she is thinking of something else entirely, or of nothing at all. But in the meantime, a monumental arm has invaded the centre of the scene. It is motionless in the middle distance, in full light, swathed in the sleeve of a pretty purple dress, but not inert. The wrist flexes, perhaps it turns slowly. It plays. It is in this unawareness (and perhaps only here) that we encounter our children, as though we were dreaming the same dream while asleep. Yet Eleonora Calvelli is gifted enough to see them while she’s awake.
Tommaso Giartosio
Fotografia, impegno, poesia Nel giugno 2013 ho fatto parte della giuria del Pride Photo Award, terza edizione di un concorso fotografico internazionale che si tiene ad Amsterdam e che ha come tema generale le diversità sessuali e di genere. Una delle categorie alle quali i fotografi possono accedere si definisce “Extremely Normal”. Durante i lavori della giuria, mentre sullo schermo si alternavano immagini di famiglie con due mamme o due babbi, ritratti in una quotidianità di casa e di lavoro assolutamente consueta, continuavo a pensare a come si potrebbe definire il concetto di normalità. Normale infatti è uno degli aggettivi di più difficile declinazione, vuole dire tutto e il suo contrario e funziona meglio se messo in relazione con aggettivi che definiscono realtà antagoniste: anormale, strano, inconsueto, diverso. Ogni accezione indica interpretazioni differenti ma quando si parla di sesso i concetti di normale e diverso diventano ancora più ambigui. Cosa è normale? Diverso da cosa? Da tempo Eleonora Calvelli lavora sulle famiglie omogenitoriali, su una normalità esistenziale che per il momento fatica a imporsi e che lei stessa definisce come un “nuovo e vasto campo di possibilità sociali”.
Photography, commitment, poetry In June 2013, I was a member of the jury of the Pride Photo Award, the third edition of an international photographic competition held in Amsterdam whose general theme is sexual and gender diversity. One of the categories open to photographers is called “Extremely Normal”. During the work of the jury, while the screen alternated pictures of families with two mothers or two fathers, portrayed in absolutely normal everyday circumstances at home and at work, I kept thinking about how the concept of normality could be defined. Indeed, “normal” is one of the trickiest words to define, for it means everything and the contrary and works best when considered in relation to adjectives that describe opposite situations: abnormal, strange, unusual, different. Although each meaning indicates different interpretations, when it comes to sex the concepts of normal and different become even more ambiguous. What’s normal? Different than what? Eleonora Calvelli has long focused on families with LGBT parents, and on an existential normality that, for the moment, is struggling to assert itself and that she herself defines as a “vast new sphere of social possibilities”
Ma tutti gli interrogativi che queste nuove realtà potrebbero sollevare si stemperano davanti alle immagini di Eleonora Calvelli. La sequenza delle fotografie si costruisce sul ritmo di un diario familiare che, come mette in evidenza Tommaso Giartosio, utilizza quello che a prima vista potrebbe sembrare il linguaggio immediato della visione infantile. E aggiunge: “Calvelli ha scelto di mostrare la nostra quotidianità, l’amore, l’impegno, l’unione, la complicità, la routine”, lasciando fuori dall’immagine e fuori dall’indagine, quasi programmaticamente, discriminazioni e difficoltà. Con gentile delicatezza la macchina fotografica registra momenti privati, incontri, giochi, oggetti, racconta una gita, un pranzo in famiglia, ritrae bimbi, genitori, animali, alberi. Con analoga delicatezza la fotografa si trasforma in una presenza-assente, non intrusiva, che si muove in spazi altrui, che è testimone privilegiata di piccoli momenti di vita privati. La fotografia contemporanea è splendidamente eterogenea, non ha scuole perché ne ha molte, tutte possibili. Ogni linguaggio, ogni intrusione, ogni elaborazione è da tempo praticabile. Eleonora Calvelli ha scelto un linguaggio fluido (Giartosio la definisce “una virtuosa del fuori fuoco”), che non ha apriorismi da dimostrare, che entra e esce dalle immagini con la vaghezza che è dei frammenti di realtà o dei
However, all the questions that these new situations might raise dissolve in the face of Eleonora’s pictures. The sequence of photographs is put together with the rhythm of a family diary that, as Tommaso Giartosio points out, uses what at first glance might seem the direct language of a child’s vision. He adds, “Calvelli has chosen to show our everyday life, love, commitment, union, complicity and routine”, almost systematically omitting discrimination and difficulties from the picture and from her probing. Her camera gently and discreetly records private moments, meetings, games and objects; recounts outings and family lunches; and portrays children, parents, pets and trees. With similar discretion, the photographer becomes a non-intrusive “absent presence”, who moves in other people’s spaces, making her a privileged witness to little moments of private life. Contemporary photography is beautifully diversified; it has no schools because it has many, all of which are possible. Each and every language, intrusion and elaboration has long been feasible. Eleonora Calvelli has chosen a fluid language (Giartosio calls her “a virtuoso of the out-offocus”), which has nothing to prove, entering and leaving the pictures with the vagueness
brandelli di memoria. Non c’è “l’istante decisivo” che congela l’evento, non c’è il senso di attesa del linguaggio documentario che si vuole osservatore oggettivo della realtà. Il linguaggio di Calvelli segue le strade della condivisione e dell’empatia, con una ondivaga morbidezza che ricorda lo sguardo “con la coda dell’occhio” praticato da Marina Ballo Charmet, una visione periferica e mobile che la macchina fotografica sembra registrare per istinto. Ma se l’obiettivo fotografico è intenzionalmente “fuori fuoco”, il suo progetto è lucidamente determinato: indagare su scelte esistenziali che oltrepassano i confini biologici per diventare affermazioni politiche. Lo fa mescolando poesia e impegno e ci regala l’illusione di essere noi stessi, i suoi lettori, i testimoni indiscreti delle vite altrui. Vite normali, appunto.
peculiar to fragments of reality or shreds of memory. It’s not “the decisive moment” that freezes the event, and there’s no sense of expectation of a documentary language intended as an objective observer of reality. Calvelli’s language follows the paths of sharing and empathy, with a fuzzy softness that recalls Marina Ballo Charmet’s “Out of the Corner of the Eye” views: a mobile peripheral vision that the camera seems to register by instinct. But while the camera lens is intentionally “out of focus”, her project is clearly determined: the probing of existential choices that go beyond biological boundaries to become political statements. She achieves this by combining poetry and commitment and creating the illusion that we ourselves – her readers – are the indiscreet witnesses of the lives of others. Normal lives, that is.
Giovanna Calvenzi
Eleonora Calvelli è una fotografa italiana con base a Roma. Dopo aver completato gli studi di Lingua e Letteratura Russa e un master di Comunicazione e Giornalismo presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione a Roma, ha frequentato un corso biennale presso la Scuola Romana di Fotografia. Ha esposto in Italia e all’estero. Alcune delle sue fotografie sono state pubblicate nei volumi collettivi Il cammino della Via Francigena, Pastori, Villaggio Olimpico Roma.
Eleonora Calvelli is an Italian photographer currently based in Rome. After reading Russian Studies and completing a master’s degree in Communication and Journalism at the University of Rome La Sapienza, she attended a two-year course in Photography at the Scuola Romana di Fotografia in Rome. She has exhibited her works in Italy and abroad. Her photos have been published in the collective books Il Cammino della Via Francigena, Pastori, Villaggio Olimpico Roma.
Claudio Rossi Marcelli, giornalista, ha collaborato con varie riviste per adolescenti, occupandosi di musica, cinema, tecnologia. Dal 2003 fa parte della redazione del settimanale Internazionale dove, fra l’altro, ha un blog e scrive le rubriche Le regole e Dear daddy. Nel 2011 ha pubblicato il libro autobiografico Hello Daddy (Mondadori). Vive a Ginevra con il marito e i loro tre figli.
Claudio Rossi Marcelli is a journalist who has written about music, film and technology for various magazines for teenagers. Since 2003 he has been on the editorial staff of the weekly Internazionale, where, among other things, he has a blog and writes the columns entitled Le Regole (“The Rules”) and Dear Daddy. In 2011 he published the autobiographical Hello Daddy (Mondadori). He lives in Geneva with his husband and their three children.
Tommaso Giartosio (Roma 1963) ha pubblicato Doppio ritratto (Fazi 1998, Premio Bagutta opera prima), Perché non possiamo non dirci. Letteratura, omosessualità, mondo (Feltrinelli 2004), La città e l’isola. Omosessuali al confino nell’Italia fascista (con Gianfranco Goretti, Donzelli 2006), L’O di Roma (Laterza 2012), e numerosi saggi e racconti. È redattore di Nuovi argomenti e conduttore del programma di Rai RadioTre Fahrenheit. Fa parte del collegio dei garanti di Famiglie Arcobaleno. Giuseppina La Delfa è italo-francese, nata nel nord della Francia nel 1963 da una famiglia siciliana emigrata. Ha studiato a Lille e a Grenoble. Laureata in materie linguistiche e letterarie. Nel 1990 si trasferisce in Italia con la compagna e da allora insegna lingua francese all’Università di Salerno. In Italia ha cominciato a frequentare gruppi e associazioni LGBTQ. Nel 2000 si “pacsa”
Tommaso Giartosio (b. Rome, 1963) is the author of Doppio ritratto (Fazi 1998, Bagutta Prize for first book), Perché non possiamo non dirci. Letteratura, omosessualità, mondo (Feltrinelli 2004), La città e l’isola. Omosessuali al confino nell’Italia fascista (with Gianfranco Goretti, Donzelli 2006), L’O di Roma (Laterza 2012), and numerous essays and short stories. He’s the editor of Nuovi Argomenti magazine and presenter of the Fahrenheit programme on Rai RadioTre. He is a member of the advisory board of Famiglie Arcobaleno. Giuseppina La Delfa is French-Italian, born in Northern France in 1963, the daughter of Sicilian immigrants. She studied in Lille and Grenoble and has a degree in foreign languages and literature. In 1990 she moved to Italy with her partner and has been teaching French at Salerno University
con la compagna al consolato di Francia a Napoli. Nel 2003 mette al mondo una bambina e due anni dopo, con un gruppo di genitori omosessuali, crea l’associazione Famiglie Arcobaleno di cui è Presidente dal giugno 2005. Nel 2012 nasce il suo secondo figlio. Dal 1985 Giovanna Calvenzi è stata photo editor di Amica, Sette, Vanity Fair, Moda, Lo Specchio e SportWeek. È stata direttore del mensile Lei. Attualmente è photo editor alla Periodici San Paolo. Nel 1998 è stata direttore artistico dei Rencontres Internationales de la Photographie di Arles e nel 2002 guest curator di PhotoEspaña a Madrid. Dall’ottobre 2006 insegna “photo-editing” presso il CFP Bauer di Milano. Collabora alla realizzazione di mostre e libri fotografici e svolge un’attività di studio e di ricerca sulla fotografia contemporanea.
ever since. In Italy she started frequenting LGBTQ groups and associations. In 2000 she and her partner got “PACSed” at the French Consulate in Naples. In 2003 she gave birth to a baby girl and two years later she founded the Famiglie Arcobaleno association with a group of homosexual parents, of which she has been President since June 2005. Her second baby was born in 2012. Since 1985 Giovanna Calvenzi has been photo editor of Amica, Sette, Vanity Fair, Moda, Lo Specchio and SportWeek. She has also been editor-in-chief of the monthly Lei. She’s currently photo editor at Periodici San Paolo. In 1998 she was Art Director of the Rencontres Internationales de la Photographie in Arles and in 2002 guest curator of PhotoEspaña in Madrid. She has been teaching photoediting at the CFP Bauer in Milan since October 2006. She contributes to the production of exhibitions and photographic books and is engaged in study and research activities in the field of contemporary photography.
Ringraziamenti · Acknowledgments Claudio Corrivetti, Chiara Capodici e Fiorenza Pinna per aver creduto in questo lavoro · for their trust in this work. Giovanna Calvenzi, Claudio Rossi Marcelli, Giuseppina La Delfa, Tommaso Giartosio, Davide Di Gianni, Fabio Barile, Sarah Ponting, Giovanni M. Losavio. Le famiglie dell’associazione · The families of: Famiglie Arcobaleno, Circolo Mario Mieli, Circolo Milk Verona, Arcilesbica Verona Juliet&Juliet, Arcigay Verona Pianeta Urano, Network of European LGBT Families Associations, Don Franco Barbero, Anette Pillon, Vitanova Clinic. Renata Ferri, Marco Pinna, Emilio D’Itri, Tiziana Faraoni, Arianna Rinaldo, Sara Guerrini, Chiara Oggioni Tiepolo, Eva Zamboni, Manuela De Leonardis, Adele Sarno, Paola Contino, Francesco Paolo Del Re, Amelié Cabocel, Fabrizio Paoletti, Enrico Stefanelli, Christophe Dillinger, Jens Christoffersen, Massimiliano Tommaso Rezza, Minimo Comune Multiplo, Antonello Mazzei, Alessandro Dandini De Sylva, Marco Rapaccini, Federico Ciamei, Alberto Giuliani, Michela Papalia, Ilaria Prili, Maike Pullo, Paola Riccardi, Marta Posani, Paolo Lecca, Michele Gualano, Francesca Romana Orlando, Paola Concia, Mimma Scigliano, Chiara Lalli, Gianfranco Goretti, Luca Possenti. In Bloom è dedicato alla mia famiglia · I dedicate In Bloom to my family. Si ringraziano per il sostegno al progetto · Our thanks for having supported the project to: l’associazione Famiglie Arcobaleno e Digid’A Davide Di Gianni Fine Art Prints. © The Family Book by ToddWorld, Inc. All Rights Reserved; © Piccolo Uovo by Francesca Pardi + Altan, published by Lo stampatello - All Rights Reserved; © Pimpa dov’è by Altan, published by Franco Cosimo Panini All Rights Reserved
In Bloom Eleonora Calvelli Edizioni Postcart srl Via Prenestina, 435 00177 - Roma tel/fax +39.06.2591030 www.postcart.com, info@postcart.com Book project. 3/3, www.treterzi.org Fotografie · Pictures : © Eleonora Calvelli Testi · Texts: © Eleonora Calvelli, Claudio Rossi Marcelli, Giuseppina La Delfa, Tommaso Giartosio, Giovanna Calvenzi. Traduzioni · Translation: © Sarah Ponting Prima edizione · First edition, settembre 2013 © Postcart srl Stampa · Print: Litografia Bruni srl, Pomezia ISBN 978-88-98391-06-6 Stampato in 1000 copie, 60 in edizione limitata con stampa firmata e numerata · Edition of 1000 copies, 60 special edition with signed and numbered print. Tutti i diritti riservati, nessuna parte di questo libro può essere riprodotta in alcuna forma con qualunque mezzo senza il permesso scritto degli autori e dell’editore. All rights reserved. No part of this publication may be reproduced or transmitted in any form by any means, without prior permission in writing from the publisher and the authors.
Postcart 2013
Ogni famiglia ha la sua storia, una favola con protagonisti, avversità, amici, nemici e, spesso, un magico lieto fine, benché quella delle famiglie con due genitori omosessuali debba quasi sempre passare per un Paese che non sia l’Italia. Each family has its own story, a story with characters, adversities, friends, enemies and, often, a magical happy ending, although that of families with two same-sex parents almost always has to be set in a country other than Italy. Claudio Rossi Marcelli
€ 25,00 ISBN 978-88-98391-06-6
9 788898 391066