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Introduzione di Khaled Ghrissi e Soléne Compingt *

La democrazia è in crisi. Una constatazione oggi largamente condivisa. La democrazia rappresentativa registra oggi una percentuale d’astensionismo tanto grande da spaventare i suoi rappresentanti; la democrazia rappresentativa fa fatica a ricoprire i seggi e accumula le riforme; il mondo associativo perde vigore nel vano tentativo di ovviare alla riduzione dei servizi pubblici e all’aumento della povertà. Ma chi è responsabile di questa crisi democratica? Chi deve cambiare? Si ritiene a volte che i responsabili siano coloro che non vanno a votare, che non partecipano, quelli che non si integrano. Ma si può esaminare il problema attraverso un’altra ipotesi ed è quella che questo lavoro ci invita ad esplorare. Agire prendendo in considerazione la responsabilità collettiva. Agire sui fattori strutturali che producono l’attuale situazione, chiamare in causa le istituzioni, le imprese, promuovere cambiamenti nell’interesse generale, trasmettere il senso della cittadinanza attraverso l’impegno nelle azioni civili e non attraverso l’acquisizione della nazionalità, costruire la democrazia.

Agire in democrazia Nella loro ricerca di “idee per trasformare la Repubblica”, Pierre Rosanvallon e Jacques Rancière sono d’accordo su una cosa: il progresso * Rispettivamente responsabile della comunicaizone all’interno del Consiglio di Amministrazione e coordinatrice della Alleanza dei cittadini di Grenoble.

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della democrazia ha bisogno oggi di sviluppare “forze democratiche autonome che abbiano compiti, criteri di valutazione e di controllo (dei governanti) autonomi”1. Si tratta dunque di pensare il ruolo fondativo delle relazioni di potere, per riuscire ad esplorare un’altra componente della democrazia, quella della consultazione civica. L’Alliance citoyenne di Grenoble è stata costituita con questo fine. Nel suo ambito, le persone che normalmente hanno poco potere, si organizzano in modo indipendente dalle istituzioni, per poter consultare le collettività locali, le imprese e negoziare con esse delle soluzioni ai problemi che si presentano. Per costruire e far progredire le condizioni di un reale potere civico indipendente, l’Alliance citoyenne si basa sia su persone provenienti da quartieri diversi che da altre comunità*2 . Al di là dei sindacati e delle associazioni già esistenti, questo lavoro di organizzazione collettiva nell’ambito di comunità spesso non politicizzate, consente di includere nell’arena democratica un numero crescente di cittadini. Queste comunità possono perciò raccogliere e trasmettere le preoccupazioni dei membri che le compongono. Il fatto di condividere le medesime preoccupazioni con persone di altre comunità, spinge le persone ad allearsi, a riflettere insieme per trovare il modo di risolvere i problemi del quotidiano. L’Alliance citoyenne produce dei leaders* che dal punto di vista delle relazioni si basano sui metodi peculiari delle campagne civiche, nelle quali le persone reali sono al centro dei processi decisionali. A questo fine essa si munisce di uno strumento: gli organizzatori* che attraverso il loro lavoro facilitano il passaggio all’azione collettiva, con un ruolo che è una via di mezzo tra il sindacalista e l’agente di sviluppo locale. Ma in che modo è possibile costruire una organizzazione democratica senza cadere nel rischio dell’oligarchia? Com’è possibile conservare mobilità nel tempo senza cadere nella burocrazia? Com’è possibile professionalizzare lasciando il potere alle persone di buona volontà? O conciliare l’efficacia dell’azione con la 1 Nicolas Truong, Des Idée pour transformer une République encore oligarchique, “Le Monde”, 6 mai 2013. 2 Le parole seguite da asterisco sono oggetto di definizione nel glossario di fine opera.

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partecipazione di tutti? Queste sono le sfide alle quali cercano di dare risposta le conoscenze degli organizzatori e quelle dei leaders impegnati. D’altronde, queste sono le domande che ogni gruppo, ogni società si pongono e che costituiscono la sfida di ogni funzionamento democratico e le piste proposte in quest’opera saranno strumenti destinati ad ogni tipo di lettore. Agire in democrazia è un incoraggiamento ad operare: ciascuno dal proprio posto ma tutti rivolti ad un medesimo scopo, la costruzione del bene comune senza dimenticare le persone, perseguendo la democrazia come un ideale da raggiungere e come strumento per conseguirlo.

Introduzione La democrazia, etimologicamente “il potere del popolo”, è allo stesso tempo un ideale – una società giuridicamente egualitaria ed autonoma - e un problema in quanto realtà pratica che non può mai soddisfare completamente tale ideale. Come la società, la democrazia è in continua evoluzione. Infatti sorgono quotidianamente varie iniziative a diversi livelli che hanno lo scopo di perfezionarla o migliorarla. Le cosiddette forme classiche dell’azione democratica (impegno sindacale partitico o di voto alle elezioni) sono probabilmente in declino, ma non lo è certamente l’impegno civile. Le azioni collettive si evolvono e si diversificano (e parallelamente talune organizzazioni sindacali o partitiche si reinventano). Quali sono dunque le principali sfide democratiche che emergono nel XXI secolo? Perché e in che modo operare in democrazia?3

La sfida democratica Quando aumenta la sfiducia dei cittadini nei confronti di quelle istituzioni che dovrebbero garantire il funzionamento democratico, compaiono varie iniziative che hanno lo scopo di migliorare la democrazia e di rispondere a numerose sfide. 3 Robert J. Sampson, Doug McAdam, Heather MacIndoe e Simon Weffer-Elizondo, Civil Society Reconsidered: The Durable Nature and Community Structure of Collective Civic Action, «American Journal of Sociology», vol. 111, n. 3, 2005, pp. 673-714.

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Sviluppare il potere dei più svantaggiati La democrazia poggia sul principio di eguaglianza dei diritti di tutti gli individui, dove nessuno dovrebbe avere il potere di influenzare le decisioni più di altri. Però, l’ineguaglianza delle risorse finanziarie e sociali fra individui ostacola di fatto un’equilibrata partecipazione ai processi decisionali. È evidente che le élites* economiche hanno maggiore potere di influenzare le decisioni pubbliche e che tale ruolo non è democraticamente controllato4. Il potere del denaro prevale spesso sul numero. Allo stesso modo, le relazioni sociali possono pesare sulle decisioni: ottenere un lavoro, un posto al nido, una tariffa preferenziale, un arbitraggio favorevole, ecc. A questo proposito si parla di “capitale sociale” per designare le risorse costituite dalle “relazioni fra persone – le reti sociali e le norme di reciprocità e di fiducia che ne risultano”5. Inoltre, le risorse finanziarie facilitano l’accesso alle risorse sociali e viceversa (accesso a reti di relazioni, a posti ecc.). In altre parole, capitale economico e capitale sociale si arricchiscono a vicenda e sono altrettante risorse in grado di influenzare le decisioni politiche (capacità che potremmo denominare “capitale politico”). Questi meccanismi vengono decuplicati e legittimati dalla crescente adozione di teorie neoliberali. In effetti, i neoliberali non si limitano a difendere un’economia di mercato (come i liberali)6. Ponendo in concorrenza gli individui tra loro, li spingono di fatto a massimizzare egoisticamente le proprie risorse economiche e sociali. Di contro, l’incapacità dei più svantaggiati di influenzare le politiche pubbliche in quanto privati cittadini, produce a sua volta un aggravio delle ineguaglianze. Perciò, la lotta contro i dislivelli economici e sociali e il migliora4 Cfr. le analisi dei gruppi d’interesse realizzate in sociologia. Emiliano Grossman, Sabine Saurugger, I gruppi d’interesse in soccorso della democrazia?, «Revue Francaise de science politique», vol. 56, 2006, pag 316. 5 Robert D. Putnam, Bowling Alone: The Collapse and Revival of American Community, New York, Tochstone Book by Simon & Schuster, 2001, p. 19. 6 Il liberalismo economico consiste in una massimizzazione del libero scambio e della concorrenza grazie ad un intervento minimale delle istituzioni.

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mento della democrazia devono essere pensati congiuntamente. Giustizia sociale e democrazia sono indissolubili. La filosofa Nancy Fraser7, su tale base definisce il concetto di “giustizia sociale” che possiede, a suo parere, tre dimensioni: il riconoscimento, la rivendicazione di uno statuto uguale per tutti nelle interazioni sociali (dimensione simbolica), la redistribuzione delle ricchezze (dimensione economica) e l’accesso alla partecipazione o alla rappresentanza politica per tutti (dimensione politica). Occorre dunque raccogliere la sfida dell’accrescimento del potere (empowerment*) del maggior numero di persone ed in particolare di quelle che ne sono di fatto tenute lontane dalle diverse forme di capitale. Per creare e conservare i meccanismi di redistribuzione delle risorse socio-economiche e la regolamentazione dei diritti individuali e collettivi che garantiscono la giustizia sociale e la democrazia, occorre vigilare affinché ognuno abbia la possibilità di far valere i propri diritti ed i propri interessi. Per affrontare tale ineguale ripartizione del potere politico nella società, bisogna riconoscere nella realtà il ruolo politico delle reti di relazioni, dei gruppi d’interesse, delle associazioni e delle comunità* (nel senso ampio di un gruppo di individui riuniti attorno ad un valore, ad una appartenenza, ad un interesse comune). Per la Francia si tratta di un passo decisamente contro-culturale, perché l’ideale democratico di eguaglianza politica tra individui che risale alla Rivoluzione francese, poggia sulla teoria di un legame diretto tra ciascun individuo e la nazione intera. In questa logica, i gruppi di pressione anche detti “comunità d’interessi” e la loro attività, le lobbying*, non devono esistere perché inficerebbero la definizione di interesse generale. I rappresentanti della Repubblica che vengono eletti, sostenuti da tecnici esperti al servizio dello Stato, sarebbero i soli depositari di questo interesse generale grazie ad un legame teoricamente diretto e paritario con ciascun cittadino. Ma la pratica ha avuto ragione di tale ideale. Non è possibile fare astrazione dell’aspi7 Nancy Fraser, Justice sociale, redistribution e riconoscimento, Giustizia sociale, redistribuzione e riconoscimento, «Rivista del MAUSS,» vol. 23, 2004, pp. 152-164.

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razione umana – tanto dei cittadini che degli eletti e dei funzionari – alla libertà ed al bisogno di associarsi per difendere valori, diritti o interessi e, in senso più ampio, per organizzare la vita nella società. I “corpi intermediari*”, quali i sindacati e le associazioni, sono stati anch’essi legalizzati un secolo dopo la Rivoluzione (in particolare con la famosa legge 1901). Tuttavia, una parte della società francese e una maggioranza delle sue istituzioni conservano un atteggiamento cieco od ipocrita rispetto al ruolo dei gruppi di interesse e delle relazioni personali nel processo decisionale, inducendo frustrazione, sfiducia, senso d’ingiustizia e aumento della illegalità. L’esistenza e l’azione di gruppi di pressione, che nella maggior parte dei casi rappresentano gli interessi dei dirigenti economici o dei più ricchi, dev’esser resa visibile per poter essere controllata e controbilanciata8. Allo stesso tempo occorre mettere insieme le condizioni perché tutti, anche i più svantaggiati, possano organizzarsi, associarsi ed interagire al fine di esprimersi e di partecipare alle decisioni che li riguardano. La regolamentazione dei diritti e la distribuzione equa delle risorse aumenterà naturalmente. Si tratta di assicurarsi che i corpi intermedi*, formali o non, che si creano in permanenza nella società, non tradiscano gli ideali di eguaglianza e di fraternità ma che, al contrario, diventino il veicolo di tali valori e un’apertura verso l’impegno politico* in senso lato, per il maggior numero di persone. La finalità di questa partecipazione di tutti (conseguire le migliori soluzioni per il bene comune o, in altre parole, per un interesse generale maggiormente inclusivo) è importante, ma lo è altrettanto il processo (acquisizione di un capitale sociale o di una fiducia in sé che permetta di agire nella società) che consente, a lungo termine, di modificarne la ripartizione. Si tratta in altre parole di uscire da una logica assistenziale – “pensare, decidere e fare al posto di” – che di solito fa più bene a chi la fa che a coloro che la ricevono. Le prevaricazioni subite hanno davvero, in tal caso, la tendenza a riprodursi. 8 “L’Appello ai cittadini per un inquadramento ed una trasparenza delle attività di lobbying in direzione delle istanze di decisioni pubbliche” della rete ETAL, va in questo senso. Cfr. http://www.reseau-etal.org/ (consultato nel gennaio 2015).

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Verso un diritto d’interpellanza Il rapporto Per una riforma radicale della politica della città, non si farà più senza di noi, consegnato da Marie-Hélène Bacqué e da Mohamed Mechmache al ministro delegato incaricato della Città, Francois Lamy nel giugno 2013, propone di inserire «un diritto d’interpellanza civica come una dimensione che fa parte integrante del funzionamento democratico della Repubblica». Questo rapporto parte dalla constatazione che la democrazia rappresentativa e i dispositivi di partecipazione istituzionale non consentono, da soli, di cancellare le diseguaglianze in termini d’accesso alle decisioni politiche. Esso propone, a complemento del finanziamento pubblico di queste due forme di democrazia (rappresentativa e partecipativa), di “liberare i mezzi umani e finanziari” che favoriscono la democrazia attraverso il diritto d’interpellanza. Si tratta di creare «le condizioni per una costruzione maggiormente inclusiva dell’interesse generale». Questa proposizione non è stata ripresa nella legge per la città e per la coesione urbana del febbraio 2014: alcuni abitanti assieme ad alcune associazioni dei quartieri popolari, hanno creato nel settembre 2014 la coordinazione nazionale Pas sans nous (“Non senza di noi”) proprio per rivendicare questo diritto di tutti all’interpellanza9. Calare le relazioni umane e il potere nel cuore della politica La democrazia si riduce ad una serie di dispositivi tecnici prestabiliti che poggiano sulla passività e sull’isolamento del cittadino. I corsi di educazione civica lo dimostrano ampiamente sia nella sostanza che nella forma: la democrazia viene descritta come una sommatoria di dispositivi che gareggiano per complessità e il suo insegnamento continua a declinare, lasciando gli alunni passivi e non incoraggiandoli affatto ad interagire con la società. Il disinteresse verso i partiti politici così come verso i meccanismi democratici (le elezioni per esempio) è dovuto in parte al loro funzionamento scarsamente leggibile ma anche alla loro involuzione. 9

Cfr. passensnous.fr (consultato nel gennaio 2015).

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Che questo sia l’auspicio di una élite o il risultato della istituzionalizzazione della democrazia, la politica somiglia sempre di più ad una scatola nera che solo dei professionisti che ne fanno la loro carriera hanno il potere di decodificare. Inoltre, la tecnicizzazione dei dibattiti sulle istituzioni politiche, ha la tendenza a relegare in secondo piano il loro significato, al punto che questo finisce con lo scomparire (il “come” batte il “perché”). Un ulteriore limite è costituito dalla tendenza a considerarla uno stato permanente, a viverla come finalità che è tipico delle istituzioni e del personale politico, mentre dovrebbe essere costantemente oggetto di discussione. “Tale meccanismo, tale istituzione è sempre necessaria ed utile alla democrazia? Al bene comune? Questo o quel rappresentante è ancora in grado di rappresentarci?”. Perciò è la politica che si disinteressa dei cittadini, più di quanto i cittadini non si disinteressino della politica. In democrazia, l’organizzazione della vita in società (la “politica” in senso etimologico), in un modo o nell’altro dovrebbe essere una attività sociale condivisa da tutti. Dovrebbe produrre convivialità e non isolamento. Amore, ironia, poesia, emozione, piacere, creatività, gioia, felicità sono nozioni che in politica dovrebbero essere riabilitate. Queste parole esprimono il senso che ciascuno di noi dà o vorrebbe dare alla propria vita. Inoltre è interagendo spesso con persone nuove che i cittadini possono sviluppare la propria coscienza dell’alterità e riconoscere il bene comune. Acquisendola, sono in grado, ad esempio, di percepire in modo più naturale l’importanza di un equo accesso alle risorse ecologiche, materiali o culturali e dell’importanza di preservarle per le generazioni future. Anche la nozione di potere dovrebbe ritrovare in politica il giusto posto, poiché esprime il modo di produrre dei cambiamenti. La mediazione che dev’esser fatta fra singole persone che hanno obiettivi divergenti, dipende dal potere di cui dispongono. La trasformazione delle relazioni di potere è una tappa fondamentale per far evolvere ogni situazione insoddisfacente. Il problema dell’élitismo non può risolversi con la negazione del potere o del suo esercizio, della leadership*. Sopprimere il potere significa sopprimere la possibilità, ma anche il 14


diritto, delle persone di fare qualcosa di diverso da ciò che ci si aspetta da loro, significa sopprimere la loro autonomia e ridurle alla condizione di macchine. È lo sviluppo della leadership di un maggior numero di persone che può ridurre il rischio di élitismo. Ed è l’apprendimento di capacità collettive nuove che consente di cambiare i rapporti di potere10. Collocare relazioni umane e potere al centro delle preoccupazioni e delle modalità di comportamento in democrazia significa riconoscere la loro importanza in ogni processo di cambiamento: l’innovazione e la creatività sociale e di conseguenza politica, nascono da relazioni e situazioni nuove e, in particolare, da incontri e confronti fra coloro che normalmente non si parlano affatto. La storia e la società sono una creazione umana che non deve essere sminuita da istituzioni stereotipe o da procedimenti predeterminati. Benessere e collaborazione nel cuore della politica Vi sono numerose iniziative che mettono in primo piano il benessere di tutti come obiettivo di società e sviluppo umano duraturi (es.: i gradi Spiral di co-costruzione di progetti partendo dalla definizione di benessere fatta dai partecipanti, condotta dalla rete d’azione internazionale Together)11. Queste miravano a distinguersi da una concezione del progresso unicamente basata sulla produzione di ricchezza (notoriamente misurata dal PIL) che tende a ridurre ogni azione umana od istituzionale ad un atto economico, soggetto a criteri di redditività. Esse pongono in luce il ruolo determinante delle dimensioni immateriali del benessere quali un ambiente opportunamente preservato, la riconoscenza, la fraternità, la fiducia in se stessi, negli altri, nelle istituzioni e nell’avvenire, ecc. Queste iniziative in modo particolare si avvalgono di metodi collaborativi. Sviluppano per la società prospettive diverse dalla massimizza10 Queste analisi sulle relazioni di potere riprendono quelle fatte in sociologia dalle organizzazioni di Michel Crozier e Erhard Friedberg: L’acteur et le système: les contranites de l’action collective (L’attore e il sistema i vincoli dell’azione collettiva, Seuil, Paris 1977 11 Rete internazionale dei territori di corresponsabilità creata nel 2009, https://wikispiral.org/tiki-index.php?? pag=R%A9seau+des+territoires (consultato nel gennaio 2015).

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zione della ricchezza o dei diritti individuali12. Si tratta di accrescere la capacità dei cittadini a collaborare e a dar un senso alla politica. Condividere le responsabilità con chiarezza e giustizia Il potere comporta delle responsabilità. Sviluppare il proprio potere vuol dire anche ridefinire le proprie responsabilità. Vivere insieme significa anche doversi mettere d’accordo sulle responsabilità di ciascuno nella società. Però, senza chiarezza, la condivisione implicita dei doveri e delle responsabilità comporta spesso una effettiva cancellazione delle stesse che vengono continuamente rimbalzate dall’uno all’altro. Di cosa sono effettivamente responsabili i vari attori della società (istituzioni pubbliche, imprese, associazioni, cittadini…)? Ogni modello di società si costruisce appunto fornendo delle risposte diverse a queste domande. Un primo problema è che questa condivisione delle responsabilità non viene praticata sempre in modo democratico e generalmente non è nemmeno conosciuta. Inoltre, come le relazioni umane, la ripartizione delle responsabilità è in continua evoluzione, fatto che rende ancora più difficile il compito di chiarificazione che deve essere pertanto un processo continuo. L’uso crescente della parola “governance” consente di illustrare tale fenomeno: vi sono numerose responsabilità che devono essere coordinate. Spesso criticata per essere una parola contenitore, vuota di senso, fatta apposta per mascherare il disimpegno dei pubblici poteri, questa nozione consente tuttavia di mettere in luce l’emergenza di una società civile* più organizzata politicamente che richiede maggiore trasparenza e possibilità di accesso alle decisioni. Un altro problema è quello dell’assenza di meccanismi che consentano a coloro che hanno delle responsabilità collettive di render conto del loro operato. Ad esempio, nell’esercizio del potere che è stato loro “affidato”, i governanti e di dirigenti dovrebbero rispondere in permanenza della “fiducia” che è stata loro accordata, il che presuppone un dovere di “render con12 Prospettive chiamate in causa da Wendy Brown per contrastare lo sviluppo del neoliberalismo e dei suoi effetti antidemocratici; Neoliberalism and the End of Liberal Democracy, «Theorie & Event», vol 7, n. 1, 2003.

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to”. Tale processo di “verifica della fiducia” si definisce “responsabilità”. La lingua inglese usa un sostantivo quasi intraducibile – accountability – che esprime quest’idea di render conto13. È cosa nota che numerose istituzioni pubbliche, associative pubbliche o private, di lucro o caritative, praticamente non rendano affatto conto del loro operato a coloro sui quali producono degli effetti (salariati, beneficiari ecc.) e ne rendano ben poco a coloro che hanno affidato loro il potere che esercitano (contribuenti, aderenti, azionisti, amministratori ecc.). Per fornire una risposta a tale limitazione si stanno sviluppando nuove forme di controllo (tipo associazioni di consumatori od utenti) ovvero di delimitazione (creazione di nuove organizzazioni, sindacati, imprese o associazioni su modello cooperativo che sviluppano reti di mutuo soccorso o di condivisione autogestita di beni via Internet, ecc.). L’evoluzione verso modalità di funzionamento e d’intervento più collaborative e democratiche può avvenire anche in seno alle istituzioni (come l’apertura dei consigli d’amministrazione o comitati di orientamento ai beneficiari, evoluzioni nel senso di un funzionamento meno gerarchico e più trasversale), sia come risposta ad una interpellanza, che in una logica interna di responsabilizzazione democratica e societaria oppure in una mera logica gestionale. È il caso, su scala governativa, delle così dette iniziative di “democrazia aperta” che promuovono la trasparenza dei conti pubblici, la partecipazione cittadina e la collaborazione orizzontale dei componenti della società civile14. Come sottolineano i sociologi Michel Crozier e Erhard Friedberg, la partecipazione di tutti i membri di una organizzazione al suo governo, consente di scoprire problemi che altrimenti non sarebbero mai emersi nonché di pervenire a soluzioni più pratiche ed a compromessi di buon senso. Tale partecipazione dev’essere fondata su una responsabilità as13 Francois Bastien, Il preoccupante declino della responsabilità politica nelle nostre democrazie, “Le Monde”, 21 luglio 2010. 14 http://fr.wikipedia.org/Gouvernement-ouvert (consultato nel dicembre 2014). A titolo d’esempio, il programma “Territori altamente cittadini” propone ai collettivi locali di operare una transizione democratica sperimentando forme di governo aperto. Cfr. http:// democratieouverte.org/projects/territoires-hautement-citoyens (consultato nel gennaio 2015).

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sunta in modo più chiaro dai partecipanti ai quali viene riconosciuto un certo margine di libertà. Essa consente e infine favorisce la scoperta e l’apprendimento di modalità relazionali nuove15. Un ultimo problema è rappresentato dal fatto che spesso, sotto l’apparenza della democratizzazione e della condivisione delle responsabilità, alcune delle iniziative di sviluppo del potere da parte dei cittadini, vengono portate avanti a spese dei più deboli. La retorica democratica di responsabilizzazione della società civile che si accompagna all’ingiunzione alla “resilienza”, alla “transizione” o alla partecipazione, può non essere affatto accompagnata dai mezzi necessari a che i più svantaggiati possano sviluppare ed esercitare il loro potere. D’altro canto, può servire a giustificare il blocco dei meccanismi già acquisiti di redistribuzione della ricchezza. In questo senso, le politiche così dette neoliberali spingono gli individui ad assumersi la completa responsabilità delle proprie azioni e delle loro conseguenze, quali che siano le circostanze che le producono. Questa responsabilizzazione infine, non riguarda la partecipazione alle decisioni collettive. Il cittadino neoliberale è quello che sceglie per conto proprio fra le diverse opzioni sociali, politiche ed economiche e non quello che opera con altri per modificare o rendere possibile tali opzioni. L’ambito di responsabilità personale è ampliato, ma la partecipazione e l’empowerment politico non è affatto raggiunto. La legge e il governo dovrebbero essere al servizio dell’economia e dovrebbero farsi carico di diffondere un complesso di norme sociali atte a favorire la concorrenza e il libero scambio16. Se si arriva al punto che una persona qualsiasi non è in grado di difendere i propri interessi o di porvi rimedio né di emanciparsi da violenze o soprusi, la democrazia diminuirà mano a mano che aumenteranno le ineguaglianze sociali. 15 Cfr. Michel Crozier, Erhard Friedberg, L’acteur et le système: les contraintes de l’action collective (L’attore e il sistema: i vincoli dell’azione collettiva), cit. 16 A differenza del laissez faire del liberalismo economico classico, il neoliberalismo non considera il comportamento economico razionale come semplicemente naturale. Cfr. Wendy Brown, Neoliberalismo e fine della Democrazia Liberale, cit.

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