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Capitolo secondo

L’essere esistente-non esistente

«Non puoi esistere se non scompari, non puoi trovare l’eternità se non esisti». Ken’an Rifâî Fulya Bayraktar: Vediamo che l’ansietà che si vive quando si percepisce erroneamente la “distanza”, cioè quando la si vive come “distacco”, esiste anche nella percezione del “nulla”. In nome della tradizione sufica, in nome di un’attitudine acquisita della tradizione sufica, sentiamo pronunciare le parole “io sono nulla”, come se nel tentare di spiegare il non essere assoluto ci si dimentichi completamente di essere interlocutori con l’“Assoluto” e il “nulla”, percependolo come “inesistenza” e aprendo una porta verso la mancanza di significato dell’essere uomo. Come considera questo fatto? Kenan Gürsoy: Tale problema si può affrontare partendo dall’elaborazione letteraria del concetto di “nulla” o di “inesistenza”. Nella letteratura del Divan1 che tratta il “nulla”, nei versi pervasi di gioia sufica, si percepisce una felicità differente, si coglie la “pace” interiore del poeta. Tuttavia, successivamente, in alcune poesie che trattano lo stesso tema, ad esempio nell’Elegia dell’Inesistenza di Akif Pasha2, s’inizia a percepire una sofferenza o una sorta di ribellione del poeta, frutto di una possibile inferenza occidentale. In maniera simile, quando oggi si affronta nell’ambito della tradizione il tema del “nulla”, può sembrare che si tratti di un approccio estraneo alla tradizione stessa e che apparentemente tenda a rendere l’uomo 1 In poesia, il termine Divan indica un canzoniere, una raccolta di versi e di componimenti. 2 Akif

Pasha (1787-1845), statista ottomano, poeta e scrittore.

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insignificante, con il rischio, inoltre, di incorrere nel pericolo di far diventare assoluto il nulla oppure di essere preda dell’orgoglio del nulla. Fulya Bayraktar: Ha affermato che nei versi della tradizione sufica che parlano del “nulla”, l’uomo prova un “sollievo” interiore. Come può la percezione del “nulla” risvegliare nell’essere umano la felicità, la pace interiore? Kenan Gürsoy: Si tratta di un altro aspetto. Quando nella tradizione sufica si arrivava a un certo livello, non solo intellettuale ma anche spirituale, ci si accorgeva che quel nulla, che è il destino fondamentale dell’uomo, creava nell’anima una sensazione di “sollievo” e non di “sconfitta”. In tempi recenti, però, il concetto di “nulla” o di “inesistenza” ha assunto una diversa accezione, indicando la condizione di depressione dell’uomo. Facendo un confronto, si potrebbe affermare che nel primo caso è segno di “pace” interiore e nel secondo di “malessere”. Questa differenza di significati è ancor più evidente, analizzando il concetto di “nulla”. Poniamoci la domanda “come può il concetto di nulla generare un senso di pace?”. Si tratta di una valutazione che deve partire dal significato che gli è attribuito. Fulya Bayraktar: Il non trovare un’esatta collocazione, potrebbe derivare dal fatto che lo si guarda con la mentalità e la percezione del XXI secolo? Oppure, laddove si parla di nulla, questo concetto non è percepito nel suo vero significato perché chi lo affronta è legato alla mentalità del XXI secolo? Kenan Gürsoy: Quando si parla in questo modo, ho l’impressione che il nostro, sembri essere un secolo scadente. Non mi piace che ci si esprima così, è come se pensassimo di voltare le spalle al secolo in cui viviamo. Voglio pensare, invece, che esso abbia dei significati belli e peculiari, che il senso di gratitudine di essere venuti al mondo abbia a che fare con il nostro tempo. Fulya Bayraktar: Ho parlato di guardare con la mentalità e la percezione del XXI secolo, non con l’intenzione di esprimere un concetto negativo ma di sottolineare la diversa mentalità. Il senso non è caricare di negatività il tempo in cui viviamo ma affermare che si tratta di un’epoca in cui si ha una “diversa concezione” del mondo rispetto a quando in passato si parlava del nulla. 39

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Kenan Gürsoy: È vero, questo accade nella mentalità dominante o comune del XXI secolo ma non riguarda tutte le mentalità, perché esiste anche una controparte. I nostri giudizi sono ostacolati solo se rimaniamo ancorati a quella che è la mentalità dominante o comune. Fulya Bayraktar: Ad esempio, attualmente, quando si parla tanto del nulla, si pensa che il significato dell’uomo stia svanendo, che si tratti di una creatura insensata, ovvero, si presuppone che sia così. Kenan Gürsoy: Come uomo del XXI secolo, voglio attirare l’attenzione su questo punto. Lo sapete, quando si tratta del nulla, ho sempre sostenuto che ci si debba esprimere con riserva. Osservate, qui è nato un terzo punto. Nel primo abbiamo trattato il tema da studiosi; nel secondo ci siamo posti il problema della sua percezione in diversi periodi, riflettendo se il pensiero moderno possa elaborare il concetto di “nulla” com’era concepito nei secoli classici della tradizione sufica; in ultimo siamo arrivati ad affermare che non dobbiamo ignorare i nuovi orizzonti che ci aprono le percezioni del XX e XXI secolo, come facciamo con molti dei nostri concetti, ma rivalutare alla loro luce anche il concetto di “nulla”. Qui, il punto importantissimo cui prestare attenzione è il proteggere noi stessi dal deviare e cadere in uno “stato” opposto a quello de “la pace dell’esistere nell’essere”, propria dei sufi del periodo classico, i quali hanno vissuto tale dimensione interiore con estrema serietà. Bisogna pensare allora che dovremmo tenere conto anche di alcuni fattori che, una volta espressi, risvegliano associazioni mentali che potrebbero provocare delle frustrazioni nelle persone. È necessario, dunque, che l’interpretazione attuale sia sottile e profonda per non cadere nel significato contrario a quello assoluto. Abbiamo bisogno, allora, di una profonda riflessione filosofica. Ad esempio Muhammed İkbal3, uno dei discepoli più fedeli del Santo Mevlana, nel valutare l’idea dell’“io” del Maestro, si è discostato dalla concezione comune. Volendo fornire una nuova interpretazione per estirpare l’eccessiva indolenza e indifferenza generatasi nel pensiero della tradizione sufica in merito al concetto dell’“io” e della “persona”, senza modificare 3

Muhammed İkbal (1877-1938), studioso islamico, poeta, filosofo e politico pachistano.

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l’essenza, ha portato avanti un lavoro estremamente necessario di critica e interpretazione partendo dalla dinamica concezione umana del suo periodo. Il risultato non è stata un’alienazione ma un contributo alla “ricostruzione del pensiero religioso nell’Islam”. Per tale motivo non ha mai cessato di essere un discepolo fedele di Mevlana4. Da un lato ci si auspica che le nuove generazioni possano capire quest’aspetto, però bisogna tener conto, com’è stato già affermato, che esistono delle dimensioni diverse aperte dai nuovi secoli. Indubbiamente, nell’evoluzione storica della riflessione, la saggezza eterna, almeno come espressione, ha subito dei nuovi sviluppi. Se c’è stata un’indolenza derivata dall’errata concezione dell’idea di nulla, non è il momento buono, come ha detto İkbal senza mancare di lealtà al suo Maestro, per “dire cose nuove”5 anche a questo proposito? Capite come si può creare una base dinamica? Fulya Bayraktar: Abbiamo, purtroppo, una concezione che ci impedisce di pervenire a tale dinamismo: quando si parla di un pensatore, per non imitarlo, si crede che sia necessario avversarlo. Berdjaev6, invece, nella sua opera intitolata Dostoevskij all’inizio del suo libro scrive «Io sono un ammiratore di Dostoevskij7 e naturalmente sarò di parte. Scrivo di Dostoev­ skij perché mi piace e condivido le sue idee e questo, in quanto filosofo, è il mio diritto più naturale». Si pensa che trattare un filosofo significhi o parlarne oggettivamente o criticarlo, mentre è anche possibile farne una rilettura fresca e originale. Kenan Gürsoy: Ecco che la filosofia è un “punto esclamativo” e non interrogativo. Avevamo trattato quest’argomento dal punto di vista della tradizione sufica, lo stesso vale anche per la filosofia. Non abbiamo bisogno di un filosofo che abbia la febbre della critica ma di uno che sappia mettere i punti esclamativi come quelli interrogativi. Per questo motivo mi piace molto la parola esclamazione. Mettere un punto esclamativo è importante per attirare l’attenzione su una determinata questione. 4

Vedi nota 10, capitolo primo. di Mevlana. 6 Nikolaj Aleksandrovič Berdjaev (1874-1948), filosofo russo. 7 Fëdor Michajlovič Dostoevskij (1821-1881), scrittore e filosofo russo. 5 Affermazione

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Se mettere un punto interrogativo significa criticare, questa critica deve essere fatta per trovare la verità, per camminare sulla retta via. In altre parole, la sapienza critica deve essere utile a individuare i propri limiti. Non criticare non significa stereotipare: si possono approfondire alcuni punti o fare commenti diversi, assumendosi però la responsabilità di non commettere fraintendimenti. Ad esempio l’idea di “nulla” non deve condurre all’indolenza e all’indifferenza. Fulya Bayraktar: Ecco perché Lei insiste tanto affinché il nulla non sia inteso come “io sono nulla”. Kenan Gürsoy: Bisogna comprendere che il nulla significa proprio esistenza. Dire senza parlare, essere quando si è nulli, significa “esistere come segno dell’essere” e non significa “non esistere come segno dell’essere”. Pensate, il luogo in cui più permane l’essere umano è la lapide, che simboleggia la sua morte. Su di essa, prima del nome è scritto “Hüve el Baki” (Solamente Lui è il Permanente). Consideriamo, dunque, che l’essere nulla è tale che in quel nulla ciò che è “Unico” e “Permanente” esprime Se Stesso. Quando l’uomo riesce ad annullarsi, è allora che percepisce nel suo essere il vero significato di esistenza: laddove si afferma “sono nulla”, è il punto in cui l’esistenza di Dio, la sua onnipotenza opera la Sua conquista. Se invece si dichiara “io sono Dio”, ecco che si diventa un faraone. Si è tenuti a dire “io sono solamente una lapide e un segno che indica la Tua esistenza”. Anche quel segno, però, ha una tale devota responsabilità che, fino alla tomba, deve essere condotto in maniera decorosa. Fulya Bayraktar: La parola “lapide” assume anche il significato di “segno”, vero? Nel linguaggio di Yunus la lapide è espressa con un “Sin”8. Yunus dice: «Se hai bisogno di un esempio, vieni a guardare queste tombe» e afferma ancora: «Ecco, coloro che dicono io sono qui e disprezzano il padiglione o il palazzo/Ora dormono in una casa e le pietre sono le loro coperte». 8

“Sin” è una lettera dell’alfabeto arabo.

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Kenan Gürsoy: Sì. È per questo motivo che la lapide non si deve rimuovere. Fulya Bayraktar: Non ricordo la mia nascita ma in questo “segno” vedo chiaramente davanti a me la mia morte. Kenan Gürsoy: Bene e per questo dico di non diventare lapidi mentre siamo in vita. Cerchiamo di percepire la responsabilità della nostra esistenza. Se ciò che rimarrà di noi sarà un segno che indicherà Lui, scopriamo, senza mai sottovalutarlo, il significato della nostra apparizione in questa forma. Si passa dal mostrarLo a noi stessi, all’essere dentro noi stessi. Da tale percezione non deve nascere il “nichilismo” ma al contrario una completa e definita “attenzione” verso la nostra “esistenza” come essere umani. Non solamente io, ma l’intera umanità per lo stesso “merito” è il luogo e l’interlocutore di questa “attenzione”. A tal proposito direi, inoltre, che è indispensabile che io assuma a nome mio questa responsabilità dalla nascita fino la morte. Levent Bayraktar: Senza scivolare nell’“arroganza dell’esistenza”, né in quella dell’“inesistenza”. Kenan Gürsoy: Ecco, cosa intendo dire. Altrimenti “l’arroganza dell’inesistenza” diventa per qualcuno un motivo illegittimo di orgoglio. Levent Bayraktar: Ha sempre affermato, infatti, che “l’arroganza dell’inesistenza”, “l’orgoglio dell’inesistenza”, proprio come l’arroganza dell’esistenza che nasce dall’attribuire un senso prioritario a se stessi, non è un atteggiamento della tradizione sufica. Nel suo libro Abbiamo una tradizione filosofica?, nell’articolo “Il mondo meditativo di Samiha Ayverdi9 e l’uomo”, ha chiaramente espresso che questo tipo d’orgoglio dell’inesistenza fa dimenticare la posizione e la responsabilità del popolo all’interno del popolo, diventando indizio di un nuovo tipo di egoismo. A questo punto, probabilmente, è essenziale capire che la vita è un continuo dalla nascita alla morte, una costruzione, un cammino da intraprendere verso la maturità, in cui non deve venir meno mai tale determinazione, 9

Samiha Ayverdi (1905-1993), pensatrice sufi e scrittrice turca.

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persistenza ed energia, ricordando costantemente che il punto d’arrivo sarà sempre «Non c’è nessun altro essere che non sia Dio». Kenan Gürsoy: Giusto, e voglio aggiungere anche che questo va ripensato secondo la concezione del XXI secolo, ponendo attenzione affinché non sia mal percepito. Usare espressioni come “mi sono annullato” senza averne compresa la ragione essenziale, diventa solo ridicolo. Si è obbligati a esistere, bisogna rendersi esistenti, significare nella propria esistenza l’essere e nella propria vita il Vivente nel suo Vero senso. è necessario manifestarlo. Quando una vita simile è stata concessa, non ci si può rinunciare: questa è la responsabilità, essere e dover essere se stessi. L’essere “se stessi”, tramite una conversione così bella, porta a un altro punto in cui non si smette di essere se stessi, in cui, qualora si sia giunti autonomamente e in maniera corretta, si diventa l’espressione di “Ciò che è veramente l’essere” e della sua Potenza. Può esistere qualcosa di più bello? Alla fine, però, non si desidera lasciare comunque una traccia permanente del proprio nome? Per questo motivo penso che si dovrebbe parlare anche usando il linguaggio di questo secolo. Mimar Sinan10 ha lasciato poche opere: per questo non ci dovremmo, allora, ricordare di lui? Sinan è un fondatore di civiltà, è uno dei motori e fattori più importanti che creano la civiltà. Però anche Sinan, anche la tomba di chi ha compiuto opere così grandiose, alla fine indica sempre verso “Colui” che scriviamo con la lettera maiuscola. Così deve essere e alla fine diremo che anche lui è transitorio e ciò che appare dentro di lui è il riflesso del potere divino. Che grande onore è questo, perciò l’uomo è la creatura più nobile, perché è manifestazione del potere divino: nulla accade da sé. è buono che ci siano delle tracce lasciate dall’uomo, perché Dio vuole che gareggiamo tra noi in opere belle e benefiche. E noi certamente, per quanto possiamo, facciamo nostra la Sua Onnipotenza, purché non ignoriamo il vero Fattore. Fulya Bayraktar: Se non fosse così, sarebbe come opporsi alla nostra esistenza nella nostra persona qui durante la vita, con il corpo e in questo tempo. 10

Mimar Sinan (1489-1588), famoso architetto ottomano.

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Kenan Gürsoy: Vorrei spiegare che, oltre a essere obbligati a comprendere lo spirito della nostra epoca, siamo obbligati a portarne anche la responsabilità e a esprimerci al suo interno. Se affermassimo: «Lo spirito di quest’epoca è malvagio», bestemmieremmo contro il tempo. Siamo i servitori del Corano che ha giurato al “secolo”, non possiamo insultare il tempo, il periodo storico. La nostra epoca è cara come la precedente e la successiva, come quelle che sono e saranno: è il nostro comportamento a essere malvagio. Cerchiamo di capire lo spirito, il senso e il significato di questo momento storico da pensatori contemporanei, come persone consce che hanno una fede musulmana pura. Levent Bayraktar: E se esistono delle cose spiacevoli, siamo obbligati a combatterle. Kenan Gürsoy: Sì, questo è il nostro dovere. Non esiste un’“epoca malvagia”, è solo una scappatoia per sottrarsi alle proprie responsabilità. Ci possono essere moltissimi aspetti contemporanei contro cui si deve lottare ed è per questo che non bisogna voltare le spalle ma combatterli. Perché, ad esempio, il pensiero di giustizia esiste, si è a conoscenza della sua presenza e del suo valore. Fulya Bayraktar: Per questo motivo abbiamo la responsabilità di comprendere lo spirito e la mentalità dell’epoca. Kenan Gürsoy: Sì, dovete esprimervi all’interno di questa epoca. Conoscete l’esistenza del giusto e della giustizia e, se credete nella permanenza di questi valori, dovete lavorare e faticare. Per voi la gioia più grande è sapere e avere la responsabilità di quanto conoscete, per passare poi all’azione. Dovete agire in base alla responsabilità assunta, ossia dovete “operare bene”. Levent Bayraktar: Non bisogna piegarsi alla cattiveria solo perché esiste. Non si dice: «La cattiveria se ne va portandovi con sé oppure rimane alle vostre porte?». Kenan Gürsoy: Ecco questa è la massima fondamentale. Se i collegamenti sono stati operati correttamente, non esiste alcun aspetto che non sia 45

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concorde con i concetti principali della tradizione sufica. Al contrario, la tradizione sufica ci fa conoscere le basi metafisiche della nostra esistenza in questo mondo, i significati dei valori e delle responsabilità legati alle azioni che dobbiamo compiere: dona un significato complessivo e spirituale a tutto il piano dell’esistenza e ci suggerisce un modo di vivere in armonia. Per questo motivo abbiamo bisogno della riflessione filosofica, perché la competenza necessaria per creare questo collegamento è la competenza dell’“intelligenza” che noi poniamo al centro. Allora siamo obbligati a fare degli sforzi. Non ha errato chi ha vissuto la tradizione sufica nel suo significato classico, all’interno della sua vita, unendola all’azione. Il valore che ha attribuito all’uomo e alla struttura sociale, il dialogo che sentiva con l’intera creazione non erano sbagliati. Però se non si riesce ad adattarla ai nostri giorni, a creare quest’armonia allora vuol dire che ci stiamo sbagliando e che non stiamo agendo. Un altro indice di questa situazione è che non ragioniamo sufficientemente con la mente, che non abbracciamo l’uomo nella sua cornice universale, che non dialoghiamo abbastanza con il creato e, infine, non poniamo la giusta attenzione al regno dell’esistenza.

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