Gursoy135-152

Page 1

Capitolo undicesimo

La costruzione della personalità La rinascita della civiltà

«La nostra identità comunitaria è in realtà la nostra civiltà». Yahya Kemal Levent Bayraktar: Una cultura, una civiltà, uno stato, a volte, creano un’autocoscienza e, quando si entra in contatto con l’altro, si riconoscono le proprie debolezze. Tale riconoscimento, però, potrebbe non essere sufficiente per combatterle: c’è bisogno di un’energia più dinamica, più forte, per riuscire a vincerle. Vorrei sapere come potremmo leggere in questa prospettiva la nostra esperienza storica. Kenan Gürsoy: Molti esempi di dinamismo nella storia turca sono emersi dopo periodi di crisi. La nostra pecca è non prestare ascolto a chi riflette su queste situazioni, ne è consapevole e si adopera per trovare soluzioni. Allora, come dovremmo essere considerati noi che, partendo da tale condizione, siamo arrivati a parlarne, a trattare della storia e della tradizione del pensiero turco? Si potrebbe, inoltre, affrontare il problema dello stato di crisi che periodicamente investe il pensiero islamico, a causa di una civiltà che non è la sua, e le vie percorse per uscirne. La soluzione è entrare completamente all’interno della crisi e, partendo da essa, cercare una scappatoia. Noi, in qualità di storici della filosofia, dovremmo indagare quali presupposti intellettuali l’abbiano generata, quali valutazioni sono state fatte e quali soluzioni sono state proposte. Si tratta 135

GÜRSOY-Divenire unificandosi 14x20.indd 135

22/07/16 20.12


di un processo che comporta anche l’individuazione dei valori in base ai quali sono state elaborate tali soluzioni e che offre, inoltre, la possibilità di capire com’è vissuta questa crisi a livello di valori. Levent Bayraktar: Ad esempio, i valori della Rivoluzione francese, libertà, fraternità e uguaglianza, si sono diffusi molto velocemente, trovando un loro corrispettivo nella società ottomana. Gli intellettuali turchi hanno lavorato per affermare i concetti di “unione e progresso”, arrivando così a formare il “Comitato di Unione e Progresso”. È esistita, quindi, una volontà, uno sforzo per riformularli, per dotarli di nuovi contenuti, non limitandosi semplicemente a tradurli ma appropriandosene. Se poi si sia riusciti veramente a raggiungere questo risultato, è una questione diversa. Kenan Gürsoy: Oggi, in termini di dinamismo, è importante anche capire e valutare per quale motivo sono stati o meno raggiunti simili risultati. Perché ciò significa avere una consapevolezza della propria memoria, in virtù della persona e del popolo che è in via di formazione e all’interno del quale ci formiamo, e che deve essere percepita come possibilità, oltre che come dovere. Guardiamo le percezioni: ad esempio nel suo periodo di maggiore influenza, la “Rivoluzione francese”, in turco, è stata tradotta con il termine ihtilal che significa “decomposizione”. Anche se a volte capita che sia indicata come inkılap (rivoluzione), per lo più è il vocabolo precedente a essere utilizzato, il quale implica significati come “scomposizione dell’ordine”, “disintegrazione”, “dissoluzione”. Le innovazioni, invece, di solito vengono indicate con i termini Tanzimat (riforma) e Islahat (miglioramento). Levent Bayraktar: Sì, sono viste come qualcosa di costruttivo. Kenan Gürsoy: L’Occidente, però, non le definisce riforme e miglioramenti. Guardate questa differenza interessante: “riforma” significa ridonare a un corpo, a una persona, a un popolo o a qualsiasi cosa la sua forma all’interno di un nuovo scenario. Lo stesso concetto può essere applicato anche a livello morale ma con l’accezione di “riformare”, “aggiustare un meccanismo guasto”, di non vedere se stessi come “completamente consunti” e, “sapendo di essere malati”, cercare di guarire. Detto altrimenti, si “riforma” (tanzimat), si arriva a un nuovo ordine, si fanno delle innovazioni. L’importanza di quest’idea si traduce nel fatto che i concetti usati 136

GÜRSOY-Divenire unificandosi 14x20.indd 136

22/07/16 20.12


all’interno della nostra civiltà assumono un significato. In un periodo di crisi, tali dinamiche possono esserci d’aiuto, spingendoci verso un’azione di tipo intellettuale. Levent Bayraktar: Le persone che hanno agito in questo modo, hanno risolto le crisi della propria epoca essendo consapevoli di se stessi e non tirandosi indietro di fronte alle proprie responsabilità. Kenan Gürsoy: Secondo me, lo sforzo di elevarsi intellettualmente si manifesta solamente attraverso questo dinamismo, trovandosi nella condizione di scegliere o di sentirsi obbligati a usare tali concetti. Ogni movimento innovativo che si forma, comporta una modernizzazione, uno sforzo per raggiungere degli standard e un punto di arrivo in base alle condizioni e alle possibilità in cui si vive. Purtroppo la percezione erronea di questo movimento e il volerlo imporre secondo canoni “occidentali”, ha provocato delle reazioni giustificate. L’Impero ottomano aveva bisogno di questa modernizzazione e ha cercato di attuarla, tenendosi in piedi, malgrado le difficoltà, non piegandosi e non sacrificando la propria dignità. Il sistema, però, su cui si reggeva l’Impero era obbligato a ricusare le correnti nazionalistiche e sono stati i problemi inerenti il livello di educazione, le crisi politiche, la formazione di gruppi in conflitto fra loro, l’assenza di uno studio universale, prodotto di un’ampia riflessione razionale sull’apprendimento del pensiero islamico, e, addirittura, di una maturazione delle emozioni nei confronti di questo studio, a preparare le basi del suo crollo. Bisognava uscire da quel conflitto aperto su vari fronti tramite una concezione e un ordine militare e, perciò, si è rivelato necessario un periodo di autoritarismo. Grazie alla determinazione di Mustafa Kemal o alla determinazione nazionale concretizzatasi in Mustafa Kemal, si è riusciti a raggiungere molti obiettivi. Voglio soffermarmi sul ruolo simbolico che hanno assunto alcune città. È una riflessione che potrebbe avere una base reale oppure essere puramente speculativa. Dopo le grandi difficoltà del XIII secolo, i luoghi in cui il beilicato1 ottomano aveva messo le sue radici, e da cui ha avuto origine, 1 Con il termine “beilicato” s’intende il luogo in cui un capo clan (bey) esercitava il suo potere.

137

GÜRSOY-Divenire unificandosi 14x20.indd 137

22/07/16 20.12


in seguito, il suo grande stato, erano le città2 di Osman Gazi3 o di Şeyh Edebali4, le quali erano dominate socialmente ed economicamente dalla Confraternita delle Corporazioni di Mestiere. Successivamente, nel dinamismo della Repubblica, è stata Ankara che ha assunto il ruolo di simbolo e capitale del nuovo stato, una città dove era sempre presente la Confraternita musulmana turca delle Corporazioni di Mestiere. Per questo motivo, tali zone erano gli epicentri di sistemi di valori, che scaturivano dalle Confraternite delle Corporazioni di Mestiere, le quali espletavano la funzione di organizzare l’economia e creare un ordine sociale. Tale situazione deve essere letta secondo la prospettiva dell’epoca e allo stesso tempo deve essere rivalutata secondo una visione attuale, non tanto come Fratellanza ma come fondamento da cui partire per creare una famiglia con il resto dell’umanità. È chiaro di cosa abbiamo bisogno? La Confraternita delle Corporazioni di Mestiere promuoveva una visione del mondo basata non su un sistema contorto e confuso ma sulla saggezza e sulla tenacia morale. Il nuovo va costruito su una fede islamica pura: è questa la caratteristica che accomuna i tre ambiti da cui nasce il suddetto dinamismo. Una delle particolarità della popolazione di Ankara è la solennità contenuta, che domina la diffidenza: non possiede uno spirito avventuriero, facile preda di rapidi stravolgimenti, ma tende a una moderazione che non impedisce, però, di accettare, adottare e nascondere una grande personalità che le permette di essere guida per la salvezza del popolo. Valutate sempre ciò che dico a livello di pura comprensione intellettuale, non come se fosse una qualsiasi ideologia formale e neanche come se assumesse una posizione favorevole o contrastante: guardatelo come un momento di riflessione sulla memoria nazionale. Ripensate alla storia non solamente dal punto di vista amministrativo, politico o legislativo ma con il significato di “coscienza di sé” all’interno di quello che è definito “considerare se stessi come una civiltà”: è la visione che attira maggiormente 2

Söğüt e Bilecik. Osman I Gazi (1258-1326), fondatore del principato ottomano e del futuro impero. 4 Şeyh Edebali (1206-1326), suocero di Osman Gazi, maestro spirituale e capo delle corporazioni di mestiere. 3

138

GÜRSOY-Divenire unificandosi 14x20.indd 138

22/07/16 20.12


gli intellettuali. Parlo di una nazione, una totalità, un “noi” che ha una coscienza di sé… di un qualsiasi elemento che vuole unificarsi, di una qualsiasi aggregazione sociale che condivide gli stessi valori. Allora il “noi” diventa tale che si è obbligati a rivisitare se stessi in maniera dinamica. Credo che, se riuscissimo a portare avanti questo studio coscientemente, la nostra memoria ci permetterebbe di nutrire oggi, in senso dinamico, nuove aspirazioni. È necessario compiere questa rivalutazione per l’umanità, per la pace, per un credo giusto e puro; bisogna riappropriarsi della percezione del ruolo di soggetto all’interno della storia di una nazione e della dignità nel mondo. Levent Bayraktar: È evidente, dunque, il parallelismo esistente tra la personalità di un popolo e quella di un essere umano. Fulya Bayraktar: Oltre a questo parallelismo, è possibile cogliere, in quello che ha detto, anche un collegamento tra personalità e “memoria”. Potrebbe approfondire quest’aspetto? Kenan Gürsoy: La personalità contempla, anche, che l’uomo sia un essere di memoria. Se non fosse così, che significato e valore assumerebbe l’essere un uomo? Spesso nelle nostre discussioni ci soffermiamo su un concetto che mi piace molto: “l’uomo è un essere di nostalgia”, e diciamo che l’amore spirituale si manifesta in questo modo. L’uomo mentre punta a raggiungere un altissimo livello metafisico, un credo superiore, una poesia elevata, si descrive come un essere di nostalgia, soprattutto all’interno di un contesto sufico. Se non ci fosse la nostalgia, non ci sarebbe nemmeno l’amore. Non è questo l’inizio del grande Masnavi? «Ascolta questo ney cosa racconta, di quali separazioni si lamenta». Narra della sua nostalgia per l’Amore Supremo, addirittura del “vuoto interiore di cui egli stesso è l’artefice”. Perché l’esistenza della persona è considerata come essere separati dalla propria essenza, rimanere lontani dal vero interlocutore. L’uomo, infatti, prova nostalgia e questo sentimento è strettamente legato alla memoria. La memoria offre la possibilità di percepire se stessi in un iter formativo, all’interno di un processo di fluidità e continuità. Si tratta di un aspetto 139

GÜRSOY-Divenire unificandosi 14x20.indd 139

22/07/16 20.12


che non coinvolge solo “la persona” ma anche, in maniera più ampia, la “comunità”, la “civiltà” e l’“umanità”. Se non si riesce a trovare se stessi in una continuità tra passato, presente e futuro, significa che non si riesce nemmeno a concepire la propria personalità in qualità di essere costruttivo. L’uomo da solo non può rimanere fermo nella “percezione del presente”, volente o nolente, anche solo per breve tempo, prova la necessità di avere una “percezione del passato”: diversamente, non potrebbe esistere il concetto di “flusso” e di “continuità”. La fluidità in cui ognuno si può muovere è il proprio passato, rapportato alle dimensioni della propria memoria. Allora restare intrappolati nel “presente” significa porre limiti alla memoria e restringere l’orizzonte dei progetti che conseguentemente offriranno sterili risultati. Ma quanto più ci si considererà eredi dell’esperienza dell’intera umanità e di quello che essa produce, tanto più si raggiungerà una maggiore profondità e ricchezza. Levent Bayraktar: A volte si usano slogan come “vivere l’attimo”. Nello stato di formazione e processo di costruzione, possibile solo all’interno di una continuità, si può essere un individuo che vive ogni singolo momento? Kenan Gürsoy: Partendo da una concezione sufica, “vivere l’attimo” significa cogliere la profondità nella continuità, approfondire tutto ciò che permette di viverla e considerarla l’apice del nostro progresso, raggiungibile grazie ai risultati ottenuti fino a quel momento nel moto di tensione verso il creatore. Levent Bayraktar: Non vuol dire, quindi, ignorare il passato ed essere privi di memoria. Kenan Gürsoy: È possibile accantonare momentaneamente il passato di cui si è il prodotto ma è importante ricordare che la personalità è commisurata in base a quanto è chiara la visione della propria memoria. In alcuni casi, però, per riuscire a saldare i conti con il passato, accantonare, senza rifiutare la memoria, potrebbe risultare positivo: si prendono le distanze per evitare di essere schiacciati. Si tratta di una libertà offerta dalla memoria ossia di una possibilità prodotta dalla “coscienza cretiva della storia” che 140

GÜRSOY-Divenire unificandosi 14x20.indd 140

22/07/16 20.12


permette di essere consapevoli del proprio passato. Non si parla di accantonare la storia o di dimenticarla ma di affrontarla apertamente. Dimenticarla non rende felice nessuno: la storia e il vivere all’interno della sua continuità sono caratteristiche assolutamente necessarie per l’uomo, in quanto essere di memoria, e per la cultura, in quanto memoria di una civilizzazione. Qualsiasi confronto a livello di coscienza morale, che la storia comporta, ha bisogno di questa visione e, se necessario, esige che l’uomo saldi i conti con il proprio passato in virtù del suo essere una creatura di memoria storica. L’uomo, se rifiuta il proprio passato e se non comprende appieno il processo formativo della propria personalità, che gli impedisce di stabilire delle continuità, dei collegamenti, incontrando difficoltà nel creare l’“armonia esistenziale”, non riesce a realizzare la sua formazione e a dominare qualsiasi evento della sua vita. Fulya Bayraktar: Cosa si dovrebbe fare per forgiare una personalità che offra la possibilità di creare quest’armonia esistenziale, la quale contribuisce, inoltre, alla costruzione o al miglioramento della civiltà? Ecco che si ritorna alla domanda posta all’inizio del nostro dialogo: com’è possibile, attualmente, leggere la propria esperienza storica e costruire se stessi e la propria civiltà partendo dalla memoria? Kenan Gürsoy: È una domanda che viene posta continuamente e che può riguardare tematiche attuali come l’avere o meno la “coscienza di essere musulmani”. Trovandosi all’interno dell’Islam e avendo l’identità di “intellettuali musulmani”, bisognerebbe evitare di avere solamente atteggiamenti che si basino su regole proibitive, limitative, legate esclusivamente al “diritto canonico”. Si dovrebbe parlare di una contemplazione islamica volta ad avere una consapevolezza di tutti i problemi attuali legati alla filosofia e a compiere degli sforzi per percepire l’uomo odierno nella sua diversità universale, mantenendosi sempre nella cornice dell’idea dell’“unità” nell’“essenza”. Levent Bayraktar: A questo punto potremmo domandarci: cosa dice l’Islam riguardo alla nostra epoca? Cosa ci si aspetta dal pensiero religioso islamico? 141

GÜRSOY-Divenire unificandosi 14x20.indd 141

22/07/16 20.12


Kenan Gürsoy: Dobbiamo creare una “visione musulmana” attuale ed educare dei pensatori senza restare intrappolati in ideologie, concezioni filosofiche o metodologie, mantenendosi però sempre ancorati ai principi dell’Islam in merito ai fondamenti classici che forniscono indicazioni su come dovrebbe camminare il musulmano sulla via della saggezza ossia rintracciando nella natura umana quei principi innovatori. Se mi chiedete cosa dovremmo fare in quanto “ricercatori filosofici”, penso che dovremmo approfondire le dinamiche storiche relative a quest’ambito. In realtà, a livello filosofico, non bisogna studiare le scuole che contano un numero esiguo di seguaci, i quali si limitano al ruolo di “distributori”. Che risposte si sono avute dallo studio, dall’approfondimento, dalla posizione assunta nei confronti di tali scuole? Ecco che si rende necessaria, quindi, un’indagine storico-filosofica di questo tipo. Ritengo, inoltre, che esista una questione ancor più rilevante ossia quale concetto fondamentale è implicito in tutto questo. Il concetto chiave in ogni epoca è stato sempre quello di “uomo”, “dell’uomo che siamo e che formeremo”. Cosa si è detto rispetto ai valori etici ed estetici legati all’idea di “formare un uomo”? Su cosa è stata attirata l’attenzione e in che modo? È stato fondato su termini di paragone legati alla “comprensione dell’uomo” in culture e periodi storici diversi? Quale concetto ideale “di uomo” possiamo immaginare che comprenda tutto ciò e che sia legato all’Islam attuale o, in senso più ampio, alla civiltà islamica? Si avverte la necessità di un orientamento che mediti su tale aspetto. È essenziale avere una “visione umana” e personale da proporre al mondo in nome dei valori universali. Come dice Yunus, quando si chiede “perché siamo venuti a questo mondo”, si deve poter dare una risposta attuale rivolta a tutta l’umanità, che deve poter offrire nuove prospettive su come sia possibile abbracciare tutto l’universo ossia definire un “Umanismo” tutto nostro. Ribadiamo, il concetto fondamentale che permette di percepire la differenza tra la cultura del “noi” e la cultura che potremo definire “nostra”, punta al contempo verso un “divenire esistenziale”. Sì, è questo il concetto di “uomo”, della comprensione dell’uomo all’interno della civiltà, dei sistemi di pensiero, delle credenze religiose culturali. Quello di uomo è il concetto più elevato in assoluto che permette di comprendere una civiltà 142

GÜRSOY-Divenire unificandosi 14x20.indd 142

22/07/16 20.12


ma soprattutto di aspirare a un “divenire esistenziale” che diventa la base della propria storia, del proprio futuro e dei propri progetti. Per questo, ci si muoverà all’interno del “processo di comprensione” del proprio io che vive in maniera cosciente la sua dimensione d’individuo, senza approfondire, a livello personale o generale, i valori che egli stesso si attribuisce. Perciò siamo spinti a unirci alla “letteratura”, perché, in quest’ambito, l’esperienza, la sofferenza umana, la gioia, la felicità, la visione del mondo si esprimono partendo, non solo, da una base concettuale, ma anche secondo uno stato “esistenziale”. Lo scrittore, tramite la sua opera, si rivolge al lettore, che è al contempo suo interlocutore esistenziale, trasmettendogli un’esistenza e parlandogli della propria. Allora la letteratura, come abbiamo sempre affermato, è la base sulla quale si concettualizza un’esperienza dell’uomo vissuta universalmente. Lo scrittore ci racconta, tramite un personaggio, “l’esperienza di uomo universale”. In un romanzo, si potrebbe, ad esempio, rintracciare nella cornice dei singoli individui e avvenimenti, l’intera umanità. Ecco che la letteratura, quindi, diventa la componente e l’ambito più importante di un’indagine da cui emergono le sofferenze causate da una crisi. La letteratura turca può essere osservata sotto questa prospettiva sin dall’inizio del XIX secolo, allorché sono emerse opere eccezionali, portatrici di valori in termini di esperienza umana. Levent Bayraktar: Lei ci aveva suggerito di non leggere l’opera Storia della letteratura turca del XIX secolo, di Ahmet Hamdi Tanpınar5, solo come «una storia della letteratura, ma di considerarla una storia del pensiero e della civiltà, specchio delle crisi dell’epoca». Kenan Gürsoy: L’affermazione di Ahmet Hamdi Tanpınar «la letteratura turca del XIX secolo inizia con una crisi di civiltà» è una precisazione che mi piace ripetere spesso. Quando tratto quest’autore, penso spesso al concetto di mentalità, che nell’indagine filosofica assume un significato metodologico fondamentale se analizzato in quest’ottica. Soffermiamoci sul concetto di mentalità: nel mondo turco si è affermato in una fase piuttosto tarda del periodo della modernizzazione, non come 5 Ahmet

Hamdi Tanpınar (1901-1962), scrittore e storico della letteratura turca.

143

GÜRSOY-Divenire unificandosi 14x20.indd 143

22/07/16 20.12


ideologia, visione del mondo o filosofia ma sotto la forma di atteggiamento intellettuale che riunisce tutti questi aspetti, esprimendo la “consapevolezza storica” della sapienza intellettuale, la quale concepisce il futuro imminente. Tale concetto potrebbe derivare da quello francese di mentalité che, nel mondo occidentale, è associato più alla logica oppure alle categorie dell’intelletto, mentre in ambito turco non presenta queste limitazioni. Infatti, nell’idea di “mentalità”, che permette di ampliare ma non di approfondire adeguatamente, abbiamo incluso la filosofia, la visione del mondo e le valutazioni politiche. Non si tratta solamente di un’ideologia, in quanto esistono dei suoi fautori, come non è nemmeno un rimedio concepito per risolvere l’angoscia e i problemi sociali: si potrebbe, infatti, parlare del mondo della mentalità di Namik Kemal6, di Yahya Kemal7 o di Tanpınar. È meglio valutare la “mentalità”, partendo dalla propria storia intellettuale, ignorando i “proibizionisti dell’intellighenzia filosofica”, i quali affermano che alcune osservazioni non possono essere compiute da un punto di vista filosofico: certi argomenti non devono essere omessi, anzi è necessario condurre degli studi particolarmente approfonditi, come ha fatto la nostra amica Sema Uğurcan, ricercatrice di Letteratura turca contemporanea, la quale ha svolto una serie di conferenze in merito, cui io stesso ho avuto occasione di presenziare. Questi sono temi che devono trovare posto anche nelle tesi di Storia del pensiero turco. Prendendo ispirazione da Ahmet Hamdi Tanpınar, è possibile, dunque, affermare che «la nostra letteratura del XIX secolo presenta una crisi di mentalità legata alla civiltà». Fulya Bayraktar: Intende dire che più che essere una crisi di civiltà, è una crisi di mentalità legata alla civiltà? Kenan Gürsoy: Sì, si tratta di una crisi legata alla concezione di civiltà, di se stessi e del prossimo. Anche questa spiegazione, in realtà, è riduttiva, mentre la visione più appropriata rimane quella esposta poco fa riguardo Ahmet Hamdi Tanpınar, che corrisponde all’esatta interpretazione del suo pensiero. 6 7

Namik Kemal (1840-1888), poeta e giornalista turco. Yahya Kemal (1884-1958), poeta e scrittore turco.

144

GÜRSOY-Divenire unificandosi 14x20.indd 144

22/07/16 20.12


Levent Bayraktar: In tempi recenti è sorto il problema, divenuto oggetto di studio del pensiero turco degli ultimi vent’anni, di quale posizione assumere nei confronti della globalizzazione ed è una questione in stretta relazione con gli argomenti affrontati finora, poiché riguarda anche l’atteggiamento nei confronti dell’Occidente. Kenan Gürsoy: Mi piacerebbe trattare quest’argomento, non solo a partire dall’idea di Occidente, ma soprattutto da quella di universalità. Fulya Bayraktar: La sua affermazione sulla “necessità di guardare i concetti utilizzati in un quadro di valori etici ed estetici”, che spiegano il processo del “divenire uomo”, e la sua relativa espressione, diventano significative in uno studio di tipo riflessivo e in merito agli orizzonti che esso si pone. Possiamo soffermarci su questi concetti? Kenan Gürsoy: Si tratta di concetti che non vanno analizzati singolarmente. Riflettendo, ci rendiamo conto che quando si parla dell’“uomo”, non ci si riferisce all’“idea astratta di essere umano”. Non è possibile approfondire nulla senza connettersi a un altro concetto: infatti, parlando dell’idea di uomo è necessario considerarla in relazione a qualcos’altro. Partendo dal presupposto che l’uomo è una “persona”, la propria percezione di sé, in quanto “persona”, è legata contemporaneamente a come percepisce se stesso in rapporto agli “altri” e a come percepisce gli “altri” partendo da “se stesso”. Inoltre, non è soltanto una relazione uomo-uomo ma, guardando in profondità, va considerato anche in termini di uomo-società, uomonatura, uomo-Dio, uomo-destino. Sapete quanti inutili conflitti, esitazioni e contrasti nascono dall’avere prospettive diverse? Anche i discorsi filosofici dovrebbero considerare attentamente questi punti di attrito. La filosofia stessa, avendo la capacità di mostrare i principi fondamentali di questi conflitti, è in grado di guidarci verso le soluzioni o di offrirci gli strumenti per ricercarle. In quest’ottica, attraversare un periodo di crisi, per una cultura o per un bacino di civiltà, potrebbe essere considerato una probabilità o addirittura una necessità, purché ci sia sempre un potere, riconoscibile e riutilizzabile all’occorrenza, una fiducia, e un ambiente intellettuale, una tradizione e un linguaggio filosofico. L’obbligo di percepire contemporaneamente le coscienze “est-ovest” o le eventuali traversie incontrate nel portarle avanti insieme, avrebbero potuto generare dei problemi. è stata, invece, un’occasione per produrre 145

GÜRSOY-Divenire unificandosi 14x20.indd 145

22/07/16 20.12


nuove sintesi, avendo la fortuna di poter comprendere meglio i concetti, arrivando persino a compiere paragoni e a essere testimoni di nuove genesi a livello sia di pensiero sia esistenziale. È chiaro quello che intendo dire? Provo la necessità di porre questa domanda, perché noi abbiamo sempre visto il lato negativo di quest’aspetto. Da buoni occidentalisti abbiamo sempre sostenuto «non abbiamo una civiltà, né una filosofia, una scienza o un’arte ma solo il buio» o, partendo dalla posizione opposta, abbiamo affermato «che cos’è l’Occidente? Noi siamo una civiltà molto ricca, lasciamo tutto questo fuori, noi apparteniamo a un altro mondo». Entrambi gli atteggiamenti riposano sulla stessa origine: non sanno trovare una propria collocazione. Sono due casi patologici. Uno dei modi per guarire è comprendere correttamente la natura della civiltà, solo così non si avranno né complessi d’inferiorità, né di superiorità. Il modo per farlo è valutare una civiltà non come se fosse fissa e stabile ma percepirla come un essere da costruire “partendo da se stessa per se stessa”, valutandola proprio come si fa con un “individuo”. L’uomo è considerato un progetto dinamico che opera in funzione di se stesso, si può concepire parimenti un ambito in cui si realizza un progetto portatore di valori etici e in costante evoluzione. Se si riuscisse a pensare all’“autoconsapevolezza” di una civiltà, non come uno stato d’identicità congelata ma come “esistenza di personalità”, la “personalità del noi”, allora si potrebbe sia raggiungere un carattere assiale personale sia formare se stessi all’interno di questo carattere. Nel parlare di est-ovest, quindi, si dovrebbe riconoscere questi caratteri, sapendo che non sono immutabili e accettando che si trovino in uno stato di autoformazione. Dobbiamo vedere una civiltà non come un ambiente immobile, obbligato a ripetere se stesso, ma come una piattaforma del “noi”, conscia della sua azione costruttrice. E se mi chiedete a quale ambito può essere ricondotto tale pensiero, sono incline a ritenere che sia di dominio dell’“etica”. In realtà il modo per salvare una persona dall’egoismo è valutarla come una “persona etica”, inserendola in un’unità significativa insieme ad altri e liberandola dalla dipendenza del proprio ego. Per questo motivo bisogna considerare una civiltà all’interno della cornice di valori che mira a realizzare e concepirla, addirittura, come una “personalità” che si crea nel diverso. La mancata attuazione di questo processo, ha fatto sì che si siano verificati degli inconvenienti anche nelle politiche civili e culturali. Come dal XVII secolo in poi si è attraversata una crisi epistemologica e filosofica legata al pensiero, così dopo il XIX secolo si è generata un’altra crisi di 146

GÜRSOY-Divenire unificandosi 14x20.indd 146

22/07/16 20.12


tipo identitario o più precisamente relativa alla personalità. Questo evento può anche essere letto come il frutto di un intrappolamento tra il pensiero dell’est e quello dell’ovest. Tale fenomeno, come già detto, ci ha posto in uno stato di profonda inferiorità o estrema superiorità rispetto all’Occidente. Le angosce, nate dall’unione delle due sfere di coscienza, hanno portato a domandarci quale sia la posizione della nostra civiltà e quali siano le soluzioni concepite, anche solo a livello filosofico e in senso potenziale, rispetto ai problemi emersi che potrebbero averci arricchito. In realtà, senza rifarsi a elementi tangibili sul piano del vissuto, non si può fare filosofia senza essere una persona cosciente, affermando soltanto che si formulano o si devono formulare pensieri. Una filosofia del genere ci trasforma in “funzionari della filosofia”, una consapevolezza simile significa essere “funzionari della consapevolezza”. Solo quando si entra in uno “stato esistenziale”, s’inizia a pensare. Se la consapevolezza si manifesta nell’azione, almeno per quanto concerne le difficili riflessioni mentali, se è unita alle sofferenze causate dalle esperienze vissute e se è frutto di una crisi socio-culturale che coinvolge tutta tutta la comunità, ciò offrirà la possibilità di elevarsi al di sopra degli eventi stessi, di riflettere su di essi, di valutarli e trovare nuove soluzioni. Perché una consapevolezza proveniente dall’esperienza, permetterà di superare queste limitazioni e di risolvere la crisi. È come una regola eterna: la percezione attraverso il vissuto offre sempre la possibilità di trovare nuove vie, creare nuove soluzioni in virtù del mistero vitale di cui è portatrice. Basta che questa consapevolezza si unisca a una “volontà” che vada oltre il proprio essere. La Turchia, grazie alla sua esperienza storica, diversamente dagli altri paesi, ha un potenziale più ampio nell’espressione di concetti e sentimenti, come nell’elaborazione di soluzioni. Il fatto di essere un crogiuolo di diverse civiltà, culture e credenze, le ha permesso di fare ampia esperienza della convivenza multietnica che ha portato, anche, ad avere dei contrasti. Se ci s’impegnasse a trovare soluzioni significative, non sottraendosi alla responsabilità di risolvere il problema di sottomettersi sia all’“est” sia all’“ovest”, si potrebbe, anche gradualmente, raggiungere orizzonti più vasti. Oggi la “consapevolezza dell’est” è come se stesse vivendo una crisi interiore sempre più profonda. Il disaccordo che vive nel suo rapporto con gli stranieri e il non riuscire a re-identificarsi sono indice di un malfunzionamento. Il non poter creare correttamente una relazione, un dialogo tra diverse culture e religioni mostra che si sta attraversando una fase di caos interno. La probabile “crisi di valori”, nascosta dietro la disgregazione economica, ne è 147

GÜRSOY-Divenire unificandosi 14x20.indd 147

22/07/16 20.12


un possibile riflesso. Non esiste nessuna cultura o civiltà perfetta che propone di “abbandonare le proprie radici a favore di un’altra”. Questa comparazione di diverse sfere culturali, però, va valutata non come una “catastrofe” ma come un terreno fertile da cui trarre nuovi frutti e in cui crescere e progredire sia come persone, sia come cultura all’interno della quale ci si forma. È possibile affrontare l’argomento secondo una prospettiva più ampia che pone il periodo critico che si sta vivendo come una conseguenza della “crisi di civiltà” diffusa attualmente a livello mondiale. Questa può essere maggiormente compresa e affrontata con soluzioni efficaci, solo partendo dalle esperienze vissute negli ultimi due secoli. È una condizione che va maturata sia a livello “personale” sia a livello dell’intera umanità; ne deriva, pertanto, che i nostri pensatori hanno un dovere universale. Levent Bayraktar: Credo che, in assenza di una consapevolezza storica, non si riesca ad avere una giusta focalizzazione e si verifichi un dispendio di tempo e non si progredisca nella ricerca di soluzioni. Ne è esempio l’Impero ottomano che comprese di essere in declino nel momento in cui iniziò a perdere territori in Occidente e a riportare sconfitte militari. Kenan Gürsoy: Sì. Ad esempio, capiamo di non giocare bene a calcio quando iniziamo a perdere contro le squadre europee ed è allora che ci adoperiamo per risolvere il problema. Fulya Bayraktar: Possiamo dunque dire che “ci accorgiamo di noi stessi quando ci confrontiamo con gli altri”, anche a livello di pensiero. Kenan Gürsoy: Confrontare le idee e dialogare, come abbiamo detto finora, pone come presupposto che da una parte ci sia una costruzione cooperativa, dall’altra almeno una base concettuale comune. Tale operazione da un punto di vista intellettuale, permette prima di acquisire e poi di condividere. La nostra lingua e le nostre idee devono avere ampi orizzonti in cui spaziare per poter prendere e riceve, richiedendo un clima di vasta comprensione. è molto importante, inoltre, essere a contatto con una cultura ricca che ci permetta di trasmettere al mondo, con il quale si dialoga, i risultati del nostro pensiero e i nostri “distillati” intellettuali. Levent Bayraktar: C’è bisogno, oltre che di un autocontrollo, anche di “una coscienza di sé” e di un’“autocostruzione”. Quando una civiltà perde 148

GÜRSOY-Divenire unificandosi 14x20.indd 148

22/07/16 20.12


questi elementi, comincia a fermarsi e poi ad arretrare. Ritengo che la filosofia abbia il dovere di rinvigorire e rappresentare la consapevolezza di sé nella propria cultura. Kenan Gürsoy: Ecco torna in mente un concetto che ripetiamo spesso: la filosofia è la consapevolezza della cultura. Questo, però, non vuol dire che ci si dedica alla filosofia partendo solo da questa cultura: dal momento in cui se n’è già parte, le azioni si compiranno comunque alla luce della sua consapevolezza che, vista in tal senso, sarà valutata ed elaborata come “consapevolezza dell’ambito culturale” in cui ci si trova. Se la concezione della propria cultura consta interamente di elementi stranieri, questa assumerà, di conseguenza, una forma schizofrenica. Levent Bayraktar: Sì, si crea veramente una condizione estraniante. Ricordiamo quello che diceva Bergson8: «Ciò che chiamiamo anima è una struttura che si forma in questa esistenza corporea ma che la trascende». È come se all’interno del nostro corpo trovasse posto un’altra anima. Kenan Gürsoy: In realtà dentro un corpo non trova mai posto un’altra anima. Capisco cosa vuoi dire, ma ne sono fermamente certo. Dal momento che il divenire nell’esistenza si fonda sull’unità, quanto più il corpo e l’anima sono in armonia tra di loro, tanto più un uomo sarà considerato tale. Sì, in nessun corpo ci può essere l’anima di un altro. Il problema si pone nel distinguere la propria anima da quella di un altro. Non intendo “l’unione”, che ha un significato positivo, parlo di percepire l’anima di un altro come se fosse la propria. Si tratta di un fatto terribile. Addirittura, se non si arriva a maturare una relazione in cui si svolge il ruolo d’interlocutore, ossia senza intraprendere una corretta comunicazione, “la relazione me-te” che si verrà a creare, il raggiungimento della consapevolezza del “coesistere”, porterà a percepire un’altra anima come se fosse la propria. Si diventa un altro e questa è un’alienazione. Invece, quando s’instaura una relazione tra interlocutori, è importante dialogare creando una comunicazione autentica, all’insegna della “reciprocità”. Una simile attitudine assume anche una grande rilevanza nel confronto tra due 8

Henri-Louis Bergson (1859-1941), filosofo francese.

149

GÜRSOY-Divenire unificandosi 14x20.indd 149

22/07/16 20.12


diverse civilizzazioni, come avviene tra est e ovest. Se percepiamo quest’unione, dobbiamo percepire anche l’essere insieme, affinché le “due diversità” possano comprendersi nell’atto di comunicare, arricchendosi nella loro evoluzione. Poco fa ho detto che nessun corpo può contenere un’altra anima. Potrebbe nascere, però, un interrogativo: parlando costantemente di “essere con l’altro”, di “arrivare a comprendersi partendo dall’altro”, espressioni usate spesso nel nostro ambiente, ci si chiede, quindi, cosa “significhi portare l’anima di qualcun altro dentro di sé” e perché poi si affermi che ciò “è impossibile”. Non sembra una contraddizione? La risposta è che non si può contenere dentro di sé l’anima di qualcun altro, né portarla per qualcun altro. Si può però vivere nella “testimonianza di un altro” e “testimoniare un’altra persona”, come avviene per noi uomini di fede che viviamo nella testimonianza di Dio, il quale a sua volta ci testimonia. Crediamo che il nostro dovere sia in realtà puntare direttamente a Dio e al Profeta, sapendo che stiamo testimoniando con il significato più alto dell’Ultimo Profeta all’“Uomo Perfetto” o semplicemente all’“Uomo”. Rimane, ovviamente, il vincolo del vivere in maniera reciproca tali testimonianze. Fulya Bayraktar: Se l’uomo cercasse di percepire se stesso nel proprio interesse, in funzione della propria anima e non in quella dell’altro, potrebbe allora trasformarsi, attraverso la propria memoria, nell’“io” inteso come “persona”, che è anche l’unica reale condizione per poterlo fare. Kenan Gürsoy: Sia la visione sufica sia quella della storia della filosofia, trovano qui la loro riconciliazione. Si tratta di un’operazione che può avvenire solo attraverso la memoria e che ha come base il proprio vissuto. Fulya Bayraktar: Vuol dire che «alienarsi significa evolvere nel proprio corpo ma attraverso l’anima dell’altro»? Ci si aliena se non si vive con la propria memoria, in proprio nome. Kenan Gürsoy: Sì, alienarsi significa percepire l’uomo e la società attraverso l’anima dell’altro, in nome di altri. Fulya Bayraktar: Si cerca di scambiare la propria memoria con quella di qualcun altro. 150

GÜRSOY-Divenire unificandosi 14x20.indd 150

22/07/16 20.12


Levent Bayraktar: Allora le soluzioni devono essere proposte in maniera molto cauta. Quando si vogliono fare rivoluzioni e riforme, svecchiare, rinnovare e modernizzare la precedente struttura, non sempre ci si riesce correttamente. Ad esempio, durante il regno del Sultano Abdülaziz furono costruite centocinquanta fabbriche ma non si pensò a dotarle d’ingegneri che dovevano farle funzionare, né di tecnici che dovevano riparare i guasti. Furono fatte delle grandi spese per gli impianti, una volta, però, che i macchinari iniziarono ad avere malfunzionamenti e a fermarsi, il lavoro si dovette interrompere, perché erano stati acquistati all’estero e non si sapeva come ripararli. Intendo dire che, se non ci sono persone che fanno vivere la cultura partendo dal suo interno, che la fanno fiorire in ogni suo ambito, allora non si riuscirà nemmeno a vedere i frutti degli alberi stranieri piantati nel proprio terreno. Kenan Gürsoy: Deve nascere e crescere dall’interno, mentre ciò che si apprende dall’esterno deve trovare la sua attuazione all’interno. L’esempio delle fabbriche è molto calzante. Bisogna che ciò che proviene dall’esterno sia attuato a proprio nome e non a quello di altri che agiscono a nome loro. Fulya Bayraktar: Sembra, quindi, che una civiltà per formarsi debba percepire se stessa a proprio nome, costruirsi nel proprio interesse. Kenan Gürsoy: Per formare una civiltà, innanzitutto, c’è bisogno di una riflessione filosofica, ossia di una coscienza filosofica in merito alla sua stessa formazione. La civiltà islamica, quella turco-musulmana che appartiene all’Islam, è di questo tipo. Inoltre, una civiltà deve dialogare con altre diverse da sé, non solo nell’ambito scientifico ma soprattutto in quello filosofico. Soffermandoci proprio sul primo aspetto, è necessario affermare che una civiltà, per essere definita tale, deve avere un’“istituzione scientifica attiva” che svolga un ruolo significativo all’interno della società, che abbia tracciato un suo percorso temporale dal passato verso il futuro: bisogna che possieda una “storia della scienza”. Si tratta di un fattore importante, perché testimonia l’attività osmotica tra civiltà diverse, il che equivale a trovarsi in un processo partecipativo e di continuità universale. È la dimostrazione dell’esistenza di un percorso scientifico interno: una civiltà dotata di una propria storia della scienza, è in grado di confrontarsi con altre. 151

GÜRSOY-Divenire unificandosi 14x20.indd 151

22/07/16 20.12


La filosofia supera quest’aspetto: in un confronto tra civiltà, è importante sapere che è possibile ascoltarsi reciprocamente e intrattenere dei dialoghi a livelli molto elevati. Per questo è necessario che una civiltà possieda una comprensione filosofica, che abbia una propria filosofia. Se si pensa alle civiltà come “personalità” che si accorgono di se stesse tramite le altre, risulta evidente che esse si trovino in uno stato di divenire esistenziale inteso come “costruzione”. Sapendo che possono “autoprogettarsi”, è facile dedurre che quest’azione possa compiersi anche in maniera reciproca. Se, al contrario, si percepiscono come aree chiuse in se stesse, la conseguenza sarà il vivere continui disagi. Perciò penso e spero che le diverse civiltà, individuando le proprie “peculiarità”, senza però chiudersi in se stesse, possano entrare in un’azione di ricostruzione partendo dall’autoformazione all’insegna dell’“unità”. Si tratta, contemporaneamente, di un “progetto etico dell’umanità” fondato sul diritto e sulla verità e basato sulla stima del prossimo. Come, a livello “personale”, gli uomini riescono eticamente a seguire un ideale di “unità” e a creare delle unioni che hanno una ragion d’essere, è anche possibile per le civiltà creare delle piattaforme di coesistenza, senza staccarsi dai propri assi principali e senza estraniarsene. L’importante è rimanere se stessi in uno stato di esistenza, creare un “noi” creando se stessi… Lo stesso discorso può essere fatto anche a proposito della coesistenza di fattori nel processo di costruzione di un Paese: i valori su cui si fonda non devono rimanere intrappolati in loro stessi ma, al contrario, indirizzarsi verso l’“unità” come esistenze che si autocostruiscono in un continuo dialogo. L’importante è trovare il “senso” dietro le “apparenze”, l’“uno” dietro la “molteplicità”, trovare “se stessi” tramite l’“altro”, non negando il valore dei diversi colori, né rimanendo prigionieri dell’acromia. Bisogna riconoscere a ognuno di essi un valore “profondo” quanto l’altro e, quando si rendono trasparenti nel nome della “Verità Divina”, cercare di comprendere il “Vero Uno” che, grazie a Lei, attribuisce loro il giusto merito. La tradizione sufica, che esprime la comprensione della conoscenza della saggezza eterna, non suggerisce questo già da secoli? 152

GÜRSOY-Divenire unificandosi 14x20.indd 152

22/07/16 20.12


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.