Nuove conferme. Un po’ dispiace, ma il petrolio è proprio arrivato Diego Gavagnin A gennaio scorso tentai di descrivere la scena energetica usando il titolo, un po’ provocatorio, “Il petrolio è finito”, riferendomi ovviamente al suo ruolo nel futuro dell’economia e della società, non che ne fossero finite le molecole. Due i driver di questa fotografia: uno, la sua stessa sovrabbondanza, che determinandone un basso valore economico non garantisce più i ricavi necessari a finanziare le nuove esplorazioni e produzioni; due, il cambiamento culturale mondiale, che a parità di costo e altre condizioni porta gli utilizzatori a scegliere prodotti energetici meno inquinanti. Prodotti che esistono e si diffondono, rappresentati soprattutto dall’elettricità nei trasporti e da altri usi “civili leggeri” – specialmente se generata da fonti rinnovabili - e il gas naturale, in particolare liquefatto nei trasporti marittimi e terrestri pesanti, oltre a molti altri possibili usi, nelle aree non servite da gasdotti, raggiungibili con cisterne, oppure nelle industrie, nell’aerospazio, etc. Dopo sei mesi ci sono conferme o meno su questo scenario? Cosa è successo nel frattempo? La rivoluzione energetica che ha riportato in pochi anni gli Stati Uniti a essere protagonisti del mercato petrolifero si consolida ogni giorno di più. Gli USA ne fissa-
Oltreilconfine Luglio 2016
no il prezzo, oggi da produttori, rispetto a prima della crisi, quando lo facevano da compratori. A gennaio scorso, quando un barile di petrolio costava 27 dollari, sostenevamo che sarebbe anche potuto risalire, ma che non avrebbe superato la soglia dei 55 dollari, intorno alla quale tornava conveniente far ripartire le trivellazioni e le produzioni americane che ne avrebbero fatto nuovamente scendere il prezzo.