Tesi di diploma issu

Page 1



MINISTERO DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA ALTA FORMAZIONE ARTISTICA E MUSICALE ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI PALERMO DIPARTIMENTO DI PROGETTAZIONE E ARTI APPLICATE SCUOLA DI PROGETTAZIONE ARTISTICA PER L’IMPRESA CORSO DI DIPLOMA DI PRIMO LIVELLO IN PROGETTAZIONE DELLA MODA

IL GIOIELLO TERIOMORFO. Un Progetto Orafo In Omaggio A Fulco Di Verdura DI

ELOISA ZITO 6053 RELATORE PROF. VITTORIO UGO VICARI A.A. 2012 - 2013



Alla mia famiglia di ieri e di oggi



INDICE GENERALE Introduzione

7 Capitolo primo Il gioiello teriomorfo nell’estetica Déco

1.1 Le origini dell’Art Déco 1.2 Lo stile dell’Art Déco 1.3 La fine dell’Art Déco 1.4 Gioielli teriomorfi Déco 1.5 Note di gemmologia ed oreficeria Déco

9 13 16 16 23

Capitolo secondo Un caso particolare il gioiello teriomorfo in Fulco Di Verdura 2.1 Biografia aziendale 2.2 Lo stile 2.3 I gioielli teriomorfi: un catalogo per immagini

79 84 88

Capitolo terzo Una interpretazione progettuale del gioiello teriomorfo 3.1 Progetto

114

Catalogo dei Designer

161

Apparati Indice delle illustrazioni Bibliografia Sitografia

253 255 260 261

7



INTRODUZIONE Lo scopo della presente tesi nasce dal desiderio di voler approfondire un caso particolare: il gioiello teriomorfo nella tradizione europea d’età moderna, le sue variabili nello stile Déco e la sua specifica nella produzione orafa di Fulco di Verdura. Dall’impianto storico artistico che ne è derivato, cimentarsi, infine, nella progettazione di prototipi di gioiello che abbiano a soggetto il mondo animale. Le origini del gioiello teriomorfo d’età moderna deriverebbero dai libri emblemi del secolo XVI. I temi, spiegati in brevi motti e versi accompagnati da illustrazioni a xilografia o incisione, sono in connessione con concetti mitologici, storici, allegorici o fantastici. Erano preferiti temi come quelli dell’Età dell’Oro (o età aurea); se ne componevano gioielli su base d’oro e smalti, il cui corpo centrale era costituito da una o più perle imperfette, grandi e dalle forme strane. Ne venivano fuori animali esotici, fauni, sirene, esseri mitologici metà uomini e metà animali, esseri marini fantastici con caratteristiche zoomorfe e antropomorfe. La ricerca mette quindi in evidenza il teriomorfo attraverso lo studio delle opere Déco e di Fulco, analizzando i gioielli di quest’ultimo ed il suo uso di pietre preziose. La sintesi progettuale dei due modi appena descritti è confluita nella immagine di un drago marino elaborato stilisticamente in tavole grafiche, modellando una morbida pasta d’argilla polimerica (derivata dal petrolio) cotta a 180° in forno comune, portato su matrici in pasta siliconica negative, quindi su di un impasto prototipico d’acqua e gesso di Bologna. Alcuni dei prototipi così 9


composti presentano l’applicazione di pietre ad imitazione della maniera di Fulco di Verdura. Alla realizzazione della tesi hanno dato un prezioso contributo il Prof. Sergio Pausig, Coordinatore del Corso di Diploma Accademico di Primo e Secondo Livello in Progettazione della Moda e ordinario di Design del gioiello. A lui il merito d’avermi supportata durante la parte pratica del progetto, a lui i miei più vivi ringraziamenti. Un ulteriore grazie al Prof. Marcello Collerà docente di Oreficeria e metalli al Liceo artistico di Cefalù e alla Gioielleria Geraci di Palermo, dove ho avuto la possibilità di svolgere il tirocinio curriculare.

10


Capitolo primo Il gioiello teriomorfo nell’estetica Déco 1.1 Le origini dell’Art Déco La massificazione della produzione industriale negli ultimi decenni del XIX secolo interessa tutti i settori: dalla falegnameria alla vetreria, dalla ceramica alla siderurgia leggera, dalla tessitura fino alla grafica (con il conseguente, ampio e non secondario sviluppo dell’editoria e della cartellonistica pubblicitaria) [Figg. 1-2]. Gli oggetti sfornati dall’industria, tutti rigorosamente uguali e sempre rispondenti a precisi standard di finitura, perdono però qualsiasi personalità. In essi non si può più riconoscere la mano dell’uomo che li ha prodotti, e al loro minor costo si è dovuto necessariamente sacrificare tutta una serie di raffinatezze lavorative e di riguardi estetici che, al contrario, costituivano la caratteristica più qualificante dell’oggetto artigianale. La quantità, in altre parole, aveva soprafatto la qualità. Dare dignità artistica al prodotto industriale, dunque, significa rispondere a due importanti esigenze. La prima e più urgente è di ordine economico. L’innalzamento del livello estetico dei prodotti ha per immediata conseguenza l’apertura del mercato praticamente vergine: quello della media e piccola borghesia. Gli appartenenti a questa nuova classe, infatti, erano stati fino a ora esclusi sia dai prodotti di alto artigianato (per loro irraggiungibili in quanto troppo costosi), sia dai prodotti industriali a larga diffusione (la cui dozzinalità li aveva relegati a un utilizzo estremamente popolare). La seconda esigenza, poi, è quella di porre le basi per un’arte diversa e moderna, in linea con 11


il progresso dei tempi e con le nuove aspettative dell’uomo, ma al tempo stesso capace di recuperare quei valori ideali e fantastici che l’eccessivo ottimismo positivista aveva di fatto finito per cancellare. L’Art Nouveau, dunque, è la risposta artistica che la cultura europea, stanca dello storicismo eclettico e del magniloquente accademismo, dà al disagio del proprio tempo. La definizione temporale dell’Art Dèco avviene nella seconda metà degli anni ’60, sull’onda della rivalutazione dell’ Art Nouveau1, da cui in un primo momento riesce confusamente a distinguersi. L’interesse verso il movimento avviene in Italia in un tempo di riflessione e ripensamento sui modelli formali razionalisti2 [Fig. 3], a partire dall’Expo di Monza del 1923, esposizione di arti applicate tenuta in origine ogni due anni, organizzata nell’ambito dell’ISIA (Istituto Superiore di Industrie Artistiche) di Monza. Pensata in un primo tempo per esporre quanto andavano creando gli allievi dell’Istituto e con l’intento di stimolare un rapporto tra le arti applicate e l’area industriale della Brianza, fu però subito aperta ai contributi artistici internazionali. Le prime quattro esposizioni del ciclo si svolsero nella Villa Reale di Monza e la loro cadenza fu biennale [Fig. 4]. L’edizione del 1923 fu caratterizzata soprattutto dall’interesse verso le arti grafiche (tra i pezzi esposti anche le maioliche di Gio Ponti (1891-1979) [Fig. 5] o gli arazzi di Fortunato Depero (1892-1960) [Fig. 6], quella del 1925 dalla partecipazione delle colonie e quella del 1927 da un primo interesse verso gli allestimenti firmati (tra i partecipanti vi furono Francesco Casorati e Alberto Sartoris); mentre l’ultima edizione monzese del 1930, rinominata Mostra Internazionale delle Arti Decorative e Industriali Moderne, rivelò la presenza dei primi prodotti esposti in 12


“gallerie” tipologiche (del vetro, della ceramica, dei metalli) e soprattutto un più esplicito interesse per l’architettura (tra i partecipanti Mario Sironi, gli architetti Gino Pollini e Luigi Figini ). A partire dalla V Triennale tutte le successive manifestazioni si sono svolte a Milano nel Palazzo dell’Arte della Triennale, divenendo di fatto la Triennale di Milano. A partire dalla V Triennale tutte le successive manifestazioni si sono svolte a Milano nel Palazzo dell’Arte della Triennale, divenendo di fatto la Triennale di Milano. L’apice d’attenzione verso il Déco delle origini si identifica comunemente nell’Exposition Internationale des Arts Décoratifs et Industriels Modernes (Esposizione Internazionale delle Arti Decorative e Industriali Moderne) a Parigi nel 19253 [Fig. 7]; ma per la definizione di uno stile preciso e per la scelta del termine Déco bisognerà aspettare, per l’appunto, fino agli anni Sessanta. Si sviluppa a Parigi perché Parigi era rimasta il centro internazionale del buon gusto anche negli anni dopo la Prima Guerra mondiale; essa utilizzò la vetrina mondiale dell’Expo per far conoscere al mondo le nuove applicazioni della fantasia artistica agli oggetti della vita moderna. Tale corrente artistica, che nell’ambito della moda vide ad inizio (intorno al 1910) l’opera di Paul Poiret (1879-1944), stilista dai molteplici interessi, viene recepita dagli altri paesi europei e ribattezzata in vari modi. L’ Expo del 1925 fu caratterizzata dalla ricerca di uno stile nuovo e moderno che rispondesse alle esigenze che si andavano delineando nei primi decenni del XX secolo; essa rappresentò lo sforzo di scoprire una via nuova, un ossessionante ricerca di novità, un bisogno di staccarsi nettamente da quanto era stato fatto fino al 1914, una lodevole volontà di costruire uno scenario adeguato alla vita attuale. 13


È palese come tale stile fosse “ricercato” con intenzione; si spiega quindi come quel qualcosa che i francesi cercavano fosse molto simile all’architettura Espressionista4 [Fig. 8], Secessionista5 [Fig. 9] e De Stijl6 [Fig. 10]. Il nuovo stile abbandona le sinuosità e le formule lineari naturalistiche del Liberty, rappresentando in tal senso il tentativo di un suo superamento, prediligendo le forme geometriche, vagheggiate in forme essenziali ed eleganti. L’Art Déco, se e quando rivolta all’arredamento, è caratterizzata dall’uso di materiali come la lacca, il legno intarsiato, la pelle di squalo o di zebra, l’acciaio inossidabile, l’alluminio, il vetro colorato ecc... [Fig. 11]. Ma l’arredamento non è la sola espressione della moderna arte che si estende ad ogni branca delle arti applicate all’industria, all’interior design, all’ornamento e alla moda. Il Novecento è il secolo in cui si affermano le grandi gioiellerie, con nomi ancora che oggi sono garanzia di qualità e originalità di produzione: Cartier, Bulgari, Tiffany & Co, René Jules Lalique (1860-1945), Peter Carl Fabergè (1846-1920). Accanto a loro s’inizia ad avvertire l’esigenza di una produzione di gioielli in linea con i gusti del nuovo pubblico borghese e finalizzato a diffondere il bello in ogni classe sociale. Verso gli anni venti la moda dei capelli corti7 decretò il successo dell’uso degli orecchini lunghi; nell’abbigliamento la moda degli abiti senza maniche e l’eliminazione dei guanti da sera permise di indossare con maggiore frequenza i bracciali e gli anelli [Fig. 12]. L’Art Déco è uno stile sintetico ed al tempo stesso volumetricamente aerodinamico, turgido ed opulento, probabilmente in reazione all’austerità imposta dagli anni della Prima Guerra mondiale e della conseguente crisi economica [Fig. 13]. Questo stile, nato per contrastare l’appiattimento dell’industrializzazione, si 14


appropria degli oggetti che si erano maggiormente diffusi con l’industria moderna. Parigi, che non è il solo centro propulsivo del Déco, rimane pur sempre il cuore dello sviluppo del design con il mobilio di Jacques Emile Ruhlmann (1879-1933), che rinnova i fasti dell’ebanisteria parigina fra Rococò8 [Fig. 14] e Stile Impero9, con l’azienda di Süe et Mare (1885-1932), con i pannelli e i mobili modernisti di Eileen Gray (1878-1976), con il ferro battuto di Edgar Brandt (1881-1960), gli orologi e la gioielleria di Cartier. 1.2 Lo stile dell’ Art Dèco Alla fine del XIX secolo, una nuova corrente artistica si affacciava in Europa: l’Art Nouveau. Caratterizzata da linee morbide e fluide, tendeva ad opporsi alle rivisitazioni del gusto tradizionale che caratterizzavano gran parte della società, ed in particolar modo la maggioranza delle donne che consideravano ancora volgari i comodi abiti di seta e velluto dalle linee Liberty. La donna “rispettabile” della Belle Epoque doveva attenersi alla moda del tempo che sino al 1910 era caratterizzata da abiti che accentuavano la cosiddetta linea ad “S”. Si trattava di capi molto elaborati che spingevano il tronco in avanti, reso pesante da imbottiture; inoltre veniva accentuata l’ampiezza dei fianchi mediante l’utilizzo di busti molto costrittivi che procuravano malesseri fisici all’addome, allo stomaco e alla colonna vertebrale. Chi poteva permettersi questo stile d’abbigliamento era annoverabile tra la classe agiata, in quanto i vestiti larghi e comodi erano riservati alle donne lavoratrici. Predilette per gli abiti femminili erano le tinte chiare, in particolar modo il bianco nelle sue varie sfumature, 15


che ben si prestava ad essere indossato con candide perle e sfavillanti gioielli in platino con diamanti che spesso venivano abbinati a pietre sintetiche [Figg. 15-16]. Il decennio del primo grande conflitto vede la compresenza di vari movimenti spesso differenti tra loro, quali l’Art Nouveau [Figg. 17-18] e l’Art & Craft10[Figg. 19-20], nello stesso periodo le donne europee cominciano ad avere la possibilità di accesso alla scuola superiore e ad alcuni lavori, pur rimanendo ancora discriminate nella società. Le forme caratteristiche dell’Art Déco, sono motivi e sagome di animali, il fogliame tropicale, le ziggurat, i cristalli, i motivi solari e i getti d’acqua [Figg. 21-22]. La figura femminile assume forme allungate, agili ed atletiche, con abiti lisci o plissettati, ma poco vaporosi. I motivi, ripetuti in tutti i materiali, vengono tratti da arti “primitive”, come quella africana, antiche come l’egiziana o l’azteca, classiche come la scultura e i vasi ellenici del periodo geometrico e arcaico [Fig. 23]. Stile molto popolare per gli interni dei cinematografi e dei transatlantici, come l’Ile de France11 [Figg. 24-25] e il Normandie12 [Figg. 26-27], venne facilmente abbinato alle innovazioni tecnologiche in campo automobilistico e aerodinamico. Le forme cristalline e sfaccettate dell’Art Déco sfociano nel Cubismo13 [Figg. 28-29] e nel Futurismo14 [Figg. 3031] tecnologico di “macchina del tempo” come la radio e i grattacieli. L’industria della moda rispose all’appello Déco con motivi a zigzag, a scacchi, con curve vaste (diverse da quelle sinuose dell’Art Nouveau), motivi a “V” e raggi solari, in sintonia con i geometrismi sincopati del nuovo genere musicale jazz.Alcuni di questi motivi vengono usati per opere molto diverse fra loro. Ad esempio, i motivi a forma di raggi solari sono utilizzati sia per le scarpe da donna che per le griglie dei termosifoni, per interni 16


straordinari come l’auditorium del Radio City Music Hall di New York15 [Figg. 32-33] o come decorazioni di palazzi (gugliad’acciaio del Chrysler Building di New York) [Fig. 34]. Per quanto riguarda la moda, basterebbe citare l’impresa di Sonia Terk Delaunay (1885-1979) con la Citroen all’Expo parigina del ’25 [Fig. 35]. Il femminismo viene fortemente contrapposto all’idea di femminilità: è possibile essere femminili e femministe allo stesso tempo? Splendide vignette d’epoca affrontano l’argomento [Fig. 36]. Il look nel dopoguerra è androgino, detto “alla maschietta”, caratterizzato da capelli corti e vestiti di foggia maschile [Fig. 37]; l’immagine che nelle riviste («Fémina», «Grandi Firme», «Vogue») del tempo raffigurano le donne delle classi più agiate è quella di figurini senza forme. Coco Chanel (1883-1971), che propone questo stile, abbina gioielli falsi, perle simulate e vetri, con gioielli veri: il bijou entra timidamente nell’abbigliamento femminile, viene indossato ancora solo dalla donna della classe superiore, che ha possibilità maggiore di “sfidare” i canoni sociali, e dalle emergenti dive del cinema muto: siamo nell’epoca dei gioielli essenziali e dalle forme pulite (Kenneth Jay Lane ispirerà le sue creazioni allo stile Decò) [Fig. 38]. Il 1929, anno del crollo della borsa di Wall Street e d’inizio della Grande Depressione, vede la costume jewelry, per necessità correlata agli eventi economici, assume un ruolo fondamentale nella moda che, come sostiene Marshall McLuhan16 (1911-1980), è un medium che diventa messaggio simbolico, linguaggio attraverso il quale l’individuo esprime se stesso e comunica con gli altri. Anche la moda degli anni ‘30 porta a un suo rinnovato uso nella pubblicità per la moda e la gioielleria [Fig.39]. Esempi di pubblicità sono le riviste come la «Gazzetta du Bon Ton», «Vogue», 17


«Fémina», «Vanity Fair», ma soprattutto la rivista specializzata «Cinema» che consentiva di diffondere le novità più recenti della moda e dei gioielli attraverso il jet-set internazionale [Fig. 40].

1.3 La fine dell’ Art Decò Dopo aver raggiunto la produzione di massa, l’Art Déco inizia a connotarsi di un senso negativo o sminuente, perché presenta una falsa immagine del lusso. Lo stile è infine stroncato dall’austerità della Seconda Guerra mondiale e la passione per l’esotico viene consumata nella importazione di oggetti dagli Stati Coloniali, come India o Eritrea, e dalla Somalia per l’Italia. Il superamento dell’Art Déco diventa il punto di partenza del Modernismo (Art Nouveau) che continua ad essere usato fino agli anni ‘60. Vi è un nuovo interesse per l’Art Déco negli anni ‘80, grazie al design grafico del periodo ed all’associazione sovente con il genere noir17 negli Stati Uniti [Fig. 41]. Esempi di riviste pubblicitarie sono: «Vogue», «New York Times», «Women’s Wear Daily», «Maire Claire», «Harper’s Bazaar», «Stern».

1.4 Gioielli teriomorfi Dèco

. Perle imperfette, barocche, mostruose, scaramazze, non perfettamente rotonde, dai contorni bizzarri, uniche nella loro forma che offrivano agli orefici una particolare sensibilità e capacità creativa e la possibilità di trasformarle in oggetti strani, talvolta surreali.

18


Verso il XVI secolo le perle imperfette che venivano scartate per selezionare quelle rotonde richieste dalla committenza erano divenute troppe, c’era un residuo di invenduto che i mercanti cercarono di reintrodurre sul mercato, dapprima senza troppa fortuna, per farne pendenti e oggetti da mostrare per la loro particolarità [Fig. 42]. Fu sufficiente creare la mentalità ad accogliere il nuovo tipo di oggetti, che dai paesi fiamminghi dove i mercanti avevano venduto le strane perle, l’uso si propagò nei paesi tedeschi, francesi, ed europei in genere. Le perle imperfette, una volta trasformatesi in oggetti fuor dell’ordinario, diventarono alcuni fra gli elementi più ricercati e più richiesti di un certo collezionismo di preziose rarità artistiche che si cominciava a praticare presso le corti europee. E mentre quasi tutti gli oggetti realizzati con perle imperfette posseduti da privati andarono perduti nel tempo, solo quelli conservati all’interno delle più famose collezioni sono giunti sino a noi [Fig. 43]. Il XVI secolo è sicuramente uno dei più produttivi per la gioielleria. Il Rinascimento aveva già posto le basi per una valutazione positiva del bello nelle arti, gli studi umanistici avevano affinato gli animi e li avevano volti alla contemplazione dei valori etici ed estetici che inducevano ad apprezzare l’eleganza nella vita, nel costume, nell’ornamento. Già alla fine del XV secolo si era delineata la creazione di un particolare equilibrio tra l’abito e il gioiello, e ne era stata testimone la pittura, che aveva registrato fedelmente la presenza delle perle tra gli elementi ornamentali che rifinivano gli abiti oltre ad ornare la persona. Durante il XVI secolo, parallelamente all’accrescimento delle capacità lavorative degli artigiani orafi, si assiste ad una evoluzione sempre più rapida verso la complessità e il virtuosismo [Fig. 44]. Ai pendenti semplici, costituiti da un’unica perla, si cominciano 19


a preferire oggetti dal disegno sempre più composito, costruiti su una base d’oro e smalti, il cui corpo centrale è però costituito sempre da una o più perle, e da perle imperfette, grandi e dalle forme strane, che suggeriscono la definizione finale dell’oggetto: animali esotici, fauni, sirene, esseri mitologici metà uomini e metà animali, esseri marini fantastici con caratteristiche zoomorfiche o antropomorfiche. D’altro canto, le perle imperfette, che furono poi dette “barocche” per il grande uso fattone nell’epoca storico - artistica che porta questo nome, rappresentavano altresì quell’unione straordinaria di eccezionale in natura – “naturali” – e di capacità creativa dell’uomo “artificiali” che era resa evidente dall’abilità degli orafi e che era il compendio di presupposti filosofici medievali e rinascimentali. In ogni modo, oggetti strani e meravigliosi, da appendere all’abito mediante una spilla o una catena, da posare su un tavolo per ammirarli, da riporre nelle Wunderkammer18 (camera delle meraviglie), per collezionarli [Figg. 45-46]. A tal proposito, la collezione più famosa di oggetti strani fu quella di Anna Maria Luisa de’ Medici (1667-1743), che porta il nome di “Galanterie preziose19”, conservata oggi presso il Museo dell’Argenteria a Firenze, certamente più completo rispetto alle raccolte di gioielli e cammei dal XVI al XIX secolo; ma gli oggetti preziosi realizzati con perle barocche non sono solo a Firenze, Inghilterra, conserva un pendente di manifattura fiamminga, il famoso “Bijou Canning”, oggi presso il Victoria and Albert Museum di Londra, che mostra una creatura fantastica, una sorta di tritone, dal busto virile, costituito da una perla barocca, con una coda di drago in oro e smalti. Bei rubini ornano inoltre l’oggetto in cui il busto umano brandisce una spada tempestata di diamanti [Fig. 47]. Un’altra collezione di 20


oggetti in perle barocche particolarmente interessante è quella della Casa d’Aste Christie’s di Ginevra, che di tanto in tanto si separa, sempre con rammarico, di qualche pezzo famoso. Splendido è il pendente che qui vediamo, l’Ercole con la pelle del Leone Nemeo,di manifattura fiamminga del XVI secolo, in cui la perla che costituisce il corpo e il braccio del mitico eroe greco, sporgendo aggettante dal medaglione d’oro, lascia bene immaginare la forza e la possanza che lo resero famoso. Alla collezione di Anna Maria Luisa de’ Medici di Firenze, vale la pena sottolinearne alcuni pezzi, realizzati non come gioielli, ma come creazioni da mettere in mostra, si tratta di oggetti di piccole o medie dimensioni, generalmente costituiti da una base in oro o in argento, ornata da smalti o pietre preziose, su cui poggia poi una figura umana o animale, il cui corpo, nella parte centrale per lo più, è costituito da una o più perle scaramazze: l’ “Elefante sullo smeraldo”, di manifattura olandese, che poggia su una base di smeraldo bordata di diamanti, costituito da una grossa perla barocca. L’oro e lo smalto completano l’opera, di grosso impatto naturalistico [Fig. 48]. La manifattura tedesca inoltre mise in luce una tendenza che avrebbe manifestato anche in seguito, nei secoli successivi, attraverso altre arti figurative, come il disegno e la pittura: il compiacimento per il grottesco, che certo l’uso delle perle scaramazze incoraggiava, per la loro deformità [Fig. 49]. A questo proposito, sono caratteristiche le statuette del Calzolaio in oro, smalto e perle, che brandisce una piccola scarpa, anch’essa di perla e del Soldato svizzero, costruito con gli stessi materiali preziosi, la cui figuretta goffa è soverchiata da un enorme naso, un paio di baffi marziali, e un cappello a corno rovesciato su cui svettano due piume sventolanti [Fig. 50]. Più complessa risulta la 21


composizione che rappresenta Bacco in veste di oste, appoggiato con la pancia su una botte, in una mano un fiasco (che non esisteva certo ai tempi dei Greci) e nell’altra una coppa. La figura del dio è costituita per la maggior parte da una grossa perla scaramazza, testa, braccia e gambe sono in oro, smalto e pietre preziose, al disotto una base in oro, smalto e perle barocche nere, mentre un arco di tralci e pampini di vite circonda tutta la scena lasciando in un angolo lo spazio per una piccola scimmia d’oro. In questa creazione vi sono molti elementi nuovi, che si svilupperanno in seguito nell’oreficeria del secolo XVIII, tra cui la predilezione per il realismo e quella per la rappresentazione di elementi naturalistici. In più, fanno capolino le perle nere, una rarità per l’epoca, che però le considerava di secondaria importanza [Fig. 51]. Col passar del tempo il gusto mutò, le perle barocche furono scelte per realizzare gioielli personali o devozionali, e a tale scopo si scelsero quelle di caratura minore. Per tutto il secolo XVII, particolarmente in Sicilia, la committenza, costituita sempre dalla nobiltà e dalla Chiesa, fece realizzare gioielli, ostensori, calici, reliquiari, statue di santi e della Madonna tempestati di perle barocche. Anche gli uomini portarono, nei secoli XIX e XX delle spille da cravatta con perle barocche. Memorabile, a tal proposito, quella con la figura mitica di Omfale in oro, smalti e una straordinaria perla scaramazza [Fig. 52]. Nel XX secolo le perle barocche, bianche, rosa, gialle conobbero l’onore di rientrare ufficialmente nell’oreficeria più importante, fu l’Art Déco a riportarle in auge, seppure per poco. Poi giunsero le perle coltivate: per un certo tempo le donne scelsero solo le perle perfettamente tonde, perché l’oggetto più desiderato era la collana di perle, che doveva essere realizzata in perle tutte uguali 22


per sfericità anche se non per grandezza. Solo da qualche decennio anche l’industria delle perle coltivate ha riscoperto le perle scaramazze, che ora sono apprezzate nuovamente anche perché fanno pensare ad un prodotto più genuino e spontaneo della natura: ma è solo un’illusione, perché il processo per ottenerle è identico a quello per le perle rotonde di piccola caratura [Fig. 53]. In ogni modo, i secoli aurei delle perle barocche furono quelli tra il XVI e il XIX, sicuramente, il talento che risplendette su gli altri fu quello degli orafi fiamminghi e tedeschi, che in questo genere mostrarono conoscenze tecniche e capacità innovative veramente straordinarie per quel tempo, tenuto conto che non godevano di alcuna tecnologia che potesse facilitare un lavoro manuale che talvolta impegnava tutta una vita [Fig. 54]. L’iconografia di alcuni pendenti Déco deriva dai libri di emblemi del secolo XVI. I temi, spiegati in brevi motti e versi accompagnati da illustrazioni a xilografia o incisione, sono in connessione con concetti mitologici, storici, allegorici o fantastici, e occasionalmente, includono anche soggetti domestici. Libri di emblemi furono pubblicati in varie lingue, e fra i più conosciuti sono gli “Emblemata” di Andrea Alciati (prima edizione di Heinricus Steyner, Augsburg 1531), e gli “Emblemata” di Johannes Sambucus (prima edizione di Christoph Plantin, Antwerp 1564), un volume di cui i gioiellieri fiamminghi, anche quelli di Frankenthal, dovevano essere ben al corrente. Erano preferiti temi come quello dell’Età dell’Oro (o età aurea è il nome di un tempo mitico di prosperità e abbondanza). La tipologia dei gioielli Dèco è strettamente legata al fenomeno moda. I suoi cambiamenti radicali suggeriscono in gioielleria lunghe collane con nappe di perle, orecchini pendenti (che il taglio corto dei capelli contribuisce a 23


mettere in evidenza su un sottile collo che si allunga in una felina eleganza), spille a barretta o a clip da applicare sui revers delle giacche, larghi bracciali sulle braccia nude. La gioielleria Déco, punta sui materiali preziosi e rari, e su un manufatti pregiati [Figg. 55-56]. In linea teorica, ciò era una contraddizione in termini, perché la qualità degli oggetti Déco stava proprio nell’uso dei materiali preziosi, ma di fatto questa produzione riuscì a proporsi con elementi stilematici ben identificabili, che soddisfacevano l’esigenza del nuovo senza disturbare eccessivamente; ciò permise una sua capillare assimilazione in chiave medio e piccolo borghese, assimilazione facilitata dalla produzione di nuovi materiali che riescono ad i imitare quelli più preziosi come la tartaruga o la madreperla20. D’altronde, la gioielleria non è nuova a queste imitazioni; già nel ‘700 George Federic Strass (1701-1773) era riuscito ad imitare i gioielli in diamanti21, producendo una pasta di vetro che, opportunamente sfaccettata, non aveva nulla da invidiare al diamante vero e proprio. Ciò che rende riconoscibile un gioiello, (o un qualsiasi oggetto Dèco) sono: la simmetria, espressione di una adesione alle forme classiche; la bidimen sionalità, secondo moduli propri dell’esperienza decorativa della Wiener Werkstӓtte22; la secchezza dei contorni, secondo moduli geometrici propri delle avanguardie pittoriche; cerchi, quadrati, triangoli, zig-zag, fanno parte dell’universo Dèco. Modelli formali sono stati individuati nel ventaglio, nella palmetta, nella voluta a ricciolo contrapposto, nella fontana, nella piramide a gradoni; su tutti domina il motivo della rosa simbolo di conoscenza e perfezione, già assunto da Hoffmann come emblema 24


della Wiener Werkstӓtte e stilizzato nella carta intestata della ditta [Fig. 57]. Nella gioielleria Dèco a queste figure si associano quelle teriomorfe23 dell’uccello, della pantera ed in generale di animali esotici e feroci in una rivalutazione della cultura africana primitiva, con cui si viene a confronto per quei fenomeni di colonialismo che segnarono la storia d’Europa in quegli anni; se l’arte africana era il modello di una genuinità stilistica geometrica ed essenziale, la fortuna dell’arte egiziana va ricercata nella scoperta in quegli anni della tomba di Tutankamon24 (1922) [Figg. 58-59].

1.5 Note di gemmologia ed oreficeria Déco Il repertorio cromatico perde le languide tinte pastello del periodo precedente accendendosi di tinte forti e decise: il nero dell’onice25 [Fig. 60], il rosso del corallo26 [Fig. 61], il verde della malachite27 [Fig. 62], si combinano al bianco e splendente candore del brillante e del platino28 [Fig. 63]. I colori dei gioielli rispecchiano quella nuova sensibilità estetica che aveva permeato l’opera dei Fauves29 [Fig. 64] o le scenografie dei balletti russi30 di Sergej Pavlovič Dighialev (1872-1929) [Figg. 65-66]. Questo repertorio formale, alla fine degli anni ’20 si tramuta in forme più meccaniche e moderne; si abbandoneranno gli accoppiamenti cromatici vivaci prediligendo le coppie cromatiche: bianconero, bianco-rosso, affidate al brillante, all’onice e al corallo. Si sostituirà l’acciaio31 al platino, le materie plastiche alle pietre dure, o ancora, in maniera disinibita, si contamineranno materiali poveri epietre preziose, operando nel campo della gioielleria un provocatorio e tuttora insuperato rinnovamento. 25


Lalique, maestro indiscusso della gioielleria Art Nouveau [Figg. 67-68], aveva rivoluzionato il concetto di gioiello proponendo l’uso di materiali non preziosi come vetro o pietre semi-dure unite all’oro, rivoluzione che l’Art Déco assorbe; ma ciò che più caratterizzava i gioielli di Lalique o di un Vever [Fig. 69] o degli stessi Hoffman e Moser, era il rapporto equilibrato tra il supporto metallico e le pietre in esso incastonate: il gioiello diventa un’opera d’arte a cui si vuole negare il suo valore materiale, legato alla preziosità dei materiali impiegati, affidandogli un valore puramente estetico. Nella gioielleria Déco questo rapporto si annulla e si nega toralmente il supporto: le pietre preziose o semidure diventano predominanti nel disegno. Ciò comportò un’ascesa indiscussa della figura del gioielliere rispetto a quella dell’orefice che fino allora aveva primeggiato. Se nella gioielleria Art Nouveau l’orefice e l’incastonatore avevano avuto un ruolo equilibrato, nella gioielleria Déco questo rapporto si risolve tutto a favore del secondo, “l’orfèvre joailler”. All’interno dell’oreficeria la suddivisione del lavoro per categorie di oggetti o per tipo di lavorazioni ha dato luogo infatti ad una differenziazione nominale della figura dell’orefice. Già nel ‘700, l’Enciclopedie suddivideva il mestiere di orafo in: orfèvre grossier, che lavora l’argento da tavola e la suppellettile religiosa; orfèvre bijoutier che lavora oggetti galanti, monili d’oro, scatolette e pietre dure; orfèvre joaillier che incastona le pietre preziose. L’arte di incastonare le pietre raggiunge nel periodo Dèco una qualità ed una perizia mai raggiunte e trasforma il gioiello in una architettura di pietre colorate e brillanti che sembrano stare in equilibrio come per incanto. Ciò si deve all’uso di un metallo fino allora poco usato in gioielleria: il platino e alla famiglia dei minerali ad esso legati: il palladio32, l’iridio33, 26


il rodio34, il rutenio35, l’osmio36. Il platino, che anticamente si pensava essere una lega dell’argento, fu scoperto in Sud America; inizialmente gli venne dato il nome di platina, diminutivo d’argento (plata) e posto rispetto a questo in una posizione di secondo ordine. Agli inizi del XX secolo la sua lavorazione fu resa possibile nei laboratori di gioielleria grazie all’invenzione del cannello ossidrico che permetteva la fusione del metallo a 1772°, punto molto alta rispetto a quello dell’oro, che fonde invece a 1064°, e che era possibile liquefare con il cannello orale. Nei primi gioielli il foglio di platino che ha la proprietà di non ossidarsi; veniva saldato ad una lastra d’oro, ma col tempo, grazie alle proprietà del materiale, duttile e resistente ad un tempo, si riuscì a lavorarlo isolatamente, alleggerendo notevolmente la montatura. Per queste sue proprietà tecnologiche, fu possibile montare le pietre senza lasciare spazio tra loro (montatura a pavé) e il supporto, reso totalmente invisibile, consentì a bracciali, collane e spille di assumere l’apparenza e la flessibilità della luce. Al platino fu sostituita nel corso degli anni ’20 una lega più economica: l’oro bianco, ottenuto in un primo momento con nichel 190 + rame 60 + oro 750, lega che si dimostrò poco duttile e a cui si sostituì in un secondo momento quella composta da palladio 250 + oro 500, molto più elastica. Nel 1918 venne isolato l’osmio, che soprattutto in Francia fu ampiamente utilizzato in gioielleria. Ancora importanti elementi di rinnovamento furono: la produzione di perle e lo sviluppo dei materiali plastici, quali bachelite, che influì notevolmente sullo svecchiamento del gioiello. Ma la spinata più forte al rinnovamento fu data dai nuovi tagli che si riuscì a conferire alle pietre preziose. Ai tagli classici: rosé, brillante, 27


demi brillante, cabochon, ne furono aggiunti nuovi: quadrati, a baguette, a prismi, a trapezio, che, rompendo la rigidità dei tagli tradizionali, permisero la realizzazione di nuovi disegni. I tagliatori di gemme rivoluzionarono la gioielleria, riuscendo a carpire alle pietre preziose una luce mai raggiunta. Nuovi tagli furono sperimentati anche sulle pietre dure: giada, onice, lapislazzuli, malachite, turchese, ambra, corallo, che gareggiavano in una raffinata e disinibita composizione di colori con le pietre preziose. La luce abbagliante dei gioielli Déco sembra volere entrare in competizione con la luce artificiale della città e da questa nello stesso tempo essere esaltata. E ancora una volta torna comodo un paragone con il ‘700, perché come allora la fortuna dei gioielli con brillanti è attribuita alla moda delle feste notturne che la luce di centinaia di candele faceva sfavillare37, la fortuna delle pietre preziose degli anni ’20 è legata ad una nuova mondanità notturna che non si gioca più nelle case o nei salotti, privati ancora troppo polverosi, ma nei più moderni locali: teatri, cinema, sale da ballo, dove la luce artificiale è protagonista ormai indiscussa. Se la luce è una componente qualitativa del gioiello Déco, la mobilità ne è una componente ironica e giocosa. La possibilità di dividere un gioiello in più parti, dandogli più funzioni, non è nuova nella gioielleria, la si può ritrovare anche in esempi più antichi come nelle parure del ‘700, ma nel periodo in questione la mobilità delle parti diventa occasione per sperimentare giochi raffinati e segreti che negli esempi più qualificati puntano su una tecnologia abile e innovativa. Questa caratteristica si accentua maggiormente nei gioielli costruiti alla fine degli anni ’20, una mobilità di funzioni che diventa anche mobilità all’interno del gioiello stesso: così un pendente 28


può diventare una spilla, tipologia tra le piÚ diffuse del periodo, una spilla dividersi in due clip, un collier dividersi in due braccialetti, un bracciale diventare anello.

29


Fig. 1

Fig. 2 30


Fig. 3

Fig. 4

31


Fig. 5

32


Fig. 6

33


Fig. 7

Fig. 8 34


Fig. 9

Fig. 10 35


Fig. 11

36


Fig. 12

37


Fig. 13

38


Fig. 14

39


Fig. 15

Fig. 16 40


Figg. 17 41


Fig. 18

Fig. 19 42


Fig. 20

43


Fig. 21

44


Fig. 22

45


Fig. 23

46


Fig. 24

Fig. 25

47


Fig. 26

Fig. 27

48


Fig. 28

49


Fig. 29

50


Fig. 30

51


Fig. 31

52


Fig. 32

53


Fig. 33

Fig. 34 54


Fig. 35

Fig. 36 55


Fig. 37

56


Fig. 38

57


Fig. 39

Fig. 40 58


Fig. 41

59


Fig. 42

60


Fig. 43 61


Fig. 44 62


Fig. 45

63


Fig. 46

64


Fig. 47 65


Fig. 48

66


Fig. 49 67


Fig. 50 68


Fig. 51

69


Fig. 52 70


Fig. 53

71


Fig. 54

72


Fig. 55

Fig. 56

73


Fig. 57

Fig. 58

74


Fig. 59

75


Fig. 60

Fig. 61

Fig. 62

Fig. 63 76


Fig. 64

Fig. 66

Fig. 65 77


Fig. 67

Fig. 68

78


Fig. 69

79


Capitolo secondo Un caso particolare il gioiello teriomorfo in Fulco Di Verdura Nasce a Palermo il 20 marzo 1899 Fulco di Santostefano della Cerda duca di Verdura a Villa Niscemi, da Carolina Valguarnera38 Niscemi e Giulio Santostefano della Cerda, cugini di secondo grado, entrambi di discendenza spagnola39. Trascorre la sua infanzia nelle dimore familiari di Villa Niscemi, Palazzo Niscemi in via Montevergini, e nella villa estiva di Bagheria. La vita di Fulco trascorre spensierata in compagnia della sorella maggiore, Maria Felice (1895-1990), l’unica casa che egli ha veramente amato, e nel suo Eden, il parco della Favorita. L’educazione di Fulco è affidata anche alla istitutrice inglese, Miss Aileen Brennen, con la quale si addentra nel magico mondo delle Nursey rhymes di Alice’s Adventures in Wonderland (Alice nel paese delle meraviglie), è un’opera letteraria pubblicata per la prima volta nel 1865 e scritta dal matematico e scrittore inglese reverendo Charles Lutwidge Dodgson, sotto il ben più noto pseudonimo di Lewis Carroll (1832-1898) [Fig. 70]. La vita quotidiana a Villa Niscemi è diretta dalla figura di Grandmamà, nonna materna di Fulco, con la quale il bambino condividerà la grande passione per la musica lirica. Compagni di giuochi di Fulco e Maria Felice sono Musetta e Dick, i cagnolini di Villa Niscemi. Fulco e Maria Felice frequentano i Gardner parties dei coetanei Whitaker40, di Villa Malfitano, Villa Sofia, Olivuzza; si organizzano i tableaux vivents con i Mazzarino41, i Florio42. In estate tutta la famiglia trascorre lunghi periodi di vacanza a Parigi, Vienna, in Baviera, all’ Octoberfest di Monaco, a Budapest, Firenze, Roma, Napoli. Il terremoto di Messina (28 dicembre 1909) è avvertito in modo 80


violento anche a Villa Niscemi, dove vacilla l’albero di Natale e si schiantano per terra tutti gli ornamenti. È il primo avvenimento angoscioso della vita di Fulco. Il 23 febbraio 1915 muore Grandmamà. Con la sua scomparsa un’ombra di tristezza adombra la vita di Fulco a Villa Niscemi. La famiglia più tardi si trasferirà nella dimora di Palazzo Niscemi in via Montevergini. Nel marzo 1922 muore Giulio Santostefano della Cerda padre di Fulco. Il 13 aprile 1925 dopo un ballo in costume a Palazzo Verdura, lascia Palermo per stabilirsi a Venezia, Londra, Parigi. A Parigi nel 1927 Fulco si dedica esclusivamente alla pittura e al disegno.

2.1 Biografia aziendale Verdura fu artista di una cultura eclettica e strabiliante. Amò l’arte, scoperta per caso in un pomeriggio di Villa Niscemi [Fig. 71], grazie ad un libro impreziosito da una nobile rilegatura e popolato di dipinti e famose sculture. Amò la natura, la sua più grande fonte di ispirazione:animali, uccelli, piume, ali, foglie, conchiglie, fiori e frutti sono essenze colte dall’artista palermitano e trasformate in capolavori. Ma amò soprattutto la sua città, Palermo, a cui dedicò un libro autobiografico, Estati Felici, un testo ricco di ricordi, profumi e sogni di un mondo così fantastico, così meravigliosamente colorato che solo un bambino può possedere. Esso è la storia della sua infanzia. Tutto era bellezza, tutto eleganza. Si ritrovò spesso a disegnare quel meraviglioso mondo su qualsiasi supporto gli venisse offerto. I suoi disegni si popolarono di nobili personaggi, abitanti di castelli incantati. Cornucopie ricolme di perle, pregiate pietre circondate da serpenti, 81


tritoni e frecce, delfini trainanti splendidi carri popolati da sirene e poi ancora moretti, il cui colore scuro “incontrava” la perfezione assolutamente armonica della perla barocca. Dopo un ballo in costume a Palazzo Verdura, per Fulco inizia una vita nuova che lo porterà a viaggiare tra Venezia, Parigi e New York. È il “suo” inizio. Nascono le prime importanti amicizie che gli permetteranno di ottenere un ruolo determinante nel palcoscenico del “lusso” dell’epoca: una fra queste, Coco Chanel [Fig. 72]. Coco era una donna di grande fascino ma sopratutto di grande intuito: percepì immediatamente la grande e raffinata maestria creativa di Fulco. Per questo, gli commissionò la realizzazione di importanti gioielli basati sul principio innovativo della perfetta intercambiabilità degli stessi con la bigiotteria. Il capolavoro che segnò l’inizio di questa grande amicizia fu un bracciale in smalto bianco sormontato da una Croce di Malta impreziosita da pietre preziose [Figg. 73-74-75]. Nel 1929, Fulco organizza nella città natale, il “Ballo 1799”, dedicato a Lady Hamilton (1765-1815) e Lord Nelson (1758-1805), vecchi ospiti di Palazzo Verdura. Gli ospiti al ballo, arrivarono da tutto il mondo. Qui, un’altra importante personalità che segnò la carriera del nostro artista Cole Porter (1891-1964) proiettò il nome di Verdura in quegli ambienti divenuti ormai mete d’elite. Il grande compositore americano Cole Porter, dalla vita lieve e leggera come la sua musica, diede fiducia alla creatività del giovane aristocratico siciliano facendogli realizzare una serie di portasigarette per siglare i successi dei suoi musicals [Fig. 76]. “Ne perdeva così tanti che a tutti faceva incidere la scritta Rubato a Cole Porter” (v. Fulco di Verdura: gioielli a cura di Domitilla Alessi, Palermo: Novecento, 1999, p. 45). “Ne ho disegnati più di venti” (ivi: p.45) ricorderà Verdura in un’intervista. 82


“Era un bel problema cercare di interpretare il tema. Du Barry Was a Lady fu particolarmente difficile. Da una parte ci misi tutti i gigli di Francia e la corona reale, e dall’altra un cappello da signora con nastri svolazzanti, e tutt’intorno gigli in oro di due differenti colori” (eadem, p. 45). Per lo spettacolo di Cole Porter del 1936, Red Hot and Blue, il portasigarette aveva strisce di rubini, diamanti, e zaffiri; mentre un sottile intreccio che imitava la paglia celebrò la prima di Panama Hattie nel 1940. Il 1934 è un’altra data importante per Fulco. Ha inizio il “sogno americano”. Lì inizierà a lavorare gestendo una filiale del famoso gioielliere newyorchese dei miliardari e delle attrici di Hollywood, Paul Flato (1900-1999), per poi sfociare in un successo sbalorditivo nel mondo del cinema. Tutte le star del silver screen, da Gloria Swason (1899-1983) a Greta Garbo (1905-1990) e Katherine Hepburn (1907-2003), non esitarono ad accrescere il loro fascino seduttivo con le nuovissime creazioni di Fulco, ricoprendo le candide nuvole di chiffon, con infiniti braccialetti, enormi quantità di fili di perle e lunghissimi pendenti che stilizzarono inverosimilmente il loro colli di cigno, trasformandole in divinità orientali [Fig. 77-78]. Trasferitosi nuovamente a New York, con l’aiuto del fedele amico Cole Porter, Fulco di Verdura apre finalmente il suo negozio sulla Fifth Avenue, che diviene subito meta di pellegrinaggi di sofisticate lady della higt society americana come Barbara Hutton (1912-1979), ricca ereditiera, amante ed avida collezionista di gioielli assai più numerosi dei suoi matrimoni. “Giocava con i suoi gioielli come una bambina faceva con i propri giocattoli” racconta la duchessa Malborough, “li riponeva sul tavolo e li toccava, lasciandosi abbagliare dai riflessi di enormi smeraldi e diamanti grossi come nocciole” (eadem, p. 50). 83


Wally Simpson (1896-1986), la Duchessa di Windsor, si lasciò completamente sedurre dal tocco personale di fantasia, spirito e surrealismo dei suoi gioielli, che ben si sposavano con le eccentriche mise che la stravagante couturier italiana Elsa Schiapparelli (1890-1973) creava per vivacizzare la sua leggendaria eleganza, resa austera dai tailleur da giorno e dal rigore geometrico della sua acconciatura “dai capelli simili a quella di una giapponese, così lucidi e spazzolati che una mosca vi sarebbe scivolata sopra” annotava nei suoi taccuini mondani Cecil Beaton (1904 -1980). Come ricordava recentemente il fotografo di moda Paul Albert Horst (1906-1999): “Verdura la trasformò, lei comprava anche da altri gioiellieri, ma solo lui sapeva fare di lei una duchessa” (eadem, p. 51).Per lei Fulco tirò dall’oblio il topazio rosa, creando un bijoux a forma di rosa dove i petali di topazio assumevano delle nuance che sfumavano impercettibilmente dal rosa al verde e piacque così tanto alla Duchessa da spingerla a farle dichiarare ai suoi amici che ella stessa aveva disegnato il gioiello. Ma a tradirla fu la sua stessa natura di donna capricciosa che la fece ritornare nel negozio di Fulco per chiedergli di cambiare il bijoux con un altro più nuovo. Richiesta elegantemente respinta dallo stesso Fulco che prontamente gli disse: “Sono spiacente, mi piacerebbe farlo ma, ahimè, non posso. Tutte le cose che trova qui sono state disegnate da me ed io riconosco che questa rosa è un suo disegno” (eadem, p. 51), così incantevolmente che la Duchessa rimase una sua cliente; ricevette in dono dal playboy Jimmy Donahue (19151966) divenuto suo amante negli anni ’50, un enorme cuore di acquamarina che il suo adorato Fulco ingabbiò in una montatura dorata per trasformarlo in un delizioso portacipria [Fig. 79]. Sempre per lei raccolse variopinte conchiglie che le spumeggianti 84


onde depositavano sulle assolate spiagge di Mondello e di Fire Island, incrostandole di smeraldi e brillanti, o intessendole con spirali d’oro trasformandole in divertenti broche di orecchini mai visti [Fig. 80-81]. Così, quelle che fino ad allora erano state solo creature appartenenti al mare, impreziosite da gemme di ogni tipo, divennero strabilianti gioielli. Il suo nobile talento, si trovò nelle copertine di notevoli riviste dell’epoca. Diana Vreeland (19031989), leggendaria direttrice di «Vogue», pubblicò numerose volte le creazione di Fulco nelle proprie pagine [Fig. 82]. Indispensabile fu l’incontro di Fulco con il grande Salvator Dalì (1904-1989), uniti entrambi da un grande rapporto con l’irrequieta Coco e la sua eterna rivale Elsa Schiapparelli. L’artista spagnolo amava dispensare la sua eclettica creatività tinta di toni surrealisti al mondo del teatro, del cinema e della moda. Scegliendo Fulco per la creazione di fantasmagorici gioielli dipinti, Dalì non lo risparmiò dai suoi scherzi surreali ed esilaranti sin dalla prima volta che lo ospitò nella sua residenza di Hampton Court43. Verdura amava eseguire anche delle commissioni speciali di clienti esigenti come Clare Booth Luce (1903-1987), la brillante autrice di commedie, dotata di una grande determinazione, la stessa che le permise di essere nominata ambasciatrice americana in Italia [Fig. 83]. Desiderando una versione portabile del premio Tony vinto per “The Woman”, Fulco disegnò per lei una maschera tragi-comica in oro giallo, platino, smeraldi con una frangia di perle coltivate. Alla richiesta della moglie dell’ambasciatore americano Hay Witney (1904-1982) di realizzare una tiara da indossare in occasione della sua presentazione alla corte inglese, Fulco ebbe la spiritosa trovata di ornare con piume dorate un elegante cerchietto che ricordava le acconciature degli indiani d’America, infondendo una ventata 85


di humor nelle gelide sale di Buckingam Palace [Fig. 84]. La sua fama non si affievolì dopo il suo malinconico ritiro dall’attività creativa che affidò al suo socio di sempre Joseph Alfano, trasferendosi definitivamente a Londra e circondatosi dai suoi amati libri, dai lussuosi oggetti e dai nostalgici ricordi della sua infanzia dorata che finirono su un libro. Lì nacque Estati Felici. Muore dopo due anni portando con sé la genialità di un artista capace di modellare il “bello”. Le sue ceneri, vennero sepolte al cimitero di Sant’Orsola di Palermo. Personalità siciliana, anzi, palermitana, una fra le più importanti del Novecento.

2.2 Lo Stile Con la forza della sua straripante creatività, Fulco di Verdura cattura la nostra immaginazione conducendoci nel suo fantasmagorico universo popolato da rarità esotiche e da variopinte creature floreali delle intensità olfattiva così inebrianti da stordire chiunque tenti di aggirarsi nei meandri di suggestivi giardini incantati, là dove risiedono i suoi sogni [Fig. 85]. “Mi lasciavo andare a vaghi sogni ad occhi aperti e partivo per lontani e magici orizzonti” (v. Fulco di Verdura: gioielli a cura di Domitilla Alessi, Palermo: Novecento, 1999, p. 43) scriveva Fulco nelle sue memorie, ricordando i momenti che alimentavano la sua fantasia e che costellavano la sua infanzia dorata. Chissà quante volte il suo sguardo si estasiava alla vista di variopinti pappagalli dai vividi colori rubati a smeraldi rubini e zaffiri, sospesi nel cielo da esotiche voliere. O i suoi silenzi interrotti dal guizzare allegro di vivaci pesciolini rosso-rubino che fluttuavano in acque limpide e trasparenti come acquemarine. 86


Deliziosi topolini dal corpicino imbiancato da candide opali sfuggono alla vista di tenere bestioline dal pelo dorato. Cammelli stilizzati portavano carichi di gioielli sulla gobba fatta di perle barocche, pantere ornate e coronate con un ricco collare perdono l’aria minacciosa alla vista di una palla di perla. Gli uccelli volano nel cielo come i cigni nuotano nell’acqua. Fagiani, fenicotteri e struzzi regalarono con gioia al giovane Fulco i loro straordinari piumaggi, curvandosi attorno alle pietre ai toni squillanti per rinascere a nuove creature, gioielli sospesi nell’aria. Con gioiosa ironia Fulco trasformò le adorate creature del suo fantasmagorico serraglio in oggetti ornamentali irresistibili e fu la natura con la sua bellezza rigogliosa a distillare nella sua fantasia. Volteggiando nei saloni affrescati a Villa Niscemi lo sguardo del giovane Fulco, posandosi su un libro impreziosito da una lussuosa rilegatura in marocchino verde s’illuminò alla vista di splendide illustrazioni di dipinti e sculture che fecero nascere in lui l’amore per l’Arte e “spinto dal desiderio di emulazione” imbrattò qualunque pezzo di carta che gli cadeva fra le mani, disegnando castelli incantati, abitati da altere regine e strani personaggi. Disegni ispirati alle opere del Rinascimento riproducevano cornucopie traboccanti di perle, serpenti che avvolgevano pietre preziose incastonate su aerei calici dorati, tritoni che lanciavano frecce tridenti, delfini che trainavano carri sorretti da splendide sirene. Mori che animavano le tele del Veronese, dalla pelle così scura da contrastare con la il loro petto di perla barocca, con pennacchi svolazzanti venuti fuori dai loro chilometrici turbanti ed il collo serrato ironicamente da cravatte smaltata, assisi su cavalli militari o abbracciati come gemelli Siamesi, in un tripudio di colori e particolari preziosi che rendevano già l’idea della sua inebriante inventiva 87


[Fig. 86-87]. Come per incanto i suoi disegni si materializzarono in stupefacenti creazioni grazie ad una serie fortuita di eventi e di incontri che costellarono la sua vita, e che conquistarono una clientela la cui lista continua ancora adesso ad essere prestigiosa ed esclusiva come quella di un’incoronazione, dove vi figurano regine, principesse, first lady, e celebrità internazionali, attive sulla scena mondana dei due continenti, tutte appartenenti a quella atmosfera di beautiful people inventata e celebrata da «Vogue», il cui decalogo recita: “Non si dovrebbe essere mai né troppo magri né troppo ricchi” (ivi: p. 45). Donne, che annoiate dai loro compassati gioielli di famiglia accolsero avidamente, come una ventata d’aria fresca, la novità del suo design. I viaggi fatti con Coco gli fecero scoprire incantevoli angoli di paradiso, come la Schatzkammer di Monaco, ricolma di gioielli rinascimentali che gli ispirarono motivi decorativi da applicare ai suoi gioielli, dal motivo a nodi di Leonardo da Vinci (1452-15199) a quello a cestino di Giulio Romano (1499-1546), maestro orafo della corte dei Gonzaga. Una corona di melograno della tesoriera dell’antico re di Persia Dario, esposta ad una mostra sull’arte achemenide in Iran, stimolò la fantasia di Fulco al punto di indurlo a creare nuovi gioielli ispirati al tema della natura. Nelle sue versioni, la frutta che sboccia dal mezzo sterno di una conchiglia, evocava l’abbondante ricchezza della natura. Egli colma i cesti con pesanti grappoli d’uva, con rosse e verdi bacche sui rami strappate dai cespugli di ribes. Fulco fu il primo a trasformare motivi classici come corde, monete e funi, ridisegnandoli in modo tale da evidenziare la finezza della lavorazione che l’importanza delle pietre. Riuscì a dare un aspetto di morbidezza ai fiocchi dalle proporzioni asimmetriche realizzati in oro, 88


a rendere lievi i nastri intrecciati in maniera tale da farne intravedere il tessuto facendogli così perdere l’aspetto massiccio della elaborata montatura. Durante gli anni ’50, le raffinate donne americane indossarono il “turbante Verdura” composto da una conchiglia naturale inchiodata da peridoti e turchesi [Fig. 88]. Una spumeggiante onda dorata44 [Fig. 89], opera di Hokusai45 ispirò a Fulco il disegno di una meravigliosa broche (spilla) che segnò il culmine della sua aspirazione marina. Un carpo d’oro, sempre di origine giapponese, percorreva sentieri popolati da rami di corallo, pesci tropicali nuotavano serenamente in coppia, delfini si tuffavano nel mare, con la coda all’insù. Come il grande artista dell’Art Nouveau, Renè Lalique, fu intrigato dalla semplicità dei materiali utilizzati portandolo a snobbare pietre di elevata caratura, in particolare i gelidi diamanti, tanto apprezzati da maestri orafi, che lui definiva semplici “esemplari di mineralogia” arricciando il naso davanti ai grandi solitari montati su anelli che chiamava “piscine”. Le donne che vestivano alla moda, usavano gioielli tutti i giorni, indossando spille di diamanti, zaffiri e smeraldi che appuntavano capricciosamente su pellicce, cinture, cappelli e polsini [Fig. 90]. Fulco cambiò la dimensione dei suoi gioielli, ed i suoi pezzi, composti con pietre preziose e semipreziose non erano spesso eccessivamente cari, e venivano venduti per qualche centinaio di dollari ognuno. Fu instancabile ricercatore di materiali provenienti dal mondo di Madre Natura. Una semplice pietra, raccolta per caso, poteva “elevare” il proprio valore, la propria essenza, divenendo un gioiello. Dimostrò al mondo che tutto poteva “essere” un gioiello. Fulco possedeva una grande virtù: quella di rendere prezioso un oggetto, grazie alla raffinatezza della lavorazione e alla ricerca del particolare. 89


Il tutto veniva esaltato dall’innovativa possibilità di accostare materiali preziosi a quelli meno nobili. Ma fra gli aspetti che lo caratterizzarono maggiormente e che lo distinsero dagli artisti del tempo, fu il desiderio di creare gioielli che non fossero testimonianza di lusso, ricchezza, pubblicità o smania di successo, ma celebrazioni del tutto singolari per il fascino di una donna, elevandola così dalla società e rendendola preziosa ed unica, come i suoi capolavori [Fig. 91].

2.3 I Gioielli teriomorfi: un catalogo per immagini Fulco diede alle sue creazioni i ricordi della sua infanzia soprattutto nel rappresentare le tante meraviglie della natura teriomorfa. Ed ecco che una cascata di brillanti si posava soavemente insieme a rossi rubini del Siam, su deliziosi animaletti dal corpicino imbiancato da perle o smaltate, ornate e coronate con un ricco collare di diamanti e pietre preziose.

90


2.3.1

Il Pappagallo in oro giallo è appollaiato su un ramo di onice. Le piume del petto sono incastonate da diamanti, quelle delle ali e del retro sono in smalto policromo.

91


2.3.2

Spilla in oro giallo a forma di drago marino, con le fauci spalancate, mostrando i denti e la lingua. La coda ricurva termina con un motivo gigliato in oro e diamanti. Il resto del corpo è lavorato con smalto rosso e diamanti incastonati.

92


2.3.3

Disegno e gioiello di una spilla a forma di elefante; ed ecco che una cascata di brillanti si posano soavemente insieme a rossi rubini del Siam, delizioso animaletto dal corpicino imbiancato, portava un carico di gioielli su una gobba fatta di perle barocche, ornate e coronate con un ricco collare perdono l’aria minacciosa alla vista di una palla di perla.

93


2.3.4

Anello a forma di leopardo, oro giallo, diamanti e smeraldi per gli occhi.

94


2.3.5

Spilla a forma di drago, oro giallo. Il corpo è rivestito con pietre turchesi cabochon e diamanti gialli circolari taglio, con uno zaffiro; la criniera a fantasia e pavÊ, le gambe e testa di diamanti. Gli occhi di rubino e la lingua di corallo intagliato, montato in oro 18k e platino.

95


2.3.6

Anello a forma di camaleonte incastonato da pietre colorate: smeraldi, ametiste, topazi.

96


2.3.7

Spilla in oro giallo, e smalto nero, brillanti e rubini per gli occhi.

97


2.3.8

Spilla placcata in oro con smalto nero traslucente, impreziosita da diamnti sparsi per il corpo.

98


2.3.9

Spilla a forma di elefante placcata in oro giallo con smalto rosa traslucente. Incastonata da pietre preziose. Le orecchie sono in diamanti con richiami in oro, gli occhi di smeraldi; sul fianco delle ametiste con il bordo in oro giallo.

99


2.3.10

Spilla appartenente alla collezione del mondo marino. Composta da una perla barocca, oro gliallo, diamanti e smeraldi.

100


2.3.11

Spilla a forma di acquila in oro giallo con le piume in smalto traslucente. Il petto è formato da una perla scaramazza barocca e un rubino incastonato a forma di cuore. Le zampe stringono due perle di forma rotonda.

101


Fig. 70

Fig. 71 102


Fig. 72

Fig. 73 103


Fig. 74

104


Fig. 75

105


Figg. 76 106


Fig. 77

Fig. 78 107


Fig. 79

Fig. 80 108


Fig. 81

Fig. 82 109


Fig. 83

110


Fig. 84

Fig. 85

111


Fig. 86

Fig. 87 112


Fig. 88

113


Fig. 89

Fig. 90

114


Fig. 91

115


Capitolo terzo Una interpretazione progettuale del gioiello teriomorfo 3.1 Progetto Il progetto pratico mostra le fasi di lavorazione attraverso tavole grafiche e prototipi di gioiello con soggetto animale. Disegno e prototipo sono in totale sinergia, in un continuo work in progress che porti all’ottimizzazione del prodotto finale. Lo studio grafico ha avuto inizio con la ricerca delle immagini:

116


117


Dopo avere scelto l’immagine del drago marino, ho elaborato stilisticamente in tavole grafiche disegni a mano libera del bijou nelle varie tipologie: ciondoli - anelli - bracciali - collane - orecchini - spille.

Tav. 1


Tav. 2 119


Tav. 3 120


Tav. 4 121


Tav. 5 122


Tav. 6

123


Tav. 7

Tav. 8

124


Tav. 9

125


Tav. 10

126


Tav. 11

127


Tav. 12

128


Tav. 13

Tav. 14

129


Esaminando i vari disegni, sono giunta alla scelta solo di alcuni di questi, iniziando a realizzare i prototipi dei gioielli.

130


131


Modellando una morbida pasta d’argilla polimerica (derivata dal petrolio) cotta a 180° in forno comune, ho realizzato i primi prototipi, successivamente portati su matrici in pasta siliconica negativa e a seguire su di un impasto prototipico d’acqua e gesso di Bologna. Alcuni dei prototipi così composti presentano l’applicazione di pietre ad imitazione della maniera di Fulco di Verdura.

Pasta d’argilla polimerica 132


Prototipi in argilla polimerica 133


Prototipo in gomma siliconica 134


Prototipo in gomma siliconica con colata di gesso 135


Prototipo in gesso di Bologna e smalto sintetico colore oro 136


Lavorazione:

Modellazione pasta polimerica

137


138


139


Matrice in gomma siliconica con elementi in pasta polimerica

Matrice in gomma siliconica 140


Matrice in gomma siliconica con colata di gesso di Bologna

Prototipi in gesso di Bologna 141


Preparazione gomma siliconica

Matrice in gomma siliconica 142


Prototipo in gesso di Bologna

Prototipo in gomma siliconica con colata di gesso 143


Prototipo in gesso di Bologna

144


Prototipi in pasta polimerica durante il processo di colorazione

145


Prototipi in pasta polimerica e smalto sintetico colore oro

Prototipi in pasta polimerica (orecchini) con l’applicazione di pietre ambra

146


I disegni, i prototipi e le matrici, sono stati sistemati per la presentazione all’interno di una scatola formato A4 (21x29,7 cm) alta 4 cm in plastica trasparente, creata apposta per contenere gli oggetti in questione.

Scatole trasparenti in plastica formato A4

147


ACCADEMIA DI BELLE ARTI CORSO DI DIPLOMA ACCADEMICO DI PALERMO DI PRIMO LIVELLO IN DIPARTIMENTO DI PROGETTAZIONE PROGETTAZIONE DELLA MODA E ARTI APPLICATE Scuola di Progettazione Prof. Sergio Pausig artistica per l’impresa A.A 2012-2013

Eloisa Zito IL GIOIELLO TERIOMORFO Cartoncino bristol liscio 160 gr, A4 21x29,7 cm

148


ACCADEMIA DI BELLE ARTI CORSO DI DIPLOMA ACCADEMICO DI PALERMO DI PRIMO LIVELLO IN DIPARTIMENTO DI PROGETTAZIONE PROGETTAZIONE DELLA MODA E ARTI APPLICATE Scuola di Progettazione Prof. Sergio Pausig artistica per l’impresa A.A 2012-2013

Eloisa Zito IL GIOIELLO TERIOMORFO Prototipo in argilla polimerica e smalto colore oro

149


ACCADEMIA DI BELLE ARTI CORSO DI DIPLOMA ACCADEMICO DI PALERMO DI PRIMO LIVELLO IN DIPARTIMENTO DI PROGETTAZIONE PROGETTAZIONE DELLA MODA E ARTI APPLICATE Scuola di Progettazione Prof. Sergio Pausig artistica per l’impresa A.A 2012-2013

Eloisa Zito IL GIOIELLO TERIOMORFO Prototipo in argilla polimerica, smalto sintetico colore oro e matrice in gomma siliconica 150


ACCADEMIA DI BELLE ARTI CORSO DI DIPLOMA ACCADEMICO DI PALERMO DI PRIMO LIVELLO IN DIPARTIMENTO DI PROGETTAZIONE PROGETTAZIONE DELLA MODA E ARTI APPLICATE Scuola di Progettazione Prof. Sergio Pausig artistica per l’impresa A.A 2012-2013

Eloisa Zito IL GIOIELLO TERIOMORFO Prototipo in argilla polimerica e smalto colore oro

151


ACCADEMIA DI BELLE ARTI CORSO DI DIPLOMA ACCADEMICO DI PALERMO DI PRIMO LIVELLO IN DIPARTIMENTO DI PROGETTAZIONE PROGETTAZIONE DELLA MODA E ARTI APPLICATE Scuola di Progettazione Prof. Sergio Pausig artistica per l’impresa A.A 2012-2013

Eloisa Zito IL GIOIELLO TERIOMORFO Matrice in gomma siliconica

152


ACCADEMIA DI BELLE ARTI CORSO DI DIPLOMA ACCADEMICO DI PALERMO DI PRIMO LIVELLO IN DIPARTIMENTO DI PROGETTAZIONE PROGETTAZIONE DELLA MODA E ARTI APPLICATE Scuola di Progettazione Prof. Sergio Pausig artistica per l’impresa A.A 2012-2013

Eloisa Zito IL GIOIELLO TERIOMORFO Prototipo in pasta di porcellana e pittura al III fuoco

153


ACCADEMIA DI BELLE ARTI CORSO DI DIPLOMA ACCADEMICO DI PALERMO DI PRIMO LIVELLO IN DIPARTIMENTO DI PROGETTAZIONE PROGETTAZIONE DELLA MODA E ARTI APPLICATE Scuola di Progettazione Prof. Sergio Pausig artistica per l’impresa A.A 2012-2013

Eloisa Zito IL GIOIELLO TERIOMORFO Cartoncino bristol liscio 160 gr, A4 21x29,7 cm

154


ACCADEMIA DI BELLE ARTI CORSO DI DIPLOMA ACCADEMICO DI PALERMO DI PRIMO LIVELLO IN DIPARTIMENTO DI PROGETTAZIONE PROGETTAZIONE DELLA MODA E ARTI APPLICATE Scuola di Progettazione Prof. Sergio Pausig artistica per l’impresa A.A 2012-2013

Eloisa Zito IL GIOIELLO TERIOMORFO Prototipo in argilla polimerica, smalto sintetico colore oro, pietre turchesi e cordoncino in filo di nodo colore oro 155


ACCADEMIA DI BELLE ARTI CORSO DI DIPLOMA ACCADEMICO DI PALERMO DI PRIMO LIVELLO IN DIPARTIMENTO DI PROGETTAZIONE PROGETTAZIONE DELLA MODA E ARTI APPLICATE Scuola di Progettazione Prof. Sergio Pausig artistica per l’impresa A.A 2012-2013

Eloisa Zito IL GIOIELLO TERIOMORFO Matrice in gomma siliconica

156


ACCADEMIA DI BELLE ARTI CORSO DI DIPLOMA ACCADEMICO DI PALERMO DI PRIMO LIVELLO IN DIPARTIMENTO DI PROGETTAZIONE PROGETTAZIONE DELLA MODA E ARTI APPLICATE Scuola di Progettazione Prof. Sergio Pausig artistica per l’impresa A.A 2012-2013

Eloisa Zito IL GIOIELLO TERIOMORFO Prototipo in pasta di porcellana, pittura al III fuoco e pietre ambra

157


ACCADEMIA DI BELLE ARTI CORSO DI DIPLOMA ACCADEMICO DI PALERMO DI PRIMO LIVELLO IN DIPARTIMENTO DI PROGETTAZIONE PROGETTAZIONE DELLA MODA E ARTI APPLICATE Scuola di Progettazione Prof. Sergio Pausig artistica per l’impresa A.A 2012-2013

Eloisa Zito IL GIOIELLO TERIOMORFO Cartoncino bristol liscio 160 gr, A4 21x29,7 cm

158


ACCADEMIA DI BELLE ARTI CORSO DI DIPLOMA ACCADEMICO DI PALERMO DI PRIMO LIVELLO IN DIPARTIMENTO DI PROGETTAZIONE PROGETTAZIONE DELLA MODA E ARTI APPLICATE Scuola di Progettazione Prof. Sergio Pausig artistica per l’impresa A.A 2012-2013

Eloisa Zito IL GIOIELLO TERIOMORFO Prototipo in argilla polimerica, smalto sintetico colore oro, pietre ambra e perle scaramazze 159


ACCADEMIA DI BELLE ARTI CORSO DI DIPLOMA ACCADEMICO DI PALERMO DI PRIMO LIVELLO IN DIPARTIMENTO DI PROGETTAZIONE PROGETTAZIONE DELLA MODA E ARTI APPLICATE Scuola di Progettazione Prof. Sergio Pausig artistica per l’impresa A.A 2012-2013

Eloisa Zito IL GIOIELLO TERIOMORFO Matrice in gomma siliconica

160


ACCADEMIA DI BELLE ARTI CORSO DI DIPLOMA ACCADEMICO DI PALERMO DI PRIMO LIVELLO IN DIPARTIMENTO DI PROGETTAZIONE PROGETTAZIONE DELLA MODA E ARTI APPLICATE Scuola di Progettazione Prof. Sergio Pausig artistica per l’impresa A.A 2012-2013

Eloisa Zito IL GIOIELLO TERIOMORFO Prototipo in pasta di porcellana e pittura al III fuoco

161



Catalogo dei Designer



“Il design … è una manifestazione della capacità dello spirito umano di trascendere i propri limiti”. George Nelson, The Problems of Design, 1957

Il designer è colui che redige un progetto, spesso di carattere architettonico o tecnico progettuale, attraverso un processo o attività di progettazione. Si tratta di una figura professionale che con un proprio bagaglio culturale ed una congrua esperienza pensa e concepisce prima ciò che verrà costruito dopo.



Edgar Brandt ▪ Bulgari ▪ Cartier ▪ Francesco Casorati ▪ Coco Chanel ▪ Sonia Terk Delaunay ▪ Fortunato Depero ▪ Peter Carl Fabergè ▪ Luigi Figini e Gino Pollini ▪ Paul Flauto ▪ Eileen Gray ▪ Josef Hoffmann ▪ René Jules Lalique ▪ Kenneth Jay Lane ▪ Paul Poiret ▪ Giò Ponti ▪ Jacques Émile Ruhlmann ▪ Alberto Sartoris ▪ Elsa Schiapparelli ▪ Mario Sironi ▪ George Federic Strass ▪ Süe et Mare ▪ Tiffany & Co ▪ Henri Vever



Edgar William Brandt, fabbro d’arte e degli armamenti industriali di origine alsaziana francese. Nel 1894-1898 studia presso la Scuola nazionale professionale di Vierzon con il fratello. Nel 1902 crea a Parigi gli stabilimenti Brandt dove, accanto alla lavorazione dei metalli, comincia a produrre armi leggere, poi trasformati nell’omonimo marchio di elettrodomestici nel ‘24. Le sue attività nel settore della produzione di armi pesanti portano all’apertura della fabbrica in Chatillon-sous-Bagneux. L’azienda fu infine nazionalizzata nel 1936. In qualità di designer il successo viene, ancora una volta, all’Expo del 1925. In più stage espone creazioni in ferro battuto, mobili, oggetti decorativi, sculture, impianti di illuminazione. In tale accezione, Brandt sarà la prima galleria d’arte decorativa di Parigi. Allo stesso tempo egli apre una seconda sala espositiva a Londra e una filiale “Ferro Brandt” a New York, vera e propria vetrina di artisti Art Dèco in Nord America. Nel dicembre del ‘30 Edgar Brandt ospita la prima mostra di un gruppo tra i migliori artisti della fauna selvatica del momento: Edouard Marcel Sandoz (1881-1971), Paul Jouve (18781973), Georges Guyot (1885-1973), e Gaston Suisse (1896-1988). Questa prima mostra teriomorfa presso la Galleria Brandt ebbe grande successo, e tutti coloro che vi parteciparono formano quello che oggi è chiamato il “Gruppo degli animali”. 169

Edgar William Brandt (1881-1960)


Edgar-William Brandt,Parafuoco, 1926.

Lampada a stelo La Tentation, 1925 ca. 170


Bulgari 1884

E’ una società italiana fondata nel 1884, attiva nel settore del lusso (la gioielleria, l’orologeria, la profumeria, la pelletteria e l’industria alberghiera). Si tratta del terzo gioielliere al mondo. Il nome del marchio si scrive generalmente “BVLGARI” secondo l’alfabeto latino classico (secondo il quale V = U) e proviene dal cognome del fondatore greco dell’azienda, Sotirios Voulgaris (Sotirio Bulgari, 1857-1932). La famiglia di gioiellieri Bulgari ha origine da un’antica dinastia proveniente da un piccolo villaggio arumeno dell’Epiro, Kalarites, dove il capostipite, Sotirios, produceva oggetti in argento. Sotirio decise di abbandonare l’Epiro viaggiando fino in Italia dove la voglia di modernità e la tradizione la rendevano ai suoi occhi un mondo nuovo. La prima tappa fu Napoli, 1881. Grazie al suo estro ed alla magnifica fattura dei suoi oggetti il suo successo non tardò ad apprestarsi ma un furto improvviso avvenuto nottetempo lo destinò a trasferirsi a Roma nel 1884, anno che ad oggi è

Facciata del secondo negozio romano di Bulgari, al n. 28 di Via dei Condotti, attorno al 1900. L’insegna è iscritta: S. Bulgari - Argenteria Artistica, Antiquités, Curiosités, Bijoux. Le vetrine danno un’idea delle merci che Sotirio trattava all’epoca: argenteria, oggetti antichi, bric-à-brac, gioielli. Archivio Storico Bulgari.

171


riconosciuto come l’anno di fondazione del marchio. Non ebbe nulla per poter aprire un proprio negozio, o bottega come si diceva al tempo, e pertanto assieme al suo socio di allora, Demetrio Kremos, poté esporre le sue creazioni all’interno di una gioielleria. Il successo ed il gradimento della clientela hanno fatto sì che Sotirio, deciso ad affrontare la sua avventura imprenditoriale da solo, poté aprire pochi anni dopo la sua prima boutique in via Sistina a Roma, poi aprendo nel 1895 Via Condotti ma al 28. Lo storico negozio ancor oggi simbolo del marchio venne aperto nel 1905 al n 10. La particolare insegna del negozio fa capire come Sotirio fosse orientato verso le più moderne tecniche di marketing, avendo chiamato il negozio Old Curiosity Shop (la bottega dell’antiquario) ispirandosi al romanzo di Charles Dickens aveva intuito che ciò avrebbe portato benestanti clienti anglosassoni e nobili a vedere le sue creazioni. Tuttavia Sotirio capì che il fulcro del marchio non potevano rimanere le creazioni in argento e pertanto nacque l’interesse di sviluppare prodotti di qualità e preziosità ancor maggiori. Nei primi anni del ventesimo secolo si poté notare un notevole cambiamento a partire dall’impronta delle vetrine esterne meno affollate di oggetti per dar risalto alle creazioni. Ispirandosi a grandi gioiellieri di allora, specialmente parigini, creò oggetti in platino, smeraldi, diamanti di altissima fattura e scomponibili; alcuni di essi prevedevano collane che potessero trasformarsi in due bracciali o spille che potevano divenire pendenti. Anche i negozi vennero ridotti in modo da dare a quello di Roma maggior visibilità per renderlo il polo centrale dove venivano curati tutti gli aspetti dalla creazione alla vendita. Dei numerosi figli di Sotirio due in particolare seguirono le orme del padre: Giorgio (1966 data di morte) e Costantino. Il primo aveva senza dubbio un’impronta imprenditoriale di alto livello mentre Costantino era un profondo conoscitore di oggetti antichi, gioielli ed argenti; un binomio che non tardò a portare i suoi frutti. Dopo la scomparsa di Sotirio nel 1932 i figli decisero di espandere il negozio di Roma inaugurandolo nuovamente nel 1934 dopo una lavorazione ad opera della Ditta Medici che ancor oggi rappresenta lo stile della boutique. 172


A dispetto della crisi economica degli anni trenta e della Seconda Guerra Mondiale, l’azienda continuò la sua produzione anche se molto limitata nell’approvvigionamento di materie preziose. Nel secondo dopoguerra Bulgari iniziò nuovamente una produzione di alto livello ispirandosi a temi greci e romani e Giorgio assunse pienamente il controllo della gioielleria per permettere a Costantino ricerche su orafi italiani ed argentieri. Le sue pubblicazioni in materia sono ancor oggi un riferimento per tutti gli appassionati del settore. La scomparsa di Giorgio nel 1966 fu una grande perdita per la famiglia, i dipendenti e tutti coloro che frequentavano il negozio di Via dei Condotti. Alla sua scomparsa la terza generazione era pienamente addentrata nel business di famiglia. Gianni, Paolo e Nicola, infatti, avevano già dato la loro impostazione che tuttora caratterizza il marchio. Bulgari apre i suoi primi negozi a New York, Parigi, Ginevra e Montecarlo negli anni settanta. Nel 1975 Bulgari dona un orologio in oro ai suoi più affezionati clienti, realizzato con uno stile semplice ed unico e con un doppio logo sulla lunetta. Apprezzato, e dall’immediato successo, ne segue la produzione destinata alla vendita. Nasceva così il “BVLGARI BVLGARI”, conosciuto anche come “BB”. L’orologio nasce nel periodo in cui Bulgari fonda il Bulgari Time Neuchatel, ramo dell’azienda destinato a produrre l’intera linea di orologi. Nel 1984 i nipoti di Sotirio, Paolo e Nicola Bulgari, vengono nominati Presidente e Vicepresidente dell’azienda e suo nipote Francesco Trapani viene nominato Direttore Generale. All’inizio del 1990 debutta il progetto di Trapani di diversificare l’azienda, con l’uscita di una linea di profumo Bulgari. Nel 1993 Bulgari entra definitivamente nel mondo del profumo. Nel 1998 Bulgari lancia la linea di accessori in cuoio e la linea di occhiali. Durante il suo mandato l’azienda si impone come marchio di lusso riconosciuto in tutto il mondo. All’inizio del 2001, Bulgari crea un’azienda comune con la divisione Lusso di Marriott International, che gestisce anche l’azienda Ritz-Carlton Hotel L.L.C., per lanciare un nuovo marchio di hotel di lusso, Bulgari Hotels & Resorts. Bulgari apre il suo primo hotel a Milano nel 2004, una stazione turistica nel 2006 e un altro hotel a Londra nel 2012. Nel 2011 Bulgari Bali viene 173


collocato dai lettori della rivista Smart Travel Asia al secondo posto della classifica dei migliori luoghi di soggiorno in Asia. Nel 2007 Bulgari entra nel mondo della cosmesi. Nel 1995 l’azienda entra nella borsa italiana. Essa vede aumentare del 150% le sue entrate tra il 1997 e 2003.

Bulgari,Collana in platino e diamanti, Epoca di produzione: ca 1930.

Bulgari, Paio di orecchini in smeraldi e diamanti, 1962 circa. Ciascuno a forma di foglia, decorata al centro con smeraldi circolari in una cornice di diamanti marquise e di taglio brillante, il gambo in diamanti baguette, montatura in platino e oro. 174


Azienda fondata a Parigi nel 1847 da Louis-Franҫois Cartier (1819-1904). Diventa particolarmente famosa nel 1856, quando la principessa Matilde, nipote di Napoleone I e cugina dell’imperatore Napoleone III vi compie i suoi primi acquisti. Nel 1859 l’imperatrice Eugenia diventa cliente della boutique e inizia quella tradizione di re, regine e imperatori che caratterizzerà tutta la storia della Maison. Successivamente, suo figlio Alfred (1850-1929) prenderà le redini della compagnia; i suoi nipoti Louis (18751942), Pierre (1878-1965) and Jacques (1885-1942),diventeranno a loro volta responsabili dopo la morte del padre Alfred; nel 1899 apre la boutique al n. 3 di rue de la Paix, ancora oggi esistente. Sarà Louis junior il responsabile della sede parigina, in tale veste responsabile di alcune celebrate innovazioni del design aziendale, come con le leggendarie “mystery clocks”, le “pendulette misteriose”, ma anche gli orologi da polso di alta moda e la linea di gioielli “Tutti frutti”.

Cartier 1847

175


Nel 1902 Cartier apre una boutique al 4 di New Burlington Street a Londra. Essa coincide con l’incoronazione del re Edoardo VII, che nel 1904 nomina la Maison suo fornitore ufficiale come faranno altre corti europee tra cui Italia, Grecia, Portogallo, Spagna, ecc. Pierre Cartier fonda nel 1909 a New York la filiale più famosa e nel 1917 trasloca nel famosissimo palazzo sulla 5ª strada. La piazza antistante è stata poi chiamata “Place Cartier” in onore della maison. Dopo la morte di Jacques e Luis, avvenuta quasi simultaneamente, Pierre prese la direzione della sede parigina fino alla morte (1965). Dopo alcuni passaggi di proprietà, nel 1972 l’azienda trovò nuovi acquirenti. L’azienda Cartier è ora parte del gruppo Richemont. Nel 1984 viene creata la Fondation Cartier per l’Art contemporaine, ancora oggi sede di mostre e esibizioni innovative ed interessanti.

176


Orologio, Cartier.

177



Francesco Casorati è nato a Torino nel 1934 da genitori entrambi pittori, e il quotidiano rapporto con l’attività di essi e con l’ambiente di artisti che frequenta la casa paterna ha certamente influenzato la scelta di intraprendere anche lui l’attività artistica. Quindicenne incomincia a dipingere e a disegnare con una certa continuità. Nel 1952, terminati gli studi liceali, decide di fare il pittore. Nel 1954 allestisce la sua prima personale, presentata da Lucio Cabutti, alla galleria del Sole di Milano ed una collettiva, dove figurano le “giovani promesse della pittura torinese”, presso la galleria San Matteo a Genova. Nel 1956, mentre risiede a Parigi, espone dapprima a Milano, alla galleria Spotorno (presentato da Enrico Paulucci), poi alla Biennale di Venezia dove è ammesso per accettazione. Da questo momento partecipa regolarmente alle principali rassegne nazionali ed internazionali; i suoi lavori vengono menzionati dalla critica europea (da Mosca a Praga, da Vienna a Bruxelles), e da quella italiana. Negli anni Settanta l’attività espositiva, che lo vede impegnato alle Quadriennali di Roma, alle Biennali di Venezia, e in mostre organizzate nelle sale di importanti gallerie italiane viene affiancata dall’insegnamento svolto presso l’Accademia Albertina di Torino. Raggiunta la maturità stilistica ed abbandonata la didattica oggi Francesco Casorati dipinge e disegna quotidianamente nello studio che un tempo fu del padre. 179

Francesco Casorati 1934


La Certosa di Banda, tempera su tavola cm 50 x 40, 2010.

180


La forza di Chanel è stata probabilmente quella di aver saputo interpretare la voglia di rinnovamento del suo tempo con l’attenzione di un grande artista. I suoi mezzi espressivi erano i tessuti, abiti e accessori, ma aldilà delle forme Chanel ha proposto uno stile, del quale si è promossa lei stessa a modello. La sua aspirazione traeva forza dall’abbigliamento maschile, preso come punto di riferimento per la libertà di movimento che consentiva, e dalla semplicità senza fronzoli, in parte dovuta alle sue origini modeste. Nonostante questo, o forse proprio per il ricordo delle privazioni vissute da bambina, Chanel stabilì fin dall’inizio prezzi molto alti alle sue creazioni, scegliendo come target il mondo dell’alta borghesia; poiché però il suo scopo era quello di creare una moda per tutte le donne non fu mai contraria a essere imitata. Fu una delle prime donne ad abbronzarsi, già nel secondo decennio del Novecento, quando l’abbronzatura identificava ancora le contadine e le persone che dovevano lavorare all’aperto, mentre le signore avevano estrema cura della

Coco Chanel (1883-1971)

Coco Chanel nel 1929: tailleur in maglia, cashetto, perle e scarpe bicolori.

181


propria pelle candida, così come tagliò da subito i suoi capelli in un caschetto corto. L’ideale che proponeva era quello di una donna indipendente e anticonvenzionale (nonostante diversi amanti non volle mai sposarsi), giovane e sportiva, e molte sono state le donne che hanno trovato in lei una fonte d’ispirazione. L’eleganza di Chanel è senza tempo, dai suoi esordi, come modista nel 1910, fino alla sua morte, attraversando il Novecento nei suoi anni più difficili e drammatici. Tra le due guerre (dopo una prima chiusura a causa della Grande Guerra) Chanel si fa conoscere per i suoi abiti in jersey diritti e semplici (1916-19), i suoi pantaloni ampi, gli abitini stretti e neri (il petit noir, della metà degli anni Venti), la libertà e il comfort dei suoi completi, nonché per le sue linee di bijoux (appariscenti ma di poco costo) e di cosmetici e profumi (tra i quali l’indimenticabile Chanel n. 5, creato nel 1920). Nel 1949 Chanel chiude la maison per la seconda volta, ma la riapre cinque anni dopo, nel 1954, ingaggiando un’affascinante lotta stilistica con Dior. Al suo famoso tailleur (creato tra gli anni ’50 e ’60), in tweed, bouclè, jersey e filati fantasia, perfettamente curato nel taglio e nei dettagli (dai bottoni fino alla catena inserita in fondo al giacchino, per ottenere un perfetto aplomb del tessuto), Chanel aggiunge accessori che faranno storia, come le borsette a bandoliera con la catena dorata, i bijoux sovraccarichi, luccicanti e colorati, le collane di perle, il fiore di camelia bianchi, le scarpe bicolori, dalla punta scura che slanciano la gamba: elementi quasi feticisti che si ripropongono uguali a se stessi. Nel 1983 Karl Lagerfeld è diventato direttore artistico della Maison Chanel, rivitalizzando lo stile Chanel e proponendone una versione moderna.

182


Profumo, Chanel n째 5.

183


Un cappello realizato da Chanel nel 1912.

184


Studiò inizialmente a San Pietroburgo e nel 1903 seguì un corso di disegno a Karlsruhe, in Germania. Già orientata verso una pittura di puro colore, Sonia affiancò il marito nelle ricerche sul colore e sulla rifrazione della luce, in cui l’effetto dinamico è espresso dalle sole modulazioni del colore e della luce che conferiscono all’opera un tono lirico, approdando al movimento chiamato orfismo (o cubismo orfico; termine che deriva da Orfeo, mitico musico della mitologia greca). Sonia Terk cercò di portare l’orfismo oltre i confini della pittura: a partire dal 1913 realizzò stoffe a contrasti simultanei, creazioni astratte di carta e tessuto e caratteri di stampa per libri a colori simultanei, cioè con rapporti cromatici e caratteri tipografici diversi e con il testo stampato in verticale. Tra le due guerre, Sonia realizzò i primi vestiti astratti ed affiancò il marito in alcune grandi decorazioni per l’Esposizione universale di Parigi del 1925. Dominio incontrastato di Sonia rimase però l’arte dell’arazzo e del tessuto, che essa rinnovò profondamente sostituendo alle decorazioni tradizionali dei motivi geometrici di sorprendente intensità cromatica, 185

Sonia Terk Delaunay (1885-1979)


tipici della sua pittura. Nel 1927 per spiegare il senso della propria opera (i tessuti e gli abiti “simultaines”) scrisse L’Influences de la peinture sur le mode, in cui spiegava “che una tinta che sembra uniforme è formata dall’insieme di una miriade di tinte diverse” è la scomposizione delle tinte in elementi multipli, presi dai colori del prisma. Da questa concezione derivarono abiti fatti sostanzialmente di colori, a cui il taglio semplificato e le fogge diritte offrivano campi perfettamente piani per esprimere al meglio le loro potenzialità di rapporto e interferenza. Dopo la Seconda guerra mondiale continuò ad esporre nelle principali mostre le sue opere di arte astratta. Sonia Terk Delaunay morì il 5 dicembre 1979 a Parigi. Nel mese di aprile 2006 si è tenuta una mostra dedicata a Sonia Delaunay a Bellinzona, Svizzera (Canton Ticino), presso il Museo Villa dei Cedri.

Figurini.

186


Fortunato Depero è stato un pittore, scultore e pubblicitario italiano. Giovanissimo Depero si trasferisce a Rovereto (all’epoca entrambe le cittadine erano territorio dell’Impero austro-ungarico). Qui studia alla Scuola reale elisabettina, un istituto d’arte frequentato da molti artisti che in seguito diventeranno protagonisti del panorama culturale italiano del Novecento. Per la città di Rovereto sono anni difficili quelli, perché anche se sotto dominio austriaco, vi sono molti movimenti irredentisti che ne vorrebbero l’annessione all’Italia. Nel 1908 tenta l’iscrizione all’accademia delle belle arti di Vienna, ma viene respinto, così nel 1910 va a lavorare a Torino come decoratore all’esposizione internazionale. Al suo ritorno a Rovereto lavora da un marmista, occupandosi di lapidi funebri. Depero è molto attratto dalla scultura, che caratterizzerà le sue opere future. In particolare questa sua passione per le arti plastiche la si ritroverà nella pittura, “prepotentemente” volumetrica e solidificata. Non solo, ma a tal proposito è forse opportuno ricordare che all’inizio Depero si presentava come scultore. Alla libreria Giovannini espone due volte alcune sue opere, nel 1911 e nel 1913. Sempre nel 1913 pubblica il suo primo libro, “Spezzature”, un insieme di poesie e pensieri 187

Fortunato Depero (1892-1960)


PubblicitĂ , Campari aperitivo.

188


accompagnati da disegni. Nel dicembre del 1913 rimane colpito dalla mostra di Umberto Boccioni (1882-1916) a Roma, dove conosce molti dei suoi “idoli”, tra cui Giacomo Balla (1871-1958) e Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944). Tramite il gallerista Sprovieri riesce a esporre, sempre a Roma, all’ Esposizione Libera Futurista Internazionale nella primavera del 1914, dove si confronterà con nomi prestigiosi. In seguito torna in Trentino per allestire una mostra a Trento, ma gli viene comunicato lo scoppio della Prima guerra mondiale, perciò si trasferisce a Roma. Diventa allievo di Giacomo Balla e riesce a entrare nella cerchia del primo gruppo futurista. Nel 1915 assieme a Balla scrive un manifesto divenuto poi fondamentale: “Ricostruzione futurista dell’universo”. Qui Balla e Depero si autoproclamano astrattisti futuristi e inneggiano ad un universo gioioso, «coloratissimo e luminosissimo». Da un lato l’adesione di Depero al Futurismo non fu incondizionata. Ad esempio assunse fin dal principio una posizione critica nei confronti della volontà di Umberto Boccioni di “rifare la storia”. Fu invece molto più vicino alle concezioni del suo maestro Balla, considerandolo il pioniere di una ricerca approfondita sulla genesi e la struttura funzionale della forma. Tale ricerca verrà poi portata avanti da Depero in maniera molto discreta all’interno del gruppo futurista, individuando e chiarendo analiticamente la relazione tra Futurismo e altre correnti artistiche che non fossero (ovviamente) il Cubismo, in particolare il Dadaismo di Marcel Duchamp (1887-1968). Da un altro lato, paradossalmente, Depero fu più Futurista degli stessi Futuristi. Convenzionalmente si tende a definire Depero come “un pittore del secondo Futurismo”. Il termine di “secondo Futurismo” fu introdotto da Enrico Crispolti (1933) alla fine degli anni cinquanta: il “primo Futurismo” era il “Futurismo eroico”, ovvero il nucleo storico del 1909-1916, il secondo Futurismo era quello successivo, ovvero quello di Depero. Lo spartiacque era rappresentato dalla data della morte durante la Prima Guerra mondiale di Umberto Boccioni, di Antonio Sant’Elia (1888-1916) e di Carlo Erba. In verità, però, questa divisione è stata utilizzata da molti critici e storici dell’arte per una contrapposizione più ideologica 189


che non stilistica: al primo futurismo appartenevano artisti di estrazione anarchica e socialista; al secondo futurismo appartenevano, invece, artisti fascisti e filo-fascisti. Eppure, al di là di questo, vi è stata anche un’effettiva differenza nell’approccio al Futurismo rispetto a quanto professato nei propri manifesti: se il primo Futurismo si proponeva di «portare l’Arte nella vita», di fatto rimase chiuso dentro gallerie e musei (fatta eccezione per le “Serate futuriste”) e si limitò ad esprimersi tramite arti regine quali la pittura e la scultura. Il secondo Futurismo, invece, proprio a partire dalla “Ricostruzione futurista dell’universo” di Balla e Depero, entrò veramente nella vita quotidiana della gente, e lo fece grazie alla pubblicità, all’arredamento, agli allestimenti teatrali, alla moda, all’architettura, all’arte postale, e via dicendo. Sempre nel 1915 Depero partecipa a movimenti irredentisti e parte per il fronte. Però si ammala, e viene quindi riformato.

Laboratorio di Fortunato Deperoper l’arte Futurista a Rovereto, 1920.

190


Peter Carl Fabergé conosciuto anche come Karl Gustavovič Faberže (1846 -1920) è stato un gioielliere e orafo russo. Divenne particolarmente noto per le famose Uova Fabergé, prodotti d’alta gioielleria, realizzati nello stile delle uova di Pasqua, con l’uso di metalli e pietre preziose. Nato a San Pietroburgo, in Russia educato inizialmente a San Pietroburgo, e poi nel 1860, a Dresda. Peter Carl frequentò, in questi anni, un corso alla Scuola delle Arti e dei Mestieri di Dresda. Nel 1864, Peter Carl si imbarcò per un Grand Tour in Europa, con lo scopo di visitare le principali gioiellerie di Germania, Francia ed Inghilterra, e frequentando, nel contempo, un corso a Parigi, vedendo oggetti in musei e gallerie del continente. I suoi viaggi e studi proseguirono sino al 1872, quando, all’età di 26 anni, fece ritorno a San Pietroburgo e sposò Augusta Julia Jacobs (1851-1925). Nel 1882, Carl Fabergé ottenne la responsabilità di condurre l’attività di famiglia. Carl ottenne dal governo il titolo di Maestro Gioielliere, il che gli permise, oltre alla firma, di porre sui suoi oggetti un marchio personale. La sua reputazione era così alta che gli venne evitato anche l’esame da parte dell’istituto preposto. Suo fratello, Agathon, disegnatore di creatività e talento grandiosi, aderì al progetto del fratello, creando una bottega affiliata a Dresda. 191

Peter Carl Fabergé (1846-1920)


Carl e Agathon parteciparono alla Esibizione panrussa, che si tenne a Mosca, nel 1882. Carl, per l’occasione, ottenne la medaglia d’oro dell’esibizione e la medaglia dell’Ordine di San Stanislao. Uno dei pezzi migliori, esposti per l’occasione dalla famiglia Fabergé, era la replica di un prezioso braccialetto del IV secolo, in oro, proveniente dal tesoro di Scizia e presente nel tesoro dell’Hermitage, bello al punto che lo zar, vedendolo, disse apertamente che non si poteva distinguere la riproduzione dall’originale, tanto era somigliante. Da quel punto in poi, le opere della famiglia Fabergé entrarono a far parte della collezione imperiale e gli artisti vennero ammessi a corte. L’ecletticità del lavoro dei Fabergé consisteva nel rendere ogni oggetto particolarmente prezioso, attraverso l’aggiunta di disegni e particolari unici al mondo, oltre all’utilizzo di automi e sistemi innovativi per i gioielli stessi. Nel 1885, lo zar Alessandro III di Russia diede alla Casa Fabergé il titolo di Gioiellieri per nomina speciale della Corona Imperiale.

Uova, Fabergé.

192


Luigi Figini e Gino Pollini sono stati due architetti Italiani del XX secolo legati da un sodalizio durato più di 50 anni. Le loro storie professionali sono quindi inscindibili l’una dall’altra e sono legate alle opere che congiuntamente hanno progettato e realizzato. Entrambi laureatisi in architettura al Politecnico di Milano negli anni venti del Novecento e aprono assieme lo studio professionale nel 1929 a Milano mentre divengono tra i fondatori del Gruppo 7 e membri del M.I.A.R.. Nel 1930 presentano la Casa Elettrica alla IV Triennale di Monza a cui segue la Villa-studio per un artista presentata alla V Triennale di Milano del 1933 che in qualche modo si riallacciava al disegno del padiglione di Ludwig Mies van der Rohe di Barcellona di quegli anni. Nel 1934/35 realizzano le officine Olivetti ad Ivrea con le quali iniziarono una collaborazione che si protrarrà sino a tutti gli anni cinquanta del Novecento: 1939/40 - Asilo nido e casa popolare al Borgo Olivetti; 1940/42 Case per impiegati; 1954/57 - Fascia di servizi sociali; interventi quest’ultimi che assumevano rilevanza anche urbanistica. Sempre di quegli anni è la Madonna dei Poveri a Milano forse la loro opera più significativa dove si reinterpretano le antiche luci mistiche delle basiliche paleocristiane attraverso un disegno scarno dello spazio, dei volumi dei particolari architettonici. 193

Luigi Figini (1903-1984)

Gino Pollini (1903-1991)


Altre realizzazioni di sicuro valore sono del 1960/63 il complesso industriale della Manifattura ceramica Pozzi, Sparanise e a Ferradina ed alcuni palazzi per uffici ed abitazioni a Milano a cavallo degli anni cinquanta-sessanta del Novecento. Figini e Pollini sono di chiara fede razionalista e la loro scelta iniziale è portata avanti con coerenza tramite un lavoro continuo, che si legge nelle loro costruzioni e progetti e si estrinseca costantemente nella ricerca dell’equilibrio tra gli ideali propri del Movimento Moderno forma, funzione, economia, ma anche armonia e bellezza nuovi. La loro opera si inquadra in quello che sono stati gli architetti italiani soprattutto del secondo dopoguerra del ‘900 e cioè un’architettura dell’eccellenza del progetto come evento irripetibile, scelta personale, funzionalismo originale e di elevato valore. Nella loro opera si può leggere una semplicità formale, nel disegno planimetrico e prospettico, che parla di luce e di spazio architettonico, di tempo, di spiritualità e di poesia, come qualcuno ha detto, e questo realizza un eccezionale ambiente costruito come nella Madonna dei Poveri di Milano. Altre opere rilevano, invece, la ricerca di un disegno armonico, di equilibrio di rapporti e studio dei materiali in un legame a quel razionalismo mai dimenticato nella loro architettura.

Luigi Figini, Gino Pollini, Nuova ICO, 1955-58. 194


Paul Flato è stato un popolare gioielliere americano, con sede a New York City dal 1920 ai primi anni 1940. Considerato il primo gioielliere celebrità, era ben noto per importanti gioielli, e come uno dei primi sostenitori di pezzi stravaganti. Paul Edmond Flato è nato nel 1900 a Shiner, Texas, morì il 17 luglio 1999. Inizia ad interessarsi di gioielleria, all’età di dieci anni, a guardare gli zingari nomadi make-argento. È cresciuto in una città fondata dai suoi pionieristici bisnonni, immigrati tedeschi che hanno acquistato terra messicana. Dopo aver frequentato l’ Università del Texas a Austin , si trasferisce a New York nei primi anni 1920 per iniziare la scuola di medicina. Ma a causa di problemi finanziari di suo padre, è invece diventato un venditore di orologio. Poco dopo essersi trasferito a New York, ha aperto il suo negozio di gioielli al piano superiore One East 57th Street, all’angolo tra 5th Avenue a Manhattan. Diversi anni dopo, Tiffany & Co ha aperto il suo negozio direttamente dall’altra parte della strada. In poco tempo, Paul Flato è stato “uno dei gioiellieri più famosi di New York”. Ha impiegato diversi designer, tra cui luminari futuri George W. Headley (19081985) e conte Fulco di Verdura. 195

Paul Flauto (1900-1999)


Nel 1937, ha aperto un secondo negozio sul Sunset Boulevard a Beverly Hills, CA, di fronte alla famosa discoteca Trocadero, per promuovere i suoi rapporti con la clientela di celebrità. Flato ha avuto un ruolo sullo schermo come un gioielliere nel film 1940 Hired Wife. Paul Flato era ben noto per “una creazione spiritosa e fiammeggiante” e Art Deco gioielli, che dopo la sua morte preleva regolarmente centinaia di migliaia di dollari in asta. Alcuni dei suoi pezzi più famosi includono platino e diamanti, pietre preziose nastri, volute e fiori. Una collana di fiori di mela per Lily Pons (1898-1976), la cantante lirica, avvolto intorno al collo e aperto nella parte anteriore con fiori di diamanti a cascata su entrambi i lati. Diventato un escursionista perché intrecciò una rosa intorno al polso su uno stelo baguette taglio diamante. Ha fatto un corsetto braccialetto tempestato di diamanti e rubini, sulla base di un indumento intimo di Mae West (1893-1980).

196


Eileen Gray (1878-1976)

Nome completo: Kathleen Eileen Moray Gray (1878– 1976), designer di mobili ed architetto irlandese, considerata una pioniera dell’estetica dell’International Style. Frequentando un negozio di Soho, cominciò a interessarsi di mobili laccati, cercando di impadronirsi delle tecniche della laccatura. Durante la prima guerra mondiale Eileen si ritrasferì a Londra, continuando senza successo a lavorare con le lacche. Nel primo dopoguerra fu incaricata di decorare un lussuoso appartamento in rue de Lota. Disegnò personalmente i tappeti e le lampade per la casa, facendo costruire mobili e decorando le pareti con pannelli laccati di sua mano. Questa volta le arrise maggior successo, molti critici d’arte lodarono il suo design come innovativo e moderno. Eileen Gray aprì una piccola galleria a Parigi in Rue du Faubourg Saint-Honoré per esporre i suoi lavori. Era apertamente bisessuale e negli anni Venti frequentò assiduamente i circoli lesbici dell’avanguardia parigina insieme a Romaine Brooks (1874-1970), e Natalie Barney (1876-1972). 197


Per diverso tempo, fino al 1932, la Gray ebbe una relazione intermittente con Jean Badovici (1893-1956), architetto e scrittore rumeno. Nel 1923 disegnò una stanza da letto-boudoir esponendola al Salon des Artistes Décorateurs. Le recensioni furono terribili, ma il lavoro fu apprezzato dagli olandesi di De Stijl. Inviò i suoi contributi al Salon d’Automne ed essi vennero unanimemente lodati dagli architetti Walter Gropius (1883-1969), Le Corbusier (1887-1965) e Robert Mallet-Stevens (18861945). Fu in questo periodo che decise di specializzarsi in architettura d’interni e design, divenendo lentamente un’apprezzata rappresentante delle tendenze moderniste nell’arredamento.

Poltrona, Transat, 1925-1926. 198


E’ stato uno dei maggiori architetti austriaci, attivo fra la fine del XIX secolo e la prima metà del XX secolo. Esponente della Secessione Viennese, con l’architetto Otto Wagner, fra gli altri, già suo insegnante all’Accademia di Vienna, fu anche un designer, la cui opera, improntata ad una spinta ed essenziale astrazione geometrica (tipiche le sue prevalenti quadrettature), apre il nuovo secolo in chiave decisamente modernistica. Per la rivista della Secessione, Ver Sacrum, edita fra il 1898 e il 1903, eseguì illustrazioni (in particolare, vari progetti d’arredo per interni domestici, o per padiglioni espositivi), fregi decorativi e vignette: caratteristiche elaborazioni dello Jugendstil austriaco. Si occupò quindi degli allestimenti delle periodiche esposizioni viennesi della Secessione nel padiglione realizzato per lo scopo nel 1898 da Joseph Maria Olbrich, ed ebbe un ruolo importante nel lancio europeo dello scozzese Charles Rennie Mackintosh; il giovane architetto di Glasgow fu invitato ad esporre alla mostra del 1900 le creazioni di design del gruppo di quattro artisti di cui era, per così dire, il regista. 199

Josef Hoffmann (1870-1950)


Nel 1903 Hoffmann fondò col collega Koloman Moser e il finanziere e amatore d’arte Fritz Wärndorfer la Wiener Werkstätte, associazione fra designers, artisti e produttori (chiuse nel 1932) ispirata alle analoghe inglesi sorte circa un ventennio addietro, impostate secondo il movimento estetico morrisiano dell’artigianato artistico delle Arts and Crafts.

Josef Hoffmann, Spilla.

Josef Hoffmann, Spilla, 1909. 200


René Jules Lalique è stato un orafo francese. Le sue creazioni, raffiguranti soprattutto elementi naturali, animali e nudi femminili, si distinsero dapprima nell’ambito dell’Art Nouveau e in seguito in quello dell’Art Déco. Orafo, vetraio e disegnatore, lavorò per Cartier, ideò gioielli per Sarah Bernhardt (18441923) e riscosse grande successo in occasione dell’esposizione universale di Parigi del 1900. Affidandosi più all’originalità del disegno e alla qualità della lavorazione che al valore del materiale utilizzato, Lalique ricorse ad esempio all’avorio, al corno e allo smalto per realizzare molti pezzi unici. Dai primi anni del Novecento applicò la propria creatività soprattutto al vetro, dapprima nell’ambito dell’arte orafa e poi sempre più spesso a fini commerciali, dedicandosi alla produzione degli articoli più diversi e applicando una grande varietà di tecniche. La sua attività si interruppe durante la seconda guerra mondiale, ma venne ripresa dal figlio Marc (1900-1977) nel 1946.

201

René Jules Lalique (1860-1945)


Lalique, Orologio da taschino, 1900.

202


Kenneth Jay Lane è uno tra i fashion designer di gioielli più innovativi in assoluto. La rivista «Elle» lo definisce infatti “il più passionale designer di bijoux”. L’esperienza di Lane nasce dalla collaborazione nello staff artistico di «Vogue America» e prosegue a Parigi, dove ha lavorato come scenografo presso Scarpe Delman a fianco del grande Roger Vivier (1907-1998). A New York dirige la divisione scarpe di Christian Dior (1905-1957) e, dall’idea rivoluzionaria di applicare strass sulle calzature, crea una collezione di orecchini per il Brand Arnold Scassi. Da questa entusiasmante esperienza decide di dare vita ad una collezione di gioielli che prende il suo nome. Riscuote così tanto successo da essere in poco tempo presente nelle migliori gioiellerie della Fifth Avenue.

203

Kenneth Jay Lane 1930


Bracciale placcato oro con smalti traslucenti a forma di giraffa.

204


Poiret è considerato il primo creatore di moda in senso moderno. I suoi contributi alla moda del ventesimo secolo sono stati paragonati a quelli di Picasso al mondo dell’arte. Poiret nacque il 20 aprile 1879 da un mercante di stoffe in una zona povera di Les Halles, Parigi. I suoi genitori, nel tentativo di assicurargli un futuro, gli insegnarono l’arte della costruzione degli ombrelli. Fondò la propria casa di moda nel 1903, al 5 di rue Auber. Le vetrine del suo negozio, a differenza di quello che era costume dell’alta moda dell’epoca, erano ampie ed appariscenti. Nel 1906 si spostò nella più capiente boutique di rue Pasquier 37, aumentando notevolmente la propria clientela, strappata alla concorrenza. Ma ciò che maggiormente contraddistinse Poiret rispetto agli altri stilisti, fu l’istinto per il marketing. Non per nulla, fu il primo stilista a pubblicare i propri bozzetti a scopo promozionale, e ad organizzare defilé itineranti per promuovere i propri lavori in giro per l’Europa. Il più economico fra gli abiti in esposizione costava circa 30 ghinee, il doppio dello stipendio annuale di una cameriera. Nel 1913 Paul Poiret vendette il proprio marchio in licenza negli Stati Uniti per la realizzazione di accessori moda. 205

Paul Poiret (1879-1944)


La produzione della maison Poiret ben presto si allargò all’arredamento, ai complementi d’arredo ed ai profumi. Nel 1911, Poiret infatti aprì la divisione dedicata ai profumi Parfums de Rosine, dandogli il nome di sua figlia. Benché il nome di Paul Poiret rimase slegato da Parfums de Rosine, lo stilista fu il primo a dedicarsi anche alla realizzazione dei profumi. Durante la prima guerra mondiale, Poiret dovette lasciare l’attività della casa di moda per mettersi al servizio dei militari, e realizzare le uniformi dei soldati. Quando Poiret fu licenziato nel 1919 e poté ritornare alla propria attività, la maison Poiret era ormai sull’orlo della bancarotta. Inoltre, durante la sua assenza, nuovi stilisti come Chanel si erano accaparrati una buona fetta della clientela, con creazioni dalle linee semplici e sobrie. In breve tempo, le elaborate e sontuose creazioni di Poiret furono considerate fuori moda, ed unitamente alle difficoltà finanziare legate ad operazioni sbagliate e ad un gusto per il lusso e la mondanità, Poiret fu costretto a ritirarsi dall’attività. Saltuariamente si dedicò alla realizzazione di costumi per il teatro ed il cinema. Nel 1929, la maison stessa fu chiusa, ed i suoi preziosi abiti furono venduti al chilo, come se si trattasse di stracci. Poiret morì nel 1944, ormai dimenticato da tutti.

Poiret, Sfilata delle modelle, 1910, Parigi. 206


Giovanni Ponti, detto Giò, è stato un architetto, designer e saggista italiano, tra i maggiori del XX secolo. Gio si laureò in architettura al Politecnico di Milano nel 1921, dopo aver interrotto gli studi a seguito della sua partecipazione alla prima guerra mondiale. Nello stesso anno si sposò ed ebbe quattro figli (Lisa, Giovanna, Letizia e Giulio) e otto nipoti. Inizialmente aprì lo studio assieme all’architetto Emilio Lancia (1926-1933), per poi passare alla collaborazione con gli ingegneri Gioacchino Luigi Mellucci (1927), Antonio Fornaroli ed Eugenio Soncini (1933-1945). Nel 1923 partecipò alla I Biennale delle arti decorative tenutasi all’ISIA di Monza e successivamente fu coinvolto nella organizzazione delle varie Triennali, sia a Monza che a Milano. Negli anni venti comincia la sua attività di designer all’industria ceramica Richard Ginori (fondata nel 1735), e rielabora complessivamente la strategia di disegno industriale della società; con le ceramiche vince il “Gran Prix” all’Esposizione di Parigi del 1925. In questi anni la sua produzione è improntata più ai temi classici ed è vicino al movimento Novecento, che si contrappone al Razionalismo del Gruppo 7. Sempre negli stessi anni inizia anche la sua attività editoriale: nel 1928 fonda la rivista «Domus», testata che non 207

Gio Ponti (1891-1979)


abbandonerà più, salvo che nel periodo 1941-1948 (in cui dirige la rivista «Stile»). «Domus»assieme a «Casabella», rappresenterà il centro del dibattito culturale dell’architettura e del design italiani della seconda metà del Novecento. L’attività di Ponti negli anni trenta si estende: organizza la V Triennale di Milano nel 1933, disegna le scene ed i costumi per il Teatro alla Scala, ed è partecipe dell’associazione del Disegno Industriale ADI, essendo tra i sostenitori del premio “compasso d’oro” promosso dai magazzini La Rinascente. Riceve tra l’altro numerosi premi sia nazionali che internazionali e così nel 1936, quando la sua professionalità è affermata, diventa professore di ruolo alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, cattedra che manterrà sino al 1961. Nel 1951, inizia il periodo di più intensa e feconda attività sia nell’architettura che nel design, negli anni cinquanta, infatti, verranno realizzate alcune delle sue opere più importanti. Gio Ponti è un designer universale, ha disegnato moltissimi oggetti nei più svariati campi, dalle scenografie teatrali, alle lampade, alle sedie, agli oggetti da cucina, agli interni di famosi transatlantici. Inizialmente nelle ceramiche il suo disegno riflette la Secessione viennese e sostiene che decorazione tradizionale e l’arte moderna non sono incompatibili. Gio Ponti morirà a Milano nel 1979.

208


Chairs (sedie), 1950.

209



Designer, arredatore e mobiliere pa- Jacques-Émile Ruhlmann (1879-1933) rigino di origine alsaziana, acquistò larga notorietà in Europa intorno agli anni venti del Novecento grazie alla pregevole produzione della ditta di interior design costituita nel 1919 a Parigi in società con Pierre Laurent (1913-1998), specializzata principalmente in opere di ebanisteria. L’atelier Ruhlmann & Laurent si servì di laboratori artigiani esterni fino al 1923, quando i due misero su un proprio laboratorio, ampliato nel 1927. Notevole pubblicità ricevette la ditta dalla partecipazione nel 1925 all’Expo parigina. All’interno della curiosa architettura Déco a gradoni del padiglione du Collectionneur, progettata dall’architetto Pierre Patout (1879-1965) sotto la direzione di Ruhlmann, la finezza della partitura architettonica, dei parati e dei tappeti, degli arredi fissi e dei mobili, specie nel salotto ottagono, arieggiava il pacato linearismo, la giusta misura e la chiarità di certi ambienti domestici del secondo Settecento francese. I mobili di Ruhlmann & Laurent erano particolarmente ricercati e lussuosi. Rinnovavano in elegante chiave moderna i fasti dell’ebanisteria parigina dei tempi di Luigi XV, di Luigi XVI e dell’Impero, riecheggiandone alcune caratteristiche formali, oltre all’analogo impiego di tecniche e materiali pregiati. 211


Jacques-Émile Ruhlmann, Table

Jacques-Émile Ruhlmann, mobile da Toilette. 212


Alberto Sartoris è stato un architetto italiano. Dopo la sua nascita a Torino, suo padre emigra in Svizzera a Ginevra. Dal 1916 al 1919 studia architettura alla Scuola delle Belle Arti di Ginevra. Nel 1920 aderisce al movimento futurista (fino al 1923). Fu anche designer, critico d’arte e insegnante. Nel 1928 è uno dei membri fondatori dei CIAM (Congrès Internationaux d’Architecture Moderne) con, fra gli altri, Charles-Edouard Jeanneret detto Le Corbusier (1887-1965). È uno dei membri fondatori, a Losanna nel 1945, della scuola di architettura “Athenaeum”. Scrisse gli Elementi dell’Architettura Razionale nel 1932 che fu riedito più volte assumendo per ultimo il titolo di Encyclopédie de l’architecture nouvelle (1954) divenendo uno dei teorici del Razionalismo italiano. Ha contribuito alla fortuna critica delle prime esperienze artistiche razionaliste ed astratte italiane, facendo conoscere in ambito internazionale i lavori degli astrattisti comaschi quali Manlio Rho e Mario Radice. Alberto Sartoris ha dato l’insieme dei suoi archivi alla scuola politecnica di Losanna (EPFL). 213

Alberto Sartoris (1901-1998)



E’ stata una stilista e sarta italiana. Insieme a Coco Chanel, viene considerata una delle più influenti figure della moda all’inizio del XX secolo. È l’inventrice del rosa shocking. Elsa Schiaparelli nacque a Palazzo Corsini da una nota famiglia di intellettuali piemontesi, trasferitasi nella capitale. La madre proveniva da una famiglia dell’aristocrazia napoletana discendente dai Medici. Il padre Celestino Schiaparelli, nel 1875, fu nominato direttore della biblioteca dell’Accademia dei Lincei dal Re Vittorio Emanuele II, e risiedette nella sede che spettava a chi ricopriva tale carica: Palazzo Corsini, appunto. Nel 1903 lasciò tale incarico per una cattedra di lingua e letteratura araba all’Università di Roma. Elsa era nipote di Giovanni Schiaparelli, che era stato un famosissimo astronomo, direttore dell’osservatorio di Brera, e avrebbe dato vita, seppur involontariamente, alla leggenda dei cosiddetti canali di Marte, utilizzati dai marziani per sopravvivere sul morente pianeta rosso. Ernesto Schiaparelli, archeologo, avrebbe diretto per molti anni il Museo egizio di Torino. Lo zio Luigi Schiaparelli, paleografo, diede vita alla Fondazione Schiaparelli. 215

Elsa Sciapparelli (1890-1973)


Elsa Schiaparelli invece sognava di diventare un’attrice, ma non poté farlo per via della sua provenienza aristocratica. Decise quindi di scrivere e far pubblicare all’età di 21 anni, poesie, le quali ebbero buona diffusione, anche fuori dai confini nazionali. Se la reazione del pubblico fu discreta, quella della famiglia Schiaparelli fu pessima, per il padre fu una vera disgrazia. La “Schiap” (diminutivo affibbiatole in Francia, probabilmente per semplificare la pronuncia, che lei stessa subito adottò) venne quindi mandata in un convento della Svizzera tedesca. Nel 1913 si trasferì a Londra per occuparsi di bambini orfani e lì conobbe il conte William de Wendt de Kerlor, che sposò, all’inizio del 1914. Nel 1919 la coppia si trasferì a New York e nel 1920 nacque loro figlia, che fu chiamata Gogo. Tuttavia il matrimonio si rivelò fallimentare e la Schiaparelli rimase sola con una figlia, che si ammalò di poliomielite, dopo un periodo di povertà la figlia, come la madre a suo tempo, venne mandata in un collegio così che Elsa poté occuparsi a tempo pieno delle proprie passioni.

Il rosa shocking emblema della Schiaparelli.

216


Mario Sironi è stato un pittore italiano. Nato a Sassari, ben presto la sua famiglia si trasferì a Roma, dove Sironi, abbandonati gli studi di ingegneria, iniziò a frequentare l’Accademia di Belle Arti e lo studio di Giacomo Balla, stringendo amicizia anche con Gino Severini(1883-1966) e Umberto Boccioni (1882-1916). La sua ricerca personale partì dall’esperienza divisionista e, nel 1914, trasferitosi a Milano, si avvicinò al Futurismo, di cui condivise l’esperienza bellica di volontario ciclista a fianco di Marinetti (di questo periodo sono Il camion del 1914, collezione privata, Milano e Il ciclista del 1916, collezione privata). Rientrato in Italia, collaborò in veste di illustratore al Popolo d’Italia, e, proprio in questa circostanza, fece la conoscenza di Margherita Sarfatti, anche lei collaboratrice della rivista. Nei primi anni venti, la sua pittura restò di tipo futurista anche se, celatamente, nel suo stile si stavano facendo già strada forme sempre più monumentali (Paesaggio urbano del 1921), tendenti al metafisico, di cui diede una personale interpretazione nelle celebri periferie. Nel 1920 Sironi firmò con Leonardo Dudreville, Achille Funi e Luigi Russolo il 217

Mario Sironi (1885-1961)


manifesto Contro tutti i ritorni in pittura, che contiene in nuce le tesi poi fatte proprie dal gruppo Novecento, di cui Sironi fu uno dei fondatori. Nel 1922 entra a far parte del gruppo Novecento e il suo linguaggio figurativo, di conseguenza, si adegua ai dettami che Sarfatti aveva stilato in una sorta di programma contenente le precise normative a cui i membri dovevano attenersi. Appartiene al periodo novecentista L’Allieva, un ritratto del 1924 in cui il ritorno al modello classico è evidente nella posa a tre quarti e nell’estrema monumentalità della donna, che richiamano esempi della tradizione quattro-cinquecentesca. Citazioni al mondo classico sono anche la statua in gesso posta alle spalle della ragazza ed il vaso-anfora, un elemento che si ritrova molto spesso nei lavori di questo periodo. Il “richiamo all’ordine” di Sironi si manifesta in maniera differente rispetto a quella che gli altri artisti portano avanti negli stessi anni: è più tenebroso e cupo e dunque sarà impossibile scorgere nelle sue tele quelle vedute magiche, chiare e cristalline, tipiche del grande quattrocento italiano, che gli altri novecentisti invece promuovono nei loro lavori. Dall’inizio degli anni trenta gli interessi artistici di Sironi si moltiplicarono, spaziando dalla grafica alla scenografia, dall’architettura alla pittura murale (Il Lavoro, 1933, per la V Triennale di Milano), dal mosaico all’affresco. La sua attività apparve sempre più finalizzata alla realizzazione di opere monumentali e celebrative del regime fascista, che si nutrono del recupero della tradizione aulica dell’arte italiana (L’Italia fra le Arti e le Scienze, 1935, Università di Roma). Nel 1932 fu l’artista più impegnato per la realizzazione della Mostra della Rivoluzione Fascista che si tenne al Palazzo delle Esposizioni di Roma. Esemplare del gusto scenografico e monumentale Sironi dà riscontro nell’architettura dell’epoca, soprattutto quella con destinazione pubblica (il Palazzo di Giustizia di Milano, gli edifici dell’Eur a Roma, ecc.). Con il medesimo stile Sironi allestisce il salone d’onore della Mostra dello Sport al Parco di Milano (1935), il padiglione FIAT alla Fiera Campionaria di Milano (1936), la sezione italiana all’Esposizione Universale di Parigi (1937). 218


Tornato nel 1940 alla pittura da cavalletto, procedette in una ricerca che dalla densa corposità e plasticità delle opere precedenti sfociò in talune montagne e tele a composizione multipla, con risultati affini a quelli dell’astrattismo. Nel dopoguerra la pittura di Sironi si fece cupa e drammatica, abbandonando il carattere monumentale e di grande eloquenza degli ultimi anni a favore di una diversa e più dimessa concezione spaziale, resa su tele di piccole dimensioni (La città, 1946, Galleria Narciso, Torino). Nel 1949-1950, Sironi aderì al progetto della importante collezione Verzocchi, sul tema del lavoro, inviando, oltre ad un autoritratto, l’opera “Il lavoro”. La collezione Verzocchi è attualmente conservata presso la Pinacoteca Civica di Forlì. Nel 1965, gli venne dedica una retrospettiva nell’ambito della IX Quadriennale di Roma. Il 24 giugno 2011 l’Accademia di Belle Arti di Sassari è stata intitolata ufficialmente Mario Sironi.

Composizione o Composizione e figure, 1957.

219



Georg Fredric Strass, è stato un alsaziano gioielliere, inventore e imitatore di pietre preziose . Egli è meglio conosciuto come l’inventore del rhinestone (strass), particolare tipo di glass trovata nel fiume Reno. Ha usato miscele di bismuto e tallio per migliorare la qualità di rifrazione delle sue imitazioni, e modificato i loro colori con metalli e sali . Le imitazioni sono stati, a suo avviso, così simile a veri e propri gioielli che ha inventato il concetto di “gemma simulata” per descriverli. Ha notevolmente migliorato la brillantezza dei suoi gioielli incollando lamina metallica dietro di loro. Questo foglio è stato poi sostituito con un rivestimento a specchio. Strass aprì una propria attività nel 1730, e si dedicò interamente allo sviluppo di diamanti imitazione . Grazie ai suoi grandi successi, è stato insignito del titolo di “Re del gioielliere” nel 1734. Era un socio nel commercio di gioielli di Madame Prévot. Il suo lavoro è stato molto richiesto alla corte di re Luigi XV di Francia (periodo del regno 1715-1774), ed ha controllato un grande mercato per le gemme artificiali. Attraverso le sue imprese, è stato in grado di andare in pensione comodamente a 52 anni.

221

George Frederic Strass (1701-1773)


Georg Fredric Strass, pietre con polvere metallica.

222


André Mare è un designer e pittore francese. Si tratta di un’artista fondatore dell’Art Deco. La sua formazione è quella di un pittore, ma dal 1910, ha iniziato la carriera di decoratore d’interni. Per l’Expo del 1925 progetta due padiglioni a cupola, di cui uno detto il Museo di Arte Contemporanea, con ampio soggiorno al centro.

Süe et Mare, Stool, (Sgabello).

223

Süe et Mare (1885-1932)



Tiffany & Co., nota comunemente come Tiffany’s, è un’azienda statunitense nata nel 1837 a New York, che si occupa della vendita di gioielli tramite migliaia di punti vendita situati in molti paesi. L’azienda è stata fondata da Charles Lewis Tiffany (1812-1902) e John B. Young a Manhattan. Inizialmente il negozio vendeva una gran varietà di articoli, comprendenti quelli da cancelleria e operava soltanto col nome di Tiffany. Successivamente, quando John B. Young divenne socio di Charles Lewis Tiffany, il nome mutò in Tiffany & Co. Il primo negozio venne inaugurato il 18 settembre 1837 al n°259 di Broadway. Nel 1848, Charles Lewis Tiffany acquista i gioielli della Corona di Francia e nel 1845 viene pubblicato il primo Blue Book che, da allora, viene pubblicato annualmente per presentare la collezione autunnale di Tiffany & Co. Nel 1878, Tiffany partecipa all’Esposizione Universale di Parigi e, qualche anno dopo, grazie alla collaborazione del gemmologo George Kunz (1856-19329), introduce nuovi materiali per la creazione dei suoi gioielli: la Kunzite, la morganite, la tanzanite blu, la tsavorite. Nel 2012, ricorrenza del 175º anniversario, Tiffany presenta una nuova lega metallica chiamata rubedo. 225

Tiffany & Co 1837



Henri Vever fu uno dei più autorevoli gioiellieri europei del XX secolo, che opera l’azienda di famiglia, Maison Vever, iniziata da suo nonno. Henri era anche un collezionista di una vasta gamma di belle arti, tra cui stampe, dipinti e libri sia di origine europea che asiatica. Nel 1880, Vever divenne uno dei primi europei a raccogliere xilografie giapponesi, acquistando ampiamente da rivenditori come Hayashi Tadamasa. E’ stato membro del Les Amis de l’Art Japonais, un gruppo di appassionati d’arte giapponesi. All’inizio del XX secolo, Vever aveva accumulato una collezione di molte migliaia di stampe. Al culmine della prima guerra mondiale , tuttavia, Vever ha scelto (o è stato costretto) per smaltire la maggior parte della sua collezione, di vendere 7.996 stampe al magnate industriale giapponese Matsukata Kojiro, che li acquistò a scatola chiusa basandosi sulla reputazione della collezione. Molte delle stampe di Vever finirono anche nei musei nazionali di Francia, donati in precedenza da Vever se stesso.

227

Henri Vever (1854-1942)


Henri Vever, Pendente.

228



Note al testo Il termine (che in francese significa appunto «arte nuova») è di per sé indicativo dei contenuti innovatori (ove non addirittura rivoluzionari) che si vogliono esprimere. L’Art Nouveau, comunque non è arte d’evasione. Diventa in breve il gusto di un’epoca, incarnando nel modo più vero e profondo lo spirito e le contraddizioni di una società che, quasi senza avvedersene, sta precipitando sempre più velocemente verso la catastrofe della Prima guerra mondiale. In ogni paese d’Europa l’Art Nouveau si sviluppa in modo diverso, al fine di meglio interpretare quel desiderio di novità che è insito nel suo stesso nome. E anche i nomi, naturalmente, cambiano. Art Nouveau è quello francese, e deriva dall’insegna di un negozio di arredamento d’avanguardia aperto a Parigi nel 1895. In Inghilterra prende il nome di Modern Style (stile moderno) e in Italia quello di Stile floreale o di Liberty, dalla ditta di arredamenti moderni «Liberty & Liberty Co.», attiva a Londra fin dal 1875. In Germania l’Art Nouveau si diffonde come Jugendstil (stile giovane), in riferimento anche alla rivista «Jugend» (giovinezza), che aveva iniziato le pubblicazioni a Monaco di Baviera nel 1896. Nei Paesi Bassi, invece, si chiama Nieuwe Kunst (arte nuova), mentre in Austria, pur con gli opportuni distinguo, si parla piuttosto di Secession (Seccessione), dal nome del movimento artistico d’avanguardia formatosi a Vienna nel 1897. In Belgio, poi, si definisce anche Stile Horta, dal nome di Victor Horta (1861-1943), che ne fu il più significativo esponente, e in Spagna viene adottato l’appellativo di arte Jóven (arte giovane) o, più frequentemente, di Modernismo. La presenza di tanti nomi per identificare il medesimo movimento ci dà immediatamente il senso della dimensione e della diffusione del fenomeno. 2 Con la locuzione razionalismo italiano si intende quella corrente architettonica che si è sviluppata in Italia negli anni venti e anni trenta del XX secolo in collegamento con il Movimento Moderno internazionale, seguendo i principi del funzionalismo, proseguendo in vario modo in frange sino agli anni settanta. Nel 1926 un gruppo di architetti, provenienti dal Politecnico di Milano, Luigi Figini (1903-1984), Guido Frette (1901-1984), Sebastiano Larco, Gino Pollini (1903-1991), Carlo Enrico Rava, Giuseppe Terragni (1904-1943) e Ubaldo Castagnoli, sostituito l’anno dopo da Adalberto Libera (1903-1963), formarono il “Gruppo sette”, il gruppo fu costituito ufficialmente solo nel 1930, con il nome MIAR (Movimento italiano per l’architettura razionale).Il gruppo iniziò a farsi conoscere con una serie di articoli apparsi sulla rivista Rassegna Italiana, e proprio su quella rivista nel dicembre del 1926, il “Gruppo 7” rese noti al pubblico i nuovi principi per l’architettura, che si rifanno a quel Movimento Moderno, che ormai è in crescita in tutta Europa. Il gruppo tuttavia mostrava molta attenzione al Deutscher Werkbund (Federazione Tedesca del Lavoro) fondato a Monaco nel 1907 dall’architetto Hermann Muthésius (1861-1927). Il Werkbund si configura subito come uno straordinario laboratorio di idee, all’interno del quale una nuova e vivacissima generazione 1

230


di architetti e di intellettuali si impegna, insieme ad alcuni rapprsentanti più progressisti del mondo industriale, per sanare la storica frattura esistente tra arte, artigianato e industria. Nell’ambito del Werkbund tedesco e di quelli che successivamente sorgeranno anche in Austria (1910), in Svizzera (1913) e in Svezia (1917), maturano alcune delle personalità artistiche più significative dell’architettura razionalista. Fra tutti spicca il nome del tedesco Peter Behres (1868-1940), che nelle sue costruzioni rivoluziona in senso moderno ogni precedente regola edilizia, tenendo conto già in fase di progetto delle esigenze dei committenti, delle finalità funzionali e dell’ottimizzazione dei costi di realizzazione. Negli intenti della Werkbund c’era anche quello di mettere la Germania al passo con lo sviluppo industriale di Inghilterra e Stati Uniti. La giusta occasione, per mettere in mostra i loro primi risultati, fu quella dell’Esposizione italiana di architettura razionale che ebbe luogo a Roma nel 1928. Ma già nella III Biennale di Monza del 1927 Terragni aveva avuto modo di presentare i suoi primi lavori. Terragni darà un chiaro esempio delle sintesi elaborate in questo contesto, nella casa del Fascio di Como del 1932-1936, dove la facciata è disegnata secondo le proporzioni della sezione aurea e nel contempo forme e strutture moderne si fondono con un impianto volumetrico ed un equilibrio dello spazio architettonico classici. Nel 1938 realizza la Casa del fascio anche a Lissone, in Brianza, poi chiamata in suo onore palazzo Terragni. Ma soprattutto nella casa del Fascio di Como si può, secondo Ignazio Gardella (1905-1999), riconoscere il carattere originale del movimento moderno italiano. È quindi il momento della classicità che lo distingue dal movimento moderno internazionale che aveva fatto da madre per il Razionalismo italiano: il carattere della classicità, intesa non come riferimento mimetico a un determinato periodo storico, rinascimentale o altro, ma una classicità in senso atemporale, come la volontà di cercare un ordine, una misura, una modulazione che rendano le forme architettoniche chiaramente percepibili alla luce del sole e coerenti tra loro, cioè parti di una stessa unità. Nel 1930 fu la volta di Figini e Pollini che alla IV Triennale di Milano presentarono la Casa elettrica. Altri giovani architetti come Giovanni Michelucci (1891-1990) e Giuseppe Pagano (1896-1945) aderirono al MIAR e ne furono sostenitori convinti ed in breve vi furono quasi 50 adesioni di architetti provenienti da varie regioni italiane. All’esposizione del 1931 a Roma l’impatto fu molto forte e apparve subito chiaro che le opere razionaliste mal si adattavano a un regime autoritario. Le polemiche che ne nacquero, con i sostenitori della vecchia accademia, che poi erano la maggioranza, generarono molte defezioni nel MIAR, tanto che nel dicembre del 1932 il suo segretario Libera fu costretto a sciogliere il movimento. Da quel momento in poi gli architetti razionalisti lavoreranno in un ambito più ristretto, comunque riusciranno a portare avanti varie realizzazioni anche in ambito pubblico. 3 Particolarmente importante da un punto di vista artistico, perché ha segnato il successo internazionale dello stile Art Déco. Mentre le precedenti esposizioni internazionali di arti decorative furono dominate dal gusto Art Nouveau 231


(Monza nel 1909, Bruxelles nel 1910 e Torino nel 1911), quella di Parigi accoglieva le nuove tendenze del primo dopoguerra caratterizzanti le arti applicate, in particolare il design di oggetti e l’arredamento. L’intento primario dell’esposizione universale del 1925 di Parigi fu di presentare ad un vasto pubblico le nuove tendenze nel campo delle arti decorative e industriali, ma con un occhio di riguardo all’auto-promozione della stessa Francia sul mercato internazionale e contemplando come ideale concorrente la Germania, che tra le altre cose neppure fu presente. Altri ruoli rilevanti dell’esposizione universale del 1925 furono a livello politico. In primis perché la mostra di Parigi servì in qualche modo per ribadire l’alleanza della Francia con le nazioni che avevano partecipato al suo fianco nella Grande Guerra conclusasi pochi anni prima. Questo è uno dei motivi principali per cui, ad esempio, la Germania non fu invitata. Non furono presenti, tuttavia, neppure gli Stati Uniti, che all’epoca ritennero eccessivo un investimento per potervi partecipare in modo adeguato. Fu presente invece l’Unione Sovietica, rappresentando questo uno dei primi importanti riconoscimenti a livello internazionale del governo bolscevico insediatosi al potere in seguito alla rivoluzione dell’ottobre del 1917. 4 Espressionismo è una ben definita tendenza dell’avanguardia artistica del Novecento a cui possiamo attribuire sia una precisa collocazione temporale (l’arco di anni approssimativamente compreso tra il 1905 e il 1925) sia un altrettanto circoscritta area di localizzazione geografica (l’Europa centro-settentrionale e, soprattutto, la Germania). L’Espressionismo tedesco, in particolare, è un fenomeno culturale estremamente eterogeneo e articolato che si manifesta, oltre che in pittura, anche in architettura, in letteratura, nel teatro e nel cinema. Come l’Impressionismo rappresentava una sorta di moto dall’esterno verso l’interno (era, cioè, la realtà oggettiva a imprimersi nella coscienza dell’artista), l’Espressionismo costituisce il moto inverso, dall’interno all’esterno: dall’anima dell’artista direttamente nella realtà, senza mediazioni né filtri. Ecco pertanto spiegata anche la durezza percettiva di tale arte, nella cui realizzazione sono stati banditi tutti gli illusori artifici della prospettiva e del chiaroscuro. La natura stessa dell’Espressionismo, inteso come proiezione immediata (e a volte addirittura scomposta) di sentimenti e stati d’animo estremamente soggettivi, è ricca di contenuti sociali, di spunti dialettici, di drammatica testimonianza della realtà. Ma la realtà tedesca dei primi anni del secolo è la realtà amara di guerra, di contraddizioni politiche, di perdita di valori ideali, di aspra lotta di classe: e proprio questi sono i temi più dolorosamente cari agli artisti espressionisti. La Germania, la cui Rivoluzione industriale parte con molto ritardo rispetto a Inghilterra e Francia, recupera il tempo perduto a ritmi febbrili. Di conseguenza anche la reazione a un processo di industrializzazione troppo rapido è accelerata e convulsa. Alle motivazioni sociali, infatti, si aggiungono quelle ideologiche. Se il Realismo di Courbet aveva cercato, pochi decenni prima, di abolire (o quantomeno di ridimensionare) la soggettività dell’artista, l’Espressionismo tedesco tende a togliere al mondo ogni sua realtà 232


oggettiva per trasferirla nella sfera del personale. In altre parole, quella che per un pittore realista è una vecchia casa di campagna, con gli intonaci scrostati e gli infissi scoloriti, per un espressionista diventa una sorta di volto sgangherato, nel quale l’intonaco si fa pelle rugosa, le finestre torbidi occhi spalancati, la porta un’orrida bocca digrignata. Ecco dunque che se le motivazioni dell’Espressionismo sono contemporanee, profondamente radicate in una società dove i contrasti di classe hanno creato disoccupazione e squilibri devastanti, i mezzi tecnici per dare loro forma hanno origini antiche. Dietro i colori violenti, le forme sommarie, i modellati angolosi, rispunta la vera e immortale anima tedesca, legata in modo indissolubile alla cultura gotica, con la sua ansia di religiosità, e a quella barocca, che della prima rappresenta una sorta di raffinata variante evolutiva. 5 Due sono gli avvenimenti che in campo artistico rinnovano e condizionano la vita culturale viennese degli ultimi decenni del secolo: la creazione della Kunstgewerbeschule e il sorgere della Secession. Fondata nel 1867, la Kunstgewerbeschule (Scuola d’arte e mestieri) era una struttura pubblica per l’istruzione artistica. Essa viene istituita con il preciso scopo di rispondere all’esigenza – avvertita soprattutto dalle forze produttive – di reperire nuove figure professionali, provviste di una maggiore e più aggiornata competenza in campo progettuale e creativo, nell’ambito delle arti applicate. I corsi della Kunstgewerbeschule nascono, con l’obbiettivo di unire ai consueti strumenti per la formazione artistica anche un bagaglio di nuove conoscenze tecniche relative all’uso dei materiali, alle loro caratteristiche e al loro impiego industriale. Durante l’intero trentennio che va dalla sua fondazione fino quasi alle soglie del Novecento, la Kunstgewerbeschule di Vienna persegue le proprie finalità mantenendosi sempre fedele, nell’impostazione della didattica, al principio dell’imitazione delle “arti maggiori” da parte delle arti applicate. Artisti e artigiani che, si dedicano alla produzione industriale devono saper trarre dallo studio delle arti superiori i canoni formali da introdurre poi nei loro progetti e nelle loro realizzazioni, contribuendo a elevare la qualità artistica degli oggetti. L’insegnamento è basato sullo studio, il disegno e l’esercizio della ripetizione degli esempi più significativi e più illustri dell’arte classica e, in genere, di tutti gli stili dei secoli passati. Il vero, profondo mutamento della linea di condotta fin qui tenuta all’interno della Kunstgewerbeschule avviene verso la fine del secolo, preceduto – sull’orizzonte artistico nazionale – dalla nascita (meglio dall’esplosione) della Secession (Secessione). La Vereinigung bildender Kunstler Osterreich Secession (Associazione dei pittori e degli scultori della Secessione austriaca) risale al 1897, quando un gruppo di giovani artisti con a capo Gustav Klimt si distacca radicalmente dall’ambiente intellettuale ancora vicino al gusto eclettico e accademico. Organo ufficiale del neonato movimento è la rivista «Ver Sacrum» (Sacra Primavera), il cui primo numero vede la luce già nel gennaio 1898. Proprio in quel numero viene pubblicato parte del programma ufficiale del gruppo, una sorta di dichiarazione generale 233


di intenti che si basa fondamentalmente “sull’aspirazione a una integrazione delle arti, come mezzo per consentire l’opera d’arte totale, espressione del nuovo impegno artistico e sociale dell’arte moderna, e quindi anche sull’affermazione fondamentale della parità tra “arti maggiori” e “arti minori”,tra arte per il ricco e arte per il povero” (v. Itinerario nell’arte. Dall’Età dei Lumi ai giorni nostri, Zanichelli ed., Bologna marzo 2005,III vol., p. 760). Già da queste poche parole si evidenzia il carattere estremamente radicale della svolta impressa dagli artisti della Secessione alle concezioni ancora in voga per quanto concerne il modo di intendere le arti e il loro significato sociale decretando il ridimensionamento e, in seguito, il declino della pur prestigiosa Kunstgewerbeschule. Tra il 1898 e il 1899 viene anche costruito, a vero tempo di record, il Palazzo della Secessione. Esso costituisce uno spazio espositivo alternativo a quelli dei quali poteva disporre l’arte accademica e in breve diviene, insieme a «Ver Sacrum», il cento dei più importanti e innovativi avvenimenti artistico–culturali di Vienna. Il progetto del palazzo è realizzato dal giovane Joseph Maria Olbrich (1867-1908). 6 De Stijl (che in olandese significa Lo stile), anche conosciuto con il nome di Neoplasticismo (in olandese: Nieuwe Beeldende), è un movimento artistico fondato in Olanda nel 1917. Piet Mondrian (1872-1944) denomina l’espressione della sua pittura totalmente astratta Neoplasticismo, dove per plasticismo si deve intendere, per l’appunto, “linguaggio”. Ma è anche possibile far coincidere il termine con l’espressione “nuova forma”, di cui pure Mondrian fa uso, o anche con “stile”. Di Neoplasticismo Mondrian comincia a parlare attraverso le dense pagine della rivista «De Stijl». Fondata nel 1917 dallo stesso Mondrian e da Theo Van Doesburg (1883-1931). Scopo della rivista era, come si legge nella prefazione al primo numero, di contribuire allo sviluppo d’un nuovo senso estetico. Vuole rendere l’uomo moderno sensibile a tutto ciò che vi è di nuovo nelle Arti plastiche. I contenuti del movimento De Stijl vengono messi a punto proprio da Mondrian, mentre Van Doesburg li diffonde viaggiando e tenendo conferenze. Mondrian scrive: «Mi ci volle del tempo per scoprire che particolari forme e colori naturali evocano stati d’animo soggettivi che oscurano la realtà pura. L’aspetto delle forme naturali si modifica mentre la realtà rimane costante. Per creare plasticamente la realtà pura è necessario ricondurre le forme naturali agli elementi costanti della forma e i colori naturali ai colori primari» (v. Itinerario nell’arte. Dall’Età dei Lumi ai giorni nostri, Zanichelli ed., Bologna marzo 2005, op. cit., III vol., p. 858). Mondrian riconosce che l’arte deve identificarsi con la vita. Ora, poiché la vita è essenzialmente interiorità, occorre che l’artista escluda il mondo oggettivo dalle sue opere, perché diverso dall’interiorità. Se il mondo oggettivo viene gradualmente eliminato dall’arte, quest’ultima si avvicina sempre più alla vita interiore fino a coincidere con essa. Anche l’opera d’arte, però, può essere un’opera particolare. Per evitare che ciò accada, l’artista neoplastico deve eliminare i modi in cui si determina il suo intervento diretto e soggettivo. L’artista deve agire solo 234


attraverso le linee rette (orizzontali e verticali). La linea curva, intesa quale residuo decorativistico, deve essere eliminata in quanto sinonimo di emozioni. Ma le emozioni possono essere espresse anche tramite un certo modo di stendere il colore sulla tela, con il semplice tocco del pennello. L’artista neoplastico, perciò, deve mirare alla tinta unita e piatta. Per evitare l’emozione determinata dall’infinita varietà delle tinte, i colori dovranno essere limitati ai tre primari. 7 È il romanzo di Victor Margueritte, La Garҫonne del 1922, che dà il nome al nuovo taglio: la moda del caschetto corto trovò ampi consensi tra le donne più giovani e moderne, che vi vedevano proprio uno dei segni dell’emancipazione. 8 Il rococò è uno stile ornamentale sviluppatosi in Francia nella prima metà del Settecento come evoluzione del tardo barocco. Si distingue per la grande eleganza e la sfarzosità delle forme, caratterizzate da ondulazioni ramificate in riccioli e lievi arabeschi floreali. Sono espresse soprattutto nelle decorazioni, nell’arredamento, nella moda e nella produzione di oggetti. Il termine “rococò” deriva dal francese rocaille, parola usata per indicare un tipo di decorazione eseguita con pietre, rocce e conchiglie, utilizzate come abbellimento di padiglioni da giardino e grotte.Caratterizzato da delicatezza, grazia, eleganza, gioiosità e luminosità si poneva in netto contrasto con la pesantezza e i colori più forti adottati dal precedente periodo barocco. I motivi Rococò cercano di riprodurre il sentimento tipico della vita aristocratica libera da preoccupazioni o del romanzo leggero piuttosto che le battaglie eroiche o le figure religiose. Verso la fine del XVIII secolo il rococò verrà a sua volta rimpiazzato dallo stile neoclassico. Rococò sembra essere una combinazione della parola francese rocaille (conchiglia, guscio) e della parola italiana barocco. Siccome questo stile ama le curve naturali come quelle presenti nelle conchiglie e si specializza nelle arti decorative, alcuni critici tendevano erroneamente a ritenerlo frivolo e legato alla moda. Il termine rococò fu accettato anche dagli storici dell’arte dalla metà del XIX secolo e sebbene ci siano ancora pretestuose discussioni riguardo al significato storico di questo stile, il rococò è ora largamente considerato come un importante periodo di sviluppo per l’arte e la cultura europea. 9 Lo stile Impero è una corrente del Neoclassicismo che interessò l’architettura, l’arredamento, le arti decorative e le arti visive del XIX secolo. Si sviluppò durante l’età napoleonica, al fine di celebrare l’ascesa al potere di Napoleone Bonaparte (1769-1821) e si diffuse in gran parte dell’Europa. 10 Art & Craft Movement (movimento delle arti e dei mestieri) è stato un movimento artistico per la riforma delle arti applicate, una sorta di reazione colta di artisti e intellettuali all’industrializzazione galoppante del tardo Ottocento. Tale reazione considera l’artigianato come espressione del lavoro dell’uomo e dei suoi bisogni, ma soprattutto come valore durevole nel tempo e tende a disprezzare i pessimi prodotti, a bassa qualità dei materiali e in miscuglio confuso di stili. Le radici di pensiero di questo movimento si sviluppano dalle considerazioni di Augustus Pugin (1812-1852) sull’enfatizzazione dello stile gotico, quale unico stile che contiene i principi della cristianità e, di conseguenza, 235


della purezza e dell’onestà, incapace di nascondere la struttura. Seguace di Pugin fu John Ruskin (1819-1900), il quale afferma che il nuovo stile deve nascere sulle orme del lavoro medievale, caratterizzato dalla semplicità del lavoro dell’uomo e pertanto concettualmente in contrapposizione alla freddezza dell’industria. Fu proprio Ruskin a contagiare William Morris (1834-1896) con questa idea, mentre quest’ultimo segue le lezioni di Ruskin ad Oxford nel 1851. Qui entrerà in contatto con Sir Edward Bourne-Jones (1823-1898), il quale presenterà a Morris Dante Gabriel Rossetti (1828-1882), esponente dei Preraffaelliti. Morris segue così prima la lezione di Ruskin, poi si fa contagiare dai Preraffaelliti ed in seguito ne fa una sintesi. Il lavoro che Morris propone si basa sulle orme delle antiche corporazioni medievali. Il Medioevo viene visto come un periodo positivo, con una società più coesa e quindi modello anti-industriale. La sua produzione di tappeti, tessuti, mobili, metalli, quindi, nasce come anti-industriale, e con una forte componente collaborativa (Morris disegna e ri-progetta mobili, li dipinge, lo stesso Morris crea decorazioni geometriche bidimensionali che hanno la caratteristica di essere riprodotte serialmente in quanto sono standardizzate e codificate); tuttavia pone le basi dei principi del design moderno, perché è una produzione eclettica, ariosa, molto più moderna dell’industria del tempo; nonostante questo, è destinata a fallire per i suoi costi elevati e per l’impossibilità di distribuire i suoi prodotti ai vari strati sociali.In realtà Morris creerà anche una società nel 1888 denominata Morris, Marshall & Co. che nascerà dalla passata collaborazione nata per arredare la casa che William Morris si fa costruire da Philip Webb. Questa azienda userà le “macchine” industriali ma predominerà la concezione iniziale, ovvero: non è l’uomo al servizio della macchina, ma la macchina che deve essere al servizio dell’uomo; e così i prodotti dovranno essere progettati per essere altamente qualitativi per l’uomo, non per essere semplicemente più facilmente realizzabili da una macchina. Morris condivide con Ruskin, i principi fondamentali dell’analisi sulla degenerazione dei gusti, ed entrambi lo imputano al forte condizionamento subìto dal consumatore, dall’artista e dal produttore, causato dalla struttura socio-economica. 11 Il transatlantico francese di 44.500 tonnellate Île de France, varato nel giugno del 1926 dai Chantiers de Penhoët a St. Nazaire e proprietà della Compagnie Générale Transatlantique, deve gran parte della sua notorietà all’eccezionale contributo che diede in occasione del naufragio dell’Andrea Doria, la notte tra il 25 ed il 26 luglio 1956. Fino a quella notte l’ Île de France aveva vissuto un’esistenza piena e felice, famosa per la piacevolezza e la comodità della vita a bordo. Durante la Seconda guerra mondiale la nave aveva trasportato più di 600.000 soldati in ogni parte del mondo; dopodiché venne completamente ristrutturata nel cantiere di origine e riprese i suoi viaggi transatlantici nel 1949. 12 Il Normandie fu un transatlantico francese di 80.000 tonnellate, della Compagnie Générale Transatlantique, costruito dai Chantiers de Penhoët a Saint-Nazaire. Considerato da molti come il più bel transatlantico 236


mai costruito, era anche, al momento del suo varo nel 1932, il più grande. Lo sfarzo e la ricchezza degli interni lo resero meta ambita nelle top class; una delle sue caratteristiche innovative era l’introduzione della propulsione elettrica che tuttavia ne compromise talvolta l’affidabilità. Allo scoppio della seconda guerra mondiale si decise di tenerlo fermo presso il porto di New York per maggior sicurezza. Durante i lavori nel porto di New York, si sviluppò un incendio e il transatlantico si capovolse sotto il peso dell’acqua versata dai pompieri. Recuperato fu comunque disarmato nel 1946. Il Normandie avrebbe dovuto essere affiancato da un’unità sorella, chiamata SS Bretagne. Questa, nelle intenzioni dei progettisti avrebbe dovuto essere di dimensioni e pesi maggiori rispetto all’originale. Tuttavia, il progetto venne cancellato per lo scoppio della guerra. 13 Una delle prime e più significative Avanguardie storiche, della quale Pablo Picasso (1881-1973), insieme a Georges Braque (1882-1963), fu uno degli indiscussi fondatori. Porre pittura e natura sul medesimo piano, significa attribuire alla prima una dignità e un’autonomia mai prima pensate, in quanto, ad esempio, anche l’arte classica era per definizione imitatrice della natura. I pittori cubisti, al contrario, non cercano di compiacere il nostro occhio imitando la realtà né, come facevano gli Impressionisti, tentando di interpretare le suggestioni. Essi, infatti, si sforzano di costruire una realtà nuova e diversa, non necessariamente simile a quella che tutti conosciamo, anche se spesso a essa parallela. «Bisogna avere il coraggio di scegliere», diceva significatamente Braque, «poiché una cosa non può essere insieme vera e verosimile». E se la riproduzione prospettica di un qualsiasi oggetto può apparirci senz’altro verosimile la verità di quell’oggetto è quanto mai lontana e diversa. Immaginiamo ad esempio un cubo, uno dei solidi geometrici più semplici e conosciuti. In una qualsiasi veduta prospettica esso ci mostrerà al massimo solo tre delle sei facce che, pur essendo quadrate, ci appariranno a forma di parallelogrammi irregolari. Gli spigoli verticali, infine, che nella realtà sappiamo essere sempre uguali e paralleli, risulteranno invece disuguali e convergenti. Nonostante tutto, però, la visione di questo cubo la definiamo perfettamente verosimile. Osserviamo ora un altro cubo. Questa volta si tratta dello sviluppo in piano del solido precedente. Esso ha tutte le sei facce perfettamente quadrate e uguali, con spigoli fra loro sempre perpendicolari. Non solo: se ritagliassimo il cubo così sviluppato e ne piegassimo le facce lungo gli spigoli contigui incollandole lungo quelli restanti otterremmo la costruzione tridimensionale del cubo. Tale cubo, dunque, è molto più vero del precedente, anche se assai meno verosimile. La realtà che percepiamo attraverso il senso della vista, infatti, è spesso diversissima dalla realtà vera. Solo perché ciascuno di noi sa come è fatto un cubo siamo in grado, ad esempio, di riconoscerne uno nella figura 1.53. I bambini, che non conoscono le regole della prospettiva, sono involontariamente “cubisti” in quanto disegnano le loro casette mostrando contemporaneamente più facciate e ottenendo così una percezione istintiva della realtà. La realtà cubista, d’altra 237


parte, comprende anche il fattore tempo, una variabile che pur essendo di fondamentale importanza nella nostra vita non era mai stata prima considerata. Il pittore cubista, infatti, si figura di ruotare fra le mani l’oggetto da rappresentare o, se si tratta di una persona, di girarla addirittura intorno. In questo modo egli non coglie più un solo aspetto, ma ne percepisce diversi in successione. E poiché per poter assumere punti di vista diversi occorre muoversi e per muoversi si impiega del tempo, ecco che la variabile temporale fa per la prima volata il suo ingresso in pittura, consentendo di rappresentare contemporaneamente momenti diversi di una medesima scena. Il nome del movimento deriva dall’uso cubista di scomporre la realtà in piani e volumi elementari. Riprendendo alcuni commenti negativi di Matisse (1869-1954) il critico Louis Vauxcelles (1870-1943), definisce ironicamente alcuni paesaggi di Braque come composti da banali cubi. La data di inizio del Cubismo si fa convenzionalmente risalire al 1907, anno nel quale Picasso dipinge Les demoiselles d’Avignon. 14 Ebbe influenza su movimenti artistici che si svilupparono in altri Paesi, in particolare in Russia e Francia. I futuristi esplorarono ogni forma di espressione, dalla pittura alla scultura, alla letteratura (poesia e teatro), la musica, l’architettura, la danza, la fotografia, il cinema e persino la gastronomia. La denominazione ufficiale del movimento si deve al poeta italiano Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944). Il Futurismo nasce in un periodo di notevole fase evolutiva dove tutto il mondo dell’arte e della cultura era stimolato da numerosi fattori determinanti: le guerre, la trasformazione sociale dei popoli, i grandi cambiamenti politici e le nuove scoperte tecnologiche e di comunicazione, come il telegrafo senza fili, la radio, aeroplani e le prime cineprese; tutti fattori che arrivarono a cambiare completamente la percezione delle distanze e del tempo, “avvicinando”fra loro i continenti. Il XX secolo era quindi invaso da un nuovo vento, che portava all’interno dell’essere umano una nuova realtà: la velocità. I futuristi intendevano idealmente “bruciare i musei e le biblioteche” in modo da non avere più rapporti con il passato e concentrarsi così sul dinamico presente; tutto questo, come è ovvio, in senso ideologico. Le catene di montaggio abbattevano i tempi di produzione, le automobili aumentavano ogni giorno, le strade iniziarono a riempirsi di luce artificiale, si avvertiva questa nuova sensazione di futuro e velocità sia nel tempo impiegato per produrre o arrivare ad una destinazione, sia nei nuovi spazi che potevano essere percorsi, sia nelle nuove possibilità di comunicazione. Questo movimento nacque inizialmente in Italia e successivamente si diffuse in tutta Europa. 15 Il Radio City Music Hall, conosciuto negli Stati Uniti come The Showplace of the Nation, fu progettato da Donald Deskey (1894-1989) ed inaugurato il 27 dicembre 1932 con la versione cinematografica della commedia di Philip Barry (1896-1949) The Animal Kingdom. Il teatro è anche la sede del Radio City Christmas Spectacular, il tradizionale spettacolo natalizio newyorkese in scena dal 1933. L’edificio è inoltre usato per una serie di concerti ed eventi di vario genere. Fra i vari cantanti che si sono esibiti qui in concerto, c’è anche il grande crooner 238


Frank Sinatra (1915-1998), e Roger Waters (1943), bassista dei Pink Floyd. Gli interni di Deskey sono considerati uno dei massimi esempi di Art Déco. 16 Herbert Marshall McLuhan (1911–1980) è stato un sociologo canadese. La sua fama è legata alla sua interpretazione innovativa degli effetti prodotti dalla comunicazione sia sulla società nel suo complesso sia sui comportamenti dei singoli. La sua riflessione ruota intorno all’ipotesi secondo cui il mezzo tecnologico che determina i caratteri strutturali della comunicazione produce effetti pervasivi sull’immaginario collettivo, indipendentemente dai contenuti dell’informazione di volta in volta veicolata. Di qui la sua celebre tesi secondo cui “il medium è il messaggio”. 17 Rientrano nel genere del film noir circa 250 titoli rigorosamente classificati dal 1940 al 1959, nel pieno cinema narrativo classico. Molti riconducono la nascita del genere cinematografico al film Lo sconosciuto del terzo piano (1940), ma il periodo d’oro va dal 1941 - anno de Il mistero del falco (The Maltese Falcon) tratto dal romanzo Il falcone maltese di Dashiell Hammett - al 1958, con L’infernale Quinlan di Orson Welles. Questi film erano considerati dalla critica d’oltreoceano produzioni di scarso valore anche nei casi in cui ottennero la nomination agli Oscar, come accadde, oltre che al già citato Il mistero del falco, a Vertigine (Laura) e a La fiamma del peccato (Double Indemnity), entrambi del 1944. Negli anni ottanta e novanta il noir è tornato mischiandosi ad altri generi e il fantascientifico Blade Runner di Ridley Scott. Un esempio recente di film noir è L.A. Confidential (1997) con Russell Crowe, Guy Pearce, Kevin Spacey e Kim Basinger. 18 Wunderkammer, in italiano camera delle meraviglie, è un’espressione appartenente alla lingua tedesca, usata per indicare particolari ambienti in cui, dal XVI secolo al XVIII secolo, i collezionisti erano soliti conservare raccolte di oggetti straordinari per le loro caratteristiche intrinseche ed estrinseche. 19 Le “Galanterie preziose” di Anna Maria Luisa de’ Medici ,pur essendo di varia provenienza, hanno in comune una particolare affinità di stile. Draghi, leoni,cervi,sirene,tritoni,struzzi,pecore,agnelli, elefanti: un vero e proprio bestiario,e,per ciascuno degli animali, una o più perle barocche suggeriscono la forma che viene poi definita dall’oro e completata da smalti e pietre preziose. Tra i pezzi più originali, una culla in filigrana con una perla mostruosa che riproduce un neonato dormiente. 20 La madreperla è un materiale di pregio ricavato dallo strato interno della conchiglia di alcuni molluschi, specialmente delle ostriche, di colore iridescente bianco perlaceo, utilizzato per la sua durezza nella produzione di vari oggetti e per la decorazione ad intarsio di alcune superfici. La madreperla, grazie alle sue elevate proprietà meccaniche, durezza e resistenza alla flessione viene prodotta artificialmente per impieghi industriali. In arte veniva e viene ancora usata per la realizzazione di disegni ad intarsio, nelle decorazioni di mobili, soprattutto in epoca rinascimentale. Altri utilizzi sono per gioielleria e bigiotteria, posate, bottoni, mosaici, ventagli, binocoli, tasti per strumenti musicali. 239


La madreperla è formata da un raggruppamento di cristalli lamellari di aragonite posti gli uni agli altri simmetricamente alla valva. Le molecole di aragonite sono tenute insieme da conchiolina e da una piccola quantità di acqua che rende la madreperla del tutto simile alla perla. La perla e la madreperla differiscono solamente per la disposizione dei cristalli (concentrici nella perla, a strati disposti in modo parallelo nella madreperla). L’iridescenza della madreperla è dovuta all’aragonite, di cui la sottigliezza dei cristalli dà della luminescenza colorata come delle macchie d’olio presenti sull’asfalto umido. La madreperla è molto tenera, ha una durezza 3,5-4 rispetto alla scala di Mohs; ha una densità di 2,95 g/cm³, la sfaldatura è assente; la frattura mineralogica è scagliosa; seppure la madreperla è allocromatica il colore della polvere è sempre bianco; la lucentezza è madreperlacea e presenta una fluorescenza azzurra, rosa e gialla. I molluschi che producono madreperla sono generalmente bivalvi e gasteropodi. Fra i bivalvi vi sono la pinctada o pteria maxima (proveniente dall’Australia meridionale) e la pinctada o pteria margaritifera, mentre fra i gasteropodi vi sono i membri della famiglia haliotidae (provenienti perlopiù dagli Stati Uniti ove i gasteropodi sono noti con il nome di abalone shell ed in Nuova Zelanda ove, invece, sono noti con il nome paua) ove tali animali producono una madreperla con iridescenza blu, verde e gialla. Un altro luogo di ritrovamento è la Grande Barriera Corallina in Australia. 21 Il diamante è una delle tante forme allotropiche in cui può presentarsi il carbonio; in particolare, il diamante è costituito da un reticolo cristallino di atomi di carbonio disposti secondo una struttura ottaedrica. Il diamante è un cristallo trasparente composto da atomi di carbonio a struttura tetraedrica. È la forma termodinamicamente instabile del carbonio che, in teoria per la seconda legge della termodinamica, dovrebbe trasformarsi interamente in grafite. Ciò non avviene perché c’è bisogno di una traslazione degli atomi di carbonio che, essendo legati gli uni agli altri in una struttura a tetraedro, è impedita cineticamente. Quindi il diamante è instabile dal punto di vista termodinamico ma stabile dal punto di vista cinetico. In altre parole, è un materiale metastabile. I diamanti hanno moltissime applicazioni, grazie alle loro eccezionali caratteristiche fisiche e chimiche. Le più rilevanti sono l’estrema durezza, l’elevato indice di dispersione ottica, l’altissima conducibilità termica, la grande resistenza agli agenti chimici e il bassissimo coefficiente di dilatazione termica, paragonabile a quello dell’invar. I diamanti sono altamente idrorepellenti: l’acqua non aderisce alla loro superficie, formando gocce che scivolano via facilmente. Un diamante immerso in acqua e poi estratto risulterà perfettamente asciutto. Al contrario i grassi, tra cui ogni tipo di olio, aderiscono molto bene alla loro superficie, senza peraltro intaccarli. La resistenza agli agenti chimici è molto elevata: i diamanti non sono intaccabili dalla maggior parte degli acidi e delle basi, anche in concentrazioni elevate. 22 La Wiener Werkstätte è una famosa ditta viennese, legata al mondo del design, fondata nel 1903 dall’architetto Josef Hoffmann (1870-1956) e dal pittore 20

240


Koloman Moser (1868-1918). Questa raccoglie le arti dei movimenti precedenti. Rielabora un nuovo classicismo, portando alla nascita del Protorazionalismo. Si associa l’artigiano all’economia, ispirandosi all’Art and Crafts inglese. Hoffmann e Moser nel 1905 ne fondano il programma: Stretto rapporto con il pubblico, il progettista e l’artigiano; produrre oggetti di uso domestico, semplici e di qualità; la concezione primaria è la funzionalità; eccellente qualità della lavorazione; quando sarà il caso aggiungere ornamenti; La produzione di questa ditta era volta verso tessuti, ceramiche, gioielli, mobili, cartoline postali. Non bisogna fare la produzione a basso prezzo poiché questa va a scapito dei lavoratori e dell’esistenza degna dell’uomo. Era formata da 100 operai, pochissimi di loro erano artigiani di mestiere. Entrarono a far parte della ditta i maggiori artisti di Vienna, e gli alunni cui Moser e Hoffman insegnavano nella loro scuola. L’obiettivo era di avere più esperienze possibili di artisti ed oggetti, legati a un unico stile. Hoffmann con le sue opere riusciva a produrre con le stesse forme due oggetti completamente diversi. Uno dei progetti più importanti fuori dell’Austria è il Palazzo Stoclet a Bruxelles di Josef Hoffmann. La Wiener Werkstätte è perfettamente attrezzata di tutto ciò che serve all’impresa, la macchina non domina ma aiuta l’uomo: non è lei a dominare la fisionomia dei prodotti ma lo spirito creativo spetta alle mani dell’artista. Si utilizzano le energie e la creatività dei giovani, formati nella scuola dei due maestri fondatori. Il maggior talento di Koloman Moser era la grafica: i cartelloni pubblicitari e il marchio di fabbrica rispondevano benissimo alla fase commerciale che aveva la ditta. La Weiner Werkstätte partecipò a quasi tute le Expo che si tennero, dall’anno della sua fondazione fino al suo fallimento. Iniziarono ad aprirsi le prime filiali e punti vendita in tutto il mondo: finirà per influenzare lo Styling americano. Moser insisteva a lavorare solo su progetti commissionati, come un libero professionista. Seguirono inoltre la linea delle Mostre: i prodotti realizzati dalla Wiener Werkstätte venivano esposti nei negozi, sui cataloghi, nelle Expo, per aumentare i compratori. Anni dopo Moser si dimise poiché per lui l’attività non era più quella di una volta, dipendeva troppo dal gusto dei committenti nonostante loro non avessero idea del prodotto che volevano. Lui non capiva che la sua politica di lavoro artigianale non sarebbe mai arrivata a un largo pubblico, poiché il lavoro manuale era troppo costoso e non tutti potevano permetterselo. Il dovuto successo della Weiner Werkstätte fu essenzialmente grazie alla borghesia: i prodotti di lusso che la ditta produceva ebbero un grande successo. Il design della ditta era famoso poiché essenziale e semplice, nonostante fosse di gran prezzo. 23 È la concezione della divinità che ha aspetto (forma) di animale. Il termine deriva da due etimi greci (thēr, thērós), “bestia feroce” e (morphē), “forma”. 24 La Tomba di Tutankhamon (nota anche come KV62) è il luogo di sepoltura, nella Valle dei Re, del giovanissimo sovrano della XVIII dinastia che salì al trono all’età di 9 anni e morì all’età di 18-20 anni. Analisi eseguite nel corso degli anni dalla scoperta della tomba, non ultime analisi del DNA compiute nel 241


2009, hanno consentito di appurare che il faraone soffriva di diverse malattie, alcune delle quali ereditarie, ma si è ritenuto che a nessuna di esse possa essere imputata la morte. L’esito di tali analisi, pubblicate nel febbraio 2010 sulla rivista statunitense JAMA (Journal of the American Medical Association), oltre a chiarire aspetti legati alla genealogia del Re, hanno diagnosticato che questi era affetto dal male di Kohler, a causa del quale era costretto a camminare appoggiandosi ad un bastone. Ciò giustificherebbe, peraltro, la presenza nella KV62 di 130 di tali oggetti le cui condizioni fanno intendere che si tratti di strumenti di deambulazione effettivamente usati e non di semplice corredo. Nel corpo di Tutankhamon è inoltre stata rilevata la presenza del parassita della malaria in forma grave, come suffragato anche dalla presenza di piante con proprietà analgesiche ed antipiretiche nella tomba stessa. La tomba in trattazione porta il numero 62 ed è bene rammentare che le 63 sepolture principali della Valle dei Re sono numerate progressivamente (sigla “KV”= King’s Valley, seguita da un numero); è inoltre utile tenere anche presente che la numerazione non ha nulla a che vedere con la progressione sul trono dei titolari; nel 1827, infatti, l’egittologo inglese John Gardner Wilkinson (1797-1875) numerò le tombe già scoperte da 1 a 22 seguendo l’ordine geografico da nord a sud. Da tale data, però, ovvero dalla KV23 in poi, il numero corrisponde all’ordine di scoperta e, di qui, il numero 62 assegnato alla sepoltura del faraone fanciullo. L’importanza della scoperta, forse la più famosa della storia dell’egittologia, risiede, prima di tutto, nel fatto che si tratta di una delle poche sepolture dell’antico Egitto pervenutaci quasi intatta, l’unica di un Sovrano e, conseguentemente, tra tutte quelle note, la più ricca. La scoperta di Howard Carter (1874-1939), il 4 novembre 1922, fu permessa dalle sovvenzioni di Lord Carnarvon (1866-1923). 25 Con il nome di onice si indicano due tipi di rocce completamente differenti: l’onice silicea normalmente di colore nero striata di bianco con composizione SiO2 . n H2O, simile al calcedonio ma non al quarzo che è cristallino, si trova in Brasile, Messico, ecc...e l’onice calcarea, detta anche onice alabastrite, onice etoca o onice egiziana che è composta da CaCO3, è di colore bruno quella di Montaione o verde chiaro quella del Pakistan. L’Onice silicea mineralogicamente è una varietà di calcedonio, ossia quarzo in masse compatte microcristalline, di colore opaco o semi-opaco, uniforme, che copre le tonalità rossobruno e l’intera gamma di grigi fino al nero. Come tutte le varietà di quarzo è molto duro (da 6 a 7 nella scala di Mohs). Si forma principalmente in ambiente filoniano-idrotermale di bassa temperatura e metamorfico, oppure, secondariamente, in rocce sedimentarie dove si presenta in forma massiva e stratificata prendendo il nome di selce, un materiale molto utilizzato dall’uomo nella preistoria e nell’antichità per la preparazione di oggetti affilati e monili. L’onice calcareo è il marmor alabastrum dei Latini ove alabastrum deriva, come dice Plinio, da una fortezza detta “Alabastra”, costruita a Tebe in Egitto e dove vi erano numerosissime cave usate per l’edificazione dei templi. Ma prima di chiamarsi alabastro, la pietra era detta onice, da cui il nome marmo-onice, 242


come documentato anche nella Genesi in cui si parla di pietra onichina. L’onice, dal greco onyks, fu così detto per il suo aspetto somigliante all’unghia, alle sue macchie e alla sua lunetta. Sostanzialmente le parole alabastro ed onice erano usate promiscuamente come confusa era anche la classificazione dei marmi basata sul colore predominante e solo in tempi recenti è avvenuta la classificazione in base alla composizione chimica. Per la presenza di concrezioni di frammenti di roccia, assume un aspetto particolare con una struttura variabile fibroso-compatta, fibroso-raggiata, fibroso-parallela e zonato-concentrica. Ha la caratteristica di essere traslucido e con zonature variegate, da millimetriche a centimetriche, più sovente nella tonalità del marrone che donano a questo marmo un aspetto variopinto e diafano. Di questa ormai rarissima pietra troviamo, in Italia, il famoso “Onice del Circeo”nel Lazio, “Onice di Gesualdo” in Campania e quello di Alberobello in Puglia, la cui costosa estrazione è da molti decenni sospesa. 26 Sono una classe di animali del phylum degli Cnidaria. Consistono di piccoli polipi radunati tipicamente in colonie di molti individui simili. Il gruppo include gli animali costruttori delle barriere coralline tropicali, che producendo carbonato di calcio formano il tipico scheletro calcareo. Il loro nome significa letteralmente “fiori animali” (dal greco anthos fiore, e zoon animale) ed i loro rappresentanti più tipici sono gli anemoni di mare (o attinie) e i coralli (tra i quali va ricordato il corallo rosso). Il corallo, percepito comunemente come un singolo organismo, in realtà è formato da migliaia d’individui identici geneticamente detti polipi, ognuno grande solo pochi millimetri. Di forma e di dimensione variabili, sono sparsi nelle acque costiere tropicali in cui formano trottoir (come nel Mar Rosso), atolli (come nelle isole polinesiane) o barriere (come nel caso dell’Australia, con la Grande Barriera Corallina). Queste colonie, generalmente, sono tipiche di acque molto luminose e calde, pur sopportando poco sia le alte temperature che l’inquinamento che porta, infatti, alla loro morte e, quindi, alla loro sedimentazione. Presentano la cavità gastrovascolare con setti longitudinali radiali alternati a tentacoli. Si distinguono: coralli ermatipici, con scheletro carbonatico e che vivono in simbiosi con le zooxanthellae che gli forniscono nutrimento, ed hanno quindi bisogno di luce. Queste simbiosi si fondano sul mutuo scambio di sostanze tra simbionte (alga) ed ospite (antozoo). Le simbiosi in questione sono di estremo e attuale interesse, soprattutto in relazione ai fenomeni di sbiancamento dei coralli, che si ritengono dovuti ad un aumento della temperatura, conseguenza dell’effetto serra; coralli aermatipici o anermatipici, sprovvisti di zooxanthellae, che non hanno dunque bisogno di luce e possono vivere più in profondità e che si nutrono catturando plancton o per osmosi. 27 La malachite è un minerale della famiglia dei carbonati (per la precisione è un idrossido carbonato rameico), e risulta effervescente al contatto con l’acido cloridrico. È quasi sempre microcristallina (strato d’alterazione dei minerali di rame), ma si trova anche sotto forma di strati fibrosi, in ammassi reniformi o efflorescenti. 243


In alcune cavità può essere raramente rinvenuta malachite in piccoli cristalli aghiformi. Si origina per alterazione di minerali presenti di rame. I giacimenti sono tutti quelli secondari di rame. I maggiori giacimenti di malachite si trovano in Africa nello Zaire e Zambia, in Russia, Australia e Stati Uniti. In Italia il giacimento più famoso si trova sull’isola d’Elba. Per il suo bel colore che va dal verde chiaro al verde scuro, ed il caratteristico accrescimento che la fa caratterizzare con zonature date da sfumature di tonalità, la malachite viene utilizzata in gioielleria soprattutto come cabochon e in oggettistica semipreziosa. Tuttavia essendo un minerale con scarsa durezza, i manufatti in malachite possono rigarsi e rovinarsi facilmente, se usati e toccati senza attenzione. 28 Il platino è un metallo e l’elemento chimico di numero atomico 78. Il suo simbolo è Pt. È un metallo di transizione, malleabile, duttile (è il metallo più duttile dopo oro e argento) di colore bianco-grigio. Resiste alla corrosione e si trova sia allo stato nativo che in alcuni minerali di nichel e rame. Il platino è usato in gioielleria, nella realizzazione di attrezzi da laboratorio, contatti elettrici, odontoiatria e dispositivi anti-inquinamento delle automobili, per la realizzazione di catalizzatori per l’industria chimica. Puro, si presenta simile all’argento, è duttile, malleabile e resistente alla corrosione. Come gli altri metalli della sua famiglia, possiede notevoli capacità catalitiche (una miscela di idrogeno e ossigeno gassosi in presenza di spugna di platino esplode). La sua resistenza alla corrosione e all’ossidazione lo rende adatto per produzioni di gioielleria. Altri suoi tratti distintivi sono la resistenza alla corrosione chimica, buone proprietà reologiche alle alte temperature e proprietà elettriche stabili. Tutte queste proprietà sono state sfruttate per applicazioni industriali. Il platino non si ossida all’aria nemmeno ad alta temperatura, può però venire corroso dai cianuri, dagli alogeni, dallo zolfo e dagli alcali caustici. Non si scioglie nell’acido cloridrico né nell’acido nitrico, ma si scioglie nella loro miscela nota come acqua regia trasformandosi in acido cloroplatinico. I suoi stati di ossidazione più comuni sono +2, +3 e +4. Per queste caratteristiche peculiari, il platino è considerato uno dei migliori conduttori elettrici ed è utilizzato anche nella produzione di connettori per cavi HDMI. 29 Il 18 ottobre 1905 aprì i battenti a Parigi la prima collettiva del Salon D’automne. Visitando l’ottava sala dell’esposizione il giornalista Louis Vauxcelles, critico d’arte del quotidiano «Gil Blas», si trovò circondato da dipinti dai colori talmente violenti da fargli esclamare e scrivere sul resoconto dell’inaugurazione all’indirizzo di una scultura tradizionalista: Donatello chez les fauves (Donatello fra le belve): talmente classica gli pareva quella statua in mezzo a tanta aggressiva novità. Come altre volte era capitato il dispregiativo fauves, belve, venne accolto dagli stessi artisti che avevano esposto nell’ottava sala del Salon quale segno di riconoscimento, un termine che li raggruppava sotto un’unica bandiera. Il gruppo dei fauves, pur non essendo sorto come movimento né divenne mai tale si riconosceva in alcune comuni convinzioni. Il dipinto, ad esempio, deve dare spazio essenzialmente al colore; 244


non bisogna dipingere secondo l’impressione, ma in relazione al proprio sentire interiore; si deve, cioè, esprimere se stessi e rappresentare le cose dopo averle fatte proprie; la pittura, dando corpo alle sensazioni dell’artista di fronte all’oggetto da riprodurre, deve essere istintiva e immediata; il colore va svincolato dalla realtà che rappresenta. Da tale ultima affermazione consegue che l’interesse dell’artista non deve mai essere indirizzato verso la riproduzione realistica della natura. A ben riflettere, allora, siamo in presenza della prima vera rottura con l’Impressionismo e della prima esperienza pittorica moderna che non tiene conto del rapporto di identità tra colore reale dell’oggetto e colore impiegato per la sua rappresentazione pittorica. I grandi punti di riferimento e i veri presupposti della nuova formazione artistica erano Cézanne, Gauguin e Van Gogh. Il primo per la smaterializzazione e ricomposizione delle forme, il secondo e il terzo per i colori impiegati puri, con violenza, e per il loro voler sempre esprimere se stessi. Anima del gruppo di amici fauves era Henri Matisse (1869-1954)con a seguito Andrè Derain (18801954), Maurice de Vlaminck (1876-1958), Albert Marquet (1875-1947). 30 Compagnia di balletto fondata nel 1909 dall’impresario russo Sergej Djagilev. La sede dapprima si stabilì a Parigi, in seguito si spostò a Monte Carlo. L’organico della compagnia comprendeva i migliori ballerini provenienti dai due teatri più importanti: il moscovita Bol’šoj (Grande Teatro) e il pietroburghese Mariinskij. L’intento iniziale di Djagilev fu quello di esportare il tecnicismo e l’arte russa nell’Europa Occidentale, ma subito la genialità dell’artista, fusa con quella di artisti italiani, francesi e spagnoli, portò alla creazione di un’équipe composta dai più importanti personaggi dell’epoca del calibro, per citarne alcuni, di Pablo Picasso (1881-1973), Claude-Achille Debussy (18621918) e Vaclav Fomič Nižinskijj (1890-1950). La grandiosa vitalità dei Balletti russi si fece strada attraverso i due decenni successivi, tanto che divenne la più influente compagnia di balletto del XX secolo. Fra il 1925 ed il 1929 l’orchestra della compagnia fu diretta dal compositore e direttore francese Roger Désormière (1898-1963). In principio le coreografie furono tutte di Michel Fokine (1880-1942) che si dimise quando Nijinsky coreografò Il pomeriggio di un fauno per tornare poi nel 1913 quando Nijinsky venne licenziato in seguito al matrimonio con una danzatrice della compagnia. In seguito le coreografie furono affidate a Léonide Massine (1896-1979), poi a Bronislava Nijinska (sorella di Vaslav) (1891-1972) e George Balanchine (1904-1983), che fu l’ultimo coreografo dei Balletti russi. La direzione artistica dei balletti russi fu curata da Léon Bakst (1866-1924), il cui rapporto con Diaghilev risaliva al 1898, quando egli, Diaghilev e Alexander Benois (1870-1960) fondarono la rivista d’avanguardia “Il mondo dell’arte” (Mir Iskusstva). Insieme svilupparono una forma di balletto più complessa, con elementi spettacolari tesi a far presa sul grande pubblico. Il richiamo esotico dei Balletti russi influenzò i pittori fauves e il nascente stile Art Déco. Comunque, per ogni scelta era importantissimo l’apporto personale di Diaghilev, che mirava da un lato a riproporre i balletti 245


classici e dall’altro a crearne di nuovi, al passo coi tempi, lavorando con i migliori artisti in ogni campo. Non essendo né musicista, né scenografo, né coreografo egli fu principalmente un animatore, un organizzatore attorno a cui ruotava il lavoro degli altri. In ogni sua scelta dimostrò sempre intuito e convinzione nel proprio giudizio estetico. I Balletti russi furono una compagnia itinerante ma molti dei balletti esordirono a Parigi o a Monte Carlo; dal 1922 fino alla morte di Diaghilev la compagnia fu semistabile all’Opera di Monte Carlo. 31 Acciaio è il nome dato ad una lega composta principalmente da ferro e carbonio, quest’ultimo in percentuale non superiore al 2,06%: oltre tale limite, le proprietà del materiale cambiano e la lega assume la denominazione di ghisa. 32 Il palladio è l’elemento chimico di numero atomico 46. Il suo simbolo è Pd. È un metallo raro, di aspetto bianco-argenteo, del gruppo del platino a cui somiglia anche chimicamente: viene estratto principalmente da alcuni minerali di rame e nichel. I suoi usi più comuni sono nell’industria, come catalizzatore, e in gioielleria. Il palladio non si ossida all’aria ed è l’elemento meno denso e con il punto di fusione più basso di tutto il gruppo del platino. È tenero e duttile dopo ricottura, ma aumenta molto la sua resistenza e durezza se viene lavorato a freddo (incrudito). È immune all’effetto dell’acido cloridrico ma viene attaccato dall’acqua regia. Questo metallo è inoltre estremamente permeabile all’idrogeno: può assorbire fino a 900 volte il suo volume in idrogeno a temperatura ambiente. Si pensa che questo possa accadere grazie al formarsi di idruro di palladio (PdH2), ma non è chiaro se tale composto si formi realmente o sia solo un’associazione temporanea. Gli stati di ossidazione più comuni del Palladio sono 0, +2, +3 e +4. 33 L’iridio è l‘elemento chimico di numero atomico 77. Il suo simbolo è Ir. È un metallo di transizione bianco-argenteo, molto duro, appartenente al gruppo del platino. Si trova in natura in lega con l’osmio e trova impiego nella produzione di leghe metalliche destinate a lavorare ad alta temperatura ed in condizioni di elevata usura. L’iridio è ritenuto essere il metallo più resistente alla corrosione. Il nome iridio deriva dal latino iridium da iris = arcobaleno con l’aggiunta del suffisso -ium tipico degli elementi metallici. La inconsuetamente massiccia deposizione di iridio in alcuni strati geologici è ritenuta essere associata quale prova del presunto impatto meteoritico che, a cavallo tra il Cretaceo ed il Terziario, avrebbe provocato l’estinzione di un gran numero di forme di organismi viventi anche di grande mole, tra cui i dinosauri. Viene usato in apparecchi esposti ad alte temperature, in contatti elettrici e come additivo indurente del platino. L’iridio somiglia al platino; è un metallo di colore bianco con una lievissima sfumatura gialla. Per via delle sue elevate caratteristiche di durezza e fragilità, è difficile da lavorare e da modellare. L’iridio è noto per essere il metallo più resistente di tutti alla corrosione chimica. È inattaccabile dagli acidi e nemmeno l’acqua regia lo scioglie. Può essere intaccato solo ad alta temperatura e solo da sali fusi come il cloruro di sodio o il cianuro di sodio. La sua densità è lievemente inferiore a quella dell’osmio, che era considerato il 246


più denso elemento noto. Calcoli teorici della densità basati sulle dimensioni del reticolo cristallino sembrano però dare un risultato in contraddizione con quanto osservato sperimentalmente (22650 kg/m³ per l’iridio, 22610 kg/m³ per l’osmio). 34 Il rodio è l’elemento chimico di numero atomico 45. Il suo simbolo è Rh. È un metallo di transizione raro, duro, bianco-argenteo. Si trova nei minerali del platino e, in lega con esso, è impiegato come catalizzatore. Il rodio è molto riflettente; esposto all’aria si ossida lentamente in sesquiossido di rodio Rh2O3, ma ad alte temperature perde l’ossigeno e ritorna allo stato puro metallico. Il rodio ha un punto di fusione maggiore del platino ma densità inferiore: non viene attaccato dagli acidi e si scioglie solo in acido solforico a caldo. L’uso principale che si fa del rodio è come legante per platino e palladio per conferire loro maggiore durezza; queste leghe sono usate in termocoppie, elettrodi per candele in motori aeronautici, crogioli di laboratorio, avvolgimenti per fornaci, trafile per produzione di fibre di vetro. 35 Il rutenio è l’elemento chimico di numero atomico 44. Il suo simbolo è Ru. È un raro metallo di transizione del gruppo del ferro; si trova nei minerali del platino ed in lega con esso viene usato come catalizzatore. Il rutenio è un metallo bianco e duro; si presenta in quattro forme cristalline diverse e non si opacizza a temperature ordinarie. Si ossida però con reazione esplosiva. Il rutenio si scioglie negli alcali fusi; non viene attaccato dagli acidi, ma subisce l’aggressione degli alogeni e – ad alte temperature – degli idrossidi alcalini. Piccole quantità di rutenio possono aumentare la durezza del platino e del palladio, nonché rendere il titanio più resistente alla corrosione. Sia per elettrodeposizione che per decomposizione termica, il rutenio può essere impiegato come rivestimento. Una lega di rutenio-molibdeno è superconduttrice a temperature inferiori a 10,6 K. Gli stati di ossidazione del rutenio variano da +1 a +8 ed anche composti con numero di ossidazione -2 sono noti. I più comuni nei suoi composti sono +2, +3 e +4. 36 L’osmio è l’elemento chimico di numero atomico 76. Il suo simbolo è Os. È un metallo di transizione del gruppo del platino: è un metallo duro, fragile, di color blu-grigio o blu nerastro e si usa in alcune leghe con il platino e l’iridio. Si trova in natura in lega con il platino, nei minerali di quest’ultimo. Il suo tetrossido si usa nel rilevamento delle impronte digitali, il metallo puro o legato nei contatti elettrici, nei pennini delle penne stilografiche e in altre applicazioni dove è necessaria una estrema durezza e resistenza all’usura. Per questo viene utilizzato dai vetrai per asportare graffi ed abrasioni da vetri e specchi. L’osmio metallico è estremamente denso, di color bianco-blu, fragile e lucido anche ad alte temperature, ma è estremamente difficile da ottenere. La polvere di osmio è ottenibile più facilmente, ma in queste condizioni l’osmio reagisce con l’ossigeno dell’aria ossidandosi in tetrossido di osmio (OsO4), che è velenoso. Quest’ossido è anche un potente agente ossidante, ha un forte odore caratteristico e bolle a 130 °C. Per la sua grande densità l’osmio è in genere considerato l’elemento più pesante di tutti, superando di poco l’iridio; 247


con il calcolo della densità a partire dalla matrice cristallina si ottengono risultati più affidabili delle misure dirette, ottenendo per l’iridio un risultato di 22650 kg/m³ contro 22661 kg/m³ per l’osmio. Volendo distinguere i vari isotopi, il più pesante risulta l’osmio-192. Questo metallo ha anche il più alto punto di fusione e la più bassa tensione di vapore del gruppo del platino. Gli stati di ossidazione più comuni dell’osmio sono +4 e +3, ma può assumere tutti gli stati da +1 a +8. 37 Tipica delle prime decadi del XVII secolo è la diminuzione dell’importanza dell’oro, riservato alla montatura, mentre assumono grande importanza le pietre, tagliate a tavoletta con montature semplici e formali. Dopo il 1620 si sviluppa in Francia un nuovo stile orafo tendente al naturalismo che trova applicazione in decorazioni floreali e per corpetti in cui file di diamanti tagliati a tavoletta fungevano da foglie arricciate, mentre altre pietre con taglio a rosa componevano i fiori: è la nascita del Barocco. Il XVII secolo segnò anche la nascita della parure, serie di gioielli coordinati nello stile e nella foggia. La parure femminile era di solito composta da un paio di orecchini, una collana, una spilla e talvolta un diadema o un anello. Il coordinato maschile comprendeva invece i bottoni dell’abito, le fibbie per scarpe, l’elsa della spada e le insegne cavalleresche. I pendenti venivano sempre più arricchiti di gemme così da creare dei grappoli a cascata su diversi piani, chiamati girandoles con riferimento ai lampadari di Versailles. il fiocco è un altro dei motivi più ricorrenti nella gioielleria barocca e deriva probabilmente dai nastri con i quali un tempo si fissavano i gioielli. Con l’avvicinarsi del XVIII secolo le montature dei gioielli ornati da pietre diventano ancora più delicate in modo da esaltare al massimo lo splendore delle pietre incastonate una vicina all’altra. Per tutto il XVIII secolo, il gioiello più importante indossato di giorno dalle donne è la chatelaine, un ornamento da cintura nato originariamente per attaccare l’orologio o le chiavi ma ben presto diventato un vero e proprio gioiello ornamentale. Per il resto, buona parte del XVIII secolo sarà ricordata per il grande sfarzo dei salotti di Versailles e per l’uso smodato di gioielli molto ricchi e preziosi. 38 I Valguarnera sono una famiglia siciliana di origine reale, discendente degli antichi re Goti. Il ramo dei principi di Valguarnera si estinse agli inizi del XIX secolo nella famiglia Alliata di Villafranca che ancora oggi mantiene la proprietà di Villa Valguarnera a Bagheria. La famiglia eresse a propria residenza il monumentale Palazzo Valguarnera-Gangi, che deve invece il suo nome più comune al titolo di principe di Gangi portato dagli eredi dei Valguarnera: i Mantegna di Gangi, il cui stemma sormonta l’ingresso monumentale del palazzo in piazza croce dei vespri. Il loro motto è: “Mantegno la pace, mantegno la guerra” (Mantengo la pace, mantengo la guerra). Con il matrimonio di Stefanina Mantegna di Gangi con il Principe di San Vincenzo, il palazzo è pervenuto agli attuali proprietari, i signori Vanni Calvello, nella persona di Giuseppe Vanni Calvello di San Vincenzo. Seppure il titolo di Principe di Gangi non fu rinnovato agli eredi di Stefania Mantegna, dacché esso può considerarsi estinto, l’ultimo re d’Italia, Umberto II, anche in nome dell’amicizia che legava 248


la famiglia reale con la famiglia Gangi, il 10 gennaio 1972 estese il titolo di Principe Vanni Mantegna di Gangi ai suoi ultrogeniti. Per quanto riguarda i discendenti del ramo dei principi di Niscemi, oggi unico superstite dei Valguarnera, esso è giunto sino ai nostri giorni ed è rappresentato dal principe Corrado Valguarnera di Niscemi e da sua cugina, la principessa di Russia Maria Immacolata, nata Valguarnera dei principi di Niscemi, moglie del principe Aleksandr Nikitič Romanov (1929-2002). Storia tutta al femminile quella dei Niscemi che ha visto succedersi nelle ultime generazioni tutte donne di grande carattere e personalità: da Maria Favara, moglie del garibaldino Corrado Valguarnera, la quale cucì le prime bandiere tricolori della Palermo unita, a Caterina Tomasi di Lampedusa, sorella del principe astronomo e madre di Corrado Valguarnera, il “Tancredi” del Gattopardo. Ma anche a cavallo fra i due secoli, le principesse Elisabetta Ruffo di Calabria Valguarnera e Beatrice Mantegna di Valguarnera-Gangi. Non ultime le tre sorelle Niscemi: Caterina Principessa Moncada di Paternò, Elisabetta Duchessa Parodi-Giusino di Belsito e Carolina Marchesa Santostefano della Cerda, madre del celebre artistagioielliere Fulco di Verdura (1898-1978). Unica figlia ed erede del Principe Corrado Valguarnera è Maria Carolina Valguarnera Jacquet (Roma, 1969), ultima a portare il nome dei principi di Niscemi. Questo ramo della famiglia elesse a propria dimora la monumentale Villa Niscemi ai Colli, ceduta nel 1987 al comune di Palermo che oggi ne ha fatto sua sede di rappresentanza. Da segnalare anche il Palazzo Niscemi a Giardinello, che fu residenza estiva dei Valguarnera, nonché oggi centro storico del comune giardinellese. Complessivamente la famiglia possedette cinque principati, due marchesati, due contee, un ducato, oltre dodici baronie ed oltre ventisette feudi. 39 San Estaban y de La Cerda. I La Cerda discendevano dagli infanti nipoti di Alfonso X il Savio (1221-1284), re di Castiglia e León (1252-1284). Il loro padre, Don Fernando, aveva sposato Bianca, figlia di San Luigi (12141270) re di Francia (1226-1270). Per generazioni i La Cerda lottarono con i re di Castiglia e si pacificarono solo con l’assegnazione dell Ducato di Medina Coeli. Verso la prima metà del XVII secolo un ramo dei La Cerda venne in Sicilia, divenuta parte del regno di Spagna in seguito all’unione di Castiglia e Aragona; esso si estinse con Dona Hippolita “Vergine in capillis”, prontamente accasata con il cugino Don Diego San Esteban. In occasione di questa fausta unione venne creato da Filippo III (1578-1621),periodo regno (1598-1621), il titolo di Marchese di Murata La Cerda. 40 La famiglia dei Whitaker era una ricca famiglia di imprenditori originari del West Yorkshire. Fa parte della borghesia intraprendente del XIX secolo, trapiantata nella società siciliana, come altre famiglie inglesi quali i Woodhouse, Hopps, Ingham e Pyne. La famiglia Whitaker ebbe un ruolo nel Risorgimento italiano, nell’archeologia, nell’ornitologia, nello sport e nella cultura dell’epoca. Capostipite della famiglia fu Joseph Whitaker senior, nato in Gran Bretagna il 7 agosto 1802 da Mary Ingham sorella di Benjamin, si era trasferito 249


a Palermo nel 1819 per collaborare con lo zio Benjamin Ingham nelle attività della Casa di Commercio Ingham e C e della “intrapresa di fabbrica di vini in Marsala”. Oltre ad inventare produrre ed esportare il vino marsala, nel baglio Ingham - Whitaker, zio e nipote crearono una flotta di velieri che raggiungeva l’America del nord e l’estremo oriente. Nel 1840 alla loro attività venne associato il giovane amico Vincenzo Florio. Nel 1848 la loro nave Palermo venne messa a disposizione del governo rivoluzionario siciliano e nel 1860, mentre Garibaldi con i suoi volontari sbarcava a Marsala, il baglio Ingham - Whitaker e quello di Woodhouse, inalberarono il vessillo britannico. In riconoscimento dell’aiuto dato alla causa di Garibaldi, la bandiera della nave Lombardo venne donata al baglio Ingham - Whitaker. Il 18 marzo 1837 Joseph Whitaker sposò Eliza Sophia Sanderson, dalla quale ebbe dodici figli; Nel 1871, Joseph Whitaker e il cugino Benjamin Ingham jr (1810-1872) annunciarono l’intenzione di costruire, a loro spese, una chiesa nella quale potessero essere officiati gli uffici della chiesa d’Inghilterra per “il beneficio spirituale dei loro compatrioti protestanti, sia residenti a Palermo, sia in visita alla città”. Benjamin Ingham jr donò un proprio terreno sito di fronte l’allora Palazzo Ingham (oggi Grand Hotel et des Palmes) ma morì nel 1872, Whitaker si occupò della costruzione dell’edificio che iniziò nel 1872 e venne inaugurato il 19 dicembre 1875. Il progetto venne stilato dall’architetto Henry Christian (1832-1906), che era marito di Caroline Whitaker. Alla morte di Joseph Whitaker avvenuta nel 1884, il figlio Joshua, ne divenne l’amministratore; quando questi morì nel 1926, tale compito passò al fratello Joseph e poi alla nipote Delia la quale, come ultima amministratrice, affidò la chiesa alla Diocesi di Gibilterra. Joseph Whitaker lasciò tra i vari cespiti finanziari, quello costituito dallo stabilimento vinicolo Ingham-Whitaker di Marsala, ai figli Robert, Joshua e Joseph Isaac, i quali gestirono in comunione il patrimonio ereditato. Joseph Isaac Spadafora Whitaker detto familiarmente Pip, marito di Caterina Scalia, figlia di Alfonso patriota esule in Inghilterra, si occupò dell’azienda vinicola per qualche tempo, ma contemporaneamente si occupava di altri interessi. Era attratto dalla quiete dell’isoletta di San Pantaleo, nello Stagnone di Marsala, e soprattutto dalla possibilità di andare a caccia di uccelli rari, per soddisfare la sua passione per l’ornitologia che coltivava anche andando in Tunisia. Apprese che l’isoletta di San Pantaleo era la Mothia punica dove già erano stati effettuati scavi e dove erano stati ritrovati reperti archeologici fin dal 1793 ad opera del Barone Rosario Alagna di Mothia della quale isola era stato infeudato e dopo era stato nominato sovrintendente all’antichità. Con l’abolizione del feudalesimo nel 1806, l’isola rimase ai contadini del luogo come enfiteuti. Ai primi anni del Novecento Joseph acquistò tutta l’isoletta dagli stessi contadini che ne possedevano piccoli lotti. Iniziò così per lui la grande avventura dell’archeologia nel 1921 pubblicò un volume in lingua inglese sulla Mothia punica. Nel 1926, dopo la morte del fratello Joshua, divenne amministratore della chiesa anglicana di Palermo. Dal matrimonio con Caterina Scalia ebbe due figlie; la primogenita 250


Sophia Juliet Emily Eleanora conosciuta come Norina che sposò in tarda età il generale Antonino Di Giorgio. La secondogenita Cordelia Stella Georgette Edith Whitaker meglio conosciuta come Delia Whitaker, che rimase nubile. Nel 1968 Delia fu costretta a donare a un museo a Belfast la ricca collezione ornitologica messa insieme dal padre, bisognosa di manutenzione, dopo che era stata offerta invano alla Regione Siciliana. Nel 1979 grazie agli scavi continuati da Delia fu scoperta la statua marmorea del quinto secolo Il giovane di Mozia. Vincenzo Tusa consigliò a Delia di costruire una fondazione per assicurare l’integrità del suo patrimonio e la continuità delle ricerche archeologiche a Mozia. Delia come ultima amministratrice della chiesa anglicana di Palermo affidò la chiesa alla Diocesi di Gibilterra. Dopo la morte di Delia, Villa Malfitano, l’isola di Mozia e altre proprietà a Roma venivano a far parte della Fondazione Giuseppe Whitaker, posta sotto il patrocinio dell’Accademia dei Lincei. 41 Filadelfo Mugnos fa derivare la casata dei Mazzarino dalla Reale Casa Normanna di Sicilia sempre vissuti col dominio della terra di Mazzarino, infatti nel 1090 il Gran Conte Ruggero I di Sicilia concesse questa terra a Enrico, fratello della terza moglie Adelaide del Vasto, marchese di Lombardia, il quale nel 1130 fece costruire nella sua terra una chiesetta. Ad Enrico successe Simone, e quindi Manfredi, barone di Mongiolino; a questi successe Giovanni che per primo fu chiamato Mazzarino dal nome del possesso. I suoi membri furono sempre fedeli agli Aragonesi riportando molti onori, fra essi: Marco, servì molti anni la Regina Bianca di Navarra, dalla quale ebbe come incarico quello di vicario generale di Sardegna. Giovanni, figlio del precedente andò a Pisa e Firenze e arricchì i posteri con i commerci. Girolamo, stabilì la sua residenza a Palermo nel Palazzo Mazzarino. Pietro, notaio ed intendente di casa Colonna fu il padre del famoso cardinale Giulio Mazzarino. La famiglia quindi si estinse nella nobile famiglia Mancini per il matrimonio di Geronima Mazzarino con il barone Lorenzo Mancini: da loro derivarono i duchi di Nevers e di Rethel. 42 I Florio sono una famiglia italiana di tradizione industriale che fu protagonista del periodo della cosiddetta Belle époque. La vicenda storica della famiglia, di origini calabresi, si svolse nella ricca Palermo degli anni a cavallo fra il XIX e il XX secolo. n seguito al disastroso terremoto che nel 1783 colpì la Calabria, Paolo Florio (1772 - 1807) partì alla volta della Sicilia dalla natìa Bagnara Calabra, cittadina affacciata sullo Stretto in provincia di Reggio Calabria. Fu il padre del senatore Vincenzo Florio nonché il bisnonno di Vincenzo Florio junior. Il senatore Vincenzo Florio nato a Bagnara nel 1799 e trasferitosi in tenera età a Palermo presso la fiorente drogheria del padre, intraprese numerose iniziative industriali, tra cui quella dei vini Marsala, e diede vita a grosse compagnie di navigazione. Aveva anche molti interessi nel settore degli zolfi con la Anglo-Sicilian Sulphur Company. Morì a Palermo nel 1868. Vincenzo Florio junior fu l’ideatore e l’organizzatore della Targa Florio. I Florio furono, in quell’epoca, tra le famiglie più ricche d’Italia. La tomba della famiglia Florio fu progettata dall’architetto Giuseppe Damiani Almeyda e si trova nel Cimitero 251


di Santa Maria di Gesù a Palermo. Sulla tomba si trova la statua di un leone che beve, simbolo della famiglia, realizzato dallo scultore Benedetto De Lisi. 43 Accogliendolo all’arrivo del treno, Dalì e Gala, la sua musa inquietante, lo condussero a bordo di una lussuosa Hispano-Souza in un castello dai tetti pericolanti, dalle finestre senza vetri e privo di elettricità. Sconvolto dall’invito a pranzo nel vicino cimitero, Fulco finì con l’ubriacarsi, ma, insospettitosi nell’udire le note di una canzonetta che provenivano da una radio con filo elettrico, capì che si trovava al centro di un colossale scherzo scoppiando assieme ai due burloni in una irrefrenabile risata. Il sornione Dalì gli riservò in seguito un’accoglienza regale conducendolo stavolta nella sua faraonica residenza, riconsegnandoli i bagagli dati per dispersi, e facendogli tirare un respiro di sollievo. 44 La grande onda di Kanagawa è una xilografia, in stile ukiyo-e, del pittore giapponese Hokusai (1760-1849). Questa stampa è la prima e la più celebre tra quelle che compongono la serie intitolata 36 vedute del Monte Fuji. È stata pubblicata la prima volta nel 1832. La xilografia di dimensioni 25.7 cm × 37.8 cm (10.1 in × 14.9 in) rappresenta tempestose onde che minacciano alcune imbarcazioni nel mare al largo della prefettura di Kanagawa. Come in tutte le altre rappresentazioni appartenenti a questa serie, sullo sfondo compare il Monte Fuji. 45 Katsushika Hokusai (1760-1849) è stato un pittore e incisore giapponese, realizzatore di Ukiyo-e. I suoi lavori furono un’importante fonte di ispirazione per molti impressionisti europei come Claude Monet (1840-1926) e postimpressionisti come Vincent Van Gogh (1853-1890). Hokusai nacque a Edo nel nono mese del decimo anno dell’era Hōreki (ottobre-novembre 1760), nel quartiere Honjō Warigesui, presso la famiglia Nakamura. Venne successivamente adottato da una prestigiosa famiglia di artigiani, i Nakajima, fabbricanti di specchi al servizio dello shōgunato. Nei diversi aneddoti relativi alla sua vita si racconta che abbia cambiato residenza novanta volte e che avesse l’abitudine di modificare continuamente il nome d’arte. A quattordici anni iniziò il suo apprendistato presso un intagliatore di matrici tipografiche. Nel 1778, all’età di diciotto anni, con il nome di Katsukawa Shunrō, entrò nello studio di Katsugawa Shunsho dove creò immagini di beltà, lottatori, attori e paesaggi. Il disprezzo per i principi artistici del suo maestro causò la sua espulsione nel 1785. Iniziò a lavorare in proprio studiando lo stile e le tecniche pittoriche della tradizione giapponese delle scuole Kano, Tosa e Rimpa, spaziando verso uno stile di pittura cinese e occidentale. Nel 1795 assunse la direzione dell’atelier Tawaraya e cambiò il suo nome in Sorii III. Agli inizi del XIX secolo l’ukiyoe continuava a crescere acquisendo consenso polare. Hokusai apparve sulla scena artistica proprio in quel momento, spostando l’interesse del pubblico verso nuovi soggetti come i paesaggi e le immagini di fiori e animali, oltre a quelli già consolidati dalla mercato come le beltà femminili e i guerrieri. Nel 1798 lasciò l’atelier Tawaraya per procedere come artista indipendente e assunse il nome di Hokusai (Studio della Stella Polare). Hokusai è famoso per 252


i suoi paesaggi come dimostrano le serie: Chie no umi (Mille immagini del mare) e Shokoku takimeguri(Viaggio tra le cascate giapponesi). La sua opera in assoluto più conosciuta è: La grande onda presso la costa di Kanagawa contenuta nella serie: Fugaku sanjūrokkei (Trentasei vedute del monte Fuji) in cui il monte sacro giapponese viene visto da diverse angolazioni. Anche se di volta in volta Hokusai studiò stili diversi, egli mantenne da allora in poi la sua indipendenza stilistica. Per un certo periodo visse nella povertà estrema, e se pur guadagnò modeste somme che gli assicurarono un minimo di benessere, rimase povero e verso la fine si descrisse orgogliosamente come un contadino. Il lavoro di Hokusai non ha influenzato solo le giovani generazioni di artisti ukiyoe in Giappone, come Hiroshige e Kuniyoshi, ma ha anche affascinato molti pittori europei come gli impressionisti francesi.

253



Apparati



Indice delle illustrazioni Fig. 1

Fig. 2 Fig. 3 Fig. 4 Fig. 5 Fig. 6 Fig. 7 Fig. 8

Fig. 9 Fig. 10

Fig. 11 Fig. 12 Fig. 13 Fig. 14 Fig. 15

Fig. 16 Figg. 17 Fig. 18 Fig. 19

Fig. 20

Marcello Dudovich, Manifesto pubblicitario per la ditta Mele & C., 1899-1900 ca. Litografia a colori, 206x140 cm. Torino, Archivio Storico Bolaffi Berthold Löffler, Manifesto per l’Esposizione d’Arte di Vienna, 1908 Peter Behrens, Sala delle turbine dell’AEG, Berlino 1908 Villa Reale di Monza Gio Ponti, Maioliche Fortunato Depero, Le Bagnanti Pupplicità, Expo, 1925 Ernst Ludwig Kirchner, Cinque donne per la strada,1913. Olio su tela, 120,5x91 cm. Colonia, Wallraf - Richartz - Museum. Joseph Maria Olbrich, Particolare Palazzo della Successione a Vienna 1898-1899 Piet Mondrian, Composizione in rosso, blu e giallo, 1930. Olio su tela, 51x51 cm. New York, Collezione privata Jacques-Émile Ruhlmann, Il Grand Salon, Hotel du Collectionneur, 1925 Coco Chanel, La Garçonne Immagini della Prima Guerra Mondiale Particolare, Hotel de Soubise Pubblicità della ditta J. Perdoux & Co., Abiti, Soprabiti e Pellicce, Grande Esposizione Universale di Parigi, 1900 Pubblicità di moda, 1900 Victor Horta, Ringhiera della scala pricipale dell’ Hotel Solvay, 1894 Gustav Klimnt William Morris, Il ladro di fragole, 1883. Cotone stampato, 60,5x95,2 cm. Londra, Victoria and Albert Museum. Particolare Pubblicità Art & Craft

257

p. 28

p. 28 p. 29 p. 29 p. 30 p. 31 p. 32 p. 32

p. 33 p. 33

p. 34 p. 35 p. 36 p. 37 p. 38

p. 38 p. 39 p. 40 p. 40

p. 41


Fig. 21 Fig. 22

Moderna stanza della Cheli Pannello, Art Déco

p. 42 p. 43

Fig. 23 Fig. 24 Fig. 25 Fig. 26 Fig. 27 Fig. 28 Fig. 29

Charles Ratton, Il figlio del cappellaio Merca Transatlantico, l’Ile de France Particolare del Transatlantico, l’Ile de France Transatlantico, Normandie Particolare del Transatlantico, Normandie Torsten Jovinge Kvarteret, Bergsund, 1931 Pablo Picasso, Les demoiselles d’Avignon, 1907. Olio su tela, 245x235 cm. New York, The Museum of Modern Art Manifesto dei Futuristi, 1909 Panciotti, Futuristi Radio City Music Hall di New York Particolare sale del Radio City Music Hall di New York Guglia d’acciaio del Chrysler Building di New York Sonia Terk Delaunay, Citroen, 1925 Vignetta d’ epoca Look del dopoguerra Coco Chanel Adolfo Hohenstein, Cartolina pubblicitaria della Gioielleria Calderoni, 1898. Cromolitografia. Roma, Collezione privata Pubblicità della rivista «Cinema» Pubblicità dei film noir Manifattura fiamminga, Pendente raffigurante Ercole, in oro,smalti e perla scaramazza, XVI secolo, Christie’s, Ginevra Manifattura fiamminga, Pendente in forma di animale marino, in oro,smalti, pietre preziose con perla scaramazza, XVI secolo, Christie’s, Ginevra Manifattura olandese del XVI secolo, Pendente in oro e smalti, con perla barocca in forma difiasca, Museo dell’Argenteria, Firenze

p. 44 p. 45 p. 45 p. 46 p. 46 p. 47 p. 48

Fig. 30 Fig. 31 Fig. 32 Fig. 33 Fig. 34 Fig. 35 Fig. 36 Fig. 37 Fig. 38 Fig. 39

Fig. 40 Fig. 41 Fig. 42

Fig. 43

Fig. 44

258

p. 49 p. 50 p. 51 p. 52 p. 52 p. 53 p. 53 p. 54 p. 55 p. 56

p. 56 p. 57 p. 58

p. 59

p. 60


Fig. 45 Fig. 46

Fig. 47

Fig. 48

Fig. 49

Fig. 50

Fig. 51

Fig. 52

Fig. 53

Fig. 54

Fig. 55 Fig. 56 Fig. 57 Fig. 58 Fig. 59 Fig. 60 Fig. 61

Wunderkammer, Camera delle Meraviglie, siciliana del XVII secolo Manifattura francese, Pendente in oro con drago, su perla barocca base di corniola, Galleria Regionale della Sicilia, Palermo Manifattura fiamminga, Bijou Canning, Oro, pietre preziose, perla scaramazza, XVI secolo, Victoria and Albert Museum, Londra Manifattura fiamminga, Bijou Canning, Oro, pietre preziose, perla scaramazza, XVI secolo, Victoria and Albert Museum, Londra Manifattura tedesca, Ciabattino con scarpa in mano, Oro, smalti, pietre preziose e perle barocche su base d’oro, XVII secolo, Museo dell’Argenteria, Firenze Manifattura tedesca, Soldato svizzero in oro, smalti, pietre preziose e perla mostruosa, XVII secolo, Museo dell’Argenteria, Firenze Manifattura tedesca, Bacco, in oro, smalti, pietre preziose, perle barocche, XVII secolo, Museo dell’Argenteria, Firenze Manifattura francese, Spilla da cravatta riproducente Omfale, Oro, argento brunito, smalti, pietre preziose e perla scaramazza, XIX secolo, Coll. privata Fulco di Verdura, Collana in perle barocche nere, pendente di ametista siberiana e brillanti, XX secolo, Coll.privata Johann Melchior Dinglinger, Coppa Bacchica, Particolare, Agata orientale, oro, smalti, perla mostruosa, 1711, Cripta Verde, Dresda René Lalique, gioiello René Lalique, spilla Emblema della Wiener Werkstӓtte La Tomba Tutankamon Particolare della Tomba Tutankamon Particolare pietra onice Particolare corallo rosso 259

p. 61 p. 62

p. 63

p. 64

p. 65

p. 66

p. 67

p. 68

p. 69

p. 70

p. 71 p. 71 p. 72 p. 72 p. 73 p. 74 p. 74


Fig. 62 Fig. 63 Fig. 64 Fig. 65 Fig. 66 Fig. 67 Fig. 68 Fig. 69 Fig. 70 Fig. 71 Fig. 72 Fig. 73

Fig. 74

Fig. 75

Fig. 76 Figg. 77-78 Fig. 79 Fig. 80 Fig. 81 Fig. 82

Particolare malachite Particolare platino Henri Matisse, La stanza rossa, 1908. Olio su tela, 180x220 cm. San Pietroburgo, Ermitage Lèon Bakst, L’uccello di fuoco, ballerina, 1910 Manifesto balletti russi René Lalique René Lalique, Koket Henri Vever, Apparizioni Manifesto Alice’s Adventures in Wonderland Villa Niscemi Foto Fulco di Verdura con Coco Chanel Fulco di Verdure, spilla con croce di Malta, oro giallo, incastonata da pietre colorate: rubini, smeraldi, zaffiri, topazi,ametiste,acquemarine, 1939 Fulco di Verdura, coppia di bracciali in smalto bianco. Decorati con croci di Malta, in oro giallo, incastonati da pietre colorate: rubini, smeraldi, zaffiri, topazi, ametiste, acquamarine, 1930 Fulco di Verdura, spilla con croce di Malta, oro giallo, incastonata da pietre colorate:rubini, smeraldi, zaffiri, topazi,ametiste,acquemarine Fulco di Verdura, Portasigarette per Cole Porter Fulco di Verdura, Spilla cuore: rubini e topazio cabochon, con nastro di brillanti, 1947 Fulco di Verdura, portacipria per Wally Simpson Fulco di Verdura, spilla conchiglia incrostata di zaffiri e brillanti, 1950 Fulco di Verdura, spilla conchiglia di capasanta, diamanti e turchesi Foto di Diana Vreeland, direttrice della rivista «Vogue»

260

p. 74 p. 74 p. 75 p. 75 p. 75 p. 76 p. 76 p. 77 p. 100 p. 100 p. 101 p. 101

p. 102

p. 103

p. 104 p. 105 p. 106 p. 106 p. 107 p. 107


Fig. 83 Fig. 84 Fig. 85 Fig. 86 Fig. 87

Fig. 88 Fig. 89 Fig. 90 Fig. 91

Fulco di Verdura, spilla di Clare Booth Luce. New York,1941 Fulco di Verdura, cerchietto con piume dorate Fulco di Verdura, spilla con diamanti e smeraldi Fulco di Verdura, spilla con coppia di Mori Fulco di Verdura, spilla con coppia di Mori, oro giallo, perle baroccche diamanti, rubini, smeraldi, 1960 Fulco di Verdura, Turbante Verdura, conchiglia naturale inchiodata da peridoti e turchesi Katsushika Hokusai, La Grande Onda, 1830-31, Metropolitan Museum of Art, New York Fulco di Verdura, spilla foglia d’autunno, oro, zaffiri gialli, peridoti, topazi, quarzi citrini, 1953 Foto Fulco di Verdura

261

p. 108 p. 109 p. 109 p. 110 p. 110

p. 111 p. 112 p. 112 p. 113


Bibliografia Bairati Eleonora, Finocchi Anna, Le Ricche miniere, Percorsi nella storia dell’arte, vol. 3 Umanesimo e Rinascimento, Torino, Loescher, 2000. Calvesi Maurizio, Il Futurismo, Milano, Fratelli Fabbri Editori, 1970. Charlotte & Fiell Peter, Design del XX secolo, Hong Kong, etc. Taschen, 2005. Corbett Patricia, Fulco di Verdura. Vita e opere di un maestro gioielliere, Palermo, Novecento, 2005. Cricco Giorgio, Di Teodoro Francesco Paolo, Itinerario nell’arte. Vol. 3 Dall’età dei Lumi ai giorni nostri, Zanichelli, 2005. Di Verdura, Fulco, Estati felici, un’infanzia in Sicilia, Milano,Feltrinelli, 1977. Eco, Umberto, Come si fa una tesi di laurea, Milano, Bompiani, 2008. Piccolo Paci Sara, Parliamo di Moda, vol. 3 Manuale di storia del costume e della moda, Bologna, Cappelli Editore, 2004. Renzi, Fabio, Art Déco, Firenze, Giunti Editore, 2004. Vitello Luigi, Oreficeria Moderna, tecnica – pratica, Milano, Ulrico Hoepli Editore, 1995. Yvonne Hackenbroch, Maria Sframeli, I Gioielli dell’elettrice palatina al museo degli argenti, Firenze, Centro Di, 1988.

262


Sitografia https://www.google.it/#q=fulco+di+verdura http://it.wikipedia.org/wiki/Art_d%C3%A9co http://www.sbn.it/opacsbn/opac/iccu/free.jsp http://www.emagister.it/corso_progettazione_bijoux_e_gioielli-ec2660698 http://it.wikipedia.org/wiki/Cernit http://www.mostre-arte-cavatore.com/subpage4.html http://it.wikipedia.org/wiki/Bulgari_%28azienda%29 http://it.wikipedia.org/wiki/Cartier http://it.wikipedia.org/wiki/Tiffany_%26_Co. https://www.google.it/search?q=femminismo http://it.wikipedia.org/wiki/Paillettes http://it.wikipedia.org/wiki/Platino http://it.wikipedia.org/wiki/Onice https://www.google.it/#q=corallo+rosso http://it.wikipedia.org/wiki/Lista_delle_esposizioni_universali

263



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.