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Verona Writers - 10 di Enrico Avesani
Back to ComEra - 26 Contributors - 5 Editoriale - 8
di Bassi Maestro
V come Ensi - 29 di Luigi Bolognini
Straight fom the book - 33
No comment - 74 Cop it or drop it? - 37
di Raffaele Lauretti
di A.A. V.V.
1-UP crew - 44
Recensioni & Upcoming - 78
di Egidio Emiliano Bianco
di A.A. V.V.
King dell’hardcore King dello streaming - 53
Rap Politiks - 82 di Fabio Baratella
di Silvia Danielli
Mecna vs Humans - 59 di Diego Carluccio
Back to... - 64 di Enrico Avesani
Coming Next - 95
Redazione: Enrico Avesani Direzione artistica e creativa Enrico Avesani Progettazione e impaginazione: Enrico Avesani Foto: Enrico Avesani, Roberto Graziano Moro, Angelo Mendula, 1UP crew, Corrado Grilli, Carhartt Inc., Joey Bada$$, Adidas GMBH. Testi: Enrico Avesani, Bassi Maestro, Luigi Bolognini, Egidio Emiliano Bianco, Silvia Danielli, Raffaele Lauretti, Fabio Baratella, Fiego Carluccio. Foto di copertina: Rafael Alves Stampa: Officina Grafica Editoriale
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A volte ritornano, e carriera. Aelle torna indipendente, semp hip-hop. Nuovi disc lo streetwear piĂš ur ricerca del meglio. P
anche di gran a tra noi sempre pre inedito, sempre chi, nuovi graffiti, rban, sempre alla Per voi. Per passione.
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Verona è da sempre al centro della scena hip hop in Italia. Fin dagli anni ‘90 con Vibrarecords, etichetta di Fabri Fibra e Mondo Marcio, Bassi e i Dogo. Poi Move, dove i writer trovavano gli arnesi del mestiere, le bombolette e i cap per dipingere i treni a Porta Nuova di notte. Oggi, i graffiti rimangono presenti e prepotenti sui muri scaligeri, dove la crea MBM spadroneggia con le tag e i throw-up di Sembo, Jaus, Idro e gli altri componenti che hanno invaso le strade. Arem, Focs, Raek e Furto si danno da fare in soli-
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taria, taggando ovunque trovino un buco libero. Le beef non mancano, e le tag crossate testimoniano il passaggio delle faide tra writers. Enrico Avesani è andato per le vie di Verona per raccontarci le storie die-
tro i muri sporchi della città, segno che l’età d’oro delle scritte sui muri non è ancora finita, e anzi è in pieno svolgimento. Il centro storico è zeppo di pezzi, e persino il Comune si è reso conto della dimensione del
fenomeno, lasciando agli artisti una Hall of Fame legale poco fuori dalle porte della città. I writer duri e puri, invece, continuano a imbrattare i mattoni di notte e senza ascoltare ragioni, per lasciare la loro firma e determinare il controllo della zona. Qualcuno una volta ha detto, “Muri puliti, Popoli muti.”
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26 di Bassi Maestro
“Com era” è la mia nuova avventura musicale, una piccola etichetta indipendente e autodistribuita che si occupa di stampare produzioni Hip Hop esclusivamente su vinile. Il concept di Com era, suggerito dal nome stesso, è di mantenere le buone tradizioni di una volta e produrre materiale dal sapore classico, dedicato a un pubblico di intenditori, senza seguire le mode del momento. La realizzazione delle grafiche e del logo è stata affidata a Luca Barcellona, anche lui da tempo collezionista e amante della musica su vinile. Si comincerà con la realizzazione di singoli inediti, e la probabile stampa su LP di nuove produzioni ma anche di classici mai stampati su questo supporto. Come sapete non amo le ristampe su disco, per cui
non ci saranno ristampe di queste release. La prima uscita, disponibile al pubblico in soli 150 pezzi (1 per cliente) e ordinabile da ora sullo store ufficiale di Downwithbassi, è un 7” a 45 giri che contiene sul lato A il suo nuovo singolo “Rock on” (prodotto con l’aiuto dei Loop Therapy che mi accompagnano anche dal vivo nel nuovo tour) e sul lato B la strumentale del singolo e una strumentale inedita bonus, sempre prodotta da me. Il video del brano, fuori su canale youtube di Downwithbassi è diretto e realizzato da Matteo Podini per F24 e Undervilla, e rispecchia lo stile “vintage” del brano, con immagini in qualità VHS, numerosi cameo e riferimenti a personaggi storici dell’immaginario musicale e non. Come sempre, keep it classic!
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29 di Luigi Bolognini
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V può voler dire tante cose. Quinto in latino. Oppure Vittoria, alla Churchill. O anche l’iniziale del cognome Vella o del nome Vincent. Nel caso di Ensi vuol dire tutto questo: "V è il mio quinto disco, artisticamente mi piace parecchio e per questo è una vittoria, Vella è il mio cognome e Vincent è mio figlio, appena nato. Tutto congiurava per questo titolo insomma". Il primo settembre, con l’uscita dell’album, finisce l’assenza per tre anni dalla
scena musicale di Jari Vella, "dovevo badare al bimbo, godermelo nella sua scoperta del mondo. Sono stati anni intensi, mi serviva del tempo per metabolizzare e me lo sono preso, in piena controtendenza con il momento storico nel quale viviamo, dove è tutto molto veloce. Negli ultimi mesi ho raccolto tutto questo vissuto e ho scritto V. Un collage di foto, strappi del passato
e del presente, nei suoni come nelle immagini. Qui c’è l’uomo, il rapper e il padre". Lo spiega bene la traccia di apertura, Ribelli senza causa, che è anche un omaggio al titolo originale del film Gioventù bruciata. “Che è la mia, ormai passata, la rivivo col pensiero meditando su come tutto e tutti cambiano. Tirando le somme a modo mio. Musicalmente c’è tutto quel che caratterizza il disco: il breakbeat, le melodie, il rap serrato, le variazioni improvvise”.
Ma è chiaro che ora c’è un giovane a cui Ensi è particolarmente interessato, il bimbo Vincent, cui dedica l’omonima canzone, una lettera aperta sul mondo in cui si troverà a vivere, senza nascondergli le difficoltà ma invitandolo a cercare il sole, “come faceva Van Gogh quando dipingeva i girasoli”. La prima canzone immaginata per V, l’ultima scritta e registrata. Come ogni buon rapper, anche Ensi ha scelto alcuni featuring, a partire da Il Cile in Identità, “un brano super rock”, poi Luché in Te lo dicevo, Madman e Gemitaiz nell’inno alla marijuana libera 4:20 (“una joint venture”), scherza) e Clementino in Sì, come no. Anche se è fatto tutto da solo un pezzo che potrebbe davvero spaccare e diventare un inno contro gli anti-migranti, Tutto il mondo è quartiere: “Io a Milano vivo in viale Padova, la zona multietnica per eccellenza. Mangio
in ristoranti orientali, compro casse d’acqua e succo di mango da gente del Bangladesh. La mia ex vicina di casa era del Cile. Dei miei due barbieri uno è campano l’altro è nigeriano. I figli del portiere del mio palazzo parlano filippino con lui e italiano con me. Mio figlio andrà a scuola con ragazzi di ogni colore, razza e religione. Tutto questo è meraviglioso e dovevo raccontarlo. Risultato: l’altro giorno un tipo che consegna le pizze in motorino mi insegue fino a fermarmi. Pensavo che volesse litigare, invece mi abbraccia: è peruviano e aveva sentito la canzone”. Insomma, l’assenza non ha certo fatto impigrire né gli ha tolto ispirazione: “Ritrovo un mondo rap ampio, costruito, anche molto di moda. Ma la freschezza che ho ritrovato in questo periodo di stacco mi aiuterà a impormi di nuovo”.
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Il testo di questo mese prende spunto - incredibilmente - da Sanremo dove Mudimbi, conoscente di vecchia data di chi bazzica gli ambienti hip-hop, ha esordito nei salotti buoni con “il Mago”. Ma Mudimbi è un tipo particolare, e noi siamo abituati a testi come questo qui: Mudimbi and The Clerks - Supercalifrigida Supercalifrigida rigida e ligia alla legge di coppia Oh mia supercalifrigida rigida tanto mi sa che ti tocca Niente copula è cosa ridicola perciò vige la legge di bocca Quindi supercalifrigida ma con i lividi sulle ginocchia Supercalifrigida rigida e ligia alla legge di coppia Oh mia supercalifrigida rigida tanto mi sa che ti tocca Niente copula è cosa ridicola perciò vige la legge di bocca Quindi supercalifrigida ma con i lividi sulle ginocchia A cuccia super bertuccia la vuoi una banana con tutta la buccia È arrivata la candida quindi domandala o corri a attaccarti ad un’altra cannuccia succhiala ciuccia Se vuoi di più dimmelo e ti darò tutto quel che vuoi tu Sono il principe azzurro ho parole di burro e il cavallo che mamma m’ha dato è una dote da yodel i u
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Mettiti giù a quattro zampe come fa Scooby Doo E le mutande? Fai senza! Ce l’hai una coscienza? In beneficenza alla bambine povere di Timbuktu No il Kamasutra voglio il menù ti prendo ti trito e ci faccio il ragù Per carnevale mi vesto da spillo e tu da bambola ma da voodoo Supercalifrigida rigida e ligia alla legge di coppia Oh mia supercalifrigida rigida tanto mi sa che ti tocca Niente copula è cosa ridicola perciò vige la legge di bocca Quindi supercalifrigida ma con i lividi sulle ginocchia Supercalifrigida rigida e ligia alla legge di coppia Oh mia supercalifrigida rigida tanto mi sa che ti tocca Niente copula è cosa ridicola perciò vige la legge di bocca Quindi supercalifrigida ma con i lividi sulle ginocchia Professionista o dilettante meretrice cercasi tra tante Qui basta poco a dare fuoco al toro loco che un badman ha tra le gambe Ma se sei supercalifrigida sarà solo un salto nell’ignoto E dove metto le mani con questa punanny sotto vuoto? Ti sembro il mago Zurlì? Hai detto di sì? Ma che l’hai capito dal mio pedigree? Scommetti sto giro ti faccio morire legata e annegata come Harry Houdini? Un due tre indovina chi c’è? è arrivato mudimbi ed è tutto per te Una botta di vita e tra tue dita questa Chiquita mio scimpanzé Supercalifrigida rigida e ligia alla legge di coppia Oh mia supercalifrigida rigida tanto mi sa che ti tocca Niente copula è cosa ridicola perciò vige la legge di bocca Quindi supercalifrigida ma con i lividi sulle ginocchia Supercalifrigida rigida e ligia alla legge di coppia Oh mia supercalifrigida rigida tanto mi sa che ti tocca Niente copula è cosa ridicola perciò vige la legge di bocca Quindi supercalifrigida ma con i lividi sulle ginocchia.
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Adidas Originals lancia il suo nuovo modello di sneaker, Prophere, una scarpa dall’estetica anni ’90 capace di sfidare ogni regola ispirandosi ai creator di oggi che si trovano nella periferia del mondo mainstream. Tra questi creator poteva esserci persona più adatta di Ghali? No. Nell’ultimo anno, da indipendente, l’artista di origini tunisine ha stravolto i numeri dello streaming e conquistato un posto nella musica che conta, rimanendo autentico, conosciuto e soprattutto influente.
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“La cosa che mi piace di più delle sneakers adidas Prophere è il design: sembra un’automobile del futuro e l’attitudine sul cemento è perfetta.” Queste le parole di Ghali che apprezza il design del nuovo prodotto adidas; la Prophere infatti non passa inosservata con la sua intersuola grossa e dinamica e con le tre strisce iconiche di adidas che – belle spesse anche queste – fungono da sistema di allacciatura.
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Provocazione e ribellione, la Prophere è simbolo dell’attitudine del fermento culturale delle periferie, lì dove nasce Ghali e dove nasce anche l’hip hop, uno dei movimenti culturali più importanti degli ultimi 50 anni.
in sette mesi, Wily Wily quasi venti milioni in un anno e oltre trenta milioni per Dende. Ma chi è Ghali? La sua biografia è racchiusa in un verso di Ninna Nanna: “Sono uscito dalla melma, da una stalla a una stella, figlio di una bidella, con
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Buone notizie. Proprio quando in Italia cresce un clima di razzismo e paura, e chi soccorre i migranti finisce addirittura sotto accusa, Ghali diventa uno dei cantanti più ascoltati sul web. Madre e padre tunisini, è nato a Milano ventiquattro anni fa ed è cresciuto a Baggio, periferia milanese, dove ancora vive. I suoi brani su YouTube hanno macinato milioni di views in pochissimi mesi, talvolta in pochissimi giorni. Ninna nanna, più di cinquanta milioni
papà in una cella”. Dopo averlo ascoltato per la prima volta su YouTube non è mai più uscito dalle mie orecchie. Il suo flow (il suo flusso, lo stile delle parole) è denso di una poetica nuova, rifugge le durezze del gangsta, racconta la periferia, cita cartoni animati e serie tv, marijuana e slang. Il suo è un calco magico del reale. Ghali canta in italiano con accento milanese, in francese con accento magrebino e in tunisino con accento italiano. Un linguaggio unico, un unico bolo che passa di frase in frase, da lingua a lingua, con naturalezza: “ Amman amman / Habibi / Ya nor l3i / Ndiro lhala sans pitiè / Fratello ma 3la balich / En ma vie ho visto bezaf / Quindi adesso rehma lah”. Da anni Ghali si esibisce dal vivo, ma solo ora è uscito il suo primo disco, Album. È così che funziona adesso, è questo il percorso dei nuovi artisti; il disco è una sorta di lavoro finale, un lavoro
che raccoglie tutto: esperienze, crescita, gioie, cambiamenti, gratitudini, amori. Incontro Ghali in un appartamento in una zona di Milano che mi è sempre piaciuta. Poco distante dai Navigli, ma già tranquilla. Mi sento subito accolto. La crew è giovane e sorridente, composta da ragazzi afroitaliani: Amed, Endri, Ruth e Diane. Mi sento a casa. Ghali è altissimo, sta fumando una sigaretta sul balcone, ha un viso dolce, un’eleganza impacciata. Una lieve timidezza da ragazzino e una malinconia che torna come un’ombra. Ghali ha cambiato la trap, ultima evoluzione del rap, liberandola dalle costrizioni del gangsta. Non ha bisogno di fare il cattivo, il violento, ma non teme di affrontare i temi più duri. Al centro, come magnete di ogni sua strofa, una figura im-
prescindibile: la mamma. “Veramente lei ha fatto di tutto per me. Di tutto. Non so spiegarti, ma ho un’immagine. Io nella tempesta del deserto e mia madre che si para davanti per difendermi dalla sabbia”. Ghali contesta il senso comune, per il quale tra genitori e figli serve un’autorevole distanza, non l’amicizia. “Io e lei abbiamo un incredibile rapporto di amicizia perché siamo cresciuti insieme. Le racconto proprio tutto della mia vita. Alle altre madri immagino crei preoccupazione che un figlio diventi un artista e quando dice: voglio fare il cantante, vanno in disperazione. Mia mamma no, anzi. È stata lei a inculcarmi la musica”.
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Oh eh oh, quando mi dicon: "Vai a casa!" Oh eh oh, rispondo: "Sono già qua" Oh eh oh, io t.v.b. cara Italia Oh eh oh, sei la mia dolce metà Cara Italia
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Quando torno tardi tu sei la mia scusa Tu sei il mio rifugio se 'sta porta è chiusa Habibi
Zio, vogliono conoscerti se fai successo Ma poi quando finisce, dimmi ch'è successo? Io non lo so manco se volevo questo Oh mio Dio Michael, sono troppo Jackson Ninna Nanna
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di Egidio Emiliano Bianco
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Nelle strade della capitale tedesca le regole del gioco prevedono spesso forme di relazione visiva semplici e distintive, nonchĂŠ reiterazione insistita. 4rtist.com, conosciuto comunemente come Mr. 6, compie ogni giorno la medesima operazione dipingendo un semplice numero a pennello, o altre brevi sigle, in ogni possibile
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punto della città: dal 1995 sostiene di aver lasciato almeno 650.000 tracce del suo passaggio. In termini di icona è possibile, piuttosto, parlare del giallo pugno disegnato da Kripoe, writer della CBS, storica crew berlinese attiva principalmente nel decennio tra 1995 e 2005. Bellicoso e irriverente, le sue continue apparizioni nei punti di vista più ricercati gli sono valse uno dei primati di riconoscibilità a Berlino e non solo. Tra quelli che puntano alla diffusione massiccia, in questo caso del nome, ci sono anche i membri della 1UP crew (One United Power), che dal 2003 ad oggi, per numero, modalità di azioni – impostate su un vero e proprio sistema di guerriglia artistica urbana – e presenza mediatica sul web sono tra le crew di writer più attive in tutta Europa. Originaria di Kreuzberg, la sua notorietà si basa strategicamente sul far valere l’unione del grup-
po sul particolarismo di ogni singolo writer, cosicché la scritta 1UP diventa l’unica possibile firma, da veicolare attraverso ogni sorta di mezzo e veste espressiva – dai rulli agli sticker, dai blocchi argentati ai throw-up cromaticamente accesi – e con azioni al limite che si spingono sino al bloccaggio in pieno giorno di treni in servizio. Le cime dei palazzi di Berlino sono un’altra potentissima sorgente di adrenalina. Le imprese sui tetti degli irrequieti 1UP, a cui aggiungiamo Just, anch’egli specialista di rooftop actions, riscrivono il panorama dei cieli della metropoli. La conquista degli heaven4 migliori è favorita dalla grande abbondanza di edifici e complessi industriali abbandonati, retaggio di un passato recente, ora diversamente occupati e utilizzati da writer e street artist a proprio piacere, come mostra il Raw Tempel a Friedrichshain.
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di Silvia Danielli
Non vivo per niente bene il fatto di essere riconosciuto in giro per strada, di avere, diciamo, successo. Zero. L’altro giorno ero a casa mia, a Olbia, in un baretto dove a un certo punto in televisione è partito un mio video. Tutti si sono girati verso di me per vedere la mia reazione. E io cosa ho fatto? Me ne sono andato». Non ci vuole molto a capire che Salmo non sta affatto bluffando. Siamo in un loft minimale della periferia sud-est milanese, il classico casa-bottega dove Salmo, ovvero Maurizio Pisciottu, classe 1984, passa più spesso la notte davanti al computer che a dormire. ul pavimento c’è una valigia aperta, mezza disfatta, strabordante di vestiti. Ha una felpa nera larga con la zip aperta e un berrettino che si tira nervosamente sempre più sulla faccia. Com’è andato quest’ultimo periodo a Milano e in giro per il mondo? Dunque… Ci siamo trasferiti cinque anni fa a Milano da Olbia. Io e altri amici che lavorano nella Machete Empire vivevamo tutti insieme in una specie di comune, in un quartiere bello tosto, con un’alta concentrazione di immigrati, a Pasteur. E lì… Scusa se ti interrompo, ma questa storia la conosciamo già. Raccontami come sono nati i pezzi di Hellvisback. La musica è una bomba, tutti i pezzi hanno sound diversi, ma sei riuscito a dare coerenza. Se penso ai testi, però, non mi è rimasto granché… Hai ragione. Ho pensato prima ai beat che al resto e volevo che questo nuovo album assomigliasse di più al mio primo lavoro, The Island Chainsaw Massacre. Ho lavorato fianco a fianco a Low Kidd, produttore di Machete, e benché abbiamo gusti musicali diversi siamo riusciti a trovare un accordo. Stavolta non volevo scrivere un album con troppi pezzi conscious, riflessivi o di denuncia, come avevo fatto in Midnite. Volevo che arrivasse la botta con la musica e che fosse un disco che potesse rinnovare il live. Le rime le ho scritte in fretta, in un paio di mesi e via. Comunque Il Messia non è un pezzo tanto leggero, per esempio. Il riferimento del testo ai conflitti di oggi è piuttosto esplicito: “Qualcuno uccida il nuovo Messia, in nome della fede lascia che sia… Crede nei soprusi e urla Alleluia”. Nel
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pezzo canta anche Victor degli LNRipley e suona Travis Barker, il batterista dei Blink 182, ma non ci sono molti altri featuring nell’album. Proprio così, non ho chiamato nessun altro rapper, perché volevo fosse un album totalmente mio. Quindi, a parte Victor, che ha una voce simile a uno dei figli di Bob Marley, ho chiamato solo dei musicisti. Ho incontrato Travis di persona in California, per esempio. Mentre Bob Rifo ha suonato la chitarra in Peyote, un pezzo molto blues dove avevo anche provato a cantare sopra (non a rappare), ma ho avuto paura che venisse fuori
una vera cagata, quindi è rimasto strumentale. In Hellvisback a un certo punto rappi: “…devo fare trap per forza?”. Quanto ti senti condizionato dal dover produrre per forza il suono del momento? Poco. Io credo che sia importante capire una cosa: siamo in Italia e facciamo rap, non possiamo inventarci chissà che cosa, ci rifacciamo a quello che hanno fatto gli americani e i francesi, ma dobbiamo dare un’impronta personale. La trap non mi dispiace, ma non dobbiamo per forza farla tutti. I pezzi ti vengono subito o li rifai mille volte perché non sei mai contento?
La definizione “non sono mai contento” riflette perfettamente la mia condizione di questo momento e forse di tutta la mia vita. Mi sembra che i risultati che hai ottenuto siano indiscutibili (il nuovo singolo che nel giro di poche ore ha già battuto tutti i record dello streaming italiano. Il suo brano, infatti, è il più ascoltato nelle 24 ore del giorno d’uscita, con 495.971 ascolti in tutto il paese) e la popolarità che hai raggiunto anche. Capisco che sia difficile da comprendere, ma per me è davvero faticoso andare a comprare le sigarette ed essere continuamente
fermato da tutti quelli che vogliono fare un selfie. Queste sono cose bellissime per chi ama “fare schiuma” in giro. Non per uno come me. Per me è più facile salire su un palco davanti a 50mila persone. Quando sono lì, devo fare l’unica cosa che so fare nella vita: esibirmi.
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te quello che scrivi: che sia un pezzo conscious o superficiale, quello che conta è che tu riesca a colpire chi ti ascolta.
come spenderli. I cliché della cultura bling bling proprio non mi appartengono. Io non desidero grandi cose, voglio solo e soltanto potermi comA molti rapper piace racIn S.A.L.M.O. dicevi che dei prare della nuova strucontare il senso delle loro soldi non te ne è mai frega- mentazione. rime, altri non lo sopporto niente: adesso? tano: tu sei della seconda Uguale. Avrei potuto scuola? guadagnare ben di più in A me piace quando ognuno si fa il suo viaggio questi anni, ma non ho mentale per interpretare mai avuto tanti soldi nella vita, perciò, se anche ne qualcosa, senza bisogno avessi intascati di più, non che lo debba aiutare io. Ovviamente è importan- avrei saputo nemmeno
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di Diego Carluccio
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Sono passate un paio di settimane dalla pubblicazione del video di “Pratica”, il bellissimo singolo che anticipa l’uscita del nuovo disco di Mecna, per gli amici (sperando ne abbia) Corrado. Mi è bastato metterla in play anche solo una volta per ritornare in quel vortice di negazione e auto commiserazione da cui ero riuscito a liberarmi grazie a mesi di costosissima terapia. Per cosa mi sento in colpa? Semplice, mi piacciono le canzoni di Mecna e vorrei che così non fosse. Ogni volta che lo vedo intervistato lo trovo simpatico quanto un esattore fiscale, tralasciando poi il fatto che esteticamente mi sembra un incrocio tra Fabio Fazio e Justin Timberlake.
E pensare che per ben 26 anni della mia esistenza ero riuscito ad ignorare pressoché serenamente chi lui fosse e che musica facesse. Forse sapevo che era un grafico che aveva lavorato a dischi di altri artisti, ma poco altro. Poi… poi è uscito “Lungomare Paranoia”, ad oggi la sua ultima fatica artistica e, con mio grande dispiacere, non sono più riuscito a smettere di ascoltarlo.
cianuro. Ovvio la sua è una musica non adatta a tutte le occasioni, l’ultima volta che una sua canzone è stata suonata ad una festa, ad esempio, metà delle ragazze ha fatto voto di castità a data da definirsi e i maschi si sono seduti in un angolo a discutere se l’attesa del piacere non fosse essa stessa il piacere. Diciamo che “Maracaibo” continua a farsi preferire in quel contesto.
Ma Mecna è un rapper? Probabilmente no, il che non è necessariamente una cosa negativa. In alcune interviste viene definito come il “Drake” italiano il che sarebbe un complimento per chiunque tranne che per il sottoscritto che a Drake preferirebbe una tazza di
Certo direte voi, la vita non è sempre rose e fiori, ed è proprio qui che il buon Corrado sale in cattedra e, per quanto mi riguarda, si lascia preferire a qualsiasi altro cantante reperibile sul pianeta terra. Chi dovreste ascoltare quando la ragazza dei
vostri sogni la da ad un vostro amico? Mecna. Chi dovreste ascoltare quando i professori vi dicono “potrebbe ma non si applica”? Mecna. E se foste l’allenatore dell’Inter? Sempre Mecna. Musica di supporto per momenti di estrema
difficoltà emotiva. Ecco, ho codificato un nuovo genere musicale. La questione è però un’altra. Fintanto che si entra in contatto con l’artista foggiano tramite i suoi dischi è un conto, quando lo si inizia ad ascoltare nelle interviste l’effetto è un altro.
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“Non mi piace andare in tour d’estate. In macchina con il caldo… arrivare sul posto che non hai fatto niente e sei già sudato” In effetti sono problemi. Tralasciando l’argomentazione populista de “e pensare che c’è gente che va a lavorare (sul serio) col caldo”, non mi sembra un mondo molto entusiasmante per convincere i tuoi fan a venirti a sentire. Specie se poi aggiungi: “Si quest’anno mi sa che ci tocca suonare d’estate”. Come sei buono Mecna a concederti nonostante le insostenibili condizioni meteorologiche.
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“Non faccio selfie sul mio profilo instagram. E’ una scelta voluta” Allora, che i selfie siano una delle invenzioni più orripilanti dell’ultimo decennio è un dato di fatto, al tempo stesso però, questo atteggiamento da santone dell’estetica che si erge a difesa dei canoni di bellezza e buon gusto è davvero insopportabile. Non ti fai i selfie? Bella lì. Non la trasformerei in una missione ONU.
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5 volte in cui Mecna è stato insopportabile durante un’intervista.
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“Per scrivere ho bisogno di essere in un certo mood. Se sono felice non scrivo. Io non sono come quei rapper che si mettono lì a segnarsi le rime.” C’è un aneddoto legato a questa intervista. Ai tempi stavo con una ragazza veneta dalla spiccata personalità, casualmente anche lei una graphic designer, e stavamo entrambi seguendo l’intervista. “Lungomare Paranoia” era piaciuto molto ad entrambi. Non appena il buon Corrado ha proferito queste parole mi ricordo che la mia ragazza ebbe la capacità di sputare un concetto con una proprietà di sintesi che non sarò mai in grado di raggiungere: “Ma questo qui chi cazzo si crede di essere? Baude-
discutibile perchè credo che logisticamente sia una cosa abbastanza im“E’ un messaggio riferito probabile trovarsi con un ad altri colleghi o ad altri fan a caso per bere una uomini che apprezzano cassa di birra. Ok, non questo tipo di cose. Con critico quello. Se andate me non attacca. (Rifea rivedervi l’intervista rendosi a una sua candi cui parlo (Radio2 per zone in cui si parla delle “Lungomare Paranoia”), groupie). Eccolo, il nostro cavaliere quello che lascia perplesromantico che non cede so è l’atteggiamento un alle lusinghe della carne pò schifato che Mecna e non si concede a questo sembra avere nei contipo di frivolezze dall’alto fronti dei suoi fan più entusiasti. A volte fare di una superiorità intelun pò la faccia da culo lettuale rimarcata più con qualche fan può esvolte. Figa che palle. sere la cosa più giusta da “Guarda bella che vieni al fare, invece che ergersi costantemente a paladiconcerto, per la cassa di no dell’integrità morale. birra mmm… non credo “Non voglio essere l’idolo sia fattibile” (In risposta al tweet di un fan che si di nessuno” e tutte quelle hipsterate. Figa che palle era offerto di bere una vol.2. cassa di Peroni con lui. Allora, il concetto è inlaire?”. Chapeau.
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Next skating generation.
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L’8 agosto del 2011, lo staff del Carhartt Store di Hackney ricevette una telefonata, in cui un tizio diceva loro senza mezzi termini di evacuare il negozio. Nel giro di un’ora, la saracinesca veniva divelta da un gruppo di teenager che entravano e uscivano dal negozio. Di fronte alla porta, una Mazda rossa cabriolet, il tettuccio accartocciato, il parabrezza che sembrava una ragnatela, l’abitacolo pieno di fumo che sarebbe presto diventato fuoco.
gialla, dopotutto, è sempre stata un faro per la cultura di strada. Dagli skater ai musicista, la C è stata onnipresente nell’ecosistema sottoculturale delle ultime tre decadi. Ma come può un’umile brand di abbigliamento da lavoro diventare il simbolo della nicchia, sovversivo e eccitante? Per rispondere a questa domanda, Michel Lebugle e Anna Sinofzik hanno dedicato quasi due anni per raccogliere, editare e condensare materiale riguardante il brand, per pubblicarlo con Rizzoli nel libro “The Duraante i riot a Londra Carhartt WIP Archives”, quell’anno, dovuti alle definito anche “il primo proteste contro la polizia sguardo estensivo verso dopo l’uccisione di Mark l’evoluzione di un’icona”. Duggan, vennero presi Ho incontrato Lebugle a d’assalto tutti i Carhartt Londra, e abbiamo parlaWIP store della capito del suo libro. tale inglese, mentre lo staff guardava inerme Il tomo inizia con una breve storia di Carhartt centinaia di capi uscire WIP nel 1989, quando dalla porta, rubati. La C
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“I’ve always said that Carhartt didn’t choose the culture, the culture chose the brand” – Michel Lebugle
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altro non era che un accordo tra Work In Progress di Edwin Faeh e Carhartt USA, storico brand antinfortunistico del Michigan. Il libro racconta la crescita del marchio, a partire dai momenti meno glamour fino al primo lookbook, scattato in appartamento grazie all’aiuto de - cito - “lo spacciatore d’erba locale”. La popolarità di Carhartt è aumentata a dismisura, forse anche grazie ai ragazzini che vestivano le uniformi da lavoro dei padri, togliendosi la patina “troppo fashion”. Da Tupac a Kanye, tutti vestono Carhartt, i suoi jeans larghi e i bomber con l’interno arancione. L’hip hop negli anni ‘90 aveva bisogno di Carhartt. Già nel ‘96, vista la fama raggiunta, Carhartt WIP inizia a produrre modelli esclusivi della linea urban: i giubbini diventano meno voluminosi, i pantaloni hanno vestibilità migliore, pur mantenendo la loro resistenza. La sensazione di vestire un capo rigido che si adatta al corpo con il tempo, ammorbidendosi, ha
sempre un suo perché. Sono molti i modi in cui Lebugle e Sinofzik hanno accidentalmente influenzato la visione dello streetwear, e di certo ora i loro lookbook non sono più fatti nei loro appartamenti (per lo meno, non per necessità di budget), e vantano incredibili collaborazioni da Patta a Luca Barcellona; ma per Carhartt, non è mai stato necessario inseguire i clienti. Ecco perché Action Bronson cita ancora il marchio, ecco perché anche gli skater la preferiscono e perché, di tanto in tanto, orde di teenager irrompono nei negozi per svaligiarli.
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di Raffaele Lauretti 74
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Per una recensione come si deve dovremmo iniziare spiegando il titolo, sviscerare questo o quel concetto che si presti a essere in qualche modo più o meno preparatorio a quanto l’artista ci vuole dire e comunicare. Come commentare, però, un semplice “no comment” e una copertina tanto essenziale? Occorre intanto sottolineare come questo primo puro vuoto comunicativo
voglia essere un contenuto a tutti gli effetti (McLuhan dice, ad esempio, che il medium è il messaggio) che, a sua volta, vuole spingere alla riflessione sul vero e proprio horror vacui che si prova di fronte a un’assenza di schemi comunicativi a cui siamo già abituati. Dopodiché, dovremmo concentrarci sulle tracce (proprio come l’artista vorrebbe!) senza perderci nel metalinguaggio.
Ecco, di questa essenzialità co-testuale apprezziamo l’attenzione che di rimando viene data alla musica e alla cura di ogni dettaglio. Oltre allo stesso Nitro, protagonista quasi assoluto di questo lavoro è allora Low Kidd, produttore e sound engineer di tutto rispetto, davvero in splendida forma, capace di seguire il rapper in ogni suo movimento metrico e a restituire un
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suono che è personale in due diversi modi: costante se pensiamo a quanto prodotto fin qui e allo stesso tempo unico, perché capace di adattarsi all’esigenze espressive del rapper lungo il percorso di senso generato dalla stessa tracklist.
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Tornando al vicentino, possiamo confermare le doti tecniche sicuramente più che buone nel rapping, il carisma al microfono e la padronanza del vocabolario. In questo episodio, notiamo poi un certo zoom-out sulle tematiche: sì, ci sono gli esercizi di stile (“Ok Corral” e “Passepartout”), ci sono risposte agli hater (“Chairaggione”), ovvero due tempi senza il quale il rapgame non esisterebbe. E poi i problemi personali, ma c’è anche un qualcosa di più. In “Ho fatto bene”, ad esempio, possiamo sentire di una più che didascalica retrospettiva che lascia poi il posto a uno spiraglio di positività, un “guardarefuori” accompagnato da un cantato che seppur non perfetto nell’intonazione lo è nelle intenzioni, rivelandosi forse la cosa più interessante di questo nuovo lavoro: la voce di Nitro è graffiante quanto capace di restituire autenticità. Superate le prove di rap, potrebbe dunque essere interessante sentire Nitro lasciarsi andare ed esplorare momenti meno serrati. È già questo il caso di “DM”, brano dal sapore funk, oppure le due parti di “San Junipero”, citazione a Black Mirror, sono una buona sintesi del passaggio che Nitro attraversa in questo disco. Molto buone anche le collaborazioni, quasi esclusivamente targate Machete se non per l’eccezione di un Madman in grande forma (e che rivendica subito un’affiliazione che risale ai tempi di “King’s Supreme”). Oltre agli ottimi Lazza e Dani Faiv, l’ospite per eccellenza rimane però il patròn Salmo. È infatti sua la produzione che apre
il disco e la firma su una delle strofe che meglio intrattengono in tutto il lavoro; proprio “Chairaggione” poi, porta la firma alla produzione di Tha Supreme, sedicenne da poco entrato in scuderia e già noto ai nostri lettori. A completare il quadro, “Horror Vacui”: un brano in cui un racconto lucido di sé stessi cede il passo a una legittima riflessione sul mondo di oggi e una serie di propositi, canticchiati forse per il prossimo lavoro: «vorrei soltanto smettere di pensare un po’ / Comprendere il vuoto dentro me, non pensare un po’».
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Esce oggi “Torino/Roma (Andata e Ritorno)“ di Dj Fede, il decimo album del DJ e produttore Torinese. Come suggerisce il titolo è un viaggio del DJ verso Roma infatti troviamo solo artisti Romani (fatta eccezione per la versione reloaded di “Le Ultime Occasioni”). Dj Ceffo apre l’album usando cut di Primo Brown e Tony Touch per i suoi scratch, intro che parte subito con un flavour misto tra il funky e il soul, sonorità che ci accompagneranno per tutta la durata dell’album. Nel complesso i 42 minuti dell’album scorrono lisci e con piacere, se vi piace l’Hip-Hop classico questo è il disco che fa per voi, soprattutto in questo periodo che di cose così classiche ne escono poche.
Nuovo freestyle di Lethal V, artista della Gold Leaves Academy, giovane etichetta indipendente di Vicenza. Lethal V si è fatto notare grazie alle numerose partecipazioni (e vittorie) alle più importanti manifestazione di freestyle-battle italiane. Ad esempio nel 2014 si è aggiudicato il “Passa Il Microfono/Tecniche Perfette”, e successivamente ha partecipato alla trasmissione MVT Spit. Un altro passo importante del suo percorso è stata la collaborazione con Apollo Brown, produttore di Detroit. Il pezzo che vi proponiamo oggi invece è tutto nuovo ed è stato registrato e mixato al Caveau Studio da Jack The Smoker.
I 15 pezzi del disco sono tutti potentissimi, senza eccezioni: Fastcut cura le produzioni e i cuts ed i featuring sono di tutto rispetto. Ad arricchire i beats troviamo Claver Gold, Lord Madness, Moder e poi Kenzie, Murubutu, Wild Cyraz, KappaO, Virux, Musteeno, Willie Peyote, Er Costa, Suarez, Zampa ed anche gli emcee statunitensi Natural Born Spitters AKA N.B.S. Il disco di Fastcut, lo abbiamo già detto, è potente a tal punto che sembra una produzione americana: di certo se questo disco fosse stato rappato tutto da hardcore spitter come potrebbero essere gli M.O.P., sarebbe stato un successo anche negli States.
& upcoming Un artista fra i più importanti di sempre e pioniere di una cultura che ha completato per sempre il mondo della musica, Afrika Bambaataa sarà con Autentica Giovedì 8 Marzo per prima data del suo Tour Europeo insieme ad alcuni membri della crew ed Mc Whipper Whip. Afrika Bambaataa Leggendario dj, pioniere hip-hop e fondatore della Universal Zulu Nation, Afrika Bambaataa svolge un ruolo importantissimo nel panorama musicale mondiale oltre che essere riconosciuto come una delle 3 figure fondatrici della cultara Hip-Hop. Nato e cresciuto nel Bronx, New York City, inizia a cimentarsi come dj nei primi
anni ‘70 finchè non si è guadagnato il nome di “Master of Records” ed è riconosciuto come il Padrino della musica e della cultura Hip-Hop ed Electro-Funk. Dopo aver scelto il nome d’arte Afrika Bambaataa (ripreso da quello di un capo Zulù considerato il precursore del movimento anti-apartheid) iniziò ad organizzare delle feste hip-hop, con le quali decise di interrompere le violenze esercitate dalle gang nei ghetti di NYC portando un messaggio di pace e rispetto. Una carriera che lo ha portato ad essere uno degli artisti più rispettati di sempre vantando collaborazioni con artisti come James Brown e George Clinton.
Se ti è mai capitato di ascoltare Machine Gun Kelly, molto probabilmente ti sarei detto almeno una volta “wow, chissà come è assistere ad un suo live!”. Io almeno me lo sono detto spesso, incuriosito dalla sua anima punk, oltre che dalla sua forza. Brani come “Till I Die”, “Wild Boy” e “Young Man” sono dei banger che durante un concerto renderanno probabilmente il triplo e molto presto potremo saperlo una volta per tutte! Il 20 giugno infatti, MGK suonerà al Carroponte di Sesto San Giovanni (Milano) per un evento che regalerà sicuramente emozioni forti. Cosa fai, vuoi perderti l’occasione di vedere live questo skillatissimo rapper bianco di Cleveland?
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di ascoltatori, sia a far arrivare questo genere a chi lo ha sempre considerato una moda passeggera, temporanea. E poco importa se solo da pochi anni a questa parte, i media, stanno iniziando a non vederlo più come un genere pleonastico. “C’è una guerra in atto ma ‘Fenomeno’ arriva a quasi a due anni precisi di dinessuno ne parla. Lo fa il stanza da Squallor. Eppurap.” Specificare chi abbia det- re ne sembrano passati molti di più. Se ‘Squallor’ to questa frase sarebbe una disamina pressoché è un disco nudo e crudo e uscito a sorpresa e senza inutile. È lapalissiano dire Fabri Fibra, al secolo promo, ‘Fenomeno’ è già Fabrizio Tarducci, rapper diverso fin dal giorno italiano classe ’76. All’al- zero : la faccia di Fabri ba dei suoi quarant’anni, torna in copertina, come i vecchi tempi, arriva poi l’artista marchigiano si appresta a dimostrare di il singolo che farà da trainuovo ciò che fa da circa no al disco, gli instore, le interviste e il tour. vent’anni. Ed è ovvio Stando alla buona e non solo per il semplice cara lingua italiana, il fatto che parlerò di lui sostantivo ‘fenomeno’ in questo articolo ma sta ad indicare qualcolo è perché, usando le sa di eccezionalmente parole di Noyz Narcos, speciale. Ma Fibra torna è uno dei pochi che ha indietro di tanti, troppi capito come funziona il anni, citando un suo rap game. Ma Fibra non è solo un rapper: in tutta pezzo estratto dal disco la sua carriera è riuscito con Lato, ‘La Cosa Più Facile’. Ed in quel caso il sia a costruirsi un personaggio, sia ad arrivare ‘fenomeno’ non è usato di certo con un’accezione a diverse generazioni
positiva, anzi. Il ‘fenomeno’ per Fibra è colui il quale si presenta davanti ad una telecamera, un microfono, delle persone, disposto a fare inanità semplicemente per trarne del profitto inteso come denaro o come semplice e inutile fama (“là fuori solo scimmie ammaestrate”, ‘Equilibrio’). L’incipit del singolo (“non andare in tv se no sei commerciale, cinque secondi e andiamo in onda”) simula il solito contenzioso tra i fan del rap italiano divisi tra chi è contento che la tv dia visibilità a questo genere e a questi artisti e chi invece pensa che questa presenza fra i media possa inificiare la serietà del rap e dello stesso rap game. È semplicemente l’ennesima fotografia della società di oggi da aggiungere all’album (fotografico!) di Fibra. Sarà anche per queste cose appena citate che Fibra sistema sulla sua faccia in copertina (realizzata dal solito Corrado Grilli aka Mecna) l’enorme scritta FENOMENO, come volesse mettere, come sempre, in chiave ironica, all’interno di questo argomento, anche il suo personaggio. Come ha sempre fatto.
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Come sapete è appena uscito l’ultimo album del talentuoso Jo-Vaughn Virginie Scott, meglio noto al grande pubblico con lo pseudonimo di Joey Bada$$. Il rapper di New York, classe ’95, ha classe da vendere e i temi su cui parlare non gli mancano. In questo ultimo lavoro ha avuto un occhio di riguardo speciale per uno dei temi più delicati e difficili dell’attualità americana: la politica. Eh sì, nonostante le lotte contro la discriminazione razziale condotte da Malcolm X e Martin Luther King durante gli anni ’60, nonostante la diffusione del conscious rap a livello mondiale come strumento di denuncia delle diseguaglianze sociali, nonostante al giorno d’oggi un sacco di artisti e personaggi neri si siano integrati perfettamente nel world entertainment system e continuino ancora a promuovere messaggi di sensibilizzazione contro la discriminazione della popolazione nera negli Stati Uniti, e nonostante abbiano avuto anche un presidente nero, i neri in America sono ancora un tabù. Ci credereste? Gli USA con 42 milioni di abitanti afroamericani, hanno ancora oggi problemi con l’integrazione della popolazione nera. L’unico collegamento che Joey Bada$$ aveva con la politica prima di questo
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album è stato il fatto che Malia Obama, figlia del presidente Barack, ha pubblicato una foto su internet in cui indossava la T-Shirt della Pro Era, come dimostrazione di supporto per la musica degli artisti di questa crew. Joey Bada$$ lo spiega già dal titolo, ALL-AMERIKKKAN BADA$$, oltre che essere un omaggio al defunto co-fondatore della Pro Era, ovvero Capital STEEZ (che pubblicò esattamente 5 anni fa Amerikkkan Corruption, il suo primo mixtape), è un chiaro riferimento all’arcinoto movimento razzista del Ku Klux Klan. Ora il suo impegno è sotto gli occhi di tutti: dalla pubblicazione del video simbolico di “Land Of The Free” il 6 marzo, alle dichiarazioni rilasciate nelle sue interviste. A Complex, liberamente citando il film campione di incassi di Jordan Peele “Get Out”, ha dichiarato che: “Essere una persona di colore in America è un film horror” Sull’album, ai microfoni della radio WiLD 94.1, ha detto: “Il nuovo progetto è molto potente. È la cosa migliore che io possa dire a riguardo: è musica davvero forte. È come le verdure. Ti fa bene, ed è stato questo il mio più grande dubbio: il fatto che faccia così bene, i ragazzini oggi vogliono le caramelle, non la verdura. Con ‘Devastated’ ho cercato di fare una caramella organica, perché è orecchiabile, ma il messaggio che manda è comunque buono.” Joey si è messo di fronte a una scelta: fare un album che fa bene alle casse della label oppure uno che faccia bene il lavoro di mandare un messaggio forte? Ci vuole coraggio per optare per la seconda e per fortuna al rapper di Brooklyn il coraggio non manca. ALL-AMERIKKKAN BADA$$ è uscito il 7 aprile scorso, contiene 12 tracce e collaborazioni di artisti
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come ScHoolboy Q, i compagni di label Kirk Knight e Nyck Caution, Meechy Darko dei Flatbush Zombies, il membro dei The Lox Styles P, il cantante Raggae Chronixx e J. Cole. Jermaine Cole, nella fattispecie, non è un artista molto propenso alle collaborazioni (e lo sappiamo grazie alle migliaia di meme che girano su internet) ma con Joey ha chiuso un occhio: i due si erano messi in contatto l’anno scorso perché J. Cole ha campionato “Waves” di Joey Bada$$ per la sua “False Prophets”, trovandoci un sacco di energia positiva, e in cambio Joey gli ha chiesto una strofa perché stava scrivendo i testi per “A.A.B.A”.
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Tra le produzioni invece troviamo i nomi di DJ Khalil, 1-900, Kirk Knight, Power Pleasant, Statik Selektah e Chuck Strangers. Il filo conduttore che troviamo nei pezzi è la descrizione da parte di Joey Bada$$ di un’America che, dopo tanti anni di lotte per l’uguaglianza, non è ancora riuscita a integrare degnamente la popolazione nera. I temi di cui discute sono i seguenti: razzismo, libertà, politica, l’abuso di potere da parte delle forze dell’ordine, incarcerazioni di massa, discriminazione dei giovani neri, critiche sulle politiche di Trump, riflessioni sul suo ruolo nella società e sugli stereotipi della popolazione di colore. In “Rockabye Baby” Badass parla di quando in passato è stato costretto ad affiliarsi ad una gang per superare le diseguaglianze della società. in “Devastated” narra le lotte che lui e sua madre hanno dovuto combattere per garantirsi un futuro. In “Why You Don’t Love me” personifica gli USA come una bella donna che però lo tratta a pesci in faccia. In “Temptation” viene campionata la voce di Zianna Olliphant, una bambina di 9 anni di Charlotte (North Carolina) che ha tenuto un discorso durante un consiglio popolare, pochi giorni dopo che la polizia sparò a Keith Lamont Scott. Questo album manda un messaggio forte che gli Stati Uniti e i paesi simili ad essi non possono permettersi di ignorare. Bisogna avere rispetto di coloro che continuano a combattere queste battaglie, nonostante si tenti sempre di far passare tutto ciò in secondo piano. Questa America, secondo Joey Bada$$, deve cambiare. E non possiamo cambiare il mondo se prima non cambiamo noi stessi.
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Un ringraziamento speciale a Claudio Brignole, fondatore di Aelle, per avermi concesso di usare Aelle e incoraggiato a proseguire con il percorso. Grazie Sid.
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