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THE MAGAZINE OF INTERIORS AND CONTEMPORARY DESIGN

N° 4 APRILE APRIL 2020

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DISTRIBUTION 4 APRILE/APRIL 2020 AT € 16,30 - BE € 15,10 - CH Chf 18 - DE € 20,50 DK kr 145 - E € 15 - F € 15 - MC, Côte D’Azur € 15,10 PT € 15 - SE kr 160 - US $ 28 Poste Italiane SpA - Sped. in A.P.D.L. 353/03 art.1, comma1, DCB Verona

DESIGN NEVER STOPS



Masters

ADOLFO NATALINI CHARLOTTE PERRIAND FRANCESCO BINFARÉ

INteriors&architecture PROGETTI AUTOBIOGRAFICI

INterview

FORMAFANTASMA KONSTANTIN GRCIC

FocusINg

PROGETTARE L’EMERGENZA

DesignINg

NUOVE GEOMETRIE WOOD MOOD

WITH COMPLETE ENGLISH TEXTS

Cover story

ORA, DOMANI, SEMPRE




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IN dice CONTENTS aprile/April 2020

In copertina: come il moto del mare, anche il design non si ferma, non si arrende, continua la sua missione che è quella di progettare un mondo migliore. Questo il messaggio dell’illustrazione di Carlo Giambarresi che per rappresentare il design sceglie la nuova collezione di divani PL – Collection 2020 di Knoll, disegnata da Piero Lissoni e raffigurata nel disegno sottostante. On the cover: like the tides, design never stops, never gives up, continuing its on its mission, which is that of creating a better world. This is the message of the illustration by Carlo Giambarresi, who has chosen to represent design through the new PL collection of sofas for 2020 by Knoll, a project by Piero Lissoni shown in the drawing below.

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57 INCOVER

24 ART CARLO GIAMBARRESI

INBRIEF

26 MATERIALS UN SAPORE HANDMADE, PARTITURA ORGANICA / HANDMADE FLAVOR, ORGANIC SCORE 28 SUSTAINABILITY ARREDI ECOFRIENDLY, MORBIDEZZA OUTDOOR / ECO-FRIENDLY FURNISHINGS, OUTDOOR SOFTNESS 30 VARIOUS SAVE!, WANTED DESIGN 2020

LookINgAROUND

33 PRODUCTION E LUCE SIA! / LET THERE BE LIGHT! PREZIOSI E SMART / PRECIOUS AND SMART IL DESIGN CHE GENERA LO SPAZIO / DESIGN THAT GENERATES SPACE 46 SHOWROOMS MARSET: OGNI COSA È ILLUMINATA / EVERYTHING IS ILLUMINATED 48 PROJECTS 28 POSTI RINNOVATI / 28 PLACES, RENEWED NEST POP-UP BAR & LOUNGE IL TEMPIO DELL’APERITIVO / APERITIF TIME

18 aprile 2020 INTERNI

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57 EXHIBITIONS LA GRANDE IMMAGINE NON HA FORMA? / DOES THE GREAT IMAGE HAVE NO FORM? LA RIVOLUZIONE SIAMO NOI / WE ARE THE REVOLUTION AMARE L’ARCHITETTURA / FOR THE LOVE OF ARCHITECTURE ARTE COME PERCEZIONE COLLETTIVA / ART AS COLLECTIVE PERCEPTION 71 YOUNG DESIGNERS FRANCESCO MEDA, FIGLIO D’ARTE E DESIGN / SON OF ART AND DESIGN 75 FAIRS GREEN ARCHITECTURE ATELIER NOMADE DI IDEE / NOMADIC ATELIER OF IDEAS 80 EVENTS L’OGGETTO IDENTITARIO / THE OBJECT OF IDENTITY SOS TERRA / SOS EARTH 87 BOOKSTORE 90 TRANSLATIONS 106 FIRMS DIRECTORY


#MolteniGroup ARMADIO GLISS MASTER SISTEMA 7— VINCENT VAN DUYSEN


IN dice CONTENTS

18

aprile/April 2020

8

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14 INsights

INtopics 1

EDITORIAL

DI / BY GILDA BOJARDI

ARTS

8 GIANFRANCO GORGONI, IL TESTIMONE DELLE AVANGUARDIE / WITNESS OF THE AVANT-GARDES DI / BY GERMANO CELANT

VIEWPOINT

12 ANTI-DARWIN DI / BY ANDREA BRANZI

PhotographINg A CURA DI / EDITED BY ANTONELLA BOISI, CAROLINA TRABATTONI TESTI DI / TEXTS BY CLAUDIA FORESTI

INSTALLATIONS

2 PRISMATIC CLOUD, TOKYO, DI / BY TOKUJIN YOSHIOKA FOTO / PHOTOS COURTESY TOKUJIN YOSHIOKA

ARCHITECTURE

4 CAMPUS BOCCONI, MILANO, DI / BY STUDIO SANAA FOTO / PHOTOS MARCO DE BIGONTINA

ARCHITECTURE & NATURE

6 NATURAL BIODIVERSITY CENTER, LEIDA, DI / BY NEUTELINGS RIEDIJK ARCHITECTS E / AND IRIS VAN HERPEN FOTO / PHOTOS SCAGLIOLA / BRAKEE, COURTESY NEUTELINGS RIEDIJK ARCHITECTS

20 aprile 2020 INTERNI

MASTERS

14 ADOLFO NATALINI ARCHITETTORE TESTO / ARTICLE MATTEO VERCELLONI 18 CHARLOTTE PERRIAND, INVENTING A NEW WORLD TESTO / ARTICLE DOMITILLA DARDI 22 FRANCESCO BINFARÉ, IL VISIONARIO DEL COMFORT / THE COMFORT VISIONARY TESTO / ARTICLE SILVANA ANNICCHIARICO


Rimadesio

Velaria pannelli scorrevoli, Eos mensole.

Design Giuseppe Bavuso


IN dice CONTENTS

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aprile/April 2020

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76 INside ARCHITECTURE

A CURA DI / EDITED BY ANTONELLA BOISI 26 TRANCOSO (BRASILE), MACCHINA SENSORIALE / SENSORIAL MACHINE PROGETTO / DESIGN STUDIO MK27 FOTO / PHOTOS FERNANDO GUERRA TESTO / ARTICLE FILIPPO BRICOLO 34 ROMA, SCRITTURE IN INTERNI / INTERIOR WRITINGS PROGETTO / DESIGN MARIA CRISTINA FINUCCI FOTO / PHOTOS ALBERTO FERRERO TESTO / ARTICLE ANTONELLA BOISI 42 MILANO, UN UNIVERSO IN LUCE SOFT / A WORLD IN SOFT LIGHT PROGETTO / DESIGN GIORGIO ARMANI FOTO / PHOTOS COURTESY BEPPE RASO TESTO / ARTICLE ANTONELLA BOISI 50 ISOLA DI MAN, UNA PIEGA NEL PAESAGGIO / A BEND IN THE LANDSCAPE PROGETTO / DESIGN FOSTER LOMAS FOTO / PHOTOS EDMUND SUMNER TESTO / ARTICLE ALESSANDRO ROCCA

DesignINg PROJECT

62 FORMAFANTASMA, CAMBIO DI ROTTA / CHANGE OF COURSE TESTO / ARTICLE LAURA TRALDI FOTO / PHOTOS GEORGE DARRELL 66 KONSTANTIN GRCIC, IL DESIGN HA SENSO SE CREA RELAZIONI / DESIGN HAS MEANING IF IT CREATES RELATIONSHIPS TESTO / ARTICLE PAOLO CASICCI

COVER STORY

70 OGGI, DOMANI, SEMPRE / NOW, TOMORROW, FOREVER TESTO / ARTICLE DOMITILLA DARDI

SHOOTING

76 IN SOSPENSIONE / IN SUSPENSION DI / BY NADIA LIONELLO FOTO / PHOTOS SIMONE BARBERIS 84 NUOVE GEOMETRIE / NEW GEOMETRIES DI / BY CAROLINA TRABATTONI FOTO / PHOTOS PAOLO RIOLZI

REVIEW

92 WOOD MOOD DI / BY KATRIN COSSETA

FocusINg PROJECT

56 ETICA ED ESTETICA AUMENTATA AI TEMPI DEL CONTAGIO / AUGMENTED ETHICS AND AESTHETICS IN TIMES OF INFECTION TESTO / ARTICLE FRANCESCO MORACE 58 PROGETTARE L’EMERGENZA / DESIGNING THE EMERGENCY TESTO / ARTICLE ELISA MASSONI

22 aprile 2020 INTERNI

INservice 100 111

TRANSLATIONS FIRMS DIRECTORY DI / BY ADALISA UBOLDI

92



INCOVER art

2. CARLO GIAMBARRESI. 3. LIES PER THE NEW YORK TIMES, 2017. 4. ILLUSTRAZIONE PER SCUBA MAGAZINE, 2019. 5. COPERTINA DEL LIBRO EMOZIONI. ISTRUZIONI PER L'USO DI GIORGIO NARDONE, PONTE ALLE GRAZIE 2018. 6. FOBIE SOCIALI, MIND MAGAZINE, 2018. 7. DON'T BE AFRAID, POSTER REVERSIBILE PER IL FESTIVAL DI ARTE DI STRADA SA RUGA, 2018.

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1. PER LA COVER DI INTERNI APRILE, LE ONDE: CARLO GIAMBARRESI HA DISEGNATO UN UOMO RILASSATO SUL SUO DIVANO MENTRE CONTEMPLA UN MOTO ONDOSO DI CUI SEMBRA FAR PARTE: UN MOVIMENTO CONTINUO E RILASSANTE A SIMBOLEGGIARE IL MANTENIMENTO DELLA CALMA IN UNA SITUAZIONE DI AGITAZIONE.

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CARLO GIAMBARRESI Dallo stile ispirato e colto, con le sue opere suggerisce un percorso, convertendo contenuti concettuali in immagini semplici. Come per la cover di Interni

Talento dell’illustrazione, nato e cresciuto in Sardegna, Carlo Giambarresi attualmente vive a Cagliari, dopo aver trascorso a Barcellona quasi dieci anni, durante i quali ha frequentato il laboratorio di illustrazione della Escola Massan Centre d'Art i Disseny. Viaggia spesso e quando non è rinchiuso nel suo studio ama stare all'aria aperta, leggere e andare al cinema, sviluppando così immagini, associazioni di idee e ispirazioni per i suoi lavori. Il suo stile, in continua mutazione, è connotato da un forte carattere allegorico e concettuale: predilige l'utilizzo di pochi elementi essenziali che fungono da indizi per la lettura dell'immagine. Dai disegni in bianco e nero alle gif minimali fino alle illustrazioni più colorate e vivaci, l'approccio è sempre lo stesso: parte da scarabocchi su carta o, in base alle necessità, da veloci schizzi digitali. Le

24 aprile 2020 INTERNI

6

opere strizzano l'occhio a chi le guarda e spesso suggeriscono un concetto o un percorso, completandosi con l'interpretazione personale. Possono trattare argomenti profondi e complessi ma anche ironici o nonsense. Carlo Giambarresi predilige l'uso di toni pastello, a volte precisi e definiti, altre più sbavati. Utilizza inoltre texture che crea lui stesso con pennelli e rulli per dare alle illustrazioni digitali un tocco più ‘organico’. Tra le numerose testate internazionali con cui ha collaborato ci sono quotidiani come il The New York Times, periodici come The Economist e Internazionale e case editrici come Mondadori e Penguin Books. ■ 7

Claudia Foresti



INBRIEF MATERIALS

ANNIVERSARIO

un sapore handmade Materiali caldi e superfici tattili: prodotti che raccontano una storia, celebrando l'artigianalità. Marazzi festeggia i suoi 85 anni con le sette linee che compongono la collezione Crogiolo: Lume, Zellige, Scenario, D_Segni Blend, D_Segni Scaglie, D_ Segni Colore, D_Segni. Dall’intreccio tra ‘saper fare’ e tecnologia industriale nasce una proposta dal sapore handmade che enfatizza il potere narrativo e ‘vibrante’ della materia. Le piastrelle in ceramica e gres Crogiolo, in piccolo formato, interpretano il sapere, la manualità e la cura dei ceramisti in chiave contemporanea. Prodotti trasversali e distintivi, risultato di suggestioni d’altri tempi, riproducono l’estetica – bellissima nelle sue imperfezioni – e la sensazione – tangibile – delle piastrelle fatte a mano. Il nome della collezione si ispira proprio alla storia di Marazzi. Negli anni ’80, infatti, il primo capannone industriale a Sassuolo fu trasformato nel centro di ricerca Il Crogiolo. Artisti, architetti, ceramisti e progettisti furono invitati a sperimentare usi inediti e creativi del materiale ceramico, e i loro studi continuano a ispirare l’operato dell’azienda. marazzi.it

PROGETTO COMPLETO

© Thomas Pagani

PARTITURA ORGANICA

26 aprile 2020 INTERNI

Warm Collection è l'evoluzione in ambito di interior design del know-how di Kerakoll, azienda di riferimento internazionale nel settore dei prodotti e dei servizi per l'edilizia sostenibile e il restauro storico. Sotto la regia di Piero Lissoni, art director del progetto, materie, texture e colori dialogano e si fondono in una partitura organica. Non un insieme di singole superfici, Warm Collection è un progetto completo di materie innovative – cementi, resine, legno lavorato a mano, microrivestimenti, pitture – coordinate da una palette di colori calda e avvolgente. Tra le pitture decorative emerge Patina, nella foto, una finitura naturale altamente traspirante, batteriostatica e fungistatica, disponibile nei dieci colori della collezione. Simula l’effetto del tempo che passa, quando si deposita la caratteristica patina che attenua i colori originari. La texture, morbida al tatto, si distingue per le screziature cromatiche e le increspature materiche, frutto delle imperfezioni della lavorazione artigianale. kerakolldesignhouse.com


M I L AN O DES I GN WE E K_ 2 1 -2 6 GI UGN O PADI G LI O N E 2 4 _STAN D E 2 1/ F 1 4


INBRIEF sustainability

GREEN CONTEST

ARREDI ECO-FRIENDLY Al via la nuova edizione del contest di Istituto Marangoni e Cappellini, che anche quest’anno lancia una sfida ai giovani designer di tutto il mondo, chiamati a confrontarsi su un tema più che mai attuale e sentito. Circular economy. Essential furnitures invita i partecipanti a immaginare arredi in ottica sostenibile, ponendo particolare attenzione alla scelta dei materiali, senza dimenticare estetica e funzione. I laureati in Product, Industrial, Interior Design o in Architettura e i professionisti con un'esperienza rilevante nel settore hanno tempo fino al 15 aprile 2020 per presentare le loro proposte creative. L’autore del progetto vincente si aggiudicherà una borsa di studio offerta da Cappellini per partecipare al Master in Product & Furniture Design dell'Istituto Marangoni nella sede di Milano, oltre a un internship presso la celebre azienda di design. C.F. istitutomarangoni.com, cappellini.com

DAL PET AL VELLUTO

morbidezza outdoor Christian Fischbacher presenta Benu Talent FR, un velluto outdoor, primo di una nuova generazione di tessuti recycling dalle performance evolute: morbido al tatto, resistente alle intemperie e alla luce, ignifugo. Ma soprattutto sostenibile, dal momento che il 70% del filo impiegato proviene da bottiglie in PET usate. Utilizzabile come tessuto decorativo o rivestimento di arredi, in ambienti interni o esterni, privati o pubblici e commerciali, Benu Talent è proposto in una palette di 30 colori. Già 10 anni fa l’azienda svizzera (che vanta ben 200 anni di storia) è stata tra le prime del settore a sviluppare tessuti realizzati partendo da bottiglie in PET riciclate e scarti di stoffe dell’industria della moda. Per Camilla Fischbacher, art director e iniziatrice della collezione BENU®, si è trattato sin dal principio di una rivoluzione culturale: non considerare le bottiglie di plastica usate come rifiuti ma come materia prima. K.C. fischbacher.com

28 aprile 2020 INTERNI


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INBRIEF VARIOUS

ACQUE GREEN

SAVE!

PROGETTI A NEW YORK

wanted design 2020 Celebra dieci anni WantedDesign, la manifestazione newyorkese fondata da Odile Hainaut and Claire Pijoulat che promuove il design nordamericano e porta il meglio del progetto a livello globale sul mercato statunitense. A maggio, durante l'annuale NYCxDesign, sono in programma presentazioni di prodotti, progetti e designer, oltre a mostre, eventi, premi e workshop. Filo conduttore: Unity Through Design. Due le location di WantedDesign 2020: a Brooklyn, dal 14 al 18 maggio presso Industry City, e a Manhattan, dal 17 al 20 maggio nella nuova sede del Javits Center (sotto), dove il designer Rodolfo Agrella con il suo studio ha curato l'intera ‘esperienza spaziale’. A destra, Depth of Surface Chair by Studio.Sunny Kim, vincitore della categoria Furniture del premio WantedDesign Launch Pad 2019. wanteddesignnyc.com

30 aprile 2020 INTERNI

Presentato all'interno del padiglione austriaco della XXII Esposizione Internazionale della Triennale di Milano “Broken Nature”, il wc save! è ora disponibile per la vendita. Grazie a un sistema di separazione dell’urina – urine trap, sviluppato dallo studio di design austriaco EOOS – save! può rappresentare una soluzione efficace contro il problema globale dell’eccesso di azoto riversato nelle acque. Laufen, insieme a EOOS e con la collaborazione dell'Istituto Federale Svizzero di Scienza e Tecnologia dell’Acqua (Eawag), ha creato un wc che, tramite un innovativo ma semplice sistema in grado di separare l’urina dai solidi e dalle acque grigie, potrebbe ridurre l’inquinamento e l’energia impiegata per il trattamento delle acque. laufen.it


Photo Andrea Ferrari

EDEN DESIGN RODOLFO DORDONI RODAONLINE.COM IG: RODA.OFFICIAL


trasparenzeadv.it

True to food

Rispettiamo il cibo fino all’essenza del gusto. EUROCUCINA - FUORISALONE 2020

OPENING SOON | SHOWROOM MILANO PIAZZA CAVOUR, MILANO signaturekitchensuite.it Follow us @SKSapplianceitaly

Gli alimenti freschi hanno finalmente trovato un luogo in cui è possibile prendersene cura. Con questa filosofia, Signature Kitchen Suite ha creato una gamma di apparecchi eccellenti dal design modulare: colonne per la conservazione, il congelamento e cantine per il vino. Perché il senso del gusto, per noi, viene prima di tutto.


LookINg AROUND production

Tra rivisitazioni, funzioni implementate e progetti inediti, prosegue la ricerca sull’illuminazione. Perché di novità ‘radiose’ abbiamo bisogno oggi più che mai di Andrea Pirruccio

E LUCE SIA!

DA AXO LIGHT, NUOVA VERSIONE DI U-LIGHT IMPLEMENTATA CON UN PANNELLO FONOASSORBENTE IN PET CHE GARANTISCE LA RIDUZIONE DEL RIVERBERO AMBIENTALE. REALIZZATA NELLE VERSIONI A SOFFITTO, A PARETE O SOSPENSIONE, LA LAMPADA È DISPONIBILE IN DUE COLORI (MARRONE RUGGINE E GRIGIO ANTRACITE) E IN QUATTRO MISURE.

O, DESIGN DI ELEMENTAL PER ARTEMIDE, LAMPADA CON PROFILO IN ALLUMINIO, QUI NELLA VERSIONE INDOOR-OUTDOOR E NEL NUOVO DIAMETRO DI 150 CM (CHE SI AGGIUNGE A QUELLI DI 90 E 45). EMETTE UNA LUCE CONTROLLATA, GESTIBILE CON ARTEMIDE APP. TUTTE LE DIMENSIONI SONO DISPONIBILI ANCHE NELLA VERSIONE A SOSPENSIONE.

INTERNI aprile 2020 33


LookINg AROUND production

GRAVITY, DESIGN MARCO PIVA PER ITALAMP, LAMPADA A LED DEFINITA DA UNA SERIE DI CERCHI CONCENTRICI IN VETRO SOFFIATO. È DISPONIBILE IN DIVERSI COLORI E NELLE VERSIONI PLAFONIERA, SOSPENSIONE E PARETE.

LA PRIMA COLLEZIONE DI LAMPADE CASSINA, ISPIRATE DA MOTIVI E FORME DEGLI ANNI ’50. DA DESTRA E IN SENSO ORARIO: FICUPALA, SINGAPORE SLING, BOLLICOSA ED ELETTRA.


DI LUDOVICA+ROBERTO PALOMBA PER TALENTI, TRIBAL È UNA COLLEZIONE DI LAMPADE OUTDOOR DA TERRA E DA SOSPENSIONE, CON STRUTTURA IN ALLUMINIO (NEI COLORI YELLOW, TEAL GREEN, RED, DOVE, GRAPHITE) E CORPO IN CORDA SINTETICA (NELLE TINTE DARK GREY, YELLOW, RED, SAND, TEAL GREEN).

IDEATA PER MARSET DA CHRISTOPHE MATHIEU, LAFLACA È UNA COLLEZIONE DI LAMPADE OUTDOOR (MA NE ESISTE ANCHE UNA VERSIONE PER INTERNI) DEFINITE DA UNA STRUTTURA METALLICA, CHE TENDE E MODELLA UN ‘ABITO’ DI TESSUTO INDEFORMABILE, E DA UNA FONTE DI LUCE DI FORMA SFERICA VISIBILE SOLO QUANDO È ACCESA. LA GAMMA COMPRENDE MODELLI DI TRE DIMENSIONI E DI DIVERSE FORME GEOMETRICHE: UN RETTANGOLO VERTICALE, UNO ORIZZONTALE E UN QUADRATO.

DI EMILIANA MARTINELLI PER MARTINELLI LUCE, BICONICA POL, LAMPADA DA TERRA OUTDOOR A LUCE DIFFUSA IN POLIETILENE BIANCO CON STRUTTURA STAMPATA IN ROTAZIONALE. QUI È NELLA NUOVA VERSIONE TUNABLE WHITE LED, UNA TECNOLOGIA CHE RIPRODUCE L’ANDAMENTO DELLA LUCE NATURALE GRAZIE ALLA POSSIBILITÀ DI MODULARE LA TEMPERATURA DI COLORE DEI LED. LE DIVERSE TEMPERATURE DEL BIANCO SONO IMPOSTABILI CON I SISTEMI OPERATIVI ANDROID E APPLE, PERMETTENDO LA REGOLAZIONE DEL COLORE IN MODO PUNTUALE.

INTERNI aprile 2020 35


LookINg AROUND production

CLIS, SISTEMA DI ILLUMINAZIONE CREATO DA BARTOLI DESIGN PER LAURAMERONI. A FORMA DI DISCO E SORRETTE DA CAVI SOTTILI, LE LAMPADE HANNO COVER MAGNETICHE INTERCAMBIABILI STUDIATE PER RIVESTIRE IL PRODOTTO DI OTTONE O BRONZO, TEXTURE MAGNETICHE O PREZIOSI MARMI POLICROMI. I FARETTI DEI SINGOLI ELEMENTI SONO ORIENTABILI SIA SULL’ASSE VERTICALE SIA SU QUELLO ORIZZONTALE.

LA VERSIONE VERTICALE DI HALO JEWEL, COLLEZIONE DI LAMPADE DISEGNATE PER VIBIA DA MARTÍN AZÚA. LA STRUTTURA IN ACCIAIO CON FINITURE IN ORO OPACO E SVARIATE POSSIBILITÀ DI INCLINAZIONE SORREGGE IL DIFFUSORE IN METACRILATO.

MATCH, DESIGN ALFONSO FEMIA/AF DESIGN PER CASTALDI LIGHTING/PENTA GROUP, SISTEMA DI LINEE LUMINOSE VERTICALI CON LUCE DIRETTA PUNTUALE ALL’ESTREMITÀ. I SINGOLI ELEMENTI DELLA GAMMA SI DECLINANO PER DIMENSIONI E FORME, GIOCANDO TRA LA COMPONENTE LUMINOSA E QUELLA OPACA. LA STRUTTURA È IN ESTRUSO DI ALLUMINIO, I TUBI IN PLEXIGLASS.

ORIGINE DI DAVIDE GROPPI, PROGETTO PENSATO PER ILLUMINARE LE FACCIATE DEGLI EDIFICI PRIVATI (NELLA VERSIONE OUTDOOR) O GLI SPAZI INTERNI DELLE CASE (VERSIONE INDOOR) CON PUREZZA E SEMPLICITÀ.

36 aprile 2020 INTERNI


GRID, DI ANTOINE ROUZEAU PER LIGNE ROSET, LINEA DI LAMPADE DA TERRA O A SOSPENSIONE CON DIFFUSORI IN LAMIERA FORATA NEI COLORI VERDE SATINATO E BRONZO.

MO, SERIE DI LAMPADE DISEGNATE DA MADS ODGÅRD PER CARL HANSEN & SON: FORME LINEARI PROGETTATE PER RAPPRESENTARE L’EFFETTO DI COMFORT CHE LA LUCE HA SULLE PERSONE E, ALLO STESSO TEMPO, RACCONTARE E RIPERCORRERE LA STORIA DEL DESIGN DANESE.

NATA DALL’ESPLORAZIONE DI MARC SADLER SULLE INFINITE POSSIBILITÀ OFFERTE DAI TECNOPOLIMERI DI SLAMP, ACCORDÉON È QUI PRESENTATA NELL’INEDITA VERSIONE DA TAVOLO, CHE MONTA DUE LAMPADINE NEL DIFFUSORE E UNA NELLA BASE, CON ACCENSIONE INDIPENDENTE.

INTERNI aprile 2020 37


LookINg AROUND production DI STEPHEN BURKS PER LUCEPLAN, TRYPTA È UN SISTEMA DI SOSPENSIONI PENSATO PER MIGLIORARE IL COMFORT ACUSTICO E ILLUMINOTECNICO DEGLI SPAZI. LA STRUTTURA SI COMPONE DI TRE PIANI EQUIDISTANTI DISPOSTI LUNGO L’ASSE DEL CORPO CILINDRICO. LE DUE SORGENTI LUMINOSE CON ACCENSIONI SEPARATE FORNISCONO UNA DIFFUSIONE DELLA LUCE SIA DIRETTA SIA INDIRETTA.

PRESS ICED, NUOVA FINITURA PER LA COLLEZIONE PRESS, DISEGNATA DA NENDO PER LASVIT. PER OTTENERLA, IL VETRO ANCORA CALDO VIENE RIGIRATO NELLA SEGATURA BAGNATA, QUINDI INSERITO NUOVAMENTE NELLA FORNACE, RAFFREDDATO IN UN SECCHIO D’ACQUA E QUINDI RISCALDATO UN’ULTIMA VOLTA.

CREATA PER INGO MAURER DA SEBASTIAN HEPTING, TUBULAR È UNA SOSPENSIONE DEFINITA DA UN TUBO DI VETRO BOROSILICATO NON TRATTATO, CHE ACCOGLIE AL PROPRIO INTERNO UNA STRUTTURA DI LAMELLE CAPACE DI RIFLETTERE IN OGNI DIREZIONE LA LUCE DEI LED. IL CAVO IN TESSUTO CHE AVVOLGE LA LAMPADA GENERA UN EFFICACE CONTRASTO CON L’ASPETTO LINEARE DEL CORPO CILINDRICO.

DRESS CODE, DESIGN MIRCO CROSATTO PER LINEA LIGHT GROUP, FAMIGLIA DI LAMPADE DA TAVOLO COSTITUITE DA PARTI INTERCAMBIABILI IN OGNI COMPONENTE: DALLA TESTA SNODABILE CON SORGENTE LED AL BRACCIO AFFUSOLATO, FINO ALLA BASE CIRCOLARE. COSÌ È POSSIBILE CREARE PRODOTTI MONOCROMATICI O CON FINITURE BICOLORI E RINNOVARE IN OGNI MOMENTO L’IMMAGINE DEL PROPRIO MODELLO.

38 aprile 2020 INTERNI


We Love Interiors

Showroom Milano, Via Giuseppe Sacchi, 5 Amsterdam | Como | London | Munich | Paris | Tokyo | St. Gallen | Wuppertal

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LookINg AROUND PRODUCTION

Componibili e multifunzionali. Gli eclettici e sofisticati sistemi pensati per il living da Molteni&C si distinguono per i dettagli

PREZIOSI E SMART

IL MODULAR WALL-SYSTEM GRID, IDEATO DA VINCENT VAN DUYSEN, SI ARTICOLA SULLA BASE DI UNA GRIGLIA CHE ORGANIZZA GLI ELEMENTI DELLA COMPOSIZIONE. COME UN CRUCIVERBA, CONSENTE DI AGGANCIARE ALLA PARTE INFERIORE DELLA BOISERIE CONTENITORI, RIPIANI O VASSOI. SOPRA, LIBRERIE A GIORNO, VETRINE, TECHE ED ESPOSITORI, ARRICCHITI DA DISPOSITIVI ELETTRONICI E ILLUMINAZIONE A LED, ENFATIZZANO LA LIBERTÀ COMPOSITIVA DI UN SISTEMA TRASVERSALE, FLESSIBILE E APERTO, DISPONIBILE IN ESSENZE E FINITURE PREGIATE.

INTERNI aprile 2020 41


LookINg AROUND PRODUCTION

FLESSIBILITÀ PROGETTUALE, DESIGN RICERCATO E FUNZIONALITÀ PER L'ABITARE CONTEMPORANEO. QUESTI I TRATTI CHE ACCOMUNANO TUTTE LE INNOVATIVE SOLUZIONI PER LIBRERIE PROPOSTE DA MOLTENI&C. COME PASS-WORD, DISEGNATO DA DANTE BONUCCELLI, IL SISTEMA LIVING MODULARE CHE SI EVOLVE PER INTERCETTARE I NUOVI MODI DI FRUIZIONE DEGLI AMBIENTI DOMESTICI CONTRADDISTINTI DALLA PRESENZA SEMPRE PIÙ MASSICCIA DI SISTEMI MULTIMEDIALI DI INTRATTENIMENTO E RELATIVI ALL’HOME WORKING, CHE SI AFFIANCANO AI TRADIZIONALI LIBRI E OGGETTI DECORATIVI. OLTRE A NUOVI ELEMENTI PENSATI PER INTEGRARSI CON IL SISTEMA BASE, I CONTENITORI ASSUMONO UNA FORMA PIÙ MORBIDA GRAZIE AI BORDI ARROTONDATI. I MATERIALI DISPONIBILI SONO SEMPRE PIÙ RICERCATI, COME IL MARMO DEL TOP DELLA COMPOSIZIONE NELLE FOTO.

42 aprile 2020 INTERNI


505, DESIGN NICOLA GALLIZIA, È UN SISTEMA A SPALLA PORTANTE CHE SI SVILUPPA IN UNA SERIE DI MOBILI COMPONIBILI CON AMPIA MODULARITÀ. NUOVI ELEMENTI NE ESTENDONO L'UTILIZZO: 505 È UNA LIBRERIA MA ANCHE UN CONTENITORE MULTIFUNZIONALE, UNA VETRINETTA MA ANCHE UN HOME OFFICE O UN MOBILE MULTIMEDIALE. È POSSIBILE APPOGGIARLO A TERRA O APPENDERLO ALLA PARETE; PRESENTA PIANI SPORGENTI UTILIZZABILI COME SUPERFICI DI LAVORO O APPOGGI PER LIBRI E ALTRI OGGETTI. È INOLTRE DOTATO DI VANI NASCOSTI CHE SI RIVELANO TRAMITE SOFISTICATI MECCANISMI DI APERTURA. LE FINITURE IN LACCATO OPACO E LUCIDO, LE ESSENZE PREGIATE E LE SUPERFICI IN VETRO CONSENTONO DI CREARE ELEGANTI SOLUZIONI PERSONALIZZATE.

INTERNI aprile 2020 43


LookINg AROUND production

IL NUOVO SISTEMA D'ARREDO SPACEMAKERS – HOME AND NIGHT SYSTEMS DI ZALF, BRAND DI GRUPPO EUROMOBIL, CREA STRUTTURE ARCHITETTONICHE VERSATILI E FUNZIONALI PER TUTTE LE ZONE DELLA CASA, COME LA SOLUZIONE NELLE IMMAGINI, COMPOSTA DALL'ARMADIO ALTERNA CON ANTE A BATTENTE MIXER E DAL SISTEMA PER IL GUARDAROBA FLEXY.

IL DESIGN CHE GENERA SPAZIO

Il mobile si fa architettura e con un sistema flessibile e dinamico riorganizza le funzioni abitative Articolare lo spazio creando soluzioni che contengono – e orga-

nizzano – le funzioni abitative. SpaceMakers – Home and night systems lo fa in modo flessibile, dinamico e creativo. Lo ha ideato Zalf, brand di Gruppo Euromobil specializzato in arredi per zone living, notte, camerette e home office dal design contemporaneo e accattivante. Il nuovo sistema risponde a svariate esigenze abitative, offrendo così diverse modalità di utilizzo – e di ottimizzazione – degli ambienti. Dalla cabina guardaroba alla stanza da letto, dagli spazi di passaggio ai locali di servizio fino all'area gym, SpaceMakers offre la possibilità di combinare tra loro diverse tipologie di arredi e un'ampia gamma di partiture verticali (dall’anta, scorrevole o battente, con telaio in alluminio al frontale in finitura materica con maniglia a tutta altezza o a incasso). Numerosi – multifunzionali, versatili e dalle dimensioni sempre più ridotte – gli elementi di contenimento disponibili: tre nuovi sistemi armadio a cui se ne aggiungono quattro per cabine guardaroba, tutti abbinabili e compatibili per finiture e dimensioni, che permettono di soddisfare differenti esigenze abitative o legate specificatamente alle caratteristiche dello spazio disponibile, attraverso la trasversalità progettuale che li distingue (soluzioni a battente, scorrevoli, complanari, a spalla, cremagliera, con o senza pannellature di tamponamento, palo con fissaggio a parete o a soffitto). ■ Claudia Foresti

44 aprile 2020 INTERNI


2M GARDEN MERATE (LC), 039 508731

IORI ARREDAMENTI REGGIO EMILIA (RE), 0522 558661

EDENPARK FIRENZE (FI), 055 7390158

CASA & GIARDINO ARREDAMENTI MANERBA DEL GARDA (BS), 0365 551180

TENDA IN S.R.L MARTINA FRANCA (TA), TEL. 080 4805799

WWW.ROYALBOTANIA.COM

F.LLI PIATTI APPIANO GENTILE (CO), 031 930294

SALA SCHIARETTI MONTECHIARUGOLO (PR), 0521 681138


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Semplicità, personalità e grande attenzione alle relazioni umane nel nuovo headquarter di Marset, a pochi chilometri da Barcellona. Il progetto di architettura e interior è firmato da uno storico collaboratore dell’azienda, Stefano Colli. Lo abbiamo incontrato

OGNI COSA È ILLUMINATA

UN ESTERNO DELLA NUOVA SEDE MARSET DI TERRASSA E IMMAGINI DELLO SPAZIO ESPOSITIVO PRESENTE AL SUO INTERNO. NELLA PAGINA ACCANTO, LA SCALA CHE COLLEGA I DUE LIVELLI DELL’HEADQUARTER. IL PROGETTO ARCHITETTONICO E DI INTERIOR È FIRMATO DALLO STUDIO DI STEFANO COLLI. TUTTI GLI AMBIENTI SONO ILLUMINATI DA LAMPADE DELL’AZIENDA.

46 aprile 2020 INTERNI


Marset abbandona la storica sede di Badalona per trasferirsi nel nuovo quartier generale di Terrassa (comune a 20 chilometri da Barcellona), realizzato nei locali di un’ex fabbrica di macchinari per il cioccolato e che comprende, oltre allo stabilimento, magazzini, uffici e showroom. Responsabile del progetto di architettura e di interior è Stefano Colli, che con il brand collabora da oltre 25 anni. Lo abbiamo incontrato. “Il rapporto del nostro studio con Marset è di amicizia, stima e fiducia reciproca. Per loro abbiamo sviluppato moltissimi

progetti: dai primi stand per le fiere all’headquarter di Badalona, da tutti gli showroom a questo nuovo spazio. Abbiamo sempre cercato di fare in modo che ciascuno dei nostri lavori rispecchiasse sia l’identità della città in cui sorge, sia quella di Marset, che è molto precisa, riconoscibile e che comunica anche il modo in cui, al suo interno, sono impostate le relazioni umane. Un’identità fatta di valori condivisi, schiettezza, e semplicità. Non a caso, il nostro obiettivo di partenza

per la nuova sede di Terrassa è stato quello di rendere umano, confortevole e familiare un luogo di lavoro ubicato in una zona industriale; fare in modo, per esempio, che chi voglia festeggiare un compleanno possa organizzare un barbecue in giardino e brindare con i colleghi. Il cosiddetto ‘fattore umano’, la connessione fra tutte le persone che lavorano nella ditta, è per Marset un capitale inestimabile, che aiuta a fare branding perché tutti si sentono parte dello stesso progetto. Da un punto di vista ‘linguistico’, abbiamo pensato a uno spazio dai registri stilistici molto distinti, illuminato esclusivamente con i prodotti del brand, così da dimostrarne la versatilità”. Al piano terra si trovano fabbrica e magazzino – arredati con le grandi lampade Soho di Joan Gaspar e connotati da pavimenti e pareti grigio caldo – e, ancora sullo stesso livello, c’è un’area polifunzionale in cui è possibile pranzare e incontrare i clienti. “Questo ambiente è contraddistinto dalla presenza di tavole di legno giallo normalmente impiegate per realizzare le casseforme per il cemento armato”, spiega Colli. “Lo stesso cemento armato è presente nella forma di un pilastro lasciato volutamente rough, grezzo, quasi un elemento irriverente. Abbiamo conservato il pavimento al naturale e punteggiato il locale con ceramiche tradizionali catalane nel tono del verde. L’operazione più importante è stata aprire questa ‘mensa’ all’esterno, aggiungendo finestre quadrate inserite in un cassone di acciaio galvanizzato e una porta da garage di officina che, in primavera, permetta di trasformare l’ambiente in un portico con vista sul giardino”. Al piano superiore ci sono gli uffici – caratterizzati dalla presenza del legno di quercia e pensati come open space dove sfruttare al massimo la luce

naturale e mettere in connessione i diversi gruppi di lavoro – e lo showroom, allestito in un edificio precedentemente cieco e inutilizzato. “Abbiamo deciso di aprirlo nei lati nord ed est e farne una specie di vetrina o di serra, cercando di ottenere una trasparenza che rendesse visibili i prodotti anche dall’esterno. All’interno, abbiamo voluto preservare il carattere di capannone prefabbricato di sapore industriale. Per questa zona espositiva abbiamo puntato su un progetto ‘alla rovescia’, eliminando il superfluo per cercare la qualità nella struttura originaria. Il lavoro per il nuovo headquarter ci ha dato tanta soddisfazione: una sfida partita ancora una volta da un rapporto di fiducia. Quella fiducia totale che ha fatto sì che, in oltre 25 anni di collaborazione, io non abbia mai creato un render per l’azienda. E questo mi pare sintomatico”. ■ Andrea Pirruccio

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“L’identità del locale è ormai consolidata e il mio progetto vuole porsi in continuità con l’immaginario che i milanesi associano a 28 posti. L’intervento gioca sui concetti di autenticità, comfort, semplicità e origini, e ha come obiettivo quello di creare un parallelismo tra gli interni del locale e la cucina del suo chef, Marco Ambrosino, l’anima indiscussa del locale”. Con queste parole Cristina Celestino riassume il progetto di interior con cui ha rinnovato gli spazi di 28 posti, il bistrot di cucina contemporanea nella zona dei Navigli a Milano, che ha compiuto i primi sei anni di attività. Un intervento di restyling teso a preservare quel senso di familiarità e calore per cui 28 posti è

conosciuto e apprezzato, e che fa leva su concetti quali il colore, le texture e una ricercata matericità. La palette cromatica ruota attorno alle diverse finiture del legno, alla terracotta e al ferro naturale cerato, a cui si aggiunge un vinaccia terroso e il gesso delle pareti longitudinali. Il soffitto alterna travi originali e restaurate a campiture di azzurro decolorato, la boiserie in cotto Giulio Romano della collezione Gonzaga di Fornace Brioni riveste le pareti dei lati corti, insieme all’intonaco in terra cruda di Matteo Brioni che arriva a soffitto. Nella seconda sala, una panca accostata a muro si aggiunge ai tavoli ridisegnati e abbinati alle sedie Fratina di Billiani. Un mobile contenitore è invece collocato

GLI INTERNI RINNOVATI DI 28 POSTI, BISTROT DI CUCINA CONTEMPORANEA A MILANO. IL PROGETTO DI RESTYLING È FIRMATO DA CRISTINA CELESTINO, CHE HA OPERATO IN MODO DA NON SNATURARE L’IDENTITÀ DEL LOCALE.

28 POSTI RINNOVATI

Cristina Celestino ha ridisegnato gli interni del piccolo bistrot di cucina contemporanea in zona Navigli, a Milano, mantenendone l’identità di luogo coniviviale e puntando sui colori e la materia

all’interno dell’arco disegnato dal setto centrale in mattoni: si tratta di un volume racchiuso da due lamiere curvate, che sul fronte presenta un rivestimento in micro-mosaico di terracotta ed è sormontato da alcune mensole in legno sostenute da una gabbia in tubolari di colore azzurro, a richiamare l’estetica del mobile cassa posto all’ingresso del bistrot. Ennesimo tributo alla centralità della materia, la scelta delle lampade prodotte da Arturo Alvarez, in apparenza leggere come la carta, in realtà realizzate in una lamiera microforata accuratamente lavorata. ■ Andrea Pirruccio

48 aprile 2020 INTERNI


SEI

g r u p p o e u r o m o b i l .c o m

L a b u o n a c uc i n a i t a l i a n a dove cultura del proget to e qualitĂ dei materiali esaltano il made in Italy in una dimensione internazionale. S E I l a c uc i n a f i r m a t a d a Marc Sadler per Euromobil.


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Il mondo in una stanza? “Ebbene sì. La Sala Camino del Four Seasons Hotel Milano in via del Gesù, dove nel XV secolo pregavano le monache residenti nell’edificio – che in origine era un convento – sarà fino a fine maggio lo spazio ‘vestito’ dal mio Nest”, spiega Chiara Andreatti, la giovane e talentuosa designer italiana che ha rivisitato il total look di uno dei salotti storici più noti della città, trasformandolo in un intimo Pop-Up Bar & Lounge, declinato con una selezione di arredi che ha disegnato negli ultimi cinque anni, mixati con luci calde, materiali naturali, stoffe e tappeti dai colori decisi, che dialogano in armonia con i soffitti a volta e l’involucro antico del palazzo. Il set-nido effetto cocoon di Chiara Andreatti, alla sua prima volta con un progetto d’interni, ha l’immagine di un sofisticato giardino con rigogliose piante verdi, articolato in tante piccole zone-isola aperte l’una nell’altra e, soprattutto, condivise con gli ospiti dell’albergo, i milanesi e il pubblico internazionale del FuoriSalone e dei Saloni. Il progetto a cura dell’agenzia creativa Mr. Lawrence

Al Four Seasons Hotel Milano, l’esclusivo Pop-Up Bar & Lounge progettato da Chiara Andreatti come tributo alla città capitale mondiale del design e sostenuto nel concept dal management dell’hotel, a partire dalla direttrice Andrea Obertello, vuole infatti proporsi come un tributo alla capitale mondiale del design, l’espressione di un’ospitalità pronta a reinventarsi e ad accogliere anche istanze più contemporanee, fresche e informali all’interno di un luogo che conserva un’identità architettonica molto forte e paradigmatica. “Al Four Seasons si potrà vivere un’esperienza in tempo reale del design, sostare, se non per una cena o un evento privato, anche solo per gustare uno dei cocktail creati ad hoc da Luca Angeli, accompagnato dai piatti dedicati dello chef stellato Fabrizio Borraccino”, spiega

50 aprile 2020 INTERNI

LE ISOLE ‘NIDO’ DI CHIARA ANDREATTI (QUI A SINISTRA), CON GLI ARREDI DA LEI DISEGNATI. MOQUETTE DI RADICI E TAPPETI PRIMITIVE WEAVE DI CC-TAPIS. POLTRONCINE LOÏE IN LEGNO CURVATO DI GEBRÜDER THONET VIENNA RIVESTITE CON TESSUTI DI KVADRAT E CAMIRA, IMBOTTITI SERIE TAIKI E TAVOLO NERO BULÈ DI LEMA, SGABELLI DI ALBAPLUS, TAVOLINI ROPU IN CORDA E HISHI IN CERAMICA DI POTOCCO, TAVOLI BASSI SATIN DI MINGARDO. SOPRA IL BAR, LAMPADE ZOE DI MM LAMPADARI, IN METALLO NERO CARBONE CON SFERE DI VETRO ROSA FUMÉ. VASI IN CERAMICA DI PAOLA C., TEXTURIZZATI DI ICHENDORF E CACHEPOT REALIZZATI AD HOC DI BOTTEGANOVE. FOTO COURTESY FOUR SEASONS HOTEL MILANO

NEST

Silvia Brighenti, senior director of marketing dell’hotel. Quali sono gli altri ingredienti di questa ‘ricetta’ speciale’? Legni curvati, masselli, lane non tinte, intrecci di corda o paglia di Vienna, ottone, silver,

acciaio nero, sfere di vetro rosa fumé, ceramiche: una tavolozza matericocromatica che, nelle mani di Chiara Andreatti, dà vita a prodotti unici, con un sapiente connubio tra artigianato e realtà industriale. ■ Antonella Boisi


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La presenza della Campari nella Galleria Vittorio Emanuele risale al 1867, quando venne inaugurato il Caffè Campari, che sull’angolo est dei portici accoglieva i milanesi nei suoi locali in stile impero. A questo primo avamposto del famoso bitter rosso si affiancherà in seguito il ‘bar di passo’ sull’angolo opposto chiamato Camparino, aperto nel 1915 e caratterizzato dagli interni in stile floreale, con arredi del mobiliere Eugenio Quarti, ferri battuti – tra cui i lampadari – del maestro Alessandro Mazzucotelli e mosaici dell’artista Angelo D’Andrea raffiguranti fiori e uccelli. Dei due, quello rimasto con la piccola quanto preziosa sala d’ingresso è il secondo, che nel tempo ha assunto diversi nomi (Camparino, Zucca, Caffè Miani) conservando però quasi gelosamente l’immagine raffinata degli interni. Una curiosa e caparbia

IL TEMPIO DELL’APERITIVO Il progetto di Lissoni Casal Ribeiro per il ridisegno del celebre bar Camparino all’angolo della Galleria Vittorio Emanuele dialoga con la tradizione e l’immagine storica di quello che è considerato un luogo simbolo di Milano

VISTA DELL’INGRESSO ALLO STORICO ‘BAR DI PASSO’ DAL PORTICO DI PIAZZA DEL DUOMO. RESTAURO CONSERVATIVO A CURA DI CARLOTTA BECCARIA – STUDIO DI RESTAURO, MILANO.

‘resistenza’ segna così le vicende di questo bar milanese rispetto ai nuovi modelli estetici richiesti dalla società di massa. Il Camparino, quel ‘bar in piedi’ succursale del maggiore Caffè Campari ad esso prospiciente, diventa così un animato luogo d’incontro per artisti, musicisti e letterati, come ricorda Carlo Carrà nelle sue memorie (La mia vita, Longanesi, 1934): “venne la guerra europea; e ci si trovava allora al Caffè Campari, in Galleria: artisti, letterati e altri bazzicavano con noi”. Il Camparino divenne il sismografo dei tumulti e delle proteste degli anni che precedettero il fascismo registrando

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ben 87 rotture dei vetri, così come Umberto Boccioni ne anticipò le scene nel suo dipinto Rissa in Galleria del 1910. A tutto ciò, a una storia milanese lunga e continua, si è rapportato lo studio Lissoni Casal Ribeiro che, cercando di essere “il più possibile silenzioso”, ha saputo intervenire in un progetto di riforma con un attento restyling degli spazi, accostandosi alla sala d’ingresso originaria con sensibilità ed eleganza, rifiutando facili mimetismi e senza rinunciare al segno contemporaneo. Al restauro conservativo, teso al recupero integrale degli elementi stilistici esistenti (a partire dalla scritta del nome che emerge oggi in oro su fondo nero), si è così affiancata la ricerca di nuove figure e materiali pensati per

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“mantenere inalterato il concetto della convivialità e del bere milanesi”. Per accompagnare gli ospiti al piano superiore interamente rinnovato, una struttura a tutt’altezza retrolluminata, con motivi che rileggono i simboli della Campari, fiancheggia la scala in marmo calacatta. Al primo livello lo spazio della Sala Spiritello (che trae il nome dall’illustrazione di Leonetto Cappiello del 1921, qui esposta) si sviluppa intorno a un arredo centrale che connette una quinta divisoria attrezzata con mensole di cristallo a un bancone circondato da sgabelli su disegno con sedute foderate di velluto rosso come i divanetti disposti nelle nicchie ad arco delle aperture. Entrambi sono giocati sull’uso di un

VISTA DELLA SALA SPIRITELLO AL PRIMO PIANO. SGABELLI NINA DI DAVID LOPEZ QUINCOCES PER LIVING DIVANI, SEDIE ORIGINALI RESTAURATE. ARREDI SU DISEGNO, BOISERIE E CONTROSOFFITTO RETROILLUMINATO REALIZZATI DA PLOTINI ALLESTIMENTI.


DUE IMMAGINI DELLA SALA GASPARE CAMPARI AL PIANO INTERRATO IN DUE DIVERSE CONFIGURAZIONI D’ARREDO (DINNER E LOUNGE). BANCONE RESTAURATO, SEDIE FRANK DI PIERO LISSONI PER PORRO; POLTRONCINE CONFIDENT RATTAN, DIVANO ILE CLUB DI PIERO LISSONI E TAVOLINI DI LEGNO STARSKY DI DAVID LOPEZ QUINCOCES PER LIVING DIVANI, TAPPETO DHURRAI DI ALTAI, TAVOLINO DI MARMO SEN DI KENSAKU OSHIRO PER DE PADOVA. QUI SOTTO, LA SCALA DI COLLEGAMENTO INTERNO IN MARMO CALACATTA AFFIANCATA DALLA STRUTTURA A TUTT’ALTEZZA RETROILLUMINATA CON MOTIVI CHE RILEGGONO SIMBOLI DELLA CAMPARI.

suggestivo rivestimento a specchio cannettato che rende il tutto sospeso e iridescente. Boiserie di noce e pavimento in seminato veneziano si uniscono in un’unica sintesi compositiva al disegno a losanghe lignee incrociate del soffitto retroilluminato. L’interrato, prima magazzino, ospita oggi la Sala Gaspare Campari, uno spazio totalmente nuovo con lampade su disegno fissate alle volte che richiamano i rosoni della Galleria. Qui, insieme al recupero del bancone collocato precedentemente al primo piano, sono state riproposte a parete le immagini storiche della Campari, ulteriore testimonianza di una storia tutta italiana. ■ testo Matteo Vercelloni, foto Santi Caleca

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LookINg AROUND exhibitions VISION FUGITIVE D’UN CYGNE, 179 ×107 CM, COLLEZIONE PRIVATA. FOTO COURTESY DELL’ARTISTA

LA DÉESSE DE LA RIVIÈRE LUO, 2018, INCHIOSTRO E PIGMENTI SU SETA, 178,4 × 98 CM.

LA GRANDE IMMAGINE NON HA FORMA? In programma fino al 27 aprile presso il Museo Nazionale d’Arte Moderna/Centre Pompidou di Parigi, la prima rassegna francese di Yuan Jai riunisce importanti opere eseguite dalla pittrice taiwanese negli ultimi due decenni. Al centro del suo lavoro, l’indagine dei rapporti fra la secolare tradizione cinese e l’arte contemporanea d’Occidente

CHEMIN DU HASARD, 2016, INCHIOSTRO E PIGMENTI SU SETA, 47 × 396 CM, SIGG COLLECTION. FOTO COURTESY DELL’ARTISTA

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LookINg AROUND exhibitions

CHARGE, 2012, INCHIOSTRO E PIGMENTI SU SETA, 133 × 204 CM, CENTRE POMPIDOU, MNAM-CCI, DON. M. PENG PEI-CHENG. IMMAGINE COURTESY DELL’ARTISTA

La grande immagine non ha forma, il grande suono non ha voce, così recita il Tao Te Ching, e attraverso queste semplici parole fonde un viatico d’Oriente per il fare e per il fruire dell’arte. Yuan Jai, pittrice taiwanese, studia arte prima a Taiwan, poi in Belgio presso l’Université Catholique de Louvain e l’Institut Royal du Patrimoine Artistique de Bruxelles, e affina in seguito la sua sensibilità in Inghilterra e negli Stati Uniti, dove familiarizza con le grandi collezioni di arte moderna e contemporanea. A Taiwan dirige per molti anni il Museo Nazionale, che lascia dopo trent’anni per dedicarsi in toto al suo lavoro di autrice. Dall’esperienza occidentale ricava il bisogno, la necessità primaria di ricucire i fili dispersi che legano l’oggi alla secolare tradizione pittorica della Cina, pur mantenendo i modi di un fare artistico e di un linguaggio ben radicato nella contemporaneità. Appare curioso come questa importante pittrice abbia sentito il bisogno di staccarsi da una koinè che viceversa tanto deve alle culture d’Oriente. Cosa sarebbero infatti l’Ottocento, in Francia e in Inghilterra, la grande pittura simbolista, l’impressionismo e via discorrendo senza le grandi “montagne fluttuanti” senza i “mille li” racchiusi nella

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AU LOIN, 2018, INCHIOSTRO E PIGMENTI SU TELA, 207,3 X 103,2 CM, COLLEZIONE PRIVATA. FOTO COURTESY DELL’ARTISTA

punta del pennello del grande poetapittore Wang Wei, noto per aver stabilito le regole della grande forma del paesaggio in una sola paginetta, Il segreto della pittura? E non si sta parlando di chinoiserie, ma di un modello estetico di scomposizione dell’immagine, di una frantumazione del precetto, che riflette una cosmologia raffinata, con l’obiettivo finale una nuova visione, attraverso la liberazione dell’uomo dai suoi vincoli spazio-temporali. Così nell’arte di Yuan Jai ritroviamo le dimensioni tradizionali dell’acquarello a inchiostro su seta, l’enfasi della verticalità e dell’orizzontalità, quasi a sottolineare le due direzioni fondamentali della pittura orientale, la verticalità delle montagne e l’orizzontalità dello scorrere dell’acqua, il tempo degli dèi e il tempo degli uomini. Il tutto condito da una simultaneità di forme e colori che non si danno più in uno spazio cartesiano, ma rompono altresì la sequenza delle nostre aspettative culturali. Ed è proprio in questo che sta il suo piccolo paradosso, laddove attraverso la rinuncia alle convenzioni d’Occidente Yuan Jai ne enfatizza le tradizioni e i linguaggi artistici più recenti, perché, forse, la grande forma non conosce divisioni di razza, di cultura e di genere: un uomo, tutti gli uomini. ■ Maurizio Barberis



Realizzarlo non sarĂ mai stato cosĂŹ semplice.


LookINg AROUND exhibitions

GEORG BASELITZ, ST. GEORGSTIEFEL, 1997, OLIO SU TELA. COLLEZIONE ERNESTO ESPOSITO, NAPOLI.

La parola Rivoluzione, dal latino revolutio (ritorno), indica scientificamente il giro completo che un corpo compie attorno a un altro corpo, ovvero la rotazione di un corpo attorno a un asse o, in astronomia, il moto di un pianeta attorno al suo centro di gravitazione. Il che pone, facendo riferimento al titolo della mostra, “La Rivoluzione siamo noi”, in programma a Piacenza fino al 24 maggio, due ordini di problemi, da cui derivano altrettante importanti conseguenze: la prima è che l’asse di rotazione comporta un ritorno del corpo esattamente nella stessa posizione di partenza, la seconda è che il corpo dell’arte sembra girare intorno a un vuoto, non avendo più, da molto tempo ormai, un proprio centro gravitazionale. Che sia davvero cosi? Ma il collezionismo, sembra suggerirci il curatore Alberto Fiz, non è forse il nuovo centro di gravitazione dell’arte d’oggi? O, al contrario, dobbiamo pensare al collezionista come a un neofita della rivoluzione, dedito alla conquista di un centro che non c’è, come l’isola di Peter Pan? Oppure al collezionista come a un novello celibataire, che mette a nudo (e qui un po’ di rivoluzione c’è) l’arte-mariée di

LA RIVOLUZIONE SIAMO NOI

Un’importante mostra presso XNL Piacenza Contemporanea racconta oltre mezzo secolo di collezionismo con 150 opere appartenenti a 18 tra le più significative raccolte d’arte italiane, da quella di Ernesto Esposito a quella di Patrizia Sandretto Re Rebaudengo ROBERT MAPPLETHORPE, ANDY WARHOL, 1986, FOTOGRAFIA IN BIANCO E NERO. COLLEZIONE ALT, BERGAMO.

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LookINg AROUND exhibitions ANDY WARHOL, VESUVIUS, 1985, SERIGRAFIA SU CARTONE. COLLEZIONE ERNESTO ESPOSITO, NAPOLI.

duchampiana memoria? Certamente il collezionista un po’ celibataire lo è di sicuro, mosso dal sacro fuoco dell’arte come dal proprio narcisismo o da un buon fiuto per gli affari. E mi vien da pensare a quel Cerruti torinese che costruì, celibe e silenzioso, una delle più straordinarie collezioni italiane dell’arte del Novecento. Ma questa è un’altra storia. Il titolo lascia ben sperare, come l’opera di Beuys, ironicamente citata da uno degli autori in mostra e assunta dal curatore come soggetto conduttore dell’intera esposizione. Esposizione che vuole dar conto di 18 collezioni/ collezionisti di artisti/opere d’arte (150) contemporanea e che getta un (inquietante) sguardo sul nostro GINO DE DOMINICIS, SENZA TITOLO, 1972-’73, FOTOGRAFIA. COLLEZIONE FLORIDI ROMA. GHADA AMER, LE SALON COURBÉ, 2007. DIVANO RICAMATO, CARTA DA PARATI. COLLEZIONE GIULIANI, ROMA.

recente passato. La buona notizia è che questa grande mostra (il progetto di allestimento è di Michele De Lucchi e AMDL Circle), che comprende il meglio degli ultimi decenni dell’internazionalità artistica, prelude alla fondazione di un nuovo centro per l’arte, XNL Piacenza Contemporanea (via Santa Franca 36), ricavato dal restauro del bel palazzo dell’Enel curato dalla Fondazione Piacenza e Vigevano e che si costituirà come un’importante costola dell’attuale museo Ricci Oddi, recentemente salito alle cronache per l’avventuroso ritrovamento del Klimt rubato alla fine degli anni Novanta. Un vero e fortunatissimo coup-de théâtre. ■ Maurizio Barberis ILYA KABAKOV, HOLIDAYS #5, 2014, OLIO SU TELA. COLLEZIONE ERNESTO ESPOSITO, NAPOLI.

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OUTDOOR LIVING


LookINg AROUND exhibitions

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1. ALLESTIMENTO DELLA MOSTRA “GIO PONTI. AMARE L’ARCHITETTURA” AL MAXXI DI ROMA. FOTO MUSACCHIO, IANNIELLO & PASQUALINI, COURTESY FONDAZIONE MAXXI. 2. GIO PONTI. FOTO GIO PONTI ARCHIVES

AMARE L’ARCHITETTURA

A quarant’anni dalla scomparsa di Gio Ponti, il MAXXI di Roma ha dedicato un’ampia retrospettiva al talento originale e poliedrico di uno dei più grandi maestri del Novecento 2

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“Gio Ponti. Amare l’architettura” (fino al 13 aprile al MAXXI di Roma in collaborazione con CSAC e Gio Ponti Archives) non è stata solo una mostra su una grande figura della storia dell’architettura, ma un’occasione per riflettere sul XX secolo attraverso gli occhi e la mente di un maestro che ha acceso il dibattito culturale intorno a tutte le forme del costruire. Un costruire che ha sempre tenuto ferma, al centro dell’indagine, l’architettura, ma che si è declinato, nei decenni, in tutti i campi dell’industrial design e della ricerca spaziale, dall’orizzonte urbano all’ambiente domestico. Partendo dallo straordinario materiale d’archivio, i curatori hanno suddiviso l’esposizione in otto sezioni che hanno evocato concetti

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3. IL GRATTACIELO PIRELLI, 1956-’60. FOTO GIO PONTI ARCHIVES


chiave espressi dallo stesso Ponti. Si è così passati dai “Classicismi”, una stagione, quella degli anni Trenta, connotata dalla committenza pubblica e da una vocazione più razionalista, a “Abitare la natura”, che ha visto la natura in relazione osmotica con l’architettura: nella casa detta Lo scarabeo sotto la foglia o nelle architetture delle coste del Mediterraneo, Ponti si è infatti cimentato in un’intimità più organica. Attraversando le varie sezioni si potevano cogliere a mano a mano anche i riferimenti alla filosofia e alla vita di Gio Ponti: “L’architettura è un cristallo”, dedicata a progetti apparentemente disparati, allude a un metodo, è un aforisma, ma anche una visione delle cose che ha percorso trasversalmente idee e realizzazioni. Il progetto per l’automobile Diamante, il Denver Art Museum o la chiesa per l’ospedale San Carlo Borromeo a Milano hanno espresso l’idea planimetrica della forma finita, coerente e chiusa in se stessa. Immancabile, infine, la sezione dedicata alla leggerezza e alla smaterializzazione, spesso accompagnata da una spiccata verticalità: “Facciate leggere”, con i progetti – tra gli altri – del grande magazzino di Bijenkorf e dei Palazzi per i Ministeri di Islamabad. ■

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Edoardo De Cobelli

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1. CONCATTEDRALE GRAN MADRE DI DIO A TARANTO, 1964-’70. FOTO GIO PONTI ARCHIVES. SOTTO, IL MODELLINO ESPOSTO IN MOSTRA. 2. UNO SCORCIO DELL’ALLESTIMENTO CON LA SEDIA SUPERLEGGERA, 1957. FOTO MUSACCHIO, IANNIELLO & PASQUALINI, COURTESY FONDAZIONE MAXXI. 3. VILLA PLANCHART, CARACAS, VENEZUELA, 1953-’57. FOTO GIO PONTI ARCHIVES. 4. MONTECATINI 1 (1935-’38) E MONTECATINI 2 (1947-’51). FOTO GIO PONTI ARCHIVES.

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LookINg AROUND exhibitions

L’opera di Olafur Eliasson ricerca il dialogo con le persone, di cui sfida i sensi e la percezione, invitando a ripensare, in chiave creativa, l’ambiente di vita. A lui sono ora dedicate una retrospettiva e un’installazione site specific

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L’artista danese Olafur Eliasson si muove tra scultura, pittura, fotografia, film e installazioni, senza limitarsi ai contesti istituzionali ma entrando nello spazio pubblico e nell’architettura. Alla ricerca di un dialogo diretto con la gente comune. Alla base del suo lavoro c’è l’idea di coinvolgere persone di tutte le età per metterne alla prova la percezione, scardinare preconcetti e

ARTE COME PERCEZIONE COLLETTIVA

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portare l’attenzione su temi di urgenza prioritaria per la collettività, come le questioni climatiche. Il pubblico da spettatore diviene protagonista, confrontandosi con le sfide della nostra società per, come l’artista asserisce, “prendere parte nel mondo”. A questa relazione con la realtà della vita è dedicata la mostra “Olafur Eliasson: en la vida real”, al Museo Guggenheim di Bilbao fino al 21 giugno: una retrospettiva di opere create tra il 1990 e il 2020, che mettono in discussione il modo in cui percepiamo e ci muoviamo nel nostro ambiente, facendoci riflettere su questioni impellenti dell’attualità. Eliasson ricorre frequentemente a elementi o fenomeni naturali – come l’acqua, il ghiaccio e, moltissimo, la luce – e fa leva sui loro effetti sulla sensorialità e la percettività dell’uomo per fargli esperire un messaggio più alto: quanto l’umanità stia distruggendo o sia in conflitto con la natura. Paradigmatica dell’idea di arte partecipativa è The Collectivity Project, un’installazione sperimentata a Tirana, Oslo, Copenhagen e New York, che Fondazione Trussardi vuole a Milano

1. THE COLLECTIVITY PROJECT È UN’OPERA CHE INVITA LE PERSONE A COSTRUIRE UNA CITTÀ IMMAGINARIA CON MATTONCINI DI LEGO. DOPO TIRANA, OSLO, COPENHAGEN E NEW YORK, FONDAZIONE TRUSSARDI LA PORTA A MILANO. 2. OLAFUR ELIASSON. 3. LAMPADA OE QUASI LIGHT PER LOUIS POULSEN: UN ICOSAEDRO IN ALLUMINIO CON FONTI A LED DIREZIONATE VERSO IL CENTRO IN MODO DA RIFLETTERE LA LUCE IN MODO SEMPRE DIVERSO.

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LookINg AROUND exhibitions

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3 nell’Ottagono della Galleria Vittorio Emanuele, nell’ambito delle iniziative pensate da Massimiliano Gioni che, a partire dal 2003, hanno portato l’arte contemporanea nel cuore della città, al fine di riscoprire e valorizzare luoghi dimenticati o insoliti. L’opera fa parte della programmazione culturale nell’ambito di Miart e, nella versione milanese, è composta da cinque tavoli ricoperti di mattoncini di Lego. La sua configurazione prende ispirazione dalle direttrici principali della topografia del centro storico, in cui l’Ottagono rappresenta il punto nevralgico di scambio e il crocevia per turisti e cittadini. In The Collectivity Project l’artista invita il pubblico a progettare, costruire e ricostruire un immenso paesaggio immaginario, considerando l’opera come la metafora di una città futura in costante trasformazione e stimolando i passanti a esprimere e

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ripensare, in modo creativo, il modo in cui vivono e immaginano il loro ambiente. L’interdisciplinarità della ricerca artistica è un’altra costante nel lavoro di Eliasson. Nel suo studio di Berlino è riunito un variegato gruppo di artigiani, architetti, ricercatori, storici dell’arte e tecnici di diverse specialità. Perfino cuochi. È un luogo dedicato non solo alla creazione artistica, ma anche all’incontro e al dialogo con professionisti della cultura, responsabili della politica e della ricerca scientifica. Nel 2014 è nato inoltre lo Studio Other Spaces con l’architetto Sebastian Behmann, volto all’esplorazione dello spazio costruito. Da questi interessi interdisciplinari scaturiscono anche

1. BIG BANG FOUNTAIN (2014) È UNA SCULTURA DI CIRCA 160 CM, COSTITUITA DA ACQUA E LUCE STROBOSCOPICA CANGIANTE, CHE INVESTIGA IL TEMA DELLA MATERIA. 2. IN REAL LIFE (2019) È UN’OPERA SFERICA DI 208 CM DI DIAMETRO, IN ALLUMINIO, LED E FILTRI DI VETRO COLORATI. 3. THE PRESENCE OF ABSENCE PAVILION (2019), UNA SCULTURA IN BRONZO CHE RICREA LO SPAZIO ATTORNO A UN BLOCCO DI GHIACCIO SCOMPARSO. QUESTE OPERE SONO ESPOSTE NELLA MOSTRA “OLAFUR ELIASSON: EN LA VIDA REAL” AL MUSEO GUGGENHEIM DI BILBAO. FOTOGRAFIE DI ERIKA EDE

oggetti di produzione, come la lampada a sospensione OE Quasi Light per Louis Poulsen: un icosaedro in alluminio con le fonti a led direzionate verso il centro, così da riflettere e far percepire la luce in modo sempre diverso a seconda della prospettiva. Il progetto riassume le continue ricerche dell’artista nel campo della geometria, finalizzate a trovare forme alternative a quelle dominanti e che stimolino ad attivare sensi e percezioni. ■ Valentina Croci




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1. DISEGNI PER UN NUOVO MISCELATORE ZUCCHETTI, CON ALBERTO MEDA, 2020. 2. SAMANTHA, CHANDELIER DI PANNELLI OLED MONTATI SU UNA STRUTTURA DI LAMIERA INOX, DESIGN FRANCESCO FACCIN & FRANCESCO MEDA PER NILUFAR GALLERY, 2017. 3. TOP SECRET, SECRÉTAIRE IN OTTONE CON 4 CASSETTI ROTANTI E PIANO DISPONIBILE IN 4 TIPI DI MARMO, AUTOPRODUZIONE, 2017. 4. FRANCESCO MEDA, ALTEZZA 185 CM. 5. SEDIA IN PLASTICA E TUBOLARE, CON O SENZA BRACCIOLI, PRODUZIONE ETAL PER IL SALONE DEL MOBILE 2020. 6. PIGRECO, SGABELLI DI MARMO PER LUCE DI CARRARA, 2014.

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FIGLIO D’ARTE E DESIGN

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Sapienza tecnica e vena artistica sono la sua forza. Francesco Meda ha mosso i primi passi col padre Alberto, da tempo cammina da solo e andrà lontano Quando Francesco Meda e suo fratello erano piccoli, il padre Alberto aveva lo studio adiacente alla casa. Giocare con modellini, seghetti, giunti, viti e morsetti è stato l’avviamento naturale al design, così come conoscere i tanti imprenditori, designer, fotografi che dopo esser passati dallo studio venivano a prendere il caffè in casa. Nato a Milano nel 1984, Francesco si

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laurea allo IED nel 2006 e subito decide di andare a fare esperienza a Londra, dove lavora dapprima nello studio di Sebastian Bergne e poi da Ross Lovegrove. Due anni dopo rientra a Milano e chiede al padre di prenderlo come assistente. Dice Francesco: “Mio padre aveva sempre lavorato da solo, ma per me ha fatto un’eccezione. Stando con

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1. ALUSION, CONSOLLE – CON DETTAGLIO – IN SCHIUMA DI ALLUMINIO, PRESENTATA ALLA GALLERIA ROSSANA ORLANDI DURANTE LA MILANO DESIGN WEEK 2018. 2. BRIDGE, LAMPADA A LED RICAVATA DA UN FOGLIO DI OTTONE CHE PIEGANDOSI DIVENTA STRUTTURA, AUTOPRODUZIONE, 2014. FA PARTE DELLA COLLEZIONE DEL TRIENNALE DESIGN MUSEUM, FOTO MIRO ZAGNOLI 3. WOODY, SEDIA E SGABELLO CON STRUTTURA IN MASSELLO DI FRASSINO E SEDUTA E SCHIENALE IN PANNELLI MULTISTRATO DI FAGGIO, PRODOTTA DA MOLTENI&C, 2018. 4. SPLIT CHAIR, SEDIA COMPOSTA DA SCOCCA E BASE DISTINTE, PRODOTTA DA COLOS, 2016. 5. SPLIT ROUND E SPLIT TABLE, TAVOLI CON STRUTTURA METALLICA E PIANI IN LASTRE DI MARMO ACCOSTATE E UNITE DA UNA VENA DI OTTONE, AUTOPRODUZIONE, 2017.

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lui è come se avessi fatto un master accelerato: non ero più davanti al computer, in mezzo a tanti, come negli studi inglesi. Con lui vedevo nascere i progetti in studio e poi lo accompagnavo nelle aziende, dai fornitori, alle fiere. Assieme abbiamo disegnato nel 2013 il pannello acustico Flap, di Caimi Brevetti, che poi nel 2016 ha vinto il Compasso d’Oro”. La competenza tecnica traspare ovunque: nelle sedie Split, in cui la scocca è una e le basi sono tante, nelle sedute Woody, che gli sono valse un Wallpaper Design Award 2019. La si vedrà presto nel sistema attrezzato concepito per tutte le cucine Dada, composto da mensole in alluminio estruse e da accessori funzionali che scorrono sul piano di lavoro. La

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componente più artistica e sperimentale è presente nelle piccole produzioni, come nella seduta Pigreco per Luce di Carrara, dove sfridi di lastre di marmo vengono compressi per generare vene multistrati; o nelle consolle Alusion in schiumato di alluminio proveniente al 50% da riciclo e 100% riciclabili. Non è facile essere all’altezza di un padre quando questi è un grande e famoso designer, eppure lui sembra riuscirci. Da tempo ormai cammina da solo, ma ogni tanto, come è bello che sia, si riaccompagna al papà, come per il nuovo miscelatore che i due stanno progettando insieme per Zucchetti. Diversi come due gocce d’acqua. ■ Virginio Briatore

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INTERNI PER PEDRALI

Le poltrone Remind, disegnate per Pedrali da Eugeni Quitllet, scelte per la terrazza del Petit Palace Suites di Santorini. ©project by LAB11

Il bello dell’outdoor Con l’arrivo della primavera, i prodotti Pedrali sono pronti a personalizzare gli spazi outdoor con il loro esclusivo mix di estetica, comfort, funzionalità e resistenza agli agenti atmosferici e all’usura

La collezione Reva di Patrick Jouin arreda lo spazio outdoor del ristorante Philiaz sul lago di Caldaro, a Bolzano. ©ph. Vito Corvasce per Corradi.eu

Realizzati interamente in Italia, inconfondibili per personalità progettuale, unici per comfort e funzionalità e realizzati con materiali e tecnologie che ne assicurano la resistenza agli agenti atmosferici e all’usura: sono i prodotti outdoor di Pedrali, pronti, con l’arrivo della bella stagione, a occupare i più bei spazi en plein air in ogni angolo del mondo. Così, la collezione Tribeca di CMP Design, ispirata alle classiche sedute da terrazza anni ’60 in metallo e intreccio, è stata scelta per location come l’Enigma Suites di Santorini e il bar di Plage la Mandala a Cannes, ma anche per il dehor di Peck CityLife nella milanese piazza Tre Torri, e per il Caffè del Colleoni di Bergamo, dove trovano collocazione anche i tavoli Elliot di Patrick Jouin, dal design architettonico e leggero allo stesso tempo. Le poltrone in polipropilene Remind di Eugeni Quitllet, con la loro silhouette organica che rievoca le sedie in legno della seconda meta del XIX secolo, arredano invece la terrazza del Pascarayomondo Suite Palace di Gallipoli, come anche la splendida terrazza del Petit Palace Suites di Santorini. Versatile, trasversale, connotata da linee morbide e generose, la collezione Reva di Patrick Jouin contribuisce a esaltare la sensazione di relax che si sprigiona dall’area esterna del ristorante Philiaz sul lago di Caldaro, a Bolzano. Perfetta per qualsiasi collocazione all’aperto è, infine, la seduta Soul Outdoor di Eugeni Quitllet, la cui versione in alluminio con sedile ergonomico in doghe di teak sagomate rappresenta la naturale, scenografica evoluzione dell’originale in legno curvato. pedrali.it

Le sedute della famiglia Tribeca di CMP Design nel dehor di Peck CityLife, a Milano. ©ph. Nathalie Krag


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GREEN ARCHITECTURE

IL GRUPPO DURST PHOTOTECHNIK HA AMPLIATO LA SEDE CENTRALE DI BRESSANONE PUNTANDO SU FACCIATE FUTURISTICHE PROGETTATE DA PATRIK PEDÒ E JURI POBITZER, ALLA CUI REALIZZAZIONE HA CONTRIBUITO LIGNOALP. L’ALA CHE SI LIBRA CON LEGGEREZZA SU UNA TORRE DI SEI PIANI ALTA 35 METRI È DIVENTATA UN ELEMENTO ARCHITETTONICO DISTINTIVO BEN VISIBILE, MENTRE IL DESIGN A PIXEL DELLA FACCIATA CONFERISCE ALL’EDIFICIO UNA FORTE IMPRONTA IDENTITARIA.

A FieraBolzano, Klimahouse: quattro giorni di eventi, a fine gennaio scorso, dedicati all’edilizia sostenibile. Con un unico grande messaggio: “Costruire bene. Vivere bene”

“Non più solo materiali e soluzioni

UN INCONTRO DI KLIMAHOUSE CONGRESS, DURANTE LA FIERA.

costruttive per tecnici e progettisti, ma un vero e proprio ecosistema sul tema del costruire bene e vivere bene rivolto a tutti. Questa edizione rappresenta il primo passo di una strategia che punta a posizionare la manifestazione come una piattaforma di riferimento a livello internazionale e a coinvolgere tutti coloro che vogliono diventare parte attiva di un processo di grande cambiamento”. Con queste parole Thomas Mur, direttore di Fiera Bolzano, esprime la sua soddisfazione per i risultati ottenuti dalla edizione 2020 di Klimahouse, la Fiera internazionale per l’efficienza energetica e il risanamento in edilizia, svoltasi nel

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LookINg AROUND fairs SCREENY BOX DI KE OUTDOOR DESIGN È LA NUOVA TENDA A RULLO A SCOMPARSA APPLICABILE A MONOBLOCCO TERMOISOLANTE.

capoluogo altoatesino a fine gennaio scorso. Oltre 36 mila visitatori tra operatori di settore e utenti finali, con un ampio ventaglio di progetti, proposte e soluzioni per un’edilizia sempre più trainante nel grande cambiamento culturale e ambientale; 450 espositori; esperti internazionali, associazioni e istituzioni. Protagonista della manifestazione, l’innovazione, testimoniata dalle proposte di tante aziende che hanno presentato prodotti e soluzioni per un’edilizia che cambia: dai materiali all’impiantistica, dalle tecniche costruttive più innovative e a impatto ridotto fino ai dispositivi hi-tech. Grande successo anche per i Klimahouse Tours, visite guidate ai più virtuosi edifici sostenibili dell’Alto Adige, organizzate in collaborazione con la Fondazione Architettura; e per il Klimahouse Congress, con i suoi

KF520 È LA NUOVA GENERAZIONE DI FINESTRE DI INTERNORM IN PVC E PVC/ALLUMINIO, CHE COMBINA DESIGN INNOVATIVO E KNOW-HOW TECNICO.

SPAZIO D’ISPIRAZIONE, LUOGO DI STUDIO E SPERIMENTAZIONE, LABORATORIO DI RICERCA PER L’ABITARE SOSTENIBILE E INNOVATIVO: SOPHIA (SUSTAINABILITY OF PREASSEMBLED HIGHLY INNOVATIVE ARCHITECTURE) È IL NUOVO PROGETTO DI RUBNER HAUS, NATO IN COLLABORAZIONE CON L’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI ROMA TRE E CON IL CONTRIBUTO DI HEVOLUS INNOVATION (PARTNER WÜRTH).

quindici speaker internazionali. Ha fatto il suo debutto il format di eventi e comunicazione HHH – Home, Health & Hi-Tech, che ha richiamato medici ed esperti del mondo dell’edilizia per un’iniziativa con un focus sulla salubrità indoor. Un grande contributo per ridisegnare il futuro del green building è arrivato dagli oltre 60 ragazzi della Generazione Z, arrivati a Klimahouse da tutta Italia. Tra

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le iniziative più rilevanti, Onda Z @ Klimahouse 2020, che ha offerto una due giorni di hackathon, svoltasi presso la Libera Università di Bolzano, in cui i ragazzi hanno presentato le loro idee e soluzioni. Progetto vincitore è risultato Greenisland, che mira a riportare la natura in città permettendo alle comunità di collaborare attivamente alla produzione di cibo in piccola scala. L’obiettivo è quello di offrire servizi per l’installazione di orti urbani sui condomini che rispettino la sinergia della natura e la corretta combinazione tra le diverse specie coltivate. Il prossimo appuntamento è per l’edizione 2021, dal 27 al 30 gennaio. Come sempre, a Fiera Bolzano. ■ Danilo Signorello

LIGNOALP HA REALIZZATO VILLA ZOE, ABITAZIONE PRIVATA CHE UTILIZZA LA TECNOLOGIA LEGGERA DEL TELAIO IN LEGNO, IN VALLE IMAGNA (BG): L’ARCHITETTO NATALÌA ROTA HA DISEGNATO UNA STRUTTURA DALLE LINEE ESSENZIALI.



LookINg AROUND fairs SOTTO, NIPA DOSHI E JONATHAN LEVIEN RITRATTI NELL’INSTALLAZIONE CREATA PER STOCKHOLM FURNITURE & LIGHT FAIR 2020. A DESTRA E IN BASSO, DUE SCORCI DELLA MOSTRA, IN CUI SI RICONOSCONO LE POLTRONE UCHIWA PER HAY E PAPER PLANES PER MOROSO. FOTO DI JONAS LINDSTRÖM

“Il nostro studio a Londra è uno spazio industriale ricco di atmosfera, con prototipi appesi alle pareti, modelli di carta sugli scaffali e disegni ‘in attesa’ su un tavolo marmo”, raccontano Nipa Doshi e Jonathan Levien. “Questi materiali di progetti passati e futuri ci riempiono di ottimismo creativo e questo è lo spirito che volevamo portare a Stoccolma”. Così, i visitatori della settantesima edizione (4-8 febbraio 2020) della maggiore rassegna scandinava di design sono stati accolti da una installazione, definita dai progettisti “intimo ambiente di transizione”, in cui vivere il “dietro le quinte” del loro lavoro. Un’architettura quasi metafisica in legno, con gallerie voltate interconnesse, in cui si armonizzavano l’esuberanza cromatica e decorativa indiana di Nipa (dettagli, tessuti, texture), il pragmatismo anglosassone di Jonathan (funzionalità strutturale), il repertorio materico scandinavo (legno massello e multistrato locale, da riutilizzare). E un tocco di Italia: “la struttura è ispirata alla chiesa di San Cataldo a Palermo, dove ci trovavamo quando ci hanno comunicato la nomina a guest of honour. Da lì l’idea di creare una sorta di santuario in

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ATELIER NOMADE DI IDEE

Ospiti d’onore alla scorsa edizione di Stockholm Furniture & Light Fair, Nipa Doshi e Jonathan Levien hanno progettato un’installazione che è un viaggio astratto nel loro processo creativo omaggio al design per la mostra a Stoccolma, la prima ad accogliere un numero così cospicuo di nostri progetti”. Attraverso lo spazio i visitatori hanno avuto la possibilità di ‘tessere’ le relazioni tra oggetti e colori, prodotto finito e modello, idea e realizzazione. ■ Katrin Cosseta



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1. ITALIAN DESIGN DAY ALL’AMBASCIATA D’ITALIA A MADRID. DA SINISTRA: PATRIZIA CATALANO, INTERNI; SALVI PLAJA, ADI FAD BARCELLONA; BELÉN HERMIDA, COAM MADRID; FRANCESCO ZURLO, AMBASSADOR ITALIAN DESIGN DAY, POLITECNICO MILANO; MARIANO MARTÍN, PER DI_MAD MADRID. 2. LO STUDENTE DIEGO FINGER RITIRA IL PREMIO PER IL SUO PROGETTO GYA. 3. IL SERVOMUTO GYA IDEATO DA DIEGO FINGER.

Il tema della seconda edizione del concorso “Il Design. Un viaggio tra Italia e Spagna”, organizzato dall’Ambasciata d’Italia a Madrid in collaborazione con Interni, invitava gli studenti e i giovani progettisti spagnoli under 35 a interrogarsi sui futuri modelli del contemporaneo. Trasferendo i valori di memoria e di archetipo nel fluido mondo del terzo millennio

L’OGGETTO IDENTITARIO

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Memoria come identità, collettiva e personale. Necessità di attingere al passato per proporre oggetti permeabili in un mondo fluido, in continua trasformazione, dove il prefisso ‘co’ sembra annullare il bisogno di identità dei singoli individui: co-housing, co-living, co-working, co-travelling, co-driving. Questo il tema del concorso “Il Design. Un viaggio tra Italia e Spagna”, indetto dall’Ambasciata d’Italia a Madrid realizzato con Interni Magazine, il Consolato Generale d’Italia a Barcellona, Coam Collegio degli Architetti di Madrid, di_mad Associazione dei Designer di Madrid e Adi-Fad, l’associazione omologa di Barcellona, e rivolto a scuole 4 5

3 di Design e professionisti under 35. La premiazione si è tenuta lo scorso 26 febbraio a Madrid in occasione dell’Italian Design Day. Sette gli autori premiati ex aequo: Blanca Galán Merino e Pablo Sinan Akgül Garcimartín, Ied di Madrid, con Anyway, sistema di sgabelli/tavolini smontabili “per spazi a uso promiscuo”, (prototipo True Design); Amalia Puga Cividanes, di Elisava Barcellona, per Entre Redes, poltrona che recupera le reti da pesca realizzate dalla comunità 6

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delle donne del villaggio galiziano di A Guarda, (prototipo Emu); Diego Finger, Università Politecnica di Madrid, per Gya, servomuto che parte dallo studio della sezione aurea (prototipo Baleri Italia); Paula Chacártegui, Ied di Barcellona, con Kama, set di gioielli utilizzabili come sex toys (prototipo Alessi); Daniela Grisel Beizaga Laura, Ied di Madrid, con Marana Wooden Knife, coltello da cucina che si ispira al batán, utensile in pietra di origine peruviana (prototipo Disegno Mobile); Carla Jörgens Vidal, Ied di Barcellona, per Nähe, lampada a luce variabile le cui due unità si utilizzano anche singolarmente (prototipo Martinelli Luce); Irene Infantes, professionista under 35, per Trashumancia, tappeti che tracciano il percorso della lana dalla tosatura alla manifattura (prototipo CC-tapis). I prototipi saranno esposti a giugno durante il FuoriSalone, a Creative Connections, la mostra di Interni all’Università degli Studi di Milano e, in seguito, a Madrid e Barcellona. ■ Patrizia Catalano

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4. SISTEMA DI TAVOLINI/SGABELLI ANYWAY, DESIGN BLANCA GALÁN MERINO E PABLO SINAN AKGÜL GARCIMARTÍN. 5. LAMPADA SDOPPIABILE NÄHE DI CARLA JÖRGENS VIDAL. 6. SEDUTA ENTRE REDES, CHE RECUPERA LE RETI DA PESCA REALIZZATE DA DONNE GALIZIANE, A FIRMA DI AMALIA PUGA CIVIDANES. 7. COLTELLO MARANA, ISPIRATO A UN ANTICO UTENSILE DI ORIGINE PERUVIANA IDEATO DA DANIELA GRISEL BEIZAGA LAURA. 8. KAMA, SET DI GIOIELI UTILIZZABILI COME SEX TOYS, PROGETTO DI PAULA CHACÁRTEGUI. 9. TAPPETO TRASHUMANCIA, CHE TRACCIA IL PERCORSO PRODUTTIVO NEI VARI STADI DI PRODUZIONE DEL PRODOTTO, OPERA DI IRENE INFANTES.

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O G G I D I S P O N I B I L E N E L L A N U OVA E L E G A N T E F I N I T U R A “ TOTA L B L AC K ” , S I N T E S I C O N I U G A S A P I E N T E M E N T E A S P I R A Z I O N E E C OT T U R A I N U N ’ U N I CA S O L U Z I O N E DA L D E S I G N G E O M E T R I C O E M I N I M A L E . L’A S P I R A Z I O N E P O ST E R I O R E C O N A P E R T U R A F L A P AU TO M AT I CA G A R A N T I S C E I N O LT R E L A M A S S I M A L I B E R TÀ N E L L A ZO N A C OT T U R A .

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A SINISTRA, IL GLOBO SAVE MILANO, PRESENTATO LO SCORSO GENNAIO. A DESTRA, ALCUNI GLOBI REALIZZATI IN QUESTI MESI. SOTTO, NOW, IL PRIMO DEI QUATTRO GLOBI DI INTERNI SPONSORIZZATO DA CERAMICA FLAMINIA E REALIZZATO DA PRISMA PROJECT, TEAM DI EX STUDENTI DELL’ISTITUTO MARANGONI DI MILANO.

Slitta al 10 giugno il lancio di “Cento globi per un futuro sostenibile”, mostra open air voluta da Weplanet, Gruppo Mondadori e Mediamond

SOS TERRA Con l’emergenza sanitaria, il mondo dell’arte, della cultura, del design si adegua alle norme di sicurezza e anche WePlanet, in linea con quanto deciso da governo, associazioni e istituzioni, posticipa l’evento “Cento globi per un futuro sostenibile”, previsto a partire dal 12 aprile. La mostra sarà inaugurata il 10 giugno, le installazioni resteranno esposte a

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Milano dal 12 giugno al 21 agosto e l’asta benefica organizzata da Sotheby’s, per sostenere il Fondo ForestaMi e l’implementazione delle zone verdi di Milano, slitterà al 14 settembre. Prorogate anche le date del contest: c’è tempo fino a 9 aprile per le iscrizioni, mentre il 17 maggio si riunirà la giuria per decretare il vincitore che sarà proclamato su sito e social Weplanet il 30 maggio. La decisione è stata presa nella certezza che sia necessario uno sforzo collettivo per reagire all’emergenza Covid 19: “WePlanet è la dimostrazione della voglia di ripartire”, sottolinea il ceo Paolo Casserà. “ Aziende, mecenati e mondo delle associazioni non solo hanno confermato la partecipazione, ma hanno anche dimostrato il grande spirito ambrosiano che contraddistingue Milano, i suoi cittadini e le sue forze produttive”. WePlanet, voluta da Gruppo Mondadori e Mediamond, è sostenuta dal Ministero dell’Ambiente, dal Comune di Milano e dalla Regione Lombardia: attraverso arte, creatività e design, intende sottolineare l’urgenza di affrontare la svolta sostenibile, ribadendo l’importanza del ruolo che ogni abitante della Terra ha nel processo di

salvaguardia del Pianeta. I 100 globi, realizzati e prodotti con plastica riciclata, sono stati affidati ad artisti, designer e creativi per interpretare il futuro della Pianeta Azzurro. Il progetto è stato realizzato coinvolgendo cinque testate della casa editrice di Segrate. Interni (le altre sono CasaFacile, Focus, Grazia e Icon Design) sarà la testata di riferimento per quattro globi sponsorizzati da aziende che da sempre fanno dell’impegno costante verso l’uomo e l’ambiente il loro punto di forza: Aran Cucine, Ceramica Flaminia, Ilva, Slide Design. Giunto già a buon punto nella realizzazione, Now, il globo di Ceramica Flaminia, sarà realizzato da Prisma Project, team di ex studenti dell’Istituto Marangoni di Milano. Un gruppo di lavoro che trova nella multiterritorialità (dodici artisti da otto Paesi diversi: Brasile, Cina, Colombia, Francia, Indonesia, Italia, Messico, Russia) e nella multidisciplinarità (design, moda, visual...) due grandi risorse. Le fasce colorate che rivestono il globo rappresentano il tentativo di curare il Pianeta malato. Un progetto a più mani, figlio di culture diverse ma con un obiettivo comune: salvare la Terra, ora. Mettendo da parte incomprensioni e lavorando insieme per un futuro migliore. ■



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GRANDE ATLANTE DEL DESIGN DAL 1850 A OGGI di Enrico Morteo, Rizzoli 2019, pagg. 436 € 29,90. A più di dieci anni dalla sua fortunata prima edizione ritorna in libreria, con un sedicesimo aggiunto, la ristampa aggiornata dell’ambizioso Atlante dedicato al design mondiale dalla metà dell’800 a oggi. Un ‘atlante’ (dall’omonimo gigante della mitologia greca che sulle spalle reggeva il mondo) è in editoria un volume esaustivo, completo, che registra il ‘tutto’ della disciplina cui è dedicato. Impresa impossibile in realtà anche per il design, cosa di cui Enrico Morteo è consapevole, ma che non lo esime dal provare a tratteggiare un percorso per frammenti significativi della storia multilineare, complessa e dalle tante sfaccettature che è quella del design. In modo cronologico il libro offre così un seducente slalom tra oggetti e movimenti, linguaggi e protagonisti, presentando all’interno di sezioni tematiche (le origini, “Avanguardie e pionieri 1919-1939”, “Un nuovo ottimismo 1940-1964”, “Utopie e benessere: dai bisogni ai desideri 1965-1984”, “Oltre la modernità: design come servizio, 1985-2018”) una selezione in grado di costruire, per testi indipendenti e fruibili in modo libero, una storia più che convincente. Nella nuova edizione l’autore rileva come rispetto a dieci anni fa “il design non è più solo chiamato a gestire la sorpresa del nuovo, ma è anche impegnato a trascrivere l’esistente, […] a ripensare forme e contenuti che in qualche misura già esistono, ma che si trovano ad avere un nuovo ruolo, una diversa collocazione e un diverso significato”. In tale contesto, caratterizzato “da un linguaggio aperto, inclusivo e adattabile, disposto a ibridarsi con elementi del passato così come con le ultime ricadute della tecnologia” emerge il “grande ritorno della decorazione” per una necessaria e “rinnovata narratività degli oggetti”. HELLA JONGERIUS, PIATTO IN CERAMICA ANIMAL BOWLS, 2006 NYMPHENBURG.

ESEMPI. RISTAMPA. ILLUMINAZIONE 1934-1964 a cura di Gianpiero Aloi, Compasso Editore 2019, pagg.256, € 89,90.

LAMPADE A SOFFITTO IN METALLO LACCATO DI VARI COLORI DI GINO SARFATTI, MILANO, PRODUZIONE ARTELUCE, MILANO. DA ESEMPI. ILLUMINAZIONE D’OGGI, HOEPLI 1956.

Roberto Aloi (Palermo 1897 - Milano 1981), pittore e milanese d’adozione, si trasferisce definitivamente a Milano nel 1920. Aloi è noto nel mondo dell’architettura non solo italiana per la sua fortunata serie di volumi illustrati pubblicati da Hoepli tra il 1934 e il 1972, volti a offrire aggiornati regesti sul progetto di architettura nelle sue più svariate tipologie, sull’arredamento e le arti decorative. Trentasette furono i titoli dei suoi libri oggi pressoché introvabili e apprezzati come oggetti di culto da architetti e designer. Ogni volume era curato personalmente, anche dal punto di vista grafico, da Roberto Aloi, aiutato dalla moglie Eugenia e poi dal figlio Gianpiero, che cura questa riedizione dedicata all’Illuminazione estrapolando da varie edizioni dell’Arredamento Moderno le sezioni dedicate agli apparecchi illuminanti già raccolti in parte nel volume Esempi. Illuminazione d’oggi del 1956, che qui risulta ampliato sia dalle sezioni cronologiche precedenti (del 1934, 1939, 1947, 1949, 1952, 1955) sia dall’edizione successiva del 1964. Il libro raduna così la documentazione selezionata da Aloi in trent’anni di ricerca: 500 lampade da tavolo, terra, soffitto e parete raccontano l’avventura del ‘disegno della luce’ ad opera di più di 200 architetti italiani e stranieri. “Esempi” che Aloi voleva proporre al pubblico degli architetti e designer come utili regesti iconografici, raccolte di fotografie in bianco e nero accompagnate da didascalie che riportavano autore ed eventuale azienda oltre che indicazione sui materiali impiegati. Un volume che si propone anche come documento di una storia tesa a offrire “un’utile guida tanto a chi deve produrre oggetti singoli, quanto a chi può essere chiamato al compito più complesso di progettare od eseguire un arredamento di assieme”, così come scriveva Roberto Aloi nella sua introduzione al primo volume del 1934 di quella che si rivelò una serie memorabile.

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TERUNOBU FUJIMORI. OPERE DI ARCHITETTURA di J.K. Mauro Pierconti, Electa 2019, pagg. 256, € 59,00. Prima monografia in italiano dedicata a Terunobu Fujimori (classe 1946), architetto tra i più interessanti della scena giapponese contemporanea, il libro illustra l’opera di un progettista che sceglie la disciplina dello storico per poi trovare nella forma costruita lo strumento per narrare al meglio la relazione dell’uomo con la natura. Fujimori nasce e vive nel piccolo villaggio di Miyagawa, nella foresta tra le montagne a nord di Tokyo; nei boschi trova la dimensione in cui sperimentare e sviluppare figure abitabili quasi fiabesche, apparentemente instabili, potenzialmente mobili. Costruzioni che derivano da una colta rilettura della ‘camera del tè’ di antica tradizione dando vita al disegno di case private, musei, edifici religiosi (come la bellissima Cappella eretta nell’isola di San Giorgio a Venezia, parte del progetto Vatican Chapels dell’ultima Biennale di Architettura del 2018). I materiali semplici e primitivi (terra, pietra, carbone, corteccia, fango) formano un’insolita quanto espressiva palette di riferimento per una serie di edifici sostenibili dalla figura sempre sorprendente. “L’architettura si rivela così come meditazione continua sulle cose; il progetto stesso diviene strumento di conoscenza, pur pieno di memorie, ma del tutto libero da vincoli, alla scoperta di quell’utopia non già idea impossibile e irrealizzabile, ma stimolo e programma per una migliore condivisione e gestione dell’unica Terra che abbiamo”. I saggi introduttivi dell’autore sono corredati dalle riproduzioni dei bellissimi taccuini di schizzi di Fujimori, il cui “Dodecalogo” per “prendere le distanze dai 5 punti di Le Corbusier” introduce al regesto completo delle opere presentate con disegni e fotografie a colori che accompagnano le schede descrittive e i dati dei diversi progetti. TERUNOBU FUJIMORI, WALKING CAFÉ, MUSEO VILLA STUCK, MONACO DI BAVIERA, 2011-’12.

IL MONDO DI POGGI. L’OFFICINA DEL DESIGN E DELLE ARTI di Roberto Dulio, Fabio Marino, Stefano Andrea Poli, Electa 2019, pagg. 160, € 32,00.

ROBERTO POGGI AL LAVORO CON UN ARTIGIANO DELL’AZIENDA SUL FUSTO DELLA POLTRONCINA PT1 LUISA DI FRANCO ALBINI, 1955.

Una monografia che costituisce uno dei tanti capitoli della storia del design italiano, quello della ditta Poggi di Pavia che di padre in figlio “testimonia la cultura professionale italiana del dopoguerra e segnatamente la capacità di trasfondere i saperi della tradizione manifatturiera lombarda in una produzione innovativa e parzialmente meccanizzata”, come sottolinea Poli nel suo saggio di apertura. La ditta Poggi, su iniziativa di Roberto Poggi figlio di Carlo, come altre realtà della produzione d’arredo ubicate però nell’area brianzola a nord di Milano, trasforma in chiave moderna il sapere del laboratorio di falegnameria di famiglia conservandone il know how consolidatosi nel tempo, oscillando tra l’esecuzione del mobile su misura e quello di serie. Non si tratta tuttavia di passare dalla dimensione artigiana a quella industriale, ma di unire, in una sintesi tutta italiana, le due diverse modalità produttive, che per il sistema dell’arredo made in Italy non sono mai state agli antipodi. Seguendo la ‘formula’ rivelatasi vincente per la produzione del mobile italiano, Poggi sperimenta con successo il sodalizio con una figura di riferimento, un ‘architetto esterno’ (art director in nuce) con cui sviluppare un confronto e una complicità in grado di dare all’azienda un surplus qualitativo in termini sia di immagine sia di soluzioni compositive e costruttive dei singoli pezzi. Il trentennale rapporto con Franco Albini, cui si aggiungeranno Vico Magistretti e Ugo la Pietra, Corrado Levi e Marco Zanuso, Afra e Tobia Scarpa e un giovane Renzo Piano, solo per citarne alcuni, si rivelerà per Poggi, insieme alla passione per l’arte contemporanea, la strada che lega produzione e immaginazione, sperimentazione e soluzione tecnica, per un catalogo composto da elementi di arredo che rimangono punti di riferimento nel complesso scenario del design del Bel Paese. ■ di Matteo Vercelloni

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INCOVER ART

P24. CARLO GIAMBARRESI

WITH HIS INSPIRED, ERUDITE STYLE, HIS WORKS SUGGEST A PATH, CONVERTING CONCEPTUAL CONTENT INTO SIMPLE IMAGES. LIKE THE COVER OF INTERNI

A talented illustrator born and raised in Sardinia, Carlo Giambarresi now lives in Cagliari, after having spent almost ten years in Barcelona, during which he attended the illustration workshop of the Escola Massan Centre d’Art i Disseny. He travels frequently and when he is not working in his studio he likes the great outdoors, reading and going to the movies, developing images, associations of ideas and inspirations for his works. His continuously evolving style is allegorical and conceptual in character: he favors the use of a few essential elements that act as clues for the interpretation of the image. From black and white drawings to minimal gifs, all the way to more colorful, lively illustrations, his approach is always the same: he starts with scribbles on paper, or rapid digital sketches. The works seem to wink at the observer and often suggest a concept or a pathway, completed through personal interpretation. They address profound and complex issues, but others are also humorous or absurd. Carlo Giambarresi prefers pastel tones, precise and well-defined at times, or more smudged in other cases. He also uses textures he creates with brushes and rollers to give digital illustrations a more ‘organic’ touch. The many international publications with which he has worked include newspapers like the New York Times, periodicals like The Economist and Internazionale, as well as publishing houses like Mondadori and Penguin Books. Claudia Foresti

INBRIEF MATERIALS P26. HANDMADE FLAVOR Warm materials, tactile surfaces: products that tell a story, in a tribute to craftsmanship. Marazzi celebrates its 85th with seven lines in the Crogiolo collection: Lume, Zellige, Scenario, D_Segni Blend, D_Segni Scaglie, D_ Segni Colore, D_Segni. The combination of know-how and industrial technology leads to an offering with a handmade flavor that emphasizes the narrative and ‘vibrant’ force of the material. The Crogiolo ceramic and stoneware tiles, in a small format, interpret the knowledge, skill and care of ceramists in a contemporary way. Distinctive crossover products, based on suggestions of days gone by, reproduce the look – filled with the beauty of imperfections – and the tangible sensations of handmade tiles. The name of the collection comes from the history of Marazzi. In the 1980s the company transformed its first industrial site at Sassuolo into a research center known as Il Crogiolo. Artists, architects, ceramists and designers were invited to experiment with original and creative uses of ceramic materials, and their studies continue to provide inspiration today.marazzi.it ORGANIC SCORE Warm Collection is the evolution in the field of interior design of the know-how of Kerakoll, a company of international reference in the field of products and services for sustainable construction and restoration of historic buildings. Under the guidance of Piero Lissoni, art director of the project, materials, textures and colors establish a dialogue and blend in an organic composition. Not a set

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of individual surfaces, Warm Collection is a complete project of innovative materials – cements, resins, handcrafted wood, microcoatings, paints – coordinated by a palette of warm colors. Among the decorative models Patina stands out (in the photo) a breathing natural finish, bacteriostatic and fungistatic, available in ten colors of the collection. It simulates the effect of passing time, leaving a characteristic patina that softens the original colors. The soft texture to the touch features chromatic dappling and materic rippling, reflecting the imperfections of handiwork. kerakolldesignhouse.com

SUSTAINABILITY P28. ECO-FRIENDLY FURNISHINGS The new edition of the contest organized by Istituto Marangoni and Cappellini is a challenge for young designers from all over the world to approach a very timely theme. Circular Economy. Essential Furniture invites participants to imagine furnishings in an ecosustainable way, paying close attention to the choice of materials, without overlooking aesthetics and functional quality. Graduates in Product, Industrial and Interior Design or Architecture and professionals with pertinent experience have until 15 April 2020 to submit creative projects. The winner will receive a study grant offered by Cappellini to take part in the Master in Product & Furniture Design program of Istituto Marangoni in the Milan facility, and an internship in a well-known design company. C.F. istitutomarangoni.com, cappellini.com OUTDOOR SOFTNESS Christian Fischbacher presents Benu Talent FR, an outdoor velvet, the first of a new generation of recycled fabrics with evolved performance: soft to the touch, resistant to weather and light, flameproof. And above all, sustainable. In fact, 70% of the material comes from used PET bottles. Ideal as a decorative fabric or covering, for indoor and outdoor, private or public-commercial settings, Benu Talent comes in a range of 30 colors. Already 10 years ago the Swiss company (with 200 years of history) was one of the first in the industry to develop fabrics using recycled PET bottles and fabric scraps from the fashion industry. For Camilla Fischbacher, art director and the force behind the BENU® collection, this is a cultural revolution from the outset: not thinking of plastic bottles as refuse, but as raw material. K.C.fischbacher.com VARIOUS P30. SAVE! Presented in the Austrian pavilion at the 22nd Milan Triennale “Broken Nature,” the Save! Toilet is now available for purchase. Thanks to a ‘urine trap’ system developed by the Austrian design studio EOOS, Save! can become an effective solution to the global problem of excess nitrogen in water. Laufen, together with EOOS and with the collaboration of the Swiss Federal Institute of Aquatic Science and Technology (EAWAG), has created a toilet that through an innovative but simple system of separation of urine from solids and gray water can reduce pollution and the energy utilized for water treatment. laufen.it WANTEDDESIGN 2020 The tenth anniversary of WantedDesign, the event in New York founded by Odile Hainaut and Claire Pijoulat to promote North American design, presents the best of the global market in the United States. In May, during the annual NYCxDesign, presenta-



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tions are scheduled for products, projects and designers, as well as exhibitions, events, prizes and workshops. The red thread: Unity Through Design. There are two locations for WantedDesign 2020: in Brooklyn, from 14 to 18 May at Industry City, and in Manhattan, from 17 to 20 May in the new space in Javits Center (below), where designer Rodolfo Agrella and his studio have overseen the entire spatial experience. Right, the Depth of Surface Chair by Studio. Sunny Kim, winner in the Furniture category of the WantedDesign Launch Pad award for 2019. wanteddesignnyc.com

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P33. LET THERE BE LIGHT!

IT WON’T BE THE YEAR OF LIGHTING AT THE SALONE DEL MOBILE. BUT WITH REINTERPRETATIONS, IMPLEMENTED FUNCTIONS AND ORIGINAL PROJECTS, LIGHTING DOES NOT STAND STILL. BECAUSE WE NEED SOME ‘RADIANT’ NEW DEVELOPMENTS, NOW MORE THAN EVER

by Andrea Pirruccio CAPTIONS: pag. 33 From Axo Light, the new version of the U-Light implemented with a sound-absorbing panel in PET that guarantees reduction of reverberation in space. Made in ceiling, wall and suspension versions, the lamp is available in two colors (rust brown and anthracite gray) and four sizes. O, designed by Elemental for Artemide, is a lamp with an aluminium border, seen here in the indoor-outdoor version and the new diameter of 150 cm (joining the other models with diameters of 90 and 45 cm). The light can be controlled with the Artemide App. All the sizes also come in the suspension version. pag. 34 Gravity, designed by Marco Piva for Italamp, is an LED lamp formed by a series of concentric circles in blown glass. It is available in different colors and in the ceiling, suspension and wall versions. The first collection of lamps by Cassina, based on motifs and forms from the 1950s. Clockwise from right: Ficupala, Singapore Sling, Bollicosa and Elettra. pag. 35 By Ludovica+Roberto Palomba for Talenti, Tribal is a collection of outdoor standing and suspension lamps, with structure in aluminium (in the colors yellow, teal green, red, dove gray, graphite) and a body in synthetic cord (in dark gray, yellow, red, sand, teal green). Created for Marset by Christophe Mathieu, LaFlaca is a collection of outdoor lamps (also in a version for indoor use) with a metal structure that stretches and forms a ‘garment’ in shape-fast fabric, and a spherical light source that is visible only when the lamp is on. The range includes models in three dimensions and various geometric shapes: a vertical rectangle, a horizontal rectangle, and a square. By Emiliana Martinelli for Martinelli Luce, Biconica Pol, an outdoor floor lamp with diffused light, in white polyethylene with roto-molded structure. Seen here in the new Tunable White LED version, with technology that reproduces the cycle of natural light thanks to the possibility of adjusting the color temperature of the LEDs. The various tones of white can be set with Android and Apple operating systems, permitting precise color regulation. pag. 36 Clis lighting system created by Bartoli Design for Laurameroni. In the form of a disk supported by thin cables, the lamps have interchangeable magnetic covers designed to clad the product in brass or bronze, textures or precious multicolored marble. The spotlights of the single elements can be adjusted vertically and horizontally. The vertical version of Halo Jewel, the collection of lamps designed for Vibia by Martín Azúa. The steel structure with matte gold finish and various angle possibilities supports the diffuser in methacrylate. Match, designed by Alfonso Femia/AF Design for Castaldi Lighting/Penta Group, a system of luminous vertical lines with precise direct light emitted at the ends. The individual elements of the range have different sizes and forms, playing with effects of luminosity and opacity. The structure is in extruded aluminium, the tubes in plexiglass. Origine by Davide Groppi, a project created to light the facades of private buildings (in the outdoor version) or the interiors of

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homes (indoor version) with purity and simplicity. pag. 37 Grid by Antoine Rouzeau for Ligne Roset, a floor or suspension lamp with diffusers in perforated sheet metal, in the colors satin green and bronze. Mo, a series of lamps designed by Mads Odgård for Carl Hansen & Son: linear forms created to represent the effect of comfort light has on people, and at the same time to narrate the history of Danish design. Based on Marc Sadler’s exploration of the infinite possibilities offered by the technopolymers of Slamp, Accordéon is shown here in the new table version with two bulbs in the diffuser and one in the base, which function separately. pag. 38 By Stephen Burks for Luceplan, Trypta is a system of suspension lamps designed to improve acoustic and technical lighting comfort of spaces. The structure is composed of three equidistant planes along the axis of the cylindrical body. The two light sources with separate control provide both direct and indirect light. Press Iced, the new finish for the Press collection designed by Nendo for Lasvit. To produce this finish, the glass when still hot is turned in wet sawdust, then put back into the furnace, cooled in a bucket of water and the heated again for one last time. Created for Ingo Maurer by Sebastian Hepting, Tubular is a suspension lamp composed of a tube of untreated borosilicate glass that contains a structure of blades to reflect the LED light in all directions. The fabric cable that wraps the lamp generates an effective contrast with the linear look of the cylindrical body. Dress Code, designed by Mirco Crosatto for Linea Light Group, a family of table lamps composed of interchangeable parts: from the jointed head with LED light source to the tapered arm, all the way to the circular base. It is thus possible to create monochrome products or two-tone finishes, and to update the image of the model at any time.

PRODUCTION

P41. PRECIOUS AND SMART

MULTIFUNCTIONAL AND MODULAR. THE ECLECTIC AND SOPHISTICATED SYSTEMS CREATED FOR THE LIVING AREA BY MOLTENI&C STAND OUT FOR THEIR DETAILS CAPTIONS: pag. 41 The modular wall system Grid, designed by Vincent Van Duysen, uses a grid to organize the elements of the composition. Like a crossword puzzle, it permits attachment of cabinets, shelves or trays to the lower part of the paneling. Above, open bookcases and display cases enhanced by electronic devices and LED lighting emphasize the composition freedom of a crossover, flexible and open system, available in fine wood varieties and finishes. pag. 42 Flexibility, refined design and functional quality for contemporary living. These are the features shared by all the innovative bookcase solutions offered by Molteni&C, such as Pass-Word, designed by Dante Bonuccelli, a modular living system that evolves to intercept new uses of domestic spaces, with an increasingly massive presence of multimedia entertainment systems and home working, alongside traditional books and decorative objects. Alongside new elements conceived for integration with the basic system, the containers take on a softer form thanks to the rounded borders. The available materials are increasingly refined, such as marble for the top of the composition in the photos. pag. 43 505, designed by Nicola Gallizia, is a system with support posts that develops in a series of modular units. New components expand its uses: 505 is a bookcase, but also a multifunctional cabinet, a display case, a home office or a multimedia cabinet. It can be placed on the floor or hung on the wall, and offers protruding shelves that can be used as worksurfaces or zones for books and other objects. The system also has hidden compartments revealed by means of sophisticated opening mechanisms. The finishes in matte or glossy lacquer, fine wood varieties and glass surfaces permit the creation of elegant personalized solutions.

PRODUCTION

P44. DESIGN THAT GENERATES SPACE FURNITURE BECOMES ARCHITECTURE, REORGANIZING HABITAT FUNCTIONS IN A FLEXIBLE, DYNAMIC SYSTEM


INTERNI PER ECLISSE Eclisse 40 Collection, telaio in alluminio anodizzato inclinato di 40 gradi che esalta la porta in una cornice dal grande impatto visivo.

Aprire a nuove prospettive

Dall’osservazione di una tecnica del passato, la strombatura, Eclisse ha sviluppato un telaio unico e innovativo, capace di generare un senso di profondità e di esaltare la porta inquadrandola in un’ideale cornice, rigorosa e minimale Nelle costruzioni antiche, il muro accanto alle finestre si presentava inclinato, allargato verso l’interno del vano per convogliare quanta più luce possibile. A questa tecnica, nota come strombatura, si è ispirata Eclisse per sviluppare 40 Collection: un telaio che da elemento strutturale si fa soluzione estetico-progettuale in grado di donare alla porta una forza espressiva unica. Nato dallo sviluppo di un’idea dei designer Francesco Valentini e Lorenzo Ponzelli, Eclisse 40 Collection è realizzato in alluminio anodizzato (così da proteggere la struttura e impedire il logoramento del metallo) ed emerge dalle pareti definendo il volume delle soglie e ponendo in stretta relazione i due ambienti che separa. È un segno architettonico di grande impatto visivo, un grafismo che da un lato definisce una svasatura di 40 gradi e dall’altro conserva la discrezione di una porta filo muro che può essere pitturata e mimetizzata come la parete oppure rifinita con la carta da parati. Il telaio è disponibile in diversi colori (bronzo chiaro, scuro e grafite), nella versione grezza con rivestimento in primer e nei modelli per una o due ante, sia nella versione a spingere che a tirare, a destra o a sinistra. Una peculiarità è poi quella di poter collocare le porte anche a filo soffitto, con o senza traverso superiore, così da ottenere un effetto di integrazione totale tra la porta, la parete e il soffitto stesso. La struttura è unica e compatibile sia per le pareti in muratura, sia per quelle in cartongesso. eclisse.it


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To organize space by creating solutions that contain habitat functions. SpaceMakers – Home and Night Systems does this in a flexible, dynamic and creative way. It has been created by Zalf, a brand of Euromobil Group specialized in furnishings for living, bedroom and home office spaces, with contemporary, captivating design. The new system responds to a wide range of residential needs, offering different usage modes – and factors of optimization – for all spaces. From the walk-in closet to the bedroom, from spaces of passage to service rooms and gym areas, SpaceMakers offers the possibility of combining various furnishing types and a wide range of vertical partitions (from sliding or hinged doors with aluminium frames, to fronts in textured finish with full-height or built-in handles). There are many multifunctional and versatile storage elements: three new wardrobe systems, four systems for closets, all coordinated and compatible in terms of finishes and measurements, to respond to various habitat needs or the specific characteristics of the available space, thanks to flexible design (hinged, sliding, coplanar, post, rack solutions, with or without infill panels, and posts for attachment to the wall or ceiling). Claudia Foresti

with traditional Catalan ceramics in green. The most important operation was to open this ‘dining hall’ to the outside, adding square windows inserted in a galvanized steel coffer, and a garage door that in the spring makes it possible to transform the space into a portico with a view of the garden.” The upper level is for the offices – featuring oak and conceived with an open plan to exploit the natural light and create connections between the various work groups – and the showroom, set up in a building previously without windows, that was not utilized. “We decided to open it on the north and east sides, to make a sort of showcase or greenhouse, achieving transparency that makes the products visible from the outside as well. Inside, we have preserved the character of the prefabricated industrial shed. For this display zone the accent is on a ‘reverse’ project, eliminating the superfluous to bring out the quality of the original structure. The work on the new headquarters has been gratifying: a challenge that stemmed once again from a relationship of trust. That total trust has meant that in over 25 years of collaboration, I have never had to make renderings for the company. A symptomatic situation.” Andrea Pirruccio

SHOWROOMS

PROJECTS

SIMPLICITY, PERSONALITY AND A STRONG FOCUS ON HUMAN RELATIONS, IN THE NEW HEADQUARTERS OF MARSET, A FEW KILOMETERS FROM BARCELONA. THE ARCHITECTURE AND INTERIOR DESIGN ARE BY A LONG-TERM COLLABORATOR OF THE COMPANY, STEFANO COLLI. WE TALKED ABOUT THE PROJECT WITH HIM

CRISTINA CELESTINO HAS REDESIGNED THE INTERIORS OF THE LITTLE BISTRO OF CONTEMPORARY CUISINE IN THE CANAL ZONE OF MILAN, CONSERVING ITS CONVIVIAL IDENTITY AND WAGERING ON COLORS AND MATERIALS

P46. EVERYTHING IS ILLUMINATED

Marset abandons its historic location in Badalona and moves to a new headquarters at Terrassa (a town 20 kilometers from Barcelona), in the spaces of a former factory of machinery for chocolate, including warehouses, offices and a showroom. The architecture and interior design are by Stefano Colli, who has worked with the brand for over 25 years. We met with the architect. “Our studio’s relationship with Marset is one of friendship, mutual esteem and trust. We have developed many projects for the company: from the first trade fair booths to the headquarters in Badalona, from all the showrooms to this new space. We have always tried to make each of our works reflect both the identity of the host city and that of Marset, which is very precise, recognizable, and also communicates the firm’s approach to human relations. An identity made of shared values, honesty, simplicity. Not by chance, our initial objective for the new facility in Terrassa was to make a workplace in an industrial zone become more humane, comfortable, familiar. For example, to celebrate a birthday it is possible to organize a barbecue in the garden, for a toast with colleagues. The so-called ‘human factor,’ the connection among all the people working in the company, is a priceless asset for Marset, which helps with branding because everyone feels like part of the same project. From a ‘linguistic’ standpoint we have thought of a place with very distinct stylistic features, lit exclusively with the brand’s products to demonstrate their versatility.” The ground floor contains the factory and the warehouse – furnished with large Soho lamps by Joan Gaspar, in a setting of warm gray floors and walls – as well as a multifunctional area in which it is possible to eat and to meet with clients. “The space is marked by the presence of yellow planks of wood, normally used as parts of formwork for reinforced concrete,” Colli explains. “Reinforced concrete is also a presence in the form of a pillar left intentionally rough, almost an irreverent touch. We have conserved the original flooring and punctuated the spaces

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P48. 28 PLACES, RENEWED

“The identity of the venue is established, and my project sets out to bring continuity to the image the people of the city associate with ‘28 Posti.’ The intervention plays with concepts of authenticity, comfort, simplicity and roots, with the goal of creating a parallel between the interiors of the restaurant and the cuisine of its chef Marco Ambrosino, the driving force behind the venue.” This is how Cristina Celestino sums up the interior design that updates the spaces at 28 Posti, the contemporary bistro in the canal zone of Milan, which has now been open for six years. A restyling that preserves the familiar warmth for which the restaurant is famous, building on concepts such as color, texture and refined materials. The chromatic palette centers on the various finishes of wood, terracotta and natural waxed iron, joined by an earthy wine red and the plaster of the longitudinal walls. The ceiling alternates original restored beams with fields of decolored blue, while Giulio Romano earthenware panels from the Gonzaga collection of Fornace Brioni cover the walls of the shorter sides, together with the raw earth stucco of Matteo Brioni that reaches the ceiling. In the second room a bench against the wall joins the tables, redesigned and accompanied by Fratina chairs by Billiani. A storage unit is placed inside the arch formed by the central brick partition: this is a volume enclosed by two pieces of curved sheet metal, with a micromosaic facing in terracotta, topped by wooden shelves supported by a cage of tubing in blue, echoing the image of the cash desk at the entrance to the bistro. Another tribute to the central role of materials can be seen in the choice of lamps produced by Arturo Alvarez, apparently as light as paper but actually made in carefully crafted micro-perforated sheet metal. Andrea Pirruccio

PROJECTS

P50. NEST

AT THE FOUR SEASONS HOTEL IN MILAN, THE EXCLUSIVE POP-UP BAR & LOUNGE DESIGNED BY CHIARA ANDREATTI AS A TRIBUTE TO THE WORLD’S DESIGN CAPITAL


®

© 2020 Antolini Luigi & C. S.p.a. - All Rights reserved.

HAUTE NATURE

Irish Green (Marmo) Antolini crede nel potere di ciò che è autentico. La maestosa forza di madre natura racchiusa in sorprendenti creazioni. La pietra naturale è un frammento del flusso della vita, il battito del cuore delle epoche, la pelle del nostro pianeta. È la purezza nella sua forma più perfetta: design, colori e trame che ci ha consegnato la storia. Creato dalla natura, perfezionato in Italia. antolini.com

DESIGN CLAN MILANO


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The world in a room? “Well yes, you could say that. The Fireplace Room of the Four Seasons Hotel in Milan, on Via del Gesù, where the monks residing in the building in the 15th century came to pray, will be a space dressed up until the end of May by my Nest,” says Chiara Andreatti, the talented young Italian designer who has revised the total look of one of the city’s best-known salons, transforming it into an intimate Pop-Up Bar & Lounge featuring a selection of furnishings she has designed over the last five years, mixed with warm lights, natural materials, fabrics and carpets in vivid colors, in a harmonious dialogue with the vaulted ceilings and the original antique enclosure. The cocoon effect of the ‘nest’ by Chiara Andreatti, in her first interior design work, has the image of a sophisticated garden with flourishing green plants, organized in many small island-zones open to each other, shared by the guests of the hotel, the people of Milan and an international audience. The project organized by the creative agency Mr. Lawrence and supported in its concept by the hotel management, starting with the director Andrea Obertello, has been conceived as a tribute to the worldwide capital of design, the expression of an approach to hospitality ready for reinvention, to include the most contemporary, fresh and informal attitudes inside a place that conserves a very strong, paradigmatic architectural identity. “At the Four Seasons you can have an experience of design in real time, for a dinner, a private event, or simply to enjoy a drink created by Luca Angeli, accompanied by the recipes of award-winning chef Fabrizio Borraccino,” says Silvia Brighenti, senior director of marketing of the hotel. But what are the other ingredients of this special overall ‘recipe’? Curved, solid wood, wool without dyes, waves of cord or Vienna straw, brass, silver, black steel, spheres of pink smoked glass, ceramics: a material-chromatic range that in the hands of Chiara Andreatti gives rise to unique products, in a nimble combination of crafts and industrial prowess. Antonella Boisi

the protests and uprisings prior to Fascism, recording as many as 87 smashed windows, as Umberto Boccioni had foreseen in his painting Rissa in Galleria in 1910. This entire, long, continuous Milanese history has been referenced by the studio Lissoni Casal Ribeiro, which trying to be as “silent as possible” has intervened with a restyling project that interacts with the original entrance space in an approach of sensitivity and elegance, rejecting facile imitation and refusing to eschew a contemporary touch. The conservative restoration, aimed at full recovery of the existing stylistic features (starting with the name that stands out in gold on a black background), is thus joined by new figures and materials selected to “preserve the concept of Milanese convivial enjoyment intact.” Guests are accompanied to the entirely renovated upper level by a backlit structure bearing motifs that reinterpret the symbols of Campari, next to a staircase in Calacatta marble. On the first floor, the space of the Sala Spiritello (which takes its name from an illustration by Leonetto Cappiello from 1921, here on view) develops around a central furnishing that connects a divider screen equipped with glass shelves to a counter surrounded by custom stools with seats in red velvet, like the small sofas placed in the niches with arched openings. Both elements rely on the use of an evocative lathwork mirror facing that makes everything seem suspended and iridescent. Walnut paneling and Venetian terrazzo floors are combined in a unique compositional synthesis with the wooden crossed diamond design of the backlit ceiling. The basement level, which was previously a storeroom, now contains the Sala Gaspare Campari, a totally new space with custom lamps attached to the vaults, which reference the decorations of the Galleria. Here, together with the renovation of the counter previously located on the first floor, historic images of Campari are seen on the wall, bearing further witness to an utterly Italian history. article Matteo Vercelloni, photos Santi Caleca

PROJECTS

EXHIBITIONS

P53. APERITIF TIME

THE PROJECT BY LISSONI CASAL RIBEIRO FOR THE REDESIGN OF THE FAMOUS CAMPARINO BAR AT THE CORNER OF GALLERIA VITTORIO EMANUELE ESTABLISHES A DIALOGUE WITH THE TRADITION AND THE HISTORICAL IMAGE OF A PLACE CONSIDERED A SYMBOL OF MILAN

The Campari presence at Galleria Vittorio Emanuele dates back to 1867, when Caffè Campari was opened at the eastern corner of the porticos, welcoming Milanese guests into its Empire-style spaces. This first outpost of the famous red drink was then joined by the ‘bar di passo’ on the opposite corner, known as Camparino, opened in 1915 and featuring interiors in a floral style, with furnishings supplied by Eugenio Quarti, wrought iron – including the chandeliers – by master craftsman Alessandro Mazzucotelli, and mosaics by the artist Angelo D’Andrea, depicting flowers and birds. Of the two venues, the second one remains with its elegant entrance, taking on different names over time (Camparino, Zucca, Caffè Miani) while conserving its refined internal image. A curious and stubborn ‘resistance’ can be seen in the story of this Milanese bar, against the new aesthetic models demanded by mass society. The Camparino, that ‘stand-up bar’ that supplemented the larger Caffè Campari in front of it, thus became a lively gathering place for artists, musicians and men of letters, as Carlo Carrà recalls in his memoirs (La mia vita, Longanesi, 1934): “the European war came; and we gathered at Caffè Campari, in the Galleria: artists, literati and others were there with us.” The Camparino became a gauge of

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P57. DOES THE GREAT IMAGE HAVE NO FORM?

UNTIL 27 APRIL AT THE NATIONAL MUSEUM OF MODERN ART/CENTRE POMPIDOU IN PARIS, THE FIRST FRENCH SHOW OF YUAN JAI BRINGS TOGETHER IMPORTANT WORKS BY THE PAINTER FROM TAIWAN, MADE OVER THE LAST TWO DECADES. THE CENTRAL FOCUS IS THE RELATIONSHIP BETWEEN THE AGE-OLD CHINESE TRADITION AND THE CONTEMPORARY ART OF THE WESTERN WORLD

The great image has no form, the great sound has no voice. Or so the Tao Te Ching tells us, with simple words to guide the making and enjoyment of art. Yuan Jai, a painter from Taiwan, studied art there before going to Belgium to attend the Université Catholique de Louvain and the Institut Royal du Patrimoine Artistique de Bruxelles, after which she refined her skills in England and the United States, gaining knowledge of the great collections of modern and contemporary art. In Taiwan she directed the National Museum, leaving her post after 30 years to devote all her time to making art. Her experience in the West prompted a need to gather up the loose ends of the bond between the age-old tradition of Chinese painting and the present, while conserving an approach to art with a language firmly rooted in the contemporary world. Curiously enough, this important painter felt the need to get away from a koinè that – vice versa – owes much to oriental culture. What would have happened in the 1800s, in France and England, with the great Symbolist painters, Impressionism and so on, without



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the big ‘floating mountains,’ without the ‘thousand li’ contained in the tip of the brush of the great poet-painter Wang Wei, known for having established the rules of the grand landscape form in a single page, The Secret of Painting? And we are not talking about chinoiserie, but about an aesthetic model of breakdown of an image, the fragmentation of the precept that reflects a refined cosmology, with the ultimate goal of a new vision, through the liberation of man from his space-time constraints. Thus in the art of Yuan Jai we find the traditional dimensions of the ink watercolor on silk, the emphasis on vertical and horizontal movements, almost as if to underline the two fundamental directions of oriental painting, the verticality of the mountains and the horizontality of the flow of water, the time of the gods and the time of men. All seasoned with a simultaneity of forms and colors that no longer present themselves in a Cartesian space, but break up the sequence of our cultural expectations. And it is precisely in this that her little paradox lies, where through renunciation of the conventions of the West Yuan Jai emphasizes its most recent artistic traditions and languages, because perhaps the great form knows nothing of divisions of race, culture and gender: one human being, all human beings. Maurizio Barberis

EXHIBITIONS

P61. WE ARE THE REVOLUTION

AN IMPORTANT EXHIBITION AT XNL PIACENZA CONTEMPORANEA NARRATES OVER HALF A CENTURY OF COLLECTING, WITH 150 WORKS FROM 18 OF THE MOST OUTSTANDING ITALIAN ART COLLECTIONS, FROM THAT OF ERNESTO ESPOSITO TO THAT OF PATRIZIA SANDRETTO RE REBAUDENGO

The word Revolution, from the Latin revolutio (return), in science indicates the complete turn a body makes around another body, i.e. the rotation of a body around an axis or, in astronomy, the movement of a planet around its center of gravity. In relation to the title of the exhibition “We Are the Revolution,” in Piacenza until 24 May, this raises two orders of problems, leading to equally important consequences: the first is that the axis of rotation implies a return of the body to precisely the position of its departure, while the second is that the body of art seems to turn around a void, as it no longer has its own center of gravity, and hasn’t had one for some time. Is that really the case? Is collecting – the curator Alberto Fiz seems to suggest – the new center of gravity of art today? Or, instead, should we think of the collector as a neophyte of revolution, trying to conquer a center that isn’t there, like the Neverland of Peter Pan? Is the collector like a fledgling celibataire, who lays bare (and here there is indeed a bit of revolution) the artmariée of Duchampian origin? Certainly the collector is a bit celibataire, driven by the sacred fire of art as by his or her own narcissism or a good nose for business. I am reminded of Cerruti in Turin, who quietly built one of the most extraordinary Italian art collections of the 20th century. But that is another story. The title raises our hopes, like the work of Beuys ironically cited by one of the artists in the show, and taken by the curator as the subject of the entire exhibition. A show that sets out to take stock of 18 collections/collectors of contemporary artists/works of art (150), taking a (disquieting) look at our recent past. The good news is that this large exhibition (exhibit design by Michele De Lucchi and AMDL Circle), covering the best of the last few decades of artistic internationalism, is the prelude to the creation of a new center for art, XNL Piacenza Contemporanea (Via Santa Franca 36), resulting from restoration of the ENEL building by Fondazione Piacenza e

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Vigevano, as an important outcropping of the present Museo Ricci Oddi, recently in the news for the adventurous rediscovery of a Klimt stolen at the end of the 1990s. Maurizio Barberis

EXHIBITIONS

P64. FOR THE LOVE OF ARCHITECTURE

FORTY YEARS AFTER THE DEATH OF GIO PONTI, THE MAXXI MUSEUM IN ROME PRESENTS A LARGE RETROSPECTIVE ON THE ORIGINAL AND VERSATILE TALENT OF ONE OF THE GREAT MASTERS OF THE 20TH CENTURY

“Gio Ponti. Amare l’architettura” (until 13 April at MAXXI in Rome, in collaboration with CSAC and Gio Ponti Archives) is not only an exhibition on one of the great figure of the history of architecture, but also an opportunity to observe the 20th century through the eyes and mind of a master who triggered a cultural debate around the forms of construction. Construction that always placed architecture at the center of its investigation, while also extending over the decades into all the fields of industrial design and spatial research, from the city to the dwelling. Starting with extraordinary archival materials, the curators have subdivided the show into 8 sections that suggest key concepts expressed by Ponti himself. From “Classicisms,” from a period marked by public commissions and a more Rationalist approach, in the 1930s, to “Inhabiting Nature,” in an osmotic relationship with architecture: in the house known as the “beetle under the leaf,” or in the works on the coasts of the Mediterranean, Ponti strove to achieve a more organic kind of intimacy. Through the various sections visitors can gradually grasp references to the philosophy and life of Gio Ponti: “Architecture is a crystal” covers apparently disparate projects, alluding to a method, an aphorism, but also a vision of things running through ideas and constructions. The projects for the Diamante motorcar, the Denver Art Museum or the church for the hospital of San Carlo Borromeo in Milan express the idea of the plan as a finite, coherent form. There is also an obligatory section on lightness and dematerialization, often accompanied by striking verticality: “Light Facades,” with projects – among others – for the Bijenkorf department store and the buildings for the Ministries of Islamabad. Edoardo De Cobelli

EXHIBITIONS

P67. ART AS COLLECTIVE PERCEPTION

THE WORK OF OLAFUR ELIASSON PURSUES DIALOGUE WITH PEOPLE, CHALLENGING THEIR SENSES AND PERCEPTIONS, URGING THEM TO RETHINK OUR LIFE ENVIRONMENT IN A CREATIVE WAY. A RETROSPECTIVE AND A SITE-SPECIFIC INSTALLATION

The Danish artist Olafur Eliasson works on sculpture, painting, photography, films and installations, without limiting his range to institutional contexts, but also entering public space and works of architecture. In pursuit of a direct dialogue with ordinary people. Behind his work lies the idea of engaging people of all ages in challenges to their perception, disrupting preconceived notions and putting the focus on priority themes for humanity, such as climate change. The audience becomes the protagonist rather than a passive spectator, coming to grips with the challenges of our society, to “take part in the world,” as the artist puts it. This relationship with reality is the theme of the exhibition “Olafur Eliasson: en la vida real” at the Bilbao Guggenheim, until 21 June: a retrospective of works made from 1990 to 2020 that challenge the way we perceive and experience our environment, making us reflect on press-


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ing issues of our time. Eliasson frequently makes use of natural elements or phenomena – water, ice, light – exploiting their sensory effects to send a loftier message: man’s destruction of and conflict with nature. One emblematic example of participatory art is the Collectivity Project, an installation made in Tirana, Oslo, Copenhagen and New York, which Fondazione Trussardi wants to bring to Milan in the Ottagono of Galleria Vittorio Emanuele, in the context of the initiatives organized by Massimiliano Gioni, who starting in 2003 has brought contemporary art into the center of the city, while rediscovering and utilizing forgotten or unusual sites. The work is part of the cultural programming during Miart, and in the version in Milan it will be composed of five tables covered with Lego bricks. The configuration takes its cue from the main axes of the topography of the historical center, where the Ottagono represents a nexus for tourists and residents. In the Collectivity Project the artist invites the audience to design, build and reconstruct an immense imaginary landscape, seeing the work as the metaphor of a future city in constant transformation and stimulating passers-by to creatively express and rethink their way of experiencing and imagining the environment. Interdisciplinary research is another constant in Eliasson’s work. In his studio in Berlin a varied group of artisans, architects, researchers, art historians and technicians with different specializations are gathered, including chefs. It is a place not only for artistic creation but also for encounters and dialogue among cultural professionals, as well as exponents of the world of politics and scientific research. In 2014 he also created Studio Other Spaces with the architect Sebastian Behmann, for the exploration of constructed space. These interdisciplinary interests have also generated objects in production, like the OE Quasi Light suspension lamp for Louis Poulsen: an icosahedron in aluminium with LEDs directed towards the center, to reflect and convey light in always different ways, depending on the vantage point. The project sums up the artist’s ongoing research in the field of geometry, aimed at finding alternative forms to stimulate and activate senses and perceptions. Valentina Croci

YOUNG DESIGNERS

P71. SON OF ART AND DESIGN

TECHNICAL KNOW-HOW AND ARTISTIC FLAIR GIVE HIM FORCE. FRANCESCO MEDA TOOK HIS FIRST STEPS WITH HIS FATHER, ALBERTO, BUT FOR SOME TIME HE HAS BEEN WORKING ON HIS OWN

When Francesco Meda and his brother were youngsters, their father Alberto had a studio next to their house. Playing with models, saws, joints, screws and vises became a natural introduction to design, and they also got to know many entrepreneurs, designers and photographers, who after a visit to the studio would stop in the house for a cup of coffee. Born in Milan in 1984, Francesco took a degree at IED in 2006 and immediately decided to gain experience in London, where he worked first in the studio of Sebastian Bergne and then with Ross Lovegrove. Two years later he returned to Milan and asked his father to take him on as an assistant. Francesco says: “My father had always worked only, but he made an exception to that rule for me. Working with him was like an accelerated masters program: I was no longer in front of a computer, in the midst of many others, as in the English studios. With my father I saw projects come to life in the studio, and then I went with him to the companies, the suppliers, the fairs. Together, we designed the Flap acoustic panel in 2013 for Caimi Brevetti, which then won the Compasso d’Oro in 2016.” Technical expertise is ev100 aprile 2020 INTERNI

erywhere: in the Split chairs, with one shell and many bases, in the Woody seats, which garnered a Wallpaper Design Award in 2019. It will soon be seen in the accessorized system created for all the Dada kitchens, composed of extruded aluminium shelves and functional accessories that slide on the worktop. The more artistic and experimental side comes out in small productions, like the Pigreco chair for Luce di Carrara, where shavings of marble slabs are compressed to generate layered veins; or in the Alusion console made with foamed aluminium, 50% recycled and 100% recyclable. It isn’t easy to live up to the promise of kinship, when your father is a great, famous designer, but Francesco seems to be doing it. For some time now he has worked on his own, but every so often, as is only fitting, he still creates things with his dad, as in the new mixer faucet the two are designing for Zucchetti. Virginio Briatore

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P75. GREEN ARCHITECTURE

AT FIERA BOLZANO, KLIMAHOUSE: FOUR DAYS OF EVENTS, AT THE END OF JANUARY, ON SUSTAINABLE BUILDING. WITH A SINGLE MESSAGE: “BUILD WELL, LIVE WELL”

“No longer only construction materials and solutions for technicians and designers, but a true ecosystem on the theme of building well and living well, for everyone. This edition represents the first step of a strategy that sets out to position the fair as a platform of reference on an international level, involving all those who want to become an active part of a sweeping process of change.” With these words, Thomas Mur, director of Fiera Bolzano, expressed his satisfaction with the results achieved by Klimahouse in 2020, the international fair on energy efficiency and clean construction, held in the city of Bolzano, Alto Adige, at the end of January. Over 36,000 visitors, including sector professionals and end-users, saw a large range of projects, proposals and solutions for a construction industry that is growing as a driving force of cultural and environmental change; 450 exhibitors; international experts, associations and institutions. The protagonist of the event was innovation, embodied by the many proposals of companies presenting products and solutions for the evolution of building: from materials to physical plant systems, novel construction techniques with low impact and high-tech devices. The Klimahouse Tours were also a big success, offering guided visits to the most virtuous sustainable buildings in Alto Adige, organized in collaboration with Fondazione Architettura; in addition, the Klimahouse Congress presented fifteen international speakers. The format of events and communication HHH – Home, Health & Hi-Tech made its debut, attracting physicians and experts in the world of construction for an initiative focused on a healthy indoor environment. A big contribution to redesign the future of green building came from over 60 young people of Generation Z, who came to Klimahouse from all over Italy. Among the most outstanding initiatives, Onda Z @ Klimahouse 2020 offered a two-day hackathon program at the Free University of Bolzano, where the young people presented their ideas. The winning project was Greenisland, which sets out to bring nature back into the city, permitting communities to actively collaborate on the production of food on a small scale. The objective is to offer services for the installation of urban gardens on apartment buildings that respect the synergy with nature and the correct combination of the various cultivated species. The next appointment is for 2021, from 27 to 30 January. As always, at Fiera Bolzano. Danilo Signorello


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P78. NOMADIC ATELIER OF IDEAS

GUESTS OF HONOR AT THE LATEST EDITION OF THE STOCKHOLM FURNITURE & LIGHT FAIR, NIPA DOSHI AND JONATHAN LEVIEN DESIGNED AN INSTALLATION THAT IS AN ABSTRACT VOYAGE INSIDE THEIR CREATIVE PROCESS

“Our studio in London is an industrial space full of atmosphere, with prototypes hanging on the walls, paper models on the shelves and drawings ‘in waiting,’ on a marble table,” say Nipa Doshi and Jonathan Levien. “These materials of past and future projects give us creative optimism, and this is the spirit we wanted to bring to Stockholm.” Visitors to the 70th edition (4-8 February 2020) of the main Scandinavian design fair were welcomed by an installation, defined by the designers as an “intimate space of transition,” in which to experience the “behind the scenes” of their work. An almost metaphysical architecture in wood, with interconnected vaulted tunnels that combined the Indian chromatic and decorative exuberance of Nipa (details, fabrics, textures) with the Anglo-Saxon pragmatism of Jonathan (functional structures), and the material repertoire of Scandinavia (local wood and plywood, to be reutilized). There’s also a touch of Italy: “the structure is based on the church of San Cataldo in Palermo, where we were when they told us we had been named as the guests of honor. Hence the idea of creating a sort of sanctuary, as a tribute to design for the show in Stockholm, the first to present such a large number of our projects.” The space offered visitors the possibility of ‘weaving’ relations between objects and colors, finished products and models, ideas and achievements. Katrin Cosseta

EVENTS

P80. THE OBJECT OF IDENTITY

THE THEME OF THE SECOND EDITION OF THE COMPETITION “DESIGN; A VOYAGE IN ITALY AND SPAIN,” ORGANIZED BY THE ITALIAN EMBASSY IN MADRID IN COLLABORATION WITH INTERNI, INVITED STUDENTS AND YOUNG SPANISH DESIGNERS UNDER 35 TO EXPLORE FUTURE MODELS OF CONTEMPORARY IDENTITY. TRANSFERRING THE VALUES OF MEMORY AND THE ARCHETYPE INTO THE FLUID WORLD OF THE THIRD MILLENNIUM

Memory as collective and personal identity. The need to draw on the past to offer permeable objects in a fluid world in constant transformation, where the prefix ‘co’ seems to wipe out the need for identity of individuals: co-housing, co-living, co-working, cotraveling, co-driving. This is the theme of the competition “Design: a Voyage in Italy and Spain” organized by the Italian embassy in Madrid with Interni Magazine, the Consulate General of Italy in Barcelona, COAM College of Architects of Madrid, DI_ MAD Association of Designers of Madrid and ADI-FAD, the corresponding association of Barcelona, and aimed at design schools and professionals under 35. The prize ceremony was held on 26 February in Madrid during Italian Design Day. Seven projects were selected: Blanca Galán Merino and Pablo Sinan Akgül Garcimartín, IED Madrid, with Anyway, a system of stools-tables “for shared spaces and uses”, (prototype True Design); Amalia Puga Cividanes, of Elisava Barcelona, for Entre Redes, a chair that recycles fishing nets, made by the community of women of the Galician village of A Guarda, (prototype Emu); Diego Finger, Madrid Polytechnic, for Gya, a caddie that starts with the study of the golden section (prototype Baleri Italia); Paula Chacártegui, IED Barcelona, with Kama, a set of jewelry for use as sex toys (prototype Alessi); Daniela Grisel Beizaga Laura, IED Madrid, with Ma-

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rana Wooden Knife, a kitchen knife inspired by the batán, a stone utensil of Peruvian origin (prototype Disegno Mobile); Carla Jörgens Vidal, IED Barcelona, for Nähe, a lamp for variable light whose two units can also be used alone (prototype Martinelli Luce); Irene Infantes, professional under 35, for Trashumancia, carpets that trace the path of wool from shearing to manufacturing (prototype CC-tapis). The prototypes will be on view in June during the FuoriSalone, at Creative Connections, the exhibition produced by Interni at the Università degli Studi di Milano, and later in Madrid and Barcelona. Patrizia Catalano

EVENTS

P82. SOS EARTH

POSTPONED UNTIL 10 JUNE. THE LAUNCH OF “100 GLOBES FOR A SUSTAINABLE FUTURE,” THE OPEN-AIR EXHIBITION ORGANIZED BY WEPLANET, GRUPPO MONDADORI AND MEDIAMOND

With the health crisis the world of art, culture and design has to adjust to emergency measures, so WePlanet, in line with the decisions of the government, associations and institutions, has postponed the event “100 Globes for a Sustainable Future” slated to start on 12 April. The show will open on 10 June, and the installations will remain on view in Milan from 12 June to 21 August. A benefit auction will be organized by Sotheby’s, to support Fondo ForestaMi and the implementation of green zones in Milan, on 14 September. The dates of the contest have also been shifted: there is time until 9 April for submissions, while on 17 May the jury will convene to select the winner, announced on the website and social network pages of WePlanet on 30 May. The decision was made in the certainty that a collective effort is necessary to react to the Covid 19 emergency: “WePlanet is the demonstration of the desire to bounce back,” says CEO Paolo Casserà. “Companies, patrons and the world of associations have confirmed their participation, but they have also demonstrated great spirit, that of the city, its residents and its productive forces.” WePlanet, organized by Gruppo Mondadori and Mediamond, is supported by the Ministry of the Environment, the City of Milan and the Lombardy Region: through art, creativity and design, it sets out to underline the urgency of coping with a sustainable turnaround, and the importance of the role played by every inhabitant of the Earth for the safeguarding of the Planet. The 100 globes, made with recycled plastic, have been assigned to artists, designers and other creative talents to interpret the future of the Blue Planet. The project has been carried out by involving five magazines of the publishing house based in Segrate. Interni (the others are CasaFacile, Focus, Grazia and Icon Design) will be the publication of reference for four globes sponsored by companies that have always made a focus on human beings and the environment their strong point: Aran Cucine, Ceramica Flaminia, Ilva, Slide Design. Already well along in the making, Now – the globe of Ceramica Flaminia – will be produced by Prisma Project, a team of former students of Istituto Marangoni in Milan. The great resources of this working group are multi-territorialism (12 artists from 8 different countries: Brazil, China, Colombia, France, Indonesia, Italy, Mexico, Russia) and multi-disciplinary character (design, fashion, visual arts). The colored bands that clad the globe represent the attempt to cure the sick Planet. A collaborative project, based on different cultures, but with a shared goal: to save the Earth, now. Putting aside misunderstandings, and working together for a better future.



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BOOKSTORE

P87.

Grande Atlante del Design dal 1850 a oggi by Enrico Morteo, Rizzoli 2019, 436 pages, €29.90. More than ten years after its successful first edition, this book is back with an added section. An ‘atlas’ is a volume that attempts to offer complete coverage of a world, or in this case a discipline, that of design. Which is admittedly impossible, as the author knows; what he can do is to try to trace a path, through significant fragments, of a multilinear, complex history. In chronological order, the book suggests an engaging slalom through objects and movements, languages and protagonists, in thematic sections (roots, “Avantgardes and pioneers 1919-1939,” “A new optimism 1940-1964,” “Utopias and wellbeing: from needs to desires 1965-1984,” “Beyond modernity: design as service 1985-2018”), suggesting a convincing take on history. Esempi. Ristampa. Illuminazione 1934-1964 edited by Gianpiero Aloi, Compasso Editore 2019, 256 pages, €89.90. Roberto Aloi (Palermo 1897 – Milan 1981) was a painter based in Milan, after moving there in 1920. Aloi is known in the world of architecture for a successful series of illustrated volumes published by Hoepli from 1934 to 1972, offering updated coverage of a wide range of architectural types, furnishings and the decorative arts. He created 37 of these books, now rarities coveted by many architects and designers. Each volume featured graphic design by Roberto Aloi himself, helped by his wife Eugenia and then his son Gianpiero, who has edited this reissue on Lighting, using excerpts from various editions of Arredamento Moderno on lighting fixtures, already partially seen in the volume Esempi. Illuminazione d’oggi from 1956, expanded here with previous chronological sections (1934, 1939, 1947, 1949, 1952, 1955) and a subsequent edition from 1964. The book gathers documentation selected by Aloi in 30 years of research: 500 table, floor, ceiling and wall lamps narrate the adventure of lighting design, explored by over 200 Italian and foreign architects. “Examples” Aloi offered to an audience of architects and designers as useful iconographic catalogues, featuring black and white photographs accompanied by informative captions. Terunobu Fujimori. opere di architettura by J.K. Mauro Pierconti, Electa 2019, 256 pages, €59.00. The first monograph in Italian on Terunobu Fujimori (born in 1946), one of the most interesting architects on the contemporary Japanese scene, this book illustrates the work of a design who has chosen

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the discipline of the historian in order to find a tool to narrate the relationship between man and nature in constructed form. Fujimori was born and lives in the small village of Miyagawa, in the forest amidst the mountains to the north of Tokyo; in the woods, he finds the dimension in which to develop almost fairytale inhabitable figures, apparently unstable, potentially mobile. Constructions derived from an erudite reinterpretation of the ‘tea houses’ of the ancient tradition, giving rise to private homes, museums, religious buildings (like the lovely chapel built on the island of San Giorgio in Venice, part of the Vatican Chapels project at the latest Venice Architecture Biennale in 2018). Simple, primitive materials (earth, stone, charcoal, bark, mud) form an unusual expressive range for a series of sustainable building with surprising images. The introductory essays are illustrated with reproductions of Fujimori’s beautiful sketchbooks, whose “Dodecalogue” to “take one’s distance from the 5 points of Le Corbusier” leads to the complete register of works presented with drawings and color photographs. Il mondo di Poggi. l’officina del design e delle arti by Roberto Dulio, Fabio Marino, Stefano Andrea Poli, Electa 2019, 160 pages, €32.00. A monograph that constitutes one of the many chapters of the history of Italian design, that of the Poggi company of Pavia, which from father to son “bears witness to Italian postwar professional culture and the ability to shift the know-how of the Lombard manufacturing tradition into innovative and partially mechanized production,” as Poli emphasizes in the opening essay. The Poggi company, by initiative of Roberto Poggi, son of Carlo, like other furniture companies located, however, in the Brianza area north of Milan, has transformed woodworking capabilities into modern techniques, while conserving assets of craftsmanship in a balance between handmade and industrial creations. Not so much a passage as a mixture, an utterly Italian synthesis of two different methods of production. Applying this successful formula, Poggi has also turned to a figure of reference, the ‘external architect’ (art director, we would say nowadays), with whom to develop interaction to bring the added value of quality in terms of image, composition and construction of individual pieces. Three decades of collaboration with Franco Albini, and later with Vico Magistretti and Ugo La Pietra, Corrado Levi and Marco Zanuso, Afra & Tobia Scarpa and the young Renzo Piano, just to name a few, along a path that jibes with a passion for contemporary art, linking production and imagination, experimentation and technical solutions. curated by Matteo Vercelloni

ERRATA CORRIGE Sul numero di marzo 699, nel servizio intitolato ‘Amababili resti’ dedicato al tema dell’economia circolare, a pagina 98 è stata erroneamente abbinata la didascalia del velluto outdoor Benu Talent, prodotto da Christian Fischbacher a partire da bottiglie in PET ricilcate, all’immagine del tessuto Benu Remix, dello stesso marchio. In our March issue, no. 699, in the article ‘Lovely Bones’ on the circular economy, at page 98 the caption for the Benu Talent outdoor velvet produced by Christian Fischbacher using recycled PET bottles was erroneously matched with the fabric Benu Remix by the same brand.



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Un dettaglio dal dipinto Apollo che insegue Dafne di René-Antoine Houasse, 1677. Con questa immagine i Formafantasma hanno spiegato il concept della mostra “Cambio“ in programma alle Serpentine Galleries di Londra fino al 17 maggio 2020.

INtopics EDITORIAL INTERNI aprile 2020

a una mano nascono i germogli di una nuova vita: questa l’immagine simbolo scelta dai Formafantasma per dire, nella loro mostra “Cambio” alle Serpentine Galleries di Londra, che il design può svolgere un ruolo importante nel tradurre le urgenze della contemporaneità in risposte puntuali, scientifiche e collaborative. Ed è da questa suggestione che partiamo per parlare di progetto in un momento di grande fragilità e incertezza. Siamo arrivati ad aprile, un mese che da 30 anni scandisce l’anno accademico del mondo del design segnato dal Salone del Mobile e dal FuoriSalone, con i suoi 500 eventi che trasformano la città in un festoso happening della creatività. Ed è da quasi 30 anni che dedichiamo questo numero alle novità che le aziende si apprestano a lanciare sul mercato dopo averle presentate alla Design Week di Milano. Quest’anno, per un imprevedibile e imperscrutabile evento pandemico, dovremo rinunciare a questi appuntamenti imperdibili. Nonostante ciò, le imprese procedono nel loro impegno di ricerca e nella loro attività produttiva, pronte a cogliere la prima occasione per mostrare fisicamente al pubblico le loro nuove creazioni. Continuano a comunicare, a far sapere di essere presenti e attive, desiderose più che mai di proseguire il loro percorso di sviluppo internazionale che afferma nel mondo i valori del made in Italy. Come sottolinea Francesco Morace in questo numero, il Sistema Italia – in particolare l’industria del design – può diventare un antidoto: un punto di forza in grado di rafforzare il sistema immunitario puntando sulla propria unicità, creatività, distintività e di rilanciare la sfida in termini di qualità etica ed estetica. Sarà la soluzione per ripristinare la catena della fiducia interrottasi con la crisi sanitaria. Ma sarà anche un’occasione per ritornare alla sostanza e alla grande tradizione del progetto italiano. Gilda Bojardi

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PRISMATIC CLOUD DI TOKUJIN YOSHIOKA A TOKYO. COURTESY TOKUJIN YOSHIOKA FORMATA DA CIRCA 10.000 BACCHETTE TRASPARENTI DALLA FORMA A PRISMA, PRISMATIC CLOUD È UN'ENORME ‘SCULTURA DI LUCE’ (LUNGA 10 METRI E ALTA 15) IDEATA DA TOKUJIN YOSHIOKA PER L'AMPIO SPAZIO CENTRALE (OCCUPA CIRCA 400 METRI QUADRATI) DEL GINZA SIX, IL LUXURY MALL SITUATO NELL'OMONIMA ZONA DI TOKYO. SIMILE A UNA NUVOLA EVANESCENTE E MUTEVOLE, CONSENTE DI PERCEPIRE L'ENERGIA DELLA NATURA. LA LUCE, INFATTI, PENETRA ATTRAVERSO STRATI E GROVIGLI TRASLUCIDI SOSPESI, APPARENTEMENTE FLUTTUANTI NELL'ARIA. LA POETICA INSTALLAZIONE FIRMATA DAL DESIGNER GIAPPONESE, VISIBILE FINO A FINE OTTOBRE 2020, EVOCA LA SEMPLICITÀ DEL MONDO NATURALE ESPRESSA CON ELEMENTI ETEREI CHE INTRECCIANDOSI IN COMPOSIZIONI INDEFINITE TRASMETTONO UN SENSO DI CALMA E RACCOGLIMENTO SPIRITUALE. (C.F.) TOKUJIN.COM


PhotographINg INSTALLATIONS



PhotographINg ARCHITECTURE

CAMPUS BOCCONI A MILANO, PROGETTO DELLO STUDIO SANAA. FOTO MARCO DE BIGONTINA L’UNIVERSITÀ BOCCONI, CHE HA INTRAPRESO UN PROCESSO DI CRESCITA RIQUALIFICANDO L’EX AREA DELLA CENTRALE DEL LATTE DI MILANO (UN LOTTO DI QUASI 35.000 METRI QUADRATI), PRESENTA IL NUOVO CAMPUS UNIVERSITARIO FIRMATO DALLO STUDIO GIAPPONESE SANAA DEGLI ARCHITETTI KAZUYO SEJIMA E RYUE NISHIZAWA E APERTO ALLA CITTÀ. IL COMPLESSO È COMPOSTO DA UN INSIEME DI CORPI SEPARATI, CARATTERIZZATI DA LINEE MORBIDE E CIRCOLARI. TRA LE SCELTE STILISTICHE DISTINTIVE, I PORTICI: LA SEQUENZA DI COLONNE DELINEA EDIFICI TRASPARENTI E LEGGERI CHE AL CENTRO DISEGNANO CORTI VERDI. ANCHE LE SOLUZIONI INNOVATIVE ADOTTATE PER I SERRAMENTI RISPONDONO A SPECIFICHE ESIGENZE PROGETTUALI. LE AZIENDE SIMONSWERK E ANSELMI HANNO FORNITO LE CERNIERE PER LE PORTE – INTERNE DI LUALDI; SPECIALI IN ALLUMINIO E VETRO DI ALMAN 2000; RESISTENTI AL FUOCO DI SAN.CO – DI DIVERSE AREE DEL CAMPUS. (C.F.) SANAA.CO.JP, SIMONSWERK.IT, ANSELMISRL.IT


NATURALIS BIODIVERSITY CENTER DI LEIDA, PAESI BASSI, SU PROGETTO DI NEUTELINGS RIEDIJK ARCHITECTS E IRIS VAN HERPEN. FOTO SCAGLIOLA/BRAKKEE. COURTESY NEUTELINGS RIEDIJK ARCHITECTS PIÙ DI UN CHILOMETRO DI MOTIVI BIOMORFI TRIDIMENSIONALI MODELLATI IN CEMENTO LEVIGATO A MANO E POLVERE DI MARMO BIANCO DISEGNANO LA NUOVA STRUTTURA DEL NATURALIS BIODIVERSITY CENTER DI LEIDA, NEI PAESI BASSI. LO STUDIO NEUTELINGS RIEDIJK ARCHITECTS DI ROTTERDAM E LA STILISTA OLANDESE IRIS VAN HERPEN HANNO COLLABORATO ALL’AMPLIAMENTO DEL MUSEO DI STORIA NATURALE E CENTRO DI RICERCA SULLA BIODIVERSITÀ. UTILIZZANDO UNA TECNICA COSTRUTTIVA SVILUPPATA APPOSITAMENTE, I 263 PANNELLI CHE DECORANO SIA L’INTERNO SIA L’ESTERNO DELL'EDIFICIO SONO STATI MODELLATI E ‘DRAPPEGGIATI’ PER CREARE TRAME TRIDIMENSIONALI CHE RIFLETTONO LA COMPLESSITÀ DELLA STRUTTURA GEOLOGICA. L'APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE DELLA FASHION DESIGNER PRENDE COSÌ VITA IN TEXTURE CHE RICHIAMANO I FOSSILI E IL FENOMENO DELL’EROSIONE. NELLA FOTO, IL NUOVO PADIGLIONE REALIZZATO IN VETRO, CEMENTO, TRAVERTINO ROSSO E RIVESTITO DA UNA ‘MAGLIA’ DALLE FORME ORGANICHE. (C.F.) NATURALIS.NL, NEUTELINGS-RIEDIJK. COM, IRISVANHERPEN.COM


PhotographINg

ARCHITECTURE & NATURE


INsights ARTS

Le fotografie di Gianfranco Gorgoni, sin dal 1966, scorrono parallele alla sue ricerche artistiche. Ne traggono linfa, ne evidenziano la fisicità e i movimenti segreti, ne documentano il soffio profondo e l’energia pulsante. Diventano la conferma perenne di un’arte che si fa linguisticamente effimera e immateriale nel periodo storico dal 1966 al 1980, segnato dalla Conceptual Art e dalla Body Art, dall’Arte Povera e dalla Land Art. Questo risultato si deve al fatto che le sue fotografie non servono solo a ricordare o a far tornare alla memoria tali fatti e tali avvenimenti, piuttosto si propongono quale attestato di una partecipazione. Non portano a una distinzione tra vita immaginaria dell’artista e vita reale del fotografo: coincidono e si offrono quale realtà stessa. Con la sua macchina fotografica, una Leica o una Nikon, Gorgoni si unisce, per fascinazione e per attrazione, alla situazione messa in atto dall’artista. Usa l’immagine per comunicare l’artefatto, quanto l’esperienza vissuta. Tenta di attestare una visualità ‘altra’ dal documento e dal reportage, costruendo un risultato che si nutre di un proprio rapporto interiore con il creatore esterno. Già tra il 1968 e il 1971 si avvicina ai protagonisti della Pop Art – da Roy Lichtenstein a Claes Oldenburg, da James Rosenquist a Andy Warhol – e a quelli della Minimal Art – da Donald Judd a Dan Falvin, da Sol LeWitt a Robert Morris – per continuare con le arti processuali – da Joseph Beuys a Mario Merz, da Richard Serra a Bruce Nauman.

IL TESTIMONE DELLE AVANGUARDIE

Nelle sue fotografie, Gianfranco Gorgoni, recentemente scomparso, ha raccontato la fertile stagione creativa della seconda metà del Novecento, ritraendo grandi maestri e le loro opere in una profonda sintonia con lo spirito degli artisti di Germano Celant

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Gianfranco Gorgoni, Roy Lichtenstein, Long Island, 1973.

Rispetto a questi, la sua attenzione non consiste nell’osservazione passiva e nella gratificazione fotografica della loro arte, ma cerca di registrare una vita più segreta e personale che si respirava nei loro studi e nelle loro esposizioni. Fa dell’immagine fotografica una cerimonia, in cui egli è un sacerdos o un officiante che ritualizza un evento o una situazione, senza diventare uno strumento impersonale della loro arte e della loro vita. Ne consegue un crogiuolo di momenti, rari e intensi, registrati con un nuovo approccio più partecipato, dove l’artista è uno sciamano che compie gesti magici, come l’azione spontanea di Beuys che si immerge, quale strano essere animalesco, nelle acque e nel fango di un fossato, o la documentazione del muoversi fluido e liquido di Serra nel momento in cui dà corpo ad una sua scultura, nell’angolo di un ambiente, con strati di piombo fuso. Gorgoni testimonia momenti di vita e di arte in atto. Mette in luce un avvenimento ‘in situazione’. Acquisisce per lo sguardo una conoscenza delle condizioni di esistenza di un’opera. In tal senso, intende la fotografia come un atto di complicità con l’artista, perché ne condivide la tensione e il flusso magnetici. E seppur le sue immagini blocchino e ribadiscano l’azione e l’evento in un’inquadratura, la loro forza sta nel tentativo di secernere il loro fluido energetico. Si capisce così il suo uso del grande formato e della sequenza che traduce i suoi scatti in un discorso teatrale o filmico, in cui Gorgoni si tramuta in regista che dimentica se stesso e la sua macchina fotografica per lasciarsi divorare

Gianfranco Gorgoni, James Rosenquist, Aripeka, California, 1985.

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INsights ARTS

Robert Smithson, Spiral Jetty, Rozel Point, Great Salt Lake, Utah, 1970. Foto di Gianfranco Gorgoni.

dalla pluralità di fatti e di situazioni, di ambienti e di contesti dove l’artista agisce, sia che operi nella natura aperta, tra deserti e pianure, che in studio come un pittore o uno scultore tradizionale. Le fotografie su e con i lavori di Walter De Maria, Michael Heizer e Robert Smithson solidificano una visione estrema, legata a una posizione più esteriore alla condizione ristrettiva degli ambienti architettonici. Gorgoni entra in un’esteriorità che lo posiziona lontano dall’opera, così da poterne riprendere le dimensioni ciclopiche. La macroscala di Double Negative e di Spiral Jetty avvia le riprese da un punto remoto in cui Gorgoni si allontana da terra, vola (su un elicottero o su aereo) e come un uccello dall’occhio meccanico fissa questi mega-geroglifici, che sono i macroscopici menhir e i giganteschi dolmen del XX secolo. La visione dall’alto gli permette di registrare gli eventi ‘tellurici’, provocati da esseri umani, intrisi di significati arcaici, che sembrano sfuggire ad ogni classificazione artistica ed estetica, se non ricordando le tracce primitive lasciate dalle società tribali in forma di animali in Ontario e in Louisiana e dalle popolazioni Nazca sulle pianure peruviane. Sono immagini fusionali in cui il fotografo si mette in sintonia con lo spirito dell’artista, non con lo scopo di interpretarlo, né di dispiegare la sua abilità tecnica, né il suo approccio intellettuale, quanto di donarne la potenza espressiva. Lo stesso succede quando, negli anni Ottanta, Gorgoni fotografa i pittori, da Willem de Kooning a Agnes Martin, da Georgia O’Keeffe ad Alberto Burri, da Robert Rauschenberg a Chuck Close, da Julian Schnabel a Enzo Cucchi, da Jeff

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Koons a Jean-Michel Basquiat. La sua fotografia deborda e si fonde nel flusso dei cromatismi, quasi fosse un impasto pittorico, perché il suo partecipare si abbandona sempre alla forza fagocitante dell’arte. Da questa intensificazione, che lo risucchia e lo rende nuovamente complice, scaturisce un dissolvimento in ogni mediazione comunicativa. Non si tratta più di due individualità, fotografo e artista, che si mettono in parallelo, ma di una ricerca di sintonia creativa, distinguibile solo nella diversità del linguaggio. Si comprende allora perché la fotografia di Gorgoni risulti incantatoria e magnetica. Essa si offre quale presenza in sé, non concede nulla alla seduzione del documento, ma si offre quale impulso originario, dedotto e impregnato dalla potenza poetica e fantastica dell’opera. Nelle produzioni di Altered Images, 1988, e Aquattromani, 1989-1995, la fotografia di Gorgoni s’intreccia, in un’osmosi tra immagini, con l’arte stessa. Qui gli artisti, da Jannis Kounellis a Gilberto Zorio, da Alighiero Boetti a Gino De Dominicis, da Sandro Chia a Mimmo Paladino, da Keith Haring a Close, si sono appropriati delle fotografie di Gorgoni, elaborandole e mettendo in atto una metamorfosi tra diverse espressività. Il risultato si basa sempre su un dialogo tra complicità estetiche, in cui un linguaggio si esprime nell’altro, cerca una tensione e un confronto. Così si dissolvono gli usuali rapporti e si inaugura un flusso metaforico entro cui si forma un nucleo di ricerca intensa, basata sulla sensibilità profonda per uno stesso fine: la necessità di rigettare i confini e i limiti del proprio fare, così da atterrare in un altro landscape. ■


Gianfranco Gorgoni, Keith Haring, New York, 1988. Acrilico su fotografia ingrandita stampata su tela, 228 x 182 cm.

Gianfranco Gorgoni, Mario Merz, Capri, 1971.

Gianfranco Gorgoni, Joseph Beuys, Eindhoven, Olanda, 1971.

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INsights

VIEWPOINT

L’ANTI-DARWIN Se dal ’900 l’arte ha cominciato a testimoniare comportamenti primitivi e selvaggi, oggi questa tendenza si acutizza spesso in una violenza creativa che riconnette l’uomo all’universo animale e accoglie tutto ciò che veniva considerato inaccettabile, pericoloso o incivile di Andrea Branzi

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Oggi le connessioni creative non riguardano solo i rapporti tra progetti e territori, ma riguardano anche quelle relazioni sociali e antropologiche tra gli uomini e l’universo ambientale e animale. Nel XIX secolo Charles Darwin scoprì le relazioni esistenti tra l’uomo e l’universo animale, tra l’uomo e la scimmia, come legame profondo tra la società e il mondo delle foreste e delle aggregazioni selvagge. Ma dall’inizio del XX secolo questa relazione si è manifestata anche nei processi inversi: non è solo la scimmia che progredisce nei comportamenti umani, è l’uomo stesso che manifesta profonde inclinazioni inverse, sviluppando relazioni che dall’umano tendono a evolversi verso gli animali. Nel XX secolo l’arte moderna ha cominciato a testimoniare comportamenti primordiali, primitivi, selvaggi: forse non aggressivi, ma capaci di esprimere linguaggi del tutto imprevedibili. Sono nati i segni selvaggi di Francis Bacon, di Jackson Pollock o John Cage; linguaggi moderni, espressivi, ma del tutto fuori da quella linea che ha sempre collegato i comportamenti animali con l’evoluzione civile. Nella società attuale le connessioni creative si sono progressiva-

mente contaminate, la violenza verbale e creativa non descrive più comportamenti e linguaggi diretti a una antropologia legata esclusivamente alla storia della civiltà umana, ma esprime conflitti e relazioni del tutto dissociate, simili a quelle della civiltà animale, da sempre considerate come realtà inaccettabili. L’arte, la cultura, le relazioni sociali e politiche rappresentano un tessuto chimico anche velenoso e imprevedibile. La condizione umana connessa alla condizione animale rivela oggi una estrema inattesa espressività, pericolosa ma anche creativa, priva di quei limiti storici da cui la storia dell’uomo ha sempre cercato di conservare una lontananza civile. L’inciviltà, la sorpresa, l’imprevedibilità sono diventate uno scenario del tutto nuovo: nell’arte, nel progetto, nella moda, nella musica. Il XXI secolo accoglie tutto ciò che sembrava inaccettabile, pericoloso o incivile; nuovi linguaggi e nuovi comportamenti eccentrici permettono all’economia sociale di crescere fuori dai limiti di una globalizzazione sempre più fragile. La scimmia non è poi troppo diversa dall’uomo, e l’industria oggi costituisce una giungla politeista creativa per la fauna umana. ■

Andrea Branzi, Evolution, 2018 Collezione Friedman Benda, New York. Foto Studio Branzi

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INsights MASTERS

ADOLFO NATALINI ARCHITETTORE

Aveva scelto una parola antica per definire il suo poliedrico talento, da pittore pop di paesaggi con la Scuola di Pistoia ad avanguardista radicale con il gruppo Superstudio, a ‘ricostruttore’ sensibile alla storia e allo spirito dei luoghi. Natalini è scomparso lo scorso gennaio lasciando un messaggio che vede nel recupero del senso della città l’obiettivo di ogni “architettura del ritrovamento” di Matteo Vercelloni

Manifestazione, Scuola di Pistoia, Adolfo Natalini, 1965.

“Avrei voluto fare il pittore, poi sono di-

gettuale, da alcuni definita “tradizionaliventato architetto e avrei voluto essere sta” che ha visto lo Studio impegnato, un costruttore. Poi tra il volere e il divensoprattutto in Olanda e in Germania, in tare mi sono accorto d’esser sempre stagrandi interventi di ricomposizione o creto un disegnatore, così quando in un teazione di nuovi brani urbani, affermava sto antico mi sono imbattuto nel termine che “ogni progetto oscilla tra memoria e ‘architettore’ mi è sembrato quello giusto speranza. Non esiste una città tutta antiper dire cos’ero e cosa volevo essere”. ca e non esiste una città tutta nuova; la Così si definiva Adolfo Natalini, classe città storica è una straordinaria macchi1941, nato a Pistoia, formatosi pittore, na del tempo capace di farci viaggiare protagonista con Roberto Barni, Umbernelle due direzioni”. E se si parla di ‘noto Buscioni e Gianni Ruffi della Scuola di stalgia’, dal punto di vista di un linguagPistoia, così nominata dal poeta e critico gio architettonico che rilegge figure sedid’arte Cesare Vivaldi; sperimentatore con mentate nella storia ricomponendole in Adolfo Natalini in un ritratto di A. Massari. l’avanguardia radicale di Superstudio chiave contemporanea, Natalini ci avver(dal 1966 con Cristiano Toraldo di Frantiva che “la nostalgia in Italia è sempre cia e dal 1970 anche con Roberto Magris vista con sospetto. In Germania, paese e Gian Piero Frassinelli) e architetto ‘ricostruttore’ con lo stumolto più ricco di sentimenti del nostro, ci sono due termini dio Natalini Architetti, con cui ha praticato, insieme a Fabrizio per nostalgia: Sehnsucht e Heimweh; il primo è l’aspirazione a Natalini (omonimo, ma non parente), una sorta di ‘architettura qualcosa che ancora non c’è, l’altro è nostalgia per qualcosa di resistenza’, quella che in Olanda il critico e storico dell’archicui far ritorno, come la casa natale. La nostalgia ha così una tettura Hans Ibelings ha definito a-modern architecture, con la doppia connotazione nelle due direzioni del tempo: è così che ‘a’ privativa, per descriverne il distacco dall’aridità di uno stanmi sembra spesso muovermi, come l’Angelus Novus di Benjaco linguaggio modernista debitore dell’eredità del Movimento min che procede verso il futuro con il viso al passato”. È a queModerno. Adolfo Natalini a proposito di questa stagione prosta consapevolezza e sensibilità verso la storia e il senso dei

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Nuovo Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore, Firenze 2007-’15, Adolfo Natalini, Fabrizio Natalini - Natalini Architetti e Guicciardini & Magni Architetti. Foto Mario Ciampi INTERNI aprile 2020 / 15


INsights MASTERS

A sinistra, progetto per il concorso internazionale a inviti per la ricostruzione di parte del centro storico di Groningen, in Olanda, 1991-’96, Adolfo Natalini, Fabrizio Natalini - Natalini Architetti e Corinne Schrauwen. Qui sotto, complesso residenziale Haverleij a Den Bosch, Olanda, 1997-2001, Adolfo Natalini - Natalini Architetti e Architectenburo Corinne Schrauwen. Foto Mario Ciampi

luoghi che occorre ricondursi per comprendere un modo di fare architettura di tipo ‘contestuale’, declinata sia con figure che sembrano essere ‘da sempre’ parte dell’architettura della città, come il progetto per la ricostruzione del centro storico di Groningen, in Olanda, del 1991-’96, acclamato con l’83% dei consensi da un referendum popolare tra gli abitanti, o come il complesso residenziale Haverleij sospeso sull’acqua a Den Bosch (1997-2001); sia che si tratti di calibrati quanto decisi innesti nella storia, come nel progetto per gli Uffizi del 2003 e in quello per il Museo del Duomo presso l’Opera di Santa Maria del Fiore a Firenze del 2007-’15. Un procedere nel tempo che, come ha osservato con perspicacia Pierluigi Nicolin, è parte di un “comportamento avanguardista mai rinnegato, [dove] il desiderio di fare parlare l’architettura testimonia della volontà, quasi paradossale, di fare del tradizionalismo la materia di una battaglia condotta con le armi stesse dell’avanguardia”. Natalini, portato all’architettura da Leonardo Savioli con cui si laurea nel 1966 presentando una tesi di progetto per un Palaz-

zo dell’Arte a Firenze, nel raccontare il suo percorso di ‘architettore’ individuava delle “storie, cadenzate dal tempo, che sembrano voler indicare un altro tempo, slegato dai ritmi del calendario (delle cronache e delle mode) per indicare un possibile tempo lungo, una resistenza al passare veloce del tempo come se l’architettura (come il suo autore) fosse approdata a una grande età dove il tempo è più lungo (quasi immobile) e i ricordi e le speranze sono ugualmente presenti”. Una speranza che Adolfo Natalini coltivava con convinzione verso il raggiungimento della bellezza, “unico catalizzatore di ogni trasformazione”, come scriveva lo scorso 18 gennaio a Isa Tutino, amica di sempre. Ci piace infine ricordare Adolfo Natalini con le parole di Vittorio Savi, storico e scrittore di architetture troppo presto scomparso, compagno di percorsi a fianco del nostro architettore pistoiese; “uomo trafitto dai ricordi di provincia fonda; artista tentato dalla pittura, ma persuaso ad affrontare l’architettura; interlocutore di antichi e moderni; renitente teorico; architetto capace di referti dolorosi sulla ricerca”. ■

Nuovo Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore a Firenze, 2007-’15, Adolfo Natalini. Schizzo di progetto.

Il celebre tavolo Quaderna disegnato da Natalini con Superstudio nel 1970 e tuttora prodotto da Zanotta.

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Progetto per i nuovi Uffizi, Firenze 2003, Adolfo Natalini - Natalini Architetti e Sinter. Foto Mario Ciampi

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INsights MASTERS

INVENTING A NEW WORLD Pioniera della modernità, Charlotte Perriand ha dedicato la sua vita di progettista alla definizione di una nuova art de vivre, in contrapposizione con i codici della sua epoca. Lo ha sapientemente raccontato un’importante retrospettiva alla Fondation Louis Vuitton a Parigi di Domitilla Dardi

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“Per la prima volta, inconsapevolmente, scoprivo il vuoto onnipotente, perché può contenere tutto”. A parlare è Charlotte Perriand ripensando a se stessa a dieci anni, una bimba che entrava per una banale operazione in ospedale, ma già con un occhio da progettista. La mostra trionfale che le ha tributato la Fondation Louis Vuitton di Parigi – realizzata sotto la supervisione scientifica di un gruppo di curatori, tra cui la figlia Pernette Perriand Barsac e Arthur Rüegg, massimo esperto del mobile lecorbuseriano – racconta la storia della grande pioniera, con una dovizia di particolari e


Vista della mostra “Le monde nouveau de Charlotte Perriand” alla Fondation Louis Vuitton di Parigi (foto Marc Domage). In primo piano, il prototipo realizzato da Cassina della chaise-longue Double che venne progettata per “Proposition d’un Synthèse des Arts” nel 1955. A destra, Charlotte Perriand in Savoia, 1930 (© Archives Charlotte Perriand ADAGP 2020).

ricostruzioni che lascia ben poco all’immaginazione. Uno dei punti fermi dell’esposizione è la dimostrazione della centralità della figura di Perriand, ben lontana dal ruolo di ancella nel quale il Maestro Le Corbusier aveva tentato di relegarla sin dal loro primo incontro. È la stessa Charlotte nella sua strepitosa autobiografia, Une Vie de Création, a raccontare di quell’epifanico primo appuntamento: “‘Cosa desidera?’ ‘Lavorare con lei’. Diede una rapida occhiata ai miei disegni. ‘Qui non ricamiamo cuscini’, fu la sua risposta. Mi riaccompagnò alla porta. (...) Il pomeriggio seguente ritrovai Jean Fouquet al Salon. Radioso, venne verso di me: ‘Questa mattina ho visto Pierre e Le Corbusier al tuo stand. Lavorerai con lui. Ti scriverà’”. Inizia così la sua carriera, costellata d’incontri straordinari, primi tra tutti proprio quelli con Le Corbusier e Pierre Jeanneret, ma anche con Fernand Léger e Picasso, le cui figure sono presenti in mostra

non come voci di contesto, ma come co-autori di un’incredibile stagione culturale, attraverso opere quali i cartoni originali di Guernica. Insomma, non citazioni sullo sfondo, ma presenze magniloquenti di maestri le cui opere sembrano rapportarsi per grandezza fisica al peso emotivo che essi ebbero nella vita della Perriand. Incontri non solo con artisti, ma anche con personaggi della cultura come Jean-Richard Bloch, co-direttore del giornale Ce Soir e fondatore del Comitato di supervisione per scrittori antifascisti, per il quale la designer progettò lo scrittoio Boomerang (qui ricostruito per la prima volta da Cassina), pensato in modo che egli potesse sedersi al centro mentre i suoi dipendenti erano in grado di dargli piena attenzione sedendosi lungo la parte convessa della scrivania. Nella mostra “Le monde nouveau de Charlotte Perriand” il filo del percorso è filologico e i

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INsights MASTERS

materiali prediligono, piuttosto che i disegni, la presenza di prototipi d’epoca o di ricostruzioni al vero; motivo per il quale la collaborazione con Cassina è stata determinante. Sono ovviamente presenti i grandi classici a partire dalla chaise longue LC4 che inaugura la mostra, icona del nostro tempo e capolavoro della designer; ma anche quella che con Corbu e Jeanneret chiamavano la “cesta per cuscini”, ovvero il Fauteuil Grand Confort. Tutte opere arrivate alla produzione seriale solo in seconda battuta, grazie all’incontro con Cassina. I sogni iniziali, infatti, furono infranti contro la renitenza dei produttori (“Il mercato del mobile non era pronto. Anche il nostro piccolo tentativo di dialogo con i cicli Peugeot si risolse in una mezz’ora di reciproca incomprensione”), trovando realizzazione nella lungimiranza della storia che seppe poi riservare a Perriand il dovuto posto tra i grandi. Forse la parte più intima della mostra è, però, quella priva sia di arredi che di opere d’arte

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propriamente dette: una sala centrale raggruppa, infatti, foto di reperti, a volte confluiti nel progetto organico, apparentemente così distante da quello razionalista delle icone. È la sezione più privata della sua esperienza, capace di nutrire il suo istinto creativo come null’altro. Qui sembrano riversarsi i ‘bottini’ delle sue escursioni, quando raccontava “I nostri zaini erano pieni di tesori: ciottoli, pezzi di scarpe di legno, scope di saggina, tutti levigati, nobilitati dal mare. Con Fernand (Léger) facevamo una cernita, ammiravamo i pezzi, li fotografavamo, li bagnavamo nell’acqua per dar loro più splendore. Era quella che chiamavamo ‘arte bruta’”. E, parlando di esperienze, ovviamente non poteva mancare quella formativa degli anni giapponesi, in cui Perriand è ambasciatrice di un dialogo possibile con l’industria in un Giappone preservatosi integro nel suo isolamento e dal quale ella probabilmente prende più di quello che lascia. La riprova empirica è nei progetti di quegli anni o immediatamente successivi. Per esempio nell’installazione

Ricostruzione del Refuge Tonneau, progetto di Charlotte Perriand e Pierre Jeanneret del 1938. Il rifugio di montagna è stato un’occasione per esplorare la dimensione progettuale dello spazio abitabile minimo. Foto: Stefano De Monte (a sinistra); © Archives Charlotte Perriand, ADAGP 2019 (in alto); © Stefano Triulzi (sopra).


All’interno della mostra parigina, ricostruzione dell’appartamento progettato dalla Perriand per il Salon d’Automne di Parigi del 1929, dove venne presentata la celebre chaise longue LC4 che sarebbe poi stata rieditata da Cassina con l’ingegnerizzazione della stessa autrice. Foto: Marc Domage (in alto) e David Bordes (a destra).

Proposition d’une Synthèse des Arts (1955) che faceva parte di una mostra che si tenne a Tokyo; o nella geniale Double chaise-longue, pezzo originariamente progettato per incoraggiare la conversazione, grazie a una seduta inclinata in modo da tenere la testa in basso e i piedi al di sopra del cuore per far riposare le gambe. Questo pezzo, come la poltrona Fauteuil en bambou (1940) e il letto Lit bambou et bois avec appui-tête (1940), è un esempio perfetto di come Charlotte Perriand abbia usato i materiali naturali a sua disposizione durante il soggiorno in Asia (1940-1941 /1953-1955 in Giappone, 1942-1946 in Indocina). Fino a quella

indispensabili all’equilibrio umano e alla liberazione dello spirito”. Un progetto visionario, pionieristico ed estremamente concreto al tempo stesso. Una piccola nota: è in una delle escursioni svolte per la definizione di questo prefabbricato che verrà scattata la foto che più di ogni altra trasmette la personalità di Charlotte, il suo spregiudicato coraggio, la sua forza che travalica il genere, non a caso scelta come immagine d’apertura della mostra. Lei, giovanissima, è ritratta di spalle a petto nudo verso valle, mentre alza i pugni al cielo in segno di esultanza e vittoria per il raggiungimento della vetta. Piccoli dettagli che

Maison de thé per l’Unesco, realizzata in tarda età e ricostruita letteralmente in mostra; quasi un testamento spirituale del suo continuo dialogo tra oriente e occidente. Tra le passioni della designer non poteva assolutamente mancare quella per la montagna, e ancora una volta vita personale e professionale non possono essere scisse. Nel 1938, insieme a Pierre Jeanneret, sviluppò un unico modellino in scala di un rifugio di montagna mobile, il Refuge Tonneau. Ispirata a una giostra fotografata in Croazia, la sua struttura leggera a dodecaedro è stata immaginata con materiali industriali: pannelli in alluminio facili da montare e una struttura metallica con un palo centrale e una sommità che richiamano un grande ombrellone con dodici raggi. Ma il vero capolavoro è l’interno costruito in legno d’abete: naturale e accogliente, unisce la bellezza alla funzionalità. Un vero esempio di quell’“arte di vivere”, in cui “L’habitat non deve solo realizzare i dati materiali, ma deve anche creare le condizioni

fanno la differenza: i guanti da alpinista professionista in mano, ma anche un girocollo molto femminile. A scattarla fu Pierre Jeanneret, compagno di lavoro e di vita che, anche in questo caso, confermò il suo carattere mite, alle spalle dell’ego prorompente non solo di Corbu, ma anche di quella signorina che non aveva alcuna intenzione di ricamare cuscini. ■

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INsights MASTERS

Francesco Binfaré è celebre per i suoi divani che, liberati dai tradizionali vincoli tipologici e costruttivi, accolgono in forme morbide e innovative la spontaneità dei gesti e delle pose di Silvana Annicchiarico

IL VISIONARIO DEL COMFORT Un ritratto di Francesco Binfaré. Classe 1939, il designer ha fatto del comfort la missione delle sue ricerche progettuali sviluppate dalla fine degli anni ’60. Lo racconta nel libro Il viaggio di Francesco Binfaré di Christine Colin, pubblicato da Mondadori Electa.

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Prima di lui, i divani erano in genere delle micro-architetture. Avevano una struttura rigida e una forma stabilita: qui lo schienale, lì la seduta. Lui, Francesco Binfaré, i divani li ha destrutturati. Li ha liberati dai vincoli tipologici, tecnologici e costruttivi che si portavano dietro da secoli. Li ha resi funzionali non solo ai bisogni, ma anche ai modi, alle abitudini e ai gesti di chi li usa. Prima di lui era il divano che imponeva all’utente come sedersi, dopo di lui è chi si siede che suggerisce al divano la sua forma. “Per me”, ci ha detto Binfaré in occasione di un incontro per un videoritratto realizzato da Giovanni Gastel e Uberto Frigerio, “i divani sono mini-installazioni itineranti. Producono nello spazio dei comportamenti, delle performance. Io osservo le persone e queste mi dicono, attraverso i loro gesti, come vorrebbero stare sedute. Io parto da lì”. Negli ultimi decenni, il divano è stato fra gli elementi d’arredo quello che più ha ‘sentito’ le evoluzioni tecnologiche e le trasformazioni sociali: prima, nell’Italia borghese del ’900, fissava l’etichetta della conversazione in salotto; poi, con l’avvento della Tv, ha sempre più assunto una forma idonea a consentire un’osservazione comoda


Il divano Pack, presentato da Edra nel 2017, si ispira all’immagine di un orso sdraiato su una banchisa di ghiaccio. La base è imbottita di Gellyfoam® e piuma, rivestita di un tessuto esclusivo con una texture che ricorda gli strati del ghiaccio. Lo schienale è morbido, realizzato in fibra di poliestere e rivestito di pelliccia ecologica.


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del ‘totem’ collocato in posizione centrale. Successivamente, con l’avvento dei social, a poco a poco la Tv ha perso la sua attrattività gravitazionale anche nello spazio abitativo, ma il divano ha continuato a disegnare l’ambiente circostante, e a fare di sé il punto di massima sacralità della casa, il centro di quella funzione primaria e ineliminabile che è lo stare insieme. Attento alla funzione sociale così come alle esigenze individuali, nel disegnare i suoi divani Binfaré è sempre stato prima di tutto un visionario: lo era quando negli anni ’70 dirigeva il Centro Ricerca per Cassina e lo è ancora di più ora, quando riesce a coinvolgere un’azienda coraggiosa come Edra nelle sue avventure spregiudicate e nelle sue sperimentazioni creative. “Nel creare una cosa che non c’è”, dice con tono appassionato, “si sprigiona una tensione erotica fortissima. Devi dar vita a qualcosa che non esiste, devi infonderle l’anima”. Questa tensione si sente in tutte le sue ‘creature’. Così come si sente l’erotismo del progetto. Erede della lezione di Vico Magistretti, con cui ha collaborato quando lavorava per Cassina, Binfaré è convinto che progettare significhi prima di tutto saper comunicare un’idea, saper accendere un fuoco nella mente dell’imprenditore che poi la dovrà realizzare. “Quando incontri il committente”, rivela, “non devi avere un progetto, ma un’idea. Devi saperla comunicare. Devi coinvolgere l’altro. E in questo processo è molto importante lo scambio di energia”. I suoi divani sono nati così: dalla capacità di far innamorare un’azienda di una sua vi-

In queste pagine, altri imbottiti di Francesco Binfaré per Edra. Dall’alto: il divano Absolu, dotato di cuscini mobili ‘intelligenti’, modellabili a piacere; la poltrona girevole Chiara; il divano Standard, i cui schienali e braccioli possono diventare bassi, alti, obliqui grazie a un lieve movimento della mano.

sione. “Io mi sveglio alle 5 del mattino”, racconta. “E lì, in quel momento sospeso fra il sonno e la veglia, spesso ho come delle visioni. Una volta ho sognato un deserto rosso su cui pioveva nero. Petrolio, forse. Da questo mare nero spuntava un’isoletta rossa. Sono andato in cucina per cercare una matita e segnarmi la forma di questa isoletta, ma non ho trovato matite. Allora ho preso una forbice e ho ritagliato la forma nella carta. Poi ho fatto dei tagli trasversali e delle pieghe. Flap è nato così: una zattera con delle parti che si sollevano. Edra aveva già un giunto che funzionava per i movimenti orizzontali, si trattava di adattarlo ai movimenti verticali”. La tecnologia al servizio della visione, non viceversa. E la libertà assoluta nell’immaginare forme nuove e multifunzionali con la complicità di un’azienda come Edra, che crede nella necessità di evitare l’effetto-pialla della globalizzazione tanto negli oggetti quanto nel pensiero. Ogni progetto di Binfaré nasce da un’ispirazione particolare. Dall’osservazione del mondo. “Durante un’estate in Puglia”, racconta, “osservavo i bagnanti che prendevano il sole sulle rocce e sugli scogli. In teoria avrebbero dovuto stare scomodi ma in realtà i loro corpi si adattavano, e trovavano una posizione consona. Ne ho parlato con

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Icona della produzione Edra, Flap rappresenta una tipologia inedita di divano. Il piano imbottito, di soli 14 cm di spessore, presenta nove parti inclinabili – ognuna secondo sei diverse angolature – che possono così assumere diverse funzioni: schienale, bracciolo, poggiatesta, seduta, poggiagambe o poggiapiedi.

Valerio Mazzei, che aveva appena messo a punto un materiale innovativo, il Gellyfoam®, capace di accogliere qualsiasi posizione del corpo. Il divano On the Rocks è nato così: utilizzando questo straordinario materiale ho tagliato lo schienale dal sedile, per ottenere una forma totalmente libera, senza vincoli”. Capace di scolpire una forma nel morbido (il divano Grande Soffice) o di sperimentare un guanciale che si inclina con una semplice pressione e che si svincola dal rapporto obbligato con la seduta generando un divano di grandi tirature (Standard), Binfaré è un instancabile creatore di forme. A volte si ispira alla natura, come nel caso di Pack: un orso sdraiato sulla banchisa, che si può spostare liberamente. “Ho immaginato che se il mondo si potesse definire come una superficie che si sta rompendo e frazionando in tante piccole unità, come la banchisa, l’orso potrebbe rappresentare il simbolo di una grande dimensione affettiva”. Altre volte invece la matrice è nella cultura: Sfatto, per esempio, nasce dalla visione di un quadro di Lucian Freud, Big Sue, con una donna scompostamente sdraiata su un divano Chesterfield di cretonne. “Era un momento in cui percepivo la fatica del mondo occidentale, la sua gravità, la decadenza. Quel dipinto mi ha trasmesso queste sensazioni. E io ho cercato di trasferirle in un divano”. Componibilità, morbidezza, accoglienza: Binfaré vuole che i suoi divani avvolgano chi vi si siede,

lo abbraccino, lo coccolino, lo lascino libero di scegliere postura e posizione. Che sia proprio il divano il cuore dell’abitare contemporaneo? Binfaré ne è convinto. Forse in futuro, conclude, “non avremo più bisogno delle librerie, dei cassettoni, dei mobili, mentre i divani diventeranno sempre più importanti. In passato dettavano l’etichetta dell’abitare borghese, in futuro penso che potrebbero assomigliare sempre più a una tana. Meglio: i divani saranno ciò che ci consentirà di stare dentro la tana. Con la tua innamorata, con i tuoi figli, avendo la luce anche quando fuori non c’è più, avendo il silenzio quando fuori c’è chiasso. In fondo ogni casa è una tana primordiale”. ■

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A Trancoso, nel nord del Brasile, dinanzi allo straordinario panorama dell’Atlantico, una villa sperimenta la dissolvenza dell’architettura nello spazio naturale, diventando essa stessa macchia verde, tra luce, ombra e la voce costante delle onde architecture studio mk27 - Marcio Kogan, Marcio Tanaka and Beatriz Meyer interiors studio mk27 - Serge Cajfinger + Diana Radomysler and Pedro Ribeiro foto di Fernando Guerra testo di Filippo Bricolo

MACCHINA SENSORIALE

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L’inserimento della villa nella grande macchia verde davanti alla suggestiva spiaggia di Itaporoca. La serialità razionalista dei portali dialoga poeticamente con la natura.

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ARCHITECTURE Progetto di STUDIO MK27


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ARCHITECTURE

Un deck di legno connette i nuclei funzionali accolti dentro volumi in cemento armato. Al deck corrisponde un soffitto in cannule che forma un’avvolgente atmosfera di luce e ombre. Scultura Marathonienne di Philippe Hiquily.

Ci sono limiti che suggeriscono aperture grandiose. Così ci sentiamo di fronte alla vastità dell’oceano: il corpo si ferma alla riva, mentre la mente spazia fino a confondersi nell’elemento naturale. Trasfigurare questo duplice sentimento in architettura sembrerebbe impossibile se davanti a noi non avessimo le eloquenti immagini che ritraggono la villa a Trancoso disegnata dallo Studio mk27 di fronte allo scenario straordinario dell’Oceano Atlantico nel nord del Brasile. Immersa nella macchia verde che introduce la bellissima spiaggia di Itaporoca, la casa si presenta come un’autentica sperimentazione sul dissolversi dell’architettura nel paesaggio naturale. Il programma funzionale è semplificato al massimo e la casa è spogliata di tutti i vani che non sono strettamente necessari (corridoi, atri, ingressi). Lo spazio chiuso si riduce così al minimo, fino a contemplare i soli ambienti basilari

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Nel grande portico il soffitto in cannule parcellizza la luce del sole. La casa al mare si oppone alla chiusura del vivere urbano proponendo l’immersione in un’atmosfera sospesa. Sedute Loop chair di Willy Guhl e coffee table di Paul Kingma.

che vengono condensati in cinque volumi separati, cinque capsule di vita ognuna delle quali è dedicata essenzialmente a una sola funzione: una per la cucina, una per il pranzo, una per il living e la camera padronale e due per le altre stanze. I volumi sono appoggiati su di un allungato deck in legno di pianta rettangolare leggermente rialzato dal suolo e sono posti paralleli tra loro ma leggermente sfalsati. Al deck corrisponde perfettamente un soffitto in

incannucciato appeso a 14 portali in legno lamellare. Il rigore e la logica della struttura di impronta modernista si confrontano con alcune importanti eccezioni, come le dodici aperture rettangolari che interrompono la continuità dell’incannucciato per permettere il passaggio di alberi posti all’interno dell’area del deck e l’entrata della luce diretta sia negli spazi pubblici che nei servizi privati delle camere. Questo contrasto tra razionalità e arbitrio riduce ancora di più lo

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Il volume si apre totalmente verso il portico che diventa l’estensione del living, in una continuità ideale tra spazi esterni e interni.

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Vista del living. Poltrona Jangada di Jean Gillon per Italma Wood Art, side table di Roger Capron, sofa Carbono C11 di Marcus Ferreira per Novo Ambiente, panca in braúna wood di studio mk27, sculture Girouette Marbella di Philippe Hiquily, Accanto, una sala da bagno e in basso una stanza da letto. Lampada Akari 50EN di Isamu Noguchi, Vitra, poltrona Vivi di Sergio Rodrigues per dpot.

scarto tra l’architettura e la natura. La vita si svolge dentro i volumi e su questo deck che diventa il tessuto connettivo della casa, liberando i movimenti tra gli spazi. La presenza del soffitto in cannule rende questa situazione ambientale fortemente duttile, trasformando quello che altrimenti sarebbe stato un normale portico in una sorta di importante elemento emozionale che raccorda l’architettura con la natura. La luce filtra attraverso il soffitto generando suggestivi chiaroscuri che dialogano con l’ombra delle chiome dei numerosissimi alberi intorno alla casa, distribuiti su tutto il lotto fino alla spiaggia. Ovunque, stando negli spazi della proprietà, si vive immersi in un’atmosfera sospesa, con l’incannucciato e le foglie che frammentano i raggi del sole formando una poetica e costante doccia d’ombre durante tutta la giornata. La villa è immersa nella macchia verde, ma forse si farebbe meglio a dire che la casa è la macchia verde stessa. In questo senso diventa parte dell’abitazione anche la piscina, situata a poca distanza dalla struttura principale e vicina alla

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spiaggia. La vasca ha un profilo dalle linee curve che richiamano quelle della natura, mentre al suo interno è scandita dalle linee parallele di due sistemi opposti di gradini che partono da due anse e si muovono verso la parte centrale formando un vano di forma pressoché rettangolare. L’orientamento della piscina è ruotato longitudinalmente di 45 gradi rispetto alla struttura principale, introducendo un dialogo dinamico tra la vasca, la struttura stessa e la vicina spiaggia. La macchia verde nei pressi della piscina si apre a formare una suggestiva radura. L’architettura abbandona qualsiasi riferimento alla machine à habiter di memoria modernista e si propone, invece, come una ‘macchina sensoriale’ dove la natura, la luce, le ombreggiature e la voce costante e infinita dell’oceano diventano i materiali fondamentali del progetto. ■

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ARCHITECTURE

A fianco, la zona pranzo. Sedie Meribel di Charlotte Perriand, tavolo e lampadari in ceramica di Roger Capron, sideboard disegnata da studio mk27, vasi di Bruno Gambone e artwork di Francesca Pasquali. Sotto, la piscina definita da linee curve, che si inseriscono armonicamente nella macchia verde, si apre a formare una suggestiva radura.

Nella pagina a fianco: la struttura dei portici in legno con l’incannucciato si apre per lasciar passare l’albero; sullo sfondo , le ‘scatole di vita’ in cemento armato che si affacciano in direzione del mare. Sedie Technicolor di Tidelli, tavolo in braúna wood come la panca.

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Scorcio dello studio di Maria Cristina Finucci. Le porte sono antiche e acquistate da un antiquario. Su disegno della progettista sono invece il tavolo in ferro grezzo e la libreria sempre in ferro con i piani in ardesia e gli inserti colorati. L’immagine del ghiaccio islandese appesa alla parete è opera dell’amico fotografo spagnolo Pio Cabanillas.


Qui sotto, lo spazio d’ingresso al piano terra, con il pavimento di porfido, il soffitto di travi e travicelli lignei tineggiato con vernice color alluminio, i faretti iGuzzini, la consolle da lei disegnata negli anni Ottanta con piano in ardesia e gambe in marmo di Carrara. La lightbox fa parte della serie Garbage Patch State della progettista. Sulla destra, un armadio di famiglia privato delle ante è stato rifoderato con una coperta indiana e impreziosito da una scultura della serie Polly.

SCRITTURE IN INTERNI Nella Roma più suggestiva e storica, quella dei Fori Imperiali e del Colosseo, la casa-studio dell’architetto e artista Maria Cristina Finucci, concepita come un quadro in tre dimensioni, esprime la grande unitarietà di un personale progetto estetico foto di Alberto Ferrero testo di Antonella Boisi

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ARCHITECTURE Progetto di MARIA CRISTINA FINUCCI

“Avevamo visitato moltissimi appartamenti senza trovare niente che facesse al caso nostro. Volevamo un terrazzo panoramico, l’appartamento in cui abitavamo prima ne aveva uno meraviglioso che dominava tutta Roma. Ricordo che eravamo arrivati in giornata da Madrid, dove vivevamo (mio marito era allora Ambasciatore d’Italia in Spagna), per vedere questo palazzetto suggerito dall’agenzia. Appena mio marito è salito sul terrazzo e ha visto dall’alto il Foro Romano e il Colosseo, ha detto ‘lo prendo’. Cinque minuti dopo stavamo firmando la proposta di acquisto. Questo mi ha stupito, perché normalmente lui è una persona molto riflessiva, per comprare un paio di scarpe ci avrebbe messo più tempo”. Maria Cristina Finucci racconta così l’incontro folgorante con il palazzetto nella zona

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ARCHITECTURE

Il soggiorno articolato al quarto livello, insieme alla stanza da pranzo e alla cucina (accanto, la planimetria). Il camino su disegno dalla forma tronco piramidale disegna uno spigolo vivo verso la scala in marmo sottostante e funge da parapetto per la scala in ferro che conduce al terrazzo, sottolineata dall’opera pittorica in rosso e ciano dell’artista Aldo Del Bono. Divano Magister di Flexform (design Antonio Citterio e Paolo Nava, 1982), sedie Seconda di Alias (design Mario Botta, 1982), lampada da terra Spun di Flos (design Sebastian Wrong, 2003). I tavolini-sgabelli sono stati invece disegnati da Maria Cristina Finucci per Casaidea Roma nel 2005.

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archeologica di Roma, in una strada parallela a via dei Fori Imperiali a due passi dal Colosseo, che, dopo un appassionato intervento di ristrutturazione, è diventato la casa-studio di famiglia. Fondatrice nel 2013 del Garbage Patch State, lo stato-nazione che denuncia l’invasione della plastica negli oceani, un progetto di forte impatto etico e mediatico sostenuto da molte opere che rappresentano grida d’aiuto, l’architetto e artista italiana ha trasformato l’edificio in un paesaggio abitativo concepito come un’opera d’arte: un quadro in tre dimensioni, un unicum non ripetibile, privo di frasi fatte e total look. “Ricordo che arrivavo ogni settimana da Madrid per curare la direzione dei lavori del cantiere”, continua. “In realtà, il palazzo era stato alla fine un piccolo albergo diviso in molte piccolissime camere distribuite su cinque livelli. Si è trattato di accorpare e riconfigurare due corpi distinti di impianto medioevale, tra i quali c’è ancora un dislivello di qualche gradino. Quello più basso ha i solai a voltine e mattoni a vista, mentre l’altro ha i solai a travi lignee. Abbiamo demolito tutti i tramezzi, rinfrescato le tre facciate vincolate con le loro bucature finestrate e lasciato praticamente solo i muri perimetrali, i solai e le scale. Mi piacciono molto le scale semi elicoidali. Così com’erano, sono rimasti i gradini originali in marmo di Carrara e anche la ringhiera in ferro. Il soffitto della scala, invece, dopo aver grattato via il primo strato di imbiancatura, presentava tracce di molte mani di tempera in vari colori che ho voluto mantenere. Poi, l’artista Aldo Del Bono ha creato un’opera site specific che sale su per i muri, lungo le rampe, culminando al quarto livello con una tempera incorniciata in ciano e rosso. Però, accanto al corpo scale, per ragioni di comodità, abbiamo costruito un vano per un piccolo ascensore. Installarlo non è stato semplice. Ho ricoperto le pareti con una mia opera della serie Polly. Avevo già usato questo tipo di rivestimento per la cucina di un appartamento che ho ristrutturato a Londra, dove avevo chiesto ai committenti di darmi le cento parole della loro vita e le avevo inserite nel disegno. Quest’idea mi aveva conquistato e ho voluto

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riprenderla per l’ascensore di casa mia. Le parole che ho inserito sono i nomi dei nostri figli e dei nostri nipoti, nonché quelli delle città dove abbiamo vissuto. Nel frattempo la famiglia è cresciuta e devo aggiungere due nomi”. L’ascolto del genius loci ha suggerito alla progettista le altre scelte, interventi con mano leggera, pochi e significativi punti fermi, perché tutto paresse essere sempre stato lì. Un cotto fatto a mano e irregolare nei formati, lavorato in una fornace umbra e trattato con uno stucco grigio perla, per renderlo più contemporaneo nel colore, uniforma i pavimenti. Un intonaco materico bianco veste le pareti che armonizzano senza soluzione di continuità con gli armadi su disegno ad ante scorrevoli dentro una cornice in ferro grezzo. Un Peperino con forti inclusioni perlacee, una pietra rocciosa con frammenti di trachite di colore bigio macchiettato, è stato selezionato per il rivestimento dei bagni, accostato a comuni mattonelle bianche quadrate. Uno sfondo neutro, dunque, perfetto per valorizzare i soffitti di travi e travicelli in rovere e le porte antiche in noce, gli

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Nella stanza da pranzo, il tavolo su disegno dagli angoli arrotondati con il piano in Pral si accompagna alle sedie della serie 7 di Arne Jacobsen per Fritz Hansen. Sopra la credenza dalle ante in lamiera, un’opera della serie Paradigmi di Maria Cristina Finucci (versione piccola di quella ospitata nella collezione permanente della Camera dei Deputati) e a destra, appesa alla parete, Living Restraint, estrapolata da una sua opera di video-arte. In fondo a destra, nell’anticucina, sotto una romantica finestrina è murato un acquaio in pietra antica. Qui a sinistra, la parete di ferro vetrata, su disegno, isola lo spazio della cucina. La cappa in ferro con sportelli in vetro si ispira alle vecchie cucine inglesi. Bollitore di Alessi, robot di KitchenAid.


Lo studio del marito, al primo piano, con alcuni dei suoi libri accatastati in doppia fila nella scaffalatura in ferro zincato di serie e la scrivania in Corian (DuPont) che fa parte della serie direzionale Aer progettata da Maria Cristina Finucci per Upper nel 2005. Lampada da tavolo Spun di Flos (design Sebastian Wrong, 2003).

elementi architettonici di maggior pregio, ma soprattutto le presenze più eloquenti che animano l’individualità degli episodi della vita domestica, in una sommatoria complessa di segni e stratificazioni. Il layout declina infatti al piano terra il generoso spazio d’entrata, al primo gli ambientistudio del marito Pietro Sebastiani, oggi Ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede, al secondo lo studio della progettista e la stanza di un figlio, al terzo la camera da letto padronale e un’altra camera con rispettivi servizi, al quarto la zona giorno che riunisce living, stanza da pranzo e cucina, al quinto l’amata terrazza. Quello che appare molto interessante è la grande unità programmatica di tutte queste differenti situazioni spaziali e funzionali, quel loro gusto asciutto che risponde a un progetto molto preciso e ponderato: un’essenza delle forme alla Brancusi. “Tutta la composizione segue dei criteri personali, assumendo significato nei rapporti reciproci tra le parti – i mobili, le opere e l’architettura”, aggiunge Finucci. “Amo mescolare gli elementi come su una

tavolozza, anche se le riflessioni da cui nasce un’opera sono più filosofiche e profonde, meno legate al mio gusto estetico. Ovvero al piacere per gli equilibri tra dimensioni orizzontali e verticali, volumi, colori, proporzioni, pesi, pieni e vuoti, accostamenti tra elementi neutri e di sorpresa. E anche per la sapiente manualità artigianale, perché niente viene distrutto, tutto trasformato”. Ecco allora la libreria in ferro con i piani di ardesia e gli inserti colorati, il tavolo in ferro grezzo, la consolle con le gambe in marmo, solo per citare alcuni dei numerosi pezzi disegnati ad hoc da Maria Cristina Finucci, che vivono accanto agli oggetti del suo lavoro disseminati ovunque – le prove di stampa, il fermo immagini della video-opera Trueman del 2011, il manifesto dell’installazione per il Padiglione del Garbage Patch State a Venezia durante la Biennale Arte 2013, la micro-versione della serie Paradigmi sopra la credenza (una simile, ma lunga 430 centimetri fa parte della collezione permanente della Camera dei Deputati) e molto altro ancora. Ecco anche i comodini in osso bianco e nero

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La camera di un figlio, al secondo piano. L’armadio ha le ante scorrevoli bianche come le pareti su una cornice di ferro grezzo. Sulla sinistra, la locandina dell’installazione per il Padiglione del Garbage Patch State a Venezia, durante la Biennale Arte del 2013. Accanto, un frammento della scenografia per la proclamazione del Garbage Patch State (Parigi, Unesco, 2013). La lampada sul comodino di destra è di Slamp.

acquistati in India durante un viaggio e il secrétarie di famiglia nella camera padronale. Il quarto piano accoglie la zona giorno. Qui la figura del camino diventa l’elemento ordinatore della costruzione spaziale. Nella sua forma tronco piramidale funge da parapetto per la scala in ferro che conduce al terrazzo e al tempo stesso disegna uno spigolo vivo verso la scala di marmo. “Il divano è il Magister di Flexform”, afferma Finucci. “Ce lo portiamo dietro da molti anni ed è stato in molte case. Lo abbiamo comprato quando abitavamo a Bruxelles nel 2000. Invece i tavolini-sgabelli sono stati disegnati da me nel 2005 e sono comodissimi per quando occorrono molte sedute, ma tutti insieme formano un tavolo, un piano d’appoggio utile per pranzi e cene informali. Si tratta di piccoli recuperi, in fondo, un po’ come i faretti di iGuzzini provenienti dal mio vecchio studio che era molto più grande dell’attuale, luci da galleria su binario upgraded con lampade a led, che ricorrono nell’illuminazione degli ambienti accanto alle lampade Spun di Flos”. La cucina è divisa dalla zona pranzo mediante una parete di ferro vetrata. “Ho progettato i mobili in legno ispirandomi a quelli di Charlotte Perriand, mentre la cappa in ferro con sportelli in vetro ricorda quelle delle vecchie cucine inglesi”, conclude Finucci. Nell’anticucina, poi, sotto una romantica finestrina è murato un acquaio in pietra antica: come dire, cambia anche il modo di cucinare in questa casa diversa da qualsiasi altra che, in armonia con la dimensione emotiva e culturale della sua artefice, ne rappresenta l’anima. ■

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A fianco, nel bagno, rivestimento in Peperino perlaceo. Struttura in ferro con ripiano in marmo di Carrara, contenitori con ante a specchio.


Qui e nella pagina accanto, il corpo scale. L’opera Due atomi in rotta di collisione in giallo, in lamiera di ferro tagliata al laser, è un’opera di Maria Cristina Finucci del 2009. Dell’artista Aldo Del Bono è invece l’opera site specific che corre su per i muri lungo le rampe.



La facciata della boutique di Giorgio Armani in via Sant’Andrea rifulge di color platino ai piani superiori e ha un basamento di granito verde Fantastico. Nel disegno, la planimetria del piano terra. Nella pagina a fianco, la scatola vetrata che definisce la vetrina e la zona d’ingressoportico attraverso i due passaggi laterali. Si nota la suggestiva pavimentazione a scacchiera realizzata con lastre in grande formato di granito verde Fantastico di provenienza iraniana.

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ARCHITECTURE Progetto di GIORGIO ARMANI

Giorgio Armani torna in via Sant’Andrea 9 a Milano, nella prima boutique del 1983, ampliata e reinventata completamente per esprimere al meglio il Dna della maison foto di Beppe Raso/courtesy Giorgio Armani Archive testo di Antonella Boisi

UN MONDO, IN LUCE SOFT

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ARCHITECTURE Vista del piano terra riservato alla collezione di abbigliamento e accessori donna. Sulla destra, la lineare scala di collegamento rivestita di onice Velluto con dettagli di metallo color oro e, dietro, il corner Armani beauty. Ritorna nello spazio interno, come un fil rouge, la preziosa pavimentazione a scacchiera in marmi e onici policromi, che si declina con mood specifici in accordo alle differenti zone espositive. Portali color platino con profili di madreperla scandiscono in modo fluido i passaggi tra una zona e l’altra. Carte da parati in seta di Armani/Casa rivestono le pareti fino ai soffitti, che ne richiamano colori e venature. Gli arredi perimetrali, di rigorosa geometria cartesiana, sono contraddistinti da bordi scuri in legno di eucalipto e, come i tavoli metallici freestanding, sono stati progettati su misura.

“Non c’è fine. Non c’è inizio. C’è solo l’infinita passione per la vita”. Queste sono parole di Federico Fellini, ma non guastano se si riferiscono a Giorgio Armani. Era partito da qui e qui ritorna: Giorgio Armani riapre in via Sant’Andrea, dove nel 1983 scelse di stabilire la prima boutique, una strada silenziosa e molto meneghina del cosiddetto Quadrilatero della Moda di Milano, sinonimo di lusso e stile internazionale. Dal 2010 al 2017, lo spazio aveva ospitato la linea Armani/Casa che celebra ora, nella sede di Corso Venezia angolo San Damiano, i suoi primi vent’anni. Succedeva prima dell’intervento di ristrutturazione. Oggi nella reinventata ‘location’ del Fashion District, che si sviluppa su quattro livelli per una superficie totale di 1.200 metri quadri, doppia rispetto a quella del negozio originario, Giorgio Armani ha riannodato, come un nastro di origami, i fili del suo percorso professionale che declina un universo strutturato, articolato e integrato, dal côté fashion (qui la prima linea) al product design (Armani/Casa), dall’architettura all’interior design (nel mondo e nello specifico). Come mostrano anche i video wall a ogni piano, oltre ai quattro video interattivi nella zona di ingresso, con le immagini delle proposte della stagione. “Torno oggi con un’esperienza diversa e la consapevolezza che non si tratta di sentimento nostalgico. Ho voluto che la quintessenza della mia visione di bellezza atemporale dialogasse con la contemporaneità di un mondo che spazia dagli accessori al prêt-àporter fino all’alta sartoria, con servizi personalizzati e trattamento esclusivo”, dichiara. “Non agisco facendo distinzione tra le mie attività. Mi interessano tutte, allo stesso modo, perché ho creato un intero lifestyle che, certo, parte dalla moda, ma che include molto altro. La moda veste il corpo, ma il corpo abita lo spazio e l’architettura veste lo spazio, oltre a costruirlo: è questa la

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triangolazione magica, per me. Aggiungo che l’architettura è permanente, o quasi, e soddisfa il bisogno di atemporalità che è anche della mia moda. Dedico una buona parte della mia giornata ai progetti di interior design, ma tutto si mescola e si amalgama, e questo è poi il motivo per cui il mio lavoro è coerente e organico. Mi piace la delicatezza di certi colori unita alla raffinatezza delle texture, per esempio, e che sia un marmo raro o una seta poco importa. Molto spesso il lavoro in un ambito si riverbera nell’altro, come è giusto che sia”. Armani ha orchestrato il progetto in prima persona, giorno dopo giorno, fino al più piccolo dettaglio, con il suo team altamente formato e specializzato (nella progettazione di hotel, ristoranti, negozi e residenze: un vero e

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proprio studio di 30 persone, al quale se ne aggiungono 15 attive nell’interior design), senza avvalersi di grandi nomi dell’architettura, come aveva fatto in passato. E il suo sguardo sempre fresco è immediatamente percepibile già dall’esterno della boutique che, interrompendo con equilibrio il fronte classico della via, la fitta cortina delle facciate dei palazzi storici che celano segreti giardini, si presenta con l’immagine di una scatola vetrata, nobilitata dalla finitura color platino dei piani superiori e con un sorprendente basamento di granito verde Fantastico. Come in un sapiente gioco di tangram, le geometrie lineari del basamento diventano infatti al piano strada due passaggi laterali attraverso i quali si accede al portico interno, al tempo stesso ingresso e vetrina,


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ARCHITECTURE

In queste pagine, due viste del primo piano dedicato all’uomo, con la piccola serra di bambù, il lucernario creato ad hoc per valorizzare il dialogo con la luce naturale e gli arredi Armani/Casa, che comprendono anche i tavolini in legno di pero e madreperla. Reti sottili di metallo dorato davanti alle pareti vetrate fungono da ulteriore filtro per modulare la luminosità dell’ambiente e far risaltare finiture e materiali in modo soft. A destra, la sala al piano interrato, con 78 sedute, dedicata alle presentazioni, una scatola nei toni ovattati dell’onice Velluto e delle pareti in carta di seta in tinta.

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In questa pagina, una zona dedicata all’alta sartoria uomo, con servizi e trattamenti personalizzati. Arredi di Armani/Casa. A fianco, un tavolo e due poltroncine poste davanti alle sei teche che racchiudono le creazioni di alta gioielleria Giorgio Armani definiscono un’area di lusso esclusivo, al secondo piano.

impreziosito da una suggestiva pavimentazione a scacchiera in lastre di grande formato di marmi e onici policromi. Questa, declinata negli spazi interni in accordo alle differenti zone espositive, definisce in modo eloquente il layout della boutique, il cambio di passo e le sequenze narrative delle altre scatole ritagliate nel volume complessivo e destinate ad accogliere: al piano terra la collezione di abbigliamento e accessori donna e il corner Armani beauty con la postazione per il make-up; al primo piano la collezione maschile e dei completi formali; al secondo gli abiti da sera, il servizio Made to Order e quello Made to Measure e l’area gift, con gli oggetti più preziosi di Armani/Casa, riservata al lusso più esclusivo. Ciascuno spazio ha un suo distinto e selezionatissimo mood materico-cromatico (solo al piano terra, per esempio, sono stati impiegati marmo verde Antigua, granito verde Fantastico e onice grigio-verde originario dell’Iran, onice Velluto di provenienza turca, marmo Port Laurent marocchino, granito Lemurian dal Madagascar, quarzite Corteccia dal Brasile, marmo Blu Sky dalla Cina), espresso anche dagli altri elementi che scandiscono e modellano in modo ritmico il tessuto connettivo: dai portali color platino con profili di madreperla ai rivestimenti in carta di seta delle pareti fino ai soffitti, che ne richiamano colori e venature. Al limpido ordine formale di questa dinamica ‘matrioska’ partecipano da protagonisti anche i lineari, rigorosi arredi collocati lungo le pareti, con le loro luci integrate e i bordi scuri in legno di eucalipto, accenti di un’eleganza anni Trenta e Quaranta, che si fluidificano nella luminosità dei

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tavoli metallici color platino, in resina effetto tessuto, e, più piccoli, in legno di pero e madreperla, intarsiati a mano da artigiani italiani. La luminosità ponderata è infatti l’altro grande tema del progetto: la luce proveniente dalle generose finestre perimetrali non è mai diretta, ma sempre filtrata e modulata da sottili reti verticali di metallo dorato. Schermato da questi elementi diafani è anche il volume vetrato del primo piano, dominato dal pavimento a scacchiera in marmo verde Antigua e in granito verde Fantastico, che si circonda di piante di bambù, molto amate da Armani, per definirsi come una sorta di ‘giardino d’inverno’. Al secondo livello, invece, dinamizzano lo spazio le sei porte-finestre che si aprono sul lucernario del volume vetrato sottostante e, altresì, le tre aperture su via Sant’Andrea che regalano un privilegiato belvedere sul fregio barocco del cinquecentesco Palazzo Morando, situato sull’altro lato della via. Sono tutti scorci e prospettive, scoperte progressive e corrispondenze di un luogo unico, dove altrettanto unico è diventato il piano interrato, concepito come una sorta di mini-teatro dedicato alle presentazioni (con 78 sedute), immerso nella morbidezza delle venature dell’onice Velluto e delle pareti di seta in tinta. Quanto ai collegamenti verticali, accanto al corpo ascensore, il susseguirsi dei percorsi tra i livelli della boutique si affida in modo unitario alle ormai iconiche scale rettilinee ‘armanizzate’, qui totalmente rivestite di onice Velluto (compresi gli intradossi) con dettagli di metallo color oro, nel cui profilo netto e regolare è riconoscibile il segno stilistico di Giorgio Armani. D’altronde, come dice lui, “l’eleganza non è farsi notare, ma farsi ricordare”. ■

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La residenza Sartfell sull’isola di Man è quasi un eremo, un rifugio immerso in una riserva naturale la cui biosfera è tutelata dall’Unesco. La pietra locale montata a secco e la piegatura del volume puntano a una forte armonizzazione con il paesaggio.


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ARCHITECTURE Progetto di FOSTER LOMAS

UNA PIEGA NEL PAESAGGIO

In una riserva naturale sull’isola di Man, nel Mare d’Irlanda, una casa dai muri massicci e lunghe finestre a nastro è il rifugio di una coppia di studiosi. Un volume elementare avvolto attorno alla biblioteca, il ‘centro della conoscenza’ che, attraversando l’edificio in verticale fino al lucernario, collega la terra al cielo, e viceversa foto di Edmund Sumner testo di Alessandro Rocca


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Ormai qualsiasi progetto, quando si trova in un contesto non urbano, proclama a gran voce l’obiettivo dell’inserimento nel paesaggio. Tra i mezzi che si usano – più o meno sono sempre gli stessi – ce ne sono due che fanno la parte del leone: la finestra panoramica e i materiali locali. La residenza Sartfell non fa eccezione, e sceglie le opzioni più semplici: grandi finestre spalancate sul paesaggio e una tecnologia rustica, e ben radicata nel luogo, come il muro a secco. Ma la differenza, rispetto alle pratiche più scontate, è che i due temi sono svolti fino in fondo, sviluppandone tutte le potenzialità e trovando effetti che, partendo da presupposti chiari e giusti, giungono a risultati originali. La finestra, per esempio, rielabora con ironia un concetto chiave dell’architettura modernista: nessuno seppe inventare il nuovo come Le Corbusier, che fu un impareggiabile produttore di slogan, cliché e parole d’ordine e, tra le sue idee più belle e fortunate, c’è la finestra in lunghezza, di cui sostenne le qualità e i vantaggi rispetto alla finestra tradizionale, verticale. Se la finestra verticale presuppone una visione, verso l’esterno, statica, da fermi, spiegava il maestro, la finestra in lunghezza, a nastro, segue l’andamento dello sguardo e il movimento del corpo nello spazio, e ritaglia una fascia continua di paesaggio. Lo studio inglese, diretto da Will Foster e Greg Lomas, interpreta l’indicazione lecorbusiana in una versione efficace nell’esaltare le caratteristiche materiche, spaziali e di comfort del loro edificio. Il progetto cerca, e trova, la definizione precisa delle caratteristiche specifiche di ciascun ambiente e l’espressione più appropriata per le relazioni, e le connessioni, tra le diverse parti. Lo spazio principale è collocato al piano nobile, al secondo livello, ed è equamente distribuito tra il soggiorno e la biblioteca. Diviso in due ali chiaramente distinte, ma non separate, dalla piegatura del volume, il soggiorno mantiene una forte continuità, grazie alla finestra orizzontale e al muro perimetrale che, se all’esterno è di pietra grezza, all’interno diventa uno scorrevole margine in cemento, accompagnato dalle rigature orizzontali tracciate dalla carpenteria del getto. La cucina è situata in corrispondenza della finestra a nastro che prosegue e gira attorno all’angolo, con gli elementi addossati alla parete e un ampio piano libero, al centro, che contiene il lavabo e che serve da tavolo da lavoro e da pranzo. Il

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La residenza si affianca a un cottage tipico dell’isola di Man, conosciuto come Cloud 9, che è stato restaurato e riportato alle condizioni originali. I due edifici, collegati da un passaggio vetrato, sono inseriti in una zona del terreno sistemata con nuovi muri di sostegno in pietra a secco.


La cucina in legno di quercia europea realizzata su disegno è proiettata verso il paesaggio attraverso la finestra continua. Il camino, al centro del soggiorno, è di JC Bordelet (fornito da Lloyds Heat Design). Arredi vintage e cuscini di Charlene Mullen.

soggiorno si trova dall’altro lato, oltre la piega, ed è altrettanto minimalista; anche qui c’è un unico elemento posto al centro: un imponente camino nero che ha la funzione di definire qualità e usi dello spazio. Per il resto, sono sufficienti un semplice coffee table, due poltrone spaiate, che danno le spalle alla finestra a nastro, e una piccola cassettiera verticale. Agli arredi si aggiunge una spartana seduta, ricavata nel vano profondo della finestra laterale, che cita l’abituale divanetto posto all’interno del bow window, così tipico della casa inglese. Se la finestra a nastro sottolinea l’andamento orizzontale, il vano della biblioteca esprime invece un asse verticale che, leggero e luminoso, parte dal piano inferiore, si porta al livello del soggiorno e culmina poi in un generoso lucernario. Di forma triangolare, la biblioteca è composta da due librerie in lamiera di acciaio con finitura scura acidata, imbullonate al muro di cemento, una per livello, e da un sistema

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di rampe e passerelle che, realizzato in lamiera forata e sottili strutture d’acciaio, lascia filtrare sia la luce che lo sguardo, permettendo di percepire con evidenza la verticalità e la luminosità dello spazio. Il paesaggio e il contesto sono quindi fonte di ispirazione per i materiali, la luce, l’impatto visivo dell’edificio, le relazioni tra interno ed esterno, e sono anche motivo di scelte tecniche volte a raggiungere una buona sostenibilità energetica e ambientale. Con il tempo, il muro di pietra sarà colonizzato da muschi e piccole piante e il tetto giardino già ospita fieno e fiori di campo, mentre l’energia è fornita dalle acque del lago vicino, dal compostaggio e da una turbina eolica. Un interesse specifico è rivolto anche al terreno circostante, che si vuole riportare allo stato originario, con l’impianto di alberi autoctoni, la ricostituzione del prato spontaneo e delle torbiere dove fioriscono rare specie di orchidee. ■

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Sopra, il muro perimetrale, in pietra a secco e cemento, ha un forte spessore (65 cm), così come è evidente la robustezza della struttura del tetto. Sullo sfondo, la biblioteca a doppia altezza, il ‘centro della conoscenza’ che, secondo il desiderio dei due proprietari (uno scienziato e un insegnante, si pone come elemento predominante dell’intera residenza. A destra, un dettaglio di una delle due camere da letto, poste al livello inferiore.


Il vano triangolare della biblioteca, percorsa dal sistema di passerelle e rampe interamente costruito in lamiera forata e illuminato da un lucernario. Sullo sfondo, il soggiorno e la finestra continua affacciata sul paesaggio.


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ETICA ED ESTETICA AUMENTATA AI TEMPI DEL CONTAGIO

La crisi sanitaria ha interrotto la catena della fiducia. Per ripristinarla, il Sistema Italia dovrà puntare sui propri valori intrinseci e rilanciare la sfida in termini di qualità e bellezza. Sarà il ritorno alla sostanza e alla grande tradizione del design nostrano di Francesco Morace

In questo tempo confuso abbiamo assistito sconcertati all’irruzione del Coronavirus Covid-19. Non solo una immagine colorata, raffinata e inquietante, con una potente ridondanza comunicativa, ma anche una minaccia tangibile nei confronti di quanto di più caro abbiamo: la salute nostra, dei nostri familiari, della comunità a noi più vicina. Un colpo inferto alla nostra integrità: prima di tutto dal punto di vista immaginario e simbolico, poi del nostro stato di benessere fisico e del nostro sistema di vita. L’indicazione, anche per il mondo del progetto, è più chiara che mai: rafforzare tutto ciò che coinvolge conoscenze e competenze per prenderci cura gli uni degli altri. Comprendendo che questo è un elemento costitutivo della nostra comune umanità. Solo così potremo rafforzare il tessuto sociale e il suo sistema immunitario, che non è solo biologico, ma anche progettuale, culturale, relazionale. Siamo spesso convinti di avere il controllo sulla realtà e sulle sue dinamiche evolutive. Lo pretendiamo, anche per l’affermarsi di innovazioni tecnologiche o per l’Intelligenza Artificiale diffusa. L’irrompere del contagio ha modificato improvvisamente questa percezione. Nulla sarà più come prima, per molti anni. Come un 11 settembre del nuovo decennio, minando la tenuta stessa delle relazioni sociali, per una paura che alimenta sfiducia e disorientamento. Il Rapporto Censis pubblicato a fine 2019 evidenziava che il 75,5% degli italiani non si fida degli altri, e lo spettro del contagio è arrivato pochi mesi dopo a dimostrarlo. Il digitale ha spesso permesso – senza che nessuno se ne rendesse davvero conto – il dilagare del discredito: un virus potente che erode dall’interno ogni costruzione sociale. Il capitalismo delle piattaforme ha proposto il sogno di una realtà accessibile a tutti, ma in realtà si è dimostrato un grimaldello nelle mani di pochi, producendo un modello malato di caccia ai clic, creando valore economico sostenuto in quantità da sensazionalismi, fake news e haters, che funzionano per la sola ragione di moltiplicare il discredito, il conflitto, fino all’odio. Su questa china la comunicazione stessa ha subìto un logorìo difficilmente misurabile, ma ormai evidente agli esperti più attenti. La reazione a catena del sospetto è stata alimentata quasi in automatico dai media, sfruttata da seminatori di paura, trasferendosi dalla categoria degli stranieri immigrati a quella dei cinesi, e poi velocemente ai lombardi e ai veneti: in pochi giorni gli appestati siamo diventati tutti noi. Con la paradossale conseguenza del panico: l’assalto ai supermercati dei primi giorni lo dimostra. I turisti italiani respinti alle frontiere hanno per la prima volta provato la sgradevole sensazione di essere discriminati a partire dalla sola appartenenza a una regione o addirittura a un intero Paese. La malfidenza si è ritorta contro noi stessi e ha provocato un temporaneo isolamento nel mondo. Si sono rinviate fiere e manifestazioni internazionali, grandi o locali, orgoglio del nostro Paese e del Made in Italy, che attirano operatori, aziende, cittadini da ogni angolo del mondo. L’Italian Factor ha perso il suo valore attrattivo, per accoglienza e competenza. Poi è toccato agli altri. L’insegnamento è chiaro: ci sarà sempre qualcuno più puro e incontaminato di noi, sempre qualcuno più a Sud (o a Nord, nel paradosso che il caso ci ha regalato in questi mesi); saremo sempre appestati per qualcun altro. È nel brodo di questa pandemia del sospetto che il tandem Fiducia e Verità è entrato inevitabilmente in crisi. Ecco allora che è necessario intervenire sulla

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Due immagini del Coronavirus Covid-19.


manutenzione della catena della fiducia: una catena arrugginita che bisogna ripristinare attraverso l’Etica Aumentata, seguita poi da un’Estetica Aumentata. In questa riflessione necessaria per gestire il tempo che stiamo vivendo, da un lato sarà importante la scienza, dall’altro la capacità di tornare a produrre bellezza, gusto, emozione. Ciò porterà a misurarsi con l’autenticità e il rigore dei processi che la scienza sperimenta, con innovazioni garantite attraverso protocolli diffusi: non solo tamponi per testare il tasso di contagio o nuovi principi farmacologici, ma anche nuovi comportamenti per definire le norme di base dell’igiene mentale di una collettività. In questa dimensione di Etica Aumentata, potrebbe essere finalmente l’occasione per far convergere fiducia e verità, dopo decenni in cui prima i media di massa e poi i circuiti digitali hanno lavorato nella direzione opposta. Riapprezzando, assieme al valore della cura, l’efficienza e l’autenticità, la competenza e la concretezza, il gusto e la bellezza, l’innovatività e il pensiero creativo. Lavorando con le forze a disposizione e formandone di nuove. Ragioniamo allora sul mondo dopo il contagio, che assomiglierà a un dopoguerra: trionferanno etica ed estetica, la sostenibilità sarà più smart, i servizi saranno condivisi, la bellezza sarà un bene comune, la comunicazione affronterà la grande scommessa del vero che il contagio ci avrà insegnato. Sarà sempre più difficile manipolare le coscienze laddove il risultato diventa visibile quotidianamente. E questo spiega il disorientamento vissuto dall’intero sistema mediatico che ha prodotto informazioni contrastanti giorno dopo giorno: basta rileggere i titoli dei giornali che continuamente contraddicevano se stessi, anche dopo poche ore. E allora, se questa è la prospettiva, ragioniamo sul potenziale dell’Italia. Il Sistema Italia, in particolare nel settore dell’Arredo/Design, può diventare un antidoto: può rafforzare il sistema immunitario puntando sulla propria unicità, creatività, distintività. Potrà rilanciare la sfida in termini di bellezza aumentata, seguendo la propria natura e rafforzando il proprio DNA. Il tempo del pericolo scampato, l’era del post-virus, vedrà le persone doppiamente motivate, pronte a far crescere le competenze, arricchendo le conoscenze, stimolando la creatività: la Design Week potrà essere protagonista in questo scenario, all’insegna di una visione post-contagio, offrendo prodotti distintivi, sostenibili, belli e onesti, da vivere e gustare insieme. Qualità che l’Italia potrà vantare, riscoprire e rigenerare. Per farlo, bisognerà attivare strategie di ascolto e comprensione delle nuove generazioni, gestire il delicato rapporto tra impresa e design, combinare memoria e immaginazione, mantenere il giusto equilibrio tra il battito di una Milanolaboratorio e il respiro di un mercato/mondo finalmente libero dal contagio. L’Etica Aumentata che saremo in grado di mettere in campo sosterrà l’Estetica Aumentata che porrà al centro la qualità di progetti e prodotti, rispettando la grande tradizione del Design Italiano, rappresentato da quelle imprese, da quei progettisti, da quegli operatori che avranno saputo conciliare innovazione tecnologica e ricerca formale, sperimentazione nei materiali e attenzione ai nuovi comportamenti. Su questo grande ritorno alla sostanza, alla centralità del bello, ben fatto, del gusto e del giusto, si potrà far leva quando, nel dopo-virus, sapremo riconoscere il valore dimenticato di ciò che ora ci manca. . ■

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PROGETTARE L’EMERGENZA Il design si occupa da sempre delle esigenze umane prioritarie e degli aspetti piÚ urgenti della cultura materiale. Per questo offre strumenti molto utili per affrontare una complessa epoca di transizione come la nostra di Elisa Massoni

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Emergenza è una parola che ha a che fare con la fragilità dei sistemi, con la loro permeabilità e con l’inaspettato. In una cultura che nutre l’illusione di aver trovato dei modelli definitivi per la soluzione dei problemi, è una parola poco frequentata, quasi inimmaginabile. Eppure il design si occupa di priorità umanitarie, sociali, economiche da sempre. È una disciplina totalmente immersa nella vita delle persone, un ponte fra cultura materiale e umanistica che, nel tempo, ha fatto tesoro di strumenti molto utili per costruire scenari di intervento durante i momenti di crisi o di ricostruzione. Già negli anni Ottanta e Novanta Shigeru Ban sentì la necessità di mettere a disposizione le competenze acquisite durante le sue ricerche sulle qualità strutturali del cartone per intervenire nelle aree colpite da catastrofi. Gli Emergency Shelter, leggeri economici e facili da trasportare, furono utilizzati durante i terremoti, per edificare rapidamente strutture di riparo o per dare privacy nei centri di accoglienza. Interventi che fanno venire in mente le recenti immagini degli ospedali temporanei costruiti per far fronte all’emergenza Covid-19. Inoltre, quella di Shigeru Ban può essere definita un’esperienza di open source ante litteram, in cui al senso profondo di un progetto efficace si sommano la qualità della solidarietà, dell’aiuto e dell’accudimento per rispondere a esigenze che vanno oltre il semplice bisogno di un riparo. “Se si parla di fragilità e di cura il design si esprime al meglio nei processi,” sostiene Nawal Bakouri, la curatrice di Handle With Care, durante l’ultima edizione di Reciprocity Design a Liegi. “Pensare in termini di problema/soluzione è un errore. Il progetto non offre soluzioni

Sotto e nella pagina accanto, Microbial Self di Valerie Daude, un progetto che sperimenta l’uso delle tecnologie diagnostiche in oggetti che sembrano quasi accessori fashion. L’obiettivo è rendere visibile, attraverso l’analisi del respiro, un dato di fatto: conviviamo e ospitiamo migliaia di microrganismi.

immediate quando si parla di esseri umani”. La soluzione vera è la ricerca, la verifica scientifica dei risultati e la messa in discussione dei significati che diamo ad alcune istanze della vita umana. “La medicina, per esempio, è innanzi tutto accompagnamento. Temi come l’invecchiamento, le malattie croniche, la disabilità si manifestano e trovano soluzioni in tempi lunghi, non nell’emergenza”, continua Bakouri. Ed è qui che il design acquista un senso forte, con strumenti che integrano qualità simboliche e ingegnosità nella lettura di contesti complessi. Ne è una dimostrazione il lavoro sulla Solar Bottle di Alberto Meda e Francisco Gomez Paz del 2006, un contenitore destinato alle aree in cui esiste una criticità idrica, che dava maggiore efficacia al sistema di depurazione brevettato. Ma a una seconda verifica risultò poco efficiente da alcuni punti di vista: si trattava di un progetto migliorabile, seppur inserito nella collezione dell’ADI e del MoMA. Una ricerca che, come sottolinea Nawal Bakouri, aveva bisogno di essere testata sul campo per poter legittimare un intervento progettuale.

Uno dei campi di indagine più interessanti del social design è quello della cura. Aurélie Varga si è diplomata alla Design Academy Eindhoven nel 2019 con un progetto di gioielli/tutori per curare i traumi agli arti superiori. Varga ha affrontato l’argomento integrando qualità simboliche ed estetiche in uno strumento medicale.

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Un’esperienza analoga, ma molto più recente, è la collaborazione di Giulio Iacchetti con la start up di impact investing GratzUp, per una bottiglia e un tank – G Bottle e G Tank – ideati per un sistema di depurazione simile a quello dell’autoclave. Anche in questo caso, però, si tratta di un progetto che attende una verifica sul campo: l’azienda l’ha presentato l’anno scorso e auspicava una collaborazione con i governi degli stati prioritari per uno sviluppo su larga scala. All’inizio del Duemila molti giovani designer italiani si confrontarono con i temi emergenti dell’immigrazione, delle risorse idriche, della solidarietà. Il percorso storico è stato ricco di esperimenti e suggestioni forse minimali e un po’ ingenue, ma radicate in un’attitudine precisa verso i temi della fragilità, propria e degli altri. La strada non si è interrotta e ha portato ad azioni più concrete, articolate in interventi a lungo termine. Paolo Cascone, fondatore dello studio COdesignLab, si occupa da vent’anni di design in aree prioritarie del terzo mondo, in particolare in Africa. Il suo ultimo progetto è una scuola di design e di prototipazione digitale in Camerun. “È un modello facilmente ripetibile, in grado di fare la differenza per le microeconomie locali. Abbiamo costruito un’architettura semplice utilizzando tecniche e materiali vernacolari, mitigati dal dialogo con la tecnologia occidentale”. Perché una scuola? “Perché nel 2034 in Africa si concentrerà la più grande forza lavoro del mondo. Occorrono educazione, progetti didattici che supportino lo sviluppo di una volontà progettuale e produttiva basata sull’utilizzo delle risorse locali e sulla diffusione delle competenze informatiche”. Perché un adeguato supporto tecnologico e educativo dà vita ad aree di benessere che aiutano a frenare i flussi migratori e a compattare il tessuto economico grazie al radicamento sociale sul territorio. “Ridefinire il concetto di emergenza

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Le ricerche sulle qualità strutturali del cartone hanno portato Shigeru Ban alla progettazione di elementi costruttivi per architetture d’emergenza temporanee, trasportabili ed economiche. Sopra, Okayama, 2018. A sinistra, case d’emergenza dopo il terremoto del 2000 in Turchia.

è un’altra priorità. In Africa l’evento catastrofico è la norma”, spiega il designer. “Non si possono utilizzare parametri occidentali. Fare un passo indietro aiuterebbe a darsi il tempo per osservare cosa sta succedendo su una scala più ampia e forse anche ad attivare quel dialogo di cui l’Occidente ha un grande bisogno per far fronte alle proprie fragilità e focalizzarsi sulle istanze più pragmatiche del social design”. Paolo Cascone quest’anno sarà alla Biennale di Architettura di Venezia. “Ho voluto costruire una mostra intorno ai miei materiali d’archivio”, dichiara. “Disseminare conoscenza è una delle soluzioni più efficaci per scardinare delle strutture di intervento inadeguate e riconfigurare le discipline progettuali in modo che possano fare la differenza”. E la forma? Esiste, convive con l’urgenza, o si sacrifica? Il concetto di bellezza assume delle forme inaspettate in questa cornice. Ed è


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Sopra, la struttura coprogettata e autocostruita che ospita la Fabbers School di Paolo Cascone in Camerun. Un progetto che prevede la disseminazione di sapere progettuale e digitale nei paesi in via di sviluppo.

Sopra, Solar Bottle di Alberto Meda e Francisco Gomez Paz, 2006. È un contenitore in PET trasparente per depurare acqua contaminata seguendo il sistema SODIS (Solar Water Disinfection). A destra, G Bottle, di Giulio Iacchetti, 2019, è un progetto che sfrutta l’invenzione di una impact start up svizzera per la sterilizzazione dell’acqua in zone a rischio batteriologico. Alcune funzioni integrate permettono l’autogestione del processo di depurazione. È disponibile anche una versione tank.

auspicabile, secondo Panos Mantziaras, direttore della Fondation Braillard di Ginevra, anche prendere in considerazione una bellezza che sconvolge i nostri canoni di armonia. Una visione distopica, che malgrado tutto si manifesta con uno slancio ancora una volta estetico per la creazione di un mondo veramente nuovo. È anche così che si immaginano e progettano le transizioni. Nel nostro caso da un’era antropocentrica a un’epoca di interrelazione con il pianeta e le altre specie viventi. Come accade nei progetti degli studenti della Design Academy di Eindhoven. C’è la mascherina che esegue una mappatura biometrica del respiro, che trasforma un accessorio sanitario in un oggetto inquietante e organico. E ci sono i gioielli/tutori per la cura e la riabilitazione dei traumi alle mani. È un design diverso quello che si occupa di fragilità, che parla delle parti più umane e urgenti della cultura materiale. Un design di cui abbiamo bisogno. ■

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Una mostra dei Formafantasma alle Serpentine Galleries di Londra rivela aspetti poco conosciuti dell’industria del legno e fornisce strumenti concreti per una sua trasformazione in chiave di economia circolare. Grazie al design foto di George Darrell di Laura Traldi

Mettendo a nudo l’industria del legno ed esponendola da una molteplicità di punti di vista, “Cambio” è quasi una rappresentazione fisica di una ricerca dottorale. Con un messaggio nuovo e importante, che ha lo scopo di innestare il cambiamento nel modo di produrre e utilizzare il legno, e tante piccole storie che lo sostengono; con un valido supporto comunicativo (un catalogo e un sito), per permettere approfondimenti accessibili a tutti; con uno storytelling che rifiuta l’entertainment fine a se stesso ma non il contatto emotivo con il pubblico (il percorso espositivo, per esempio, è anche accompagnato da un’esperienza olfattiva). Benché realizzata da due designer, “Cambio” – in programma alla Serpentine Gallery di Londra fino al 17 maggio – non è una mostra sul design. Però il design è un suo protagonista ed emerge come disciplina chiave nello sviluppo del sistema economico attuale. E il design, per come lo usano i Formafantasma, è anche uno strumento conoscitivo e di indagine: in grado di creare connessioni, proporre territori di studio alternativi, tirare le fila tra informazioni di diversa natura e sviluppare metodologie di condivisione dei risultati. Qual è il messaggio di “Cambio”? “Cambio” è una richiesta di trasparenza all’industria del legno. Che è opaca per motivi storici, geografici, economici, politici e va raccontata per il suo ruolo chiave in un’ottica di sviluppo sostenibile ed economia circolare. C’è un grande fraintendimento quando si parla di legno: si pensa che sia una scelta naturalmente sostenibile, ma non è vero. In che senso? Un albero, crescendo, trattiene anidride carbonica. Quando viene tagliato, questo processo si arresta. Se l’albero viene sostituito da un altro è una buona cosa. Però ci sono tempistiche che andrebbero rispettate: cioè è bene operare un cambio dopo che la pianta ha raggiunto il momento di massimo immagazzinamento di CO2. Per il rovere si tratta di 120-150 anni. Nessuna foresta dura mai

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CAMBIO DI ROTTA

così a lungo, oggi. Nello stesso modo ogni oggetto di legno, per essere sostenibile, dovrebbe idealmente durare più o meno quanto l’albero da cui è stato prodotto. Se le tempistiche di scarto del legno sono più veloci della crescita degli alberi e se il legno usato per produrre oggetti viene bruciato invece che riciclato prima del tempo, non ci può essere un equilibrio sostenibile. Queste cose sono note agli scienziati ma non vengono mai dette. A volte si tratta di malafede, ma molto spesso di non-conoscenza. Perché stiamo parlando di un’industria complessa e tentacolare, il cui sviluppo af-

Un dettaglio dal dipinto Apollo che insegue Dafne, di René-Antoine Houasse, 1677. L’opera è conservata nel Palazzo di Versailles ed è stata usata dai Formafantasma per iniziare il racconto sulla costruzione della mostra Cambio su Instagram.


All’entrata della mostra, un tronco prelevato dalla Val di Fiemme, uno dei numerosissimi caduti durante la tempesta del 2018. I designer lo hanno voluto esibire come incipit del percorso espositivo, cogliendo il momento in cui l’albero da essere vivente diventa oggetto. Sotto, i due designer di Formafantasma, Andrea Trimarchi e Simone Farresin.

fonda le radici nella storia primitiva e ha accompagnato il divenire economico dell’umanità. A cosa serve chiarire quello che fa davvero l’industria del legno, in termini di sostenibilità? Fare luce sulla complessità è il primo passo verso il cambiamento da un’economia lineare a una circolare: perché deve diventare chiaro a tutti che senza un Life Cycle Assessment (cioè un’analisi dell’impatto ambientale che tenga conto di tutti i fattori in gioco, dall’estrazione del materiale alla lavorazione, alla produzione eccetera) non si potrà mai valutare il segno ecologico di qualcosa. Spesso anche le migliori intenzioni sortiscono risultati che impattano in modo negativo sull’ambiente, semplicemente perché si ignora la complessità che esiste nel sistema dell’industria del legno. Perché la mostra si intitola “Cambio”? Il titolo ha due livelli di lettura. Da un lato è – in senso letterale – un’esortazione al cambiamento. Dall’altro, invece, fa riferimento al Cambium, uno

strato di cellule tra la corteccia e l’interno della pianta che la aiuta a comunicare con l’esterno. È grazie al Cambium che è nato il legno, cioè la corazza che alcune specie hanno sviluppato, nella loro evoluzione, a causa di shock climatici. E, in senso metaforico, il Cambium simboleggia la pianta come essere che si trasforma nel tempo, quindi come essere vivente e non oggetto. L’esposizione si apre con un tronco abbattuto dalla tempesta del 2018 in Val di Fiemme, che viene presentato nel momento in cui da essere vivente diventa oggetto. Quanto conta questo ‘fattore emotivo’ rispetto all’assunto della mostra? C’entra molto, ma non per stimolare il patetismo. Conta perché quando si credeva nella sacralità degli alberi li si rispettava molto di più di oggi, e a quel rispetto è ora necessario tornare, usando qualsiasi mezzo. Non è un caso che il percorso narrativo della mostra inizi e finisca parlando dell’animismo come chiave per la conservazione. In epoca pre-cristiana, infatti, i luoghi sacri delle foreste, dove avvenivano i riti pagani, venivano pre-

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In collaborazione con il Thünen Institut di Amburgo, è stata radunata una collezione di oggetti in legno di cui è stata analizzata la provenienza. Ne è emerso che spesso, negli oggetti più economici, sono stati impiegati legni protetti, il cui uso è proibito. Nella stessa immagine, sette repliche dello sgabello Bekväm di Ikea, in sette diverse specie di legno. Per una gestione sostenibile delle foreste, a ogni specie di albero corrisponde un tempo di ricrescita ottimale, che il ciclo di vita dell’oggetto dovrebbe coprire. A destra, il video all’entrata della mostra, con il racconto della storia del paesaggio.

servati. E l’esposizione si chiude con un testo di Emanuele Coccia in cui l’io narrante è una quercia che offre il suo punto di vista sul rapporto tra uomini, natura, tempo, vita e morte. Cosa si vede in “Cambio”? La mostra si apre con due video: sulla storia del paesaggio e sull’industria del legno. A questa prima parte didattica segue una analisi del materiale da diversi punti di vista. Abbiamo lavorato con decine di esperti di svariati settori, ai quali abbiamo affidato compiti che li hanno costretti a uscire dai canoni del loro tradizionale territorio di ricerca. Il visitatore troverà quindi la spiegazione di un dendrocronologo su quello che il legno racconta del cambiamento climatico. Avrà la possibilità di osservare un’analisi forense su oggetti in legno di uso comune per valutare se contengano o meno materiali di specie protette. Ci si potrà addentrare nel mondo della carta, scoprendo che il pulp che si usa per fabbricarla è un unico magma in tutto il mondo. Un’installazione di sgabelli Ikea realizzati in diverse essenze di legno spiegherà qual è la durata ideale e sostenibile di un prodotto. Come viene raccontato il ruolo economico del legno? “Cambio” spiega chiaramente che gli imperi sono

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nati, cresciuti e morti – dall’epoca romana al colonialismo globale e oltre – intorno alle foreste. Ecco perché una parte della mostra è dedicata alle librerie delle essenze. Non a caso la prima è nata nel paese colonialista per eccellenza, l’Inghilterra. Era quella di Kew Gardens, che abbiamo ricostruito in mostra, si chiamava Economic Botany Collection e fu realizzata in contemporanea al V&A Museum subito dopo la Great Exibition del 1851 (che è anche il momento in cui la regina Vittoria chiese a Henry Cole di trasformare le scuole d’arte del Regno Unito in scuole d’arti applicate all’industria – cioè di design). Capire il legno e come sfruttarlo dava un enorme potere economico ai paesi che erano in grado di farlo. Ora però la gestione di queste risorse, per essere realmente sostenibile, dovrebbe essere transnazionale, lasciando il potere decisionale alle popolazioni locali. Come si evince da diversi studi e come ha evidenziato anche Philipp Pattberg, do-


Sotto, l’installazione The archive of lost forests presenta una selezione di legni importati da ogni angolo dell’impero britannico ed esposti durante la International Exhibition di Londra del 1862. La collezione, nata con intenti puramente economici, viene utilizzata oggi per contrastare il mercato di specie di legno protette. In basso, campioni di legno raccolti in occasione della Great Exhibition del 1851. Le etichette ne illustrano l’uso nelle culture indigene dei luoghi di provenienza, e suggeriscono un possibile impiego nel mondo occidentale. In un campione di ebano verde, l’etichetta descrive il legno come già estinto.

cente di Politiche Ambientali alla Vrije Universiteit di Amsterdam. Analizzando diverse metodologie di gestione delle foreste, Pattberg ha realizzato per “Cambio” un Documento per i Diritti degli Alberi, formulato come un government paper da cui si potrebbero emanare trattati per la gestione condivisa e transnazionale dei beni forestali.

La mostra parla anche molto della Val di Fiemme. Come mai? Volevamo che il supporto fisico della mostra fosse parte del messaggio. Invece di creare strutture che poi andrebbero smantellate, abbiamo progettato degli arredi usando il legno di alberi abbattuti dalla tempesta del 26-30 ottobre 2018 in Val di Fiemme, un evento meteorologico che è stato un cataclisma per la zona e per l’ecosistema. In pochi giorni sono caduti gli alberi che di solito vengono abbattuti in 14 anni, in zone impervie, difficili da raggiungere. Uno di questi alberi apre la mostra ed è esposto tagliato a fette. Dietro di esso, in un video, un dendroclimatologo dell’università di Padova illustra – osservando gli anelli del tronco che il visitatore ha davanti a sé – come la temperatura sia aumentata dal 1860, l’anno in cui l’albero è nato, al 2018, quando è stato sradicato dal vento. Quello che si evince è che dal 2003 in poi le temperature medie si sono alzate senza sosta. La storia della Val di Fiemme – che tra l’altro è all’avanguardia nella conservazione – è in questo senso simbolica. I due video di apertura, sulla storia della foresta e su quella dell’industria del legno, sono molto lunghi ma fondamentali per capire la mostra. Cosa raccontano? Per il primo video siamo partiti dal momento in cui le piante sono emerse dalle acque e poi, operando salti temporali, spieghiamo come si sia evoluto il concetto di conservazione e come le foreste siano state al centro dello sviluppo economico e sociale di tutta la popolazione mondiale. Non tutti sanno, per esempio, che gran parte delle foreste sono state piantate, in tutto il mondo, per rispondere a necessità economiche. O, ancora, che gli scienziati, già nel XVIII secolo, sapevano che tagliare le foreste avrebbe fatto alzare la temperatura sul Pianeta. O che Il concetto di sostenibilità (Nachhaltigkeit) può essere ricondotto a un ragioniere che gestiva il settore minerario per conto della corte sassone di Freiberg, Hans Carl von Carlowitz (1645–1714). Il secondo video, invece, è un excursus di informazioni – recuperate con la UK Investigative Agency, un gruppo di attivisti di Londra – sull’industria del legno per quanto riguarda l’estrazione: dove sono le foreste e perché, come vengono conservate e sfruttate, i sistemi di certificazione e così via. “Cambio” non è una denuncia ma una messa a nudo di un’industria. Qual è il passo successivo per arrivare al cambiamento reale? Capire la complessità vuol dire accettare il fatto che il sistema di estrazione e uso dei materiali, di lavoro sottopagato e prezzi al pubblico al ribasso – cioè quello su cui si basa la nostra economia – è il colpevole della tragica situazione in cui ci troviamo. Nessuno, da solo, può portare al cambiamento. Ma la mostra richiama l’attenzione sul ruolo chiave che la ricerca può avere per aiutare le aziende illuminate a comprendere e iniziare la trasformazione. E su come il design può stimolarle e sostenerle in questo processo. ■

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L’immaginazione al potere, installazione firmata da Konstantin Grcic al Maxxi di Roma per Alcantara, con la curatela di Domitilla Dardi. L’opera visionaria, realizzata con il matte painter Najeeb Alnajjar, ritraeva opere di Giuseppe Perugini, Maurizio Sacripanti, Sergio Musmeci e Bernard Khoury.

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PROJECT

IL DESIGN HA SENSO SE CREA RELAZIONI di Paolo Casicci

Risvegliare il riconoscimento del valore delle cose, ma soprattutto connettere gli uomini tra di loro. Konstantin Grcic spiega come i mobili possono riconquistare il ruolo che la tecnologia rischia di togliergli: progettando bellezza e intelligenza

Prima o poi doveva accadere: sentire Konstantin Grcic citare nientemeno che René Magritte. È successo al Maxxi di Roma, dove il più industrial dei designer contemporanei si è trovato a parlare sulle sedute in Alcantara disegnate da lui stesso per L’immaginazione al potere, l’installazione firmata a febbraio, con la curatela di Domitilla Dardi, per raccontare l’azienda del materiale tecnologico ‘impossibile’. Un’opera realizzata con il matte painter yemenita Najeeb Alnajjar, autore di sfondi immaginari per il cinema. Una visione potente che ha messo insieme, come sul grande schermo, le architetture fantastiche di tre grandi progettisti italiani del secolo scorso, Sergio Musmeci, Giuseppe Perugini e Maurizio Sacripanti, con quella non meno ardita e più vicina nel tempo del libanese Bernard Khoury. Davanti a un quadro surreale giocato tra immagini vere e fantastiche, natura e artificio, fuori scala e dettagli che, uno sguardo dopo l’altro, davano vita a un’esperienza percettiva ‘alla Magritte’, Grcic ha raccontato il senso dell’essere industrial designer oggi. Un senso molto difficile, se perfino lui, il designer ‘di processo’, saldo e rigoroso, che esalta i know how delle aziende spingendoli un passo fuori il perimetro dato, sembra essersi rifugiato nel fantastico. “E invece

questo progetto non è ‘altro’ dal mio lavoro di tutti i giorni, semmai un modo per allargare il campo e tornarmene alla mia attività di sempre un po’ cambiato. Oggi noi designer operiamo in contesti troppo veloci e commerciali: gli architetti ai quali ho reso omaggio, invece, sono stati come dei razzi lanciati sulla Luna, per di più senza avere a disposizione la tecnologia su cui possiamo contare noi adesso. Per questo devono essere d’ispirazione e farci recuperare una visionarietà che forse abbiamo perduto”. Più volte, chiacchierando, Grcic parla di un senso di frustrazione che soltanto alla fine proverà a mitigare: “Oggi trovo visionarietà nel digitale, nell’elettronica e nell’industrial design che ruota intorno a questi ambiti. Il mio mondo, invece, quello che ha fatto la storia del mobile, sembra aver perduto la capacità di legarsi a ogni aspetto della vita umana, di segnare e accompagnare i cambiamenti delle persone e della società. È come se l’arredamento non riuscisse più a emergere con nuove proposte. Ed è frustrante constatare come anche chi lavora con il digitale vivrebbe volentieri circondato di mobili vintage. Eppure l’industria del mobile ha in sé la forza di cambiare e tornare a come quando, negli anni Sessanta, percepivi che dentro un oggetto c’erano un senso di libertà e

In alto, un ritratto di Konstantin Grcic. Sotto, a sinistra, disegni dello sgabello multifunzione Stool-Tool per Vitra. A destra, la lampada My Day per Flos: premiata con il Compasso d’oro, può essere posizionata su un tavolo, collocata a terra o sospesa, grazie alla pratica maniglia che assolve anche la funzione di avvolgicavo.

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una visione proiettata verso il futuro. Adesso è come se il product design avesse perso credibilità a favore della tecnologia e dei servizi. Siamo in una sorta di impasse: per questo progetti come quello per Alcantara servono a trovare nuovi stimoli, a portare nel mio studio nuovi spunti”. Ma che cosa vuol dire avere una visione, oggi, per un designer attivo nell’industria del mobile, concentrata a progettare infinite varianti di prodotti già esistenti? “Nessuno rimprovera all’industria del fashion di continuare a ridisegnare camicie e pantaloni: la moda è riuscita meglio di altri settori a dare l’illusione di rinnovarsi continuamente. Noi designer di prodotto dobbiamo ogni volta partire da chi ci ha preceduto aggiungendo un tassello: è così che si va avanti. Con i miei mobili non cerco la nostalgia, ma la lezione delle cose del passato fatte bene”. Un altro aspetto fondamentale, dice Grcic, è confidare nell’attitudine a infondere negli oggetti una sorta di intelligenza in grado di sviluppare relazioni tra l’uomo e le cose e tra gli esseri umani stessi. “L’intelligenza degli oggetti è fondamentale. Uno dei miei pezzi più celebri, la lampada May Day per Flos del 2000, è un oggetto che ‘connette’, nel senso che invita chi la usa a capirla e a utilizzarla sfruttandone appieno le sue possibilità. Negli anni questa dote si è trasferita in device tecnologici come, per esempio, gli smartphone, che sono diventati estensioni della persona. Ecco, May Day è una lampada, ma è anche in qualche modo un’estensione di chi la usa. Con la differenza che l’Iphone ha il problema dell’obsolescenza e va cambiato dopo qualche tempo, anche se non vorremmo mai separarcene. La sfida, per un designer, è allora realizzare progetti che siano rilevanti per le persone e le loro vite come lo sono diventati gli smartphone. Il buon design sono mobili e oggetti con una personalità e che stabiliscono un rapporto con noi. E a noi designer tocca dar loro vita”. Una sfida non semplice, se è vero che in questi anni il sentimento di appartenenza si è trasferito via via dagli oggetti ai servizi e dalla proprietà allo sharing. Ma è davvero così? “Tanto per cominciare, non tutto può essere condiviso, anche se, certo, la sharing economy sta cambiando la realtà nel verso giusto. E poi trovo che non ci sia ancora abbastanza design in alcuni campi come, per esempio, il bike sharing, un settore dove vedo troppi mezzi lasciati in giro per le strade semplicemente perché chi li usa non riconosce loro valore e bellezza. Un designer deve generare questa bellezza, perché intorno a un oggetto bello ci sono consapevolezza del valore e rispetto. Non voglio sembrare un nostalgico, ma forse le generazioni precedenti erano più abituate

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ad apprezzare questo valore. Sono convinto che i più giovani capiranno presto che un servizio senza qualcosa di bello da toccare ha poco senso”. Grcic si ferma un attimo, torna indietro con i pensieri: “Più volte ho detto di sentirmi frustrato, ma attenzione: le mie previsioni su dove andrà il design sono positive. Ci troviamo a un bivio, i nostri sono tempi incerti e perciò stimolanti. Trent’anni fa la parola design era associata a realtà puramente estetiche, oggi è entrata nel lessico dei politici. Il design può giocare un ruolo importante, nelle nostre vite. Godiamoci questo momento in cui forse sta diventando qualcosa di diverso”. ■

Sotto, da sinistra, il tavolino Cugino per Mattiazzi e la lounge chair Cup per Plank. In basso, Chair One, seduta icona progettata per Magis in alluminio con base in cemento.


Smart Mobile Disco è il progetto di Grcic che utilizza l’abitacolo del celebre modello di automobile per muovere una cabina aerea da dj. Sotto, l’allestimento della mostra “Night Fever” dedicata alla cultura della disco music, firmato da Grcic per il Vitra Design Museum nel 2018.


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ORA, DOMANI, SEMPRE

Il senso della storia anima fin dall’inizio la produzione Knoll. Così i progetti dei nuovi designer si armonizzano con quelli dei maestri del passato, in una visione allargata che accoglie le sollecitazioni del contemporaneo ma sa guardare oltre, per una modernità che si rinnova nel tempo di Domitilla Dardi

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Qui accanto, un ritratto di Hans e Florence Knoll. Sotto a sinistra, la poltroncina girevole KN01, design Piero Lissoni, 2018 (foto Federico Cedrone). A destra, la poltrona girevole KN02 con schienale reclinabile e poggiapiedi KN03, disegnata sempre da Piero Lissoni, 2018 (foto Federico Cedrone).

Non bastano i premi, le firme o i numeri per definire la grandezza di un’azienda che da oltre settant’anni è un riferimento assoluto del suo settore. Se la formula fosse facile come un’equazione matematica replicabile, ci sarebbero riusciti in tanti. Serve, al contrario, una profonda consapevolezza della propria unicità, la chiarezza nel perseguire l’obiettivo di una modernità che si rinnova nel tempo. Così, quando Hans e Florence Knoll hanno fondato la loro azienda, non si sono rifatti ad alcun modello precedente, ma hanno creato la loro propria linea di pensiero: volevano un catalogo che riunisse grandi maestri del progetto capaci di una lettura dell’oggetto interrelata con lo spazio; architetti con un respiro ampio, in grado di sintetizzare nell’arredo una visione complessa, che comprendesse la relazione tra uomo, spazio e funzioni vitali. Oggi, dentro la Knoll, confluiscono i progettisti del presente, quelli magari destinati a diventare i maestri di domani, ma soprattutto coloro che sono in grado di mantenere sempre vivo quello sguardo allargato. “La nostra identità”, spiega Demetrio Apolloni, presidente di Knoll Europe, ”nasce dal dialogo con i protagonisti del progetto. Preservare questo patrimonio inestimabile vuol dire da un lato ricordarci da dove nasciamo, e dall’altro essere sempre attivi recettori delle sollecitazioni contemporanee. Il fatto di avere la Storia dentro la nostra impresa ci rende responsabili verso il tempo che viviamo e i suoi nuovi interpreti, per continuare ad alimentare il flusso dell’Original Design”.


Due celebri progetti di Eero Saarinen: la poltrona Womb Relax del 1946, qui abbinata al suo poggiapiedi, e i tavolini Saarinen del 1957. Foto Gionata Xerra


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Sopra: il tavolo Smalto di Edward Barber & Jay Osgerby, 2019, dialoga con le poltroncine Platner disegnate da Warren Platner nel 1962. A sinistra, il divano Avio di Piero Lissoni, 2017. Foto Federico Cedrone. A destra, due pubblicità d’epoca: quella della poltrona Barcelona® di Mies van der Rohe, 1929, e quella realizzata da Herbert Matter per la poltroncina Tulip, collezione Pedestal, disegnata da Eero Saarinen nel 1958. Courtesy of Knoll

Gli autori che oggi raccontano la storia più recente di Knoll sono architetti e designer di chiara fama, certo, ma non solo. Quello che unisce personalità così uniche e diverse tra loro, come Koolhaas, Lissoni, Barber & Osgerby – solo per citarne alcuni – è la capacità di creare prodotti che esprimono lo Zeitgeist, lo spirito del nostro tempo, ma con una vocazione a superarlo e guardare oltre. Gli arredi che disegnano sono diversissimi tra loro, non creati in continuità gli uni con gli altri, eppure perfettamente in grado di dialogare tra loro e armonizzarsi ai grandi classici della produzione Knoll, da Saarinen a Mies van der Rohe. Per farlo occorre la capacità di essere contemporaneamente dentro e fuori dal proprio tempo, immersi nel proprio contesto culturale ma in grado di emanciparsi per osservarlo da una prospettiva allargata. Che è poi quello che distingue un linguaggio autoriale da uno stile o una moda passeggeri. I fonemi di questo linguaggio possono stare in una dimensione internazionale e cosmopolita, con la fierezza di rappresentare le culture particolari che veicolano. Per questo in un ambiente Knoll il dialogo tra opere di epoche diverse non è mai stridente, ma sempre integrato: ognuno apporta il proprio in una condivisione di visioni progettuali che arricchisce, che sa creare distinzione ma non separatezza. Ad analizzarle singolarmente, le voci di questo coro sono molto personali. Il divano Gould Sofa di Piero Lissoni e il suo tavolo Grasshopper, ma anche la KN Collection, per esempio, hanno il ruolo di un grande tenore, capace di seguire l’orchestra, ma anche di creare magnifici assoli. Sono classici del nostro tempo, che non hanno niente da invidiare a quelli dei grandi maestri. Sono gli eredi di quel Modern Always che da sempre identifica l’obiettivo dell’azienda e dei suoi interpreti. Una voce più giovane è poi quella del tavolo Smalto di Barber & Osgerby, che possiede quella leggerezza nel dialogare con i grandi della storia che solo le nuove generazioni del talento possiedono, senza sentirsi schiacciate dal peso della responsabilità di un’eredità così importante. Solisti e coristi, interpreti e orchestrali sanno bene che i loro ruoli sono complementari e indispensabili gli uni agli altri. Come nel celebre e geniale concetto del “meat and potatoes” di Florence Knoll. Ecco allora che dal 2013 inizia una collaborazione con un interprete della nostra contemporaneità come Rem Koolhaas e il suo studio OMA. L’architetto olandese disegna quello che è decisamente un pezzo d’accento, in perfetta continuità col suo pensiero architettonico e con la teoria della sua visione che vi trova realizzazione. Tools for life non è infatti un arredo che segue la partizione delle tipologie canoniche, ma un vero e

proprio dispositivo per attivare funzioni e relazioni. Non un divano, un piano d’appoggio, un tavolo o una panca, ma tutti questi elementi messi insieme e molto altro. Il coinvolgimento del fruitore e il suo codice culturale interpretativo divengono fondamentali, come nelle sue architetture, chiamandolo ad essere parte attiva delle funzioni che possono scaturire da un prodotto per certi versi imprevedibile e mutevole. Spiega l’autore: “Volevamo creare una linea di

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arredi che potesse prestarsi a un uso ben preciso ma al contempo imprevedibile, mobili che contribuissero non solo ad arredare gli interni ma anche ad animarli”. La possibilità offerta ai progettisti da Knoll è, infatti, quella di intervenire con i loro pezzi nel determinare nuove modalità dell’abitare e diverse funzioni dello spazio. La versatilità può essere quella di arredi adattabili ai contesti più differenti, e non solo per una questione di ‘stile’. La modernità declinata in un continuum temporale rivela modi sempre aggiornati di rispondere a quesiti che nascono dai nostri bisogni nel tempo. L’esigenza, per esempio, di creare un ambiente ufficio con una forte presenza di fattore umano e personale è considerata tanto nei classici di Florence Knoll ed Eero Saarinen degli anni ’50, quanto nelle proposte di adesso. Oggi lo spazio del lavoro si fonde sempre più con lo spazio della vita, perché si lavora non solo in ufficio, ma in una condizione

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mobile e fluida, dove anche lo spazio pubblico e quello domestico possono diventare i nostri ‘uffici’ temporanei. È un concetto che non sarebbe oggi praticabile, se nel passato quei grandi pionieri non avessero lavorato nella direzione di un progetto umano e caldo, spesso anche personalizzato come un ritratto o universale grazie alla sua declinabilità. Ripensare il proprio passato è un modo di affermare la contemporaneità della storia, il suo essere un eterno presente. Quindi lo spazio Knoll al Salone 2020 viene dedicato alla rilettura del grande Eero Saarinen visto da un progettistacuratore di oggi come Ippolito Pestellini Laparelli, già socio di OMA e ora titolare dello Studio 2050+. “SuperSaarinen”, ci spiega, “è articolato in

Sopra, l’allestimento “Tools for Life” ideato nel 2013 dallo studio OMA per la sfilata Prada Uomo A/I 2013, con gli arredi realizzati da Knoll su disegno di Rem Koolhas. Sotto, il sommier Barcelona® disegnato da Ludwig Mies van der Rohe nel 1929.


un billboard digitale che racconta la produzione Knoll dividendo diagonalmente lo spazio. In opposizione a questo, una zona rialzata più domestica ospita i vari setup ai quali fanno sfondo collage di documenti d’archivio e una selezione di nuovi materiali sostenibili incapsulati in gabbie metalliche. Il soffitto cassettonato in alluminio è un chiaro riferimento al General Motors Technical Center – capolavoro del maestro – ed enfatizza la divisone dello spazio, da una parte più informale, dall’altra più intimo”. Detto in sintesi: ancora una volta Modern Always. ■

In alto: una veduta della mostra itinerante “The Original Design” e, a sinistra, uno dei talk organizzati in occasione della mostra. Foto di allestimento: Collezione Mies van der Rohe. In vetrina, le poltrone Barcelona® firmate Ludwig Mies van der Rohe, 1929. Foto Flore Chenaux

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IN SOSPENSIONE Funzionalità ed estetica, ovvero l’anima del progetto, sempre in continua evoluzione, interpretate in una sequenza di immagini di oggetti quotidiani di Nadia Lionello foto di Simone Barberis

Band, sedia per outdoor di alluminio verniciato in 25 varianti colore con seduta e schienale rivestiti in tessuto acrilico in 39 varianti colore. Disegnata da Patricia Urquiola per Kettal.

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Belt of Venus, scultura luminosa in vetro di Murano soffiato e lavorato a mano. Fa parte della collezione LuminositĂ disegnata da Hani Rashid e Lise Anne Couture per Venini.

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Baby Geo, poltroncina disegnata da Paolo Grasselli, composta dal pouf Geo predisposto all’aggancio della struttura dello schienale in tondino metallico, con finitura color grigio, ottone satinato o rame lucido. Lo schienale curvo imbottito è rivestito in velluto, il pouf è foderato da tessuto di lino con stampa a tema botanico disegnato da Antonio Marras in esclusiva per Saba Italia.


Miami, lampada a sospensione con diffusore in vetro piano con stampa digitale e struttura in ottone. Design di Elena Salmistraro per Torremato - Il Fanale.

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Debeam, consolle in vetro extrachiaro e gabbia in metallo con finitura oro lucido. Design di Debonademeo per JCP Universe.

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01 Chair, sedia con struttura in tubo metallico cromato o verniciato e seduta rivestita in pelle. Design di Shiro Kuramata per Cappellini.

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Odissey, tavolino con piano tondo in vetro inciso al laser, e Alibi, tavolino con piano rettangolare in resina con motivo geometrico; hanno base in tondino d’acciaio cromato e sono disegnati da Mauro Lipparini per Arketipo.

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Kathleen, specchio da terra dalla struttura in metallo con finitura metallizzata e cornice in vetro fuso a gran fuoco, con retro verniciato in tinte trasparenti fumo, rosa antico o ambra. Ăˆ dotato di sistema di retro-illuminazione integrato nella struttura. Disegnato da Davide Oppizzi per Fiam Italia.

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NUOVE GEOMETRIE Archi che ricordano edifici razionalisti e definiscono poltrone o sedie ultraleggere, spirali che creano centritavola, piani sfaccettati per costruire oggetti e tavoli scultura...E lampade in marmo disegnate semplicemente con una linea, un cubo e una sfera di Carolina Trabattoni foto di Paolo Riolzi

Fyra, tavolo in rovere naturale con piano di forma curvilinea e rettangolare insieme, diviso in quattro quadranti con venature a vista, di Alf DaFrÊ. Gio Chair, sedia in massello di frassino sbiancato della collezione Greenkiss, progettata da Paolo Castelli, Hubert de Malherbe e Thierry Lemaire per Paolo Castelli. Swell I, tappeto in lana e seta della Reverence Collection by Fernando Mastrangelo per Edward Fields, Tai Ping. Desert Botanica, carta da parati in vinile di Studiopepe per Wall&decò. 84 / aprile 2020 INTERNI


Paris, lampada da tavolo design Studio Job per Qeeboo, inizialmente prodotta in edizione limitata e ora ridisegnata nelle forme e nei materiali: in plastica con diffusore in ottone e basamento dorato. Rappresenta la Tour Eiffel, architettura d’affezione per Studio Job, curvata verso il basso a creare una luce.

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Dab Penguin, scultura in ceramica, firmata da Vittorio Gennari per Bosa, realizzata con la tecnica lowpoly, cioè con modello 3D a basso numero di poligoni. Il gesto del pinguino fa riferimento a quello che viene fatto dagli sportivi dopo una prestazione eccezionale ed è un richiamo alla sensibilizzazione per i pinguini in estinzione. 86 / aprile 2020 INTERNI


Lady Hio, tavolo con piano in cristallo trasparente extralight, gambe cilindriche e affusolate in marmo Nero Marquina con piastre di fissaggio e piedi in alluminio spazzolato anodizzato oro, design Philippe Starck per Glas Italia. Eclissi, lampada con stelo metallico, base cubica e bulbo luminoso in marmo Calacatta, design Eugenio Biselli per Franchi Umberto Marmi. INTERNI aprile 2020 / 87


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Super Rock, collezione Super Fake, tappeto in lana himalayana, seta e fibra di cotone, annodate a mano, design Bethan Laura Wood per Cc-Tapis. Green Desk, consolle dalle forme scultoree in legno massello laccato verde, di Kiki van Eijk per Exto.

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Happylife, sofà outdoor modulare dalle forme essenziali che può diventare divano e piano d’appoggio, in polietilene bianco con imbottitura e rivestimenti tessili impermeabili, design Daniele Bedini per Slide. Desert Botanica, carta da parati in vinile di Studiopepe per Wall&decò.

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Centrotavola Trinity, visto dall’alto, in acciaio colorato con resina epossidica nera, ispirato alla spirale della conchiglia; unisce la bellezza di una struttura naturale con i moderni processi di produzione; design Adam Cornish per Alessi.

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Anna, poltrona con struttura metallica rivestita in cuoio naturale traforato, realizzata al laser con profili in acciaio finitura Palladium; sui braccioli e sullo schienale 144 archi simmetrici rimandano alle arcate del Palazzo dell’Eur a Roma, sede del gruppo: Fendi Casa by Luxury Living Group. Desert Botanica, carta da parati in vinile di Studiopepe per Wall&decò. INTERNI aprile 2020 / 91


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WOOD

MOOD

Alta tecnologia e alta ebanisteria si sposano per dare vita a nuove espressioni del legno. Texture tattili, spessori ultrasottili, intarsi policromi, tridimensionalitĂ inattese rivelano una inedita versatilitĂ del materiale, dalle superfici ai mobili, fino alle luci di Katrin Cosseta

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In questa pagina: mobile contenitore dalla collezione Tesaurus di Antonio Citterio per Maxalto, ante impreziosite dall’impiallacciatura in legno di rovere o tineo cileno con un motivo a elementi a dama sfalsati con vene incrociate. Sullo sfondo, rivestimento in legno a geometria complessa Wood-Skin Acoustic di Wood-Skin, che consente di gestire in modo variabile le proprietà di assorbimento o diffusione del suono. Le forature più o meno dense per zone con performance specifiche e i materiali fonoassorbenti sul retro che seguono organicamente la forma danno vita a un sistema controllato che cambia a seconda delle richieste del progetto acustico. Pagina accanto: lampada a sospensione Illan di Zsuzsanna Horvath per Luceplan, costituita da un corpo leggero, ottenuto da un multistrato in legno, estremamente sottile e flessibile, tagliato al laser. Sgabello/tavolino Clessidra di Mario Botta per Riva1920, nell’edizione speciale per i 100 anni dell’azienda, composto da liste incollate di legno massello di noce finitura Centenarium Collection.


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Arazzi dalla Intarsia Collection di Elisa Strozyk in ‘wooden textile’, una superficie flessibile composta da tessuto e tessere geometriche di legno, con pattern colorati ispirati alla tecnica dell’intarsio. Mobile contenitore Stria, di Pietro Russo Design, decorato con un motivo geometrico inciso in bianco e nero; realizzato con impiallaccio in tanganika frisé, ha interni in acero e gambe d’ottone.


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REVIEW

Officabor asitasp iscias il maximil iquaepe rspidio eos es expere dolo tes id maxim sed molorem qui ducias dolorecerum facilla boressi magnis ea volorem alignis perione conseque recatibus assinve ndelesequate venihic te digent qu Officabor asitasp iscias il maximil iquaepe rspidio eos es expere dolo tes id Tavolini Caryllon di Cristina Celestino per Gebrßder Thonetmagnis Vienna,eacon struttura in legno curvato a sezione quadrata e piano in tranciato di legno maxim sed molorem qui ducias dolorecerum facilla boressi volorem alignis perione conseque recatibus assinve ndelesequate venihic te digent colorato che richiama la tecnica intarsioiquaepe straw marquetry dell’Adolo rt DÊco. qui dia Officabor asitasp iscias ildi maximil rspidio eostipica es expere tes id maxim sed molorem qui ducias dolorecerum facilla boressi magnis ea Alberi decorativi stilizzati Herringbone di Raw-Edges per la Vitra Accessories Collection di Vitra, volorem alignis perione conseque recatibus assinve ndelesequate venihic te digent qui dia i dia realizzati in legno colorato per successive immersioni. Pavimento/rivestimento in legno Perigal nella nuova variante Tiglio Ottanio ideato da Paola Lenti per Listone Giordano, collezione Natural Genius, caratterizzato da moduli derivanti dalla scomposizione del quadrato e da pennellate di colore che lasciano visibili le naturali venature del materiale.


Dall’alto: madia Mirar dalla Orbis Collection di Elena Salmistraro per Emmemobili, realizzata in legno multistrato curvato impiallacciato, con frontale impreziosito da intagli e intarsi di rovere in varie finiture: di fossa, amaranto, termotrattato scuro e silver. Panca/contenitore Marwari di Hästens, in legno di noce intarsiato, con gambe in ottone; design Bernadotte & Kylberg. Sedia Petal disegnata da Craig Bassam per BassamFellows con struttura in legno massello di rovere o noce e scocca e braccioli in legno a stampa 3D. Sullo sfondo, Alpi Grada di Patricia Urquiola per la Designer Collection di Alpi, nuova superficie decorativa in legno composto, basata su una texture geometrica che gioca sull’accostamento di quattro tonalità.


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Sospensione Hide&Seek disegnata da Ray Power per Lzf; ha diffusore composto da due sottili fogli di legno naturale intagliati in modo da creare un pattern geometrico a effetto tridimensionale che si rivela quando la lampada è accesa. Mobile contenitore Amarcord di Romeo Sozzi per Promemoria in una nuova variante omaggio al Sol Levante. Realizzata con pomoli e base in bronzo, è rivestita da una composizione di wallpaper Kiri, in sottilissimi fogli di legno di Paulownia, prodotta dall’azienda nipponica Tomita. Sullo sfondo, Maze, rivestimento in multistrato di betulla e fibra di vetro EQ•dekor dalla Lineadeko di Inkiostro Bianco, un materiale waterproof di ideale applicazione nell’ambiente bagno.


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A sinistra, Contour Chair di Carl Hansen, riedizione della sedia progettata da Børge Mogensen nel 1949 usando la allora sperimentale tecnica di impiallacciatura a pressione per lo schienale; è proposta in rovere, noce e in una combinazione di queste due essenze con varie finiture. A destra, dettaglio dello schienale del divano E la nave va, di Atelier Oï per Alias, realizato con un sistema di doghe a vista ispirato alla struttura degli scafi nautici in legno; la base è in alluminio. Sullo sfondo, paralume a parete che può essere montato su un’applique esistente, in compensato di bambù, disegnato e prodotto da David Trubridge.


Lampada a sospensione Aimei disegnata e prodotta da Arturo Ă lvarez, realizzata con una scultorea struttura di barrette in legno di frassino. Libreria Alva di Rainer Mutsch per Karl Andersson & SĂśner, composta da sottili listelli di legno tenuti saldamente in posizione dai ripiani; disponibile in rovere e frassino, in diverse finiture. Sullo sfondo, Frame, una delle dieci texture di Groovy, collezione di superfici tridimensionali in legno, per pareti e mobili, prodotte da Tabu accoppiando due fogli di piallacci naturali tinti.


INservice

TRANSLATIONS INtopics EDITORIAL

p1.

The seeds of new life spring from a hand. This is the image chosen by Formafantasma, in their exhibition “Cambio” at the Serpentine Galleries in London, to say that design can play an important role in the translation of contemporary urgencies into punctual, scientific and collaborative responses. We have taken this as our cue to talk about design in a moment of great fragility and uncertainty. We’ve reached April, a month that for the last 30 years has set the pace of the world of design, thanks to the Salone del Mobile and the FuoriSalone, with its 500 events that transform the city into a festive happening of creativity. And for almost 30 years we have devoted our April issue to the new developments companies were ready to launch on the market, after their presentation at Design Week in Milan. This year, due to an unpredictable and puzzling pandemic, we have to set aside these essential appointments. Nevertheless, companies are moving forward with their research and their production, ready to grasp the first opportunity to physically display their new creations in public. They continue to communicate, to let people know they are operative and active, and committed more than ever to following their path of international growth that brings the value of Made in Italy to a worldwide audience. As Francesco Morace emphasizes in this issue, the Italian System – especially in the design industry – can become an antidote: a strong point capable of reinforcing the immune system, wagering on uniqueness, creativity and distinctive style, continuing to meet challenges in terms of ethical and aesthetic quality. It can be the solution to restore the chain of trust that has been interrupted by the health crisis. But it can also be an opportunity to get back to substance, and to the great tradition of Italian design. Gilda Bojardi CAPTION: Detail of the painting Apollo Pursuing Daphne by René-Antoine Houasse, 1677. With this image, Formafantasma have illustrated the concept of the exhibition “Cambio“ on view at the Serpentine Galleries in London until 17 May 2020.

PhotographINg INSTALLATIONS

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Prismatic Cloud by Tokujin Yoshioka in Tokyo. Courtesy of Tokujin Yoshioka Made of about 10,000 transparent rods with a prismatic form, Prismatic Cloud is an enormous light sculpture (10 meters long, 15 meters high) created by Tokujin Yoshioka for the large central space (about 400 square meters) of Ginza Six, the luxury mall in the zone of the same name in Tokyo. Like an evanescent and mutable cloud, it allows us to perceive the energy of nature. The light penetrates through suspended and translucent layers and tangles, apparently floating in the air. The poetic installation by the Japanese designer, on view until the end of October 2020, evokes the simplicity of the natural world, expressed with ethereal elements that intertwine in indefinite compositions to convey a sense of calm and spirituality. (C.F.) tokujin.com

PhotographINg ARCHITECTURE

P4.

Bocconi Campus in Milan, by the studio SANAA. Photo Marco de Bigontina Bocconi University has gone through a growth process, refurbishing the former area of the Centrale del Latte in Milan (a lot of almost 35,000 square meters) to create a new campus designed by the Japanese studio SANAA of the architects Kazuyo Sejima and Ryue Nishizawa, open to the city. The complex is composed of a set of separate volumes with soft, circular lines. One of the distinctive stylistic choices is that of the porticos: the sequence of columns outlines transparent, light buildings with green courtyards at the center. The solutions utilized for the window frames, responding to specific design needs, are also innovative. The companies Simonswerk and Anselmi supplied the hinges for the doors: internal doors by Lualdi; special ones in aluminium and glass by Alman 2000; fire doors by San.Co. (C.F.) sanaa.co.jp, simonswerk.it, anselmisrl.it

PhotographINg ARCHITECTURE & NATURE

P6.

Naturalis Biodiversity Center of Leiden, Netherlands, project by Neutelings Riedijk Architects and Iris van Herpen. Photo Scagliola/Brakkee, courtesy of Neutelings Riedijk Architects More than one kilometer of 3D biomorphic motifs shaped in hand-polished concrete and white marble dust for the new structure of the Naturalis Biodiversity Center in Leiden, Netherlands. The firm Neutelings Riedijk Architects of Rotterdam and the Dutch fashion designer Iris van Herpen collaborated on the expansion of the museum of natural history and research center on biodiversity. Using a specially developed construction technique, the 263 panels that decorate both the inside and the outside of the building have been shaped and ‘draped’ to create threedimensional patterns that reflect the complexity of a geological structure. The multidisciplinary approach of the fashion designer comes to life in textures that suggest fossils and the phenomenon of erosion. In the photo, the new pavilion made in glass, concrete and red travertine, clad in a ‘mesh’ of organic forms. (C.F.) naturalis.nl, neutelings-riedijk.com, irisvanherpen.com

INsights ARTS

P8. WITNESS OF THE AVANT-GARDES by Germano Celant IN HIS PHOTOGRAPHS GIANFRANCO GORGONI, WHO RECENTLY PASSED AWAY, NARRATED THE FERTILE CREATIVE PERIOD OF THE SECOND HALF OF THE 20TH CENTURY, IN PORTRAITS OF GREAT MASTERS AND THEIR WORKS, DEEPLY IN TUNE WITH THE SPIRIT OF THE ARTISTS The photographs of Gianfranco Gorgoni, until 1966, run parallel to his artistic research. They gain life, revealing corporeal factors and secret movements, documenting inner breath and pulsaating energy. They become the eternal confirmation of an art that is linguistically ephemeral and immaterial in the period from 1966 to 1980, marked by Conceptual Art and Body Art, Arte Povera and Land Art. The result is due to the fact that his photos do not serve only to commemorate or to bring back to memory certain facts and events, but act as testimony of participation. They make no distinction between the imaginary life of the artist and the real life of the photographer; the two coincide, offered as reality itself. With his camera – a Leica or a Nikon - Gorgoni unites himself through fascination and attraction with the situation staged by the artist. He uses the image to communicate the artifact, the experience. He tries to bear out an visual aspect ‘other’ than the document or the report, constructing an outcome that feeds on an inner relationship with the external creator. Already, from 1968 to 1971, he approached the protagonists of Pop Art – from Roy Lichtenstein to Claes Oldenburg, James Rosenquist to Andy Warhol – and those of Minimal Art – from Donald Judd to Dan Falvin, Sol LeWitt to Robert Morris – then continuing with the process arts – Joseph Beuys to Mario Merz, Richard Serra to Bruce Nauman. In their regard his attention does not consist in passive observation and the photographic gratification of their art, but attempts to record a more secret, personal life perceived in their studios and their exhibitions. He makes the photographic image into a ceremony, in which he is a sacerdos or a celebrant who ritualizes an event or a situation, without becoming an impersonal tool of their art and their life. What emerges is a crucible of moments, rare and intense, recorded with a new more participatory approach, where the artist is a shaman who makes magical gestures, like the spontaneous action of Beuys who immerses himself, like a strange animalesque being, in the waters and mud of a ditch, or the documentation of the fluid, liquid movement of Serra in the moment in which he gives form to one of his sculptures, in the corner of a space, with layers of molten lead. Gorgoni bears witness to moments of life and art in action. He reveals an occurrance ‘in the situation.’ He acquires for the gaze a knowledge of the conditions of existence of a work. In this sense, he sees photography as an act of complicity with the artist, because he shares in the tension and the magnetic flux. And though his images block and empahsize the action and the event in a shot, their force lifes in the attempt to secrete their energetic fluid. It becomes clear that his use of the large format and the sequence translates his shots into a theatrical or filmic discourse, in which Gorgoni becomes a director who forgets himself and his camera, letting himself by devoured by the plurality of facts and situations, settings and contexts where the artist acts, whether operating in open nature, amidst deserts and plains, or in the studio as a traditional painter or sculptor. The photographs on and with the works of Walter De Maria, Michael Heizer and Robert Smithson solidify an extreme vision liked to a position more external to the restrictive condition of architectural spaces. Gorgoni enters an exteriority that positions him fara from the work, in order to capture the gigantic dimensions. The macro-scale of Double


Negative and Spiral Jetty triggers shots from a remote point in which Gorgoni moves away from the earth, flying (in a helicopter or an airplane), and like a bird with a mechanical eye captures these mega-hieroglyphs, which are macroscopic menhirs and gigantic dolmens of the 20th century. The view from on high permits him to record the ‘telluric’ events caused by human beings, steeped in archaic meanings, that seem to elude any artistic and aesthetic classification, unless through reminding us of the primitive traces left by tribal societies in the form of animals in Ontario and Louisiana, and in the Nazca peoples of the Peruvian plains. They are fusional images in which the photographer gets in tune with the spirit of the artist, not with the aim of interpreting or explaining technical ability, nor an intellectual approach, but in order to grant expressive power. The same thing happens in the 1980s when Gorgoni photographs painters, from Willem de Kooning to Agnes Martin, Georgia O’Keeffe to Alberto Burri, Robert Rauschenberg to Chuck Close, Julian Schnabel, Enzo Cucchi, Jeff Koons and Jean-Michel Basquiat. His photography overflows and fuses in the flux of chromatic effects, almost like the substance of painting, because his way of participating makes him always abandon himself to the all-consuming force of art. From this intensification that sucks him up and makes him again an accomplice, there emerges a dissolving into any communicative mediation. There are no longer two individualities, photographer and artist, placed in parallel, but a pursuit of creative attunement, distinguishable only through the difference of the language. Hence we can understand why the photography of Gorgoni is so spellbinding and magnetic. It offers itself as a presence on its own, granting nothing to the seduction of the document, but presenting itself as an original impulse, deduced from and impregnated by the poetic and fantastic power of the work. In the productions of Altered Images, 1988, and Aquattromani, 198995, Gorgoni’s photography intertwines in an osmosis between images and art itself. Here the artists, from Jannis Kounellis to Gilberto Zorio, Alighiero Boetti to Gino De Dominicis, Sandro Chia to Mimmo Paladino, Keith Haring to Close, have taken photographs by Gorgoni and worked with them, enacting a metamorphosis between different expressive positions. The result is always based on a dialogue between aesthetic complicities, in which one language expresses itself inside another, seeking tension and confrontation. In this way the usual relationships are dissolved, and a metaphorical flow is initiated in which a nucleus of intense research takes form, based on profound sensitivity for a shared goal: the need to reset the boundaries and limits of one’s own doing, to come to earth in another landscape. CAPTIONS: pag. 9 Gianfranco Gorgoni, Roy Lichtenstein, Long Island, 1973. Gianfranco Gorgoni, James Rosenquist, Aripeka, California, 1985. pag. 10 Robert Smithson, Spiral Jetty, Rozel Point, Great Salt Lake, Utah, 1970. Photo by Gianfranco Gorgoni. pag. 11 Gianfranco Gorgoni, Keith Haring, New York, 1988. Acrylic on enlarged photograph printed on canvas, 228 x 182 cm. Gianfranco Gorgoni, Mario Merz, Capri, 1971. Gianfranco Gorgoni, Joseph Beuys, Eindhoven, Holland, 1971.

INsights VIEWPOINT

P12. ANTI-DARWIN by Andrea Branzi IF ART, SINCE THE 20TH CENTURY, HAS BEGUN TO BEAR WITNESS TO PRIMITIVE, SAVAGE BEHAVIORS, TODAY THIS TREND BECOMES MORE ACUTE, OFTEN IN A CREATIVE VIOLENCE THAT RECONNECTS MAN TO THE ANIMAL UNIVERSE AND WELCOMES EVERYTHING THAT WAS ONCE CONSIDERED UNACCEPTABLE, DANGEROUS OR UNCOUTH Today creative connections do not have to do only with relationships between projects and territories, but also with the social and anthropological relations between men and the environmental-animal universe. In the 19th century Charles Darwin discovered the relations existing between man and the animal universe, man and ape, as a profound bond between the society and the world of the forests and tribal aggregations. But since the start of the 20th century this relationship has also manifested itself in processes that move in the opposite direction: not just the ape that progresses into human behaviors, but also man himself who manifests deeper inverse inclinations, developing relations that from the human tend to evolve towards the animals. In the 20th century modern art began to bear witness to primordial, primitive, wild behaviors: not aggressive, perhaps, but capable of expressing utterly unpredictable languages. The savage signs of Francis Bacon, Jackson Pollock or John Cage; modern expressive languages, but totally outside the line that had always connected animal behaviors with civil evolution. In today’s society the creative connections have been progressively contaminated; verbal and creative violence no longer describes behaviors and languages directed at an anthropology exclusively linked to the history of human civilization, but also expresses totally dissociated relationships and conflicts, similar to those of the animal civilization, always considered an unacceptable reality. Art, culture, social and political relations represent a chemical fabric that is also poisonous and unpredictable. The

human condition connected to the animal condition now reveals an extreme, unexpected expressive power, dangerous but also creative, lacking in those historical limits from which the history of man has always sought to keep its civil distance. Incivility, surprise and unpredictability have become an utterly new scenario: in art, design, fashion, music. The 21st century welcomes everything that seemed unacceptable, dangerous or uncouth; new languages and new eccentric behaviors permit the social economy to grow outside the limits of an increasingly fragile globalization. The ape is not, after all, so different from man, and industry today constitutes a polytheist creative jungle for human fauna. CAPTIONS: pag. 13 Andrea Branzi, Evolution, 2018, Friedman Benda collection, New York. Photo Studio Branzi.

INsights MASTERS

P14. ADOLFO NATALINI ARCHITETTORE article Matteo Vercelloni HE CHOSE AN ANTIQUE TERM TO DEFINE HIS VERSATILE TALENT, FROM A POP LANDSCAPE PAINTER WITH THE SCHOOL OF PISTOIA TO A RADICAL EXPONENT OF THE SUPERSTUDIO GROUP, AND A ‘REBUILDER’ SENSITIVE TO THE HISTORY AND SPIRIT OF PLACES. NATALINI PASSED AWAY IN JANUARY, LEAVING A MESSAGE THAT SEES THE RECOVERY OF MEANING OF THE CITY AS THE OBJECTIVE OF ANY “ARCHITECTURE OF REDISCOVERY” “I would have liked to be a painter, then I became an architect, and I would have liked to be a builder. Between desiring and becoming, I realized I had always been a draftsman, so when I ran into the term ‘architettore’ in a historic text, it seemed like the right one to say what I was and what I wanted to be.” This was how Adolfo Natalini, born in 1941 in Pistoia, trained as a painter, protagonist with Roberto Barni, Umberto Buscioni and Gianni Ruffi of the Pistoia school, thus christened by poet and art critic Cesare Vivaldi, spoke of himself. He was an experimenter with the Radical avant-garde of Superstudio (from 1966, with Cristiano Toraldo di Francia, and from 1970 also with Roberto Magris and Gian Piero Frassinelli), and an architect ‘rebuilder’ with the studio Natalini Architetti, with which he practiced, together with Fabrizio Natalini (no relation), a sort of ‘architecture of resistance,’ what in Holland the critic and historian of architecture Hans Ibelings called “a-modern architecture,” to indicate the break with the aridity of a tired modernist language indebted to the heritage of the Modern Movement. Regarding this period of design, defined by some as ‘traditionalist,’ in which the studio worked above all in Holland and Germany on major efforts of recomposition or creation of new urban segments, Adolfo Natalini said that “every project wavers between memory and hope. An all-antique city does not exist, and neither does an all-new city; the historical city is an extraordinary time machine capable of making us travel in two directions.” And if we talk about ‘nostalgia,’ from the viewpoint of architectural language that reinterprets established figures in history, reassembling them in a contemporary way, Natalini warns us that “nostalgia is always viewed with suspicion in Italy. In Germany, a country much richer in feelings than ours, there are two terms for nostalgia: Sehnsucht and Heimweh; the first is the aspiration towards something that still does not exist, while the other is nostalgia for something to which to return, like one’s childhood home. Nostalgia thus has a dual connotation, in the two directions of time: this is how it often seems I am moving, like the Angelus Novus of Benjamin that proceeds towards the future while looking back at the past.” It is this awareness and sensitivity to history and the meaning of places that should be evoked in order to understand a way of making architecture of a ‘contextual’ type, interpreted through figures that seem to have ‘always’ been part of the architecture of the city, like the project for the reconstruction of the historical center of Groningen, in Holland, from 1991-96, approved with 83% of votes in a referendum by the inhabitants, or the project for the Haverleij residential complex over the water at Den Bosch (1997-2001); or in cases of balanced but forceful graftings into history, as in the project for the Uffizi in 2003, and the one for the Museo del Duomo at the Opera di Santa Maria del Fiore in Florence, 2007-15. A procedure in time that as Pierluigi Nicolin has acutely observed is part of a “never abandoned avant-garde attitude, [where] the desire to make architecture speak corresponds to the almost paradoxical will to make traditionalism the substance of a battle waged with the same weapons used by the avant-garde.” Natalini, led into architecture by Leonardo Savioli, with whom he took a degree in 1966 with a thesis project for a Palazzo dell’Arte in Florence, narrated his career as an ‘architettore’ by identifying “stories, cadenced by time, that seem to set out to indicate another time, separated from the rhythms of the calendar (chronicles, fashions) to point to a possible long time, a resistance to the rapid passing of time as if architecture (like its author) had reached a ripe old age where time is longer (almost immobile) and memories and


hopes are equally present.” A hope Adolfo Natalini cultivated with conviction for the achievement of beauty, “the sole catalyst of any transformation,” as he wrote on 18 January to Isa Tutino, his lifelong friend. Finally, we would like to remember Adolfo Natalini with the words of Vittorio Savi, the architectural historian and writer who recently passed away, and a companion of many voyages by the side of this architettore from Pistoia: “a man transfixed by memories of the deep provinces; an artist tempted by painting, but persuaded to tackle architecture; a conversational counterpart of ancients and moderns; a reluctant theorist; an architect capable of painful reports on research.” CAPTIONS: pag. 14 Manifestazione, Scuola di Pistoia, Adolfo Natalini, 1965. Adolfo Natalini in a portrait by A. Massari. pag. 15 New Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore, Florence 2007-15, Adolfo Natalini, Fabrizio Natalini Natalini Architetti and Guicciardini & Magni Architetti. Photo Mario Ciampi. pag. 16 Left, project for the international invitational competition for the reconstruction of part of the historical center of Groningen, Holland, 1991-96, Adolfo Natalini, Fabrizio Natalini - Natalini Architetti and Corinne Schrauwen. Below, Haverleij residential complex in Den Bosch, Holland, 1997-2001, Adolfo Natalini - Natalini Architetti and Architectenburo Corinne Schrauwen. Photo Mario Ciampi. New Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore in Florence, 2007-15, Adolfo Natalini. Project sketch. The famous Quaderna table designed by Natalini with Superstudio in 1970, still produced by Zanotta. pag. 17 Project for the new Uffizi, Florence 2003, Adolfo Natalini - Natalini Architetti and Sinter. Photo Mario Ciampi.

P18. INVENTING A NEW WORLD article Domitilla Dardi A PIONEER OF MODERNITY, CHARLOTTE PERRIAND DEVOTED HER LIFE AS A DESIGNER TO THE DEFINITION OF A NEW ART DE VIVRE, IN OPPOSITION TO THE STANDARDS OF HER TIME. NARRATED IN AN IMPORTANT RETROSPECTIVE AT FONDATION LOUIS VUITTON IN PARIS “For the first time, I was unconsciously discovering emptiness, which is omnipotent because it can contain everything.” These are the words of Charlotte Perriand, looking back on her impressions of a hospital when she was ten, already with the gaze of a designer. The triumphant exhibition at Fondation Louis Vuitton in Paris – produced with the supervision of a group of expert curators, including her daughter Pernette Perriand Barsac and Arthur Rüegg, the leading expert on the furniture of Le Corbusier – narrates the history of this great pioneer, with great attention to detail and reconstructions that leave very little to the imagination. One of the fixed points of the show is the demonstration of the central role played by Perriand, far from that of the handmaid to which Le Corbusier had tried to relegate her ever since their first encounter. Charlotte herself, in her amazing autobiography, Une Vie de Création, narrates that epiphanic first meeting: “‘What do you want?’ ‘To work with you.’ He took a quick glance at my drawings. ‘Here we do not embroider cushions,’ was his reply. He accompanied me to the door. (...) On the following afternoon I came across Jean Fouquet at the Salon. Radiant, he came towards me: ‘This morning I saw Pierre and Le Corbusier at your booth. You will work with him. He will write you.’” That was the start of her career, studded with extraordinary encounters, first of all precisely those with Le Corbusier and Pierre Jeanneret, but also with Fernand Léger and Picasso, included in the exhibition not as voices from the context, but as the co-authors of an incredible cultural period, through works like the original cartoons for Guernica. In short, not citations in the background, but magniloquent presences of masters whose works seem to establish a relationship, for physical magnitude, with the emotional weight they had in Perriand’s life. Encounters not only with artists but also with cultural figures like Jean-Richard Bloch, co-editor of the newspaper Ce Soir and founder of the Supervisory Committee of Anti-Fascist Writers, for whom the designer created the Boomerang desk (reconstructed here for the first time by Cassina), conceived so that he could sit at the center while his staff could pay full attention, seating along the convex part of the desk. In the exhibition “Le monde nouveau de Charlotte Perriand” the thread of the itinerary is philological, and the materials – rather than drawings – include period prototypes and reconstructions; in this sense, the collaboration with Cassina has been decisive. There are obviously the great classics, starting with the LC4 chaise longue that opens the visit, an icon of our time and the designer’s masterpiece. But also the item Le Corbusier and Jeanneret called the “cushion basket,” namely the Fauteuil Grand Confort. All the works reached industrial production only in a later phase, thanks to the encounter with Cassina. The initial dreams, in fact, were crushed by the reluctance of the manufacturers (“The furniture trade wasn’t ready. Even our small attempt at dialogue with Peugeot bicycles ended up in a half hour of mutual incomprehension”), but they were achieved thanks to the perspective of history, which has granted Perriand a rightful place among the greats. Perhaps the most intimate part of the exhibition, however, is one that is lacking in furniture and in actual works of art: a central space contains photographs of relics, at times converging in the overall project, that are apparently very different from rationalist

icons. It is the most private section of her experience, capable of nourishing her creative instinct like nothing else. Here the ‘booty’ of her travels has been gathered, as she explained: “Our packs were full of treasures: pebbles, pieces of wooden shoes, sorghum brooms, all polished, enhanced by the sea. With Fernand (Léger) we made a selection, admiring the items, photographing them, placing them in water to bring out their splendor. It was what we called ‘arte bruta.’” Speaking of experiences, obviously the show cannot do without the formative years in Japan, in which Perriand was the ambassador of a possible dialogue with industry in a Japan that had been kept intact by its isolation, and from which she probably took more than she left behind. The empirical proof is in the projects of those years, and those immediately to follow. For example, in the installation Proposition d’une Synthèse des Arts (1955) which was part of an exhibition held in Tokyo; or in the brilliant Double chaise longue, a piece originally designed to encourage conversation, thanks to a seat placed at an angle to keep the head low and the feet higher than the heart, to rest the legs. This item, like the “Fauteuil en bambou” (1940) and the “Lit bambou et bois avec appui-tête” (1940), is a perfect example of how Charlotte Perriand used the natural materials available to her during her time in Asia (1940-1941 / 1953-1955 in Japan, 1942-1946 in Indochina). All the way to the Maison de thé for UNESCO, made late in her life and accurately reconstructed for the exhibition: almost a spiritual testament of her ongoing dialogue between East and West. Another fundamental passion of the designer was the mountains, and again in this case her personal life is inseparable from her professional path. In 1938, together with Pierre Jeanneret, she developed a single scale model of a mobile mountain refuge, the Refuge Tonneau. Inspired by a carousel photographed in Croatia, its light dodecahedron structure was imagined in industrial materials: aluminium panels that would be easy to assemble, a metal structure with a central post and summit making it resemble a large umbrella with 12 staves. But the true masterpiece is the interior, built in spruce: natural and welcoming, it combines beauty and function. A true example of that arte di vivere in which “The habitat does not only have to fulfill material needs, but should also create the conditions indispensable for human equilibrium and the liberation of the spirit.” A visionary, pioneering and extremely concrete project, all at the same time. One small note: it was on one of the excursions taken for the design of this prefabricated shelter that a photograph was made, which perhaps more than all others conveys the personality of Charlotte Perriand, her reckless courage, her force that goes beyond gender. Not by chance, this picture has been chosen as the opening image of the show. The shot is of the designer, in her youth, bare to the waist as she raises her fists to the sky in a sign of jubilation, after reaching the top of the peak. Little details make the difference: professional climbing gloves, but also a very feminine necklace. The photographer was Pierre Jeanneret, her companion in work and life, who again in this case confirms his modest character, behind the forceful ego not only of Le Corbusier, but also of that young woman who had no intention of embroidering cushions. CAPTIONS: pag. 19 View of the exhibition “Le monde nouveau de Charlotte Perriand” at Fondation Louis Vuitton in Paris (photo Marc Domage). In the foreground, the prototype made by Cassina of the Double chaise longue, designed for “Proposition d’un Synthèse des Arts” in 1955. Right, Charlotte Perriand in Savoy, 1930 (© Archives Charlotte Perriand, ADAGP 2020). pag. 20 Reconstruction of the Refuge Tonneau, a project by Charlotte Perriand and Pierre Jeanneret in 1938. The mountain refuge was an opportunity to explore the design dimension of minimum inhabitable space. Photo: Stefano De Monte (left); © Archives Charlotte Perriand, ADAGP 2019 (top); © Stefano Triulzi (above). pag. 21 Inside the exhibition in Paris, reconstruction of the apartment designed by Perriand for the Salon d’Automne in Paris, in 1929, where the famous LC4 chaise longue was presented, which would later be reissued by Cassina with engineering by the designer herself. Photo: Marc Domage (top) and David Bordes (right).

P22. THE COMFORT VISIONARY article Silvana Annicchiarico FRANCESCO BINFARÉ IS FAMOUS FOR HIS SOFAS, WHICH GET AWAY FROM TRADITIONAL TYPOLOGICAL AND CONSTRUCTIVE CONSTRAINTS, OFFERING SOFT, INNOVATIVE FORMS FOR SPONTANEOUS GESTURES AND POSITIONS Before him, sofas were generally micro-works of architecture. They had a rigid structure and a preset form: the back and the seat. Then Francesco Binfaré deconstructed them. He freed them of typological, technological and structural constraints that had been in effect for centuries. He made them functional not just for needs, but also for ways of being, habits and gesture of the user. Before him the sofa told the user how to sit; after him, the seated person suggests the form of the furniture. “For me,” Binfaré told us during an encounter for a video portrait created by Giovanni Gastel and Uberto Frigerio, “sofas are mobile mini-installations. They produce behaviors, performances in space. I observe people and through their gestures they tell me how they would like to sit. That is the starting point.” Over the last decades the sofa has been one of the furnishing elements


most influenced by technological evolution and social transformation: first in the bourgeois Italy of the 20th century, it established the etiquette of conversation in the parlor; then, with the advent of television, it took on forms suited to comfortable watching of the ‘totem’ set in a central position. Later, with the rise of the social networks, the TV lost its gravitational pull, also in living space, but the sofa has continued to determine the surround space, and to make itself the point of maximum reverence in the home, the center of the primary and indispensable function of spending time together. Focusing on social functions and individual needs, when he designs his sofas Binfaré has always been first of all a visionary: when in the 1970s he directed the research division at Cassina, and even more so today, when he has managed to involve a courageous company like Edra in his daring adventures and creative experiments. “The creation of something that does not exist,” he says with conviction, “unleashes a very strong erotic tension. You have to give life to something new, to give it a soul.” This tension can be sensed in all his ‘creatures.’ Along with the eroticism of the design. Heir to the legacy of Vico Magistretti, with whom he collaborated in the Cassina days, Binfaré believes designing means first of all knowing how to communicate an idea, how to light a fire in the mind of the entrepreneur who will then have to make it. “When you meet the client,” he says, “you don’t have to have a project, but an idea. You have to know how to communicate it. To get the other person involved. And in this process, the exchange of energy is very important.” His sofas are born that way: from the ability to make a company fall in love with a vision. “I wake up at 5 in the morning,” he says. “And there, in that moment suspended between slumber and wakefulness, I often have something like visions. Once I dreamed of a red desert with black rain. Petroleum, perhaps. A little red island emerged from this black sea. I went to the kitchen to look for a pencil, to sketch the form of that island, but I couldn’t find one. So I took some scissors and cut the form out of paper. Then I made cross-cuts and folds. Flap happened in this way: a raft with parts that raise it up. Edra already had a joint that functioned for horizontal movements, so it was just a matter of adapting it to vertical movements.” Technology at the service of vision, not vice versa. And the absolute freedom to imagine new and multifunctional forms with the complicity of a company like Edra that believes in the need to avoid the flattening effects of globalization, both in objects and in thoughts. Every project by Binfaré comes from a particular inspiration. From observation of the world. “One summer in Puglia,” he says, “I was watching people sunbathing on the rocks and cliffs. In theory they should have been uncomfortable, but actually their bodies adapted, and they found the right position. I talked it over with Valerio Mazzei, who had just developed an innovative material, Gellyfoam®, capable of adapting to any position of the body. That was the start of the On the Rocks sofa: using this extraordinary material, I cut the back off from the seat, to obtain a totally free form, without limitations.” Capable of sculpting a form in softness (the Grande Soffice) or experimenting with a pillow that inclines with simple pressure and frees itself from the obligatory relationship with the seat, generating a sofa for big production runs (Standard), Binfaré is a tireless creator of forms. At times he is inspired by nature, as in the case of Pack: a bear stretched out on the ice, ready for free movement. “I imagined that if the world could be defined as a surface that is breaking up into many small units, like the ice pack, the bear could represent the symbol of a huge affective dimension.” Other times the matrix comes from culture: Sfatto, for example, was triggered by a painting by Lucian Freud, Big Sue, showing a woman sprawled on a Chesterfield sofa. “It was a moment in which I perceived the fatigue of the western world, its gravity, its decadence. That painting conveyed those sensations. And I tried to shift it into a sofa.” Composition of parts, softness, comfort: Binfaré wants his sofas to hug the sitter, cuddling, leaving people free to choose positions and postures. Is the sofa precisely the heart of contemporary life? Binfaré thinks so. Maybe in the future, he concludes, “we will no longer need bookcases, chests of drawers, cabinets, but sofas will become more and more important. In the past they dictated the etiquette in bourgeois homes; in the future, I think they might resemble a den, a burrow. To put it more precisely: sofas will be the things that allow us to stay inside our den. With a loved one, with children, having light even when outside there is none, having silence when there is an uproar outside. In the end, every home is a primordial den.” CAPTIONS: pag. 22 Portrait of Francesco Binfaré. Born in 1939, the designer has made comfort the mission of his research conducted since the late 1960s. The story is told in the book Il viaggio di Francesco Binfaré by Christine Colin, published by Mondadori Electa. pag. 23 The Pack sofa presented by Edra in 2017 takes its cue from the image of a bear stretched out on an ice pack. The base is filled with Gellyfoam® and down, covered with an exclusive fabric with a texture similar to layers of ice. The back is soft, in polyester fiber covered with ecological fur. pag. 24 On these pages, other upholstered furnishings by Francesco Binfaré for Edra. From the top: the Absolu sofa, equipped with ‘intelligent’ mobile cushions that can be freely shaped; the Chiara swivel chair; the Standard sofa, whose backs and armrests can become low, high or oblique thanks to a slight movement of the hand. pag. 25 An icon of Edra production, Flap represents an unprecedented type of sofa. The padded surface, just 14 cm thick, has nine moveable parts – each with six different angles – that can take on different functions: back, armrest, headrest, seat, footrest.

INside ARCHITECTURE

P26. SENSORIAL MACHINE project STUDIO MK27 architecture studio mk27 - Marcio Kogan, Marcio Tanaka and Beatriz Meyer - interiors studio mk27 - Serge Cajfinger + Diana Radomysler and Pedro Ribeiro photos Fernando Guerra - article Filippo Bricolo AT TRANCOSO, IN NORTHERN BRAZIL, WITH AN EXTRAORDINARY VIEW OF THE ATLANTIC, A VILLA EXPERIMENTS WITH THE DISSOLVING OF ARCHITECTURAL IN NATURAL SPACE, BECOMING GREENERY IN ITS OWN RIGHT AMIDST LIGHT, SHADE AND THE CONSTANT VOICE OF THE WAVES Sometimes limits suggest grand openings. That’s how we feel in front of the vast ocean: the body lingers on the shore, but the mind roams and delves into the natural elements. To transfigure this dual sentiment in architecture seems to be impossible, were we not looking at the eloquent images of the villa at Trancoso designed by Studio mk27 facing the extraordinary setting of the Atlantic Ocean in northern Brazil. Immersed in the greenery leading to the beautiful beach of Itaporoca, the house presents itself as an authentic experiment with the dissolving of architecture in the natural landscape. The functional program has been simplified as much as possible, and the house stripped of all the spaces that are not strictly necessary (corridors, vestibules, entrances). The closed space is reduced to a minimum, leaving only the basic rooms condensed in five separate volumes, five capsules of life, each essentially devoted to a single function: kitchen, dining, living, master bedroom and two others. The volumes rest on an extended wooden deck with a rectangular plan, slightly raised from the ground, and are placed parallel to each other, though slightly staggered. The deck corresponds perfectly to a reed ceiling attached to 14 portals in lamellar wood. The rigor and logic of the modernist structure meet with some important exceptions, like the 12 rectangular openings that interrupt the continuity of the lathwork to allow trees to pass through, placed inside the deck area, while providing direct light for the public spaces and the private bathrooms of the bedrooms. This contrast between rationality and will further reduces the gap between architecture and nature. Life unfolds inside the volumes and on this deck, which becomes the connective tissue of the house, freeing up movements between spaces. The presence of the cane ceiling makes the environmental situation very ductile, transforming what would otherwise be a normal portico into a sort of emotional factor that connects architecture and the natural setting. Light filters through the canopy, generating evocative effects of shadow in dialogue with the shade of the foliage of the many trees around the house, scattered throughout the lot as far as the beach. Inside the spaces, one lives immersed in a suspended atmosphere, with the lathwork and leaves breaking up the rays of the sun to form a poetic and constant shower of shadows throughout the day. The villa is immersed in the greenery, but perhaps it would be more correct to say that the house is the greenery itself. In this sense the swimming pool also becomes part of the dwelling, located at a short distance from the main structure, closer to the beach. The pool has a profile with curved lines that suggest those of nature, while inside it is paced by the parallel lines of two opposing systems of steps that start from two bends and move towards the central part, forming a compartment with an approximately rectangular form. The orientation of the swimming pool is rotated lengthwise by 45 degrees with respect to the main structure, introducing a dynamic dialogue between the pool, the structure itself and the nearby beach. Near the pool the brush opens to form an evocative clearing. The architecture abandons any reference to the machine à habiter of modernism, and instead embodies a ‘sensorial machine’ where nature, light and shadow, and the constant, infinite voice of the ocean, become fundamental design materials. CAPTIONS: pag. 27 The insertion of the villa in the greenery in front of the beautiful beach of Itaporoca. The rationalist series of the portals establishes a poetic dialogue with nature. pag. 28 A wooden deck connects the functional nuclei placed inside reinforced concrete volumes. There is a corresponding lathwork ceiling that generates an enveloping atmosphere of light and shadow. Marathonienne, a sculpture by Philippe Hiquily. pag. 29 In the large portico the canopy of reeds breaks up the sunlight. The seaside dwelling rejects the closure of urban living, offering immersion in a suspended atmosphere. Loop chairs by Willy Guhl, coffee table by Paul Kingma. pag. 30 The volume opens totally towards the portico, which becomes the extension of the living area, in an ideal continuity between outdoor and indoor spaces. pag. 31 View of the living area. Jangada chair by Jean Gillon for Italma Wood Art, side table by Roger Capron, Carbono C11 sofa by Marcus Ferreira for Novo Ambiente, bench in braúna wood by Studio mk27, Girouette Marbella sculptures by Philippe Hiquily. To the side, a bathroom and, below, a bedroom. Akari 50EN lamp by Isamu Noguchi, Vitra, Vivi chair by Sergio Rodrigues for dpot. pag. 33 To the side, the dining zone. Meribel chairs by


Charlotte Perriand, table and chandeliers in ceramic by Roger Capron, sideboard designed by Studio mk27, vases by Bruno Gambone and artwork by Francesca Pasquali. Below, the swimming pool formed by curved lines harmoniously inserted in the green setting, where the brush opens to create an evocative clearing. On the facing page: the structure of the wooden porticos with reeds opens to allow a tree to pass through; in the background, the ‘boxes of life’ in reinforced concrete, facing in the direction of the sea. Technicolor chairs by Tidelli, table in braúna wood, like the bench.

P34. INTERIOR WRITINGS project MARIA CRISTINA FINUCCI photos Alberto Ferrero - article Antonella Boisi IN THE MOST EVOCATIVE AND HISTORIC PART OF ROME, THAT OF THE FORI IMPERIALI AND THE COLOSSEUM, THE HOME-STUDIO OF THE ARCHITECT AND ARTIST MARIA CRISTINA FINUCCI, CONCEIVED AS A THREE-DIMENSIONAL PAINTING, EXPRESSES THE UNITY OF A PERSONAL AESTHETIC APPROACH “We visited many apartments without finding anything to suit us. We wanted a panoramic terrace. Our previous home had a wonderful one, overlooking the whole city. I remember we arrived one day from Madrid, where we lived (my husband was the Italian ambassador to Spain at the time), to see this house suggested by the agency. As soon as my husband went out on the terrace and saw the Roman Forum and the Colosseum, he said ‘I’ll take it.’ Five minutes later we were signing the papers. This amazed me, because he is usually a very thoughtful person… it would take him longer to buy a pair of shoes.” Maria Cristina Finucci narrates the dazzling encounter with this house in the archaeological zone of Rome, on a street parallel to Via dei Fori Imperiali, near the Colosseum, which after an intense refurbishing has become the family’s home-studio. Founder in 2013 of the Garbage Patch State, a nation-state that is a protest against the invasion of the oceans by plastic, a project of great ethical and media impact supported by many works that represent cries for help, the Italian architect and artist has transformed the building into a residential landscape conceived as a work of art: a three-dimensional painting, one-of-a-kind, free of clichés and with a total look. “I would come here every week from Madrid to supervise the work,” she continues. “Actually, the building had become a small hotel, divided into many little rooms organized on five levels. The task was to bring together and reconfigure two separate volumes with a medieval footprint, between which there is still a level shift of a few steps. The lower one has vaulted floor slabs with exposed brick, while the other has wooden beams. We demolished all the partitions, freshened up the three facades protected by heritage listing, with their windows, practically leaving only the perimeter walls, the floor slabs and the stairs. I love the semi-helical staircases. The original steps in Carrara marble have been left as they were, along with the iron railing. The ceiling of the stairwell, on the other hand, after we removed the first layer of paint, bore traces of many coats of tempera in various colors, which I have conserved. Then the artist Aldo Del Bono created a site-specific work that rises up on the walls, along the ramps, culminating at the fourth level with a framed tempera in cyan and red. Next to the stairwell, for comfort, we have made a space for a small elevator. Installing it was far from simple. I covered the walls with one of my works from the Polly series. I had already used this type of facing for the kitchen of an apartment I refurbished in London, where I asked the clients to give me the one hundred words of their life, and I inserted them in the design. This idea convinced me, and I wanted to reprise it for the elevator in my home. The words I have inserted are the names of our children and grandchildren, as well as those of the cities where we have lived. In the meantime, the family has grown, and I have had to add two more names.” Listening to the genius loci has suggested other choices, light touches, a few, meaningful fixed points, so that everything would seem to have always been there. Handmade terracotta with irregular formats, crafted in a workshop in Umbria and treated with pearl gray stucco to make it more contemporary in its hue, provides a uniform floor surface. Textured white plaster clads the walls, in seamless harmony with the custom wardrobes with sliding doors inside a frame of raw iron. A peperino with pearly inclusions – a stone with fragments of trachyte with a dappled ash gray color – has been chosen for the facings in the bathrooms, combined with ordinary square white tiles. A neutral backdrop, then, perfect to bring out the beauty of the oak beams and the antique walnut doors, the finest architectural parts, and above all eloquent presences that bring individuality to the episodes of domestic life, in a complex sum of signs and layers. The layout on the ground floor features a large entrance area, while the first floor hosts the rooms and studio of the husband, Pietro Sebastiani, now the Italian ambassador to the Holy See; the second floor is for the designer’s studio and the room of one son, and the third level is for the master bedroom and another bedroom, both with bathrooms. On the fourth, the living area is combined with a dining room and kitchen. The beloved terrace is on the fifth. The most interesting feature is the

remarkably systematic unity of all these different spatial and functional situations, a terse tone that responds to a very precise project: an essence of forms, as in the work of Brancusi. “The whole composition follows personal criteria, taking on meaning in the mutual relations of the parts – furniture, works of art, architecture,” Finucci adds. “I like to mix things like a palette, though the reflections that lead to a work are philosophical and profound, less connected to my aesthetic taste. I have sought the pleasure of balances between horizontal and vertical dimensions, volumes, colors, proportions, weights, full and empty zones, neutral elements and surprises. And of fine craftsmanship, because nothing is destroyed, but everything is transformed.” Hence the bookcase in iron with slate shelves and colored inserts, the table in raw iron, the console with marble legs, just to mention a few of the many custom pieces created by Maria Cristina Finucci, which exist beside the objects of her work, scattered everywhere – printing proofs, a still from the video-work Trueman from 2011, the poster of the installation for the Garbage Patch State pavilion in Venice during the Art Biennale 2013, the micro-version of the Paradigmi series over the sideboard (a similar work, but with a length of 430 centimeters, is part of the permanent collection of the Chamber of Deputies), and much more. There are also bedside units in black and white bone purchased in India during a trip, and the family secrétaire in the master bedroom. The fourth floor contains the living area. Here the figure of the fireplace becomes the ordering element of the spatial construction. With its truncated pyramid form it acts as a parapet for the iron staircase leading to the terrace, while at the same time forming a corner towards the marble staircase. “The sofa is the Magister model by Flexform,” Finucci says. “We have taken it with us for many years, in many homes. We bought it when we lived in Brussels in 2000. The table-stools were designed by me in 2005, and they are very handy when lots of seats are needed, though together they form a table, which is useful for informal lunches or dinners. There are small acts of salvage, like the iGuzzini spotlights from my old studio, which was much larger than the present one, gallery lighting on tracks upgraded with LED lamps, for the lighting of the spaces, together with Spun lamps by Flos.” The kitchen is divided from the dining zone by means of a partition in iron and glass. “I designed the wooden furnishings, inspired by those of Charlotte Perriand, while the iron hood with glass doors reminds me of those in old English kitchens,” Finucci concludes. In the room prior to the kitchen, under a romantic window, an old stone sink has been built into the wall: as if to say that even the way of cooking changes in this house different from all others, which in tune with the emotional and cultural dimension of its maker represents her soul. CAPTIONS: pag. 34 View of the studio of Maria Cristina Finucci, with antique doors purchased from an antiques dealer. The raw iron table and the iron bookcase with slate shelves and colored inserts are custom pieces created by the designer herself. The image of Iceland on the wall is by her friend, the Spanish photographer Pio Cabanillas. pag. 35 Below, the entrance area on the ground floor, with porphyry flooring, a ceiling with wooden beams painted in an aluminium color, iGuzzini spotlights, and a console designed by Finucci in the 1980s with a slate top and legs in Carrara marble. The lightbox is part of the Garbage Patch State series by the designer. To the right, a family wardrobe deprived of its doors has been lined with an Indian blanket and enhanced by a sculpture from the Polly series. pag. 36 The living area on the fourth floor is joined by a dining room and kitchen (to the side, the plan). The custom fireplace with a truncated pyramid form creates a corner towards the marble staircase below, while functioning as a parapet for the iron staircase leading to the terrace, underlined by the work in red and cyan by the artist Aldo Del Bono. Magister sofa by Flexform (designed by Antonio Citterio and Paolo Nava, 1982), Seconda chairs by Alias (designed by Mario Botta, 1982), Spun floor lamp by Flos (designed by Sebastian Wrong, 2003). The table-stools are creations of Maria Cristina Finucci for Casaidea Roma in 2005. pag. 38 In the dining room, the custom table with rounded corners and Pral top is accompanied by chairs from the 7 series by Arne Jacobsen for Fritz Hansen. Over the sideboard with sheet-metal doors, a work from the Paradigmi series by Maria Cristina Finucci (a smaller version of the one in the permanent collection of the Chamber of Deputies), and to the right, on the wall, Living Restraint, taken from a video work by the artist. In the background to the right, prior to the kitchen, an antique stone sink has been built into the wall under a romantic window. Left, the iron and glass custom partition separates the space of the kitchen. The iron hood with glass doors suggests old English kitchens. Teapot by Alessi, mixer by KitchenAid. pag. 39 The husband’s studio, on the first floor, with some of his books stacked in two rows on the shelving in galvanized iron and the desk in Corian (DuPont), part of the Aer managerial series designed by Maria Cristina Finucci for Upper in 2005. Spun table lamp from Flos (designed by Sebastian Wrong, 2003). pag. 40 The bedroom of a son, on the second floor. The wardrobe has sliding doors in white, like the walls, on a frame of raw iron. Left, the poster of the installation for the Garbage Patch State pavilion in Venice, during the Art Biennial in 2013. To the side, a fragment of the set design for the proclamation of the Garbage Patch State (Paris, UNESCO, 2013). The lamp on the bedside table to the right is by Slamp. To the side, in the bathroom, cladding in pearly peperino. Structure in iron with top in Carrara marble, for the cabinets with mirror doors. pag. 41 Here and on the facing page, the stairwell. The work Due atomi in rotta di collisione in giallo, in laser-cut sheet metal, is by Maria Cristina Finucci, from 2009. The artist Aldo Del Bono has made the site-specific work on the walls along the ramps.


P42. A WORLD IN SOFT LIGHT project GIORGIO ARMANI photos Beppe Raso/courtesy of Giorgio Armani Archive article Antonella Boisi GIORGIO ARMANI IS BACK AT VIA SANT’ANDREA 9 IN MILAN, IN THE FIRST BOUTIQUE HE OPENED IN 1983, EXPANDED AND COMPLETELY REINVENTED TO APTLY EXPRESS THE DNA OF THE MAISON “There’s no end. There’s no beginning. Only the infinite passion for life.” These are the words of Federico Fellini, but they also work for Giorgio Armani. He started here, and here he returns: Giorgio Armani reopens the store on Via Sant’Andrea, where he created his first boutique in 1983, on a quiet and very Milanese street in the so-called Fashion Quad, synonymous with international style and luxury. From 2010 to 2017 the space contained the Armani/Casa line, now celebrating its first 20 years in the store on Corso Venezia at the corner of Via San Damiano. Today, in the reinvented ‘location’ in the fashion district, on four levels with a total area of 1200 square meters – twice as large as the original – Giorgio Armani links up the threads of his professional career in a structured, detailed and integrated universe, from fashion (foremost here) to product design (Armani/Casa), architecture to interior design (in the world and at this site). As demonstrated by the video walls at every level and the four interactive screens at the entrance, with images of this season’s offerings. “I return her today with a different experience, aware that this is not a matter of nostalgia. I wanted the quintessence of my vision of timeless beauty to enter a dialogue with the contemporary world, ranging from accessories to prêt-àporter, all the way to fine tailoring, with exclusive bespoke services,” he says. “I don’t make particular distinctions between my various activities. I am interested in them all, in the same way, because I have created an entire lifestyle, which starts from fashion but includes much else. Fashion dresses the body, but the body lives in space, and architecture dresses that space, as well as embodying it: for me, that is the magic triangle. I might add that architecture is permanent, almost, and responds to the need for timelessness that also exists in my fashion. I devote much of my day to interior design projects, but everything mixes and blends, and this is why my work is consistent and organic. I like the delicacy of certain colors combined with the refinement of textures, for example, and it matters not if it is a rare marble or silk. Often the work in one field reverberates in another, as is only fitting.” Armani has orchestrated the project firsthand, day after day, down to the smallest details, with his highly qualified and specialized team (in the design of hotels, restaurants, shops and residences: a true studio of 30 people, as well as 15 others working on interior design), instead of turning to big names in architecture as he has done in the past. His constantly fresh perspective is immediately perceptible from the outside of the boutique, which interrupting the classic frontage of the street, the dense series of historic buildings concealing secret gardens, presets itself in a balanced way with the image of a glass box, enhanced by the platinumcolor finish of the upper levels and a surprising base in green Fantastico granite. As in a clever puzzle, the geometric lines of the base become two lateral passages at ground level, through which to reach the internal portico, which is both an entrance and a showcase, enhanced by evocative checked flooring in large slabs of multicolored marble and onyx. Applied in the internal spaces in keeping with the different display zones, this effect eloquently defines the layout of the boutique, the changes of pace and narrative sequences of other boxes cut into the overall volume to contain: on the ground floor, the women’s collection of clothing and accessories, and the Armani Beauty corner with make-up stations; on the first floor, the men’s collection and formalwear; on the second, the eveningwear, the Made to Order and Made to Measure services, and the gift zone with the most precious objects of Armani/Casa, for the most exclusive luxury. Each space has its own distinct material-chromatic mood (on the ground floor alone, for example, we find green Antigua marble, green Fantastico granite and gray-green onyx from Iran, Velluto onyx from Turkey, Port Laurent marble from Morocco, Lemurian granite from Madagascar, Corteccia quartzite from Brazil, Blue Sky marble from China), also expressed by other elements that punctuate and shape the connective fabric in a rhythmical way: from the platinum-color doors with mother-of-pearl to the silk paper coverings of the walls up to the ceilings, which echo the colors and grains of the other materials. The lucid formal order of this dynamic ‘matrioshka’ is also the result of the linear, rigorous furnishings placed along the walls, with their built-in lights and dark borders in eucalyptus wood, accents of an elegance from the 1930s and 1940s, rendered fluid by the luminosity of the platinum-tone metal tables, in resin with a fabric effect, and the smaller ones in pear wood and mother-of-pearl, with handmade inlays by Italian artisans. Balanced luminosity is another major theme of the project: the light from the large perimeter windows is never direct, but always filtered and shaped by thin vertical gilded metal screens. The glass volume at the first floor is also protected by these diaphanous elements, with a checked floor in green Antigua marble and green Fantastico granite, surrounded by bamboo plants, an Armani favorite, to create a sort of ‘winter garden.’ On the second level the space is made dynamic by six glass doors that open to the skylight of the glazed

volume below, and by the three openings on Via Sant’Andrea that offer a privileged view of the Baroque frieze on the 16th-century Palazzo Morando across the street. Glimpses and perspectives, progressive discoveries and correspondences of a unique place, where the basement is equally unique in its arrangement as a sort of mini-theater for presentations (with 78 seats), immersed in the soft grain of Velluto onyx and walls in silk with the same tone. As for the vertical connections, alongside the elevators the movement between the levels of the boutique happens in a unified way with the by-now iconic rectilinear ‘Armani-ized’ staircases, totally clad here in Velluto onyx (including the lower surface of the steps), with details in gold-color metal, where the clear, regular profiles constitute a recognizable stylistic touch of Giorgio Armani. After all, as he says, “elegance is not about getting noticed, but about being remembered.” CAPTIONS: pag. 43 The facade of the boutique of Giorgio Armani on Via Sant’Andrea glows with the color of platinum on the upper levels, with a base in green Fantastico granite. In the drawing, plan of the ground floor. On the facing page, the glass box that forms the display window and the entrance portico through two lateral passages. Note the evocative checked flooring made with large slabs of green Fantastico granite from Iran. pag. 45 View of the ground floor, set aside for women’s clothing and accessories. To the right, the linear staircase clad in Velluto onyx with gold-color metal details, and – behind it – the Armani Beauty corner. The red thread connecting the internal spaces is the precious flooring in multicolored marble and onyx, varied in specific moods for the individual display zones. Platinum-color portals with mother-of-pearl profiles fluidly pace the passages from one zone to the next. Silk wallcoverings by Armani/Casa are placed on the walls, up to the ceilings, echoing the colors and grains of the other materials. The perimeter furnishings, of rigorous Cartesian geometry, stand out for their dark borders in eucalyptus wood, and are custom items, like the freestanding metal tables. pag. 47 On these pages, two views of the first floor, set aside for menswear, with a small bamboo garden and the custommade skylight to underline the dialogue with natural light, along with furnishings by Armani/Casa, including small tables in pear wood and mother-of-pearl. Thin gilded metal screens in front of the glazing filter the ambient light, making it enhance the finishes and materials in a soft way. Right, the room in the basement with 78 seats, set aside for presentations, is a box in soft tones of Velluto onyx, with silk wallcoverings in the same hue. pag. 49 On this page, a zone for men’s bespoke tailoring, with personalized services and treatments. Furnishings by Armani/Casa. To the side, a table and two chairs placed in front of six display cases for the fine jewelry creations of Giorgio Armani, forming an area of exclusive luxury on the second floor.

P50. A BEND IN THE LANDSCAPE project FOSTER LOMAS photos Edmund Sumner - article Alessandro Rocca IN A NATURE RESERVE ON THE ISLE OF MAN, IN THE IRISH SEA, A HOUSE WITH SOLID WALLS AND LONG RIBBON WINDOWS IS THE REFUGE OF A SCHOLARLY COUPLE. A BASIC VOLUME WRAPPED AROUND THE LIBRARY, THE ‘CENTER OF KNOWLEDGE’ THAT VERTICALLY CROSSES THE BUILDING AS FAR AS THE SKYLIGHT, CONNECTING EARTH AND SKY At this point any project in a non-urban setting has to loudly proclaim its harmonious insertion in the landscape. The means used to this end – more or less always the same – are mainly two in number: panoramic windows and local materials. The Sartfell residence is no exception, and chooses the simplest of options: large windows gaping towards the landscape, and a rustic technology rooted in the location, that of dry masonry. The difference, with respect to consolidated practices, is that both themes are taken to great depth, developing all their potential and achieving effects of great originality by starting with clear, accurate premises. The window, for example, is an ironic take on a key concept of modern architecture: no one knew how to invent novelty like Le Corbusier, that peerless producers of slogans, clichés and key terms, and one of his best and most popular ideas was the long horizontal window, whose qualities and advantages he praised as opposed to the traditional vertical opening. While the vertical window implies a static, standstill view of the outside, the ribbon window allows the gaze to wander, allowing for the movement of the body in space, offering a continuous strip of landscape. The English architecture firm helmed by Will Foster and Greg Lomas interprets this idea in a version that effectively brings out the characteristics of material, space and comfort of the building. The project seeks and finds the precise definition of the specific features of each space, and the most appropriate expression of the relationships and connections between the various parts. The main space is on the piano nobile, at the second level, and is equally divided between the living area and the library. Split into two distinct but not separate wings by the bending of the volume, the living room offers continuity thanks to the horizontal window and the perimeter wall, in rough stone on the outside, becoming a sliding concrete margin on the inside, accompanied by the horizontal lines of the imprints of the formwork. The kitchen is placed to correspond with the ribbon window that continues around the corner, with fixtures placed against the wall and a large free surface, at the center, to con-


tain the sink and to serve as a worktop and dining table. The living room is on the other side, beyond the bend, and is equally minimalist. Here too there is a single element placed at the center: an impressive black fireplace that defines the qualities and uses of the space. Otherwise, a simple coffee table, two different armchairs with their backs to the ribbon window, and a small vertical chest of drawers will suffice. The furnishings are joined by spartan seating created in the deep compartment of the lateral window, in a reference to the typical settee situated inside a bow window in English homes. While the ribbon window underscores the horizontal extension, the space of the library emphasizes a vertical axis, light and luminous, that starts from the lower level and continues to the living area, culminating finally in a large skylight. With a triangular form, the library is equipped with two bookcases in steel sheet with a dark etched finish, bolted onto the concrete wall, one per level. The system of ramps and gangways has been made with perforated sheet metal and slender steel structures, allowing both the light and the gaze to enter, for perception of the vertical thrust and luminosity of the space. The landscape and the context provide the inspiration for the materials, the light, the visual impact of the building, the indoor-outdoor relations, and also guide the choices of methods to achieve a high level of environmental sustainability and energy efficiency. Over time the stone wall will be colonized by moss and small plants, and the roof garden already contains grasses and wild flowers, while energy is supplied by the waters of the nearby lake, composing and a windmill. A special focus has to do with the surrounding land, which will be taken back to its original state by planting native trees, recreating the wild meadow and the peat bogs that host rare species of orchids. CAPTIONS: pag. 50 The Sartfell residence on the Isle of Man is almost a hermitage, a refuge immersed in a nature reserve whose biosphere is protected by UNESCO. The local stone used for the dry masonry and the bend in the volume create a sense of harmony with the landscape. pag. 52 The house stands next to a typical cottage of the Isle of Man, known as Cloud 9, which has been restored to its original condition. The two buildings, connected by a glass passage, are inserted in a zone that has been organized with new support walls in dry stone masonry. pag. 53 The custom kitchen in European oak is in contact with the landscape thanks to a continuous window. The fireplace at the center of the living area is by JC Bordelet (supplied by Lloyds Heat Design). Vintage furnishings and cushions from Charlene Mullen. pag. 54 Above, the perimeter wall in dry stone masonry and concrete is thick (65 cm), as can be seen in the sturdy structure of the roof. In the background, the two-story library, the ‘center of knowledge’ which in keeping with the desires of the owners (a scientist and a teacher) becomes the main feature of the entire house. Right, detail of one of the two bedrooms on the lower level. pag. 55 The triangular space of the library, crossed by systems of gangways and ramps entire made with perforated sheet metal, lit by a skylight. In the background, the living area and the continuous window facing the landscape.

FocusINg PROJECT

P56. AUGMENTED ETHICS AND AESTHETICS IN TIMES OF INFECTION by Francesco Morace THE HEALTH CRISIS HAS INTERRUPTED THE CHAIN OF TRUST. TO FIX IT, WE WILL HAVE TO FOCUS ON INTRINSIC VALUES AND MEET THE CHALLENGE IN TERMS OF QUALITY AND BEAUTY. A RETURN TO SUBSTANCE AND THE GREAT TRADITION OF DESIGN In this confused time we have witnessed the disconcerting outbreak of the Coronavirus Covid-19. Not just a colorful, refined and disturbing image, with powerful communicative redundancy, but also a tangible threat to everything we cherish: our health, our families, our community. It is a blow to our wholeness: first from the viewpoint of image and symbolism, then from that of our state of physical wellbeing and our system of life. The indication, also for the world of design, is clearer than ever: to reinforce everything that involves knowledge and expertise, to take care of each other. Realizing that this is a constituent part of our humanity. Only in this way can we reinforce the social fabric and its immune system, which is not just biological but also a matter of projects, culture, relations. We are often convinced that we have control over reality and its evolutionary dynamics. We imagine that, also due to the rise of technological innovation and Artificial Intelligence. The outbreak of contagion has suddenly altered this perception. Nothing will be as it was before, for many years. Like the events of 11 September in a different decade, the virus undermines social relations, leading to fear that feeds distrust and disorientation. The Censis Report published at the end of 2019 showed that 75.5% of Italians do not trust each other, and the threat of infection came along a few months later to prove it. The digital dimension has often permitted the spread of distrust, without anyone realizing it: a powerful virus that erodes any social construction from the inside. The capitalism of platforms has proposed the dream of a reality accessible to all, but in practice it has proven to be a picklock in the hands of the few, producing a sick model of hunting for clicks, creating economic value sustained in quanti-

ties of sensationalism, fake news and haters, which function for the sole purpose of multiplying distrust, conflict and hatred. In this way, communication itself has undergone erosion that is hard to measure, but by now is evident to the most attentive observers. The chain reaction of suspicion has been driven almost automatically by the media, exploited by fear mongers, shifted from the category of immigrants to that of Chinese people, and even faster to Lombards and Venetians: in a few days we have all become infected outcasts. With the paradoxical consequence of panic: the assault on supermarkets in the first days of the crisis proves that. Italian tourists refused entry at borders have had the unpleasant experience of being discriminated against for the first time, simply for the fact that they belong to a region, or even to a country. Distrust has turned the tables on us, causing our temporary isolation from the world. Trade fairs and international events, major or local, have been postponed, the pride of our country and of Made in Italy, events that attracted professionals, companies and people from all over the world. The Italian Factor has lost its appeal, in spite its famous hospitality and expertise. Then it has been the turn of others. The lesson is clear: there will always be someone who is purer or less contaminated than we are, someone from further south (or further north, in the paradox that chance has brought to us in these months); in the eyes of others, we will always be infected. It is in the context of this pandemic of suspicion that the duo Trust and Truth has inevitably lost its bearings. So it is necessary to intervene on the preservation of the chain of trust: a chain that has rusted and needs to be repaired through Augmented Ethics, followed by Augmented Aesthetics. In this kind of thinking, necessary to cope with the times in which we live, on one side science will be important, and on the other the ability to go back to producing beauty, taste, emotion. This will lead us to come to grips with the authenticity and rigor of the processes with which science experiments, with innovations guaranteed through widespread protocols: not only swabs for testing for infection or new pharmacological principles, but also new behaviors to define the basic norms of the mental hygiene of a community. In this dimension of Augmented Ethics we might finally have the chance to make trust and truth converge, after decades in which first mass media and then digital circuits have worked in the opposite direction. A new appreciation of the value of care, efficiency and authenticity, but also of competence and concreteness, taste and beauty, innovative and creative thinking. Working with the forces we have available, or forming new ones. We will then reason about the world after the contagion, which will resemble a postwar period: ethics and aesthetics will triumph, sustainability will be smarter, services will be shared, beauty will be a common good, communication will confront the great issue of truth, taught to us by the contagion. It will be increasingly difficult to manipulate knowledge when the results are visible on an everyday basis. And this explains the disorientation experienced by the entire media system, that has produced contrasting and conflicting information day after day: just read back through the headlines of newspapers, contradicting each other and themselves, even hour by hour. And then, if this is the outlook, let’s think about the potential of Italy. The Italian System, especially in the furniture/design sector, can become an antidote: it can reinforce the immune system by wagering on uniqueness, creativity, distinction. It can re-address the challenge in terms of Augmented Beauty, following its nature and reinforcing its own DNA. After the time of danger, in the post-virus era, people will be doubly motivated and ready to make their expertise grow, enhancing knowledge, stimulating creativity: Design Week can be the protagonist of this scenario, in a post-contagion vision, offering distinctive, beautiful and honest products, to live with and to enjoy together. Qualities of which Italy can boast, to rediscover and regenerate. To do this we will have to activate strategies of listening to and understanding the new generations, to manage the delicate relationship between business and design, to combine memory and imagination, to maintain the right balance between the heartbeat of a Milan-laboratory and the breathing of a market/ world finally free of infection. The Augmented Ethics we are able to call into play will sustain the Augmented Aesthetics that will put the quality of projects and products at the center, respecting the great tradition of Italian Design, represented by those companies, those designers, those professionals who will know how to reconcile technological innovation and formal research, experimentation with materials and attention to new behaviors. We can turn to this great return to substance, to the central importance of beauty, of things well made, of taste and honesty, after the virus, when we want to recognize the forgotten value of what we are lacking right now. CAPTIONS: pag. 56 Two images of Coronavirus Covid-19.

P58. DESIGNING THE EMERGENCY article Elisa Massoni DESIGN HAS ALWAYS DEALT WITH BASIC HUMAN NEEDS AND THE MOST URGENT ASPECTS OF MATERIAL CULTURE. THIS IS WHY IT CAN PROVIDE VERY USEFUL TOOLS TO COPE WITH A COMPLEX TIME SUCH AS OURS Emergency is a word that has to do with the fragility of systems, their permeability and the unexpected. In a culture that cherishes the illusion of having found


definitive models for problem solving, it is a seldom used, almost unthinkable word. Yet design has always worked on humanitarian, social and economic priorities. It is a discipline totally immersed in the life of people, a bridge between material and humanistic culture, which in time has relied on very useful tools to construct scenarios of intervention during times of crisis or reconstruction. Already in the 1980s and 1990s, Shigeru Ban felt the need to make his expertise acquired in his research on the structural qualities of cardboard available to intervene in areas struck by disasters. The Emergency Shelters, light, economical and easy to transport, were used in the wake of earthquakes, to rapidly build shelters and provide privacy in temporary facilities. Projects that bring to mind the recent images of provisional hospitals built to cope with the Covid-19 emergency. Furthermore, Shigeru Ban’s experience can be defined as open source ahead of its time, in which the deeper meaning of an effective project blends with the qualities of solidarity, help and care, responding to needs that go beyond the simple necessity of a roof. “If we talk about fragility and care, design is at its best in processes,” says Nawal Bakouri, the curator of Handle With Care, during the latest edition of Reciprocity Design in Liege. “Thinking in terms of problem/solution is a mistake. Design does not offer immediate solutions when the subject is human beings.” The true solution is research, the scientific testing of results, challenging the meanings we assign to certain needs of human life. “Medicine, for example, is first of all accompaniment. Themes like aging, chronic illness and disabilities manifest themselves and find solutions over the long term, not in an emergency,” Bakouri continues. And it is here that design takes on strong significance, with the tools that combine symbolic quality and ingenuity in the interpretation of complex contexts. This is demonstrated by the work on the Solar Bottle by Alberto Meda and Francisco Gomez Paz in 2006, a vessel for use in areas where clean water is scarce, granting greater efficacy to a patented purification system. Upon subsequent verification, the idea turned out to be inefficient from several standpoints: it was a project that could be improved, yet it was still inserted in the collections of ADI and MoMA. Research that needed to be tested in the field, Nawal Bakouri emphasizes, in order to legitimize design intervention. A similar experience, but much more recent, is the collaboration of Giulio Iacchetti with the impact investing startup GratzUp, for a bottle and a tank – G Bottle and G Tank – conceived for a purification system similar to that of the autoclave. Again in this case, however, it is a project that awaits testing in the field: the company introduced it last year, in the hope of collaboration with governments, with the idea of development on a large scale. At the start of the 2000s many young Italian designers came to terms with the emerging themes of immigration, hydric resources and solidarity. The historical path has been full of experiments and perhaps minimal and rather naive suggestions, nevertheless rooted in a precise attitude towards issues of fragility – our own or that of others. The path has continued, leading to more concrete actions, in long-term interventions. Paolo Cascone, founder of the studio COdesignLab, has focused for 20 years on design in priority areas of the Third World, especially in Africa. His latest project is a school of design and rapid prototyping in Cameroon. “It is a model that can easily be repeated, capable of making the difference in local micro-economies. We have made a simple work of architecture using vernacular techniques and materials, mitigated by the dialogue with western technology.” Why a school? “Because Africa, in 2034, will contain the world’s largest workforce. This calls for education, projects that support the development of an approach to design and production based on the use of local resources and the spread of expertise with computers.” Because suitable technological and educational support can give rise to areas of wellbeing that help to stem the tide of migration and to consolidate the economic fabric, thanks to social rooting in the territory. “Another priority is to redefine the concept of emergency. In Africa the catastrophic event is the norm,” the designer explains. “We cannot use the same western parameters. Taking a step back might help to gain the time to observe what is happening on a wider scale, and perhaps to also activate the dialogue which the West sorely needs in order to come to terms with its own fragilities, focusing on the most pragmatic possibilities of social design.” This year Paolo Cascone will be at the Venice Architecture Biennale. “I wanted to construct an exhibition around my archival materials,” he says. “To spread knowledge is one of the most effective ways to change inadequate systems of intervention and to reconfigure the design disciplines so that they can make a difference.” And form? Does it exist, or coexist with urgency, or does it get sacrificed? The concept of beauty takes on unexpected aspects in this setting. It is to be hoped – according to Panos Mantziaras, director of the Braillard foundation of Geneva – that people will also consider a type of beauty that disrupts our canons of harmony. A dystopian vision, which in spite of everything manifests itself with an aesthetic thrust for the creation of a truly new world. It is also in this way that transitions can be imagined and designed. In our case, from an anthropocentric era to one of interrelation with the planet and other living species. As happens in the projects of the students of the Design Academy of Eindhoven. There’s the mask that performs a biometric mapping of the breath, transforming a healthcare accessory into a disquieting and organic object. And the jewelry that acts as an aide rehabilitation of injured hands. A different kind of design, which focuses on fragility and speaks of the most humane, urgent parts of material culture. A design we need.

CAPTIONS: pag. 59 Below and on the facing page, Microbial Self by Valerie Daude, a project that experiments with the use of diagnostic technologies in objects that seem almost like fashion accessories. The goal is to make a fact visible, through analysis of the breath: that we live with and host thousands of micro-organisms. One of the most interesting fields of investigation of social design is that of care. Aurélie Varga took a degree at Design Academy Eindhoven in 2019 with a project of jewelry-braces to cure injuries to the hands. Varga has approached the topic by combining aesthetic and symbolic qualities in a medical instrument. pag. 60 Research on the structural qualities of cardboard led Shigeru Ban to design construction parts for temporary emergency shelters, which are economical and easy to transport. Above, Okayama, 2018. Left, emergency housing after the earthquake of 2000 in Turkey. pag. 61 Above, the Solar Bottle by Alberto Meda and Francisco Gomez Paz, 2006. It is a container in transparent PET to purify contaminated water using the SODIS (Solar Water Disinfection) system. Right, the G Bottle by Giulio Iacchetti, 2019, is a project that applies the invention of a Swiss impact investment startup for the sterilizing of water in zones of bacteriological risk. Built-in functions permit self-management of the purification process. Also available in a tank version Above, the co-designed and self-constructed structure that contains the Fabbers School by Paolo Cascone in Cameroon. A project that calls for the spread of design and digital know-how in developing countries..

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P62. CHANGE OF COURSE photos George Darrell - article Laura Traldi AN EXHIBITION BY FORMAFANTASMA AT THE SERPENTINE GALLERY IN LONDON REVEALS LITTLE-KNOWN ASPECTS OF THE WOOD INDUSTRY AND PROVIDES CONCRETE TOOLS FOR ITS TRANSFORMATION IN THE CONTEXT OF THE CIRCULAR ECONOMY. THANKS TO DESIGN To lay bare the wood industry and display it from multiple vantage points. “Cambio” is almost a physical representation of doctoral research. With a new and important message, aimed at triggering change in the way wood is produced and utilized, and lots of little stories to back it up; with valid communicative support (a catalogue, a website) to make deeper exploration possible for all; and with storytelling that rejects entertainment as an end in itself, but not the emotional engagement of the audience (the visit, for example, also involves an olfactory experience). Though made by two designers, “Cambio” – at the Serpentine Gallery in London until 17 May – is not a design exhibition. Design, however, is one of its protagonists and emerges as a key discipline in the development of the present economic system. And design, as it is used by Formafantasma, is also a cognitive tool for investigation: capable of creating connections, of proposing alternative territories of study, of linking information of various kinds with the development of methods for the sharing of results. What is the message of “Cambio”? “Cambio” is a demand for transparency in the wood industry. Which is opaque for historical, geographical, economic and political reasons, and should be narrated for its key role in a perspective of sustainable development and circular economics. There is a big misunderstanding about wood: we think it is a naturally sustainable choice. But that isn’t true. Why not? A tree, as it grows, retains CO2. When it is cut, the process stops. If the tree is replaced by another, that is good. But there is a question of timing: it is better to make a change after the plant has reached its maximum moment of CO2 storage. For oak that means 120-150 years. No forest lasts that long today. Likewise, every object made of wood, to be sustainable, should ideally last more or less as long as the tree from which it was produced. If the timing of discarding of wood is quicker than the growth of the trees, and the wood used to produce objects is burned instead of recycled prior to the proper time, there cannot be a sustainable balance. These things are known to scientists, but they are never mentioned. At times due to bad faith, but much more often due to non-knowledge. Because we are talking about a complex, tentacular industry, whose growth has roots in primitive history, alongside the economic evolution of humankind. What is the point in clarifying what really happens in the wood industry, in terms of sustainability? Shedding light on complexity is the first step towards the change from a linear economy to a circular economy: because it has to become clear to all that without Life Cycle Assessment (analysis of environmental impact that takes all the factors into account, from extraction of material to its processing, production, etc.) we can never evaluate the ecological status of something. Often even the best intentions lead to results that have a negative impact on the environment, simply because people don’t know about the complexity that exists in the system of the wood industry. Why is the show called “Cambio” (Change)?


The title has two levels of interpretation. On the one hand, it is literally a way of urging change. On the other, it refers to the cambium, a layer of cells between the bark and the inside of the plant that helps it to communicate with the outside world. It is thanks to cambium that wood is born, i.e. the armor certain species have developed in their evolution due to climate shocks. And in a metaphorical sense, cambium symbolizes the plant as a being that transforms over time, a living being and not an object. The show opens with a tree trunk felled during the tempest in 2018 in Val di Fiemme, in the moment in which a living being becomes an object. How much does this ‘emotional factor’ count in the exhibition’s premises? A lot, but not to generate pathos. It counts because when people believed trees were sacred, they respected them much more than they do today. And it is necessary to return to that respect, by any means possible. Not by chance, the narrative thread of the exhibition starts and ends by talking about animism as a key for conservation. In pre-Christian times, in fact, the sacred places of forests, where pagan rites were performed, had to be preserved. And the show concludes with a text by Emanuele Coccia in which the narrator is an oak tree that offers its viewpoint on the relationship between men, nature, time, life and death. What does one see in “Cambio”? The visit opens with two videos: on the history of landscape and the wood industry. This first educational part is followed by analysis of the material from various viewpoints. We worked with dozens of experts in various sectors, to whom we assigned tasks that forced them to get away from the traditional canons of their area of research. The visitor thus finds the explanation of an dendrochronologist of what wood has to tell us regarding climate change. People have the possibility of observing forensic analysis of everyday wooden objects, to see if they contain materials from protected species. You can also delve into the world of paper, discovering that the pulp used to make it is a single magma, all over the world. An installation of IKEA stools made with different types of wood explains the ideal and sustainable durability of products. How is the economic role of wood approached? “Cambio” clearly explains that empires have been born, grown and died, from the Roman era to global colonialism and beyond, around forests. This is why part of the show is set aside for a library of woods. Not coincidentally, the first such library was made in the colonialist country par excellence, England. It was the one at Kew Gardens, which we have reconstructed in the show, known as the Economic Botany Collection, and it was made simultaneously at the V&A Museum immediately after the Great Exhibition of 1851 (also the moment in which Queen Victoria asked Henry Cole to transform the art schools of the United Kingdom into schools of applied arts for industry – i.e. design). To understand wood and how to use it brought enormous economic power to countries. Now, however, the management of these resources, to really be sustainable, ought to be transnational, leaving decision-making powers up to local populations. As can be gleaned from various studies and as has been underlined by Philipp Pattberg, professor of Environmental Policy at the Vrije Universiteit of Amsterdam. Analyzing different methods of forest management, for “Cambio” Pattberg has made a document for the rights of trees formulated as a government paper with which treaties can be created for shared, transnational management of forestry resources. The exhibition also addresses the question of Val di Fiemme. Why? We wanted the physical installation of the exhibition to be part of the message. Instead of creating structures that would then be dismantled, we designed fixtures using the wood of trees felled in the tempest of 26-30 October 2018 in Val di Fiemme, a meteorological event that was a catastrophe for the zone and the ecosystem. In a few days the number of trees felled equaled that usually harvested over a span of 14 years, in hard-to-reach zones. One of these trees is at the start of the exhibition, displayed after being cut into slices. Behind it, in a video, a dendroclimatologist from the University of Padua illustrates – by observing the rings of the trunk seen by visitors – how the temperature has increased since 1860, the year the tree was born, to 2018, when it was uprooted by the wind. What we can deduce is that from 2003 onward median temperatures have risen incessantly. The story of Val di Fiemme – which in any case is a leader in the field of conservation – is symbolic in this case. The two videos at the start – on the history of the forest and that of the wood industry – are very long, but they are fundamental to understand the show. What do they narrate? For the first video we started from the moment in which plants emerged from the water and then, making temporal leaps, we explain how the concept of conservation has evolved, and how forests have been at the center of economic and social growth of the entire world population. Not everyone knows, for example, that a large part of the forests all over the world have been planted, to respond to economic necessities. Or that scientists, already in the 18th century, knew that cutting the forests would raise the temperature of the planet. Or that the concept of sustainability (Nachhaltigkeit) can be traced back to an accountant working in the mining sector for the court of Saxony in Freiberg, Hans Carl von Carlowitz (1645–1714). The second video is a path of information – recovered with the UK Investigative Agency, a group of activists based in London – on the wood industry, in terms of

extraction: where forests are and why, how they are conserved and exploited, systems of certification, and so on. “Cambio” is not an act of accusation, but it does lay the industry bare. What is the next step to achieve real change? To understand complexity means accepting the fact that the system of harvesting and use of materials, of underpaid labor and lower prices to the public – namely the very basis of our economy – is responsible for the tragic situation in which we are today. No one, on their own, can bring about change. But the exhibition calls attention to the key role research can play to help enlightened companies to understand and initiate the transformation. And to how design can stimulate and sustain companies in that process. CAPTIONS: pag. 62 Detail of the painting Apollo Pursuing Daphne by RenéAntoine Houasse, 1677. The work is held at the Palace of Versailles and was used by Formafantasma to start the story of the construction of the exhibition “Cambio” on Instagram. pag. 63 At the entrance, a log from Val di Fiemme, one of the many trees felled during the tempest in 2018. The designers have placed it at the start of the exhibition itinerary, capturing the moment in which the tree becomes an object rather than a living being. Below, the two designers of Formafantasma, Andrea Trimarchi and Simone Farresin. pag. 64 In collaboration with the Thünen Institut of Hamburg, a collection of wooden objects has been assembled, with analysis of their origins. What emerged was that in the most economical objects protected wood species are often used, in spite of legislative bans. In the same image, seven replicas of the Bekväm stool by IKEA, in seven different types of wood. For sustainable forestry management, every species corresponds to an optimal time of regrowth, which the life cycle of the object should cover. Right, the video at the entrance to the show, illustrating the history of landscape. pag. 65 Below, the installation “The archive of lost forests” presents a selection of woods imported from every corner of the British Empire during the International Exhibition of London in 1862. The collection, created for purely economic reasons, is used today in the struggle against the market of protected wood species. Below, samples of wood gathered at the time of the Great Exhibition of 1851. The labels illustrate the use in native cultures of origin, and suggest possible use in the western world. On a sample of green ebony, the label indicates the wood as already extinct.

P66. DESIGN HAS MEANING IF IT CREATES RELATIONSHIPS by Paolo Casicci TO REAWAKEN RECOGNITION OF THE VALUE OF THINGS, BUT ABOVE ALL TO CONNECTED PEOPLE. KONSTANTIN GRCIC EXPLAINS HOW FURNITURE CAN RECLAIM THE ROLE TECHNOLOGY THREATENS TO REMOVE FROM IT: DESIGNING BEAUTY AND INTELLIGENCE It had to happen sooner or later: hearing Konstantin Grcic talk about René Magritte. It was at the MAXXI museum in Rome, where the most industrial of contemporary designers spoke about the Alcantara seating of his design for Power to the Imagination, the installation created in February and curated by Domitilla Dardi to narrate the brand that makes an ‘impossible’ technological material. A work made with the Yeminite matte painter Najeeb Alnajjar, creator of imaginary backdrops for cinema. A powerful vision that has brought together, as on the silver screen, the fantasy architecture of three great Italian designers of the last century, Sergio Musmeci, Giuseppe Perugini and Maurizio Sacripanti, with the no less daring work, but closer to us in time, of the Lebanese architect Bernard Khoury. In front of a surreal painting of realistic and fantastic images, nature and artifice, off-scale and detail that gaze upon gaze give rise to a ‘Magritte-like’ perceptional experience, Grcic addressed the meaning of being an industrial designer today. A very difficult meaning if even Grcic, the ‘process’ designer, solid and rigorous, who enhances the knowhow of companies, pushing them one step outside the box, seems to seek refuge in fantasy. “Instead, this project is ‘simply’ my everyday work, perhaps a way to widen the field and to return to my activity that has changed somewhat. Today designers operate in contexts that are too fast and too commercial: the architects I honor here, instead, were like rockets shot to the moon, even without having access to the technology on which we can rely today. This is why they can serve as inspiration, to help us to recover a visionary approach that has perhaps been lost.” Talking things over, Grcic repeatedly expressed a sense of frustration which he attempted to mitigate only towards the end: “Today I find a visionary attitude in the digital, in electronics and the industrial design that gravitates around these fields. My world, on the other hand, the world that has made furniture history, seems to have lost the ability to bond with every aspect of human life, to design and accompany changes in people and society. It is as if furniture were no longer able to come out with new proposals. And it is frustrating to observe how those who work with digital means are happy to live surrounded by vintage furniture. Yet the industry has to have the force to change and to return, as in the 1960s, to perceiving the fact that inside an object there can be a sense of freedom, a vision projected into the future. Now it is as if product design had lost its credibility with respect to technology and services. We are at a sort of impasse: for these projects, like the one for Alcantara, there have


to be new stimuli, to bring new impulses into my studio.” But what does it mean to have a vision, today, for a designer active in the furniture industry, concentrated on designing infinite variations of already existing products? “No one reprimands the fashion industry for continuing to redesign shirts and trousers: fashion has managed better than other sectors to convey the illusion of continuous renewal. We product designers always have to start with those who came before us, adding one new piece: this is how forward progress is made. With my furniture I do not pursue nostalgia, but the lesson contained in things of the past, things well made.” Another fundamental aspect, Grcic says, is to trust in the attitude of endowing objects with a sort of intelligence capable of developing relations between people and things, people and other people. “The intelligence of objects is fundamental. One of my most famous pieces, the May Day lamp for Flos from 2000, is an object that ‘connects’ in the sense that it encourages the user to understand it and utilize it, fully exploiting its possibilities. Over the years this ability has been transferred into technological devices, such as smartphones today, which become extensions of the person. So May Day is a lamp, but it is also somehow an extension of the user. With the difference that the iPhone has the problem of obsolescence and has to be replaced from time to time, even though we never want to separate from it. The challenge for a designer, then, is to make projects that are relevant for people and their lives, just as smartphones have become. Good design means furnishings and objects with a personality, that establish relationships with us. It is up to us designers to give them life.” The challenge is far from simple, because in these years the feeling of belonging has gradually shifted from objects to services, property to sharing. But is that really the case? “To begin with, not everything can be shared, though of course the sharing economy is changing reality in the right direction. And I also find that there is not enough design in certain fields, like bike sharing, for example, a sector in which I see too many vehicles stranded on streets because those who use them do not recognize their value and their beauty. A designer has to generate that beauty, because people tend to value and respect beautiful objects. I don’t want to seem nostalgic, but perhaps the previous generations were more accustomed to appreciating this value. I am convinced that the younger generations will soon understand that a service without something beautiful, to touch, makes little sense.” Grcic stopped for a moment, to backtrack in his thoughts: “I have repeated said that I feel frustrated, but don’t get me wrong: my outlook on where design is headed is positive. We are at a crossroads; we live in uncertain and therefore stimulating times. Thirty years ago the word design was associated with purely aesthetic realities, but today it has become part of the vocabulary of politicians. Design can play an important role in our lives. Let’s enjoy this moment in which design is perhaps becoming something different.” CAPTIONS: pag. 66 Power to the Imagination, the installation created by Konstantin Grcic at the MAXXI museum in Rome for Alcantara, curated by Domitilla Dardi. The visionary work, made with the matte painter Najeeb Alnajjar, shows works by Giuseppe Perugini, Maurizio Sacripanti, Sergio Musmeci and Bernard Khoury. pag. 67 Above, portrait of Konstantin Grcic. Lower left, drawings of the multifunctional Stool-Tool for Vitra. Right, the My Day lamp for Flos: winner of the Compasso d’Oro, it can be placed on a table, on the floor or suspended, thanks to the practical handle that also serves to store the cable. pag. 68 Below, from left, the Cugino table for Mattiazzi and the Cup lounge chair for Plank. Bottom, Chair One, the iconic seat designed for Magis in aluminium with a concrete base. pag. 69 Smart Mobile Disco is the project by Grcic that uses the cockpit of the famous auto model to move an aerial DJ booth. Below, the installation of the exhibition “Night Fever” on the culture of disco, created by Grcic for the Vitra Design Museum in 2018.

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P70. NOW, TOMORROW, FOREVER article Domitilla Dardi A SENSE OF HISTORY HAS BEEN THE SPIRIT OF KNOLL FROM THE OUTSET. PROJECTS BY NEW DESIGNERS EXIST IN HARMONY WITH THOSE OF THE GREAT MASTERS OF THE PAST, IN A WIDE PERSPECTIVE THAT WELCOMES CONTEMPORARY STIMULI WHILE ALSO LOOKING BEYOND, TOWARDS A MODERNITY THAT IS CONSTANTLY RENEWED IN TIME Prizes, signatures or numbers cannot suffice to reveal the greatness of a company that for over 70 years has been an absolute reference point in its field. Were the formula as simple as a repeatable mathematical equation, such results would be achieved by many an enterprise. Instead, there has to also be a profound awareness of unique character, the clarity to pursue the objective of a modernity that is constantly renewed in time. When Hans and Florence Knoll founded their company they did not base its identity on any previous models, but created their own line of thinking. The wanted a catalogue that would bring together the great masters of design, capable of interpreting the object in relation to space; architects of remarkable depth, able to sum up decor in a complex vision that extends to the

relationships between human beings, space and vital functions. Today, inside Knoll, designers of the present come together, destined perhaps to become the great masters of tomorrow, but above all to keep that expanded perspective alive. “Our identity,” Demetrio Apolloni, president of Knoll Europe, explains, “comes from dialogue with the leading figures in design. To preserve this exceptional heritage means remembering our roots, on the one hand, while always being receptive to contemporary stimuli. The fact of having History inside our company makes us responsible with respect to the time in which we live, finding new interpretations to continue to feed the progress of Original Design.” The talents who narrate the most recent history of Knoll today are highly acclaimed architects and designer, of course, but there is also something more. What brings together such unique, different personalities – such as Koolhaas, Lissoni, Barber & Osgerby, just to name a few – is the ability to create products that express the Zeitgeist, the spirit of our time, with the ambition to go beyond it, to look into the future. The furnishings they design are very different from each other, not created in continuity with their peers, yet they are perfectly capable of establishing a dialogue, in harmony with the great Knoll classics, from Saarinen to Mies van der Rohe. To do this, they must have the ability to be simultaneously inside and outside their own time, immersed in the cultural context but ready to break free of it, to observe it from a wider perspective. Which means knowing the difference between a signature language and a style or a passing fashion. The phonemes of this language can exist in an international and cosmopolitan dimension, proudly representing the particular cultures they channel. This is why the dialogue between works of different eras, in a Knoll setting, is never strident, always harmonious: each item brings its own character, in a sharing of design visions that enriches, creating distinction without separation. When they are individually analyzed, the voices in this chorus become very personal. The Gould Sofa by Piero Lissoni and his Grasshopper table, but also the KN Collection, for example, play the role of a great tenor, able to follow the orchestra but also to perform magnificent arias. They are timeless classics, no less than the creations of the great masters. They are the heirs of the motto Modern Always that has always indicated the objective of the company and its interpreters. A younger voice is that of the Smalto table by Barber & Osgerby, which has the lightness in dialogue with the greats of the past that only new generations of talent can possess, without succumbing to the burden of responsibility implied by such an important legacy. Soloists and choristers, protagonists and players are well aware of the fact that their parts are complementary and indispensable for the others. As in the famous, brilliant concept of “meat and potatoes” suggested by Florence Knoll. In 2013 the company began an ongoing collaboration with an outstanding exponent of our contemporary world: Rem Koolhaas with his studio OMA. The Dutch architect has designed what is decidedly an accent piece, in perfect continuity with his architectural thinking and his visionary theories. Tools for Life is not a work that follows the score of the customary typologies; it is a true device for activation of functions and relationships. Not a sofa, a counter, a table or a bench, but all these articles put together, and much more. The engagement with users and their cultural codes of interpretation becomes fundamental, as in Koolhaas’s works of architecture, summoning them to become an active part of the functions that can be triggered by a product that is in some ways unpredictable and mutable. The architect explains: “We wanted to create a line of furnishings that would lend itself to precise but at the same time unexpected uses, furniture that not only contributes to the interior but also to its animation.” The possibility Knoll offers designers, in fact, is to intervene with their pieces to formulate new ways of living and different functions of space. The versatility can be that of furnishings that adapt to a wide range of contexts, not only due to a question of ‘style.’ Modernity expressed in a temporal continuum reveals constantly innovative ways to respond to the issues raised by our needs in time. The need, for example, to create an office environment with a strong presence of the human and personal factor is addressed both by the classics of Florence Knoll and Eero Saarinen from the 1950s, and in the proposals of the present. Today the space of work is increasingly mixed with the space of life, because we no longer work only in the office, but also in a mobile, fluid condition, where even public and domestic spaces can become our ‘temporary offices.’ This is a concept that would not be feasible today, were it not for the fact that in the past the great pioneers worked in the direction of a human, warm design, often also personalized like a portrait, or universal thanks to its adaptability. Rethinking one’s own past is a way of asserting the contemporary character of history, its way of being an eternal present. Therefore the Knoll space at Salone 2020 will be devoted to the reinterpretation of the great Eero Saarinen through the eyes of a designercurator of our time like Ippolito Pestellini Laparelli, previously a partner of OMA and now at the helm of Studio 2050+. “SuperSaarinen,” he explains, “takes the form of a digital billboard that narrates Knoll’s production, diagonally dividing the space. In contrast, a more domestic raised zone contains the various settings against the backdrop of a collage of archival documents and a selection of new sustainable materials, encapsulated in metal cages. The coffered aluminium ceiling is a clear reference to the General Motors Technical Center – Saarinen’s masterpiece – and emphasizes the division of the space, more informal on one side, and more intimate on the other.” In short, and once again: Modern Always.


CAPTIONS: pag. 70 To the side, portrait of Hans and Florence Knoll. Lower left, the KN01 swivel chair, designed by Piero Lissoni, 2018 (photo Federico Cedrone). Right, the KN02 swivel chair with reclining back and the KN03 footrest, designed by Piero Lissoni, 2018 (photo Federico Cedrone). pag. 71 Two famous projects by Eero Saarinen: the Womb Relax chair from 1946, seen here with its footrest, and the Saarinen tables from 1957. Photo Gionata Xerra. pag. 73 Above: the Smalto table by Edward Barber & Jay Osgerby, 2019, in a dialogue with the Platner chairs designed by Warren Platner in 1962. Left, the Avio sofa by Piero Lissoni, 2017. Photo Federico Cedrone. Right, two period advertisements: for the Barcelona® chair by Mies van der Rohe, 1929, and the one created by Herbert Matter for the Tulip chair, in the Pedestal collection, designed by Eero Saarinen in 1958. Courtesy of Knoll. pag. 74 Above, the installation “Tools for Life” created in 2013 by the studio OMA for the Prada Uomo F/W 2013 fashion show, with furnishings produced by Knoll and designed by Rem Koolhas. Below, the Barcelona® sommier designed by Ludwig Mies van der Rohe in 1929. pag. 75 Top: view of the traveling exhibition “The Original Design” and, to the left, one of the talks organized for the exhibition. Installation photo: Mies van der Rohe collection. In the showcase, the Barcelona® chairs by Ludwig Mies van der Rohe, 1929. Photo Flore Chenaux.

Green Desk, a console with sculptural forms in green lacquered solid wood, by Kiki van Eijk for Exto. pag. 89 Happylife outdoor modular sofa with essential forms, which can become a divan and counter, in white polyethylene with waterproof fabric cover and padding, designed by Daniele Bedini for Slide. Desert Botanica vinyl wallpaper by Studiopepe for Wall&decò. pag. 90 Trinity centerpiece, seen from above, in steel colored with black epoxy resin, inspired by the spirals of seashells; the beauty of a natural structure combined with modern production processes. Designed by Adam Cornish for Alessi. pag. 91 Anna chair with metal structure covered in natural perforated cowhide, made with lasers with steel borders in palladium finish; on the armrests and back 144 symmetrical arches suggest the arcades of the Rome headquarters in EUR of Fendi Casa by Luxury Living Group. Desert Botanica vinyl wallpaper by Studiopepe for Wall&decò.

DesignINg SHOOTING

by Katrin Cosseta

P76. IN SUSPENSION by Nadia Lionello - photos Simone Barberis FUNCTIONAL AND AESTHETIC QUALITY, THE HEART OF DESIGN, ALWAYS EVOLVING, INTERPRETED IN A SERIES OF IMAGES OF EVERYDAY OBJECTS CAPTIONS: pag. 76 Band outdoor chair in aluminium, painted in 25 color variants with seat and back covered in acrylic fabric in 39 colors. Designed by Patricia Urquiola for Kettal. pag. 77 Belt of Venus, a luminous sculpture in Murano glass, blown and crafted by hand. Part of the Luminosità collection designed by Hani Rashid and Lise Anne Couture for Venini. pag. 78 Baby Geo chair designed by Paolo Grasselli, composed of the Geo ottoman on which to fasten the structure of the back in metal rod, finished in gray, brushed brass or polished copper. The padded curved back is covered in velvet, while the ottoman is lined with linen fabric printed with a botanical theme, designed by Antonio Marras as an exclusive for Saba Italia. pag. 79 Miami suspension lamp with diffuser in plate glass, digital printing and brass structure. Designed by Elena Salmistraro for Torremato - Il Fanale. pag. 80 Debeam console in extra-clear glass and metal cage with polished gold finish. Designed by Debonademeo for JCP Universe. pag. 81 01 Chair with structure in metal tubing, chrome-plated or coated, seat covered in leather. Designed by Shiro Kuramata for Cappellini. pag. 82 Odissey table with round top in laser-engraved glass, and Alibi table with rectangular top in resin, with a geometric motif; bases in chromium-plated steel rod. Designed by Mauro Lipparini for Arketipo. pag. 83 Kathleen floor mirror with structure in metal, metallized finish and frame in crafted glass; back coated in transparent hues of smoke, antique rose or amber. A backlight system is built into the structure. Designed by Davide Oppizzi for Fiam Italia.

P84. NEW GEOMETRIES by Carolina Trabattoni - photos Paolo Riolzi ARCHES THAT REMIND US OF RATIONALIST BUILDINGS, IN ULTRALIGHT CHAIRS; SPIRALS THAT CREATE CENTERPIECES; FACETED TOPS TO CONSTRUCT SCULPTURAL OBJECTS AND TABLES... AND MARBLE LAMPS DESIGNED SIMPLY WITH A LINE, A CUBE AND A SPHERE CAPTIONS: pag. 84 Fyra table in natural oak with a top that is curved and rectangular at the same time, divided into four sectors with visible veins, by Alf DaFré. Gio Chair in solid blanched ash from the Greenkiss collection, designed by Paolo Castelli, Hubert de Malherbe and Thierry Lemaire for Paolo Castelli. Swell I wool-silk carpet from the Reverence Collection by Fernando Mastrangelo for Edward Fields, Tai Ping. Desert Botanica vinyl wallpaper by Studiopepe for Wall&decò. pag. 85 Paris table lamp designed by Studio Job for Qeeboo, initially produced in a limited edition and now redesigned in terms of forms and materials: in plastic with brass diffuser and gilded base. It represents the Tour Eiffel, an architecture of affection for Studio Job, curved towards the bottom to create a span. pag. 86 Dab Penguin sculpture in ceramic, created by Vittorio Gennari for Bosa, made with the lowpoly technique, i.e. with a 3D model with a low number of polygons. The gesture of the penguin refers to what sportsmen do after an exceptional performance, as a way to raise awareness of the threat of extinction of penguins. pag. 87 Lady Hio table with top in extra-light transparent glass, cylindrical and tapered legs in Nero Marquina marble, with attachment plates and feet in brushed gold anodized aluminium, designed by Philippe Starck for Glas Italia. Eclissi lamp with metal stem, cubical base and luminous bulb in Calacatta marble, designed by Eugenio Biselli for Franchi Umberto Marmi. pag. 88 Super Rock, from the Super Fake collection, carpet in Himalayan wool, silk and cotton fiber, knotted by hand, designed by Bethan Laura Wood for Cc-Tapis.

DesignINg REVIEW

P92. WOOD MOOD HIGH TECHNOLOGY AND FINE WOODWORKING MEET TO GIVE RISE TO NEW EXPRESSIONS OF WOOD. TACTILE TEXTURES, ULTRA-SLIM THICKNESSES, MULTICOLORED INLAYS, UNEXPECTED 3D EFFECTS REVEAL AN UNEXPECTED VERSATILITY OF THE MATERIAL, FROM SURFACES TO FURNISHINGS, ALL THE WAY TO LIGHTS CAPTIONS: pag. 93 On this page: cabinet from the Tesaurus collection by Antonio Citterio for Maxalto, doors enhanced by oak or Chilean tineo veneer, with a staggered checked pattern of crossed grain. In the background, the complex geometric wood cladding Wood-Skin Acoustic by Wood-Skin, permitting variable adjustment of properties of absorption and propagation of sound. The more or less dense zones of openings with specific performance, and the sound-absorbing materials on the back that completely follow the form, give rise to a controlled system that changes depending on the requirements of the acoustic design. Facing page: the Illan suspension lamp by Zsuzsanna Horvath for Luceplan, composed of a light body obtained from extremely thin, flexible plywood, with laser cutting. Clessidra stool/table by Mario Botta for Riva1920, in the special edition for the 100th anniversary of the company, composed of glued strips of solid wood with walnut finish, from the Centenarium Collection. pag. 94 Tapestries from the Intarsia Collection by Elisa Strozyk in ‘wooden textile,’ a flexible surface composed of fabric and geometric wooden tiles, with colored patterns inspired by the inlay technique. Stria storage cabinet by Pietro Russo Design, decorated with an engraved geometric motif in white and black; made with Tanganika frisé veneer, maple interiors and brass legs. pag. 95 Caryllon tables by Cristina Celestino for Gebrüder Thonet Vienna, with structure in square-section curved wood and top in sheared colored wood, referencing the straw marquetry technique typical of Art Deco. Herringbone stylized decorative trees by Raw Edges for the Vitra Accessories Collection of Vitra, made in wood colored by means of repeated immersions. Perigal wooden floor/facing in the new Tiglio Ottanio variant, created by Paola Lenti for Listone Giordano, in the Natural Genius collection based on modules derived from the breakdown of the square, with brushstrokes of color that leave the natural grain of the material visible. pag. 96 From the top: Mirar sideboard from the Orbis Collection by Elena Salmistraro for Emmemobili, in curved plywood with veneer, fronts enhanced by carving and inlays in oak, with a range of finishes: aged, amaranth, dark thermo-treated and silver. Marwari bench/cabinet by Hästens, in inlaid walnut with brass legs; designed by Bernadotte & Kylberg. Petal chair designed by Craig Bassam for BassamFellows with structure in solid oak or walnut, armrests in 3D printed wood. In the background, Alpi Grada by Patricia Urquiola for the Designer Collection of Alpi, a new decorative surface in composite wood, based on a geometric texture that plays with the combination of four tones. pag. 97 Hide&Seek suspension lamp designed by Ray Power for LZF; the diffuser is composed of two thin sheets of natural wood, carved to create a geometric pattern with a 3D effect that is revealed when the lamp is turned on. Amarcord cabinet by Romeo Sozzi for Promemoria in a new variant that is a tribute to Japan. Made with knobs and base in bronze, covered with a composition of Kiri wallpaper and very thin sheets of Paulownia wood, produced by the Japanese company Tomita. In the background, Maze covering in birch plywood and EQ•dekor fiber glass from Lineadeko by Inkiostro Bianco, a waterproof material ideal for the bath environment. pag. 98 Left, Contour Chair by Carl Hansen, a reissue of the chair designed by Børge Mogensen in 1949 using what was then the experimental technique of pressure veneer for the back; in oak, walnut and a combination of the two, with various finishes. Right, detail of the back of the ‘E la nave va’ sofa by Atelier Oï for Alias, made with a system of exposed staves based on the structure of nautical hulls in wood; with an aluminium base. In the background, wall-mounted shade to attach to an existing applique, in bamboo plywood, designed and produced by David Trubridge. pag. 99 Aimei suspension lamp designed and produced by Arturo Álvarez, made with a sculptural structure of ash wood bars. Alva bookcase by Rainer Mutsch for Karl Andersson & Söner, composed of thin wooden slats held firmly in position by the shelves; available in oak and ash, in a range of finishes. In the background, Frame, one of the ten textures of Groovy, the collection of 3D wooden surfaces for walls and furnishings, produced by Tabu by bonding two natural stained veneers.


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N. 4 aprile April 2020 rivista fondata nel review founded in 1954

on line www.internimagazine.it direttore responsabile/editor GILDA BOJARDI gilda.bojardi@mondadori.it comitato scientifico/board of experts ANDREA BRANZI DOMITILLA DARDI DEYAN SUDJIC consulenti/consultants CRISTINA MOROZZI MATTEO VERCELLONI RUDI VON WEDEL

Nell’immagine: vista del CoDe, il primo spazio museale dedicato al design italiano su una nave da crociera, la Costa Smeralda. Progetto di Adam D.Tihany/Tihany Design, allestimento e curatela scientifica di Matteo Vercelloni. In the image: view of the CoDe, the first museum of Italian design on a cruise ship, the Costa Smeralda. Project by Adam D.Tihany/Tihany Design, exhibit design and curating by Matteo Vercelloni. (foto di/photo by Andrea Martiradonna)

NEL PROSSIMO NUMERO 5 IN THE NEXT ISSUE FocusINg

COMFORT ZONE INside

GRAMMATICA COCOON, EMOZIONE E GEOMETRIA COCOON LOGIC: EMOTION AND GEOMETRY DesigINg

IL SILENZIO DEGLI OGGETTI THE SILENCE OF OBJECTS ShootINg

LA CASA SOFT THE SOFT HOME SMART WORKING SMART LIVING

redazione/editorial staff MADDALENA PADOVANI maddalena.padovani@mondadori.it (caporedattore/editor-in-chief) DANILO SIGNORELLO danilo.signorello@mondadori.it (caposervizio/senior editor ad personam) ANTONELLA BOISI antonella.boisi@mondadori.it (vice caposervizio architetture architectural vice-editor) CAROLINA TRABATTONI carolina.trabattoni@mondadori.it (vice caposervizio/vice-editor ad personam) produzione e sala posa production and photo studio KATRIN COSSETA katrin.cosseta@mondadori.it produzione e news/production and news NADIA LIONELLO nadia.lionello@mondadori.it produzione e sala posa production and photo studio ANDREA PIRRUCCIO andrea.pirruccio@mondadori.it produzione e news/production and news rubriche/columns VIRGINIO BRIATORE giovani designer/young designers GERMANO CELANT arte/art grafica/layout MAURA SOLIMAN maura.soliman@mondadori.it SIMONE CASTAGNINI simone.castagnini@mondadori.it STEFANIA MONTECCHI stefania.montecchi@consulenti.mondadori.it segreteria di redazione/editorial secretariat ALESSANDRA FOSSATI alessandra.fossati@mondadori.it responsabile/head ADALISA UBOLDI adalisa.uboldi@mondadori.it assistente del direttore/assistant to the editor contributi di/contributors SILVANA ANNICCHIARICO MAURIZIO BARBERIS FILIPPO BRICOLO MARIA CLARA CAGLIOTI PAOLO CASICCI PATRIZIA CATALANO VALENTINA CROCI DOMITILLA DARDI EDOARDO DE COBELLI CLAUDIA FORESTI ELISA MASSONI FRANCESCO MORACE ALESSANDRO ROCCA LAURA TRALDI fotografi/photographs SIMONE BARBERIS GEORGE DARRELL ALBERTO FERRERO FERNANDO GUERRA BEPPE RASO PAOLO RIOLZI EDMUND SUMNER traduzioni/translations TRANSITING SAS

progetti speciali ed eventi special projects and events collaboratori/collaborators ANTONELLA GALLI CARLO BIASIA ANNA BOLLETTA VALERIA MALITO SISTEMA INTERNI 3 Interni Annual monographs Annual Cucina, Annual Bagno, Annual Contract Design Index The Design addressbook Guida FuoriSalone Milano Design Week guide Interni King Size Milano Design Week product preview Interni Serie Oro Volume speciale/Special Edition MONDADORI MEDIA S.P.A. 20090 SEGRATE - MILANO INTERNI The magazine of interiors and contemporary design via Mondadori 1 - Cascina Tregarezzo 20090 Segrate MI Tel. +39 02 75421 Fax +39 02 75423900 interni@mondadori.it Pubblicazione mensile/monthly review Registrata al Tribunale di Milano al n° 5 del 10 gennaio 1967. PREZZO DI COPERTINA/COVER PRICE INTERNI € 8,00 in Italy

PUBBLICITÀ/ADVERTISING MEDIAMOND S.P.A. Palazzo Cellini - Milano 2 20090 Segrate (MI) Tel. 02 21025259 E-mail: contatti@mediamond.it Vice Direttore Generale Living/ Vice-Director Living Division: Flora Ribera Coordinamento/Coordination: Silvia Bianchi Advertising Manager: Rossella Agnusdei Agenti/Agents: Stefano Ciccone, Simone Salvetti, Mauro Zanella, Paola Zuin Sedi Esterne/External Offices: EMILIA Publiset srl, via Ettore Cristoni 86 Casalecchio di Reno (BO), Tel. 051.0195126 info@publiset.eu TOSCANA Mediatarget srl, via degli artisti 6/F Firenze, Tel. 055.7188610 patrizia@mediatargetadv.com PIEMONTE/LIGURIA/VALLE D’AOSTA Full Time srl, Corso Quintino Sella 12, Torino Tel. 011 2387111, info@fulltimesrl.com LAZIO Five Media Communication viale Bruno Buozzi 107, Roma Tel. 06 36003602, info@fivemediacom.it TRIVENETO (tutti i settori, escluso settore Living/all sectors, excluding Living) Full Time srl, via Cà di Cozzi 10, Verona Tel. 045 915399, info@fulltimesrl.com TRIVENETO (solo settore Living/ only Living sector) Paola Zuin - cell. 335 6218012 paola.zuin@mediamond.it ROMAGNA/UMBRIA/MARCHE/ ABRUZZO/SAN MARINO Idea Media srl, via Soardi 6 Rimini (RN) Tel. 054125666, segreteria@ideamediasrl.com CAMPANIA CrossmediaItalia 14 srl, via G.Boccaccio 2 Napoli, Tel. 081 5758835 PUGLIA CrossmediaItalia 14 srl, via Diomede Fresa 2 Bari, Tel. 080 5461169 SICILIA/SARDEGNA/CALABRIA GAP Srl - Giuseppe Amato via Riccardo Wagner 5, Palermo Tel. 091 6121416, segreteria@gapmedia.it

ABBONAMENTI/SUBSCRIPTIONS Italia annuale: 10 numeri + 3 Annual + Design Index € 64,80 (prezzo comprensivo del contributo per le spese di spedizione). Inviare l’importo tramite c/c postale n. 77003101 a: Direct Channel S.p.A. – Ufficio Abbonamenti. È possibile pagare con carta di credito o paypal sul sito: www.abbonamenti.it. L’abbonamento può avere inizio in qualsiasi periodo dell’anno. Worldwide subscriptions, one year: 10 issues + 3 Annual + Design Index € 59,90 + shipping rates. For more information on region-specific shipping rates visit: www.abbonamenti.it/internisubscription. Payment may be made in Italy through any Post Office, order account no. 77003101, addressed to: Direct Channel S.p.A. – Ufficio Abbonamenti. You may also pay with credit card or paypal through the website: www.abbonamenti.it/internisubscription Tel. +39 02 86896172, Fax +39 030 7772387 Per contattare il servizio abbonamenti: Subscription inquiries should be addressed to: Direct Channel S.p.A. Dall’Italia Tel. +39 02 75429001 From abroad Tel. +39 02 86896172 Fax + 39 030 7772387 dal lunedì al venerdì/Monday to Friday dalle/from 9:00 alle/to 19:00 abbonamenti@mondadori.it www.abbonamenti.it/interni NUMERI ARRETRATI/BACK ISSUES Interni € 10, Interni + Design Index € 14, Interni + Annual € 14. Pagamento: c/c postale n. 77270387 intestato a Press-Di srl “Collezionisti” (Tel. 045 888 44 00). Indicare indirizzo e numeri richiesti inviando l’ordine via Fax (Fax 045 888 43 78) o via e-mail (collez@mondadori.it/arretrati@mondadori.it). Per spedizioni all’estero, maggiorare l’importo di un contributo fisso di € 5,70 per spese postali. La disponibilità di copie arretrate è limitata, salvo esauriti, agli ultimi 18 mesi. Non si accettano spedizioni in contrassegno. Please send payment to Press-Di srl “Collezionisti” (Tel. + 39 045 888 44 00), postal money order acct. no. 77270387, indicating your address and the back issues requested. Send the order by Fax (Fax + 39 045 888 43 78) or e-mail (collez@mondadori.it/ arretrati@mondadori.it). For foreign deliveries, add a fixed payment of € 5,70 for postage and handling. Availability of back issues is limited, while supplies last, to the last 18 months. No COD orders are accepted. DISTRIBUZIONE/DISTRIBUTION per l’Italia e per l’estero/for Italy and abroad a cura di/by Press-Di srl L’editore non accetta pubblicità in sede redazionale. I nomi e le aziende pubblicati sono citati senza responsabilità. The publisher cannot directly process advertising orders at the editorial offices and assumes no responsibility for the names and companies mentioned. Stampato da/printed by ELCOGRAF S.P.A. via Mondadori 15 – Verona Stabilimento di Verona nel mese di marzo/in March 2020

Questo periodico è iscritto alla FIEG This magazine is member of FIEG Federazione Italiana Editori Giornali © Copyright 2020 Mondadori Media S.p.A. – Milano. Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati. Manoscritti e foto anche se non pubblicati non si restituiscono. All rights of literary and artistic content reserved. Even if not published, manuscripts and photographs will not be returned.


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