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Per una storia degli artisti dimenticati

Introduzione

Rodolfo Papa

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Quanti percorsi artistici nella contemporaneità intrecciano strade, si separano e poi si rincontrano più avanti, ediBicano monumenti, idealità , possibili immaginari comuni e poi si perdono nelle nebbie fumose delle scelte operate per la costruzione dei manuali d’arte? proprio quei manuali d’arte, che nel voler essere omnicomprensivi, poi alla Bine, escludono gran parte dell’esistente sotto la mannaia di scelte discutibili operate principalmente nell’assenza di una deBinizione del “concetto di arte”. Se facciamo una stima di tutti i manuali d’arte esistenti, dai più antichi ai nuovissimi, osserviamo alcune costanti, che potremmo quasi dire che evidenziano una metodologia acquisita. Chi più chi meno cita un certo numero di artisti, più o meno sempre gli stessi; sempre gli stessi movimenti artistici e sempre nelle medesime condizioni di narrazione complessiva. I manuali, poi, si differenziano molto negli apparati, alcuni veramente molto ben concepiti, altri con una grande quantità di informazioni anche sulla società , sui dati storici paralleli, ma complessivamente il numero degli artisti è chiuso, poche centinaia, contro i reali numeri degli attori in gioco nella storia. La scelta solitamente viene giustiBicata sulla base di due criteri guida: da una parte la fama e l’inBluenza operata nelle arti di quel determinato movimento o singolo artista, e dall’altra la sua originalità . Certamente sono, o possono essere, dei parametri utili per dire alcune cose, forse per rintracciare una linea rossa tra le tante possibili, ma il problema risiede proprio in docente di Storia delle teorie estetiche, Storia dell’Arte Sacra, Traditio Ecclesiae e Beni Culturaia dell’Arte Sacra (Istituto Superiore di Scienze Religiose Sant'Apollinare, Roma; Master II Livello di Arte e Architettura Sacra della Università Europea, Roma; Istituto Superiore di Scienze Religiose di Santa Maria di Monte Berico, Vicenza; PontiBicia Università Urbaniana, Roma; Corso di Specializzazione in Studi Sindonici, Ateneo PontiBicio Regina Apostolorum). Tra i suoi scritti si contano circa venti monograBie, molte delle quali tradotte in più lingue e alcune centinaia di articoli (“Arte Cristiana”; “Euntes Docete”; “ArteDossier”; “La vita in Cristo e nella e Vita”, “Frontiere”, “Studi cattolici”; “Zenit.org”, “Aleteia.org”; “Espiritu”; “La Società ”; “Rogate Ergo”; “Theriaké ” ).

Rodolfo Papa, PhD. Pittore, scultore, teorico, storico e Bilosofo dell'arte. Esperto della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Accademico Ordinario della PontiBicia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon. Docente di Arte Sacra, Tecniche Pittoriche nell’Accademia Urbana delle Arti. Presidente dell'Accademia Urbana delle Arti.

Collaborazioni televisive: “Iconologie Quotidiane” RAI STORIA; “Discorsi sull’arte” TELEPACE.

Come pittore ha realizzato interi cicli pittorici per Basiliche, Cattedrali, Chiese e conventi (Basilica di San Crisogono, Roma; Basilica dei SS. Fabiano e Venanzio, Roma; Antica Cattedrale di Bojano, Campobasso; Cattedrale Nostra Signora di Fatima a Karaganda, Kazakistan; Eremo di Santa Maria, Campobasso; Cattedrale di San PanBilo, Sulmona; Chiesa di san Giulio I papa, Roma; San Giuseppe ai Quattro Canti, Palermo; Sant'Andrea della Valle, Roma; Monastero di Seremban, Malesia; Cappella del Perdono, SS. Sacramento a Tor de'schiavi, Roma …) questa scelta che si vuole presentare come scientiBica, analitica, quasi unica, e che invece a guardar bene è solo una tra le tante che nell’ideologia di una narrazione “progressista” delle arti è divenuta imperativa, Bino a cancellare la registrazione di alcuni dati storici comunque rilevanti.

Eppure, tanti studi si sono moltiplicati sul metodo della storia dell’arte, sulla idea stessa di storia o storie da raccontare nelle ricostruzioni macrostoriche e microstoriche; Bin dai tempi di Burkhardt [1] e W fBlin [2] si sono accesi dibattiti sulle interpretazioni possibili di alcune epoche storiche, con proposte di valutazione stilistica, psicologistica, sociale o storicista. Ci sono state, ad esempio, le proposte metodologiche di Emile Mâ le [3] di studiare l’arte attraverso repertori iconogra messi in relazione con la patristica come fonte e quindi l’elusione della creatività coma azione “assoluta” e sempre uguale a sé stessa nel corso dei millenni; ci sono state le giuste lamentele di Hans Sedlmayr [4] sul l’assenza di una storia dell’arte co struita sul tema della luce che inve ce è stata soppiantata da una storia dello spazio, spazio che peraltro viene raccontato in storie della pro spettiva che non evidenziano mai la nascita di questa in ambito cattoli co, con motivazioni e Bini teologicoliturgici [5].

La pluralità viene oggi riconosciuta in alcune ricostruzioni saggistiche, come, ad esempio, l’interessantis simo volume La storia delle storie dell’arte nel quale la curatrice Oriet ta Rossi Pinelli, nella introduzione scrive: « la caduta dei muri, delle ideologie, l’espansione dei “plurali”(“le storie” che costituiscono “la Storia”), i nuovi paradigmi imposti dalla rete, l’equivalenza immateriale delle immagini digitalizzate, l’espansione di alcuni modelli forti di ricerca come le neuroscienze, l’antropologia culturale, le scienze della comunicazione, la sociologia, la stessa economia, tutto questo ha creato una liquidità di frontiere di- cerazioni» [6], e poi sottolinea che alcune deBinizioni periodizzanti, come Rinascimento, Manierismo, Barocco, Neoclassicismo e tante altre ancora «hanno subito critiche altrettanto incalzanti e perentorie per la pretesa di caratterizzare la produzione di un secolo, in virtù di un hegeliano “spirito del tempo”» [7]. La pluralità è la nostra condizione contemporanea: questo lo affermano BilosoBi e sociologi già da molto tempo. Lyotard [8] colloca in alcuni strappi nei rapporti tra scienza e tecnica, le condizioni delle applicazioni socio-economico-politiche che già nell’Ottocento hanno posto le basi per la creazione di una “condizione postmoderna” caratterizzata dall’assenza della verità , dalla pluralità dei linguaggi e da possibili soluzioni pragmatiche. Bauman ha ulteriormente aggiunto che la nostra società è liquida, caratterizzata anch’essa da una assenza deBinitoria, incapace di individuare concetti veritativi, e dunque condannata al moltiplicarsi della pluralità centrifuga. Quindi la pluralità viene riconosciuta come condizione della società contemporanea e come condizione della produzione artistica contemporanea. Eppure, abbiamo ancora macro-storie dell’arte costruite su un ipotetico “spirito del tempo” univoco che, come su un letto di Procuste, taglia via parti indiscriminatamente. Si assiste alla paradossale condizione della storiograBia artistica contemporanea che afferma l’impossibilità deBinitoria del “concetto di arte” e nello stesso tempo costruisce una storia dell’arte che discrimina opere e artisti in base ad un concetto univoco e strettissimo di arte che però ci si riBiuta di “deBinire” teoricamente: un vero paradosso!

Per esempio non viene generalmente storicizzata in termini concettuali adeguati quella forma di pluralità che dal XVIII secolo si esprime nella forma dei revival diatopici, diacronici, utopici, eucronici: infatti nel momento in cui alcuni sentirono l’esigenza di sovvertire l’ordine costituito, idealizzando un mondo antico ormai perduto da millenni, tentarono un recupero, un vero e proprio “revival” [9], nelle intenzioni, capace non solo di rievocare l’antico, ma di riportare il paganesimo, i suoi valori, le sue forme di comportamento sociale e la visione religiosa nella vita quotidiana. Tra Settecento e Ottocento si acuisce uno scontro frontale tra cattolici e rivoluzionari, tra cristiani e neopagani o laicisti, e se vogliamo raccontare veramente quei secoli non possiamo limitarci solo a una parte delle esperienze artistiche prodotte, o peggio condannare all’oblio una parte di artisti, opere e monumenti, solo perché non rispondono all’ipotetico “spirito del tempo”, che in questi casi coincide con coloro che hanno vinto. Questa visione progressiva e progressista della storia dell’arte genera un senso di vuoto, di mancato racconto, di incipiente bisogno di conoscere “tutte le storie dell’arte” e non solo alcune, in nome di una vera e reale pluralità storica.

Un esempio editoriale contemporaneo è quello che Alfredo Accatino ha proposto in singole storie di artisti perduti nell’oblio e poi ritrovati, pubblicate su riviste di storia dell’arte ed in seguito radunate in tre bei volumi dal titolo signiBicativo di Outsiders. Gli Outsiders possono essere letti in molti modi, ovvero come storie di artisti “eccezionali”, oppure come racconti di strani personaggi “eccentrici”, o ancora come regesti di artisti “fuori catalogo” letteralmente “fuori luogo”, ma l’unico risultato è raccontare le tante tantissime vite di artisti “dimenticati” del Novecento. Accatino, pur non distaccandosi da una linea analitica interna allo “spirito del tempo”, racconta di alcuni uomini e donne che, forse troppo avanti per il tempo in cui hanno vissuto, sono stati in qualche modo marginalizzati, oppure di taluni che, seppure famosi o al centro di molti crocevia, poi sono stati trascurati dalla storiograBia.

Ma esiste anche la storia di artisti mai comparsi nelle narrazioni storiograBiche e neanche riconosciuti negli elenchi “ufBiciali”, quindi perduti nel buio del tempo, senza una collocazione spazio-temporale, ma soprattutto senza un ruolo culturale attivo nella nostra contemporaneità . Sono oramai molti anni che viag- giando mi imbatto in notevoli opere d’arte i cui arteBici in vario modo non sono stati considerati all’altezza di essere inseriti nella storiograBia ufBiciale. Si tratta di artisti, talvolta anche geniali, che seppur avendo realizzato tanto, seppur avendo raggiunto vette di tecnica e di poetica, sono poi stati condannati all’oblio, scartati dal racconto, dalla narrazione nella contemporaneità . Proprio cosı̀ si costruisce quella storia dell’arte che induce a pensare che esista solo quello che è raccontato, e che sia realmente inBluente nel percorso d’arte contemporaneo solo ciò che è narrato nei manuali e in alcune mostre retrospettive di epoche passate. Poi si incontrano opere sconosciute di artisti non raccontanti e comincia il desiderio di scrivere storie dell’arte realmente plurali.

Ma mettiamo ordine. Ci sono diversi tipi di distonia narrativa nella nostra contemporaneità , più o meno colpevoli di pregiudizio.

Abbiamo tre gruppi distinti di artisti sommersi, tre realtà che hanno avuto trattamenti storici molto diversi tra loro, e che però in qualche modo sono stati rimossi e non fanno parte della maggioritaria riBlessione sull’arte nel- l’oggi.

Il primo gruppo è fatto di grandi campioni, ai quali sono stati dedicati in altri tempi montagne di studi specialistici, ma oggi sono inseriti nei manuali di storia dell’arte in modo marginale, come se non fossero più ritenuti degni di narrazione. Mi riferisco a quegli artisti, che hanno avuto un ruolo politico fondamentale per la nascita dell’Italia moderna, in quanto protagonisti attivi del Risorgimento, che si sono impegnati in politica e che in alcuni casi hanno svolto incarichi importanti come artisti, ma anche come politici o soldati. Artisti che hanno raccontato il cambiamento politico, le battaglie risorgimentali, i luoghi, le idee, la quotidianità , i miti letterari, paesaggi marini, agricoli, montani ed urbani dell’Unità Nazionale. Artisti che hanno rappresentato i temi delle questioni sociali tra Ottocento e Novecento, che hanno raccontato cruente battaglie o massacri, le sconBitte delle guerre coloniche, sogni e illusioni di una Italia che pian piano stava crescendo e che seppur in mille contraddizioni era in grado di esprimere grandissimi artisti Bigurativi di fama internazionale. Le opere di questi artisti sono state raccolte e musealizzate nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, ma in tempi recenti sono state messe in magazzino e non sono più esposte. Lascio qui tra parentesi la questione delle opere che hanno preso il loro spazio espositivo, ovvero quelle mostre di installazioni, peluche e oggetti vari, che già hanno invaso tutti i musei italiani in esposizioni temporanee e che certo non avevano bisogno di ulteriore spazio espositivo. Mi voglio concentrare invece proprio sugli artisti messi in magazzino. Si tratta di grandi nomi, come Francesco Hayez, Massimo D’Azeglio, Eleuterio Pagiano, Girolamo e Domenico Induno, Gioacchino

Toma, Federico FarufBini, Silvestro Lega, Vincenzo Cabianca, Vincenzo Camuccini, Giovanni Fattori, Giulio Aristide Sartorio, Michele Cammarano, Domenico Morelli, Stefano Ussi, Bernardo Celentano, Francesco Paolo Michetti, Adriano Cecioni, Giacomo Favretto, Antonio Mancini, Vittorio Corcos, Giacomo Grosso, Antonio Fontanesi, Tranquillo Cremona, Luigi Serra, Giacomo Balla, Cristiano Banti, Giovanni Boldini, Umberto Boccioni, Giuseppe Pellizza da Volpedo, Bino a De Chirico, Casorati, Cagnaccio di San Pietro e per-

Bino Renato Guttuso, solo per citare alcuni nomi tra i tanti conservati in questo museo splendido, ma che ora sono stati sottratti alla vista, allo studio ed all’ammirazione.

Assistiamo ad un altro paradosso. Mentre si riconosce il valore fondativo dell’Ottocento per le battaglie combattute in nome della libertà e della storia istituzionale italiana, però , nel contempo, una certa critica storico- artistica sta progressivamente marginalizzando e condannando all’oblio l’esperienza Bigurativa artistica che ne è parte integrante. Sembra essere un attacco speciBico alle radici dello sviluppo Bigurativo italiano tra Ottocento e Novecento.

In altre nazioni europee, penso alla Francia per prima e poi alla Gran Bretagna o alla Spagna, gli artisti dell’Ottocento sono invece valorizzati, promossi ed esportati in centinaia di mostre in giro per il mondo.

Tutti conoscono gli Impressionisti, ma pochi conoscono i Macchiaioli o le varie scuole di paesaggisti sparse in giro per l’Italia, dagli artisti siciliani ai campani radunati nella scuola di Posillipo, con a capo Giacinto Gigante. Poche cose vengono proposte della nostra immensa arte ottocentesca in giro per il mondo. Oggi, ad esempio, vediamo che in Spagna un artista come Joaquı́n Sorolla, è stato riproposto al grande pubblico con retrospettive e mostre internazionali, riscontrando un enorme successo ovunque. Tutti conoscono Monet, Manet, Degas o Henri de Tou- louse-Lautrec, ma pochi o nessuno Lega, Cabianca o quello di artisti, che pur avendo lavorato tanto, pur di rilievo con ruoli prestigiosi nel campo dell’arte sacra a cavallo tra Ottocento e Novecento, non sono affatto presenti nei manuali di storia dell’arte. Un grandissimo Cesare Maccari con le sue decorazioni della cupola del santuario della Santa Casa a Loreto, luogo dove dipinsero anche Modesto Faustini e Ludovico Seitz, oggi è del tutto dimenticato e neanche preso in considerazione come possibile modello per studiare soluzioni compositive e tecniche per la nuova realizzazione di opere d’arte sacra. Maccari aveva una grandissima tecnica sia nel disegno che nella pittura e una facilità nel comporre lunette, riquadri e spicchi di cupola, con una capacità creativa enorme anche nella ideazione di decorazioni innovative. Certo oggi difBicilmente potremmo usare quella dimensione retorica tipica di un certo linguaggio artistico a cavallo del Novecento, ma si potrebbe benissimo studiarne le idee organizzative dei cicli pittorici, per esempio, realizzati a Loreto o a Genova nella chiesa della Consolazione o ancora a Nardò nella basilica cattedrale di Santa Maria Assunta. Maccari non è peraltro un artista che ha lavorato solo per la Chiesa, anzi i suoi più importanti lavori sono realizzati nel Palazzo di Giustizia di Roma, e soprattutto nel Palazzo del Senato a Roma, ed era un artista peraltro entrato in

Massoneria nel 1888 [10]. Nonostante questo, difBicilmente viene ricordato se non negli studi specialistici. Un altro caso molto importante è quello di Biagio Biagetti. Infatti, gli incarichi vaticani che Biagio Biagetti [11] ebbe nel corso della sua vita furono numerosi; assieme alle nomine di Reggente della PontiBicia Insigne Accademia dei Virtuosi al Pantheon, di Commissario PontiBicio per l’Arte Sacra, di Docente presso l’Istituto Beato Angelico per l’Arte Sacra a Milano, fu Direttore dei Musei Vaticani, Direttore dei Laboratori di Restauro e Direttore dello Studio del Mosaico Vaticano; inoltre fu artista colto e rafBinato, dipinse capolavori ammirati da tutti i suoi contemporanei. Ricostruire il lavoro di un grande maestro quale Biagio Biagetti, che ha operato al Bianco di altri grandi artisti, quali per esempio i già citati Ludovico Seitz e Cesare Maccari, oltre a Francesco Ferranti, Alessandro Franchi, Guido Guidi, Tommaso Minardi, Luigi Mussini, è interessante sia per comprendere cosa accadde tra XIX e XX secolo, sia per comprendere l’identità dell’artista cristiano e la Binalità dell’arte sacra cristiana nella vitalità della storia della Chiesa, al Bine di creare una continuità seppur nell’innovazione artistica e stilistica.

Nonostante tutto questo, è assente dai manuali di storia dell’arte, anche da quelli di storia dell’arte cristiana.

Il terzo gruppo di artisti è forse il più numeroso, ovvero artisti che pur avendo fatto grandi cose, ma in una dimensione regionale e provinciale, non sono stati considerati, se non appunto in una dimensione locale e che pure invece hanno inventato grandi composizioni artistiche in tutta Italia, migliorato le tecniche artistiche, sviluppato repertori artistici ed iconograBici e soprattutto sono tuttora ammirati ed amati dalle popolazioni locali, che li ammirano da sempre. Di fatto è una strana condizione, quella di questa categoria di artisti, bravi, capaci, per certi versi schivi, ma sempre attenti a cosa accadesse di nuovo in giro per il mondo, reagendo spesso anche in maniera organizzata e intelligente al progredire della disciplina pittorica, ma rimanendo saldamente fedeli ad essa, senza smanie di protagonismo, di aderire a ideologie alla moda, solo per emergere dal gruppo o per vanagloria. Tra questi ovviamente i più trascurati, rimossi e dimenticati dai libri di storia dell’arte sono proprio gli artisti che hanno affrontato temi di arte sacra in una dimensione artistica Bigurativa. Un nome tra tanti è Amedeo Trivisonno [12] molisano e arteBice di moltissime opere in moltissime chiese del suo territorio. Figurativo realista dallo stile sobrio ed elegante, prediligeva l’affresco, ma anche la pittura ad olio che ha utilizzato in tante grandi tele collocate ad esempio nelle cappelle del Santuario di Castelpetroso o anche l’Ultima Cena nella chiesa parrocchiale nel comune di Rocca San Giovanni in Abruzzo. Suoi lavori si trovano nella cattedrale di San Pietro a Isernia realizzati nel 1927; a Campobasso nella Cattedrale dipinti tra il 1933 ed il 1935, o ancora nella cappella del Convitto nazionale "Mario Pagano" e nella chiesa di Santa Maria del Monte; nella chiesa di San Giovanni Battista a San Giovanni in Galdo realizzati nel 1949; nella chiesa madre di Santa Cristina di Sepino nel 1968. Fu chiamato a dipingere per molte chiese dei paesi tra le montagne e le valli molisane, luoghi quali Baranello, Venafro, Colle che custodiscono gelosamente le sue opere. Poi superato il conBine regionale prima verso nord giunse in Abruzzo, dove lavorò a Tocco da Casauria e a Pollutri, poi verso ovest giunse in Campania a Benevento, e poi verso sud giunse in Puglia a San Marco in Lamis e Serracapriola. Dal 1952 Trivisonno ebbe l’incarico dal Ministero della Pubblica Istruzione di insegnare [13] presso la Scuola d'Arte italiana “Leonardo da Vinci” al Cairo, in Egitto, dove ebbe in qualche modo un riconoscimen- to, seppur parziale, delle sue grandi competenze tecniche e artistiche. Continuò comunque a tornare in Italia, nel suo territorio natio, per continuare a realizzare opere nelle chiese del centro e del sud Italia, e morı̀ nel 1995 a Firenze, città nella quale si era stanziato deBinitivamente di ritorno dal Cairo. Sulla porta del suo studio Biorentino aveva scritto questa frase emblematica: il mio è un duro lavoro; non chiedetelo in regalo perché mi fate male [14].

La pluralità che contraddistingue la nostra realtà sociale e culturale dunque non viene rispettata dalla storiograBia artistica, anzi viene elusa al Bine di mostrare in una monolitica contemporaneità visuale, un’altra presunta pluralità , tutta interna ad un discorso monocorde sul presente, con un evidente intento ideologico didattico.

Si tratta forse del tentativo di negare che esista una continuità Bigurativa che si è sviluppata nella modernità , nella postmodernità ed arriva Bino ad oggi?

Bibliografia e note

1. Burkhardt J., La civiltà del Rinascimento in Italia. Sansoni editore, Firenze, 1984.

2. Wö lfBlin H., Concetti fondamentali della storia dell’arte. Longanesi, Milano 1984.

3. Mâ le E., Le origini del Gotico. L’iconograQia medioevale e le sue fonti. Jaca Book Milano, 1986.

4. Sedlmayr H., La luce nelle sue manifestazioni artistiche, a cura di Pinotti A., Aestetica Palermo, 2009; Sedlmayr H., La morte della luce. L’arte nell’epoca della secolarizzazione. Rusconi editore, Milano 1970.

5. Papa R., Discorsi sull’arte sacra. Cantagalli Siena, 2012 pp. 143-150; Papa R., La nascita della prospettiva e i suoi sviluppi: Dante, Leonardo e Raffaello, in Dante, Leonardo, Raffaello: La divina consonanza di arte e poesia, a cura di Fagiolo M., Gangemi Editore, Roma 2022, pp. 104-115.

6. Rossi Pinelli O. ed., La storia delle storie dell’arte. Einaudi, Torino, 2014, p. X.

7. Ivi, p. XII.

8. Lyotard JF., La condizione postmoderna. Feltrinelli, Milano 1981.

9. Papa R., Discorsi sull’arte sacra, op. cit., pp. 69-118.

10. Gnocchini V., L'Italia dei Liberi Muratori. Erasmo ed., Roma, 2005, pp. 171-172.

11. Ondarza P., Verità e bellezza. La via pulchritudinis in Biagio Biagetti. Presentazione di Papa R., Aracne, Roma 2014.

12. Carano C., Sognando il Rinascimento: Amedeo Trivisonno. Società TipograBica, Campobasso 1992.

13. Insegnava le seguenti discipline: Bigura disegnata, Bigura dipinta, nudo, anatomia artistica, storia dell’arte, disegno architettonico, geometria teorica e pratica.

14. Carano C., op. cit., p. 17.

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