Do it yourself 01 路 giugno 2010
50% OPEN 路 25% INDUSTRIAL 路 25% YOU
Editoriale
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iamo quasi al termine. Inizialmente qualcuno mi ha detto “Mi vuol dire che comprerebbe una rivista sul Fai da te?” “Sì”. Sì, perché io la vedevo già, era proprio lì, stampata nella mia mente. E quindi sapevo che poteva diventare qualcosa di nuovo, che mescolava il design d’autore al lavoro sporco del fai da te, il sacro al profano. E poi ho scoperto che esistevano delle vere e proprie correnti, che portavano avanti quest’ideologia del “Design fai da te”, non del fai da te e basta. Sì, proprio due mondi separati accostati per creare una sorta di ibrido, che porta ognuno di noi ad essere artefici di un prodotto di design, ad essere designer, sullo stesso piano di grandi nomi come Pesce, Ulian, Mendini, di cui si parlerà all’interno. E non solo, ogni progetto inserito ha un suo significato intrinseco, è stato creato per un fine, forse per portare un messaggio; e quindi si parla anche di riciclo, riuso, alle volte ironicamente, di cambio di funzione, di trasformazioni e mutazioni. Ma cosa c’è sotto a tutto questo, non è solamente portare ad un livello più alto il lavoro manuale (o forse portare ad un livello più basso il design), forse significa porsi delle domande, chiedersi qual è diventato il valore degli oggetti, dei materiali; è chiedersi cosa porta con sé un oggetto che noi stessi abbiamo creato a nostra immagine, un oggetto che ha il nostro nome, e non quello di un altro più famoso, un oggetto che ci rende protagonisti del processo creativo e che ribalta il concetto di “comprare delle idee”. Ma soprattutto che rimane completamente fuori dai processi di omologazione delle merci e di produzione industriale. é proprio con questa filosofia che abbiamo realizzato questa rivista, tutto doveva nascere dalla nostra mente, gli oggetti, le fotografie, i testi, ogni singola parte doveva essere costruita ex-novo, vietato copiare, ma soprattutto “rubare”, perché solo così avremmo creato quello che davvero volevamo. Quindi, dal momento che avremmo inserito dei progetti “Open source”, ovvero dei progetti nati dall’idea di designer appartenenti a questa filosofia del “Me lo costruisco da solo”, che fossero liberamente “copiabili” e addirittura proposti come spunti per un’eventuale personalizzazione, allora abbiamo deciso che anche noi, come i lettori, li avremmo costruiti, con le nostre mani, un po’ perché così avremmo potuto creare per la nostra rivista
veramente ciò che volevamo, un po’ per dire “L’abbiamo fatto anche noi”. Il risultato era ogni singola pagina costruita dalla A alla Z. Ogni scelta curata nei dettagli, soprattutto nella costruzione delle immagini che dovevano essere il punto forte, dovevano raccontare qualcosa, far trapelare un tono, un linguaggio. Poi naturalmente non bastava parlare di Do it yourself, non avremmo potuto proporre solamente una raffica di progetti carini e originali. Bisognava parlare di tematiche, sentire delle opinioni. Così abbiamo innanzitutto interpellato questi designer sul tema del Diy, poi abbiamo dedicato un’intera sezione all’Industrial design, e al lavoro di alcuni personaggi che hanno fatto, e che stanno ancora facendo, la storia del design italiano. Una parte molto discorsiva dunque, sempre con un pizzico di riguardo a quella che è l’unicità degli oggetti e l’importanza del quotidiano. Infine avevamo bisogno di “sporcare” questa rivista, di nuovo spingendo le persone comuni ad essere creative, a osservare, a pensare, così abbiamo dedicato “l’ultimo 25%” (così si spiega la divisione della copertina) al lettore, che diventava quindi protagonista. Una sorta di rubrica in cui ogni mese si “analizzava” un caso, si visitava una soffitta, uno scantinato, un sottoscala di un lettore che aveva voglia di partecipare a questo “gioco”; e lì si andava alla ricerca di oggetti dimenticati, per dargli una nuova vita, anzi per dare al lettore in questione dei consigli e delle “istruzioni” su cosa avrebbe potuto salvare e come. Noi ti diamo un’idea, tu mettila in pratica. Certo, il rischio, ma lo sapevamo benissimo, era quello di “scendere troppo in basso”, di fare il giornaletto per casalinghe frustrate che hanno bisogno di esprimersi, che dopo i 50 anni si mettono a fare bricolage e decoupage, e tutte quelle attività che finiscono in “age”, o peggio ancora di fare la tipica rivista da parrucchiere. Ed è proprio perché ne avevamo piena consapevolezza, che dovevamo “compensare” in qualche modo e rimanere sempre su di livello; l’abbiamo fatto attraverso ogni piccola scelta, attraverso lo stile, il linguaggio degli articoli e delle immagini, le tematiche di spessore, ma soprattutto creando qualcosa di diverso da tutto il resto, qualcosa di completamente nuovo e ridisegnato da zero.
“Solo così avremmo creato quello che davvero volevamo”
Elisa Montalbano
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EDITORIALE
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OPEN SOURCE
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IGLOO Antonio Cos, mutazioni Come? Polistirene Come nasce il polistirolo? TEA LIGHT Jan Bernstein, kinetic art Come? Sottosopra Il materiale che non si sporca mai
KEY RACK
Garbage, cambio d’uso Come? Artista o artigiano? Perché con il cucchiaino lo champagne resta frizzante? VASO Il DIY di Deganello Come? Il DIY è sbocciato Metti un espresso nel motore
TENNIS JEWEL
Elke Munkert, pop design Come? Sport-made Come si producono? CLASP Mana’s jewels Come? DEco-chic Giù le mani dai gioielli INDUSTRIAL DESIGN
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GAETANO PESCE 1969, nuovi materiali AZIENDA B&B Italia: una rivoluzione tecnologica 2003, serialità differenziata AZIENDA Zerodisegno: la diversità come valore
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INTERVISTA Gaetano Pesce: sperimentare con le idee PAOLO ULIAN Osservare i comportamenti INTERVISTA Paolo Ulian: la sensibilità AZIENDA Droog design: dall’Olanda all’Italia Osservare le abitudini AZIENDA Ferrero: la forza di una famiglia ALESSANDRO MENDINI Quando una persona diventa un oggetto AZIENDA Studio Alchimia: dinamicità produttiva Quando un oggetto diventa una persona INTERVISTA Mendini e il linguaggio visivo AZIENDA Alessi: cuore artigianale Your design idea
IN COPERTINA
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A casa di CLAUDIO
TENNIS JEWEL Un nuovo stile che porta di nome di Elke Munkert per tutti gli amanti dello sport e della moda.
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RUBRICA EVENTI PROSSIMO NUMERO
Musicassette Tape lamp Football bag Una vecchia bibi Un orologio raggiera Riepilogo LA SOFFITTA DI SOFIA Can delight Keyboard bag PET PET curtain Giocare con il Lego Lego jewels Riepilogo
Do it yourself 01 · giugno 2010
50% OPEN · 25% INDUSTRIAL · 25% YOU
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Do it your self oggi Anno 1 numero 1 Reg. trib. di Milano numero 536 del 20 Febbraio 2010 Direttore responsabile Emanuele Mantovani
Redazione
OPEN SOURCE
Via Tartini, 9 - 20158 Milano tel 02 67481832 / fax 02 36559740 mail: segreteria@doityourself.it
Hanno collaborato Ambra Farris, Fiona Pinto, Giulia Pozzetti
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Fotografie
Una sezione a tratti ironica e divertente, dedicata a progetti “Open”, ovvero liberi da copyright e riproducibili da chiunque, proposti da sei designer attuali.
Contrasto, Corbis, Getty Images, Omega, The Lighthouse, Trunk, Unopress
Illustrazioni e infografiche Emanuele Mantovani
Progetto Grafico Studio EmmE Consulenza: Mauro Panzeri, Pier Antonio Zanini
Distribuzione m-dis distribuzione media spa tel 02 25821478 / fax 02 25825306 / mail: info@m-dis.it
Stampa e fotolito D&G spa Milano / Fotolito Fram
Arretrati e abbonamenti Raffaella Navarra mail: abbonamenti@doityourself.it tel 02 76391985 / fax 02 36558119
INDUSTRIAL DESIGN Tematiche sulla progettazione industriale e sui processi di produzione degli artefatti di design, si scontrano e si affrontano attraverso le opinioni dei designer stessi e degli opinionisti.
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Pubblicità Direttore commerciale: Elisa Montalbano mail: elisa.montalbano@doityourself.it ADVERA srl Corso Venezia, 6 - 20121 Milano tel 02 76003516 / fax 0276027493 mail: info@adveraweb.com
Your design idea
Editore RI.DO Servizi Editoriali Corso Venezia, 6 - 20158 Milano www.ridoservizieditoriali.it
Copyright 2010 RI.DO s.r.l. tutti i diritti sono riservati; nessuna parte della rivista può essere riprodotta in qualsiasi forma (per fotocopia, microfilm, o qualsiasi altro procedimento), o rielaborata con l’uso di sistemi elettronici, o riprodotta o diffusa, senza l’autorizzazione scritta dell’editore. Manoscritti e foto, anche se non pubblicati, non vengono restituiti.
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Uno spicchio dedicato al lettore, che si fa attore-protagonista del processo creativo di progettazione, attraverso il riciclo di materiali e il riuso di vecchi oggetti.
IGLOO POLISTIRENE
SPHERES Sembrano cellule di chissà quale strano organismo, eppure è solo polistirene espanso, ovvero semplice polistirolo. Un materiale molto comune per l’imballaggio che si traforma in un prezioso oggetto di design. Di Anna Occhipinti
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Antonio Cos, mutazioni Igloo rappresenta la mutazione di un comune imballo in un involucro luminoso prezioso
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La lampada IGLOO è composta da un corpo in polistirene espanso stampato, una parte elettrica e una lampadina a basso consumo energetico. Il polistirene è, per definizione, un materiale d’imballaggio comune che assicura in questo caso la protezione della lampadina. Una volta accesa IGLOO, il polistirene diffonde in modo uniforme la luce (a seconda della geometria e spessore dell’involucro, creando una particolare “texture” traslucida. IGLOO rappresenta la mutazione di un comune imballo in un involucro luminoso prezioso. Con IGLOO si può costruire una fa-
miglia infinita di lampade con forme e dimensioni variabili, realizzate con qualsiasi tipo di imballo di polistirolo. Ma è anche fonte di ispirazione per sbizzarrirsi attraverso la propria creatività e realizzare diverse versioni di lampade da tavolo, da comodino o da soffitto per mezzo di piccole e semplici modifiche. Il polistirene costituisce un materiale che di per sé non ha valore, che viene però impreziosito dall’effetto traslucido creato dalla luce, la quale filtra delicatamente attraverso la texture del polistirene espanso. IGLOO è solo la base per creare ed ispirare tutti gli amanti del design, e spingerli a realizzare qualcosa di nuovo e d’effetto; il polistirene infatti è un materiale ignifugo, molto leggero e versatile, si presta a diversi usi ed è facile decorarlo con applicazioni, adesivi o colori spray.
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Il risultato del mio lavoro è l’osservazione del quotidiano sotto forma di oggetti.
Antonio Cos nasce nel 1975 a Strasburgo. Studia Industrial design alla scuola Raymond Loewy in Francia 1993/95 e al ISIA di Firenze in Italia 1995/99. Dopo esperienze lavorative presso lo studio Denis Santachiara e l’ufficio stile Fiorucci, espone al salone Satellitare di Milano nel 2002/03. Crea il marchio e l’immagine coordinata The Zazu, per l’azienda Luciano Duccetti. Collabora dal 2003 come consulente presso l’azienda Erreti per la linea Duepuntosette. Nel 2004, interviene come visiting professor all’Accademia di Belle Arti, ESAD di Reims in Francia. Nel 2005/06 progetta per i marchi DW System e Exa dell’azienda Erreti. Lo studio Antonio Cos ha progettato per: Bosa, Caterpillar, Coop Italia, Luciano Duccetti, Erreti, Giannini, Guzzini, Habitat, Invicta, Legnoart, Nestlé Waters, Provenza. “Il mio lavoro è il risultato di un’osservazione del quotidiano sotto forma di oggetti. Concepire prodotti per l’industria passa, per me, attraverso una ricerca continua e personale che ha lo scopo di captare i rituali, le tradizioni e questa specie di semplicità, di banalità acquisita e talvolta dimenticata. è questa ricerca e i suoi frutti che vi invito a guardare. ”
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Come? Per realizzare Igloo è necessario un imballo di polistirene qualsiasi. Potete scegliere la forma che più vi si addice, come le scatole per il gelato, oppure semplicemente potete riciclare un vecchio imballo, basta ricordarsi che lo spessore dell’involucro influisce sulla luminosità della lampada e aiuta a creare giochi di luce e ombre molto suggestivi. Un ulteriore aspetto è la possibilità di personalizzare queste lampade attraverso le più svariate soluzioni: nastri adesivi colorati, fiori e pailettes facilmente applicabili con puntine, e molto altro!
L’involucro può essere la semplice scatola per il gelato. Ma certamente la forma sferica conferisce maggiore effetto. Le sfere sono reperibili in centri per il bricolage.
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Procuratevi delle lampadine a basso consumo energetico e un filo a caldo oppure anche un ago da scaldare.
Per l’involucro che avvolgerà la luce, è necessario un qualsiasi imballaggio di polistirolo e un filo elettrico con portalampada.
Come esempio useremo due semisfere; fate un cerchietto con la matita nel punto in cui si inserirà il filo.
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Tagliate via la parte disegnata con il filo a caldo oppure con un ago scaldato infilato in un tappo di sughero.
Inserite il filo elettrico nel buco e montate la lampadina; assicuratevi che questa non tocchi il polistirolo.
Unite le due parti dell’involucro, se è necessario con del nastro adesivo; la vostra lampada è pronta!
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Lampadina a basso consumo energetico di 20 watt; 30 watt per involucri più spessi.
Involucro in polistirolo espanso; può essere anche la scatola del gelato.
Filo elettrico e portalampada; il filo andrà collegato con l’aiuto di un cacciavite seguendo le istruzioni presenti sulla confezione del portalampada.
Il punto in cui verrà inserito il portalampada andrà forato con il filo a caldo oppure con un ago scaldato inserito in un tappo di sughero.
Polistirene Qual è il carico simbolico di un oggetto come questo, costruito principalmente con materiale povero?
Perché c’è la necessità di fabbricarsi da sé una lampada in polistirolo, spendendo tempo e magari anche denaro, quando è facilmente reperibile (e a basso prezzo) in centri come IKEA?
Un materiale povero, conosciuto, maneggiato ogni giorno, ha la capacità di stupire.
Non tutti i progetti sono destinati ad essere prodotti e commercializzati. In qualità di designer, bisogna porsi la domanda seguente: quale è la vita migliore che potrebbe avere ogni determinato progetto? Nel caso di Igloo, è effettivamente una situazione alternativa al comprare l’oggetto “take a way” del classico circuito commerciale, come potrebbe appunto essere Ikea. Igloo, dato la sua povertà materiale e facilità costruttiva, prende pienamente senso attraverso la dinamica del fai da te. Il costruire la lampada rimane un pretesto. Quello che m’ interessa è che la gente percepisca che un materiale povero, conosciuto, maneggiato quotidianamente ha la capacità di stupire e trasformarsi in qualcosa di prezioso e unico.
Non è tutto oro quello che luccica. Spento Igloo è povero. Acceso Igloo è ricco. Lascio libera interpretazione a queste tre frasi. Spesso alcuni oggetti hanno senso solo grazie al meccanismo del fai da te. Altrimenti sarebbero solo degli oggetti “take away”.
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Qual è il significato intrinseco della sua frase “il mio lavoro è il risultato di un’osservazione del quotidiano sotto forma di oggetti”? E dove porta questa osservazione? Sono un contempl-attivo. Una delle prime qualità di un progettista è di sapere osservare: riuscire a captare nel quotidiano, nella vita apparentemente banale e
Una delle prime qualità del progettista è di sapere osservare.
ripetitiva, degli stimoli progettuali in una forma, in un materiale, in un comportamento, in una situazione, ecc... Avendo per questo un pensiero rivolto alle tradizioni popolari. Divento “attivo” quando il connubio osservazione-riflessione-fantasia ha luogo e si dimostra coerente progettualmente. Ma ogni progetto ha una sua propria storia è non esiste una ricetta passe-partout.
Il lavoro di Antonio Cos si contraddistingue per la sua continua ricerca e osservazione di rituali, tradizioni, azioni e di una semplicità quasi dimenticata.
Come nasce il polistirolo? Il polistirene è una resina termoplastica ottenuta per polimerizzazione dello stirene monomero ricavato, a sua volta, dalla sintesi dell’etilene e del benzene. Il processo per la produzione dello stirene monomero era stato descritto oltre un secolo fa, nel 1869, da M. Berthelot; ma si può risalire addirittura al 1786 volendo trovare precedenti storici sulla preparazione di questa sostanza, sia pure partendo dallo storace, un balsamo vegetale. Importanti passi avanti sulla via della produzione industriale del polistirene furono compiuti nel 1922 da Dufraisse e Mureau, nel 1925 dalla Naugatuck Chemical Co. E dalla L.G. Farben, nel 1930 dalla Dow Chemicals. Negli anni Trenta la produzione di polistirene è ormai un fatto acquisito, tuttavia questa materia plastica incominciò ad avere un suo modesto mercato solo dopo il 1935. Fu la guerra mondiale a dare una spinta decisiva all’industria dello stirene e del relativo polimero.
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Quando i giapponesi, nel 1942, occuparono la Malesia e le Indie olandesi, Stati Uniti e Gran Bretagna si trovarono improvvisamente tagliati fuori dall’approvvigionamen�to di gomma naturale. Ili governo americano decise allora di varare un programma accelerato per la produzione di un elastomero sintetico a base di butadiene e stirene. Questo elastomero, contraddistinto con la sigla GR-S (Government Rubber – Styrene), provvide un efficace sostituto della gomma naturale. Ma alla fine della guerra l’industria americana si trovò improvvisamente con una grande disponibilità di stirene monomero e non trovò di meglio che utilizzarlo per incrementare la produzione di polistirene a basso prezzo. Così, il costo conveniente, le proprietà della resina e la sua facile stampabilità furono le basi del successo di questa materia plastica che diventò rapidamente uno dei polimeri più diffusi.
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TEA LIGHT Tea time
è arrivato il momento del tè ed insieme a lui è arrivato il momento di osservare il mondo da una prospettiva diversa. Chi l’ha detto che una tazza da tè debba solo contenere del tè e non possa essere sospesa in aria? Di Marco Aureggi
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Jan Bernstein, kinetic art You can never get a cup of tea large enough or a book long enough to suit me.
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L’idea è di quelle che fan sorridere. Una tazza da tè rovesciata diventa il paralume per un’originale lampada, mentre la bustina da tè si trasforma nello spunto creativo a cui attingere per creare un insolito interruttore. Gli amanti del fai da te possono copiare l’idea direttamente da Jan Bernstein, designer tedesco autore di Tea Light. Tea Light rappresenta il mondo del Design osservato da un altro punto di vista, un punto di vista completamente opposto, in cui tutto è capovolto ed i canoni si invertono. è solo uno spunto per creare qualcosa di veramente innovativo, per sbizzarrirsi a inventare nuove varianti scegliendo colori, contenitori e grandezze diverse. Di certo non è la prima volta che vecchi oggetti da cucina vengono utilizzati in un’altra “maniera”, forse perché non è così fondamentale il valore dei materiali ma piuttosto l’uso che se ne fa?
L’idea di questo designer tedesco è nata in una sola notte, senza la pretesa di creare nulla di eccezionale, ma solo una lampada per la cucina.
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Jan Bernstein è nato a Berlino nel 1982 e ha studiato Product Design all’Università “Burg Giebichenstein” di Arte e Design di Halle in Germania e in seguito si è trasferito in Spagna all’Università d’Arte di Valencia. Il suo interesse maggiore abbraccia il lavoro meccanico e cinetico, tutto ciò che sta tra arte e design. Esperienze lavorative in anni: • 2008: Stage presso “Walking Chair Design Studio” a Vienna; • 2008: “Progetto Arte” presso l’Università d’Arte di Linz; • 2006: 6 mesi di collaborazione al Dipartimento di ceramica e vetro Design; • 2001: Stage presso la ditta “ISI Airbag” a Vienna.
My work is everything based between kinetic art and design.
Tea Light rappresenta il connubio tra design e ironia, fa parte di quei prodotti nati per stupire e per far sorridere. Un po’ per spingere tutti i progettisti e gli amanti del design a giudicare i prodotti per il loro significato e non solo per il loro aspetto estetico. Jan Bernstein, è portatore di questa ideologia, quella secondo cui non bisogna prendere il mondo del design troppo sul serio, ma bisogna prima di tutto saper osservare, perché ogni cosa, anche la più banale e comune, si può trasformare in un’opera unica, basta saper sfruttare il cosiddetto “pensiero laterale”.
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Come? La lampada Tea Light è un vero e proprio cambio di prospettiva. L’unica banale difficoltà nel costruire questo oggetto sta nel trattare il materiale elettrico, infatti ci vuole una certa domestichezza con cacciaviti e lampadine, ma nulla è impossibile, basta seguire le istruzioni e il gioco è fatto!
Filo elettrico e portalampada con attacco piccolo. é importante prima infilare il filo nel foro e in seguito montare il portalampada, seguendo le istruzioni sulla confezione. Il foro va praticato con un trapano e punta per ceramica mantenendo una bassa pressione; in caso di difficoltà è sufficiente una piccola incisione per poi utilizzare un chiodo e un martello sempre dall’esterno verso l’interno, in modo che un’eventuale spaccatura rimanga nascosta.
Tazza in ceramica piuttosto grande per far sì che possa contenere in lunghezza un portalampada e una piccola lampadina. Lampadina di potenza 10 watt a basso consumo energetico con attacco piccolo.
Bustina di tè che funge da interruttore, fissata con un po’ di colla o nastro adesivo.
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Procuratevi delle tazze da tè di diversi colori, un trapano e delle piccole lampadine.
Per prima cosa forate il fondo della tazza dall’esterno con una punta sottile da ceramica. Potete aiutarvi con chiodo e martello.
Procuratevi un filo elettrico e inseritelo nella tazza, poi montate il portalampada con un cacciavite.
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Ricordate di montare il portalampada solo dopo aver inserito il filo e di collegare i fili elettrici nei poli corrispondenti.
Come tocco finale, attaccate una bustina da tè alla tazza per fare in modo che sembri l’interruttore.
Molte tazze insieme triplicano sicuramente l’effetto. é possibile anche utilizzare altri utensili come per esempio tazzine e bicchieri.
Sottosopra Il progetto di Tealight è stato ideato per motivi pratici e funzionali.
Quanta ironia c’è nell’ ideazione di un oggetto che deve cambiare la sua funzione primaria? Certamente, un po’ di ironia c’è sempre quando si progettano questo genere di oggetti. Ma a dire la verità, il progetto di Tealight è stato ideato per motivi pratici e funzionali, perché le tazze di ceramica hanno una forma perfetta come lampade. Il progetto della corda che tiene la lampada è stato sviluppato successivamente e questo dettaglio credo che dia a Tealight quel senso di ironia di cui parli. Come è nata l’idea di trasformare un oggetto di uso comune in una lampada? L’idea è nata una sera quando pensavo che avrei voluto una nuova lampada per il tavolo della cucina. Così mi sono guardato in giro, ho cercato tra gli oggetti presenti e ho visto una grande tazza nella vetrina. Il primo prototipo è nato in quella notte, mentre l’idea della corda e dell’interruttore-bustina, è stata sviluppata successivamente.
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Non bisogna prendere il mondo del design troppo sul serio!
Pensi che questo oggetto sia una sorta di metafora per vedere il mondo del design da un altro punto di vista? Sì, penso che un po’ lo sia. Questa lampada rappresenta come un modo per prendere il mondo del design non troppo sul serio.
Spesso il proprio lavoro porta ad uno stato di trans in cui non si riconoscono più i valori attuali. Invece bisognerebbe affrontare ogni cosa con armonia e anche ironia, come è stato detto prima, per evitare che questo mondo ti travolga e non ti lasci più via di scampo.
Il nome originale di Tealight non è in inglese, bensì in tedesco, Teelicht, lingua di origine di Jan Bernstein.
Il materiale che non si sporca mai Immaginate una tazza che, anche dopo aver fatto colazione, resta pulita come se non l’aveste mai usata. Non male vero? Forse presto bicchieri, piatti e altri oggetti per la casa (e non solo) potranno essere realizzati in un nuovo materiale che non si sporca mai. Il segreto è il femtosecond laser, un particolare tipo di laser ultraveloce in grado di trattare alcune superfici così che
sporco e acqua possano scivolare via senza lasciare tracce. Lo studio è olandese e a metterlo in pratica è stato un dottorando, Max Groenendijk dell’Applied Laser Technology Group dell’Università di Twente, che si è ispirato al fior di loto, noto perché le sue foglie, anche in ambienti paludosi, restano sempre pulite. Il trucco è in un’infinità di minuscole strutture dette “microvilli” che im-
pediscono ad acqua e sporco di depositarsi. Groenendijk ha semplicemente applicato lo stesso principio alle superfici artificiali bombardando il materiale con “proiettili luminosi” ad alta intensità. Il risultato è una serie di microsolchi che si comportano come i microvilli del loto.
Questo nuovo materiale intelligente potrà essere sfruttato, non solo per tazze, ma anche per il resto delle stoviglie.
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KEY RACK Keys & cutlery Strano connubio, non si vedono molto spesso delle chiavi nel cassetto delle posate, ne tantomeno una forchetta attaccata ad un portachiavi. Una soluzione invece esiste e si chiama Key Rack. Di Andrea De Giovanni
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Garbage, cambio d’uso è come se questi oggetti, tutti utensili di uso domestico, subiscano una sorta di “mutazione genetica”.
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Un autentico cambio di funzione quello di Gilles Eichenbaum, artista (o artigiano) e vagabondo nato a Marsiglia nel 1959. Egli infatti prende oggetti di uso domestico e con essi costruisce qualcosa di nuovo, qualcosa per cui la loro funzione primaria svanisce completamente, per farne nascere una nuova, completamente diversa e assolutamente impensabile. Ecco che qui delle semplici posate diventano degli originali portachiavi. Ma non sono solo una forchetta o un cucchiaio a trasformarsi, è l’oggetto in sé, nella sua totalità che compie una mutazione in qualcosa di avveniristico pur rimanendo in qualche modo domestico. Le piastrelle, che possono anche già essere presenti sul muro, con il colore danno vivacità all’ambiente e le posate gli danno un’anima, un volto, quasi fossero vive.
Non sono solo posate e stoviglie le protagoniste, ma anche altri oggetti come tubi da idraulico, pezzi meccanici e altri appartenenti a diversi ambiti.
Ma Key rack fa parte di un’ampia famiglia di oggetti della tavola che si trasformano in lampade e altri complementi d’arredo, tutti assemblati secondo uno stile sobrio ma originale grazie alla scelta degli abbinamenti. Vediamo così cucchiai che si sposano con scolapasta e ciotole di varie dimensioni, caffettiere e teiere assemblate con portafrutta, per formare una deliziosa abatjour, tutto, o quasi, rigorosamente d’acciaio e alluminio.
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Vous poubelles ont du talent. Anche dalla spazzatura si può creare del talento.
Gilles Eichenbaum, alias Garbage, è nato nel 1959 a Marsiglia. Festeggia il suo compleanno ogni 25 anni, e ciò gli permette di averne presto il doppio senza accorgersene. Gli anni sono come il colesterolo, basta non fare analisi per non averne. Sebbene di origine franco-italo-russo, tradisce la sua natura resistendo aspramente all’alcolismo cronico. La vita dei suoi genitori e la sua carriera l’hanno portato a passare attraverso una quarantina di paesi, dal Sud della Francia fino all’Australia passando per l’Africa nera, il Medio Oriente e le Americhe. Abita ufficialmente a Parigi, ma viaggia senza tregua tra la capitale ed i suoi laboratori dell’Oise; ciò che
Il nome d’arte Garbage, nasce proprio dall’ideologia secondo la quale si può ricavare qualcosa di utile anche da ciò che viene buttato nella spazzatura.
rimane della sua casa è una semplice borsa da viaggio. Formatosi all’E.S.J. (Scuola Superiore di giornalismo di Parigi), si è riconvertito molto rapidamente nei più vecchi mestieri del mondo della comunicazione, ovvero stampa e comunicazione di impresa. Da po’ di tempo a questa parte, Garbage fa quello che gli piace più fare, ovvero, costruire oggetti inusuali e con materiale riciclato. Garbage si ritiene un avventuriero e questa professione di artigiano è nata dai suoi viaggi intorno al mondo in cui l’esigenza di fabbricarsi degli oggetti per vivere, l’ha portato ad incuriosirsi di questo passatempo, e di trasformare le sue creazioni in oggetti di design che creassero profitto.
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Come? Cucchiaio (o una qualsiasi posata) piegato con l’aiuto di una pinza.
Key Rack è un vero esempio di riuso. Ma soprattutto è un esempio di come un oggetto di uso comune possa cambiare completamente la sua funzione primaria, trasformandosi facilmente in un preziosissimo elemento di arredo. Dunque uno strano connubio quello di posate e chiavi, ma molto efficace.
Piastrella dipinta con colori per ceramica. Il cucchiaio può essere fissato con una colla universale (es. Millechiodi), oppure con una gomma adesiva.
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Iniziate deformando la posata da voi scelta con l’aiuto di una pinza da posizionare verso il centro di essa.
Per fare in modo che il cucchiaio assuma la “giusta piega”, stringete voi stessi le due estremità.
In un secondo momento procuratevi delle vecchie piastrelle inutilizzate e dipingetele con colori per ceramica.
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Sarebbe auspicabile effettuare almeno 2 o 3 mani di vernice per fare in modo che il colore sia uniforme.
Una volta asciutto (circa 24 ore), applicate sulla piastrella una colla per metallo per fissare le vostre posate.
Per appenderla, utilizzate dei gommini adesivi, oppure applicate dei triangolini da quadro sul retro.
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Artista o artigiano? Abbiamo visto che tra gli oggetti ricercati c’è un’alta percentuale di oggetti della tavola. Forse perché c’è il bisogno di richiamare a ciò che è più vicino al domestico e casalingo?
Da semplice passatempo ho creato una vera e propria professione.
Di sicuro sono gli oggetti che si accumulano di più tra ciò che non si usa più. Ma è anche vero che quando non si ha una dimora fissa, sono quelle cose che non mancano mai perché servono per mangiare, in qualsiasi posto vai. E avendo trascorso la vita tra un paese e l’altro, sempre in tenda, c’era l’esigenza (o forse no) di creare ciò che invece non ci si portava appresso, con quello che avevi a disposizione. Quindi nascevano così lampade e altri oggetti da posate, stoviglie e utensili vari. Naturalmente c’è una passione innata per il riuso, la quale mi ha portato a farne una professione. Forse ero proprio io ad avere il bisogno di richiamare a ciò che è più vicino al domestico, proprio perché non avevo una casa! Come ti è venuta l’idea di scavare un po’ dappertutto e di interessarti al recupero? In realtà è stato mio padre che mi ha insegnato negli anni ‘60-70 quando ero un marmocchio. La vera storia è questa innanzitutto. Sono il figlio di una specie di Indiana Jones che sballottava la sua famiglia intorno al mondo. Non eravamo solamente espatriati ma “brussardi”. All’estero, eravamo un mese in città per comprare dei 4x4 e poi un altro mese a fine missione per rifornire tutto l’accampamento. Il resto del tempo si stava sotto la tenda. Quando avevamo una baracca era solo una casa vuota di passaggio.
Garbage deve la sua natura al padre, definito una “specie di Indiana Jones”.
A quel punto o ci si imbatteva in mobili praticamente putrefatti e con tutti i piedi mangiati, o si improvvisava. Allora si faceva il giro del bosco per cercare della legna e si creavano dei mobili, si usava una caffettiera e dei tubi per fare una lampada, si facevano sculture con bottiglie di vetro. Da allora è diventata una specie di tradizione di famiglia ed è per questo che ho lo pseudonimo di Garbage, perché tutto ciò (o quasi) che si trova nella spazzatura può essere trasformato e può avere nuova vita. Che ruolo senti di rivendicare nella società, artista o artigiano? Senza esitare: artigiano. Faccio l’artista quando scrivo dei testi per esempio; parto da un’emozione, di un’idea, di un’astrazione, senza nient’altro che carta e matita, ed è lì che creo qualcosa. Quando prendo degli oggetti che esistono già, che mi accontento di illuminarli, di innestarli tra essi, e ugualmente quando li modello, lavoro una materia e delle forme che sono già state pensate, da qualche parte, prima di me e non da me. La sfumatura è sottile, ma questo lavoro mi sembra più tecnica che arte.
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ARREDO
Perché con un cucchiaino lo champagne resta frizzante? Perché un liquido non si “sgasi” è necessario non lasciar sfuggire l’anidride carbonica che si libera nell’aria a contatto con la superficie dello spumante. Quando in questo velo d’aria l’anidride raggiunge la stessa concentrazione che ha nel liquido, essa impedisce ad altra anidride di liberarsi. Un ottimo metodo per raggiungere lo scopo è tappare la bottiglia. Per lo champagne, però, il tappo una volta “saltato”, si dilata troppo per poterlo riutilizzare. Ecco perché c’è chi inserisce un cucchiaino di metallo (alcuni sostengono che quelli d’argento funzionano meglio) nel collo della bottiglia. Non esistono prove che questo “rimedio della nonna” funzioni; esiste invece una ricerca che dimostra il contrario.
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Nel 1995 un gruppo di scienziati di Épernay (la “capitale” dello champagne) provò a conservare bottiglie di spumante semivuote per verificare le variazioni di pressione del gas al loro interno. Alcune bottiglie vennero lasciate senza tappo, altre con un cucchiaino nel collo, altre ancora tappate. I risultati dimostrarono che l’unico sistema efficace per mantenere l’anidride carbonica nel vino è un tappo ermetico. Il cucchiaino potrebbe servire a mantenere fredda anche l’aria sopra il liquido che farebbe quindi da “tappo” per l’anidride. Si tratta però di una spiegazione molto teorica dato che queste condizioni si possono mantenere solo per pochi minuti, fino a che la temperatura non si uniforma. Incerti sull’attendibilità di tale esperimento, abbiamo contattato Il Prof. Flavio Carsughi, docente di Fisica presso l’Università Politecnica delle Marche, il quale ha spiegato: “L’effetto del cucchiaino (che per tradizione popolare doveva essere di puro argento), non è supportato da alcuna teoria scientifica. Io ho ipotizzato che il suo effetto possa essere legato alla semplice Forza di Archimede. Allo stesso modo le bollicine di gas che escono dal liquido per uscire attraverso il tappo incontrano una temperatura nelle vicinanze del cucchiaino tale da raffreddarle. Diminuendo la temperatura, il volume della bollicina si contrae e la densità della bollicina aumenta di conseguenza.
A questo punto la Forza di Archimede dovuta alla presenza di aria, non è più in grado di spingere la bollicina verso l’alto e quest’ultima ricade verso il basso. Ricadendo verso il basso la bollicina potrebbe alterare l’equilibrio chimico tra le molecole di gas che si trovano sullo strato sopra la superficie del liquido e quelle dissolte nel liquido stesso, con un possibile passaggio di un numero maggiore di molecole dall’aria al vino frizzante. Tutto quanto descritto chiaramente non funziona quando le bollicine del gas e il cucchiaino sono alla stessa temperatura, perché ciò non permette lo scambio di energia termica sottoforma di calore. Quando siamo invece in presenza di situazioni transitorie (subito dopo che la bottiglia è stata inserita nel frigorifero), la temperatura del cucchiaino non è necessariamente uguale a quella delle bollicine di gas e quindi potrebbe portare ad un effetto nel contenuto di gas nel vino frizzante. Durante questi transitori il metallo del cucchiaino si raffredda più velocemente a causa della maggiore conduzione termica e quindi il cucchiaino si trova ad una temperatura inferiore rispetto al vino e a suoi componenti. Quanto durino questi transitori e che effetto possono avere sui vari componenti non è cosa che ho verificato, e quindi potrebbero essere anche talmente piccoli da avere effetti trascurabili, ma comunque la presenza del cucchiaino non danneggia ulteriormente il vino”.
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VASO Linee geometriche Non serve avere un laboratorio, ne tantomeno essere degli esperti falegnami per creare un oggetto funzionale e decorativo. Anche un semplice progetto, a partire da utensili e materiale di facile reperibilità , può gererare un design di alto livello. Di Ludovica Ariosto
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ARREDO
Il Diy di Deganello Recession Design propone un modo di progettare che va oltre le tendenze del momento.
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Vaso fa parte di un’iniziativa sul tema “Design Fai da te”, una mostra-provocazione che propone ironicamente un modo di “progettare” che vada oltre le tendenze del momento e che rimetta al centro l’oggetto nella sua forma e funzione essenziale. Vaso è un oggetto creato con materiali reperibili in un qualsiasi centro per il “bricolage”, lavorati e assemblati con utensili d’uso comune. Con un design pulito ma mai banale, essenziale ma non povero, questo oggetto mostra come un progetto apparentemente semplice, possa generare un design di alto livello.
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Anche con materiali e utensili comuni si può generare un design di alto livello.
Diplomato all’ISIA di Firenze, ha partecipato al laboratorio di Denis Santachiara e al laboratorio sul cristallo tenuto da Oscar Tusquets e Francois Burkhardt a Meisenthal (Francia). Ha inoltre collaborato con Zooi.snc alla realizzazione di prototipi con gli studenti della Domus Academy di Milano. Qui lavora come designer e interior designer, sua ultima realizzazione negozio Dangerous work a Milano.
Nel corso degli anni ha collaborato con lo studio di Gaetano Pesce a New York, con lo studio Cibic a Milano dove ha seguito lo sviluppo esecutivo di progetti di design. Ha partecipato a numerosi concorsi tra cui Boeing Businness Jet, Mini Design award, Prix Emile Hermes. Ha presentato nel 2006 alla biennale della ceramica di Albissola lampada a sospensione e al salone di New York ICFF 2008, Solis lampada in tessuto a sospensione per l’azienda di San Francisco Pablo.
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ARREDO
Come? Invece che esporre bicchieri e tazzine nella classica vetrina da salotto, perché non sfruttarli in un’altra maniera? La creazione di questo oggetto è pressoché elementare ed è una sorta di provocazione al mondo del Design per dare spazio ad un nuovo modo di “Fare Design”, più semplice, ma affatto banale. Un pensiero che contesta la serialità, la moda, e dà invece spazio alla creatività personale, o a quella “rubata” ai designer di Recession Design, che offrono le loro opere come progetti “copiabili” e a portata d’uomo. Come afferma l’autore di questo oggetto è il consumatore stesso che ha il compito di trasformarsi nel protagonista di questo processo creativo, in colui che crea, e non colui che compra l’idea di qualcun altro.
Sul sito www.recessiondesign.org sono presenti diversi complementi d’arredo di altri designer che hanno partecipato all’iniziativa, con tanto di istruzioni per costruirli.
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Procuratevi dei listelli di legno di varie misure, un trapano, una colla per legno, bicchieri e tazzine, fiori a gambo lungo.
Iniziate prendendo due listelli di ugual lunghezza e uno più lungo su cui effettuerete 3 fori.
Incollate i listelli più corti alle estremità del listello più lungo. State attenti ad usare una colla per legno.
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Non è necessario che i fiori siano veri, potete anche acquistare dei fiori finti, che sicuramente dureranno più a lungo!
Dopo aver atteso circa 12 ore, inserite i fiori scelti nei fori e usate le tazzine o bicchieri come vasi.
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Riempite i contenitori con dell’acqua e prestate attenzione al fatto che i fiori non siano troppo pesanti!
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Fiori vari a gambo lungo da inserire nei fori praticati con un trapano e punte per legno.
Utilizzate una colla apposita per legno (es. Millechiodi), oppure un chiodino.
Listelli di legno abete di misura 18 cm x 2 pezzi e 24 cm x 1 pezzo.
Tazzine, bicchieri o contenitori di ogni genere.
Il DIY è sbocciato Perché proporre in maniera così viva e quasi ironica, il fai da te come modo di “progettare”? L’obbiettivo è quello di dimostrare che con poco o quasi nulla, anche rispolverando un oggetto dimenticato nella nostra credenza, si riescono a progettare degli oggetti semplici ma non banali. Con i tempi che corrono forse ha più senso. Basta avere un po’ di inventiva e creatività, a volte la cosa più semplice è anche quella più efficace sia dal punto di vista progettuale che estetico. Il suo progetto appartiene all’iniziativa Recession Design, qual è il messaggio che volete comunicare con questa mostra? Recession Design è una mostra nata l’anno scorso con lo scopo di portare il metodo di progetto su un altro livello: quello del fai da te, proponendo oggetti di facile costruzione ma sempre con un certo stile e una propria bellezza. Quest’anno è stata riproposta in occasione del Fuori Salone con la presentazione di nuovi oggetti che hanno però una tematica
L’obiettivo è quello di riportare il consumatore come attore protagonista del processo creativo.
diversa, per questo ha assunto il nome di “Not at home”; i lavori infatti ora esplorano diversi ambiti di progetto che si spingono al di là delle mura domestiche, quindi l’ufficio, la scuola, l’outdoor... L’obbiettivo è sempre quello di riportare il consumatore come attore protagonista del processo e del percorso creativo . In questi tempi di crisi economica, cosa significa “fare Design”? Progettare oggetti di facile realizzazione, fatti in casa,e/o con materiali reperibili vicino a casa. Restando il più possibile fuori dai processi di omologazione delle merci e di produzione industriale, insostenibili e con conseguenze terribili
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ARREDO
per tutti noi. Il più possibile quindi a Km 0. Il mio non è un atteggiamento catastrofista e critico della società dei consumi, ma sicuramente una domanda me la faccio. Oggi ha più senso farsi un vaso con una tazzina da caffè e tre pezzetti di legno e un po’ di colla al costo di circa 1 euro o comprarsi un vaso all’Ikea visto e rivisto in tutte le case del mondo al costo di 2,99 euro senza considerare il costo della benzina per andare a comperarlo?
Metti un espresso nel motore Nel mondo si producono ogni anno oltre 7 milioni di tonnellate di caffè e, di conseguenza, una quantità enorme di... fondi. Un ingegnere americano è riuscito a utilizzarli per produrre un biodiesel economico ed ecologico. (Alessandro Bolla, 7 gennaio 2009) Mentre astrologi e cartomanti consultano stelle e palle di vetro in cerca di previsioni su come andrà questo 2009 appena iniziato, i ricercatori
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dell’Università di Reno, in Nevada, si dedicano... ai fondi del caffè. E dentro ci vedono, se non il futuro, almeno qualcosa di futuribile. Mano Misra, docente di ingegneria presso l’ateneo americano, ha infatti messo a punto un biodiesel ecologico ed economico proprio a partire dal caffè usato. Rispetto a tutti gli altri biocombustibili sviluppati fino ad oggi, il biodiesel da caffè è molto più stabile, grazie all’elevata percentuale di antiossidanti presenti nella miscela aromatica.
LISCIO, MACCHIATO O SENZA PIOMBO? L’idea è nata quasi per caso: Misra ha notato come il caffè abbandonato nella tazza per una notte tenda a formare una patina oleosa che si accumula sui bordi del contenitore. Studiando questo olio ha scoperto che può essere utilizzato per l’alimentazione di motori diesel. Il processo per la produzione dell’olio di caffè è a basso consumo di energia, a costo quasi nullo di materie prime (il caffè è consumato ovunque in grandi quantità) e ad alto rendimento: per ogni quintale di fondi di caffè trattati si ottengono 10-15 kg di combustibile e ciò rende la sua industrializzazione estremamente conveniente rispetto agli altri combustibili di origine vegetale.
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TENNIS JEWEL
Tennis passion Un’artista tedesca un giorno pensò “perché non unire due mondi apparentemente distinti come la moda e lo sport?”. Apparentemente, perché in realtà sono moltissimi gli sportivi appassionati di moda. Ma di certo questi accessori non sono rivolti solo agli sportivi, ma a chiunque voglia distinguersi. Di Chiara Albicocco
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ACCESSORI
Elke Munkert, pop design Il gioiello diventa un’ esperienza personale in cui vivere i propri valori e i propri ricordi.
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Certamente sport e moda possono viaggiare parallelamente. Se sei come Serena Williams che è appassionata ad entrambi i mondi, di certo apprezzeresti questi gioielli molto alla moda ispirati al mondo del tennis, ideati dalla designer tedesca Elke Munkert. Questi gioielli hanno all’interno un rivestimento in alluminio e all’esterno sono ricoperti dallo stesso materiale che riveste le palline da tennis. Se sei appassionato di tennis non puoi non averli per godere a pieno dell’esperienza sportiva. Ma di certo non sono solo gli sportivi ad amare questo genere, anzi, probabilmente Tennis jewel con il suo stile cool e molto pop attirerebbe le giovani generazioni, le quali vogliono distinguersi sempre di più. Queste accessori ispirati al tennis fanno parte della collezione Sweeties che include anche altre collane e anelli fatti con materiali comuni. Altre linee come “Organics”, “Classics”, “Looks like”, “Interactives” and “Kolner dom” sono sempre disegnate per creare un’esperienza e suscitare nuovi valori e sensazioni nelle persone che le indossano.
Elke Munkert ha personalmente dichiarato di non voler mostrare il proprio volto, poiché ciò che conta è l’oggetto in sé e non l’immagine di chi l’ha costruito.
Per me è una gran soddisfazione vedere il volto ammirato delle persone che osservano. “Le mie opere spesso hanno alla base un secondo fine, - afferma Elke Munkert - come giocare con materiali comuni e conosciuti in un contesto nuovo o contrapponendo la sensazione visiva e tangibile. Le forme e anche quello che i materiali mostrano, si fondono per costruire un sentimento molto personale che nasce dall’esperienza e dai ricordi di chi osserva. Soprattutto in tempi come questi in cui molti valori si sfaldano, mi piace offrire alle persone dei gioielli innanzitutto accessibili che siano eco dei loro valori e ricordi. In quanto designer è necessario guadagnare denaro, ma è anche molto importante la soddisfazione di vedere il volto felice delle persone che li portano. E alla fine tutti sanno, che i designer sono dei veri e propri egoisti quando si tratta di accontentare la gente, non è così?”
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Nata nel 1967 a Norimberga; 1991-1994: formazione come orafa con Franz Mabillon, Butzweiler; 1994-1995: studia alla Technical School of Design di Treviri; 1998-2003: studia Design del Prodotto alla Fachhochschule di Düsseldorf; Dal 1998 lavora come freelance; Ottobre 2005 - Marzo 2007 Co-proprietario del negozio “Amis mille”; Aprile 2007 entra a far parte di un piccolo studio. Elke Munkert è una designer tedesca che ama giocare con oggetti comuni, decontestualizzandoli e trasformando così il gioiello in un’esperienza personale dove l’osservatore rivive i propri valori. Ecco allora che nella collezione Sweeties una pallina da tennis diventa un ornamento pop per gli amanti dello stile e allo stesso tempo dello sport.
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ACCESSORI
Come? Ecco qui tre oggetti davvero cool per dare luce alla propria personalità. Anche se Elke Munkert non si è limitata a tagliare una pallina da tennis, ma ha previsto delle aggiunte che rendesseso Tennis jewel più “industriale” e meno fai da te, è sufficiente avere una buona manualità e una discreta precisione per realizzare qualcosa di altrettanto “professionale”. Basta armarsi di un coltello ben affilato e avere una mano piuttosto ferma per evitare spiacevoli incidenti, per creare un gioiello in pochissime mosse e dal risultato imprevedibile. Non è necessario avere palline da tennis professionali, si
Tennis jewel fa parte della collezione Sweeties, in cui materiali comuni e conosciuti fanno da padroni.
possono anche comprare delle “finte palline” (anche più piccole) a pochi euro, e probabilmente il tutto sarà addirittura più semplice e meno faticoso per le vostre braccia. Uno stile nuovo dunque, che mette in discussione il valore dei gioielli, che non sono più preziosi, ma sono semplicemente unici dal punto di vista dello stile e della moda.
Cerchietto di plastica per capelli. La mezza pallina e il cerchio sono stati fissati con un chiodino sottile; in seguito questo è stato piegato all’interno della pallina. Pallina da tennis tagliata esattamente a metà con un coltello ben affilato. Parte centrale di una pallina da tennis, a cui sono state tagliate le due parti esterne.
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Parte esterna, con diametro di circa 4 cm, di una pallina da tennis, tagliata con un coltello ben affilato. Base rotonda per anello dello stesso diametro della parte di pallina; il fissaggio avviene con una colla a caldo oppure con una colla universale.
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bracciale
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anello
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paraorecchie
Per il bracciale, create due cerchi paralleli con un pennarello per segnare i punti in cui taglierete.
Effettuate lo stesso taglio su un’altra pallina da tennis, questa volta tagliando più esternamente.
Tagliate esattamente a metà una pallina assicurandovi che le due parti siano uguali.
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Tagliate con un coltello ben affilato seguendo le linee tracciate, proprio come se fosse una mela.
Procuratevi una base per anello (o un anello piatto che non utilizzate) e fissate il cerchio con della colla.
Utilizzate un chiodino per fissare il cerchietto alle palline e piegatelo all’interno con delle pinze.
Sport-made Chi indossa questo genere di accessori e gioielli, che cosa ricerca?
Chi indossa questi gioielli è qualcuno che vuole mostrare uno stile inconfondibile.
Sinceramente penso che chi indossa questi accessori, sia soprattutto un giocatore di tennis o comunque un amante di questo sport. Certo è che, vedendo come si evolve la moda, probabilmente anche chi ama mostrare uno stile inconfondibile li indosserebbe. Anzi forse sono proprio le nuove generazioni a ricercare questo tipo di oggetti; non c’è più la cultura del gioiello prezioso, ma piuttosto la cultura di portare qualcosa che sappia renderti unica. Qual è il carico simbolico di Tennis jewel, che unisce due mondi così distanti, la moda e lo sport? Non penso che ci sia un significato così profondo nell’unire moda e
Anche Elke Munkert ama sperimentare diversi materiali, rimanendo sempre in linea con la filosofia di rendere i prodotti “accessibili”.
sport; non ho voluto nascondere nessun pensiero, ne tantomeno un’ideologia di fondo, che desse a Tennis jewel una doppia natura. Semplicemente io sono una designer di gioielli e amo lavorare con materiali diversi, anche strani, se così possiamo definirli. Il mio lavoro ha alla base un’approfondita ricerca su come trasformare oggetti di uso comune, o comunque molto diffusi, in qualcosa di nuovo e originale. C’è un aneddoto per quanto riguarda Tennis jewel, infatti questo accessorio è nato in seguito ad una terribile partita di Tennis, che è stata noiosa e poco coinvolgente, per il pessimo gioco di entrambe le parti. Così ho pensato a tutto ciò a cui potevano servire le palline da tennis oltre alla funzione di “pallina”. Il risultato è stata questa serie di gioielli.
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ACCESSORI
Qual è il significato della frase “lavorare con materiali conosciuti trasportandoli in un nuovo contesto o nell’opposizione tra quella che è l’impressione visiva e quella tangibile” che compare nel suo sito? Beh, come ho già detto, io lavoro con materiali che tutti conoscono in altri contesti, come per esempio le palline da tennis nello sport, entrano a far parte del “mondo moda”.
Il mio lavoro si basa sull’ opposizione tra il riscontro visivo e quello tangibile.
Poi utilizzo anche materiali che alla vista possono sembrare una cosa, mentre al tatto si rivelano essere tutt’altro. Questo è ciò che significa “opposizione tra il riscontro visivo e tangibile”. Ho lavorato alle volte con materiali che sembravano pietra a primo impatto, ma che in realtà erano Polietilene. Quello che cerco sempre di fare è offrire alle persone qualcosa di unico, ma pur sempre accessibile.
Come si producono? Le palline da tennis sono realizzate con una miscela di gomma, nerofumo, zolfo e altri additivi di cui ogni azienda conserva gelosamente il segreto. Gli ingredienti vengono mescolati insieme e modellati a caldo in stampi a forma di semisfera cava. Le due semisfere, una volta staccate dallo stampo, vengono rivestite con uno strato di colla: incollate a due a due - con un procedimento, la vulcanizzazione, che le rende elastiche - formeranno la pallina. Il prodotto grezzo viene poi cosparso di colla e rivestito con due linguette
di feltro, fatto per il 70 per cento di lana e per il resto di fibre sintetiche. Senza questo rivestimento sarebbe impossibile giocare: la pallina infatti raggiunge, all’uscita dalla racchetta dopo il servizio, anche i 230 km/h. Proprio grazie al rivestimento, però, dopo il rimbalzo rallenta fino a 7080 km/h, permettendo agli avversari di rispondere. Inoltre il feltro accentua gli effetti che vengono dati alla pallina dai giocatori. Sotto pressione. Le palline usate nei tornei ufficiali e dai giocatori professionisti, a differenza di quelle
normali, sono pressurizzate (a 2-2,5 atmosfere). Vengono prodotte in ambienti pressurizzati e sono confezionate in “tubi” anch’essi pressurizzati. La pressione serve per ottenere un rimbalzo adeguato: le regole internazionali impongono che la pallina, lasciata cadere da un’altezza di 100 pollici (2,54 metri), debba avere un rimbalzo compreso tra 1,35 e 1,47 metri. Anche peso e diametro sono rigidamente stabiliti: tra 56,7 e 58,5 grammi e tra 6,35 e 6,67 cm.
Le palline da tennis devono necessariamente seguire questo procedimento di produzione, poiché è quello che permette alla pallina di rimbalzare e prendere velocità.
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CLASP è proprio vero, forcine, mollette, pinzette sono le vere migliori amiche delle donne, anzi delle ragazze. Spesso hanno dei bauletti o dei portagioie solo per quelle proprio come se fossero gioielli. C’è chi le ha monocromatiche, chi di tutti i colori, chi ricoperte di glitter, l’importante è averle sempre con sè, risolvono qualsiasi tipo di situazione. E allora se sono tanto preziose, perché non crearci davvero dei gioielli di moda? Un accessorio inconfondibile perché così ovvio ma non banale, un accessorio importante, ma non volgare, un accessorio davvero cool e soprattutto... riciclato! Di Luca Andreoli
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ACCESSORI
Mana’s jewels The power of transformation is the jewel of being human.
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Clasp è una collana fatta con forcine per capelli, e ancora una volta rispetta i valori di riuso di materiali poveri e comuni. I gioielli di Mana Bernardes infatti, sono caratterizzati da un concetto comune: “the power of transformation is the human being’s jewel”, molto evidente nel suo modo di produzione. Mana ha la capacità considerare ogni materiale preziosissimo: pezzi di bottiglie riciclati, stuzzicadenti, fermagli per capelli e palle di vetro. Tutti i prodotti sono fatti a mano da artigiani addestrati da Mana con l’obiettivo di aumentare l’istruzione, la cultura e la cittadinanza.
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Il lavoro di Mana si contraddistingue per essere una sorta di patto di sostenibilità tra educazione, arte e design.
Mana is not simply a force, a being: it is also an action, a quality and a state.
Mana Bernardes è una designer di gioielli, poeta e artista visiva. Il suo lavoro viaggia dal Chelsea Art Museum di New York alle strade popolari di Rio de Janeiro. Nata nel 1981 a Rio de Janeiro in una famiglia di artisti, Mana Bernardes ha dimostrato il suo potenziale creativo in mostre di tutto il mondo, nella sua collezione di gioielli di uso quotidiano, nei numerosi progetti in collaborazione con stilisti e marchi di grande notorietà. Il lavoro di Mana cerca un percorso equo e sostenibile attraverso l’educazione, l’arte e il design. Nel 2004 ha creato la collezione di gioielli “Bic Game” per il marchio Colecionadora A della stilista Luisa Marcier. Nel 2005, invitata dai fratelli Campana, ha esposto alla Fondazione Cartier, in Francia. Ci ha mostrato l’8 metro mobile “A thread for space” e la video arte “Connecting through the cord”, un progetto che ha partecipato alla mostra commemorativa della rivista britannica “I-D”. Il 2006 è stato l’anno della sua prima mostra personale, “The work is yours”, a Paço Imperial, Rio de Janeiro. “Melissa’s roots” è l’installazione fatta con 300 sandali di questa marca, che ha lavorato sul tema della sostenibilità nel corso della settimana della moda di São Paulo del 2007. Nello stesso anno, Mana ha trasmesso l’opera “On paper it wouldn’t fit, That which in the body couldn’t fit, In poetry it fit”, una scultura 3x3m fatta di luce e di fogli di carta vegetale.
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ACCESSORI
Come? Gli orecchini sono stati completati con due monachelle infilate nelle estremità del filo; per evitare che l’orecchino sia troppo lungo, è possibile anche utilizzare due palline nere a cui avvolgere le estremità del filo.
Fil di ferro da 2 mm, modellato con una pinza a punte tonde, a formare delle volute; a queste forme sono state appese 8 forcine. Serie di forcine nere intrecciate con 6 forcine dorate seguendo uno schema di 4 forcine infilate sulla parte superiore delle forcine dorate e 4 infilate sulla parte posteriore.
La chiusura dei girocolli è una chiusura a cappio, ideale per filo così spesso; in una estremità è stata applicata una pallina e fermata piegando il filo, nell’altra è stato formato un cappio di diametro leggermente superiore a quello della pallina.
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girocollo
Girocollo formato da fil di ferro da 2 mm e circa 50 forcine infilate alternando nere a dorate.
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orecchini
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charm
Per la collana procuratevi un centinaio di forcine, del fil di ferro da 2 mm e delle pinze a punta tonda.
Con la pinza a punte tonde, create con il fil di ferro delle volute, per rimanere sullo stile Deco della linea.
Prendere 5 o 6 forcine dorate e usatele come base su cui montare le nere.
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Infilate le forcine dall’estremità alternando i diversi colori, creando lo schema che più vi piace.
Inserite circa 8 forcine e piegate il filo in modo da avere un punto in cui agganciare la monachella.
Infilate alternativamente 4 forcine nere, prima sopra e poi sotto quelle dorate. Infine usate il filo per creare il girocollo.
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Clasp è un autentico gioielli creato non con metalli o pietre preziose, ma semplicemente con delle forcine per capelli. Inoltre è molto semplice e non richiede abilità particolari. é sufficiente seguire un paio di accorgimenti per creare qualcosa di unico e con uno stile inconfondibile. Innanzitutto il fil di ferro spesso, nero o di bronzo, permette di creare facilmente forme particolari e rimane rigido proprio come se fosse un vero girocollo; in più è l’unico materiale che permette di creare le volute, le quali danno quel tocco in più e lo rendono inconfondibile dal punto di vista dello stile, che richiama l’art Déco.
DEco-chic Può essere definita arte la capacità di creare un oggetto così prezioso riciclando materiali? Più che la capacità di creare oggetti, penso che sia arte saper riconoscere la preziosità di alcuni materiali, saper vedere la nobiltà in essi, la loro malleabilità, imparare che con la loro lavorazione si possono ottenere cose inusuali, cose che nessuno avrebbe mai immaginato. Credo che la fase in cui si manipola, sia la più importante, forse più della creazione mentale di qualcosa. Infatti sono solita a commissionare artigiani che, su mie indicazioni, hanno la capacità di trasformare questi materiali. Sono loro ad essere artisti, non io.
Per Mana Bernardes fondamentale è la fase di costruzione dell’oggetto, più di quella di ideazione.
Come mai, secondo lei, le giovani ragazze ricercano accessori e gioielli sempre più curiosi? Beh, questo non lo so, bisognerebbe chiedere a esperti di marketing, oppure a loro stesse. In generale credo che oggi ci sia più la tendenza a ricercare l’unicità, quindi il pezzo unico. Tutti ci siamo ormai stancati del gioiello fatto in serie e ultra-pubblicizzato, per poi vederlo addosso a molte altre persone. C’è più la voglia di emergere, di sentirsi uniche, soprattutto quando si vive il periodo
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ACCESSORI
dell’adolescenza, in cui le ragazze sentono il bisogno di mettersi in mostra, ma senza esporsi. In questo caso, solo un vestito, un accessorio, possono fare la differenza. Quando ha iniziato a riciclare materiali e perché? Diciamo che già da bambina amavo creare i gioielli, poi ne ho fatto una professione, ma il riciclo l’ho scoperto successivamente. Mi ero dimenticata quale fosse il vero senso di quello che facevo, non mi bastava
Ho sempre cercato di lavorare all’ insegna dell’ ecosostenibilità
il fatto che fosse una passione, qualcosa che mi faceva stare bene. Avevo bisogno di trovare uno stimolo in più, un motivo perché le mie opere fossero migliori delle altre. Così ho cominciato ad interessarmi alla socialità e all’ecosostenibilità, e non ho mai abbandonato quest’ideologia, da quel momento ho sempre cercato di lavorare all’insegna dell’ecosostenibilità, e ho unito questa piccola e nuova parte di me anche agli ambiti in cui lavoravo, quindi la poesia e la visual art. Ed è proprio questo che mi ha portato la soddisfazione più grande.
Giù le mani dai gioielli Infilereste mai una mano in questa teca? Probabilmente neanche il ladro più esperto ci proverebbe, dato che in questa gioielleria di South Lion (Michigan) si utilizza un antifurto un po’ particolare: 12 scorpioni imperatori (Pandinus imperator) africani – non particolarmente velenosi, ma decisamente minacciosi – che vengono lasciati scorrazzare tra i preziosi monili. È stato proprio il proprietario, Mark Ward, a introdurre gli animali in negozio per la prima volta, in un’esposizione temporanea. Ma quando poi ha deciso di riportali a casa, se l’è dovuta vedere con le lamentele dei clienti, che si erano ormai affezionati agli animali. Così gli scorpioni sono diventati le guardie ufficiali del negozio, la cui insegna ormai recita “La gioielleria più pericolosa del mondo”. C’è anche chi gli scorpioni li usa direttamente come gioielli.
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Questi animali, grazie al loro lavoro, hanno preso il nome di “Scorpioni vigilantes”.
GAETANO PESCE Di Giorgio Baratto
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MATERIALI
1969 Nuovi materiali Poltrona Donna
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on il modello Donna, Gaetano Pesce si immergeva in un ampio grembo femminile”, scrivono KlausJurgen Sembach, Gabriele Leuthauser e Peter Gossel. “Tecnicamente questo mobile rappresentò una sensazione. Si comprava la poltrona in un pacco piatto rettagolare. A casa si toglieva l’involucro e la poltrona si apriva automaticamente”. Disegnata nel 1969 rappresenta una delle più clamorose espressioni del Radical Design. Appartiene alla serie Up in cui sette diversi modelli di sedute, sono caratterizzate da uno straordinario impatto visivo che le ha rese uniche nel tempo. Lei è la più celebre, è la scultorea poltrona Up5, abbinata al pouff Up6, concepita come metafora della “donna con la palla al piede”, vero e proprio pezzo cult. Creati in un dialettico rapporto e perfettamente calibrati, poltrona e pouf appoggiati uno sull’altro svelano ciascuno la propria identità formale solo se liberati dall’imballaggio. Dichiara Gaetano Pesce: “La poltrona Donna è stato uno dei primi oggetti in schiuma di poliuretano, che hanno fatto nascere una tecnologia nuova a quel tempo...magia di aprire l’imballaggio e vedere questi oggetti che lievitano. Ricordo che con quella poltrona ho voluto parlare di una condizione umana...che è la prigionia della donna vittima dei pregiudizi degli uomini; donna che vive ancora in condizioni inaccettabili in certi paesi”.
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Disegno di Gaetano Pesce della poltrona Donna (1969).
Gaetano Pesce, il diritto alla diversità
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è stato un momento della mia vita in cui ho cominciato ad avere dei dubbi sulla produzione standardizzata, perché, da una parte, c’era qualcuno che diceva che le popolazioni del mondo dovevano tutte somiglirsi e dovevano essere delle popolazioni che si esprimevano nello stesso modo. Quindi tentavano di eliminare le differenze, che invece sono delle qualità che portano l’identità al
mondo e a diverse popolazioni. Io ho pensato non solo che le popolazioni e gli individui hanno il diritto alla diversità, ma anche gli oggetti hanno il diritto alla diversità. Quindi ho cominciato delle produzioni dove ogni oggetto che usciva non è una copia, ma è un originale, perché credo che il mercato del futuro darà a dei prezzi industriali, cioè a costi contenuti, delle opere uniche, che quando le possederemo sapremo che siamo gli unici a possederle. Mi risulta che certe grosse industrie automobilistiche oggi stanno sperimentando l’automobile personalizzata. Quindi vuol dire che quest’idea del futuro non è solo spartita da me, ma anche da altri molto più organizzati e complessi di quanto sia io. Sulla base di quest’idea ho dovuto sperimentare nuovi materiali che fossero in grado di avere un umore e svilupparsi, anche se prodotti industrialmente, in modi sempre diversi. Quindi ho dovuto ricercare questi materiali. E questa è stata anche un po’ la scoperta. I materiali tradizionali non sono in grado di fornire questo genere di qualità che era uno statement politico che facevo. Cioè, siamo diversi e anche gli oggetti devono essere diversi e avere una personalità, essere unici, avere un umore, avere un carattere. Tutte qualità che vanno molto lontano e che possono soddisfare il mercato del futuro che già oggi comincia a dichiarare questo tipo di esigenza, di possedere cose uniche. Io dovevo assolutamente servire quest’esigenza e l’ho fatto attraverso materiali nuovi”.
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B&B Italia: una rivoluzione tecnologica
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&B Italia nasce nel 1966 grazie all’imprenditorialità e all’intuito del carismatico fondatore Pier Ambrogio Busnelli. Si afferma come azienda di riferimento a livello internazionale nell’ambito degli imbottiti, grazie ad una geniale intuizione tecnologica che ha introdotto per la prima volta nel settore un approccio industriale per la produzione di arredi di design. B&B sente il processo di modernizzazione del paese come spinta per un’audace sperimentazione. Crea da subito un dialogo tra la cultura italiana del design e i professionisti a livello internazionale. Dalla rivoluzione tecnologica dello stampaggio a iniezione (poliuretano schiumato a freddo) nascono icone del design quali Up, Corona-
Antica rivista che racconta la nascita di B&B Italia e le sue prime produzioni.
do, Lombrico e Amanta. Negli anni ‘70, in un momento di fermento artistico, animato da nuovi modi espressivi e toni di voce più audaci, B&B Italia assume il ruolo di protagonista anche sotto
il profilo comunicativo. Oliviero Toscani firma la campagna di lancio de “Le bambole” (Compasso d’oro, 1972); le provocanti immagini di donna Jordan, musa ispiratrice di Andy Warhol, contribuiscono a ribadire la carica innovativa e rivoluzionaria di B&B Italia. Gli anni ‘80 sono anni di radicali cambiamenti. La cultura si muove tra tradizione e sperimentazione. Nel 1984, l’armadio Sisamo firmato da Studio Kairos vince il Compasso d’oro, affermando B&B Italia come azienda leader nell’innovazione. Nel 1987 introduce una rivoluzione tipologica con l’inconfondibile Sity, per la prima volta si vede il concetto di un sistema di sedute dalle molteplici possibilità compositive. Negli anni ‘90 lo scenario generale mostra segni di ripresa. B&B Italia
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MATERIALI
si distingue con una nuovo concetto di design puro e lineare, che coniuga rigore estetico e funzionalità (introduzione del concetto di elemento terminale Chaise Longue). Oggi il design italiano continua il suo percorso di affermazione internazionale. Nel 2006 B&B Italia acquisisce il 50% di MOOOI, azienda olandese di complementi d’arredo ed illuminazione, guidata da Marcel Wanders, e con lei prosegue il suo cammino, legata dalla stessa passione per l’innovazione ed il design nel rispetto di personalità di stile distinte e complementari.
2003 Serialità differenziata Gocce separabili
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idea –in fondo- è sovversiva, nel senso che rovescia con ironia e leggerezza un fatto dato per scontato: che gli oggetti usciti da una fabbrica siano uguali. Perfettamente identici. Nel caso di Nobody’s perfect accade esattamente il contrario: ogni oggetto è unico, tant’è che tutti sono firmati e datati. Non ci sarebbe nulla di strano se si trattasse di una lavorazione artigianale, ma in questo caso gli oggetti sono prodotti in un’industria: solo che l’ultima parola –e la firma- spetta agli operai; manca lo standard, in barba al prototipo è la
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diversità la qualità che caratterizza ogni pezzo. Si scardina la catena di montaggio, o meglio salta qualche passaggio obbligato. Lui dice con noncuranza che si tratta di un principio di serialità differenziata, pensa alle gocce di resine colate e contemporaneamente, sul filo dei pensieri, parla della separazione tra due persone. Avvicina forme e vissuto. Pezzi separabili che chiunque può mettere insieme scrive, a proposito di Nobody’s perfect. E di pezzi –tutti diversi, unici, separabili, policromi, (anche profumati!) uniti con perni in nylon- sono fatti tavoli, sedie, scaffali e credenze: le forme seguono l’andamento irregolare delle linee curve, come fosse un disegno eseguito a mano libera, c’è qualche
Il titolo dichiara l’unicità dei pezzi di questa collezione, il cui ultimo passaggio spetta agli operai, i quali, su richiesta del committente, “personalizzano” il mobile con una scritta o un disegno.
suggerimento retrò ed un paio di soluzioni che rivisitano il postmoderno con una buona dose di autoironia. La stessa leggerezza attraversa l’edition limited realizzata in collaborazione con Etro: lo stilista mette le stoffe, parti di tessuto sono incastonate nella resina che andrà a modellare i mobili, così l’effimero di una stagione sta sottovetro. Il risultato sono 99 sedie (fino a fine dicembre da Dilmos a Milano): pezzi unici, si direbbe in un’occasione come questa, se non fosse che la stessa cosa vale per ogni oggetto Nobody’s perfect. Semplice, straordinario potere dell’imperfezione.
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Nobody’s perfect
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i dice “separazione” e si pensa subito a quello che avviene tra due persone precedentemente unite, accomunate da sensi, sentimenti, desideri, aspirazioni, passioni. Molti hanno vissuto questo fatto esistenziale, ne conoscono i travagli e le lacerazioni provocate nella vita di chi è nato da quella unione. Con il design dei prodotti si possono oggi affrontare non solo soluzioni innovative di tecniche e materiali, ma anche temi politici, religiosi, di identità, di costume e, perché no, anche esistenziali.
Ecco che dico ancora una volta che il progetto e gli oggetti che ne conseguono rappresentano attualmente una espressione di cultura adulta, al
Queste sedie sono “smontabili” infatti sono costituite da due pezzi separati, scocca e schienale.
pari livello con quelle accademiche e tradizionali, anzi forse, più avanzata per complessità, freschezza, universalità. In altre parole, una forma di conoscenza coerente con il nostro tempo presente e futuro. Questi pensieri forse spiegano il nome che avrei voluto dare alla mia collezione per Zerodisegno, fatta di pezzi “separabili” che chiunque può mettere insieme. Sono righe un po’ tirate per i capelli, ma quello che volevo dire sono certo che in qualche modo vi è arrivato.”
Zerodisegno: la diversità come valore
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erodisegno ha una lunga tradizione di qualità che risale al 1919, anno di fondazione dell’azienda di Carlo Quattrocchio. è il principio di una storia di successi che porta l’azienda a dominare il settore della produzione di biciclette e ciclomotori. Gli anni 80 segnano il lancio di una gamma di sistemi innovativi, modulari e polifunzionali, disegnati per offrire infinite soluzioni creative ai progettisti. La storia procede nel segno della collaborazione con molti dei più significativi designer della scena internazionale: De Pas, D’Urbino, Lomazzi, Santachiara, Rashid, Pesce, Ferreri, Rotella. Nomi che firmano con Zerodisegno prodotti d’avanguardia, sia per le qualità che per l’innovazione nel design. La competenza nella lavorazione del metallo, maturata nell’arco di decenni, si unisce oggi ai trattamenti sperimentali delle resine poliuretaniche
e alle più moderne tecniche di sublimazione delle immagini. Sempre guidata dalla stessa famiglia Poggio Quattrocchio, Zerodisegno esprime la propria personalità e unicità attraverso il linguaggio universale del design. Nel 2003 presenta Nobody’s Perfect, la collezione disegnata da Gaetano Pesce all’insegna dell’innovazione e della diversità intesa come nuovo valore del mondo attuale. Gocce di resine elastomeriche a base poliuretanica colate si catalizzano in funzione di tavoli, sedie, poltroncine, sgabelli e scaffali, secondo un principio di serialità differenziata per cui ogni pezzo è unico, a significare l’importanza dell’imperfezione. Tutti i pezzi nascono diversi l’uno dall’altro, unici, separabili, mutevoli e aromatici, sensibili e policromatici: nessuno è perfetto.
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MATERIALI
Gaetano Pesce: sperimentare con le idee Il mestiere di creare Questo nostro mestiere di designer, di architetti, di creatori, qual è il suo significato attuale? Quale è, dopo tanti anni che si parla dell’architetto moderno, che questo mestiere ha alla fine del XX secolo? Personalmente porto delle risposte che vi esprimo; mi sembra in generale che abbiamo perduto quelle che erano le nostre funzioni in un contesto di una società che ha dei bisogni ogni giorno diversi e che questo nostro mestiere, invece di seguire questi bisogni e interrogarsi e provocare delle risposte anche polemiche, mi sembra che il mestiere dell’architetto si sia un po’ ritirato in un angolo dove la sua efficacia è un po’ perduta e quindi a volte succede di riflettere sulle assenze dell’architetto. Assenze che fan sì che dove si decidono le cose, tra i vari specialisti che prendono delle decisioni per garantire il progresso e la vita attuale, il grande assente è proprio questo architetto, questo designer. Perché? Perché‚ mi sembra che dopo i grandi contributi del Movimento Moderno, dove l’architettura o il design erano ancora parte integrante di quelli che erano i luoghi dove si formulano alla società delle ipotesi di vita futura, dopo quel grande momento, mi sembra che l’architetto o il creatore si siano piuttosto ritirati in un luogo che ha a che fare più con la decorazione che non con il progetto. Questo non è affatto una cosa grave, è una scelta come un’altra, ognuno è
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Gaetano Pesce all’opera durante la produzione di Nobody’s Perfect.
libero di decidere ciò che vuole fare, però per certi versi è un peccato, perché‚ invece di progredire, il mestiere è regredito un po’, mentre la società continua ad avere bisogno di traguardi nuovi, di proposte nuove, non le richiede più all’architetto, ma le richiede ad altri specialisti; da un certo punto di vista è un peccato. Cosa fare oggi se non diventare curiosi sul fatto che la tecnologia o le tecnologie sono assenti sul tavolo dove si fanno i progetti; non siamo più in grado di gestire una strumentazione che ha un valore storico, siamo ancora dei personaggi che hanno a che fare con tecnologie e modi di fare del passato, quindi non siamo in grado di solleticare la macchina produttiva a progredire, ma siamo lì per utilizzare i mezzi che ci sono e mantenerli, senza proporre spostamenti in avanti.
Uno delle materie che ha insegnato sono proprio i materiali, è così? Quando sono entrato in questa scuola, sono entrato come titolare di una cattedra di progettazione e, guardando nel curriculum degli insegnamenti, mancava un insegnamento dei materiali e quindi ho proposto alla scuola di aprire una classe, dove gli studenti potevano andare a imparare a manipolare i materiali, a scoprire i materiali. L’ho insegnato per un anno, dopodiché‚ questa cosa continua ad esistere fino ad oggi dopo diciassette anni che sono in questa scuola, qualcun altro lo fa, ma i materiali sono materiali non tanto del passato, ma materiali del momento nel quale ci troviamo, cioè materiali del XX secolo. Gli studenti hanno dimostrato di apprezzare molto questo tipo di classe, perché‚ scoprono delle cose o delle attività che non si erano mai trovati a fare. La scuola è il luogo ideale per insegnare ciò che non si conosce e la maggior parte delle scuole è un luogo dove si insegna invece ciò che si conosce, che è un peccato, perché‚ quello che si conosce lo conoscono tutti. Credo che l’insegnante non debba insegnare quello che sa, ma quello che non sa, cioè portare delle questioni attuali e cercare di rispondere insieme con gli studenti, perché‚ in quel momento queste questioni possono coincidere con delle problematiche attuali che possono aiutare lo studente a trovare una sua via di uscita legata al momento storico in cui questo avviene, senza il rischio di tornare indietro.
PAOLO ULIAN Di Pietro Greco
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COMPORTAMENTI
Osservare i comportamenti
Mat-walk, il tappetino da bagno
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idea è nata nel 2001, quando Gijs Bakker di Droog Design invitò Paolo Ulian alla mostra “Hotel Droog” che si tenne l’anno successivo a Milano. Fu in quella occasione che nacque l’idea di questo oggetto che si ispira al diffuso atteggiamento di servirsi del tappetino da bagno per muoversi a piccoli passi tra la vasca e il lavandino, tra la doccia e la camera la letto. è la sintesi di due tipologie solitamente separa-
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te come il tappetino in cotone e le ciabatte, per crearne una nuova che rivela in modo esplicito le nostre naturali abitudini. Paolo Ulian nasce nel 1961. Frequenta per tre anni l’Accademia di Belle Arti di Carrara dove segue i corsi di pittura tenuti da Getulio Alviani e Luciano Fabro quindi si trasferisce a Firenze per iscriversi all’Isia. Si diploma in Industrial design nel 1990 con il progetto di un paravento in cartone col quale vince il premio “Design for Europe in Belgio”. Alla fine del 1990 é a Milano per lavorare con Enzo Mari. Nel 1992 torna in Toscana ed inizia la propria attività con il
Il lavoro di Ulian è stato solo quello di osservare un comportamento, un’azione, che in fondo compiono tutti, anche lui stesso.
fratello Giuseppe col quale collabora ancora oggi. Dal 1994 partecipa a molte delle mostre organizzate allo Spazio Opos a Milano e a numerose altre in Italia e all’estero. Sono del 1995 i suoi primi progetti entrati in produzione, con Driade e Bieffeplast. Nel 2000 partecipa al Salone Satellite dove vince la prima edizione del “Design Report” Award. Negli anni successivi vince il premio “Dedalus” e inizia a collaborare con Droog Design e con alcune aziende italiane come Fontana Arte, Luminara, Zani e Zani, BBB Bonacina, Sensi&C., Coop, Azzurra Ceramiche, Skitsch.
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Opinioni: Beppe Finessi
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l tema era elementare: un oggetto per allestire un albergo a una stella durante il Salone del Mobile. Il committente per noi importante. Un mito: Droog Design. La giusta condizione mentale non è ancora arrivata, ci vorrebbe tempo, tanto tempo, ma questo passa. Proviamo con qualche idea, tutte ridicole, scontate, poco difficili. Tutti i minuti diventano importanti, tutto diventa importante. Paolo è a Milano, io a Forte dei Marmi. Paolo in albergo. Cerca indizi, tracce, microtracce
tutto importa. I bagni degli alberghi hanno i tappetini in spugna, quando esci dalla doccia o dalla vasca questi accolgono i nostri piedi. Lo fa anche
Disegno di Paolo Ulian del tappetino Mat-Walk.
Paolo, trascina il tappetino con i piedi per spostarsi. Non c’è bisogno d’altro, l’idea è già da lui, per fortuna. Paolo Ulian che ha capito che il mondo andava omaggiato solo di opere perfette, perché anche il più piccolo degli oggetti merita di essere progettato in modo assoluto. Così ha scelto di dedicare amore e attenzione, passione e precisione, a un corpus molto ristretto di lavori, desideroso di consegnare alla storia del design solo opere tendenti alla perfezione. Venti anni di duro e costante lavoro, di motivato e consapevole isolamento, di umile e silenzioso approccio, per circa sessanta progetti, tutti prossimi al goal.”
Paolo Ulian: la sensibilità Il ruolo dell’industria Potresti parlarmi del tuo rapporto con l’industria, ovvero, che opportunità offre oggi l’industria a designer di valore che però non hanno ancora un nome noto internazionalmente? Per quello che é la mia personale esperienza, posso dire che le opportunità per chi non è conosciuto, non sono molte, e quando ci sono, le probabilità che il progetto arrivi a trasformarsi in prodotto sono piuttosto scarse. Tutto stà nel trovare l’azienda giusta, che creda nelle tue capacità e che soprattutto sappia instaurare con il progettista un rapporto paritario di dialogo, dove sussista una complice passione per la ricerca e che ci sia quindi la volontà di intraprendere un percorso comune senza certezze. Vengono elogiati come “oggetti di design” - ma quali oggetti non lo sono? Forse dovremmo parlare di
buono e cattivo design - prodotti molto diversi fra loro per intenti e funzione. Alcuni designer si basano su uno stile personale trasmettendo il loro personale gusto nel progetto e caratterizzandoli al punto di essere riconoscibili. Paradossalmente questi designer acquistano più fama, a differenza di coloro che focalizzano il loro lavoro nel realizzare un prodotto quanto più utile, funzionale, semplice e meno costoso possibile. Qual è il tuo punto di vista in merito? Io non ho un metodo preciso nell’affrontare il progetto, credo piuttosto che ci sia tutta una serie di punti fermi e di riferimenti che non saprei elencare che variano e si mescolano a seconda dell’argomento che mi trovo a esplorare. Di solito parto da un concetto che scaturisce da riflessioni sul vivere quotidiano, da aspetti della vita che non condivido e che vorrei cambiare, o più spesso, da riflessioni di carattere etico o ambientale. Esi-
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COMPORTAMENTI
stono designer come Karim Rashid che puntano tutto sulla comunicazione di un liguaggio fortemente riconoscibile. Un linguaggio grafico che si prolunga anche al mondo degli oggetti tridimensionali, ma che quasi mai rivela qualcosa in più della mera superficialità. Esistono però anche figure che nonostante abbiano caratterizzato e reso riconoscibile il loro linguaggio progettuale, cercano anche di comunicare i propri ideali etici e le proprie visioni per cercare di lasciare una traccia sugli atteggiamenti delle persone. Mi viene in mente Jasper Morrison che ha fatto della ricerca della semplicità il suo personalissimo linguaggio progettuale. Un linguaggio talmente basico che, in un mondo così permeato dalla complessità, diventa quasi un manifesto politico.
L’obiettivo di Ulian rimane sempre quello di dare al mondo solo opere perfette.
Uno sguardo agli scenari futuri. Quali prospettive per la professione di designer in un paese dove si produce sempre meno? Credo che già ora si stia delineando un nuovo modo di progettare. Il prodotto industriale non è più l’unico e ambizioso obiettivo a cui le giovani generazioni di designers aspirano. In questi ultimi anni l’attenzione si è spostata su un design che si avvicina molto al linguaggio dell’arte, al pezzo a tiratura limitata, al pezzo unico. è una progettualità che al contrario di quella finalizzata al prodotto industriale ha dei risultati tangibili a più breve termine, con meno ostacoli e vincoli e soprattutto senza alcun tipo di censura da parte dei soliti signori del marketing. Credo che grazie al design, nei prossimi anni si potranno ricreare le condizioni per rivitalizzare un mestiere tanto antico e prezioso quanto
poco valorizzato qual è il mestiere dell’artigiano. Mi piace pensare che nel prossimo futuro molti giovani designers sceglieranno di percorrere questa strada così appagante sotto tutti i punti di vista e così pregna di valori etici e umani. Fare il designer come editore di se stesso può dimostrarsi una delle migliori possibilità per un giovane che vuole far conoscere le sue potenzialità. Ormai solo in Europa, oltre al Salone Satellite, ci sono decine di altri appuntamenti importanti che garantiscono una buona visibilità e grandi opportunità di contatti con operatori selezionati. Esistono poi le molte realtà dei Design shop all’interno dei Musei il cui giro di affari si è moltiplicato negli ultimi anni e che si stanno trasformando in veri centri per la promozione e vendita delle nuove visioni che il talento del giovane design internazionale esprime con così tanta energia.
Droog Design: dall’Olanda all’Italia
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roog Design è stato fondato nel 1993 da Gijs Bakker e Renny Ramakers dopo che i due ottennero un riscontro positivo in occasione di un’esposizione a Milano (curata da loro) di prodotti di vari giovani designer, in concomitanza con il Salone del Mobile. Iniziarono stipulando un accordo con la DMD (Development Manufacturing and Distribution) per produrre e vendere i propri prodotti, gran parte come limited editions. Questi prodotti rappresentavano, a livello di contenuto e qualità, l’immagine e il modo di pensare di Droog Design: idee originali e concetti chiari, creati in modo ironico ma mai privi di senso. Nel 1994 Droog fece una seconda esposi-
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zione (sempre durante il Salone del Mobile) e cominciarono a stabilire un contatto con il Centraal Museum di Utrecht, che avrebbe comprato e mantenuto in mostra l’intera esposizione fino al 1999. Bakker e Ramakers intuirono che i designers selezionati da Droog avrebbero avuto un miglior riscontro se i loro lavori fossero stati esposti collettivamente. Iniziarono così una serie di collaborazioni con la DMD e l’Università di Delft fino ad arrivare nel 1997 alla Rosenthal, per la quale realizzarono lavori in porcellana. Da allora il duo ha sviluppato il concept di Droog sperimentando in diversi settori e con diversi designers rimanendo fedele agli stessi
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Progetto TREE-TRUNK BENCH di Jurgen Bey, prodotto da Droog Design.
principi di originalità e chiarezza. Il lavoro di tutti questi anni ha portato a un archivio di più di 150 prodotti, i quali sono stati creati da gruppi formati per i diversi progetti o commissionati individualmente da Baker e Renny Ramakers. Nel 2009, Bakker ha abbandonato la direzione di Droog Design, che resta pertanto guidato esclusivamente da Ramakers.
Osservare le abitudini Finger Biscuit
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iscotto da dito” è un progetto che fa sorridere e sognare, raccoglie una debolezza comune e la sviluppa dando vita a un prodotto che tutti vorremmo. “È nato nel 2004 per partecipare alla mostra “Papillan” a Bolzano. Si trattava di pensare a nuovi concetti di biscotto. è stato sufficiente osservare il mio nipotino mentre affondava il dito nel barattolo della nutella per avere l’idea di un biscotto che seguisse quel naturale quanto popolarissimo
gesto. Il biscotto, se verrà prodotto, sarà realizzato in cialda e penso che sarà molto buono”. Così Paolo Ulian racconta la nascita di questa trovata per Nutella-dipendenti, ed insieme svela cosa significa creare qualcosa di nuovo, cosa cela dietro al lavoro di un designer. “Per me creare è innanzitutto una mia necessità. Sono per natura piuttosto introverso e mi riesce molto meglio comunicare con gli altri attraverso ciò che faccio piuttosto che affrontarli apertamente. Creare per me è una sorta di filtro protettivo che mi consente di partecipare al dibatti-
Il gesto di affondare il dito nella Nutella, è un’azione che si compie fin dalla sua nascita.
to contemporaneo senza i vincoli e i problemi che molto spesso si creano tra le persone. Questo mi porta a lavorare in solitudine, ma in compenso anche ad avere una maggiore libertà di pensiero e di azione.
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COMPORTAMENTI
Creare poi, significa per me, avere la possibilità di raccontare storie attraverso gli oggetti, tentare di scardinare abitudini e atteggiamenti consolidati, scoprire i propri limiti, e soprattutto, regalare piccole emozioni un po’ come fa l’attore con la platea. Ma vuol dire anche lavorare ventiquattro ore al giorno, soffrire finché non si arriva a una soluzione convincente, cadere e rialzarsi cento, mille volte”.
Disegno di Paolo Ulian del progetto Finger biscuit.
Un invito per una mostra. Beppe Finessi
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n invito per una mostra sul progetto di un biscotto. Come un biscotto? Non male il pensiero. A Bolzano hanno avuto una buona idea, ora tocca a noi.
Ferrero: la forza di una famiglia
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l grande protagonista dello sviluppo del Gruppo è Michele Ferrero. Con voglia di fare e di creare nuovi prodotti, con idee all’avanguardia, ha rivoluzionato le abitudini alimentari di milioni di italiani. Grazie alla costante ed efficace collaborazione della moglie Maria Franca, è stato il primo industriale italiano del dopoguerra ad aprire stabilimenti e sedi operative all’estero, facendo dell’azienda un Gruppo veramente internazionale. Dobbiamo rimandare agli anni ‘40 per scoprire le radici di questo successo. Anni in cui Piera e Pietro, genitori di Michele, riuscirono a trasformare una pasticceria in una fabbrica. Questi primi e decisivi
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passi avanti si devono ai prodotti “inventati”, da Pietro Ferrero e dal figlio Michele, allora giovanissimo. Altro fattore di successo fu l’efficiente rete di vendita organizzata da Giovanni, fratello di Pietro, scomparso nel 1949. La storia della Ferrero è giunta alla terza generazione. Pietro e Giovanni, figli di Michele e Maria Franca, sono ai vertici del Gruppo come amministratori delegati. Sotto la loro guida, la crescita dell’azienda continua sempre sulla base di una solida struttura familiare. In breve, dietro il marchio, i bilanci e l’espansione di un’azienda, c’è la storia passata, presente e futura, di una geniale e tenace famiglia.
L’azienda Ferrero nasce da una piccola pasticceria di Alba, in cui Pietro Ferrero inventa il Giandujot.
Un periodo di sovrapposizione di vari lavori. Devo sforzarmi, Paolo ha bisogno di appoggio. Penso, penso molto, forse troppo. Mi fermo un giorno. La notte stessa, non so bene come, nel dormiveglia, ecco l’idea di un biscotto da indossare, sulla mano, sul dito. Mi alzo e il disegno da fare è facile: la stessa forma del ditale da cucito. Si, si ci siamo. Paolo lo vede, gli piace, ma forse non è ancora pronto così. Siamo in due davanti al tavolo luminoso, i collegamenti diventano più veloci, la concatenazione dei pensieri più facile: biscotto da dito – da inzuppare nel latte – si – ma anche nella – NUTELLA! – Si, bellissimo, è lui. La poesia è come l’amore, quando arriva lo riconosci subito. Non poteva essere diverso.
ALESSANDRO MENDINI Di Daniela Ovadia
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PERSONIFICAZIONE
Quando una persona diventa un oggetto La poltrona di Marcel Proust
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a storia della Poltrona Proust ha inizio nel 1976, quando Alessandro Mendini insieme a Francesco Binfaré del centro studi Cassina pensò di realizzare per Cassina un “tessuto di Proust” andando a visitare i luoghi di Marcel Proust per trarre stimoli in proposito. L’idea era di arrivare all’immagine di una superficie, e successivamente alla forma di un oggetto. Questo progetto non ebbe seguito, ma l’idea rimase interessante: leggere e indagare il mondo visivo e oggettuale di Proust, pensando poi di realizzare una pol-
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trona, una “poltrona di Proust”. Così, come altre volte aveva immaginato una “sedia di Giotto” o un “tavolo di Cezanne”, per Proust Mendini si riferiva, da un lato alle sue descrizioni di luogo e di tempo, al suo infinito gioco sulla memoria, dall’altro all’ambiente pittorico dell’impressionismo, del divisionismo e del puntinismo. Mendini stesso afferma: “Intendevo arrivare alla forma di un oggetto, partendo per via “letteraria”. Letto e indagato il mondo “visivo e oggettuale” di Proust, ho pensato di realizzare una sua possibile poltrona. Mi sono riferito da un lato alle sue descrizioni di luogo e al senso che lui dà al passato, dall’altro lato all’am-
La poltrona di Marcel Proust doveva rappresentarlo in tutti i suoi aspetti, nelle sue idee e negli ambienti che frequentava.
biente pittorico che lui frequentava, l’impressionismo. Così ho trovato un valido ready-made in una poltrona di forma settecentesca, ed ho scelto il particolare di un prato di Signac, come texture che invade tutta la poltrona, nelle parti in stoffa e su quelle in legno, disfacendone la forma in una specie di nebulosa. Oltre all’idea di ottenere un oggetto “eterodosso” di design partendo da un input improprio al normale iter progettuale, volevo anche raggiungere questo tipo di paradosso: cioè fare un oggetto esteticamente interessante partendo da un falso, perché appunto il “redesign” in questione è compiuto su una poltrona kitsch, tuttora prodotta in serie “finto-antica”.
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Alessandro Mendini: utopia visiva
figure piene di contrasti.” Scrive Alessandro Mendini, insieme al fratello Francesco, sui progetti dell’Atelier Mendini, fondato nel 1989. Nato a Milano nel 1931, ha diretto molte riviste tra cui “Casabella”, “Modo” e “Domus”. Realizza oggetti, mobili, ambienti, pitture, installazioni, architetture. Collabora con compagnie internazionali come Alessi, Philips, Cartier, Swatch, Hermés, Venini ed é consulente di varie industrie, anche nell’Estremo Oriente, per l’impostazione di immagine e di design. è membro onorario della Bezalel Academy of Arts and Design di Gerusalemme ed è professore onorario alla Accademic Council of Guangzhou Academy of fine Arts in Cina. Nel 1979 e nel 1981 gli è stato attribuito il Compasso d’oro per il design.
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a nostra opera è un sistema continuo la cui immagine globale è essa stessa il soggetto del nostro lavoro. I singoli progetti si presentano perciò come dei frammenti fissi in un sistema mobile, sono i materiali tangibili e parziali di un flusso astratto di idee. I progetti sono le componenti linguistiche di un puzzle in divenire e mai completo. Il senso va cercato nella progressiva ipotesi utopica di raggiungere una sintesi impossibile. Il senso si trova in questa dinamica espansa, centrifuga e senza fine. Sta in questo pulviscolo, in questo ritmo polifonico il messaggio del nostro lavoro. Una folla di
Studio Alchimia: dinamicità produttiva
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onseguente alla nascita di vari gruppi di “rottura” come l’Archizoom e il Superstudio a Firenze, lo studio Alchimia si forma a Milano nel 1976. “Concluso il periodo di opposizione ai meccanismi del capitalismo, sono proprio gli ex designer dell’avanguardia radicale (Andrea Branzi, Paolo Deganello, Michele De Lucchi, Alessandro Mendini, Ettore Sottsass etc.) a fornire nuovi incentivi e punti di contatto con la produzione industriale. Il nuovo design italiano guarda alla tradizione moderna delle avanguardie, dal futurismo al Bauhaus. Global Tools, Memphis e Alchimia , riconsiderano il mercato e i nuovi mezzi di produzione, cercando di recuperare i valori qualificanti degli oggetti (superfici, colori, luci,
Eaposizione di Studio Alchimia al Milan Design Museum 2007/09.
decorazioni), lasciandosi alle spalle i dogmi del modernismo. Lo studio Alchimia si caratterizza, oltre che dal gran numero di progettisti che negli anni si avvicendano, da una forte dinamicità teorica e produtti-
va (con l’auto produzione dei primi elementi d’arredo). Tra le innumerevoli mostre che testimoniano tale iperattività si ricorda quella del Politecnico di Milano del 1981, “Alchimia - il mobile infinito”, che
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PERSONIFICAZIONE
coinvolse in un progetto comune lo studio Alchimia insieme a Ettore Sottsass, Alessandro Mendini, Bruno Munari, Gio Ponti, Andrea Branzi, Michele De Lucchi, Mimmo Palladino e molti altri autori, tra artisti, registi ed architetti. “Per il gruppo Alchimia è importante l’atto del disegnare un libero e continuo movimento del pensiero, quando si esprime visivamente. Un movimento motivato. Per Alchimia il suo compito di gruppo che disegna è quello di consegnare agli
altri una testimonianza del pensiero sentimentale. Alchimia lavora sui valori considerati negativi, della debolezza, del vuoto, dell’assenza e del profondo, oggi intesi come cose laterali rispetto a ciò che è esteriore, pieno e violento, come cose da rimuovere. Per Alchimia non bisogna mai sapere se si sta facendo scultura, architettura, pittura, arte applicata, teatro o altro ancora. Il progetto agisce ambiguamente al di fuori del progetto stesso di indifferenza disciplinare dimensionale
e concettuale. Per Alchimia vale la despecializzazione ovvero l’ipotesi che debbano convivere metodi di ideazione e di produzione confusi, dove possano mescolarsi artigianato, industria, informatica, tecniche e materiali attuali e inattuali. Per Alchimia il disegno è un ciclo: tutto quanto accadrà è già avvenuto e la fantasia individuale, base della sopravvivenza del mondo, può percorrere in tutti i sensi ogni cultura e luogo, purché operi in maniera innamorata. [...]” Manifesto di Alchimia
Quando un oggetto diventa una persona A casa di Anna G: personificazione
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l cavatappi Anna G è uno dei best seller di Alessi, progettato da Alessandro Mendini nel 1994. Il cavatappi riprende nelle fattezze l’immagine stilizzata di una donna reale la cui faccia sorridente è diventata una figura cult che ha dato vita ad una famiglia di prodotti a lei ispirata che ha riscontrato un grande successo di pubblico. Un oggetto che interpreta la cucina in modo giocoso, che ha dato vita alla tendenza di Alessi di caratterizzare i propri prodotti attraverso personaggi sempre più colorati e divertenti. Anna G è un esempio di utopia visiva. Ha origine da un gesto umano, le braccia danzanti di una ballerina si traformano nel meccanismo del
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cavatappi. Inoltre il nome Anna G, nasce da un’amica di Mendini, Anna Gili, la quale diede un nuovo significato al suo design. Sebbene i tempi stiano cambiando, gli esseri umani sono sempre attratti da quella che è la familiarità delle fattezze umane. Inoltre le forme umane rimandano all’innocenza dell’infanzia, provocando un senso di nostalgia. In effetti, il design di Mendini si distingue per la sua capacità di creare una connessione tra l’io nel passato e l’io nel presente. Questo concetto è ben espresso attraverso Anna G. “Quando si fa design c’è una ricerca all’interno dell’anima di quegli oggetti che entreranno in contatto con l’anima della gente”. Attraverso questo linguaggio Mendini è in grado di dare una nuova vita a oggetti obsoleti, donando loro un nuovo significato e una nuova identità.
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Mendini e il linguaggio visivo Elaborare linguaggi Quali sono i passaggi che trasformano un’idea su carta ad un progetto finito? Quali sono i problemi da affrontare? Oggi (ma più o meno anche sempre) fare design vuole dire introdurre degli oggetti di qualità sulla scena del mondo, così che i “sistemi delle cose” si pongano in armonia. Si tratta di una tensione, di un’utopia. La violenza del mondo contemporaneo conduce verso tutte altre strade. Un prodotto di design deve sempre stupire lo spettatore/fruitore?
Le ipotesi di base sono stabili: quelle della sperimentalità dei linguaggi visivi applicati alle varie scale del progetto, con una attenzione alla sua “anima”. Variano logicamente i metodi, i materiali, le tecnologie, i contesti umani, sociali e geografici... Cosa significa fare design oggi? Un oggetto di design è un personaggio: deve farsi vedere e deve provocare un pensiero. Munari diceva che da cosa nasce cosa. Dove nasce la creatività? Dove si nasconde la sua origine? Nel caso del nostro Atelier la-
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PERSONIFICAZIONE
voriamo elaborando dei linguaggi. Sono come degli alfabeti visivi, degli stilemi che permettono combinazioni infinite. Li applichiamo a due e a tre dimensioni, sia piccoli che a scala di architettura. Nell’epoca globalizzata dell’incontro/scontro tra culture, come può contribuire l’architettura alla definizione di politiche sociali atte a mitigare i conflitti nello spazio urbano? L’architettura globalizzata esprime una specie di nuovo colonialismo. Le grandi architetture cadono sui luoghi del mondo come grandi meteoriti, spesso provocando ferite nei tessuti urbani. D’altra parte provocano anche delle utili scosse energetiche, in grado di ossigenare delle situazioni stagnanti. Considero che le architetture ”forti” oggi assomiglino a delle ”agopunture territoriali”
Alessi: cuore artigianale
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a Alessi è una di quelle aziende che incarnano perfettamente un tipico fenomeno della cultura industriale italiana, quello delle Fabbriche del Design Italiano. La mia famiglia è radicata sul Lago d’Orta da tempo immemorabile. Le origini si rintracciano più precisamente in una valle stretta e povera delle Alpi italiane, vicina alla Svizzera, la Valle Strona, dove ancora oggi sopravvive l’antica tradizione della produzione artigianale di oggetti di legno e metallo. Nella Alessi il design, così come lo si intende oggi, è incominciato con mio padre Carlo, che ha messo a frutto la propria formazione di disegnatore industriale creando
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quasi tutti i prodotti entrati nei nostri cataloghi tra il 1935 e il 1945. Negli anni ‘50, mio padre ha preso il posto di suo padre Giovanni (fondatore dell’azienda nel 1921) in veste di direttore generale, abbandonando completamente l’attività di designer e incominciando ad avvalersi della collaborazione di designer esterni, secondo la pratica che sarebbe diventata tipica di tutte le Fabbriche del Design Italiano. Ancora oggi, la Alessi continua a essere sinonimo di oggetti d’artigianato realizzati con l’aiuto delle macchine: anche se la tecnologia, gli strumenti di lavoro sono contemporanei e industriali, la pratica profonda di lavoro, il cuore della Alessi, è rimasto invece artigianale”. Alberto Alessi
Impiegati dell’azienda Alessi agli albori.
A CASA DI CLAUDIO Questo mese siamo andati a casa di Claudio, o meglio nella sua vecchia cascina per cercare di recuperare il più possibile tra le sue vecchie cose abbandonate. In effetti non c’era molto, anche se immediatamente abbiamo adocchiato una vecchia bicicletta non più funzionante... Di Paola Rebusco
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ARREDO
MUSICASSETTE Ognuno di noi ha certamente scatoloni pieni di questi oggetti ormai inutilizzabili. Una volta infatti, non essendoci internet, la musica la si ascoltava con queste piccole musicassette e molti creavano delle vere e proprie compilation registrando la musica alla radio, cosa che tra l’altro non era neppure vietata. Ora con l’evoluzione della tecnologia, non esistono piÚ questi piccoli oggetti, sostituiti ormai dai Cd e dalle chiavette Usb. Cosa useremo tra vent’anni? Di certo nessuno le ha buttate, forse con la speranza che tornino di moda, almeno per i collezionisti, o forse per non buttare via quella nostalgia che ce le fa tanto amare.
1) Per prima cosa raccogliete tutte le musicassette che avete, assicurandovi che non siano colorate ma trasparenti per permettere alla luce di passare e creare un suggestivo gioci di luci e ombre.
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2) Poi disponete le musicassette in fila una rivolta da un lato, una da un altro seguendo lo schema soprastante; formate 7 file da 4 musicassette, in seguito incollatele tra loro, o legatele con delle fascette da elettricista.
3) Dovete in totale avere 4 pannelli che andranno fissati su una base in legno, costruita con 4 listelli dipinti precedentementi e uniti con una colla per legno; infine fissate sempre con la colla 4 piedini di legno.
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TAPE LAMP
Il risultato è un “box” di musicassette, ideale per il soggiorno, che crea un’atmosfera molto particolare, tutto grazie ai piccoli fori seghettati delle musicassette.
MATERIALI Musicassette
Colla
Procuratevi un bel po’ di musicassette, l’importante è che siano trasparenti.
Sono necessarie due tipi di colla: la prima per incollare le musicassette tra loro ed è sufficiente una colla universale o a caldo; la seconda, per i listelli di legno, deve essere una colla per legno (es. Millechiodi).
Lampada Lampada da inserire all’interno del “box”. Potete utilizzare la base di una vecchia abatjour.
Legno Listelli di legno da assemblare; 4 pezzi da 40 x 2 cm + 4 piedini 4 x 2 cm.
Pennelli e colori acrilici Pennello e colori acrilici per dipingere i listelli di legno; se preferite possono rimanere naturali, è sufficiente dare una mano di flating per la lucidatura.
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2) Con le fettucce di cuoio, avvolgete il pallone e cucite metà di esse sul pallone; poi inserite l’altra metà negli anelli dei manici e bloccatela sulla prima metà.
3) Ripetete la stessa operazione per i quattro lati. Infine, cucite le due parti di cerniera sull’apertura del pallone, e se volete rivestite l’interno con la stoffa avanzata.
1) Per prima cosa, sgonfiate il pallone con un ago; in questo modo sarà più facile tagliarlo, ma rimarrà comunque rigido, dato il materiale molto resistente.
MATERIALI Pallone
Ago e filo
Pallone da football americano
Per unire i vari pezzetti di stoffa o cuoio è necessario del filo da cucito ed un ago lungo circa 5 cm e piuttosto spesso.
Manici
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Potete scegliere dei manici già dotati di anelli e chiusure del colore che più preferite, in questo caso sono stati utilizzati dei manici di cuoio.
Coltello
Fettucce
Cerniera
Fettucce di cuoio o stoffa che avvolgeranno la palla; alle estremità andranno fissati dei bottoni.
Cerniera già fissata su un pezzo di cuoio, che andrete poi a cucire sull’apertura della palla. La misura è di circa 25 cm.
Sarebbe meglio sgofiare la palla prima di tagliare, in ogni caso effettuate il taglio lungo le cuciture.
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Questo oggetto fa parte di quegli accessori nati dal connubio tra sport e moda; sono oggetti semplicemente per sportivi, oppure c’è qualcosa di più? Chi porta questi accessori è solitamente qualcuno che ama distinguersi, che non sa stare nell’ombra, e siccome Dafne, la compagna di Claudio, ci sembrava una di loro, abbiamo pensato che questa borsa fosse perfetta per lei. Probabilmente questo pallone non viene usato da anni, oppure era uno di quei regali poco graditi, di certo se si trovava in cantina dimenticato da tutti, un motivo c’era. Così con un piccolo restyle si è trasformato in qualcosa di molto originale.
FOOTBALL BAG Un accessorio dunque che non fa passare inosservati, soprattutto in America, dove il football è una vera e propria moda. E siccome in Italia è il calcio lo sport più nazional popolare, è possibile utilizzare un vecchio pallone per costruire una football bag italianissima.
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UNA VECCHIA BICI Cosa fare di una vecchia bici? Con i tempi che corrono sistemare una bicicletta costa quasi come comprarne una nuova. E siccome noi siamo amanti del riuso, ma soprattutto ciò che ci piace più fare è dare una nuova vita agli oggetti, dare un senso diverso, una funzione diversa, abbiamo deciso di rubare questa bicicletta e di smontarla letteralmente per cercare di ricavare qualcosa. Il primo oggetto che abbiamo creato è nato da una ruota spogliata completamente di tutte le sue componenti.
1) Smontate la ruota della bicicletta con l’aiuto di una chiave di regolazione delle ruote e cacciaviti. La ruota sarà probabilmente arrugginita, eliminate lo sporco in eccesso con alcol e spruzzate un antiruggine in modo che sia verniciabile. Togliete tutto ciò che ricopre la raggiera, quindi il copertone e la camera d’aria.
2) Procuratevi un meccanismo da orologio a batteria, è molto facile da trovare e costa poco. Oppure potete smontarlo da un vecchio orologio.
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3) Montate le lancette al centro della raggiera e con un chiodino fermatele nella parte retrostante, collegandole con il meccanismo.
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UN OROLOGIO RAGGIERA
La ruota ha già perso la sua funzione perché adesso è solo una raggiera, senza copertone e senza camera d’aria, ma è solo quel pezzo di ferro che li sostiene. Da qui abbiamo costruito un orologio da muro, certo è un po’ ingombrante, ma di sicuro, con un piccolo restyle, fa la sua figura. Per avere un orologio più piccolo, basta procurarsi una bicicletta da bambino, in cui di certo la ruota sarà più piccola.
MATERIALI Ruota
Anti-ruggine
Procuratevi una ruota di una vecchia bicicletta. Se volete costruire un orologio non troppo ingombrante, usate una bicicletta da bambino.
Una volta spogliata la ruota di tutto ciò che la ricopre, quindi copertone e camera d’aria, la raggiera andrà pulita e spruzzata con un anti-ruggine.
Meccanismo da orologio
Bomboletta argento
Reperibile in qualsiasi centro per bricolage.
Una volta pulita la raggiera, per impreziosire il metallo, è possibile utilizzate una bomboletta spray di colore argento.
Cacciaviti e chiavi inglesi Una ricca cassetta degli attrezzi è utile per smontare la ruota della bicicletta.
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RIEPILOGO
Questi oggetti sono sicuramente presenti in ogni casa, nessuno le vuole buttare, tutta colpa della nostalgia che suscitano...
SERVONO: • Musicassette • Listelli di legno • Lampada • Pennelli e colori acrilici • Colla
Questo oggetto fa parte di quegli accessori nati dal connubio tra sport e moda; sono oggetti semplicemente per sportivi, oppure c’è qualcosa di più?
SERVONO: • Pallone da football • Manici • Fettucce • Ago e filo • Coltello • Cerniera
Cosa fare di una vecchia bici? Un orologio da muro costruito con la raggiera di una ruota.
SERVONO: • Ruota • Meccaniscmo da orologio • Cacciaviti e chiavi inglesi • Anti-ruggine • Bomboletta argento
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LA SOFFITTA DI SOFIA Nella soffitta di Sofia regna il disordine più assoluto. Guardando tra le sue cose, abbiamo scoperto la sua personalità: ama lo sport, in particolare lo skateboard, ed è una “graffittara in pensione”... Di Sara Occhipinti
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1) Per prima cosa, procuratevi un rotolo di scottex e spruzzatelo con una bomboletta di polistirolo spray. Per il “tappo” utilizzate una mezza sfera di polistirolo e foratela al centro.
2) Una volta asciugato il tutto, dipingete la finta bomboletta a vostro piacimento. Poi inserite il filo elettrico nel foro e montate il portalampada e la lampadina all’interno. 3) Una volta inserito il portalampada, potete chiudere la bomboletta e fissare la mezza sfera al rotolo con della colla.
MATERIALI Rotolo di scottex
Vernice
Procuratevi un rotolo di cartone di uno scottex terminato.
Per dipingere la bomboletta, procuratevi delle vernici colorate e un pennello.
Mezza sfera di polistirolo La mezza sfera serve per fare il “tappo” della bomboletta; è reperibile in qualsiasi centro per il bricolage.
Polistirolo in schiuma Questo strumento serve per ricoprire il rotolo e anche per dargli lo spessore desiderato, oltre che una maggiore resistenza.
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Materiale elettrico é necessario un filo elettrico da soffitto, un portalampada con attacco grosso e una lampadina a basso consumo.
Colla Una colla universale è sufficiente. Potete anche usare del nastro adesivo colorato.
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Sofia è appassionata di Street Art e spesso si cimenta nella costruzione di piccoli graffiti nella sua soffitta. Ecco perché ha una raccolta di vecchie bombolette esaurite che, per fortuna nostra, non ha mai gettato nella spazzatura. Un’occasione per costruire qualcosa di insolito, ma pur sempre in linea con la personalità di Sofia. Dal momento che è piuttosto pericoloso cercare di aprire una bomboletta, la nostra proposta è una sorta di “imitazione”.
CAN DELIGHT
Un oggetto per gli amanti del colore e soprattutto per chi ha fatto della Street Art una filosofia di vita. Un “lampadario” semplice ma d’effetto, che vuole celebrare la nascita di un nuovo modo di progettare: un metodo che parte dalla trasformazione di oggetti già esistenti in altri con una funzione completamente diversa.
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1) Smontate tutti i tasti della tastiera con un cacciavite piatto; poi “riempiteli� con del polistirolo in schiuma togliendo la parte in eccesso.
2) Poi incollate uno ad uno i tasti su una borsa che avete, oppure costruitene una con della stoffa. Se avete diverse tastiere di vari colori, potete comporre un disegno.
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Una vecchia tastiera rotta è l’ideale per creare questo oggetto molto techno e originalissimo. Probabilmente si vedono in giro anche altri accessori fatti con i pulsantini della tastiera, ma mai una borsa. Forse perché è un lavoro che richiede moltissima pazienza e precisione, ma per questo risultato ne vale sicuramente la pena.
KEYBOARD BAG Il risultato è un accessorio techno-cool, un borsa realizzata interamente con i tasti di una tastiera per computer. Perché non sono solo gli uomini ad essere appassionati di computer.
MATERIALI Tastiere di vari colori
Borsa
Più tastiere avete meglio è, infatti con due colori è possibile anche comporre dei disegni.
Meglio utilizzare una borsa che già avete; i materiali in plastica piuttosto che in stoffa sono più adatti.
Cacciaviti
Colla
Per staccare i tasti.
é sufficiente una colla universale o una colla a caldo per incollare i tasti sulla borsa.
Polistirolo in schiuma Per riempire i tasti in modo che non siano “vuoti” all’interno, favorendo l’incollaggio.
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1) Raccogliete il maggior numero di bottiglie di plastica, circa un centinaio. Poi tagliate via il fondo con un coltello e rifinite i bordi con delle forbici.
2) Forate i fondi e infilate il filo di nylon (che deve essere doppio) secondo questo schema.
PET La plastica delle bottiglie si sa è il materiale su cui ci si batte da anni per il suo riciclaggio. Sono innumerevoli i progetti di fai da te che sfruttano questo materiale, alcuni belli ed effetto, altri sono solo dei tentativi mal riusciti. Questo fa sicuramente parte del primo gruppo, poichÊ sfrutta quella parte di bottiglia, il fondo, che ha una simpaticissima forma floreale. Bisogna però fare una bella raccolta di bottiglie per creare questo oggetto...
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3) Una volta finito lo schema, fissate la tenda alla riloga legandola con il filo rimasto.
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PET CURTAIN
Una tenda di fiori trasparenti, ma che svolge perfettamente la sua funzione, è un altro semplicissimo elemento di arredo per una casa che vuole rinnovarsi continuamente.
MATERIALI Bottiglie vuote
Riloga
Sono necessarie moltissime bottiglie di plastica trasparenti, più di un centinaio.
Se non ne avete giù una, procuratevi una riloga per tende, da fissare al muro con l’aiuto di un trapano.
Coltello e forbici
Ago
Per tagliare i fondi di bottiglia.
Deve essere piuttosto spesso per forare la plastica nei punti in cui passerà il filo.
Filo di nylon Il filo di nylon è reperibile nei centri per bricolage, oppure tra i materiali da pesca.
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GIOCARE CON IL LEGO
1) Per l’anello è sufficiente prendere un mattoncino colorato di base quadrata e incollarlo sull’anello; poi potete incollare (o incastonare, forando il mattoncino) dei brillantini sulle estremità.
Uno dei giochi preferiti dei bambini è la scatola di Lego, ce l’hanno tutti, maschi e femmine, prima o poi, tutti i bambini si appassionano a questo gioco, e molto spesso lo si conserva per il dispiacere di liberarasi di un così prezioso ricordo. E allora perché non portare sempre con sé uno di quei pezzetti di plastica colorata?
MATERIALI Mattoncini di lego
ni e da infilare nell’orecchio.
Procuratevi un bel po’ di mattoncini colorati di diverse misure; la forma quadrata è preferibile per questo tipo di lavoro.
Brillantini
Basi per anello e bracciale
Trapano
Basi su cui incollare i mattoncini. Sono reperibili nelle mercerie e nei centri di hobbistica.
Con punta molto sottile per effettuare i fori nel lego.
Monachelle
Una colla universale è sufficiente.
Le monachelle sono quei gancetti per appendere gli orecchi-
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Piccoli brillantini da incastonare o incollare sui mattoncini.
Colla
Y 2) Per gli orecchini utilizzate la forma che più preferite, scegliendo dei pezzi piuttosto sottili; questi infatti andranno bucati con il trapano. Una volta effettuati i fori, aprite l’anello delle monachelle con una pinza e infilatelo nel buco richiudendolo con la stessa operazione.
LEGO JEWELS Anche questo accessorio è un autentico oggetto cool, ispirato al lavoro di una designer di gioielli americana. I classici mattoncini colorati rivivono nella collezione di Jacqueline Sanchez, intitolata eloquentemente Forever Young. Infatti chi indossa questi gioielli sono proprio quelle ragazze che non vogliono mai invecchiare, ma che vogliono rimanere sempre giovani dentro tenendosi strettamente legate, attravero Lego Jewels, alla propria infanzia e ai propri ricordi. Un accessorio quindi “per non dimenticare”.
3) Per il bracciale prendetene uno che sia già predisposto per incollarci i mattoncini, oppure createlo con del fil di ferro che si modellerà su di essi. Poi fissate i mattocini con la colla e con lo stesso procedimento dell’anello, fissate i brillantini.
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RIEPILOGO
Un oggetto per chi ha fatto della Street Art una filosofia di vita. Un “lampadario” semplice ma d’effetto, che vuole celebrare la nascita di un nuovo modo di progettare: un metodo che parte dalla trasformazione di oggetti già esistenti in altri con una funzione completamente diversa.
SERVONO: • Rotolo di scottex • Mezza sfera di polistirolo • Polistirolo in schiuma • Vernice • Materiale elettrico • Colla
Una vecchia tastiera rotta è l’ideale per creare questo oggetto molto techno e originalissimo. Il risultato è un accessorio techno-cool, un borsa realizzata interamente con i tasti di una tastiera per computer. Perché non sono solo gli uomini ad essere appassionati di computer.
SERVONO: • Tastiere di vari colori • Cacciaviti • Polistirolo in schiuma • Borsa • Colla
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La plastica delle bottiglie si sa è il materiale su cui ci si batte da anni per il suo riciclaggio. Sono innumerevoli i progetti di fai da te che sfruttano questo materiale, alcuni belli ed effetto, altri sono solo dei tentativi mal riusciti. Il risultato è una tenda di fiori trasparenti, ma che svolge perfettamente la sua funzione.
SERVONO: • Bottiglie vuote di plastica • Coltello e forbici • Filo di nylon • Riloga • Ago
Perché non portare sempre con sé uno di questi pezzetti di plastica colorata? I classici mattoncini colorati rivivono nella collezione di Jacqueline Sanchez, intitolata eloquentemente Forever Young. Infatti chi indossa questi gioielli sono proprio quelle ragazze che non vogliono mai invecchiare, ma che vogliono rimanere sempre giovani dentro.
SERVONO: • Mattoncini di lego • Basi per anello e bracciale • Monachelle • Brillantini • Trapano • Colla
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Eventi 2010 Francoforte 2 - 5 Luglio 2010 Una mostra con oggetti di design contemporaneo internazionale di altissimo livello, dall’arredamento (bagno, cucina, ecc.) al tessile, dai rivestimenti all’illuminazione, e così via. In quest’occasione i visitatori potranno usufruire di un’esposizione non convenzionale, senza prodotti distribuiti nei classici stand, ma con presentazioni individuale dei produttori attraverso tour guidati, forum di discussione ed eventi dedicati. Un segmento della mostra sarà aperto non solo ai professionisti del settore, ma anche ai visitatori privati, appassionati di design.
Verona 16 - 20 Settembre 2010 Da 25 anni Abitare il Tempo è la fiera più esclusiva per l’arredamento d’interni, che riunisce tutte le categorie merceologiche al più alto livello, facendo coesistere perfettamente tradizione ed avanguardia, classico e contemporaneo. Gli spazi fieristici sono tutti appositamente studiati per creare un ambiente raffinato e confortevole. Un’immagine allestitiva completamente rinnovata, che esalta la qualità e i materiali impiegati nelle collezioni esposte.
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L’edizione 2010 consoliderà ancor più i principi fondativi della manifestazione. I padiglioni commerciali diventeranno dei veri e propri poli di eccellenza e, ognuno con proprie specificità merceologiche e stilistiche, sintetizzeranno le tendenze in atto nel mercato dell’arredamento sia classico che contemporaneo. Ospiteranno 700 espositori selezionati in rappresentanza di ben 18 categorie merceologiche.
che hanno visitato la Fiera. Principali protagonisti sono stati architetti, interior designer e rivenditori/ distributori; buona anche la partecipazione dei media e dei visitatori non specializzati provenienti da tutto il mondo. questa sua atmosfera elegante e per la possibilità che essa offre di lavorare in un ambiente fieristico finalmente a misura d’uomo.
Londra 23 - 26 Settembre
Valencia 28 - 2 Ottobre
L’Istituto nazionale per il Commercio Estero, in collaborazione con CNA e Confartigianato, ha in programma la Partecipazione Collettiva alla Fiera 100% Design che si terrà a Londra il 2326 settembre 2010. 100% Design, punto di riferimento fondamentale dell’arredamento d’interni d’autore, è giunta alla sua 16a edizione. La rassegna, dedicata in particolare al settore mobili ed accessori arredo, accessori per il bagno e la cucina, finitura delle superfici, tessuti, accessori per l’illuminazione, tendaggi, rivestimento superfici, è considerata un appuntamento internazionale irrinunciabile per un numero sempre maggiore di interior designer e architetti. 100% Design si è confermata a settembre 2009 una reale opportunità per accreditare la propria azienda di fronte ad un pubblico vasto e di alto livello. 26.549 sono state infatti gli operatori
Fiera Habitat Valencia abbraccia tutti i settori relazionati con l’arredamento (principalmente fabbricanti): mobili, accessori, articoli da regalo, oggettistica, illuminazione e tessile per la casa. Dal 2009, include Design Internazionale Cucina, un salone specifico, più tecnologico per la vita domestica. Mostra dove i designer delle nuove tendenze presentano le loro proposte più all’avanguardia nel campo dell’Habitat. L’innovazione, la creatività, la capacità di sorprendere, la genialità nell’uscire dagli schemi e dare un’utilità diversa agli oggetti, è tutta la filosofia che involve il lavoro di questi giovani.
Kortrijk 15 - 24 Ottobre Interieur è nata nel 1968 come prima fiera europea biennale dedicata al design, con particolare attenzione allo sviluppo del prodotto e all’innovazione creativa. La fondazione no-profit interieur permette di avere un programma di eventi prestigiosi. Tra gli ospiti d’onore della fiera ricordiamo, Alessandro Mendini, Dieter Rams, Andrea Branzi, Jasper Morrison, Rolf Fehlbaum, Konstantin grcic, Alfredo Haberli, e nel 2008, Jame Hayon.
re attenzione sarà dedicata ai temi delle tecnologie d’illuminazione, e all’illuminazione architetturale. Il giorno di apertura sarà dedicato alle strategie d’illuminazione, al progetto e ai modelli. Il celebre light designer Erwin Döring condividerà la sua esperienza con una lezione sulla progettazione e modellizzazione nel settore illuminotecnico. Torsten Henze, di Light Impex Henze, terrà un discorso sull’illuminazione nel trasporto pubblico, e Dennis Abele di DIAL GmbH, introdurrà il software di valutazione ‘DIALux’. Il secondo giorno si terrà un seminario sulla tecnologia LED, relativa a tendenze e sviluppi del settore. Parlerà a proposito il professor Fred E. Schubert del Rensselaer Polytechnic Institute. Il terzo giorno sarà dedicato a ‘Luce & Architettura’. Paolo Traynor, progettista e presidente della Professional Lighting Designers Association (PLDA), sarà la persona di riferimento in questo settore: introdurrà il progetto Parco Mosca.
Mosca 9 - 12 Novembre
Mosca 22 - 26 Novembre
Interlight Mosca è la principale fiera internazionale di settore per l’illuminazione, in Russia e nazioni CSI. I visitatori di Interlight Mosca possono partecipare a diversi eventi che si terranno durante la manifestazione. Particola-
La manifestazione è considerata il principale evento fieristico internazionale in Russia e nei Paesi dell’ex-Unione Sovietica per il settore dell’arredamento e dei complementi d’arredo e si conferma come un appuntamento immancabile
sia per le aziende italiane già radicate, sia per le aziende che desiderano per la prima volta entrare nel mercato russo.
Milano 4 - 12 Dicembre La manifestazione è nata nel 1996 con l’obiettivo di mettere al centro dell’attenzione l’artigianato e la sua enorme capacità e qualità produttiva, creando un evento totalmente dedicato al comparto. Una grande e nuova “Campionaria” della piccola impresa artigiana, che trova in questo evento un’occasione privilegiata per la sua promozione e crescita.
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Nel prossimo numero Do it yourself 02 · luglio 2010
50% OPEN · 25% INDUSTRIAL · 25% YOU
IN COPERTINA scrap light Scrapt Light è una lampada a sospensione in cartone ondulato riciclato progettata dal trio di Graypants, giovani designer di Seattle reduci dalla presentazione della loro collezione all’ICFF 2009. La lampada convince senz’altro sul fronte illuminazione, grazie all’asset di una luce morbida e di una bella texture di ombre sulle pareti. Poche, invece, le informazioni disponibili sulla lampadina (LED? incandescenza?). Infine un dubbio: perchè pagare una lampada di cartone ondulato quanto pagherei per un’altra realizzata in un altro materiale più duraturo? Sostenibilità non è forse anche capacità di durare nel tempo, senza costringermi ad acquistare un oggetto in sostituzione di un altro che ha tirato le cuoia un po’ troppo in anticipo?
e altri progetti...
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INDUSTRIAL DESIGN
Your design idea
UNA LAMPADA A SOSPENSIONE “Vorrei progettare oggetti carichi di emozioni, cose con cui instaurare un rapporto affettivo” Carlo Trevisani
Panca multiuso Con pochi pezzi di legno e un nastro colorato, un’orinale panchina da giardino.