3 minute read
L’ORA DI RELIGIONE
Seconda riflessione sulla crisi
Il Signore prende per mano il profeta Ezechiele (Cfr Ez 37,1-14) e lo porta nello spirito in una pianura piena di ossa inaridite, le ossa del suo popolo. Anche noi ci troviamo, nei momenti di lucidità spirituale, di fronte a questi panorami nella storia, qualche volta anche materialmente, se pensiamo alle fosse comuni dei lager, ai musei degli orrori in Cambogia o, più indietro nel tempo, alle piramidi di teschi di Tamerlano o ai filari di crocifissi con cui gli imperatori romani decoravano i bordi
Advertisement
a cura di Don Giuseppe Guaglio
delle strade. Le vittime della storia, e prima o poi lo siamo tutti, la rendono una pianura di scheletri. Poi Dio pone una domanda al profeta: “potranno queste ossa rivivere?”. Questa domanda ci provoca profondamente. Provoca il nostro pessimismo rassegnato, la mancanza di prospettive per la quale cerchiamo di accaparrare risorse e di sopravvivere ad ogni costo, senza solidarietà alcuna, soprattutto con le giovani generazioni. Dopo la crisi dei partiti è in pieno svolgimento anche la crisi dei movimenti, religiosi o laici che siano. I “cittadini” - salvo eccezioni e residuati - non si mettono più a servizio di una causa, mi pare, ma pongono tutto, anche le cause che vanno di moda, al servizio di se stessi. A volte con contraddizioni stupefacenti, come leggiamo sui giornali ogni giorno. Ci illudiamo di essere vivi su una pianura di ossa. Come noi il profeta, senza prospettive, risponde: “Signore Dio, tu lo sai”. E chi non crede non sa neppure a chi esprimere il proprio pessimismo rassegnato. Non ha più nemmeno un Dio a cui rilanciare la palla. Allora il Signore lo fa profetizzare alle ossa. La parola di Dio è anche per loro. L’umanità morta interiormente e ossificata riceve il
53
L’ORA DI RELIGIONE
messaggio di Dio. La parola di Dio non chiede precondizioni per la sua efficacia. Persino i resti della sconfitta apparentemente definitiva la ricevono. “Ecco, io faccio entrare in voi lo Spirito e rivivrete … Saprete che io sono il Signore”. La vita viene predicata ai morti. Quando tutte le speranze umane, personali e storiche, sono nullificate e inaridite, in modo sorprendente il profeta è spinto da Dio a predicare una vita nuova. Ecco la visione interiore che ci provoca: non l’ennesimo progetto vuoto per rastrellare risorse, non l’ennesimo sogno o l’ennesima relazione virtuale. La vita interiore che lo Spirito ci infonde. L’amore che non progetta ma genera. Il profeta obbedisce e le carcasse si ricompongono, ma ancora non vivono. Allora Dio invita il profeta ad un secondo annuncio: “Così dice il Signore Dio: Spirito, vieni dai quattro venti e soffia su questi morti, perché rivivano”. La vita è di Dio ed è ovunque ed entra nelle ossa morte e nelle carcasse ricomposte. L’umanità è rigenerata e ritrova prospettive. Sono un regalo di Dio, non sono i disegni aridi tracciati da ossa aride. Le ossa allora rivivono e diventano un immenso esercito. L’umanità è ricomposta. Nel caso del profeta il popolo di Dio è ricomposto. Infine Dio svela il significato della visione al profeta. Il popolo di Israele dice: “Le nostre ossa sono inaridite, la nostra speranza è svanita, noi siamo perduti”. Quante volte abbiamo sentito ripetere questo ritornello? Quanto volte ci è risuonato dentro? Lo Spirito suona in noi una diversa canzone, in cui non conta il nostro Io rigonfio ma la relazione con gli altri, ogni tipo di relazione che si trasforma nell’amore in realizzazione. Allora, conclude la visione, sapranno che Dio è il Signore perché risorgeranno e lo Spirito entrerà dentro di loro a farli rivivere e riposeranno nella loro terra, come il mondo riposò con Dio al termine della creazione. La terra ritorna ad essere patria e la fatica di vivere diviene riposo. Questo è il messaggio di Ezechiele ad un popolo sconfitto e senza prospettive. Questo è il messaggio che viene verso di noi al tempo della crisi e ci può far rinascere. Un mondo senza profeti è solo un mondo di dispositivi per difendersi e di rituali omologanti per illudersi a qualunque costo di essere vivi. Il senso della vita è altrove ma ci provoca sempre senza stancarsi.