Tesi di Laurea

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a cura di: Previtali Elisa

LA CUL TURA E’ DI SCENA

Il teatro scientifico come leva di valorizzazione della cultura politecnica: scenografia, allestimento, evento

La tecnologia e il virtuale come altrove d’oggi

ELABORATO DI LAUREA A.A. 2011-2012

Relatrice: Agnese Rebaglio Scuola del Design, Politecnico di Milano - Corso di laurea in Design degli interni



INDICE INTRODUZIONE - L’altrove e la tecnologia LA RICERCA - Musei interattivi musei e tecnologie virtuali - evoluzione del museo - musei di narrazione -

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pag. 11 pag. 11 pag. 14 pag. 23

I CASI STUDIO - pag. 31 Museo laboratorio della mente - pag. 32 La pozzanghera - pag. 35 Sensible Map - pag. 37 Sensitive city - pag. 39 iTACITUS- pag. 41 Museo della Libia - pag. 43 Pointat - pag. 46 Augmented reality art invasion - pag. 48 Fabrizio De Andrè, la mostra- pag. 50 Più e meno - pag. 52 LE TECNOLOGIE - pag. 55 Realtà aumentata - pag. 56 Motion tracking - pag. 61


Video proiezioni - Sensori a pressione e prismi rotanti Vetrina interattiva - Ologrammi - LA TECNOLOGIA E IL VIRTUALE COME ALTROVE D’OGGI - Il progetto

pag. 63 pag. 65 pag. 68 pag. 71

pag. 73

BIBLIOGRAFIA - pag. 87 SITOGRAFIA - pag. 88



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INTRODUZIONE L’altrove e la tecnologia

Il mio elaborato di laurea si concentra sullo sviluppo tecnologico interattivo nei musei, che permette di rendere il visitatore sempre più immerso nel mondo, nella storia, nel racconto che vuole essere mostrato. Ho scelto questo approfondimento, partendo proprio dal titolo della nostra mostra: “Altrove”. La mostra di due illustratori italiani, Guido Scarabottolo e Saul Steinberg, entrambi hanno studiato al Politecnico di Milano, e laureati in architettura. È stato scelto il tema dell’altrove, come precedentemente illustrato, perchè i due disegnatori, in diverso modo, mostrano due mondi che non si discostano totalmente dalla realtà, seppur apparentemente più astratti, ironici e stereotipati. Entrambi mostrano una loro interpretazione della realtà: Saul Steinberg, lavorando per un giornale come il New Yorker ha un carattere più satirico, più ironico, stereotipa i personaggi, le situazioni, qualsiasi cosa. Ma ha un tratto più lineare, uniforme e continuo, come se i personaggi da lui disegnati si animassero e prendessero

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L’altrove e la tecnologia

introduzione

il controllo. L’altrove di Steiberg è più razionale, più pungente, più ironico. Scarabottolo invece crea un mondo apparentemente pacato, tinte piatte, paesaggi lineari e semplici, quasi disegnati da un bambino. Il suo è un altrove metafisico, dove il cielo è un colore unico, e non sempre blu, anche arancione, rosa, diviso da terra da una linea di orizzonte, assenza di prospettiva, l’illustrazione appare completamente bidimensionale. Come nelle loro opere, come in qualsiasi altra forma d’arte, il tentativo dell’uomo è quello di ricreare una realtà, spesso simulando quella reale, spesso estremizzandola, ridicolizzandola, enfatizzandola, criticandola. Qualsiasi interpretazione crea un altrove, una sovrapposizione alla realtà. L’uomo cerca di evadere, cerca di crearsi una via di fuga, che sia tramite l’arte o tramite lo sport, o forse, oggigiorno, tramite la realtà virtuale. Questo è il punto di connessione tra il mio elaborato di tesi e il tema della mostra sviluppata durante il laboratorio di sintesi finale. Probabilmente ogni giorno l’uomo viene a contatto con il virtuale, basti pensare a internet, ma anche alla posta elettronica, al cellulare, a tutto ciò che non è faccia a faccia, e sempre più questa tendenza è spinta da una tecnologia in continua espansione. Anche socializzare si fa virtualmente (Facebook), viaggiare, imparare, giocare (videogiochi), studiare, confrontarsi. Essa ci accompagna ovunque, ma spesso è solo un mezzo, uno strumento con cui facilitare qualche azione. Quello che però mi interessa affrontare, è il tema della tecnologia, al servizio dell’uomo, ma che oltre a servirlo deve essere in grado di

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L’altrove e la tecnologia

introduzione

trasportarlo in una dimensione altra. Infondo però sappiamo bene che tra una chiacchierata in chat e una faccia a faccia niente può battere quest’ultima, le emozioni vere non sono complete se vissute solo virtualmente, l’uomo ha bisogno di persone vere, di relazioni vere, senza le quali vivrebbe chiuso in casa da solo per sempre. Allora forse la formula vincente è quella del mix, ossia unire la tecnologia alla realtà. Interattività è la parola chiave. Solitamente una mostra è una semplice esposizione di oggetti, e probabilmente anche una mostra sull’altrove potrebbe diventarlo, se non immergendo il visitatore in un altrove vero e proprio, e cosa meglio della realtà virtuale? Cosa di più attuale e contemporaneo? Immergendo il visitatore in un vero e proprio mondo non si perderà il vero senso della mostra (esposizione opere d’arte) ma si aiuterà a comprendere il vero senso delle illustrazioni provandolo, sentendolo. La tecnologia al servizio dell’uomo e per l’uomo. Nel mio progetto non mi sono fermata a mostrare un’illustrazione tramite uno schermo piuttosto che riportare l’articolo originale, non basterebbe, si rimarrebbe comunque fermi al punto di partenza, solo semplicemente più sviluppati tecnologicamente. Quello che conta è l’esperienza, perchè è ciò che attira l’uomo maggiormente. Ponendo un esempio per palesare il concetto, tra la prima playstation e l’ultima rivoluzione del mondo dei videogiochi, la kinect, quale attira di più? La seconda, semplicemente perchè coinvolge l’utente su più fronti, diventa vero protagonista, non ha un avatar, un personaggio in cui

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introduzione

immedesimarsi, ma è lui stesso a governare le mosse ed è lui stesso il protagonista del gioco. Egli entra a far parte di un altrove, che infondo non si discosta così tanto dalla realtà, ma quanto basta per immergerlo totalmente nell’esperienza che gli viene proposta.

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LA RICERCA Musei interattivi

Ogni epoca deve stare al passo con le scoperte, con l’innovazione altrimenti diventa obsoleta. Parlando di musei, l’avvento della tecnologia è diventato fondamentale per catturare l’attenzione del pubblico. L’oggetto passa in secondo piano, mentre protagonista del museo diventa l’innovazione, l’interattività, la multisensorialità, la multimodalità. La tecnologia molto spesso, soprattutto quando comparve la prima volta all’interno dei musei, viene usata come supporto all’oggetto esposto, per semplificare operazioni che già venivano svolte, ma non venivano colte le nuove opportunità che essa ha potenzialmente. I musei sono sempre stati concepiti come dei templi dell’arte, oggi questo punto di vista è diventato obsoleto e inadatto. Sono cambiate le esigenze dell’uomo, che ora è circondato da innovazione, tecnologia, smartphone, iPad. Quello che cerca ora, è l’interazione, ogni cosa oggi può essere condivisa, commentata, criticata, rifatta, modificata a proprio piacimento; il museo come collezione di manufatti, oggetti, opere

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La ricerca

musei e tecnologie virtuali esposte, sotto una teca, è passato di moda, è noioso. Deve cambiare la relazione che c’è tra le opere e l’osservatore, mentre prima c’era una distanza sacrale da rispettare, imposta dal solito cartello “vietato toccare” ora questa distanza deve essere annullata, si devono abbattere le barriere che danno al visitatore il solo ruolo passivo. Oggi il cartello dice: vietato non toccare. Il fruitore non si limita più ad osservare l’opera ma riesce a coglierne il senso attraverso l’interazione. La tecnologia può essere usata in due modi, uno quello di comunicare l’opera, come simulacro dell’opera, dall’altro unisce il “tocco” del fruitore per divenire opera d’arte. Ogni opera artistica per essere interpretata presuppone un codice comune, ossia un sistema di regole e di conoscenze, posseduto sia dall’artista ma anche dal fruitore obbligatoriamente. Spesso però non è così, il visitatore non lo possiete sempre, il compito quindi dell’istituzione museale è quello di esporre le opere e fornire l’insieme di conoscenze adeguate come prerequisito indispensabile affinchè le opere comunichino attualizzando così la loro intrinseca natura. In questo modo il museo si riscatterebbe da questa sua posizione di mero espositore. Un po di storia: dal Quattrocento ad oggi il rapporto tra uomo e museo è cambiato, si è evoluto radicalmente. Inizialmente, la prima forma museale era riservata a pochi, nello studiolo, in cui il fruitore aveva un rapporto diretto con l’opera, che può essere toccata. Successivamente

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La ricerca

musei e tecnologie virtuali

nacque la galleria, destinata ad un pubblico di massa, dove il rapporto tra soggetto e opera viene quindi capovolto. L’opera viene messa a distanza, intoccabile, solo osservabile, i fini comunicativi di esse però risultano passare in secondo piano. Nel corso del tempo le opere hanno cambiato supporto, dalla tela alla televisione, come sottolineato da Marshall Mc Luhan, uno dei più grandi sociologi del Novecento “il medium è il messaggio”. Infatti ogni mezzo rivela il cambiamento, il linguaggio e quindi la cultura di un periodo. Verso la metà del Novecento si assiste al capovolgimento del rapporto dell’arte e dell’artista. Dalle correnti dadaiste alle forme di happening all’arte del corpo, sino a giungere alle moderne videoinstallazioni. Nonostante sembra che l’arte si svincoli da qualsiasi tipo di vincolo, allo stesso tempo diventa schiava del mercato. L’arte prende nuove forme, nuovi significati, ma i prodotti artistici devono adattarsi ai nuovi mezzi di comunicazione e devono eseguire le correlate regole insite nei nuovi medium. La commercializzazione di immagini rende sempre più difficile la riconoscibilità di esse, che diventano sempre più anonime, inizialmente tramite libri, oggi tramite uno schermo. Oggi si può conoscere perfettamente un’opera anche senza averla realmente vista, perchè su internet si può trovare tutto il materiale che la descrive, tramite immagini, video, testi, commenti dei

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La ricerca

evoluzione del museo

visitatori. Aumenta la possibilità di informazione ma aumenta anche la possibilità di non riconoscerla più. La cultura diventa un immenso ipertesto. Cambiano le modalità di consumo delle immagini, viene a modificarsi il modo di apprendere e trasmettere la cultura, cambia il modo di crearla e muta anche lo spazio in cui poterne fare esperienza. Lo spazio riflette la società entro cui vive. Cambia lo sfondo, cambia la gente, cambia la città, la cultura, e di conseguenza cambia anche il museo. È difficile individuare la comparsa del primo museo interattivo, perchè non si può circoscrivere questa tipologia museale in un’unica forma. Per estensione, istallazione interattiva è un’opera in cui l’artista impiega degli attuatori, come sensori elettronici di varia natura, per coinvolgere in una relazione attiva il pubblico. Con installazione invece si intende quella forma di esposizione che per le proposte allestitive avanzate si configura come esplicita violazione della neutralità delle condizioni dell’esperienza estetica, e cerca invece di proporre allo spettatore un’esperienza e uno spazio che contengano in sè già qualcosa di artistico. La figura del fruitore diventa centrale, l’architettura, le sue forme, i suoi spazi e le opere sono organizzate intorno alla sua figura. Nel 1960 lo Stedelick Museum di Amsterdam accoglie al suo interno l’esposizione Labyrinthe dynamique in cui l’interazione del visitatore è il presupposto essenziale. Non c’è più quella distanza sacrale

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La ricerca

evoluzione del museo

Settecentesca, ma il soggetto “crea” l’opera all’interno del suo spazio attraverso l’interazione. L’idea è quella di coinvolgere diversi artisti nella costruzione di un labirinto, di immergere il pubblico in un’atmosfera da luna park. Un labirinto privo di luce dove vengono messi alla prova tutti i sensi. L’assenza assoluta di luce provoca un totale senso di straniamento, la percezione temporale e spaziale del visitatore è totalmente ottenebrata dall’opera entro cui è immerso. Lo spazio dell’installazione diventa l’unica dimensione presente. Negli anni Cinquanta si sviluppa una corrente artistica chiamata Happening, la sua caratteristica principale è data dal fatto che essa “necessita sempre della partecipazione del fruitore che viene posto di fronte a nuovi tipi di codici espressivi, sollecitato ad esprimere una reazione sia fisica che psicologica rispetto all’evento; i partecipanti, con la loro presenza, si muovono nell’ambiente, si fondono con esso ed essendo impossibile distinguerli dagli attori diventano attori essistessi. Un rapporto nuovo tra arte e pubblico, allora, si stabilisce solo a partire da quel momento e dalla possibilità, per gli spettatori, di intridurre dei mutamenti nell’opera, da quando, cioè, essi non consumano più passivamente, ma partecipano alla sua realizzazione”(articolo di Ilaria Matrone “happening e provocazione”). Allo stesso tempo si sviluppa però l’immagine digitale e compaiono le prime forme di videoinstallazione. Lo spettatore diventa attore, attirato dalla videoinstallazione, perchè sedotto da essa, perchè essa richiede la sua partecipazione. Nel 1983 alla mostra Electra Couchot presenta la sua opera La Plume

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La ricerca

evoluzione del museo

d’oiseau oggi considerata uno tra i primi esempi di arte interattiva costrituito da risorse tecnologiche e linguistiche che prefigurano una relazione partecupativa con lo spettatore per la proprio realizzazione. L’installazione è composta da uno schermo che trasmette una piuma. Essa si anima, ondeggia, e si ferma in attesa che qualcuno soffi di nuovo per darle di nuovo vita. Nel 1995 un’altro progetto interattivo, opera di Leonardo Aurelio, Marcello Campione e Elio Massironi, prende forma di una barca a vela.

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La ricerca

evoluzione del museo

Grazie a una telecamera vengono registrati i movimenti del fruitore a cui vengono monitorati anche pulsazioni, spostamenti di peso, e altri movimenti involontari, che sono registrati tramite la poltrona su cui sono seduti, frontale alla barca. La reazione ai suoi movimenti è data da un suono, una risata, l’utente viene quindi immerso in scenari sonori e visivi direttamente determinati dalle proprie azioni. Ciò che rende innovativa questa installazione, è il fatto che essa è determinata da azioni involontarie, che vengono dal proprio “stato interiore”. L’effetto straniante è dato dal fatto di poter vedere in uno spazio esteriore qualcosa di interiore.

Secondo Popper ci sono tre elementi principali che caratterizzano l’arte interattiva nei musei: la socialità: l’installazione non nega gli elementi diretti della comunicazione come spesso accade negli spazi dei musei tradizionali, ma ne accresce la loro forza e li estende; la realtà: la spazialità non è illusoria o semplice fisicità, ma comprime e mette a nudo una dimensione estetica che è nelle immagini come limite di un universo concreto prima ancora di essere visibile; l’umanità: la più ampia e complessa umanità realizzata mediante l’attivazione e la sintesi di diverse esperienze, e dei loro corollari (polisensorialità).

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La ricerca

evoluzione del museo

Un altro aspetto importante da tenere in considerazione è quello temporale. L’istantaneità e la simultaneità sono caratteristiche principali di questi nuovi ambienti museali. Ora il visitatore è immerso nel tempo e nello spazio dell’opera. Il processo di comprensione avviene simultaneamente, in maniera osmotica, in un gioco di perturbazioni. L’utente può giocare, sperimentare, divertirsi con l’opera, il tatto è pur sempre il primo istinto dell’uomo, e dargli la sua importanza in un museo significa riportare in vita un piacere infantile. Può sembrare che il gioco renda superficiale un’informazione, invece è da considerare solo un modo altro per comunicare con il visitatore, per creare un’esperienza che non sia solo quella di ricevere e immagazzinare delle informazioni ma di provarle, di metterle alla prova, di sentirle; in questo modo è anzi più facile che rimangano impresse e comprese. Il fruitore diventa co-autore dell’opera. “Lo spazio richiede l’interazione, l’opera attende trepidante di essere attualizzata. Aspetta. Emette suoni. Cerca di attrarre a sé il visitatore. Come il canto delle sirene richiedono all’uomo di perdersi in uno spazio ALTROVE” (Paolo Rosa, Studio Azzurro). Questi ambienti interattivi hanno tutte le caratteristiche per portar il visitatore a credere di trovarsi in un mondo altro, in una realtà altra, tramite semplici strategie, come il semi-buio, fasci di luce proiettati. Anche l’audio assume un ruolo importante, c’è sinestesia dei sensi. Tutto per creare un ambiente immersivo, mentre le opere, gli spazi, comportano un’azione volontaria del visitatore, il suono è un’esperienza inconscia, che lo cattura in maniera indiretta.

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evoluzione del museo

Ci si avvicina sempre più a una performance, a un evento, la percezione sensoriale diventa complice della narrazione dell’opera. Lo spettatore passa da essere riflessivo a “narrante” (Andreina Di Brino, studiosa di video e arti elettroniche). Il fine è creare esperienza nel visitatore, non con la contemplazione ma con l’interazione. La vera innovazione di questi musei, è la scelta: il fruitore può decidere cosa può vedere, come, con quale intensità di informazioni, muovendosi nello spazio liberamente. Due sono i tipi di musei sviluppatisi con il passare del tempo: il museo interattivo e l’ancor più nuovo museo virtuale. Il museo virtuale è un museo che non c’è, non fisicamente per lo meno, e può assumere diverse forme: quello in cui la collezione sia costituita da opere esistenti ma disperse in diverse sedi; quello in cui la collezione di oggetti museali è sostituita da oggetti virtuali (distrutti o ipotizzati: vedi ricostruzione di edifici andati distrutti); quello di un museo progettato come edificio di una realtà virtuale (esempio: Second Life, un mondo virtuale in cui ogni utente, riconosciuto da un avatar, può viaggiare, scoprire, vedere posti, accedere a informazioni, viaggiare nel tempo, conoscere altri utenti, e addirittura svolgere vita sociale)

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evoluzione del museo

Un altro esempio di progetto orientato in questo senso è The Virtual Forbidden City: Beyond Space & Time, un sito in cui ogni utente registrato con un avatar può visitare i tempi di antiche dinastie (sviluppato in Cina). Il museo virtuale ha quindi lo scopo di abbattere le barriere dello spazio, con la realtà fisica. Un esempio in Italia è quello della Tomba di Nefertari in cui la stanza è stata ricostruita con una serie di proiezioni in cui il visitatore poteva muoversi e i personaggi intorno si animavano. Un’alternativa alla realtà virtuale è quella di conservare il sito

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evoluzione del museo

archeologico, ad esempio, e creare però una realtà in più. Ad esempio il TimeScope messo sul sito archeologico di Ename (1999), nelle Fiandre, in cui, tramite l’uso di una telecamera in loco, il visitatore può vedere lo stato attuale del reperto, e allo stesso tempo, come era invece prima di andar distrutto o parzialmente rovinato. Questo è un primo esempio di Augmented Reality, ossia applicare una realtà in più rispetto a quella che vediamo, in questo caso, la visione del passato.

Un bisogno dell’uomo però è quello di toccare, il tatto è essenziale per comprendere meglio. È così che si sviluppano nuovi filoni di tecnologie, tra cui possiamo distinguere:

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evoluzione del museo

sistemi di mocap. È una tecnica di animazione digitale che trasferisce a personaggi virtuali i movimenti di una persona in tempo reale. L’utente può quindi compiere azioni che verranno rifatte da un personaggio in un’altra epoca ad esempio. Sistema virtual set. Permette di estrapolare attori e oggetti da una scena per inserirli in un’altra scena, generalmente virtuale in modo che il visitatore, mantenendo la propria identità possa muoversi in scenari diversi. La fusione delle due tecnologie da vita a interessanti progetti, uno dei quali è il sito di Aphrodisias, in Turchia. Lo svantaggio di questo tipo di sistemi è quello della completa astrazione dal sito originale, e l’evidente analogia con i videogiochi. Fondere quindi il fisico e il virtuale può essere la soluzione migliore. Diversi sono i progetti che sperimentano questa fusione, si veda il sistema Pointat, costruito sul gesto instintivo dell’indicare con il dito. Questo sistema è stato creato nei MICC (Centro Eccellenza per la Comunicazione e Integrazione dei Media), è composto da un pc e due webcam e un maxischermo su cui viene proiettata l’immagine, in questo caso l’affresco della Cappella dei Magi di Benozzo Bozzoli, a Firenze, Palazzo Medici Riccardi. Le due webcam registrano il movimento del braccio, il pc elabora le cordinate e trova il punto indicato dal visitatore e a seconda di cosa si trova in quel punto vengono fornite delle informazioni audio, video e testo. Un terzo filone è quello che ricorre ad artifici tecnologici anche molto sofisticati allo scopo di creare scenografie o effetti molto suggestivi,

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musei di narrazione

arrivando a sfiorare la performance. Esempi di tecnologie sono gli ologrammi, le cortine di vapore come varchi da attraversare, lastre trasparenti che fungono da schermi interattivi. La tecnologia non deve però diventare la protagonista del museo, ma dev’essere servile ad esso. Il MUSEO DI NARRAZIONE L’opera d’arte è moltiplicata e replicata in un sistema di comunicazione multilayer che non solo la rende accessibile in diversi tempi e modi (fuori e dentro il museo), ma la decontestualizza permettendone l’esistenza in diverse dimensioni. I linguaggi che meglio interpretano questo processo sono quelli appartenenti a nuove tecnologie :il virtuale, il digitale, il multimediale, diventano infatti territori di confronto e di sperimentazione per approdare a logiche allestitive che progettualmente richiedono da un lato una competenza registica interdisciplinare per permettere l’esperienza della fruizione museale come un vero e proprio evento e dall’altro una specificità tecnica in grado di controllare e sfruttare al massimo le potenzialità tecnologiche. Secondo Raffaella Trocchianesi, quattro sono i modelli di lettura che si focalizzano su diversi aspetti della fruizione : spazio, contenuto, tempo, gioco, descritti attraverso le esperienza e le tecnologie che le rendono possibili.

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musei di narrazione

locating. Tecnologie e spazio. La localizzazione precisa del visitatore nello spazio espositivo è uno dei risultati dell’introduzione della tecnologia digitale nel settore museale, con una triplice finalità: tracciare i percorsi dei visitatori, fornire uno strumento di orientamento e garantire un afflusso coerente di informazione nella corretta posizione, ad esempio davanti ad un’opera precisa. Le tecnologie che sono alla base di queste applicazioni sono conosciute con il termine di sensing location, tra questi possiamo citare i sistemi RFID che, basandosi sulla triangolazione di segnali, riconoscono la posizione del visitatore grazie all’uso di tag collocati in aree precise del percorso. Se la scala di intervento è maggiore i sistemi wireless e GPS possono supportare l’RFID. Tra gli esempi di questo tipo di tecnologie va citato eXspot dell’Exploratorium di San Francisco, che si avvale di questa tecnologia per tracciare la posizione del visitatore e visualizzarlo in seguito su internet. Un altro esempio è quello del progetto Kubadji, sviluppato dalla University of Melbourne, che grazie alla tecnologia RFID traccia il percorso dei visitatore nei musei attraverso sistemi non invasivi, che permettano al fruitori di ricevere info aggiuntive e personalizzate. Il progetto Norace consente di guidare il visitatore attraverso un’ampia varietà di percorsi storici, archeologici e artistici, ciascuno illustrato al meglio delle conoscenze disponibili, utilizzando un’infrastruttura tecnologica potente, flessibile e proiettata all’utilizzo dei più moderni mezzi di telecomunicazione mobili.

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musei di narrazione

L’infrastruttura tecnologica adottata per raggiungere gli obiettivi del progetto è composta di: - Sistema di gestione di basi di dati multimediali per organizzare, memorizzare e gestire l’accesso a testi, file audio, immagini 2D anche ad alta definizione e modelli 3D dei complessi archeologici. Il sistema è stato pensato sia per gestire informazioni sui singoli reperti e sulle relazioni tra gli stessi, sia su percorsi tematici e non per la visita del parco. - Etichette elettroniche (comunemente dette transponder o tag) in tecnologia RFID (Radio Frequency IDentification) attive, posizionate in corrispondenza dei beni archeologici di rilievo. - Dispositivi palmari (PDA – Personal Data Assistant), forniti ai visitatori dal personale presente all’ingresso del sito archeologico. Tali palmari, dotati di opportuno lettore RFID e ricevitore GPS, consentono l’accesso alle informazioni multimediali riguardanti i complessi archeologici. Tali informazioni, ricavate dalla base di dati multimediali residente sul server centrale, sono copiate su schede di memoria inserite successivamente nel palmare. - Infrastruttura della rete senza fili - WiFi costituita da “totem” per l’allocazione degli access point e sistemi di cablaggio e comunicazione in fibra ottica.

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musei di narrazione

Enhancing. Tecnologie e contenuti. Questo secondo modello punta sui contenuti, sulle applicazioni che mirano ad arricchire l’esperienza visiva. Un esempio di questo modello è il progetto iMuse – Interactive Museum (usato presso il museo didattico della seta a Como e Villa Bernasconi a Cernobbio). L’iMuse è un sistema interattivo basato sull’uso di un palmare e di un software, sviluppato ad hoc, che consentono al fruitore di ricevere informazioni durante la visita, come approfondimenti, audio e video. E’ un innovativo sistema di videoguida per musei ed eventi espositivi. Rappresenta la migliore combinazione tra le tecnologie mobili attualmente disponibili: palmari di ultima generazione, cuffie stereo senza fili e tecnologia RFID per la localizzazione del visitatore e la selezione automatica dei contenuti. Il tutto unito ad un software che ha nella facilità d’uso, derivante da un accurato studio di design e usabilità, il suo elemento distintivo principale. Un sistema audiovisivo interattivo come i-muse è chiaramente volto alla valorizzazione del patrimonio artistico e culturale. L’impostazione del software quale strumento facile da usare per visitatori di ogni tipologia e livello di preparazione abbatte la barriera costituita dalla ripida curva di apprendimento che spesso si frappone tra le persone e le nuove tecnologia. I destinatari di i-muse, la guida su palmare, sono sia il visitatore che il curatore del museo o mostra temporanea con vantaggi per entrambi. Al visitatore viene messo a disposizione uno strumento innovativo in grado di assisterlo lungo il proprio percorso di visita all’interno dell’allestimento e contribuire ad arricchire la propria esperienza

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musei di narrazione

didattica attraverso la fruizione di contenuti multimediali ad alto impatto sensoriale, di facile usabilità e accessibilità. http://www.fabermeeting.it/progetto/i-muse-interactive-museum/ Extending. Tecnologie e tempo. Le tecnologie hanno reso la durata di una visita del tutto personalizzata a seconda del grado di approfondimento di informazioni è stato rischiesto dall’utente. Tuttavia ha anche espanso il tempo di fruizione perchè viene data la possibilità al visitatore di programmare il proprio percorso o il proprio profilo prima di arrivare al museo, tramite una piattaforma online, e successivamente poter migliorare o perfezionare il percorso anche dopo la visita, magari accedendo a informazioni che sul momento non erano state approfondite. Un esempio è quello del Rijksmuseum di Amsterdam, che adotta il sistema CHIP- Cultural Heritage Information Personalization, che permette al visitatore di essere curatore del proprio percorso. Infatti il fruitore potrà, online, pianificare il percorso attraverso due strumenti: Artwork Reccomender che, tramite le risposte date ad un questionario, consiglia le opere da visitare, e Tour Wizard che genera un percorso personale all’interno dell’esposizione. Edutaining. Tecnologie e gioco. Il quarto modello proposto presenta alcuni aspetti simili ai modelli precendentima soprattutto vede nell’attività educativa e di intrattenimento lo scopo dell’uso delle tecnologie informatiche. Le tecnologie vengono infatti impegate per creare giochi interattivi che coinvolgano il visitatore mirando a fornire conoscenze e informazioni

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La ricerca

approccio tecnologia/utente

in maniera avvincente. In questo ambito gli esempi più numerosi sono quelli rivolti ai bambini o ai ragazzi come nel caso del Brifhton Fishing Museum, basato su sistemi portatili touch-screen, che prevede la ricerca nel museo stesso di informazioni per progredire nel gioco. Il principio è quello del game-based learning. Ci sono tre tipi di approcci, secondo Alessandra Spagnoli, con i quali le tecnologie si sono confrontate sul rapporto visitatore/istituzione museale. Il primo approccio è quello che interviene principalmente sul contenitore museale, quindi sull’allestimento, lo spazio. Il secondo sposta l’attenzione sul contenuto culturale, intervenendo quindi sulla possibilità di scegliere quali informazioni si vogliono avere e quali no. Il terzo è quello che individua innovative modalità di “incontro” tra bene culturale e visitatore nell’ottica di sperimentare nuovi scenari di fruizione nei quali l’utente ha il compito di plasmare il contenuto e il contenitore. Alcuni esempi: Museo Nazionale del Cinema di Torino, situato nella Mole Antonelliana, utilizza un gran numero id tecnologie per migliorare la comunicabilità e fruibilità del materiale e dei contenuti del museo. La sperimentazione Wireless Museum permette di fruire, con uso di palmari PDA, di contenuti multimediali non supportati dalle tradizionali audio guide. Tramite il palmare si può accedere a

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La ricerca

approccio tecnologia/utente

qualsiasi tipo di informazione, l’approccio è quello dell’ipertesto, da ogni punto di partenza si può espandere la propria ricerca a tutto quanto si desideri. È proprio da questo approccio che si arriva al secondo, ossia la possibilità da parte del visitatore di poter scegliere i contenuti da consultare, i percorsi da visitare, la lingua, gli approfondimenti, egli diventa un active reader e non più un utente passivo. Un esempio è quello di iTACITUS, un dispositivo che tramite un sistema di “approfondimento artificiale” realizza un profilo specifico dell’utente ed è in grado di fornirgli informazioni coerenti con le sue esigenze.

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I CASI STUDIO

La ricerca che ho effettuato per ispirarmi e prendere spunto è improntata sulle esposizioni, mostre, musei interattivi, ma non solo, la ricerca si è allargata ad altri tipi di istallazioni. L’analisi è incentrata su diversi aspetti, in primo luogo le tecnologie, ma non solo, fondamentale è anche come queste tecnologie vengono inserite nel contesto museale o chi per esso. E’ stato complesso sia trovare una tecnologia che potesse ben collegarsi con un tema come l’illustrazione, basato sulla manualità, forse l’antitecnologia per eccellenza, e soprattutto giustificarlo, sia trovare il modo di unire questa tecnologia con un ambiente progettato per un illustratore, basato quindi sulla semplicità, su linee semplici e uniformi, caratteristiche dei due autori protagonisti della mostra. Di seguito illustrerò i principali casi studio a cui mi sono ispirata e da cui ho preso spunto per diversi aspetti e motivi, dall’ambientazione, ai colori, al tipo di tecnologia.

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Caso studio n.1

Museo laboratorio della mente

Questo museo è stato realizzato in collaborazione con Studio Azzurro, un laboratorio che si occupa di realizzare progetti, istallazioni, musei con l’ausilio delle ultime tecnologie per rendere l’esperienza interattiva. In particolare questo museo vuole narrare la storia di un manicomio, cercando di far provare al visitatore tutte le sensazioni, le esperienze di un internato. Divisa in due parti da un grande muro trasparente di plexiglas sulla quale viene proiettato il libro-graffito di Fernando Nannetti. Il passaggio da una parte all’altra del muro vuole far riflettere il visitatore sul passaggio tra interno ed esterno di una struttura come il manicomio. Nel resto degli ambienti sono state progettate una serie di tecnologie che aiutano il visitatore a calarsi sia nei panni dell’internato, sia in

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Caso studio n.1

Museo laboratorio della mente

quelli della popolazione, dell’opinione pubblica sul problema delle malattie mentali e su come questi vedevano I soggetti ricoverati. Inoltre altri ambienti raccontano invece com’erano gli ospedali, le camere dei malati, le condizioni igieniche. Il museo ha un forte impatto percettivo ed emotivo, il tema è molto forte e immergento il visitatore totalmente in questo mondo il risultato è sorprendente. Le tecnologie usate sono diverse per ognuno degli ambienti che descrivono lo spazio museale. Le principali sono: -Il Tavolo delle Voci: attraverso un essenziale allestimento espositivo, un tavolino e una sedia dell’xx manicomio, I visitatori possono sperimentare la potenza dell’essere posseduto dalle voci. Il tavolo è costruito in modo tale da costringere il fruitore ad appoggiarvisi, tenendo la testa tra le mani, ed assumendo una posizione di isolamento: nel momento in cui le mani vengono appoggiate alle orecchie, i sensori presenti all’interno del tavolo, attivano delle tracce sonore che passano attraverso il corpo (filastrocche appositamente incise e che non hanno alcun legame con la malattia mentale per evitare la drammatizzazione dell’esperienze). -Riattivazione della macchina fotografica del manicomio: tutti i visitatori vengono fotografati all’interno di un set che riproduce quello dell’antico manicomio, costituito da una serie di lavagnette appese dietro al soggetto fotografato; la scelta di questo allestimento è dovuta al fatto che sulle lavagnette venisse scritto il nome del paziente, fotografato per essere ammesso in manicomio per la prima volta. I visitatori non sono consapevoli del perchè viene loro fatta

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La ricerca

Museo laboratorio della mente

una foto, ma nel momento in cui la fanno, assumono una posizione fisica di richiamo alla condizione del paziente. Le fotografie vengono successivamente riprese su una grande lavagna su cui si mescolano a quelle dei pazienti di un tempo. I visitatori si siederanno poi davanti alla lavagna, che devono attivare dondolando, vivendo così un’altra esperienza estraniante: l’oscillazione ritmica e ripetitiva come elemento di contenimento dell’angoscia; l’immedesimazione con la figura del paziente viene acuita dall’ascolto di frammenti di racconti man mano che ci si avvicina, dondolando, alla lavagna. -Il Muro. Una parete, su cui sono proiettate immagini di persone che vi sbattono contro cercando di attraversarlo, divide in due il percorso museale: nella prima fase della visita, il muro esclude il visitatore, definito come metafora dell’esterno, mentre nella seconda fase, diventa inclusivo, perché è il visitatore stesso ad essere dietro il muro. Il soggetto diventa protagonista di uno scenario in cui normalità e anormalità non sono altro che elementi della vita delle persone. La malattia mentale è un accadimento dell’esistenza e come tale ne abbiamo traccia, rappresentazione e possiamo perciò identificarlo come discontinuità interna al percorso della nostra esistenza, e andare oltre, guarire. Questo caso studio mi ha ispirato prima di tutto per il carattere immersivo della mostra, di come Studio Azzurro sia riuscito a calare il visitatore nei panni di un internato facendogli vivere le stesse esperienze. Inoltre mi è servito per quanto riguarda le tecnologie usate, in particolare le 12 videoproiezioni a parete, e I sensori a pressione, presenti entrambi nel mio progetto.

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Caso studio n.2

La pozzanghera

LA POZZANGHERA Micropaesaggio interattivo dedicato ai bambini Ambiente sensibile Monza, Arengario, 2006 Questo ambiente interattivo è stato creato per I bambini, per far vivere quella sensazione che tutti I bambini amano provare, del saltare dentro una pozzanghera. L’azione però avviene virtualmente, ed è proprio qui l’aspetto che mi ha interessato di più; la pozzanghera non è reale, bensì un’impercettibile

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Caso studio n.2

La pozzanghera

video proiezione talmente realistica da sembrare vera, ma saltandoci sopra, gli effetti sono gli stessi di una pozzanghera vera, infatti essa schizza, fa I cerchi d’aqua. Il paesaggio creato è suggestivo e I bambini sono sicuramente attirati dal gioco, ma non solo, poichè è nell’esperienza e nei ricordi di chiunque questo gioco, quindi anche gli adulti, non volendo, sono resi partecipi. La suggestione non è resa solo dalla pozzanghera ma anche da suoni e immagini coordinate che immergono sempre di più il visitatore.

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Caso studio n.3

Sensible map

SENSIBLE MAP Portatori di storie Ambiente sensibile Casablanca, Interaction #3, 2008 Proiettate su una superficie lunga otto metri, un flusso di persone in scala reale deambulano indisturbati in un contesto architettonico tipicamente marocchino caratterizzato da archi e mosaici. Al visitatore/attore viene data la possibilità di fermare uno dei personaggi in cammino con un semplice gesto della mano. Interpellato, il personaggio si rivolge al visitatore e condivide una breve storia, un’aria cantata, un ricordo. Un piccolo dono che si materializzerà in una suggestione visiva, un oggetto,

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Caso studio n.3

Sensible map

una materia, un colore che andrà a depositarsi su un tappeto virtuale proiettato a pavimento. Lasciato andare, il personaggio proseguirà per la sua via, immerso nel flusso dei passanti. Le suggestioni mano a mano raccolte e sovrapposte disegneranno “una mappa dell’invisibile” della città, conseguenza di intrecci di sguardi, esperienze, sentimenti dei suoi abitanti. Quello che mi ha colpito di questo museo è la videoproiezione interattiva, il poter fermare il personaggio e farsi raccontare una storia, inoltre essendo il personaggio a grandezza reale l’idea restituita è quella di fermare per strada un proprio simile, non una proiezione. L’idea resa è quella che io ho cercato di riprodurre per quanto possibile nel labirinto, in cui un personaggio illustrato di Scarabotto cammina guidando il visitatore e parlando, per far immedesimare l’utente in un protagonista delle opere dell’autore.

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Caso studio n.4

Sensistive city

SENSITIVE CITY Portatori di storie Ambiente sensibile Shanghai, Padiglione Italia, EXPO , 2010 È un’opera interattiva, un ambiente sensibile formato da grandi schermi trasparenti lungo le pareti, su cui scorrono immagini di persone, a grandezza naturale, in movimento. Sono portatori di storie con cui il pubblico può interagire attraverso un semplice gesto della mano, fermandone uno e restando ad ascoltare il suo racconto su un determinato luogo della città in cui vivono, con cui trovano una speciale corrispondenza. La narrazione durerà per tutto il tempo in cui la mano resterà ferma sulla superficie della proiezione.

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Caso studio n.4

Sensitive city

Ottocento immagini, figure virtuali di persone reali – donne, uomini, vecchi e bambini, selezionati a partire da un lungo lavoro sul territorio, come sempre negli ultimi lavori dello Studio – le cui piccole storie, i brevi commenti, le piccole emozioni sono state la base di partenza di questa città sensibile. Ogni corpo e volto sullo schermo, infatti, possiede una narrazione e insieme alle altre ne formano una più generale, multiforme e ogni volta diversa. “Attraverso questa istallazione si vuole portare a esplorare la città non con un occhio distaccato e lontano, ma attraverso una vera e propria immersione nel corpo del territorio (Decandia, 2008). Simultaneamente, sugli schermi posti nello sfondo, dietro ogni figura, si va componendo una mappa di disegni, note, tracciati, eseguiti dagli stessi personaggi, per mostrare il punto esatto che si sta descrivendo, lasciando intravedere, entro le pareti in trasparenza, squarci della bellezza che raccontano.

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Caso studio n.5

iTACITUS

Quello descritto qua di seguito non è un museo nè un’installazione, è un altro tipo di caso studio, è progetto. iTACITUS, acronimo di Intelligent Tourism and Cultural Information through Ubiquitous Services, è il sito di un progetto di ricerca inserito nel Sesto Programma Quadro in tema di Information Technology Society. Intrapreso nel 2007, il progetto parte dal presupposto che il patrimonio dei beni cuturali ha un enorme potenziale informativo che difficilmente riesce a “esplodere” tramite i canali e i mezzi comunicativi tradizionali. Attraverso la navigazione delle pagine del sito, ci si rende conto in concreto della mission dichiarata: si scoprono, infatti, applicazioni sperimentali sull’uso delle tecnologie mobili per favorire una esplorazione completa da parte del turista

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Caso studio n.5

iTACITUS

culturale. Esplorazione che ITacitus intende non solo nel senso geografico ma comprendendo anche quella intellettuale, mostrando anche il significato culturale dei temi di cui un sito culturale è naturale portavoce. Utilizzando il concetto di Augmented reality, per esempio, Itacitus propone esperienze conoscitive coinvolgenti per il turista. Tra le applicazioni ci sono il Superimposed Environments – visualizzazione degli oggetti in 3D ricostruendo siti culturali in cui sono inseriti anche quadri, statue e costruzioni ormai non più esistenti -, Annotated Landscape – che riproduce contesti astratti in cui sono mostrate informazioni mediante immagini, testi e video di un determinato luogo – e Spatial Acoustic Overlays – che ricrea virtualmente i suoni originali degli ambienti mediante l’uso delle clip audio. La proposta del sito sembra proprio quella di voler capitalizzare le curiosità del turista culturale permettendogli l’accesso alle informazioni necessarie mediante strumenti innovativi e soprattutto capaci di rendere la visita una vera e propria esperienza.

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Caso studio n.6

Museo della Libia

MUSEO DELLA LIBIA Il Museo della Libia è un vero e proprio esempio di museo interattivo. È stato realizzato da Architettura Crachi e Touchwindow (azienda che produce e vendi prodotti tecnologici di ultima generazione. Il tema centrale e il pieno coinvolgimento dei 5 sensi diventa quindi possibile proprio grazie all‘uso e all‘interazione con le più moderne tecnologie interattive che completano e arricchiscono l’esperienza sensoriale della visita al museo.

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Caso studio n.6

Museo della Libia

Presenta un percorso di conoscenza e apprendimento basato non solo sull’esposizione passiva di reperti o elaborati artistici, ma su dispositivi tecnologici, touch screen, proiezioni immersive e particellari sui quali tra contenuto scientifico e coinvolgimento emotivo aprire alla conoscenza, approfondire e divertire. L‘ingresso alla prima sequenza di sale del piano terra, è preceduto dalla spettacolare entrata ”passante” rappresentata dalla sala con proiezioni immersive dedicata ai proverbi e alla cultura libica. Il visitatore si trova a dover attraversare questa sorta di parete fatta di parole ed ideogrammi che lo proiettano indietro nel tempo e contemporaneamente nel vivo della tradizione libica. Il piano terra del Museo è dedicato all’Archeologia, nelle sale dell’area preistorica e dei più famosi ed importanti siti archeologici romani di Sabratha, Leptis Magna e Cirene sono esposti alcuni dei pezzi archeologici di eccellenza, più rappresentativi e di straordinaria bellezza e rarità, oltre a proiezioni e ricostruzioni virtuali interattive. L’accesso alle sale del primo piano avviene tramite lo scalone principale dell’edificio, sul quale vengono proiettati effetti di luce per mimare sagome di cavalieri che si ”inseguono” lungo i gradini della scala. Al primo piano si trovano le sale dedicate al deserto, alle tradizioni popolari, alle arti e all’architettura araba antica e moderna, alle innovazioni tecnologiche, alla rivoluzione del 1969, al Libro Verde e al Libro Bianco, alla musica e il divertimento, all’arte moderna e alla Libia e le sue principali attrattive (il deserto, il mare, Tripoli). Il progetto per la realizzazione del Museo ha previsto tre fasi principali di intervento da parte di Touchwindow ®: la prima

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Caso studio n.6

Museo della Libia

fase ha riguardato le missioni in Libia per la ricerca iconografica e la produzione dei filmati video, scansioni laser 3D di statue e ricostruzione virtuale di ambienti archeologici; la seconda fase ha riguardato la produzione dei dispositivi hardware e software, la programmazione dei sistemi interattivi, la creazione di supporti multimediali attraverso i quali il visitatore può esplorare il tema proposto, approfondire, manipolare immagini ed esplorare oggetti che non si sono potuti includere, ad esempio per mancanza di spazio, nell’esposizione. La terza fase della realizzazione ha riguardato l’allestimento del Museo dove Touchwindow ® si è occupata della realizzazione e dell’installazione di: 20 proiezioni murali, 8 proiezioni olografiche e ologrammi, 4 stand interattivi olografici, 1 tappeto interattivo, 2 proiezioni architetturali, 2 proiezioni particellari,16 monitor LCD interattivi e non tra cui 4 leggii interattivi. Questo caso studio mi ha particolarmente interessata soprattutto per l’uso di schermi trasparenti touch screen e ologrammi, entrambi tecnologie che ho usato all’interno della sala di Scarabottolo.

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Caso studio n.7

Pointat

CAPPELLA DEI MAGI DI BENOZZO GOZZOLI- SISTEMA POINTAT Nella Cappella dei Magi a Palazzo dei Medici c’è un nuovo sistema, chiamato Pointat che permette di scoprire molte informazioni sugli affreschi presenti nella cappella. PointAt è stato pensato e progettato per permettere ad un fruitore di interagire nel modo più naturale possibile ed in tempo reale con un’immagine che gli sta di fronte. Il sistema lavora con una riproduzione dell’opera ed è composto da un computer, due webcam e un videoproiettore con maxischermo, su cui vengono riprodotte immagini ad alta qualità. La persona indica con la mano un punto dell’immagine; questo gesto è ripreso lateralmente dalle due webcam che mandano l’informazione al software, il quale ricava la traiettoria di puntamento e individua

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Caso studio n.7

Pointat

il punto dello schermo d’interesse, facendo partire gli eventi ad esso associati, cioè l’ingrandimento del particolare indicato e il commento audio. Con PointAt si è ricrea un ambiente in cui il fruitore può muoversi utilizzando solo la sua gestualità come avrebbe fatto in un contesto reale, senza bisogno di usare dispositivi né di indossare niente di estraneo, adoperando il suo corpo come interfaccia. Questo tipo di interazione tra uomo e tecnologia, molto più pendente verso l’uomo mi ha ispirato per l’installazione nella sala di Steinberg dove, tramite una tecnica simile, il motion tracking, il visitatore può ricreare il naturale gesto di scrivere per poi veder eseguire su schermo quello che ha scritto nel vuoto.

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Caso studio n.8

Augmented reality art invasion

AUGMENTED REALITY ART INVASION Nell’ottobre 2010, due artisti che lavorano con i nuovi media, hanno realizzato una mostra al Museum of Modern Art di New York. In pratica hanno inserito numerose opere d’arte in diverse gallerie e addirittura hanno aggiunto un nuovo piano (il settimo) all’edificio del MoMA. Tutto questo senza l’autorizzazione dell’Istituzione e senza che la direzione e il personale ne fossero a conoscenza (almeno all’inizio). Questa cosa apparentemente impossibile è stata realizzata utilizzando la realtà aumentata (AR), sovrapponendo cioè elementi digitali su una visione dal vivo di uno spazio reale visto attraverso uno smartphone o un dispositivo simile. I due artisti sono Sander Veenhof e Mark Skwarek e la mostra

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Caso studio n.8

Augmented reality art invasion

si chiamava Augmented reality art invasion ed è stata concepita come parte del più ampio Conflux festival (dedicato alla psicogeografia) che si stava svolgendo a New York al momento. Utilizzando uno specifica applicazione per smartphone chiamata Layar augmented reality browser, disponibile gratuitamente per smartphone (iphone o android), i visitatori guardando le gallerie del museo attraverso il loro telefono cellulare visualizzavano, grazie al sistema di localizzazione GPS e alla connessione ad Internet, le opere d’arte virtuale collocate nelle diverse gallerie del MoMA. I due artisti avevano invitato gli artisti di tutto il mondo ad esporre le loro opere in questo contesto. L’uso della realtà aumentata secondo me è molto utile e d’impatto in un museo, poichè può sostituire le ormai obsolete targhette e rendere il visitatore più partecipe di cosa sta guardando e fare maggiori informazioni su qualsiasi cosa desideri. Io ho usato questa tecnologia nel mio progetto per l’installazione al centro della sala di Steinberg, dove un’appartente pila di giornali in realtà è un sistema interattivo che grazie all’ausilio di tablet si possono prendere i giornali, sfogliarli, approfondire gli argomenti.

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Caso studio n.9

Fabrizio De Andrè- la mostra

FABRIZIO DE ANDRE’- LA MOSTRA Percorso multimediale itinerante dedicato a Fabrizio De Andrè Percorso espositivo Genova, Palazzo Ducale, 2008 La mostra in onore di De Andrè è stata progettata in concomitanza dei 10 anni dalla sua scomparsa, nel Palazzo Ducale di Genova. Partendo come una mostra itinerante è diventata infine una mostra permanente nel capoluogo ligure. La mostra è divisa in vari ambienti, i principali sono quella della

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Caso studio n.9

Fabrizio De Andrè- la mostra

“Poetica” e quello del “Personaggi”. Quest’ultimo interessante perchè vengono riproposti tutti i personaggi descritti nei testi dell’autore sotto forma di tarocchi, e il visitatore è invitato a immaginare; attraverso un’interfaccia dedicata, può assemblare foto, video, grafiche e ricreare un montaggio-collage di questi personaggi, utilizzando materiali già predisposti o inserendone di nuovi. Da qui l’idea di fare un pannello interattivo nella stanza di Scarabottolo, dove il visitatore potesse crearsi il proprio scenario partendo da sfondi e personaggi dell’illustratore.

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Caso studio n.10

Più e meno

PIU’ E MENO – Munari Il gioco visivo “Più e meno” è composto di 72 carte con diverse immagini. Molte di queste immagini (48) sono su fondi trasparenti, così da poterle sovrapporre per comporre altre immagini più complesse stimolando le capacità creative del bambino. Sovrapponendo alcune immagini di alberi si compone un bosco.

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Caso studio n.10

Più e meno

Sovrapponendo al bosco il disegno della pioggia o quello del sole o della luna, o quello del volo degli uccelli, o quello di un cane che passa, eccetera, si modifica a piacere, continuamente, l’immagine totale. Unendo questo gioco con l’idea dei tarocchi nella mostra di De Andrè ho ideato il gioco per la sala di Scarabottolo.

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LE TECNOLOGIE

Il ruolo della tecnologia è fondamentale nel mio progetto; sei sono le tecnologie che ho impiegato in tutta la mostra per renderla un’esperienza immersiva e non il solito tempio dell’arte. L’obiettivo a cui miro è quello di rendere due percezioni diverse tra le stanze dei due illustratori, il percorso dovrà svolgersi in modo tale che nella prima sala l’utente capisca e si immedesimi nel modo di disegnare e realizzare le opere, successivamente si passa dall’essere l’autore delle opere a esserne un personaggio, la sala di Scarabottolo infatti è progettata in modo tale che il visitatore si senta parte di una delle sue illustrazioni..

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Le tecnologie

Realtà aumentata

La prima tecnologia usata è quella nella stanza di Saul Steinberg ed è la REALTA’ AUMENTATA. Per realtà aumentata si intende un’applicazione web-based di ultima generazione che consente di visualizzare direttamente in streaming una sovrapposizione fra elementi reali e virtuali (animazioni 3d, filmati, elementi audio e multimediali). La Realtà aumentata, augmented reality per gli inglesi e più facilmente abbreviabile con la sigla AR, può essere fruita attraverso i monitor del pc dotati di webcam, grazie all’utilizzo di markers stampati. I markers sono disegni stilizzati in bianco e nero, stampati su carta, che la webcam riconosce e ai quali vengono immediatamente sovrapposti elementi multimediali sullo schermo del computer. Questa sovrapposizione avviene istantaneamente davanti agli

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Le tecnologie

Realtà aumentata

occhi dell’osservatore, generando un effetto strabiliante, per la particolare sensazione di avvicinarsi concretamente, come mai prima, ad una dimensione virtuale, con la possibilità di interagire attivamente con essa. La realtà aumentata fonda le sue origini già nel 1962 con Sensorama, una macchina ideata per il cinema dell’esperienza creato da Morton Heilig nel 1957, era un oggetto che aveva: immagini stereo 3D (l’utente appoggiava il mento ed aveva il viso inserito in un cono visivo vibrazioni vento feedback su un manubrio per ritornare sensazione tattile di movimento audio stereofonico sistema per riprodurre i profumi, in modo da fornire sensibilità olfattiva. Nel 1966 Ivan Sutherland inventa un display indossabile con un casco che permette all’utente di immergersi nella immagini proiettate sullo schermo. Nel 1975 Myron Krueger realizza Video Place, il primo sistema di realtà aumentata nel quale i movimenti degli utenti vengono registrati da una telecamera, analizzati e trasmessi all’ambiente virtuale costruito dal computer, la corrispondenza tra movimento e rappresentazione sullo schermo dà agli utenti la sensazione di interagire con gli oggetti virtuali. Nel 1989 Jaron Lanier conia l’espressione realtà virtuale e realizza il primo software commerciale 3D

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Le tecnologie

Realtà aumentata

Nel 1992 l’attenzione si sposta sulla realtà aumentata, l’utente non è piu sommerso in un ambiente realizzato a computer ma sono le informazioni ce escono dal mondo virtuale e invadono la realtà attraverso dispositivi che consentono di aggiungere layer informativi al mondo fisico. Nel 1999 Hirokazu Kato sviluppa ARToolKit, la prima applicazione di realtà aumentata, utilizando il video trcking si può posizione una camera virtuale nella stessa posizione del punto di vista dell’osservatore e su questa aggiungere informazioni in sovraimpressione. Nel 2000 Bruce Thomas sviluppa ARQuake, una versione del videogioco Quake basata sulla realtà aumentata. Grazie a un dispositivo indossabile l’utente può muoversi nel mondo reale sovrapponendo a questo le immagine in soggettiva del videogioco. Nel 2008 nasce Wikitude, un software che consente di visualizzare sul proprio cellulare le informazioni pubblicate da altri utenti su Wikipedia e Panoramio riferite al sito turistico in cui si trovano. La grande innovazione è quella di poter dare all’utente qualcosa di più rispetto a quello che la realtà ti offre, sia a livello di informazioni che a livello di immagini, video, audio, ma non a parte, in separata sede, ma piuttosto istantaneamente, sovrapposta alla realtà. Questa tecnologia si serve di tablet, smartphone etc per attuare questo servizio.

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Le tecnologie

Realtà aumentata

Le informazioni “aggiuntive” possono in realtà consistere anche in una diminuzione della quantità di informazioni normalmente percepibili per via sensoriale, sempre al fine di presentare una situazione più chiara o più utile o più divertente. Anche in questo caso si parla di AR.Nella realtà virtuale (virtual reality, VR), le informazioni aggiunte o sottratte elettronicamente sono preponderanti, al punto che le persone si trovano immerse in una situazione nella quale le percezioni naturali di molti dei cinque sensi non sembrano neppure essere più presenti e sono sostituite da altre. Nella realtà aumentata (AR), invece, la persona ha la sensazione di abitare la comune realtà fisica, pur ususfruendo di informazioni aggiuntive o di manipolazioni di quella. Banali esempi: È oggi infatti possibile con la realtà aumentata trovare informazioni rispetto al luogo in cui ci si trova (come alberghi, bar, ristoranti, stazioni della metro) ma anche visualizzare le foto dai social network come Flickr o voci Wikipedia sovrapposte alla realtà; trovare i Twitters vicini; ritrovare la macchina parcheggiata; giocare a catturare fantasmi e fate invisibili usando una intera città come campo di gioco; taggare luoghi, inserire dei messaggini in realtà aumentata in un luogo specifico (metodo usato dai teenager giapponesi per incontrarsi). Esistono due tipi principali di realtà aumentata: Realtà Aumentata su dispositivo mobile. Il telefonino (o smartphone di ultima generazione) deve essere dotato necessariamente di Sistema di Posizionamento Globale (GPS), di magnetometro (bussola) e deve poter permettere la visualizzazione di un flusso video in tempo reale, oltre che di un collegamento internet per ricevere i dati online. Il telefonino

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Le tecnologie

Realtà aumentata

inquadra in tempo reale l’ambiente circostante; al mondo reale vengono sovrapposti i livelli di contenuto, dai dati da Punti di Interesse (PDI) geolocalizzati agli elementi 3D. Realtà Aumentata su computer. È basata sull’uso di marcatori, (ARtags), di disegni stilizzati in bianco e nero che vengono mostrati alla webcam, vengono riconosciuti dal computer, e ai quali vengono sovrapposti in tempo reale i contenuti multimediali: video, audio, oggetti 3D, ecc. Normalmente le applicazioni di Realtà aumentata sono basate su tecnologia Adobe Flash e quindi sono fruibili su un qualsiasi browser Internet. Molti sono i casi studio sviluppatisi negli ultimi anni, nonostante sia una tecnologia recente, e soprattutto si sviluppa in diversi ambiti, dai videogiochi alle guide turistiche, dai musei alle riviste di architettura. Spesso consiste nello scaricare un’applicazione sul proprio smartphone, dal quale poi si può partire con l’esperienza. Nel mio caso ho voluto utilizzare questa tecnologia per ricreare, partendo da una pila di giornali in centro alla stanza, lo stereotipo di una città, ma oltre che sembrare dei palazzi, le pile di giornali diventano veri e propri espositori. Infatti tramite un tablet, se inquadrati, possono essere presi e sfogliati e all’interno di essi si troverà la collezione di copertine del New Yorker. Queste potranno essere ingrandite mantenendo l’alta definizione e inoltre verranno fornite informazioni riguardo alle singole opere, e usando il metodo dell’ipertesto l’utente potrò decidere se approfondire o meno le tematiche, grazie a una linea wifi che permette la navigazione su siti linkati direttamente sul tablet.

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Le tecnologie

Motion tracking

MOTION TRACKING

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Le tecnologie

Motion tracking

La seconda tecnologia con cui si viene a contatto nella sala di Steinberg è il Motion Tracking, o motion capture o mocap. Sono tecnologie che registrano digitalmente i movimenti naturali. Spesso usati per animare i modelli 3D, questa tecnologia è in grado di catturare i dati di movimento di tutto il corpo: comprese le dita e i dati facciali. Nel mio caso userò il motion tracking registrando i dati di movimento di una matita rossa, per dare un carattere distintivo e non confondere la camera. Ogni utente della mostra potrà, usando una matita, che verrà fornita in loco, provare a disegnare posizionato su una pedana di fronte agli espositori laterali. Il movimento verrà effettuato nel vuoto, ma grazie a due webcam posizionate dentro gli espositori e nascoste, verrà registrato il movimento della matita rossa e il risultato del movimento verrà riprodotto su uno schermo sull’espositore posto frontalmente. La tecnologia è composta quindi semplicimente da due webcam e un computer che rielabora i dati e li trasforma in un video. Un esempio è quello del sistema Pointat che nel caso della Cappella del Magi di Benozzo Bozzoli registra il movimento del dito del visitatore che indica un particolare dell’affresco, e restituisce informazioni audio video e testo relative al punto indicato, tramite un calcolo di cordinate.

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Le tecnologie

Video proiezioni

VIDEOPROIETTORE MOBILE Superata la sala di Steinberg ci si inoltra nel labirinto, fase centrale e di transizione, metafora della perdita del senso

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Le tecnologie

Videoproiezioni

dell’orientamento, per immergersi definitivamente in un altrove ancora più distante dalla realtà, più mentale, metafisico. Il labirinto serve a perdersi, ma io volevo accompagnare in qualche modo il visitatore, confondendolo un po’. Infatti sulle parete di tutto il labirinto verrà proiettato un personaggio di Scarabottolo, anzi diversi, uno dopo l’altro, che accompagneranno il visitatore oralmente e camminando fisicamente con loro, infatti il personaggio si muoverà sulle parete saltando dall’una all’altra per disorientare, inoltre, sbaglierà anch’esso il percorso, scontrandosi contro una parete o andando in un vicolo cieco. Questo per non contraddire definitivamente l’idea di labirinto. L’accompagnamento sarà sonoro. La tecnologia usata è quella di un proiettore posto al di sopra del labirinto in una prospettiva tale da riuscire a prendere tutte le pareti ortogonali. Il soggetto in movimento non apparirà su tutte le pareti, ma proprio per dare questo senso di disorientamento, scomparirà e riapparirà senza mai perdersi definitivamente. O magari sbaglierà strada, o entrerà dentro una parete per poi riapparire in quella di fronte.

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Le tecnologie

Sensori a pressione e prismi rotanti

SENSORI A PRESSIONE E PRISMI ROTANTI L’ultima sala è quella di Scarabottolo, essa ha un carattere immersivo, in quanto vuole far sentire il visitatore protagonista e personaggio di una delle opere di scarabottolo, infatti quattro sono le tecnologie usate per renderlo possibile. La prima è quella utilizzata per le pareti, un sistema di prismi rotanti, spesso utilizzati per le pubblicità. È un sistema che utilizza una serie di prismi alti tre metri, su ognuna delle facce del prisma è stampata una parte di un illustrazione diversa, per un totale di tre. Il sistema funziona meccanicamente, ruotando grazie a un perno che gira alimentato da un motore, ogni volta che viene azionato.

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Le tecnologie

Sensori a pressione e prismi rotanti

Sincronizzati, quando gira uno, girano in contemporanea tutti gli altri. L’illustrazione stampata è incompleta poiché mancano i personaggi, sarà presente solo il background. L’obiettivo è quello di creare una scenografia su tutte le pareti del perimetro che immerga il visitatore quasi in uno spettacolo di cui lui è un attore. Il pavimento stesso cambia a seconda della scenografia presente sulle parete.Esso è costituito da vari strati, uno strato di legno, sopra a questo verranno posti, in corrispondenza delle piastrelle scelte, i sensori a pressione.Il meccanismo dei prismi rotanti sarà azionato solo nel momento in cui l’utente all’interno della sala camminerà su determinati punti del pavimento, dotati di

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Le tecnologie

Sensori a pressione e prismi rotanti

un sensore a pressione. Di seguito alla pressione del peso della persona diminuisce la resistenza tra le due piastre di circuiti che costruiscono il meccanismo del sensore, di conseguenza cambia la differenza di potenziale e il circuito avvertendo il cambiamento innesca il meccanismo di prismi rotanti. Anche in questo il visitatore è protagonista, non c’è un meccanismo autonomo che decide quando cambiare scenografia. I sensori a pressione non saranno visibili, ma essendo posti in posizioni di passaggio sarà inevitabile che l’utente possa trovarli. Il terzo strato è quello delle matrici di led che si illuminano di colori diversi a seconda del colore della scenografia. L’ultimo strato è quello del pavimento e sarà fatto di plastica bianca opalina, ottimo materiale per diffondere la luce e il colore dei led senza mostrare punti più luminosi. Il pavimento sarà costituito da piastrelle con fuga a scomparsa così da renderlo uniforme.

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Le tecnologie

Vetrina interattiva

VETRINA INTERATTIVA La terza tecnologia usata è quella per gli espositori. L’obiettivo era quello di non interrompere mai la visuale della scenografia, l’unica soluzione era rendere trasparenti gli espositori, essi sono posti a cerchio intorno alla stanza, ma sono di due diversi tipi. Uno vuole mostrare il metodo di realizzazione delle opere, in quanto Scarabottolo lavorava per layer, ho deciso di lasciare tre espositori costituiti da vari layer di acetato posti a una breve distanza tra loro e illuminati da led alla base. Su ogni layer è stampato uno strato dell’illustrazione, che può essere il cielo piuttosto che un personaggio. Guardando l’espositore frontalmente si vedrà l’illustrazione completa, ma basterà spostarsi di poco per notare i diversi piani che la compongono, che sono sottolineati dai led che illuminano dal basso. Il secondo espositore è di vetro trasparente ed è una vetrina

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Le tecnologie

Vetrina interattiva

interattiva touch screen olografica. Dal pavimento retrostante la lastra alta circa 2 metri viene proiettata la schermata e l’utente potrà interagire con essa. HandTracker™rappresenta un modo innovativo di parlare con i visitatori. Consente una comunicazione interattiva e permette all’utente che “gioca” col sistema di avere informazioni supplementari e dettagliate sulle opere. In particolare, utilizzando HandTracker™ assieme ad uno schermo olografico, si avranno immagini particolarmente realistiche che sommate all’interazione attraverso l’uso della mano e all’utilizzo del sonoro immergono l’utente in una un’esperienza multimediale unica e coinvolgente. Nel film “Minority Report” Steven Spielberg ha utilizzato un sistema all’avanguardia tramite cui era possibile sostituire il mouse con le mani per la gestione del computer. Oggi questa fantasia è diventata realtà. Di fatto HandTracker™ funziona come un mouse convenzionale, per cui qualsiasi superficie diventa attiva ed è possibile utilizzarla per comunicare e interagire con gli utenti sia in prossimità che a distanza. Gli ambiti di utilizzo sono i più disparati e l’unico limite è soltanto la fantasia. In ogni caso possiamo individuare tre macro suddivisioni: utilizzo completamente all’interno (si pensi a reception, show room, fiere, eventi, scuole, ...), utilizzo interattivo con l’esterno (tipicamente vetrine) e utilizzo industriale. Vetrine interattive HandTracker™ trasforma una normale vetrina in una superficie interattiva trasparente, le immagini vengono proiettate sul vetro dall’interno del negozio tramite un videoproiettore oppure un monitor Lcd o Plasma, mentre dall’esterno, semplicemente

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Le tecnologie

Vetrina interattiva

toccando la vetrina, si interagisce con l’applicazione creata per mostrare i prodotti o i servizi dell’Azienda. E’ possibile distribuire contenuti digitali e interagire con cellulari e smartphone all’esterno della vetrina grazie all’integrazione con un dispositivo Bluetooth (opzionale). Inoltre HandTracker può essere corredato di diffusori acustici che trasformano il vetro della vetrina in una cassa acustica per cui è possibile completare l’esperienza interattiva dell’utente attraverso il sonoro.

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Le tecnologie

Vetrina interattiva

OLOGRAMMI Come spiegato in precedenza, la scenografia manca di personaggi, essi infatti, oltre a essere rappresentati in un certo senso dai visitatori, volevo che fossero che uscissero dall’illustrazione. Ho deciso infatti di porre in tre punti diversi della sala tre ologrammi che raffigurassero tre personaggi diversi. Gli ologrammi sono definiti come figure (o pattern) d’onda interferenti ottenute tramite l’uso di un laser, aventi la specificità di creare un effetto fotografico tridimensionale: essi, a differenza delle normali fotografie, ci mostrano una rappresentazione tridimensionale dell’oggetto proiettato. Ogni parte dell’ologramma, poi, contiene l’intera informazione: tagliando in due parti l’ologramma entrambe mostreranno

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Le tecnologie

Vetrina interattiva

sempre l’oggetto per intero. Creazione dell’immagine Un ologramma viene creato con la tecnica dell’olografia mediante impressione di una lastra o pellicola fotografica (lastra o pellicola olografica) utilizzando una sorgente luminosa coerente (laser). La luce laser, a seconda della configurazione ottica adottata, può essere separata mediante beam splitter (configurazione dual-beam), o essere utilizzata così com’è previa espansione da parte di una o più lenti (configurazione Denysiuk). Nel primo caso uno dei due rami viene espanso dal beamexpander e inviato verso l’oggetto da riprodurre, mentre l’altro (fascio di riferimento) anch’esso espanso da un beamexpander, va ad illuminare uniformemente la lastra o pellicola sensibile. Sfruttando il fenomeno dell’interferenza ottica è così possibile ottenere un pattern detto di interferenza che contiene tutte le informazioni (intensità e fase) della luce proveniente dall’oggetto. Caratteristiche Le caratteristiche principali di un ologramma sono: Una lastra olografica conserva il contenuto informativo in ogni sua parte, di conseguenza spezzando in più parti la lastra è possibile ottenere la stessa immagine tridimensionale con una diminuzione del campo di vista. È possibile memorizzare sulla stessa lastra olografica più ologrammi orientando diversamente il raggio laser di riferimento.

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LA TECNOLOGIA E IL COME ALTROVE D’OGGI

VIRTUALE

Il progetto vuole che la mostra non sia una serie di oggetti esposti, ma piuttosto un’esperienza, un percorso che attraversa diverse fasi. È un percorso di immedesimazione, il visitatore viene portato a riflettere, nella prima fase, su come viene generata l’opera, su quali sono le tecniche utilizzate dall’autore. La prima fase ha un carattere più razionale, ancora ancorato alla realtà, per quanto si tratti di un altrove. Un altrove dove le linee disegnate prendono vita, dove i personaggi creati diventano autori di se stessi, dove la pianta di una città è solo un’insieme di linea, un percorso che va da A. a B., dove al posto dei continenti esistono grandi parole tridimensionali che ne portano il nome, dove i

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palazzi sono protagonisti, ma sono una stereotipazione della realtà. Dove un intero paesaggio è generato da una sola linea, dove il giornale è protagonista, dove la politica, la satira sono all’ordine del giorno, ma in modo quasi impercettibile, dove tutto sembra disegnato a portata di bambino, ma nasconde un mondo di significati; dove il bianco e il nero dominano ma anche i colori si fanno spazio tra le copertine del New Yorker. Questo era lo spazio che dovevo riuscire a descrivere in una sala; l’ambiente, le sensazioni che dovevo trasmettere. L’ingresso alla prima sala ormai lo si conosce, una facciata quasi inesistente di cui si scorge un luminoso skyline che invitata il visitatore ad avanzare frontalmente fino a portarlo a un’impercettibile rampa dalla quale scoprirà il gioco di prospettiva usato in facciata.

L’entrata a imbuto sarà ostacolata da una barriera di luce posta proprio all’ingresso della prima sala. Il visitatore sarà ostacolato ma anche invitato a sorpassare questa barriera che crea un’atmosfera di fantascienza dove non puoi sapere cosa ti aspetta, se un viaggio nel passato o nel futuro, o forse in un mondo ALTRO? Il getto di luce ad alta intensità sarà proiettato dall’alto grazie a dei

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led ad alta potenza. Superata questa soglia si entra nella prima sala. Frontalmente ci si trova una scritta tridimensionale posata a terra che dice “Altrove”, è una sorta di benvenuto in un nuovo spazio non ancora definito, apparentemente tutto sembra bianco, luminoso, caratterizzato da linee nere che ne definiscono i lineamenti e gli andamenti tortuosi. Proprio sulla sinistra del visitatore parte, quasi a proseguire dallo skyline in facciata, “The Line”, un’opera di Steinberg che si sviluppa in una decina di metri. Quella riportata è una riproduzione retroilluminata dell’originale e si sviluppa su tutto il perimetro della stanza quasi a dare l’idea di una lunga finestra a nastro che favorisce la vista sul nuovo altrove. Sensazione avvalorata ancor di più dagli espositori che sono avanzati di mezzo metro verso l’interno della stanza. “The Line” è un’opera realizzata con l’uso di una semplice linea a penna, che durante tutto il suo percorso crea situazione, paesaggi, personaggi.Egli dà vita all’inchiostro, e a quello che ne esce, che diventa figlio autonomo e indipendente. Questa è una caratteristica importante dell’autore, che ho voluto

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sottolineare con una installazione posta sul lato destro della stanza in cui il visitatore, salendo su un’apposita pedana potrà provare a disegnare quello che vuole o scrivere il suo nome o provare a ricreare lo skyline, nell’aria, usando una matita rossa posta in un contenitore. Quello che disegnerà apparirà sull’espositore di fronte quasi magicamente. Non avendo a disposizione un foglio, ma solo il vuoto, il visitatore è messo alla prova poiché non potrà mai staccare la mano dal proprio disegno. Questa installazione è possibile grazie a un sistema di motion tracking: ossia, nella matita è presente un dispositivo collegato a due webcam e a un computer, le webcam rilevano il movimento della persona e lo rielaborano a computer analizzando in particolare il movimento della matita e ricreando in questo modo il tracciato realizzato. Gli espositori laterali, presenti sopra e sotto “The Line”, sono inclinati a diversi gradi per favorire la visione di ciò che è riprodotto sopra. Sono pannelli retroilluminati sui quali sono posti alcuni originali e altre proiezioni di opere dell’autore. Uno schermo presente sugli espositori manderà in onda un video di una conferenza tenuta al politecnico di Milano da Tullio Pericoli, illustratore, in onore di Steinberg. Le sue parole esprimono al meglio l’identità di questo illustratore,

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che anzi Pericoli è contrario a definire tale, poiché riduttivo. Racconta di cosa ha tramandato e cosa fosse per lui il disegno: “Quasi come si svolgesse un pensiero dal momento in cui la penna si appoggia sulla superficie fino al momento in cui si stacca e li c’è sempre un pensiero, che sia linea, che sia un colpo di pennello o un colpo di pastello, quasi come la materia celebrale di Steinberg si fosse trasferita dalla calotta cranica alla mano, cioè lui ha una mano pensante che creava esseri pensanti che erano i suoi segni. [...]Steinberg ha fatto una cosa semplice e importante, ha preso quella cosa indefinibile che esce da un pennino quando si appoggia sul foglio, che è una linea e ha cercato di capire cosa fosse, di capire chi era, che cos’era, come pensava, che storia avesse, che passato, che interiorità, quasi come se la adagiasse su un lettino da analista e volesse capire il suo profondo, la sua interiorità.[...]La linea è una mediatrice tra noi e la rappresentazione del mondo, come è la parola per chi usa il linguaggio parlato, la parola però ha avuto la fortuna di essere stata interpretata, studiata. Non è esistito un Freud della linea, e Steinberg ha tentato di fare proprio questo. [...]Quella linea non era più ferma, era viva, era altro, era un’essere con una storia un passato e un’importanza non più trascurabili. Lui ha cercato di cogliere e di disegnare i meccanismi del pensare. […] Ha creato una sorta di società di fabbricati, di edifici, e di personaggi QUASI veri.” La seconda installazione è al centro della sala, si tratta di un’area circoscritta da due grosse parole tridimensionali (Altrove e New Yorker) una posta di fronte all’ingresso, l’altra parallela, che racchiudono un disegno stampato su pavimento di uno dei famosi percorsi disegnati

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da Steinberg “From A to B”. Questo percorso è lineare e con linee dritte spezzate e forma quasi la mappa di una città come New York, caratteristica perchè formata da una maglia uniforme di strade ortogonali. Questa mappa sarà proprio lo schema base di una sorta di città immaginaria, i cui palazzi sono composti da pile di giornali. Così si forma una città stereotipata, i giornali rievocano la sua collaborazione con il New Yorker e la partecipazione attiva alla vita sociale e politica, mentre la città simboleggia l’importanza che, nelle sue illustrazioni, dà all’architettura. E GIORNALE SFOGLIO CATALOGO Sulle parole tridimensionali sono presenti dei tablet legati a terrà ma che possono essere presi e con essi, inquadrando le pile di giornali, sarà + INFO grazie a possibile, un’applicazione di realtà aumentata, selezionare una pila, prendere un giornale e sfogliarlo. Il giornale è un vero e proprio catalogo di tutte le copertine del New Yorker realizzate da Steinberg, sarà possibile selezionarle, ingrandirle e ottenere informazioni grazie a dei semplici click.

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Grazie a un sistema di ipertesto il visitatore potrà accedere a una serie di informazioni seguendo quello che più gli interessa, non un’informazione obbligata, ma che risponde alle preferenze dell’utente. L’accesso al secondo ambiente è quasi nascosto da “The Line” che prosegue su tutte le pareti; in realtà la parete frontale a quella dell’ingresso ha una parte arretrata e c’è un ingresso a sinistra e a destra. Il secondo ambiente è un labirinto, l’accesso a sinistra è quello per i visitatori stranieri, poiché la visita e l’audio saranno in inglese, mentre quello a destra è per i visitatori italiani. Entrati nel primo corridoio l’ambientazione cambia: buio, e senso di disorientamento. Il pavimento è fatto da specchi che fanno perdere il senso di profondità dell’ambiente.

IL LABIRINTO

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La sensazione non è quella di buio pesto, quanto piuttosto il buio notturno con un chiarore lunare. Le pareti sono alte e nonostante il passaggio sia più di un metro e mezzo la sensazione sarà quella di camminare in vicoli stretti, come in un vero e proprio labirinto, persi in un’infinito spazio; guardando sopra di sé il visitatore vedrà il buio totale, non vedrà un soffitto, perchè non c’è,la sua unica via di uscita è quindi continuare a percorrere il labirinto. Appena entrati apparirà su una parete la proiezione di una linea che si compone, formando un personaggio di Steinberg e subito si scompone per dare vita a una personaggio di Scarabottolo. Un personaggio che pare quasi quello di un cartone animato; egli parla, introduce il nuovo illustratore che si affronterà nella sala successiva. Il suo ruolo è quello di una sorta di guida, ma per non essere in antitesi con il concetto di labirinto, che vuole far perdere il senso dell’orientamento al visitatore, per portarlo in uno spazio altro ancora più astratto dalla realtà. Infatti la guida non sarà costante e presente sempre, ma scomparirà dietro alcune pareti, perderà la strada, andrà a sbattere contro qualche parete. Nel frattempo racconterà a voce brevemente la vita dell’autore e anticiperà al visitatore quale luogo egli sta per raggiungere. Giunti alla fine del labirinto ci si troverà davanti a una parete in cui è stampato in altre lingue ciò che la guida ha detto durante il percorso. Aggirando la parete ci si troverà nell’ultima stanza, quella dedicata a Guido Scarabottolo. Completamente diverso dagli spazi visti in precendenza, ci si troverà immersi in un vero nuovo mondo, il mondo creato dall’illustratore.

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Quello che lo contraddistingue dagli altri illustratori e allo stesso tempo lo fa spiccare tra tanti nomi è proprio la sua capacità di sintesi nei propri disegni, che, essendo un illustratore di copertine, è un requisito fondamentale.

Da una sua intervista egli stesso dice: “La sintesi è un requisito delle copertine, come quello dei manifesti, una copertina deve farsi notare all’interno di un paesaggio di copertine come in una libreria, quindi se non deve somigliare a un segnale stradale poco ci manca.Tutta la parte artigianale, manuale anche virtuosistica del disegno non mi è mai interessata, quella virtuosistica perchè non so disegnare, disegno in un modo piuttosto rudimentale e quella dell’applicazione manuale della fatica mi sembra abbastanza noiosa anche se ha degli aspetti terapeutici e autoterapeutici, l’impazienza di arrivare a un risultato porta alla sintesi, sono trent’anni che mi esercito.”

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Entrando nella sala infatti la sensazione è quella si entrare a far parte di un paesaggio, semplice, e composto da pochi elementi, pochi ma fondamentali. Il visitatore si sentirà completamente avvolto da questo nuovo mondo, poiché è riportata su tutte le pareti una scenografia di una sua illustrazione, solo lo sfondo, che semplicemente è composto da un colore per la terra, una linea di orizzonte, e una tinta unita per il cielo, ma non sempre colori realistici, anzi, quasi mai. Ma non importa, è l’idea che danno, nell’immaginario collettivo ogni sfondo con una linea di orizzonte è riconducibile a terra e cielo. Aggirandosi nella stanza pare che non ci siano opere, non ci siano espositori, ma sembra di essere all’interno di una di queste. Infatti i personaggi sono i visitatori. Ma non solo, i personaggi dell’illustrazione sono presenti sotto forma di ologrammi posti all’interno della stanza, a grandezza uomo, quasi fossero anch’essi spettatori che si aggirano per la sala. Ma gli espositori ci sono, solo sono trasparenti. Ci sono due tipi di espositori, il primo è composto da diversi strati di “fogli” di plexiglas posti a una breve distanza tra loro, su ogni livello è stampato uno strato del disegno che infine, guardandolo

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frontalmente, si compone nel suo insieme. Questo per sottolineare il modo in cui Scarabottolo componeva le sue opere, ossia per layer; egli lavorava disegnando prima i personaggi schizzati a mano, poi i paesaggi, e infine a computer componeva il tutto dandogli il colore. Le lastre di plexiglas saranno illuminate dal basso per rendere ancora più evidente la distanza tra di loro. Il secondo espositore invece è una vetrina olografica interattiva, ossia una lastra di vetro collegata con un cavo USB a un computer e a un proiettore, dal pavimento quest’ultimo proietterà sul vetro un’interfaccia e tramite un sensore al tatto il visitatore potrà interagire con essa. Quello che viene proiettato sopra è un gioco, ispirato a quello, non digitale, di Munari, che è composto da diverse schede di acetato su cui è stampato un diverso elemento di un paesaggio, il bambino potrà così comporre il proprio paesaggio. Il concetto è lo stesso ma al posto di un paesaggio qualunque ci saranno tutti i diversi layer di Scarabottolo, quello con i personaggi, quello con i diversi cieli, quello con gli edifici e via dicendo. Il visitatore grazie a un sistema di drag and drop potrà creare la propria illustrazione che infine verrà inviata a una stampante e potrà essere ritirata alla fine della mostra. Il carattere immersivo di questa sala però è dato soprattutto dalla scenografia, che essendo fatta da un sistema di prismi rotanti cambia.

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Ma non cambia dopo un tempo predefinito, bensì viene azionata proprio dal visitatore, quasi a sua insaputa. Infatti il meccanismo è azionato da un sensore a pressione posto sotto il pavimento, quando il visitatore cammina sopra questi punti che sono due e sparsi per la sala, la scenografia cambierà. Oltre a essere divertente, il meccanismo dei prismi rotanti, applicato a tutte le pareti di una stanza crea un momento quasi teatrale, spettacolare, perchè inonderà come una grande “wave” tutta la stanza. Con essa cambierà anche il colore del pavimento grazie a una serie di luci led poste sotto il pavimento che si illumineranno del colore della scenografia. Usciti anche dall’ultima sala, dopo aver ritirato la propria illustrazione, ci si ritroverà all’interno dell’Hangar, di nuovo nella realtà, lasciando alle proprie spalle due bellissimi altrove.

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breve Saul Steinberg e Guido Scarabottolo: due personaggi, due altrove. Il progetto ha l’obiettivo di creare un percorso attraverso due menti, due modi di disegnare, diversi modi di usare la matita. Due percorsi paralleli, uno immersivo, l’altro metodologico. Il primo porta il visitatore a un cammino di crescente astrazione dalla realtà, passando per l’altrove di Steinberg, che esaspera certi aspetti della realtà ma ne resta ancorato, a Scarabottolo, dove invece del mondo reale c’è solo un leggero ricordo. Tutto ciò è possibile tramite sensazioni e ambientazioni resi dalla tecnologia, che porteranno l’utente da essere un semplice spettatore a essere un personaggio di un’illustrazione. Il percorso metodologico consiste invece nel mostrare al visitore come i due autori hanno composto le proprie opere, facendoglielo sperimentare in prima persona, tramite il motion tracking e il drag and drop.

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