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Cultura
Un chiostro cui ridare voce
Ciro Lomonte
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Figura 1. Capitelli in cui Guglielmo II è raffigurato nell’atto di offrire il Duomo alla Madonna. Foto: Kunsthistorisches Institut in Florenz - Max-Planck-Institut, Istituto di Scienza e Tecnologie dell'Informazione "A. Faedo" (CNR), https://cenobium.isti.cnr.it/monreale
Dal turista al viaggiatore. Qualcuno ha detto che il Duomo di Monreale è un’icona quadridimensionale. La pittura è un codice artistico che impiega due dimensioni, la scultura tre. L’architettura comporta anche la relazione che l’uomo instaura con gli ambienti percorrendoli, il che richiede la dimensione del tempo.
Nel Duomo di Monreale si può restare accecati dai bagliori spettacolari dei suoi mosaici. Bisogna invece predisporre la vista allo splendore di un organismo con una sua vita, che comprende tutti gli ambienti dell’abbazia (compreso lo splendido chiostro), del palazzo arcivescovile, del palazzo reale. Esso non è il
“complesso monumentale” di Guglielmo, perché si ridurrebbe a straordinaria cornice morta di un morto, un grandioso epitafTio. Esso non è un museo (come spiegava Marcel Proust nel 1904 in La morte delle cattedrali), perché non si comprende se lo si guarda con l’occhio distratto del turista in canottiera, pantaloncini ed infradito, che vaga per le navate con l’atteggiamento annoiato di chi cerca gli stessi intrattenimenti offerti ad Euro Disney. Esso è un capolavoro di arte sacra, concepito dalla mente umana per Tinalità ben precise. Se quegli scopi verranno sacriTicati al superTiciale consumismo contemporaneo, il Duomo si trasformerà in involucro muto rispetto alla domanda di bellezza dell’animo umano.
IL CUORE DELLA GIORNATA BENEDETTINA
Il Duomo di Monreale, prima ancora di essere Cattedrale, è la chiesa di un monastero. Nel 1176, due anni
Ciro Lomonte (Palermo 1960) è un architetto, personaggio pubblico e politico, esperto in arte sacra. Dopo la maturità ha studiato presso le facoltà di architettura dell’Università di Palermo e del Politecnico di Milano. Dopo la laurea ha iniziato a lavorare presso studi privati di architettura; in uno di essi conobbe l’architetto Guido Santoro, con il quale strinse amicizia e sodalizio professionale. Dal 1987 al 1990 ha partecipato all’elaborazione del piano di recupero del centro storico di Erice. Nel 1988 inizia le sue ricerche nel campo dell’arte sacra. Ha partecipato alla rideTinizione di molte chiese, in particolare Maria SS. delle Grazie a Isola delle Femmine, Maria SS. Immacolata a Sancipirello, Santo Curato d’Ars a Palermo ed altre. Attualmente, insieme a Guido Santoro, sta adeguando l’interno della chiesa di Santa Maria nella città di Altofonte vicino Palermo. Dal 1990 al 1999 ha diretto la Scuola di Formazione Professionale Monte Grifone (attuale Arces) a Palermo. Dal 2009 è docente di Storia dell’Architettura Cristiana Contemporanea nel Master di II livello in Architettura, Arti Sacre e Liturgia presso l’Università Europea di Roma. Nel 2017 e nel 2022 è stato candidato sindaco di Palermo per il partito indipendentista Siciliani Liberi, di cui è stato eletto Segretario Nazionale nel 2018. El autore e traduttore di numerosi libri e articoli dedicati alla architettura sacra contemporanea. Nel 2009, insieme a Guido Santoro, ha pubblicato il libro “Liturgia, cosmo, architettura” (Edizioni Cantagalli, Siena).
dopo l’inizio della costruzione, arrivarono qui cento monaci cluniacensi guidati da Teobaldo, destinato ad esserne il primo abate. Il re normanno prese questi cento monaci da Cava dei Tirreni, in Campania, e li trasferı̀ qui. Questo chiostro spiega, dunque, la vita della comunità benedettina. Come sempre il nord è quello destinato alla chiesa, l’est alla sala capitolare (da qui si accede al coro della chiesa), il sud è per il dormitorio, e l’ovest è la zona del refettorio. In realtà nella regola di San Benedetto non viene spiegato di preciso cosa sia il chiostro, però di fatto è un luogo talmente importante per la vita monastica da dare il nome a tutto; perché il termine “chiostro” viene da “clausura”, quindi un luogo dentro il quale i monaci si ritirano e si separano dal mondo. Guglielmo II, ultimo re normanno, volle costruire un monastero che fosse anche sede episcopale (tuttora Monreale, pur essendo ad 8 km da Palermo, è una delle diocesi più grandi della Sicilia che ne conta complessivamente 18). Si può dire che Monreale sia un artiTicio amministrativo dei normanni, poiché la costruzione della cattedrale non fu l’espressione della vita di quel luogo bensı̀ una volontà precisa dello stesso re normanno. Monreale signiTica, infatti, “montagna del re” e corrisponde alla parte più alta del parco reale di Palermo, il Genoardo.
IL LINGUAGGIO ARCHITETTONICO
L’esistenza di un presunto stile arabo-normanno, per quanto radicato nella vulgata corrente, è un grosso equivoco. Gli studiosi parlano piuttosto di siculonormanno oppure bizantino-normanno. Gli arabi (o meglio i musulmani di differenti etnie) sbarcano a Mazara del Vallo nell’827, conquistano la Sicilia in quasi 140 anni di guerre e rimangono Tino all’avvento degli Altavilla. I normanni entrano nel 1061, da Messina, e liberano in 30 anni la Sicilia. Nel 1091 controllano già tutto il territorio, in 300 cavalieri, mentre gli islamici erano arrivati dal Nord Africa a migliaia. Perché gli storici dipingono la Sicilia “araba” come un’isola felice? Perché sostengono che tutto ciò che di buono c’è in Sicilia sia arabo? Perché in realtà dell’epoca musulmana, dei loro monumenti, non abbiamo niente. Si dice che a Palermo ci fossero 300 moschee. Dove sono Tinite queste moschee? Si dice che i cattolici, a cui gli storici attuali ovviamente fanno fare la parte dei cattivi nella narrazione, abbiano demolito tutte le moschee. Questo, dal punto di vista storicoartistico, è un controsenso. Se una cosa è bella di solito viene trasformata, non demolita. Basti pensare alla grande moschea di Cordova. In quel momento, sotto gli arabi, Cordova e Palermo erano le città più popolose del mediterraneo, circa 300.000 abitanti. FilosoTia, matematica, arte, e cosı̀ via dicendo, si sono sviluppate per l’estensione e la ricchezza dell’impero islamico nel suo periodo d’oro, nonostante il Corano, perché il Corano nega il valore della ragione. Possiamo paragonare gli arabi alle api: gli arabi, cosı̀ come le api, vanno di Tiore in Tiore e permettono che i Tiori vengano fecondati, ma non sono loro che hanno il polline, sono solo portatori. Cosı̀ la loro presenza nel
Figura 2. Il chiostro, il dormitorio, la fontana, il refettorio. Foto: Kunsthistorisches Institut in Florenz - Max-Planck-Institut, Istituto di Scienza e Tecnologie dell'Informazione "A. Faedo" (CNR), https://cenobium.isti.cnr.it/monreale
Mediterraneo, in Africa ed in Asia, ha permesso lo sviluppo di un’arte che non è loro, è una sintesi. Quando si concludeva la liberazione della Sicilia ad opera degli Altavilla, nel 1091, gli arabi non avevano ancora sviluppato un’arte propria. Le grandi architetture realizzate in Spagna sono di epoche successive. La Sicilia è, dunque, un laboratorio unico di architettura perché fra il 1130, anno in cui Ruggero II venne incoronato, ed il 1189, anno della morte di Guglielmo II, si vivono 60 anni di avventure edilizie meravigliose, originali, che producono forme presenti solo in questa terra. Questo laboratorio prende il meglio della cultura normanno francese, normanno inglese, nordafricana, persiana, bizantina di Bisanzio e bizantina di Venezia. El un’arte unica, difTicile da capire applicando schemi razionalisti, la cui prodigiosa ricchezza è anche la sua debolezza. L’arte siculo normanna si colloca in un preciso momento dell’evoluzione dell’architettura: i) per i greci, l’ediTicio a cui gli architetti prestavano maggiore attenzione era il tempio; dal momento che l’accesso al tempio era consentito soltanto ai sacerdoti e non ai fedeli, gli architetti
lo disegnavano concentrandosi sulle proporzioni che la gente avrebbe apprezzato da fuori; perciò il tempio era concepito come una grande scultura; ii) i romani, invece, lavoravano sui volumi; furono loro ad inventare le volte a sezione circolare e in particolare la cupola; ma avevano un tale complesso di inferiorità nei confronti dei greci che non si resero conto pienamente di aver elaborato qualcosa di nuovo, l’architettura in quanto arte; iii) i bizantini si impadronirono dei progressi dei romani e vi aggiunsero i valori simbolici; la loro è la prima vera architettura in senso stretto; si può dire che la chiesa più bella del mondo sia
Santa SoTia di Bisanzio, dove i volumi e tutto l’interno sono interamente signiTicativi, nascono dalla liturgia e hanno come scopo la liturgia; si tenga pure conto che un luogo importante per l’incubazione dell’architettura cristiana era stato la Siria (lı̀ si passò dalle domus ecclesiae alle prime chiese); iv) l’Islam prende gli apporti dei romani, dei siriani, dei bizantini, dei persiani (che avevano una pro-
Figura 3. Il chiostro, il refettorio, il Duomo, la sala capitolare. Foto: Kunsthistorisches Institut in Florenz - Max-Planck-Institut, Istituto di Scienza e Tecnologie dell'Informazione "A. Faedo" (CNR), https://cenobium.isti.cnr.it/monreale
pria cultura architettonica molto antica), e li fa diventare architettura islamica; per esempio la sagoma degli archi del chiostro, che in italiano viene chiamata ogiva, è molto usata nella cultura fatimita ma è di origini normanne e persiane; l’arco ad ogiva ha un’efTicienza statica molto migliore di quello gotico, le forze si scaricano meglio, infatti gli archi sono retti da colonnine molto esili; v) in più i normanni utilizzarono ciò che i benedettini avevano sperimentato in Francia e in Inghilterra; la cattedrale di Palermo, per esempio, fa riferimento alla cattedrale inglese di Durham. I cavalieri normanni giungono in Sicilia, infatti, da Hauteville, un piccolo villaggio in Normandia. Da quella terra parte anche Guglielmo il Conquistatore, per impadronirsi dell’Inghilterra. Queste parentele sono evidenti anche dentro il Duomo di Monreale. Sotto al Pantocratore vi è infatti un mosaico rafTigurante S. Tommaso Becket (Guglielmo permise di inserirlo in quanto Enrico II, padre di sua moglie Giovanna, aveva ottenuto il perdono dal Papa per l’omicidio dell’Arcivescovo di Canterbury).
PIETRE ELOQUENTI
Alcuni protagonisti della simbologia medievale, come Guillaume Durand de Mende, sostengono che la chiesa sia immagine della Gerusalemme Celeste. Quando si entra si è già in cielo. Il chiostro è il paradiso, dove si superano le divisioni (in realtà, a Monreale, era il sagrato che veniva chiamato paradiso). Nel chiostro si trovava una varietà di piante simboliche propria del paradiso; adesso ve ne sono soltanto quattro (una palma, un ulivo, un Tico ed un melograno), ma è giusto un pallido ricordo del giardino originale che era molto più ricco. Il chiostro presenta una pianta quadrata proprio come i cortili delle case dell’architettura romana. Nel chiostro i monaci lavoravano, passeggiavano, vi erano anche degli scrittoi. I monaci, infatti, non potevano rimanere nelle celle di giorno. La forma è simile al quadriportico delle chiese paleocristiane. Qui però l’accesso al giardino è possibile soltanto da quattro varchi, individuati secondo i punti cardinali. Ci sono dei muretti, che separano la parte coperta da quella a cielo aperto. Sui muretti sono poggiate le colonne, che pertanto sono meno alte di quelle dei peristili romani o dei quadriportici.
Figura 4. Capitello. Foto: Per-Erik Skramstad © wondersofsicily.com
Una delle questioni su cui ancora oggi si conducono degli studi è quella dell’orientamento del Duomo di Monreale rispetto al sorgere del sole. Nel Medioevo per tracciare pianta e alzato delle architetture si usavano criteri legati alla longitudine e latitudine del luogo, di antica tradizione (vengono descritti nel De Architectura di Vitruvio). Si usava lo gnomone, l’asta di una meridiana con cui si studiavano le ombre del sole e si capiva in quale posizione ci si trovava. Probabilmente il Duomo è stato costruito con l’asse principale rivolto al sorgere del sole il 15 agosto, festa dell’Assunzione di Maria. L’ombra del mezzogiorno del solstizio d’inverno (janua coeli) determina il centro del chiostro; quella degli equinozi (le due annunciazioni) il lato della fontana (in posizione angolare piuttosto che centrale); quella del solstizio d’estate (janua inferi) il vialetto perimetrale. Il chiostrino della fontana è illuminato solo sei mesi all’anno. Negli equinozi il piano d’ombra seca la linea d’imposta degli archi. Sempre dal muro del dormitorio l’8 settembre il piano d’ombra a mezzogiorno fa funzionare come gnomone l’albero del chiostrino, dando senso all’ottagono di base. Il 21 giugno l’ombra ricade tutta dentro la vasca. In realtà noi abbiamo una percezione diversa rispetto ai costruttori del monastero, a causa del cambiamento di calendario avvenuto nel 1582, quando al posto del calendario “giuliano” è stato introdotto quello “gregoriano”, che contempla un anno bisestile (un giorno in più ogni 4 anni). Questo cambiamento
Figura 5. Il chiostrino della fontana. Foto: Kunsthistorisches Institut in Florenz - Max-Planck-Institut, Istituto di Scienza e Tecnologie dell'Informazione "A. Faedo" (CNR), https://cenobium.isti.cnr.it/monreale
ha prodotto uno sfalsamento di circa una settimana tra la data del fenomeno nel XII secolo e quella odierna. In alcuni chiostri medievali i capitelli obbediscono ad una narrazione unitaria, argomento trattato da Marius Schneider in “Pietre che cantano”. L’autore, un grande musicologo tedesco, ha studiato alcuni chiostri catalani e ha trovato che i capitelli di quei chiostri corrispondevano ad una notazione musicale tipica dell’India. Le note musicali erano rappresentate da animali. I chiostri erano orientati e i capitelli erano disposti lungo un percorso che andava dalla natività di Giovanni Battista alla natività di Gesù, alla Pasqua. Studiando un primo chiostro ha scoperto che i capitelli “suonavano” l’inno del santo di quel monastero. Pensando che fosse un caso ne ha studiato un altro ed ha trovato l’inno del santo di quell’altro monastero, e cosı̀ via. Quindi i nostri antenati non solo sapevano che questa è una chiesa, e non una moschea (come dicono alcune guide), ma sapevano anche leggerne i simboli. Uno dei tre Tini dell’arte per le chiese non era quello di fungere da biblia pauperum (nel senso in cui lo intendiamo noi oggi, cioè mostrare le storie della Bibbia al popolo analfabeta, che non è il senso con cui coniò l’espressione S. Gregorio Magno). L’arte sacra era piuttosto literatura laicorum, come sosteneva Onorio di Autun: erano libri per immagini, che i laici sapevano leggere. Li sapevano leggere perché guardavano il sole, le stagioni, la natura. Le 228 colonnine del chiostro sono probabilmente sculture provenienti da altro sito. I capitelli non furono opera di maestranze locali. Gli studi formulati nel tempo hanno messo in evidenza le mani di ben cinque maestri scalpellini maggiori, tutti di formazione e linguaggio provenzali. L’unico che si Tirma è un certo Romano Tiglio di Costantino. Gli altri si distinguono dal tipo di fattura più o meno rafTinata.
UN’ABBAZIA DA VISITARE NEL SUO INSIEME
La comunità monastica benedettina di Monreale, già molto ridotta di numero, fu soppressa dalle leggi del neonato Regno unitario d’Italia e, dopo il 1866, anche il monastero venne depredato e smembrato. Con il Regio Decreto n. 3036 del 7 luglio 1866 fu tolto il riconoscimento (e di conseguenza la capacità patrimoniale) a tutti gli ordini, le corporazioni, le con-
Figura 6. Basi delle colonne. Foto: Kunsthistorisches Institut in Florenz - Max-Planck-Institut, Istituto di Scienza e Tecnologie dell'Informazione "A. Faedo" (CNR), https://cenobium.isti.cnr.it/monreale
gregazioni religiose regolari, ai conservatori ed i ritiri che comportassero vita in comune ed avessero carattere ecclesiastico. I beni di proprietà degli enti soppressi furono incamerati dal demanio statale. Per la gestione del patrimonio immobiliare fu creato il Fondo per il Culto (oggi Fondo EdiTici di Culto). Nelle leggi del 1866 e 1867 non furono previste forme particolari di tutela dei beni artistici delle chiese e degli altri fabbricati monastici, anche se i direttori del demanio incaricati della vendita potevano porre tra le condizioni speciali, quanto ritenessero necessario per la conservazione di beni che contenessero monumenti, oggetti d’arte e simili. Di fatto ebbe luogo una tremenda dispersione di opere artistiche, di cui fu spesso distrutto o dimenticato il contesto storico culturale originario. Solo i più importanti beni artistici trovarono un riparo nei musei provinciali. Una procedura per evitare queste disastrose conseguenze ⏤ almeno nel caso di complessi di eccezionale valore artistico ⏤ venne prevista all’art. 33 della legge 3036, che dichiarava “monumenti nazionali” le abbazie di Montecassino, di Cava dei Tirreni, di San Martino delle Scale, di Monreale e la Certosa di Pavia. Oggi il Duomo è retto dalla Arcidiocesi, che possiede anche l’episcopio e la parte corrispondente all’antica sala capitolare, nella quale è collocato il Museo Diocesano. Il chiostro e l’antico dormitorio, recentemente riaperto dopo un lungo intervento di adattamento, sono di proprietà della Regione Siciliana. Il refettorio ⏤ in cui è ospitata la sala consiliare ⏤ e gran parte del monastero, compresa la ricchissima biblioteca benedettina, sono usati dal Comune di Monreale. Il palazzo reale ⏤ con l’annessa Biblioteca Torres, molto prestigiosa per i lasciti del suo fondatore ⏤ è invece di proprietà del seminario. Sarà possibile un giorno reintegrare l’unità del Monastero di S. Maria la Nuova, coerentemente con gli intenti del suo nobile fondatore?