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...al Pinot nero d’Oltrepò...
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Finito di stampare nel mese di Dicembre 2008 da
di Vanetta Lorenzo & C. s.n.c.
Tipolitografia Succ. Diani e Maffi Viale Repubblica, 1 - 27043 BRONI (PV) Tel. e Fax +39 0385 51031 www.dianiemaffi.com – E-mail: info@dianiemaffi.com
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Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese
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AUTORI Attilio Scienza Osvaldo Failla Luigi Mariani Laura Rustioni Rodolfo Minelli
DI.PRO.VE. – DIpartimento di PROduzione VEgetale Università degli Studi di Milano Facoltà di Agraria www.diprove.unimi.it
Luca Toninato Jacopo Cricco Davide Bacchiega Alessandro Zappata Lorenzo Monterisi
AGER Sc – AGricoltura E Ricerca Milano www.agercoop.it info@agercoop.it
Alice Colombo Mario Maffi Carlo Alberto Panont (Coordinatore editoriale)
Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese P.zza Vittorio Veneto, 24 - Broni PV www.vinoltrepo.it info@vinoltrepo.it
Con il contributo di: Fondazione Comunitaria della Provincia di Pavia ONLUS
Fondazione Cariplo
C.C.I.A.A. Pavia
Ringraziamenti: La realizzazione di un volume come questo per la sua complessità e completezza ha previsto numerosi interventi e collaborazioni di persone, istituzioni, enti ed aziende che si vogliono qui ricordare. In particolare l’azienda Doria S.S. di Montalto Pavese, la Tenuta Mazzolino di Corvino San Quirico, l’azienda agricola Travaglino di Calvignano e l’azienda agricola Vercesi del Castellazzo di Montù Beccaria. Inoltre si vogliono ringraziare per la collaborazione il dott. Giuseppe Zatti dello Studio Associato Venco e Zatti di Consulenze Viticolo-enologiche di Casteggio e il dott. Giacomo Mela di Allinwine di Ponte S. Pietro (BG). Un ringraziamento particolare va al dott. Lucio Brancadoro e alla dott.ssa Giulia Tamai dell’Università di Milano, alla dott.ssa Valeria Fasoli e al dott. Maurizio Bogoni per l’aiuto, la competenza e per i numerosi lavori che hanno permesso una migliore la conoscenza del territorio. Si ringrazia inoltre il dott. Luca Salviati per le splendide foto del territorio dell’Oltrepò. Infine si ringraziano i Vivai Tutzer, i Vivai Cooperativi Rauscedo, i Vivai Golferenzo Guido e Pépinières Guillaume per tutta l’attenzione e la gentilezza mostrata per la raccolta del materiale sulle schede clonali.
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Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese pag. 1. Il Pinot nero: paradigma dell’origine della viticoltura europea (Attilio Scienza, Mario Maffi) 1.1. Il Pinot nero e l’Oltrepò Pavese 2. Le risorse ambientali (Luigi Mariani, Rodolfo Minelli)
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2.1. Il clima
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2.2. Analisi pedopaesaggistica
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3. Le Unità Territoriali della D.O. Oltrepò Pavese (Luca Toninato, Davide Bacchiega, Lorenzo Monterisi, Osvaldo Failla, Laura Rustioni)
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4. Manuale d’uso del territorio
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4.1. Le scelte agronomiche (Luca Toninato, Davide Bacchiega, Alessandro Zappata, Jacopo Cricco, Lorenzo Monterisi, Osvaldo Failla)
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4.2. Le scelte clonali (Alice Colombo)
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4.3. Le scelte enologiche (Laura Rustioni, Lorenzo Monterisi)
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5. Bibliografia
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6. Appendice
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Disciplinare di produzione dei vini a Denominazione di Origine Controllata e Garantita “Oltrepò Pavese” Metodo Classico
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Disciplinare di produzione dei vini a Denominazione di Origine Controllata “Oltrepò Pavese”
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1. Il Pinot nero: paradigma dell ’origine della viticoltura europea Probabilmente l’origine del Pinot può essere fatta risalire al III-IV secolo dopo Cristo, come appare da un documento di ringraziamento all’imperatore Costantino del 312, da parte degli abitanti della città di Autun, dove viene citato un vigneto famoso per la sua qualità, nel pagus Arebrignus, nella Côte de Nuits. Tralasciando la dotta dissertazione con la quale Gaston Roupnel nel 1932 descrive il paesaggio rurale della Borgogna durante la presenza romana, alcuni particolari delle modalità di coltivazione di quel vigneto ci aiutano a risalire alle varietà coltivate, che come era consuetudine allora, non venivano mai citate. Il termine cepage con il quale si nomina il vitigno in francese deriva da cep, ceppo, pianta, indicazione generica di una vite. Il vigneto dava l’impressione di essere abbandonato, tale era l’aspetto di una inestricabile vegetazione costituita da piante molto vecchie disposte senza alcun ordine e moltiplicate per propaggine. Non è difficile riconoscere in questa descrizione un esempio singolare di viticoltura detta “per protezione”, dove le viti selvatiche nate spontaneamente in luoghi selvaggi venivano sottoposte ai primi processi di domesticazione (o protodomesticazione). Questa viticoltura caratterizzava il medio bacino del Reno, l’Alsazia ed il Baden, patria di origine di una famiglia varietale che Levadoux, famoso ampelografo francese, definisce dei “Noirien”. Molte sono le caratteristiche in comune che il Pinot ha con le numerose viti selvatiche ancora presenti in alcune isole sul Reno e che i botanici tedeschi dell’800 come Gmelin, Bronner, Basserman-Jordan descrivono accertando la presenza di tipologie fogliari identiche al Pinot ed al Traminer. Anche l’indice di Stummer classifica i semi di Pinot come appartenenti alle viti selvatiche, unitamente alle dimensioni ridotte dei grappoli e degli acini ed al loro grande polimorfismo, al sapore speciale del mosto dove è presente l’antranilato di metile, un composto aromatico tipico della “Vitis labrusca”. Ma la storia della rinascita della viticoltura francese dopo i fasti della cultura massaliota e narbonnese e la crisi provocata dall’editto di Domiziano, inizia circa cinquanta anni prima del documento di ringraziamento a Costantino, con la ricostruzione operata da Probo e con l’introduzione da Il Pinot nero, tavola tratta da Viala P., Vermorel V., parte delle sue legioni di nuovi vitigni da oriente, 1909, Ampelographie, volume II, Parigi.
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dalla Pannonia e dalla Croazia dove stazionavano le due legioni più fedeli all’imperatore illiro, la Gemina e l’Invicta, responsabili del controllo delle frontiere orientali dell’impero. Questi vecchi vigneti semiabbandonati della Borgogna vengono allora rivitalizzati non con lo spianto delle vecchie viti, ma attraverso l’impianto di nuove talee di varietà chiamate genericamente a causa della loro origine, Heunisch (da Hunnisch, Unni, dal nome degli abitanti di quelle regioni ad est della Pannonia). In Francia l’Heunisch è chiamato Gouias ed in Svizzera Gwass, con la stessa fonetica sgradevole. Alla caduta dell’Impero Romano segue un periodo di decadenza economica e politica e solo con il governo dei Franchi e di Carlo Magno, che assegna le terre coltivabili e da bonificare agli ordini monastici, benedettini in primis, si assiste al recupero dei vecchi vigneti decadenti ed alla creazione di nuovi con il materiale genetico che si era originato spontaneamente da seme. In particolare il convento di Beze nel VII secolo e quelli certosini nel XII hanno avuto un ruolo determinante nelle creazione dei vigneti pionieri su suoli di diversa fertilità. L’opera dei monaci nella selezione e diffusione del nuovo vitigno nato per caso è in questa fase provvidenziale ed il Pinot nero, sebbene con altri nomi,vede finalmente la luce. Ad onor del vero Columella, nella sua opera “De Re Rustica”, aveva molti secoli prima descritto un vitigno selezionato dai celti di Allobrogia, a foglie rotondeggianti, tipiche delle viti selvatiche, che sopporta il freddo, il cui vino si conserva con l’invecchiamento e che ama i terreni magri per la sua elevata fertilità, caratteristiche che corrispondono perfettamente a quelle del Pinot nero che conosciamo oggi. Come in un libro di storia, dove fantasia e realtà si mescolano senza possibilità di essere distinte, con un salto di quasi duemila anni, si giunge ai nostri giorni e con l’apporto della genetica molecolare attraverso l’analisi del DNA, non solo le origini ma anche il contributo del Pinot nero alla creazione di altri vitigni europei, appaiono più chiare. Infatti il Pinot nero è il risultato di un incrocio spontaneo tra il Traminer ed un Pinot meunier, così chiamato per la tomentosità delle sue foglie, vitigno considerato un ancestrale dei Pinots. Il Pinot nero quindi, messo a contatto con queste varietà provenienti da oriente, ha dato origine allo Chardonnay e con lui altri quindici vitigni della regione borgognona tra quali i più importanti sono il Melon ed i Gamays. Tracce genetiche di Pinot nero sono riscontrabili anche nel Lagrein e nel Teroldego. L’analisi molecolare delle varietà coinvolte nel pedigree del Pinot consente di evidenziare la loro similarità dalle frequenze alleliche del DNA sia plasmidiale che nucleare, che evidenzia come il flusso genico sia avvenuto sia per dispersione di semi che di polline. Ad esempio tra le varietà di origine italiana e croata si manifesta una prevalenza degli alleli di origine selvatica a testimoniare una introgressione di pochi vitigni stranieri i quali male si adattavano ai climi a loro poco favorevoli dei luoghi dove erano stati acclimatati e quindi dopo un periodo di coltivazione assieme alle viti paradomesticate, dai semi che germinavano spontaneamente, venivano scelte delle piante che presentavano una migliore produttività. Per comprendere il ruolo che ha avuto il Pinot nella formazione di molti vitigni europei, molto interessante appare uno studio condotto nel 2004 in otto vigneti storici vicini ad Heidelberg, in Germania, che presentavano viti dall’età variante tra 60 e 200 anni e che raccoglievano più di 60 varietà delle quali alcune molto rare. Vicino a vitigni come
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l’Honigler ungherese, il Primitivo italiano, l’Elbling bleu (incrocio tra Schiava e Riesling), sono stati identificati molti vitigni senza un nome, tutti frutto di un incrocio con il Pinot. La viticoltura episcopale ed ecclesiatica medioevale estende la coltivazione del Pinot nero al di fuori dei clos conventuali ed i Duchi di Borgogna, in particolare Filippo l’Ardito e Filippo il Buono, tra il XIV e XV secolo, lo proteggono dalla concorrenza “sleale “del Gamay. Il Pinot era chiamato nei documenti del XII-XIII secolo con il nome generico di “plant”, simile come significato a “cep”, che veniva aggettivato con il nome della sua provenienza geografica con “auvernat” o “orleanais”. Più tardi anche con il nome di “Pineau”. Il termine “plant” fu usato sia in Borgogna che in Champagne fino alla ricostruzione postfillosserica e la distinzione tra le diverse tipologie varietali era fatta in base al colore dei tralci: Plant gris con grappoli piccoli, a maturazione tardiva che davano un vino non di grande qualità e Plant dorè a foglie intere, di buona produzione, ma che a causa della precocità di maturazione fornivano vini migliori. Nel XIV secolo compare il termine di “Pynos” usato da E. Deschamps nella ballata della “Verdure des Vins” e poco tempo dopo in uno scritto borgognone, si parla di Pinoz al plurale per indicare la grande famiglia varietale. Da allora le citazioni si moltiplicano e Champagne e Borgogna si contendono il luogo di origine del vitigno. L’Ottocento, con lo sviluppo degli studi ampelografici, mette in evidenza una caratteristica originale di questo vitigno: la sua grande variabilità intravarietale che consente di identificare e descrivere più di cinquanta tipologie di Pinots, differenti per la morfologia fogliare, per colore della bacca, del succo, della produttività, della precocità e per il nome del selezionatore. Per la sua ampia diffusione sia in Francia che all’estero assume molte denominazioni come Morillon nei dintorni di Parigi, Burgunder e Clevner in Germania, Borgogna in Italia. Il Pinot nero che conosciamo oggi non è però quello delle origini. Le forme primitive, anteriori al X secolo erano poco produttive e venivano chiamate Noble de Touraine e Salvagnin noir del Jura (è evidente il richiamo alla tipologia morfologica del Traminer). Con lo sviluppo della viticoltura specializzata commerciale avvenuto dopo la piccola glaciazione, verso il 1700, vengono introdotte forme di maggiore produttività e ricchezza di colore chiamate Auvernal e Cortalloid (in questo caso il richiamo semantico è allo Chardonnay). Solo nel XVIII e XIX secolo, in Borgogna prima ed in Champagne poi, compaiono le tipologie che conosciamo oggi e che vengono classificate in vari gruppi alle soglie dell’arrivo della fillossera: • gruppo dei Pinots neri cosidetti tipici; • gruppo dei mutanti cromatici (grigio o Rulaender, bianco, tête de nègre, teinturier, ecc.); • gruppo delle selezioni fatte dai viticoltori (Liebault, Giboudot, de la Malle, Crepet, ecc.); • gruppo dei Pinots espressione di luoghi di selezione e coltivazione (d’Ervelon, Trepail, du Valais, Mariafeld, ecc.); • gruppo dei Pinots dalla particolare caratteristiche morfologiche (cioutat, a limbe cotonneaux, cendre, double, meunier, ecc.); • gruppo dei Pinots precoci ottenuti da seme per autofecondazione.
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In Champagne fino al secolo scorso il Pinot era chiamato Vert dorè o Plant dorè dal colore degli apici e dei germogli giovani. Ci sono voluti 1500 anni di selezione per arrivare ai cloni di Pinot nero che coltiviamo oggi. Attualmente la classificazione è molto semplificata tra i tipi fini (per produrre vini rossi) e produttivi (in genere per la produzione di Champagne), con un’indicazione supplementare del portamento della vegetazione (eretto o ricadente). In particolare si distinguono i Pinot neri cosiddetti qualitativi a bassa produttività utilizzati per la produzione dei vini rossi di Borgogna ai quali fanno capo i cloni francesi 114, 115, 777 e quelli italiani 5V17, MIRA 3131, SMA 201 e quelli produttivi utilizzati soprattutto in Champagne come quelli francesi siglati 583, 289 e quelli italiani LB9, R4. La causa di questa grande variabilità risiede nella alta frequenza con la quale compaiono in questo vitigno le mutazioni di origine chimerica o trasposonica che modificano l’espressione di alcuni geni che codificano per il colore della bacca, le più frequenti (basti pensare al Pinot bianco e grigio), ma anche per la forma della foglia o per il portamento della vegetazione. In Italia, malgrado il Pinot nero sia un vitigno adattato soprattutto alle regioni temperato-fresche, si diffuse lungo tutta la Penisola fino alla Sicilia a partire dalla fine del 1800 per la sua costante produttività e per l’elevato tenore zuccherino. La valutazione delle sue doti enologiche fu sempre molto sommaria perché di norma veniva vinificato assieme ad altre varietà ed a causa della sua precocità di maturazione nelle regioni meridionali o comunque negli ambienti più caldi subiva l’assalto degli uccelli o quello del marciume grigio. Per questi motivi con la seconda ricostruzione postfillosserica la sua diffusione nel nostro Paese subisce una drammatica contrazione e la sua coltivazione si attesta in Oltrepò Pavese, in Trentino-Alto Adige e marginalmente in Friuli e Veneto orientale. Degna di nota per l’eccellenza della qualità, è una piccola produzione nel pescarese, retaggio della presenza bonapartista nelle Marche. L’Oltrepò Pavese rappresenta oggi la zona italiana che presenta la maggiore superficie di Pinot nero, con circa 2.500 ha, ma che lo vinifica soprattutto in bianco per la presa di spuma. I tenori elevati di argilla accompagnati da buone presenze di calcare attivo alle quote più elevate, sono alla base della produzione di vini-base con buona freschezza, pH bassi e profumi eleganti. Il clima temperato del Trentino-Alto Adige, simile in alcuni meso-climi (esposizione ad Ovest, altitudini 300-400 mslm, presenza di brezze di monte che consentono buoni sbalzi termici tra giorno e notte, ecc.) a quello più continentale della Borgogna, è quello che consente una produzione di Pinot neri vinificati in rosso comparabile per descrittori sensoriali a quella francese. Purtroppo mancano quei tenori di argilla nel terreno che fanno di quei vini dei modelli irraggiungibili. Oregon e Nuova Zelanda in questi ultimi anni hanno prodotto dei Pinot neri molto vicini allo stile borgognone. Molti sono i problemi di natura colturale e compositiva che fanno del Pinot nero un vitigno molto difficile da coltivare e da vinificare. Si ricordano molto brevemente alcuni di questi aspetti quali il vigore elevato delle viti che complicano la gestione della chioma, la sensibilità alla botrite ed
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all’oidio, la difficoltà di avere una maturazione fenolica contemporanea nelle bucce e nei vinaccioli che spesso è alla base di un contenuto nel vino di tannini poco polimerizzati, la mancanza di antociani esterificati che rende il colore poco stabile e che tende con l’invecchiamento all’aranciato, la facilità con la quale accumula gli zuccheri nell’uva che comporta un ridotto contenuto in acidi nel mosto. In vinificazione è spesso vittima dell’acescenza se non si gestisce in modo corretto il cappello. Sono dimostrati sia il ruolo più favorevole delle follature nei confronti dei rimontaggi nell’estrazione del colore e dei tannini meno aggressivi sia il vantaggio che comporta nella complessità sensoriale la malolattica in barrique nei confronti di quella in acciaio. È quindi un vitigno capriccioso che si esprime in vini ineguagliabili solo in ambienti dalle caratteristiche molto particolari e che per questo non può essere paragonato al Cabernet o allo Chardonnay per la loro capacità di adattamento a climi molto diversi. Inoltre esige sia in vigneto, prima nella scelta dei cloni e quindi nel controllo della produzione per ceppo, che in cantina nelle attenzioni durante la vinificazione, una cura maniacale fatta di accorgimenti e soluzioni, tenute accuratamente segrete dal produttore. Per queste sue caratteristiche è il vitigno che meglio sa esprimere nel vino i segreti più intimi di un terroir e la sensibilità interpretativa del vinificatore.
1.1. Il Pinot nero e l ’Oltrepò Pavese Taluni ampelografi ipotizzano la presenza dei genotipi originari del Pinot già presenti, su queste colline, dal tempo dei romani; attendibili i riferimenti riconducibili all’Oltrepò Pavese che risal-
Vigneto di Pinot nero in V alle Versa fotografato negli anni ‘60 (Fonte: Archivio La V ersa S.p.A.).
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gono al 1500 ove si citano Pinolo, Pignolo gentile e Pignolo grappolato. Giovanni Dalmasso, nel sostenere le antiche origini del vitigno, afferma che il Pinot grigio potrebbe essere identificato con le piante note agli antichi romani come “helvolae” ossia con uve grigie. Nella seconda metà del XIX secolo il Pinot nero approda in Oltrepò Pavese e di seguito viene sperimentato in tutta la penisola e in Sicilia; la maggior parte degli addetti ai lavori valuta la produzione come uva da taglio con le loro autoctone e sorpresi dalla maturazione precoce, nonché dai danni provocati da uccelli e altri animali, abbandonano il progetto. Solo in Oltrepò Pavese il vitigno trova il suo habitat ottimale; i primi impianti si effettuano a Rocca de’ Giorgi nel 1865 per opera del Conte Carlo Giorgi di Vistarino che pochi anni dopo, unitamente all’imprenditore piemontese Carlo Gancia, inizia a elaborare e commercializzare lo Champagne italiano. Ad emularlo, alla fine degli anni settanta, è l’Ing. Domenico Mazza di Codevilla che assume un enologo originario di Reims al fine di produrre bollicine e in breve tempo si ottengono ottimi risultati sia qualitativi, sia commerciali. Due sono le tipologie di spumante proposte dall’azienda: uno secco, l’altro semi-secco. Significativo il riconoscimento, 1° posto, ricevuto all’Esposizione Nazionale di Milano del 1894; merita una segnalazione anche l’evento riportato nel 1886, dal Giornale Vinicolo Italiano, relativo al varo della nave “Vesuvio” avvenuto in quel di Napoli, ad opera del Principe Luigi di Savoia, con una bottiglia di Champagne Montelio. Nel 1907 nasce a Casteggio la SVIC (Società Vinicola Italiana di Casteggio) e a dirigerla viene chiamato Pietro Riccadonna, uno dei padri della spumantistica moderna, che come motto per il lancio commerciale dello spumante fa sua l’affermazione biblica: “cos’è la vita se non spumeggia il vino?”. Due anni dopo viene affiancato da Angelo Ballabio e, successivamente, altri due personaggi emergenti si aggregano a loro: Mario Odero e Raffaello Sernagiotto i quali operano molto bene e il loro prodotto varca l’oceano. Nel 1912 il cartello pubblicitario “Gran Spumante SVIC” è collocato, in maniera ben visibile, accanto alla statua della libertà di New York per la commozione e la gioia degli emigranti oltrepadani che cercano fortuna nel nuovo mondo. Con l’avvento della prima guerra mondiale (1915-18) la SVIC chiude i battenti e i quattro giovani imprenditori si dividono; solo due di loro, alla fine delle ostilità, procedono nel mondo della spumantistica: Angelo Ballabio a Casteggio e Pietro Riccadonna nel vicino Piemonte. La fama dello spumante secco metodo champenois dell’Az. Agr. Ballabio varca, in breve tempo, i confini nazionali e dal 1931 può fregiarsi in etichetta del contrassegno di fornitore della Real Casa con l’autorizzazione ad apporre le insegne ducali concessagli da Emanuele Filiberto Duca d’Aosta. Angelo passa il testimone al figlio Giovanni che sino alla morte (1975) resta, per il territorio, il Signore della spumantistica oltrepadana. Nel frattempo emergono altre realtà nel mondo locale delle bollicine: negli anni trenta dello scorso secolo è la Cantina Sociale La Versa a dare il via alla produzione di spumante a rifermentazione in bottiglia; fa seguito nel 1958 l’Az. Agr. Malpaga di Canneto Pavese. Con l’avvento, nel 1970, della D.O.C. Oltrepò Pavese e con la presidenza della Cantina La Versa S.p.A. affidata al Duca Antonio Denari, inizia una nuova era per la spumantistica locale e la
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Cantina Sociale di S. Maria ne diventa la locomotiva trainante. Nel 1971 nasce dal Consorzio Vini Tipici il Consorzio Volontario dei Vini D.O.C. Oltrepò Pavese, a dirigerlo Edgardo Rovati e a presiederlo è il medesimo Duca Denari che, successivamente, viene eletto anche a capo dell’Istituto dello Spumante Classico Italiano; il suo carisma lo porta ad essere tra i primattori del settore e il Pinot nero made in Oltrepò diventa una grande realtà per l’intera spumantistica nazionale. Il territorio vanta attualmente una superficie di impianto pari a 2.500 ettari a Pinot nero e 900 ettari a Pinot grigio pari al 25,60% dell’intera area vitata iscritta all’Albo della D.O. Nell’anno 2007 l’Oltrepò, grazie all’impegno profuso dal Presidente del Consorzio Vittorio Ruffinazzi e dal Direttore Carlo Alberto Panont, acquisisce la D.O.C.G. per l’Oltrepò Metodo Classico e con essa la possibilità di nobilitare ulteriormente questa regione viticola. Se il vitigno in oggetto si identifica storicamente per la produzione di uve finalizzate alla spumantizzazione, è pur vero che dagli anni cinquanta del secolo scorso qualche produttore ha intuito la possibilità di poter vinificare anche in rosso tali uve. Il primo ad ottenere eccellenti risultati qualitativi è stato il Dr. Carlo Dezza di Montecalvo Versiggia emulato, a breve, dalla Dr.ssa Giuseppina Quaroni di Montù Beccaria. Dai loro successi nasce la convinzione che, con l’adeguato supporto della ricerca scientifica, l’identificazione dei cloni ottimali, la scelta del terreno, del microclima e delle adeguate operazione colturali, una nuova importante realtà viticola-enologica possa caratterizzarsi con alcuni nostri territori. Inizia così una nuova avventura che vede impegnate già un buon numero di aziende con risultati decisamente incoraggianti. Spumanti classici importanti e un vino rosso di grande eleganza; la sfida continua e alla base sempre lui: l’accattivante, a volte bizzarro, ma sempre affascinante Pinot nero.
Cantina dell’Azienda Vistarino di Rocca de’ Giorgi: batteria di torchi idraulici di inizio secolo.
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Cumuli congesti sintomo di atmosfera instabile favor evole allo sviluppo convettivo.
Cielo sereno con cumuli da bel tempo e cirri in alta quota prodotti dall ’instaurarsi di condizioni anticicloniche.
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2. Le risorse ambientali 2.1. Il clima L’area dell’Oltrepò Pavese si colloca all’interno del bacino padano, delimitato dalle catene alpina ed appenninica e con una apertura principale verso est; in particolare la fascia collinare pavese si inserisce nella fascia appenninica che dal Piemonte si spinge verso l’Emilia. L’area è caratterizzata da solchi vallivi con direzione prevalente da sud verso nord. Fra gli aspetti legati alla localizzazione ed ai caratteri geografici che presentano le più forti ripercussioni sul clima si segnala: • La vicinanza di “regioni sorgenti” dalle quali la grande circolazione atmosferica attinge masse d’aria con caratteristiche particolari convogliandole sull’area dell’Oltrepò Pavese. Le principali “regioni sorgenti” sono la regione artica (fonte di masse d’aria fredda), la regione continentale russo – siberiana (fonte di masse d’aria molto fredda ed asciutta nel periodo invernale), l’area atlantica (fonte di masse d’aria umida e mite), il Mediterraneo, fonte di aria calda in tutte le stagioni ed infine l’area africana (fonte di aria molto calda e che si umidifica transitando sul Mediterraneo). • La struttura del rilievo (giacitura, pendenza, esposizione), la quale determina vari effetti di tipo pluviometrico, riassunti nel termine “intensificazione orografica”. Inoltre dal punto di vista termico si può osservare che le aree di fondovalle e comunque le zone di compluvio sono esposte nel periodo notturno a fenomeni di accumulo di aria fredda che scivola dalle pendici mentre le pendici stesse presentano condizioni di maggior mitezza. Inoltre le pendici non risentono degli effetti di accumulo d’aria fredda al fondo del “catino” padano, frutto delle inversioni termiche invernali ed il cui indicatore principale sono gli episodi di nebbia estesa e persistente. • La copertura del suolo che determina una vasta serie di effetti microclimatici (es: un suolo nudo si scalda molto di più durante il giorno e si raffredda più velocemente nel periodo notturno). La radiazione solare Se la radiazione solare che giunge su un terreno in piano è funzione della latitudine, nelle zone collinari sono a tutti noti in termini qualitativi gli effetti della pendenza, dell’esposizione e dell’orizzonte orografico tipico di ciascun vigneto. Per esprimere in termini quantitativi le risorse radiative territoriali è stato realizzato un modello radiativo del territorio che ha consentito di stimare le risorse radiative dell’Oltrepò su aree (celle) di 75 x 75 m. Si tratta di un importante strumento di valutazione vocazionale, che si è reso disponibile grazie all’affinamento delle tecniche di modellizzazione ed all’aumentata potenza di calcolo degli elaboratori. L’algoritmo impiegato è stato applicato al DEM (Modello Digitale del Terreno) dell’Oltrepò visualizzato in figura 2.1.
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Figura 2.1: Modello digitale del terr eno della D.O. Oltrepò Pavese.
Il risultato finale sono i valori di Radiazione globale (scomposta nella componente diretta e diffusa) e di radiazione fotosinteticamente attiva che giungono su ogni singola cella, il tutto espres2 so in MJ per m all’anno. I valori sono stati calcolati con step di 10 minuti e sono stati integrati per ottenere dei totali annuali che esprimono le risorse radiative delle singole porzioni di territorio. In particolare la mappa della PAR (figura 2.2) mostra l’estrema disomogeneità della distribuzione della radiazione sul territorio collinare dell’Oltrepò, disomogeneità che rappresenta una chiave di lettura importante per individuare le diverse vocazionalità del territorio per la coltura della vite. Mediamente l’aria orientale si presenta caratterizzata da una maggiore omogeneità di 2 valore di radiazione solare, compresa tra 2250 e 3000 MJ/m all’anno, mentre l’aria occidentale si contraddistingue per avere un andamento collinare est-ovest con i versanti rivolti verso sud molto assolati.
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Figura 2.2: Mappa della radiazione fotosinteticamente attiva (P AR) della D.O. Oltrepò Pavese.
La temperatura dell’aria La temperatura dell’aria è frutto di tre fenomeni distinti: • il bilancio energetico della superficie del terreno (quanta energia arriva dal Sole, quanta viene ceduta dalla superficie verso l’atmosfera e verso l’interno del terreno); • gli apporti di masse d’aria calda o fredda dalle zone circostanti dovuti alle brezze di monte e di valle; • gli apporti a grande scala di masse d’aria calda o fredda dalle “regioni sorgenti”. Nella fascia compresa fra la base delle colline ed i 600 m di quota la temperatura media annua presenta valori di circa 11/12°C e la temperatura media del mese più freddo (gennaio) è di circa 1/2°C. L’isoterma di 0°C che corre a circa 800 m di quota può essere considerata il limite fra la fascia di collina e quella più propriamente montana. La media delle minime è per lo più inferiore a 0°C con la particolarità che i valori delle località a quota inferiore a 400 m sono inferiori a quelli delle località poste fra 400 e 600 m come conseguenza di un tipico effetto di inversione termica.
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Le temperature medie del mese più caldo (luglio o agosto) sono relativamente omogenee (22 / 24°C) mentre a quote inferiori a 500 m sono le massime mensili (circa 28 / 30°C) ad essere sensibilmente diverse da quelle fra 500 e 600 m (25 / 27 °C). Le temperature minime verificate nei mesi di gennaio o febbraio sono comprese fra –8 e –13°C. Le precipitazioni La quantità e la distribuzione spaziale e temporale delle precipitazioni risente dei seguenti fattori principali: • la localizzazione geografica cui é connessa la frequenza e la persistenza delle diverse strutture circolatorie favorevoli alle precipitazioni e in particolare le perturbazioni atlantiche, le depressioni mediterranee e le irruzioni di aria fresca atlantica in quota nel periodo estivo cui conseguono temporali anche violenti; • effetti del rilievo (accentuazione orografica delle precipitazioni). La distribuzione media delle precipitazioni nel corso dell’anno è caratterizzata da un massimo ed un minimo rispettivamente nei mesi di novembre e di luglio. In media il mese più piovoso nella stagione primaverile risulta essere maggio (tabella 2.1).
Cumulonembo: tipica nuvola temporalesca in grado di produrr e pioggia, grandine e seppur raramente trombe d’aria.
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Tabella 2.1: Distribuzione mensile delle pr ecipitazioni medie annue (mm).
Mese
G
F
M
A
M
G
L
A
S
O
N
D
mm
69
70
91
94
121
80
47
70
89
114
143
87
La distribuzione spaziale delle precipitazioni mostra un gradiente altitudinale, con piogge che aumentano al crescere della quota e con una diminuzione progressiva da ovest verso est (figura 2.3) che indica l’approssimarsi dei minimi precipitativi dell’alessandrino (Alessandria: 556 mm/anno di precipitazione media). Figura 2.3: Mappa delle pr ecipitazioni medie annue (mm/anno) della D.O. Oltr epò Pavese.
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Vigneti dopo la nevicata del gennaio 2006.
2.2. Analisi pedopaesaggistica L’Oltrepò Pavese, in larga misura, presenta un’orografia preappenninica. Il paesaggio è quello preappenninico con fenomeni di dissesto franoso e grandi aree di erosione in cui affiorano formazioni costituite da marne, calcari arenacei, galestri e gessi. Da questi sedimenti del Secondario e Terziario emergono, nei luoghi più elevati, masse eruttive ofiolitiche nere (serpentine, diabasi, ecc.) che originano aspri dirupi senza vegetazione. La costituzione geologica dell’area può essere riassunta in: • la parte piana appartiene all’era Quaternaria; tale area è formata dalle alluvioni recenti del Po e dalle conoidi glaciali-post-glaciali e dalle correnti appenniniche che si sono sovrapposte o appoggiate alle formazioni preesistenti; • le formazioni del «diluvium recente», che si estendono su circa 25.000 ettari in terreni compresi fra le alluvioni e le prime ondulazioni collinari. Queste formazioni si presentano come una fascia che parte da Monte Acuto, tocca Stradella, Broni, Cigognola, Redavalle, Santa Giuletta, Casteggio e dopo un’ansa profonda prosegue per località Torrazza Vecchia sino a Rivanazzano. In questa zona pedecollinare è difficilissima la differenziazione tra diluvium antico e recente, dato che le marne fossilifere, che spesso si osservano sul conglomerato pliocenico, non si manifestano costantemente lasciando il dubbio sulla loro collocazione nel Pliocene o in altra età.
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I terreni collinari, nei quali si trova la maggior parte della superficie coltivata a vite dell’Oltrepò, appartengono al Cenozoico e si presentano in fasce assai svariate. Quelli del Pliocene si limitano a pochi conglomerati che affiorano tra le marne sabbiose nei dintorni di Montebello, Torrazza Coste, Casteggio e nelle zone più orientali dell’Oltrepò (Montù Beccaria, ecc.). Le formazioni mioceniche sono più complesse ed importanti, presentano cinque piani diversi per un’estensione di oltre 16.000 ettari compresi nelle colline e nelle prime montagne. Il piano più recente è dato dal Messianico, caratterizzato da marne gialle chiare, con lenti calcaree in una continuità molto precisa. Appartengono a questa formazione i terreni di Montù Beccaria, Rovescala, Montescano, Castana, Canneto Pavese, Pietra de’ Giorgi, Cigognola, Redavalle, S. Giuletta, Torricella Verzate e in piccola parte i territori dei comuni di Corvino S. Quirico, Casteggio, Torrazza Coste, Codevilla e Godiasco. Le zone intorno a Montalto Pavese, Calvignano, Rocca Susella e Godiasco fanno parte del Langhiano costituito da uno strato massiccio di marne, depositatesi in un mare assai profondo. I terreni si presentano in prevalenza sotto forma di marne bianco-azzurrognole, talvolta giallastre, in strati di spessore vario, alternate talora con strati arenacei o calcarei. Il passaggio all’Oligocene avviene per gradazioni insensibili attraverso un complesso di strati arenacei, scistosi, ma prevalentemente marnosi formanti l’Aquitaniano che ha notevoli estensioni nei dintorni di Rocca Susella, Borgo Priolo e Calvignano. L’Oligocene, che forma un periodo di transizione fra Eocene e il Miocene, non ha limiti ben definiti; si estende per circa 13.000 ettari su un Figura 2.4: Formazione dei terreni nei principali comuni lungo la scala dei tempi geologici. Era
Cenozoico
Periodo Epoca
Paleogere Paleocene -60
Neogere
Eocere -50
Oligocere -40
-30
Miocene -20
Q. Plio- P cene
-10
0
Milioni di anni fa Pianura Rocca de’ Giorgi, Montecalvo, Ruino, Varzi
Torrazza Coste, Casteggio, Montebello fino Montù Beccaria
Mornico Losana, San Damiano al Colle e Casa Calatroni
Aquitaniano Burdigaliano Langhiano Serravalliano Tortoniano Messiniano
Rocca Susella, Borgo Priolo e Calvignano
Montalto Pavese, Calvignano, Rocca Susella e Godiasco
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Montù Beccaria, Rovescala, Montescano, Castana, Canneto Pavese, Pietra de’ Giorgi, Cigognola, Redavalle, S. Giuletta, Torricella Verzate
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P 38 Profili di suoli caratteristici dell’Oltrepò Pavese P 4 - u.c. 2: suoli profondi, a tessiture franco-limoso-argillose e accumuli di carbonati in profondit à su substrati flyschoidi calcarei limoso-argillosi. P 9 - u.c. 9: suoli moderatamente profondi a tessiture franco-limoso-argillose, con ristagni idrici nella parte medio-bassa del suolo su substrati a dominante argillosa. P 18 - u.c. 8: suoli da sottili a moderatamente profondi a tessitura franco-sabbiosa su substrato ad alternanze di arenarie poco cementate e limi. P 24 - u.c. 7: suoli moderatamente profondi a tessitura franca, ben drenati, con contenuti in scheletro cr escenti con la profondit à, a substrati ar enaceo-conglomeratici. P 25 - u.c. 13: suolo moderatamente profondo dei versanti erosi, a tessitura franco-limoso-argillosa, su substrato costituito da alter nanze di calcari, marne e argille. P 38 - u.c. 17: suoli profondi a tessiture moderatamente fini ben dr enati dei pianalti pi ù rilevati ed antichi, erosi e rimodellati, a depositi fluviali molto alterati.
P 41
P 41 - u.c. 20: suoli moderatamente profondi a tessitura franco-limosa, limitati da orizzonti induriti, tipici dei pianalti inter medi a depositi fluviali ricoperti da limi eolici.
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vasto territorio di collina e si rinviene specialmente a Rocca de’ Giorgi, a Montecalvo, a Ruino, a Varzi, ecc. Le formazioni eoceniche dell’Oltrepò si limitano ad una prima vasta area di terreni costituiti da argille scagliose, da galestri, con affioramenti ofiolitici, misti a gabbri e da uno strato sovrastante di calcare marnoso che si presenta sotto forma di banchi (talora di notevole spessore) ed in amigdali alternate con calcescisti, calcifori e rocce durissime di natura calcarea. Gli scisti galestrini e le argille scagliose si estendono su circa 19.000 ettari coprendo estese superfici dell’alta collina. Il piano più recente dell’Eocene, formato in prevalenza dal calcare marnoso, corrisponde all’ “Alberese” della Toscana e ai grandi banchi della formazione del “Monferrato”. Comprende 16.000 ettari, ricchissimi di calcare e i terreni del triangolo di media e bassa collina con vertici a Mornico Losana, San Damiano al Colle e Casa Calatroni. Se geologicamente i terreni dell’Oltrepò presentano una grande varietà, dal punto di vista agronomico le differenze sono meno sensibili. Le zone viticole con caratteristiche litologiche omogenee sono fondamentalmente sei: i depositi alluvionali terrazzati, le argille siltoso-marnose, le alternanze eterogenee di conglomerati, arenarie, siltiti e argille, le alternanze a dominante arenacea, le alternanze a dominante marnosa-calcareo-argillosa e i gessi. • Depositi alluvionali terrazzati I depositi alluvionali terrazzati si sviluppano principalmente lungo la fascia pedecollinare dal confine con il Piemonte fino a Verzate e da Broni al confine con la provincia di Piacenza, inserendosi lungo l’alveo dei principali corsi d’acqua. Questi depositi formano i primi dolci rilievi costituendo il raccordo tra la pianura e l’area collinare. Si tratta di depositi elastici incoerenti a granulometria eterogenea, generalmente ricoperti da una coltre di alterazione di varia potenza e colore. • Alternanze eterogenee di conglomerati, arenarie, siltiti e argille Questa unità raggruppa tutte quelle formazioni caratterizzate da una estrema variabilità litologica di cui è difficile la suddivisione in litofacies. È perciò costituita da arenaria, brecce, calcari, calcari cariati, marne, conglomerati gessiferi, conglomerati e argille che generalmente costituiscono corpi lentiformi variamente interstratificati. Affiora estesamente nella parte collinare centrale della zona occidentale tra i confini est e ovest del comune di Retorbido. Prosegue ad est comprendendo quasi interamente la superficie dei comuni di Corvino San Quirico, Torricella Verzate e parte di quelli di Santa Giuletta e Mornico Losana. Un altro affioramento si ritrova nella zona di Pietra de’ Giorgi che continua tra i comuni di Montescano e Montù Beccaria e tra Montù Beccaria, Broni e Stradella. • Alternanze a dominante arenacea Questa litofacies è caratterizzata da alternanze più o meno regolari di arenarie variamente cementate, sabbie, marne-siltose e argille, generalmente di colore grigio. Solitamente hanno maggiore diffusione le fitte sequenze di straterelli arenacei, marno-siltosi e argillosi ma local-
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mente si può avere in predominanza della parte psamamitica o di quella pelitica. Nel primo caso gli strati arenacei assumono spessori intorno a 80-100 cm; nel secondo viceversa si hanno spessori di pochi centimetri. La morfologia dei rilievi, costituita da questa unità, in relazione alle frequenze degli interspazi pelitici, è assai varia con pareti verticali e pendii a modesta acclività ove si possono accumulare spessori anche notevoli di coltre eluvio-colluviale. Frequenti in questa unità sono i fenomeni di scoscendimento al contatto con formazioni argillose. Questa tipologia è presente lungo le valli di quasi tutti i torrenti oltrepadani in particolare modo in quelli della zona centro-occidentale dove riveste una certa importanza viticola. • Alternanze a dominante marnoso-calcareo-argilloso È costituita da alternanze ritmiche di calcari-marnosi di spessore variabile tra i 30 e i 250 cm e argille in strati da 5-70 cm. Dal punto di vista morfologico forma rilievi con pendenze modeste. La facile degradabilità dei litotipi più fini favorisce la formazione di un’estesa coltre eluvio-colluviale che su pendii meno accentuati può assumere anche spessori notevoli. Sono frequenti fenomeni di scoscendimento e smottamento lungo i versanti più in pendio. Affiora estesamente occupando l’area compresa tra Rovescala, Oliva Gessi fino alle sorgenti del torrente Versa al confine con la provincia di Piacenza. Un’altra striscia importante e intensamente vitata, come la precedente, va da Montalto Pavese a Canevino attraversando trasversalmente la Valle Scuropasso. • Gessi Unità costituita da corpi lentiformi di gessi cristallini a grana da media a grossa, affiora su estensioni areali molto limitate anche se intensamente coltivata a vite. Si riscontrano queste zone nei pressi di Garlassola, Mondondone, Corvino S. Quirico, Montepezzata e Cà Bianca. Le zone geomorfo-litogiche che caratterizzano le tipologie di specializzazione produttiva dell’Oltrepò Pavese sono state riassunte attraverso la carta pedologica o pedopaesaggistica. Lo studio scientifico per la stesura della carta definitiva ha fatto riferimento sia a studi precedenti di tipo pedologico, clivometrico, altimetrico, litologico, idrogeologico, sia a cartografie derivate del tipo geologico, geomorfologico e paesaggistico. Il documento finale è stato prodotto anche grazie alle analisi chimico-fisiche sul terreno e dalle interpretazione delle fotografie aeree. Il territorio così delineato si compone di una serie di poligoni la cui superficie è caratterizzata da una combinazione pedopaesaggistica diversa da quelle contigue; questi insiemi pedopaesaggistici prendono il nome di unità cartografiche. Le unità cartografiche descritte nella carta pedologica hanno lo scopo di schematizzare il territorio indicando le caratteristiche suolo-ambiente prevalenti. La descrizione dei suoli e dei paesaggi esposta nella carta pedologica è organizzata per unità cartografiche. La struttura è divisa in 4 sezioni riportate nella legenda. 1) Nella prima di queste, costituita da tre colonne viene descritto il paesaggio suddiviso in siste-
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mi, sottosistemi, unità e sottounità. Sistema e sottosistema costituiscono una suddivisione che descrive i caratteri fitoclimatici e paesaggistici che caratterizzano le grandi suddivisioni operabili sul territorio dell’Oltrepò e cioè: collina a substrato roccioso (P), terrazzi (R), fondivalle intermontani (PV) e pianura esterna (L). La descrizione di unità e sottounità illustrano la forma delle superfici, la loro organizzazione e distribuzione nello spazio rispetto a quelle vicine, gli elementi morfologici che le caratterizzano o che le delimitano, oltre alla loro origine. Nella sottounità questi aspetti vengono approfonditi e particolareggiati con l’aggiunta della natura litologica del substrato, origine e granulometria prevalente dei sedimenti, pendenza e forma delle superfici, ecc. 2) Nella seconda sezione della legenda trovano posto i numeri d’ordine attribuiti alle diverse unità cartografiche. 3) Nella terza sezione vengono invece descritti i suoli. Di questi vengono riportati i principali caratteri: profondità utile per le radici (definita in base alla presenza di orizzonti che ne limitino l’approfondimento), scheletro (ossia il contenuto in ghiaia), tessitura (rapporto percentuale tra sabbia, argilla e limo nella terra fine), reazione (pH), C.S.C. (Capacità di Scambio Cationico) e drenaggio che indica la velocità con cui un suolo si libera dell’acqua di percolazione. 4) L’ultima sezione riporta la classificazione dei suoli secondo la Soil Taxonomy del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti. Complessivamente la carta è costituita da 29 unità cartografiche e il paesaggio è suddiviso in 4 grandi Sistemi-Sottosistemi costituiti da collina a substrato roccioso (P), terrazzi (R), fondivalle intermontani (PV) e pianura esterna (L). I versanti collinari sono connotati dalla siglatura PB; essi sono suddivisi in 4 unità di paesaggio (PB 1, 2, 3, 4), 15 sottounità, cui corrispondono 15 unità cartografiche. I terrazzi sono connotati dalla sigla R, contengono due sottosistemi, 5 unità di paesaggio ed altrettante unità cartografiche. I fondivalle sono connotati dalla sigla PV; presentano quattro unità di paesaggio. La pianura esterna è individuata da un solo sistema, sottosistema, unità di paesaggio ed unità cartografica mentre le restanti 3 unità cartografiche coinvolgono aree di frana, urbanizzate e antropizzate. Nella carta compaiono complessivamente più di 750 delineazioni. Si riportano la carta pedologica (figura 2.5) e la legenda associata delle unità cartografiche (tabella 2.2).
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Figura 2.5: Mappa delle Unit à Cartografiche della D.O. Oltr epò Pavese
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L E G E N D A D E L L A C A R T A P E D O P A E S A G G I S T I C A D E L L ’ O L T R E P O P AV E S E
Tabella 2.2: Legenda della carta pedopaesaggistica della D.O. Oltr epò Pavese
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Area di sviluppo per le coltivazioni di Pinot nero ad altitudini maggiori di 400 m.s.l.m. nel comune di Rocca de ’ Giorgi.
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Scorcio di paesaggio primaverile tra le vigne di Zenevr edo.
Paesaggio viticolo estivo in localit Ă Bozzola nel comune di Oliva Gessi.
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3. Le Unità Territoriali della D.O. Oltrep ò Pavese La mappa delle Unità Territoriali (UT) che viene riportata, e la relativa legenda, sono la sintesi delle informazioni scientifiche raccolte durante gli ultimi 10 anni grazie agli studi condotti sul territorio della DOCG. I lavori sono stati intrapresi con lo studio triennale di zonazione condotto a partire dal 1999 con il contributo dell’Amministrazione Provinciale di Pavia, coordinato dal Di.Pro.Ve. dell’Università di Milano e con la collaborazione dell’Università di Piacenza, dell’ERSAF, di Ager sc e sono stati completati con esperienze di monitoraggio del territorio condotte da Ager sc, dall’Università di Milano e dal Consorzio Tutela Vini dell’Oltrepò Pavese. Le differenti vocazionalità territoriali prevedono la distinzione tra aree adatte alla vinificazione a base spumante e zone più idonee alla vinificazione in rosso per la varietà Pinot nero. Le varie delimitazioni sono state create analizzando i parametri climatici, pedologici e morfologici. Le aree più indicate per base spumante (UT1, UT2 e UT5) sono caratterizzate da suoli con tessiture fini, localizzate prevalentemente in aree alte e fresche che risultano più piovose, con temperature più miti e con i maggiori sbalzi termici giornalieri. I terreni possiedono mediamente una buona abitabilità, sono profondi e hanno una elevata dotazione di nutrienti, maggior riserva idrica e drenaggi più lenti. Le unità si sviluppano ad altezze medio-alte comprese tra i 200 e 550 m e sono caratterizzate da versanti con esposizioni est/ovest. Le pendenze sono moderate. A queste unità si sovrappongono zone a duplice attitudine (UT2) le quali risultano essere maggiormente assolate e calde con versanti orientati prevalentemente verso sud/ovest. Le unità più adatte ad un obiettivo enologico in rosso (UT4 e UT6) si contraddistinguono per avere tessiture più sciolte, suoli meno fertili, meno profondi e con una maggior capacità di allontanamento delle acque in eccesso. Le fasce vocate sono quelle più calde a ridosso della pianura e poste ad altitudini comprese tra 100 e 300 m. I versanti sono prevalentemente esposti verso sud/ovest e con pendenze anche sostenute. I regimi idrici sono inferiori. Le unità 4 e 6 si differenziano tra loro per il livello di stress idrico che possono indurre alle uve durante la fase di maturazione essendo l’UT6 maggiormente calda, meno drenata e con tessiture più fini. Tabella 3.1: Schema riassuntivo delle principali caratteristiche delle Unit à Territoriali dell’Oltrepò Pavese.
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Questa suddivisione del territorio della DOCG Oltrepò Pavese in 6 differenti Unità Territoriali, riportate nella figura 3.1, identificando le aree di coltivazione delle varietà Pinot nero in cui le prestazioni vegetative, produttive e qualitative si possono considerare sufficientemente omogenee e confrontabili, ha permesso di elaborare dei modelli di conduzione specifici per ogni UT realizzando delle schede contenenti dei consigli riguardanti sia le scelte di gestione del suolo e di gestione della parete vegetativa che le scelte genetiche (clone e portinnesto) integrate con i consigli enologici più appropriati in base all’obiettivo di vinificazione.
Paesaggio di prima collina.
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Figura 3.1: Carta delle Unit à Territoriali per il Pinot nero nella D.O. Oltr epò Pavese
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UNITÀ TERRITORIALE 1
Caratterizzazione ambientale Paesaggio: area collinare dell’Oltrepò Orientale collocata tra i comuni di Montecalvo Versiggia, Rovescala e Santa Maria della Versa. Il paesaggio è costituito prevalentemente da dorsali ampiamente arrotondate intervallate da tratti subpianeggianti. I versanti sono ampi e di forma variabile, anche molto ondulati, con pendenze da moderate a moderatamente elevate. Geologia: il substrato è soffice e in maggior parte di natura argillosa (argille-marnose) con valori variabili e crescenti di calcare (marne). Suoli: il suolo è facilmente lavorabile con la possibilità diffusa nei versanti più scoscesi di fenomeni erosivi. I suoli si presentano di tessitura fine (argillo-limoso), prevalentemente profondi, molto calcarei, con capacità di drenaggio mediocre e scheletro scarso. Il pH è alcalino. La zona è contraddistinta da buoni valori di radiazione fotosinteticamente attiva (PAR: media 2300 MJ/m2 all’anno). L’area si sviluppa prevalentemente nella fascia collinare più interna e data l’ampiezza l’unità è caratterizzata da altitudini variabili tra i 150 m del fondovalle ai 550 m nelle aree più estreme; presenta una classe di piovosità elevata (> 850 mm). La temperatura media annua è di 11°C e risulta essere più fresca della prima fascia collinare di circa 1-2°C; la media estiva è di 22°C con oscillazioni di circa 2°C tra le aree più elevate e i versanti meglio esposti. Durante il periodo vegetativo della pianta l’unità si contraddistingue per le elevate escursioni termiche giornaliere. Le temperature medie invernali possono scendere sotto lo zero termico. L’esposizione dei versanti è prevalentemente verso est/nord (70%) e sud (30%) e con pendenze medie del 20%. 38
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VocazionalitĂ Attitudine principale
Area adatta in particolare per la produzione di vini spumante di elevato pregio, prodotti con uve caratterizzate da un ottimo rapporto tra tenore zuccherino e livello acidico.
Profilo sensoriale
Il profilo si presenta ampio e complesso. I vini sono caratterizzati da note floreali superiori alla media accompagnate da sentori di frutta matura (mela, ananas). In ugual misura si percepiscono fragranze di vegetale secco con richiami di fieno e paglia. Mediamente percepite sono le note erbacee e speziate in particolar modo di pepe. Il vino risulta mediamente minerale con una buona struttura e persistenza alla degustazione. Particolarmente acido e con una discreta percezione dell’amaro.
Il vino risulta equilibrato con note floreali di viola, sentori di ciliegia e frutti rossi nella media. Le note erbacee prevalgono sullo speziato (pepe) e sulla percezioni di vegetale secco e frutta cotta (prugna, marmellata). Al gusto il vino si presenta con discreta struttura, abbastanza acido e astringente.
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Consigli Gestionali Oltrepò DOCG
Scelte genetiche
Utilizzare cloni dall’elevato potenziale qualitativo e adatti a realizzare basi spumante. Privilegiare un mix di cloni che forniscono un quadro acidico superiore e un tenore zuccherino medio-elevato. Tra i cloni francesi sono consigliati i 665, 666, 778, 780, 871, mentre in suoli particolarmente pesanti utilizzare 388, 389, 521, 583, 668. Impiegando cloni italiani adottare SMA 191, 5-V-17, MIRA 953047, R4. Tra i cloni tedeschi il Gm 18. I portinnesti da utilizzare sono il 420A, SO4, Teleki 5C e Kober 5BB. In terreni particolarmente calcarei adottare il 41B.
Modello viticolo
Si consiglia una forma di allevamento a parete (Guyot) con densità d’impianto comprese tra 4200 e 4500 piante/ha. Attuare una potatura ricca lasciando sul tralcio di rinnovo circa 14 gemme totali/pianta evitando la sovrapposizione tra i ceppi.
La pratica dell’inerbimento, accompagnata nel sottofila da lavorazioni o diserbo, risulta particolarmente idonea a causa della giacitura dei vigneti su versanti particolarmente scoscesi che determina fenomeni di erosione in caso di intense precipitazioni accentuati dalla tipologia di sistemazione diffusa nella zona (rittochino). Si consiglia un inerbimento competitivo costituito da leguminose e graminacee allo scopo di migliorare il grado di copertura del suolo, di elevare il consumo d’acqua in eccesso e di apportare una maggior dose di azoto grazie alle capacità azoto fissatrice delle leguminose. Specie consigliate sono: Festuca arundinacea o F. ovina e Trifolium incarnatum. Nel caso il livello di competizione risultasse essere eccesGestione del suolo sivo e il vigore complessivo del vigneto risultasse troppo limitato sostituire la Festuca con Poa pratensis. In caso di annate particolarmente siccitose si consiglia una gestione del prato di tipo temporaneo praticando la rottura del cotico erboso nel periodo di fine primavera (giugno) tramite estirpatore o zappatrice. Ogni 2 o 3 anni prevedere l’utilizzo di aratri talpa o ripper allo scopo di arieggiare il suolo, di eliminare eventuali suole di lavorazione e di migliorare il drenaggio; questa pratica è particolarmente consigliata nei punti di raccordo con le zone di fondovalle con l’attenzione di realizzarla con terreni in tempera. Essendo presenti suoli ricchi di Potassio si consiglia una riduzione del quantitativo in restituzione annuale del 1015% e un incremento delle unità di Azoto del 10% per sostenere il livello acidico.
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Gestione della pianta
In funzione della influenza dell’annata sull’entità del germogliamento effettuare una scacchiatura più o meno intensa asportando i germogli secondari sterili alla lunghezza di circa 15-20cm. Eliminare anche i germogli originati da gemme di corona e controcchio o posti in posizioni non ideali sul tralcio. Per non inficiare i potenziali livelli acidici non effettuare sfogliature e attuare due cimature di cui la prima in allegazione. Il diradamento dei grappoli deve essere effettuato all’invaiatura con intensità tale da poter rispettare i limiti del disciplinare. Si può stimare una produzione di uva per pianta di circa 2,2 kg.
Consiglio enologico
La raccolta manuale è consigliata per mantenere il mosto protetto da ossidazioni e per minimizzare le operazioni di pulizia dei vini. In pressa, dove verranno versate le uve intere, non pigiadiraspate, si consiglia per uno spumante rosato di pressare in ambiente possibilmente protetto dall’ossigeno e in tempi lunghi per ottenere una maggiore colorazione del mosto. Sul pressato si consiglia una chiarifica statica a freddo per illimpidire il mosto. È raccomandato l’aggiunta di sali ammoniacali e tiamina, in dosi minime, per integrare le sostanze azotate e le vitamine perse nell’illimpidimento. Con le prime frazioni delle pressature e dai migliori tagli dei vini base dell’annata è possibile affinare “sur lies” per oltre 24 mesi, come previsto dal disciplinare per i millesimati.
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
volume PINOT NERO
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O.P. Pinot nero
Scelte genetiche
Si consigliano cloni dall’elevata specificità, caratterizzati da basso o medio vigore, da elevata potenzialità nella produzione degli zuccheri e del quadro polifenolico. Si privilegia una selezione policlonale in vigneto in modo da attenuare le alternanze dettate dall’annata e garantire un elevato e stabile tenore alcolico accompagnato da struttura e intensità di colore. Tra i cloni francesi da adottare per la produzione di un rosso giovane i 113, 375, 829; per un rosso di media struttura i 114, 115, 459, mentre per rossi strutturati si consigliano i 165, 777, 828, 927, 943. Tra i cloni italiani Lb 9, Lb 4, SMA 185, MIRA 95-3131, MI-MIRA 98-3140 e VCR 9. Tra i portinnesti si consigliano: 101-14, 161-49, SO4 e 110R.
Modello viticolo
Per esaltare l’attitudine del territorio ad una vinificazione in rosso si consiglia una maggior densità di impianto (circa 5000 ceppi/ha) con forma di allevamento a Guyot e attuare potature corte con 12 gemme totali sul tralcio di rinnovo. Privilegiare le esposizioni più assolate e calde.
Per ridurre gli effetti della vigoria derivata dall’elevata piovosità media, si propone di impostare una strategia con un inerbimento artificiale abbinato a lavorazioni o diserbo sotto fila; questa pratica potrebbe anche favorire un anticipo di maturazione e una maggiore uniformità tra gli anni. Si consiglia un inerbimento maggiormente competitivo costituito da graminacee (Festuca arundinacea) o dal prato Gestione del suolo spontaneo. Se il livello di competizione del prato spontaneo o della Festuca risultassero eccessivi si può sostituirli con Poa pratensis e Festuca ovina. In caso di annate particolarmente siccitose si consiglia una lavorazione a file alternate con rottura del cotico erboso nel periodo di fine primavera (giugno) tramite estirpatore o zappatrice. Porre particolare attenzione nelle aree di raccordo mal drenate nelle quali è utile aumentare il drenaggio con l’ausilio degli aratri talpa o ripper lavorando con terreni asciutti. Si consiglia una riduzione delle unità Azoto ettaro del 10% rispetto alle normali dosi di restituzione.
Gestione della pianta
Consiglio enologico
Gli interventi di gestione in verde devono iniziare con la scacchiatura dei germogli (lunghezza germoglio: 15-20 cm). Si consiglia di effettuare una sfogliatura post-invaiatura dal lato meno esposto al sole (nord o est) mentre in annate particolarmente afose e soleggiate, specialmente nei versanti meglio esposti e nel fondo valle, con elevati tenori di umidità, si consiglia di non sfogliare mantenendo il grappolo coperto. In alternativa si può effettuare una sfogliatura precoce per ridurre l’allegagione e ottenere grappoli più spargoli e resistenti alle scottature. La cimatura è da effettuarsi in post-allegagione e, insieme alla scelta di portinnesti poco vigorosi e alla competizione con il prato, dovrebbe essere sufficiente per mantenere un equilibrio vegeto-produttivo idoneo allo scopo enologico prefissato. Adottando il sistema di allevamento consigliato si dovrà effettuare, sia per rientrare nei limiti imposti dal disciplinare che per stabilire un ottimo rapporto tra uva prodotta e superficie fogliare fotosintetizzante, un diradamento dei grappoli avendo cura di eliminare i grappoli distali. Avere cura di raccogliere i grappoli in piena maturazione. Per una maggiore estrazione dei composti nobili dalle bucce è indicato effettuare una macerazione a freddo pre-fermentativa. Non effettuare macerazioni troppo prolungate per evitare di estrarre troppi tannini “verdi” ed eventualmente sottrarre i vinaccioli in macerazione se il vino tende a diventare troppo astringente. Alla fine della fase fermentativa lasciare alzare la temperatura per aumentare l’estrazione. È indicato l’utilizzo della microssigenazione per la stabilizzazione del colore tra la fine della fermentazione alcolica e l’inizio della malolattica e in fase di affinamento.
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UNITÀ TERRITORIALE 2
Caratterizzazione ambientale Le aree presentano caratteristiche ambientali, paesaggistiche, geologiche e pedologiche simili all’Unità 1 con la differenza che la zona delimitata è caratterizzata da maggiori valori di radiazione fotosinteticamente attiva (PAR: media 2500 MJ/m2 all’anno) e si sviluppa prevalentemente nelle fascia collinare intermedia. L’area interessa prevalentemente i comuni di Mornico, Pietra de’ Giorgi, Montù Beccaria, Montalto Pavese e Borgo Priolo. Nella fascia collinare più interna si localizzano alcune aree a duplice attitudine di particolare vocazione: Caseo, località Bellaria, località Valorsa e Canavera. Le altitudini sono in media comprese tra i 150 m e i 350 m con aree a ottima esposizione e microclima ad altitudini anche superiori (350 – 450 m). Le temperature risultano sostenute nelle ore centrali della giornata e specialmente nelle aree più elevate si riscontrano forti abbassamenti durante le ore serali e notturne spesso accompagnati dalla presenza di brezze serali. L’esposizione dei versanti è principalmente verso sud/ovest (80%) con pendenze medie del 20%.
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volume PINOT NERO
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Vocazionalità Attitudine principale
Area a duplice attitudine con ottime potenzialità sia per la produzione di uve da spumante di elevato pregio che, nei versanti più assolati e con esposizioni sud/ovest, per la produzione di uve per una vinificazione in rosso. Alcune aree circoscritte si contraddistinguono per l’elevato profilo aromatico anche se con un minor potenziale varietale per struttura e colore rispetto a zone poste ad altitudini inferiori.
Profilo sensoriale
Vino equilibrato frutto di una buona maturazione delle uve dove i sentori floreali, fruttati e di vegetale secco risultano prevalere sulle note erbacee e speziate. In bocca il vino si distingue per possedere una discreta sapidità e freschezza e buona struttura.
La duplice attitudine dell’unità permette una produzione di uve da rosso per vini complessi e mediamente intensi. I sentori risultano ben amalgamati tra loro lasciando più spazio alle note di ciliegia e frutti rossi. In bocca offre un prodotto mediamente acido con tannini non aggressivi.
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Consigli Gestionali Oltrepò DOCG
Scelte genetiche
Per le caratteristiche ambientali e pedologiche simili all’UT1 si consiglia una selezione di cloni capaci di garantire il potenziale qualitativo mantenendo elevato il quadro acidico. Tra i cloni francesi adottare 386, 388, 389, 665, 666, 668, 780, 871, 583 (per conferire acidità) e 375, 114, 521, 667 (per basi aromatiche). Tra i cloni italiani R4, SMA 191, 5-V-17, MIRA 95-3047. I portinnesti da utilizzare sono il 420A, SO4, Teleki 5C e Kober 5BB. In terreni particolarmente calcarei adottare il 41B.
Modello viticolo
Il modello viticolo da adottare deve prevedere una densità di circa 4500 piante/ettaro con rinnovo annuale del tralcio a frutto (Guyot). Per le caratteristiche di vigore che UT2 può conferire si consiglia di evitare potature troppo ricche allo scopo di limitare aree di affastellamento e indirettamente per ridurre i problemi sanitari dovuti al ristagno di umidità e alla difficoltà di penetrazione dei prodotti fitosanitari tra gli stati fogliari. Potatura consigliata: 14 gemme totali/pianta.
Vista la particolare esposizione dei versanti, ben assolati ma con il rischio di stress idrici in estate, si consiglia un inerbimento dei filari costituito da leguminose e graminacee. Nelle aree più elevate seminare un mix tra Festuca arundinacea o F. ovina, Trifoglio incarnatum e Hedysarum Coronarium (Sulla). Nelle aree collinari più vicine alla pianura, caratterizzate da una minor persistenza dell’umidità nel suolo si deve privilegiare un mix meno esigente ma che possa allo stesso tempo aiutare a sostenere l’acidità; si consigliano in questo caso Festuca ovina, Lolium Gestione del suolo Multiflorum, Poa Pratensis e Trifolium subterraneum. Le lavorazioni sotto fila devono essere svolte con aratri scalzatori o con frese ad asse verticale e, in annate particolarmente siccitose, si consiglia di praticare la rottura del cotico erboso nel periodo primaverile (giugno) tramite estirpatore o zappatrice. Per soddisfare l’obiettivo enologico prefissato ridurre la concimazione potassica di un 10-15% e incrementare le unità di Azoto del 10-15%. Per evitare pericolosi ristagni nei versanti meno declivi utilizzare ad alternanza biennale aratri talpa o ripper anche allo scopo di arieggiare il suolo ed eliminare eventuali suole di lavorazione; tale pratica va effettuata con terreni in tempera.
Gestione della pianta
Consiglio enologico
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Una corretta gestione della potatura invernale e del vigore della pianta è fondamentale per garantire un buon equilibrio. Si consiglia di effettuare l’eliminazione dei germogli secondari nella fase di post-germogliamento (lunghezza germoglio: 15-20 cm). Non effettuare sfogliature per non ridurre i livelli acidici e attuare due cimature per incentivare l’emissione femminelle; in questo caso la prima cimatura deve essere effettuata in allegagione. Il diradamento dei grappoli deve essere fatto all’invaiatura per rispettare i limiti imposti dal disciplinare prevedendo un carico per pianta in fase di maturazione di circa 2,2 kg/pianta. Una raccolta attenta dell’uva, possibilmente manuale, permette una migliore resa qualitativa in pressa e minori lavorazioni sulla frazione del pressato che verrà destinata alla produzione di spumanti rosé con un allungamento dei cicli di pressatura che aumenteranno l’intensità del colore del mosto. Condurre le fermentazioni a temperature controllate e in riduzione per ottenere vini equilibrati da rifermentare in bottiglia. Effettuare una lunga permanenza sulle fecce fini per ottenere vini spumanti di grande struttura.
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O.P. Pinot nero
Scelte genetiche
Le scelte genetiche devono essere operate per incrementare l’attitudine alla produzione di un vino che deve essere caratterizzato da buon tenore alcolico, buona struttura, colore, media acidità e buone idoneità all’affinamento. Utilizzare i seguenti cloni francesi: 459, 667, 114 e 115 (per vini caratterizzati da aromi e colore); 292 e 375 (per mantenere un quadro acidico elevato). I cloni 165, 777, 828, 927, 943 sono suggeriti per vini più strutturati con una quota ettaro massima del 30%. Per i cloni italiani utilizzare: Lb 9, R4 e MIRA 95-3047 per vini giovani e SMA 201, SMA 185, MIRA 95-3131, MIRA-01-3004, VCR 9, VCR 20, VCR 18, LB 4. I portinnesti consigliati per questa UT sono: 101-14, 161-49, SO4 e 110R.
Modello viticolo
Per esaltare l’elevata vocazionalità nella produzione di vini rossi si consigliano le forme di allevamento in spalliera come Guyot e cordone speronato. Le densità di impianto sono per entrambe di circa 5000 piante/ettaro con circa 12 gemme totali a pianta.
In questa situazione viene consigliato l’inerbimento dell’interfila accompagnato sulla fila da lavorazioni o da diserbo. Questa tecnica permette di ridurre o evitare le perdite di suolo per dilavamento oltre che di indurre un lieve stress fisiologico durante la fase di maturazione delle uve. Al fine di ridurre eccessi di competizione si sconsiglia la pratica dell’inerbimento spontaneo oppure si possono utilizzare essenze meno competitive utilizzando consociazioni di differenti specie di gramiGestione del suolo nacee capaci di assicurare una veloce rapidità d’insediamento, maggiore resistenza al calpestamento e a periodi di siccità. Quando ci si trova ad affrontare annate particolarmente prive di precipitazioni è buona norma rompere il cotico erboso a fine primavera tramite l’utilizzo di un estirpatore. In situazioni in cui risulta difficile lo sgrondo delle acque si può prevedere la messa in opera di sistemi di drenaggio oppure l’utilizzo dell’aratro talpa o del ripper. Al fine di favorire l’accumulo di sintetati e quindi l’intero processo maturativo aumentare del 20% la quota di restituzione del Potassio e diminuire del 10% quella di Azoto.
Gestione della pianta
Per ridurre il vigore si deve operare in modo da aumentare in fase di potatura secca il numero di gemme per pianta e in seguito, con le operazioni in verde di diradamento dei germogli e dei grappoli, si può correggere ulteriormente il rigoglio vegetativo. I valori degli indici termici della zona impongono di operare una cimatura in post fioritura (grano di pepe) seguita da sfogliature tardive che precedono la vendemmia operate in modo da interessare i lati ad esposizione meno favorevole (E, N). Rimanendo nei quantitativi d’uva imposti dal disciplinare di produzione si ipotizza un carico d’uva di circa 15 grappoli per ceppo.
Consiglio enologico
Una raccolta manuale dell’uva va accompagnata ad una valutazione della maturazione dei vinaccioli per avere indicazioni sulla durata della macerazione. In cantina una pigia-diraspatura soffice, con eventuale macerazione a freddo pre-fermentativa, permette di ottenere vini aromatici e dalla struttura equilibrata. Si ritiene utile valutare la possibilità di integrare la prima frazione del torchiato per aumentare la struttura. Vista la struttura del vino è possibile l’utilizzo del legno per svolgere la fermentazione malolattica e per un affinamento anche prolungato.
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UNITÀ TERRITORIALE 3
Caratterizzazione ambientale Paesaggio: per l’ampiezza dell’unità il paesaggio risulta essere molto eterogeneo essendo costituito sia dai terrazzi rialzati rispetto alla pianura che da aree di collina insieme a una porzione della piana fluvioglaciale e fluviale. I terrazzi sono rilevabili prevalentemente nella zona est della denominazione mentre la restante parte è caratterizzata da aree di pianura o aree collinari localizzate ad ovest. Geologia: il substrato è costituito prevalentemente da marne con elevata presenza di argilla e limo. Suoli: il suolo nell’area dei terrazzi si presenta moderatamente profondo e limitato da orizzonti compatti, privo di scheletro, con tessitura moderatamente fine e scarsamente calcareo; il drenaggio è generalmente buono. Le aree di pianura hanno suoli profondi limitati da orizzonti anossici con scheletro scarso, tessitura fine e con una scarsa capacità di allontanamento delle acque piovane. La zona è contraddistinta da buoni valori di radiazione fotosinteticamente attiva (PAR: media 2500 MJ/m2 all’anno). L’area si sviluppa prevalentemente nelle fasce di pianura con altitudini inferiori ai 150 m. Le pendenze sono lievi (sub pianeggianti) con pendenze maggiori a ridosso delle colline. L’unità vocazionale risulta essere la più calda essendo caratterizzata da elevate temperature senza ampie escursioni termiche. Si rileva una temperatura media annua di 13°C, con temperature medie invernali tra 0 e 1°C ed estive di 24°C. La zona è contraddistinta da forte umidità e limitato movimento d’aria.
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Vocazionalità Attitudine principale
Unità costituita da aree pedecollinari e di fondovalle, destinate alla produzione di uve per vini base.
Profilo sensoriale
Vini non particolarmente armonici con sensazioni olfattive principalmente costituite da note di frutta cotta ed erbaceo (vegetale fresco, erba). Accanto alle note speziate si riscontrano sentori di pepe nella media, mentre al gusto i vini si presentano poco minerali con struttura limitata e una particolare nota amara.
L’elevata temperatura annua dell’unità territoriale 3 determina la comparsa nei vini di sentori olfattivi di frutta cotta e vegetale secco insieme a sentori vegetali erbacei. Più smorzate risultano le note floreali, di frutti rossi e di spezie. In bocca il vino è poco strutturato, abbastanza acido e accompagnato da una elevata sensazione di astringenza.
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Consigli Gestionali Oltrepò DOCG Scelte genetiche
Per le particolari doti di fertilità si consigliano cloni di media vigoria e di media produttività capaci di fornire buone dotazioni zuccherine. Adottare i cloni francesi 386, 388, 459, 871, 780, 521 o quelli italiani SMA 191, 5-V-17, MIRA 95-3047, R4 e VCR 9. I portinnesti da utilizzare sono il 420A e Kober 5BB.
Modello viticolo
Per le particolari condizioni ambientali e climatiche si consiglia di impostare un impianto con densità non elevate (4000 piante/ha) in modo da permettere la gestione di tutto il vigore indotto sia dalla presenza di riserve idriche elevate che dall’ampia disponibilità di nutrienti. Il sistema di allevamento da adottare è un Guyot con potatura ricca (14 gemme totali/pianta). Per l’elevato vigore indotto si consiglia di porre particolare attenzione agli affastellamenti vegetativi in modo da ridurre l’incidenza di problemi sanitari.
Le lavorazioni dei suoli sono sconsigliate e si propone di impostare una strategia con un inerbimento artificiale molto competitivo o spontaneo. Si consiglia un inerbimento accoppiato a diserbo sulla fila, costituito da graminacee o prato spontaneo. In particolar modo nelle aree più umide privilegiare un inerbimento artificiaGestione del suolo le costituito da graminacee (Festuca). Nonostante l’area sia caratterizzata da una buona capacità drenante si consiglia nelle aree più soggette al ristagno o con terreni particolarmente pesanti di migliorare il sistema di drenaggio per evitare fenomeni legati ad eccesso idrico (eccesso di vigore, maggiore umidità, incidenza di marciumi). I suoli si presentano fertili sia come dotazione di sostanza organica che nei macronutrienti; ridurre il quantitativo in restituzione di Azoto del 10%.
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Gestione della pianta
La gestione della chioma deve essere volta a permettere il controllo del maggior vigore, limitare l’esposizione dei grappoli e favorire i trattamenti fitosanitari. Per facilitare la produzione di foglie più efficienti si consiglia di eseguire due cimature. Evitare le sfogliature durante la fase vegetativa mentre può essere utile una lieve asportazione delle foglie dal lato meno esposto a ridosso della vendemmia per facilitare un maggior movimento di aria attorno al grappolo. Per la presenza di scarsa ventilazione e umidità attorno ai grappoli porre particolare attenzione al controllo delle patologie ed in special modo ai trattamenti antibotritici. Praticare il diradamento dei grappoli solo per rispettare il limite imposto dal disciplinare.
Consiglio enologico
Una accorta vendemmia meccanica per proteggere l’uva da possibili ossidazioni è indispensabile per ottenere il massimo dal vigneto e diminuire le lavorazioni in cantina. Pressature non troppo spinte consentono di utilizzare meno chiarificanti per pulire le diverse frazioni del mosto; nel caso di mosti troppo puliti per non avere problemi in fermentazione utilizzare azoto e tiamina.
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O.P. Pinot nero Scelte genetiche
Per le particolari doti di fertilità dei suoli si consigliano cloni di media vigoria e di media produttività capaci di fornire buone dotazioni zuccherine. Adottare i cloni francesi 113, 114, 115, 459, 668, 829, mentre per gli italiani SMA 185, MIRA 953047, R4, VCR 9 e Lb 9. I portinnesti da utilizzare sono il 420A, 161-49, SO4, 101.14 e 41B.
Modello viticolo
Aumentare le densità di impianto rispetto le basi spumante riducendo le distanze sulla fila fino a densità di 4500 piante/ettaro utilizzando una forma d’allevamento con tralcio a frutto rinnovabile (Guyot).
Utilizzare un inerbimento spontaneo permanente o un inerbimento artificiale accompagnati dal diserbo sotto la fila. Si consiglia un inerbimento molto competitivo costituito da un mix di graminacee come Festuca e Lolium. Non effettuare le Gestione del suolo lavorazioni dei suoli tranne le operazioni meccaniche per aumentare lo sgrondo delle acque in eccesso e per la rottura delle suole di lavorazione dovute alla compattazione per il passaggio dei mezzi meccanici. Praticare le operazioni con terreno asciutto. I suoli si presentano ben dotati di elementi nutritivi e quindi si può ridurre il quantitativo di Azoto del 20%.
Gestione della pianta
La vegetazione deve essere gestita eliminando tutti i germogli sterili in modo da poter creare una chioma meno densa e più permeabile al passaggio dell’aria per agevolare sia la diminuzione dell’umidità all’interno della chioma che l’efficacia dei trattamenti fitosanitari. Le cimature devono essere praticate sin dalla fase di post-allegagione e la gestione della chioma deve essere ultimata con l’asportazione delle foglie della fascia dei grappoli. Effettuare la sfogliatura in pre-vendemmia per evitare ustioni. Per rientrare nei limiti imposti dal disciplinare diradare i grappoli meno nobili eliminare i grappoli distali o peggio esposti. È obbligatorio effettuare due trattamenti antibotritici in pre-chiusura grappolo e in copertura. Si può stimare una produzione per pianta di circa 2,5 kg.
Consiglio enologico
Vendemmia da svolgersi rapidamente se effettuata meccanicamente per evitare problemi di ossidazione. Le macerazioni non devono protrarsi troppo nel tempo nel caso di uve non troppo mature o non sane. Utilizzare rimontaggi o vasche aperte nel caso di problemi con il controllo delle temperature in fermentazione e non superare i 30°C per evitare la perdita di aromi. Nel caso di utilizzo di vasche in cemento si consiglia la pratica del délestage per bagnare bene il cappello delle vinacce. Chiarificare il vino con albumina per eliminare anche i tannini troppo astringenti.
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UNITÀ TERRITORIALE 4
Caratterizzazione ambientale Paesaggio: l’area si estende nella prima fascia collinare tra Casteggio e Stradella ed è costituita da valli e vallecole che si aprono a ventaglio sulla Pianura Padana; è caratterizzata da ripidi versanti e fitti crinali con substrati rocciosi relativamente soffici che risultano in buona parte lavorabili. La maggior parte dell’area è adibita alla coltivazione a vigneto. Geologia: il substrato è costituito prevalentemente da rocce calcaree limoso-argillose. Nell’area del Monte San Contardo e Santa Giuletta/Mornico Losana si riscontra un substrato di arenarie alternate a sabbie e limi. Suoli: il suolo si presenta con una tessitura da grossolana a media, con scarsa presenza di scheletro e moderatamente profondo. Sono presenti strati rocciosi profondi di facile lavorabilità. L’area è calcarea con pH alcalino e drenaggio buono. L’unità interessa esclusivamente la prima fascia collinare con altitudini comprese tra 150 m e 250 m; è caratterizzata da valori di radiazione fotosinteticamente attiva medi (PAR media 2250 MJ/m2 all’anno) e da tenori pluviometrici compresi tra 750 e 860 mm/anno. Le temperature medie annue sono molto differenti tra la pedecollina e le sommità. Il clima è condizionato dall’elevata inerzia termica del bacino padano che, con effetto tampone, mantiene nel corso di tutto l’anno temperature costanti e non determina ampie escursioni termiche. L’area è soggetta all’effetto del vento di föhn che favorisce l’abbassamento dell’umidità dell’aria aumentando l’evapotraspirazione e la diminuzione dell’acqua nel suolo. L’inverno è mite e induce una certa precocità nella ripresa vegetativa mentre le estati sono molto calde. Data l’eterogeneità della distribuzione orografica delle valli non vi è una esposizione di versante prevalente; le pendenze sono importanti e possono assumere anche valori prossimi al 35%. 50
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Vocazionalità Attitudine principale
La prima fascia collinare è particolarmente vocata per la produzione di Pinot nero da vinificare in rosso con la massima espressione varietale per colore, struttura e grado alcolico.
Profilo sensoriale
La precocità della zona esalta la maturazione della bacca e dei vinaccioli, fornendo basi spumante non particolarmente fresche ma con elevato corpo e sapidità. Le note floreali (fiori bianchi, acacia, zagara) lasciano maggior spazio a sentori di frutta matura (mela, ananas) e vegetale secco (fieno). I vini sono caratterizzati da limitate note speziate ed erbacee.
L’ottima maturazione delle uve garantisce la massima espressione varietale producendo vini di struttura e complessi. L’ampiezza sensoriale è caratterizzata da note floreali di viola, da sentori di frutti rossi, di frutta cotta (prugna), di vegetale secco (paglia). Alla degustazione si percepisce una maggiore corposità dovuta alla struttura e al buon grado alcolico e una limitata acidità complessiva.
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26-11-2008
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Consigli Gestionali Oltrepò DOCG
Scelte genetiche
Modello viticolo
Utilizzare cloni dalla buona capacità di adattamento che riescano a mantenere un quadro acidico superiore, un buon potenziale produttivo e un tenore zuccherino medio. Si consiglia di scegliere i versanti meno assolati, più freschi e più elevati. Adottare tra i cloni di origine francese 386, 665, 666, 743, 780, 871 o tra quelli italiani SMA 191, 5-V-17, MIRA 95-3047 e R4. I portinnesti da utilizzare sono il 420A, SO4, 1103P, Teleki 5C e Kober 5BB. In terreni particolarmente calcarei adottare il 41B. Utilizzare densità di impianto non eccessive (4000 piante/ettaro) con forma di allevamento a Guyot. La potatura consigliata è 15 di gemme totali/pianta con carico d’uva in maturazione di circa 2,5 kg/pianta.
Si consiglia una lavorazione dei suoli a file alternate con l’obiettivo, specialmente in annate poco piovose, di stimolare la fase vegetativa per preservare il potenziale produttivo e il quadro acidico. Si sconsigliano lavorazioni troppo fini con l’ausili di fresatrici per evitare la formazione di suole di lavorazione e la destrutturazione del suolo. Per la presenza di pendenze importanti è utile limitare il ruscellamento dell’acqua piovana sia con una corretta gestione delle scoline sia utilizzando per la Gestione del suolo lavorazione dei suoli mezzi meccanici che lavorino il suolo grossolanamente (es: vangatrici). Considerata la particolare esposizione dei versanti e le caratteristiche dei suoli, moderatamente profondi, si preferisce un inerbimento temporaneo a file alternate con diserbo sotto fila. Si consiglia un inerbimento a lenta velocità di insediamento per facilitare la costituzione e l’approfondimento dell’apparato radicale del vigneto e per ridurre l’effetto competitivo iniziale. Seminare un mix tra Festuca ovina, Poa pratensis e Bromus. Per agevolare il raggiungimento degli obiettivi enologici prefissati si consiglia un incremento della concimazione azotata di restituzione del 10-15%.
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Gestione della pianta
Per preservare i grappoli da un innalzamento eccessivo delle temperature e una eccessiva insolazione è consigliato mantenere una chioma folta; si sconsiglia pertanto di effettuare operazioni di scacchiatura e di scoprire i grappoli il meno possibile. Per stimolare l’emissione di nuove femminelle praticare una cimatura alla fase fenologica di post- allegagione (grano di pepe). L’eventuale diradamento dei grappoli deve essere praticato all’invaiatura per rispettare i limiti imposti dal disciplinare fino ad arrivare ad un carico per pianta in fase di maturazione di circa 2,5 kg/pianta.
Consiglio enologico
Nel caso di vendemmie meccaniche sono necessarie operazioni di chiarifica del mosto, in particolar modo per le frazioni successive alla prima. Nel caso di uve non perfettamente sane conviene l’utilizzo di bentonite a dosi crescenti per eliminare le ossidazioni da laccasi e facilitare le successive chiarifiche del vino prima della rifermentazione in bottiglia. Utilizzare anche il carbone attivo oppure utilizzare l’iperossigenazione e la successiva chiarifica per recuperare la frazione più colorata nel caso di vinificazioni in bianco. L’utilizzo di lieviti selezionati e di fermentazioni in riduzione favorisce la creazione di basi spumante profumate.
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
volume PINOT NERO
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O.P. Pinot nero
Scelte genetiche
L’obiettivo è quello di utilizzare un mix di cloni capaci di far fronte alle caratteristiche ambientali a volte critiche (caldo, elevato consumo d’acqua) ma dall’elevata potenzialità per produrre un vino che non perda in finezza, abbia una buona acidità e possa supportare anche lunghe fasi di affinamento. Scegliere il materiale tra i cloni francesi 114, 115, 292; usare i cloni 459 e 583 con una percentuale massima del 25% e in zone con buon drenaggio e 667, 777, 828, 165, 943 con una percentuale massima del 30%. Tra i cloni italiani scegliere tra Lb 4, SMA 201, SMA 185, MIRA-01-3004, MIRA-98-3140, VCR 18 e VCR 20. I portinnesti da utilizzare in questa UT sono 110R, 161-49, SO4, 420A e 41B.
Modello viticolo
Per esaltare l’elevata vocazionalità nella produzione di vini rossi si consigliano le forme di allevamento Guyot e cordone speronato con elevate densità di impianto (fino a 5000 piante/ettaro).
La gestione del suolo deve prevedere l’inerbimento accompagnato da lavorazioni o diserbo sotto fila. La pratica risulta particolarmente idonea sia per la tutela del territorio, evitando perdite di terreno per dilavamento, che per indurre un lieve stress fisiologico durante la fase di maturazione delle uve. Si consiglia un inerbimento competitivo costituito da un mix di graminacee per assicurare un buon grado di copertura del suolo, resistenza al calpestamento e ai periodi di siccità: Bromus, Poa, Lolium multiflorum e Festuca ovina. Per non aumentare eccessivaGestione del suolo mente il livello di competizione con il vigneto è sconsigliato l’inerbimento spontaneo. In caso di annate particolarmente siccitose si consiglia una gestione del prato di tipo temporaneo praticando la rottura del cotico erboso nel periodo di fine primavera (giugno) tramite estirpatore. Nelle aree di raccordo con la pianura o con un drenaggio difficile si consiglia di operare sistemazioni idrauliche e prevedere l’utilizzo di aratri talpa o ripper per migliorare il drenaggio nei punti di maggior accumulo d’acqua. Per facilitare i processi di accumulo e l’ingresso nella fase di maturazione incrementare del 20% le unità del quantitativo in restituzione di Potassio e ridurre le unita azotate del 10%.
Gestione della pianta
Gli interventi di gestione in verde dovrebbero essere volti a limitare gli effetti di un eventuale eccesso di vigore e quindi si consiglia di effettuare potature lasciando un numero maggiore di gemme per poi intervenire successivamente col diradamento dei germogli e dei grappoli. La pratica della sfogliatura precoce potrebbe ridurre tale tipo di operazioni e aumentare la qualità delle produzioni. Considerando i limiti del disciplinare si ipotizzano 14-16 grappoli a pianta per 2,4 kg di uva per pianta alle densità di impianto consigliate. Visti gli indici termici effettuare una cimatura in post-fioritura (grano di pepe) e le sfogliature tardivamente in prossimità della vendemmia, effettuandole dal lato meno esposto al sole (lato nord o est).
Consiglio enologico
Vista la buona attitudine di questa unità a fornire uve ricche in struttura e colore si consiglia una raccolta attenta a non rovinare l’uva; nel caso di vendemmia a mano si può optare anche per una diraspatura senza pigiatura seguita da una macerazione a freddo di alcuni giorni. La macerazione, nel caso di tannini maturi e non verdi, può essere prolungata nel tempo con rimontaggi e délestage quotidiani valutando il livello di astringenza del vino. È possibile effettuare lunghi affinamenti in legno in modo da poter eliminare per decantazione naturale le fecce evitando eccessivi filtraggi che impoverirebbero il vino.
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UNITÀ TERRITORIALE 5
Caratterizzazione ambientale Paesaggio: l’unità si sviluppa nell’area sud ovest dell’Oltrepò tra i comuni di Rocca Susella, Fortunago fino a Rocca de’ Giorgi. Il territorio è caratterizzato da dorsali arrotondate con versanti di forma variabile, anche molto ondulati, con pendenze da moderate a moderatamente elevate. L’area è facilmente aggredibile dalle lavorazioni e nei versanti più scoscesi sono diffusi fenomeni di erosione. Il paesaggio agrario è caratterizzato da alternanza di vigneti, di prati e di boschi. Geologia: il substrato è caratterizzato dalla successione di marne ed arenarie poco coese. Alcuni punti si caratterizzano per una natura argillo-calcarea. Suoli: i suoli si presentano con profondità media, scheletro scarso e tessitura media. Il calcare risulta elevato. La capacità di drenaggio è generalmente buona mentre nelle zone orientali risulta mediocre. La zona è contraddistinta da valori di radiazione fotosinteticamente attiva medio-bassi (tra 1800 e 2200 MJ/m2 all’anno); l’area si sviluppa prevalentemente nella fascia collinare più interna con altitudini elevate comprese tra i 300 m e i 550 m. Nell’area orientale si risconta una classe di piovosità superiore (> 850 mm) mentre ad ovest si risconta minor piovosità annua (740 mm). Il territorio è caratterizzato da una esposizione dei versanti diversa dall’UT1 perché è prevalentemente verso sud/ovest (specialmente nei versanti maggiormente vitati) con pendenze medie comprese tra il 10 e il 30%. L’ambiente si presenta caratterizzato da elevati sbalzi termici specialmente nei periodi estivi. In media le temperature risultano essere inferiori di circa 3°C rispetto alle zone più basse con inverni freddi e con estati mediamente calde. L’area si contraddistingue per essere caratterizzata da versanti verso sud ben illuminati e freschi. 54
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Vocazionalità Attitudine principale
Zona collinare caratterizzata da elevate escursioni termiche e clima temperato particolarmente adatta alla produzione di Pinot nero destinato alla spumantizzazione specialmente se vinificato in rosato. L’unità è destinata alla produzione di uve caratterizzate da un ampio profilo aromatico e da una ottima dotazione acidica. Buona attitudine anche alla vinificazione in rosso nelle zone più calde e meglio esposte.
Profilo sensoriale
Le elevate escursioni termiche della zona determinano un vino particolarmente fresco, la cui caratteristica è esaltata nel profilo aromatico dalle spiccate note floreali e al palato da una gradevole nota acidula e buona struttura.
Vino non particolarmente armonico, il cui profilo aromatico è caratterizzato da intensi sentori erbacei e discrete note di viola e di frutta rossa; in bocca risulta sufficientemente strutturato con buona astringenza e tenore acidico.
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Consigli Gestionali Oltrepò DOCG
Scelte genetiche
Modello viticolo
Privilegiare un mix di cloni che forniscano un quadro acidico superiore e un tenore zuccherino medio-elevato adatti a realizzare basi spumante. Scegliere i cloni francesi 292, 386, 375, 665, 666, 779, 792, 870 o quelli italiani SMA 191, SMA 201, 5-V-17, MIRA 95-3047, R4, VCR 9 e VCR 18. Eccetto considerazioni locali riguardanti il valore del calcare attivo, non ci sono particolari fattori limitanti che possano escludere alcuni portainnesti. Si consiglia in particolare di utilizzare nella fascia occidentale portainnesti con apparato radicale profondo e a medio-alto vigore, per supportare le acidità (420A, 41B, SO4 e 779P). Per l’area orientale, con maggior piovosità, tessiture più fini e drenaggi non ottimali, si consigliano portinnesti con un apparato radicale profondo o semi profondo con medio alto vigore; utilizzare anche Teleki 5C e Kober 5BB. Utilizzare forme di allevamento a spalliera (Guyot) con densità da 4000 a 4400 piante/ha. Effettuare potature a 13 o 14 gemme/pianta.
A causa delle elevate pendenze si consiglia una sistemazione a rittochino con gestione del suolo inerbito accompagnato da lavorazioni o diserbo sotto fila. Realizzare un inerbimento competitivo costituito da leguminose e graminacee per migliorare il grado di protezione del suolo da agenti erosivi, aumentare il consumo d’acqua in eccesso e effettuare un concimazione azotata naturale grazie alle leguminose; si consigliano Festuca arundinacea o F. ovina e Trifoglio incarnatum. Per i vigneti dove il vigore delle piante risultasse eccessivamente limitato sostituire la Festuca con Poa pratensis; nelle aree più siccitose (occidentali) si consiglia Gestione del suolo di attuare un inerbimento temporaneo con graminacee (Lolium/Bromus) per aumentare la tutela ambientale. Nella fasce altimetriche più alte e nelle zone più umide si consiglia un inerbimento spontaneo o con Festuca. Con annate particolarmente siccitose si consiglia una gestione del prato di tipo temporaneo praticando la rottura del cotico erboso nel periodo di fine primavera (giugno) tramite estirpatore o zappatrice. Nel triennio prevedere una lavorazione grossolana dei suoli con aratri talpa o ripper per arieggiare il suolo e migliorare il drenaggio nei punti raccordo. Per ottemperare all’obiettivo enologico prefissato si consiglia una riduzione del quantitativo in restituzione di Potassio del 10-15% e un incremento delle unità di Azoto del 20%.
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Gestione della pianta
Gli interventi di gestione in verde devono essere volti ad accentuare il riempimento della parte vegetativa in modo da poter ombreggiare il grappolo e limitare l’innalzamento delle temperature della bacca; si consiglia quindi di non sfogliare la chioma per non esporre i grappoli alle alte temperature. Effettuare una cimatura precoce (post-fioritura - allegagione) per facilitare la completa emissione di femminelle. In annate fresche e con vigneti molto vigorosi attuare anche una seconda cimatura da effettuare entro 60 gg dalla raccolta. L’eventuale diradamento dei grappoli va fatto all’invaiatura per rispettare i limiti imposti dal disciplinare.
Consiglio enologico
La vendemmia in cassetta rimane la soluzione migliore per ottenere la massima qualità dall’uva. Nella vinificazione in rosato, la frazione del mosto ottenuto dalla pressatura dell’uva intera verrà destinata alla produzione di basi spumante di pregio e dal lungo affinamento “sur lies”. Una corretta pressatura, con particolare attenzione al frazionamento del mosto, permetterà di intervenire il meno possibile in fase di chiarifica, in particolar modo sulle prime pressate, in modo da non impoverire troppo il colore. Per i vini base migliori, in annate particolarmente favorevoli e ottenuti dalle migliori frazioni del pressato, si consiglia anche la permanenza sulle fecce per oltre 24 mesi per la produzione di spumanti millesimati.
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O.P. Pinot nero
Scelte genetiche
La scelta del clone deve essere attuata considerando le altitudini e la non elevata fertilità dei suoli; nella fascia occidentale non ci sono particolari limitazioni mentre nell’area orientale si consigliano solo cloni di vigore intermedio per non accentuare i processi di affastellamento. Utilizzare cloni dall’elevata specificità con alta potenzialità nella produzione di zuccheri e polifenoli. Privilegiare una selezione policlonale in modo da poter elevare il tenore alcolico, la struttura e il colore attenuando le alternanze dettate dall’annata. Preferire i versanti più assolati con esposizioni sud e ovest. Si consigliano i seguenti materiali: 113, 114, 115, 459, 667 per un rosso giovane, mentre 165, 777, 828, 927, 943 per rossi importanti e strutturati. Tra il materiale di origine italiana si consigliano SMA 185, SMA 201, MIRA98-3140, MIRA-01-3004, VCR 18, VCR 20, Lb 4, mentre, per un rosso giovane, MIRA 95-3047 con VCR 9. Eccetto considerazioni locali riguardanti il valore del calcare attivo, non ci sono particolari fattori limitanti che possano restringere la scelta del portainnesto; in particolare si consiglia l’utilizzo nella fascia orientale di portainnesti meno vigorosi per facilitare e anticipare la fase di maturazione (101-14, 161-49, SO4 e 420A).
Modello viticolo
Per esaltare le caratteristiche del territorio si consiglia una densità di impianto elevata (5000 piante/ha) con forma di allevamento a Guyot. Utilizzando i cloni meno produttivi adottare anche il cordone speronato. Le potature devono essere corte con 12 gemme totali sul tralcio di rinnovo.
È consigliato un inerbimento, accompagnato da lavorazioni o diserbo sotto fila, costituito da un mix di graminacee capace di assicurare un buon grado di copertura del suolo, resistenza al calpestamento e a periodi di siccità (Lolium multiflorum e Festuca ovina). Per non aumentare eccessivamente il livello di competizione con il vigneto è sconsigliato l’inerbimento spontaneo. In aree particolarmente siccitoGestione del suolo se utilizzare Bromus e in annate particolarmente critiche effettuare una gestione del prato di tipo temporaneo praticando la rottura del cotico erboso nel periodo di fine primavera (giugno) tramite estirpatore. Nelle zone con suoli più pesanti (zona orientale) porre attenzione ai ristagni e agli eccessi idrici che andrebbero a diminuire il livello qualitativo dell’uva; utilizzare aratri talpa o ripper per facilitare l’allontanamento del surplus idrico.
Gestione della pianta
Gli interventi di gestione in verde devono essere volti ad aumentare l’efficienza della chioma limitando gli effetti del vigore e migliorando il rapporto tra superficie fogliare attiva e uva prodotta. Effettuare il diradamento dei germogli sterili e dei grappoli. Valutando gli indici termici effettuare sfogliature tardive alla invaiatura mentre con annate particolarmente piovose, umide o fredde preferire sfogliature precoci (chiusura grappolo). La cimatura deve essere effettuata in post-allegagione.
Consiglio enologico
Nel caso di vendemmia meccanica il consiglio è di fare una cernita in vigneto prima della raccolta per evitare uve troppo immature. Durante la fermentazione e la macerazione considerare il livello del colore del vino per valutare l’eventualità di un salasso oppure di tecniche quali l’innalzamento della temperatura a fine fermentazione per aumentare l’estrazione dei composti polifenolici delle bucce; nel caso di tannini troppo verdi o amari si consiglia l’eliminazione dei vinaccioli durante le operazioni di rimontaggio o délestage. Rimane valido il consiglio di utilizzare in vinificazione vasche dal rapporto superficie/altezza elevato. Nel caso di affinamento del vino in acciaio si consiglia una pulizia del vino, tramite filtrazione o travasi, per evitare problemi di riduzione.
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UNITÀ TERRITORIALE 6
Caratterizzazione ambientale Paesaggio: l’ampia diffusione dell’unità lungo l’intero territorio comporta una vasta eterogeneità di paesaggi. Nella zona ad Est (Montù Beccaria) sono presenti dorsali arrotondate con tratti subpianeggianti e aree collinari con pendenze a volte molto elevate. Il substrato risulta essere soffice con dominanza di limo-argilla, facilmente aggredibile dalle lavorazioni. Nell’area ad ovest (Torrazza Coste) sono presenti dei terrazzi con substrato moderatamente alterato. In generale l’antropizzazione del territorio ha creato un paesaggio di versanti omogenei e nell’insieme ben raccordati. Geologia: ad est il substrato è in maggior parte di natura argillosa mentre nell’area a ovest è composto da matrici marno-limose con intrusioni di ghiaia e sabbia. Suoli: i suoli si presentano moderatamente profondi con scheletro variabile tra scarso e comune e con tessiture moderatamente fini. Le lavorazioni hanno spesso portato alla decapitazione dei dossi formando aree con limitata profondità e con affioramento di substrato inerte. Ai piedi dei versanti i suoli risultano essere più profondi. I suoli sono moderatamente calcarei con un pH alcalino. La capacità di drenaggio è mediocre. La zona è contraddistinta da valori di P.A.R. di circa 2300 MJ/m2 all’anno e si sviluppa prevalentemente nella fascia collinare a ridosso della pianura con altitudini comprese tra i 150 e i 250 m; si hanno precipitazioni superiori a 850 mm/anno nella parte orientale mentre tra 700-800 mm/anno ad occidente. Rispetto all’unità 4 la fascia centrale, essendo più lontana dalla pianura, risulta essere leggermente meno calda e non soggetta all’effetto diretto dei venti caldi e secchi. L’esposizione dei versanti è prevalentemente verso nord e ovest con pendenze inferiori al 20%. 58
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Vocazionalità Attitudine principale
Unità adatta alla produzione di uve per vinificazioni in rosso con un buon rapporto tra maturazione tecnologica e fenolica.
Profilo sensoriale
Si ottengono vini dai discreti sentori di vegetale secco e con una prevalenza di frutta matura. La precocità della zona permette una buona maturazione delle uve con una riduzione dei sentori erbacei. Al palato il prodotto risulta di buona struttura e sapidità, sufficientemente acido.
Le alte temperature permettono di ottenere vini rossi di buona struttura, particolarmente equilibrati il cui profilo è esaltato dalle note fruttate di ciliegia e frutti rossi e in cui non manca uno spiccato sentore di viola e speziato.
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Consigli Gestionali Oltrepò DOCG
Scelte genetiche
Per le caratteristiche climatiche, contraddistinte da elevate temperature durante la fase di maturazione e limitati sbalzi termici durante la notte, è utile utilizzare cloni che riescano a mantenere elevato il quadro acidico. Scegliere i versanti meno assolati, più freschi e più elevati nei quali si consiglia il seguente materiale vegetale 665, 666, 778, 780, 871, SMA 191, 5-V-17, MIRA 95-3047, R4, VCR 9, Lb 4 e 18 Gm. I portinnesti da utilizzare sono il 420A, SO4, 1103P, Teleki 5C e Kober 5BB. In terreni particolarmente calcarei adottare il 41B.
Modello viticolo
Adottare forme di allevamento a tralcio rinnovabile (Guyot) con densità di impianto di 4000 piante/ha con circa 15 gemme totali/pianta.
La necessità di mantenere un quadro acidico superiore prevede l’adozione di lavorazioni dei suoli a file alternate con l’obiettivo di stimolare il vigore e ritardare la fase di maturazione. Evitare lavorazioni troppo fini sia per non formare ampie suole di lavorazione, con conseguenti possibili danni ambientali in presenza di precipitazioni intense, che la perdita della naturale fertilità. Nella aree con maggiore pendenza (Calvignano, Montù Beccaria) limitare il ruscellamento dell’acqua pioGestione del suolo vana con una corretta gestione dei drenaggi e fossi acquai adottando lavorazioni del suolo più grossolane (vangatrici, erpicatura). Nei filari non lavorati o nei vigneti inerbiti si consiglia un inerbimento temporaneo con diserbo sotto fila, con inerbimento a lenta velocità di insediamento per ridurre l’effetto competitivo iniziale. Praticare un mix tra Festuca ovina, Poa Pratensis, Bromus. Nei suoli con maggior capacità di trattenere acqua utilizzare le leguminose. Per agevolare il raggiungimento degli obiettivi enologici prefissati si consiglia un incremento della concimazione azotata di restituzione del 10-15%.
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Gestione della pianta
Mantenere folta la chioma facendo sviluppare più strati fogliari allo scopo di limitare un innalzamento della temperatura delle bacche e una riduzione del tenore acidico. In particolari condizioni di fertilità dei suoli o eccessivo vigore delle chiome effettuare operazioni di scacchiatura per ridurre eventuali affastellamenti. Stimolare l’emissione di nuove femminelle praticando una cimatura in post-allegagione (grano di pepe). Non sfogliare. L’eventuale diradamento dei grappoli deve essere fatto all’invaiatura per rispettare i limiti imposti dal disciplinare.
Consiglio enologico
Si consiglia una raccolta non troppo anticipata per evitare che sostanze dal gusto erbaceo possano poi ritrovarsi nel vino finito. Una soffice pressatura delle uve con una corretta divisione delle frazioni, aiutati anche dalla misurazione del pH, permette di ottenere spumanti bianchi e rosati fruttati e di discreta struttura. Le operazioni di chiarifica sulle pressate più intense risultano necessarie per pulire il mosto. Affinamenti non prolungati sulle fecce fini permettono di ottenere buoni spumanti in bianco e in rosato.
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O.P. Pinot nero
Scelte genetiche
Modello viticolo
Si consiglia una scelta del materiale vegetale per la costituzione di un vigneto policlonale con l’obiettivo di far fronte alle mutevoli e a volte critiche caratteristiche ambientali con una diversa risposta dettata dalla variabilità intravarietale. Scopo è di produrre un prodotto che si contraddistingua per finezza, buon quadro acidico e che possa essere idoneo all’invecchiamento. Adottare cloni francesi 665, 666, 779, 459, 375, 583 in percentuali massime del 25% in zone con un buon drenaggio; 114, 115, 165, 777, 828, 927, 943 in percentuali massime del 30%. Per i cloni di origine nazionale si indicano: Lb 9, SMA 201, SMA 185, MIRA-01-3004, MIRA 95-3047, MIRA-98-3140, VCR 9, VCR 18 e VCR 20. I portinnesti: 110R, 161-49, SO4, 420A e 41B nei suoli più calcarei. Adottare forme di allevamento sia a Guyot che a cordone speronato con densità di impianto maggiori di 4500 piante/ettaro.
Realizzare un inerbimento temporaneo accompagnato da lavorazioni sotto fila o diserbo. Si consiglia un inerbimento competitivo costituito da un mix di graminacee capace di assicurare un buon grado di copertura del suolo e resistenza al calpestamento: Bromus, Poa, Lolium multiflorum e Festuca ovina. Per non aumentaGestione del suolo re eccessivamente il livello di competizione con il vigneto non praticare l’inerbimento spontaneo. Nelle aree di raccordo con la pianura o con un drenaggio difficile si consiglia per migliorare il drenaggio di utilizzare aratri talpa o ripper; effettuare le lavorazioni con terreni in tempera. Per facilitare processi di accumulo e la fase di maturazione incrementare del 20% i quantitativi di Potassio e ridurre l’Azoto del 10%.
Gestione della pianta
Effettuare la scacchiatura dei germogli secondari alla lunghezza di 15-20 cm. Questa prassi può essere una operazione di controllo della produzione da accoppiare, in annate particolarmente fertili, al diradamento dei grappoli in invaiatura; con una sfogliatura effettuata in epoca precoce si può ottenere il risultato di una buona maturazione della materia colorante senza scottature delle bacche. Le sfogliature devono essere effettuate dal lato meno assolato (lato nord o est). La cimatura deve essere eseguita in post-fioritura (grano di pepe) mentre le sfogliature tardive dovranno essere praticate 10-15 giorni prima della vendemmia.
Consiglio enologico
La scelta della data di vendemmia andrà valutata considerando la maturazione fenolica dell’uva che può dare utili consigli circa la più idonea vinificazione da adottarsi. Applicare una pigiadiraspatura soffice per garantire una estrazione delle sostanze nobili delle uve limitando cessioni di sostanze troppo astringenti. Le macerazioni prolungate nel tempo e affinamenti di lunga durata in legno possono garantire al vino complessità e struttura. Eventuali chiarifiche leggere con albumina possono aiutare ad elevare la qualità del vino e a limitare il ricorrere a processi di filtrazione successivi che tenderebbero invece a diminuirla.
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Scorcio di paesaggio autunnale in localitĂ Torrone nel comune di Santa Maria della V ersa.
Paesaggio viticolo invernale.
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4. Manuale d’uso del territorio 4.1. Le scelte agronomiche Le scelte all’impianto La preparazione del terreno Una delle prime scelte da fare quando si acquista un terreno per la realizzazione di un nuovo impianto è quello di decidere il modo in cui verranno disposti i filari in un appezzamento e di solito questo è in funzione della pendenza dello stesso e del tipo di terreno. Una prima distinzione riguarda le situazioni di coltivazione in collina o in pianura. Nel primo caso occorrerà impostare la sistemazione del terreno con l’obiettivo di eliminare le acque in eccesso cercando di convogliarle per ridurre il rischio di erosione che aumenta con l’aumento della pendenza. Nelle sistemazioni di pianura invece si posizioneranno i filari parallelamente al lato più lungo dell’appezzamento per ottimizzare la superficie coltivabile cercando di prediligere l’orientamento nord-sud che dà migliori esposizioni alla luce solare. Nel caso del comprensorio della DOCG “Oltrepò Pavese” si hanno appezzamenti quasi esclusivamente posizionati in collina e in cui la sistemazione dei terreni sicuramente più diffusa è quella a rittochino: è un tipo di sistemazione che prevede l’orientamento dei filari nel senso della massima pendenza ed ha il vantaggio di facilitare enormemente la meccanizzazione del vigneto contribuendo nello stesso tempo al corretto deflusso delle acque. Uno svantaggio di questo tipo di sistemazione è quello di causare una sensibile erosione superficiale del terreno per le acque che seguendo la pendenza portano a valle quantitativi significativi di terreno. Per limitare questo fenomeno spesso a questo tipo di sistemazione si affianca l’inerbimento dell’interfila del vigneto per impedire alle acque di erodere la parte superficiale del terreno. Come detto in precedenza questo tipo di sistemazione non pone particolari impedimenti alla meccanizzazione se la pendenza non supera il 35-40%, in questo caso non si potranno più utilizzare le macchine in sicurezza e i lavori manuali si renderanno molto onerosi per il disagio a dover perVigneto con sistemazione a rittochino. correre tali pendenze. Quando le pendenze del terreno superano il 35-40% si può optare per la sistemazione a terrazzamenti o ciglionamenti: questo tipo di sistemazione prevede la modificazione del versante attraverso l’utilizzo di macchine per il movimento della terra. Spesso la sistemazione per terrazzamento o ciglionamento prevede l’utilizzo di strutture prefabbricate come muri o reti per la formazione di sostegni che consentano una certa stabilità nel tempo del terrazzo o ciglione.
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Qualora si debba procedere a livellamenti o a delle sistemazioni più consistenti, è importante evitare di sconvolgere la naturale successione degli orizzonti, per non ridurre drasticamente la fertilità agronomica, chimica e fisica del terreno. Buona pratica è quindi operare prima lo scortico del suolo, ossia asportare e accantonare il terreno fertile dei primi 30-40cm, e successivamente ai lavori di sistemazione, ridistribuire uniformemente il suolo. La preparazione profonda del suolo, aratura profonda o scasso, si prefigge gli obiettivi di rimuovere eventuali orizzonti limitanti la crescita radicale, agevolare la percolazione dell’acqua e aumentare l’abitabilità del suolo. In condizioni di scarsa stabilità del suolo (rischio di smottamenti) e di fertilità alterate degli strati più profondi del suolo è consigliabile evitare di eseguire lo scasso con aratro e optare per una rippatura preliminare ad una profondità di un metro in modo da smuovere ed areare gli strati più profondi senza però rivoltarli e successivamente eseguire un’aratura a 30 cm. Il lavoro dovrà essere eseguito nel periodo estivo quando il terreno è in tempera o in condizioni di relativa disidratazione, consentendo in tal modo di meglio frammentare la terra. L’esposizione al sole permette altresì di eliminare le erbe infestanti e di condurre ad una forte mineralizzazione dell’azoto. In caso di reimpianti si dovrà considerare la stanchezza del suolo e le possibili infestazione di nematodi. In questo caso si dovrà procedere ad una rippatura profonda (100-120 cm) incrociata, seguita da aratura profonda (40-50 cm). È raccomandabile il riposo di un anno con coltura di cereali o erbaio da sovescio evitando il maggese nudo su terreni declivi. Dopo il lavoro di scasso occorrerà procedere all’asportazione delle vecchie radici e allo spietramento; molti terreni infatti sono ricchi di pietre, sassi e talvolta massi rocciosi molto grandi che vanno asportati in quanto ostacolano la messa a dimora di pali, viti e in generale tutte le lavorazioni. Essi possono essere impiegati, una volta ridotti di dimensione, per la costituzione di muri di sostegno o di confine oppure per la realizzazione di dreni. Gli attuali mezzi meccanici consentono di sistemare il terreno prima dell’impianto pareggiando gli eventuali avvallamenti, abbassando i dossi tramite riporti di terra anche di notevole portata, al fine di ottenere sistemazioni perfette che agevoleranno in seguito tutte le operazioni meccaniche in vigneto. Una volta eseguite le operazioni di scasso e rimozione delle vecchie radici si dovrà procedere con i lavori di affinamento superficiale per rendere il terreno idoneo all’impianto delle barbatelle. La capacità che il suolo ha nel lasciare percolare l’acqua dipende dalla permeabilità e dalla profondità della falda freatica, dalla morfologia del sito e del territorio circostante; la principale ragione per attuare un’opera di regimazione delle acque in un vigneto è la rimozione delle acque superficiali in eccesso, ma bisogna anche considerare l’abbassamento della falda freatica ad un livello che non causi problemi di ristagno ed asfissia dell’apparato radicale e infine l’attuazione di un giusto equilibrio tra acqua e aria nel terreno. A tal fine esistono due tipologie di interventi complementari tra loro: il drenaggio e l’affossatura. Tutti i vigneti hanno la necessità di messa in opera di un’affossatura che consenta lo sgrondo delle acque in eccesso in canali laterali al vigneto. Il gradiente che consente questo deflusso delle acque
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in eccesso deve essere adeguato per non provocare l’erosione superficiale del terreno. Esistono diversi accorgimenti per la realizzazione di fossi acquaioli uno dei quali è la creazione di scoline laterali agli appezzamenti. Questo accorgimento è adatto per terreni con pendenze non elevate che causano flussi di acqua non eccessivi. Essi sono inoltre indicati per suoli argillosi che più difficilmente vengono erosi. Un altro modo per allontanare le acque superficiali in eccesso è la creazione di una via inerbita (capezzagna) che consenta il deflusso di acqua. Infine vi è la possibilità di mettere in posa veri tubi laterali di raccolta che consentano il convogliamento delle acque superficiali in eccesso in bacini di raccolta dove l’acqua possa essere reimpiegata per l’irrigazione. Il drenaggio sottosuperficiale, invece, è il complesso dei sistemi naturali o artificiali che permettono lo smaltimento in profondità dell’acqua in eccesso del terreno. Con lo stesso termine s’intende pertanto sia la proprietà intrinseca del terreno a lasciar percolare l’acqua gravitazionale, sia gli allestimenti predisposti dall’uomo per asportare l’acqua in eccesso facendola defluire in un sistema di raccolta. Per la costituzione di un drenaggio profondo formato da una rete di canali posti sotto il terreno si possono utilizzare materiali diversi: pietre e ciottoli, tubi in cemento, tubi in plastica e grazie all’utilizzo di queste pratiche è possibile eliminare o attenuare i vizi collegati a fattori di natura climatica e pedologica dei terreni. La realizzazione di un buon drenaggio profondo favorisce l’espansione del sistema radicale, aumentando il vigore delle viti. La forma di allevamento Scegliere un sistema di allevamento piuttosto che un altro determina una serie di fattori che andranno a condizionare in modo più o meno permanente sia i risultati produttivi che quelli qualitativi del futuro vigneto. La forma di allevamento della vite può essere definita come la struttura architettonica che viene imposta alla pianta per ottimizzare i rapporti esistenti tra la fase vegetativa e quella produttiva. Il fine ultimo di questa pratica agronomica è quello di mediare tra un dato potenziale vegetativo e il fine produttivo che si vuole raggiungere. La forma e la dimensione della pianta determinano la ripartizione energetica tra i vari organi che la costituiscono e di conseguenza la qualità della produzione. Generalmente le forme più contenute sono più equilibrate e propense all’accumulo di metaboliti nei grappoli, più longeve, più resistenti alle fitopatie e alle avversità climatiche. Tra i parametri strutturali dell’impianto che sono assoggettati alla scelta della forma di allevamento possiamo distinguere dei parametri generali ed altri specifici. Tra i primi, che una volta determinati non potranno più essere modificati, si annoverano i sesti d’impianto, intesi sia come distanza tra le file che sulla fila, e l’orientamento dei filari. Per quanto i riguarda i secondi, più specifici della forma prescelta, i parametri sono: disposizione della vegetazione (ascendente o a ricadere, in una o due pareti), presenza o meno di un cordone permanente, tipo di potatura (lunga o corta, ricca o povera), altezza da terra. Questi, seppur con difficoltà e al contrario dei precedenti, possono essere mutati durante la vita del vigneto, per questo vengono definiti anche come para-
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metri modificabili e sono quelli che, caratterizzando le diverse forme di allevamento, maggiormente incidono sul raggiungimento dell’equilibrio vegeto-produttivo attraverso la struttura della pianta. Se un tempo il numero di sistemi di allevamento della vite adottati era estremamente elevato e si poteva affermare senza timore di errori che in ogni zona viticola esisteva almeno una forma tipica, oggi il numero di sistemi di allevamento si è ridotto a poche tipologie funzionali ad una moderna viticoltura che necessita sempre più della meccanizzazione delle diverse operazioni colturali. Attualmente la scelta della forma di allevamento è circoscritta essenzialmente alle forme di allevamento in spalliera in quanto sono quelle adatte ad una moderna viticoltura dove è sempre maggiore la difficoltà di reperire manodopera e quindi diventa indispensabile poter svolgere il maggior numero di operazioni in modo meccanico. Oggigiorno in Oltrepò Pavese le scelte sono orientate verso le seguenti forme di allevamento: il Guyot e il cordone speronato. In questo caso la scelta tra le due opzioni è condizionata essenzialmente da due fattori: dal tipo di varietà che si intende coltivare e dal livello di meccanizzazione che si intende raggiungere. Per quanto riguarda le varietà quelle a bassa fertilità basale e o più in genere quelle che devono essere protette dal forte irraggiamento solare è più opportuno che vengano condotte a Guyot. Al contrario per i vitigni che hanno una buona fertilità basale e che necessitano di un maggior irraggiamento sui grappoli, per un miglior accumulo antocianico è auspicabile l’adozione del cordone speronato. Se viene preso in considerazione il livello di meccanizzazione il cordone speronato apporta indubbi vantaggi. Innanzitutto la possibilità di effettuare prepotature completamente meccanizzate può portare a riduzioni di fabbisogno di mano d’opera in questa operazione anche dell’80%, successivamente anche per l’altra operazione a più alta richiesta di lavoro, la vendemmia, il cordone speronato ha alcuni vantaggi. La disposizione della produzione in una fascia omogenea d’altezza facilita le operazioni di vendemmia meccanica, inoltre la potatura corta degli speroni evita tutti i problemi di danneggiamento del tralcio per il rinnovo del Guyot, legato all’azione meccanica dei battitori della vendemmiatrice. Il Guyot è un sistema di allevamento a ridotta espansione (altezza del filo di banchina 80-100 cm massimo) e a potatura mista, adatto ai terreni di scarsa fertilità e più siccitosi in collina, dove la vite presenta uno sviluppo contenuto. Adottato in terreni molto fertili necessita di interventi agronomici per contenere il vigore vegetativo (inerbimento) e mantenere l’equilibrio vegeto-produttivo (interventi in verde); si presta ad una parziale meccanizzazione. Adattabile a tutte le varietà, risulta indispensabile per vitigni a ridotta fertilità basale ed è di solito consigliato per le varietà a bacca bianca in quanto determina un maggiore vigore e quindi una più accentuata acidità dei mosti. Il nome di questa forma d’allevamento deriva da Jules Guyot che intorno alla metà dell’800 pub-
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blicò un trattato sulle forme di allevamento della vite in Francia. In realtà questa tipologia di allevamento era già in uso da secoli anche in Italia; questa forma d’allevamento appartiene al gruppo delle forme a potatura mista così chiamate per la contemporanea presenza di uno o più speForma d’allevamento con potatura a Guyot. roni a funzione non produttiva; anche se nella maggior parte dei casi risultano fertili, servono in realtà ad ottenere germogli per il rinnovo del capo a frutto che rappresenta la vera unità produttiva della vite. Questa forma d’allevamento prevede anche le varianti a doppio tralcio fruttifero, in cui i capi a frutto vengono posizionati sul filo di banchina nelle due direzioni. L’archetto in cui il tralcio fruttifero viene piegato per stimolare la crescita delle gemme poste al centro del tralcio in quelle varietà che tendono ad accentuare la dominanza apicale, può essere anch’esso bilaterale. Ci sono degli aspetti particolarmente importanti da considerare in questo tipo di potatura che riguardano le caratteristiche del legno del tralcio che darà vita al capo a frutto: deve essere ben lignificato lungo tutta la sua lunghezza, la distanza tra gli internodi non deve essere esagerata (10cm), il diametro non deve essere eccessivo (7-10 mm), la sezione del tralcio deve essere il più possibile rotonda e il legno non deve presentare segni di attacchi parassitari o danni meccanici. La pratica di questa potatura prevede tre tipologie di taglio da effettuare su ogni ceppo annualmente. Si parla in questo caso di un taglio del passato con il quale si elimina il tralcio fruttifero dell’anno precedente, un taglio del presente da effettuare sul tralcio fruttifero che si è scelto e con il quale si determina la lunghezza del nuovo capo a frutto e un taglio del futuro con il quale si sperona il tralcio posto alla base del vecchio sperone che fungerà da rinnovo del capo a frutto per l’anno successivo. Esistono, come per tutte le forme d’allevamento, dei fattori favorevoli e alcuni contrari all’adozione del Guyot: a favore di questo tipo di forma d’allevamento si rileva la possibilità di ottenere di norma una produttività vantaggiosa anche su vitigni a scarsa fertilità delle gemme basali, la semplicità delle strutture di sostegno, la sufficiente facilità nel reperire manodopera esperta, l’ottima esposizione fogliare, la buona qualità delle produzioni e la possibilità di meccanizzare totalmente le operazioni in verde e la vendemmia mentre risulta di non facile organizzazione la prepotatura invernale essendo impossibile meccanizzarla completamente. A sfavore della scelta del Guyot si elenca il rinnovo annuale dell’unità produttiva con la conseguente operazione di legatura, l’eccessiva esposizione dei grappoli con rischi di scottature soprattutto nei climi caldi e per le varietà a buccia sottile, il forte stimolo dell’attività vegetativa in ambienti freschi e con combina-
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zioni d’innesto vigorose con necessità di potature verdi frequenti, l’impossibilità di meccanizzare in maniera agile la potatura meccanica invernale, il basso rapporto legno vecchio/legno giovane con quindi meno organi per l’immagazzinamento delle riserve utili alla qualità della produzione e alla resistenza alle diverse avversità che le piante si possono trovare ad affrontare. Il cordone speronato è una forma di allevamento a cordone permanente su cui sono inseriti speroni di 2-3 gemme da cui si sviluppano, ogni anno, i germogli fruttiferi. È una forma di allevamento che si presta a produzioni di qualità a causa di un contenuto sviluppo vegetativo e di un buon equilibrio vegeto-produttivo; si presta alla meccanizzazione. Le dimensioni generali di questo modello di struttura delle piante prevedono una altezza da terra del filo di banchina su cui viene impalcato il cordone permanente compresa tra i 70 e i 100 cm mentre l’altezza della parete fogliare oscilla tra i 100 cm e i 130 cm anche se esistono casi con altezze del filo di banchina di 30 cm con 90 cm di altezza della parete fogliare. Questa forma d’allevamento si ottiene attraverso la potatura corta che prevede la formazione di speroni composti normalmente da 2 gemme, ma queste unità produttive possono essere realizzate con 1 gemma fino ad un massimo di 4. Bisogna avere l’accortezza di distribuire gli speroni uniformemente lungo il cordone permanente a distanza di 15 cm circa uno dall’altro. Nel corso degli anni lo sperone tende naturalmente ad allontanarsi dal cordone, meno velocemente se si pone attenzione nello speronare sempre il tralcio più vicino al cordone; risulta quindi necessario rinnovare lo sperone con un germoglio proveniente da una gemma latente sul legno vecchio per riavvicinare l’unità produttiva al legno vecchio. Un’altra pratica da osservare per il conseguimento di un cordone equilibrato e duraturo è non costituire cordoni troppo lunghi che provocherebbero l’instaurarsi di un gradiente di vegetazione all’interno del cordone il che provocherebbe zone spoglie nell’area intermedia del cordone stesso, ridotto sviluppo della vegetazione e nei casi estremi senescenza e morte dello sperone con gravi ripercussioni sulla vitalità e produttività della pianta. In questi casi è necessario ricostituire il cordone: scegliere il tralcio che non sarà eccessivamente vigoroso quindi con internodi non eccessivamente lunghi per permettere di avere un sufficiente numero di nodi per l’unità di spazio prescelta. Importante è evitare il più possibile tagli rasi da dedicare solo a quei sarmenti situati in posizioni non idonee alla forma d’allevamento (posizioni ventrali o germogli sviluppatisi verso il basso). Il carico produttivo potrà essere pertanto distribuito alternando speroni con gemme franche a speroni con le sole gemme della corona; inoltre alternando le posizioni di queste unità produttive negli anni si limita l’allontanamento degli speroni dal cordone permanente. Le operazioni di potatura per formare il cordone speronato dall’impianto delle barbatelle seguono lo schema del Guyot con la sola differenza che al terzo anno si sceglierà e si piegherà sul filo di banchina il tralcio che darà vita al cordone permanente. Per quanto riguarda la potatura di “produzione” le operazioni da effettuare sono relative al taglio dei tralci posti sullo sperone. Nelle successive illustrazioni (fig. 4.1) sono schematizzati gli interventi da effettuare per impostare le due forme di allevamento.
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POTATURA DI ALLEVAMENTO Guyot e cordone speronato Figura 4.1: Forme di allevamento a Guyot e cordone speronato.
1° ANNO Preparazione delle barbatelle: prima dell’impianto: taglio delle radici fino alla lunghezza di 1-2 cm. Quando la barbatella attecchisce emette un germoglio la primavera stessa. È buona norma cimare i germogli eccetto quello meglio posizionato.
Prima potatura invernale dopo l’impianto: si sceglie 1 germoglio di diametro sufficiente e nella posizione migliore (tendenzialmente quello centrale allineato con l’asse principale della pianta) e a seconda del vigore si taglia a 2-3 gemme o, per le viti più vigorose, a 4-5 gemme.
2° ANNO Intervento primaverile del 2° anno: quando i germogli hanno raggiunto la lunghezza di 15-20 cm, si effettua un diradamento dei medesimi fino ad arrivare ad 1 germoglio solo nel caso di piante deboli o 2-3 nelle piante più vigorose.
Stesura del filo di banchina: durante la seconda stagione primaverile è utile stendere il filo di banchina a 80-100 cm dal terreno.
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Seconda potatura invernale: si eliminano tutti i germogli tranne quello meglio sviluppato e di altezza sufficiente che va tagliato appena sotto il filo di banchina.
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3° ANNO Intervento primaverile del 3° anno: eliminare i germogli posti più in basso sul tronco.
Terza potatura invernale: scelta del germoglio, ben lignificato e più adatto ad essere steso sul filo di banchina per costituire il capo a frutto di lunghezza variabile da 0,8 a 1,5 m a seconda della fittezza adottata.
4° ANNO
Quarta potatura invernale: scelta di due tralci: uno per costituire il capo a frutto e uno adatto a costituire uno sperone di 1-2 gemme (Guyot).
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Quarta potatura invernale: scelta di 5-7 germogli ben lignificati e posizionati per la costituzione di altrettanti speroni a 2-3 gemme (cordone speronato).
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Il portinnesto Per operare una scelta razionale del portinnesto si deve prevedere una buona conoscenza del suolo che verrà impiantato e di tutti gli altri fattori legati al suolo e al clima con particolare attenzione al regime delle precipitazioni, ma anche delle caratteristiche correlate alla varietà che si utilizzerà per l’impianto e alla tipologia di prodotto che si vorrà ottenere. La conoscenza delle caratteristiche fisiche e chimiche del suolo che ospiterà il futuro impianto viene costruita attraverso un’indagine analitica. I prelievi dei campioni che verranno inviati al laboratorio d’analisi devono essere fatti correttamente: si deve prelevare sia il suolo (0/30cm) che il sottosuolo (30/60cm) fino a giungere se possibile agli orizzonti più profondi soprattutto se si temono effetti clorotici. L’analisi chimico-fisica e l’osservazione del profilo permettono di conoscere i rischi di clorosi e di determinare la fertilità del suolo. Concorrono quindi a dare una conoscenza complessiva del suolo utile alla scelta del portinnesto la tessitura, lo stato di compattamento, la profondità, la composizione chimica (pH, sostanza organica, dotazioni in elementi minerali con maggior attenzione a K e Mg e quindi il loro rapporto) e la precedente destinazione d’uso. Una volta individuati i portinnesti adatti la scelta tra questi deve essere effettuata in base al vitigno e sono da considerare: eventuali problemi di incompatibilità (anche se rari e non assoluti), eccessivo o scarso vigore, esagerata o insufficiente fertilità, sensibilità alla colatura, condizionamento dei livelli di precocità delle diverse fasi fenologiche, sensibilità particolare ad alcune fitopatie e parassiti animali, carenze minerali. Altri aspetti nella scelta del piede da utilizzare possono essere ricondotti alla tradizione della zona viticola in cui ci si trova ad operare. Spesso l’esperienza locale ha ridotto il numero di portinnesti utilizzati a volte a causa di fattori limitanti vincolanti come clorosi o siccità che non lasciano molte opzioni tra cui scegliere, altre semplicemente dettate dalla scarsa audacia del viticoltore a sperimentare nuove combinazioni. In questo ultimo caso si può incoraggiare il viticoltore a testare e provare uno o più portinnesti che possono completare i portinnesti tradizionalmente utilizzati e portare in alcuni casi a interessanti aspetti colturali e soprattutto qualitativi. A fronte di questo aspetto c’è da considerare che la disponibilità vivaistica di portinnesti non di uso comune non è immediata quindi si consiglia di ordinare il portinnesto desiderato, e la combinazione con la varietà e il clone, con almeno un anno di anticipo. I portinnesti si distinguono anche in relazione alla diversa attitudine ad assorbire il potassio. Tra i portinnesti con particolare affinità per il potassio sono da citare SO4, 161-49, 44.43 e 110R. Un’intensa nutrizione di potassio può riflettersi nella bacca tanto sul suo accumulo quanto su quello di acido malico. Infatti la sintesi di acido malico consente, nei tessuti vegetali, il mantenimento dell’equilibrio cationi/anioni, bilanciando, in questo caso, l’accumulo di potassio. Lo stimolo alla sintesi di acido malico può però a sua volta ridurre la sintesi dell’acido tartarico. Un innalzamento del livello di acido malico, rispetto a quello di acido tartarico, determina, un contemporaneo aumento dell’acidità titolabile e del pH del mosto (minore acidità reale). Ciò perché l’acido malico è più debole del tartarico e pertanto, l’eccesso di potassio salifica soprattutto l’acido tartarico.
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Un’intensa nutrizione potassica quindi non è adatta alla preparazione di basi spumante, sia per la maggiore salificazione degli acidi organici dell’uva, sia per la modificazione del rapporto acido malico / acido tartarico a favore del primo. Per tali motivi, nei suoli ricchi in potassio, è necessario evitare di adottare portinnesti ad alta affinità per questo nutriente. La sua somministrazione mediante la concimazione deve essere fatta solo se ritenuta necessaria in base alla diagnosi dello stato nutrizionale del vigneto. Nella tabella 4.1 sono riportate le caratteristiche dei principali portinnesti utilizzati in viticoltura.
Particolare dell’impianto di un nuovo vigneto effettuato a macchina.
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Tabella 4.1: Caratteristiche dei principali portinnesti utilizzati in viticoltura
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Le scelte sanitarie La flavescenza dorata (FD) La flavescenza dorata fa parte dei cosiddetti “giallumi” della vite ossia quel gruppo di ampelopatie provocate da fitoplasmi che alterano l’attività dell’apparato fogliare, provocando una scarsa lignificazione dei tralci e il disseccamento dei grappoli; allo stesso gruppo appartiene anche l’ampelopatia provocata dal legno nero (LN). Le prime manifestazioni sono apparse in Oltrepò Pavese a partire dal 1999. Si ipotizza che l’ingresso in Italia e in Lombardia si sia verificato per un esodo migratorio dalla Francia di cicaline infette della specie S.titanus o per l’importazione e l’impianto di materiale infetto. Le prime aree colpite furono le aree viticole orientali da Torrazza Coste fino San Damiano al Colle. La diffusione e la moltiplicazione dei fitoplasmi avviene piuttosto lentamente, pertanto i sintomi che si osservano ad inizio stagione (fase di germogliamento) fino ai mesi estivi (giugno) sono per lo più da attribuire ad infezioni instauratesi durante l’annata precedente. Solo sintomatologie tardive, che appaiono a fine stagione, sono da riferirsi ad un’inoculazione da parte del vettore nel medesimo anno. Il Pinot nero risulta essere abbastanza sensibile. Le piante possono presentare sintomi gravi che arrivano ad interessare i tralci dell’intera chioma. I tralci sintomatici evidenziano un apparato fogliare accartocciato con arrossamenti scuri a livello di settori triangolari o dell’intera lamina fogliare. L’accartocciamento della lamina è verso il basso attribuendo alle foglie una forma triangolare. Le nervature inizialmente decolorate possono colorarsi di rosso e la foglia assume una consistenza friabile. La lignificazione dei tralci è irregolare e può non avvenire completamente lasciando il tralcio verde e gommoso. A ridosso dell’invaiatura inizia un graduale disseccamento del grappolo. Le sintomatologie espresse dalla FD e dal LN sono facilmente distinguibili da quelle ascrivibili alla virosi dell’Accartocciamento Fogliare alla quale il Pinot nero è spesso soggetto nell’area dell’Oltrepò. Nel caso dell’accartocciamento fogliare il Pinot risulta avere delle alterazioni nel colore della lamina fogliare solo nelle aree internervali lasciando le nervature verdi. I sintomi sono presenti su tutti i tralci con le foglie basali maggiormente accartocciate. La lignificazione del tralcio avviene invece regolarmente e il grappolo stenta a maturare, ma rimane turgido. Il vettore principale di trasmissione della flavescenza è lo Scaphoideus titanus, una cicalina che si caratterizza per l’estrema mobilità e per avere come unico ospite la vite. Anche il materiale vegetale infetto è un efficace mezzo di diffusione della patologia. Le principali strategie di difesa pertanto consistono principalmente nella prevenzione, utilizzando quindi barbatelle sane ed eliminando qualsiasi fonte di inoculo come i vigneti abbandonati non soggetti ad alcuna difesa antiparassitaria. L’estirpo delle prime piante infette riduce l’inoculo ed è una misura sostenibile fin quando la malattia è nella fase iniziale di “piccolo focolaio” ed interessa pochi ceppi. Tutte le misure preventive devono essere accompagnate da un controllo della diffusione del vettore S.titanus tramite due trattamenti insetticidi.
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Un primo trattamento, contro le forme giovanili, deve essere effettuato circa un mese dopo la schiusura delle uova (1020 giugno) mentre il secondo, mirato contro le forme adulte, deve essere eseguito circa 20 giorni dopo. Trattamenti estivi successivi (agosto) o invernali sono poco efficaci. Si consiglia di utilizzare principi attivi autorizzati su vite per la lotta alla cicalina. Gli esteri fosforici (Clorpirifos metile/etile – Fenitrotion) e i neonicotinoidi Tralcio affetto da flavescenza dorata. (Thiamethoxam) evidenziano una buona efficacia nel controllo del vettore; porre attenzione ai tempi di sicurezza. Nel caso si utilizzino, nel primo trattamento, prodotti regolatori di crescita (Buprofezin o Flufenoxuron) il trattamento deve essere anticipato di 10 giorni; in questo caso non bisogna utilizzare regolatori di crescita nel secondo trattamento. La modalità di esecuzione dei trattamenti è leggermente differente da quella attuata per i trattamenti con i fungicidi. La chioma deve essere ben irrorata compresi i polloni. È consigliabile evitare operazioni di spollonatura prima dei trattamenti in modo da impedire alle forme giovanili del vettore, che preferiscono sostare sui polloni, di ricadere sulla vegetazione sottostante sfuggendo così al trattamento. Trattare nelle ore più fresche quando gli insetti presentano una mobilità inferiore. Il non rispetto delle tempistiche, la non esecuzione dei trattamenti obbligatori o la sospensione dei trattamenti insetticidi provoca l’immediato aumento del numero delle piante infette. Dal punto di vista agronomico si consiglia di non eccedere nelle concimazioni in quanto sembrano aumentare la suscettibilità della piante alla malattia; per le restanti pratiche agronomiche (inerbimento, lavorazione del suolo, diserbo, ...) non vi sono indicazioni che possano influenzare la manifestazione della malattia e il suo profilarsi. Il legno nero (LN) Il principale vettore conosciuto è la cicalina Hyalesthes obsoletus detta anche “cicalina mosca”. La cicalina trasmette il fitoplasma dopo essersi infettata su piante erbacee ammalate ai margini ed entro il vigneto. Queste piante fungono da serbatoio dell’infezione. Non sembra che sia possibile una trasmissione diretta tra piante di vite. La cicalina è polifaga e staziona soprattutto su piante erbacee spontanee (ortica, convolvolo, amaranto). Gli adulti sono presenti tra giugno e settembre sia su fusto che foglie mentre le forme giovanili si sviluppano nella fase invernale primaverile nel terreno vicino alle radici. Essendo le piante erbacee ospitanti diffuse ovunque si consiglia di adottare misure di contenimenGuida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
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to di tipo agronomico eliminando le erbe a ridosso dei vigneti con diserbo meccanico tra fine marzo e inizio aprile o tra ottobre e novembre (evitare in estate per non spingere il vettore sulla pianta di vite). Il mal dell’esca Il Pinot nero è particolarmente suscettibile a questa malattia. Il mal dell’esca è una patologia del legno dovuta all’azione sinergica di diverse specie di funghi. Può avere due tipi di decorso: un disseccamento lento e progressivo dei tralci, che può durare anche diversi anni, oppure un decorso acuto (apoplessia) nel quale foglie e grappoli avvizziscono e l’intera pianta muore nel giro di alcuni giorni. Il legno presenta imbrunimenti interni con zone di tessuto cariato giallastro e sulle foglie compaiono dei disseccamenti longitudinali tra le nervature con necrosi brune e rosso-brune. La malattia attacca sia piante giovani, sia adulte, ma nei ceppi più vecchi è più semplice vedere i sintomi poiché il decorso avanzato della malattia produce maggiori danni a carico del legno. Il legno attaccato non svolge più una corretta funzione di traslocazione dell’acqua e dei fotosintetati. La propagazione dell’infezione avviene tramite il micelio del fungo presente nel legno. Tutti i funghi interessati nella sindrome dell’esca penetrano all’interno Foglie di vite colpita da mal dell ’esca. dell’ospite tramite le ferite provocate essenzialmente dai tagli di potatura o da lesioni meccaniche (spollonatura, potatura e vendemmia). Non essendo possibili interventi diretti di tipo chimico si consiglia di limitare in potatura l’entità dei tagli e spennellarli con mastici cicatrizzanti. È consigliabile inoltre segnare le eventuali piante colpite per poi potarle per ultime con tagli di ritorno che arrivano fino al legno sano (5-10 cm al di sotto della porzione di legno danneggiata) e disinfettare gli attrezzi da potatura con prodotti appositi (alcol, ipoclorito di sodio o solfato di rame concentrato); importante che tutti i residui di potatura siano allontanati dal vigneto e bruciati subito. Infine al momento della scelta dell’impianto è opportuno scartare gli ambienti più esposti ai freddi e ai rischi di gelate. Si è accertato che l’utilizzo di calce immessa nel suolo nelle buche prodotte dall’estirpo dei ceppi infetti non influenza la propagazione del fungo. In vigneti giovani entro il 6° anno è preferibile estirpare e sostituire le piante malate mentre con vigneti adulti è meglio praticare il taglio di ritorno.
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La botrite o muffa grigia Il Pinot nero è caratterizzato da un grappolo prevalentemente piccolo e compatto e da una buccia sottile, caratteristiche che lo rendono particolarmente sensibile alla botrite e al marciume acido. La botrite è una patologia fungina dall’epidemiologia molto complessa. Risulta essere influenzata dall’interazione delle caratteristiche pedo-climatiche dell’ambiente di coltivazione, dalla sensibilità varietale e dalle tecniche di coltivazione adottate. Colpisce tutte le parti verdi della vite, anche se il danno economicamente più ingente si ha quando l’attacco interessa grappolo. I momenti di maggiore suscettibilità coincidono con la fioritura e con la maturazione, periodo durante il quale la botrite può causare i maggiori danni. La temperatura non costituisce un fattore limitante per lo sviluppo del fungo che può avvenire con diverse velocità tra i 5° C ed i 30° C (optimum 18-20° C) invece l’umidità relativa deve essere molto elevata (>90-95%). Tra i metodi di lotta si consiglia di limitare i fattori predisponenti il suo instaurarsi quali ad esempio: • l’impianto di varietà sensibili in aree particolarmente umide; • l’eccessivo affastellamento dei germogli; • le sovra concimazioni azotate con portinnesti vigorosi; • i ristagni di umidità nella zona dei grappoli a causa della presenza di erba alta tra i filari durante la fase di maturazione; • la non corretta difesa antioidica che può causare la rottura della buccia sulla quale il fungo si insedia con maggiore facilità. La strategia di contenimento della botrite prevede una combinazione di misure agronomiche e chimiche. Agronomicamente si consiglia di limitare ristagni di umidità sul grappolo tramite: • sfogliature precoci alla fioritura: il grappolo risulta essere più spargolo e maggiormente permeabile al movimento d’aria; • un minor vigore indotto con basse concimazioni azotate: la chioma risulta essere meno compatta con meno affastellamento tra stati fogliari; • una corretta gestione dell’inerbimento: evitare eccessive crescite del cotico erboso per non incrementare l’umidità tra i filari; l’erba non deve mai superare l’altezza del primo filo; • inerbimento con graminacee. Gli interventi con fungicidi devono essere effettuati in maniera preventiva, dal momento che eventuali infezioni botritiche in atto non sono contenibili ed anzi si aumenta il rischio di selezione di ceppi resistenti. Infatti il patogeno agente della botrite sviluppa con estrema facilità resistenze a fungicidi appartenenti alle più svariate famiglie chimiche. In Oltrepò Pavese per la varietà Pinot nero si consiglia di posizionare un primo trattamento nel mese di luglio alla fase fenologica di grano di pepe – prechiusura grappolo. Nel caso di zone par-
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ticolarmente umide e poco ventilate, con andamenti climatici sfavorevoli o con la produzione di uve destinate ad una vinificazione in rosso e quindi con una fase di maturazione più prolungata si consigliano 2 trattamenti. Infine si deve avere cura di variare il principio attivo utilizzato nel primo intervento valutando correttamente i tempi di sicurezza. Prima del trattamento, che deve essere localizzato sulla fascia del grappolo, effettuare eventuali cimature o sfogliature per agevolare il depositarsi del principio attivo sul rachide e l’adesione del prodotto sul grappolo; nelle situazioni meno rischiose anche un trattamento in chiusura grappolo con rame, grazie alla sua proprietà di ispessire la buccia, può essere sufficiente.
Grappoli di Pinot nero attaccati da Botrytis cinerea.
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Le scelte di gestione del vigneto La concimazione La gestione della concimazione nasce dalla necessità di ottimizzare l’interazione che il vigneto ha con il suolo allo scopo sia di migliorare l’abitabilità del terreno, vista come la capacità di ospitare l’apparato radicale, sia di modificare le caratteristiche nutrizionali del substrato edafico soddisfacendo le necessità nutrizionali della vite. Le caratteristiche fisiche di un suolo sono condizionabili tramite l’apporto di prodotti ammendanti mentre per la dotazione di elementi nutritivi ci si serve di concimi organici o minerali. Per terreno si intende lo strato superficiale di suolo esplorato dalle radici. Il terreno deriva dall’alterazione del substrato roccioso, chiamato roccia madre, per azione chimica, fisica e biologica esercitata da agenti superficiali (fisici e dinamici) e dagli organismi presenti in esso. Il suolo è costituito da elementi minerali, sostanza organica, aria e acqua. Una valutazione visiva del suolo permette un approccio razionale alle macro caratteristiche del terreno e questo si può ottenere valutandone la tessitura, l’aspetto superficiale, il colore e la profondità. Tessitura: la tessitura influisce sulla capacità di adsorbimento degli elementi nutritivi e sulla disponibilità idrica. Si possono riassumere tre tipi di tessitura: suoli sabbiosi (terreno sciolto), suoli argillo-limosi (terreno franco), suoli argillosi (terreno pesante). Nella tabella 4.2 si riassumono le loro principali caratteristiche: Tabella 4.2: Principali tessiture dei suoli e le loro caratteristiche (da Krstic et al, 2003).
Superficie: osservando la superficie del suolo di possono evidenziare alcuni problemi relativi alla struttura; suoli che presentano croste superficiali, crepacciamenti, elevato ristagno idrico o consistenza compatta nella maggior parte dei casi sono da considerarsi suoli pesanti. Colore: il colore è un buon indicatore di eventuali problematiche legate al livello di drenaggio e alla capacità di assorbimento da parte dell’apparato radicale degli elementi nutritivi. Il colore si valuta con terreno leggermente umido (tab. 4.3).
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Tabella 4.3: Caratteristiche principali dei suoli in base alla colorazione superficiale (da Krstic et al, 2003).
Profondità: lo sviluppo della chioma è una indicazione sul volume esplorato dalle radici. Scarso vigore e stress idrici sono sintomatici di suoli poco profondi mentre un elevato accrescimento dei germogli, elevato vigore, elevate produzioni, chioma dal colore verde intenso sono effetti di un terreno profondo con elevato apporto idrico. La vite è una pianta che si adatta facilmente a diverse tipologie pedo-climatiche e dal punto di vista nutrizionale presenta limitate esigenze. Per ottenere un prodotto di qualità è fondamentale che la nutrizione sia la più equilibrata possibile. Eccessi o carenze di elementi nutritivi influenzano non solo la quantità ma anche la qualità dell’uva e di conseguenza le caratteristiche del vino. La concimazione del vigneto è l’insieme di pratiche agronomiche che hanno lo scopo di conservare il potenziale nutritivo e l’abitabilità del suolo e di integrare le asportazioni minerali utilizzate dal vigneto durante il ciclo produttivo; inoltre influisce sullo sviluppo vegetativo, sulle caratteristiche qualitative dell’uva e sul livello produttivo. Per una corretta gestione del vigneto è quindi di fondamentale importanza la conoscenza della fertilità del suolo (analisi del suolo) e dello stato nutrizionale delle piante (analisi fogliare). Gli elementi nutritivi apportati nella concimazione si suddividono in macro e in micronutrienti; i primi sono contenuti nella pianta di vite in maggiori concentrazioni rispetto ai micronutrienti e occupano un ruolo preminente nella programmazione della concimazione (tab. 4.4).
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Tabella 4.4: Descrizione degli aspetti fisiologici ed edafici dei macronutrienti e i loro effetti sulle piante.
Azoto N
Fosforo P
Potassio K
L’azoto rientra in ogni processo metabolico ed influisce sia sulla crescita del pianta, intesa come sviluppo vegetativo, sia sul grado di maturità della bacca. Componente essenziale per la sintesi delle proteine e parte nella costituzione delle strutture fotosintetiche, viene assorbito dal suolo sia come NO3- che NH4+ e successivamente convertito in amminoacidi per la costituzione delle proteine e degli enzimi. L’apporto di N stimola la crescita vegetativa e la produzione in quanto favorisce la formazione delle gemme e l’allegagione. È molto mobile nel suolo e nella pianta, spostandosi verso le aree a maggior attività metabolica ed esposte alla luce. L’azoto viene accumulato all’interno nei tessuti di riserva della pianta durante il periodo estivo per poi essere pronto e mobilitato alla ripresa vegetativa.
Effetti positivi
Effetti negativi
Produzione, vigore e pH mosti
Zuccheri e qualità del mosto
Elemento fondamentale per i processi di trasferimento energetico dentro le cellule e tra gli organi della vite. Risulta un costituente essenziale delle membrane cellulari. Interviene nella respirazione cellulare, nel metabolismo degli zuccheri e nel mantenimento del pH cellulare. Come l’azoto risulta molto mobile verso aree a intensa attività metabolica. Nel suolo è presente prevalentemente in forma inorganica che organica e viene assorbito dalle piante nel suo massimo stato di ossidazione come anione (H2PO4- o H2PO42-) a seconda del pH del mezzo. La sua mobilità è legata prevalentemente al pH del suolo e il maggior apporto si ha con pH compresi tra 5 e 7. Il contenuto totale di fosforo nel suolo è compreso tra 0,02% e 0,08%.
Effetti positivi
Effetti negativi
Profumi del vino e vigore
maggiore acidità, minore succosità della polpa
Elemento minerale coinvolto nella regolazione dei flussi dell’acqua all’interno della pianta; agente osmotico molto importante nello scambio ionico e soprattutto nella traspirazione, in quanto controlla l’apertura delle cellule di guardia degli stomi. Viene assorbito in forma ionica e anche nelle piante si trova in questa forma e agisce da neutralizzatore degli acidi organici, da attivatore di enzimi e proteine nella sintesi di proteine e carboidrati. È molto mobile sia a livello xilematico che floematico. Nel suolo è presente in forma inorganica (K+) e la nutrizione potassica è legata soprattutto al potassio prontamente disponibile e cioè dal potassio adsorbito sul complesso di scambio. Il potassio scambiabile non supera l’1-2% della dotazione del potassio totale.
Effetti positivi
Effetti negativi
Zuccheri mosto, pH mosto
Competizione col magnesio
Magnesio Presente nella molecola clorofilliana e coinvolto nella produzione degli zuccheri, nella formazione di sostanze pectiche, proteine, vitamine, xantofille e carotenoidi. Mg Interviene nel metabolismo di N e P e nell’assorbimento dell’acqua. Anch’esso è assorbito e trasportato in forma ionica. Risulta molto mobile per via xilematica. Nel suolo è presente in forma inorganica (Mg2+) e il contenuto di magnesio nel suolo è compreso tra 0,05% e 0,5%. Effetti positivi
Effetti negativi
Zucchero mosto
Competizione col potassio
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Si possono distinguere 4 tipi di concimazioni del vigneto aventi scopi diversi ed eseguite in base alla età del vigneto e alle necessità nutrizionali. • Concimazione di fondo o di impianto • Concimazione di allevamento • Concimazione di restituzione o annuale • Concimazione di emergenza o fogliare. La concimazione di fondo o di impianto Lo scopo della concimazione di fondo è quello di apportare elementi nutritivi e ammendanti prima della posa delle barbatelle. Essa si suddivide in concimazione organica e minerale. La prima viene eseguita interrando sostanza organica al fine di migliorare le caratteristiche di abitabilità dei terreni mentre la concimazione minerale viene utilizzata quando vi è la necessità di ripristinare la dotazione chimica degli elementi poco mobili (K e P). La concimazione di impianto non coinvolge apporti di azoto minerale. Una corretta concimazione di fondo deve prevedere l’analisi del suolo, tramite la quale determinare la necessità di apporto di sostanza organica e della frazione minerale dopo aver valutato rispettivamente i parametri di fertilità del suolo (SO%, C org%, C/N, tessitura, struttura e CSC) e i livelli dei macroelementi nutritivi (K, P e Mg). Nello schema (tab. 4.5) sottostante si indica il programma d’analisi raccomandato: Tabella 4.5: Elenco delle analisi da effettuar e sul terreno.
Stato fertilità
X
X
Controllo periodico (5 anni) 10 - 30 dello stato di fertilità
X
X
Basi di scambio
Calcare Totale
X
P assimilabile
pH
X
N Totale
CSC
X
Calcare Attivo
Tessitura
Analisi prima dell’impianto o della ricostituzione della 20 - 60 fertilità/scelta portainnesto
Profontità (cm)
Sostanza Organica
Analisi di base
X
X
X
X
X
X
X
Si riportano (tab. 4.6) i livelli di valutazione dei parametri di fertilità per determinare l’opportunità di effettuare un apporto di sostanza organica:
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Tabella 4.6: Valutazione dei livelli dei parametri di fertilità del suolo per un apporto di sostanza organica di fondo.
Parametri di fertilità Sostanza Organica (SO%) Carbonio organico% C/N Tessitura Struttura Capacità Scambio Cationica (CSC)
Effettuare concimazione organica di fondo se: Terreno sciolto < 1% Terreno pesante < 2% < 0,7% La fonte di carbonio nel suolo (S.O.) viene facilmente attaccata da parte dei batteri; <9 diminuzione del tenore di S.O. con progressiva tendenza alla destrutturazione Terreni pesanti e Terreni sciolti Terreno altamente lavorato o destrutturato Terreno sciolto < 10 meq/100g Terreno pesante > 20 meq/100g
Nella condizione di dover effettuare una concimazione d’impianto organica si deve apportare sostanza organica (letame) per un quantitativo variabile tra i 500-1000 q/ha in relazione alla necessità evidenziata dalla valutazione scaturita dalla tab. 4.6. Con l’apporto massimo indicato si prevede un incremento della sostanza organica stabile del suolo di circa 0,2% dalla dotazione di partenza. È possibile apportare ammendanti commerciali di varia origine ormai molto diffusi sul mercato in dosi di circa un terzo dei quantitativi previsti di letame. A pari contributo migliorativo tra i differenti ammendanti, la valutazione economica vede nel letame un costo al quintale molto inferiore all’ammendante commerciale ma può oggi risultare di più difficile reperibilità, con un maggior costo nel trasporto e nella distribuzione e quindi complessivamente meno vantaggioso. La sostanza organica deve essere incorporata nel terreno; se il terreno è sciolto si consiglia di interrare ad una profondità compresa tra i 20 e 40 cm mentre con terreno pesante tra i 15 e 30 cm; tali profondità di interramento sono date considerando sia la profondità di esplorazione del futuro apparto radicale, sia l’effetto negativo della mancanza di ossigeno negli strati più profondi del suolo nel processo di decomposizione della sostanza organica. L’interramento deve essere effettuato in inverno (novembre-gennaio) con aratura superficiale post scasso (20-40 cm). Per poter avere una stima della quantità totale di ammendante (t/ha) necessario per una correzione di SO stabile nel suolo si riporta la seguente formula di riferimento: 446 x (%SO soglia_di_sufficienza – %SO presente_nel_suolo) = apporto_letame (t/ha) Equazione 4.1: Stima della quantit à di letame necessaria per modificar e la dotazione di SO stabile del 3 suolo. Si considera come esempio 1ha di terreno, con una densità di 1,3 t/m , dove interro la SO (letame maturo) nei primi 30 cm.
Per valutare invece la necessità di intervenire con concimazioni minerali si riportano i grafici per valutare i livelli di sufficienza per i macroelementi nutritivi (K2O, P2O5, MgO) (fig. 4.2).
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Figura 4.2: Stima dei livelli di sufficienza e di disponibilit à per i macronutrienti K 2O-P2O5-MgO.
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La concimazione minerale di fondo consiste nell’aggiunta dei macroelementi K-P-Mg, qualora i terreni ne fossero deficitari, per avere delle dotazioni superiori ai livelli di sufficienza. I prodotti più utilizzati per la concimazione minerale di fondo sono per il Potassio il Solfato di potassio (K2SO4 – 50-52% K2O), per il Fosforo il Perfosfatotriplo (46-48% P2O5) e per il Magnesio il Solfato di Magnesio (MgSO4 – 18% MgO). Le dosi massime apportabili nella concimazione di fondo in pre-impianto per il Fosforo e il Magnesio sono di 150 unità/ha mentre per il Potassio sono di 300 unità/ha. L’apporto di Magnesio nella concimazione in pre-impianto non è indicato in terreni molto sciolti poiché più mobile. L’analisi chimica del suolo consente anche di valutare la disponibilità di Boro nel suolo vista la rilevanza dell’eventuale carenza di questo elemento per la vite; in caso di suoli carenti (B < 0,6 ppm) si consiglia di somministrare 2-3 kg di Boro/ha; ipotizzando gravi carenze si consiglia di somministrare 2 kg/ha nei primi 2 anni, 1 kg/ha per i 3 anni successivi e in seguito eseguire una nuova analisi dei suoli. Riportiamo di seguito un esempio di come calcolare le dosi per ripristinare i livelli di fertilità con la concimazione di fondo. La prima fase riguarda la verifica dei livelli che derivano da una interpretazione del dato analitico: vanno presi in considerazione il livello di partenza e quello voluto di arrivo che variano in funzione della CSC (Capacità di Scambio Cationico) del terreno. A titolo di esempio si considera un suolo con una CSC pari a 15 meq/100 g con una dotazione iniziale di 90 ppm di K2O. Si ritiene di dovere raggiungere una soglia finale di K2O pari a 220 ppm avendo il tal modo la necessità di sopperire ad un deficit di 130 ppm (fig. 4.3). Figura 4.3: Esempio di verifica dei livelli di fertilit à potassica di un terr eno.
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Successivamente va eseguito il calcolo delle dosi di concime (fig. 4.4). Fig. 4.4: Esempio di calcolo delle dosi di concime da apportar e.
Integrando 718 kg/ha di K2O con del Solfato di potassio (K2SO4) al 50% si desume che si debbano apportare 14 q/ha di prodotto. Considerando le elevate unità di K2O che nell’esempio devono essere apportate si consiglia di frazionare la concimazione in più anni. All’impianto verranno interrate, come concimazione di fondo pre-impianto, 300 unità/ha. Le restanti unità (718 unità/ha – 300 unità/ha = 418 unità/ha) verranno colmate con apporti annuali di potassio. Come riportato in seguito, la dose massima di potassio apportabile durante la concimazione annuale di restituzione è pari a 200 unità/ha, per cui 418 unità/ha / 200 unità/ha/anno = 2 anni. Riassumendo, la concimazione d’impianto per ripristinare le condizioni di sufficienza del terreno destinato ad ospitare il vigneto verrà così suddivisa: all’impianto si apporterà 300 unità/ha di potassio mentre per i tre anni successivi 200 unità/ha. Questo breve esempio considera una condizione media e non particolare, che si può verificare con suoli con pH che si discostano dalla neutralità o con problemi ricorrenti di siccità; in questi casi i calcoli vanno riformulati per considerare anche la diversa mobilità nel terreno degli elementi minerali.
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La concimazione di allevamento Lo scopo della concimazione di allevamento è quello di apportare Azoto (N) nei primi anni improduttivi per facilitare lo sviluppo generale delle barbatelle, impostare precocemente la forma di allevamento e velocizzare l’entrata in produzione. L’N deve essere fornito in base allo “sviluppo” della vite tramite una concimazione localizzata in primavera dopo il germogliamento. I quantitativi massimi sono pari a 25 g (un pugno) per pianta di concime azotato (50 unità di Azoto/ha). Il concime deve essere sparso attorno alla barbatella amalgamandolo con il terreno evitando il contatto diretto con l’apparato radicale che può causare ustioni delle cellule radicali. Se la concimazione localizzata primaverile non ha sortito l’effetto desiderato si può ripassare entro metà luglio con prodotti ad elevato titolo (urea o nitrato ammonico). Evitare di eseguire la concimazione superficiale vicino al fusto per non provocare ustioni. Se l’impianto è eseguito in un terreno con elevata dotazione naturale di macronutrienti scegliere prodotti a minor titolo di azoto (nitrato ammonico o fosfato d’ammonio). Il fosfato d’ammonio stimola lo sviluppo radicale. Tabella 4.7: Dosi di concimazione azotata in allevamento.
Concimi Urea Nitrato ammonico Fosfato d’ammonio
Titolo azotato (%) 46 26 11
Dose pianta (g) 25 25 25
Note
Stimola lo sviluppo radicale
La concimazione di restituzione Scopo della concimazione di restituzione è quello di ripristinare annualmente le asportazione di NPK dovute alla produzione di uva, tralci e foglie del vigneto. Inoltre la concimazione annuale ha la funzione di prevenire fenomeni di depauperazione eccessiva ed impoverimento della dotazione originaria del terreno e di evitare carenze nutrizionali. Si consiglia l’utilizzo di concimi semplici perché, nonostante siano meno comodi, in quanto devono essere mescolati tra loro, risultano essere più idonei per formulare miscele più vicine alle necessità nutrizionali specifiche del vigneto e più economici. I concimi complessi o composti (NPK) hanno il vantaggio di essere più comodi e in generale tra i concimi ternari sono consigliabili quelli che si avvicinano a un rapporto N:P:K di 2:1:3. Il calcolo degli apporti di concime deve seguire i seguenti punti: • Stima del potenziale livello produttivo del vigneto (q/ha). • Calcolo delle asportazioni dei macroelementi (NPK) in base alla tecnica agronomica adottata (con o senza interramento tralci). Nella tabella 4.8 si riportano le quantità annuali di macronutrienti asportati della coltura della vite.
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Tabella 4.8: Asportazioni annuali dei macronutrienti in base alla gestione agronomica dei r esidui di potatura.
• La valutazione puntuale dello stato nutrizionale tramite lo studio dei dati dell’analisi fogliare permette di valutare la nutrizione delle pianta, diagnosticando o confermando eventuali carenze riconosciute o meno visivamente oppure certificando eccessi nutrizionali che riducono le prestazioni quali-quantitative del vigneto. Un secondo scopo è quello di verificare l’efficienza della concimazione annuale. Si riportano gli standard di riferimento per singolo elemento per l’interpretazione delle analisi fogliari (tab. 4.9). Tabella 4.9: V alori di riferimento per singolo elemento nutritivo utilizzati per l ’interpretazione delle analisi fogliari.
• Correzione del calcolo del fabbisogno in elementi nutritivi in base ai coefficienti riportarti in tabella 4.10. Si ricorda che i prodotti a base di azoto subiscono una certa mobilità nel suolo che riduce l’efficienza di concimazione: si ipotizza una efficienza del 50%; per i prodotti a base di potassio e fosforo essendo poco dilavabili si ipotizza una efficienza del 100%.
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• Nelle zone molto calde le dosi devono essere ridotte del 10-20% • Vigore ceppi: forte è quando si ha un peso del legno di potatura/ceppo superiore a 1,5 kg/ceppo • La stima del vigore della pianta è una valutazione complessiva rispetto la media varietale della grossezza dei tralci e delle foglie, la lunghezza degli internodi, l’intensità del colore della foglia all’invaiatura, la sensibilità alla colatura per eccesso di vigore, al marciume e al disseccamento del rachide. • Tenore povero di SO in base al tipo di terreno: Leggero = 1,3%, Franco = 1,5% e Argilloso = 1,6% • Tenore elevato di SO in base al tipo di terreno: Leggero = 2%, Franco = 2,5% e Argilloso = 3%
Tabella 4.10: Percentuali di corr ezione rispetto al valore di concimazione di r estituzione calcolato.
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Con riferimento alla stima delle unità di concime da destinare in restituzione annuale tramite la tabella 4.8 e 4.10 si riportano alcuni esempi pratici: Esempio 1 Si ipotizza un vigneto di 10 anni, localizzato in pianura su un terreno molto fertile (Sostanza Organica = 3,5%), profondo (>1 m) e argilloso, con buona dotazione idrica, senza irrigazione, inerbito permanente e con trinciatura in campo dei residui di potatura. Durante la stagione vegetativa il vigneto risulta possedere un elevato vigore con un apparato fogliare di colore verde cupo. La concimazione non viene praticata con assolcatori localizzati vicino l’apparato radicale ma a spaglio. La produzione di uva è stimata in circa 100 q/ha. In base ai dati riportati in tabella 4.8 si stima una asportazione dovuta alla produzione di uva di circa 30 unità di Azoto, 6 di Fosforo, 40 di Potassio. Analizzando le caratteristiche riportate in tabella 4.10 e sommando i valori percentuali relativi ad Azoto, Potassio e Fosforo si ottiene: Tabella 4.11: Parametri percentuali di correzione dei livelli di concimazione per l ’esempio 1.
Essendo il valore percentuale dell’N pari a -80%, la concimazione azotata deve essere ridotta dell’80%. Nel caso il valore fosse uguale a 100 o maggiore si procederebbe alla sospensione degli apporti azotati. La concimazione potassica e fosfatica deve essere ridotta per entrambi del 20%. Dopo la riduzione dell’80% per l’azoto si apporteranno circa 6 unità/ha mentre il potassio e le unità fosfatiche saranno circa 32 e 5 unità/ha. Essendo gli elementi fosforo e potassio poco mobili nel suolo si considera un rendimento della concimazione fosfatica e potassica pari al 100% mentre per l’azoto di circa il 50%. Ipotizzando l’impiego di Nitrato d’ammonio (titolo 26%), di Solfato di Potassio (titolo 50%) e dei Fosfati (titolo 30%), si apporteranno: N: (6 unità/ha / 0,26) * 2 = 46 kg/ha di Nitrato d’ammonio K: 32 unità/ha / 0,50 = 64 kg/ha di Solfato di Potassio P: 5 unità/ha / 0,30 = 17 kg/ha di Fosfati
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Essendo le dosi limitate, si consiglia una concimazione triennale per K e P apportando complessivamente 192 kg di Solfato di Potassio e 51 kg tal quale di Fosfati. Poiché anche le unità di N da distribuire annualmente sono limitate si consiglia la somministrazione annuale tramite concimi fogliari (Urea). Ipotizzando l’uso di un prodotto a base di urea con concentrazione al 28% N: 6 unità/ha / 0,28 = 21 l/ha di prodotto a base di urea Ipotizzando che il prodotto vada somministrato in dosi di 10 l/ha, effettuare tre trattamenti con il calendario dei trattamenti fungicidi. Esempio 2 Si ipotizza un vigneto di 10 anni, localizzato in collina su un terreno medio, normalmente dotato di sostanza organica, mediamente profondo, senza irrigazione, inerbito e con trinciatura dei residui di potatura. Ogni anno il suolo viene lavorato grossolanamente con l’estirpatore nel periodo estivo. Durante la stagione vegetativa il vigneto risulta possedere un vigore stentato, con un apparato fogliare sbiadito, e per la localizzazione dei filari è consuetudine la formazione di Botrite nei periodi pre vendemmiali. La concimazione viene praticata con assolcatori localizzati vicino all’apparato radicale con un apporto di ammendanti in inverno. La produzione di uva è stimata in circa 100 q/ha. L’obiettivo enologico è produrre uva atta ad una vinificazione in rosso ma il risultato annuale è insoddisfacente poiché il tenore zuccherino risulta basso e le acidità elevate. In base ai dati riportati in tabella 4.8 si stima una asportazione dovuta alla produzione di uva di circa 30 unità di Azoto, 6 di Fosforo, 40 di Potassio. Analizzando le caratteristiche riportate in tabella 4.10 e sommando i valori percentuali relativi a Azoto, Potassio e Fosforo si ottiene: Tabella 4.12: Parametri percentuali di corr ezione dei livelli di concimazione per l ’esempio 2.
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Il valore percentuale dell’N è pari a -70% ciò indica che la concimazione azotata deve essere ridotta del 70% rispetto le asportazioni stimate. La concimazione potassica deve essere ridotta del 15%. Modificando i valori stimati risultano circa 9 unità/ha per l’azoto, 34 unità/ha di potassio e 6 unità/ha di fosforo. Essendo gli elementi fosforo e potassio nel suolo poco mobili si stima un rendimento della concimazione fosfatica e potassica pari al 100% mentre per l’azoto di circa il 50%. Ipotizzando l’impiego di un ternario con titoli 15:3:30 si apporteranno: [9 + (9x50/100)] = 13,5 unità/ha di Azoto che corrispondono a circa 0,9 q/ha tal quale. In 0,9 q/ha di prodotto si somministrano 27 unità di Potassio e 2,7 unità di Fosforo. Rapportando il dato in pertiche (15 pertiche milanesi = 1ha) corrispondono a 6 kg di concime a pertica. Concimazione Azoto L’Azoto può essere apportato tramite fertilizzanti immessi direttamente nel suolo e in minima parte con la concimazione fogliare. L’Azoto in forma nitrica ha la caratteristica di non essere trattenuto nel suolo e quindi una somministrazione più elevata del normale fabbisogno della vite può provocare un impatto ambientale, una operazione antieconomica e l’allontanamento dal raggiungimento dell’obbiettivo enologico soprattutto per uve rosse destinate a vini di qualità. La concimazione azotata deve essere apportata frazionando la dose nel corso della stagione effettuando la fornitura al momento del bisogno. L’Azoto viene somministrato sottoforma nitrica (NO3-) o ammoniacale (NH4+). • Azoto nitrico: la forma nitrica viene immediatamente assorbita dall’apparato radicale, possiede una maggior solubilità nella soluzione circolante nel suolo ed è la fonte di azoto più prontamente disponibile per la pianta. Le forme nitriche hanno un basso tasso di acidificazione dei suoli e si consiglia di utilizzarle in suoli a pH acido-subacido. La forma nitrica è facilmente dilavabile e si raccomanda di localizzare la concimazione vicino l’apparato radicale. È la forma azotata meno economica. Si raccomanda di far coincidere l’epoca di applicazione e le quantità con il fabbisogno a breve termine. • Azoto ammoniacale: la forma ammoniacale è soggetta ad elevata volatilizzazione se utilizzata con scarsa umidità e se non interrata, causando ingenti perdite per volatilizzazione. Il processo di gassificazione, che può ridurre del 50% il tenore di N apportato, è più accentuato nei suoli alcalini che in quelli acidi. Se si effettuano correzioni dei pH dei suoli con sostanze alcaline si possono generare ingenti perdite per volatilizzazione; in questo caso si consiglia di correggere il pH in autunno e apportare l’azoto in primavera. Per prevenire eventuali perdite si consiglia un leggero interramento dei prodotti. La forma ammoniacale viene trasformata in forma prontamente mobile e utilizzabile (nitrificazione) nell’arco di 1-3 settimane. In assenza prolungata di precipitazioni incorporare il concime al suolo. Le principali forme utilizzabili sono (tab. 4.13):
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• Calciocianammide (Azoto organico): composto di calcare, calce viva, carbonato di calcio e azoto. Forma utilizzata maggiormente come ammendante e correttivo. • Urea (Azoto organico): è la forma azotata maggiormente concentrata ed economica. Risulta essere molto solubile e facilmente dilavabile. Nell’applicazione si deve ad avere cura di interrarla a ridosso dell’apparto radicale. • Solfato di ammonio: forma che maggiormente acidifica il suolo. Poco usata e non consigliata in terreni acidi. • Nitrato di ammonio: forma azotata più costosa rispetto all’urea. Ha il vantaggio di avere una parte del corredo azotato prontamente assimilabile dall’apparato radicale dopo l’applicazione. Avendo due forme azotate, nitrico + ammoniacale, permette di fornire una fonte azotata prontamente disponibile e una forma a più lenta cessione (settimane). Rispetto all’urea ha un minor tasso di volatilizzazione. • Nitrati: forma maggiormente mobile. Sono disponibili due forme: con salificazione in potassio e calcio. Tabella 4.13: Elenco delle principali caratteristiche delle for me di azoto presenti nei concimi azotati. Forma
Prodotto
Ammoniacale (NH4+)
Nitro (NO3-) -ammoniacale (NH4+)
Tenore Solubilità (%)
Velocità assimilazione
Disponibilità Uso concimazione
Tasso acidificazione
Periodo
Calciocianammide
25
+/-
-
++ (6-7 settimane)
Ammendante
Elevata acidificaz.
Urea
46
+
+
++ (2-3 settimane)
Allevamento produzione
Germogliamento Debole acidificaz. (Aprile) Vendemmia con autunno umido
Solfato ammonio
20
+
+
++ (1-2 settimane)
Nitrato ammonio
26
++
++
++ (1-2 settimane)
Nitrato K
13
+++
Nitrico (NO )
+++
3-
Nitrato Ca
15
-
+++
Correttivo per suoli alcalini
Elevata acidificaz.
Allevamento produzione
Debole acidificaz.
PostGermo (Aprile - Maggio)
Produzione
Debole alcalinizzazione
PreFioritura (Maggio-Giugno) Vendemmia con autunno asciutto
La concimazione azotata può essere effettuata a spaglio su terreno che dovrà essere successivamente lavorato oppure con interramento localizzato in presenza di terreno inerbito. Nella modalità a spaglio si consigliano operazioni di interramento con lavorazione meccaniche leggere (erpicatura superficiale –10 cm). Questa modalità se effettuata in presenza di inerbimento permanente favorisce la risalita delle radici assorbenti della vite e in generale si consiglia di distribuire il concime con terreno leggermente umido in modo da ridurre le perdite per volatizzazione. In caso di impiego della concimazione localizzata si consiglia di posizionare il concime alla profondità di 20-30 cm e ad una distanza di 40-50 cm dal fusto prima dell’orma del pneumatico del trattore, dove il capillizio radicale è più presente. Questa tecnica è consigliata per suoli tendenzialmente secchi, dove gli elementi fertilizzanti hanno una scarsa mobilità attorno all’apparato radicale e nei suoli argillosi-pesanti che presentano un elevato adsorbimento. Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
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Nel caso le unità azotate totali superino i 50 kg/ha si consiglia, per massimizzare l’efficacia del concime, un frazionamento della somministrazione: 50 kg/ha al germogliamento con urea e le restanti unità in post allegagione con nitrato di potassio o di calcio. In caso di semina nell’interfila di essenze erbacee allo scopo di generare un inerbimento artificiale selezionato, si consiglia di apportare 100-150 kg/ha di ammonio-fosfato al momento della semina di cereali e brassicacee. I cereali necessitano di un ulteriore apporto di azoto nitrico in inverno inoltrato se si volesse incentivare la ricrescita primaverile. In caso di un impianto con leguminose si consiglia l’apporto di 100 kg/ha di ammonio-fosfato e in suoli sabbiosi l’aggiunta di 10kg/ha di ammonio nitrico per facilitare l’attecchimento iniziale. I migliori momenti per l’applicazione dell’azoto sono quelli in prossimità della maggior attività radicale che si verifica in due fasi: la prima circa un mese dopo il germogliamento con il massimo alla fioritura, mentre la seconda comincia lentamente dalla piena invaiatura per avere un picco dopo la vendemmia e decrescere in post raccolta fino della caduta delle foglie. Quest’ultima fase è più accentuata nei climi caldi e nelle varietà precoci. Il concime azotato deve venir somministrato durante la fase vegetativa della pianta, frazionandolo in due passaggi se le unità da apportare sono maggiori di 50 kg/ha, durante il periodo di maggior attività radicale (Aprile-Maggio); ad inizio Aprile si consiglia l’utilizzo di urea, ad inizio Maggio quello di nitrato d’ammonio e a metà Maggio il nitrato di potassio di cui si consiglia l’utilizzo, data la pronta azione, 20-30gg dopo la schiusura delle gemme. L’opportunità dell’apporto post-vendemmia deve essere legata alla valutazione dello stato della canopy. Una chioma efficiente presuppone un apparato radicale funzionante; quindi se in vendemmia si avrà una canopy efficiente si potrà somministrare il 30% del fabbisogno annuale di N in post raccolta e il rimanente fabbisogno tra allegagione e invaiatura. Viceversa se la canopy in vendemmia non sarà efficiente si forniranno 50kg/ha di N in primavera subito dopo l’apertura delle gemme e il rimanente fabbisogno annuale tra allegagione e invaiatura. Concimazione Fosforo La pianta di vite non ha un elevato fabbisogno di Fosforo (PO43-) e il terreno, in condizioni di normalità, ha una buona capacità di trattenere il fosforo sulle proprie particelle. La vite assorbe questo elemento dal terreno nel periodo del germogliamento fino a fioritura e dopo la raccolta. Si consiglia di effettuare un buon apporto in concimazione di fondo e in fase di allevamento di spargerlo effettuando una leggera lavorazione per interrarlo. Per terreni pesanti si consiglia la localizzazione vicino alle radici. L’epoca migliore per la restituzione annuale è in inverno. Valutando le limitate necessità di fosforo di cui il vigneto necessita si consiglia un apporto unico ogni tre o quattro anni. Il Fosforo è somministrato in diverse forme in base alla natura di produzione: • Perfosfati (15-46% P2O5): prodotti da trattamento di fosforiti od ossa con acido solforico e/o con acido fosforico, hanno reazione acida e sono indicati per tutti i suoli.
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• Fosfati (20-40% P2O5): prodotti da trattamento termico delle fosforiti con alcali e acido silicico per suoli acidi. • Fosforite macinata (20% P2O5): per suoli acidi. Concimazione Potassio La concimazione potassica stimola la vegetazione solo nel caso che sia assicurata una buona dotazione azotata, mentre influisce in modo diretto sulle caratteristiche qualitative; agisce anche positivamente sulla produzione e favorisce la buona maturazione dei tralci. Si lega facilmente al suolo ed è poco mobile; con terreni acidi necessita una concimazione appropriata per supplire alla immobilizzazione dell’elemento minerale. Si consiglia di effettuare un buon apporto in concimazione di fondo e in fase di allevamento di spargerlo effettuando una leggera lavorazione per interrarlo o, in terreni pesanti, si opterà per una localizzazione vicino alle radici. L’epoca della restituzione annuale è il periodo invernale. Il Potassio viene somministrato sotto forma di: • Cloruro di Potassio: è la forma più economica, aumenta la salinità dei suoli (40-50% di Cl). Ha un tenore del 40%, un’alta solubilità, una mobilità molto scarsa nei suoli e va bene particolarmente nei terreni alcalini. • Solfato di Potassio: è la forma maggiormente utilizzata per la concimazione di fondo in particolare se la dose da somministrare è importante. Ha un titolo del 50%, ha una mobilità molto scarsa nei suoli e anche una scarsa solubilità. • Nitrato di Potassio: ha un titolo del 44% e una alta solubilità che lo rende la forma maggiormente utilizzata per la concimazione fogliare pur essendo quella meno economica. La presenza del Potassio risulta necessaria dopo 1 mese dal germogliamento, nel periodo di forte crescita dei germogli. Quando si è in presenza di suoli freschi e ricchi di acqua si possono verificare dei fenomeni momentanei di carenza dovuti alla elevata necessità di K da parte dei germogli in allungamento; al ripristino della corretta umidità tutto ritorna normale. Concimazione Magnesio L’elemento è mediamente richiesto dalla vite; eccessi di Potassio portano al disseccamento del rachide per carenza di Magnesio in quanto i due elementi sono antagonisti a livello dell’assorbimento radicale. Prontamente adsorbito sul complesso di scambio, può manifestare carenze in suoli sabbiosi. Si considera ottimale il rapporto tra la dotazione sul complesso di scambio di Magnesio e di Potassio (Mg/K) se questo è compreso tra 2 e 4. Il Magnesio viene somministrato sottoforma di: • Solfato di Magnesio: ha un titolo del 18% ed è impiegato prevalentemente nella concimazione fogliare per la sua elevata solubilità e a causa della sua molto scarsa mobilità nei suoli. • Carbonato di Magnesio (Dolomite): utilizzata per concimazione di fondo e in suoli acidi, ha scarsa solubilità e mobilità.
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• Ossido di Magnesio: può essere utilizzato per la concimazione di restituzione su tutti i suoli, ha scarsa solubilità e mobilità. Concimazione Organica di restituzione. Nei vigneti in cui vi è la prassi di periodiche lavorazioni del suolo in periodi secchi e caldi (estate) si accentua la quantità di sostanza organica che si ossida mineralizzandosi e liberando elementi nutritivi. Considerando una media tra i differenti tipi di suolo si può indicare un consumo medio annuo di circa 10 q/ha di sostanza organica. Per reintegrare il tenore perso, allo scopo di mantenere le caratteristiche fisiche e di abitabilità, si consiglia di apportare circa 100 q/ha di letame oppure un quantitativo tre o quattro volte inferiore (in base al tasso di umidità) di ammendanti industriali. La sostanza organica deve essere interrata nel periodo invernale. In caso di inerbimento permanente (>5anni) la quantità di sostanza organica da reintegrare è nulla poiché il prato permette un mantenimento totale del ciclo umico. La tabella 4.14 riporta uno schema riassuntivo che mette in relazione le tempistiche e le modalità di somministrazione dei macronutrienti e della sostanza organica. L’apporto dell’azoto è legato alla valutazione dello stato di efficienza della chioma in fase di post raccolta mentre per fosforo, potassio e magnesio ci si basa sulla tessitura dei suoli. Ipotizzando come esempio un vigneto su terreno pesante che necessiti una dose di restituzione di azoto maggiore di 50 unità/ha, con chioma efficiente in fase di post raccolta e l’adozione di una tecnica di apporto del concime azotato anche in fase di post raccolta, si consiglia di apportare la quota del 30% del fabbisogno complessivo nel periodo compreso tra ottobre e novembre, massimo 50 kg/ha nel periodo di inizio primavera e le restanti unità tra maggio e giugno. Tutti gli altri macronutrienti e la sostanza organica devono essere apportati durante il periodo invernale.
Appezzamento pronto per l’impianto di un vigneto nel comune di S. Giuletta.
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Tabella 4.14: Schema riassuntivo che mette in r elazione le tempistiche e le modalit Ă di somministrazione dei macronutrienti e della sostanza organica.
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La concimazione fogliare La concimazione fogliare ha il solo scopo di apportare elementi fertilizzanti in momenti di scarsa assunzione radicale riducendo stati di stress e carenza momentanei. Questo tipo di concimazione sfrutta la capacità di scambio ionico (cationi – K-Fe-Mg-ioni +) da parte delle foglie più giovani ed è particolarmente adatta per apportare micronutrienti. L’utilizzo della concimazione fogliare per sopperire alle normali necessità di macronutrienti di un vigneto in produzione è una pratica antieconomica (tab. 4.15): • L’assorbimento fogliare dipende da fattori climatici e fisiologici. Si consiglia di effettuare i trattamenti con temperature comprese tra i 15 e i 25°C e con umidità elevata (sera e mattina presto in presenza di rugiada). • Effettuare il trattamento ogni 7-10 gg per 3 volte. • L’assorbimento fogliare avviene in modo rapido nelle prime 2-3 ore decrescendo fino al 2° giorno dopo l’applicazione. • Il periodo ottimale per la concimazione fogliare è in concomitanza con l’allungamento dei germogli e con la ridotta attività radicale (fioritura – allegagione). Sono da evitare i trattamenti estivi. • Scegliere prodotti a concentrazione più elevata e con tensioattivi che facilitano l’adesione e la permanenza del prodotto sulla foglia. • Utilizzare elevati volumi di adacquamento (1000 l/ha) per non creare ustioni. In figura 4.5 si riportano le chiavi di riconoscimento per le principali carenze. Tabella 4.15: Elenco dei prodotti utilizzati nella concimazione fogliar e.
Elemento Prodotto N K
Urea Nitrato di Potassio Nitrato di Potassio
Mg
Solfato di Magnesio
Solubilità (kg/100 L) 0,4 0,6-0,7 0,6-0,7
1-1,5
3
Fe
Solfato ferroso (carenza lieve) DTPA EDTA
0,9
B
Acido Borico Pentaborato sodico
0,2 0,2
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Note Mai alla fioritura. 4-6 applicazioni di cui la metà prima della fioritura ogni 7-10 gg. In caso di vigneto vigoroso si consiglia di utilizzare solfato di potassio. Dagli stadi di 12° foglia, 3-4 applicazioni ogni 7-10 gg. Concentrazione consigliata 2%; se miscelato con prodotti antiparassitari non superare la concentrazione dell’1%. La lotta al disseccamento del rachide prevede l’applicazione sul grappolo (circa 20kg/ha in 700l) con primo trattamento all’invaiatura e il successivo 10gg più tardi. Applicare durante la crescita dei germogli (dagli stadi della 12-17° foglia). 3-4 trattamenti ogni 7 gg. Cercare di accoppiare al trattamento anche pratiche agronomiche di drenaggio. 2-3 trattamenti fino alla fioritura ogni 10 gg.
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Figura 4.5: Schema per il riconoscimento delle principali car enze in base alla disposizione sulla canopy dei principali sintomi sulle foglie.
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La gestione del suolo La vita delle piante viene fortemente influenzata dai fattori legati al clima, quali temperatura, energia radiante, piovosità, e da altri più legati al suolo come la nutrizione idrica e quella minerale. L’acqua è l’elemento attraverso il quale le piante assorbono la gran parte degli elementi nutritivi; oltre a questa primaria funzione nutrizionale l’acqua ha un’importante funzione di regolazione termica al fine di organizzare il metabolismo delle piante. Risulta fondamentale organizzare una corretta gestione del suolo per permettere il raggiungimento dei seguenti obbiettivi: • controllo della vigoria del vigneto e della qualità delle sue produzioni; la crescita della chioma della vite, l’efficienza del suo funzionamento, il rapporto tra superficie fogliare e produzione sono in relazione con la crescita e l’attività degli apparati radicali. La gestione del suolo, regolando indirettamente la disponibilità di acqua e nutrienti per la vite, ha un ruolo chiave nella gestione dell’espressione vegeto-produttiva del vigneto; • conservare e migliorare le caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche del terreno; tutto il profilo del suolo potenzialmente interessato dalla crescita e dall’attività dell’apparato radicale dovrebbe essere mantenuto nelle migliori condizioni di fertilità chimico-fisica per tutta la durata del vigneto. Un adeguato livello di sostanza organica negli orizzonti superficiali e un adeguato livello di macroporosità, favorevole al drenaggio interno lungo tutto il profilo utile del suolo, sono senza dubbio le condizioni più importanti da assicurare. Le lavorazioni preparatorie del terreno, realizzate prima dell’impianto, dovrebbero porre le premesse per realizzare questi obiettivi, la gestione del suolo deve assicurarne la continuità ed eventualmente rimediarne i difetti; • ridurre fino a eliminare l’erosione dei terreni e i rischi di dissesti idrogeologici figli di una irrazionale gestione dei terreni declivi; tra i numerosi fattori che determinano la suscettibilità di un suolo all’erosione (piovosità, erodibilità, lunghezza e pendenza del versante, disposizione dei filari, copertura vegetale, tecniche di regimazione), la scelta del tipo di gestione del suolo appare decisiva. La presenza di un’adeguata copertura vegetale nei momenti critici dell’anno per la piovosità e per il tipo di eventi piovosi, in relazione alla pendenza dei versanti e all’eventuale presenza di altre tecniche di contenimento del ruscellamento superficiale delle acque pluviali, quali l’affossatura trasversale e l’impianto dei filari in traverso, è senz’altro la strategia più efficace per la conservazione del suolo; • proteggere il suolo dal calpestamento dei mezzi meccanici e degli operatori e dall’azione battente della pioggia; il compattamento del suolo, quale conseguenza della pressione esercitata dagli organi di propulsione (ruote motrici, cingoli) e di sostegno (ruote trainate) dei mezzi meccanici, nonché del calpestio degli operatori, determina, con maggiore o minore gravità, fenomeni di riduzione della macroporosità del suolo con conseguente aumento della densità apparente e peggioramento della capacità per l’aria e del drenaggio interno. La suscettibilità del suolo al compattamento è in relazione alla tessitura del suolo, al suo stato meccanico (coerente o plastico) e soprattutto alla sua portanza (resistenza alla deformazione). La gestio-
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ne del suolo è ovviamente decisiva nel proteggere il suolo stesso, gli apparati radicali della vite, nonché l’attività biotica del suolo, dai danni del compattamento. Anche l’energia cinetica delle gocce di pioggia ha un effetto deleterio sulla struttura del suolo; gli aggregati delle particelle elementari, cui si deve il giusto grado di micro e macroporosità, vengono distrutti in seguito all’impatto delle gocce di pioggia. La superficie del suolo così danneggiata dà luogo a croste superficiali che ne limitano la permeabilità e lo espongono maggiormente ai rischi dell’erosione (pluviale ed eolica); • gestire le infestanti nel periodo in cui la loro presenza risulta maggiormente nociva; se lasciato a sé stesso il suolo del vigneto verrebbe colonizzato più o meno rapidamente dalla flora avventizia con un effetto competitivo più o meno intenso nei confronti della vite per l’acqua, i nutrienti minerali e, nel vigneto appena impiantato, anche per la luce. Questi fenomeni competitivi, soprattutto negli ambienti più aridi, sono da governare adeguatamente. Le lavorazioni tradizionali Con il termine tradizionali ci si riferisce a quelle lavorazioni del suolo fatte con macchine operatrici al fine di controllare le infestanti, interrare i concimi e la sostanza organica apportati, arieggiare e decompattare il suolo e permettere al terreno di preservare le risorse idriche naturali. Le linee guida per questo tipo di pratica agronomica devono sempre tenere in considerazione le condizioni generali del terreno: evitare di lavorare il suolo umido perché enfatizzerebbe la compattazione del terreno con conseguente asfissia radicale e inagibilità dei suoli soprattutto se con tessiture tendenzialmente argillose. Le lavorazioni hanno, come tutte le pratiche agricole, aspetti positivi e altri negativi (tab. 4.16). Tabella 4.16: Fattori favorevoli e sfavorevoli alle lavorazioni del terr eno.
LAVORAZIONI DEL SUOLO Fattori favorevoli • eliminazione flora infestante; • migliore utilizzo delle acque di precipitazione; • rendono possibile la decomposizione dei residui di potatura; • ostacolo alla diffusione di parassiti animali e vegetali; • viene favorita la mineralizzazione della sostanza organica e si ottiene una maggiore disponibilità di azoto nitrico con un aumento della produttività.
Fattori non favorevoli • ostacolano la transitabilità delle macchine operatrici per i trattamenti e per le attività di potatura verde e vendemmia; • favoriscono la compattazione del suolo con conseguente formazione di una suola di lavorazione; • provocano danni fisici alle piante (danni al piede e rottura delle radici superficiali nello strato di suolo più ricco di nutrienti); • nelle condizioni di impianti in pendio vengono favoriti i fenomeni erosivi; • l’aumento della produttività avviene a scapito della qualità del prodotto.
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Le lavorazioni vengono eseguite tra le file attraverso l’utilizzo di diversi attrezzi: tra questi aratri, frese, vangatrici, estirpatori ed erpici. Questi organi lavorano fino ad una profondità massima di circa 30 cm; spesso nel caso delle lavorazioni sulla fila a questi organi viene accoppiato un attrezzo scansaceppi (sensore) che permette la lavorazione sottochioma. Nella generalità dei casi, anche a seguito della corretta applicazione delle tecniche tradizionali di lavorazione dei terreni, ci si trova di fronte a terreni con peggioramenti delle caratteristiche fisiche e microbiologiche, con una conseguente riduzione della presenza biologica e la comparsa di fenomeni di erosione e di compattazione del terreno; tutto ciò determina una drastica riduzione della fertilità del terreno che diviene inoltre difficilmente praticabile soprattutto in alcuni periodi dell’anno. Questo ultimo aspetto non è trascurabile in quanto è in contrasto con l’esigenza di interventi tempestivi richiesti dalle più efficaci strategie di difesa. L’inerbimento risolve molti di questi problemi, perché in grado di migliorare le condizioni di abitabilità del terreno e di limitare molto gli effetti dell’erosione e del calpestamento operato dai mezzi meccanici impiegati nei vigneti. A questi aspetti positivi se ne aggiungono alcuni limitanti, legati principalmente a fenomeni di competizione idrica e nutrizionale che si possono instaurare tra la vite e la specie erbacea. L’inerbimento La pratica dell’inerbimento si riferisce alla coltivazione a scopo non produttivo di essenze erbacee, erba spontanea o più frequentemente erba seminata, nel vigneto e di controllarne lo sviluppo mediante più sfalci annui con apposite macchine. Si può parlare di inerbimento totale quando è realizzato su tutta la superficie ma più frequentemente viene inerbito solo lo spazio interfilare, lasciando all’intervento meccanico o ai prodotti erbicidi il controllo delle infestanti sulla fila. Nella tabella successiva (tab. 4.17) si riportano i fattori favorevoli e sfavorevoli a tale pratica agronomica. Vigneto con inerbimento artificiale (a sinistra) e vigneto lavorato meccanicamente (a destra).
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Tabella 4.17: Fattori favorevoli e sfavorevoli all’inerbimento.
INERBIMENTO Fattori favorevoli
Fattori non favorevoli
• competizione tra l’erba e il vigneto per acqua • riduzione dell’erosione dei suoli, sia ed elementi nutritivi con rischio di ottenere superficiale che canalizzata, soprattutto un calo di produzione ma anche, con nei vigneti in pendio; eccessiva competizione, di qualità; si • strumento efficace per ridurre la vigoria consiglia pertanto di adottare l’inerbimento della vite soprattutto su terreni molto fertili; in vigneti di 3-4 anni di età posti su terreni si avrà quindi una migliore allegagione e abbastanza fertili, che non siano facilmente una migliore qualità dell’uva; soggetti ai danni da siccità e di aumentare • miglioramento del passaggio con le macchine, la concimazione azotata del 10% oppure di soprattutto con le graminacee, sia per utilizzare miscele che contemplino anche la l’esecuzione dei trattamenti antiparassitari presenza di leguminose; sia per il trasporto dell’uva durante la • può ridurre la temperatura dell’aria nelle vendemmia; notti fredde incrementando il rischio di • miglioramento nelle strategie di difesa gelate conseguente alla schermatura dei soprattutto per la possibilità di effettuare raggi solari incidenti sul suolo operata interventi tempestivi per i trattamenti ma dalla vegetazione durante il giorno. In zone anche in quanto alcune essenze provocano soggette a queste condizioni la pratica di situazioni sfavorevoli al proliferare dei alternare la copertura vegetale tra i filari nematodi e inoltre attraggono artropodi può risolvere il problema; favorevoli come gli aracnidi predatori di acari • incrementa il rischio di attacchi di insetti e e insetti dannosi; crittogame in quanto l’impossibilità di • dopo alcuni anni contiene la perdita d’acqua interrare le foglie e il legno di potatura del terreno per evaporazione, attraverso l’azione dell’annata precedente può costituire, in pacciamante della massa vegetativa trinciata primavera, qualche fonte d’infezione di e lasciata sul posto; peronospora, oidio, escoriosi e botrite; per • miglioramento della struttura del suolo grazie contro, la presenza di determinate specie al fatto che le radici rinnovandosi apportano erbacee consente la migliore sopravvivenza materia organica al suolo (soprattutto le per alcuni insetti predatori, utili perché si graminacee) e ne migliorano la porosità; cibano di tignole e di ragnetti. • apporto di Azoto se effettuata con leguminose. Inoltre contiene il dilavamento dei nitrati in profondità, limitando l’impatto ambientale delle concimazioni; • favorisce la traslocazione in profondità del Fosforo e del Potassio e il miglior assorbimento dei microelementi; • l’apparato fogliare della copertura erbosa diminuisce l’energia cinetica delle gocce di pioggia che altrimenti destrutturerebbero e disperderebbero gli agglomerati terrosi; • miglioramento estetico dei vigneti ottenuto da inerbimenti ben gestiti, caratteristica positiva soprattutto in aree di collina poste in zone di interesse turistico.
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L’epoca di semina sarà a fine estate o a fine inverno-inizio primavera con semina a spaglio (o a macchina) su terreno opportunamente preparato; si dovrà poi avere cura di sfalciare la vegetazione erbacea ogniqualvolta raggiunge 25-30 cm di altezza. La scelta della specie, o dei miscugli, per l’inerbimento dovrà essere in funzione di numerosi fattori quali: velocità di insediamento e accrescimento, epoca della ripresa vegetativa, resistenza alla siccità, alle basse temperature e alle malattie, competitività (carattere molto importante se si vuole negare o favorire l’ingresso di flora di sostituzione), fabbisogni idrico-nutrizionali, attitudine alla bassa manutenzione (tagli poco frequenti), resistenza al calpestio. La classificazione delle specie utilizzate per l’inerbimento potrà riguardare l’epoca e la durata della vita delle specie (annuali invernali o estive che nascono e muoiono nel corso di una annata, o perenni che vivono per tre o più anni) e la loro classificazione tassonomica (leguminose o graminacee). Le annuali invernali sono maggiormente seminate per la loro caratteristica di crescere nel periodo più umido e quindi più soggetto all’erosione e meno competitivo per l’acqua e gli elementi nutritivi. Possono venire seminate o lasciate riseminare in autunno, in primavera vengono sfalciate. Le annuali estive sono molto meno utilizzate e quando lo sono generalmente hanno lo scopo di attrarre insetti favorevoli o di apportare sostanza organica. Le specie perennanti vengono seminate in autunno, ma alcune vengono messe a dimora all’inizio della primavera e non necessitano di una risemina per alcuni anni; in ogni caso il loro periodo di forte crescita coincide con quello di massima disponibilità di acqua e clima favorevole. Nel dettaglio le specie graminacee più utilizzate per l’esecuzione degli inerbimenti nei vigneti sono: • Lolium perenne: specie competitiva e proprio per questa sua caratteristica viene di solito usata come “starter”, sia per consolidare rapidamente le superfici in pendio che per contenere le infestanti nelle prime fasi di insediamento del cotico; tuttavia non è di lunga durata, infatti dopo alcuni anni regredisce a vantaggio delle altre componenti del miscuglio. È da impiegare nelle associazioni in proporzioni del 10-35%. • Poa pratensis: specie stolonifera, longeva ma lenta a installarsi; successivamente grazie agli stoloni ipogei e alla elevata resistenza al calpestamento può avere una funzione importante per l’attitudine a chiudere i vuoti lasciati dalle altre specie. La percentuale di impiego nei miscugli è di solito di circa il 20%. • Bromus catharticus: specie triennale con forte apparato radicale e buona attitudine alla risemina. Si contraddistingue per possedere una elevata capacità di insediamento con buone attitudini alla resistenza alla siccità e scarsa resistenza alle basse temperature. Si adatta a terreni non molto fertili, ma teme i suoli molto umidi e molto argillosi. Sensibile al calpestio. • Festuca rubra: specie frugale di modesta resistenza al calpestamento. Si possono distinguere tre sottospecie: – Festuca rubra commutata: sottospecie non stolonifera, ginocchiata e brevemente strisciante alla base. Forma un prato molto fitto e fine.
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– Festuca rubra trychophylla: sottospecie con corti stoloni e foglie simili alla precedente, ma più resistente alla siccità. – Festuca rubra rubra: piante stolonifere che tendono a formare un prato con molti vuoti. Ha foglie più larghe delle due precedenti. Le sottospecie commutata e trychophylla, per le più modeste esigenze nutritive e manutentive, nonché per i ridotti accrescimenti, sono utilizzate per la costituzione di prati rustici. Le percentuali di impiego nelle miscele sono del 25-50% da ripartire fra le tre sottospecie. • Festuca ovina: tipica di luoghi aridi e magri, è una specie molto frugale con bassa produzione di biomassa e modesto coefficiente di evapotraspirazione. Complessivamente la percentuale di impiego delle festuche ovine può arrivare, limitatamente ai terreni magri, fino al 40%. Si può suddividere in due sottospecie: – Festuca ovina duriuscula: ha foglie molto fini, dure, di colore intenso. È poco esigente in acqua, elementi nutritivi e manutenzione e per questo si presta per la realizzazione di prati estensivi, rustici, soprattutto in regioni aride. – Festuca ovina tenuifolia: rispetto alla precedente, ha foglie meno coriacee, tollera meno il calpestio, ma di più l’ombra. • Festuca arundinacea: risulta abbastanza lenta nell’insediamento, ma poi infittisce e la sua aggressività limita molto lo sviluppo della vegetazione spontanea. È produttiva e per questo necessita di sfalci abbondanti, esigente in acqua, si adatta a terreni fertili, utile per frenare l’eccessiva vigoria delle piante, assicura una buona portanza. Le leguminose sono: • Trifolium repens: leguminosa che può migliorare la fertilità del suolo. Si adatta a suoli calcarei. Piuttosto duraturo, 3-5 anni. • Trifolium subterraneum: leguminosa con ciclo autunno-vernino, adatto quasi esclusivamente a terreni sabbiosi, per cui consente di proteggere il terreno, ma in estate muore e non dà problemi di competizione idrica. L’anno successivo, in autunno, rinasce. Non è molto persistente e quindi va spesso riseminato (ogni 2-3 anni a seconda dell’ambiente pedo-climatico). • Trifolium incarnatum: leguminosa con radice fittonante adatta a terreni poco calcarei, sciolti e asciutti. Buona protezione del terreno con apparato radicale profondo. • Hedysarum coronarium: leguminosa con radice fittonante, capace di crescere anche nei terreni argillosi e di pessima struttura. Resistente alla siccità. Negli ultimi anni si sono provate nuove specie di Festuca, quali la longifolia e altre di origine boreale caratterizzate da foglie molto fini, da limitate esigenze idriche e nutrizionali e dal contenuto sviluppo primaverile ed estivo in quanto piante brevi diurne. La loro diffusione è tuttora limitata, soprattutto per la scarsa resistenza al calpestamento e per i costi elevati della semente. Per quanto concerne l’erosione dei suoli la tipologia di tessitura, inclinazione e piovosità sono caratteristiche che misurano la suscettività a questa situazione. Suoli tendenzialmente sabbiosi sono più esposti all’erosione a causa della mancanza d’aggregazione delle particelle che invece i
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suoli a componente argillosa hanno. In condizioni di rischio sono adatte essenze annuali invernali riseminanti, bene in queste situazioni si comportano il trifoglio subterraneo e quelle a maturazione precoce quali i Bromus spp. Relativamente al vigore della vigna con suoli a bassa fertilità si possono usare al momento opportuno le leguminose al fine di apportare azoto; se la penetrazione dell’acqua è ridotta la presenza di un sistema di radici tipo quello delle graminacee che incrementa la struttura fisica del suolo è di sicura efficacia. Nel caso di eccessi vegetativi creati da suoli ricchi, profondi e ben dotati dal punto di vista idrico si possono utilizzare graminacee perennanti per competere con la vigna riducendone il vigore. Nel caso in cui si voglia modificare il grado di competizione del cotico erboso si può giocare sulla dimensione della striscia diserbata sulla fila aumentandola o diminuendola in funzione rispettivamente di un eccesso o un difetto competitivo. Tabella 4.18: Caratteristiche di alcune specie utilizzate nell Guida per il viticoltore).
Graminacee Lolium perenne Poa pratensis Bromus catharticus Festuca arundinacea Festuca ovina Festuca rubra rubra Festuca rubra commutata Leguminose Trifolium repens Trifolium sub-terraneum Trifolium incarnatum Hedysarum Coronarium
’inerbimento dei vigneti (da AA.VV . 2004 –
Velocità di insediamento
Competizione
Frequenza di taglio
Persistenza
... . ... .. . .. .. ... .. .. .
.. . .. ... . . .
... . ... ... . .. . ... .. .. .
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Diserbo chimico con glifosate e flazasulfuron localizzato lungo il filare.
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Tabella 4.19: Epoca di semina e utilizzo di alcune specie per l’inerbimento dei vigneti in funzione della fertilità e della disponibilità idrica dei suoli (da AA.VV. 2004 – Guida per il viticoltor e).
Acqua Limitizione Bassa epoca di semina Lolium, Bromus nessuna
Fertilità
Bassa
Media
Elevata
Media Lolium, Poa F. ovina
Limitazione epoca di semina nessuna
Elevata Lolium, Poa F. ovina
Limitazione epoca di semina nessuna
F. arundinacea
nessuna
F. arundinacea
nessuna
F. arundinacea
inizio estate
Lolium, Bromus F. rubra, Poa
nessuna
F. ovina, Poa
inizio autunno
F. ovina
inizio autunno
F. arundinacea
nessuna
Tr. subterraneum
inizio estate
F. ovina, Hedysarum, F.r. commutata
autunno e primavera
F. ovina, + Trifolium repens
inizio autunno
F. ovina
inizio autunno
F. ovina, + Trifolium repens
autunno e primavera
Tr. subterraneum o altre leguminose
inizio estate
Tr. subterraneum o altre leguminose
inizio estate
F. ovina, F. rubra, autunno e Trifolium repens primavera
Il diserbo La rimozione delle erbe infestanti nel vigneto è tradizionalmente svolta attraverso la totale lavorazione del suolo mentre ad oggi una più razionale gestione del vigneto ne limita la pratica sulla fila dando così spazio all’inerbimento dell’interfila. Per i vigneti biologici e per chi non vuole usare solo i prodotti chimici, il diserbo del filare viene effettuato dagli attrezzi che vengono applicati alla trattrice in diverse posizioni. I prodotti chimici si possono classificare in base al loro meccanismo d’azione e in funzione della durata dell’effetto. Nella moderna viticoltura vengono utilizzati i seguenti principi attivi: Glifosate: erbicida sistemico non residuale ad azione fogliare. L’aggiunta di solfato ammonico migliora l’effetto erbicida e la sua velocità d’azione. La sintomatologia indotta dall’erbicida si manifesta 7-14 giorni dopo il trattamento; il completo disseccamento delle piante avviene entro un mese. L’epoca di intervento può essere sia autunnale che alla ripresa vegetativa della vite; è comunque da applicare su infestanti in post-emergenza in quanto viene assorbito principalmente attraverso le parti verdi delle piante e quindi traslocato nei diversi organi. L’impiego di glifosate richiede una particolare attenzione nella distribuzione poiché se viene assorbito dalle parti verdi della vite si possono manifestare danni sulla vegetazione. È necessario pertanto eliminare preventivamente gli eventuali polloni presenti sul ceppo, distribuire il prodotto in assenza di vento e negli impianti giovani impiegare le apposite campane protettive. È sconsigliato l’uso di attrezzature non specifiche per il diserbo quali le lance irroratrici a mano poiché non consentono di effettuare con precisione la distribuzione dell’erbicida.
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• Glufosinate ammonio: erbicida che agisce per contatto, con una parziale traslocazione, ed assorbimento fogliare sulle parti verdi delle piante e quindi da applicare in post-emergenza. L’aggiunta di solfato ammonico o urea migliora l’effetto erbicida; è preferibilmente da utilizzarsi nei mesi primaverili e può anche essere utilizzato per il controllo chimico dei polloni quando questi hanno raggiunto una lunghezza di 15-20 cm e non siano ancora lignificati. La sintomatologia indotta dall’erbicida si manifesta 2-3 giorni dopo il trattamento; il disseccamento delle piante avviene entro circa 5-10 giorni dal trattamento. • Oxifluorfen: erbicida che esplica la sua azione residuale e antigerminello attraverso il contatto con i giovani tessuti fogliari e radicali presenti al momento del trattamento e delle plantule che emergono successivamente perforando il film formato dall’erbicida sul terreno. L’epoca di trattamento è preferibilmente quella di riposo vegetativo della vite sia in autunno prima della caduta delle foglie sia in primavera 15-20 giorni prima del germogliamento. È utilizzato soprattutto per la pulizia dei giovani vigneti. • Flazasulfuron: principio attivo di nuova introduzione per la vite che ha sia azione fogliare che residuale nel terreno e risulta particolarmente attivo nei confronti di infestanti resistenti, in particolare della parietaria. La sintomatologia si manifesta dopo 3-4 giorni dall’utilizzo con morte delle infestanti entro 20-25 giorni. È particolarmente efficace nella distribuzione autunnale garantendo un prolungato controllo delle malerbe anche per la stagione successiva; non viene pertanto consigliato in primavera. Va distribuito in miscela con glifosate per ottimizzarne l’efficacia; data la lunga persistenza e l’attività residuale di questo erbicida il suo utilizzo è di solito consigliato solo a cadenza triennale. • Ciclossidim e Fluazifop-p-butile: prodotti ad azione graminicida che agiscono per contatto sulle foglie; vanno quindi utilizzati su infestanti in crescita attiva e avendo cura di avere una buona umidità del terreno e dell’aria per aumentarne l’efficacia. L’epoca di utilizzo è nei mesi della tarda primavera o in estate. • Isoxaben: prodotto residuale con azione antigerminello; è consigliato sui nuovi impianti avendo cura di trattare su un terreno ben lavorato, senza infestanti in germinazione e con una pronta irrigazione per favorirne l’attività. La potatura verde I principali parametri che contraddistinguono il livello qualitativo finale delle uve sono influenzati dalle operazioni agronomiche effettuate con la gestione della chioma. Tutte le operazioni realizzate sulla canopy rientrano nel termine di potatura verde o estiva, il quale comprende tutto quello che ha lo scopo di controllare lo sviluppo degli organi verdi della pianta, grappoli compresi, influenzando il rapporto foglie/grappolo. Le strategie adottate nella gestione della chioma sono annualmente diverse perché sono sempre una risposta alla variabilità delle condizioni climatiche a cui il vigneto è ogni anno sottoposto. Condizionare lo stato vegetativo della chioma significa influenzare il microclima dentro la chioma e quindi immediatamente attorno al grappolo.
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La spollonatura Operazione che consiste nell’eliminazione dei ricacci presenti al piede della vite (polloni) o, più frequentemente, lungo il fusto (succhioni). Scopo: ridurre i fattori competitivi nei confronti dei germogli recanti dei grappoli. Questa operazione si rende particolarmente necessaria nei giovani vigneti, ove è assai ricorrente la formazione di germogli anche dalle numerose gemme latenti sul fusto. • Operazione: meccanica o chimica. – Spollonatura meccanica: intervenire con polloni/succhioni lunghi circa 20-25 cm. – Spollonatura chimica: intervenire con polloni/succhioni lunghi circa 10-15 cm. • Epoca: a germogliamento concluso. Se spesso la zona di coltivazione è soggetta a danni da gelo si consiglia di lasciare qualche succhione per il rifacimento della struttura produttiva in caso il tralcio a frutto venga danneggiato. Nei vigneti più giovani e vigorosi è necessario ripassare anche a fine primavera. Per limitare questa operazione sarebbe utile accecare alla fine del primo o del secondo anno d’impianto, le gemme ibernanti presenti sul tralcio che viene utilizzato per la formazione del fusto, avvalendosi anche delle comuni forbici di potatura. La scacchiatura Consiste nell’eliminare lungo i tralci di potatura i germogli doppi, sviluppatisi dalle gemme di controcchio, o sterili, cioè quelli che non portano grappoli. Scopo: con questa operazione si favorisce lo sviluppo e il soleggiamento dei restanti germogli e, soprattutto, si migliora l’arieggiamento dei grappoli con ripercussioni per il futuro stato sanitario. Nel caso di potature invernali più ricche del necessario e con forte germogliamento, quindi con probabile eccesso di grappoli, con questa operazione si potrà anche effettuare un diradamento dei germogli fertili, in particolare di quelli distali sul tralcio, creando le basi per una produzione più equilibrata. • Operazione: manuale. • Epoca: durante il germogliamento con germogli teneri con grappoli visibili (germoglio di 1520 cm). • Obiettivo: vigneti finalizzati a produzioni di pregio. La legatura Operazione effettuata per indirizzare i germogli verso l’alto e convogliarli tra le coppie di fili. Scopo: gestire la forma di allevamento a spalliera, permettere il passaggio delle macchine operatrici, non compromettere l’efficienza dei trattamenti fitosanitari ed evitare ombreggiamenti con ripercussioni negative sull’attività fotosintetica. Questa operazione viene svolta o elevando delle coppie di fili metallici mobili (1 o 2) o stenden-
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C A - Vigneto spollonato a macchina. B - Cimatura meccanica. C - Esito della sfogliatura meccanica in prechiusura del grappolo. D - Cordone speronato dopo scacchiatura manuale. In evidenza le cicatrici dei germogli asportati.
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do annualmente delle coppie di fili di nylon, che a tratti e ad una altezza da suolo prestabilita, vengono avvicinati con ganci, o indirizzando e stendendo manualmente la nuova vegetazione dentro una gabbia fissa di fili. I sistemi di allevamento liberi di ricadere non necessitano di nessuna forma di legatura. Con l’adozione di coppie di fili mobili si deve fare in modo che i fili siano tra loro distanziati di circa 15-25 cm allo scopo di evitare affastellamenti. Con varietà non eccessivamente assurgenti o con vigneti vigorosi la legatura dei germogli dovrà essere necessariamente effettuata almeno in due tempi. Questa seconda legatura può essere utomatizzata con legatrici meccaniche o con una pettinatura manuale direzionando i tralci sporgenti verso l’interno della coppia di fili già stesa. • Operazione: meccanica o manuale. • Epoca: con tralci lunghi circa 1m (all’altezza dell’ultimo filo). • Modalità: – Prima legatura: 40 cm sopra il filo di banchina. – Eventuale seconda legatura: 80 cm sopra il filo di banchina. La cimatura Consiste nell’asportazione degli apici dei germogli. Scopo: soppressione di un fattore di competizione con grappolo, stimolo per l’allegagione e rinnovo della parete fogliare con l’emissione di femminelle con la formazione di foglie fotosinteticamente attive nel periodo di maturazione dei grappoli. • Operazione: meccanica. • Epoca: con tralci eretti sopra l’ultimo filo, ma non ancora ricadenti; normalmente coincide con la fase di post fioritura/allegagione avvenuta (grano di pepe). Se la cimatura viene localizzata in pre-chiusura grappolo si migliora l’efficacia dei trattamenti antibotritici. Evitare cimature successive alla chiusura grappolo. • Modalità: tagliare 30 cm sopra il palo e 30-40 cm lateralmente dal palo. Il numero delle cimature rispecchia il vigore del vigneto. Solitamente si effettua una cimatura o al massimo due. Se vi fosse la necessità di ulteriori cimature rivedere la gestione del vigneto riducendo le concimazioni, i volumi di adacquamento e adottando potature più ricche. La sfogliatura L’operazione porta all’eliminazione delle foglie lungo la fascia produttiva. Oltre al miglioramento che si apporta al microclima della pianta questa attività ha influenze importanti sulla qualità dell’uva. La parete fogliare è tridimensionale nel senso che ha una lunghezza e una larghezza che sono determinate dall’architettura del filare, e una profondità che dipende dalla capacità vegetativa della pianta, intesa come sinergia tra varietà e portinnesto e dalla pratica agronomica applicata. Lo spessore della parete fogliare viene misurato attraverso il numero degli strati fogliari pre-
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senti. Le foglie di vite direttamente esposte alla radiazione solare sono in grado di organicare 34 volte la quantità di anidride carbonica organicata dallo strato fogliare successivo (all’ombra del primo). Un terzo strato fogliare, rimanendo fortemente in ombra, sarà capace di produrre sintetati in grado di fornire energia per i soli processi di respirazione cellulare rimanendo per tutte le rimanenti attività fisiologiche a carico dei primi due strati e sottraendo quindi metaboliti utili all’espletamento delle attività di crescita, maturazione e riserve degli altri organi della pianta. La superficie ottimale utile a permettere la maturazione di un chilogrammo di uva risulta uguale 2 a 1-1,2m per ogni kg di uva prodotta. In questo caso la superficie fogliare a cui si fa riferimento è quella esterna illuminata la cui misu1 2 ra si ottiene attraverso l’applicazione della seguente formula: S.F.E e I=(H +0,6H +e)xL in cui 1 2 H è l’altezza della parete direttamente esposta ai raggi solari, H altezza della parete indirettamente illuminata, 0,6 è un fattore di correzione per la riduzione di energia intercettata dalla parete in ombra, e è la larghezza della vegetazione e L la lunghezza della parete lungo il filare. Questa misura deve essere raggiunta attraverso un contenuto numero di strati fogliari (ideali sarebbero 2 strati fogliari). Bisogna tenere conto della varietà e della zona climatica in cui ci si trova ad operare per poter intervenire nel periodo più idoneo e ottenere quindi i risultati migliori. Con il Pinot nero in Oltrepò può risultare utile attuare questa pratica precocemente (prefioritura o al 50% della fioritura) e sulla parete del filare meno esposta (est o nord) così da ottenere: • minore presenza di ustioni dei grappoli in confronto a sfogliature più tardive (chiusura grappolo, invaiatura) in quanto il grappolo non viene posto alla luce ancora nella sua fase erbacea; • riduzione dell’allegagione, ottenuta attraverso una minore disponibilità di sintetati dovuta all’asportazione delle foglie che in quel momento stanno più attivamente fotosintetizzando, che permette di ottenere grappoli meno compatti e ridurre le operazioni di diradamento; • formazione di un’epidermide più resistente che consente nello stesso tempo di limitare i danni da scottature e rendere più resistenti le bacche dall’attacco di Botrytis cinerea; • condizioni ottimali di penetrazione dei principi attivi in un momento di forte suscettività delle piante alle principali fitopatie; • sintesi di un maggior numero di strati cellulari contenenti polifenoli e antociani e una loro più uniforme distribuzione nelle cellule epicarpiche. Scopo: ventilazione attorno al grappolo, minor tasso di umidità sul grappolo, migliore penetrazione dei principi attivi lungo la fascia produttiva, maggior insolazione sulla buccia e facilitazione delle operazioni di raccolta. • Operazione: meccanica/manuale. • Epoca: – molto precoce: post-allegagione. Indicato per varietà rosse con buccia sottile e grappolo compatto per rinforzare l’epidermide e per ridurre l’allegagione. – precoce: invaiatura/post-invaiatura. Indicato per varietà rosse e bianche aromatiche. In presenza di scarsa umidità, elevata insolazione e vento evitare di scoprire il grappolo.
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– tardiva: pre-raccolta. Operazione da effettuare manualmente e indicata per tutte le varietà allo scopo di favorire la raccolta e un arieggiamento del grappolo. • Modalità: si consiglia di asportare tutte le foglie della fascia produttiva partendo dal lato meno esposto all’insolazione e di proseguire su entrambi i lati solo se l’operazione è eseguita tardivamente o in presenza di condizioni climatiche non troppo calde o caratterizzate da un alto tasso di umidità. – sfogliatura molto precoce: lato meno esposto o rivolto ad est. – sfogliatura precoce: lato meno esposto o rivolto ad est. – sfogliatura tardiva: su entrambi i lati. Il diradamento Il diradamento dei grappoli è una pratica agronomica che prevede l’eliminazione di una quota di grappoli. • Operazione: manuale. • Epoca: invaiatura. • Modalità: soppressione dei grappoli distali (quelli più lontani del tralcio) in base alla quota di produzione/ha di riferimento. Si consiglia di effettuare il diradamento specialmente per vitigni a maturazione più tardiva, a bacca grossa e molto produttivi. • Obiettivo: vigneti finalizzati a produzioni di pregio. I migliori risultati con il diradamento dei grappoli si conseguono nelle annate con andamento climatico avverso, che comporta ritardi nella fase di fioritura e quindi anche dell’allegagione e dell’invaiatura, che ostacolano il processo fotosintetico fogliare, nonché la traslocazione e l’accumulo degli zuccheri nei grappoli e, in definitiva, consentono limitate probabilità di una perfetta maturazione dell’uva. Nonostante i grappoli lasciati sulla pianta dopo l’intervento risentano di una minore competizione, il peso finale della produzione risulterà comunque inferiore rispetto al testimone non diradato in una percentuale variabile in funzione dell’intensità dell’operazione. Naturalmente nei vigneti diradati si dovranno limitare anche tutte le pratiche di forzatura (concimazioni azotate e irrigazioni) e si dovrà favorire l’arieggiamento dei grappoli tramite le varie operazioni di potatura verde.
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Lavorazione in vigneto: potatura inver nale.
Legatura verde su giovane impianto.
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4.2. Le scelte clonali Il Pinot nero (Blauburgunder, Pinot Noir) è una varietà che non si adatta facilmente alle diverse aree di produzione e tende a valorizzare solo le zone più vocate. Per avere un livello di qualità elevato è necessario coltivare questo vitigno in ambienti ristretti (l’importanza dell’ambiente e dell’andamento climatico sono determinanti nella risposta produttiva e qualitativa del Pinot nero), ma è altresì necessario ottimizzare la scelta del materiale clonale. Il Pinot nero é una varietà molto apprezzata per la produzione di vini rossi tranquilli di pregiata eleganza e qualità, ma se vendemmiato precocemente garantisce una base spumante eccezionale. Nell’ambito delle selezioni clonali si trovano delle macrodifferenze evidenti che permettono di distinguere gruppi di cloni con caratteristiche simili in quanto a produttività e ad attitudine enologica: esistono infatti cloni più idonei all’ottenimento di vini rossi e altri all’ottenimento di vini bianchi o spumanti. Anche in Oltrepò Pavese è necessario operare una selezione fra i diversi cloni da utilizzare in associazione e in proporzioni differenti, in relazione all’ambiente e alle finalità enologiche. Per questo motivo in questa sede verranno fornite tutte le informazioni relative ai cloni omologati, attualmente reperibili sul mercato in Oltrepò Pavese, tali da permettere al viticoltore in procinto di impiantare un nuovo vigneto di Pinot nero di effettuare una scelta ragionata. Per avere vini di altissimo livello qualitativo è suggerito un vigneto policlonale: una policlonalità della stessa cultivar infatti esalta al massimo le caratteristiche della varietà e non dà problemi nella gestione e nella conduzione agronomica del vigneto. Al fine di guidare la scelta dei viticoltori dell’Oltrepò Pavese nella composizione policlonale dei nuovi impianti, il Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese ed ERSAF, fra il 2007 e il 2008, hanno realizzato un campo dimostrativo presso il Centro sperimentale di Riccagioia a Torrazza Coste costituito da un assortimento clonale ritenuto interessante per la produzione di vini rossi da affinamento. L’obiettivo è quello di caratterizzare in loco i cloni dal punto di vista produttivo e qualitativo e di valutarne le potenzialità enologiche attraverso delle microvinificazioni. Il vigneto, di superficie pari ad 1 ettaro, con sesto di impianto 2,40 x 0,80 (5.200 ceppi/ha) e forma di allevamento a Guyot, include i seguenti cloni: 5 V 17; Lb 9; MIRA 98-3140; MIRA 95-3047; SMA 185; SMA 191; SMA 201; VCR 18; VCR 20; 115; 292; 667; 777; 828; 943; 165; 386; R4, innestati su 420A (V. Berlandieri x V. Apice del germoglio.
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Riparia), 161-49 (V. Berlandieri x V. Riparia) e 101-14 (V. Riparia x V. Rupestris). Guida alla lettura delle schede clonali Le informazioni contenute nelle Schede Clonali presentate in questo capitolo sono il risultato dell’incrocio fra la letteratura in merito (riviste specializzate, sperimentazioni, cataloghi, etc.) e l’esperienza di professionisti, viticoltori e vivaisti, che coltivano o distribuiscono Pinot nero sul territorio da diverso tempo. Non devono essere però ritenute dei dati assoluti, ma necessitano di essere sottoposte ad una corretta interpretazione: sono dati che trovano un riscontro a parità di condizioni ambientali e di coltivazione e considerando sempre, come condizione imprescindibile, l’adozione in campo di tutte le corrette pratiche di coltivazione. La buona conduzione del vigneto è la base della buona espressione del genotipo. (Per esempio: se un clone viene segnalato come meno sensibile alla botrite non significa che lo si possa piantare in fondovalle, in zone poco esposte o abbondare con le concimazioni). Per meglio comprendere il range di caratteristiche clonali proposte nelle schede bisogna poi servirsi della tipologia media di Pinot nero come punto di riferimento, ovvero delle caratteristiche generali della varietà, che verranno specificate a breve. Costituzione e classificazione dei materiali di moltiplicazione La selezione clonale del Pinot nero vede le sue origini nel 1956 in Francia (in Bourgogne, che insieme alla Champagne è considerata zona di diversità primaria). Inizialmente si tratta di una selezione di tipo massale ed ha lo scopo di eliminare le piante infette da virus, successivamente, negli anni 70, vengono omologati i primi cloni caratterizzati da comportamenti produttivi e qualitativi diversi. Attualmente i maggiori costitutori italiani sono: l’Università di Milano (cloni MIRA); i Vivai Cooperativi Rauscedo (R e VCR); l’Istituto Agrario di San Michele all’Adige (SMA); il Centro di sperimentazione di Laimburg (Lb). In Francia troviamo l’ENTAV (Etablissement National Technique pour l’Amélioration de la Viticulture) ed in Germania gli Istituti di Geisenheim, Neustadt, Weinsberg, Freiburg, oltre ad una serie di costitutori privati. In Italia i cloni omologati sono inseriti nel Registro nazionale delle varietà di viti, istituito dall’articolo 11 del DPR 1164 del 24/12/1969. Il viticoltore che vuole impiantare un nuovo vigneto deve essere certo che il materiale vivaistico da utilizzare sia sano, ovvero esente da organismi nocivi “da quarantena” quali il fitoplasma della Flavescenza dorata. Ricordiamo che il materiale di moltiplicazione della vite viene classificato in tre diverse categorie: il materiale di BASE, non reperibile nei normali canali commerciali, viene prodotto nei “Nuclei di premoltiplicazione” sotto la diretta responsabilità dei costitutori ed è quello che possiede la più alta affidabilità dal punto di vista genetico e sanitario. È destinato esclusivamente alla realizzazione di impianti di piante madri di categoria “Certificato”. In commercio sono presenti le altre due categorie di materiale: il CERTIFICATO e lo STANDARD. I materiali di moltiplicazione Certificati offrono, rispetto agli Standard, maggiori garanzie, soprat116
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tutto dal punto di vista dell’identità clonale (derivano infatti dal materiale selezionato “di base”) e dell’assenza di organismi nocivi, virosi in particolare. Vengono infatti effettuati test e analisi di laboratorio volti a garantire l’assenza delle seguenti virosi: • complesso dell’arricciamento; • complesso dell’accartocciamento fogliare; • complesso de legno riccio; • complesso della maculatura infettiva (Fleck). I materiali di moltiplicazione, per la loro commercializzazione, devono essere muniti di una etichetta recante alcune indicazioni: • norme C.E.; • nome e indirizzo del produttore o suo numero identificativo; • servizio di certificazione o di controllo e Stato membro; • numero di riferimento del lotto; • varietà ed, eventualmente, clone delle barbatelle innestate; • categoria; • paese di produzione; • quantità. Le etichette sono di colore diverso a seconda della categoria: • BIANCO per i materiali di Base; • AZZURRO per i materiali Certificati; • GIALLO SCURO per i materiali Standard. Informazioni generali sulla varietà Pinot nero Caratteri ampelografici Germoglio alla fioritura: apice mediamente espanso, cotonoso, biancastro con foglioline apicali spiegate, cotonose, verdi-biancastre. Foglie: medie cordiformi, con pagina superiore verde scura, opaca e glabra e pagina inferiore verde chiara, debolmente aracnoide, con nervature a base rossastra. Spesse, con bollosità molto grossolane, tri o pentalobate. Seno peziolare a lira stretta o a bordi sovrapposti, denti ogivali e poco pronunciati, regolari e convessi e seni laterali a V o U appena accennati (i cloni a foglie frastagliate hanno grappoli piccoli; i cloni a foglie intere hanno grappoli grossi e rese mediamente più elevate). Lembo leggermente a coppa con lobi debolmente a gronda. Grappoli: piccoli, da 7 a 10 cm di lunghezza, cilindrici, raramente alati, compatti e a peduncolo legnoso, molto duro, corto e grosso. Peso medio del grappolo basso (70 - 150 g). Acini: piccoli, sferici o leggermente ovoidi, a stacco abbastanza facile. Buccia: spessa, consistente e ricca di materia colorante, pruinosa, di colore nero bluastro, o violetto scuro.
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Polpa: abbondante e succosa, con succo incolore, zuccherina e a sapore semplice. Portamento della vegetazione: ricadente o semieretto. Fenologia Germogliamento: medio-precoce (4/15 aprile); molto sensibile alle gelate primaverili tardive specie in pianura e in fondovalle. Fioritura: media (2/8 giugno); in condizioni di freddo e di umidità si osservano abbondanti colature. Invaiatura: precoce. Maturazione: precoce (II epoca: prima metà di settembre); in Oltrepò è generalmente tra le prime varietà a maturare, contemporaneamente o prima di quelle a bacca bianca a seconda della destinazione enologica. Caratteristiche vegeto produttive Produzione: mediamente produttivo (1 o 2 grappoli per germoglio) e costante, ma a volte soggetto a colatura. Infittendo gli impianti si può ottenere una discreta produzione. Vigore: vitigno di vigore medio-elevato. Fertilità: fertilità delle gemme basali buona a partire dal secondo nodo (buono l’allevamento a Guyot semplice con una carica massima per ceppo di 8 gemme); femminelle fertili; fertilità delle gemme in media 1 o 2. Esigenze ambientali e colturali Vitigno esigente dal punto di vista climatico e pedologico e adattabile a ristretti areali di produzione. Terreno: si adatta ai diversi tipi di terreno ma predilige quelli di media ed alta collina, freschi, non umidi, di scarsa fertilità e con buone esposizioni. I migliori Pinot si ottengono su suoli calcarei e argillo-calcarei. Clima: preferisce climi temperati e non troppo caldi, con buona escursione termica, specie in maturazione ed esige buone esposizioni. Nelle annate piovose può presentare problemi di colatura. Nelle annate in cui la maturazione avviene in agosto con temperature molto elevate, si ottengono vini di grande grado alcolico, ma privi di bouquet specifici e di finezza; al contrario se troppo freddo si ha una tendenza alla perdita di colore. Allevamento e potatura: sono consigliabili forme di allevamento a controspalliera a contenuto sviluppo vegetativo (Guyot e cordone speronato), elevata densità di piantagione, potature corte o lunghe, ma con basso carico di gemme. Se aumenta la produttività per ceppo diminuiscono rapidamente il grado zuccherino e requisiti di pregio. La potatura verde, che può essere eseguita a mano o a macchina, deve essere molto accurata. Si consiglia la vendemmia a mano. Sensibilità alle malattie Elevata sensibilità alla botrite, al marciume acido e all’escoriosi. Sensibile all’oidio, alla flavescenza dorata, alla clorosi ferrica e all’attacco di cicaline. Mediamente sensibile alla peronospora. 118
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Tollerante al mal dell’esca. Buona adattabilità alle gelate primaverili, al vento e alla siccità. Su terreni con rapporti salini squilibrati soffre di disseccamento del rachide. Affinità con i portinnesti Il Pinot nero ha mostrato una buona affinità di innesto con i principali soggetti. Affinità d’innesto con i portinnesti sui quali è più comunemente coltivato: OTTIMA: 8B, 161-49, 41B; BUONA: K5BB, SO4, C2, 5C; SCARSA: 420A, 34EM.
Foglie adulte di Pinot nero.
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Schede clonali Legenda schede clonali Produttività ALTA MEDIO-ALTA MEDIA MEDIO-BASSA BASSA
Grappolo GRANDE MEDIO PICCOLO
Attitudine enologica ROSSI FERMI O.P. Pinot nero
BASE SPUMANTE Oltrepò DOCG Potenziale qualitativo ELEVATO MEDIO-ALTO MEDIO MEDIO-BASSO SCARSO
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R4 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività medio-alta; vigoria media; costante; fertilità da media ad alta (fertilità reale: 1,6); fenologia: maturazione leggermente anticipata CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo medio, cilindrico, con una breve ala e non troppo serrato: aiuta contro gli attacchi di botrite; acino medio-piccolo, sferico con buccia sottile, ma consistente COMPONENTI Ricchezza in zuccheri medio-alta e acidità totale superiore SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Buona resistenza alla botrite ATTITUDINE ENOLOGICA Clone con duplice attitudine: produzione di vini rossi (anche novelli) e bianchi fermi o base spumante. Dà origine a un vino molto ricco in colore e acidità, fruttato (sottobosco), di corpo, rosso rubino con un tenore antocianico superiore alla media; migliora con l’invecchiamento, che può essere lungo; in miscela conferisce colore, profumo, acidità e struttura; si presta alla produzione di vini novelli perchè fruttato
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Italia
ZONA DI ORIGINE
Grave del Friuli (PN)
COSTITUTORE
Vivai Cooperativi Rauscedo di S.Giorgio della Rinchivelda (Pn)
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1969
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5-V-17 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività da alta a molto alta, tuttavia permette di raggiungere un buon compromesso fra potenziale di produzione alto e maturazione soddisfacente; vigoria medio-alta; costante; fertilità alta (in particolare ottima la fertilità basale – fertilità reale: 2); fenologia: precoce. Necessita di un’elevata densità d’impianto, terreni calcarei e del diradamento dei grappoli CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo medio-grande, conico, alato con una o due ali e compatto; acino medio-piccolo, sferoidale, di forma regolare con buccia di colore blu intenso, sottile, consistente COMPONENTI Ricchezza in zuccheri e acidità totale medie SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Sensibile alla botrite e mediamente resistente alle principali crittogame ATTITUDINE ENOLOGICA Clone con duplice attitudine: vinificazione in rosso per vini affinati in legno, base spumante e vini bianchi fermi. Dà origine a un vino ricco di colore, con profumo fruttato, alcolico, di corpo, sapido, con retrogusto speziato; di colore rosso rubino brillante e intensità colorante elevata (elevato contenuto di antociani); intensità aromatica non elevata; in miscela può sopportare medi periodi di invecchiamento Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Italia
ZONA DI ORIGINE
Oltrepò Pavese
COSTITUTORE
Istituto di Patologia Vegetale - Università di Milano; Istituto di Coltivazione Arboree - Università di Milano
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1990
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SMA 185 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività media; vigoria medio-alta; fertilità da media a alta (fertilità reale: 1,57); fenologia: germogliamento e maturazione nella media della varietà CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo medio-piccolo (inferiore alla media), cilindrico o piramidale, alato e giustamente compatto; acino medio, sferico con buccia ricca di colore, consistente COMPONENTI Ricchezza in zuccheri da media a superiore e acidità totale media SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Sensibilità alla botrite inferiore alla media ATTITUDINE ENOLOGICA Clone con duplice attitudine: produzione di vini rossi e bianchi fermi o base spumante. Dà origine ad un vino di colore rosso rubino più intenso della media, delicatamente profumato, mediamente alcolico, sapido e armonico; sopporta periodi di affinamento medio-lunghi
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Italia
ZONA DI ORIGINE
Mazzon (TN)
COSTITUTORE
Istituto Agrario S.Michele all’Adige (Tn)
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1992
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
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SMA 191 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività medio-bassa; vigoria alta; fertilità inferiore alla media (fertilità reale: 1,26); fenologia: germogliamento e maturazione nella media CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo grande (leggermente superiore alla media), alato, giustamente compatto e piramidale; acino medio, rotondeggiante con buccia colorata, sottile COMPONENTI Ricchezza in zuccheri da media a superiore e acidità totale superiore SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Sensibile al marciume grigio ATTITUDINE ENOLOGICA Clone con duplice attitudine: produzione di vini rossi e bianchi fermi o base spumante. Dà origine a un vino con buona dotazione di colore, fruttato, alcolico, sapido e strutturato; si presta sia all’invecchiamento, sia alla produzione di basi spumante grazie al grappolo di dimensioni medio-grandi con buon contenuto acidico; ai rossi conferisce delicati profumi varietali
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Italia
ZONA DI ORIGINE
Mazzon (TN)
COSTITUTORE
Istituto Agrario S.Michele all’Adige (Tn)
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1992
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SMA 201 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività medio-bassa; vigoria medio-alta; fertilità medio-bassa (fertilità reale: 1,58); fenologia: germogliamento e maturazione nella media della varietà CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo medio-piccolo, alato, poco compatto e piramidale; acino medio-piccolo, rotondeggiante con buccia ricca di colore, di media consistenza COMPONENTI Ricchezza in zuccheri superiore e acidità totale superiore SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Sensibilità alla botrite inferiore alla media; soffre la siccità precoce; tollerante all’oidio, mediamente suscettibile alle altre malattie ATTITUDINE ENOLOGICA Clone con duplice attitudine: produzione di vini rossi e bianchi fermi o base spumante. Dà origine a un vino di colore rosso rubino intenso con un tenore antocianico superiore alla media, delicatamente profumato, di corpo, armonico e sapido; in uvaggio nella produzione di vini rossi pregiati da invecchiamento conferisce colore, struttura e profumi delicati Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Italia
ZONA DI ORIGINE
Mazzon (TN)
COSTITUTORE
Istituto Agrario S.Michele all’Adige (Tn)
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1992
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
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VCR 9 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività medio alta; vigoria media; fertilità da media ad alta (fertilità reale: 1,54) CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo medio, semicompatto, cilindrico e spesso munito di corta ala; acino medio piccolo con buccia fortemente colorata e di buona consistenza COMPONENTI Ricchezza in zuccheri medio-alta e acidità totale superiore SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Buona resistenza alla botrite ATTITUDINE ENOLOGICA Clone con duplice attitudine: adatto sia alla spumantizzazione, sia alla vinificazione in rosso; dà origine ad un vino con profumi di sottobosco e ciliegia; intenso, armonico e di corpo; sopporta un invecchiamento prolungato
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Italia
ZONA DI ORIGINE
Fpms Davis - California
COSTITUTORE
Vivai Cooperativi Rauscedo di S.Giorgio della Rinchivelda (Pn)
ANNO DI OMOLOGAZIONE
2003
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Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
volume PINOT NERO
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VCR 18 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività medio-alta; vigoria medio-bassa; costante; fertilità alta (fertilità reale: 1,78); fenologia: maturazione leggermente anticipata CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo piccolo, cilindrico, semicompatto e con un’ala corta; acino piccolo, sferico, con buccia di colore blu scuro, consistente COMPONENTI Ricchezza in zuccheri superiore e acidità totale superiore SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Medio-buona resistenza alla clorosi ed alla botrite ATTITUDINE ENOLOGICA Clone con duplice attitudine: produzione di vini rossi (anche novelli) e bianchi fermi o base spumante. Dà origine a un vino di particolare finezza, intensità colorante (colore rosso rubino) e profumo persistente (frutti di sottobosco); di buon corpo e struttura; le sue caratteristiche superiori lo rendono un’ottima base per le miscele; adatto all’invecchiamento prolungato
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Italia
ZONA DI ORIGINE
Tauriano (PN)
COSTITUTORE
Vivai Cooperativi Rauscedo di S.Giorgio della Rinchivelda (Pn)
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1995
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
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volume PINOT NERO
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VCR 20 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività media; vigoria medio-alta; costante; fertilità medio-alta (fertilità reale: 1,5); fenologia: nella media della varietà CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo piccolo, serrato, con breve ala e piramidale; acino medio-piccolo, rotondeggiante con buccia fortemente colorata blu scuro, consistente anche se sottile COMPONENTI Ricchezza in zuccheri da media a superiore e acidità totale media SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Sensibilità alla botrite inferiore rispetto alla media (meglio utilizzare forme di allevamento contenute) ATTITUDINE ENOLOGICA Clone da rosso: dà origine a un vino ricco in polifenoli e antociani, particolarmente aromatico (frutti di sottobosco complessi e persistenti); di colore rosso rubino più intenso della media; di ottima struttura, finezza e acidità; equilibrato; sopporta un prolungato invecchiamento
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Italia
ZONA DI ORIGINE
Torrazza Coste (PV)
COSTITUTORE
Vivai Cooperativi Rauscedo di S.Giorgio della Rinchivelda (Pn)
ANNO DI OMOLOGAZIONE
2000
128
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
volume PINOT NERO
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MIRA 95-3047 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività scarsa; vigoria medio-alta; costante; fertilità alta (fertilità reale: 2,3); fenologia precoce: maturazione anticipata di una settimana CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo medio-piccolo, cilindrico, allungato e compatto; acino medio-piccolo, sferico, regolare con buccia di colore blu, spessa, consistente COMPONENTI Ricchezza in zuccheri da media a superiore e acidità totale superiore SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Media sensibilità alle principali crittogame; molto tollerante alla botrite ATTITUDINE ENOLOGICA Clone con duplice attitudine: produzione di vini rossi fermi o base spumante. Dà origine a un vino di colore rosso rubino brillante, con un tenore antocianico superiore alla media; gradazione e valore acidico piuttosto alti; aroma intenso di piccoli frutti e vegetale; clone adatto per vini di corpo, strutturati, anche invecchiati
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Italia
ZONA DI ORIGINE
Oltrepò Pavese
COSTITUTORE
Istituto di Patologia Vegetale - Università di Milano; Istituto di Coltivazioni Arboree - Università di Milano; Centro Vitivinicolo Provinciale di Brescia
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1996
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
129
volume PINOT NERO
26-11-2008
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Pagina 130
MIRA 95-3131 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività scarsa; vigoria medio-alta; costante; fertilità media (fertilità reale: 2,18); fenologia: precoce CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo molto piccolo, cilindrico e compatto; acino medio, sferico, regolare con buccia di colore blu-nero, spessa, consistente COMPONENTI Ricchezza in zuccheri superiore e acidità totale superiore SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Media sensibilità alle principali crittogame; molto tollerante alla botrite ATTITUDINE ENOLOGICA Clone con duplice attitudine: produzione di vini rossi fermi o base spumante. Dà origine ad un vino di corpo, sapido, di colore rosso rubino brillante con un contenuto polifenolico alto; profumo di piccoli frutti, vegetale fresco, fenolico; gusto strutturato, complesso ed equilibrato; gradazione alcolica e valore acido piuttosto alti; si presta sia alla produzione di rossi (anche in miscela) con affinamento in legno, sia alla produzione di basi spumante
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Italia
ZONA DI ORIGINE
Oltrepò Pavese
COSTITUTORE
Istituto di Patologia Vegetale - Università di Milano; Istituto di Coltivazioni Arboree - Università di Milano; Centro Vitivinicolo Provinciale di Brescia
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1995
130
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
volume PINOT NERO
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MIRA 98-3140 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività scarsa; vigoria media; non costante; fertilità media (fertilità reale: 2,07); fenologia: precoce CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo molto piccolo, piramidale e serrato; acino medio, sferico con buccia di colore blunero, consistente COMPONENTI Ricchezza in zuccheri superiore e acidità totale leggermente inferiore alla media SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Media sensibilità alle principali crittogame; molto tollerante alla botrite ATTITUDINE ENOLOGICA Clone da rosso: dà origine a un vino rosso rubino intenso, con un tenore antocianico superiore alla media; note di piccoli frutti, vegetale fresco e fenolico; pieno, armonico e strutturato; adatto alla produzione di vini rossi tranquilli anche in miscele policlonali perchè si esaltano le caratteristiche di colore e struttura; si presta a un lungo invecchiamento
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Italia
ZONA DI ORIGINE
Brescia
COSTITUTORE
Istituto di Patologia Vegetale - Università di Milano; Istituto di Coltivazioni Arboree - Università di Milano; Centro Vitivinicolo Provinciale di Brescia
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1999
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
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volume PINOT NERO
26-11-2008
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MIRA 01-3004 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività medio-bassa; vigoria medio-alta; costante; fertilità leggermente alta (fertilità reale: 2,7); fenologia: maturazione precoce CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo piccolo, cilindrico e compatto; acino medio, sferico con buccia di colore blu intenso, pruinosa, consistente COMPONENTI Ricchezza in zuccheri superiore e acidità totale media SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Media sensibilità alle principali crittogame; molto tollerante alla botrite ATTITUDINE ENOLOGICA Clone da rosso: da origine a un vino intensamente colorato, strutturato, elegante, con un buon livello antocianico; sentore di piccoli frutti (mora e lampone), vegetale fresco, balsamico e speziato; si presta a un lungo invecchiamento; in miscele policlonali conferisce armonia e colore
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Italia
ZONA DI ORIGINE
Brescia
COSTITUTORE
Istituto di Patologia Vegetale - Università di Milano; Istituto di Coltivazioni Arboree - Università di Milano; Centro Vitivinicolo Provinciale di Brescia
ANNO DI OMOLOGAZIONE
2001
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Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
volume PINOT NERO
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Lb 4 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività media; vigoria media; costante; fertilità medio-bassa (fertilità reale: 1,44); fenologia: precoce (maturazione anticipata di una settimana). Clone molto omogeneo; necessita di diradamento in sistemi di allevamento espansi CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo medio-piccolo, piramidale, con una breve ala e compatto; acino grande, sferico con buccia consistente COMPONENTI Ricchezza in zuccheri superiore e acidità totale inferiore SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Sensibilità alla botrite nella media ATTITUDINE ENOLOGICA Clone con duplice attitudine: produzione di vini rossi fermi o base spumante. Dà origine a un vino di colore rosso rubino intenso, di corpo, con tannini morbidi, profumi contenuti, ma persistenti e delicati e buona acidità; adatto alla produzione di vini di qualità: sia rossi che migliorano dopo un breve invecchiamento, sia basi spumante; aggiunge struttura all’uvaggio
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Italia
ZONA DI ORIGINE
Caldaro (BZ)
COSTITUTORE
Centro Sperimentazione Agraria e Forestale Laimburg (Bz)
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1981
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
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volume PINOT NERO
26-11-2008
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Lb 9 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività media; vigoria medio-bassa; costante; fertilità media (fertilità reale: 1,52); fenologia: maturazione più precoce rispetto alla media. Necessita di diradamento in sistemi di allevamento espansi CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo medio-piccolo, allungato, piramidale, con brevi ali e compatto; acino medio, sferico, non uniforme, con buccia di colore intenso, consistente COMPONENTI Ricchezza in zuccheri medio-alta e acidità totale inferiore SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Sensibile alla botrite; media sensibilità nei confronti delle altre crittogame ATTITUDINE ENOLOGICA Clone a duplice attitudine con particolare utilizzo per le basi spumante che risultano essere profumate e strutturate. Da rosso: vino di colore rosso rubino intenso, alcolico, di struttura e buona acidità; adatto alla produzione di vini giovani di qualità; aroma persistente e delicato; aggiunge tipicità alle miscele Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Italia
ZONA DI ORIGINE
Appiano (Bz)
COSTITUTORE
Centro Sperimentazione Agraria e Forestale Laimburg (Bz)
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1981
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Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
volume PINOT NERO
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Gm 18 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività da media ad alta; vigoria alta; fertilità media; fenologia tardiva: ritarda la maturazione di una settimana CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo medio-piccolo e compatto COMPONENTI Ricchezza in zuccheri media e acidità superiore SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Molto stabile dal punto di vista sanitario; soffre se il portinnesto è troppo debole ATTITUDINE ENOLOGICA Clone adatto alla produzione di vini rossi fermi e base spumante. Dà origine a un vino di intensità aromatica non elevata; note speziate
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Germania
ZONA DI ORIGINE
Geisenheim
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1969
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
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volume PINOT NERO
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Pagina 136
113 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività potenziale da media ad alta: il clone è vigoroso e produttivo, ma controllando la produzione può dare vini di alta qualità; vigoria media; fertilità media; fenologia precoce: ciclo vegetativo corto. Si adatta bene a caratteristiche ambientali limitanti; qualità molto regolare CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo medio-piccolo, qualche volta irregolare e compatto COMPONENTI Ricchezza in zuccheri superiore SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Sensibile alla botrite ATTITUDINE ENOLOGICA Clone da rosso. Adatto per la produzione di vini fermi di buona di struttura ed elevata complessità aromatica, con contenuto tannico medio-elevato, che sopportano un breve invecchiamento; vini di alta qualità. Buona predisposizione per la produzione di basi spumante
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Francia
ZONA DI ORIGINE
Côte-d’Or
COSTITUTORE
INRA
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1971
136
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
volume PINOT NERO
26-11-2008
17:28
Pagina 137
114 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività potenziale da media ad alta: il clone è vigoroso e produttivo, ma controllando la produzione può dare vini di alta qualità; vigoria medio-alta; fertilità media. Si adatta bene a caratteristiche ambientali limitanti; qualità molto regolare; particolarmente stabile nei confronti di zone e annate CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo medio-piccolo, spargolo e irregolare COMPONENTI Ricchezza in zuccheri superiore SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Sensibilità alla botrite nella media ATTITUDINE ENOLOGICA Clone da rosso: adatto per la produzione di vini fermi di buona di struttura ed elevata complessità aromatica con contenuto tannico medio-elevato, che sopportano un lungo invecchiamento; vini di alta qualità; presenza di note fenoliche e note varietali. Discreta predisposizione per la produzione di basi spumante
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Francia
ZONA DI ORIGINE
Côte-d’Or
COSTITUTORE
INRA
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1971
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
137
volume PINOT NERO
26-11-2008
17:28
Pagina 138
115 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività potenziale da media ad alta: il clone è vigoroso e produttivo, ma controllando la produzione può dare vini di alta qualità; vigoria media; costante; fertilità media; fenologia precoce: ciclo vegetativo corto. Si adatta bene a caratteristiche ambientali limitanti CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo medio-piccolo e molto compatto; acino medio, irregolare; difficoltà di gestione a causa della compattezza dei grappoli COMPONENTI Ricchezza in zuccheri superiore SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Sensibilità alla botrite nella media ATTITUDINE ENOLOGICA Clone da rosso: clone tipico della Borgogna, adatto per la produzione di vini fermi che sopportano un breve-medio periodo di invecchiamento; base interessante per vini di alto pregio con buona struttura, contenuto tannico medio-elevato ed elevata complessità aromatica. Buona predisposizione per la produzione di basi spumante
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Francia
ZONA DI ORIGINE
Côte-d’Or
COSTITUTORE
INRA
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1971
138
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
volume PINOT NERO
26-11-2008
17:28
Pagina 139
165 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività potenziale da media ad alta: il clone è vigoroso e produttivo, ma controllando la produzione può dare vini di alta qualità; fertilità media; fenologia tardiva: ciclo vegetativo lungo CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo di media grandezza COMPONENTI Ricchezza in zuccheri superiore e acidità totale superiore SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Dato non disponibile ATTITUDINE ENOLOGICA Clone ideale per la produzione sia di basi spumante, sia di vino rosso fermo di qualità. Vino con acidità superiore alla media. Clone molto diffuso in Francia perchè considerato migliorativo dei cloni più classici
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Francia
ZONA DI ORIGINE
non specificata
COSTITUTORE
INRA
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1972
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
139
volume PINOT NERO
26-11-2008
17:28
Pagina 140
292 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività media: permette di raggiungere un buon compromesso fra il potenziale di produzione e un livello di maturazione soddisfacente; vigoria medio-alta; costante; fertilità alta; fenologia tardiva: ciclo vegetativo lungo, maturazione tardiva. Normalmente è bene controllare la produzione; ideale nelle zone in cui le caratteristiche climatiche non sono favorevoli perchè permette di raggiungere buoni livelli produttivi CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo medio-grande, allungato e compatto; acino medio COMPONENTI Ricchezza in zuccheri medio-alta SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Sensibile alla botrite ATTITUDINE ENOLOGICA Vino con duplice attitudine: vini bianchi fermi e rossi strutturati, ma ideale anche come base spumante. In generale dà origine a vini di qualità superiore quando la produzione è controllata: buon contenuto di materia colorante; acidità superiore; intensità aromatica non eccessiva
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Francia
ZONA DI ORIGINE
Jura
COSTITUTORE
ENTAV
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1973
140
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
volume PINOT NERO
26-11-2008
17:28
Pagina 141
375 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività da alta a molto alta, tuttavia permette di raggiungere un buon compromesso fra potenziale di produzione alto e un livello di maturazione soddisfacente; vigoria alta; costante; fertilità medio-alta; fenologia tardiva: ciclo vegetativo lungo CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo medio-grande e alato; acino con buccia sottile, con pochi polifenoli COMPONENTI Ricchezza in zuccheri medio-bassa SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Sensibilità alla botrite nella media ATTITUDINE ENOLOGICA Clone con duplice attitudine: produzione di vini rossi fermi o base spumante. Dà origine a vini rossi bilanciati e abbastanza tipici con intensità aromatica non particolarmente elevata; ottimo per gli spumanti; molto stabili la fertilità e l’acidità titolabile; considerato un grande classico
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Francia
ZONA DI ORIGINE
Saône-et-Loire
COSTITUTORE
ENTAV
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1975
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
141
volume PINOT NERO
26-11-2008
17:28
Pagina 142
386 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività potenziale da media ad alta: il clone è vigoroso e produttivo, ma controllando la produzione può dare vini di alta qualità; vigoria media; fertilità alta; fenologia tardiva: ciclo vegetativo lungo, maturazione tardiva CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo medio, allungato e compatto; acino medio COMPONENTI Ricchezza in zuccheri media SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Sensibilità alla botrite nella media della varietà ATTITUDINE ENOLOGICA Clone adatto alla produzione di basi spumante (le caratteristiche di questo clone sono potenziate nei vini frizzanti). Dà origine a vini di qualità con acidità superiore
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Francia
ZONA DI ORIGINE
Marne - Oy
COSTITUTORE
ENTAV
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1975
142
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
volume PINOT NERO
26-11-2008
17:29
Pagina 143
388 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività da alta a molto alta; fertilità alta CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo di grandezza superiore alla media COMPONENTI Ricchezza in zuccheri inferiore SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Sensibile al marciume grigio ATTITUDINE ENOLOGICA Clone da bianco: da origine a vini frizzanti di qualità media, neutrali e mediamente tipici
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Francia
ZONA DI ORIGINE
Marne - Verzenay
COSTITUTORE
ENTAV
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1975
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
143
volume PINOT NERO
26-11-2008
17:29
Pagina 144
389 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività da alta a molto alta; fertilità alta CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo di grandezza superiore alla media COMPONENTI Ricchezza in zuccheri inferiore SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Sensibile al marciume grigio ATTITUDINE ENOLOGICA Clone da bianco. Dà origine a vini frizzanti di qualità media: neutrali e mediamente tipici
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Francia
ZONA DI ORIGINE
Marne - Ambonnay
COSTITUTORE
ENTAV
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1975
144
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
volume PINOT NERO
26-11-2008
17:29
Pagina 145
459 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Caratterizzato da un potenziale produttivo molto alto, ma in grado di raggiungere una buona maturità; vigoria alta; fertilità alta; clone piuttosto sensibile alle condizioni meteo CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo di media grandezza COMPONENTI Ricchezza in zuccheri superiore SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Sensibilità alla botrite inferiore rispetto alla media ATTITUDINE ENOLOGICA Clone con duplice attitudine: clone da bianco e da rosso. Dà origine a vini rossi bilanciati con buon tannino, ma di qualità standard se la resa non è contenuta. Adatto per vini bianchi frizzanti di qualità e con buona tipicità
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Francia
ZONA DI ORIGINE
Jura
COSTITUTORE
ENTAV
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1976
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
145
volume PINOT NERO
26-11-2008
17:29
Pagina 146
521 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività potenziale da media ad alta: il clone è vigoroso e produttivo, ma controllando la produzione può dare vini di alta qualità e si può raggiungere un buon livello di maturità; vigoria bassa; fertilità bassa CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo di grandezza media o inferiore alla media COMPONENTI Ricchezza in zuccheri media SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Sensibilità alla botrite inferiore rispetto alla media ATTITUDINE ENOLOGICA Clone da bianco: utilizzato per vini frizzanti e spumanti di alta qualità e tipicità. Leggera propensione all’utilizzo in rosso
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Francia
ZONA DI ORIGINE
Marne - Verzy
COSTITUTORE
ENTAV
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1976
146
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
volume PINOT NERO
26-11-2008
17:29
Pagina 147
583 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività da alta a molto alta; fertilità alta. Portamento eretto dei tralci che facilita la gestione in verde CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo di media grandezza COMPONENTI Ricchezza in zuccheri inferiore SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Dato non disponibile ATTITUDINE ENOLOGICA Dato non disponibile. Dà origine a vini erbacei ed astringenti.
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Francia
ZONA DI ORIGINE
Côte-d’Or
COSTITUTORE
ENTAV
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1978
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
147
volume PINOT NERO
26-11-2008
17:29
Pagina 148
665 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività da alta a molto alta; fertilità media CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo di media grandezza COMPONENTI Ricchezza in zuccheri media SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Maggiore sensibilità alla botrite rispetto alla media ATTITUDINE ENOLOGICA Clone da bianco (vini frizzanti)
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Francia
ZONA DI ORIGINE
Marne - Ambonnay
COSTITUTORE
ENTAV
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1980
148
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
volume PINOT NERO
26-11-2008
17:29
Pagina 149
666 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività da alta a molto alta; fertilità media CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo di media grandezza COMPONENTI Ricchezza in zuccheri media SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Sensibilità alla botrite superiore alla media ATTITUDINE ENOLOGICA Clone da bianco per vini frizzanti standard
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Francia
ZONA DI ORIGINE
Marne - Ambonnay
COSTITUTORE
ENTAV
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1980
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
149
volume PINOT NERO
26-11-2008
17:29
Pagina 150
667 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività potenziale da media ad alta: il clone è vigoroso e produttivo, ma controllando la produzione può dare vini di alta qualità; vigoria medio-alta; fertilità medio-alta; fenologia: maturazione nella media della varietà CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo medio-piccolo, tozzo, molto compatto e molto regolare, acino medio COMPONENTI Ricchezza in zuccheri superiore; qualità molto regolare SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Sensibile alla botrite ATTITUDINE ENOLOGICA Clone da rosso: dà origine a vini di buona struttura ed elevata complessità; rossi fermi di alto livello qualitativo, che sopportano un medio-lungo invecchiamento. Da bianco: per vini frizzanti con carattere
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Francia
ZONA DI ORIGINE
Côte-d’Or
COSTITUTORE
ENTAV
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1980
150
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
volume PINOT NERO
27-11-2008
8:21
Pagina 151
668 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività da alta a molto alta; fertilità media CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo di media grandezza COMPONENTI Ricchezza in zuccheri inferiore SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Sensibile al marciume grigio ATTITUDINE ENOLOGICA Clone da bianco: dà origine a vini di qualità media
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Francia
ZONA DI ORIGINE
Marne - Ambonnay
COSTITUTORE
ENTAV
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1980
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
151
volume PINOT NERO
27-11-2008
8:21
Pagina 152
743 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività potenziale da media ad alta: il clone è vigoroso e produttivo, ma controllando la produzione può dare vini di alta qualità e si può raggiungere un buon livello di maturità; fertilità media CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo di media grandezza COMPONENTI Ricchezza in zuccheri da media a superiore SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Sensibilità alla botrite inferiore alla media ATTITUDINE ENOLOGICA Clone da bianco per vini frizzanti di alta qualità ed elevata tipicità
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Francia
ZONA DI ORIGINE
Marne
COSTITUTORE
ENTAV
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1981
152
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
volume PINOT NERO
27-11-2008
8:21
Pagina 153
777 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Clone debolmente produttivo o comunque di produttività inferiore alla media; fertilità media CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo medio-piccolo e spargolo o mediamente compatto e acino medio-piccolo, irregolare COMPONENTI Ricchezza in zuccheri superiore e acidità totale inferiore; qualità molto regolare SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Poco sensibile alla botrite ATTITUDINE ENOLOGICA Clone da rosso: dà origine a vini di buona struttura ed elevata complessità aromatica; rossi fermi di alto livello qualitativo, che sopportano un medio-lungo invecchiamento; vini di grande carattere
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Francia
ZONA DI ORIGINE
Côte-d’Or
COSTITUTORE
ENTAV
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1981
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
153
volume PINOT NERO
27-11-2008
8:21
Pagina 154
778 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività da alta a molto alta CARATTERI AMPELOGRAFICI Dato non disponibile COMPONENTI Ricchezza in zuccheri media SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Dato non disponibile ATTITUDINE ENOLOGICA Clone da bianco: dà origine a vini di qualità standard
Produttività n. d.
Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Francia
ZONA DI ORIGINE
Côte-d’Or
COSTITUTORE
ENTAV
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1981
154
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
volume PINOT NERO
27-11-2008
8:21
Pagina 155
779 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività potenziale da media ad alta: il clone è vigoroso e produttivo, ma controllando la produzione può dare vini di alta qualità; fertilità alta CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo di grandezza inferiore alla media COMPONENTI Ricchezza in zuccheri superiore SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Inferiore sensibilità alla botrite rispetto alla media ATTITUDINE ENOLOGICA Clone con duplice attitudine; da bianco per la produzione di vini tipici, bianchi frizzanti di alta qualità, ma anche in assemblaggio nella vinificazione in rosso
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Francia
ZONA DI ORIGINE
Cher - Buè
COSTITUTORE
ENTAV
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1981
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
155
volume PINOT NERO
27-11-2008
8:21
Pagina 156
780 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività potenziale da media ad alta: il clone è vigoroso e produttivo, ma controllando la produzione può dare vini di alta qualità; fertilità bassa CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo di grandezza superiore alla media COMPONENTI Ricchezza in zuccheri media SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Maggiore sensibilità alla botrite rispetto alla media ATTITUDINE ENOLOGICA Clone da bianco (vini frizzanti di qualità standard)
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Francia
ZONA DI ORIGINE
Marne - Ecueil
COSTITUTORE
ENTAV
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1981
156
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
volume PINOT NERO
27-11-2008
8:21
Pagina 157
792 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività potenziale da media ad alta: il clone è vigoroso e produttivo, ma controllando la produzione può dare vini di alta qualità e si può raggiungere un buon livello di maturità; fertilità alta CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo di grandezza inferiore alla media COMPONENTI Ricchezza in zuccheri superiore SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Dato non disponibile ATTITUDINE ENOLOGICA Clone da bianco (vini frizzanti)
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Francia
ZONA DI ORIGINE
Marne
COSTITUTORE
ENTAV
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1984
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
157
volume PINOT NERO
27-11-2008
8:21
Pagina 158
828 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Clone debolmente produttivo o comunque di produttività inferiore alla media; fertilità media; fenologia: maturazione nella media della varietà CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo da piccolo a medio, allungato, mediamente compatto e regolare; acino medio COMPONENTI Ricchezza in zuccheri superiore SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Poco sensibile alla botrite e buona resistenza alle patologie in genere ATTITUDINE ENOLOGICA Clone da rosso. Dà origine a vini tannici e concentrati, con un contenuto superiore di polifenoli. Per vini rossi da lungo invecchiamento
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Francia
ZONA DI ORIGINE
Côte-d’Or
COSTITUTORE
ENTAV
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1985
158
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
volume PINOT NERO
27-11-2008
8:22
Pagina 159
829 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività da alta a molto alta; fertilità alta CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo di media grandezza COMPONENTI Ricchezza in zuccheri inferiore SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Dato non disponibile ATTITUDINE ENOLOGICA Clone per vino rosso da consumarsi nell’annata
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Francia
ZONA DI ORIGINE
Saône-et-Loire
COSTITUTORE
ENTAV
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1985
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
159
volume PINOT NERO
27-11-2008
8:22
Pagina 160
870 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produzione potenziale da media ad alta: il clone è vigoroso e produttivo, ma controllando la produzione può dare vini di alta qualità e si può raggiungere un buon livello di maturità; fertilità alta CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo di grandezza inferiore alla media COMPONENTI Ricchezza in zuccheri superiore SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Inferiore sensibilità alla botrite rispetto alla media ATTITUDINE ENOLOGICA Clone da bianco per vini di buona qualità e tipicità
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Francia
ZONA DI ORIGINE
Marne - Verzenay
COSTITUTORE
ENTAV
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1986
160
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
volume PINOT NERO
27-11-2008
8:22
Pagina 161
871 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività potenziale da media ad alta: il clone è vigoroso e produttivo, ma controllando la produzione può dare vini di alta qualità. Permette di raggiungere un buon compromesso fra potenziale di produzione alto e maturazione soddisfacente; fertilità bassa CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo di grandezza superiore alla media COMPONENTI Ricchezza in zuccheri superiore SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Inferiore sensibilità alla botrite rispetto alla media ATTITUDINE ENOLOGICA Clone da bianco per vini di qualità
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Francia
ZONA DI ORIGINE
Marne - Verzenay
COSTITUTORE
ENTAV
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1988
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
161
volume PINOT NERO
27-11-2008
8:22
Pagina 162
927 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produzione potenziale da media ad alta: il clone è vigoroso e produttivo, ma controllando la produzione può dare vini di alta qualità; fertilità alta CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo di grandezza inferiore alla media COMPONENTI Ricchezza in zuccheri superiore SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Inferiore sensibilità alla botrite rispetto alla media ATTITUDINE ENOLOGICA Clone da bianco per vini di alta qualità molto tipici. Può servire anche nell’elaborazione di vini rossi
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Francia
ZONA DI ORIGINE
Cher - Buè
COSTITUTORE
ENTAV
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1988
162
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
volume PINOT NERO
27-11-2008
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Pagina 163
943 CARATTERISTICHE VEGETO PRODUTTIVE Produttività potenziale da media ad alta: il clone è vigoroso e produttivo, ma controllando la produzione può dare vini di alta qualità; fertilità media CARATTERI AMPELOGRAFICI Grappolo di media grandezza COMPONENTI Ricchezza in zuccheri superiore SENSIBILITÀ ALLE FITOPATOLOGIE Dato non disponibile ATTITUDINE ENOLOGICA Clone da rosso. Dà origine a vini con un contenuto superiore di polifenoli, di alta qualità. Clone molto diffuso in Francia perchè considerato migliorativo dei cloni più classici
Produttività Grappolo Attitudine enologica
PAESE DI ORIGINE
Francia
ZONA DI ORIGINE
Côte-d’Or
COSTITUTORE
ENTAV
ANNO DI OMOLOGAZIONE
1989
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
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volume PINOT NERO
27-11-2008
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Pagina 164
Grappoli di Pinot nero (Fonte: Archivio La V ersa S.p.A.).
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4.3. Le scelte enologiche Caratteristiche enologiche del Pinot nero «Il ne supporte aucune médiocrité» dice Claire Naudin, enologa del Domaine Henri Naudin Ferrand (Borgogna) riassumendo in una frase l’essenza del Pinot nero. Il Pinot nero si distingue per la sua versatilità. Con questa uva, infatti, si producono ottime basi spumante (sia bianche che rosate), ma anche le vinificazioni con macerazione possono portare a vini rossi eccellenti. Questo vitigno è differente dagli altri sotto tutti i punti di vista: sia viticolo ed ampelografico, sia enologico. Nelle basi spumante permette di dare corpo al vino, conferendo struttura e importanza al prodotto finito, mentre nella vinificazione in rosso porta ad un vino elegante ed equilibrato. Anche la valutazione dell’uva a maturità deve quindi basarsi sugli obiettivi enologici: da un lato la ricerca di un’elevata concentrazione di acidi e di composti azotati, con una relativa bassa concentrazione di zuccheri sarà utile alla creazione dei vini base spumante, mentre il livello di maturazione polifenolica di bucce e vinaccioli, saranno elementi importanti per ottenere vini rossi fermi. Nella vinificazione in rosso, il risultato che si ottiene si distanzia dai prototipi tipici del mondo del vino; infatti si ottiene mediamente poco colore, un’elevata acidità non facile da equilibrare, un’armonia difficile da trovare. In caso di affinamento in botte, i profumi fruttati si devono integrare elegantemente con le note del legno. L’elegante armonia dell’insieme deve trasmettere importanza ad un vino di per sé fresco e non eccessivamente alcolico. Quando tutto ciò si realizza porta grandi emozioni, sia a chi lo beve, sia a chi ha la soddisfazione di produrlo. Più che ogni altro vitigno può dare i migliori vini, come può facilmente portare a risultati pessimi. Non accetta vie di mezzo. Non sopporta alcuna mediocrità. È per questo che il Pinot nero appassiona così tanto il mondo del vino. Per sfruttare le particolari sensazioni che questo vitigno può dare al consumatore, bisogna produrre un vino di elevata qualità e il punto di partenza per raggiungere questo obiettivo è capire e rispettare la materia prima: l’uva. Per il Pinot nero, il “rispettare” assume un’importanza preponderante; si tratta infatti di un’uva “fragile” e delicata, le bucce sottili non solo rendono il vitigno sensibile alle malattie, ma impongono attenzioni particolari durante tutta la vinificazione. Applicando il concetto di rispetto nella vinificazione in rosso: ogni volta che si va a bagnare il cappello con un rimontaggio, o un délestage, è importante cercare di bagnare le bucce da una distanza molto ridotta perché getti potenti possono danneggiare le bucce e, nella macerazione di quest’uva, l’estrazione deve avvenire per diffusione e non per lacerazione. I rimontaggi hanno lo scopo di bagnare, non di rompere il cappello; è l’attenzione a questi particolari che può fare la differenza nel prodotto finale. Rispettare le bucce in ogni fase di macerazione, anche quando si desidera spingere l’estrazione. Il colore è generalmente poco, i tannini difficili, ancor di più se si considera l’elevata acidità che
Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
165
volume PINOT NERO
27-11-2008
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deve avere un buon vino a base Pinot nero e che certamente non ammorbidisce la sensazione astringente. Ovvia conseguenza è la facilità con cui si trova un Pinot nero amaro, o con tannini verdi, o squilibrati, quindi un vino disarmonico. Importante diventa perciò seguire la vinificazione giornalmente. Per l’amaro è stato osservato che è possibile evitare questa problematica con un piccolo stratagemma: appena se ne sente un lieve accenno in fermentazione si interrompe per una giornata ogni tecnica estrattiva, riprendendo rimontaggi e/o follature il giorno seguente, ovviamente se il difetto è sparito. Superfluo, forse, ricordare l’importanza dell’aerazione in situazioni di tendenza alla riduzione, ma anche in questo caso bisogna ricordare la delicatezza del vino, ponendo attenzione a non danneggiare il cappello, ma anche valutando tecniche alternative all’aerazione diretta con una tinozza in cui far passare il vino. Ad esempio, la riduzione può essere eliminata abbinando un délestage ad una ossigenazione del mosto-vino separato dalle bucce, prima di riversarlo sul cappello. È importante anche quantificare il livello di riduzione, infatti, talvolta, è sufficiente “aprire” un po’ il getto del vino in uscita durante un rimontaggio per eliminare il difetto. Difficilmente da una macerazione standardizzata, da una “ricetta”, si può ottenere un buon vino, e col Pinot nero questo problema viene ulteriormente ampliato. Tutte queste attenzioni, che la vinificazione del Pinot nero richiede, necessitano di molto lavoro, impegno ed energie con un costo sicuramente elevato in termini di risorse umane per l’azienda. Per contro, con questo vitigno, si possono ritagliare forti risparmi dal punto di vista dei prodotti enologici, spesso molto costosi, compensando gli sforzi operativi. I coadiuvanti di vinificazione sono quasi indispensabili quando si cerca di evidenziare alcune peculiarità dei vini, talvolta esprimendole all’eccesso: ad esempio per un Moscato, o per un Riesling renano si tende ad accentuare determinate note aromatiche o di freschezza, o per un Merlot si ambisce ad una grande potenza e struttura tannica. Un Pinot nero, però, deve proiettarsi sempre verso l’eleganza, quindi qualunque eccesso che porti a squilibrio tende a risultare negativo. Certo, anche il Pinot nero può differenziarsi e da esso possiamo desiderare una lieve accentuazione degli aromi o della struttura, ma sempre in funzione dell’equilibrio finale. È quindi indispensabile prediligeLa microssigenazione per mette un maggior e controllo/regolaziore tecniche “soft”. ne dell’ossigeno introdotto, rispettando maggior mente il vino.
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Anche se il colore non particolarmente intenso di un vino Pinot nero può essere generalmente accettato dal mercato, è importante porre molta attenzione ai pigmenti antocianici (le molecole responsabili del colore dell’uva e del vino) sia per gli scarsi contenuti, sia perché questi non sono particolarmente stabili. Infatti dal profilo antocianico (rapporto tra il contenuto delle diverse molecole colorate) i vitigni appartenenti al gruppo dei Pinots sono chiaramente distinguibili per l’assenza di antociani acilati, che sono pigmenti più stabili dei L’invaiatura deter mina l ’inizio del processo di maturazione. Nelle uve a bacca nera è facilmente riconoscibiglucosidi liberi (gli unici contenuti nelle le poich é gli acini iniziano ad accumular e antociani e, bucce di Pinot nero). Questo va comunque quindi, cambiano colore. Si noti nella foto come questo fenomeno non avvenga sommato allo scarso contenuto in antociani contemporaneamente in tutti gli acini. totali legato anche al ridotto spessore delle bucce. Bisogna poi considerare che gli antociani in generale, e ancor di più i glucosidi liberi, sono molto facilmente estraibili; se ciò li rende da un lato ancor più sensibili alla degradazione per ossidazione, dall’altro ci permette di “giocare” sui rapporti antociani-tannini durante la macerazione (ad es. Criomacerazione o Macerazione differita), sapendo che se sono elevati avremo un vino di più pronta beva, ma meno longevo, se bassi permetteranno una migliore stabilizzazione del colore, con una maggiore difficoltà nella gestione del più elevato contenuto tannico. Oltre agli antociani, gli altri composti polifenolici importanti in vinificazione sono, appunto, i tannini. Essi hanno la caratteristica di interagire con le proteine, comprese quelle salivari, provocando le sensazioni di astringenza, corpo, struttura e contribuendo alle sensazioni di amaro. Essi sono formati da flavan-3-oli (catechina, epicatechina, epicatechina-3-O-gallato, ed epigallocatechina), molecole molto simili che si legano tra loro formando macromolecole polimeriche. Se per gli antociani l’attenzione si concentra sulle bucce, per i tannini è indispensabile una visione più ampia, tanto più che il Pinot nero ha spesso un elevato numero di vinaccioli, che apportano gran parte dei tannini al vino (anche in relazione alle bucce sottili). Si consideri, ad esempio, che mentre il Pinot nero ha mediamente 2,6 vinaccioli per acino, la Croatina ne ha solo 1,6. Inoltre, in alcune tecniche di vinificazione con obiettivi enologici ambiziosi e la necessità di un elevato quantitativo di tannini, si utilizzano anche i raspi (solo quando il livello qualitativo delle uve è molto alto, con una maturazione completa anche dei raspi). La complessità del potenziale polifenolico va quindi ad ampliarsi anche per la variabilità di struttura e tipologia di molecole presenti. Infatti i tannini delle bucce e dei raspi sono distinguibili da quelli dei semi perché contengono, oltre alla (+)-catechina, la (-)-epicatechina, e la (-)-epicatechina-3-O-gallato, anche la (-)-
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epigallocatechina. Inoltre i tannini delle bucce si caratterizzano per avere un maggiore grado di polimerizzazione, sono quindi molecole più grandi, mentre quelli dei raspi e dei vinaccioli hanno pesi molecolari simili e piuttosto bassi. Andando ancor più nello specifico, i vinaccioli di Pinot nero contengono una quantità elevata di flavan-3-oli (le unità strutturali dei tannini) monomeri e tra questi prevale la catechina rispetto all’epicatechina, con contenuti irrisori di epicatechina-3-O-gallato. Queste considerazioni che possono apparire accademiche e nozionistiche, hanno un’importante rilevanza pratica. Questo risulta evidente se si considera, ad esempio, che l’epicatechina è un po’ meno polare della catechina ed è più idrofoba, e questo ne aumenta la reattività con le proteine, comprese quelle salivari, incrementando la Durante la maturazione, nelle diverse sensazione astringente. Al contrario la catechina (molto parti della bacca avvengono un insieme rappresentata nei vinaccioli di Pinot nero) ha un sapore di fenomeni semi-indipendenti: nella polpa si accumulano principalmente gli più amaro che astringente. L’amaro è un difetto che si zuccheri e si degradano gli acidi, la bucriscontra abbastanza frequentemente nei vini rossi a base cia pr ende color e e modifica i profili fenolici ed aromatici, i semi evolvono Pinot nero, quindi bisogna porre molta attenzione a tutto modificando il loro color e, sapor e e ciò che lo può causare. Un’eccessiva sensazione di capacità di rilasciar e le molecole in essi contenute. amaro, inoltre, non deriva sempre solo dalle molecole tanniche, ma ad esempio si ottiene a causa dell’interazione acroleina-fenoli. L’acroleina può derivare sia dal glicerolo (che nel vino è una delle molecole più rappresentate e il primo dei prodotti secondari della fermentazione alcolica) per una doppia disidratazione operata da batteri, sia dall’esposizione alla radiazione luminosa, che può originare acroleina e metantiolo (associato all’odore di “putrido”) a partire dall’amminoacido metionina e la sua combinazione con lo zolfo. Infine anche alcuni sali come il solfato di sodio possono dare sensazioni amare e un maggiore contenuto alcolico tende ad accentuare le sensazioni amare. Tornando ai tannini, sia la stereochimica che il grado di polimerizzazione influenzano amaro ed astringenza: la struttura tridimensionale dei tannini è importante, infatti i gruppi fenolici polari (quelli che reagiscono con le proteine dando la sensazione astringente) si posizionano verso l’esterno della molecola, mentre la parte idrofoba resta internamente. Infine anche il tipo di legame presente tra le diverse subunità flavan-3-oliche che compongono i tannini hanno importanza: ad esempio, nelle polimerizzazioni per sostituzione elettrofila, il legame 4-6 è più amaro che il 4-8. Infine i tannini sono importantissimi nella stabilizzazione del colore, inglobando le molecole di antociani al loro interno e “proteggendole” così dalla degradazione. Dal punto di vista aromatico, infine, le molecole responsabili delle spiccate note odorose di frut-
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ti (cassis, amarena, ciliegia) dei vini rossi ottenuti da questo vitigno sono gli etil- e i metil- cinnamati e antralinati. Comunque grande importanza nell’aroma di tutti i vini ottenuti dal Pinot nero è da attribuire agli esteri che si formano in fermentazione, molecole legate alla trasformazione da parte dei lieviti che acquistano, così, ancora maggiore importanza. Negli spumanti i lieviti sono determinanti nel bouquet finale conferendo aromi riconducibili a descrittori quali crosta di pane e frutta secca o anche tostata (nocciola, mandorla, fichi secchi). Le reazioni, comunque, hanno come substrati di partenza molecole già presenti nell’uva, mantenendo, quindi, uno stretto legame di tipicità col vitigno di partenza. La maturazione dell’uva La scelta della data di vendemmia rimane fondamentale per questo vitigno, sia nella vinificazione in rosso, sia per quella destinata a dare vini base per spumante. Durante la maturazione, all’interno della bacca avvengono alcuni cambiamenti che portano alla modificazione dei principali componenti e delle loro proporzioni all’interno del frutto. Le variazioni più evidenti riguardano gli zuccheri, gli acidi e le molecole fenoliche. Anche gli aromi ed i loro precursori subiscono modifiche, ma gli studi al riguardo non sono ancora sufficientemente ampli da permettere una loro applicazione pratica. Come tutti sanno, durante la maturazione gli zuccheri si accumulano nella bacca, rendendo l’uva più dolce e il vino da essa prodotto più alcolico. Parallelamente, l’acidità diminuisce, per diluizione delle principali molecole acide della bacca (ac. tartarico ed ac. malico) e per degradazione dell’acido malico utilizzato come risorsa energetica. Le bacche prendono colore per accumulo dei pigmenti antocianici, i semi imbruniscono ed i tannini si fanno più “morbidi”. Gli acini diventano più morbidi al tatto. Tutte queste modifiche nella composizione avvengono contemporaneamente nella bacca, ma ogni Nella prima fase erbacea di cr escita della bacca, le cellule delcambiamento ha una certa indipenl’acino si moltiplicano, provocando un aumento di dimensioni dell’acino. In corrispondenza dell ’invaiatura si assiste a una denza dagli altri e può avvenire più stasi, in cui la bacca si “prepara” alla maturazione. La cr escita o meno intensamente e rapidamenriprende poi per distensione cellular e fino alla maturazione. Si può talvolta osser vare una disidratazione in sovra maturazione te. Ne deriva che, nonostante le che provoca un decremento del peso degli acini. principali reazioni si ripetano simiNella figura, in rosso, sono riportati i principali eventi che si riscontrano durante la crescita dell’acino. larmente in tutte le uve, la scissione
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temporale e l’intensità di accumuli/degradazioni dei vari composti fa sì che le uve ottenute da diverse varietà/cloni, in diversi ambienti di coltivazione e con differenti tecniche colturali, abbiano una composizione variabile. Lavorando col Pinot nero queste differenze si accentuano infinitamente se si considera l’enorme variabilità clonale e la precocità di maturazione. Se da un lato queste differenze possono risultare come un ostacolo alla gestione di questo Interazioni tra contenuto in antociani e maturazione tecnologica vitigno, dall’altro sono uno stimolo (zuccheri ed acidità): 1 - caso ideale, buona interazione uva tered un’opportunità. È infatti possibi- ritorio; 2 - territorio tardivo, che necessita di una sovramaturazione dell’uva; 3 - territorio molto tardivo, in cui l ’uva non ragle “giocare” con le scelte in vigneto giunge la maturità fenolica (considerata sulla base dell’accumue la gestione della maturazione al lo antocianico); 4 - adattamento territorio-variet à negativo: per raggiungere la maturit à tecnologica sar à necessario rinunciar e fine di ottenere una produzione viti- ad una parte del colore causato dalla degradazione dei pigmencola che rispecchi le esigenze eno- ti. (Da Riberau-Gayon, 1998). logiche per l’ottenimento del vino desiderato. Diventa quindi indispensabile seguire l’evoluzione dell’uva in vigneto con curve di maturazione, che diano il maggior numero di informazioni possibile; questo serve sia per valutare l’andamento annuale e ipotizzare calendari di vendemmia, sia per conoscere in modo più approfondito il proprio vigneto, ed analizzare i possibili miglioramenti da apportare nella gestione delle piante nelle annate successive. Ovviamente queste analisi devono essere finalizzate alla produzione aziendale, per non diventare un inutile dispendio di tempo e denaro. A seconda dell’utilizzo enologico previsto, sarà quindi più utile porre l’attenzione sull’uno o sull’altro cambiamento, anche in relazione alla valutazione della data di vendemmia e delle potenzialità enologiche delle uve prodotte. L’analisi degli zuccheri, anche con un semplice rifrattometro, ma da eseguire su un campione d’uva raccolto in modo razionale, deve essere sempre alla base della curva di maturazione e non si può prescindere dallo svolgimento di questo semplice controllo. A partire dall’invaiatura, e con cadenze via via sempre più ravvicinate, si consiglia quindi di valutare il contenuto zuccherino che resta comunque un’indicazione chiara dei processi di maturazione della bacca. Per quanto riguarda la componente acida, la sua importanza varia a seconda dell’obiettivo enologico. Se per un vino rosso ci si può accontentare di un valore generale per l’acidità titolabile, per una base spumante la conoscenza approfondita di questa componente e della sua evoluzione può
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veramente apportare differenze significative nel successivo sviluppo enologico. La necessità di ottenere vini destinati ad una successiva rifermentazione in bottiglia consiglia di vendemmiare quando ancora la concentrazione degli acidi è elevata e la concentrazione zuccherina non ha raggiunto il massimo, cioè in anticipo rispetto alle uve destinate alla vinificazione di un vino rosso fermo. A questo livello di maturazione si osserva inoltre una concentrazione elevata di proteine, che risultano implicate nella creazione e nella qualità della spuma e delle bollicine. In questa prospettiva vi è stata una tendenza ad anticipare sempre più la vendemmia per avere in cantina uve perfettamente sane, con un’alta concentrazione di acidi pensando poi di correggere eventuali squilibri in cantina. L’eccessiva anticipazione della vendemmia ha spesso portato a vini base dal forte connotato vegetale (esanale e esanolo), che si ripercuote poi sulla qualità dello spumante in bottiglia. Le vendemmie a maturità avanzata invece portano, oltre ad una carenza in acidi, ad un’eccessiva concentrazione di zuccheri, quindi a vini base con un elevato grado alcolico; ne conseguirà una certa difficoltà nella presa di spuma con l’ottenimento di vini squilibrati nel rapporto alcol/acidi, oltre che con possibili sensazioni tanniche indesiderate. Per ottenere un valore di acidità titolabile si può eseguire una semplicissima analisi di titolazione fattibile in ogni cantina. Questo solo indice non è sufficiente per valutare la maturità dal punto di vista acido quando si voglia produrre una buona base spumante. La sensazione percepita dalla bocca, infatti, non si limita alla valutazione della concentrazione di molecole acide, ma varia a seconda del tipo di acido e dei rapporti tra acidi e basi; infatti la presenza di cationi (basici) nella soluzione può “neutralizzare” parzialmente l’acidità degli anioni (molecole acide). La nostra bocca, di conseguenza, percepisce questo equilibrio e non la concentrazione di una particolare frazione. Per una buona base spumante, dove la componente acida ha un’importanza fondamentale sulla valutazione del prodotto finale, sarà indispensabile effettuare l’analisi del pH, che, appunto, fornisce un’indicazione di questi equilibri acido/base e permette di oggettivare la sensazione acida rilevata dalla bocca, consentendo anche confronti dilazionati nel tempo, ad esempio con annate successive. Infine un’indicazione di indubbia utilità è quella relativa ai rapporti tra i diversi acidi. Come è già stato accennato, anche all’interno dello stesso gruppo di composti, ogni molecola può avere un’evoluzione diversa. Quindi, se l’acido tartarico deve la sua diminuzione essenzialmente a processi di diluizione dovuti all’ingrossamento della bacca, l’acido malico oltre a questo effetto subisce una degradazione, che è tanto più spinta tanto maggiore è la temperatura a cui l’acino è sottoposto (annate calde, defogliazione…). Anche questo rapporto può quindi variare ed essere influenzato dalla tecnica colturale. Le conseguenze enologiche sono molto importanti, poiché i due composti hanno comportamenti diversi nel vino. L’acido malico si può degradare a lattico nella fermentazione malolattica, conferendo un ammorbidimento delle spigolosità del primo, ma provocando una diminuzione della sensazione acida. La sua presenza, però, può anche favorire l’avvio di fermentazioni indesiderate in bottiglia, essendo causa di una certa instabilità microbiologica.
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L’analisi di questo rapporto può essere richiesta ad un laboratorio o effettuata in cantina con cromatografie su carta. Come già accennato, per obiettivi di vinificazione in rosso, l’analisi della maturazione fenolica diventa indispensabile. Gli antociani si accumulano nella buccia dell’uva ed il loro contenuto può essere usato come indice di maturità (antociani totali). L’altra classe di polifenoli, importante per definire la maturità dell’uva è quella dei tannini. La buccia ed i vinaccioli accumulano tannini nella prima parte del loro sviluppo, soprattutto prima dell’invaiatura. Nel corso della maturazione dell’uva la concentrazione dei tannini si riduce ed avvengono anche delle trasformazioni chimiche che ne modificano, in generale riducendola, l’astringenza. Per questo motivo il livello di antociani e quello dei tannini andrebbero valutati separatamente e non globalmente così come viene fatto mediante l’analisi dei polifenoli totali. Inoltre il livello dei tannini è solo parzialmente informativo del profilo di maturità tannica dell’uva. Infatti le sensazioni di astringenza ad essi dovute dipendono non solo dalla concentrazione, ma anche dalla loro struttura molecolare. Attualmente non sono disponibili indici analitici per la definizione della maturità tannica dell’uva sufficientemente pratici ed informativi; è solo possibile avere indicazioni circa il loro contenuto. La degustazione dell’acino rappresenta pertanto una tecnica indispensabile per valutare la maturità tannica, saggiando con particolare attenzione non solo le bucce ma anche i vinaccioli, che, come già indicato, rappresentano la fonte principale di tannini in questa varietà. Sanità delle uve Soprattutto nella vinificazione in rosso data l’elevata sensibilità alla Botrytis cinerea del vitigno, determinata dallo spessore limitato delle bucce e dalla compattezza del grappolo, è indispensabile una cernita delle uve in ingresso. Eventualmente questa può essere accompagnata da una buona regolazione della pigia-diraspatrice. Infatti, la muffa grigia spesso forma degli agglomerati di acini che rimangono attaccati ai raspi se i battitori della diraspatrice ruotano lentamente. Per ottenere vini di elevata qualità, non si può prescindere dalla necessità di effettuare una cernita delle uve molto accurata, ma in casi estremi e ovviamente riducendo la possibilità di ottenere prodotti ottimi, si può adottare una tecnica adatta a limitare i danni legati alla Una buona r egolazione della pigiadiraspatrice per mette di eliminar e buona parte delle uve botritizzate. Botrytis cinerea.
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Questa muffa produce un enzima molto attivo nell’ossidazione dei polifenoli: la laccasi. Ovviamente la sua attività sarà massima nelle prime fasi di vinificazione, quando l’ambiente non è ancora riducente grazie alla saturazione con CO2. Però, le prime molecole fenoliche estratte in macerazione sono quelle antocianiche e sono soprattutto queste ad essere ossidate dalle PPO (polifenolossidasi, tra cui la laccasi). Il colore è un fattore critico per questo vitigno, perciò preservare il mosto dalla muffa grigia è ancora più importante. La laccasi è un enzima, quindi, una proteina. Questo fa sì che per interazioni di tipo colloidale crei degli aggregati con altre molecole (ad esempio quelle fenoliche) più o meno voluminosi che tendono a precipitare. Se il mosto prima dell’inizio della fermentazione (che provocherebbe dei movimenti turbolenti nella massa che impediscono la formazione del precipitato) viene separato ed illimpidito, buona parte della laccasi precipita. Travasando il mosto limpido l’utilità della tecnica risulta ancora più evidente, perché il deposito ha un forte odore di muffa, quindi, si può supporre che oltre alla laccasi vengano separate anche molecole legate a difetti olfattivi. Separare il mosto prima dell’inizio della fermentazione può sembrare difficoltoso, perché l’operazione deve essere svolta prima della formazione del cappello nella vinificazione in rosso. Normalmente il problema può essere risolto con l’utilizzo di un “plongeur”, un cilindro forato che termina a punta e che, inserito nel pigiato, permette di aspirare mosto senza le parti solide dal suo interno. Terminata questa operazione, il mosto “chiarificato” viene rimontato sulle parti solide facendo un primo délestage.
I plongeur permettono di separare la fase liquida da quella solida prima dell’inizio della fermentazione.
La vinificazione Le prime operazioni sull’uva L’operazione fondamentale in cantina per la spumantizzazione secondo il metodo classico risulta quella della pressatura che è da effettuare delicatamente per evitare ossidazioni e cessioni di sostanze dal gusto erbaceo e amaro. Proprio per questo la raccolta dell’uva dovrebbe preservare l’integrità del grappolo e per prodotti di alta qualità dovrebbe essere effettuata in cassette di piccolo volume e preferibilmente bucate per eliminare il mosto formato nel trasporto in cantina.
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In caso di vendemmie meccaniche un eventuale passaggio per eliminare le uve meno sane sarebbe auspicabile per non abbassare il livello qualitativo dei grappoli che giungono in cantina. L’uva intera va quindi versata direttamente in pressa, con l’eventuale accortezza di eliminare l’ammostamento iniziale che dilava l’uva dalle impurità del vigneto. Nel caso degli spumanti rosati, se si desidera ottenere un colore più intenso, si può effettuare una breve criomacerazione pre-fermentativa. La pressatura deve essere delicata e portare, nel caso dei vini base bianchi, all’ottimizzazione del frazionamento: la prima frazione più chiara e più acida è la parte migliore da destinare ai prodotti di alta gamma. Quando si vinifica in rosato, si deve prestare maggiore attenzione ai tempi di pressatura per trovare il giusto compromesso tra l’estrazione del colore desiderato ed il rischio di fenomeni ossidativi e/o estrattivi di composti indesiderati. Odori erbacei possono derivare da alcoli a 6 atomi di carbonio e difetti gustativi possono essere legati ad estrazioni eccessive di tannini a basso peso molecolare (diffusi nei vinaccioli e nei raspi). Nel corso della pressatura infatti, se la concentrazione zuccherina rimane pressoché stabile, l’acidità totale tende a diminuire con un conseguente aumento del pH. Inoltre per il Pinot nero iniziano anche fenomeni macerativi che aumentano la colorazione del mosto, situazione indesiderata nel caso di una spumantizzazione in bianco e la cessione di polifenoli in generale. Viene inoltre a diminuire, nel corso della spremitura, la qualità aromatica del vino base. Una valutazione di quando separare la prima frazione dalla seconda è data da un’analisi visiva e gustativa, con il mosto che diventa più scuro/rosa e meno acido con il progredire della pressatura, e dall’analisi del pH, che si innalza con il progredire dell’operazione. Per la prima frazione, nel caso di presse a polmone, si cerca di non rigirare la massa, per evitare cessione di sostanze meno nobili provenienti dai raspi e dai vinaccioli. La seconda frazione è solitamente destinata ai tagli per i prodotti di fascia medio-bassa. Infine la terza frazione viene solitamente eliminata dal processo di spumantizzazione ma recuperata tramite operazioni di chiarifica e filtrazioni per mosto da destinare ad altri prodotti. Segue l’operazione di pulizia del mosto per eliminare le fecce più grossolane, che apportano gusti e odori erbacei e problemi nelle successive chiarifiche dei vini. La decantazione a freddo, in atmosfera riparata dalle ossidazioni, è consigliata per la prima frazione, con eventuale enzimaggio che velocizza la separazione statica delle parti solide. Nel caso di vinificazione in bianco, alternativamente alle condizioni di riduzione, si può effettuare un’iperossigenazione per eliminare anche il colore indesiderato durante l’illimpidimento. Per evitare la partenza della fermentazione, che impedirebbe l’operazione di chiarifica, si utilizzano freddo e anidride solforosa. L’anidride solforosa ha effetti antiossidanti, antiossidasici e antimicrobici. Riveste, quindi, un’importanza fondamentale nella produzione dei vini spumanti. Peraltro è utile tener presente anche l’attività inibitoria di questo composto sugli enzimi pectolitici utilizzati per la decantazione; di conseguenza è meglio non eccedere nelle dosi in questa fase.
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Una indicazione potrebbe essere quella di mantenere il mosto per 6-18 ore a temperatura di circa 10°C. Si possono inoltre aggiungere tannini ellagici e bentonite per flocculare le proteine instabili e gli enzimi ossidativi, nel caso di uva leggermente colpita da marciumi. Un parametro per valutare l’efficacia di questa operazione è quello visivo ed eventualmente analitico controllando il livello di torbidità con un nefelometro (turbidimetro). Non conviene illimpidire troppo il mosto per non impoverirlo eccessivamente di sostanze azotate, utili ai lieviti, e di proteine necessarie nel processo di formazione della spuma e nella sua finezza. Oltre un certo livello si rischia di apportare odori anomali e astringenza ai vini insieme a problemi nelle successive chiarifiche e a possibili ossidazioni catalizzate dagli enzimi tirosinasi presenti nell’uva. Nel caso si vinificasse in bianco, sulla seconda frazione va valutata la metodica più appropriata per la pulizia del mosto insieme ad una eventuale decolorazione. Si consiglia anche una pulizia del mosto con bentonite, caseinato ed eventualmente PVPP per le frazioni più torbide, infine filtrazione delle fecce tramite filtro sotto-vuoto o filtro feccia per recuperare vino da non destinare comunque alla preparazione del metodo classico. Per la vinificazione in rosso, a causa delle bucce sottili e dell’elevata quantità di vinaccioli, si sconsiglia di associare la pigiatura alla diraspatura delle uve, cercando così di portare in vasca acini interi. Questo risultato è ottenibile regolando la larghezza dei rulli di pigiatura ai massimi consentiti dalla pigiadiraspatrice aziendale. Per ottenere i vini più pregiati e longevi e solo da uve completamente sane e ben mature dal punto di vista fenolico, in molte cantine tradizionali in Borgogna si utilizza la vinificazione delle uve intere. Tramite questa tecnica si ottengono i vini migliori, ma spesso è difficilmente attuabile in quanto richiederebbe la pigiatura coi piedi o con follatori meccanici. È soprattutto per la “delicatezza” delle bucce di questo vitigno che è indispensabile porre la massima attenzione al rispetto delle parti solide. Evitare l’utilizzo delle pompe è indispensabile se si vuole vinificare l’uva intera e quindi una buona gestione degli spazi per utilizzare la gravità può essere sostituita solo dall’utilizzo di nastri trasportatori. Si consiglia, comunque, di prediligere pompe volumetriche (eccentriche, a lobi, ellittiche o peristaltiche) che rispettano maggiormente l’uva. Questo principio vale per tutta la vinificazione, ma anche in fase di svinatura le frazioni solide non devono essere maltrattate. La cura di bucce, vinaccioli e raspi deve essere perseguita anche nella macerazione: rimontaggi e délestage sono sempre fatti al solo scopo di bagnare il cappello, mai di romperlo, quindi si consiglia una distanza minima tra il tubo e le bucce. È consigliabile non pescare il mosto dalla valvola, ma dai “plongeur”. In questo modo anche senza un cappello ben formato è possibile estrarre il mosto-vino, essendo più sicuri di non aspirare parti solide.
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La fermentazione La temperatura La temperatura di fermentazione per la produzione di vini bianchi e specialmente per le basi spumante non deve essere troppo elevata. Temperature di circa 15-20°C sono indicate per non “bruciare” gli aromi provenienti dall’uva (aromi primari) e per esaltare i profumi secondari dati dai lieviti in fermentazione. Gli esteri, molecole aromatiche caratteristiche dei vini a base Pinot, sono prodotti dai lieviti in condizioni di stress, quali, ad esempio, le basse temperature. Importante un controllo dell’APA, azoto prontamente assimilabile; valori di circa 200 mg/l evitano problemi di arresti di fermentazione e odori anomali dovuti alle difficoltà fermentative. L’integrazione con sali ammoniacali è consigliata specialmente su mosti molto chiarificati. Si ricorda, comunque, che solitamente il Pinot nero non ha problemi di carenza di azoto. È necessario porre particolare attenzione anche all’operazione di preparazione dell’inoculo dei lieviti, “pied de cuve”, curando attentamente le fasi di reidratazione e di adattamento al mosto, operazione utile per attivare i lieviti secchi e avviare subito la fermentazione per evitare problemi di ossidazione del mosto ed eventuali inizi di fermentazione da parte di lieviti non desiderati. Nel caso di una vinificazione in rosso, le temperature di macerazione devono essere decisamente maggiori, per aumentare l’estrazione dalle parti solide della bacca. Tipicamente in Borgogna si parte con una macerazione a freddo di qualche giorno che può iniziare da una temperatura compresa tra 4 e 10°C. Il regime termico cresce durante la fermentazione con picchi che possono arrivare a 32-35°C. Al termine della macerazione che dura normalmente 2-3 settimane, ma può prolungarsi fino a 40 giorni, spesso viene fatta un’estrazione post-fermentativa a caldo. Il riscaldamento può avvenire direttamente sulla massa totale, oppure, preferibilmente, tramite un “lessivage”, tecnica sicuramente più rispettosa delle fragili bucce di questo vitigno in quanto consiste nel riscaldare il vino separatamente dalla fase soliIl “lessivage” è una tecnica di macerazione post-fer mentativa a da, per poi rimontare il liquido caldo più rispettosa delle vinacce. sopra il cappello. La temperatura deve essere portata a 35°C per dare corpo, per estrarre il “grasso”; oppure a 40°C se si ricercano la struttura ed i tannini. Soprattutto a seguito di una macerazione post-fermentativa a caldo, ma in generale quando la temperatura del vino supera i 25°C è necessario prestare molta attenzione alla pressatura delle vinac176
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ce, perché si può avere una perdita di alcool. È quindi consigliabile aspettare che la temperatura scenda sotto tale soglia. La temperatura gioca un ruolo importante anche sulla microbiologia, soprattutto se si sceglie di utilizzare una fermentazione spontanea. I lieviti apiculati vengono inibiti dalla presenza di alcool, ma ne è stata segnalata la presenza anche a fine fermentazione. Un inizio di fermentazione a bassa temperatura, quando la gradazione alcolica è molto bassa e, quindi, il vino è più soggetto a rischi di proliferazione di lieviti indesiderati, aiuta quindi a limitare l’influenza degli stessi, permettendo tecniche di fermentazioni più complesse, come l’utilizzo di lieviti indigeni. Le vasche di fermentazione La temperatura gioca un ruolo chiave nella produzione dei vini. La scelta dei materiali di costruzione dei vasi vinari per una sua corretta gestione risulta quindi essere indispensabile in ogni tecnica di vinificazione. Nella vinificazione in bianco il materiale più idoneo risulta essere l’acciaio inox, poiché favorisce un elevato scambio termico, permettendo la dispersione del calore e facilitando il raffreddamento del mosto/vino tramite tasche di raffreddamento. Questo consente di mantenere la temperatura di fermentazione ai livelli desiderati. La vinificazione in rosso per una produzione di Pinot nero di particolare pregio dovrebbe invece essere effettuata in vasche aperte; innanzi tutto queste permettono di fare le follature, spesso utilizzate per la vinificazione del Pinot nero, in secondo luogo permettono una maggiore aerazione e questo può essere favorevole sia al buon svolgimento delle fermentazioni, sia alla polimerizzazione dei tannini che, come già spiegato, sono particolarmente difficili da gestire in questa varietà. Inoltre l’aerazione sfavorisce l’avvento di sgradevoli odori di riduzione. La scelta del materiale di costruzione della vasca è importante soprattutto per le differenti proprietà di scambio termico. Le temperature, infatti, giocano un ruolo chiave nella vinificazione, sia dal punto di vista microbiologico (fermentazione e formazione di aromi), sia nell’estrazione e conseguente polimerizzazione dei fenoli. La scelta della vasca di fer mentazione è importante sia per la Come già accennato, in Borgo- gestione della temperatura, sia per la tecnica di macerazione.
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gna, tipicamente, si parte con una macerazione a freddo; il raffreddamento iniziale, nel caso non si disponesse di vasche termocondizionate, potrebbe essere fatto tramite l’aggiunta di ghiaccio secco, in grado, oltre che di abbassare la temperatura, di liberare anidride carbonica, eliminando l’ossigeno presente prima dell’inizio della fermentazione alcolica e proteggendo il mosto dai microrganismi aerobi dannosi (es. Batteri acetici) e dalle reazioni di ossidazione di aromi e antociani. Inoltre la scelta di questa strategia piuttosto che l’utilizzo di uno scambiatore a piastre è sicuramente molto rispettosa dell’uva e permette tutti i tipi di vinificazione, anche di uva intera. Assolutamente sconsigliato, in questa fase, è l’utilizzo di scambiatori a fasci tubieri, perché danneggiano l’uva. Per quanto riguarda la scelta del materiale, ovviamente, con delle vasche in acciaio inox la temperatura è facilmente gestibile e controllabile. Per contro, l’elevata conducibilità termica non permette di utilizzare al meglio il calore sviluppato durante la fermentazione, che viene perso facilmente. Quindi, nel caso in cui per la scelta di una particolare tecnica di vinificazione non si desidera sfruttare questo calore fermentativo (ad esempio fermentazioni a freddo delle basi spumante), l’acciaio è l’ideale, permettendo una facile gestione delle temperature. Ma se si desidera un andamento termico come quello esposto in precedenza, il legno, o forse ancor di più il cemento, possono permettere un risparmio energetico non indifferente, poiché, una volta introdotta l’uva a basse temperature, l’andamento termico segue naturalmente quello ottimale per la macerazione, salvo un’eventuale riscaldamento esogeno finale post-fermentativo. Per contro, l’acciaio permette di modificare più rapidamente le temperature: ad esempio, dopo un paio di giorni di criomacerazione il mosto può essere riscaldato rapidamente. La stessa operazione fatta in legno o cemento favorisce blocchi di fermentazione per eccessi termici, poiché la fermentazione partirebbe da una temperatura già elevata e la scarsa conducibilità dei materiali non permetterebbe una buona dissipazione del calore fermentativo che provocherebbe un eccessivo incremento termico. Sarebbe necessario a questo punto raffreddare la massa con un ulteriore spreco energetico. Anche la forma delle vasche è importante. Ovviamente sono da prediligere vasche con un elevato rapporto superficie/altezza, in grado di ottimizzare la diffusione dei composti dalla fase solida a quella liquida in macerazione. La forma troncoconica può essere vantaggiosa “strizzando” il cappello mentre questo si alza spinto dalla CO2 prodotta dalla fermentazione, contemporaneamente, però, potrebbe compattarlo eccessivamente. I lieviti Dal punto di vista microbiologico si è sempre più diffuso l’utilizzo di lieviti selezioni liofilizzati per la fermentazione, data la loro praticità e facilità di impiego con ottimi risultati riguardo la limitazione dell’insorgenza di odori sgradevoli legati all’attività di microrganismi indesiderati soprattutto nelle prime fasi di vinificazione. Questi infatti permettono quasi sempre di avere una fermentazione lineare, diminuendo anche i rischi di blocchi fermentativi. D’altro canto i lieviti sono i principali responsabili della trasformazione dell’uva in vino, modifi-
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candone sostanzialmente le caratteristiche, lasciando così una forte impronta della loro attività sul prodotto finito. L’utilizzo di lieviti commerciali può quindi facilitare molto il lavoro in cantina, ma contemporaneamente può portare ad una maggiore standardizzazione del prodotto finito. È difficilmente pensabile che le grandi cantine possano fare a meno di questo prodotto enologico, ma per i medio-piccoli produttori l’utilizzo di lieviti autoctoni può essere d’aiuto per differenziare il prodotto, apportando una firma locale, valorizzando il proprio vino con un’immagine di tradizionalità favorita dalle attuali tendenze di mercato e, forse, risparmiando anche un po’ di denaro, visti i costi elevati dei microrganismi. Utilizzare lieviti autoctoni non deve essere sinonimo di fermentazione casuale, in cui l’uva viene abbandonata a se stessa, perché se il consumatore da un lato cerca la tradizione, dall’altro è sempre più esigente sulla qualità del prodotto e non accetta difetti nel vino di qualità. Le strade che si possono seguire sono diverse, qui se ne propongono due: • selezione di lieviti indigeni Questa via è forse la meno rischiosa e può essere utile come primo approccio all’utilizzo di lieviti autoctoni. Deve comunque essere realizzata con l’assistenza di un enologo capace di valutare il livello qualitativo dei lieviti selezionati. Si tratta sempre di inoculare lieviti nella massa da fermentare, ma, invece di acquistare quelli disponibili commercialmente, provare a selezionarli nei vigneti aziendali. Selezionare lieviti è molto semplice: essi sono diffusi nell’ambiente quindi sarà sufficiente prendere alcuni grappoli di uva e lasciarli a fermentare spontaneamente in un luogo lontano da fonti di contaminazione esterne (tenerli in cantina faciliterà la contaminazione da parte dei lieviti utilizzati per le altre vinificazioni). Se il fermentato avrà odori sgradevoli, non bisognerà allarmarsi troppo: all’inizio della fermentazione lavoreranno diversi microrganismi la maggior parte dei quali non tollera gradazioni alcoliche elevate, quindi, alla fine, rimarrà quasi esclusivamente Saccharomyces cerevisiae. In ogni caso l’enologo potrà valutare la qualità dei ceppi isolati tramite alcuni semplici test. • fermentazione senza inoculo Questa tecnica è forse un po’ più rischiosa, ma permette di ottenere come risultato non solo un forte legame con il territorio come la precedente, ma anche una complessità aromatica sicuramente maggiore. La si consiglia soprattutto nelle vinificazioni con uva intera, dove la fase liquida è sicuramente presente in quantità molto limitata a inizio fermentazione e quindi un inoculo sarebbe ancor più difficile e di poca utilità che altrove. Infatti i lieviti non potrebbero diffondersi omogeneamente nella massa e qualunque tentativo volto a questo scopo causerebbe in un danneggiamento della tecnica di vinificazione e dei grappoli. Probabilmente la resa della fermentazione sarà inferiore, quindi, a parità di concentrazione
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zuccherina si otterranno vini meno alcolici, ma il Pinot nero cerca l’eleganza e troppa potenza può portare ad uno squilibrio finale. Si sottolinea che la fermentazione spontanea non deve essere associata al concetto di casualità o all’idea di abbandonare il vino a se stesso, anzi, in questo caso è richiesta una maggior cura ed attenzione in fase fermentativa, al fine di limitare il più possibile i rischi. Un’ottima idea è quella di associare a questa tecnica l’utilizzo di ghiaccio secco, non tanto per la sua attività refrigerante, quanto per la proprietà di liberare CO2 creando un ambiente riducente, salvaguardando dall’ossidazione e, allontanando l’ossigeno, proteggendo l’uva dai microrganismi aerobi, primi tra tutti i batteri acetici. Anche in questo caso si consiglia di fare prove su quantità limitate della produzione e di prevedere l’assistenza tecnica di un enologo. In entrambi i casi è indispensabile seguire attentamente lo svolgimento della fermentazione, anche con un semplice densimetro, per cogliere tempestivamente ogni eventuale problema e risolverlo per tempo. Infatti accorgersi prontamente di un rallentamento di fermentazione può permettere di prevenire un blocco. Talvolta è sufficiente aerare o riscaldare leggermente la massa per risolvere il problema. In caso di arresto della fermentazione, invece, il consiglio è di inoculare il prima possibile con un “pied de cuve” ben preparato, dei lieviti commerciali, che sono, in questo caso, da considerarsi come una correzione e non come una consuetudine. In queste condizioni i lieviti commerciali non faranno fatica a riprendere la fermentazione, poiché competitivi e resistenti. Fermentazione ed aromi Nei vini prodotti con uve Pinot nero, tra le componenti aromatiche più importanti troviamo gli esteri che sono originati dall’unione di una molecola acida ed una alcolica. Gli antralinati, in parte responsabili delle note odorose di frutti rossi (cassis, amarena, ciliegia) dei vini ottenuti da questo vitigno, sono anche responsabili dell’odore “foxy” delle uve e dei vini da Vitis labrusca. Sono tra i pochi esteri odorosi già riscontrabili nelle uve. I lieviti, durante la fermentazione, possono formare principalmente due gruppi di esteri profumati; gli esteri etilici degli acidi grassi (odori di cera e miele) e gli esteri acetici degli alcoli superiori (banana, caramella inglese, mela). Durante l’invecchiamento può verificarsi una ricombinazione degli esteri, così come una loro nuova sintesi chimica. Gli esteri generalmente sono responsabili di aromi piacevolmente fruttati (ad eccezione dell’acetato di etile dal pungente odore di aceto), quindi sono da ricercare soprattutto nei vini più giovani in cui un buon aroma fruttato può andare a compensare la carenza di complessità. La formazione di esteri fermentativi è favorita da una fermentazione lenta e difficile, dall’assenza di ossigeno, dalle basse temperature, dalla chiarifica del mosto, dalla carenza di azoto. Di conseguenza, per un vino fresco e giovane, ad esempio, la criomacerazione può favorire da un lato l’estrazione preferenziale di antociani limitando il contenuto tannico del vino, dall’altro le basse
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temperature possono favorire il metabolismo dei lieviti che porta alla formazione di esteri profumati. Con l’affinamento, i vini rossi dovranno trovare un equilibrio aromatico con i composti volatili ceduti dal legno, mentre gli spumanti renderanno i loro profumi più complessi grazie, soprattutto, all’affinamento sui lieviti della seconda fermentazione. La vinificazione in rosso: la macerazione Il Pinot nero richiede molte cure in vinificazione, poiché in caso contrario è facile ottenere vini squilibrati o addirittura difettosi, soprattutto per problemi legati ai tannini “difficili” da gestire. D’altro canto si cercano vini eleganti, ma longevi e con una buona struttura. Il dislocamento della maggior parte dei tannini nei vinaccioli richiede, se si cerca struttura, macerazioni medio-lunghe (dai 10 ai 35 giorni) perché i tannini dei semi sono gli ultimi ad essere estratti. Questo è dovuto al fatto che il vinacciolo è protetto da uno strato ceroso che lo rende impermeabile, quindi solo dopo l’inizio della fermentazione, in presenza di alcool, può iniziare l’estrazione. Per contro, se si desidera produrre un vino giovane, la macerazione deve essere accorciata per non estrarre i tannini problematici e difficili da gestire dei vinaccioli. I tannini e l’etanale L’operazione di separazione della fase liquida in pre-fermentazione, già precedentemente introdotta, può anche essere sfruttata come punto di partenza per specifiche tecniche di vinificazione. Vale la pena citarne una che si basa su un principio specifico: generalmente si ritiene che la polimerizzazione delle proantocianidine porti alla formazione di tannini più “morbidi”. In realtà non tutti i tipi di polimerizzazione hanno gli stessi risultati a causa della struttura molecolare dei flavanoli (le subunità che compongono i tannini). I tannini, quindi, possono avere la struttura di molecole piuttosto piatte in grado di formare molte interazioni con le proteine (tra cui quelle salivari) perché “espongono bene” ogni loro parte. Se, però, i polimeri sono più “raggomitolati”, si dovrebbero creare più interazioni intramolecolari e meno con la saliva, ottenendo una minore astringenza. I polimeri “raggomitolati” si possono formare grazie alla presenza di etanale (o acetaldeide). Questa molecola è ben conosciuta nelle vinificazioni in bianco per le caratteristiche olfattive legate ad un odore di mela e al difetto dello svanito, ma ha anche un ruolo centrale nelle reazioni che avvengono durante la microssigenazione nei vini rossi. L’etanale si forma essenzialmente per due vie: l’ossidazione dell’alcool etilico (quella sfruttata nella microssigenazione), o la fermentazione glicero-piruvica delle prime fasi di attività dei lieviti (quella responsabile dell’odore di mela verde di alcuni mosti bianchi in fermentazione). Si può utilizzare la seconda via di produzione di etanale per ottenere vini rossi più morbidi al pari di quelli sottoposti ad affinamento in legno o a microssigenazione. Per stimolare la fermentazione glicero-piruvica, il lievito deve lavorare in condizioni “difficili”, quindi, ad esempio, su mosti molto illimpiditi ed a basse temperature. Bisogna comunque tener
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presente che i polimeri fenolici ottenuti tramite “ponte etanale”, se da un lato diminuiscono l’astringenza, dall’altro possono accentuare l’amaro, mentre se nel legame interagisce anche una molecola antocianica, il gusto risulta neutro. La polimerizzazione degli antociani tramite questa via favorisce, oltre alla stabilizzazione del colore, anche fenomeni di copigmentazione con incremento dell’intensità colorante e tonalità più bluastre. Si può quindi separare una parte del mosto, illimpidirla e fermentarla a basse temperature in una piccola vasca d’acciaio per formare l’etanale. Successivamente, riunendo le masse fermentate, la polimerizzazione dei tannini e degli antociani avverrà nelle forme più “raggomitolate”. Questa tecnica di vinificazione può facilmente sovrapporsi ad una macerazione differita. La macerazione differita e la criomacerazione La macerazione differita è una tecnica studiata per massimizzare il colore dei vini. Si basa sul principio che gli antociani vengono estratti rapidamente in una normale vinificazione, mentre per una buona estrazione di tannini è necessaria la presenza di alcool. I polifenoli sono molecole antiossidanti, cioè “preservano” le altre molecole da degradazioni ossidative ossidandosi “al loro posto” (queste reazioni vengono ovviamente accelerate dalla presenza di specifici enzimi come le polifenolossidasi e le perossidasi). L’ossidazione polifenolica (che nel caso delle molecole antocianiche provoca perdita di colore) come già detto è favorita nelle prime fasi di vinificazione per la maggior presenza di ossigeno. La macerazione differita propone di limitare l’estrazione nelle prime fasi di fermentazione (effettuare al massimo un breve rimontaggio al giorno) fino a quando non si raggiunge un contenuto alcolico minimo in grado di estrarre anche i tannini i quali hanno una doppia funzione di protezione per il colore: possono sostituire gli antociani nelle reazioni ossidative e possono stabilizzare le molecole colorate tramite reazioni di polimerizzazione. Dopo questa prima fase di estrazione limitata, le tecniche di macerazione devono essere riprese regolarmente. Se si considera il profilo antocianico del Pinot nero, quindi i rapporti tra le diverse molecole colorate, questa tecnica sembra ancora più “azzeccata”: gli antociani acilati (non presenti in questa varietà) sono più stabili e si estraggono lentamente dalle bucce. I pigmenti del Pinot, i glucosidi liberi, oltre ad essere meno stabili, vengono estratti molto facilmente all’inizio della macerazione, esponendosi a facili degradazioni tramite ossidazione. In contrapposizione alla macerazione differita si ha la criomacerazione. Infatti, in questo caso, si opera un raffreddamento delle uve nelle prime fasi di macerazione allo scopo di scindere l’estrazione degli antociani da quella dei tannini. Infatti le basse temperature rallentano o bloccano la fermentazione, quindi anche la formazione di alcol e l’estrazione dei tannini, perché, come già detto in precedenza, gli antociani vengono estratti molto più facilmente dei tannini a causa della loro localizzazione. Operativamente, si utilizza il raffreddamento delle masse con ghiaccio secco oppure vasche a temperatura controllata. Si sconsiglia l’utilizzo di scambiatori a fasci tubieri perché non rispettosi della fase solida (bucce
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ed eventualmente raspi) tipicamente presente nella vinificazione in rosso. Questa tecnica può essere molto valida per il Pinot nero perché, nonostante la minore stabilità iniziale del colore, permette di estrarre più antociani rispetto ai tannini. La si consiglia soprattutto nelle situazioni in cui la maturazione fenolica (dei vinaccioli in particolare) non è ottimale per evitare di estrarre troppi tannini “verdi”, oppure quando l’obiettivo enologico è quello di ottenere un vino non eccessivamente tannico, con minore astringenza, ma anche minore struttura, che non pretenda lunghissimi affinamenti in legno e spesso non in grado di sopportare l’utilizzo di elevate percentuali di botti nuove. Per ottenere vini giovani e fruttati, senza affinamento in legno, si può associare la criomacerazione ad un’estrazione molto blanda effettuando un solo rimontaggio al giorno (nessuna follatura). Vinificazione con uve intere Questa tecnica richiede cure particolarmente attente e complesse ed è assolutamente sconsigliata nel caso in cui l’uva di partenza non sia nelle condizioni ottimali sia dal punto di vista sanitario, sia per la maturazione, o nel caso in cui non si abbia la possibilità di seguire con attenzione tutte le fasi della vinificazione. È innanzitutto indispensabile una cernita molto accurata delle uve a livello di acini. Si sottolinea che l’utilizzo di uve intere non dovrebbe portare alla formazione di molto mosto liquido nelle prime fasi, quindi l’eventuale aggiunta di solforosa non potrebbe “diffondersi” omogeneamente nella massa. Comunque, nel caso le uve siano sane e mature, ottimi risultati si possono ottenere senza l’utilizzo di SO2 con tutte le conseguenze positive sul piano salutistico e di marketing (ovviamente dosi molto limitate devono essere apportate alla fine della fermentazione malolattica per evitare un incremento della acidità volatile). La follatura manuale con “pigeu” per mette La cernita delle uve ha un ruolo centrale perché la un contatto diretto con le vinacce. muffa grigia (Botrite), soprattutto nelle prime fasi, potrebbe diffondersi in queste condizioni. Particolare attenzione è anche necessaria nei confronti dei raspi. Infatti questi oltre ad essere “sani e maturi” devono essere trattati con estrema delicatezza, per limitare l’estrazione dei tannini particolarmente difficili e per evitare di ottenere vini dalle note olfattive eccessivamente erbacee, per la presenza di alcoli a 6 atomi di carbonio (esanolo ed esenoli) che si formano al momento della disorganizzazione dei tessuti vegetali a partire dagli acidi grassi delle membrane. Nel caso si opti per una fermentazione spontanea, per proteggere le uve da microrganismi indesi-
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derati, è necessario l’utilizzo di una buona dose di ghiaccio secco che, oltre a raffreddare la massa, libera anidride carbonica la quale, andando a sostituirsi all’aria (perché più pesante), rende l’ambiente sfavorevole alla crescita di batteri acetici (aerobi). In queste condizioni l’uva deve essere lasciata per alcuni giorni in macerazione carbonica per favorire la formazione di esteri dall’aroma particolarmente fruttato. In genere si lasciano passare 3-5 giorni, ma la scelta delle tempistiche deve essere fatta caso per caso. Comunque gli acini pronti per la pigiatura devono avere già un buon sentore alcolico ed un aspetto particolare: si deve notare già una parziale decompartimentazione cellulare con variazione del colore delle bucce. La gestione della macerazione Come già accennato, il Pinot nero è un vitigno “difficile” dal punto di vista fenolico, quindi necessita di molte cure in macerazione. Questa deve essere valutata caso per caso in base alle caratteristiche riscontrate nel mosto in fermentazione e agli obiettivi enologici. Si possono comunque seguire alcuni principi per la valutazione delle lavorazioni più idonee; in generale effettuare: • almeno un rimontaggio tutti i giorni ad eccezione dei vini ottenuti da uve intere; • ad inizio fermentazione fare più follature al giorno (considerando che se il cappello diventa troppo compatto le follature manuali diventano molto difficili da praticare e anche la follatura meccanica sarà meno delicata), tenendo conto però del fatto che la follatura estrae molto più che il rimontaggio; • appena iniziano a sentirsi i tannini diminuire il numero di follature per non estrarne eccessivamente (attenzione: la sensazione tannica in vinificazione viene attenuata dagli zuccheri residui, quindi ogni sensazione astringente verrà accentuata a fine fermentazione); • se si sente un principio di odore dell’acido acetico sulle vinacce: fare un rimontaggio al più presto per portare un po’ di alcool sul cappello e inibire eventuali batteri; • appena si inizia a percepire il gusto amaro non fare nulla. • in caso di tendenza alla riduzione: – se ad uno stadio iniziale o comunque poco percettibile: fare un rimontaggio arieggiando; – se la riduzione è più accentuata: togliere una parte di mosto e metterla in un’altra vasca e ossigenare in modo massiccio fino a scomparsa del difetto. Poi rimontare come per un delestage. Eventualmente ripetere l’operazione più volte (se la cantina non possiede un microssigenatore si può far scrosciare il vino in un mastello arieggiando ma prestando attenzione alla fase solida); – se si è in post svinatura: il microssigenatore può essere messo direttamente nella vasca ponendo attenzione al rischio di eccessive ossidazioni; • rimontaggi e délestage sono sempre fatti al solo scopo di bagnare il cappello, mai di romperlo, quindi utilizzare una distanza minima tra il tubo e le bucce. Se il mosto non viene preso dalla valvola, ma dai plangeur, anche senza un cappello ben formato è possibile estrarre il mosto-vino;
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• l’utilizzo del microssigenatore è molto utile anche per formare etanale per polimerizzare i tannini in fase post-fermentativa e di affinamento; • per ottenere un vino giovane non destinato ad invecchiamento in fusti di legno, regolare i rulli della pigiadiraspatrice in modo che gli acini non vengano schiacciati eccessivamente e vinificare semplicemente con un rimontaggio al giorno; • le bucce “esaurite” cambiano colore in modo molto evidente nel Pinot nero assumendo tonalità che tendono al marrone. In generale si consiglia di prolungare la macerazione fino a questo viraggio, anche attuando un’estrazione post-fermentativa; • eventualmente si può “esasperare” l’estrazione con una macerazione post-fermentativa a caldo (finita la fermentazione la temperatura scende diminuendo l’estrazione) con un lessivage che consiste nel separare il vino dalle bucce scaldandolo a 35°C (per dare corpo “grasso”) o a 40°C (per estrarre tannini e struttura), a fine fermentazione, quindi rimontare il vino caldo sul cappello. Affinamento ed utilizzo del legno Fino agli anni ’60 le barriques non sono state considerate come un prodotto enologico, ma semplicemente come dei contenitori. Le barriques venivano infatti riutilizzate per 30-40 anni. “È a partire dagli anni ’70 che i fûts vengono richiesti fuori dalla Borgogna”, dichiara Arnaud Orsel (Tonnellerie François Freres). Le differenze tra i pièces (tipici della Borgogna) e le barriques (diffuse a Bordeaux) sono molte, a partire dalla forma (più rotonda la prima e più allungata al seconda), o dallo spessore delle doghe (tipicamente 27 mm nei pièces e 22 mm nelle barriques), fino ad arrivare ai caratteristici cerchi di castagno che rendono facilmente riconoscibili le botti borgognone. Comunque la differenza più importante sta nella capacità: 228 litri dei pièces contro i 225 litri delle barriques. Infatti questa denota una tecnica produttiva storicamente diversa: la capacità maggiore dei pièces è legata al tradizionale affinamento sulle fecce per la produzione di Pinot noir e Chardonnay diffuso in Borgogna. Finita la macerazione il vino fiore, spesso aggiunto del torchiato da pressatura soffice (0,4-0,8 bar), viene lasciato decantare per 1-3 giorni e successivamente vengono riempite le botticelle, preferibilmente col vino ancora caldo. In Francia ci sono due differenti nomi per indicare le fecce: quelle grossolane di illimpidimento/chiarifica (Bourbes) e quelle di fermentazione (Lies). Mentre le prime, solitamente ottenute nelle vinificazioni in bianco dall’illimpidimento del mosto, vengono eliminate, le seconde sono composte principalmente dai lieviti che hanno svolto la fermentazione alcolica e possono essere efficacemente utilizzate. Lasciandole a contatto col vino le cellule morte dei lieviti subiscono un processo di autolisi rilasciando nel mezzo i componenti cellulari. Particolarmente interessanti per l’affinamento dei vini sono le mannoproteine, polisaccaridi costituenti le pareti cellulari di questi microrganismi. Queste molecole hanno un importante effetto sta-
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bilizzante sul vino, sia dal punto di vista tartarico, impedendo la formazione di precipitati salini nella soluzione sovrasatura di tartrato, sia dal punto di vista proteico. Infine hanno anche un effetto di stabilizzazione del colore. È come se queste grandi molecole polimeriche limitassero il contatto tra gli altri composti diminuendo la loro reattività. L’affinamento sulle fecce inoltre apporta ai vini una maggiore complessità, equilibrio e sapidità, con un impatto gustativo caratteristico. Per contro, un utilizzo sbagliato delle fecce, così come del legno, può danneggiare enormemente i vini, causando importanti difetti olfattivi. I lieviti fermentanti, ma anche le loro fecce, operano la degradazione della vanillina del legno, favorendo quindi anche un maggior equilibrio olfattivo, senza quelle note eccessivamente vanigliate e legnose che talvolta si riscontrano in vini affinati in modo scorretto. Le macromolecole provenienti dall’uva, ma ancor più quelle derivanti dall’autolisi dei lieviti, hanno anche un’influenza positiva sulla crescita dei batteri lattici, accorciando la fase di latenza ed aumentando la biomassa prodotta principalmente grazie a due effetti: la detossificazione dell’ambiente e l’arricchimento del mezzo in sostanze nutritive. Per il Pinot nero è consigliabile svolgere la fermentazione malolattica in legno. Tipicamente in Borgogna essa avviene in primavera, anche se non mancano i casi in cui si verifica subito dopo, o addirittura contemporaneamente, alla fermentazione alcolica. Nella zona di Bordeaux invece, la malolattica avviene spesso in acciaio. Comunque si consiglia di non svolgere la fermentazione malolattica in presenza di residui zuccherini, poiché i batteri lattici si nutrirebbero di questi portando alla formazione di acido acetico e altre molecole dall’odore sgradevole. È importante mantenere le botti sempre piene per evitare ossidazioni eccessive: la microssigenazione che avviene attraverso la porosità del legno è sufficiente. Durante tutto l’affinamento si consiglia una colmatura alla settimana, con tempi più ravvicinati nel primo periodo. Le colmature possono anche essere fatte con fecce se queste sono in buone condizioni. Soprattutto nelle prime fasi di affinamento (indicativamente fino a che non si è svolta la malolattica) si consiglia un bâtonnage (risospensione delle fecce nel vino) a settimana. I bâtonnage, indispensabili nell’affinamento su fecce di vini bianchi, hanno meno importanza nel Pinot nero, ma permettono di mantenere “pulite” le fecce, evitando un ambiente eccessivamente riduttivo che si può verificare quando le fecce si compattano nel fondo delle botti. Questo favorirebbe l’insorgenza di difetti olfattivi legati a molecole solforate anche a causa di una possibile attività residua degli enzimi solfitoreduttasi derivanti dai lieviti. È infatti per quest’ultima motivazione che si consigliano i bâtonnage soprattutto nelle prime fasi, quando la lisi dei lieviti può liberare enzimi non ancora denaturati. Mantenendo le botti colme e le fecce in sospensione si potrebbero evitare travasi, lasciando così il vino a contatto coi lieviti per un periodo più lungo. È indispensabile comunque mantenere costantemente sotto controllo le botti e travasarle appena si sente qualche difetto olfattivo. L’affinamento dei vini è importante non solo per le fecce ma anche per gli scambi che avvengono tra vino e legno; questi possono avere un forte impatto sia aromatico che gustativo. I tannini
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presenti nel legno sono diversi da quelli dell’uva e vengono comunemente chiamati “idrolizzabili”. Essi includono i gallotannini (presenti nei tannini di galla) e gli ellagiotannini (caratteristici della quercia e del castagno) e non polimerizzano coi tannini delle uve o con i pigmenti antocianici, ma si comportano da regolatori di ossidazione favorendo la polimerizzazione dei polifenoli delle uve. L’essenza del legno delle botti, o comunque l’origine dei tannini, porta a differenze gustative: il castagno e le galle si caratterizzano per una maggior presenza di molecole a carattere amaro mentre i tannini estratti dalla quercia portano generalmente ad una maggiore percezione dell’astringenza. È interessante segnalare che alcuni composti fenolici presenti nel rovere hanno la proprietà di chelare alcuni cationi metallici quali il rame che tende a precipitare, diminuendo così il tenore di questo metallo nel vino. Scelta del legno La prima decisione da prendere riguarda i rapporti tra botti nuove e botti usate e, in questo caso, valutare anche il loro stato e la loro “età”. Non sempre un vino è in grado di sopportare l’apporto di elevati quantitativi di derivati dal legno, che possono sovrastarne il “gusto” danneggiandolo irreparabilmente, anziché migliorarlo. La moda inoltre si sta modificando e, conseguentemente, vini con sentori eccessivi di legno non risultano gradevoli al consumatore. Ne consegue che solo per vini con grande struttura e destinati a lunghi invecchiamenti, si consiglia di utilizzare un’alta percentuale di botti nuove, mentre negli altri casi è più opportuno usare un buon numero di botti usate, anche di diversi passaggi, per non intaccare l’eleganza e l’armonia del prodotto. Per quanto riguarda la scelta del tipo legno, sono tre i principali parametri da valutare: stagionatura, tostatura e provenienza. La stagionatura di norma avviene in cataste all’aperto. L’aria, la pioggia, l’irraggiamento e i microrganismi che si sviluppano sul legno producono delle importanti modificazioni nella struttura e nella composizione del legno. Sulla superficie del legno, fino a 3-4 mm di profondità, oltre che nei pori e nelle spaccature, si sviluppano muffe, batteri e lieviti che possono utilizzare molti composti del legno quali zuccheri, emicellulose, tannini e degradarne parzialmente altri, modificandoli. Comunque tutti questi organismi non riescono ad alterare la lignina. La stagionatura, quindi, comporta una modificazione profonda nel comportamento del legno a contatto con il vino nella dinamica e nelle caratteristiche dell’estrazione. Generalmente può variare da 24 mesi a tre anni. In generale, se si desidera utilizzare molto legno nuovo è preferibile scegliere una stagionatura lunga (3 anni) per evitare un eccessivo apporto di tannini del legno. Una stagionatura breve (24 mesi) può essere utilizzata quando il legno nuovo non supera il 20-25 % del totale. Infatti, in questo caso, il legno non si è ancora “pulito” di gran
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parte dei tannini, che risultano fortemente presenti, ma che comunque possono contribuire ad incrementare la struttura del vino. Dal legno stagionato si ottengono le doghe per spacco, rispettando meglio la struttura delle fibre del legno, o per taglio, con una parziale recisione dei vasi e delle fibre, con conseguente minor tenuta alle infiltrazioni del vino e con variazione delle cessioni. Successivamente le doghe vengono sottoposte a piegatura a caldo, poiché la lignina è facilmente termodeformabile. Alla curvatura segue la tostatura, caratteristica di ogni tonnellerie in funzione delle richieste. L’esposizione al fuoco a diverse temperature può andare da pochi minuti (tostatura leggera) fino a 15-20 minuti (tostatura forte). Tostature diverse modificano più o meno profondamente la composizione chimica e la struttura degli strati superficiali del legno. In generale tostature medie e leggere portano alla formazione di diversi composti aromatici, mentre nelle tostature forti, oltre un certo limite termico, la degradazione supera la sintesi di sostanze aromatiche. Le reazioni degli zuccheri della cellulosa con alcuni amminoacidi portano ad aromi speziati e di caramello. La lignina porta ad alcuni fenoli volatili. Infine nel legno riscaldato si formano alcune aldeidi quali la vanillina che, con riscaldamenti eccessivi, possono ossidarsi ad acidi. La tostatura più consigliata per il Pinot nero è quella media, anche se deve essere valutata anno per anno in relazione al prodotto. Una tostatura leggermente superiore può dare un maggiore contributo aromatico nelle note di “forno” e “nocciola”. La tostatura leggera, al contrario, limita le interferenze aromatiche legate al legno mantenendo i profumi su note più fruttate. A tal fine la si può consigliare, ma in percentuale limitata, poiché è da associare al rischio di ottenere vini con una forte componente di tannini secchi. Da evitare tostature eccessive che sovrastano i profumi e la complessità del Pinot nero con note eccessivamente vanigliate. Si ricorda anche che per capienze maggiori di 500 l la piegatura non avviene con fuoco diretto e per questo gli aromi derivati da botti grandi sono molto diversi da quelli dei piccoli fusti. Infine anche la provenienza del rovere apporta delle differenze tra le botti. Talvolta alla provenienza è correlata una differente specie di quercia; le specie europee sono quelle più utilizzate ed appartengono essenzialmente a due gruppi: il rovere (Quercus petraea e Q. sessilis) e la farnia (Q. robur e Q. peduncolata). Esiste poi una specie americana: la Q. alba. Nel caso della quercia americana la differenza botanica è molto forte, mentre per i roveri europei prevalgono le caratteristiche derivanti dalle zone di provenienza. Interessanti legni, se selezionati e trattati opportunamente, provengono dalla Slavonia, dall’Austria, dalla Russia Meridionale e dall’Ungheria, comunque la scelta è solitamente orientata su rovere francese. La provenienza può avere una forte influenza sull’impatto aromatico. Una delle principali molecole legate all’odore boisé con note di legno e di noce di cocco fa parte della famiglia dei lattoni, e il suo contenuto è molto variabile: la Quercus petraea ne è piuttosto ricca, al contrario della Quercus robur. Quella che ne contiene di più però è la Q. alba che apporta proprio per questo una
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forte nota boisé. La specie americana, inoltre, contiene molti più norisoprenoidi (molecole aromatiche presenti anche nelle uve) rispetto alle querce europee. Inoltre è interessante ricordare che la quercia americana può cedere quantità non indifferenti di potassio (che può precipitare con l’acido tartarico del vino), fatto non osservato con il legno europeo. Per quanto riguarda la Francia, per il Pinot nero, si consiglia il rovere proveniente dall’Allier, seguito da quello di Nevers (quest’ultimo ha una grana un po’ più aperta). Anche il legno dei Vosges ha una grana piuttosto aperta, ma lo si consiglia maggiormente per i vini bianchi, tipo Chardonnay, poiché apporta rotondità al vino, caratteristica non particolarmente ricercata nel Pinot nero. Nonostante la somiglianza della grana tra Nevers e Vosges, essi di differenziano per il tipo di tannini apportati, più rustici nel primo. Infine i legni provenienti dalla foresta di Tronçais, si caratterizzano per avere una grana molto fine e sono ottimi per i lunghi invecchiamenti (almeno 18 mesi), mentre all’inizio dell’affinamento spesso danno sentori di legno eccessivi. Si ricorda che il legno apporta acidi fenolici, presenti anche nell’uva, che possono essere trasformati in fenoli volatili con odori che vanno dall’affumicato e speziato all’odore di animale, di stalla e di sudore di cavallo, soprattutto ad opera dei Brettanomyces che si annidano più facilmente nelle irregolarità della superficie del legno piuttosto che sull’acciaio. Ne consegue la necessità di un forte rigore nell’igiene della cantina. Il Metodo Classico Il vino base rosato o bianco subisce i processi standard di stabilizzazione, chiarifica e filtrazione prima della seconda fermentazione che avverrà in bottiglia. In questa fase si decide quale sarà il vino che andrà a rifermentare in bottiglia: generalmente si opera effettuando tagli tra le diverse basi per la creazione di cuvée; i diversi vini così ottenuti provenienti da vigneti diversi e da annate diverse verranno scelti per creare uno spumante con certe caratteristiche, lo “stile aziendale”, ripetibili anno dopo anno per ogni spumante commercializzato. Nel caso di annate molto favorevoli vengono invece utilizzati vini della stessa vendemmia per creare prodotti, i “millesimati”, di elevatissima qualità con peculiarità legate all’anno di produzione che viene riportato in etichetta. Il taglio così ottenuto subisce una chiarifica finale cui segue una filtrazione. A questo punto si passa alla preparazione della seconda fermentazione in bottiglia che prevede l’aggiunta dello sciroppo di tiraggio (una miscela di zucchero e lieviti) al vino base secco perché questo possa rifermentare in bottiglia creando quella CO2 responsabile della spuma e delle bollicine. Per avere una sovrappressione di 1 atmosfera (1000 cc di CO2 per litro) sono necessari circa 4,25 grammi di glucosio per litro, equivalenti a circa 4 grammi di saccarosio. I valori precisi sono in funzione del grado alcolico del vino base, della temperatura e del potere solvente del vino base. Solitamente per un vino di 10 % vol. di alcol 20 g di saccarosio producono una pressione di 5 bar e 24 g una pressione di 6 bar.
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Spesso allo sciroppo di tiraggio si aggiungono sali ammoniacali per i lieviti, bentonite e alginati per favorire la loro successiva e completa sedimentazione in bottiglia; i sedimenti verranno poi eliminati con la sboccatura. L’ambiente in cui si verifica la seconda fermentazione non è ottimale per lo sviluppo dei lieviti. Le caratteristiche richieste sono una capacità di fermentare in presenza di alcol, in un ambiente privo di ossigeno e con una pressione della CO2 che tende ad aumentare. Una caratteristica ricercata è uno sviluppo di tipo flocculento rispetto a quello pulverulento, caratteristica che facilita l’aggregazione tra le cellule e una loro rapida sedimentazione. L’entità dell’inoculo deve raggiungere la carica microbica di 106 cellule per ml di inoculo. Esistono in commercio diversi ceppi di lieviti, selezionati per tale vinificazione e cioè con resistenza alla presenza di alcol, resistenza alla pressione dell’anidride carbonica, potere fermentativo a basse temperature, potere autolitico e capacità di sedimentare facilmente. La miscela di zucchero, lieviti ed eventuali coadiuvanti che costituisce lo sciroppo di tiraggio (liqueur de tirage) viene quindi aggiunta al vino base per essere imbottigliato e dare il via alla presa di spuma. Esistono diversi sistemi per miscelare lo sciroppo di tiraggio al vino base; uno è quello di introdurlo direttamente al vino base in vasche munite di un adeguato sistema di miscelazione (agitatore) per evitare la creazione di possibili gradienti di lieviti, zuccheri e sostanze azotate, con possibili differenze tra una bottiglia e l’altra a fine spumantizzazione. Un altro sistema è quello dell’aggiunta della “liqueur de tirage” in linea, tramite iniettori, al vino base prima di giungere alle bottiglie dove avverrà la rifermentazione. Le bottiglie, più spesse di quelle normalmente utilizzate per i vini fermi per resistere meglio alla pressione, vengono tappate con una particolare chiusura in plastica, la bidule, di forma convessa, che raccoglierà i sedimenti di questa seconda rifermentazione e verrà espulsa insieme ai depositi di rifermentazione. Sopra questa chiusura in plastica viene applicato un tappo a corona. Le bottiglie vengono mantenute in orizzontale e conservate in ambiente poco luminoso e a temperature di circa 11-15 °C in modo che la rifermentazione avvenga in modo lento, ricordando che i fattori limitanti aumentano nel corso dell’evoluzione di questa fase: aumento dell’alcool, aumento della pressione dell’anidride carbonica, mancanza di ossigeno e valori di pH bassi. L’andamento della fermentazione in bottiglia avviene tramite un controllo della pressione attuabile mediante manometri posizionati su bottiglie campione con valori che solitamente superano le 6 atm al termine di tale processo. Finita la fase rifermentativa, che dura alcuni mesi, le cellule dei lieviti incominciano a morire e si innesca un processo di autolisi, in cui vengono cedute sostanze che apportano complessità al vino e costituiscono un sistema tampone per le ossido-riduzioni. A contatto con queste fecce (“Sur lies”) i vini possono conservarsi molto a lungo (i vini migliori anche per decenni) senza il rischio di ossidarsi oppure di andare incontro alla creazione di odori di riduzione. Finita la fase di permanenza sulle fecce segue la fase di remuage, operazione che tradizionalmente viene effettuata a mano, che consiste nel girare le bottiglie su particolari telai in legno (pupi-
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Remuage realizzato manualmente ponendo le bottiglie in pupitr es.
tre) e posizionarle sempre più in modo verticale a testa in giù, “in punta”, per favorire il deposito dei lieviti nel collo della bottiglia. Questa operazione, è stata in molte cantine sostituita da macchinari, i Giropallet, che hanno diminuito l’esigenza di manodopera specializzata per compiere questo lavoro, diminuendo di conseguenza i costi di produzione. La fase di affinamento sulle fecce (“Sur lies”) è stata fissata da disciplinare per la DOCG Oltrepò Pavese Metodo Classico a 15 mesi ed a 24 mesi per i “millesimati”. Una volta finita la fase di remuage, cioè quando i depositi si sono adagiati sul collo della bottiglia in posizione verticale, segue la fase di sboccatura (dégorgement), operazione tramite la quale viene eliminato dalla bottiglia questo deposito. In passato tale operazione veniva eseguita manualmente da abili e veloci cantinieri, à la volée. Si toglieva il tappo a corona, in modo che la pressione eliminasse la bidule e il deposito accumulato, quindi si ricolmavano le bottiglie (con spumante o con lo sciroppo di spedizione) ed infine le si ritappavano con il tappo definitivo a fungo. Attualmente questa tecnica non viene più utilizzata ed è sostituita da macchinari che congelano il vino e la feccia presenti nel collo e rapidamente espellono il deposito senza particolari perdite di vino e pressione e anche senza rischi per i cantinieri. Segue una fase di colmatura delle bottiglie, attualmente ad opera di macchine in linea, che possono o reintrodurre il medesimo vino nella bottiglia oppure in base alla tipologia voluta uno sciroppo di spedizione (liqueur d’expédition) variabile nella sua composizione, che può contenere o
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meno dello zucchero. Alcuni esempi molto noti sono il Brut nature (dosaggio zero) con residuo massimo 3 g/l ed il Brut con zuccheri inferiori a 15 g/l. Insieme agli zuccheri possono essere introdotte nella liqueur d’expèdition acido citrico, SO2 ed eventualmente acido ascorbico per bloccare l’ossigeno diffuso in questa operazione. Segue la chiusura con i tappi a fungo, capaci di resistere a pressioni che superano i 6 bar e vengono utilizzate gabbiette metalliche che ancorano più saldamente il tappo al collo della bottiglia.
Residui di lievito depositati nella bidule.
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Bottiglie di Cruasé pronte per la sboccatura.
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Esempi Non ci si propone di dare una “ricetta” di vinificazione, o di risolvere il problema della vinificazione del Pinot nero, ma di suggerire alcune idee da valutare caso per caso. Allo stesso modo, i protocolli di vinificazione riportati vanno presi come esempi applicativi, da adattare ad ogni singola situazione. CRUASÉ (Oltrepò Metodo Classico Pinot nero Rosé DOCG) Stile elegante • Raccogliere le uve in cassette forate, a maturità acidica ottimale. • Riempire le presse pneumatiche, o i torchi, con le uve intere addizionate di enzimi pectolitici. È importante lavorare con le uve fredde. La soluzione ideale è quella di raffreddare le uve già nelle prime fasi tramite ghiaccio secco versato in pressa oppure lasciando per un breve periodo le cassette in una cella frigorifera. • Gestione della pressatura: – dilazionare i tempi di pressatura nella prima fase per ottenere una leggera macerazione delle bucce nella frazione più acida del mosto che costituirà il vino base del CRUASÉ; – per migliorare la qualità della prima frazione sarebbe necessario non ruotare la pressa in modo da evitare l’estrazione di sostanze dal gusto amaro e tannini dai raspi e vinaccioli; – l’innalzamento del pH ed il colore marrone (ossidato) del mosto forniscono elementi per stabilire quando separare le frazioni. • Successivamente eseguire l’operazione di “sfecciatura” del mosto leggermente solfitato in vasche di acciaio inox raffreddate a circa 10°C con gas inerte fino a completa separazione. • La parte limpida sovrastante le fecce viene travasata nella vasca di fermentazione. Le fecce grossolane (bourbes) sono inviate al filtro feccia per recuperare mosto (da destinare ad altri prodotti). • Segue la fase fermentativa, solitamente in riduzione, da condursi a 15 – 20°C, tramite l’impiego di lieviti secchi, attivati tramite una “pied de cuve” per evitare fermentazioni spontanee non desiderate. • Il vino portato a secco, con zuccheri riduttori inferiori a 2 g/l viene quindi stabilizzato e chiarificato, con un riguardo particolare al mantenimento del colore. • Viene quindi effettuato il taglio tra i diversi vini per ottenere successivamente lo spumante voluto, ricordando che nel caso di un “millesimato” i tagli possono essere effettuati solo con vini della stessa annata. • Seguono le operazioni successive descritte più dettagliatamente nelle pagine precedenti. Si ricorda che la fase di affinamento sulle fecce deve essere di almeno 15 mesi. Stile intenso • Raccogliere l’uva con un livello di acidità elevato.
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Diraspare l’uva addizionandola di enzimi pectolitici e solfitandola leggermente. Effettuare una breve criomacerazione (6-18 ore) in vasca o in pressa. Riempire le presse pneumatiche o i torchi. Gestione della pressatura: – ridurre i tempi di pressatura rispetto al metodo descritto precedentemente per limitare le ossidazioni; – l’innalzamento del pH ed il colore marrone (ossidato) del mosto forniscono elementi per stabilire quando separare le frazioni. Successivamente eseguire l’operazione di “sfecciatura” del mosto in vasche di acciaio inox raffreddate a circa 10°C con gas inerte fino a completa separazione. La parte limpida sovrastante le fecce viene travasata nella vasca di fermentazione. Le fecce grossolane (bourbes) sono inviate al filtro feccia per recuperare mosto (da destinare ad altri prodotti). Segue la fase fermentativa, solitamente in riduzione, da condursi a 15 – 20°C, tramite l’impiego di lieviti secchi, attivati tramite una “pied de cuve” per evitare fermentazioni spontanee non desiderate. Quando il vino è portato a secco (con zuccheri riduttori inferiori a 2 g/l) valutare la possibilità di effettuare una fermentazione malolattica e un breve affinamento su fecce. Stabilizzare e chiarificare il vino. Viene quindi effettuato il taglio per ottenere successivamente lo spumante voluto, ricordando che nel caso di un “millesimato” i tagli possono essere effettuati solo con vini della stessa annata. Seguono le operazioni successive descritte più dettagliatamente nelle pagine precedenti. Si ricorda che la fase di affinamento sulle fecce deve essere di almeno 15 mesi.
Oltrepò Metodo Classico Pinot nero DOCG • Riempire le presse pneumatiche o i torchi senza effettuare la pigiadiraspatura. • Frazionare il pressato in tre parti in base alla valutazione organolettica e analitica, valutando il colore e l’acidità del mosto in uscita dalla pressa. • La prima frazione, più chiara e più acida, verrà riservata ai prodotti di alta gamma. • Durante l’operazione di pressatura, per migliorare la qualità della prima frazione, sarebbe necessario non ruotare la pressa in modo da evitare l’estrazione di sostanze dal gusto amaro e tannini dai raspi e vinaccioli. Il cambio di colore del mosto e l’innalzamento del pH forniscono elementi per stabilire quando separare tali frazioni. • Se necessario decolorare il mosto. Un’alternativa all’utilizzo del carbone enologico può essere l’iperossigenazione. • Successivamente eseguire l’operazione di “sfecciatura” del mosto leggermente solfitato in vasche di acciaio inox raffreddate a circa 10°C con gas inerte fino a completa separazione.
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• Segue la fase fermentativa, da condursi a 15 – 20°C, tramite l’impiego di lieviti secchi, attivati tramite una “pied de cuve” per evitare fermentazioni spontanee non volute. • Il vino portato a secco, con zuccheri riduttori inferiori a 2 g/l, viene quindi stabilizzato e chiarificato. • In alcuni casi è possibile effettuare una fermentazione malolattica completa o parziale, come pure un possibile affinamento in legno per parte del vino base. Tale scelta è presa in funzione dello “stile aziendale” voluto e da eventuali parametri quali l’acidità totale e l’acido malico del vino. • Viene quindi effettuato il taglio tra i diversi vini per ottenere successivamente lo spumante voluto, ricordando che nel caso di un “millesimato” i tagli possono essere effettuati solo con vini della stessa annata. • Seguono le operazioni successive descritte più dettagliatamente nelle pagine precedenti. L’affinamento sulle fecce per il millesimato deve essere di almeno 24 mesi. Vino rosso importante complesso e strutturato per le zone più vocate, con uve sane e raccolte alla maturazione ottimale (O.P. Pinot nero DOC) Cantine medio-piccole • Eseguire una cernita accurata (a livello di acini) delle uve in ingresso. • Adagiare i grappoli con le uve intere in un tino di legno tronco-conico aperto senza aggiungere solforosa. • Porre sulla superficie alcuni kg di ghiaccio secco (in funzione del volume e della superficie). • Chiudere la vasca con un telo dopo aver bagnato la zona superiore del tino con una soluzione di metabisolfito (senza che questa entri in contatto con le uve). • Fare una fermentazione con lieviti autoctoni (la massa non deve contenere molto liquido, quindi l’utilizzo di lieviti selezionati sarebbe uno spreco). • Aspettare alcuni giorni (fino a quando le bacche iniziano a cambiare colore e assaggiandole si sente la presenza di alcool) bagnando la zona superiore della vasca con una soluzione di metabisolfito 1-2 volte al giorno. • Intorno al 3-5° giorno pigiare l’uva effettuando una follatura. • Eseguire indicativamente una follatura al giorno, il più soffice possibile. • In caso di tendenza alla riduzione, separare una parte del liquido e ossigenare il mosto. • Degustare ogni giorno il mosto in fermentazione per ottimizzare la macerazione, misurando la densità per agire prontamente in caso di rallentamento della fermentazione. • Svinare dopo circa 20 giorni a fermentazione terminata, appena la temperatura scende sotto i 25°C. • Torchiare con pressatura soffice (0,6-0,8 bar) e unire il torchiato al vino fiore. • Affinare almeno per un anno e mezzo in legno (nuovo 40-80%), mantenendo le botti colme. • Battonare ogni giorno per la prima settimana e ridurre progressivamente il numero di interventi.
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• A fine fermentazione malolattica valutare l’aggiunta di solforosa in relazione al suo contenuto libero e totale nel vino. • Non travasare. • Prima dell’imbottigliamento mantenere la massa in una vasca di acciaio inox per 2-5 mesi. • Non filtrare il vino prima dell’imbottigliamento od utilizzare solo un blando filtro a cartoni. • Tenere le bottiglie in cantina almeno 6-8 mesi prima della commercializzazione. Cantine medio-grandi • Eseguire una cernita delle uve in ingresso. • In una vasca di cemento aperta (è possibile utilizzare l’acciaio se si ha un sistema di riscaldamento del mosto/vino) con un elevato rapporto superficie/altezza, adagiare uno strato di uva intera sul fondo, sopra al quale porre gli acini diraspati (eventualmente raccolti con vendemmiatrice meccanica) e, infine, un altro strato di uve intere. • Aggiungere una limitata quantità di solforosa, da valutare in funzione dello stato sanitario delle uve. • Inoculare con lieviti. • Porre sulla superficie alcuni kg di ghiaccio secco (in funzione del volume e della superficie). • Effettuare un breve rimontaggio al giorno fino a quando la fermentazione sarà iniziata. • In piena fermentazione fare un rimontaggio al giorno più due follature manuali per 2-3 giorni, poi ridurle progressivamente in funzione della degustazione e della velocità di fermentazione. • In caso di riduzione, separare una parte del liquido e ossigenare il mosto. • Degustare ogni giorno il mosto in fermentazione per ottimizzare la macerazione, misurando la densità per agire prontamente in caso di rallentamento della fermentazione. • Valutare la possibilità di effettuare un lassivage per aumentare l’estrazione a fermentazione terminata. • Torchiare con pressatura soffice (0,6-0,8 bar) e, compatibilmente con la degustazione, unire il torchiato al vino fiore. • Affinare almeno per un anno in legno (nuovo 60-100%), mantenendo le botti colme. • Battonare ogni giorno per la prima settimana e ridurre progressivamente il numero di interventi. • A fine fermentazione malolattica valutare l’aggiunta di solforosa in relazione al suo contenuto libero e totale nel vino. • Travasare. • Prima dell’imbottigliamento mantenere la massa in una vasca di materiale inerte per 3-6 mesi. • Tenere le bottiglie in cantina almeno 5-6 mesi prima della commercializzazione. Vino rosso fresco e fruttato in zone dove non viene sempre raggiunta la maturazione ottimale delle uve, o la maturazione fenolica è leggermente sfasata rispetto a quella tecnologica (O.P. Pinot nero DOC) 196
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Cantine piccole o poco attrezzate • In una vasca di acciaio con possibilità di raffreddamento porre gli acini diraspati (non pigiati). Aggiungere piccole quantità di solforosa per evitare fenomeni fermentativi e macerativi incontrollati. • Inoculare con lieviti commerciali e iniziare la fermentazione a bassa temperatura (18-20°C). • Effettuare due rimontaggi al giorno. Nessuna follatura. • Evitare estrazioni eccessive di tannini riducendo, se necessario, il numero o la durata dei rimontaggi. Se necessario, eliminare una parte dei vinaccioli. • In caso di riduzione o di rallentamento di fermentazione arieggiare il mosto-vino. • Degustare ogni giorno il mosto in fermentazione per ottimizzare la macerazione, misurando la densità per agire prontamente in caso di rallentamento della fermentazione. • Svinare appena finita la fermentazione. • Torchiare con pressatura soffice (0,6-0,8 bar) ed unire il torchiato al vino fiore. • Non affinare in legno. • Effettuare la fermentazione malolattica in acciaio. • Effettuare una stabilizzazione tartarica. • Dopo 4-8 mesi di affinamento in acciaio correggere il livello di solforosa sulla base delle risultanze analitiche prima dell’imbottigliamento. Cantine grandi e ben attrezzate • Si possono utilizzare uve raccolte meccanicamente. • In una vasca di acciaio con possibilità di raffreddamento porre gli acini diraspati (non pigiati) aggiungendo solforosa in base allo stato sanitario delle uve. • Soprattutto in caso di presenza di Botrytis, separare il mosto e fare decantare la fase liquida. • Inoculare con lieviti commerciali il mosto chiarificato e iniziare la fermentazione a bassa temperatura (18-20°C). • Nella vasca principale (contenente le parti solide) aggiungere ghiaccio secco ed effettuare una criomacerazione (prefermentativa) di 1-2 giorni a temperatura compresa tra 8 e 13°C, al termine della quale inoculare la vasca con il mosto chiarificato in fermentazione. • Effettuare solo rimontaggi. Nessuna follatura. • I rimontaggi devono essere molto blandi nei primi giorni (il loro unico scopo è quello di bloccare eventuali batteri acetici), fino ad arrivare al massimo a 2 rimontaggi al giorno in piena fermentazione. • Evitare estrazioni eccessive di tannini valutando la tecnica di macerazione basandosi sulla degustazione. • In caso di riduzione o di rallentamento di fermentazione arieggiare il mosto-vino. • Degustare ogni giorno il mosto in fermentazione per ottimizzare la macerazione, misurando la densità per agire prontamente in caso di rallentamento della fermentazione.
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• Svinare appena finita la fermentazione. • Torchiare con pressatura soffice (0,6-0,8 bar) e, compatibilmente con la produzione aziendale, separare il torchiato dal vino fiore. • Non affinare in legno. • Effettuare la fermentazione malolattica in acciaio. • Effettuare una stabilizzazione tartarica. • Dopo 4-8 mesi di affinamento in acciaio correggere il livello di solforosa sulla base delle risultanze analitiche prima dell’imbottigliamento. • Eseguire una filtrazione prima dell’imbottigliamento.
Cruasé in spumantizzazione con il tradizionale metodo di rifer mentazione in bottiglia.
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6. Appendice Disciplinare di produzione dei vini a Denominazione di Origine Controllata e Garantita “Oltrepò Pavese” Metodo Classico (G.U. n. 183 del 8/8/2007) Articolo 1. - Denominazione e vini La Denominazione di origine controllata e garantita “Oltrepò Pavese” è riservata al vino Spumante ottenuto con Metodo Classico già riconosciuto a denominazione di origine controllata con Dpr 6 agosto 1970 e successive modifiche, che risponde alle condizioni e ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione per le seguenti tipologie: “Oltrepò Pavese” metodo classico; “Oltrepò Pavese” metodo classico rosé; “Oltrepò Pavese” metodo classico Pinot nero e “Oltrepò Pavese” metodo classico Pinot nero rosé. Articolo 2. - Base ampelografica I vini a Denominazione di origine controllata e garantita “Oltrepò Pavese” metodo classico devono essere ottenuti dalle uve prodotte dai vigneti, aventi nell’ambito aziendale, la seguente composizione ampelografica: “Oltrepò Pavese” metodo classico e “Oltrepò Pavese” metodo classico rosé: Pinot nero: minimo 70% Chardonnay, Pinot grigio e Pinot bianco congiuntamente o disgiuntamente fino ad un massimo del 30%. “Oltrepò Pavese” metodo classico Pinot nero e “Oltrepò Pavese” metodo classico Pinot nero rosé: Pinot nero: minimo 85% Chardonnay, Pinot grigio e Pinot bianco congiuntamente o disgiuntamente fino ad un massimo del 15%. Fanno parte dell’albo vigneti dei vini a D.O.C.G. “Oltrepò Pavese” metodo classico i vigneti iscritti all’albo dei vigneti D.O.C. “Oltrepò Pavese” per le corrispondenti tipologie, purché le basi ampelografiche siano compatibili. Articolo 3. - Zona di produzione La zona di produzione delle uve destinate all’elaborazione del vino “Oltrepò Pavese” metodo classico comprende la fascia vitivinicola collinare dell’Oltrepò Pavese per gli interi territori dei seguenti comuni in provincia di Pavia: Borgo Priolo, Borgoratto Mormorolo, Bosnasco, Calvignano, Canevino, Canneto Pavese, Castana, Cecima, Godiasco, Golferenzo, Lirio, Montalto Pavese, Montecalvo Versiggia, Montescano, Montù Beccaria, Mornico Losana, Oliva Gessi, Pietra de’ Giorgi, Rocca de’ Giorgi, Rocca Susella, Rovescala, Ruino, San Damiano al Colle, Santa Maria della Versa, Torrazza Coste, Volpara, Zenevredo e per parte dei territori di questi altri comuni: Broni, Casteggio, Cigognola, Codevilla, Corvino San Quirico, Fortunago, Montebello della Battaglia, Montesegale, Ponte Nizza, Redavalle, Retorbido, Rivanazzano, Santa Giuletta, Stradella, Torricella Verzate. Tale zona è così delimitata: parte dai km 136+150 della strada statale n. 10, la linea di delimitazione scende verso sud seguendo la strada provinciale Bressana-Salice Terme, sino al bivio di Rivanazzano. Qui si devia verso ovest lungo la strada che da Rivanazzano porta alla Cascina Spagola, per piegare a quota 139 verso sud e raggiungere il confine provinciale e regionale PaviaGuida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
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Alessandria, che segue fino a Serra del Monte. Da questo punto la linea di delimitazione raggiunge Casa Carlucci e prosegue in direzione sud, lungo il confine che divide i comuni di Ponte Nizza e Bagnaria fino al torrente Staffora, includendo San Ponzo Semola. Di qui la linea di delimitazione segue la statale Voghera-Varzi-Penice fino all’abitato di Ponte Nizza, indi devia a est-nord-est seguendo la provinciale di fondo valle per Val di Nizza. Prosegue quindi in direzione nord lungo il confine comunale tra Ponte Nizza, Val di Nizza e Montesegale sino al Rio Albaredo e con esso raggiunge il torrente Ardivestra, con il quale si identifica risalendo verso est a raggiungere la Cascina della Signora. Da questo punto la linea di delimitazione prosegue in direzione nord seguendo la strada provinciale Godiasco-Borgoratto Mormorolo, a incontrare il confine dei comuni Fortunago e Ruino. Prosegue sul confine comunale meridionale di Ruino a raggiungere il confine provinciale tra Pavia-Piacenza. La delimitazione orientale del comprensorio è costituita dal confine proviciale Pavia-Piacenza sino al suo incontro con la strada statale n. 10, per raggiungere la strada provinciale Bressana-Salice Terme che incrocia al Km 136+150 del comprensorio, punto di partenza della delimitazione. Articolo 4. - Norme per la viticoltura 4.1. Condizioni naturali dell’ambiente Le condizioni ambientali e di coltura del vigneto, destinato alla produzione dei vini a D.O.C.G. “Oltrepò Pavese” metodo classico devono essere quelle normali della zona di produzione e, comunque, atte a conferire alle uve le specifiche tradizonali caratteristiche di qualità. Il materiale vegetale utilizzato per i nuovi impianti, gli infittimenti e le sostituzioni di piante, deve essere effettuato esclusivamente con materiale vivaistico certificato. I vigneti devono essere posti su terreni di natura calcarea o calcareo-argillosa o su pendici collinari ben soleggiate escludendo comunque i fondo valle e i terreni di pianura. 4.2. Densità d’impianto Per i vigneti impiantati successivamente all’entrata in vigore del presente disciplinare (nuovi impianti e reimpianti) la densità dei ceppi per ettaro non può essere inferiore a 4.000. 4.3. Sesti d’impianto e forme di allevamento I sesti d’impianto, le forme di allevamento (controspalliera) e i sistemi di potatura devono essere quelli di tipo tradizionale e, comunque, i vigneti devono essere governati in modo da non modificare le caratteristiche dell’uva, del mosto e del vino base. 4.4. Irrigazione È consentita l’irrigazione di soccorso. 4.5. Resa ad ettaro e gradazione minima naturale La produzione massima di uva ad ettaro ed il titolo alcolometrico volumico naturale minimo sono i seguenti: Tipologie Prod. max t./ha (Oltrepò Pavese) metodo classico 10 (Oltrepò Pavese) metodo classico rosé 10 (Oltrepò Pavese) metodo classico Pinot nero 10 (Oltrepò Pavese) metodo classico Pinot nero rosé 10
Titolo alcol. volumico nat. min. 9,5% vol. 9,5% vol. 9,5% vol. 9,5% vol.
Anche in annate eccezionalmente favorevoli, la resa dovrà essere riportata nei limiti di cui sopra purché la produzione globale non superi del 20% i limiti medesimi, ferma restando la resa uva/vino per i quantitativi di cui trattasi. Oltre detto limite del 20% decade il diritto alla
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Denominazione di origine controllata e garantita “Oltrepò Pavese” metodo classico per tutta la partita. La Regione Lombardia sentito il Consorzio di Tutela, annualmente, con proprio decreto, tenuto conto delle condizioni ambientali di coltivazione, può fissare una produzione massima per ettaro inferiore a quella stabilita dal presente disciplinare di produzione, dandone immediata comunicazione al Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali - Comitato nazionale per la tutela e la valorizzazione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche tipiche dei vini. Articolo 5. - Norme di vinificazione e di elaborazione 5.1. Zona di vinificazione ed elaborazione Le operazioni di ammostamento delle uve, di vinificazione per la produzione dei vini base da sottoporre a successiva elaborazione ai fini della produzione di vino a Denominazione di origine controllata e garantita “Oltrepò Pavese” metodo classico, nonché le operazioni di invecchiamento e affinamento devono essere effettuate all’interno della zona di produzione delimitata al precedente art. 3. Tuttavia, tenuto conto delle situazioni tradizionli di produzione, le suddette operazioni sono consentite anche nell’intero territorio della provincia di Pavia, nonché nelle frazioni di Vicobarone e Casa Bella del comune di Ziano Piacentino in provincia di Piacenza. Le bottiglie non etichettate e ancora in fase di elaborazione, cioè non atte al consumo diretto, purché tappate con tappo a corona recante il nome della denominazione possono essere cedute nell’interno della sola zona definita al presente comma. 5.2. Resa uva/vino Le rese massime dell’uva in vino devono essere le seguenti: Tipologie (Oltrepò Pavese) metodo classico (Oltrepò Pavese) metodo classico rosé (Oltrepò Pavese) metodo classico Pinot nero (Oltrepò Pavese) metodo classico Pinot nero rosé
Resa uva/vino 60 65 60 65
Qualora la resa uva/vino superi i limiti di cui sopra, ma non oltre il 5% del vino totale finito, anche se la produzione ad ettaro resta al di sotto del massimo consentito, l’eccedenza non ha diritto alla denominazione di origine controllata e garantita. Oltre detto limite del 5% sul vino totale finito, decade il diritto alla denominazione di origine controllata e garantita per tutta la partita. 5.3. Scelta vendemmiale Le uve provenienti dai vigneti iscritti all’albo della Denominazione di origine controllata e garantita “Oltrepò Pavese” metodo classico possono essere rivendicate, con la scelta vendemmiale, anche per i vini a denominazione di origine controllata “Oltrepò Pavese” tipologia Pinot nero, nonché è consentito con la scelta di cantina passare dal vino base della D.O.C.G. “Oltrepò Pavese” metodo classico alla D.O.C. “Oltrepò Pavese” Pinot nero (vinificato in bianco e rosato), purché siano rispettate tutte le condizioni previste dai rispettivi disciplinari di produzione. 5.4. Arricchimento È consentito l’arricchimento nei limiti stabiliti dalle norme comunitarie e aziendali. 5.5. Modalità di elaborazione Nella elaborazione sono ammesse soltanto le pratiche enologiche corrispondenti agli usi locali,
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leali e costanti, atti a conferire agli spumanti “Oltrepò Pavese” metodo classico le loro rispettive caratteristiche in conformità alle norme comunitarie e nazionali. In particolare deve essere utilizzata esclusivamente la tradizionale tecnica di rifermentazione in bottiglia. 5.6. Permanenza sulle fecce Il vino a Denominazione di origine controllata e garantita “Oltrepò Pavese” metodo classico deve subire prima dell’immissione al consumo, un periodo minimo di permanenza sulle fecce di quindici mesi; per il millesimato il periodo minimo è di ventiquattro mesi. Tale periodo decorre dalla data di imbottigliamento e comunque non prima del 1° gennaio successivo alla raccolta delle uve. Articolo 6. - Caratteristiche al consumo I vini a Denominazione di origine controllata e garantita “Oltrepò Pavese” metodo classico, all’atto dell’immissione al consumo, devono rispondere alle seguenti caratteristiche: “Oltrepò Pavese” metodo classico - spuma: fine e persistente; - colore: paglierino più o meno intenso; - profumo: bouquet fine, gentile, ampio; - sapore: sapido, fresco e armonico; - titolo alcol. vol. tot. minimo: 11,50% vol.; - acidità totale minima: 5,0 g/l; - estratto non riduttore minimo: 15,0 g/l. “Oltrepò Pavese” metodo classico Pinot nero - spuma: fine e persistente; - colore: paglierino con riflessi più o meno aranciati; - profumo: bouquet proprio della fermentazione in bottiglia, gentile, ampio e persistente; - sapore: sapido, buona struttura, fresco e armonico; - titolo alcol. vol. tot. minimo: 12,00% vol.; - acidità totale minima: 5,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 15,0 g/l. “Oltrepò Pavese” metodo classico rosé - spuma: fine e persistente; - colore: rosato più o meno intenso; - profumo: bouquet fine, gentile; - sapore: sapido, armonico e moderatamente corposo; - titolo alcol. vol. tot. minimo: 11,50% vol.; - acidità totale minima: 5,0 g/l; - estratto non riduttore minimo: 15,0 g/l. “Oltrepò Pavese” metodo classico Pinot nero rosé - spuma: fine e persistente; - colore: rosato più o meno intenso; - profumo: bouquet fine, gentile, ampio; - sapore: sapido, di buona struttura e fresco; - titolo alcol. vol. tot. minimo: 12,00% vol.; - acidità totale minima: 5,0 g/l; - estratto non riduttore minimo: 15,0 g/l. Il vino a D.O.C.G. “Oltrepò Pavese” metodo classico rosé può essere immesso al consumo anche 204
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con la tipologia “cremant”, qualora in possesso delle specifiche caratteristiche previste dalla normativa vigente. È facoltà del Ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali, con proprio decreto, modificare per i vini di cui sopra i limiti indicati per l’acidità totale e l’estratto non riduttore minimo. Articolo 7. - Designazione e presentazione 7.1. Qualificazione Nella designazione e presentazione dei vini spumanti di cui all’art. 1 è vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione diversa da quella prevista dal presente disciplinare di produzione, ivi compresi gli aggettivi “fine”, “scelto”, “selezionato”, “superiore”, “vecchio” e similari. È tuttavia consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali, marchi privati, purché non abbiano significato laudativo e non siano tali da trarre in inganno l’acquirente. È altresì consentito l’uso di indicazioni geografiche e toponomastiche, che facciano riferimento a comuni, frazioni, fattorie, zone e località comprese nella zona delimitata dal precedente art. 3, dalle quali effettivamente provengono le uve da cui il vino così qualificato è stato ottenuto, in conformità al dereto ministeriale 22 aprile 1992. 7.2. Menzioni facoltative Per il vino a Denominazione di origine controllata e garantita “Oltrepò Pavese” metodo classico vinificato in rosato, anche nella tipologia Cremant, è ammessa esclusivamente la designazione rosé. 7.3. Residuo zuccherino L’indicazione del contenuto zuccherino per i vini a D.O.C.G. “Oltrepò Pavese” metodo classico, nei limiti stabiliti dalla normativa comunitaria e nazionale, è obbligatoria fino alla caratteristica di sapore demisec. È vietato l’utilizzo della tipologia dolce. 7.4. Caratteri e posizioni in etichetta Le menzioni facoltative, esclusi i marchi e i nomi aziendali, possono essere riportate nell’etichettatura soltanto in caratteri tipografici non più grandi o evidenti di quelli utilizzati per la denominazione di origine del vino, salvo le norme generali più restrittive. La specificazione tradizionale “Denominazione di Origine Controllata e Garantita” deve seguire immediatamente al di sotto la denominazione “Oltrepò Pavese”, senza interposizione di altre menzioni facoltative o obbligatorie. Per identificare il vino a D.O.C.G. “Oltrepò Pavese” metodo classico è vietato utilizzare il termine “Vino Spumante”. In sostituzione deve essere utilizzata la sigla comunitaria V.S.Q.P.R.D. 7.5. Annata Nell’etichettatura l’indicazione dell’annata di produzione è facoltativa per i vini D.O.C.G. “Oltrepò Pavese” metodo classico. Soltanto in presenza dell’indicazione dell’annata della vendemmia si può utilizzare la dicitura “Millesimato”. Articolo 8. - Confezionamento 8.1. Recipienti e tappatura Per la tappatura è obbligatorio il tappo di sughero a fungo, con il tradizionale ancoraggio a gabbietta, marchiato indelebilmente con la dicitura “Oltrepò Pavese” metodo classico. Per le bottiglie con contenuto nominale non superiore a ml 200 è consentita la chiusura con tappo a vite.
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Disciplinare di produzione dei vini a Denominazione di Origine Controllata “Oltrepò Pavese” (G.U. n. 182 del 7/8/2007 e rettifica G.U. n. 226 del 26/9/2008) Articolo 1. - Denominazione La Denominazione di origine controllata “Oltrepò Pavese” è riservata ai vini che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione per le seguenti tipologie: 1) Rosso; 2) Rosso riserva; 3) Rosato; 4) Rosato frizzante; 5) Buttafuoco; 6) Buttafuoco frizzante; 7) Sangue di Giuda frizzante; 8) Sangue di Giuda spumante; 9) Bianco; 10) Bonarda; 11) Bonarda frizzante; 12) Barbera; 13) Barbera frizzante; 14) Riesling; 15) Riesling frizzante; 16) Riesling spumante; 17) Cortese; 18) Cortese frizzante; 19) Cortese spumante; 20) Moscato; 21) Moscato frizzante; 22) Moscato spumante; 23) Moscato liquoroso; 24) Moscato passito; 25) Pinot nero (vinificato in bianco); 26) Pinot nero (vinificato in bianco) frizzante; 27) Pinot nero (vinificato in bianco) spumante; 28) Pinot nero (vinificato in rosato); 29) Pinot nero (vinificato in rosato) frizzante; 30) Pinot nero (vinificato in rosato) spumante; 31) Pinot nero (vinificato in rosso); 32) Malvasia; 33) Malvasia frizzante; 34) Malvasia spumante; 35) Pinot grigio vinificato in bianco; 36) Pinot grigio vinificato in rosato; 37) Pinot grigio vinificato in bianco frizzante; 38) Pinot grigio vinificato in rosato frizzante; 39) Chardonnay; 40) Chardonnay frizzante; 206
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Chardonnay spumante; Sauvignon; Sauvignon spumante; Cabernet Sauvignon;
Articolo 2. - Base ampelografica I vini di cui all’art. 1 devono essere ottenuti dalle uve prodotte dai vigneti aventi, nell’ambito aziendale, la seguente composizione ampelografica: 1) Rosso; 2) Rosato; 3) Rosato frizzante; 4) Rosso riserva; 5) Buttafuoco; 6) Buttafuoco frizzante; 7) Sangue di Giuda frizzante; 8) Sangue di Giuda spumante; - Barbera: dal 25% al 65%; - Croatina: dal 25% al 65%; - Uva rara, Ughetta (Vespolina) e Pinot nero congiuntamente o disgiuntamente, fino a un massimo del 45%; 9) Bianco; - Riesling e/o Riesling italico: minimo 60%; - Pinot nero (vinificato in bianco) o altri vitigni a bacca bianca, non aromatici, idonei alla coltivazione per la provincia di Pavia, massimo 40%; 10) Bonarda; 11) Bonarda frizzante; - Croatina (tradizionalmente denominata Bonarda): dall’85% al 100%; - Barbera, Ughetta, Uva rara, congiuntamente o disgiuntamente, fino a un massimo del 15%; 12) Barbera; 13) Barbera frizzante; - Barbera dall’85% al 100%; - Croatina, Uva rara, Ughetta, e Pinot nero congiuntamente o disgiuntamente, fino a un massimo del 15%; 14) Riesling; 15) Riesling frizzante; 16) Riesling spumante; - Riesling e/o Riesling italico: minimo 85%; - Pinot nero, Pinot grigio e Pinot bianco congiuntamente o disgiuntamente, fino a un massimo del 15%; 17) Cortese; 18) Cortese frizzante; 19) Cortese spumante; - Cortese: minimo 85%; - Altri vitigni a bacca bianca, non aromatici, idonei alla coltivazione per la provincia di Pavia, congiuntamente o disgiuntamente, fino a un massimo del 15%; 20) Moscato; 21) Moscato frizzante; 22) Moscato spumante; Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
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Moscato liquoroso; Moscato passito; - Moscato bianco: minimo 85%; - Malvasia di Candia aromatica massimo 15%; Pinot nero (vinificato in bianco); Pinot nero (vinificato in bianco) frizzante; Pinot nero (vinificato in bianco) spumante; - Pinot nero: minimo 85%; - Pinot grigio, Pinot bianco e Chardonnay congiuntamente o disgiuntamente, fino a un massimo del 15%; Pinot nero (vinificato in rosato); Pinot nero (vinificato in rosato) frizzante; Pinot nero (vinificato in rosato) spumante; - Pinot nero: minimo 85%; - Pinot grigio, Pinot bianco e Chardonnay congiuntamente o disgiuntamente, fino a un massimo del 15%; Pinot nero (vinificato in rosso); - Pinot nero: minimo 100%; Malvasia; Malvasia frizzante; Malvasia spumante; - Malvasia di Candia aromatica: minimo 85%; - Altri vitigni a bacca bianca, idonei alla coltivazione nella provincia di Pavia a un massimo del 15%; Pinot grigio vinificato in bianco; Pinot grigio vinificato in rosato; Pinot grigio vinificato in bianco frizzante; Pinot grigio vinificato in rosato frizzante; - Pinot grigio: minimo 85%; - Pinot nero, Pinot bianco congiuntamente o disgiuntamente, fino a un massimo del 15%; Chardonnay; Chardonnay frizzante; Chardonnay spumante; - Chardonnay: minimo 85%; - Pinot nero, Pinot grigio, Pinot bianco congiuntamente o disgiuntamente, fino a un massimo del 15%; Sauvignon; Sauvignon spumante; - Sauvignon: minimo 85%; - Altri vitigni a bacca bianca, non aromatici, idonei alla coltivazione per la provincia di Pavia, congiuntamente o disgiuntamente, fino a un massimo del 15%; Cabernet Sauvignon; - Cabernet Sauvignon: minimo 85%; - Altri vitigni a bacca rossa, non aromatici, idonei alla coltivazione per la provincia di Pavia, congiuntamente o disgiuntamente, fino a un massimo del 15%;
I conduttori interessati ai vigneti iscritti all’albo dell’“Oltrepò Pavese” Buttafuoco e Sangue di Giuda, all’atto della denuncia delle uve possono rivendicare la denominazione di origine “Oltrepò
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Pavese” rosso, qualora le uve non assicurino un titolo alcolometrico volumico naturale previsto per le citate tipologie “Oltrepò Pavese” Buttafuoco e “Oltrepò Pavese” Sangue di Giuda. Articolo 3. - Zona di produzione delle uve La zona di produzione delle uve destinate alla produzione dei vini “Oltrepò Pavese” Rosso, Rosato o Rosso Riserva, con le specifiche di vitigno e “Oltrepò Pavese” spumante Metodo Martinotti comprende la fascia vitivinicola collinare dell’“Oltrepò Pavese” per gli interi territori dei seguenti comuni in provincia di Pavia: Borgo Priolo, Borgoratto Mormorolo, Bosnasco, Calvignano, Canevino, Canneto Pavese, Castana, Cecima, Godiasco, Golferenzo, Lirio, Montalto Pavese, Montecalvo Versiggia, Montescano, Montù Beccaria, Mornico Losana, Oliva Gessi, Pietra de’ Giorgi, Rocca de’ Giorgi, Rocca Susella, Rovescala, Ruino, San Damiano al Colle, Santa Maria della Versa, Torrazza Coste, Volpara, Zenevredo e per parte dei territori di questi altri comuni: Broni, Casteggio, Cigognola, Codevilla, Corvino San Quirico, Fortunago, Montebello della Battaglia, Montesegale, Ponte Nizza, Redavalle, Retorbido, Rivanazzano, Santa Giuletta, Stradella, Torricella Verzate. Tale zona è così delimitata: parte dai km 136+150 della strada statale n. 10, la linea di delimitazione scende verso sud seguendo la strada provinciale Bressana-Salice Terme, sino al bivio di Rivanazzano. Qui si devia verso ovest lungo la strada che da Rivanazzano porta alla Cascina Spagola, per piegare a quota 139 verso sud e raggiungere il confine provinciale e regionale PaviaAlessandria, che segue fino a Serra del Monte. Da questo punto la linea di delimitazione raggiunge Casa Carlucci e prosegue in direzione sud, lungo il confine che divide i comuni di Ponte Nizza e Bagnaria fino al torrente Staffora, includendo San Ponzo Semola. Di qui la linea di delimitazione segue la statale Voghera-Varzi-Penice fino all’abitato di Ponte Nizza, indi devia a est-nord-est seguendo la provinciale di fondo valle per Val di Nizza. Prosegue quindi in direzione nord lungo il confine comunale tra Ponte Nizza, Val di Nizza e Montesegale sino al Rio Albaredo e con esso raggiunge il torrente Ardivestra, con il quale si identifica risalendo verso est a raggiungere la Cascina della Signora. Da questo punto la linea di delimitazione prosegue in direzione nord seguendo la strada provinciale Godiasco-Borgoratto Mormorolo, a incontrare il confine dei comuni Fortunago e Ruino. Prosegue sul confine comunale meridionale di Ruino a raggiungere il confine provinciale tra Pavia-Piacenza. La delimitazione orientale del comprensorio è costituita dal confine proviciale Pavia-Piacenza sino al suo incontro con la strada statale n. 10, per raggiungere la strada provinciale Bressana-Salice Terme che incrocia al Km 136+150 del comprensorio, punto di partenza della delimitazione. La zona di produzione del vino “Oltrepò Pavese” Buttafuoco insita pure in quella più ampia dei vini “Oltrepò Pavese”, comprende i territori comunali di: Stradella, Broni, Canneto Pavese, Montescano, Castana, Cigognola, Pietra de’ Giorgi. La zona di produzione del vino “Oltrepò Pavese” Sangue di Giuda insita anch’essa nell’area più ampia dei vini “Oltrepò Pavese”, è delimitata come segue: dalla strada statale n. 10 al km 162+700 segue quale confine a est la strada comunale per Bosnasco, Costamontefedele Casa dei Rovati, Montù Beccaria. Al bivio di questa, prima dell’abitato, prosegue sulla strada che conduce verso sud alle frazioni: Ca’ de Bernardini, Borsoni, Bergamasco, Poggiolo e ancora per Cerisola, Donelasco e Santa Maria della Versa. Da qui scende a nord per la provinciale Santa Maria-Stradella, sino alla frazione Begoglio, dove devia a ovest per la comunale che tocca le frazioni: Squarzine, Gaiasco, Cella, Ca’ di Paglia sino al ponte del torrente Scuropasso in località Molino Sacrista. Quindi scende a valle lungo il torrente Scuropasso, sino a incontrare il confine comunale tra Lirio e Pietra de’ Giorgi a comprendere per intero quest’ultimo territorio comunale e quello di Cigognola a sud della strada statale n. 10 che costi-
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tuisce il confine nord sino al chilometro n. 162+700, all’imbocco della strada comunale per Bosnasco. Articolo 4. - Norme per la viticoltura 4.1. Condizioni naturali dell’ambiente Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti destinati alla produzione dei vini a denominazione di origine controllata “Oltrepò Pavese” devono essere quelle tradizionali della zona di produzione e, comunque, atte a conferire alle uve e ai vini le specifiche tradizonali caratteristiche di qualità. Il materiale vegetale utilizzato per i nuovi impianti, gli infittimenti e le sostituzioni di piante deve essere effettuato esclusivamente con materiale vivaistico certificato. I vigneti devono essere posti su terreni di natura calcarea o calcareo-argillosa o su pendici collinari ben soleggiate escludendo comunque i fondo valle e i terreni di pianura. I sesti d’impianto, le forme di allevamento e i sistemi di potatura devono essere quelli generalmente usati o comunque atti a non modificare le caratteristiche delle uve e del vino. 4.2. Densità d’impianto Per i nuovi impianti ed i reimpianti la densità dei ceppi per ettaro non può essere inferiore a 4.000, per le tipologie Bonarda la densità di ceppi per ettaro non può essere inferiore a 3.200. 4.3. Sesti d’impianto e forme di allevamento I sesti d’impianto e le forme di allevamento (controspalliera) e i sistemi di potatura devono essere quelli di tipo tradizionale e, comunque, i vigneti devono essere governati in modo da non modificare le caratteristiche dell’uva, del mosto e del vino. Per i vigneti esistenti alla data di pubblicazione del presente disciplinare sono consentite le forme di allevamento già usate nella zona, con esclusione delle forme di allevamento espanse. 4.4. Irrigazione È consentita l’irrigazione di soccorso. 4.5. Resa ad ettaro e gradazione minima naturale Le produzioni massime di uva per ettaro in coltura specializzata dei vigneti destinati alla produzione dei vini a denominazione di origine controllata “Oltrepò Pavese”, ed i titoli alcolometrici volumici naturali minimi devono essere i seguenti: Tipologie 1) Rosso 2) Rosso Riserva 3) Rosato 4) Rosato frizzante 5) Bianco 6) Buttafuoco 7) Buttafuoco frizzante 8) Sangue di Giuda frizzante 9) Sangue di Giuda spumante 10) Barbera 11) Barbera frizzante 12) Bonarda 13) Bonarda frizzante 210
Prod. max t./ha 11 11 11 11 12 10,5 10,5 10,5 10,5 12 12 12,5 12,5
Titolo alcol. volumico nat. min. 11% vol. 12% vol. 10% vol. 10% vol. 10,5% vol. 11,5% vol. 11,5% vol. 11,5% vol. 11,5% vol. 11% vol. 11% vol. 10,5% vol. 10,5% vol.
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Riesling Riesling frizzante Cortese Cortese frizzante Moscato Moscato frizzante Moscato passito Moscato liquoroso Malvasia Malvasia frizzante Pinot nero vinificato in bianco Pinot nero vinificato in bianco frizzante Pinot nero vinificato in rosato Pinot nero vinificato in rosato frizzante Pinot nero vinificato in rosso Pinot grigio vinificato in bianco Pinot grigio vinificato in bianco frizzante Pinot grigio vinificato in rosato Pinot grigio vinificato in rosato frizzante Chardonnay Chardonnay frizzante Sauvignon Cabernet Sauvignon Cortese spumante Riesling spumante Moscato spumante Malvasia spumante Pinot nero vinificato in bianco spumante Pinot nero vinificato in rosato spumante Chardonnay spumante Sauvignon spumante
12,5 12,5 11 11 12,5 12,5 12,5 12,5 11,5 11,5 12 12 12 12 12 12 12 12 12 10 10 10 10,5 11 12,5 12,5 11,5 12 12 10 10
10,5% vol. 10,5% vol. 10% vol. 10% vol. 10% vol. 10% vol. 10,5% vol. 12,5% vol. 9,5% vol. 9,5% vol. 10,5% vol. 10,5% vol. 10,5% vol. 10,5% vol. 10,5% vol. 10,5% vol. 10,5% vol. 10,5% vol. 10,5% vol. 10% vol. 10% vol. 10% vol. 10,5% vol. 9% vol. 9,5% vol. 9,5% vol. 9% vol. 9,5% vol. 9,5% vol. 9% vol. 9% vol.
Anche in annate eccezionalmente favorevoli, la resa uva ad ettaro dovrà essere riportata nei limiti di cui sopra purché la produzione globale non superi del 20% i limiti medesimi, ferma restando la resa uva/vino per i quantitativi di cui trattasi. Oltre detto limite del 20% decade il diritto alla Denominazione di origine controllata “Oltrepò Pavese” per tutta la partita. La Regione Lombardia, sentito il parere del Consorzio di Tutela, annualmente, con proprio decreto, tenuto conto delle condizioni ambientali di coltivazione, può fissare produzioni massime per ettaro inferiori a quelle stabilite dal presente disciplinare di produzione, o limitare, per talune zone geografiche, l’utilizzo delle menzioni aggiuntive di cui all’art. 1, dandone immediata comunicazione al Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali - Comitato nazionale per la tutela e la valorizzazione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche tipiche dei vini. Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
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Articolo 5. - Norme per la vinificazione 5.1. Zona di vinificazione Le operazioni di vinificazione devono essere effettuate nella zona di produzione delimitata dall’art. 3. Tenuto conto delle situazioni tradizionali di produzione è consentito che tali operazioni siano effettuate nell’intero territorio della provincia di Pavia, nonché nelle frazioni di Vicobarone e Casa Bella del comune di Ziano Piacentino in provincia di Piacenza. È consentito, inoltre, che si effettuino nell’intero territorio della Lombardia e del Piemonte le operazioni di vinificazione ai fini della spumantizzazione per la produzione dell’“Oltrepò Pavese” delle seguenti tipologie: Moscato, Malvasia, Riesling, Pinot nero, Cortese, Chardonnay, Sauvignon, e per la produzione di “Oltrepò Pavese” Moscato liquoroso. 5.2. Resa uva/vino Le rese massime dell’uva in vino devono essere le seguenti: Tipologie 1) Rosso 2) Rosso Riserva 3) Rosato 4) Rosato frizzante 5) Bianco 6) Buttafuoco 7) Buttafuoco frizzante 8) Sangue di Giuda frizzante 9) Sangue di Giuda spumante 10) Barbera 11) Barbera frizzante 12) Bonarda 13) Bonarda frizzante 14) Riesling 15) Riesling frizzante 16) Cortese 17) Cortese frizzante 18) Moscato 19) Moscato frizzante 20) Moscato passito 21) Moscato liquoroso 22) Malvasia 23) Malvasia frizzante 24) Pinot nero vinificato in bianco 25) Pinot nero vinificato in bianco frizzante 26) Pinot nero vinificato in rosato 27) Pinot nero vinificato in rosato frizzante 28) Pinot nero vinificato in rosso 212
Resa uva/vino 70% 70% 70% 70% 70% 70% 70% 70% 70% 70% 70% 70% 70% 70% 70% 70% 70% 70% 70% 45% 70% 70% 70% 70% 70% 70% 70% 70%
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Pinot grigio vinificato in bianco Pinot grigio vinificato in bianco frizzante Pinot grigio vinificato in rosato Pinot grigio vinificato in rosato frizzante Chardonnay Chardonnay frizzante Sauvignon Cabernet Sauvignon Cortese spumante Riesling spumante Moscato spumante Malvasia spumante Pinot nero vinificato in bianco spumante Pinot nero vinificato in rosato spumante Chardonnay spumante Sauvignon spumante
70% 70% 70% 70% 70% 70% 70% 70% 70% 70% 70% 70% 70% 70% 70% 70%
Qualora la resa uva/vino superi i limiti sopra riportati, ma non oltre il 5%, l’eccedenza non avrà diritto alla denominazione di origine controllata; oltre tale limite decade il diritto alla denominazione di origine per tutta la partita. Le uve destinate alla produzione delle tipologie spumante: Cortese, Riesling, Moscato, Malvasia, Chardonnay e Pinot nero dovranno essere indicate all’atto della denuncia annuale delle medesime. 5.3. Modalità di vinificazione e di elaborazione Nella vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche enologiche corrispondenti agli usi locali, leali e costanti, atti a conferire ai vini le loro rispettive caratteristiche. In particolare è ammessa la vinificazione congiunta o disgiunta delle uve che concorrono alla denominazione “Oltrepò Pavese”. Nel caso della vinificazione disgiunta il coacervo dei vini, facenti parte della medesima partita, deve avvenire nella cantina del vinificatore entro il periodo di completo affinamento. Nella preparazione dei vini spumanti “Oltrepò Pavese” Riesling, Cortese, Chardonnay, Moscato, Malvasia e Sauvignon, Pinot nero (vinificato in bianco) e Pinot nero (vinificato in rosato) deve essere usata la tradizionale tecnica di rifermentazione in autoclave (metodo charmat detto localmente metodo Martinotti). 5.4. Invecchiamento La denominazione “Oltrepò Pavese” Rosso riserva è riservata ai vini sottoposti a un periodo di invecchiamento di almeno ventiquattro mesi a partire dal 1° novembre dell’anno di produzione delle uve. 5.5. Immissione al consumo I vini a D.O.C. “Oltrepò Pavese” Buttafuoco non possono essere immessi al consumo prima del 30 aprile dell’anno successivo alla vendemmia. Il vino “Oltrepò Pavese” Moscato passito non può essere immesso al consumo prima del 1 giugno dell’anno successivo alla vendemmia. 5.6. Vini passiti e liquorosi Il vino “Oltrepò Pavese” Moscato liquoroso, nei due tipi dolce e secco o dry, deve essere prodot-
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to partendo da mosto o da vino Moscato, di cui al presente disciplinare. Per il raggiungimento del titolo alcolometrico volumico, previsto al consumo, al Moscato liquoroso è ammessa l’aggiunta, prima, durante e dopo la fermentazione, di alcol puro, acquavite, mosto concentrato. È consentita la produzione di “Oltrepò Pavese” Moscato passito partendo dalle uve Moscato di cui all’art. 2, dopo essere state sottoposte ad un periodo di appassimento che può protrarsi fino al 30 marzo dell’anno successivo a quello della vendemmia, e la vinificazione non deve essere anteriore al 15 ottobre dell’anno di produzione delle uve. Tale procedimento deve assicurare, al termine del periodo di appassimento, un contenuto zuccherino non inferiore al 23,00% Articolo 6. - Caratteristiche dei vini al consumo I vini a Denominazione di origine controllata “Oltrepò Pavese” devono rispondere, all’atto dell’immissione al consumo, alle seguenti caratteristiche: 1) “Oltrepò Pavese” Rosso: - colore: rosso rubino intenso; - odore: vinoso, intenso; - sapore: pieno, leggermente tannico, di corpo; - titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol.; - acidità totale minima: 4,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 20,0 g/l. 2) “Oltrepò Pavese” Rosso riserva: - colore: rosso rubino con riflessi aranciati; - odore: profumo intenso, etereo; - sapore: asciutto, corposo, armonico; - titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,50% vol.; - acidità totale minima: 4,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 22,0 g/l. 3) “Oltrepò Pavese” Rosato: - colore: rosato tendente al cerasuolo tenue; - odore: leggermente vinoso, caratteristico; - sapore: asciutto, armonico; - titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,50% vol.; - acidità totale minima: 4,5 per mille; - estratto non riduttore minimo: 17,0 g/l. 4) “Oltrepò Pavese” Rosato frizzante: - colore: rosato tendente al cerasuolo tenue; - odore: leggermente vinoso, caratteristico; - sapore: vivace, asciutto, armonico; - titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,50% vol.; di cui almeno 10,00% effettivo; - acidità totale minima: 4,5 per mille; - estratto non riduttore minimo: 17,0 g/l. 5) “Oltrepò Pavese” Bianco: - colore: giallo paglierino più o meno intenso; - odore: intenso, caratteristico; - sapore: asciutto, gradevole, di gusto fresco e armonico; - titolo alcolometrico volumico complessivo minimo: 12,00% vol.; - acidità totale: 4,5 per mille; - estratto non riduttore minimo: 16,0 g/l. 214
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6) “Oltrepò Pavese” Buttafuoco: - colore: rosso vivo, più o meno intenso; - odore: vinoso, intenso; - sapore: asciutto, di corpo; - titolo alcolometrico volumico complessivo minimo: 12,00% vol.; - acidità totale minima: 4,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 22,0 g/l. 7) “Oltrepò Pavese” Buttafuoco frizzante: - colore: rosso vivo più o meno intenso; - odore: vinoso, intenso; - sapore: asciutto, di corpo; - spuma: vivace, evanescente; - titolo alcolometrico volumico complessivo minimo: 12,00% vol.; di cui almeno 11,50% effettivo; - acidità totale minima: 4,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 22,0 g/l. 8) “Oltrepò Pavese” Sangue di Giuda frizzante dolce: - colore: rosso rubino intenso; - odore: vinoso, intenso; - sapore: pieno, di corpo e dolce; - spuma: vivace, evanescente; - residuo zuccherino minimo: 80 g/l; - titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol.; di cui almeno 7% vol. svolto; - acidità totale minima: 4,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 22,0 g/l. 9) “Oltrepò Pavese” Sangue di Giuda spumante dolce: - colore: rosso rubino intenso; - odore: vinoso, intenso; - sapore: pieno, di corpo, dolce; - spuma: vivace, persistente; - titolo alcolometrico volumico effettivo: 9,00% vol.; - acidità totale minima: 4,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 22,0 g/l. 10) “Oltrepò Pavese” Barbera: - colore: rosso rubino intenso, limpido, brillante; - odore: vinoso, dopo invecchiamento, profumo caratteristico; - sapore: sapido, di corpo, leggermente tannico; - titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.; - acidità totale minima: 4,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 20,0 g/l. 11) “Oltrepò Pavese” Barbera frizzante: - colore: rosso rubino intenso, limpido, brillante; - odore: vinoso, profumo caratteristico; - sapore: sapido, di corpo; - spuma: vivace, evanescente; - titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.; di cui almeno 10,50% effettivo; - acidità totale minima: 4,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 20,0 g/l. Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
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12) “Oltrepò Pavese” Bonarda: - colore: rosso rubino intenso; - odore: profumo intenso e gradevole; - sapore: secco, abboccato, amabile, leggermente tannico; - titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol.; - acidità totale minima: 4,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 20,0 g/l. 13) “Oltrepò Pavese” Bonarda frizzante secco e/o abboccato e/o amabile: - colore: rosso rubino intenso; - odore: profumo intenso e gradevole; - sapore: secco o abboccato o amabile, leggermente tannico, fresco; - spuma: vivace, evanescente; - titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.; di cui almeno 9,00% effettivo; - acidità totale minima: 4,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 20,0 g/l. 14) “Oltrepò Pavese” Riesling: - colore: giallo paglierino, chiaro, verdolino; - odore: caratteristico, gradevole; - sapore: fresco, gradevole; - titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.; - acidità totale minima: 4,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 14,0 g/l. 15) “Oltrepò Pavese” Riesling frizzante: - colore: giallo paglierino, chiaro, verdolino; - odore: caratteristico, gradevole; - sapore: fresco, gradevole e intenso; - spuma: vivace, evanescente; - titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,50% vol.; di cui almeno 10,00% effettivo; - acidità totale minima: 4,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 14,0 g/l. 16) “Oltrepò Pavese” Riesling spumante: - colore: giallo paglierino, chiaro, verdolino; - odore: caratteristico, gradevole; - sapore: fresco, gradevole e intenso; - spuma: fine e persistente; - titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.; - acidità totale minima: 4,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 14,0 g/l. 17) “Oltrepò Pavese” Cortese: - colore: giallo paglierino, chiaro; - odore: vinoso, caratteristico; - sapore: morbido, fresco, piacevole; - titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,50% vol.; - acidità totale minima: 4,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 14,0 g/l. 18) “Oltrepò Pavese” Cortese frizzante: - colore: giallo paglierino, chiaro; 216
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- odore: vinoso, caratteristico; - sapore: morbido, fresco; - spuma: vivace, evanescente; - titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,50% vol.; di cui almeno 10,00% effettivo; - acidità totale minima: 4,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 14,0 g/l. 19) “Oltrepò Pavese” Cortese spumante: - colore: giallo paglierino, chiaro; - odore: vinoso, caratteristico; - sapore: morbido, fresco, piacevole; - spuma: fine e persistente; - titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,50% vol.; - acidità totale minima: 4,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 14,0 g/l. 20) “Oltrepò Pavese” Moscato: - colore: giallo paglierino, con riflessi dorati; - odore: aromatico, caratteristico, intenso e delicato; - sapore: dolce, gradevole, vivace; - titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.; - titolo alcolometrico volumico svolto minimo: 4,5% vol.; - acidità totale minima: 4,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 14,0 g/l. 21) “Oltrepò Pavese” Moscato spumante dolce: - colore: giallo paglierino, con riflessi dorati; - odore: aromatico, caratteristico, intenso e delicato; - sapore: dolce, gradevole; - spuma: fine, persistente e dorata; - titolo alcolometrico volumico svolto minimo: 6,00% vol.; - acidità totale minima: 4,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 14,0 g/l. 22) “Oltrepò Pavese” Moscato liquoroso: - colore: giallo paglierino o leggermente ambrato; - odore: aromatico, intenso; - sapore: vellutato secco; - titolo alcolometrico volumico totale minimo: 18,00% vol.; - acidità totale minima: 4,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 16,0 g/l. 23) “Oltrepò Pavese” Moscato passito: - colore: giallo dorato o leggermente ambrato; - odore: aromatico, caratteristico, delicato; - sapore: dolce, armonico, pieno e vellutato; - titolo alcolometrico volumico complessivo minimo: 15,00% vol.; di cui almeno svolto 12% vol.; - acidità totale minima: 3,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 24,0 g/l. - acidità volatile massima: 1,5 g/l; 24) “Oltrepò Pavese” Malvasia: - colore: giallo paglierino; Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
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- odore: aromatico, caratteristico, intenso; - sapore: secco, persistente; - titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.; - acidità totale minima: 4,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 14,0 g/l. 25) “Oltrepò Pavese” Malvasia frizzante: - colore: giallo paglierino; - odore: aromatico, caratteristico, intenso; - sapore: gradevole, morbido; - spuma: vivace, evanescente; - titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.; di cui almeno 7,00% effettivo; - acidità totale minima: 4,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 14,0 g/l. 26) “Oltrepò Pavese” Malvasia spumante secco e/o amabile e/o dolce: - colore: giallo paglierino; - odore: aromatico, caratteristico, intenso; - sapore: secco, amabile, dolce; - spuma: fine e persistente; - titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.; di cui almeno 6,00% effettivo; - acidità totale minima: 4,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 14,0 g/l. 27) “Oltrepò Pavese” Pinot nero (vinificato in bianco): - colore: giallo paglierino, verdognolo; - odore: caratteristico; - sapore: fresco, sapido, fine, molto gradevole; - titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.; - acidità totale minima: 4,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 14,0 g/l. 28) “Oltrepò Pavese” Pinot nero (vinificato in bianco) frizzante: - colore: giallo paglierino, verdognolo chiarissimo; - odore: caratteristico; - sapore: fresco, sapido, fine, molto gradevole e vivace; - spuma: vivace, evanescente; - titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,50% vol.; di cui almeno 10,50% effettivo; - acidità totale minima: 4,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 14,0 g/l. 29) “Oltrepò Pavese” Pinot nero (vinificato in bianco) spumante: - colore: giallo paglierino, verdognolo chiarissimo; - odore: caratteristico; - sapore: fresco, sapido, fine, molto gradevole; - spuma: fine e persistente; - titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.; - acidità totale minima: 4,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 14,0 g/l. 30) “Oltrepò Pavese” Pinot nero spumante rosato: - colore: rosato, tendente al cerasuolo tenue; - odore: caratteristico; 218
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- sapore: fresco, sapido, fine, molto gradevole; - spuma: fine e persistente; - titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.; - acidità totale minima: 4,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 14,0 g/l. 31) “Oltrepò Pavese” Pinot nero rosato: - colore: rosato, tendente al cerasuolo tenue; - odore: caratteristico; - sapore: fresco, sapido, fine, molto gradevole; - titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.; - acidità totale minima: 4,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 14,0 g/l. 32) “Oltrepò Pavese” Pinot nero frizzante rosato: - colore: rosato, tendente al cerasuolo tenue; - odore: caratteristico; - sapore: fresco, sapido, fine, molto gradevole e vivace; - spuma: vivace, evanescente; - titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,50% vol.; di cui almeno 10,00% effettivo; - acidità totale minima: 4,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 14,0 g/l. 33) “Oltrepò Pavese” Pinot nero: - colore: rosso rubino con riflessi aranciati; - odore: intenso, ampio, speziato; - sapore: secco, caldo, leggermente tannico; - titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,50% vol.; - acidità totale minima: 4,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 20,0 g/l. 34) “Oltrepò Pavese” Pinot grigio: - colore: giallo paglierino più o meno intenso o leggermente ramato; - odore: caratteristico, fruttato; - sapore: fresco, sapido, gradevole; - titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.; - acidità totale minima: 4,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 14,0 g/l. 35) “Oltrepò Pavese” Pinot grigio frizzante: - colore: giallo paglierino più o meno intenso o leggermente ramato; - odore: caratteristico, fruttato; - sapore: fresco, sapido, gradevole e vivace; - spuma: vivace, evanescente; - titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.; di cui almeno 10,50% effettivo; - acidità totale minima: 4,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 14,0 g/l. 36) “Oltrepò Pavese” Chardonnay: - colore: giallo paglierino più o meno carico; - odore: caratteristico, strutturato con vena aromatica; - sapore: fresco, intenso, sapido, gradevole; - titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.; Guida all’utilizzo della Denominazione di Origine Pinot nero in Oltrepò Pavese
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- acidità totale minima: 4,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 14,0 g/l. 37) “Oltrepò Pavese” Chardonnay frizzante: - colore: giallo paglierino più o meno carico; - odore: caratteristico, strutturato con vena aromatica; - sapore: fresco, intenso, sapido, gradevole, vivace; - spuma: vivace, evanescente; - titolo alcolometrico volumico totale minimo: 10,50% vol.; di cui almeno 10,00% effettivo; - acidità totale minima: 4,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 14,0 g/l. 38) “Oltrepò Pavese” Chardonnay spumante: - colore: giallo paglierino più o meno carico; - odore: caratteristico, strutturato con vena aromatica; - sapore: fresco, intenso, sapido, gradevole; - spuma: fine e persistente; - titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol.; - acidità totale minima: 4,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 14,0 g/l. 39) “Oltrepò Pavese” Sauvignon: - colore: giallo paglierino; - odore: caratteristico, delicato; - sapore: asciutto, fresco e piacevole; - titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.; - acidità totale minima: 4,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 17,0 g/l. 40) “Oltrepò Pavese” Sauvignon spumante: - colore: giallo paglierino; - odore: caratteristico, delicato - sapore: asciutto, fresco e piacevole; - spuma: fine e persistente; - titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.; - acidità totale minima: 4,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 17,0 g/l. 41) “Oltrepò Pavese” Cabernet Sauvignon: - colore: rosso rubino intenso; - odore: leggermente erbaceo, caratteristico; - sapore: armonico, pieno, lievemente tannico; - titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol.; - acidità totale minima: 4,5 g/l; - estratto non riduttore minimo: 22,00 g/l. In relazione all’eventuale conservazione in recipienti di legno, il sapore dei vini può rilevare lieve sentore di legno. È facoltà del Ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali, con proprio decreto, modificare per i vini di cui sopra i limiti indicati per l’acidità totale e l’estratto non riduttore.
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Articolo 7. - Qualificazione, etichettatura, designazione e pr esentazione 7.1. Qualificazioni Alla denominazione di origine controllata “Oltrepò Pavese” è vietata l’aggiunta di qualsiasi menzione diversa da quelle previste dal presente disciplinare ivi compresi gli aggettivi “superiore”, “extra”, “fine”, “scelto”, “selezionato”, “vecchio”, “riserva” e similari. È tuttavia consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi o ragioni sociali o marchi privati, purché non abbiano significato laudativo e non siano tali da trarre in inganno il consumatore. È altresì consentito l’uso di indicazioni geografiche e toponomastiche, che facciano riferimento a comuni, frazioni, fattorie, zone e località comprese nella zona delimitata dal precedente art. 3, dalle quali effettivamente provengono le uve da cui il vino così qualificato è stato ottenuto, in conformità al decreto ministeriale 22 aprile 1992. 7.2. Etichettatura Sulle bottiglie o altri recipienti contenenti “Oltrepò Pavese” può essere riportata l’indicazione dell’annata di vendemmia da cui il vino deriva; tale indicazione è obbligatoria per i vini “Bianco”, “Rosso”, “Rosso Riserva”, “Sangue di Giuda”, “Buttafuoco”, “Pinot nero” (vinificato in rosso) e “Moscato passito”. 7.3. Caratteri e posizioni in etichetta Le menzioni facoltative, escluse i marchi e i nomi aziendali, possono essere riportate nell’etichettatura soltanto in caratteri tipografici non più grandi o evidenti di quelli utilizzati per la denominazione di origine del vino, salvo le norme generali più restrittive. Nella tipologia “Oltrepò Pavese” Pinot nero (vinificato in rosato) spumante è consentito per la tipologia rosato l’uso in etichetta del termine “Rosé”. Il nome di vitigno le menzioni specifiche tradizionali o di colore previste dal presente disciplinare per le varie tipologie debbono essere indicate nella designazione del prodotto seguendo immediatamente a cascata le diciture “Oltrepò Pavese” denominazione di origine controllata. Articolo 8. - Confezionamento I vini a denominazione di origine controllata “Oltrepò Pavese” di cui all’art. 1 possono essere immessi al consumo in contenitori di qualunque capacità previsti dalla legge, ad esclusione delle tipologie Bianco, Rosso, Rosso Riserva, Pinot nero (vinificato in rosso) e Buttafuoco, che devono essere immessi al consumo soltanto in bottiglie di vetro di forma tradizionale e di capacità non superiore a litri 5. La tipologia Bonarda soltanto in bottiglie di vetro di capacità non superiore a litri 1,5. Per la tappatura dei vini spumanti è obbligatorio il tappo di sughero a fungo munito del tradizionale ancoraggio a gabbietta, ad eccezione dei recipienti di volume nominale uguale o inferiore a ml 200 per i quali sono consentite le chiusure ammesse dalla vigente normativa in materia. Inoltre a richiesta delle ditte interessate o del Consorzio di Tutela può essere consentito con specifica autorizzazione del Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali l’utilizzo dei contenitori di capacità di litri 6-9 e superiori.
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...al Pinot nero d’Oltrepò