Estratto La nuova battaglia per il voto

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AA.VV.

La nuova battaglia per il voto

Armando editore


Sommario

Introduzione Volontari: una forza preziosa per abbattere i limiti di tempo e soldi in campagna elettorale e aumentare i consensi Valentina Di Leo Fusione di enti locali e il ruolo civicodella community online Micael Camozzi Nuovi strumenti di ricerca per una realtĂ sociale e politica in continuo mutamento Federico Stentella

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Nuove tecniche per la gestione della campagna elettorale locale Matteo Ampola

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Raccolta fondi online in campagna elettorale Giulia Barbieri

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Scienza della costruzione del consenso Elio Pangallozzi

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La storia è relazione: il successo dello storytelling nella comunicazione politica

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Alla conquista di elettori e sostenitori attraverso il web

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Il fact-checking in politica

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Gianluca Sgreva

Valerio Quatrano Pagella Politica


Introduzione

La rivoluzione innescata dall’ingresso delle nuove tecnologie digitali nella vita quotidiana ha trasformato il modo in cui leggiamo, comunichiamo, ci spostiamo, lavoriamo, c’informiamo, acquistiamo, costruiamo e alimentiamo relazioni. Tutti, volenti o nolenti, hanno dovuto fare i conti con il potere dirompente della Rete: le case discografiche, la stampa, le aziende di telecomunicazione, le agenzie di viaggio (solo per fare i primi esempi che vengono alla mente) stanno sperimentando sulla propria pelle le conseguenze, spesso difficilmente prevedibili, dei mutamenti che il web ha provocato. La comunicazione, il business, il management, gli ambienti di lavoro: ogni aspetto del nostro modus agendi deve essere rivisto e reimmaginato alla luce del cambiamento causato dall’arrivo di Internet. Ci troviamo nel bel mezzo di una svolta epocale le cui proporzioni sono paragonabili a quelle intervenute dopo la comparsa della stampa a caratteri mobili, della corrente elettrica e del petrolio. La nostra società, le nostre strutture, i nostri schemi mentali sono stati concepiti per un’era in cui le dinamiche del web non erano note e prevedibili: ora dobbiamo reinventarci dei modelli che ci consentano di sfruttare appieno le potenzialità e le opportunità offerte dalle nuove tecnologie e di comprenderne e neutralizzarne, se possibile, i rischi. La sfida è di quelle entusiasmanti. Noi tutti, studiosi, creativi, visionari, futurologi e uomini della strada siamo chiamati a immaginare e a costruire il domani che ci aspetta. Molti sono gli scritti che esaminano l’impatto del web nei diversi ambiti della vita aziendale, del business in generale e della sfera personale. 7


Quello che manca in Italia è una panoramica sugli scenari aperti in uno dei settori più fortemente colpiti dall’era digitale: quello della politica. A sostegno di tale asserzione, porto un esempio nostrano di scuola: proprio in Italia, Grillo, un personaggio già famoso (come comico polemista), con il blog più seguito del suo Paese (e per molti anni fra i dieci più seguiti al mondo) è riuscito in pochi anni e con pochi mezzi a sfiorare la vittoria nelle elezioni politiche, conquistando il consenso di quasi un terzo dell’elettorato. Quello del Movimento 5 Stelle costituisce un unicum nel panorama mondiale: la rivista statunitense ha definito «Business Insider» l’ascesa dei grillini “il più incredibile successo nella storia della politica online”. Porto l’esempio del partito di Grillo come case history, non perché la strategia, il messaggio o gli strumenti utilizzati siano particolarmente innovativi o efficaci (come vedremo, anzi, gli approcci utilizzati sono molto meno evoluti di quelli provenienti da oltreoceano) ma perché è il risultato ottenuto a essere straordinario: con un blog, un sapiente utilizzo delle piazze, un effetto eco televisivo (senza mai partecipare a un dibattito), con pochi spiccioli, l’ex comico e Co. sono riusciti a creare una macchina di consenso di proporzioni mastodontiche. Lasciamo stare gli aspetti inerenti l’antipolitica, le critiche sulla struttura e le polemiche sulla gestione del dissenso interno al partito (che non sono oggetto di questo studio): le elezioni del 2013 costituiscono l’esempio lampante di come un sapiente utilizzo delle nuove tecnologie possa portare a risultati inimmaginabili. In Italia, nei giorni successivi allo spoglio elettorale, veniva riproposta viralmente su YouTube in maniera canzonatoria la frase sfida di Fassino (allora segretario del PD) che nel 2008 invitò Grillo ad accettare le regole di partito o a fondarsene uno proprio; e in neanche un lustro la sfida è stata recepita e vinta. Com’è potuto accadere? Per chi segue le vicende legate al mondo della tecnologia e conosce un po’ di storia, l’evento non è affatto nuovo e stupefacente: le fondamenta logiche del fenomeno sono spiegate alla perfezione da Jared Diamond nel suo Gun Germs and Steel. Si ripete un canovaccio noto, sviscerato anche da Jacques Attali: conoscere e sfruttare al meglio la frontiera tecnologica consente ai singoli, alle imprese, alle civiltà di avere un vantaggio competitivo notevole 8


e di raggiungere risultati di gran lunga superiori rispetto alla concorrenza. I politici lungimiranti hanno imparato la lezione: hanno capito, d’ora in avanti, di non poter fare a meno della Rete e di doverne conoscere alla perfezione i meccanismi di funzionamento. Anche per questo nel libro abbiamo cercato di fare una rassegna più completa possibile sullo stato dell’arte in materia: parliamo approfonditamente di cosa è possibile fare, utilizzando al meglio quanto l’avanguardia tecnologica ci offre. Scoprirete quanto talento si nasconde nel nostro Paese: abbiamo consulenti in grado di applicare scientificamente modelli teorici alle campagne digitali, sondaggisti in grado di proporre esperimenti innovativi, esperti in grado di coniugare i principi dello storytelling alla politica, community manager in grado di accettare sfide ai limiti dell’impossibile. Insomma l’Italia deve guardarsi intorno ma non ha nulla da temere: non a caso Il Principe, tutt’ora il testo più studiato nelle università del mondo, è stato partorito dall’ingegno italiano. Ma l’intento di questo libro è molto più coraggioso, non vogliamo fare una semplice rassegna: vorremmo suggerire a politici e cittadini la via del cambiamento possibile. La tecnica per noi è solo un mezzo: i fini sono altri. Ma cominciamo per gradi il nostro excursus focalizzandoci sull’aspetto più eclatante, sulla tematica più interessante per il politico: la raccolta del consenso tramite l’utilizzo dei nuovi canali di marketing e di comunicazione digitale. Da quando il repubblicano Bob Dole, alla fine di un dibattito politico per le presidenziali americane in TV, invitò i telespettatori a visitare il suo sito, il web ha fatto il suo ingresso nella strategia della comunicazione politica. Correva l’anno 1996. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti e avere un piano di marketing online è diventato indispensabile per ogni aspirante politico americano (e non solo). Che il sapiente utilizzo dei mezzi di comunicazione sia di fondamentale importanza nella strategia di ricerca e di consolidamento del consenso è risaputo da quando esiste il suffragio universale e da quando esistono i mass media (non a caso la propaganda dei regimi nazi-fascisti è la prima a sfruttare sapientemente, ahimè, e cogliere le potenzialità 9


della radio per accrescere il consenso e plasmare le coscienze con metodi scientifici). Ben presto la TV soppianta la radio come mezzo di comunicazione preferito dagli aspiranti leader. Il nuovo media trova il suo guru in Kennedy che, nel 1960, nel confronto sul piccolo schermo con Nixon, pone le basi per la vittoria elettorale alle presidenziali. Da allora sapersi sintonizzare con l’audience televisiva costituisce un requisito (quasi) indispensabile per ogni politico di rilievo. Ancora oggi la televisione costituisce il medium più corteggiato e che attrae i maggiori investimenti al di qua e al di là dell’oceano. Agli strumenti elettorali classici dal ’96 si aggiunge una nuova entrata: la Rete. All’inizio in pochi comprendono le potenzialità e le differenze del nuovo medium rispetto ai suoi predecessori. Internet rivela i suoi effetti dirompenti e non facilmente controllabili già nel 2002 quando alcuni blogger fanno esplodere il caso Lott: una notizia ignorata dalla stampa ufficiale, ma rimbalzata sulla blogosfera, scuote prepotentemente la scena politica causando la fine della carriera di un noto esponente del partito repubblicano. L’establishment per la prima volta viene messo a soqquadro dal nuovo oggetto misterioso. Ma le enormi potenzialità della Rete emergono con assoluta evidenza solo nel 2008 con la favola di Obama: quella dell’outsider che, grazie alla conoscenza dei segreti della nuova pietra filosofale, intraprende il viaggio dell’eroe e sconfigge il gigante Hillary Clinton prima e il veterano McCain poi. Che Internet sia l’asso nella manica del primo presidente di colore degli Stati Uniti d’America è un dato inconfutabile: • • • •

500 milioni di dollari raccolti tramite il web; oltre 10 milioni di indirizzi email nel database; più di 10 milioni di amici su Facebook; 1 miliardo di minuti di video girati dai fan.

Questi sono i numeri impressionanti che il “novello Kennedy” può vantare alla fine della campagna. Obama e il suo staff insegnano ai politici di tutto il mondo come interagire con la Rete facendo comprendere e utilizzando a proprio beneficio le logiche comunicative proprie del nuovo medium. Qui le regole 10


classiche, valide per radio, TV e carta stampata non sono efficaci. Nei “vecchi” media il messaggio politico si diffonde: 1) dall’alto verso il basso (comunicazione di tipo top down); 2) in assenza di contraddittorio. È il leader che lancia il suo monologo o i suoi slogan, spesso senza interlocutori in grado di controbattere. Il dibattito avviene con politici all’interno di appositi “contenitori” preconfezionati alla presenza di moderatori o di giornalisti. I (rari) incontri in piazza e i comizi sono l’unico momento di confronto reale con l’elettorato. Invece online la comunicazione segue paradigmi nuovi: diventa di tipo bottom up (dal basso verso l’alto) e si propaga da molti a molti. L’elettore non è più un semplice soggetto passivo, ma può finalmente partecipare attivamente alla conversazione politica. Obama sfrutta le peculiarità del web per creare una campagna online in grado di conseguire molteplici risultati. Già nel 2008, quando in Italia e in Europa i social network sono quasi sconosciuti, i blog sono appannaggio di pionieri, non si comprende il valore reale dei motori di ricerca, lo staff del primo presidente afroamericano riesce a: • realizzare un sito web accattivante, vero e proprio hub della sua comunicazione digitale; • fare un uso intelligente della newsletter; • sfruttare immagini suggestive e web friendly per accrescere l’engagement dei sostenitori; • costruire comunità di follower e blogger in grado di appoggiare e diffondere il proprio messaggio; • utilizzare un’appropriata strategia SEO e SEM (cioè acquisire visibilità sui motori di ricerca quali Google, Yahoo, e Bing) al fine di intercettare le domande più ricorrenti in Rete e far conoscere la propria opinione in merito; • fare della rete un potentissimo strumento per raccogliere fondi (fund raising). Non solo, nel 2012 Obama solleva ulteriormente l’asticella, tanto da poter affermare che in America in tale anno si sono tenute le prime elezioni digitali della storia. 11


Infatti, Barack dà inizio alla campagna con un video su YouTube e presiede tutti i social network (studiando una strategia di approccio propria per ognuno di essi). Il 30 gennaio 2012 il presidente manda in diretta streaming l’evento intitolato Obama’s Google+ Hangout: dalla Stanza Ovale risponde alle domande dei cittadini selezionate tra le oltre 133mila pubblicate sul canale video di Google. Ma oltre a questo aspetto social, di portata comunque non trascurabile, la vera innovazione delle ultime presidenziali è costituita dal data mining a fini elettorali: se nel 2008 la Rete serve per raccogliere indirizzi mail, quattro anni dopo, i dati raccolti sono utilizzati come mezzo per segmentare il target e quindi i temi da veicolare. Per ognuno un messaggio ad personam. Si apre così la strada a uno degli sviluppi più interessanti nel campo della comunicazione politica digitale del futuro. Non solo Obama, ma l’America tutta continua a indicarci la strada da percorrere per un efficace web marketing politico. Bisogna dire che gli spunti che arrivano dagli USA, seppur interessanti sul piano scientifico, non possono essere tradotti tout court allo scenario nazionale ed europeo. Non è casuale che (quasi) tutte le innovazioni nel nostro ramo arrivino da oltreoceano, dove: 1. il sistema politico è fortemente concorrenziale; 2. esiste una disciplina della privacy meno stringente; 3. la popolazione è mediamente più tecnologizzata; 4. esistono diverse regole elettorali. In Italia la situazione è totalmente differente: il Porcellum e le liste bloccate (imposte) fanno sì che i nostri politici si sentano “unti” e la voglia di fare comunicazione politica diviene un’esigenza solo a ridosso delle campagne elettorali. Diverso è il discorso per quel che riguarda la competizione a livello amministrativo e nel caso delle “primarie” di partito: non è un caso, infatti, come apprenderemo nel corso della trattazione, che gli esperimenti più interessanti siano stati fatti proprio in tali ambiti. Per avere un quadro d’insieme, leggiamo quanto riportato nel sito della fondazione camera, in un post che riassume le conclusioni dello studio effettuato da Sara Bentivegna (pubblicate nel libro Parlamento 2.0): 12


“Con l’obiettivo di descrivere puntualmente la situazione italiana è stata condotta una ricerca empirica che ha monitorato per circa un mese (febbraio 2011) la presenza e l’attività dei parlamentari in Internet. Il quadro che ne emerge è, a dire il vero, non proprio brillante. Complessivamente, è presente nella websfera solo il 55,5% dei parlamentari, con uno scarto di circa 10 punti tra Camera (58,3%) e Senato (49,8%). Per dare un’idea dell’arretratezza della situazione italiana, è sufficiente porre a confronto i dati relativi all’adozione del sito – espressione più compiuta del web 1.0 e ormai superata dal web partecipativo – con quelli di paesi con caratteristiche simili (forniti dai periodici Rapporti dell’Inter Parliamentary Union): 25% vs 81%. Né va meglio sul fronte dei social network, ovvero l’ultima tentazione tecnologica prontamente adottata da circa 2 milioni di cittadini italiani. I dati registrati nel 2012 vedono i parlamentari italiani presenti nella misura del 21% contro il 70% dei loro colleghi statunitensi e il 49% degli ospiti di Westminster”. Per onore di cronaca bisogna dire che le cose nell’ultimo biennio sono cambiate: infatti i leader nostrani hanno cominciato a invadere massicciamente i social e soprattutto Twitter. L’establishmnet si è accorto della veridicità di quanto affermato da Alec Ross, secondo cui il web ha eroso il potere d’intermediazione di 3 soggetti: delle agenzie, dei giornali e dei partiti e si è accorto che i numeri degli internauti, soprattutto sui social, non si possono trascurare. Peraltro, come già detto, i politici italiani (eccetto Grillo, Vendola, Renzi, Civati e altri big) sono molto lontani dall’avere strategie di comunicazione efficaci: i loro staff spesso ignorano le sottigliezze della Rete e le logiche dei canali scelti. Non è un caso che si sia preferito Twitter rispetto agli altri social. Come rilevato di recente dal Centro Studi Etnografia Digitale, analizzando matematicamente l’evoluzione della comunicazione delle recenti primarie (2013) del PD su Twitter, non si è svolto un dibattito politico, ma una comunicazione con le seguenti caratteristiche: a) un discorso verticale: gestito e monopolizzato principalmente da politici e giornalisti; b) un discorso autoreferenziale: in cui si parla principalmente delle primarie in sé e dei candidati; c) un discorso mediatico: gestito (da giornalisti) e influenzato dai media tradizionali (CSX Factor); 13


d) un discorso mediatizzato: il topic principale che circola al suo interno è un argomento tipicamente televisivo, che abbiamo definito politics (ovvero un “discorso di politica su un piano generale incentrato sulla qualità, sul confronto, sui giochi di alleanze e sui risultati sondaggistici di candidati e partiti”). Soprattutto, quello che molti dei leader non comprendono (o non vogliono comprendere), è che la Rete, oltre a essere una cassa di risonanza e uno strumento di self promotion, può rappresentare un mezzo per migliorare la propria azione politica e amministrativa. È questa la parte più stimolante: la ragione principale per cui ci siamo imbattuti nell’impresa di scrivere questo libro. Per noi politica 2.0 non vuol dire soltanto nuove tecnologie quanto un nuovo modo di pensare la Res Publica. L’Italia, come molte democrazie, è spazzata da un’ondata di antipolitica: da tempo chiunque si occupi della gestione della cosa pubblica è visto con sospetto. L’indifferenza, l’apatia nel migliore dei casi e il disprezzo sono i sentimenti che i governanti ispirano (sia al di qua che al di là dell’oceano). Il sistema democratico occidentale, faro dello sviluppo mondiale fino ai giorni nostri, pare non reggere il peso delle complessità del XXI secolo e soffre, così come sono in sofferenza i sistemi economici e sociali che ne costituiscono il sostrato materiale: le società sono sempre più polarizzate e nei parlamenti è un’utopia fare scelte super partes, proprio quando ne avremmo maggiore necessità. In un momento in cui servirebbero leadership lungimiranti e salde, in grado di affrontare le sfide che il mondo piatto e iperconnesso pone, di ridisegnare l’architettura istituzionale degli Stati e riscrivere regole condivise al passo con i nuovi scenari, assistiamo quotidianamente allo spettacolo indecoroso offerto dalle caste: privilegi inaccettabili, scandali, spartizioni selvagge, comportamenti al limite del codice penale riempiono purtroppo le cronache Così parlare di marketing politico, marketing elettorale e strumenti per la gestione della democrazia 2.0 può sembrare fuori luogo in un contesto in cui le menti più fertili della società civile si allontanano sempre più dal teatrino della politica. Ma il disinteresse non è una risposta responsabile: anzi è la peggiore delle opzioni possibili. 14


Ritirarsi nel proprio orticello equivale ad abbandonare i diritti, a divenire sudditi invece che cittadini, a lasciare campo libero ad approfittatori, faccendieri e opportunisti che non possono che accompagnarci nel baratro. Significa affidare il timone della nave nelle mani dell’orchestra festante del Titanic. Il problema è che noi abbiamo un disperato bisogno di politica: il bene comune è troppo importante per essere dissipato. Il Titanic non può e non deve affondare. Nessuno può immaginare di potersi ritagliare un’oasi felice all’interno di una società divisa, disoccupata, affamata, malgovernata e insicura. I problemi da risolvere non si affrontano con l’antipolitica e il qualunquismo, ma facendo emergere la buona politica, le best practice. Senza avere la pretesa della completezza, nei prossimi anni dovremo: 1) affrontare una recessione che morde da ormai più di cinque anni e i cui effetti sono oggetto di cronaca quotidiana; 2) ridare un futuro alle giovani generazioni; 3) pensare un modello di Stato sociale in grado di sostenere la popolazione che invecchia; 4) sopportare e ridurre il peso di un debito pubblico di dimensioni enormi; 5) costruire una società meritocratica; 6) ridisegnare un’amministrazione efficiente al servizio della comunità; 7) immaginare modelli di sviluppo di un sistema paese in grado di ritagliarsi uno spazio nuovo nel contesto globalizzato; 8) rivedere un sistema scolastico che non parla il linguaggio dell’economia; 9) riaccendere la voglia di fare impresa; 10) rivedere il sistema fiscale e giudiziario. Non mi sembrano imprese da poco e scusatemi se tralascio altre questioni fondamentali. Per tentare di risolvere problemi di tale complessità abbiamo bisogno di figure e personalità straordinarie in grado di resistere alle sirene del populismo e di guidarci. 15


I politici al timone degli Stati nei prossimi decenni dovranno sobbarcarsi responsabilità pesanti: dovranno sfidare l’impopolarità e pensare “non alla prossima elezione ma alla prossima generazione”. Dovranno spiegare, soprattutto nel nostro Paese, che molte consuetudini vanno riviste e che tutti dovranno rinunciare a qualcosa. Avranno il non facile compito di far digerire ai cittadini che i diritti che si pensavano acquisiti possono rivelarsi privilegi incompatibili con i nuovi scenari. Dovranno, dando per primi l’esempio, insegnare che esistono doveri e oneri. Dovranno fronteggiare critiche aspre, scioperi e resistenze forti da parte dei poteri incrostati che ci zavorrano. Chiunque governerà l’Italia dovrà fare un’opera di ricostruzione pari se non più dura di quella che fu fatta nel dopoguerra. Abbiamo bisogno di leader veri o scenari a dir poco angoscianti ci aspettano dietro l’angolo? Siamo in grado di risorgere dalle macerie? È un’ipotesi realistica? La società che ha partorito l’attuale classe dirigente è in grado di rigenerarsi e dare alla luce tali giganti? Vorrei poter dare una risposta affermativa anche se, guardando l’orizzonte attuale, le prospettive non sono incoraggianti. Ma se è vero che le crisi nascondono le opportunità quale momento migliore di questo per cambiare? Come fare? Come possono i cittadini pungolare la classe dirigente? Come può la società riformarsi per regalarsi un futuro? L’unica strada percorribile è quella della partecipazione responsabile e della collaborazione nella risoluzione dei problemi. Può apparire un’utopia ma tutti dobbiamo assumerci la responsabilità di esercitare quantomeno un’attività di controllo e stimolo dal basso. Non dico che sia facile: ma sicuramente oggi è più semplice rispetto al passato. Ogni persona dotata di un telefonino è un reporter: un occhio, una bocca, un orecchio, un testimone del suo tempo. Ognuno può far sentire la propria voce, denunciare, fare proposte, controllare. Oggi abbiamo un alleato formidabile: la Rete. Quella Rete che Obama ha compreso e utilizzato al meglio, quella Rete che ha dato la possibilità ai popoli arabi di liberarsi dalla tirannia per poter quantomeno esprimere il proprio diritto al voto, quella Rete che ha consentito a Grillo di creare un movimento dal nulla. 16


Mi piace sottolinearlo: Internet non è una panacea ma una semplice tecnologia. Resta un mezzo e come ogni mezzo è neutro: è il suo utilizzo che ne fa la differenza. La fortuna di Internet è quella di essere uno strumento che, se ben sfruttato, può aiutare a creare un’arena pubblica, una democrazia compiuta e non una plutocrazia. Infatti nell’agorà del web tutti possono ritagliarsi il proprio spazio: per conquistarla non servono soldi, servono proposte e persone coerenti con le proprie idee che non abbiano paura di uscire dalle stanze buie del privilegio per confrontarsi. Internet, per definizione, se non è soggetto a limitazioni da parte degli Stati (cosa già successa nei regimi tirannici o totalitari), non utilizza la comunicazione unidirezionale: è uno strumento bidirezionale con cui è possibile interagire. Tutti possono sbagliare, i politici prima di tutti: siamo umani e le sfide che ci attendono sono titaniche. Ma il popolo del web apprezzerà chi avrà il coraggio di scegliere, confrontarsi, agire alla luce del sole. Grazie alle tecnologie digitali e al data mining (lo studio scientifico dei big data, i grandi numeri raccolti) è possibile conoscere i temi caldi, richiedere suggerimenti, consigli, ricevere segnalazioni. Senza la pretesa di voler essere esaustivo, le tecnologie digitali possono rivelarsi utilissime per: • • • •

lanciare sondaggi su temi e questioni politiche; richiedere input su aspetti di carattere organizzativo; ricevere lamentele su disservizi dalla cittadinanza; sollecitare commenti su azioni, proposte di leggi o provvedimenti amministrativi; • organizzare eventi.

La vera rivoluzione consentita dalla Rete consiste proprio nell’opportunità che, per la prima volta, si presenta a cittadini e politici di poter collaborare nella gestione della Res Publica e dialogare senza filtri. Ribadisco: l’utilizzo della Rete come supporto, pungolo, stimolo, controllo, interazione, non come semplice strumento di propaganda/ campagna elettorale, costituisce lo sviluppo più interessante del futuro prossimo. Perché ciò avvenga, è richiesto un cambiamento da parte di politici e cittadini: 17


• ai politici si richiedono trasparenza e lungimiranza; • ai cittadini/ elettori si richiede partecipazione e responsabilità civica. Senza l’aiuto della società civile, infatti, l’Italia non uscirà mai dal guado: i nostri leader non sono che lo specchio dei costumi peggiori che si sono diffusi nel Paese. Noi crediamo che raccomandazioni, rendite di posizione, clientelismo, furbate grandi o piccole che siano, non debbano più essere tollerate come uno stato naturale a cui siamo destinati. Inoltre riteniamo necessario il superamento delle logiche miopi del nimby e degli interessi di bottega che ormai da troppo paralizzano l’Italia. Vogliamo incentivare gli elettori a diventare parte attiva nella vita politica dell’Italia proponendo idee, suggerimenti e progetti, spronandoli a dare il meglio di sé. Se i cittadini onesti e validi si ritirano dall’impegno civile non riusciremo a risorgere dalle macerie. Il disinteresse non paga: nessuno può immaginare di potersi ritagliare un’oasi felice all’interno di una società divisa, disoccupata, affamata, malgovernata e insicura. Riusciremo? Sia in Italia che all’estero esistono esempi costruttivi che puntano verso tale direzione: i tempi sono maturi. Internet è l’unica tecnologia finora concepita che ci avvicina all’utopia democratica di un governo del popolo, dal popolo, per il popolo. Paradossalmente, l’utilizzo della Rete potrebbe consentire di superare il meccanismo di rappresentanza fino ad arrivare a un modello perfetto di democrazia diretta (un epilogo che non ci auguriamo). Il principio delle no taxation without rapresentation, che è alla base della nascita e degli sviluppi della storia della moderna democrazia dalla Magna Charta a oggi, il concetto della piazza come centro ideale del dibattito, dell’agorà ateniese e dei comuni italiani come luogo istituzionale dedito allo scambio di idee e alle riunioni assembleari richiedono come evoluzione naturale la possibilità che ogni cittadino possa decidere il proprio destino e votare direttamente in un luogo a ciò demandato: la Rete consente astrattamente tale possibilità per la prima volta nella storia. A prescindere da utopie o visioni estreme, il concetto chiaro, che vorremmo far passare, è il seguente: i politici devono interagire con il 18


web non per cercare di accaparrarsene le grazie ma per capirne le esigenze e farsi carico della risoluzione di problemi concreti, per spiegare le proprie visioni e convinzioni, per dimostrare di essere in grado di agire alla luce del sole. Soprattutto pensiamo alla Rete come a un elemento di rottura: la sua struttura senza filtri nell’immediato può consentire il controllo e l’interazione di tipo bottom up fra cittadini, istituzioni e amministrazioni pubbliche. Le iniziative sul web possono contribuire a portare un vento nuovo di moralità e possono essere un potente stimolo alla palingenesi della classe dirigente. Internet potrebbe essere utilizzato come strumento propositivo in grado di pungolare gli amministratori, un mezzo per metterli alla “gogna mediatica” quando non si comportano in maniera retta. Tutti i progetti di politica 2.0 più innovativi si orientano verso tale direzione. Le iniziative degne di nota all’estero Un esempio di segnalazione di problemi social e di pungolo alle pubbliche amministrazioni è Fix Your Street. Questa piattaforma permette ai cittadini di segnalare i problemi della propria città (buche nelle strade, lampioni fulminati, ecc.). È uno strumento formidabile per permettere alla cittadinanza di partecipare alla gestione del bene pubblico. Liquid Feedback Un esempio su tutti è dato da “Liquid Feedback”: il software open source nato per raccogliere, promuovere e gestire la formazione di opinioni condivise all’interno di una comunità. Sviluppato nel 2009 in Germania da Public Software, Group Liquid Feedback è da subito divenuto uno strumento indispensabile per il Partito Pirata tedesco (che non a caso si batte per la libertà di espressione e di circolazione della conoscenza). Da poco adoperato anche da alcune liste civiche del Movimento 5 Stelle e di Fare per Fermare il Declino, il portale (grazie anche a uno speciale sistema di deleghe) facilita e accelera discussioni e decisioni che altrimenti richiederebbero la presenza fisica di tutti gli iscritti. 19


E “Liquid Feedback” è solo il più recente degli strumenti di partecipazione via web utilizzato dal Movimento 5 Stelle. Meet up L’altra grande intuizione è stata l’adozione di Meet up: piattaforma nata a New York per favorire l’organizzazione di incontri tra persone interessate a un argomento in ogni parte del mondo. Questo strumento, utilizzato nel 2004 per la campagna elettorale dell’allora candidato alla Casa Bianca John Kerry, ha avuto fra i suoi precoci fruitori un allora semisconosciuto Barak Obama. E anche nel caso di Meet up il Movimento 5 Stelle ha saputo intravedere e sfruttare le potenzialità offerte dal web per favorire il confronto, la partecipazione e l’organizzazione dei suoi sostenitori. Anche nel nostro Paese esistono iniziative lodevoli: molto ambizioso è il progetto www.openpolis.it, un sito che consente di controllare tutti gli amministratori e i politici italiani. All’estero, soprattutto nei Paesi anglosassoni, il processo è andato ancora più avanti. Airesis È un progetto italiano che si pone l’obiettivo di diventare la più avanzata piattaforma di E-Democracy al mondo. È stata concepita per prendere il meglio dai più diffusi strumenti social in cirocolazione (Meet up, White House 2 e Facebook). Inoltre integra funzioni tipiche di Liquid Feedback che offre strumenti deliberativi atti a favorire la discussione e l’elaborazione di proposte. Di fatto vuole favorire l’elaborazione di proposte politiche dal basso che siano partecipate e condivise. Dietro la sua semplicità c’è però un algoritmo molto complesso frutto dell’esperienza di questi volenterosi ragazzi italiani. Siamo pronti per questo salto di qualità? Buona politica e buona lettura a tutti! Fabio di Gaetano (VoteAcademy) 20


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