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Memorie private

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LOOSE ENDS MGGC

LOOSE ENDS MGGC

L’importanza in questo allestimento e anche nelle prime visioni che l’autore ha cercato di verificare tramite progetti diversi, è teso ad utilizzare un metodo preciso che fonda le sue radici nella memoria privata come generatrice di una memoria collettiva utilizzata nell’esperienza dell’allestimento.

Le varie memorie private di MGGC si traspongono in progetto in modo differente, ma con delle caratteristiche comuni in cui l’attraversamento dello spazio e la totale partecipazione fisica e sensoriale dei visitatori viene quasi imposta.

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Nella prima visione non realizzata sono i progetti realizzati dell’architetto a entrare nella scena come ricordo tramutato in materia.

Nella seconda visione non realizzata è un grande acchiappasogni di cui viene cambiata la scala per diventare un grande oggetto architettonico e trasformato in una foresta di pali.

Nella realizzazione dell’ultima visione è propriamente un ricordo siciliano che, in quanto memoria privata dell’autore, diventa materiale di partecipazione. La nota personale viene trasformata come dato per essere esperito e partecipato, tramite il completo coinvolgimento del visitatore, da un lato razionale, ma anche desiderante, ricolmo di attese e naturalmente di scoperte.

La preesistenza è stata generatrice dell’ultima visione in cui le voragini nere riportano definitivamente ad un’immagine legata ai deserti neri scavati da macchine petrolifere e il legame con i ricordi dell’autore riportano subito al paesaggio siciliano scavato per il petrolio.

L’ispirazione del paesaggio industriale e alle sue cisterne petrolifere diventa nel primo mondo delle voragini immagine collettiva.

‘Loose Ends’ e il manifesto dell’autore

Dispositivo generativo della mostra sono le memorie private dell’autore che si traspongono in luogo collettivo della partecipazione e dell’esperienza per il visitatore.

Questi mondi sommersi da scoprire in discesa sono mondi immateriali e tendono a risolvere appieno l’esperienza sensoriale del visitatore oltre che imponendosi come un vivere nuovo, tramite l’attraversamento dello spazio sommerso.

Alle diverse botole sono affidati compiti diversi esperienziali.

L’autore progetta l’allestimento di due mondi in successione attraverso due visioni: la prima annuncia l’universo delle voragini nere da scoprire attraverso la discesa delle bocche, la seconda, sempre attraverso il moto discendente, verso l’archivio suddiviso in tre momenti.

I coperchi delle tre botole nascondono i tre pozzi, semi chiusi in modo differente e coerente con il loro contenuto attrattivo.

Questi coperchi sono tenuti in posizione per due di questi tramite carrucole che solo in un caso, quello del pozzo d’oro, il motore del macchinario mette in azione la scena nella quale la bocca del coperchio si apre e chiude in modo consecutivo e lento.

Il primo pozzo verso l’ingresso è l’unico che rimane scoperto e con un parapetto ad evitare la caduta, da cui si può scorgere la scena del piano successivo, alimentando la voglia della scoperta.

La seconda, collocata sul lato opposto all’ingresso, quella del petrolio, l’oro nero, viene scoperta in discesa tramite una scala, entrando nella voragine in cui l’immagine riflessa nello specchio nero e il forte odore del liquido si trasfigurano come evocazione di una memoria e di un paesaggio ben preciso. Scendendo ancora lungo una breve rampa è possibile avvicinarsi alle altre due cavità con coperchi in metallo.

La botola oro, quella di destra, è l’unica botola che tramite un meccanismo continua ad aprirsi e chiudersi lasciando intravedere un mondo d’oro, generato da proiezioni e illuminazioni all’interno del cilindro progettato da MGGC.

Le due botole sono in antitesi e la visione è sdoppiata, l’oro della botola in movimento parla di una scoperta di un mondo sommerso ammaliante, in cui si deve fare lo sforzo di abbassarsi e scrutare il suo contenuto se si è interessati, generando così dei meccanismi partecipativi completamente coinvolgenti.

Lo stesso accade per l’ultima, quella del suono delle cocorite, l’unica socchiusa, da la disponibilità al visitatore di cercare ancora una volta di appropriarsi del suo contenuto.

Una peculiarità dell’allestimento è questa stratificazione dei mondi sommersi da scoprire, la discesa impostata su vari livelli del primo mondo di voragini nere nel pavimento fino all’archivio è progettata per far scoprire anche il verso di questo paesaggio.

Nella discesa al piano intermedio il visitatore può esperire il paesaggio di questi cilindri dall’esterno, il mondo rovescio, potendo vivere anche le quinte dell’esperienza superficiale.

Decisamente rilevante è l’importanza del tema della soglia in questo progetto.

La continua scoperta dei mondi sommersi dell’autore rende già esplicativa l’importanza dell’azione di entrare, quasi forzatamente a volte, in mondi altri, immaginifici e spesso evocativamente irrazionali.

L’illuminazione gioca anch’essa il suo ruolo nella percezione evocativa dell’allestimento nel quale le riflessioni della luce oro della botola o l’illuminazione puntiforme sui fogli sparsi sul tavolo generano una sensazione di volontà di scoperta del sottosuolo.

L’allestimento è volutamente progettato sottotono rispetto alla preesistenza, considerata dall’autore nella sua condizione ordinaria già dotato di grande forza immaginativa ed evocativa. In questo modo l’autore riesce a donare ai mondi sommersi una scoperta di verosimiglianza in quanto mondi trovati all’interno di un contesto reale.

Sicuramente di grande rilevanza è il progetto del percorso dell’allestimento, in cui la circolazione all’interno dello spazio dell’allestimento è dovuto a brevi rampe che permettono il collegamento dei dislivelli dei piani sfalsati.

Le soglie convenzionali sono chiuse e ne vengono aperte altre, in quanto l’accesso all’allestimento avviene dal piano più alto in modo discendente, permettendo una completa immersione nello spazio nero.

L’azione di scendere in discesa e questo movimento del corpo verso le profondità dello spazio allestito oltre che nelle botole è anche quello della discesa verso l’archivio, dato da una successione di stanze nere culminanti verso l’unica stanza finale bianca dell’assenza dell’architetto, quella dell’abbandono appunto.

L’archivio è suddiviso in tre momenti in successione che sono intitolati dall’autore come il progetto, il processo e l’abbandono. La stanza del progetto è costituita da un tavolo allestito con i fogli sparsi del libro di Loose Ends.

Nella stanza del processo vi sono dei monitor che narrano a circuito chiuso delle sequenze costituenti tutto il processo di MGGC rispetto i propri progetti.

Il processo è inteso come il vero e proprio processo progettuale e ciò che viene narrato sono le fasi dell’ideazione, costruzione e gli ultimi attimi di cantiere.

Alla fine di questa discesa alla scoperta dell’archivio dell’autore troviamo la stanza finale, l’unica stanza bianca di tutto il complesso espositivo.

Qui avviene il vero abbandono del progetto da parte dell’architetto che lascia riportare le visioni da altri due autori, dopo aver lasciato anche il progetto ai suoi abitanti.

La visione è sdoppiata attraverso il punto di vista delle fotografie in bianco e nero di Hélène Binet, che colgono l’attimo sospeso dalla fine del cantiere e prima della consegna dell’opera.

Il secondo punto di vista invece entra nell’opera nel momento dell’appropriazione della vita quotidiana al suo interno attraverso gli scatti di Armin Linke, questi a colori e tesi a cogliere i movimenti all’interno dell’architettura.

L’appropriazione dei due autori dopo l’abbandono dell’opera da parte dell’architetto rende esplicativa l’appropriazione dell’opera da parte del committente.

Il manifesto dell’autore con questo allestimento che porta lo stesso nome del libro Loose Ends viene qui esibito in una duplice compenetrazione dei materiali.

Il libro è presente in mostra, precisamente nell’archivio, mentre la mostra non è presente nel libro.

Quello che vuole dare al lettore è uno strumento che parla di una idea di precarietà, deve essere anti-narrativo ed essere di nuovo uno spazio di partecipazione.

Il libro in esposizione nell’archivio si trova posizionato in fogli sparsi su un tavolo, in quanto pensato senza la struttura convenzionale.

Questo materiale è così pensato dall’autore e può essere sottoposto a manomissioni, i materiali sono modificabili nel loro senso e nel loro ordine e chi ne usufruisce può fare un discorso proprio.

L’anti-narrazione del libro esprime ancora una volta della partecipazione che viene trasposta direttamente alla mostra, in quanto carattere fondativo donato ad una memoria collettiva.

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