architettura(del)terroir

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Eli s a Ta ngh e r on i

ARCHITETTURA DEL TERROIR AMPLIAMENTO DELL A CANTINA VINICOL A TENUTA DI VALGIANO



Università di Pisa

Facoltà di Ingegneria

Corso di Laurea Specialistica in Ingegneria Edile-Architettura

Tesi di laurea

ARCHITETTURA DEL TERROIR

AMPLIAMENTO DELL A CANTINA VINICOL A TENUTA DI VALGIANO

Candidata

Relatori

Elisa Tangheroni

Prof.Arch. Giorgio Prof.Ing. Massimo Prof.Ing. Massimo Dott. in viticoltura

Croatto Dringoli Fiorido ed enologia Saverio Petrilli

anno accademico 2011|2012


ai miei genitori e al nonno


Architettura del terroir

Ampliamento della cantina vinicola Tenuta di Valgiano

Abstract

Terroir è un termine di origine francese, usato speci-

ficamente in viticoltura ed enologia, che va ad indicare una complessità di fattori tra cui terreno, clima, esposizione, pratiche agricole, fino a comprendere gli stessi consumatori del prodotto; elementi che interagendo e contaminandosi incidono in maniera univoca e determinante sulle caratteristiche di un vino. Si tratta di un concetto che richiede una sensibilità ed una preparazione multidisciplinare che passa da elementi di agronomia a tecniche di marketing. Pensare ad una architettura per il terroir, quindi, non significa semplicemente rispondere ad esigenze di carattere funzionale al servizio delle operazioni di produzione tipiche di una cantina vinicola, né si limita a rappresentare un inserimento architettonico in un contesto territoriale. Per quanto entrambi gli elementi siano fondanti non possono risolvere da soli in maniera ottimale la complessità di un tale intervento, che necessita di toccare ambiti più variegati.

L'azienda vitivinicola Tenuta di Valgiano è una giovane realtà insediata sulle colline lucchesi, che ha saputo in tempi relativamente brevi, attraverso una particolare sensibilità e conoscenza dei propri vitigni, raggiungere risultati di eccellenza riconosciuti oggi in ambito nazionale ed internazionale. Le pratiche agricole utilizzate (che ne hanno fatto nella zona l'azienda pioniera del biodinamico), unite alle tecniche tradizionali di cantina e al particolare contesto storico e paesaggistico in cui opera con profondità di intenti, la rendono un raro esempio di azienda armonicamente integrata in una trama complessa permeata di genius loci e terroir. Intervenire in un simile scenario rappresenta un interessante campo di lavoro, dove sperimentare la capacità dell'architettura contemporanea di saper dialogare con elementi così eterogenei, impegnandosi a divenire un valore aggiunto, profondamente connesso e contaminato dal contesto ma capace di conferire allo stesso un carattere di apertura al nuovo, in modo da qualificarlo come un luogo in continuo divenire.


sommario 6

introduzione 1 vino e architettura

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storia e significati del vino

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l’architettura per il vino

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processi di vinificazione e guide linea per la progettazione di una cantina

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2 tradizione del vino in lucchesia

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3 valgiano 4 tenuta di valgiano

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analisi storica

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analisi dello stato di conservazione

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• schede tecniche descrittive

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l’azienda

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il locali cantina: rilievo dello stato attuale 5 progetto per l’ampliamento

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emergenze riscontrate e obbiettivi proposti

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concept progettuale e programma funzionale

98

intervento di nuova costruzione e scelte tecnologiche predisposte

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conclusioni

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bibliografia analitica

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referenze per le immagini

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tavole allegate



introduzione

Negli ultimi decenni l'attenzione verso il settore vinicolo e il suo sviluppo anche in nuovi ambiti, come quello turistico, ha chiamato a rispondere gli architetti contemporanei alle sue nuove esigenze; sono innumerevoli gli esempi di progettisti, più o meno noti, che hanno dovuto riscontrarsi con questo tema, portando a risultati talvolta contrastanti. E' possibile delineare diversi filoni di tendenza, in base ai quali un' architettura per il vino risponde principalmente a particolari richieste, che non sono più in esclusiva quelle legate alla produzione, ma si connettono a logiche industriali e di marketing, fino ad arrivare a ribaltarne lo scopo principale per cui sorge. Ma è necessario fare un passo indietro per capire l'importanza che questo prodotto riveste nella storia dell'uomo e del nostro paesaggio, che ne è stato segnato profondamente dalle pratiche agricole e dalle costruzioni a queste necessarie. Gli scopi e le modalità con cui si è concepito il vino hanno subito radicali cambiamenti: da nettare dionisiaco, a bevanda alimentare, a prodotto "da museo"; la storia del vino e della sua fabbricazione asseconda quella umana: così da fattezze artigianali è passato a produzioni industriali, fino ad oggi in cui, semplificando molto, vede una diversificazione tra prodotto di massa e prodotto di élite. Occuparsi di vino significa occuparsi soprattutto della sua cultura; parallelamente incidere su un territorio con una architettura per il vino, significa incidere sulla cultura del luogo e su quella del vino, segnandone la storia. Territorio e vino sono d'altra parte due variabili strettamente interconnesse, basta esemplificare il fatto che il nome stesso del prodotto è dato dal luogo di produzione. Per questo, sia che si tratti di un intervento di recupero,


di ampliamento o di nuova costruzione di una cantina vinicola, è essenziale non prescindere dalle peculiarità del luogo: regola banale per qualsiasi intervento architettonico, ma che purtroppo rischia spesso di essere surclassata da esigenze di immagine e di mercato, a cui questo prodotto oggi più che mai è sottoposto. I risultati sono schemi progettuali che si ripetono per semplicità, o segni che incidono in modo incongruente, ma che certo si fanno ricordare. Obbiettivo base deve essere invece quello di incrementare lo sviluppo economico e turistico, preoccupandosi di non diventare causa di semplificazione e impoverimento territoriale. Affacciandosi poi in una realtà avviata, come può essere quella dell' azienda Tenuta di Valgiano, i tessuti da considerare si infittiscono notevolmente delle ideologie e delle pratiche aziendali. Occuparsi di intervenire all'interno del suo intreccio, composto da storia, paesaggio, vocazione, cultura, filosofia, passione, lavoro, industria, marketing... rappresenta un'occasione per poter sperimentare in modo personale le difficoltà di questo ambito progettuale. Le modalità di intervento hanno previsto analisi ( studio del sito, degli ambienti che ospitano la cantina, delle pratiche aziendali, e delle sue emergenze) e confronti rispetto a quello che é l'animo con cui l'azienda pratica e l'anima della terra che la ospita, prima di arrivare a linee guida che portassero ai risultati ottenuti. Le idee che hanno insistito come un mantra sul lavoro svolto di conseguenza alle caratteristiche riscontrate, e che coincidono poi con gli obbiettivi della tesi, sono state da una parte utilizzare l'architettura come strumento per allacciare dei rapporti di connessione tra edifici appartenenti a diverse categorie e storie, evitando di

insinuare in un contesto in cui queste connessioni sono già molto forti, un semplice oggetto di design; dall'altra riuscire a mantenere vivo e in divenire un contesto così permeato di storia, che per semplicità potrebbe essere banalmente conservato facendo sì che ogni nuovo intervento si mimetizzi grazie ad una ripresa didascalica delle tipologie e dei sistemi costruttivi esistenti nel contesto, escludendo in questo modo ogni possibile apertura al linguaggio contemporaneo.

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“sempre pronto ad una nuova idea e ad un antico vino “ Bertolt Brecht


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vino e architettura

storia e significati del vino La "storia" del vino ha origini che risalgono al paleolitico antico, come dimostrano diversi ritrovamenti archeologici sulle pendici dell'Himalaya, dove già 300 000 anni fa la "vitis vinifera", pianta rampicante, cresceva spontanea nelle foreste. Gli effetti benefici e inebrianti provocati dall'assunzione di succo d'uva, lasciato in contenitori rudimentali a fermentare, gli hanno conferito quell'aura mistica, religiosa e rituale che lo ha accompagnato fino ai giorni d'oggi. I sumeri simboleggiavano con una foglia di vite l'esistenza umana, gli ebrei dell'antico testamento attribuirono a Noè la piantagione della prima vigna e consideravano la vite tra i beni più preziosi. Nel mondo greco il vino era ritenuto un dono degli dei e tutti i miti sono concordi nell’attribuire a Dioniso, il dio del vino nato dalla coscia di Zeus, l’introduzione della coltura della vite tra gli uomini tanto che fu oggetto di culto non solo presso i Greci, ma anche in Etruria, dove era identificato con la divinità agreste Fufluns, e quindi nel mondo romano, dove era conosciuto come Bacco . Dall'epopea di Dioniso e dal suo corteo di mènadi e baccanti, il mondo imparò a conoscere il vino, anche se furono probabilmente gli egizi i primi viticoltori, come dimostrato da raffigurazioni in pitture tombali dove sono rappresentati contadini nell'atto di raccolta di grappoli d'uva da una pergola . Questo legame con la divinità fece si che il consumo del vino fosse connesso a feste, cerimonie e riti di iniziazione, sempre di carattere collettivo. D'altra parte l'ubriachezza non era disdicevole nel mondo antico proprio per il suo carattere sacrale, e il suo consumo si evolverà più tardi nell' istituzione


del simposio, alternandolo alla conversazione e alla musica. Per quanto riguarda la vinificazione è testimoniato l’uso di una tecnica in antichità molto simile a quella utilizzata fino quasi ai nostri giorni: essa prevedeva, in breve, la raccolta e la pigiatura dei grappoli in larghi bacini, la torchiatura dei raspi e la fermentazione del mosto in recipienti lasciati aperti fino al completo esaurimento del processo. Tuttavia il vino bevuto nei convivi a quei tempi era molto diverso da quello che conosciamo oggi: la natura dei vitigni, le tecniche di coltura e vinificazione, la bollitura al quale veniva sottoposto per garantire la conservazione, creavano un liquido denso e sciropposo, molto dolce e con elevata gradazione, che mai era consumato senza l'aggiunta di acqua, talvolta di mare. Inoltre era addolcito e aromatizzato con decine di spezie, resine, fiori e miele. Il vino conobbe comunque con i romani un vero e proprio boom, i vigneti furono impiantati in tutti i territori conquistati , si sviluppò il commercio e con esso anche le prime polemiche sui prezzi, le frodi e le sofisticazioni. Nel frattempo furono i Galli a inventare la botte di legno, che porterà a un vera e propria rivoluzione. Di pari passo con la storia dell'uomo, il medioevo ha rappresentato per il vino un periodo di decadenza: al suo gusto si sostituisce quello della birra e dell'idromele, tradizionali bevande fermentate dalle popolazioni barbariche del nord Europa; saranno soprattutto i monaci cristiani benedettini e cistercensi a praticare la viticoltura e preservare la cultura del vino con religiosa passione. In questo periodo di grande instabilità i monaci preferivano nascondere le provviste di cibo nelle cantine e fu così che il vino abbandonò i solai dove fino ad allora gli antichi lo avevano conservato, per scendere in un ambiente umido e buio. La ripresa della produzione avenne già nel periodo carolingio, in una società feudale già consolidata, dove furono i contadini ad occuparsi e a tramandarsi i saperi della vite; da allora il suo consumo si spinse sempre più a nord, il suo gusto più fresco e leggero lo rese più adatto ad accompagnare i pasti e si diffusero le osterie. Con questi presupposti possiamo capire che dagli ulti-

mi secoli ad oggi, il vino e le sue tecniche di lavorazione sono state testimoni di grandi cambiamenti. Con il commercio internazionale e l'arrivo di alimenti quali caffè e tè, il vino perse il suo primato di bevanda conservabile e sicura, e ciò spinse i produttori a puntare sulla qualità. L'evoluzione tecnologica nella lavorazione del vetro rese più facile la realizzazione di bottiglie adatte e la riscoperta del sughero, il cui uso dopo i romani era stato dimenticato, rese possibile condizioni di conservazione ideali; si diffuse l'uso dello zolfo (con benefici effetti sulla stabilizzazione) e si capì che con le botti sempre piene il vino non inacidisce. Nel XVIII secolo si consolidò la tendenza a produrre vini più intensi, scuri e fermentati a lungo. Cominciò ad affermarsi in questo contesto il Porto come straordinario vino da lungo invecchiamento, ma si diffusero anche nuovi vini come lo Jerez, il Madera, il Tokaji e lo Champagne. Intanto i grandi Chateau di Bordeaux continuavano a produrre vini di pregio per i loro migliori clienti, gli inglesi; si affermarono le zone più prestigiose di Alsazia, Borgogna, Toscana, Spagna e Portogallo. Il XIX secolo ha vissuto la massima euforia vitivinicola: l'economia nazionale di molti paesi si basava sulla produzione di vino. Ma prima della fine del secolo, il ridotto tempo di traversata dell'Atlantico, permise la venuta dal continente americano della filossera (un afide che si nutre delle radici delle viti e che una volta insediatosi nel vigneto non lo abbandona fino a completa distruzione). Le conseguenze furono catastrofiche per tutti i vigneti europei tanto che la soluzione fu ripartire da zero, innestando la vite europea sulla radice americana immune al parassita, a costo di un cambiamento radicale della geografia del vigneto europeo: nelle zone meno vocate il vino cessò di esistere, il resto degli impianti fu totalmente rinnovato . Da allora probabilmente il gusto del vino è diventato un altro. La rivoluzione industriale ha cambiato, negli ultimi decenni, il mondo del vino, la cui produzione è passata da una dimensione di carattere artigianale ad una dimensione industriale. Si può affermare che accanto 11


all'importanza del terreno e del clima, si ha una crescente attenzione per la lavorazione del vigneto (che necessita di prodotti specifici quali zolfo, rame e calce contro oidio e peronospora), e per il controllo della fermentazione e conservazione. D'altra parte l'avvento della tecnica e di sempre maggiori sofisticazioni e correzioni, aggiunte al problema della sovrapproduzione, di una crisi economica dilagante e di annate non prolifiche del primo ventennio del novecento, ha determinato la maggiore necessità di tutela della bevanda, del produttore onesto e del consumatore. Per questo i produttori cominciarono a organizzarsi in associazioni, richiedendo norme specifiche sulla denominazione dei vini, sulle pratiche di cantina, sulla modalità e le caratteristiche degli impianti. Esistono oggi vere e proprie classificazioni delle denominazioni di origine e dei crus, che rappresentano punti di riferimento in tutto il mondo, e da un lato però, alimentano le operazioni di marketing. La storia recente del vino è infatti segnata a partire dagli anni 60, oltre che da avanzati livelli tecnologici e rinnovate concezioni delle pratiche di coltura e di cantina, anche da una grande attenzione per l'immagine del prodotto sul mercato e per la sua commercializzazione. Questo cambiamento ha inciso profondamente anche sulle cantine e le ha trasformate da semplici luoghi di produzione e confezionamento a simboli che concorrono a definire l'immagine della casa vinicola. Ma non è l'unico cambiamento: infatti la possibilità di poter produrre anche in terreni o climi meno favorevoli ha determinato un notevole incremento di superfici vitate anche nel continente americano, nel paesi dell'est Europa ed in Cina, con conseguenza un mercato ormai globalizzato. Si è sviluppata così una doppia e contrapposta tendenza: da una parte potenze enologiche emergenti, produttrici di un "vino tecnologico", che sperimentano tecniche di vigna e di cantina per costruire stili e sapori, con intenti omologanti o per soddisfare richieste di mercato; dall'altra parte piccole aziende che puntano sulla sincerità del proprio prodotto, marcandone il legame con il terroir e con l'accostamento a tecniche

Vaso greco con raffigurazione di un simposio “Bacco” Caravaggio1596, Galleria degli Uffizi, Firenze

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tradizionali. Entrambe corrispondono a logiche di mercato ben precise: la prima punta ad una produzione in quantità, fruibile ed apprezzata dal maggior numero possibile di utenti, ovvero la così detta produzione di massa, dei vini destinati al taglio e alle sofisticazioni. L'altra punta alla qualità ovvero mira a creare prodotti di eccellenza e rispecchia quindi il profondo cambiamento di tendenza, che vede mutare la logica di consumo del vino stesso negli ultimi anni da bevanda- alimento, a consumo "meditato", inserendosi nel movimento che fa rientrare la gastronomia in generale in quegli aspetti di benessere, di piacere del vivere e spesso di lusso che ha preso sempre più piede in questi anni. Nascono sempre più figure professionali legate al culto del vino, riviste specializzate, luoghi e corsi di esercizio al gusto del vino. E se da una parte il grande pericolo è quello dell'omologazione dei gusti con il diffondersi dei "vitigni internazionali" e la perdita di quelli autoctoni e del patrimonio delle tradizioni, dall'altro vi è una corsa sfrenata ai prezzi verso l'alto, o meglio il pericolo di cadere comunque vittima di una diversa (ma pur sempre) strategia di marketing. In Italia gli ultimi anni hanno visto un profondo cambiamento nei confronti del vino. E' aumentata la cultura e sicuramente l'interesse per i territori viti-vinicoli; è aumentato il numero di addetti alla filiera del vino e sicuramente quello degli appassionati che, probabilmente spinti anche da una moda, frequentano corsi di degustazione e riescono ad apprezzarne la qualità e ad avere consapevolezza di ciò che bevono. Si sta assistendo ad un cambiamento enorme riguardo a ciò che beve la gente e a grande curiosità verso vini di qualità che esprimono una certa personalità. Tuttavia si tratta di un periodo delicato, e segnato dalla contraddizione che vede un aumento netto della qualità del prodotto offerto, ma una minore ricettività da parte del mercato, dovuta alla crisi economica.


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l’architettura per il vino Specchio privilegiato dei mutamenti delle logiche di produzione e di consumo di questo prodotto nel tempo sono sicuramente gli edifici che ospitano i processi di trasformazione e di conservazione del vino: le cantine. I primi locali adibiti a tale uso erano spesso degli annessi agricoli, bui e umidi , talvolta non facilmente accessibili e con un'igiene approssimativa. Se da una parte questi modelli male si potevano adattare a tecnologie mutevoli e talvolta potessero apparire semplicistici da un punto di vista architettonico, c'è da apprezzare il fatto che riuscissero ad integrarsi con il paesaggio naturale e antropizzato in modo eccellente. E gran parte di merito è da attribuire all'uso dei materiali poveri locali del tutto riciclabili (pietra, legno, terra, calce..), all'attenzione per l'esposizione e l'orientamento e all'uso di fonti (allora obbligatoriamente) rinnovabili. Durante la seconda metà dell'ottocento, la velocizzazione di alcuni procedimenti e scoperte che contribuirono a mutare il sistema produttivo (per esempio procedimenti biologici e chimici per debellare l'avvento di malattie e parassiti come la sopra citata peronospora), permisero un rapido aumento della produzione, tanto da indurre la costruzione di manufatti completamente dedicati, con una maggiore razionalizzazione dei processi produttivi e l'introduzione di macchinari. Da cantine con un carattere prevalentemente familiare si costruiscono cantine su modelli industriali, dotate di più piani e con settori, generalmente interrati, volti alla fase di affinamento . L'aumento di produzione e la necessità di mantenere separate le diverse fasi di lavorazione, implicarono una rivisitazione pesante delle cantine esistenti. L'uso di materiali industriali e l'approccio pro-


Santiago Calatrava, Bodegas Ysios, Spagna, 2011. Mario Botta, Cantina Petra, Italia, 2003.

duttivistico ha reso gli spazi costruiti all'epoca privi di qualsiasi legame con il luogo specifico, né tanto meno inseriti armoniosamente in contesti paesaggistici. Fecero eccezione a questa tipologia edilizia, lineare e poco curata, alcune costruzioni edificate prevalentemente in Spagna, il cui scopo non secondario, era di stupire i visitatori in un periodo di successo e di grandi produzioni vinicole. Questa tendenza, che attribuisce alla cantina il ruolo di simbolo della ricchezza e della magnificenza di un'azienda, si è protratta nei decenni caratterizzando quelle che vengono definite "cattedrali del vino". Un esempio è quella costruita dall'architetto Joseph Coogan a Jerez de la Frontera nel 1870: un padiglione in ferro a pianta circolare di dimensioni spettacolari. Ma altri esempi sono tutte quelle cantine sociali, che avevano lo scopo di sostenere le attività agricole locali, costruite nel primo ventennio del 900 in Catalogna, in alcuni casi monumentali, ma di dichiarato gusto novecentista. E' però a partire dagli anni sessanta, che superato il periodo di assurdo proibizionismo americano degli anni ‘30, le guerre e la crisi economica , si assiste ad una innovazione tecnologica sempre più affiancata a quella di una ricerca architettonica espressiva. Come per gli chateau francesi del '600, in cui venivano usati gli stili più in voga dell'architettura dell'epoca, negli ultimi decenni del '900 i committenti privilegiano gusti e tendenze contemporanee. Esplicativo è il fatto che, sia per lo sviluppo del settore e in seguito alla nascita di un vero e proprio turismo eno-gastronomico, sia per l'attenzione sempre più marcata alla costruzione dell'immagine dell'azienda, si sono moltiplicati gli interventi "griffati" degli architetti di fama internazionale, da Santiago Calatrava a Mario Botta a Frank Gehry. Questo fenomeno ha interessato sia i paesi dove lo sviluppo del settore è emergente (come la California, il Sud Africa, il Cile, l'area balcanica...), sia zone di produzione consolidata (quindi Spagna, Portogallo, Italia e Francia), con la differenza riscontrabile nei primi casi, di un approccio molto più libero nelle composizioni. Tutto sommato il lavoro di tanti architetti e la nascita del "winery design" ha consolidato un brand vitivinicolo, puntando, oltre che

sulla qualità delle produzioni, sul richiamo del grande pubblico e innalzando il livello qualitativo delle realizzazioni, divenute vere e proprie tappe all'interno di itinerari enoturistici. La progettazione della cantina si aggrava quindi di ulteriori variabili entrate in gioco: non solo il progettista deve tenere in considerazione le esigenze funzionali della "macchina " cantina, già di per sé complessa, ma si deve avvalere di un forte carattere espressivo, oltre a riuscire ad inserirsi adeguatamente in contesti rurali. Per questa complessità e per il gioco-forza di queste variabili, gli interventi fatti negli ultimi anni sono difficilmente omologabili . E' possibile tuttavia delineare alcuni filoni con caratteristiche comuni. Molte sono le architetture mirate a stupire e a catturare l'attenzione, spingendosi all'utilizzo di forme particolarmente marcate e con effetti tecnologicamente arditi. Un esempio è quello della Bodegas Ysios di Santiago Calatrava, costruita tra il 1998 e il 2001: un complesso lineare con lunghi lati ondulati in cui spicca la complessità della copertura, anch'essa ondulata e rivestita in metallo. Una costruzione che richiama lo sguardo da lontano, rimandando l'attenzione sull'ingresso monumentale e che punta molto sull'attrazione esercitata dal nome dell'architetto stesso, oltre che dall'arditezza delle trovate architettoniche e tecnologiche. Altro esempio, italiano, è la cantina costruita da Mario Botta per l'azienda Petra di Terramoretti a Suvereto. In questo caso il committente, produttore vinicolo ma anche imprenditore edile, ha fatto perno nell'intento di trasformare la cantina nel "logo" aziendale, coinvolgendola in un unico progetto di immagine comprendente anche la grafica dell'etichetta e l'interfaccia del sito web (dove per altro sono visibili fotografie dei processi di costruzione della cantina stessa) . Il risultato, tra i più criticati e sicuramente discussi negli ultimi anni, ha portato ad una costruzione che formalmente si distacca dal luogo in cui è posta a causa dell'eccessiva monumentalità, per molti più consona ad essere accostata alle piramidi egizie piuttosto che sita nel contesto paesaggistico toscano. Senza contraddire la necessaria ricerca di visibilità do15


Alvaro Siza Vieira, Adega Mayor, Portogallo, 2006. Herzog e de Meuron, Dominus Estate Winery, California, 1998.

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vuta a logiche di marketing o al culto per gli architetti famosi, è sicuramente possibile riuscire a incidere in maniera diversa nel territorio in cui si interviene. Un chiaro esempio è la "Adega Mayor" in Portogallo, del progettista Alvaro Siza Viera. Pur trattandosi infatti di un intervento che rientra in tali logiche di mercato e di incentivazione al turismo, si avvale della volontà di incidere il meno possibile nel territorio, collocandosi in una zona depressa, non coltivata a vitigno ed utilizzando un tracciato stradale preesistente. La semplicità della composizione e l'uso di materiali sobri, rende questa architettura capace di dialogare con gli edifici più tradizionali vocati all'agricoltura, e dall'altra parte rispecchia l'attenzione all'economia dei mezzi con cui in queste zone viene lavorato il prodotto. L'ingresso a monte, raggiungibile tramite una rampa, è utilizzato dall'azienda per lo scarico delle uve mentre quello a valle di carattere pubblico è affiancato da un piccolo parcheggio per visitatori. La struttura di disloca su tre livelli: quello inferiore dedicato al processo di produzione (fermentazione e vinificazione), di deposito in tini di acciaio e di legno, all'imbottigliamento e allo stoccaggio; il primo livello è riservato al personale; il terzo ospita la sala degustazioni e lo spazio per la vendita al dettaglio. La semplicità del sistema costruttivo (cemento armato per pareti portanti e travi in cemento armato precompresso per i solai) si sposa all'essenzilità delle finiture: esternamente mattoni e intonaco imbiancati, internamente cemento a vista e pavimentazioni in resina epossidica. Questa controtendenza rispetto all'uso di materiali più ricercati, così come il legame con il territorio che dimostra sfruttando i dislivelli naturali del terreno e che ha reso le operazioni di sbancamento minimali, rendono questa architettura "l'icona della non spettacolarità, del far bene con pochi mezzi" (1).

(1)

CHIORINO, Francesca. Architettura e vino. Nuove cantine e

il culto del vino. Milano, Mondadori Electa Ed. 2008

L'attenzione poi che si ha dagli anni novanta nell'indagare le modalità di lavorazione delle vite, l'interesse per tutti quei fattori che influenzano in modo importante il gusto di un vino (che sono clima, esposizione, terreno, condizioni igro-termiche), ha ispirato oltremodo una sensibilità che in alcuni interventi ha teso a cercare un legame con il territorio tramite l'uso di materiali locali, di energie rinnovabili e sistemi di condizionamento passivi. Tuttavia nella maggior parte degli esempi, la ricerca di sostenibilità è legata ad aspetti singoli, slegati da una visione più complessiva, che magari sviluppano e si avvalgono di importanti innovazioni, rendendoli oggetti tecnologicamente all'avanguardia ed effettivamente efficienti da un punto di vista energetico, ma peccano nei confronti di una minimizzazione dell'impatto ambientale inteso in senso più ampio. Partendo dall'obbiettivo della sostenibilità intesa in senso globale, e come è possibile riscontrare nel risultato finale del mio lavoro, trovo che sia importante capire di fronte alla necessità di un intervento, non solo quali siano i punti da sviluppare seguendo i canoni dell'architettura sostenibile, ormai tanto propagandata, ma soprattutto quale sia nelle specifico contesto, l'ordine di importanza che questi assumono. E considerando dove si localizzano per necessità gli interventi, ovvero immersi nel paesaggio, è chiara la necessità di esplicitare il più possibile il legame tra l'architettura e l'ambiente antropizzato dei vitigni. In questa ottica si crea un interessante parallelismo tra ciò che la parola "terroir" significa per un vigneto, e il senso che il termine "genius loci" ha per un'architettura. Se con il primo termine si vanno ad indicare tutte quelle specificità di un territorio che contribuiscono alla formazione di un vino (quindi terreno, esposizione, clima e microclima, pratiche agricole ecc.), con il secondo si delineano le vicissitudini storiche e culturali che vanno a caratterizzare tale territorio. Ed è interessante vedere come sono stati risolti interventi in cui i progettisti hanno dovuto confrontarsi da una parte con il territorio inteso in senso di terroir, dall'altra con preesistenze storiche, spesso di carattere rurale e quindi sostanzialmente diverse dalla nuova concezione (industriale ma anche commerciale) di cantina, che è una problematica

Rafael Moneo, Bodegas Juliàn Chivite, Spagna, 2001. Antònio Barbosa, Adega Quinta da Touriga, Portogallo, 2006.

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riscontrata nella maggior parte dei casi, compreso quello oggetto di tesi. Un caso emblematico e che per un certo senso, fa da cerniera con gli esempi legati ai grossi nomi di progettisti, proprio perchè affidato all'architetto Rafael Moneo, è la Bodegas Juliàn Chivite in Navarra (Spagna), completata nel 2001. In questo territorio le coltivazioni a vite hanno mantenuto una continuità con le aree boschive, sviluppandosi nelle zone pianeggianti dell'ansa del fiume fino alle colline. Qui Moneo ha dovuto confrontarsi con tre importanti preesistenze costituite da una antica torre, una chiesa rimaneggiata e una dimora storica, diversamente orientate. Questi resti di un antico villaggio hanno profondamente influenzato il complesso, divenendo il fulcro di un edificio ad L , strutturato in più volumi , stilisticamente diversi ma tra di loro collegati. I continui richiami formali (tetti a falda , navate, frontoni) e ai colori della tradizione, comportano la perfetta integrazione del complesso. Si tratta di una rilettura del vecchio in chiave contemporanea, poichè sia i materiali (l'uso di cemento martellinato che con il tempo diverrà simile alle facciate degli edifici storici), sia l'aspetto formale, parlano un linguaggio estremamente attuale. Dal punto di vista funzionale il nuovo complesso forma con i volumi esistenti una corte chiusa. Nel padiglione a cinque navate l'uva viene torchiata e lavorata, nella zona in parte interrata si trovano le botti per l'affinamento, mentre nell'edificio a stecca su due livelli sono situati al piano terreno lo stoccaggio e il confezionamento, al livello superiore la barriquerie e la sala degustazione. L'uso di materiali per rendere esplicito il legame con il territorio è un aspetto che risalta anche nella californiana Dominus Estate Winery, nella Napa Valley, dove lo studio svizzero Herzog e de Meuron, ha fatto di un rivestimento ispirato alle opere di contenimento in gabbie riempite in pietrame, il simbolo di una riuscita volontà di integrazione. Se da una parte il complesso ha una linearità di dimensioni notevoli, dall'altra l'impatto sul territorio risulta mitigato dallo stesso materiale, utilizzato con diverse densità (pezzamenti più piccoli al primo livello e che quindi lasciano filtrare meno luce) anche a seconda delle esigenze funzionali, e che grazie alle

Angonese-Koberl-Boday, Cantina Manicor, Italia, 2004. Steven Holl, Centro visitatori Loisium, Austria, 2005. Frank O. Gehry, Hotel Marqués de Riscal, Spagna, 2006.

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molteplici tonalità che acquistano a seconda dell'esposizione delle facce, smaterializzano il complesso tra i colori della natura circostante. Sempre l'uso della pietra locale, in questo caso posta a rivestimento con tecnica tradizionale, è tra gli elementi qualificanti di un'altra più modesta realtà: l' Adega Quinta da Touriga dell'architetto Antònio Manuel Rosas Leitao Barbosa e costruita nel 2006 a Douro, Portogallo. La cantina, che si trova in uno dei paesaggi protetti dall'Unesco, ha un produzione piuttosto limitata per cui in una superficie di circa 500 mq, si sviluppano tutte le attività della produzione. L'idea che ha mosso il progettista è stata quella di utilizzare uno schema apparentemente rigido, di volumi rettangolari e portali in moduli prefabbricati in acciaio, semplicemente traslati per adattarsi al terreno. Questa regola compositiva è smorzata dall'uso di un rivestimento in scisto, che richiama in modo diretto i vicini terrazzamenti per il contenimento del terreno. Nella sua chiarezza di intento questa cantina risulta particolarmente vicina al territorio e al clima in cui sorge. Infine, tra gli esempi italiani di cantine che hanno saputo rispondere al meglio alle diverse problematiche che tale progettazione pone, vi è la cantina Manicor vicino a Bolzano, dei progettisti Walter Angonese, Rainer Koberl e Silvia Boday. La necessità di ampliare gli spazi produttivi, quella di non alterare l'equilibrio dell'austera tenuta barocca esistente e la necessità di affinare il vino a basse temperature, si sono risolte in un'opera quasi completamente sviluppata sotto le colline vitate, lasciando emergere unicamente gli spazi per gli accessi. Effettivamente la cantina ipogea è divenuta una tipologia privilegiata proprio perché assorbe queste diverse esigenze, e che per questo è stata ultimamente riscoperta e ampliamente utilizzata, talvolta però con interventi che nonostante tutto non sono riusciti a integrarsi con il territorio a causa di un linguaggio contemporaneo portato agli eccessi, come è riscontrabile nel progetto del gruppo Archea per la cantina Antinori a Bargino. Nel dettaglio l’esempio della cantina Manicor convoglia esigenze di marketing ma anche ricerca di qualità

del sistema di produzione del vino , che si riflette nelle scelte tecnologiche e in quelle più puramente architettoniche. La nuova cantina, che collegata ai vecchi locali, sfrutta l'ambiente sotterraneo naturalmente fresco, al quale affianca nuove tecnologie ovvero pompe di calore scambiatrici che sfruttano il geotermico poste a 80 metri in profondità, mantenendo alla voluta temperatura e umidità lo scannafosso che funziona da corridoio perimetrale. Come l'ha definita poi lo stesso progettista, la cantina vuole essere un' architettura in divenire, e questa aspirazione è affidata all'uso di materiali che hanno la capacità di mutare nel tempo e quindi di acquistare quella patina che riesce ad omogeneizzare le costruzioni, integrandole nell'ambiente. Per questo il calcestruzzo con il quale è realizzato il complesso è ottenuto dalla miscela di sostanze organiche che prendano nel tempo colorazioni grigio-beige adattendosi alla costruzione storica e ai terrazzamenti. Così è stato scelto acciaio arrugginito per porte, serramenti ed elementi di arredo. In parallelo alle tendenze del mercato più recenti, che come prima approfondito, puntano ad una sostanziale decrescita quantitativa per valorizzare la qualità e l'eccellenza di un prodotto (particolarmente anche in Italia), si intravede un cambiamento della scala di intervento. Sono probabilmente le piccole realtà quelle che diventeranno oggetto di maggiore interesse, proprio perché maggiormente capaci di calarsi nel territorio, di mantenere inalterata l'identità di un luogo, del terroir e delle varietà locali. D'altra parte l'esigenza di creare dei veri e propri status symbol legati al marchio, si è spostata negli ultimi anni in costruzioni per il vino, ma dove non avvengono né processi di vinificazione nè di affinamento, dove invece il vino viene raccontato, degustato e venduto. Questi locali sono i wine bar, i wine center hotel de charme, sale degustazioni. Sono esemplificativi gli interventi di Zaha Hadid (sala degustazione Lòpez de Heredia Vina Tondonia, Spagna), di Frank Gehry (Hotel Marquès de Riscal, Spagna) e di Steven Holl (centro visitatori Loisium, Austria).

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processi di vinificazione e guide linea per la progettazione di una cantina Aldilà degli aspetti più formali, l'importanza che una cantina riveste nel rispondere correttamente alle esigenze funzionali, costituisce punto primario per la riuscita di una progettazione, anche considerando il fatto che essa incide profondamente nella qualità del prodotto stesso. Ciascuna fase del ciclo produttivo necessita di condizioni particolari che devono trovare risposta nelle aree progettate per queste, che dovranno avere quindi dimensioni e microclima (temperatura, umidità, ventilazione ecc.) adeguati. Da una corretta progettazione degli spazi dipende anche l'ottimizzazione dei processi stessi e l'efficienza di produzione, che risulta fondamentale per la vita di un'azienda. C'è da sottolineare come, oltre i programmi generalmente comprovati, ogni azienda viti-vinicola costituisca un mondo a parte, e sia necessario quindi entrare nel cuore della stessa per poter capire quali sono gli spazi e le esigenze specifiche: ad esempio la superficie necessaria in fase di affinamento cambia radicalmente a seconda che l'azienda utilizzi barrique, botti in legno, invasi in resina o cemento, o ancora, invasi termocondizionati in acciaio. Ma non solo, perché sempre in relazione a questo, c'è da prestare una diversa attenzione al microclima dell'ambiente che necessita di una particolare cura nel caso si usino recipienti in legno e, in tal caso, sarebbe opportuno pensare a metodi di condizionamento di tipo passivo, che incidono sull'intera progettazione poiché devono necessariamente sfruttare le caratteristiche tipiche del sito: orientamento, esposizione ai venti dominanti, morfologia del terreno.


Altri punti fondamentali da considerare sono le caratteristiche igienico-sanitarie (salubrità dello spazio di lavoro e facilitazione per le operazioni di pulizia) e la flessibilità degli spazi in previsione di sviluppi delle tecnologie di vinificazione o semplicemente di cambiamenti di strategie aziendali. A questo proposito gli spazi più sensibili risultano essere quelli dedicati alla prima lavorazione e all'imbottigliamento, per cui una scelta consigliabile è quella di prevedere grandi luci libere e una facile e flessibile suddivisione. Più nel particolare gli spazi si suddividono in tre unità funzionali distinte: conferimento dell'uva; lavorazione; stoccaggio e conservazione del prodotto finito. Gli spazi per il conferimento dell'uva e le prime lavorazioni di scelta, diraspatura e pigiatura, comprendono aree di sosta e di manovra dei mezzi agricoli di carico e scarico, esterni all'edificio, e aree adatte ad ospitare nastri per la scelta delle uve, tramogge per la diraspatura (la separazione delle sostanze legnose e i tannini dei raspi dal frutto), mezzi per la pigiatura e la riduzione dell'uva in mosto e vinacce. Molto frequente è che lo spazio per la diraspatura e la prima spremitura sia adiacente o localizzato nella medesima area della raccolta delle uve, il che permette una minore introduzione di sporco all'interno dei locali. Il conferimento avviene spesso a ridosso di una parete protetta da tettoie. Questo spazio, che deve essere sufficientemente grande da permettere le manovre necessarie dei mezzi, ha la peculiarità di essere utilizzato in modo intensivo solo nel periodo di vendemmia, per cui è necessario prevederne altri usi per il restante periodo dell'anno, come spazi di sosta per visitatori o per attività espositivoricreative. Se inoltre la produzione del vino è di una certa qualità (ad esempio gode di una denominazione D.O.C. o D.O.C.G.), si devono obbligatoriamente effettuare in questa fase controlli di laboratorio, pesature e registrazioni, per cui è necessario prevederne gli spazi adeguati. Il mosto che ne deriva è un liquido torbido e denso, costituito da acqua per circa l'80% , da zucchero, sostanze pectiche, minerali, vitamine, lieviti, enzimi ecc.

Dalla quantità di zuccheri rilevata è possibile risalire alla gradazione alcolica che il vino avrà a fine fermentazione, mentre l'acidità informa sulle caratteristiche di stabilità e sull'andamento della fermentazione. Le norme legislative premettono di apportare al mosto alcune correzioni, intervenendo sull'acidità, sulla quantità di zucchero, sul colore e sul tannino. Altra sostanza che viene utilizzata è l'anidride solforosa, necessaria come antisettico ed utilizzata sia in fase di fermentazione che di conservazione del vino; pratica che ha origine molto antica, poiché permette di creare vini sani e serbevoli, ma spesso abusata causando nei consumatori malesseri intestinali e cerchi alla testa. Oggi il limite consentito per legge è di 160-210 mg/l per i rossi e 210-260 mg/l per i bianchi a seconda che il contenuto zuccherino sia basso o meno, si tende comunque sempre più ad usarne in fase di svinatura o di imbottigliamento. Il successivo processo di vinificazione consiste nella trasformazione del mosto in vino tramite fermentazione alcolica all'interno di tini. Nella vinificazione in rosso, a differenza di quella in bianco, il mosto rimane a contatto con le bucce e si ha la macerazione, nel corso della quale si ha la dissoluzione delle sostanze polifenoliche (tannini, antociani ecc.) e aromatiche concentrate nella buccia e nei vinaccioli. A seconda del periodo di macerazione si hanno vini più freschi o fruttati (4-6 giorni) o più ricchi (20-30 giorni) destinati a invecchiamento. In questa fase sono necessarie frequenti follature, ovvero rotture del cappello formato dalle parti più solide che salgono per effetto dell'anidride carbonica e innescano il rischio di acetificazione del mosto. Per questo sono spesso previste passerelle all'altezza delle aperture dei tini (necessarie anche per controlli e operazioni di manutenzione), là dove non siano previsti fermentatori dinamici. Questa è una fase molto delicata del ciclo e necessita di un rigido controllo della temperatura del liquido, che deve mantenersi il più possibile costante e non superare i 26°C per la vinificazione in rosso, e i 20°C per la vinificazione in bianco, perché non sia danneggiata la qualità del vino. Per questo si ricorre spesso alla così detta fermentazione controllata che consente il governo delle temperature mediante im-

pianti frigorifero, apparecchi scambiatori di calore o vasche termo-controllate. In questo caso la temperatura del locale potrà essere un compromesso ottimale tra quella di comfort per il lavoratore e quella necessaria al processo produttivo, alla quale è bene non discostarsi mai troppo, magari grazie a sistemi di tipo passivo. Importante in questa fase è la ventilazione ed il ricambio d'aria dell'ambiente, soprattutto a tutela dei lavoratori. La fermentazione del vino è un processo che sprigiona infatti una notevole quantità di anidride carbonica (circa 40 000 litri di CO2 per ogni quintale di mosto), che tende a causa del peso specifico, a localizzarsi ad altezza uomo. Al fine di evitare stress eccessivo al mosto, un’ ottima soluzione è quella di predisporre le operazioni di pigiatura ad una quota più elevata rispetto a quella dell'apertura delle vasche di fermentazione, in modo che il trasferimento all'interno di queste avvenga per gravità e senza l'ausilio di pompe, che provocano un eccesso di agitazione e la lacerazione delle bucce, a discapito della qualità del prodotto. La pavimentazione deve avere caratteristiche tali da permettere una facile pulizia, per questo risultano ottimi i pavimenti in grès o i quelli industriali in resina resistente ad acido acetico, e per evitare eccessive pendenze ma permettere lo scolo del mosto fuoriuscente, sono da prevedere dei canali lineari adiacenti i tini. Una volta avvenuta la fermentazione alcolica e la fermentazione melolattica (o seconda fermentazione, più frequente nei rossi ma che ritroviamo anche nei bianchi e rosati che consiste in una vera e propria disacidificazione naturale del vino, indispensabile perché sia più stabile ed evoluto), si procede alla svinatura, ovvero alla separazione del vino-fiore dalle vinacce (mandate talvolta in distilleria) e si ha il trasferimento del prodotto negli ambienti atti alla conservazione (circa il 50-60% del peso dell'uva trasformata). Inizia così la fase di maturazione vera e propria, che per vini da consumarsi giovani prevede una sola fase, in contenitori di materiale inerte e impermeabile all'ossigeno (di acciaio inox, di vetroresina o di cemento vetrificato). Nei casi di vini più importanti invece la prima fase di 21


elevazione avviene in contenitori di legno (botti o barriques), dove avviene il processo di ossidazione o meglio di ossigenazione, attraverso la porosità del materiale e con procedimenti di travaso e trattamenti. A questa succede una seconda fase, quella di affinamento in bottiglia, nella quale avviene invece molto lentamente il processo inverso di riduzione, fino ad ottenerne la completa evoluzione. E' intuibile come il locale che ospita la fase di invecchiamento sia il più sensibile a controlli delle condizioni termo-igrometriche, in particolar modo se il materiale utilizzato è il legno delle botti o delle barriques e se i tappi delle bottiglie sono in sughero, poiché per la porosità dei materiali si ha un continuo scambio tra il vino contenuto e l'ambiente esterno. Importante in questa fase più che nelle altre è la percentuale di umidità media ambiente che deve necessariamente non andare al di sotto del 70%, così come importante è la limitazione della luce nel locale, che deve mantenere un valore di illuminamento di media non superiore a 250-300 lux (ed è vivamente sconsigliato l'uso di lampade al neon). La temperatura non dovrebbe superare i 20°C ed è necessaria una scarsa ma costante ventilazione (la velocità dell'aria non deve superare 1 m/sec) realizzando se possibile aperture basse nelle pareti esposte ad est, ed alte in quelle esposte a nord. La pavimentazione in questi locali deve essere resistente al lavaggio delle botti, ma può costituirsi di ghiaia o sabbia, con il vantaggio di poter in questo modo regolare l'umidità semplicemente bagnando il terreno, e ciò rappresenta un ottimo sistema passivo utilizzato da alcuni progettisti applicato anche alle pareti, mediante intercapedini riempite da strati di sabbia, o con l'uso di terra cruda nei tamponamenti. C'è infatti da sottolineare che le condizioni necessarie nei locali di maturazione da mantenersi stabili nell'arco delle diverse stagioni, comportano dei costi energetici elevatissimi (si stima circa 0,05-0,06 kWh/giorno). Per questo è impensabile ricorrere a sistemi di climatizzazione unicamente meccanizzati. Ed è qui che la progettazione deve risolvere mediante sistemi passivi e risorse energetiche rinnovabili tale richiesta, senza far 22

incidere eccessivamente i costi sul bilancio aziendale, né tanto meno su quello ambientale. Da prendere ad esempio, anche se talvolta paiono dimenticati, sono i sistemi costruttivi delle cantine più tradizionali, spesso interrate o semi-interrate, con pareti in pietra di grandi spessori, che garantiscono una elevata inerzia termica e che affiancate ad una corretta ventilazione, costituiscono gli ambienti naturalmente più idonei ad un corretto invecchiamento del vino. L'ultimo passaggio a cui il vino è sottoposto è l'imbottigliamento, che deve avvenire in condizioni di completa igiene e salubrità dei locali (rivestiti fino a i 2 metri da tinte lavabili e con sistemi di raccolta e di drenaggio a pavimento), così come deve essere garantita la stabilizzazione fisico-chimica e microbiologica, mediante trattamento termico. Infine, come già ampliamente divulgato, si fanno necessari ad oggi spazi dedicati a visitatori, comprensivi di zone degustazioni, aree espositive, zone di vendita diretta, ma che possono arrivare a diventare dei veri centri culturali: luogo di conferenze, concerti o letture; il tutto per funzionare da attrattori turistico-culturali. Questi spazi sono chiaramente molto più svincolati da necessità funzionali, possono cercare un contatto più o meno diretto con le fasi di vinificazione, andando ad allacciarsi a percorsi di visita all'interno dell'azienda, o restarne separati e puntare, ad esempio, sulla spettacolarità dell'ambiente in cui vanno ad inserirsi. Con uno sguardo più ampio è possibile affermare che la ricerca e l' innovazione da una parte e il mantenimento delle tradizioni dall'altro, sono i due punti nodali che trainano la progettazione di una cantina. Essi non costituiscono un contrasto bensì devono essere integrati. Il reimpiego di fabbricati storici o tradizionali è pratica molto frequente , in particolare in aree in cui si ha una radicata storia di produzione viti-vinicola. Di fronte a realtà già avviate, con produzioni più o meno di qualità, le alternative a cui un progettista può accostarsi sono quelle o di adeguare, se possibile, le vecchie strutture alle nuove norme ed esigenze; di integrare i vecchi fabbricati con nuove costruzioni; di affiancare alle

preesistenze edifici di nuova costruzione, andando a modificare lo schema funzionale e alcune destinazioni d'uso (che rappresenta il percorso sviluppato nella tesi, come vedremo successivamente). In generale ci sono degli elementi di forte vantaggio nel reimpiego dei fabbricati esistenti. Basti pensare allo sfruttamento delle caratteristiche igro-termiche delle vecchie costruzioni, o al superamento di vincoli che si devono affrontare andando ad agire in aree che per lo più costituiscono veri e propri patrimoni paesaggistici. E, ancora una volta, è la stessa immagine dell'azienda che ne acquista un valore aggiunto. A fronte di questi punti in positivo, ci sono però dall'altra parte, delle difficoltà notevoli di adattamento degli spazi ai nuovi sistemi produttivi , di adeguamento alle norme sismiche e, non per ultimo, a quelle igienico-sanitarie e di sicurezza dei luoghi di lavoro. E' chiaro che la difficoltà di agire in costruzioni storiche, più o meno pregiate, ma comunque sempre degne di essere manipolate con una certa sensibilità, amplifica notevolmente la questione. Per questo una scelta molto frequente (e condivisa in questo caso), è quella di affidare alle strutture storiche la funzione di affinamento e invecchiamento, e di portare le nascenti funzioni legate al turismo all'interno di nuovi spazi, che nell'ottica di un intervento sostenibile, devono cercare di dialogare con l'esistente, prendendolo a riferimento senza cadere nella banalità e nell'errore di non mostrare le proprie origini contemporanee. Da questo punto di vista la progettazione di una cantina in un contesto come è poi quello della Tenuta di Valgiano, costituisce un modello di ricerca del fare "architettura sostenibile".



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tradizione del vino in lucchesia

Il territorio della provincia di Lucca gode di pendii molto dolci e di un clima assai favorevole alla coltura della vite e ai processi di vinificazione, poiché da una parte protetto dalle montagne mentre dall'altra risente l'influsso del mare. Ed infatti fonti storiche dimostrano come qui la coltura della vite fosse una pratica in uso dai tempi remoti degli Etruschi, e praticata poi anche dai Liguri e sicuramente dai Romani, che ben ne conoscevano l'arte e ne apprezzavano il ricavato. Un ruolo importante per la diffusione e il mantenimento di tale pratica, in Europa così come nello specifico, nelle colline lucchesi, fu svolto dagli ordini religiosi, in particolare dai Benedettini, ma anche dalla diocesi di Lucca stessa (si ricordi l'operato di Anselmo Bedagio, il vescovo "agricoltore", passato poi alla storia come Papa Alessandro II). E' soprattutto il territorio di Montecarlo ad essere ricordato storicamente per la qualità dei suoi vini prodotti, ed il suo nome latino attribuitogli da diversi studiosi , Vivinaria o Vivinaia, è da far risalire alla romana via Vinaria, che attraversa il suo territorio congiungendosi alla via Romea o Francigena, nei pressi di Altopascio. L'età dei Comuni vide un' industria del vino già molto fiorente nelle contrade di Lucca, tanto da far avviare verso la metà del 1300 una florida attività commerciale verso Pisa e Firenze, attraverso il lago di Bientina. Non mancano poi nella storia episodi che vanno a dimostrare come la qualità dei vini prodotti allora fosse apprezzata anche dagli alti livelli del pontificato: si ricorda come nel 1408 Papa Gregorio XII volle farsi inviare a Roma il vino di Montecarlo. Ma sono soprattutto gli studi più recenti dello storico Federigo Melis (1) che hanno mostrato come tra il XV e il XVI secolo il prezzo che riusciva a raggiungere un vino bianco di Montecarlo sul


mercato fiorentino, fosse superiore alle contrattazioni di qualsiasi altro vino. Parlando oggi in particolare di vini toscani, il prodotto nelle colline lucchesi non è forse preso a simbolo o icona come può esserlo un Chianti o un Montalcino , ma gode sicuramente di una ottima reputazione anche internazionale dovuta alla sua qualità. Sono diverse infatti le piccole realtà che hanno saputo sfruttare le caratteristiche climatiche, morfologiche e spesso anche le peculiarità dei vitigni autoctoni, per arrivare ad ottenere prodotti di eccellenza, puntando anche sull'attenzione alle pratiche tradizionali. Ed è probabilmente la mancanza di grossi produttori a carattere industriale (la maggior parte delle aziende sono di piccolo-medie dimensioni e non arrivano a produrre più di 60 000/70 000 bottiglie l'anno) che se da una parte impedisce di imporsi con forza sul mercato, dall'altro rappresenta un punto di estrema forza delle stesse: i produttori di queste aziende, essendo nati nel territorio e portatori delle tradizioni, riescono a dedicarsi e ad occuparsi con estrema sensibilità alla loro pratica, riuscendo a trasmettere la profondità del legame che hanno acquisito con il territorio. E' a partire dal 1968 che i vini rossi delle Colline Lucchesi si sono guadagnate la denominazione D.O.C. , mentre per i bianchi tale etichetta arrivò nel 1985. Ma sono numerosi i casi in cui i vitigni coltivati non rientrano nei disciplinari che per legge consentono di appartenere alle categorie DOC e DOCG, per cui godono dell'appellativo IGT (Indicazione Geografica Tipica). Si tratta comunque di vini che rappresentano importanti risultati enologici e che sottolineano anzi una delle caratteristiche fondanti della produzione lucchese: il legame con il terroir . Parte importante dei vitigni coltivati ap-

partengono oggi alle tipologie più internazionali: Merlot, Syrah, Cabernet , Sauvignon, Alicante ecc. che tuttavia storicamente hanno prodotto in questi versanti degli ottimi vini, dimostrando la vocazione del territorio alla coltivazione degli stessi, oggi perfettamente integrati con vitigni autoctoni, ma non senza polemiche da parte dei più radicati alla tradizione. Tra i più presenti spicca sicuramente il Merlot, ma diverse aziende coltivano e producono vini eccellenti anche con il nobile Syrah, per il quale i territori lucchesi, assieme a quelli di Crotona, risultano notevolmente vocati . Non è un caso che, sulla scia del turismo eno-gastronomico nascente, e con la volontà di far conoscere e scoprire il territorio, sia stata istituito nel 1996 l'itinerario turistico "Strada del vino e dell'olio-Colline Lucchesi, Montecarlo e Versilia", che si compone di percorsi atti a far scoprire i sentieri naturalistici ricchi di tradizioni contadine, le numerose ville cinquecentesche e ottocentesche, il paesaggio collinare caratterizzato da oliveti e vigneti centenari e le numerose pievi presenti. Tale percorso coinvolge più di cinquanta tra aziende agricole, fattorie e agriturismi, un trentina delle quali nei soli colli lucchesi, e si occupa anche dell'organizzazione di eventi atti alla sua promozione (feste del vino e dell'olio, giornate con cantine aperte per la degustazione ecc.) e che tocca in più aziende anche nel territorio stesso di Valgiano.

(1) Federigo Melis (1914-1973) storico di fama internazionale, professore universitario e fondatore dell’ “Istituto Davini” di Prato.

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valgiano

(LU) lucca

capannori valgiano

Valgiano è una frazione posta a nord nel Comune di Capannori, situata alle pendici dei monti delle Pizzorne, ad una altitudine di circa 250 m. slm, e che gode di un'ottima posizione panoramica sulla piana lucchese ed è raggiungibile da tre strade. Si caratterizza per essere zona ricca di vigneti ed oliveti, zone boschive e sede di più dimore storiche. Per l'appunto sono presenti diversi agriturismi oltre che ad aziende agricole, mentre gli abitanti che vi risiedono non superano le 200 unità. Il documento più antico che nomina il paese di Valgiano e già lo celebra per la qualità dei suoi vini, è una pergamena risalente all' 808 d.C., mentre altre testimonianze del X secolo dimostrano che allora questo fosse staccato dalla frazione di S. Quirico in Petrojo (più a valle) . Il paese è suddiviso in tre diversi nuclei. Il maggiore, raccolto intorno alla chiesa, comprendente villa Tucci, villa Bianchi ed alcuni gruppi di case denominate Castello, Stecchino, Poggetto, Le Tese. Documenti del 1078 si riferiscono già alla chiesa del paese, dedicata a San Frediano, che venne costruita in epoca longobarda, restaurata nell'800 e ricostruita nel 1900. Restano dell'antica costruzione poche testimonianze, comprendenti una testa di bue lapidea e una mensola, murate sul fianco della nuova chiesa che ospita una epigrafe in suo ricordo. Oggi l'interno della costruzione ha un gusto romanico manierato, mentre la facciata presenta uno stile più spiccatamente gotico. Questo nucleo ospita delle importanti ville signorili: le già citate Villa Tucci e Villa Bianchi. La prima dimora, costruita su un impianto molto antico, oggi si presenta con tratti architettonici settecenteschi: portoni e finestre sono adorni di cornici in pietra serena e l'ingresso è sormontato dallo stemma di famiglia. All'interno è de-


Scorcio del paese da via per Valgiano Villa Tucci e annessi colonici

gno di nota il salone principale, collegato col giardino a terrazze e affrescato da dipinti del pittore Tofanelli, che decorò salotti e camere del primo e secondo piano. Villa Bianchi, il cui nome deriva dall'arcivescovo Martino che la abitò tra il 1770 e il 1788, è un edificio settecentesco con finestre incorniciate da pietra di Matraia, caratterizzato in facciata una scala bipartita con l'accesso coperto per le sottostanti cantine ed oggi adibita a fattoria. Quest'area, in tempi più remoti, fu passaggio obbligato dalla strada di Segromigno alle Pizzorne. Vi era stata pertanto costruita una posizione di arresto, provvista di muraglie e feritoie, i cui resti sono oggi inglobati nei sotterrai di villa Tucci . Il secondo nucleo, raccolto attorno al ponte sul torrente Sana che scende dalle Pizzorne, è formato da un gruppo di case, una vecchia cartiera, una segheria e due vecchi mulini. Infine il nucleo di San Quirico, che scende fino a Segromigno, comprende poche case, la chiesetta di San Quirico in Petrojo e la Tenuta di Valgiano, di cui fa parte la villa storica (oggi Petrini), e le case coloniche annesse. In particolare la piccola pieve è degna di nota in quanto tra le più antiche della lucchesia, infatti è nominata in documenti databili attorno al 847 d.C., e lo stile architettonico preromanico ricalca appieno il periodo in cui è sorta. Possiede un unico altare e ingresso, con una lunetta un tempo affrescata. Il campanile raggiungibile dall' interno della chiesa e impostato su un arco, è di epoca più recente e caratterizzato da tre ordini di mensole sulle quali un tempo poggiavano i ballatoi.

hanno segnato gli insediamenti rurali della lucchesia. Gli interventi molto limitati e l'attenzione alla salvaguardia degli aspetti architettonici legati all'origine delle costruzioni conferiscono al borgo la tipicità e il senso di "unicum" che l'architettura così definita "spontanea" meglio riesce a rendere, essendo anche naturalmente legata al territorio in primis perchè ne utilizza materie prime quali pietrame, legno e terra. Il carattere rurale di questo, ma anche di tutti gli altri piccoli insediamenti che ritroviamo in questa parte di territorio, come il vicino Sant'Andrea in Caprile e San Pietro a Marcigliano, costituiscono un confronto obbligato per ogni intervento che si intenda o sia necessario fare . Non è un caso che vi siano presenti, per legge, vincoli alquanto restrittivi da parte delle istituzioni di competenza. Infatti il territorio di Valgiano secondo le carte comunali, rientra nella porzione A1, sottoposta a tutela di tipo paesaggistico e storico, oltre che caratterizzata da pericolosità idrogeologica, che amplifica la complessità di ogni eventuale intervento.

Aldilà delle emergenze storiche presenti, Valgiano si caratterizza per essere il tipico borgo rurale nato come aggregazioni di complessi edilizi a più piani, dove si alternavano funzioni abitative a funzioni agricole vere e proprie, come capanne, fienili e stalle, ospitate da fabbricati anche separati tra di loro ma sempre connessi. E' chiaro come molti di questi fabbricati rurali siano sorti in qualità di annessi agricoli al servizio delle stesse ville padronali, e d'altra parte il carattere rurale è leggibile fino ad oggi nei sistemi costruttivi degli stessi e nella presenza frequente di mandolate tipiche di fienili, che 29


Osteria da Giomo Pieve di San Quirico in Petrojo

Chiesa di San Frediano Oratorio (dismesso)

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tenuta di valgiano

analisi storica dell’edificato Il carattere dei caseggiati rurali tipici delle colline lucchesi si riflette in modo esemplare nel complesso della Tenuta di Valgiano: l'immagine della villa padronale con i suoi annessi colonici, inseriti armoniosamente nella morfologia del terreno, tra i filari di viti ed oliveti, ne hanno fatto quasi un'icona della tipologia delle aziende agricole su questo territorio. La villa padronale è un edificio del XIV secolo, di forma rettangolare e a due piani con soffitta e cantina, separati esternamente da un doppio marcapiano di pietra. Il complesso ha mantenuto il suo impianto originario, e sfrutta diversi livelli di quota, determinati dall'andamento del terreno. Come messo in evidenza dalla studiosa Isa Belli Barsali (1) la planimetria della villa lucchese in generale, presenta, rispetto al palazzo cittadino, un'inversione di tendenza: da un organizzazione basata su un cortile centrale, dove si affacciano i prospetti con le aperture e che costituisce il fulcro delle attività all'aperto, si passa ad una organizzazione centrifuga, dove lo spazio aperto è solo quello circostante e dove anzi l'edificio vuole sottolineare la sua massa in contrapposizione al paesaggio in cui va ad inserirsi. In questo caso la villa è concepita come il centro di irraggiamento e di espansione e il confronto con l'esterno è risolto con accorgimenti variabili: ritroviamo molti esempi di impianti in cui il corpo principale si addiziona ad altri minori, o come nel caso di villa Petrini, si ha un' accentuazione di una delle dimensioni che porta il fabbricato ad allargarsi notevolmente. In questo tipo di costruzione ritroviamo che la facciata tergale riveste la medesima importanza di quella di ingresso. Nel caso specifico ritroviamo lo stesso portale a bugnato che risente


Planimetria del 1682, A.S.L. Archivio Guinigi 149, Lucca

dell' ordine rustico introdotto a Lucca da Bartolomeo Ammannati, anche se uno di questi era in precedenza sormontato da un balcone, mentre le aperture in facciata sono simmetriche e, come per altre ville lucchesi, maggiormente distanti in corrispondenza dell'ingresso. Questa accortezza, si riscontra spesso nelle facciate prive di portico, o talvolta all'interno dello stesso per far sì che le finestre centrali si aprano a ridosso del portale di ingresso al salone, per permettere in tal modo una migliore illuminazione. Peculiarità di Villa Petrini è che anche i fianchi prevedono ampie aperture finestrate e siano trasformati in veri e propri prospetti, se pur secondari, valorizzati da altri portali a bugnato. Per identità di pianta è possibile accostare questa villa alla vicina villa Guidiccioni di Carignano, e per "le cornici divisorie dei due piani, il taglio delle finestre e del portale e la presenza del balcone al primo piano" alla Villa Reale di Castello (Firenze). (2) Il fabbricato ed il parco sono inglobati da un muro di cinta a scarpa con cornice a toro, di pianta quadrangolare, che assume quasi l'aspetto di una fortificazione, provvisto di numerose feritoie e che ingloba anche i resti di quattro torrioni al centro di ogni lato. L'ingresso a valle appare profondo e provvisto di feritoie mentre quello a monte, coperto da volta a botte, era probabilmente sormontato da una torretta. Questi si congiungono con un asse centrale che attraversa l'intera pertinenza. Nel '300 e nel '400 era uso frequente proteggere le ville dalla strada e dalla gente, ma in quelle più isolate talvolta questi muri divenivano, come in questo caso, delle vere fortificazioni. Qui è chiara la precedenza cronologica della cinta rispetto alla costruzione tardo rinascimentale del palazzo, come si nota dalle costruzioni cinquecentesche che hanno sfruttato come basamento i torroncini mozzati. Una cappella, rimaneggiata in stile tardogotico nell'800 (che costituisce un raro esempio in lucchesia) e leggermente in aggetto rispetto al limite del muro di cinta, si affaccia nel versante ovest, sulla Via per Valgiano . Un documento iconografico di poco posteriore al 1650 circa (3), ha consentito di individuare la villa come una proprietà Buonvisi, anche se alla fine del secolo XVI, la

proprietà risulta già essere passata alla famiglia Compagni, come è possibile rinvenire negli atti del catasto storico. Tale cartiglio era in realtà una vera e propria mappa delle ville che venivano servite dalla presa d'acqua presente sul Rio Sana, che pare fosse motivo di grande discordia tra i diversi proprietari. Nonostante la villa di Valgiano fosse posta più a monte di tutte, godè sempre di un ricco quantitativo di acqua per le grotte e le proprie fontane, che attingeva in parte dal Rio ed in parte da pozzi. In effetti una delle caratteristiche che risalta tutt'oggi è l'abbondanza di acqua presente in stagni, vasche, canali e fontane e quel sottofondo continuo dovuto all' acqua che scende nel vicino Rio. C'è da evidenziare come allora l'acqua fosse una fonte preziosa e non è un caso che molte delle più nobili ville del posto siano sorte lungo il percorso del Sana. Si conta che la famiglia Buonvisi, tra le più potenti del periodo in lucchesia, avesse il possesso di circa una quindicina di ville nel territorio, anche se non è chiaro in realtà, se questa (che per riconoscibilità fu nominata villa Buonvisi "al giardino"), fosse stata da loro commissionata. Il passaggio di proprietà dai Buonvisi ai Compagni, avvenuto nel 1798 come dimostrato dall'incisione sul muro esterno della villa, comportò però un mutilazione di parecchi terreni, tra cui il sottostante edificio passato ai Bernardini. Nel 1860 fu la vedova di Carlo de' Nobili, ultima discendente dei Compagni, a venderla alla famiglia Giusti, che a loro volta la rivendette ai Francesconi. Di questo passaggio di proprietà abbiamo notizie dettagliate nell' "Atto Quilici "(4) del 1893, dove vediamo che tale passaggio era comprensivo non solo della villa

(1) BELLI BARSALI,Isa. La villa a Lucca dal XV al XIX secolo. Roma, De Luca Editore. 1964, pag 37 (2) Ibid. pag 72 (3) Id., Ville e committenti dello Stato di Lucca. Lucca, Maria Pacini Fazzi Ed.2000, pag 189 (4) Catasto Vecchio, A.S.C.L, Lucca

35


segromigno in monte


valgiano

tenuta di valgiano

0

50 m.


Pianta del piano terreno della villa

Immagine storica della facciata di ingresso Interno del salone principale

38

e della chiusa, ma dei fabbricati colonici quali la tinaia, la scuderia, l'oratorio, il frantoio, ma anche di vasi vinari, botti, tini, barili, della terza parte della legna e della tenuta di terre coltivate ed in parte boschive (per la cifra di L. 104 000). Passata dopo due anni ai Sani, successiva proprietari fu la famiglia francese Vidau, affiliata a Napoleone, che pare abbia introdotto i vitigni francesi nella zona, come il Merlot. Attualmente la Tenuta è dal 1994 di proprietà della famiglia Petrini, che ha provveduto a riadattare sia il palazzo che i molti vigneti. Il paesaggio circostante le ville padronali, che costituivano il centro di più ampi complessi agricoli, comprendenti sia edifici colonici di vario tipo ed importanza , ma soprattutto i terreni circostanti che venivano utilizzati a diverse colture, subiva a causa di questi insediamenti naturali mutazioni (basti pensare ai disboscamenti e al tracciamento di strade). Dalle carte catastali è possibile rinvenire le trasformazioni che si sono susseguite dall'800 ad oggi dei territori sfruttati dalla Tenuta di Valgiano, e dalla odierna fattoria Bernardini, poco più a valle. Il loro uso era già allora prettamente orientato verso la produzione di vino e olio, ma con vasti appezzamenti dedicati anche al seminativo che chiaramente serviva ville e pertinenze. Ciò dimostra chiaramente la vocazione del territorio che ritroviamo tutt'oggi, anche se è da notare come la cambiata concezione del rapportarsi alla villa e alle sue pertinenze, vada di pari passo ai nuovi modi di produzione agricola e nuove realtà economiche. Si nota un'importante nuova istituzione di oliveti e nuove sistemazioni di aree a vigneto, prevalentemente situate lungo la strada di collegamento tra Segromigno e Valgiano. In questo contesto i vigneti attorno alla Tenuta sono una presenza che delinea un paesaggio fondato su nuovi segni rispetto ai precedenti sistemi di coltivazione su terrazzamenti (chiaramente proibitivi per lavorazioni meccanizzate). Per quanto invece riguarda il tessuto edificato, risalta come tendenzialmente le nuove costruzioni, non più di carattere agricolo ma quasi esclusivamente residenziale, siano avvenute in contesti isolati lungo le vie di comunicazione, trasformando il territorio a loro circostan-


te in piccole chiuse a carattere familiare. I nuclei storici, rimasti pressoché invariati da un punto di vista formale, hanno visto mutare le destinazioni d'uso degli annessi agricoli, in abitazione, riuscendo tuttavia a mantenerne il più delle volte il carattere. Questo andamento più generale è confermato nel particolare dalle trasformazioni che hanno interessato gli annessi colonici della Tenuta. Da una lettura della mappa catastale risalente al 1835 (1), si nota come siano limitate fino ad oggi le superfetazioni e le aggiunte di volumi incongrui agli esistenti, anche se da un sopralluogo è possibile percepire chiaramente le modifiche resesi necessarie alle nuove destinazioni d'uso residenziale e imprenditoriale, mentre gli interventi di nuova costruzione necessari all’azienda hanno tenuto conto del tessuto preesistente e si integrano con una certa sensibilità nel contesto paesaggistico. E' interessante far risaltare il fatto che locali agricoli allora sfruttati per determinati usi, siano ad oggi utilizzati dall'azienda per i medesimi: ne è un esempio il locale della tinaia.

%

vigneto seminativo oliveto

1835

(1) Capannori, Sez B, Catasto Vecchio, A.S.C.L, Lucca

Estratto mappa Catasto Nuovo, 1835, ASL, Lucca.

%

vigneto oliveto

2012

39


Tenuta di Valgiano

vincoli

21 ha

paesaggistico GU 190|85 storico idrogeologico LR 39|00 e L.3267|23

I ventuno ettari di vigneto della tenuta sono dislocati nei territori tra Valgiano e Camigliano. Al nucleo principale, dove si trovano i vitigni che danno nome ai prodotti dell’azienda (Palistorti Rosso, Palistorti Bianco, Scasso dei Cesari e Tenuta di Valgiano), si aggiungono ulteriori terreni utilizzati dall’azienda e siti tra Segromigno e Camigliano. altitudine

120

250

500

Situata su di un versante di colline esposte a Sud, praticamente una conca, posta ad un altitudine tra i 230 e i 270 m. s.l.m. A monte, i boschi si estendono fino a 900 m. s.l.m., sul macigno di arenaria delle Pizzorne.

40

Il sito è caratterizzato da restrizioni di carattere naturalistico-storico, tese a preservare il carattere del paesaggio e dei manufatti storici di cui la zona si vanta, oltre a garantirne il rispetto e la sicurezza del luogo a fronte di eventuali interventi.


edificato

I nuclei abitati adiacenti di maggiore rilievo (Segromigno in Monte e Camigliano) si trovano a valle della tenuta, mentre proseguendo la via per Valgiano si trovano nuclei minori (Valgiano stesso, San Pietro a Marcigliano e Sant’Andrea in Caprile) dal carattere rurale tipico delle colline lucchesi.

uso del suolo

%

incolto boschivo vigneto oliveto

E’ evidente la vocazione del territorio alla coltivazione di vigneti ed oliveti, come si dimostra anche dal documento storico del Catasto Nuovo del 1835. Vino ed olio sono appunto i prodotti di punta dell’azienda, che negli ultimi anni può vantarsi per essere intervenuta nel territorio con un progetto di recupero e grande valorizzazione.

41


m.slm

Villa Petrini

giardino di villa Petrini

260

250

sezione 1 edificio colonico 270

260

sezione 2

giardino di villa Petrini

cappella privata


case coloniche

sezione 2

sezione 1

0

Villa Petrini

giardino di villa Petrini

5 m.


Vista della Tenuta da San Pietro a Marcigliano Ingresso della Tenuta a valle Ingresso della Tenuta a monte

Schizzi di studio

44

Scorcio del muraglione perimetrale lungo la via per Valgiano


45


analisi dello stato di conservazione Il rilievo architettonico e l'analisi dello stato attuale, più specificatamente riportato nelle schede a seguire, ha evidenziato come l'impianto non abbia subito sostanziali modifiche, ad eccezione di interventi resesi necessari all'azienda per adattare e creare nuovi spazi. In particolare l'unico edificio di nuovo impianto, destinato a rimessa per macchine agricole, è sito nel declivio ad est del complesso, ad una quota inferiore di circa 15 metri dalla villa, isolato e a ridosso dei terreni agricoli; la scelta della posizione fa sì che questo non disturbi l'armonia del complesso storico. Altro edificio di nuove fattezze, ma sorto su basamento di un più vecchio edificio (che però non compare nella carta storica della tenuta, ed è quindi successivo almeno al 1835), è posto nelle vicinanze del muro della tenuta e, se pur staccato dagli altri edifici, la posizione determina un maggiore confronto con questa. Entrambi i manufatti mostrano nelle scelte tipologiche e nelle finiture una certa sensibilità e rispetto per l'architettura del posto e in particolare ricalcano le fattezze dei capannoni agricoli, caratterizzati da copertura a capanna con mezzane in cotto e travicelli a vista, capriate lignee e pilastri di sostegno in muratura. Altra recente ristrutturazione è stata fatta sul più modesto locale utilizzato per le operazioni di confezionamento. In questo caso i vincoli restrittivi dettati dal fatto che si tratti di un edifico storico (come la necessità di preservare le mandolate) e le necessità funzionali, hanno portato ad un compromesso a mio avviso non troppo riuscito, non tanto dal punto di vista architettonico quanto da quello del servizio. Il locale manca infatti


delle caratteristiche di inerzia termica necessarie determinando il frequente uso di sistemi di condizionamento. Nell'analisi fatta si è ritenuto opportuno creare una suddivisione tra edifici principali e secondari, con lo scopo di distinguere quei manufatti che per destinazione d'uso o per rilevanza architettonica, rivestono una maggiore importanza. In particolare tra gli edifici principali sono stati inseriti la villa e gli annessi colonici inglobati o a ridosso delle chiusa, più la residenza colonica ad est, che riveste per dimensione e storia una certa importanza nel contesto. Ad esclusione della villa (già discussa) e dell'oratorio in stile neogotico, assimilabile a quest'ultima per importanza storico-architettonica, i restanti fabbricati, avendo le stesse origini (cronologica e di destinazione d'uso misto residenziale ed agricola), presentano caratteristiche comuni. Si tratta di aggregazioni di fabbricati rurali, in muratura di pietrame misto a laterizio, talvolta intonacati e tinteggiati, di massimo due piani fuori terra, copertura a coppi e tegole e aperture rettangolari di modeste dimensioni. Il prospetto est (sezione 1 di pag 43) segue l'andamento morfologico che ne determina salti di altezza di gronda e sfalsamento dei solai, con conseguente disallineamento delle aperture. Gli edifici che lo compongono vanno così a distinguersi in tre diversi blocchi adiacenti ma indipendenti da un punto di vista formale. Caratteristica comune è l'alternanza di locali utilizzati dall'azienda e di locali abitati da privati al piano terreno, mentre il primo piano è destinato esclusivamente all'uso residenziale. Gli edifici classificati come secondari hanno un uso più prettamente agricolo. Si tratta di annessi storici (più rilevanti anche per dimensione) o di nuova costruzione, utilizzati da privati o dall'azienda come rimessa per legna o attrezzature agricole. Nonostante rappresentino una frammentazione e siano talvolta singolarmente poco rilevanti, grazie all'uso di materiali e di sistemi costruttivi tradizionali (laterizio, copertura coppi e tegole), vanno ad integrarsi nel contesto ed anzi ne caratterizzano in modo pittorico lo sfruttamento agricolo che ne viene fatto. Ad un'occhiata superficiale le molteplici

proprietà e le diversificate funzioni possono far risaltare particolari disomogenei e talvolta personalizzazioni, ma come avviene nei contesti rurali e nei borghi storici, sono proprio queste peculiarità che vanno ad impreziosire un contesto che risulta, ad uno sguardo più ampio, molto organico. Anche quelle che potrebbero apparire come negligenze (pur sempre veniali), come la tinteggiatura evidentemente non tropo recente, o ancora, fabbricati colonici in disuso, riescono a dare invece un valore aggiunto al complesso, sia perché da una parte sono il risultato di quella già citata "patina" del tempo, dall'altra alimentano l'idea di un complesso antico ma sempre in divenire.

47


schede tecniche descrittive

2P

8S

1P

5P

6P

14 S

7P

10 S

12S 1 3S 11S 15S

4P 3P 9S


scheda tecnica descrittiva

1P

principale

Tipologia AccessibilitĂ Area di pertinenza

Villa storica strada privata, strada vicinale giardino villa cinquecentesca 2 + piano seminterrato + mansarda

Tipologia Numero di piani Destinazione d’uso uso prevalente usi presenti uso piano terra

residenziale residenziale + produttivo+ agriturismo residenziale

Caratteristiche architettoniche e strutturali finitura facciata :

materiale intonaco

ingressi recinzioni

|

tipo | liscio

colore ocra

| muratura + inferriata materiale intonaco

basamento

|

tipo | liscio

colore crema

padiglione

Tipo di Copertura Elementi Architettonici decorativi tipo

cornicione marcapiano, portali bugnato d’ingresso,cornici aperture pietra arenaria buono

materiale stato di conservazione Degrado architettonico intonaco

mancante

deteriorato

incongruente

Degrado fisico strutturale finiture

basso basso

medio medio

alto alto

Rilevanza ambientale

basso

medio

alto

49


scheda tecnica descrittiva

2P

principale

Tipologia AccessibilitĂ Area di pertinenza

edificio di culto strada comunale ---------cappella stile neogotico 1 luogo di culto

Tipologia Numero di piani Destinazione d’uso uso prevalente usi presenti uso piano terra Caratteristiche architettoniche e strutturali finitura facciata :

materiale intonaco

|

tipo | liscio

ingressi recinzioni basamento

colore crema ----

materiale intonaco

|

tipo | liscio

colore crema

falda Tipo di Copertura Elementi Architettonici decorativi protiro con arco acuto e colonne stile crochet-variazione | stemma fam.Compagni tipo materiale stato di conservazione Degrado architettonico intonaco

50

arenaria medio mancante

deteriorato

lapideo buono incongruente

Degrado fisico strutturale finiture

basso basso

medio medio

alto alto

Rilevanza ambientale

basso

medio

alto


scheda tecnica descrittiva

3P

principale

Tipologia AccessibilitĂ Area di pertinenza

aggregazione di case coloniche strada vicinale --------------colombaia 2

Tipologia Numero di piani Destinazione d’uso uso prevalente usi presenti uso piano terra

residenziale residenziale + deposito residenziale + deposito

Caratteristiche architettoniche e strutturali finitura facciata :

materiale pietra

|

tipo | locale

ingressi recinzioni

colore ---------------

materiale intonaco

basamento

|

tipo | arricciato

colore grigio falda

Tipo di Copertura Elementi Architettonici decorativi tipo

cornicione intonaco buono

materiale stato di conservazione Degrado architettonico intonaco

mancante

deteriorato

incongruente

Degrado fisico strutturale finiture

basso

medio

alto

basso

medio

alto

Rilevanza ambientale

basso

medio

alto

51


scheda tecnica descrittiva

4P

principale

aggregazione di case coloniche strada vicinale -------------

Tipologia AccessibilitĂ Area di pertinenza

casa colonica 2

Tipologia Numero di piani Destinazione d’uso uso prevalente usi presenti uso piano terra Caratteristiche architettoniche e strutturali finitura facciata :

residenziale residenziale + deposito residenziale + deposito materiale pietra

|

tipo | locale

ingressi recinzioni

------

basamento

------

Tipo di Copertura Elementi Architettonici decorativi tipo

falda mandolata - a lisca di pesce

materiale stato di conservazione Degrado architettonico intonaco

52

colore ------

laterizio buono mancante

deteriorato

incongruente

Degrado fisico strutturale finiture

basso basso

medio medio

alto alto

Rilevanza ambientale

basso

medio

alto


scheda tecnica descrittiva

5P

principale

Tipologia AccessibilitĂ Area di pertinenza

aggregazione di case coloniche strada vicinale -----------

Tipologia Numero di piani Destinazione d’uso uso prevalente usi presenti uso piano terra

casa colonica 2 residenziale residenziale + produttivo produttivo

Caratteristiche architettoniche e strutturali finitura facciata :

materiale intonaco

|

tipo | liscio

colore rosa

ingressi recinzioni

-----

basamento

-----

Tipo di Copertura Elementi Architettonici decorativi tipo

falda sedute

materiale stato di conservazione

pietra arenaria buono

Degrado architettonico intonaco aperture

mancante mancante

deteriorato deteriorato

incongruente incongruente

Degrado fisico strutturale finiture

basso

medio

alto

basso

medio

alto

Rilevanza ambientale

basso

medio

alto

53


scheda tecnica descrittiva

6P

principale

Tipologia AccessibilitĂ Area di pertinenza

aggregazione di case coloniche strada vicinale ------------

Tipologia Numero di piani Destinazione d’uso uso prevalente usi presenti uso piano terra Caratteristiche architettoniche e strutturali finitura facciata : ingressi recinzioni

casa colonica 2 residenziale+ produttivo residenziale + produttivo produttivo materiale intonaco

|

tipo | liscio

basamento

-------

Tipo di Copertura Elementi Architettonici decorativi tipo

falda

materiale stato di conservazione Degrado architettonico intonaco

54

colore rosa -------

mancante

pergolato|

vasche per acqua

legno cattivo

pietra arenaria medio

deteriorato

incongruente

Degrado fisico strutturale finiture

basso basso

medio medio

alto alto

Rilevanza ambientale

basso

medio

alto


scheda tecnica descrittiva

7P

principale

Tipologia AccessibilitĂ Area di pertinenza

aggregazione di case coloniche strada vicinale giardino , cortile lastricato casa colonica 3 residenziale

Tipologia Numero di piani Destinazione d’uso uso prevalente usi presenti uso piano terra materiale intonaco pietra

Caratteristiche architettoniche e strutturali finitura facciata :

|

tipo | colore arricciato rosa locale ------

ingressi recinzioni

------

basamento

-----falda + padiglione

Tipo di Copertura Elementi Architettonici decorativi tipo

-----------

materiale stato di conservazione

-----------

Degrado architettonico intonaco tamponature

mancante

deteriorato

incongruente

mancante

deteriorato

incongruente

Degrado fisico strutturale finiture

basso basso

medio medio

alto alto

Rilevanza ambientale

basso

medio

alto

55


scheda tecnica descrittiva

8S

secondario

Tipologia

edificio colonico strada comunale

Accessibilità Area di pertinenza

------------| colombaia ------------

Tipologia Destinazione d’uso Caratteristiche architettoniche e strutturali finitura di facciata: nota:

materiale | tipo | colore pietra locale -----presenza parziale di decorazioni in arenaria

Tipo di Copertura

9S

secondario

falda

Tipologia

manufatto strada vicinale

Accessibilità Area di pertinenza

------------| edificio muratura ------------

Tipologia Destinazione d’uso Caratteristiche architettoniche e strutturali finitura di facciata: nota: Tipo di Copertura

56

materiale | laterizio

tipo | misto

colore ----------falda


scheda tecnica descrittiva

10S

secondario

Tipologia

manufatto strada vicinale

AccessibilitĂ Area di pertinenza

------------| aggregazione di annessi agricoli

Tipologia Destinazione d’uso

produttivo

Caratteristiche architettoniche e strutturali finitura di facciata: nota:

materiale | tipo | colore pietra locale -----recente ristrutturazione, mandolata a lisca di pesce, apertura incongruente falda

Tipo di Copertura

11S

secondario

Tipologia

annesso agricolo strada privata

AccessibilitĂ Area di pertinenza

------------tettoia deposito legna

Tipologia Destinazione d’uso Caratteristiche architettoniche e strutturali finitura di facciata:

materiale laterizio

nota:

|

tipo | pieno

colore ----------falda

Tipo di Copertura

57


scheda tecnica descrittiva

12S

secondario

Tipologia

annesso agricolo strada privata

Accessibilità Area di pertinenza

------------capannone deposito

Tipologia Destinazione d’uso Caratteristiche architettoniche e strutturali finitura di facciata: nota:

materiale | tipo | colore pietra locale -----mandolata a lisca di pesce falda

Tipo di Copertura

13S

secondario

Tipologia

annesso agricolo strada privata

Accessibilità Area di pertinenza Tipologia Destinazione d’uso Caratteristiche architettoniche e strutturali finitura di facciata: nota: Tipo di Copertura

58

------------manufatto in muratura agricolo-animali domestici

materiale | laterizio

tipo | misto

colore ----------falda


scheda tecnica descrittiva

14S

secondario

Tipologia

capannone agricolo strada vicinale

Accessibilità Area di pertinenza

------------tettoia produttivo

Tipologia Destinazione d’uso Caratteristiche architettoniche e strutturali finitura di facciata:

materiale laterizio-pietra

nota: Tipo di Copertura

15S

secondario

|

tipo | misto-locale

colore -----------

falda- capriate misto legno-acciaio

Tipologia

capannone agricolo strada privata

Accessibilità Area di pertinenza

-------------

Tipologia Destinazione d’uso

tettoia produttivo-deposito

Caratteristiche architettoniche e strutturali finitura di facciata:

materiale | laterizio-intonaco

nota: Tipo di Copertura

tipo | misto

colore rosa ------

falda-capriate in legno

59


“c’è più filosofia in una bottiglia di vino che in tutti i libri del mondo“ Ernest Hemingway

l’azienda L'azienda Tenuta di Valgiano è relativamente giovane, essendosi formata nel 1994 ad opera di Moreno Petrini e Laura di Collobiano, che acquistarono la tenuta e i suoi terreni, e dell'enologo Saverio Petrilli. Nonostante questi terreni fossero da tempo dedicati alla viticoltura, i vini qui prodotti non godevano certo di grande fama, per questo un grande merito va all'azienda che ha saputo capire la qualità e le caratteristiche delle uve a loro disposizione, puntando sul progetto di produrre un vino importante e che soprattutto rispettasse ed esaltasse le caratteristiche di Valgiano. Il territorio, dal punto di vista della composizione geologica, presenta tratti discontinui: vi sono zone sassose con presenza di albarese a cui si alternano fingers argillosi, e ciò è molto importante perché determina le caratteristiche aromatiche delle diverse varietà di uva, costituite in prevalenza da Sangiovese, Syrah e Merlot (come precedentemente accennato più volte, la presenza di queste varietà dipende dal fatto che la tenuta fu proprietà di francesi). Sostanzialmente il Sangiovese esalta le sue caratteristiche su albarese (è coltivato in vigneti diversi che determinano la riuscita di un vino più strutturato e di uno più fresco), il Merlot viene coltivato nei terreni argillosi, mentre il Syrah riesce a dare ottimi risultati sui ciottoli sabbiosi. I vigneti già esistenti al momento del passaggio di proprietà, sono un patrimonio che l'azienda ha deciso di mantenere e incrementare, con la sistemazione dei vecchi e l'impianto di nuovi, intensificando talvolta la densità dei ceppi o provvedendo a cambiare i portain-


nesti. Attualmente la tenuta sfrutta 21 ettari di terreno, alcuni dei quali non di proprietà ma affittati e distribuiti tra Valgiano e Camigliano. I vitigni hanno un'età compresa tra 6 e i 40 anni ed una densità media di 5700 piante ad ettaro. La strategia dell'azienda ha voluto puntare su poche varietà di prodotti ovvero: il Rosso Tenuta di Valgiano e il Rosso Palistorti (due varietà di rosso composte dallo stesso uvaggio di Sangiovese, Merlot e Syrah, ma che differiscono per la qualità delle uve e l'età delle vitigni utilizzati): e il Bianco Palistorti. Negli anni è stata prodotta anche la varietà Scasso dei Cesari, un Sangiovese puro di grande qualità, ottenuto dai vitigni più antichi della tenuta, che oggi si è provveduto a rinnovare. La produzione annuale varia notevolmente a seconda delle annate, non supera comunque le 80.000 bottiglie. Aldilà della qualità riconosciuta dei vini, grazie anche ad un occhio verso la competizione internazionale, una caratteristica dell'azienda è il suo approccio a modi di coltivazione organici e all'utilizzo convinto dei processi di vinificazione più tradizionali. Dopo aver utilizzato metodi biologici, si è convertita al biodinamico nel 2001, e ciò ne ha fatto una vera e propria pioniera di tale pratica nella zona. Ciò che contraddistingue il biodinamico è un approccio molto più globale che connette il mondo vegetale, quello animale e l'uomo. Nasce come concetto dal filosofo austriaco Rudolf Steiner nel 1924 (a cui l'azienda fa omaggio con un busto in mezzo ad uno dei vigneti), che tingendolo di caratteri esoterici, scientifici e spirituali, sottolineava l'importanza di una coltivazione basata su metodi organici e sulle fasi lunari, e di un' aziendafattoria strutturata come un sistema ciclico, capace di auto-rigenerarsi. I principi fondanti sono: mantenere la fertilità della terra; rendere sane le piante in modo che possano difendersi da malattie e parassiti; produrre alimenti di qualità. Si tratta comunque di un metodo aperto, con linee guida a carattere piuttosto generale, da non applicarsi senza tener conto delle condizioni particolari in cui si va ad agire. I proprietari dell'azienda e l'enologo Saverio Petrilli

sono stati introdotti al biodinamico da Alex Podolinsky, che lo aveva applicato a diverse colture. Ciò che ha spinto poi ad andare avanti con questo metodo sono gli stessi risultati ottenuti: le piante appaiono più resistenti e quindi sono necessari piccoli interventi per il controllo delle malattie e, meno sono gli elementi artificiali introdotti nel terreno, più questo riesce a mantenersi "vivo" e capace di produrre le sostanze necessarie per il nutrimento della pianta. In questo frangente la pianta stessa nutrendosi della terra e non di concimi chimici, diventa chiave di lettura sincera del territorio su cui è radicata, espressione vera del terroir. Si hanno profondi mutamenti dal punto di vista aromatico che contribuiscono ad una maggiore caratterizzazione dei vini prodotti, la cui qualità ne è il risultato esplicito. Si tratta quindi di ritornare ad una mentalità che cerca di prevenire le malattie, preoccupandosi del nutrimento della vite, piuttosto che curarne le malattie con "medicine" chimiche, che parlano poco il linguaggio della terra: un'inversione di tendenza a cui oggi sempre più aziende si stanno accostando, ma che ha visto per molti anni avversione e scetticismo. Uno dei capisaldi del biodinamico è l'utilizzo della preparazione "500": si tratta di letame posto dentro un corno di vacca e sotterrato durante l'inverno, in modo che subisca una trasformazione e si arricchisca di "500" microrganismi. Questo preparato di cui ne basta una piccola quantità, viene diluito in acqua tiepida, così che, in condizioni di umidità, calore e ossigenazione, i microrganismi possano moltiplicarsi in modo esponenziale (ovvero ne fa da attivatore) e viene spruzzato entro un'ora sui terreni, a primavera, appena la terra inizia a risvegliarsi. Come ha fatto notare lo stesso Petrilli, questo tipo di concime, riesce a riattivare un terreno stremato in pochi mesi ed unito ad altre preparazioni come la "501" (preparazione silicea di corno di vacca che agisce sulla capacità di assorbimento della luce da parte della pianta), contribuisce a rafforzare la vite, poiché i peli radicali non spariscono e le radici riescono a penetrare verticalmente nel terreno reso più morbido e arioso dalla presenza di humus, che con doppio effetto benefico, trattiene acqua e quindi nutrimento. In

Laura di Collobiano durante la vendemmia Moreno Petrini

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questo modo è possibile evitare di fertilizzare con sali ammoniacali, la cui eccessiva concentrazione in periodi di siccità, produce la chiusura degli stomi per la traspirazione: in sostanza causano l'arresto del processo di fotosintesi e ciò comporta uva povera di tannini e sostanze polifenoliche con conseguente perdita di gusto. Motivo per cui il vino è spesso un prodotto "ricostruito" in cantina, meno digeribile, soprattutto lontano dal potersi permettere l'etichetta "Denominazione di Origine". In questo modo la pratica biodinamica costituisce un metodo meno impegnativo, ma di pari risultato, alla concimazione organica del passato. E l'approccio che ne viene fatto nell'azienda ha un carattere personale e sperimentale, nel senso che guarda molto ai risultati riscontrati e si distanzia da una mera applicazione teorica. Trovo significativo riportare in questo contesto, le parole di Saverio Petrilli (1) per far meglio capire il senso e l'interpretazione con cui è dall'azienda praticato, sia in risposta allo scetticismo che lo ha per molto controbattuto, sia per distanziarlo da chi lo addita come strumento di marketing o peggio ancora come una moda: " (...)Steiner parlò diffusamente delle influenze cosmiche. Personalmente nella mia breve esperienza in agricoltura biodinamica non sono ancora arrivato a comprendere quali esse siano ma certamente alcune sono agli occhi di tutti. Che la Luna abbia un effetto sui liquidi è stato ormai provato (...). Affermare che il Sole sia importante è veramente banale (...). Queste sono influenze cosmiche indiscutibili. Non ho abbastanza esperienza per discutere delle influenze dei pianeti ma non vedo che vantaggio ci darebbe negarle a oltranza. Termino con un paragrafo sulla differenza tra fede e fiducia. Non avendo ancora compreso l’influenza dei pianeti non sono in grado di applicare alcune indicazioni date da Steiner nelle conferenze agli agricoltori. Talvolta nel caso di un vino particolarmente prezioso decido in cantina di effettuare un travaso un giorno piuttosto che un altro seguendo le indicazioni che trovo sul calendario della signora Maria Thun, una seguace esperta di Steiner. E’ un atto di FEDE perché non sono in grado di valutare personalmente. Nella conduzione agri-

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cola invece valuto costantemente, ripetutamente gli effetti dell’applicazione dei preparati. E ogni anno confermo la FIDUCIA in questo metodo sulla base di parametri oggettivi e indiscutibili (...). Ho partecipato a dibattiti nei quali si affermava che la biodinamica non è stata provata scientificamente, oppure che le ricerche che la sostengono non sono state “peer reviewed”. Questo è un problema della Scienza e non degli agricoltori. Inoltre il fatto che qualcosa non sia stato ancora provato non significa necessariamente che non sia vero. Agli agricoltori spetta la responsabilità della conduzione dell’azienda, la produzione di alimenti sani e piacevoli, la conservazione dell’ambiente. Se un agricoltore decidesse come condurre l’azienda sulla base di indicazioni di qualche “guru” o di qualche “scienziato” senza metterle in prova nel campo, compierebbe un atto di FEDE. Se un agricoltore cerca altri sistemi di conduzione dell’azienda significa che non ha più FIDUCIA nel suo metodo. Tutte le ricerche scientifiche esulano dal campo di azione e sperimentazione dell’agricoltore, possono dare delle indicazioni che non saranno mai definitive. Il giudizio poi sull’operato di un agricoltore si esprime necessariamente attraverso la qualità di ciò che produce e attraverso l’incidenza della sua opera sull’ambiente ovvero la sostenibilità dell’azienda."

Grazie all'approccio biodinamico, si rafforza nell'azienda anche il carattere tradizionale delle tecniche usate nel processo produttivo. Così l'uva raccolta in tini per gravità, dopo una scelta su un primo nastro trasportatore e una delicata diraspatura, viene pigiata con i piedi come da tradiztione. Tutte le operazioni di fermentazione, di svinatura, e di trasferimento, vengono fatte cercando di limitarne il maneggiamento, e quindi traumi, con conseguente perdita di aroma. Non vengono utilizzate pompe, ma si cerca di trasferire mosto e vino usufruendo della gravità o di aria compressa. L'invecchiamento del rosso avviene in barrique, che vengono rinnovate ogni anno per il 4-5%, in modo da evitare un'eccessiva influenza nel gusto finale. L'aggiunta di solforosa che si rende necessaria viene fatta in minime dosi durante il primo travaso tra Febbraio e Marzo. Poiché caratteristica delle uve del posto è la ricchezza di polifenoli e

di tannini, la maturazione, che per rispetto non viene in alcun modo forzata, avviene molto lentamente, richiedendo almeno 15 mesi. L'imbottigliamento, talvolta dopo una leggera filtrazione, avviene generalmente a primavera. La scelta dell'azienda è quella di usufruire di macchine installate su mezzi mobili e di non adeguare a tale operazione un locale completamente dedicato, per motivazioni prevalentemente a carattere igienico ma anche pratico. Avvenendo infatti l'imbottigliamento una volta l'anno, e avendo l'azienda una modesta produzione, le apparecchiature rimarrebbero ferme a lungo, a discapito dell'efficienza e dell'igiene delle stesse. Le bottiglie vengono infine conservate per circa un anno prima di essere immense sul mercato. (1) Saverio Petrilli. Biodinamica, una mia visione personale dalla rubrica online L’AcquaBuona

L’enologo Saverio Petrilli

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i locali cantina: rilievo dello stato attuale Tra i punti forza riscontrati nell'azienda, oltre a quelli più legati alle pratiche agricole e alla tradizione nelle tecniche di cantina, spicca la peculiarità di essere particolarmente legata all'ambiente poiché non solo le attività più prettamente agricole vengono praticate all'aperto, ma anche alcuni processi durante la trasformazione, sono svolti "en plein air". In primis spiccano quelle legate al periodo di vendemmia: il conferimento dell'uva, la scelta, la diraspatura e la prima pigiatura avvengono all'esterno dei locali adibiti a cantina, utilizzando in parte l'edificio a capanna di recente fattura, e con l'ausilio di circa 80 mq di tendoni, che vengono stesi occupando l'area a nord dello stesso compresa tra il muro della tenuta e la scesa ad est, in periodo di vendemmia. E' chiaro come la difficoltà della lavorazione poco protetta dagli agenti atmosferici, così come l'impaccio di dover montare e smontare le coperture temporanee ed allestire ogni qual volta quello che diventa un vero e proprio locale cantina all'aperto, siano superate a vantaggio di un contatto diretto che si crea con l'ambiente circostante. Sicuramente quelle che spingono a questa scelta sono però motivazioni di carattere pratico ed economico: da una parte vi è una mancanza di spazio nei locali della cantina per poter ospitare tali operazioni, ed una oggettiva difficoltà nel poter realizzare qualsiasi tipo di intervento di nuova edificazione nell'area, a causa di vincoli paesaggistici e storici e, non per ultimi, idrogeologici. D'altra parte, considerando la scarsa intensità con cui questa verrebbe utilizzata (di fatto solo per pochi giorni l'anno), parrebbe decisamente assurdo andare ad incidere in modo per-


manente il territorio. Inoltre le operazioni da svolgervi necessitano di una buon ricambio d'aria e ventilazione e richiedono minor controllo delle condizioni termo-igrometriche, per cui tutto sommato, una condizione che a prima vista potrebbe apparire come svantaggiosa per l'azienda, considerando il contesto in cui avviene e le condizioni al contorno, è da considerarsi la scelta più efficiente oltre che sensibile. Le restanti operazioni, a discapito di una certa praticità, non avvengono in un fabbricato unico, ma in locali dislocati diversamente e più o meno vicini l'uno all'altro, che occupano i piani terreni, talvolta di porzioni, di edifici. Questa frammentazione degli spazi dedicati alle diverse lavorazioni è una caratteristica dominante della Tenuta di Valgiano, che difficilmente si riscontra in cantine vinicole di nuovo impianto, mentre è più frequente andando a cercare in piccole realtà. Tuttavia qua pare essere portata all'estremo: l'ambiente esterno (che non è da intendersi limitatamente all'aria o alle condizioni atmosferiche, ma può intendere in senso globale anche le persone che abitano a stretto contatto con la cantina e in un certo senso sono partecipi dei processi e delle vicissitudini della stessa), riesce così di nuovo ad insinuarsi nelle operazioni di trasformazione del vino, poiché sono soventi i passaggi da un locale all'altro del vino stesso e di chi lo lavora. I processi vedono dunque l' interferenza di attività estranee a quelle dell'azienda che resta inevitabilmente contaminata dal contesto in cui opera. Viene a questo punto spontaneo creare un parallelo tra quella è che la filosofia dell'azienda, che punta ad un legame profondo con il terroir, e l'idea che trasmette la disposizione delle funzioni inglobate profondamente nelle architetture del contesto, rappresentanti eccellenti del genius loci. Il locale tinaia è il primo degli ambienti atti alla vinificazione che si incontra percorrendo la via di accesso pubblica alla Tenuta, che affianca nel versante ovest e poi nord il muro della chiusa percorrendo la Via per Valgiano , ed entrando dentro quella che prende le sembianze di una corte privata , ricavata nella discesa che porta poi a costeggiare nuovamente, stavolta nel

versante est, il muraglione (da notare che l'ingresso alla villa è quindi totalmente separato). La tinaia è posta al piano terreno della schiera di edifici coloniali addossati ad est della chiusa, in un tratto che presenta un' importante dislivello di quota. L'accesso si ha a circa 255 m. slm, (il più elevato di tutti gli spazi dediti alla cantina), nella parte più a valle del locale, in modo che questo, sviluppandosi in senso longitudinale verso monte, risulta nella parte terminale parzialmente interrato. L'uso a tinaia di questo ambiente è storico, come dimostrato dalla pianta catastale del 1835. Caratterizzato dal punto di vista costruttivo da muri in pietrame misto a laterizio, di cui quello perimetrale che lo separa dall' esterno è dello spessore medio di 60 cm, intonacato all'esterno e lasciato a vista nell'interno, e da un solaio di copertura a travi in legno, travicelli e mezzane. La pavimentazione è costituita da bozze in arenaria, livellata nel punto di appoggio dei piedini dei tini da gettate in cemento, e interrotta da una griglia di scolo posta longitudinalmente e decentrata verso la parete esterna. L'apertura delle finestre avviene da un unico lato, ma la loro efficacia è limitata dalla posizione dei tini che con il loro volume ostruiscono il corretto passaggio di luce naturale e ricambio d'aria. La temperatura nell'ambiente raggiunge un picco estivo di 24°C (contro i 20°C raccomandati), mentre il livello di umidità, già molto alto all'esterno, resta ottimale. Il processo di fermentazione in tini ha subito del tempo una sostanziale modifica tecnologica. Sono qui utilizzati ad oggi, sei vasche di fermentazione in cemento armato, mentre le restanti sono in acciaio inox. Nonostante la grande praticità per la leggerezza e l'igiene assicurata da un materiale come l'acciaio, che ne ha fatto il mezzo per la produzione di vasche oggi più largamente diffuso (anche per la possibilità di auto-condizionarsi tramite impianto interno che ha reso meno importante il controllo delle condizioni ambientali dei locali che li ospitano), è importante capire come anche questo mezzo vada correttamente utilizzato. Come ha fatto notare lo stesso Petrilli, i tini in acciaio che mancano di coibentazione hanno una scarsa inerzia, per cui è necessario la loro dotazione di impianto di con-

dizionamento, caratterizzato da serpentine che però non conferiscono una vera omogeneità di temperatura al liquido. In quest'ottica, quella che potrebbe apparire una fermentazione controllata rigorosamente, può portare a risultati non sperati. Per questo, materiali come il cemento che offrono resistenza termica maggiore, e che comportano un controllo dell'ambiente esterno con chiara complicazione e apparente dispendio di energie, possono risultare in questo frangente migliori. In sostanza, va bene utilizzare tini anche in acciaio (coibentati), ma è necessario comunque avere un' occhio di riguardo a ciò che accade nell'ambiente esterno, ovvero cercare di mantenere i valori di temperatura in particolare, circa costanti. L'altezza limitata del solaio (3,03 m. sotto trave e 3,09 m. sotto travicello) non permette la presenza di fermentini, per cui la sommità delle vasche viene raggiunta tramite scalei mobili. Adiacente alla tinaia vi è l'ingresso all'ufficio della tenuta, una piccola stanza che serve sia da amministrazione che da ricevimento, arredata da scrivanie, librerie per i documenti e sedute, che vede sia per l'accesso che internamente, diversi dislivelli superati con più gradini. Mentre appartenente sempre alla schiera di edifici colonici, ma leggermente arretrato rispetto al resto e maggiormente isolato è il locale utilizzato per lo stoccaggio delle bottiglie, dove vengono conservati anche scatoloni ed imballaggi. Le bottiglie coricate orizzontali, sono organizzate mediante fogli in materiale plastico termoformato, impilati l'uno sull'altro in alternativa alle gabbie di metallo. L'ambiente presenta, dal punto di vista architettonico, fattezza simile alla tinaia, anche se di dimensioni inferiori e rimaneggiato recentemente con una imbiancatura che ha interessato sia le pareti (qui anche internamente intonacate) che il soffitto, sempre ordito con travi, travicelli e mezzane.

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1

2

3

4

1

2

3

4


destinazioni d’uso

m2

deposito mezzi agricoli

148

area temporanea usata in periodo di vendemmia*

67+ 190

tinaia

158

barricaia

185

etichettatura

38

stoccaggio

55

imbottigliamento** TOT 840 * durante la vendemmia parte dello spazio esterno è coperto da tende per permettere la lavorazione al riparo da agenti atmosferici **per motivazioni igieniche e pratiche è preferito imbottigliare con macchine installate su mezzi mobili

processo di vinificazione conferimento uva

diraspatura e spremitura

fermentazione

maturazione e stabilizzazione

imbottigliamento

invecchiamento

mercato

0

10 m. 1:500


15S

sezione 1-1

14S

251 240

m.slm al piano di accesso piano di utilizzo cantina

P Terra

deposito mezzi agricoli

68

P Primo

conferimento uva diraspatura e spremitura


sezione 2-2

1P

254

6P

252 m.slm al piano di accesso piano di utilizzo cantina

P Seminterrato

P Terra

maturazione e stabilizzazione

invecchiamento

69


sezione 3-3

10S 253

m.slm al piano di accesso P Primo

piano di utilizzo cantina

imbottigliamento

70


sezione 4-4

255

5P

m.slm al piano di accesso piano di utilizzo cantina

amministrazione e ricevimento

P Terra

fermentazione

La barricaia invece va ad occupare in parte i seminterrati della villa, che dall'antichità servivano allo stoccaggio di vino ed olio. Questi sono accessibili tramite un corridoio coperto a botte che, aprendosi dallo spazio ricavato dai resti di un antico torroncino mediante un portale bugnato e un cancello in ferro, passa al di sotto del giardino ad una quota di circa 254 m. sml. E' suddivisa in tre distinti locali da muri portanti dello spessore di 80 cm. La prima stanza, di ingresso, ha mantenuto la struttura originaria di copertura: una volta a botte lunettata, con altezza di imposta di 1,70 m e al centro di 2,89 m. circa. Ai successivi locali si accede tramite aperture archivoltate che si aprono sul lato sud della costruzione creando un corridoio. I solai di copertura sono stati qui rimaneggiati: si ha un'orditura di travi e travicelli lignei e mezzane a vista, che per lo stato di conservazione in cui si trovano paiono di recente fattura, o comunque recentemente rimaneggiati (nel secondo locale); mentre l'ultimo è costituito da voltine tinteggiate (11 travi in acciaio con un interasse di circa 80 cm, mentre il corridoio di ampiezza 1,30 m è coperto da un'unica voltina). Peculiarità del secondo locale è l' ulteriore suddivisione trasversale, tramite un ampio arco che si apre in un muro di notevole spessore, che funge da collegamento trasversale anche ai piani successivi. L'ultimo locale, il più ampio poiché sottostante il salone centrale al piano superiore, presenta un dislivello di pochi centimetri superato tramite una rampa ascendente, ed una vasca, profonda circa 60 cm e raggiungibile tramite due rampe laterali, speculari, di tre alzate. Questa, che un tempo serviva per la conservazione di olio, è attualmente utilizzata per lo stoccaggio delle bottiglie di vino, occupata da mensole addossate alla parete ovest, ed ulteriormente separata dall'ambiente da una struttura lignea che costituisce una staccionata e il telaio per una rete che raggiunge il soffitto. Sono presenti resti di quattro pieducci in pietra che sorreggevano evidentemente un precedente sistema di copertura. Una porta al termine del corridoio collega gli ambienti al resto del seminterrato (di ampiezza pari ai primi due locali), destinato ad usi estranei alla cantina. L'intero ambiente è illuminato ed areato da piccole aperture molto alte (quattro nel primo e ultimo locale, due nell'intermedio), poste al limite di quota del solaio di copertura e caratterizzate da profonde strombature 71


I tre locali della barricaia

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Locale di stoccaggio Tinaia Locale per etichettatura

73


processo di vinificazione

4

maturazione e stabilizzazione

conferimento uva

1

5

imbottigliamento

diraspatura e spremitura

2

6

invecchiamento

fermentazione

3

mobilitazione del vino 4

6

mercato

3

5 1 2

viabilitĂ e accessi

carrabile al pubblico

pedonale azienda

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carrabile azienda


e con griglie metalliche esterne. I serramenti in legno consentono aperture talvolta a vasistas, talvolta a doppio battente verticale, mentre il controllo della luce è assicurato da ante interne. La pavimentazione è discontinua, a tratti composta da mattonelle, da resina (porzione dell' ultimo locale), e da parti in ghiaia (dove poggiano le file di barrique); i vantaggi di quest'ultima per il controllo dell'umidità sono già stati esplicati. Tutti gli impianti sono lasciati a vista, con tubazioni che percorrono a più quote i muri perimetrali, ed il sistema di riscaldamento e refrigerazione è garantito da termo-condizionatori posti in corrispondenza delle aperture finestrate del corridoio, circa alla quota del pavimento. Grazie all'elevata inerzia termica l'utilizzo degli stessi è in realtà molto limitato, così come il quantitativo di umidità presente resta molto al di sopra del limite minimo del 70% (che lo predispone alla presenza abbondante di muffe come si nota dalle pareti intonacate): queste condizioni rendono la cantina un ambiente ideale alla sua funzione e particolarmente efficiente. Gli altri fabbricati di recente costruzione che servono la tenuta sono stati precedentemente introdotti: c'è da sottolineare però che il locale che serve per l'etichettatura e per la conservazione di olio e miele di recente ristrutturazione, è di impianto storico. Si tratta di un modesto agglomerato agricolo, composto da due differenti sistemi di copertura, con addossato un ulteriore volume minore, e che si sviluppa su due livelli, distinti da accessi separati e non collegati verticalmente. La porzione superiore utilizzata dalla tenuta ha ingresso in linea d'aria frontale all'ufficio, a quota però inferiore, di circa 253 m. slm, è segnata all'esterno dalla presenza di mandolate (evidentemente non storiche, come dimostrato dalla tipologia di mezzana utilizzata, non piena ma forata, ma che tuttavia hanno costituito vincolo stringente in fase di ristrutturazione), da un intonaco lasciato al grezzo e da un'ampia apertura in ferro incongruente. All'interno il sistema di copertura, sempre a travi e travicelli, è tinteggiato e si differenzia per essere nella prima parte a doppia falda, e nella seconda a fal-

da unica. Le aperture costituite da modeste finestre, si aprono in realtà sulle mandolate. L'edificio anticipa un piazzale e la strada di discesa ai vitigni. Questo piazzale utilizzato per sosta temporanea delle auto dei visitatori e dei lavoratori, serve in fase di imbottigliamento per ospitare i mezzi mobili contenenti i macchinari.

Corridoio di ingresso alla barricaia

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5

progetto per l’ampliamento

emergenze riscontrate e obbiettivi proposti La strategia aziendale, che punta su poche tipologie di prodotti di qualità, è da tenere particolarmente in considerazione per capire quali siano le necessità organizzative e i bisogni della stessa dal punto di vista degli spazi. Obbiettivo dell'azienda non è l'aumento di produzione, che è fissata attorno alle 80 000 bottiglie l'anno, numero che chiaramente varia moltissimo a seconda dell'annata, ma che costituisce un vero e proprio limite anche in termini di efficienza aziendale. Sulla base di questo dato di fatto pare chiaro come l'intervento proposto si fondi non su una ipotetica proiezione al futuro di incremento produttivo, quanto sulle esigenze attuali richieste dalle lavorazioni effettuate, a sostegno di una maggiore efficienza delle stesse. Dall'analisi dello stato attuale e dal confronto con l'enologo Saverio Petrilli, sono state evidenziate alcune emergenze di spazi, che allo stato di fatto sono superate con accorgimenti alternativi a nuovi interventi ma a discapito di una certa praticità, a causa delle già descritte difficoltà che rendono intromissioni nel sito non impossibili ma comunque dispendiose a livello economico e di energie. Risalta la carenza dello spazio dedito allo stoccaggio delle bottiglie, che attualmente ricopre una superficie di 55 mq dedicata, ma è costretta ad occupare ulteriori spazi nella barricaia e nel locale etichettatura. Si stima che lo spazio ad essa necessario rispetto alla produzione e per mantenere la funzione in un'unica locazione sia di almeno il doppio. La tinaia ha il difetto di ospitare un numero eccessivo di tini rispetto alla sua conformazione planimetrica, che non costituiscono un problema dal punto di vista funzio-


nale (bastano circa 2 metri di fronte ad una vasca per permettere le operazioni di lavorazione, che sono verificati), ma che sono per mancanza di spazio posizionati frontalmente alle aperture finestrate, ostruendo talvolta il corretto passaggio di luce naturale e ventilazione, e altre volte impedendone l'apertura. Inoltre necessità a breve dell'azienda è quella di procurarsi ulteriori 2 o 3 vasche da 70 litri circa, per cui lo spazio necessario si addiziona di circa 30 mq (considerando il diametro di circa 2 m. e lo spazio necessario per spostamenti e lavorazioni). Poiché l'analisi svolta ha evidenziato la storicità con cui questo ambiente viene destinato alla fermentazione del vino, è interessante prefissarsi l'obbiettivo di mantenere tale tradizione, considerando anche che le caratteristiche termo-igrometriche che l'ambiente offre nell'arco dell'anno non sono proibitive. E' necessario che vi siano ulteriori spazi quindi per ospitare i tini di fermentazione, ed è accettabile in questo caso che siano situati in ambienti separati. E' stato ampliamente spiegato come invece la mancanza di uno spazio chiuso dedicato alle operazioni che vanno dal conferimento dell'uva alla prima spremitura, costituisca in questo caso la scelta più efficiente. Per questo, e anche per la particolare aurea che la pigiatura fatta all'aperto attribuisce a tale lavorazione (che diventa così una sorta di immagine della poetica dell'azienda), si è deciso di mantenere tale funzione all'aperto, andando a delineare spazialmente la superficie da coprire con teloni temporanei nel periodo di lavorazione, che corrisponde a quella attualmente utilizzata più circa 64 mq che l'azienda necessita e prevede di ampliare a breve. Poiché tale spazio addizionale è ricavabile nei dintorni dell'edificio a capanna, e quindi del sito utilizzato, tale destinazione d'uso può restare localmente invariata. Per quanto riguarda l'imbottigliamento, che per pratica e igiene è fatto su mezzi mobili, sarebbe opportuno poter prevedere uno spazio coperto di circa 30 mq dove il mezzo possa parzialmente entrare a retromarcia, in modo che tutte le operazioni di trasferimento del prodotto dalla cantina al veicolo e viceversa, avvengano in ambiente protetto.

Come è intuibile gli spazi necessari, di modesta entità, non comportano uno stravolgimento delle dimensioni dell'azienda, ma si prefigurano come delle attenzioni capaci di aiutare i processi di lavorazione con l'obbiettivo di incidere positivamente sull'efficienza aziendale. Nell'ambito della trasformazione che le cantine hanno avuto negli ultimi anni, come parti integranti di percorsi enogastronomici e anche in relazione alla promozione che i proprietari Moreno Petrini e la moglie Laura di Collobiano fanno del prodotto in Italia e all'estero, diventa importante e in sintonia con gli obbiettivi aziendali, pensare di dotare la Tenuta di un locale dedito alla ricezione e alla vendita diretta. Attualmente degustazioni o eventi particolari sfruttano, talvolta, la maestosità del parco della villa, sicuramente molto suggestivo, ma che comunque non è un'esclusiva aziendale, poiché prevede oltre alla funzione residenziale quella di agriturismo. E d'altra parte gli spazi dedicati sono comunque esclusivamente all'aperto, il che rientra appieno nelle ispirazioni dell'azienda e si fa forza della posizione panoramica di cui gode, ma richiede per completezza un'integrazione che riesca ulteriormente a valorizzarne le potenzialità. E' anche importante distinguere nettamente questo tipo di funzione, commerciale e divulgativa, dalla produzione vera e propria, che ha tutt'altre necessità e anzi deve contaminarsi in questo senso il meno possibile. Per questo, mentre da una parte è bene continuare a prevedere degustazioni all'aperto, dall'altra è da evitare l'utilizzo di spazio in cantina per tale funzione (che non prescinde dalla visitabilità della stessa); scelta che può apparire in controtendenza rispetto a quella di molti progettisti, ma suggerita dall'enologo stesso.

limite di produzione dell’azienda < 80 000 bottiglie / anno emergenze riscontrate deposito mezzi agricoli

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area temporanea usata in periodo di vendemmia*

64

tinaia

40

barricaia

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etichettatura

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stoccaggio

60

ufficio

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imbottigliamento*

30

degustazione e vendita diretta * superificie coperta

79

m2

100


concept progettuale e programma funzionale L'intervento proposto cerca come risultato finale quello di provvedere ad una riorganizzazione funzionale del complesso aziendale, e di addizionare ad esso spazi di nuovo impianto, al fine di rispondere alle esigenze riscontrate nel rispetto per la tessitura in cui va ad immettersi. Data la conformazione morfologica del sito e l'importanza paesaggistica e storica del complesso, l'area scelta per insinuare il volume di nuovo impianto è posta ad una quota inferiore rispetto agli altri fabbricati (fatta eccezione per la rimessa dei mezzi agricoli), in modo che non risalti eccessivamente ma sappia integrarsi nel contesto. Tale posizione visivamente ha consigliato un confronto sia con la villa, che resta l'edificio dominante e di rappresentanza, sia con i manufatti colonici e la rimessa agricola. In questo modo si sono evidenziate due diverse direttrici di influenza: l'una che segue l'asse longitudinale ovest-est della villa, e si contrappone invece ortogonalmente all'asse predominante degli aggregati coloniali che ospitano attualmente tinaia e stoccaggio (che si definisce nel progetto come "asse di rappresentanza"); l'altro segue l'orientamento leggermente inclinato rispetto all'orizzontale, dei restanti fabbricati. Su indicazione dello stesso Petrilli, oltre ad una distinzione netta tra spazi commerciali e culturali dagli spazi produttivi, è interessante provvedere ad un' ulteriore distinzione di questi ultimi in spazi produttivi dediti alla "creazione" del vino (che includa i processi delicati di pigiatura , fermentazione e invecchiamento ovvero le fasi che piÚ necessitano di osservazione e di sperimentazione), da quelli piÚ prettamente industriali (opera-


zioni di imbottigliamento e stoccaggio). Per questo si è individuata una fascia "creativa" che va a localizzarsi naturalmente nella parte alta, la quale diventa per l'importanza rivestita, una sorta di acropoli, ai piedi di cui si dispone la fascia "industriale". La scelta di insinuare la fascia definibile come "commerciale" , in modo che tagli trasversalmente le precedenti, vuole essere concettualmente espressione del prodotto finito che deriva dalla totalità dei processi. Seguendo tale suddivisione, lo stoccaggio, così come l'etichettatura, vengono rimossi dalla fascia alta per essere collocate nel nuovo volume previsto nella fascia industriale. Liberati in questo modo i 55 mq dello stoccaggio, questi possono essere utilizzati per soddisfare le emergenze riscontrate nella fermentazione, che vengono già assorbite in gran parte dalla vecchia tinaia. Così questo processo produttivo viene distinto in locali spazialmente separati, ma idealmente uniti dall'importanza, dal carattere architettonico e dall'origine storica dei manufatti. Il locale precedentemente dedito all'etichettatura, e però inadatto ad assorbire funzioni creative per carenza di prestazioni tecnico-ambientali, può fungere da sostegno e diventare un deposito per le attrezzature che servono alla vicina attività di conferimento (nastri trasportatori , tini per la pigiatura ecc.), che al di fuori del periodo di vendemmia, occupano attualmente la superficie dello stabile coperto a capanna: in questo modo, depositate in un ambiente chiuso, si evita la loro esposizione ad agenti atmosferici ed inquinanti, a vantaggio della pulizia e durata degli stessi. E così, la posizione panoramica altamente suggestiva che offre l'edificio a capanna, che si affaccia sulla piana di Lucca e sullo scorcio collinare di San Pietro a Marcigliano, può essere sfruttata in gran parte dell'anno per creare una zona di degustazione all'aperto o di semplice sosta per i visitatori. Le funzioni di stoccaggio, imbottigliamento, etichettatura, inscatolamento, l'intera produzione di olio e miele, ed infine la parte commerciale, sono assorbite dalla nuova volumetria, spinta più a sud degli altri fabbricati, quasi in corrispondenza del muraglione della chiusa.

punti di forza

architettura

azienda

frammentazione

tradizione

delle tecniche di cantina

degli spazi dedicati alle diverse lavorazioni

interferenze

biodinamica

di attività estranee a quelle dell’azienda

nella pratiche agricole

contaminazione

lavorazione “en plein air”

BIO | LOGICA BIO | DINAMICA

dell’ambiente per il forzato passaggio esterno-interno

intérieur

Viticoltura Architetttura

en plein air

81


individuazione sito di intevento

direttrici di influenza

82


Necessitando di un piazzale esterno per la mobilitazione dei mezzi di imbottigliamento e di trasporto, è stato possibile utilizzare in parte quello oggi dedicato esclusivamente ai mezzi agricoli. Lo stesso piazzale può essere utilizzato temporaneamente per la sosta dei visitatori, vicini in questo modo al locale di degustazione e di vendita diretta, che è idealmente il punto di arrivo (dove vengono presentati i prodotti) e quello di partenza (dove dopo una visita alla cantina è possibile acquistare il vino). Per questo l'accesso principale e carrabile alla tenuta cambia, e dalla Via per Valgiano sfrutta la strada preesistente ed attualmente utilizzata esclusivamente dai mezzi dell'azienda, che costeggia non più il muro ad ovest della chiusa ma quello a sud, offrendo in questo modo una visione più attraente della villa stessa. Così la via di accesso attuale, che si insinua nel cuore creativo, e il piazzale di sosta adiacente, possono essere sfruttati dagli addetti ai lavori. La nuova costruzione, pur essendo concepita come una unica struttura su due piani, è formalmente suddivisa in 4 diversi volumi, che si differenziano per tipologia, orientamento, e uso dei materiali. Questa diversificazione, oltre a rispecchiare funzioni distinte, è dettata da quella frammentazione letta come punto di forza della cantina, che si è voluta mantenere ed esaltare. Tale idea ha permesso di creare volumi che potessero essere percepiti distintamente, mantenendo dimensioni compatibili con il contesto paesaggistico e confrontabili con gli edifici adiacenti. In particolare si è scelto di localizzare le funzioni industriali al piano terra, andando a clonare lo stesso volume (che per proporzioni ricalca il vicino deposito) per due volte, traslandolo per seguire l'andamento morfologico del sito ed in modo che uno di essi risulti completamente interrato, l'altro appaia appoggiato per un lato, al terreno. La visibilità del primo volume è mascherata da una copertura verde, che si raccorda dolcemente con i terrazzamenti circostanti. Emerge, a svelare la presenza del locale sotterraneo, un terzo volume che richiama per forma, dimensione e materiale, gli annessi agricoli minori della Tenuta, e che funziona da vero e proprio shed . L'altro volume, quello appoggiato al terreno, è

caratterizzato da una parete principale cieca e da un rivestimento in pietra mista locale, che vuole citare chiaramente le opere di contenimento presenti anche nelle immediate vicinanze. Lo stesso, con copertura piana , funge da terrazza panoramica. Su questa si "poggia" l'ultimo volume, che però è il primo per visibilità, e taglia i precedenti seguendo l'orientamento di quello che precedentemente è stato definito l'asse di rappresentanza (e che appunto vuole rappresentare la cantina). Caratterizzato formalmente da un importante aggetto sul piazzale, da una copertura a capanna e da un rivestimento completamente in laterizio, cerca di rispondere con un linguaggio moderno al confronto con l'architettura rurale del posto. Ospita la funzione "terziaria" della cantina, ed è accessibile indipendentemente da un piccolo piazzale che collega la facciata di ingresso alla preesistente vasca per la raccolta dell'acqua, circa a metà quota del percorso che già attualmente porta dai terreni coltivati alla parte alta della Tenuta.

fasce funzionali

creativa industriale commerciale

83


volumi aggiunti

m3

4. ---

nuova viabilitĂ di accesso al pubblico

3. 572

2. 598

1. 598

84


246 242 m.slm al piano di accesso stoccaggio imbottigliamento

AccessibilitĂ n°piani fuoriterra Destinazione d’uso Caratteristiche architettoniche e strutturali Finitura di facciata Tipo di Copertura

degustazione vendita diretta

strada privata 1 parzialmente interrato produttivo-deposito

strada privata 1 commerciale

pietra locale terrazza piana-verde estensivo

laterizio pieno falda

85


mobilitazione del vino

programma funzionale di progetto

4

3

3

1

conferimento uva

2

diraspatura e spremitura

3

fermentazione

4

maturazione e stabilizzazione

5

imbottigliamento

6

invecchiamento

1 2

6

5

deposito mezzi agricoli

ufficio

mercato

86


0 1:500

1

1

87

5 m.


270

260

250

240 m.slm


0

sezione 1 5 m.


90


91


superfici di progetto complessive deposito mezzi agricoli

198

area temporanea usata in periodo di vendemmia*

292

tinaia

203

barricaia

185

etichettatura e inscatolamento stoccaggio

35 282

ufficio

26

imbottigliamento*

30

degustazione e vendita diretta * superificie coperta

92

m2

102


area prevista con copertura temporanea in periodo di vendemmia piazzale di ingresso alla degustazione e vendita diretta, pavimentazione in laterizio strada pedonale di accesso alla cantina terrazza panoramica con sedute, pavimentazione in pietra locale piazzale di ingresso dei mezzi mobili per imbottigliamento,carico e scarico, in ghiaia piazzale di sosta temporaneo per visitatori e per per automezzi, in terrabattuta strada carrabile di accesso alla cantina inserimento planivolumetrico

93


1. Locale tinaia “storico” ufficio

m2 T °C um%

26 20 variabile 40-60

note

mantenuto nella sua locazione, perde il ruolo di ricevimento al pubblico per divenire il punto nodale e direttivo di tutta la fascia creativa in cui è inserito.

tinaia

4,05

255,15

254,40

255,00

256,00

94

H 1,09 1,04

H 1,08 1,04

H 1,08 1,04

H 1,08 1,04

H 1,35 0,86

H 3,02 2,35

255,30

H 2,20 0,92

255,70

1.

255,30

6,60

6,62

23,95

258,00

256 m slm 0

pianta 4 m.

m2 T °C um%

158 20 70

note

la diminuzione del numero di tini permette di liberare gli spazi di fronte alle aperture che possono così essere meglio utilizzate a vantaggio di una maggiore salubrità dell’aria e dell’uso di luce naturale.


9,75

255,00

251

3,50

0,60

5,45

2,50

conferimento diraspatura e spremitura

0,60 0,60

0,50

251

252

0,60

4,50

5,70

248

2,50

m2 T °C um%

67 ambiente esterna

note

data la posizione panoramica del manufatto e la sua conformazione tipologica a porticato, si prevede, ad esclusione del periodo di vendemmia, di liberarlo dai mezzi agricoli, destinandolo ad aria riservata a degustazioni all’aperto.

2,45 13,15 13,75 249,00

deposito

H 2,1 0 2,25

253,00

4,58

H 0,9 5 0,75

251,00

5,27

8,80

H 0,9 5 0,75

H 0,9 5 0,75

8,71

253,00

H 0,9 5 0,85

H 0,9 5 0,85

3,44

H 0,9 5 0,75

4,02

degustazione 255,00

m2 T °C um%

38 ambiente esterna

note

data la scarsa inerzia termica riscontrata nel manufatto, seppur recentemente ristrutturato, e data la sua posizione,si prevede l’uso come deposito in appoggio all’attività di conferimento, diraspatura e spremitura.

250,00

95

H 0,70 0,80

252,05

252,65

1,30

254 m slm

H 0,70

0 255,00

9,07

piante0,80

4 m. 3,46 18,30

0,60

H 0,70 0,80

252,70

8,56


deposito mezzi agricoli

m2 T °C um%

160 ambiente esterna

Locale della 1. barricaia che ha mantenuto la struttura originaria a volte a botte lunettata 242,50 20,95

3,40

0,65

3,45

0,65

3,35

6,40

0,40

1,35

0,74

0,65

0,65

7,20

1,35

12,15

11,46

8,86

243,00

1,34 H 1,44 1,20

6,40 4,45

0,85

242 m slm 0

241,60

7,26

H 2,44 1,00

8,86

H 2,44 1,20

241,70

0,65

241,60

7,56

1,34

H 1,44 1,20

pianta 4 m.


H 0,70 0,80

H 0,70 0,80

252,05

6,50

252,65

1,30

9,07

H 0,70 0,80

H 0,70 0,80 0,80

barricaia

4,86

H 0,70 0,80

H 0,70 0,80

8,56

0,80

252,70

4,50

3,46 18,30

255,00

8,70

1.

252,70

185 20 70-90

note

data la vocazione dell’ambiente a cantina, non sono previsti interventi ad esclusione di un miglioramento del comportamento termico dei serramenti. La vasca del terzo ambiente è liberata dalla funzione di stoccaggio che sosteneva in mancanza di altri spazi adeguati.

H 0,70 0,80 5,50

H 0,70 0,80

1,40

m2 T °C um%

H 1,70

H 2,89

3,71

2,58

3,81

H 0,70 0,80

H 0,70 0,80

H 2,36 H 1,95

tinaia 252,70

255,00

9,75

255,00

H 2,46

2,40 H 2,36 H 1,95 252,70

12,95

3,67 H 0,93 1,04

4,20

4,36

253,15

253,00

H 0,93 1,04

H 0,93 1,04 252,70

55 20 70

note

la dislocazione dei nuovi tini in tale manufatto soddisfa le necessità funzionali del programma, oltre a costituire una continuità sia spaziale (poichè vicina) che architettonica con la tinaia “storica”. 254 m slm 0

H 2,65 2,60

255,00

m2 T °C um%

piante 4 m.


intervento di nuova costruzione e scelte tecnologiche predisposte Alla quota di circa 242 m. slm si accede ai 315 mq previsti per ospitare le funzioni industriali. Nel dettaglio la porta di ingresso si apre fino ad una luce di 3,15 m per permettere l'ingresso dei mezzi di imbottigliamento o di carico e scarico al quale è destinato uno spazio di circa 30 mq, appena successivo all'ingresso, tenuto in genere libero per le operazioni di mobilitazione. A questo sono affiancati i servizi del locali, composti da una modesta area dedicata ai dipendenti (si prevedono armadietti e dispense), e da servizi igienici. Seguono l'area riservata a inscatolamento ed etichettature (35 mq), e quella per la lavorazione dei prodotti minori, quali olio e miele. Questi spazi operativi sono parzialmente separati dalla prima area di ingresso, tramite la struttura della scala, che costituisce più un ostacolo visivo che fisico. Poichè il collegamento all'ambiente superiore è previsto principalmente in funzione di un eventuale percorso di visita, considerando la cronologia dell'itinerario da seguire, in cui lo stoccaggio riveste l'ultimo step prima di tornare al locale dedito alla vendita diretta, la scala è concepita per essere utilizzata dal basso verso l'alto. Il cambiamento di asse tra il corpo sottotante e il superiore, è risolto con un basamento di due alzate, sul quale va ad innestarsi la struttura della scala con orientamento ovest-est, portata da una trave rampante centrale sulla quale poggiano i gradini e rivestita in legno e acciaio Cor-Ten. La movimentazioni del prodotto è facilitata dalla presenza di un ascensore abbastanza ampio da poter funzionare come montacarichi. Il volume adiacente leggermente traslato a nord, ma di pari


proporzioni, dedica i suoi 280 mq allo stoccaggio del vino, sia in bottiglia che in parte in tini (se necessario). L'ambiente è concepito per essere il più libero possibile da ostacoli, per questo si è cercato limitare la presenza di suddivisioni interne permanenti e quella di pilastri; ciò ha portato a dover superare luci massime di 8,80 metri. Dal punto di vista tecnologico questi volumi sono concepiti come una vasca in cemento armato: i muri perimetrali, che fungono in parte anche da sostegno per il terreno, sono un setto continuo dello spessore di 30 cm, che gira quasi ininterrottamente ad eccezione dell'apertura della porta di ingresso e della finestra speculare del volume a sud-est. Le fondazioni sono una platea dove l'isolamento dall'umidità di risalita è garantita da casseri a perdere che permettono la ventilazione del solaio. Uno scannafosso che gira per i tre lati del volume interrato garantiscono lo stesso isolamento ed una migliore ventilazione, grazie al prese d'aria che si aprono nel solaio in corrispondenza di aperture, e che vanno ad aggiungersi allo shed isolato e all'apertura finestrata già citata. La coibentazione necessaria per raggiungere l'efficienza termica è riservata a pannelli in sughero. La scelta di tale materiale, che soddisfa requisiti di sostenibilità, necessita, non essendo impermeabile, di un'attenzione particolare nei confronti della formazione di condensa interstiziale. Il sistema di copertura, al fine di evitare spessori proibitivi o travi eccessivamente ricalate da incidere sull'operatività dell'ambiente o sulla quota di sbancamento, è costituito da soletta in calcestruzzo armato dello spessore di 37 cm, dove possibile alleggerita secondo il sistema Cobiax. Questo è preferito rispetto a pannelli alveolari prefabbricati, che di fatto comporterebbero una semplificazione e un vantaggio economico di risparmio sui costi di mano d'opera, poiché comporta una lavorazione in cantiere che meglio si raccorda con le parti di solaio a soletta piena adiacenti il foro del vano scala e dello shed. Il risultato è una superficie continua in calcestruzzo all'intradosso, che può essere lasciata a vista, con un piacevole effetto estetico, così come non prevedono intonacatura alcuna i muri perimetrali. In

questo modo la tecnica costruttiva, che certo si discosta da quelle del sito, si mostra con sincerità all'interno del locale, mentre all'esterno un rivestimento lapideo in pietra locale, portato a spessori di 18 cm, fa sì che questo si raccordi mimeticamente al paesaggio rurale circostante. La pavimentazione industriale in resina (munita di canali di scolo), assicura una facile pulizia e le superfici pressoché continue bene si accostano all'effetto già garantito dal calcestruzzo a vista. Finiture come le cornici delle aperture sono pensate in pietra di Matraia, così come la pavimentazione della terrazza panoramica che funziona da copertura del volume addossato (ciò in funzione di una logica di continuità con la tradizione del luogo). Lo shed isolato si innesta nella parte più a nord dell'edificio. A pianta circa quadrata, riprende orientamento e finiture del locale degustazione, ed è ispezionabile alla stessa sua quota di calpestio (a 246 m. slm). Raggiunge un altezza massima di 2,48 m, ed ha una copertura a falda unica inclinata di 15° (circa il 30%) discendente verso il lato sud, in modo che l'apertura atta a permettere illuminazione naturale indiretta e ricambio d'aria sia esposta a nord. Il sistema di oscuramento della stessa è composto da una doppia anta scorrevole in acciaio Cor-Ten, che, assimilabile ad una porta, alimenta l'impressione voluta di un edificio isolato di modeste dimensioni. La scelta per le finiture di acciaio Cor-Ten, che riprende anche tutti gli arredi esterni come le sedute e i sistemi di illuminazione, è dipesa da gusto estetico (per il suo aspetto rugginoso ben si inserisce in un contesto agreste), oltre che dai noti vantaggi pratici di manutenzione.

99


Al locale superiore si accede, come precedentemente accennato, in tre diversi modi: dal locale stoccaggio tramite scale e sistema meccanizzato (secondario), e dalla salita pedonale, che sfrutta il percorso esistente creando a circa metà dello stesso un piazzale lastricato in cotto posato a martello, che si collega alla facciata del locale. Questo spazio, concepito indipendente sia visivamente che dal punto di vista funzionale, ha proporzioni leggermente più snelle dei sottostanti volumi; richiama per forma e copertura gli edifici agricoli a capanna, con i quali vuole confrontarsi e dialogare mantenendo la propria contemporaneità. E lo fa anche attraverso il rivestimento in laterizio pieno, il cui utilizzo è estremizzato sia perché rigirato con soluzione di continuità in modo da farlo divenire sistema di copertura, sia perché utilizzato per ricreare nella parete sud un richiamo al sistema costruttivo della "mandolata", carattere indiscutibile delle costruzioni agricole del sito e che ha segnato in modo indelebile l'architettura rurale della lucchesia. Attraverso una rientranza della facciata di ingresso si accede al vano, concepito come uno spazio aperto e libero da sostegni, interrotto unicamente dalle pareti che contengono i servizi, sul fondo. Le funzioni previste, in ordine di percorso, sono: uno spazio ristoro dove possano essere consumati prodotti in accostamento alla degustazione del vino, e servito da una cucina a scomparsa posta in una nicchia ricavata a ridosso della parete di facciata; a questo spazio si accosta quello riservato all'esposizione dei prodotti, mentre per gran parte della lunghezza della sala sono disposte sedute e piani di appoggio per la degustazione. I locali di servizio comportano un restringimento del locale, che viene in questo modo diviso in due distinti vani, creando sul fondo una piccola saletta degustazione dove si apre una parete completamente vetrata sullo scorcio

100

panoramico dei vigneti, quasi a far apparire l'edifico per la degustazione come un cannocchiale visivo. Di questo si ha un' anticipazione appena varcata la soglia di ingresso, grazie ad un lungo percorso visivo che corre libero fino alla stessa (anche se non percorribile per la presenza del vano scala). In contrapposizione alla parete nord interamente cieca e intonacata liscia, vi è una parete sud completamente vetrata ed apribile grazie ad ante scorrevoli per l'areazione e la manutenzione della stessa. L'irraggiamento eccessivo è smorzato notevolmente dalla giustapposizione di una parete"mandolata" in blocchi di laterizio che posti l'uno sull'altro ad una distanza di circa 5 cm per tutta la lunghezza, creano l'effetto suggestivo della luce che penetra da fessure, e suggeriscono la presenza dell'ambiente esterno, visibile in realtà solo dalla parete est. La distanza variabile tra il sistema vetrato e la parete frangisole, va a creare così un vano che per esposizione e caratteristiche riveste il ruolo di serra solare, ovvero contribuisce alla climatizzazione dell'ambiente impedendone l'irraggiamento diretto e accumulando calore nelle ore diurne che può rilasciare durante le ore notturne, a favore di valori costanti di temperatura. Oltre ad una esasperazione del concetto di mandolata, dovuta al fatto che questa venga riproposta in proporzioni ingigantite rispetto agli esempi tradizionali, interessando con soluzione di continuità una parete di circa 4 metri di altezza per una lunghezza di 20 metri, si perde la complanarità degli elementi costruttivi che la compongono, pensati per dar luogo ad una parete organica, caratterizzata da andamento sinuoso variabile in quota, fino ad una ricongiunzione rettilinea con la copertura all'altezza di gronda.


101


0

2 m.

p terra

pianta

imbottigliamento inscatolamento etichettatura

stoccaggio

1. Ingresso dello stoccaggio e scala di collegamento alla degustazione

102

m2 T °C um%

315 20 70

note

per motivi igienici l’imbottigliamento viene fatto con l’ausilio di mezzi mobili di cui si prevede il parziale ingresso nella zona di entrata, per permettere la mobilitazione del prodotto al riparo da agenti atmosferici. Il locale è riservato inoltre a tutti i processi di lavorazione di olio e miele.


21,54 241,60 0,30

19,98

0,78

7,17

8,90

9,04

8,60

8,90

9,82

4,71

19,00

H 2,30 3,15

8,42

4 3,20

241,70

3,16

H 2,30 3,15

5,34

5,80

0,78

0,63

0,78

7,96

5,70

5

2

241,70

8,10

1.

H 3,30 3,15

1

241,60

2

3,64

1,80

0,86

1,62

2,37

6

4,17

7 3,05

3 2,11

9,30

H 2,30 3,15

12,67

0,99

19,05 20,25

241,60

2,79

1,90

0,70

ingresso mobilitazione mezzi di imbottigliamento spazio dipendenti stoccaggio inscatolamento ed etichettatura stoccaggio olio e miele toilette

1 2 3 4 5 6 7


Le motivazioni che hanno mosso lo sviluppo di questa idea sono molteplici. Innanzi tutto per la posizione ed il suo orientamento (frontale e a confronto della facciata principale della villa), costituendo il primo impatto a livello visivo che l'ipotetico visitatore ha sui locali della cantina, si pone con una forte valenza simbolica e di immagine della stessa, per cui si è concentrata su di essa una maggiore attenzione, esaltata anche dalla contrastante sobrietà con cui sono trattati gli altri prospetti. Obbiettivo fondamentale è stato riuscire a richiamare sistemi costruttivi rurali senza ricadere nella banalità di una mimesi con essi, cercando di reinterpretare in chiave personale e quindi odierna, il linguaggio suggerito dalle architetture di Valgiano. In questo contesto, pur risolta dal punto di vista costruttivo con metodi di fatto tradizionali, si è proposta una soluzione che riveli la propria appartenenza tramite una complessità risolvibile di fatto in modo pratico con sistemi computerizzati, che ne facilitano le operazioni altrimenti cavillose. Dal punto di vista tecnologico sono previste tre diverse tipologie di sostegno interconnesse: una prima armatura longitudinale composta da una schiera di tondini appositamente modellati in laboratorio secondo la particolare curvatura da assecondare, che rappresentano l'armatura della muratura e che vanno ad inserirsi nei fori predisposti dei mattoni in laterizio (due ferri per ciascun blocco), riempiti poi da malta cementizia. I ferri sono trattenuti alle estremità da piastre in acciaio, che vanno ad ancorarsi in basso al solaio e in entrambi gli estremi, ai dieci profili accoppiati ad L, che seguendo l'andamento stesso della parete nei tratti in cui questa è appoggiata (dunque modellati specificatamente in officina), fungono da ulteriore sostegno puntuale per la stessa, ma in particolare funzionano da collegamento con la terza struttura. Questa suddivide la lunghezza da coprire in otto campi , secondo la suddivisione suggerita dalle aperture vetrate a cui fa essa stessa da scheletro, ricoprendo così una doppia valenza. Montanti scatolari sono alternati a pilastri veri e propri in acciaio, che costituiscono la struttura portante dell'edificio. Il collegamento e la loro collaborazione è assicurato da quattro ordini di tondini che li congiungono trasversal104



mente e da sistemi di controvento. La complessità della progettazione fa sì che il prototipo rappresentato ne tracci più un'idea progettuale che sarebbe interessante verificare ulteriormente. Il sistema portante del locale è una struttura a scheletro indipendente con pilastri in cemento armato e tamponamenti il laterizio alveolare. La presenza di un forte aggetto (la cui luce è variabile dai 5,5 ai 3,5 metri) è risolta tramite il sistema di solaio Cobiax, utilizzato per la copertura dei vani sottostanti e di cui costituisce la naturale continuità. Lo stesso sistema è utilizzato in copertura per permettere l'estromissione di pilastri centrali che sorreggano la stessa, senza gravare sullo spessore del pacchetto. Anche qui la coibentazione è garantita da pannelli in sughero che avvolgono la struttura e i tamponamenti. La scelta del medesimo sistema di rivestimento per le pareti verticali, per la copertura e per le parti orizzontali "appese" (nell'aggetto del volume e nella rientranza di ingresso) ha necessitato di particolari accorgimenti. Il rivestimento è composto nei primi due casi da semiblocchi in laterizio pieno, dello spessore quindi di 5,5 cm, sorretti da strutture lineari di montanti in acciaio, che hanno la doppia funzione di fissare sia i pannelli isolanti che il rivestimento alla struttura principale. Spessori minimi di malta cementizia vanno a riempire i corsi, mirando a richiamare il più possibile una muratura piena vera e propria. Per non spezzare eccessivamente l'effetto di continuità voluto, i profili per la raccolta dell'acqua (in acciaio Cor-Ten) sono incassati e profilati in modo da costituire il proseguimento sia delle pareti verticali che della copertura inclinata di 15°e fungere così da ideale cerniera di congiunzione. La pesantezza del rivestimento, che è fissato solo puntualmente alla struttura principale e per il resto incollato, non garantisce la sicurezza ottimale nei sistemi di rivestimento orizzontali appesi. Per cui in questi tratti sono stati predisposti tavelloni ancorati puntualmente alla struttura, sui quali incollare il rivestimento in laterizio dello spessore di 1,5 cm (quindi da una parte già notevolmente più leggero, a discapito di una più elevata rigidità della

posa) e la cui presa è maggiormente garantita nel tempo dalle identiche caratteristiche di ritiro termico delle tavelle e delle piastrelle. A contrasto con la pienezza delle facciate, l'interno è caratterizzato dalla linearità e dalla pulizia delle superfici delle pareti perimetrali e del soffitto, rispettivamente intonacate le une e rivestite in cartongesso le altre per permettere nello spessore del controsoffitto di incassare impianti e illuminazione. La bucatura del vano scala risponde invece alla sinuosità della parete frangisole, ed è contrassegnata a pavimento da rivestimento in pietra di Matraia che la confina nei suoi lati minori. L'altro materiale che domina l'ambiente è il legno di pavimentazione e arredo, lasciato volutamente grezzo per permettere di segnarsi nel tempo. Tutti i sistemi di apertura prevedono serramenti in acciaio Cor-Ten, materiale utilizzato anche nelle strutture a vista e nella copertina di rivestimento che fa da cornice alla parete vetrata ad est. Il pavimento galleggiante, il cui dislivello è necessario per ottenere il salto di quota con l'esterno, è sfruttato per il passaggio di impianti e del sistema di climatizzazione. La funzione di rappresentanza che riveste questo locale, la cui superficie modesta è di circa 100 mq, è ricercata più nell'attenzione ai particolari e ai segni che vanno ad inciderla, piuttosto che nel lusso dei materiali o degli arredi. Ciò riflette non tanto l'eccellenza del prodotto della Tenuta di Valgiano, quanto l'origine dello stesso, che nasce da una modesta realtà, il cui obbiettivo è però elevato.

0

p primo

106

2 m.

pianta


245,90

1,44

6,20 5,02

4,48 3,80

0,52

H 2,60 1,40

1,00

1,66

H 3,20 1,74 H 1,40 1,76

246,00

H 3,20 1,74

245,90

3,88

4,92 245,90

4,20

245,96

246,00 H 1,40 1,76

0,52

1,12

12,33

H 3,20 2,06

note

il manufatto emergente, paragonabile per dimensioni ad un edificio agricolo di servizio, funziona da vera e propria apertura shed per l’areazione e l’illuminazione naturale indiretta del sottostante locale di stoccaggio. Tale funzione ne ha determinato la conformazione e l’orientamento. Il locale è ispezionabile grazie ad una griglia calpestabile.

m2 T °C um%

15 20 70

20,00

18,93

5,85

H 3,20 2,06

H 3,20 2,06

H 3,20 2,06 1,66

4,54

4,00

H 3,20 2,50

H 2,10 0,90

1,90

0,57 0,16

1,80

H 2,10 0,90

102 20 70

2,01 0,15

2,40

m2 T °C um%

1,75

H 3,20 2,50

2,20

H 1,86 1,40

2,20

1,38

6,04 8,12

0,70

degustazione vendita al pubblico

stoccaggio


prospetto sud

s


0

sud

2 m.


0

2 m.

nord 1

2

0

ovest

1

2

110

2 m.


0

2 m.

est

1 laterizio

2 cor-ten

1 pietra locale

111


1.

Sala degustazione

112


1.

2.

2.

113


4,51

piante strutturali

4,83

4,76

6,97

0

4 m.

p terra

1:200

114


4,40 4,75

4,75

3,79

0,96

4,08

4,45

5,21

8,91

5,88

4,45

6,97

1,11

2,06

4,10

5,20

5,46

1,70

4,60

1,53

1,15

2,20

2,20

6,66

115

0

4 m.

p primo

1:200


0

sezione longitudinale

116

2 m.


2,11

3,63

3,54

4,36

2,59

0,71

0,67

3,40

241,70

241

117 4,18

3,82

1,47

0,74

1:5

A B

245,90

241,60


1

0

particolare A 2 3 4

5

6 7 8 9

10

A

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11

copertura in laterizio pieno 25 x 5,5 x 5,5 cm malta cementizia di allettamento 1cm guaina impermeabilizzante 0,6 cm massetto di pendenza in CLS alleggerito 7cm isolante in sughero espanso puro 10 cm solaio in ca con alleggerimento tipo Cobiax 37 cm (gamma Eco-line, sfere cave in polietilene Ό 26 cm) profilo scatolare in acciaio 15 x 15 x 0,54 cm intercapedine d’aria 24 cm profilo scatolare per il sostegno del controsoffitto 5 x 5 x 0,29 cm lastra in cartongesso 1,5 cm lastra doppia in cartongesso 3 cm

118

50cm. 1:20


0

particolare B 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11

B 12 13 14 15

6 4

4 16 17

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17

copertina in acciaio Cor-Ten sp 0,40 cm rivestimento in laterizio pieno 25 x 5,5 x 5,5 cm malta cementizia sp 0,3 cm profilo a L per il sostegno del rivestimento sp 0,4 cm isolante in sughero espanso puro 10 cm ancoraggio puntuale alla struttura profili sagomati in acciaio di sostegno lastra sagomata di rivestimento in acciao Cor-Ten sp 0,5 cm piastra di ancoraggio montante scatolare in acciaio Cor-Ten per facciata strutturale 35 x 8 x 0,8 cm pavimentazione in legno rovere sp 1 cm supporto verticale per pavimento galleggiante in acciaio zincato H 25 cm pannello di sostegno in truciolare ad alta densitĂ sp 4 cm vetrocamera in lastre temprate e stratificate 1,6 - 3 -1,6 cm infisso a taglio termico per facciata strutturale in acciaio Cor-Ten, non apribile tavelle in laterizio 60 x 25 x 3 cm rivestimento in laterizio incollato 25 x 5,5 x 1,5 cm

119

50cm. 1:20


parete mandolata

generatrici

+

120

=


III

9

8

7*

6

5

4

3*

2 *

1

si sfruttano i pilastri della struttura principale

II

10

armatura

9

I

ÎŚ 2 cm i =15 cm

0

sezione

50 cm. 1:20

8

7

6

5

4

3

2

1


0

A

sezione trasversale

B

122

100 cm.

A

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

canale di raccolta in acciaio Cor-Ten sp 0,7 cm dado di fissaggio in acciaio Inox Φ foro 22 mm piastra di ancoraggio sp 1,4 cm mattone semipieno % foratura ≤ 17 armatura principale longitudinale Φ long 2 cm montante di sostegno, profilo a 2L sagomato sp 1 cm armatura secondaria trasversale Φ trasv 3 cm sp 0,4 cm malta cementizia di riempimento vetrocamera in lastre temprate e stratificate 1,2 - 3 - 1,2 montante profilo scatolare di sostegno alla parete e alle pareti mandolata e vetrata


A

0

25 cm.

1:10

1 2

3 4 5 6

7

8

9

10


B 1 2 3 4 5 6 7 8

124

infisso scorrevole a taglio termico in acciaio Cor-Ten profilo a C per il fissaggio del serramento in acciao sp 1,6 cm finitura in resina impermeabilizzante sp 0,5 cm massetto di pendenza in CLS alleggerito sp 16 cm canale di scolo in acciaio Cor-Ten sp 0,6 cm piastra di ancoraggio sp 1,4 cm soletta piena in CA profilo a L per il sostegno del rivestimento sp 0,4 cm


B 0

25 cm. 1:10

1

2 3 4 5 6

7

8


4.

2.

1. 1.

2.

126

3.


3.




conclusioni

L'intervento proposto risponde alla volontà di allacciare un'architettura permeata di un linguaggio storico e rurale, con quello più contemporaneo di nuova edificazione, servendosi di elementi materici e formali preesistenti, ma rielaborandoli con linguaggio personale. Simultaneamente non si è persa la ricercatezza dell'inserimento dell'edificio nel particolare contesto morfologico e storico, rispettando appieno le gerarchie grazie alla possibilità di sfruttare l'andamento del terreno e confrontandosi con le proporzioni dei fabbricati circostanti. E' stato così evitato un inserimento che comparisse come semplice addizione, evitando ogni sorta di interferenza o contaminazione. La scelta del sito ha permesso una ridistribuzione delle diverse funzioni di produzione rispondendo alla richiesta specifica di suddividerle localmente per categorie (creative, industriali) ed evitando di incidere il territorio con nuovi tracciati stradali. Il nuovo programma ha inoltre rispettato la storicità di alcuni ambienti dedicati a particolari usi, toccando tali locali in modo minimale, provvedendo esclusivamente ad una ridistribuzione interna o a interventi di manutenzione ordinaria; tutte le emergenze riscontrate in termini di superfici necessarie sono state comunque rispettate e l'inserimento della funzione commerciale, in risposta a esigenze turistiche e di marketing oggi non tralasciabili, ha mantenuto dimensioni discrete ed un impatto mitigato, a riflesso della realtà aziendale che punta all'eccellenza senza sfruttare operazioni di pura immagine, che non parlino il linguaggio della Tenuta e di Valgiano. La poetica aziendale è stata cioè letta ed interpretata in modo da poterla esaltare con scelte progettuali che non ne minassero la sostanza; in questa ottica si giustifica la mancanza di locali dedicati alle prime lavorazioni.

Dal punto di vista tecnologico il progetto ha risposo a richieste contemporanee mediante metodi tradizionali, da cui l'uso di materiali consueti e la preferenza per lavorazioni in cantiere; scelta che sottolinea il carattere "personalizzato" e non seriale della soluzione progettuale.


4.

131




bibliografia analitica

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Paesaggio e architettura rurale: <http://www.paesaggio.nt/cantine.asp> Data di ultima consultazione 08 Gennaio 2012

L'AcquaBuona :<http://www.acquabuona.it/2008/12/saverio-petrilli-biodinamica-una-mia-visione-personale/> Data di ultima consultazione 30 Agosto 2012

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Sorgente del vino : <http://www.sorgentedelvino.it/lagricoltura-e-lattivita-umana-con-il-piu-grande-impatto-ambientale> <http://www.sorgentedelvino.it/terroir-step-2> Data di ultima consultazione 30 Agosto 2012

S.I.T. Comune di Capannori : <http://www.comune.capannori.lu.it/node/4829> Data di ultima consultazione 02 Novembre 2011

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Tenuta di Valgiano: <http://www.valgiano.it> <http://www.valgiano.it/pdf/rassegna_stampa/92_valgiano%20ita.pdf> <http://www.valgiano.it/pdf/rassegna_stampa/109_slow-wine.pdf> Data di ultima consultazione 30 Agosto 2012

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Data di ultima consultazione 28 Agosto 2012

135


referenze per le immagini

12 15 16 17 18

38 39 61

62 63 80 120

sito internet <http://villagiulia.beniculturali.it/index.php?it/96/percorsi-tematici/5/0/0> <http://it.paperblog.com/breve-storia-di-bacco-296385/> sito internet <http://www.enoicheillusioni.com/2010/01/architetti-al-servizio-della-vinificazione6-bodegas-ysios/> <http://www.archimagazine.com/abopetra.htm> CHIORINO, Francesca. Architettura e vino. Nuove cantine e il culto del vino. Milano, Mondadori Electa Ed. 2008 sito internet <http://www.tumblr.com/tagged/dominus-winery#> CHIORINO, Francesca. Architettura e vino. Nuove cantine e il culto del vino. Milano, Mondadori Electa Ed. 2008 Ibid Ibid sito internet <http://www.archdaily.com/5524/loisium-hotel-steven-holl/> sito internet <http://www.telegraph.co.uk/foodanddrink/wine/6761926/Wine-trends-of-the-Noughties.html> BEDINI, Gilberto. Le ville di Lucca. Lucca, Idea Books Ed. 2003 Ibid BEDINI G.,GHILARDUCI G.,MARTINELLI M., PETRONI G.,TORI G. Segromigno. Storia e territorio. Lucca, Publi Ed. 2009 sito internet <http://www.valgiano.it/pdf/rassegna_stampa/92_valgiano%20ita.pdf> Ibid Ibid Ibid Ibid sito internet <http://www.gqitalia.it/moda/articles/2011/1/gli-scatti-di-scianna-per-fratelli-rossetti> sito internet <http://www.architetturadipietra.it/wp/?p=4194>



tavole allegate









UniversitĂ di Pisa FacoltĂ di Ingegneria Corso di Laurea Specialistica in Ingegneria Edile-Architettura Tesi di laurea Prof.Arch. Giorgio Croatto Prof.Ing. Massimo Dringoli Prof.Ing. Massimo Fiorido Dott. in viticoltura ed enologia Saverio Petrilli anno accademico 2011|2012


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