ALIAS_Giorgio Faletti

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genova


giorgio faletti alias

Si ringrazia il Comune di Alassio con l’Assessore alla Cultura Monica Zioni.

25 novembre 2010 | 15 gennaio 2011 Genova Ellequadro Documenti | Palazzo Ducale e Alassio Ex Chiesa Anglicana via Adelasia, 10 Alias - Mostra e Monografia Tecniche miste 2009/2010 Il titolo e la sua veste grafica sono stati ideati direttamente dall’Artista Introduzione | Tiziana Leopizzi Testo critico | Martina Corgnati Testo Alassio | Nicola Davide Angerame Cover | Emanuele Marighella Foto | Mingo Pasquale - Nicolò Puppo Riprese video | Giorgio Angerame Progetto, organizzazione, cordinamento della mostra Progetto allestimenti, Ufficio stampa Progetto editoriale e grafica Ellequadro Documenti | www.ellequadro.com

Finito di stampare novembre 2010 da Ellequadro Events s.r.l. con i tipi di Essegraph Genova Palazzo Ducale 44-46r 16123 Genova Tel. +39 010 2474544 Fax +39 010 24744 75 m. +39 348 335 85 30 - 327 4053116 w w w . e l l e q u a d r o . c o m events@ellequadro.com Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa, in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione dei proprietari dei diritti e dell’ editore.

Un particolare ringraziamento a Roberta Bellesini e inoltre a Baldini Castoldi e Dalai editore per il prestito dei libri per GeoDi e ancora a Diego Collareda, Filippo Guglielmone, Delia e Giovanni Marchesi, Mario Rivaro, Maide, ai collezionisti e a tutti coloro che hanno reso possibile, in forme diverse, la realizzazione dell’iniziativa.


...finalmente “lib(e)ro!”. Ora la fantasia può salpare a vele spiegate per l’isola, la sua “isola” dai colori dell’arcobaleno dove lo attende la pittura che chiede spazio, aria, e che irrompe... E lui l’accoglie stuzzicandola con le parole la musica i titoli le pagine dei quotidiani ma anche i telefonini le tastiere i micro alani i pinguini gli aerei le bandiere le stelle le strisce i colori dei veri valori, come morte, vita, rimpianti o i rimorsi, in una sperimentazione continua che incredibilmente non balbetta ma dialoga sicura con gli Alias di questa creatività incoercibile. E la pittura figlia di un’unica vis creativa plana in un trillo giocoso su questi “capitoli” di una storia infinita - altri - scritti con un altro alfabeto: dipinti intrisi di poesia dove il lirismo si coniuga con l’umorismo, a volte tragico, con un’ironia velata di una tristezza fisiologica che così colma lo iato terra cielo mentre il tempo si dilata nelle spire di questa creazione che si concretizza in fisionomie sempre diverse e stupefacenti. Tutto questo accade ora, mentre il concetto di specializzazione estrema, ossessiva direi, si è impadronito a tal punto del sapere e del sentire comune che un approccio rinascimentale all’esistenza oggi appare fuori luogo. Viene archiviato come ingenuo, impossibile, donchisciottesco, utopico se non superficiale o addirittura sospetto perché ai nostri giorni una personalità dotata di versatilità contraddice l’animus di questo nostro tempo. Giorgio Faletti al contrario ne è l’emblema inconsapevole: e proprio la Società che ha voluto dimenticare o disattendere la propria identità, perdendo ciò che ha di più prezioso, è il suo interlocutore affascinato. Il suo modus ci indica con semplicità un approccio al quotidiano più attento ai bisbigli del nostro io più profondo: il bambino che è in noi e con cui è fondamentale dialogare per recuperare la voglia di giocare, di sperimentare, di provare stupore, curiosità, con umorismo e autoironia scudieri vincenti di “un’umanità disperata, ma non seria”. Suggerimento tanto più prezioso oggi dove il contrabbando di facili “Felicità” fa confondere, con risultati nefasti, l’apparire con l’essere… Ed è libero di... ricominiciare!

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Tiziana Leopizzi


Zona di operazioni Un mig da combattimento, perfettamente equipaggiato con il suo cannone automatico N-37, collimatore giroscopico e cinemitragliatrice, sorvola rapido l’immensa vastità dell’oceano. Osservato dall’alto, il suo volo regolare appare in tutto e per tutto simile a quello di un grosso albatros che, sfruttando le correnti in quota, vada planando senza mai muovere le ali lunghe e affusolate. La sua livrea mimetica, lo smalto blu notte che riveste la calotta metallica superiore, ne sfila i contorni e lo rende quasi indistinguibile dalle onde. D’altra parte vista così, da lontano, la superficie del mare non appare meno mossa e tormentata di quella terrestre, con colline e abissi, conche e valli scure, rilievi capricciosi e tormentati che lo sguardo legge come in trasparenza. C’è un’immensa ma sottile malinconia nella contemplazione di un aereo da guerra che sorvola il mare. Sembra soltanto una scaglia di paesaggio sottratta all’insieme, benigna, un frammento luminoso che non interrompe l’armonia di quel vuoto senza posa. Esso, invece, è lì per uccidere e sta addentrandosi in territorio nemico. È un pericoloso alieno, un distruttore, un antagonista; non appartiene alla natura e in fondo neppure agli uomini che in qualche momento, forse non lontano, ne subiranno e ne hanno appena subito l’attacco micidiale. Oppure no: i giochi sono ancora tutti da fare e questa volta l’aeromobile misterioso sta segretamente accompagnando il nostro eroe verso il centro che lo vedrà operativo. È un bimotore, dall’elegante silhouette rossa e si muove con apparente lentezza su un cielo azzurro pallido chiazzato di nuvolette leggere. È un volo di linea? All’ombra della sua scia, al momento, si intravede solo l’orizzonte perfetto della calotta polare, orizzonte matematico e incolore, al riparo del quale due pinguini ben pasciuti sembrano rivolgere al velivolo uno sguardo pieno di perplessità o di desiderio (The dream). Ma sarà così veramente? Tutto dipende dal punto di vista. Come una semplice macchia (New York Symphony) che, dilatandosi, diventa un magico leopardo che risucchia il delirio di Corto Maltese e lo illumina su stregoni e trafficanti di schiavi, per rifugiarsi poi nuovamente in un punto d’inchiostro (sono Le Etiopiche di Hugo Pratt); così, il nostro aereo blu cobalto sospeso sul mar dei coralli (Blue flight) o in quota sui ghiacci dell’Antartide, osservato altrimenti si rivela un giocattolo in miniatura, un modellino di plastica fissato a una tela dipinta. Sì, perché stiamo parlando di pittura e stiamo parlando di Giorgio Faletti che, da qualche tempo a questa parte, ha scoperto nella tela e nei colori un nuovo campo d’intervento in cui esercitare il suo talento polimorfo e versatile. A mio parere, le opere da lui realizzate fino a questo momento possono essere approssimativamente divise in due grandi gruppi, entrambi generati dal “brodo primordiale” delle New York Symphonies, in base al soggetto e all’impostazione spaziale: propongo di chiamare le prime “paesaggi in codice”, mentre le seconde ricadono nel genere delle “bandiere” o meglio della “oggettistica”. Paesaggi in codice Chi guarda questi lavori è tenuto a decifrare ogni volta una specie di rebus, mantenendo una visione “elastica”, cioè disponibile a considerare contemporaneamente punti di vista diversi e persino antitetici. Infatti, in un certo senso, i paesaggi in codice mimano spesso l’effetto di vedute colte a volo d’uccello, dalla perpendicolare, quasi come fotografie aeree: Giorgio Faletti concepisce

e mette in atto qui un campo totale, il set di un’azione, il piano di una strategia concepita molto seriamente ma anche per gioco. In fondo tutta l’arte, di qualunque tempo, contiene un elemento ludico, il piacere di un’azione inventata e gratuita: ma per Faletti questa attitudine è addirittura fondamentale. La superficie diventa per lui, di volta in volta, un “facciamo come se” e dunque il luogo designato,

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fa da contrappunto la zebra giocattolo che ci sta esattamente di fronte, “supponendo” non una superficie, ma una specie di veduta prospettica. La contraddizione, evidentemente, piace a Faletti, che produce apposta veri e propri corto-circuiti percettivi e di senso, inventandosi continue rotte di collisione fra personaggi, campo pittorico e linea interpretativa presentata dal titolo: Check Pointer Charlie per esempio, è francamente comico, con il caccia da combattimento che avanza con decisione, attraverso nubi di pittura sfrangiata e biancastra, in direzione del “check” che, in questo caso, non è la Friedrichstrasse a Berlino ma il modellino di un cane, pointer o alano poco importa, che appunto si fa “point”: meta, sfizio di assonanze e associazioni liberate e ironiche di un gioco tutto linguistico. Altrove invece, in The promised land o ancora nella serie Zebra Code, l’interferenza fra i vari elementi miniaturizzati e la superficie provoca effetti di straniamento soprattutto pittorici e non privi di risonanze, se mi si consente l’aggettivo, quasi malinconiche. Fa questo effetto, per esempio, quella striscia rossa annegata nel bianco: appunto la terra promessa, per via dell’affinità elettiva cromatica, che l’aereo ugualmente rosso non raggiungerà mai ma verso cui irresistibilmente tende, con la stessa forza a-logica che attira l’ago della calamita verso il nord magnetico. Oppure il misterioso Code della zebra che, da strumento di classificazione postale, pratica di smaltimento e di organizzazione, diviene un misterioso e quasi arcaico segnale, annunciato dalla presenza icastica e totemica della zebra, sovrana indiscussa di una sinfonica trilogia in bianco e nero. Infine, visibile nella collezione MISA The Hub-The Art Puzzle, forse un omaggio all’arcinoto pezzo dei Led Zeppelin, hit che, dal 1971 in avanti, spopola nelle menti e nei riproduttori acustici e digitali dei rockettari di tutto il mondo, nell’interpretazione di Giorgio Faletti

il teatro di un’immagine spalancata su potenzialità narrative ed evocative ancora tutte da definire. Quindi, in un certo senso, uno sfondo in cerca del soggetto principale, un paesaggio. L’artista si sofferma sui suoi effetti ed asperità grazie all’inserimento sistematico di carte e di frammenti a collage che increspano la pianura del colore, la vivificano di rilievi e profondità inattese. Blue flight, per esempio, o Blue flight–alpha sono radianti di innumerevoli toni diversi, dall’oltremare, all’azzurro, dall’acquamarina al verde e persino al nero. In trasparenza affiora un foglio da musica, traccia di un’altra passione e di un altro codice creativo. Le pieghettature della carta suggeriscono onde lunghe e oceaniche, le macchie gli abissi marini. L’artista fa riferimento a modi e tecniche dell’informale ma li utilizza senza dogmi né pretese, anzi con una certa disincantata leggerezza che gli consente di sfuggire a tutte le etichette e di muoversi piuttosto trasversalmente, guidato da un immenso piacere della pittura, tutto fisico e concreto, a base di colle, pigmenti, colore, manipolati, toccati, goduti: blu radiante, rosso acceso, nero magnetico, bianco immenso. Poi, una volta definito lo scenario, Faletti inserisce i protagonisti o, se vogliamo, gli “attori” di quella determinata sequenza narrativa e mentale: modellini di plastica, aerei e animali giocattolo, che abitano per finta quel paesaggio e giocano con il possibile significato di linee, confini, spazi e forme. The long road to the golden box, per esempio, impone dei percorsi obbligati, labirintici, a modellini di auto che sembrano agitarsi sulla superficie nera divisa in spaziature regolari da larghe bande bianche dipinte, ostacoli “virtuali” alla via verso la “scatola d’oro” il quadrato dorato in rilievo posto esattamente al centro, come il perno che inquadra la composizione. In altri casi, Zebra Code-Red Alert, il gioco è più complesso, perché al piano visuale della superficie

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diventa una suggestiva sfilata di pettini di plastica nera che si susseguono su un fondo azzurro ceruleo. Fino a un “addensamento critico” composto da celestiali pagine di quotidiani economici, con fondi neri e fatturati in caduta libera, e un attraente volto femminile tagliato a metà nell’immagine pubblicitaria. Peccato che questo “paradiso” sentimentale e/o fiscale si riveli irraggiungibile oltre allo iato di una scala di corda tagliata, che volteggia liberamente nel vuoto. Sui giornali si sogna, ma la realtà è un’altra. Oggettistica Giorgio Faletti non si accontenta quasi mai di dipingere un quadro. Ogni occasione di pittura diventa per lui pretesto per una storia, una piccola provocazione, o seduzione, o scherzo verbo-visivo. In alcuni casi tutto questo si dà in scala uno a uno, proprio di fronte agli occhi e quindi a tu per tu con lo spettatore che guarda. Come se l’artista pretendesse di simulargli un oggetto o un’efflorescenza di immagine proprio davanti allo sguardo, nel suo / nostro spazio. È chiaro che, già dalla prima impostazione grafica e spaziale, queste opere risentono in misura significativa della Pop Art e di una sua certa “strategia di scala”: letterale, rigidamente frontale, come un oggetto ottuso e invadente. Si tratta di una scelta di impaginazione e di prospettiva che mi sembra valga la pena di sottolineare al di là della, pur esistente, generica assonanza pop dei “Paesaggi in codice”. Prendiamo per esempio Flame. Da un accendino vero, un banale oggettino di plastica, scaturisce la fiamma pittorica – puro colore – che arde e consuma l’oscurità brillante del fondo a collage, rivelando frammenti di cronaca, immagini pubblicitarie spezzate e ormai illeggibili. È vera, però, la fiamma che ha bruciato la pagina di “Repubblica–Cultura” che Faletti ha utilizzato come

sostrato delle sue manipolazioni pittoriche e su cui ha incollato il suo accendino usa-e-getta, lasciandone leggibili soltanto alcune parole, in una ben calcolata strategia: <<Cultura, come la Bibbia, come Platone>>. Nel gioco di significazione conta tutto, corpo, titolo, carattere, grassetti, in una effervescenza verbo-visiva memore, alla lontana, del Paroliberismo e soprattutto della Poesia Visiva nello stile del Gruppo 70. Faletti si muove su un crinale aspro e sottile di metafore e realtà, strappi e parole, rappresentazioni e oggetti, simulazioni e verità che collidono e si integrano reciprocamente in un mosaico disomogeneo ma armonico. Qualcosa di simile accade nella serie delle Bandiere, a cui l’artista sta dedicando un entusiasmo e un piacere del tutto particolari. E naturalmente anche dell’ironia. Il Tricolore, per esempio, è intriso di stralci e frammenti di stampa quotidiana e sorvolato da aerei giocattolo. Oppure l’icona a stelle e strisce che però, in questo caso, sembrano accasciarsi una sull’altra forse per stanchezza, mentre delle antiche stelle non restano altro che macchie bianche, macchie cariche di pittura densa. Faletti non ha avuto paura a cimentarsi con questa celebre immagine, già passata al vaglio di artisti tanto diversi e importanti come Jasper Johns e Faith Ringgold, e ne offre una visione personale e disincantata. Forse è il caso di cambiare bandiera e, tolte le strisce, di arrendersi, sventolando il relativo vessillo? Infine ci resta la bandiera olimpica, con i suoi cinque cerchi intrecciati. L’artista li ha realizzati servendosi di altrettanti vecchi ”45 giri” e ha intitolato il tutto Olympic records andando, ancora una volta, di doppi sensi. <<Attingo al mio passato da umorista>>, spiega <<uso l’ironia come chiave che dovrebbe essere sempre presente nella vita di un comunicatore>>.

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Come Giorgio Faletti è diventato ALIAS e, forse, perchè Vale per Giorgio Faletti quello che André Breton diceva dei surrealisti: come chiocciole, essi portavano sempre con sé tutto il proprio passato, il proprio bagaglio. Analogamente, nell’attuale ricerca di Faletti converge tutto: le parole e i pensieri dell’umorista, la versatilità dell’attore, l’esibizionismo del personaggio televisivo, il tempismo dello sceneggiatore, l’intelligenza del romanziere, la sensibilità del musicista e la spregiudicatezza del pilota di rally. Faletti, sin dai suoi esordi pubblici negli anni Settanta, ha usato tutti gli strumenti di comunicazione come pochi altri in Italia, confessandosi sempre dilettante in ogni cosa, non stando alle regole, sfuggendo alle classificazioni e ottenendo comunque un enorme successo. All’appello mancavano forse soltanto le arti visive. Che sono arrivate, recentemente, senza cercarle, per un invito ad una mostra-gioco di Massimo Cotto e il successivo interesse di Tiziana Leopizzi da anni particolarmente attenta alla poliedricità come imprimatur dell’Artista. Ma tutto questo naturalmente non sarebbe bastato se Giorgio Faletti non si fosse interessato davvero alla faccenda: ancora una volta da outsider, cioè dichiarando, anzi rivendicando, la propria estraneità alle regole del gioco, ma compiendo un suo percorso preciso, un passo dopo l’altro, da Artour-o il Must ad Alias, con concentrazione e determinazione. Un tipo come lui, di così grande successo in campi limitrofi ma “altri”, è quasi sicuro che si indispettisca, o si annoi, di fronte all’ottusa resistenza che la pittura oppone a chi la conosce poco; o che trasformi la pratica in un semplice passatempo. Invece Faletti si è posto con umiltà e passione, di fronte agli attrezzi di un mestiere tutto da scoprire: colle e tele bianche, barattoli e pennellesse, spatole e alambicchi. E a questo punto, dopo qualche anno, è davvero possibile che la mancanza di regole, da rispettare come da rompere, produca senso, senso non troppo frequentato o addirittura non ancora scoperto dagli artisti di professione come anche dai letterati (scrittori, critici, poeti) che hanno praticato o praticano anche la pittura. È in questo solco infatti che, volente o no, Faletti si posiziona: ma il suo approccio è, anche in questo caso, diverso o perlomeno non tipico, e forse non soltanto perché i tempi sono cambiati. Sto pensando, per ricordare solo en passant, per esempio ad Ardengo Soffici, Alberto Savinio, Lalla Romano, Carlo Levi, Gillo Dorfles, Giovanni Testori. Costoro, però, si sono pensati innanzitutto come pittori e solo dopo, o per ragioni di brutale contingenza, si sono trovati a prendere la penna in mano, forse con la sola eccezione di Savinio e dei suoi incanti giornalistici, anomalia di un Dioscuro isolato, ilare e coltissimo. Ma, a parte questo, nessuno ha provato, con confidenza e fiducia, a dipingere. Piuttosto il contrario: tutti si sono spinti fino alla scrittura, in alcuni casi rinunciando completamente al primo amore, per una sorta di esilio volontario o di presa di posizione, più o meno polemica, con se stessi e il mondo. Faletti invece ha compiuto il cammino inverso, addentrandosi à rebours nell’intimità di uno studio di provincia (ma tanto le locations non contano nell’era del web) da dove, come dal cilindro magico, può uscire qualcosa che nemmeno lui si aspetta e conosce. Tanto, il nostro tende a essere centrale e addirittura popolare dovunque si metta, tirando in ballo sempre quella sua impenitente brillantezza, piemontese disciplina, programmatica eccentricità, ironica malinconia. Oltreché, naturalmente, la voglia di giocare, di pasticciare, di sporcare, sbagliare, contaminare. Proprio come un bambino che venga premiato proprio perché ha rubato la marmellata e ha dimostrato così che qualcuno a tutt’oggi ha voglia di farlo. E che i bambini, a cui apparterrà il regno dei cieli, esistono ancora.

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Martina Corgnati


Ellequadro Documenti Genova


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New York Symphony E n째1 New York Symphony Bb New York Symphony Em New York Symphony C#min7 New York Symphony Eb

New York Symphony A New York Symphony C New York Symphony New York Symphony Am New York Red Symphony

New York Symphony E7 New York Symphony Fm New York Symphony A7 New York Symphony A/E New York Symphony Db

New York Symphony G New York Dark Symphony New York Symphony Ab New York Symphony Cm New York Symphony Bm

New York Symphony Bbm New York Symphony F New York Symphony E n째2 New York Symphony Dm New York Symphony E/B


Is it true red? acrilico e tecnica mista su tela, 8Ox6O, 2O1O Ringtones, acrilico e tecnica mista su tela, 12Ox8O, 2OO9

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Love is a red hanging rag acrilico e tecnica mista su tela, 1OOx7O, 2O1O The dream acrilico e tecnica mista su tela, 8Ox6O, 2O1O

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Hidden neon acrilico e tecnica mista su tela, 1OOx8O, 2O1O In a bad mood acrilico e tecnica mista su tela, 1OOx8O, 2O1O


p.14 Zebra Code 1 acrilico e tecnica mista su tela, 1OOx1OO, 2O1O p.15 Zebra Code 2 acrilico e tecnica mista su tela, 1OOx1OO, 2O1O


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Zebra Code L acrilico e tecnica mista su tela, 5Ox5O, 2O1O Zebra Code C acrilico e tecnica mista su tela, 5Ox5O, 2O1O Zebra Code R acrilico e tecnica mista su tela, 5Ox5O, 2O1O

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Stardust acrilico e tecnica mista su tela, 1OOx15O, 2O1O Gone with the wind acrilico e tecnica mista su tela, 1OOx15O, 2O1O

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Two tears for Lily acrilico e tecnica mista su tela, 1OOx15O, 2O1O Rez-de-chaussĂŠe acrilico e tecnica mista su tela, 1OOx15O, 2O1O

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The day we lost the stars acrilico e tecnica mista su tela, 1OOx15O, 2O1O May be another country‌ acrilico e tecnica mista su tela, 1OOx15O, 2O1O

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Colours in chains acrilico e tecnica mista su tela, 1OOx15O, 2O1O Olympic records acrilico e tecnica mista su tela, 1OOx15O, 2O1O

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The flame

The hunting

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A nice place to land acrilico e tecnica mista su tela, 1OOx7O, 2O1O

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The promised land

The right instruments

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The white cave acrilico e tecnica mista su tela, 7Ox5O, 2O1O

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Zebra Code - Red Alert acrilico e tecnica mista su tela, 7Ox1OO, 2O1O

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The white fly acrilico e tecnica mista su tela, 15Ox1OO, 2O1O Check Pointer Charlie acrilico e tecnica mista su tela, 8Ox6O, 2O1O

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p.10 The kite acrilico e tecnica mista su tela, 1OOx1OO, 2O1O Tu quoque‌ acrilico e tecnica mista su tela, 12Ox8O, 2O1O Long train running acrilico e tecnica mista su tela, 8Ox12O, 2O1O

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p.7 The good cloud

Blue flight - alpha

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Blue flight

p.9 The sheep and the deep blue sea

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Ex Chiesa Anglicana Alassio


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L’arte italiana del Secondo dopoguerra è stata resa celebre da movimenti importanti, che si sono affermati sulla scena internazionale, come l’Arte Povera o la Transavanguardia; ma una storia dell’arte italiana non potrebbe essere definitiva senza l’apporto di alcuni outsider che, spesso “giocando” con l’arte, hanno sposato quel concetto di “leggerezza” esposto da Italo Calvino nelle sue Lezioni americane. Personaggi come Alighiero Boetti, Pino Pascali, Gino De Dominicis o Aldo Mondino, solo per citarne alcuni, hanno battuto i sentieri di una creatività che ha saputo essere seriamente ironica ed ironicamente seria. Giorgio Faletti sembra incline ad alimentare questa disposizione, quando costruisce i suoi quadri come dei campi di forza semantica, dai quali non è escluso il piacere del calembour, del gioco di parole e di idee. Coinvolge così elementi dell’attualità, come i giornali che fanno da sfondo alle sue tele, con i colori acrilici e alcuni inserti infantili: dalle zebre giocattolo, ai pinguini, le tastiere di computer o gli aeroplanini. Il suo apparente “giocare” riflette un desiderio di manipolare le diverse materie e gli objet trouvé per portare sul campo magnetico del quadro un mondo fatto d’indizi, di giochi ideativi, che possono far pensare a certi meccanismi della scrittura poliziesca e gialla. Faletti cura gli equilibri cromatici, compone ad incastro ed evoca racconti visivi enigmatici ed enigmistici, giocando sul rapporto tra il quadro e il suo titolo. Usa l’accostamento di oggetti e di concetti con una libertà ideativa e associativa che lo determina come un artista naif-concettuale. Naif, perché la sua ispirazione ed il suo mondo immaginario si formano in modo immediato attraverso l’incontro con le cose della quotidianità: dai giornali agli oggetti, tutto viene applicato alla tela, dove si compone un nuovo ordine di senso, costituito attraverso una relazione tra l’idea iniziale, l’intuizione casuale, la composizione formale e il senso dello humor. Il rapporto che Faletti intrattiene con la pittura non nasce da un confronto con la Storia dell’arte, non si stabilisce come una evoluzione di un linguaggio, ma si pone più umilmente come una pittura che apprende ciò che è nel momento stesso del suo farsi. Faletti non parte sapendo dove vuole arrivare, ma arriva

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laddove il percorso compositivo lo porta istintivamente. Tutto il processo creativo di Faletti non muove da una consapevolezza pregressa di “cosa” vuole comunicare e di “come” dirlo, ma istintivamente affronta il linguaggio visivo dell’arte usando ciò che egli conosce della scrittura, da sempre sua compagna di vita, anche se in forme alterne (canzone, romanzo, umorismo). Il concettualismo di questo lavoro si declina invece sulla sfera “enigmistica”, di cui l’autore è un appassionato, segnando un tragitto che non muove i suoi passi a partire da una precedente elaborazione estetica teorica, come farebbero i concettuali puri, ma va incontro alle idee in modo “casuale” (per Faletti il “caso” è un alleato prezioso ed un termine tutt’altro che negativo) giocandoci e gustandone tutti i possibili riflessi e riverberi di senso. In The promised land, oppure in The right instruments, oggetti trovati in alcuni negozi, come un aeroplano giocattolo o una serie di pettini, appaiono nello spazio del quadro come elementi estranei, protagonisti di una semiosi enigmistica e di un rebus che rimanda verso un mondo dove è possibile una differente costruzione del senso.


Faletti è un appassionato di “codici”. Non stupisce. Il codice, a cui dedica la serie degli Zebra Code, è per lui un elemento fondamentale per conoscere il mondo, in ogni sua sfaccettatura. Ogni realtà, per essere letta ha un suo codice da decifrare: dalle notizie di attualità politica internazionale, al mondo animale. Per Faletti ogni aspetto della realtà è tramata con codici diversi, è costituita da linguaggi di cui occorre trovare la chiave di lettura giusta perché si aprano nella loro verità di fronte a noi. In queste affermazioni si annuncia la consanguineità tra il Faletti scrittore di thriller e il Faletti pittore sperimentale. Alias, che Faletti ha scelto come titolo di questa sua prima mostra personale, è una parola latina che indica lo “pseudonimo”, la sostituzione del nome di una persona con un nome fittizio. Un legittimo procedimento di rinominazione del Sé. La propria identità può essere cambiata a partire dal nome. Nomen omen. Alias diventa così il titolo che spiega meglio di qualunque altro termine questo rapporto tra Faletti e la pittura. Una relazione quasi clandestina, inerpicata su una soffitta di Asti che ricorda la bohème, con i dovuti distinguo, a partire da un modo di vivere che è incentrato sulla ricerca e sulla valorizzazione delle proprie idee. Elemento preziosissimo questo, non perché sia indicativo di un narcisismo smisurato o di un’egoità prolissa, ma perché in tal modo Faletti incarna l’utopia di un uomo completamente “formato”, che ha riflettuto e riflette sul mondo e sull’esistenza attraverso l’uso della propria creatività, senza lasciarsi imporre idee preconcette, neppure nel campo della pittura. Da qui proviene questa sua lodevole identità naif-concettuale, che lo porta ad affrontare con occhio puro (non “educato”, ma per questo motivo, forse, più attento) il piacere della creazione d’immagini e di quadri che, liberati lungo il corso del Novecento dal loro rigido dover-essere, possono assumere ogni foggia e identità. Anche loro alias di se stessi, in un panorama dell’arte attuale che, dopo il “liberi tutti” creativo invocato da Marcel Duchamp, si trova a dover fare i conti con un’estrema mobilità del senso, con una pericolosa possibilità di prendere la china di una deriva interminabile. L’arte contemporanea è

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fatta di questi pericoli, ma Faletti dimostra di saperli apprezzare, usandone la forza liberatoria per creare senza sosta queste sue prime “visioni”. E noi, spettatori già lettori dei suoi romanzi, siamo qui ad ascoltare il suo monito a favore della libertà che ci dona la creatività, quando sa assumere su di sé il pericolo della deriva (critica) per poter ottenere in cambio la gioia dell’autonomia, l’eccitazione di chi dona le proprie regole a se stesso, derivandole da una profonda fede nell’intuizione, quando è accompagnata da un vero desi deri o di el aborazi one e di pensiero. Faletti, in tutta la sua carriera, sembra confermare questa verità, che ora trova un nuovo sbocco nella pittura.

Nicola Davide Angerame


Assessore Monica Zioni

giorgio faletti alias

a cura di Nicola Davide Angerame Alassio Ex-Chiesa Anglicana 27 novembre 2010 | 15 gennaio 2011

Alias - Mostra e Monografia il titolo e la sua veste grafica sono stati ideati direttamente dall’artista Testo e intervista video | Nicola Davide Angerame Cover | Emanuele Marighella Foto | Mingo Pasquale - Nicolò Puppo Riprese video | Giorgio Angerame Progetto della mostra Progetto editoriale e grafica Ellequadro Documenti | www.ellequadro.com

Finito di stampare novembre 2010 da Ellequadro Events s.r.l. con i tipi di Essegraph Genova Palazzo Ducale 44-46r 16123 Genova Tel. +39 010 2474544 Fax +39 010 24744 75 m. +39 348 335 85 30 - 327 4053116 w w w . e l l e q u a d r o . c o m events@ellequadro.com Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa, in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione dei proprietari dei diritti e dell’ editore.


Questa mostra personale di Giorgio Faletti presenta in prima assoluta al grande pubblico il suo lavoro di pittore e di artista contemporaneo. Faletti vanta una biografia variegata e costellata da successi nei campi della scrittura, del teatro e della musica. Il suo ingegno multiplo e il suo carattere poliedrico alimentano una personalità profondamente creativa che potrebbe facilmente essere assunto come modello esemplare. Il suo affermarsi come autore di best seller di caratura internazionale, infatti, non ha arrestato il desiderio di ricerca e di confronto con se stesso. Nella sua pittura converge quella forza vitale e intellettuale di Faletti, la cui curiosità e voglia di rimettersi in gioco vengono ritratte in questa esposizione di lavori che affrontano la pittura con levità e ironia. Sono personalmente lieta e grata a Giorgio Faletti per avere accettato l’invito ad esporre la sua prima mostra personale nella nostra città. L’Ex Chiesa Anglicana organizza da molti anni eventi che indagano la produzione artistica di personalità di spicco del mondo della musica e della letteratura. Seguendo idealmente la strada aperta da figure come il doganiere Rousseau o Ligabue, tanti personaggi della cultura italiana, e mondiale, hanno approcciato il mondo della pittura non perché formatisi espressamente per quello, ma perché attratti dalle sue enormi possibilità espressive. Sulla scena internazionale sono celeberrime le esposizioni fotografiche, e non solo, di una cantante e poetessa come Patty Smith, i quadri di David Lynch o i progetti di arte concettuale di David Byrne. Nel panorama italiano grandi appassionati di pittura sono Jovanotti e Andy dei Bluvertigo. Nel 2002 Paolo Conte espose all’Anglicana una mostra di suoi dipinti, presentando le 1.800 tavole da lui realizzate per il film animato Razmataz. Da allora, tanti altri nomi sono passati ad Alassio con progetti a cavallo tra arti visive e spettacolo: da Franco Battiato regista a Cesare Zavattini pittore; da Angelo Branduardi performer ad Andrea De Carlo musicista, fino al Francesco Guccini romanziere, Elisabetta Sgarbi videomaker e Dario Ballantini pittore. Il lato creativo più celato di questi personaggi è stato sondato per scoprire che non si tratta di “secondi mestieri”, ma di vere aspirazioni, e ispirazioni, che trovano un nuovo spazio tra le pieghe della professione, quella del creativo, che può declinarsi in modi molteplici. L’arte di Giorgio Faletti, intesa nel senso più esteso, è qui per dimostrarlo.

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Monica Zioni Assessore



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