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Delle Arti

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Apotheca & Storia

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Iconogra(ia cristiana: la Natività nella storia dell’arte

(II parte)

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Rodolfo Papa

La pre(igurazione della morte. All’interno dell’iconogra@ia della Natività si sedimenta il tema della pre@igurazione della morte di croce del bambino Gesù, viene cioè implicato completamente il mistero dell’Incarnazione del Verbo che morendo in croce espia e redime tutti i peccati dell’uomo, e risuscitando apre di nuovo le porte alla vita eterna. Spesso questo complesso tema teologico viene rappresentato esplicitamente con il Bambino fasciato come una salma e giacente nella mangiatoia come in un sepolcro. In questi termini viene rappresentata la natività nella Coperta del cofanetto del IV secolo proveniente dal già citato Sancta Sanctorum lateranense: il Bambino è addirittura fasciato con un tessuto dal colore nero, che esplicita ancor di più il riferimento sepolcrale e sacri@icale, anche perché risulta uguale all’abito che indossa Gesù al momento della morte in croce, nella rappresentazione del riquadro centrale. Viene cosı̀ realizzata una straordinaria eco delle parole della profezia che l’anziano

Simeone rivolge a Maria, al momento della presentazione al tempio: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada tra@iggerà l’anima» [1].

Nella formella della Natività della predella dell’Incoronazione della Vergine di Andrea della Robbia, che abbiamo già sottolineato come particolarmente importante per la tradizione iconogra@ica della natività, vediamo che il Bambino, adagiato nella mangiatoia con una esplicitazione del tema eucaristico, per di più è nudo, con un rimando anche ad un altro @ilone tematico, che poi analizzeremo nel seguito: il mistero della natura umana e divina del bambino Gesù.

Nella Natività del Ghirlandaio realizzata per la Cappella Sassetti di Santa Trinita, invece la tematica appare esplicitata in modo ancora più complesso; la mangiatoia non è rappresentata nella tradizionale forma lignea, ma, con un richiamo a forme auliche antiche, appare come un sarcofago, con una fortissima sottolineatura del tema eucaristico sacri@icale; però la mangiatoia-sarcofago è vuota, in modo che il tema della morte appare distinto da quello della resurrezione; infatti il Bambino è posto su un lembo del mantello di Maria che, inginocchiata e adorante secondo il modello mutuato dalla visione di santa

Figura 1. Giovanni Bellini, Madonna in trono che adora il Bambino dormiente. 1470 ca., Gallerie dell’Accademia, Venezia.

Rodolfo Papa, PhD. Pittore, scultore, teorico, storico e @ilosofo dell'arte. Esperto della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Accademico Ordinario della Ponti@icia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon. Docente di Arte Sacra, Tecniche Pittoriche nell’Accademia Urbana delle Arti. Presidente dell'Accademia Urbana delle Arti. Già docente di Storia delle teorie estetiche, Storia dell’Arte Sacra, Traditio Ecclesiae e Beni Culturali, Filoso@ia dell’Arte Sacra (Istituto Superiore di Scienze Religiose Sant'Apollinare, Roma; Master II Livello di Arte e Architettura Sacra della Università Europea, Roma; Istituto Superiore di Scienze Religiose di Santa Maria di Monte Berico, Vicenza; Ponti@icia Università Urbaniana, Roma; Corso di Specializzazione in Studi Sindonici, Ateneo Ponti@icio Regina Apostolorum). Tra i suoi scritti si contano circa venti monogra@ie, molte delle quali tradotte in più lingue e alcune centinaia di articoli (“Arte Cristiana”; “Euntes Docete”; “ArteDossier”; “La vita in Cristo e nella Chiesa”; “Via, Verità e Vita”, “Frontiere”, “Studi cattolici”; “Zenit.org”, “Aleteia.org”; “Espiritu”; “La Società”; “Rogate Ergo”; “Theriaké” ). Collaborazioni televisive: “Iconologie Quotidiane” RAI STORIA; “Discorsi sull’arte” TELEPACE. Come pittore ha realizzato interi cicli pittorici per Basiliche, Cattedrali, Chiese e conventi (Basilica di San Crisogono, Roma; Basilica dei SS. Fabiano e Venanzio, Roma; Antica Cattedrale di Bojano, Campobasso; Cattedrale Nostra Signora di Fatima a Karaganda, Kazakistan; Eremo di Santa Maria, Campobasso; Cattedrale di San Pan@ilo, Sulmona; Chiesa di san Giulio I papa, Roma; San Giuseppe ai Quattro Canti, Palermo; Sant'Andrea della Valle, Roma; Monastero di Seremban, Malesia; Cappella del Perdono, SS. Sacramento a Tor de'schiavi, Roma …)

Brigida, propone una sottolineatura della relazione diretta tra Gesù e Maria, nei termini di rapporto tra il sacri@icio eucaristico e la Chiesa, in modo che risulti affermato, attraverso la stessa composizione artistica, che nella chiesa si compie la salvezza. Questo stesso tema, con esiti diversi pur nella medesima impostazione teologica, appare in due opere di Giovanni Bellini [2]: la Madonna in trono con il Bambino, conservata alle Gallerie dell’Accademia a Venezia, databile intorno al 1470 e la Madonna del prato, conservata nella National Gallery di Londra e databile al 1505. Nella prima, Maria è in trono, il Bambino le è posto sulle ginocchia addormentato con il braccio destro che cade mollemente verso il basso e tutto il gruppo è collocato su un piano, che inequivocabilmente è un altare: l’altare dove la Chiesa offre il corpo di Cristo in sacri@icio [3]. La rappresentazione della morte nella @igura del Bambino allude alla Risurrezione ed è il senso più profondo del sacri@icio [4]. Nella Madonna del prato, Bellini mette in scena una @itta intelaiatura di signi@icati allegorici che, dipanati, offrono un’ulteriore declinazione del tema eucaristico ed ecclesiale, infatti, alle spalle di Maria e del Bambino sono poste due scene contrapposte che propongono l’alternativa tra una vita all’interno della Chiesa nel pieno utilizzo dei sacramenti e la vita dissennata dell’uomo addormentato, sul quale incombe l’avvoltoio posto sull’albero disseccato. A sinistra manca l’acqua vivi@icante dei sacramenti, l’acqua che disseta, mentre a destra un pozzo ristora coltivazioni e bestiame sotto l’attento e vigile sguardo del pastore, esegesi @igurativa di quanto Cristo stesso afferma in un brano del Vangelo di Giovanni: «Chi ha sete venga a me e beva chi crede in

me; come dice la Scrittura: @iumi d’acqua viva sgorgheranno dal suo seno» [5]. Anche in questo dipinto, Bellini rappresenta Gesù sulle ginocchia della Madre, adagiato sul mantello azzurro dal quale la Vergine Maria è avvolta e che è metafora della grazia divina che avvolge la sua natura umana, rappresentata dalla veste rossa, in una splendida immagine della creatura scelta per divenire tabernacolo vivente e porta d’ingresso del Figlio. Nella Madonna del presepe di Cento, il bambino stringe il mantello di Maria con la mano destra e per metà

Figura 2. Giovanni Bellini, Madonna del Prato, 1505 ca., National Gallery, Londra.

Figura 3. Bartolomeo Bellano, Natività. Stucco policromo, 1450-1499, Museo Bardini, Firenze.

è adagiato sulla nuda terra, mentre i suoi piedi sono collocati sulla stoffa del mantello: questa composizione rimanda chiaramente e direttamente al linguaggio pittorico del tema eucaristico connesso con la @igura di Maria-Chiesa. In questo stucco la mangiatoia è assente, ma non ne è assente il signi@icato. Infatti, il fatto stesso che il bambino sia posto direttamente sulla nuda terra è un segno dell’umiltà del Redentore, che nasce nel fango per salvare gli uomini, come con altro linguaggio esplicita san Gerolamo:

«E cosı̀ non nasce tra oro e ricchezze ma in mezzo al letame di una stalla, non c’è stalla dove non ci sia letame, dove si erano accumulati i nostri peccati più sorditi. E se nasce in mezzo al letame è proprio per tirarne fuori quelli che sono impastati di sterco. Solleva il misero dal suo letto di letame [6]. Gesù nasce in mezzo al letame, dove anche Giobbe se ne stava seduto per venire incoronato» [7].

In questo contesto si comprende anche il ruolo del bue e dell’asinello nel loro diretto rapporto con il Bambino, nel senso stretto della narrazione posta in campo dall’artista, che tuttavia allude anche a qualcosa di ulteriore.

IL BUE E L’ASINELLO

Sicuramente la presenza dei due animali nella grotta della natività di Gesù desta curiosità, e soprattutto desta curiosità il fatto che nella Natività di Cento tutti gli elementi narrativi siano ridotti o allusi, tranne il bue e l’asinello che hanno piena ed esplicita realizzazione. Infatti, la grotta e la mangiatoia sono rappresentate solo con un piccolo sperone di roccia, mentre i due animali sono ben presenti. Questa scelta iconogra@ica si inserisce, comunque, in una tradizione consolidata che, se ben intesa, concorre a de@inire meglio il senso di quanto stiamo pian piano scoprendo, nel percorso iconologico. Infatti, secondo la metodologia della iconologia, abbiamo preso in esame diverse opere d’arte, tratte da varie epoche della storia della Chiesa, per operare un confronto, per rintracciare differenze e continuità, scoprendo via via, come il tema della natività non sia semplicemente univoco, aderente ad un unico modello archetipico, ma al contrario risulti declinato in un’in@inita varietà di espressioni. L’arte possiede, infatti, da sempre la possibilità e la capacità di rappresentare in forma @igurativa i sensi più riposti delle meditazioni spirituali, abbracciando più signi@icati di diverso livello, in modo da veicolare in una sola immagine un universo complesso di insospettabile profondità. Nella tradizione del tema della Natività anche il bue e l’asinello giocano un ruolo importante. Nella tavola di Ghirlandaio, sono posti dietro il sarcofago-mangiatoia, come se i due animali usassero realmente mangiare il @ieno direttamente da quel prezioso contenitore. Invece nell’affresco della Santissima Annunziata di Baldovinetti e nel dipinto della Natività mistica di Botticelli, i due animali entrano direttamente in relazione con Gesù adagiato in terra, infatti l’asino tende il muso verso il Bambino. L’elemento iconogra@ico del bue e dell’asinello traducono immediatamente un passo di Isaia, che serve a quali@icare non soltanto l’identità del luogo, ovvero la stalla nella grotta, quanto piuttosto proprio l’identità del Bambino: «Il bue conosce il proprietario e l'asino la greppia del padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende» [8]. Viene sottolineato, dunque, che la pre@igurazione della venuta di Cristo non è riconosciuta solo dall’uomo pio che conosce le Scritture e le ha meditate come Simeone, ma da tutto il creato, compresi gli animali. L’esposizione esegetica di sant’Agostino spiega anche cosa signi@ichino direttamente i due animali nel linguaggio @igurato biblico:

«Allatta, o madre, il nostro cibo; allatta il pane che viene dal cielo, posto in una mangiatoia come fosse innanzitutto cibo per i giumenti. Là infatti, il bue riconobbe il suo proprietario, e l’asino la greppia del suo padrone. Vale a dire i circoncisi e gli incirconcisi che aderiscono a quella pietra angolare, e le cui primizie furono pastori e Magi» [9].

Dunque, la presenza dei due animali non solo indica esattamente l’identità del neonato, ma anche l’identità delle due parti della nuova Chiesa ivi costituita. Cristo salva tutta l’umanità, “circoncisi” e “incirconcisi”, ebrei e gentili, e li raduna in una sola Chiesa at-

Figura 4. Cristo in trono. Mosaico del catino absidale, IV sec., Basilica di Santa Pudenziana, Roma.

torno alla maestà del Creatore e Redentore del mondo. Sant’Agostino, in un altro sermone, esplicita completamente il senso @igurale del passo di Isaia su citato: «Il bue adombra i Giudei, l’asino i Gentili. Ambedue vennero alla mangiatoia e trovarono il cibo del Verbo» [10]. Questo carattere universale lo troviamo espresso in un’altra forma in un’opera d’arte proprio coeva di sant’Agostino, ovvero il mosaico absidale di Cristo tra gli apostoli nella Gerusalemme celeste di Santa Pudenziana a Roma; quest’opera, come anche il testo agostiniano La città di Dio, serve a spiegare alla residua minoranza politeista romana che la devastazione subita dalla città di Roma per opera dei Visigoti di Alarico (24 agosto 410), non è segno di inef@icacia della protezione di Cristo, ma che la vera città di cui Gesù è signore è quella celeste. Nel mosaico la Chiesa celeste è costituita dalle due anime, appunto ebrei e gentili o meglio romani, che nella rappresentazione delle Natività sono espresse attraverso la metonimia del bue e dell’asinello. Questo senso universale dell’azione salvi@ica di Cristo riprende esplicitamente una affermazione dell’Apostolo Paolo: «Qui non c'è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti» [11]. Dunque la rappresentazione artistica della nascita di Gesù comporta molti temi teologici che si intrecciano tra loro, creando un circolo di signi@icati che rimandano l’uno all’altro senza soluzione di continuità, spostando continuamente la ri@lessione verso un punto più alto, girando attorno ad un asse verticale, come se in una spirale di segni e signi@icati che via via si aggiungono, spingendo verso l’alto, si formasse in@ine un intero discorso apologetico e catechetico. Per questo all’analisi deve sempre seguire la sintesi; l’identi@icazione della stalla della natività nella grotta di Betlemme va inserita nel contesto degli altri elementi. Cosı̀ la profezia di Michea ⏤ «E tu, Betlemme di Efrata cosı̀ piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele» [12] ⏤ che sottolinea l’importanza iconogra@ica della connotazione geogra@ica e topogra@ica del luogo, va letta insieme alla ri@lessione che propone san Girolamo attorno all’immagine @igurata dei due animali:

«E lo adagiò nella mangiatoia. Perché nella mangiatoia? Perché si compisse la predizione del profeta Isaia: Il bue conosce il proprietario e l'asino riconosce chi gli da mangiare. In un altro passo sta scritto: Tu, o Signore, salverai uomini e giumenti. Se sei un uomo, mangia il pane; se sei un animale, accostati alla mangiatoia» [13].

Figura 5. Donatello, Madonna con Bambino su di una seggiola, 1455-60 ca., Victoria and Albert Museum, Londra.

Dunque, la composizione della Madonna del presepe di Cento, dando tanto spazio al bue e all’asinello, inquadra e sottolinea un elemento importantissimo entro la meditazione spirituale sulla nascita di Gesù. Inoltre risulta molto importante il fatto che il bue nello stucco di Cento sia rappresentato con una ghirlanda, che riprende antichi modelli romani, quali la Base dei Decennali del Foro Romano [14]. Il bue inghirlandato non è solamente un riferimento colto, alla moda antiquaria, una “citazione” in un linguaggio banalmente erudito, ma è una reiterazione, una sottolineatura che pone l’accento ancora una volta sull’elemento sacri@icale, trasposto in forma dotta da un contesto cultuale antico politeista, reinterpretato in chiave @igurata in un contesto cristiano [15]. Maria, che con le mani giunte guarda il fanciullo, è vestita con un abito che richiama il “cioluk” della tradizione ebraica, leggermente modi@icato secondo i costumi del Quattrocento, mantenendo però la tradizionale divisione in due capi d’abbigliamento: la tunica, il “chiton”, che è solitamente chiara e il mantello, l’“omophorion”, scuro. L’impostazione del capo, dell’abbigliamento e dei tratti somatici di Maria collegano la Natività di Cento a La Madonna con il bambino su di una seggiola di Donatello, oggi al Victoria and Albert Museum di Londra. Ma nella Natività centese, l’omophorion copre il capo della Vergine e, da dietro le spalle, riemerge davanti passandole tra le braccia e un lembo è afferrato da Gesù bambino, con una sottolineatura del signi@icato eucaristico del segno che abbiamo già sottolineato, ma che risulta reiterato e rafforzato dal fatto che l’altro lembo superiore, cadendo morbidamente dal capo di Maria, si posa sulla fronte del bue. Il signi@icato, a questo punto, va facendosi evidente: il sacri@icio, l’unico sacri@icio salvi@ico, è possibile solo all’interno del binomio Maria-Gesù, cioè all’interno della Chiesa istituita da Cristo. I particolari che apparentemente atterrebbero alla capacità descrittiva dell’arte, che sembra alle volte indulgere in descrizioni minute prossime alla “natura morta”, inseriti nel contesto spirituale in cui sono stati prodotti, si rivelano precisissime metafore capaci di produrre complesse esegesi teologiche, leggibili per il fedele anche solo un poco edotto sui termini messi in campo dal linguaggio artistico. Maria in questo caso giganteggia nella composizione ed è rappresentata in una sineddoche linguistica, dove è parte per il tutto, cioè mentre è rappresentata semplicemente come la Madre, nel contempo parla di altro. Ancora una volta un brano di Agostino può essere illuminante:

«Allatta, o madre, Colui che ti ha fatto tale da poter farsi lui stesso in te; che, concepito, ti ha dato il dono della fecondità e nato non ti tolse il dono della verginità. Lui, prima di nascere, ha scelto il grembo da cui nascere e il giorno della sua nascita» [16].

Agostino riafferma come Maria, pur essendo veramente madre, è veramente creatura, e il Bambino nato da lei è il Creatore che l’ha creata e scelta per nascere al mondo. Maria è la porta d’ingresso che il Signore edi@ica e sceglie per entrare nel creato di cui egli è il Creatore, per ristabilire la Grazia, perduta con il peccato d’Adamo, attraverso l’azione salvi@ica della Redenzione. Questo è quanto sa esprimere la Madonna del presepe di Cento, nella complessa semplicità della sua piccola super@icie.

LA MELA, L’ALBERO E UN CAMPO DI COCOMERI

Nello stucco di Cento, la composizione comprende diversi elementi iconogra@ici, che rimandano ad altrettanti signi@icati teologici, i quali nella loro complessità compongono la “meditazione interiore” offerta ef@icacemente al fedele. Un elemento importante di questa composizione è la mela che Gesù regge con la mano sinistra, mentre con la destra stringe

Figura 6. Matteo di Pietro detto Matteo da Gualdo, Albero genealogico della stirpe di David (Albero di Jesse) con Gioacchino, Anna e Maria Immacolata, tempera su tavola, 1497, Museo Civico di Rocca Flea, Gualdo Tadino.

l’omophorion. In questo modo il corpicino del Bambino è medio tra gli estremi del manto e della mela, è il centro tra questi due termini, ovvero è l’asse attorno al quale due termini antipodici si contrappongono. La mela, come è immediatamente evidente, fa riferimento al peccato originale, è cioè rappresentazione metaforica del frutto dell’albero “della conoscenza del bene e del male” [17] che i Progenitori, contravvenendo al divino divieto, mangiarono sotto l’istigazione del serpente, meritando il castigo della cacciata dal Giardino e la morte. Per comprendere il diretto rapporto tra il tema del “peccato originale” e l’iconogra@ia mariana, è utile operare un confronto con una miniatura del Messale di Mattia Corvino [18], che rappresenta la Mondsichelmadonna [19]; in questa immagine sono conservati tutti gli elementi dell’iconogra@ia mariana dell’Immacolata Concezione posti però in dialogo con la presenza esplicitante del Bambino e della mela. Questa particolare rappresentazione, maturata in ambito francescano, offre un punto di vista privilegiato per capire il senso della mela in relazione al Bambino e a Maria stessa. Infatti, se si considera quanto abbiamo @in qui rintracciato nello stucco di Cento, comprendiamo bene che il tema del sacri@icio eucaristico, legato indissolubilmente al tema della natività, ha bisogno di essere esplicitato in chiave mariana per essere ricondotto al doppio @ilone della causa dell’Incarnazione di Cristo e della preservazione dal “peccato originale” in Maria, strumento mirabile della stessa Incarnazione del Verbo. Il nesso tra i due temi teologici è testimoniato da innumerevoli opere pittoriche, che nel corso dei secoli hanno rappresentato il termine di diffusione e di contemplazione in tutta Europa del mistero dell’Immacolata Concezione [20]. Eo questo il caso, per esempio, della pala che rappresenta L’albero genealogico della stirpe di David [21] opera di Matteo da Gualdo o il foglio 42 recto del Psalterium Maius beatae Mariae Virginis [22]. Le due immagini rappresentano, in una struttura @itomor@ica (nella prima un albero vero e proprio, nella seconda

Figura 7. Scuola del Pinturicchio, Immacolata Concezione, tempera su tavola, 1510 c., Nationalmuseum, Stoccolma.

Figura 8. Carlo Crivelli, Immacolata Concezione, 1492, tempera e oro su tavola, National Gallery, Londra.

una pianta di Lilium) i due vertici, quello apicale e quello radicale, determinati dalla presenza della Immacolata concepita come @ioritura della pianta, letteralmente come germoglio, e da Adamo (nella seconda Adamo ed Eva) sdraiato in terra e descritto come terreno nel quale la pianta mette radici. La struttura antipodale permette di comprendere in un solo sguardo la relazione che intercorre tra colui che ha commesso il “peccato originale” e colei che da esso è preservata. Anche altre opere contengono elementi utili per decifrare correttamente la @igura di Maria della Madonna del presepe di Cento, come per esempio l’Immacolata del foglio 12 verso del Rosarium di Simon Bening [23], dove la Madonna è rappresentata al centro di un paesaggio allegorico, come una giovinetta vestita di luce, e con le mani giunte; o ancora l’Immacolata Concezione di scuola del Pinturicchio [24], dove Maria risulta inserita ab eterno nel seno della Trinità, con il Verbo incarnato rappresentato nel grembo, vestita di luce, con le mani giunte; e, per @inire, La tavola di Pergola di Carlo Crivelli della National Gallery di Londra [25], nella quale Maria è rappresentata in piedi su un drappo damascato che, passandole dietro le spalle sorretto da un’asticella orizzontale, funge da paliotto, entro una architettura che funge da trono, sui cui braccioli sono posti dei vasi di rose e gigli, attributi propri del nome dell’Immacolata mutuati da brani veterotestamentari. Sull’asticella vi sono appesi, come ghirlande fruttate, alcuni frutti tra i quali si individua subito una mela a sinistra di Maria vicino ad un rametto di prugne e, stranamente, un cetriolo che af@ianca una pesca alla sua sinistra. La mela è, come abbiamo già ricordato in precedenza, un esplicito rimando al “peccato originale”, mentre il cetriolo rappresenta il rimedio che Dio opera nel Creato, nel suo piano salvi@ico dell’umanità tutta intera. Il riferimento scritturistico utile per comprendere si trova in un passo del Protoisaia: «Eo rimasta sola la @iglia di Sion come una capanna in una vigna, come un casotto in un campo di cocomeri, come una città assediata. Se il Signore degli eserciti non avesse lasciato un resto, già saremmo come Sodoma, simili a Gomorra» [26]. I Padri della Chiesa interpretano questo passo come riferito a Maria, che è dunque la capanna, il tugurio, il resto preservato attraverso il quale si manifesta la Misericordia di Dio, nell’Incarnazione del Salvatore [27]. Il cetriolo è un ortaggio che appartiene alla famiglia delle cucurbitacee, come i cocomeri, dunque viene rappresentato da Crivelli con il signi@icato allegorico desunto dal testo di Isaia, con chiaro riferimento all’Immacolata Concezione. Se poi uniamo insieme il senso degli altri attributi iconogra@ici quali la pesca e le prugne [28], che possono essere rispettivamente interpretate come frutto della Salvazione la prima e morte e Passione di Cristo le seconde, il risultato degli elementi vegetali e @loreali presenti nel dipinto esplicita con chiarezza il rapporto indissolubile tra il mistero dell’Incarnazione e quello dell’Immacolata Concezione di Maria. Il peccato di Adamo (la mela) è redento attraverso la Passione di Cristo (le prugne) che nasce da Maria (la pesca), che può accogliere nel grembo il Redentore in quanto preservata dal peccato originale (il cetriolo). Entro questo contesto di elementi iconogra@ici, risulta sempre più chiaro il senso complessivo del discorso intessuto da Donatello/Bellano nell’opera centese. Maria è madre del Salvatore, preservata ab eterno da Dio Padre per permettere, attraverso l’azione dello Spirito Santo, l’Incarnazione del Verbo, divenendo cosı̀ tabernacolo eterno e metafora della Chiesa, nel

Figura 9. Giovanni Bellini, Madonna col Bambino benedicente, 1510, Pinacoteca di Brera, Milano.

segno dell’umiltà rappresentata dal luogo nel quale tutto questo avviene, ovvero la stalla-grotta di Betlemme, luogo indicato dal profeta Michea come sede della nascita del Salvatore di Israele. La posizione di Maria con le mani giunte, anche se piuttosto comune nel contesto iconogra@ico mariano, possiede, almeno dal XV secolo in poi, un implicito richiamo al tema dell’Immacolata. Le mani giunte non sono solo il segno della preghiera di Maria e la manifestazione esteriore di un moto dell’animo, ma sono anche rappresentazione della sua stessa natura e della presa di coscienza di questo stato di grazia tutto particolare che Dio le ha donato. In un’omelia di san Gerolamo troviamo un assaggio della qualità e della profondità delle ri@lessioni che la Patristica ha saputo offrire intorno a questo tema, assorbite e fatte proprie dalla stessa arte cristiana nel suo proprio linguaggio:

«Maria, da parte sua, si Nissava gelosamente nell’anima tutti questi avvenimenti e li meditava dentro di se. Che cosa vuol dire questo li meditava? Avrebbe dovuto dire: li riponeva nel suo cuore, avrebbe dovuto dire: ne prendeva atto e li annotava interiormente. Ma c’è un signi@icato in questo li meditava dentro di sé. Lei era santa e aveva letto le Sacre Scritture, e perciò conosceva i profeti e ricordava che l’angelo Gabriele le aveva detto quelle stesse cose che le erano state dette dai profeti. Meditandole, le confrontava per vedere se avesse una base la frase lo Spirito Santo scenderà su te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra, per cui il Santo che nascerà da te si chiamerà Figlio di Dio [29]. Questo le aveva detto Gabriele. Isaia però l’aveva predetto: Ecco una vergine concepirà e partorirà [30]. Questo l’aveva letto, la frase precedente l’aveva udita con le sue orecchie. Vedeva il bambino adagiato. Osservava il bambino che vagiva lı̀ nella mangiatoia, il Figlio di Dio che giaceva lı̀ davanti a lei, il suo @iglio, l’unico @iglio; lo vedeva adagiato davanti a sé e la sua mente metteva insieme ciò che stava osservando con quanto aveva udito e con i passi letti della Scrittura» [31].

FELIX CULPA

Correlato ai precedenti aspetti teologici, emerge con forza, tra la mela e i due animali, e il mantello della Vergine, la rappresentazione della gioia incontenibile della nascita del Salvatore, nuovo Adamo che scon@igge la morte attraverso la Risurrezione. Il tema eucaristico, alluso dalla mangiatoia, è il preludio al canto di giubilo, che l’intera chiesa recita nell’Exultet durante la veglia pasquale, mettendo diret-

Figura 10. Michelangelo Merisi da Caravaggio, Riposo durante la fuga in Egitto, 1597, Galleria Doria-Pamphilij, Roma.

tamente in relazione la colpa di Adamo, con la vittoria del Salvatore: «Davvero era necessario il peccato di Adamo, che è stato distrutto con la morte del Cristo. Felice colpa, che meritò di avere un cosı̀ grande redentore!» [32]. La nascita di Gesù rimanda al Mistero dell’Incarnazione e al mistero della persona di Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, come esprimono vari Concili @in dai primi secoli del Cristianesimo [33]. Eo un tema complesso che si trova espresso nel linguaggio artistico in alcune “Madonne con il bambino”, quali per esempio la Madonna degli architetti di Andrea della Robbia del 1475 o la Madonna con il bambino di Brera di Giovanni Bellini del 1501, dove il bambino Gesù è esposto nudo allo sguardo dei fedeli. La nudità, proposta in un’età che non offende il senso del pudore, consente di sottolineare il mistero della umanità di Gesù Cristo; dunque l’esposizione del corpicino nudo del bambino è una reiterazione sul tema dogmatico della vera natura di Cristo. Non solo i genitali, ma anche lo stesso ombelico, risulta importante ai @ini di questo discorso, perché testimonia che veramente è “nato da donna”. Tutti questi elementi si coimplicano e risultano inseparabili, in quanto fanno parte di un unico discorso cristologico, mariologico ed ecclesiologico, da cui nascono feconde vene spirituali, di volta in volta legate agli ambienti culturali nei quali l’opera d’arte si inserisce. Anche la presenza o l’assenza dei pastori nella rappresentazione della Natività è legata ad analisi esegetiche che producono metafore spirituali, come ancora una volta propone san Gerolamo:

«In quella stessa regione c’erano dei pastori che vegliavano. Cristo lo trovano soltanto quelli che vegliano. Eo tipico dei pastori stare di guardia. E Cristo, infatti, non viene trovato se non dai pastori che vegliano per fare la guardia. Per questo anche la sposa [del Cantico] dice: io dormo ma il mio cuore è attento [34]. Non sonnecchierà né resterà addormentato colui che custodisce Israele [35]» [36].

Figura 11. Arnolfo di Cambio, Presepe, 1291, Basilica di Santa Maria Maggiore, Roma.

Maria risulta allora una metafora della fede attiva, che mai è colta di sorpresa di fronte agli eventi.

GIUSEPPE

Nello “stucco” di Cento appare, in@ine, come uno degli elementi artisticamente più rilevanti, per invenzione e per profondità di proposta spirituale, la @igura di Giuseppe. Lo sposo di Maria è posto in basso a sinistra rispetto a chi guarda, in una posa assai strana. Egli è aggrappato ad uno sperone di roccia facendo capolino e, allungandosi verso la sua sinistra, porta lo sguardo attento e sorridente verso il Bambino. Questa posa da testimone è, per certi versi, anomala nella tradizione delle Natività. Infatti, Giuseppe è spesso assente dalla scena, oppure è addormentato. Nella Natività Mistica di Botticelli dorme rannicchiato con la testa sulle ginocchia; nella Natività di Baldovinetti è sorpreso dal sonno appoggiato al muro della casa in rovina; nelle più antiche rappresentazioni all’interno del Cofanetto proveniente dal Sancta Sanctorum Lateranense e nella Tavoletta in avorio di Salerno, dorme con la testa poggiata sulla mano, con il gomito @isso sul ginocchio. Giuseppe è rappresentato mentre dorme non perché risulti indifferente alla scena della nascita del Salvatore, ma piuttosto perché è connotato come l’uomo dei sogni, colui al quale l’angelo del Signore più volte appare in sogno, per rivelargli quanto sta accadendo: per dirgli che il @iglio che Maria aspetta in grembo è il @iglio di Dio, per avvisarlo che Erode vuole uccidere il bambino e di prendere la sua famiglia e fuggire rapidamente in Egitto. Cosı̀ in un contesto pittorico diverso e più tardo, quale il Riposo nella fuga in Egitto di Caravaggio [37], conservato alla Doria-Pamphilij, troviamo Giuseppe stanco ma sveglio, mentre sorregge lo spartito all’angelo che suona una melodia per accompagnare il sonno della Vergine e del bambino. Anche nella Natività del Ghirlandaio per la Cappella Sassetti in Santa Trinita, Giuseppe è sveglio, ma scruta il cielo per vedere l’angelo che dall’alto accompagna il corteo regale dei Magi, in un’ulteriore sottolineatura della relazione particolare che l’iconogra@ia

giuseppina stabilisce con il mondo celeste e con i sogni rivelatori. Anche nell’affresco del XIV secolo nella grotta di Greccio, luogo dove san Francesco ha rinnovato l’amore e l’interesse liturgico per la sacra rappresentazione del Presepe, Giuseppe dorme. Un antecedente della rappresentazione di Giuseppe che guarda il Bambino è presente nel gruppo scultoreo che il grandissimo Arnolfo di Cambio [38] realizza per Santa Maria Maggiore a Roma, luogo nel quale per secoli si è conservata la sacra reliquia della mangiatoia di Betlemme, e attorno alla quale fu posto il gruppo, oggi ricomposto in un’ipotetica ricostruzione dei vari pezzi superstiti. Nella Madonna del Presepe di Cento, Giuseppe non solo è sveglio e vigile, ma ha anche una posizione molto attiva: si arrampica per arrivare a vedere, per abbracciare con lo sguardo il piccolo fantolino. In questo modo, egli costituisce senza ombra di dubbio il punto di vista interno all’opera, colui che fa da indicatore, cioè che ci mostra da quale punto di vista “spirituale” occorre osservare la scena. Eo il segno che riassume con un semplice sguardo tutto quello che abbiamo @in qui meditato. Giuseppe è pieno di stupore, come sottolinea in un’omelia san Gerolamo:

«Lo adagiò in una mangiatoia perché non avevano trovato posto [39]. Fu la madre ad adagiarlo. Giuseppe non osava neanche toccarlo sapendo che non era stato generato da lui. Lo osservava stupito, era pieno di gioia nel vederlo nato e tuttavia non osava toccarlo» [40].

L’indicazione che proviene dalla @igura di Giuseppe è chiara, ed è un invito ad adorare il piccolo Salvatore; ancora san Gerolamo scrive:

«Prendiamolo tra le nostre braccia e adoriamo questo Figlio di Dio, questo grande Dio che, se per tanto tempo si era fatto sentire con forza dal cielo senza darci la salvezza, come ha cominciato a vagire ci ha salvati» [41].

CONCLUSIONE

Il tema iconogra@ico della Natività risulta, dunque, dal XV secolo, indissolubilmente legato a molti altri temi iconogra@ici, che fanno riferimento ad altrettante questioni teologiche. Anche per questo, il testo artistico andrebbe analizzato nel proprio contesto culturale, cosa che per l’opera di Cento, che abbiamo preso primariamente in analisi, risulta ostacolata dalla natura dell’opera stessa, nata nella bottega e destinata al mercato, dunque non legata a particolari e de@inite commissioni. La composizione e la scelta iconogra@ica rendono comunque probabile, alla luce di quanto qui ricostruito, una forte in@luenza della teologia e della spiritualità di questo periodo, impegnate nella ri@lessione su temi cristologici e mariologici, e in modo particolare sul mistero della Immacolata Concezione [42]. Non è necessario pensare a una diretta commissione in tale ambito, improbabile del resto data la natura dell’opera, ma è sicuro l’inserimento entro quel @ilone di opere che vanno elaborando una complessa iconogra@ia mariana. La complessità del manufatto, che sa mettere in campo un’alta padronanza della tecnica e un programma teologico ricco e anche per alcuni aspetti innovativo, suggeriscono peraltro una in@luenza molto forte su Bellano da parte del maestro Donatello, in@luenza esercitata forse direttamente sul programma teologico dell’opera, oppure mediata dalla acquisizione di un bozzetto, divenuto modello dal quale attingere. L’opera, quindi, si presenta non tanto quanto l’esito di una commissione diretta, quanto piuttosto come il frutto maturo di un tentativo imprenditoriale di bottega, che non va a detrimento del più profondo signi@icato spirituale, anzi sa farsene pienamente carico, come abbiamo @in qui cercato di argomentare, analizzando i vari elementi dell’opera e la somma della loro composizione. E il riscontro della ef@icacia spirituale di questo stucco, capace di far meditare spiritualmente il fedele, si trova nelle numerose Canzonette Spirituali che nel corso di un secolo hanno accompagnato, tra la seconda metà del XVII e la prima metà del XVIII secolo, le celebrazioni per le rogazioni davanti la sacra immagine [43], a riprova che i fedeli e i loro pastori erano in grado di leggere attentamente queste immagini e capaci di comprenderne il senso ed il signi@icato.

Bibliografia e note

1. Lc 2, 34-35. 2. Per un inquadramento iconologico generale dei dipinti mariani di Bellini, rimando al testo di Gentili A.,

Giovanni Bellini, Dossier n. 135, Giunti Firenze 1998, pp. 25-40. 3. Riguardo al tema di Maria e l’Eucaristia cfr. Verdon T.,

Maria nell’arte europea, Milano 2004, pp. 56-61. 4. Agostino dice: «Analogamente è detto del suo sposo, il leone della tribù di Giuda (Ap. 5, 5) del quale la profezia aveva molto tempo prima affermato: Salisti addormentato (Gen. 49, 9), cioè sulla croce. Salisti sottintende la croce, addormentato allude alla morte.

Che signi@ica: Salisti se non quel che fu scritto: E lo crociNissero (Lc. 24, 20)? Del quale evento parlava lui stesso quando diceva: Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia posto in alto il Figlio dell’uomo, afNinché chiunque crede in lui non perisca ma abbia la vita eterna (Gv. 3, 14-15). Che signi@ica:

Addormentato? E chinato il capo rese lo spirito (Gv. 19, 30). Allo stesso modo anche nella profezia. Dopo che era stato detto: Salisti addormentato, prosegue:

Dormisti come un leone (Gen. 49, 9). Sı̀, dormisti come un leone, non fuggisti come una volpe. Che vuole dire: Dormisti come un leone? Ti addormentasti perché ne avevi il potere, non perché ti costrinse la necessità (Gv. 10, 18). E dopo aver detto: Dormisti come un leone proseguendo aggiunge: Chi lo sveglierà? (Gen 49, 9) Chi lo ha svegliato? Non che non ci sia stato proprio nessuno, ma chi fra gli uomini? Difatti non fu altri che Dio, il quale lo risollevò di tra i morti e gli diede il nome che è al di sopra di ogni altro nome (Fil 2, 9). Inoltre fu lui stesso che si risuscitò. Per cui diceva: Abbattete questo tempio e in tre giorni lo restaurerò (Gv 2, 19)», Agostino, Discorsi, vol. XXIX, cit., D. 37 2, p. 658. 5. Gv 7, 37. 6. Sal 112, 7. 7. San Gerolamo, Omelie sui Vangeli, “Sulla Natività del

Signore”, a cura di Cola S., Roma 1988, p. 161. 8. Is 1,3. 9. Agostino, Discorsi, vol. XXXIV, cit., D. 369-1, p. 477. 10. Ibid., D. 375-1, p. 513. 11. Col 3,11. 12. Mi 5, 1. 13. San Gerolamo, Omelie sui Vangeli, cit., p. 160. 14. Su un lato della Base dei Decennali del Foro Romano è rappresentata la processione del suovetaurile introdotta da un funzionario togato con bastone dalla testa a fungo e accompagnata da due vittimarii ed un dapifero; sul lato opposto è una processione di senatori in toga confabulata sullo sfondo di tre vexilla destinati a contenere le immagini imperiali. 15. All’interno della cultura cristiana, in ogni forma e disciplina, si è sviluppata una coerente capacità di prendere e comprendere dalle altre culture e dalla propria, in una cifra peculiare, diversa in ogni epoca ma per certi versi sempre eguale a se stessa. Il confronto con altre culture ha imposto, per esempio, nella forma artistica una elaborazione capace di dire e nel medesimo tempo di ridire in maniera diversa, spostando dall’interno il senso del segno utilizzato,

“risemantizzandolo” in qualcosa di nuovo e nel medesimo tempo di riconoscibile. Per quanto riguarda ambiti disciplinari molto diversi tra loro ma contigui: Cfr. Curcio G., Manieri Elia M., Storia e uso dei modelli architettonici, Laterza, Bari 1982; Penna R.,

L’ambiente storico culturale delle origini cristiane,

EDB, Bologna 2000. 16. Agostino, Discorsi, vol. XXXIV, cit., D. 369-1, p. 477. 17. «Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non ne devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti». Gen. 2, 16-17. 18. Missale Fratrum Minorum (Messale di Mattia Corvino) 1469, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica

Vaticana, Rossianus 1164, Madonna con il Bambino, f. 126 v. 19. Letteralmente “Madonna della falce di luna”: rappresenta alcune simbologie legate alla rappresentazione dell’Immacolata Concezione, come le dodici stelle attorno al capo, lo spicchio di luna sotto i piedi, il sole che la riveste e i cui raggi dorati si irradiano a mandorla tutt’intorno al suo corpo; in più c’è la presenza del bambino e della mela, attributi questi estranei al tema dell’Immacolata, ma qui presenti per dire effettivamente la causa e il @ine della sua particolare natura di creatura speciale. 20. Francia V., Splendore di bellezza. L’iconograNia dell’Immacolata Concezione nella pittura rinascimentale italiana, Città del Vaticano 2004. 21. Albero genealogico della stirpe di David (Albero di

Jesse) con Gioacchino, Anna e Maria Immacolata, tempera su tavola del 1497, opera di Matteo di Pietro detto Matteo da Gualdo (1430c.- 1507), conservato nel Museo Civico di Rocca Flea a Gualdo Tadino.

Questa opera viene realizzata per l’altare dedicato all’Immacolata Concezione nella Chiesa di Santa

Maria dei Raccomandati di Gualdo Tadino, sede dell’omonima Confraternita, cui spetta l’allogagione del dipinto il 16 maggio 1497. 22. Psalterium Maius beatae Mariae Virginis e Miscellanea di orazioni, Pseudo-Bonaventura da Bagnoregio opera della scuola di Simon Marmion, Francia 1470 c., Parma, Biblioteca Palatina, Pal 59, f. 42r. 23. Rosarium, 1530 c. opera di Simon Bening, Dublino,

Chester Beatty Library, Western 99, f. 12v. Nella miniatura è rappresentato un paesaggio nel quale la scena vive, che è costituito interamente da elementi simbolici tratti dall’Antico Testamento, esplicitati da dei cartigli recanti scritte, con titoli tutti riferiti all’immagine dell’Immacolata Concezione: turris David (Ct 4, 4); civitas Dei (Sal 8,3); cedrus esaltata (Eccli 24, 19); porta coeli (Gen 28, 17); fons hortorum (Ct 4,15); puteus acquarum viventium (Ct 4,15); planctatio rosae (Ct 4, 12); hortus conclusus (Ct 4,12); speculum sine macula (Sap 7, 26); virga Jesse (Is 11, 1); electa ut sol (Ct 6,9); pulcra ut luna (Ct 6, 10). Alcuni di questi titoli entreranno direttamente nell’iconogra@ia mariana con il compito di descriverla come creatura speciale anche in contesti che apparentemente non descrivono l’attributo di Immacolata. 24. Scuola del Pinturicchio, Immacolata Concezione, tempera su tavola,1510 c., Stoccolma, Nationalmuseum, inv. NM 2067. La tavoletta costituiva il piatto anteriore della coperta di un libro in pelle che recava impressi due medaglioni, il Cristo coronato di spine sulla parte anteriore e San Francesco che riceve le stimmate su quella posteriore. Sul piatto posteriore si trovava un’altra tavoletta con un’iscrizione in volgare, in caratteri maiuscoli in oro su fondo rosso, particolarmente interessante per spiegare l’immagine dipinta: «Senpre pro patre et @iglio et spiritu sancto. In creato immenso et in@inito la matre de Jesu nel trino manto hebbe lo suo @igliolu stabilito nanzi creasse el mundo el verbo sancto. Gli angeli l’onoraru nell’alto sito prima che mai el mondo fosse creato. El

@igliolu nella matre era incarnato», Cfr. AA. VV. Una donna vestita di sole, catalogo della mostra a cura di Morello G.,

Francia V., Fusco R., Milano 2005, pp. 176-177. 25. Carlo Crivelli, Tavola di Pergola, tempera su tavola datata 1492, Londra, National Gallery. L’Eterno Padre invia lo

Spirito Santo sulla bellissima @igura di Maria mentre, mediante un cartiglio, viene rivelata quasi l’autocoscienza della Vergine che recita: «Ut in mente Dei ab inizio concepta fui ita et facta sum». L’immagine è circondata da una natura morta, allegoria degli attributi mariani dell’Immacolata, tra cui spicca un cetriolo che rimanda immediatamente al passo di Isaia (Is 1, 8-9). Cfr. Zampetti P.,

Carlo Crivelli, Firenze 1986, pp. 298-299. 26. Is 1, 8-9. 27. Maria è il tabernacolo vivente: si coglie cosı̀ in questo punto anche il senso Eucaristico esplicito del dipinto.

Questo signi@icato cosı̀ ricco della iconogra@ia mariana non nasce nel Medioevo o nel Rinascimento, ma ha il suo frutto maturo già nell’VIII secolo, nel periodo della tarda

Patristica, infatti Andrea di Creta, richiamandosi ad innumerevoli brani biblici, li trasforma in altrettante immagini descrittive di Maria, offrendo cosı̀ un materiale

Nigurativo al quale in seguito gli artisti attingeranno a piene mani, elaborando pian piano tutta l’iconogra@ia mariana. Cfr. Andrea di Creta, Canone sulla Santa e nonna di Dio Anna, in J .P. Migne, Patrologiae cursus completus, series greca, Parigi, 1857-66, vol. 97, pp. 1305-1315. 28. Cfr. Levi D’Ancona M., The Garden of the Renaissance.

Botanical symbolism in Italian painting, Firenze 1977, per il signi@icato della pesca: pp. 294-296; per il signi@icato delle prugne: pp. 311-312. 29. Lc 1, 35. 30. Is 7,14. 31. San Gerolamo, Omelie sui Vangeli, cit., pp. 163-164. 32. Il testo dell'Exultet, che si legge ancora oggi nel corso della Veglia pasquale, discende da una redazione duecentesca @issata da papa Innocenzo III. A sua volta, questo si fonda su una tradizione più antica, rimasta pressoché invariata nel corso dei secoli. «O certe necessarium Adae peccatum, quod Christi morte deletum est! O felix culpa, quae talem ac tantum meruit habere redemptorem!». 33. Il Concilio di Nicea I (325) de@inisce che il Verbo, vero Dio generato da vero Dio, è consustanziale al Padre. Il Concilio di Costantinopoli I (381) proclama lo Spirito Santo procedere dal Padre e con il Padre e il Figlio è adorato e glori@icato. Il Concilio di Efeso (431) afferma che Maria è madre di Dio (Theotókos). Il Concilio di Calcedonia (451) precisa che Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, è una sola persona in due nature, senza confusione né cambiamento, senza divisione, né separazione. Il Concilio di Costantinopoli II (533) sottolinea l’unità della Persona del Verbo incarnato. Il Concilio di Costantinopoli III (680-681) ritorna sulle due nature dell’unica Persona di Cristo per affermare l’esistenza di due volontà. Il Concilio di Nicea II (787) giusti@ica il culto delle immagini alle quali è dovuta

“adorazione d’onore” e non di “latria”. Il Concilio di Costantinopoli IV (869-870) condanna e depone Fozio, patriarca di Costantinopoli. 34. Cant 5, 2. 35. Sal 120, 4. 36. S. Girolamo, op. cit. 37. Papa R., Caravaggio. Vita d’artista, Firenze 2002,2006; Id.

Caravaggio. Gli ultimi anni, Dossier n. 205, Giunti, Firenze 2004; Id. Caravaggio. Gli anni giovanili, Dossier n. 217,

Giunti, Firenze 2005; Id. Caravaggio pittore di Maria,

Milano 2005. 38. Cfr. Pomarici F., Il presepe di Arnolfo di Cambio: nuova proposta di ricostruzione, in “Arte medievale”, II serie, II,

1988, 2, pp. 155-174; Tomei A., Arnolfo di Cambio, Dossier n. 218, Giunti, Firenze 2006. 39. Lc 2, 7. 40. San Gerolamo, Omelie sui Vangeli, cit., p. 160. 41. Ibid., p. 166. 42. Cfr. Francia V., op. cit., . Generalmente si sottolinea la posizione immacolista dei Francescani, ma anche tra i

Domenicani furono più numerosi coloro che scrissero a favore, piuttosto quelli che argomentarono contro la

Immacolata Concezione (affermata dogmaticamente nel.1854 con la Bolla Ineffabilis Deus del Beato Pio IX). 43. Nelle Canzonette Spirituali. Per la scuola di S. Rocco di

Cento. Da cantarsi avanti la sacra immagine della Beata

Vergine del Presepio emergono chiaramente tutti i temi legati alla Immacolata Concezione, alla Madre di Dio, alla sempre Vergine Maria, @ino a cantare tutti gli attributi mariani veterotestamentari, condensati per esempio nelle Litanie Lauretane, che in alcuni di questi brani fanno da struttura antifonaria dello sviluppo compositivo delle medesime Canzonette.

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