Racconti di Fotografia - Enrico Lanfredini

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Racconti di Fotografia

2020 // Enrico Lanfredini




2018-2020


Racconti di Fotografia parole e immagini di Enrico Lanfredini



Sommario Assenza La bassa bolognese Verso l’ultima thule Niente di speciale

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Assenza. “Assenza, Più acuta presenza. Vago pensier di te Vaghi ricordi Turbano l’ora calma E il dolce sole. Dolente il petto Ti porta, Come una pietra Leggera.” Il confine tra morti e vivi, il più duro e fragile, impedisce di dare un senso alla morte, escludendola dai luoghi della nostra vita. L’architettura cimiteriale rende riconoscibile la costante presenza dei defunti nel nostro quotidiano. All’interno del recinto questo confine assume un significato diverso: si entra nella città dei morti dove i vivi sono solo di passaggio, visitatori fedeli e timorosi di un vuoto colmato da una vicina assenza.

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La bassa bolognese. “E lentamente si deposita in noi il senso della distanza che afferra questa piccola comunità mentre arriva l’inverno, quando l’unico bar trattoria andrà a chiudere da dicembre e per sempre e nessun altro luogo di ritrovo resterà per questi uomini, troppo uguali ai loro luoghi per cercare altro.” La pianura del Po delinea la terra di confine materiale e ideologico tra il mondo centroeuropeo e il mondo mediterraneo. In verità nello spazio che abita questo confine si sviluppa una realtà che Luigi Ghirri definisce generatrice di malinconia, un cortocircuito tra natura e sfruttamento della natura e persone che ci vivono. L’estensione e la continuità del paesaggio, insieme al ripetersi di acqua, tralicci, condomini, alberi, case rurali, chiese e la più generale assenza della figura umana, provoca in chi percorre, ma più di tutti in chi abita questi luoghi, un conflitto viscerale combattuto tra la sensazione di più sperduta solitudine e la convinzione di chi viaggia di essere l’unico a coordinare lo spazio con un progetto. Chi vive questi luoghi abita spazi vuoti, tempi vuoti da colmare, dove la linea di terra dell’orizzonte, lontana e senza ondulazioni, diventa confine tangibile e sancisce per alcuni la fine inafferrabile e offuscata dalla nebbia della malinconia, per gli altri invece disegna un limite troppo lontano per quelli che sono troppo uguali a questi luoghi per cercare altro; e allora nel modo opposto di considerare la linea dell’orizzonte si rivela la possibilità di interpretare queste immagini, di leggere in esse la familiarità del contesto oppure di accrescere la voglia di evadere da tutta questa piattezza.

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Verso l’ultima thule. “Queste sono notti senza pericoli Di nazioni con i debiti, internet senza limiti Di cieli superati, con viaggi disorganizzati E tu che ti dimentichi che è una corsa a ostacoli Allegri e disperati, nei secoli dei secoli.” Il viaggio, in qualsiasi sua declinazione - non solo concreto e realistico, ma anche in senso simbolico di tensione - costituisce un più profondo desiderio di conoscenza. Ogni viaggio, nel suo principio, racchiude una sostanziale dualità tra la fedeltà alle radici, la certezza delle abitudini, i valori della società in cui si vive e la scommessa della ricerca, della conoscenza. È rischio di perdita, ma anche prospettiva di conquista, è promessa di ritorno, ma anche abbandono speranzoso all’incognito.

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Niente di speciale. “Perché è lì che ci spogliamo bene e ci vestiamo male Perché è lì che mostri la tua carne, la tua carne fresca Perché è lì che siamo tutti uguali coi costumi a fiori Perché è lì da cui veniamo tutti e ci vogliam tornare.” Ogni anno, d’estate, si rinnova il bisogno di tornare al mare. Così come qualcosa di estemporaneo, come un azzeramento prima di essere riconsegnati ognuno ai propri obblighi, il mare diventa la ragione di congedo straordinario dal quotidiano. Ma al di là della pura villegiatura, di quella strana idea di privilegio che circola prima di partire - perché si ripresenta, stagione dopo stagione, la necessità di tornare ognuno al proprio mare? Alla fine poi: io e te al mare, ma che ci andiamo a fare?

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