Walt Disney - Il visionario che ha cambiato il cinema, il disegno e l'immaginario collettivo

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1 ALT ISNEY Il visionario che ha cambiato il cinema, il disegno e l’immaginario collettivo Erica Uras

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3 ALT ISNEY Il visionario che ha cambiato il cinema, il disegno e l’immaginario collettivo

Walt4 Disney - Il visionario che ha cmabiato il cinema, il disegno e l’immaginario collettivo Erica AccademiaUras di Belle Arti “Mario Sironi” Sassari Scuola di Grafica d’Arte e Progettazione Tesi di Diploma di I livello Anno Accademico 2021-2022 Progetto grafico: Erica Uras Disegni: Steve Thompson E-mail: erica.uras@gmail.com © Stampato2022 in Sardegna ISBN 2119976 06603

5 ALT ISNEY Il visionario che ha cambiato il cinema, il disegno e l’immaginario collettivo Erica Uras

dream IF YOU CAN

it, YOU CAN do it.

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Gli esordi Le innovazioni tecniche che cambieranno l’industria dell’animazione Il cambiamento “mentale”, l’approccio Disney Il disegno Disney: l’animazione, il fumetto e l’illustrazione

La definizione di stile Disney: interviste ai disegnatori Confronto e studio del segno tra il disegno Disney e altri stili di disegno La “filosofia” Disney La creazione di un nuovo mondo: i parchi a tema Come Disney ha cambiato l’immaginario collettivo: indagine sulla popolazione I fenomeni percettivi e la psicologia: come Disney le ha sfruttate

Elaborati 111 Ringraziamenti 113

9 1091071037553231511233333374955596777798391WaltIntroduzioneDisney: il personaggio e la sua storia Walt Disney e l’animazione Walt Disney e il disegno Walt Disney e l’immaginario collettivo Conclusioni SitografiaBibliografia Breve storia del cinema d’animazione L’intuizione fortunata di Walt Disney e la sua rivoluzione

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Topolino, Paperino, Mary Poppins… è possibile trovare qualcuno che non conosca o non abbia mai sentito nominare questi tre personaggi nel corso della propria vita? Biancaneve, Cenerentola, Peter Pan… è possibile immaginarli nella propria testa senza pensare ai celeberrimi film d’animazione omonimi?

Quanta onnipotenza divina! Quale magica ricostruzione del mondo secondo la propria fantasia e il proprio arbitrio! Un mondo di linee e colori al quale si impone di sottomettersi, di cambiare forma.

SERGEJ M. ĖJZENŠTEJN

Introduzione

Questo elaborato si pone l’obiettivo di entrare nel mondo creato da Walt Disney focalizzandosi sul modo in cui la sua figura e il suo operato abbiano radicalmente cambiato l’ambito del cinema, del disegno e così tutto l’immaginario collettivo. Non tanto per ricostruirne la storia biografica e celebrarne gesta e successi, ma, come faremmo e facciamo con i più grandi autori della storia dell’arte tradizionale, per capire come la produzione artistica di un singolo possa impattare e coinvolgere artisti a lui contemporanei, ma ancor più importante, tutti quelli a lui successivi.

Nel primo capitolo dell’elaborato andremo ad analizzare il personaggio di Walt Disney, inquadrandolo nel suo contesto storico e culturale. In particolare, ci si soffermerà sulla sua figura di imprenditore e ideatore, per antonomasia. Da Chicago, passando per Kansas City fino ai Disney Brothers Studio in California. Si analizzerà la storia personale per arrivare a delineare gli eventi salienti della sua vita e le motivazioni profonde che l’hanno portato a compiere determinate scelte fino a costruire un intero mondo fatto di cartoni animati e magia. Nel secondo capitolo si andrà a illustrare la storia del cinema d’animazione che ha preceduto l’avvento di Disney. Le Fantasmagorie, il gatto Felix e tutti i precursori di Topolino & Co., elementi imprescindibili per poter comprendere l’ambito, ma ancor di più per capire l’azione di Walt Disney. Si illustreranno in breve anche le varie tecniche utilizzate fino a quel momento. Successivamente, poste queste basi fondamentali, si mostreranno le innovazioni e i cambiamenti apportati da Disney, capace di rivoluzionare il cartone animato e tutto il cinema d’animazione in maniera Ilpermanente.terzocapitolo dell’elaborato vuole affrontare un’analisi da un punto di vista prettamente tecnico, quello del disegno. Andremo ad analizzare la differenza tra il disegno per l’animazione e il disegno per i fumetti di produzione Disney. Successivamente vedremo come si sia creato uno specifico segno grafico inconfondibile, tale arrivare a definire uno stile proprio, e una tipologia di disegno ancora oggi caratteristico. Vedremo in quale maniera questo influenza i professionisti del settore, andando a raccogliere la loro esperienza. Infine, vedremo come lo stile

di disegno Disney abbia influenzato le produzioni a lui successive. Nel capitolo conclusivo si affronterà la filosofia Disney e il suo impatto sull’immaginario collettivo. Come la figura del personaggio Walt e la sua ideologia abbiano concretamente creato un intero mondo. Come il Disney imprenditore abbia avuto l’intuizione di fondare su questo un tipo di intrattenimento completamente nuovo: i parchi a tema. Come tutto ciò che è stato creato, dall’animazione ai parchi divertimento, lascia ancora oggi una traccia indelebile nella nostra vita di tutti i giorni, andando a raccogliere dati e informazioni in un’indagine sulla popolazione.

E, per concludere, analizzeremo i fenomeni percettivi e psicologici che Walt Disney e i suoi successori hanno sfruttato in ogni singolo ambito: nel cinema, nel disegno e nella società.

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Conoscere la storia personale di Walt Disney e le vicende della sua vita privata non è un mero esercizio volto a ricostruire una biografia dell’uomo, mettendo in ordine cronologico gli eventi che si sono susseguiti nel corso della sua vita, ma è necessario e indispensabile per comprendere le reali e profonde motivazioni che hanno se gnato le sue scelte e determinato la sua carriera. In questo primo capitolo andremo quindi a ripercorrere gli avvenimenti più importanti, che ci permetteranno di inqua drare Walt Disney come uomo, prima ancora che come animatore, imprenditore, produttore e tutto ciò che è stato nella sua lunga e fruttuosa carriera.

Walt Disney: il personaggio e la sua storia

Walter Elias Disney nasce il 5 dicembre 1901 a Chicago da Flora Call ed Elias Disney. La famiglia Disney si era trasferita a Chicago solo pochi anni prima e a seguito della nascita della sorella minore di Walt, Ruth, si trasferisce nuovamente, nella piccola cittadina di Marceline, in Missouri. A distanza di tanti anni, la moglie di Walt arriverà a descrivere Marceline come “la parte più importante della vita di Walt”1. Nella pic cola cittadina, tra le tante altre cose, il giovane Disney scopre un senso di meraviglia e un fascino per l’estetica della cittadina che la fumosa Chicago non gli aveva mai trasmesso. Marceline era a suoi occhi esattamente come una piccola città doveva essere. A rinfrancare il cuore del piccolo Disney era anche lo spirito della comunità: nella cittadina tutti tenevano gli uni agli altri. Vivere nella piccola cittadina significava avere la grande famiglia attorno, da cui cercava di attirare tutta l’attenzione possibile. Lo zio Mike, ingegnere di treni, il cui esempio e affetto sarà per Walt indimenticabile e fonte di ispirazione, specialmente in età adulta; la zia Margaret, l’unica a essere chiamata “zia”, che era solita portare dei regali al piccolo. Tra i tanti regali, Walt riceve un tavolo da disegno Big Chief e matite colorate. Per la maggior parte dei bambini questo regalo sarebbe stato superficiale, ma per Walt diventa un’altra tra le cose per cui Marceline conserverà sempre quel posto speciale nel suo cuore: gli dona la nascente consapevolezza di sé e la prima scoperta del suo talento. A rompere l’incantesimo sarà l’incapacità di Elias in ambito agricolo, ma fattore ancora più im portante, sarà l’attaccamento al denaro del capo famiglia. A determinare la fine della permanenza a Marceline è un episodio simbolico e fondamentale per la famiglia: ai maggiori, Herbert e Ray, in affari con lo zio Robert, viene chiesto che intenzioni aves sero riguardo ai soldi guadagnati. Quando uno dei due risponde dicendo di avere in mente di comprare un orologio da taschino, Elias esplode e pretende di prendere lui i soldi e investirli per mantenere la fattoria. Così, la stessa notte, i due scappano di casa con i loro soldi, separandosi dalla famiglia e lasciando la fattoria con meno 1 Neal Gabler, Walt Disney: The Triumph of the American Imagination, Vintage, 2007, pag. 21

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2. Neal Gabler, Walt Disney: The Triumph of the American Imagination, Vintage, 2007, pag. 28

16 forze di prima. Così, nonostante la perseveranza di Elias nel cercare di tenere in piedi la fattoria, l’idillio di Marceline finisce e la famiglia Disney è costretta a trasferirsi a Kansas City. Per tutto il resto della sua vita, Walt Disney cercherà di recuperare quella sen sazione che Marceline era riuscita a dargli: “un senso di libertà, con gli animali e i personaggi che vivono là fuori. Questo è quello che provi addentrandoti. Puoi scappare dalla vita di tutti i giorni, dal conflitto e dalla fatica. Puoi stare dove tutto è libero e bello”

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3. Neal Gabler, Walt Disney: The Triumph of the American Imagination, Vintage, 2007, pag. 32

Per Elias Disney questo nuovo trasferimento ha il sapore di una nuova sconfitta, atteggiamento che tanto ci dice sulla personalità di quest’uomo e sull’impatto che avrà nell’at teggiamento di Walt nel corso della sua vita. Venduta la fattoria di Marceline, Elias decide di acquistare un’attività di consegna di quotidiani. Questa attività non sarà soltanto una fonte di guadagno per la famiglia, ma diventerà un modo di vivere per l’intera famiglia, in cui tutto verrà subordinato alla vendita dei giornali. Con Herbert e Ray ormai lontani da casa, a poter gestire gli affari di famiglia sono rimasti solo il diciottenne Roy e Walt, che all’epoca ha soli nove anni. Decenni dopo lo stesso Disney dirà a proposito dell’attività di famiglia che la consegna dei giornali lo aiutò a forgiare il suo carattere e a capire e ad apprezzare il valore del tempo libero. In realtà, molte altre volte, dirà quanto questa attività lo segnò al tal punto da tornare nei suoi sogni di adulto. Consegnare i giornali, la mattina presto, in ogni condizione meteorologica, con la paura di dimenticare qualche giornale e di ritrovare l’impo nente padre ad attenderlo e a rispedirlo indietro per compiere il suo lavoro. Ancora più umiliante della routine della consegna sarà il fatto di dover aumentare le proprie entrate, non sufficienti, cercando altri lavori. Ruth Disney dirà che il padre non fu mai tanto draconiano, come invece sarà sempre descritto da Walt, ma in realtà la frugali tà quasi patologica rappresentò sempre il tratto distintivo di Elias. In aggiunta al suo essere taciturno, la sua disciplina, il timor di Dio instillato nei suoi figli. Walt trovò sempre il padre tanto inavvicinabile da parlargli a stento. Se questi erano sempre stati tratti distintivi di Elias, Kansas City non aveva fatto altro che rafforzarli e indurire il carattere dell’uomo. E dopo l’ennesimo trasferimento, l’ennesima delusione per Elias, Walt sembra essere il suo bersaglio preferito, forse proprio perché nettamente diverso dal padre. Crescendo infatti, Walt era diventato la sua antitesi3: se Elias era austero, Walt era sempre allegro, nonostante rimproveri e durezza; se Elias faticava e soccombeva alle vicissitudini della vita quotidiana, Walt riusciva a essere sempre entusiasta e gioioso.

Walt Disney quindi passa la sua infanzia e prima adolescenza in una ricerca costante: una via di fuga. Se a Marceline aveva trovato la sua prima passione e il suo grande talento, il disegno, in Kansas City aveva trovato un altro mezzo: la recitazione e la performance. A posteriori, conoscendo la fama del personaggio, non ci stupisce che queste due siano state coltivate fin da giovane ragazzino. A sorprenderci quindi deve essere lo spirito che ha guidato Walt Disney sin da questi primi passi: a Kansas City Walt Disney inizia a forgiare la sua personale mitologia, ovvero l’idea di chi ha battuto la povertà, la rigidità e il poco amore di un padre così duro. Negli anni successivi, al rientro dalla guerra in Europa, Walt inizia la sua carriera: dapprima conquistandosi un posto come apprendista nell’agenzia pubblicitaria Pesman-Rubin Commercial Art Studio, poco tempo dopo aprendo una sua società con il collega Ub Iwerks. Dalla Laugh-O-Gram Studio del 1921 ad arrivare alla Walt Disney Production nel 1928, passando per numerose difficoltà finanziarie e progetti non andati a buon fine. La sua carriera, appena iniziata e già irta di ostacoli e pericoli, vedrà una costante: il Walt abituato dal padre a fare i conti con la realtà, a confrontar si con quella realtà che non fa sconti a nessuno, mai smetterà di credere in ogni sua idea e in ogni suo nuovo progetto, con un fervore e un entusiasmo impareggiabili.

Per tutta la sua carriera e per tutta la sua vita, Walt Disney avrà un solo obiettivo: percorrere tutte le strade possibili, tentare l’impossibile, per poter arrivare a essere il migliore. Di grande ispirazione e fonte di grande insegnamento, come in tutte le storie dei più grandi personaggi, reali e inventate, non saranno quindi i successi, ma i fallimenti. È inquadrando la storia sotto questa prospettiva che le frasi celebri di Walt Disney possono suonare concrete e tangibili, più che romantiche e figlie della fantasia e di un mondo colorato e patinato. Il ritorno negli Stati Uniti segna un passo importante nella biografia di Disney. Il pri mo lavoro, infatti, consente a Walt di muovere i primi passi della sua carriera artistica e di conquistare una fiducia nelle sue capacità. Inoltre, gli permette di conoscere il disegnatore Ub Iwerks. Radicalmente opposti, Disney mostra già in questa occasione lo spirito imprenditoriale e lo spirito di iniziativa che lo ca ratterizzerà per sempre proponendo al giovane collega di entrare in società, producendo locandi ne destinate alla pubblicità. Di lì a poco l’appena nata associazione tra di due fallisce, ma questo primo fallimento determina e porta Disney a una nuova scoperta: l’animazione. Così Disney scopre il suo amore per “il far muovere le cose”4. Man tenendo il suo principale lavoro alla Kansas City 4 Neal Gabler, Walt Disney: The Triumph of the American Imagination, Vintage, 2007, pag. 32

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18 Slide Company nel 1920 crea la Newman Laugh-OGram dove inizierà a produr re corti animati, inizialmente sempre a scopi pubblicitari. Poco dopo aver incorpora to la Laugh-O-Gram Films la compagnia fondata da Disney andrà in bancarotta. Questo secondo passo non fa desiste re Walt Disney dalla sua nuova e crescente passione, ma anzi lo spinge a compiere una scel ta che cambierà le sorti della sua vita. È il 1923 quan do si trasferisce a Hollywood per perseguire il suo obbiettivo di diventare regista. Ed è proprio lì, che nello stesso anno, insieme al fratello Roy, prende vita il Disney Brother Studio dopo aver ottenuto il contratto per la produzione della serie Alice Co medies, una serie in live action dove l’attrice interagisce con cartoni animati. Disney inizia ad assumere sempre più animatori, sempre più convinto delle potenzialità di questo medium e anche del prodotto che lo studio stava curando in quel momento. Alcuni anni dopo, necessitando di più spazi per poter gestire la grossa produzione che la serie richiede, i due fratelli spostano lo studio a Hyperion Avenue, dando un nuovo nome, rimasto invariato a lungo e passato alla storia: Walt Disney Studios. Lo studio verrà poi conosciuto con il nome di Hyperion Studio diventando a sua volta celebre e sede storica di numerosi film d’animazione prodotti negli anni venire. Per Disney sono quindi questi anni di grande fermento, l’accenno della grandezza che gli studi avrebbero visto, e questo attira l’attenzione di Charles Mintz. Produttore famoso a Hollywood, Mintz intravedendo una grossa prospettiva di guadagno, ma forse sottostimando il temperamento e il carattere di Disney e di conseguenza an che la vera riuscita dell’idea, propone la creazione di una nuova serie animata basata su un personaggio non ancora sviluppato: Oswald the Lucky Rabbit. La serie ottiene successo, la produzione necessita di un budget più sostanzioso per poter reggere il ritmo e Disney lo richiede. Quello che Disney non si aspetta è la mossa che Mintz fa, agendo alle sue spalle: il produttore, facendo leva sui diritti che detiene in quan to, appunto, produttore cerca di scavalcare Disney e di acquisire lo studio dei due fratelli. È la prima vera delusione per Disney che segnerà irrimediabilmente tutte le sue scelte future. Lo spirito entusiastico di Walt, sempre pieno di energia e di nuove soluzioni, idee e progetti futuri, mai spaventato dal lato economico (era il fratello Roy infatti a gestire le questioni economiche dello studio) e tantomeno non avvezzo ai giochi di potere e alle mosse scorrette in nome dei soldi e del guadagno, cede un colpo. Mintz era diventato per Disney un punto di riferimento, un fidato consigliere

19 per il giovane ventiseienne che muoveva i suoi primi passi nell’industria cinemato grafica. Disney quindi decide di cedere i diritti di Oswald e perde il suo primo carto ne animato. Da quel momento in poi ricorderà quell’evento come la sua più grossa delusione cambiando per sempre il suo atteggiamento e la sua predisposizione nei confronti dei produttori. Se lo smacco subito da Mintz cambia e condiziona lo spirito di Disney negli affari, fino a quel momento naïf, sicuramente determina un altro momento di svolta. La delusione porta determinazione nello studio: Walt vuole creare un personaggio che somigli a Oswald nelle fattezze, ma che sia e soprattutto capace di conquistare il pubblico come Felix, il gatto più famoso d’America. È proprio questo momento che ci dimostra e ci fa comprendere quanto il fallimento sia importante, tanto quanto la fortuna e i successi. Disney riesce a trasformare la brutta esperienza in quella che sarà la sua creazione più famosa e lungimirante: Mickey Mouse. Con Mickey Mouse, infatti, Disney vede crescere la sua fama e il suo prestigio. Il personaggio è apprez zato, ha tutto ciò che serve per conquistare il pubblico. Ma Disney non si accontenta: non desidera competere o raggiungere il successo; ciò che desidera è trovare nuovi modi di incantare. Steamboat Willie diventa così il primo cartone a introdurre il suo no. Sulla scia di questa nuova innovazione, Walt Disney decide di produrre le Silly Symphonies. È il 1929 e lo studio inizia la sua rivoluzione. L’uso del colore, l’innova zione del suono, l’invenzione della multipla camera: lo studio è in fermento, gli ani matori lavorano senza sosta. Ci vogliono dieci anni di lavoro, ma nel 1937 debutta al cinema il primo lungometraggio d’animazione, destinato a cambiare per sempre il cinema: Biancaneve e i sette nani. Il film è un successo, esalta appieno il genio di Walt Disney. La sua intuizione non è fortunata, ma frutto dell’insieme di innovazioni che fanno di Biancaneve un prodotto mai visto prima di allora a Hollywood e nel mondo.

Sono anni di sperimentazione, l’obiettivo di Walt è quello di elevare l’animazione ad arte. Per Bambi, che vedrà la luce solo nel 1942, Disney

Talmente tanto da far vincere a Walt Disney il suo primo Oscar, in un’edizione speciale: un Oscar a misura standard e altri sette in miniatura, propri come i sette nani. Dopo Biancaneve Walt Disney vuole far esplodere l’animazione in un trionfo di colori, ma accompagnati dalla musica e così chie de al musicista Stokowski di collaborare a un film che combina le due arti. Fantasia, questo il nome del lungometraggio, viene rilasciato nel 1940, lo stesso anno di Pinocchio. Disney non riesce a bissare il successo di Biancaneve, ma ancora una volta non è il successo l’obiettivo di Disney.

20 dispiega innumerevoli forze: animali veri, ore infinite di studio della natura, per aiutare gli animatori a raggiungere una qua lità nella resa che non sia più paragonabile ai vecchi cartoni animati, ma che sia quanto di più simile alla realtà che un di segno abbia mai raggiunto. Sebbene il successo però non sia ciò che Walt persegue, è ciò di cui lo studio ha bisogno per andare avanti con produzioni come quelle a cui lui tiene. Sono gli stessi anni della guerra, che dall’Europa si sposta a tutto il continente. E lo spirito di Disney è costretto a cambia re. L’entusiasmo e l’interesse che avevano spinto lo studio al successo di Biancaneve viene sempre meno. A determinare questo cambio nello spirito però non è tanto un constatato calo di successo nel pubblico, ma è ancora una volta una de lusione per Walt. Il clima negli studi è ben diverso da quello che aveva caratterizzato la produzione di Biancaneve in cui gli animatori erano coinvolti nell’intero processo di creazio ne e sentivano il film come un qualcosa a loro appartenen te. La diversificazione della produzione, la divisione in team diversi per film diversi, inizia a creare delle divisioni e un graduale distacco dei creativi al lavoro nei diversi progetti. Gli animatori, in particolare, ini ziano a risentire dei ritmi di lavoro e richiedono attenzione. A seguito del primo sciopero mai avvenuto negli studi nasce il primo sindacato degli animatori. Nello stesso anno gli Stati Uniti entrano ufficialmente in guerra. All’esodo nato dagli scioperi si unisce quello determinato quin di dalla guerra. Disney si ritrova a non riconoscere più l’ambiente che tanto aveva faticato a costruire: un ambiente accogliente e basato sulla fratellanza e sulla cooperazione. Lo spirito che aveva guidato gli studi fino a quel momento, qui svanisce e con lui anche l’interesse di Disney per l’animazione, che scema pian piano. Walt si dedica alla propagan da, un po’ per necessità e un po’ per trovare un diversivo e una con solazione al declino dello studio. Non abbandona la sua nave, ma la sua sete di novità e innovazione inizia a trovare sfogo nella produzione di documentari. Così facendo Disney riesce a tenere in piedi l’impero che aveva costruito fino a quel momento fino ad arrivare nel 1953 a creare la Buena Vista Film Distribution Company. Ed è negli stessi anni che Disney trova un’altra sua grande intuizione: la televisione. Insieme a questa, o proprio grazie a questa, inizia a lavorare a un’altra grande idea. Negli anni precedenti infatti Disney aveva trovato un rifugio, per mantenere vivo il suo spirito fanciullesco, nella costruzione di modelli ni di treni in primis - l’ispirazione data dallo zio Mike - e subito dopo nel dedicarsi alla collezione di oggetti in miniatura. Da questa nuova pas

21 sione, segno che lo spirito di Disney ha sempre trovato modo di tenere la propria fiamma accesa, Walt scopre di avere un altro grande sogno: costruire una mini città a tema Disney. Il progetto di Disneyland, così chiamerà il suo primo parco diverti menti a tema, permetterà a Walt di ritrovare quell’entusiasmo che l’aveva guidato in Biancaneve. Ma sopratutto permetterà a noi, suoi contemporanei e anche venuti dopo di lui, di poter ammirare il suo genio al massimo della sua creatività.

I suoi tre più grandi capolavori e i suoi tre più grandi simboli - i film d’animazione, Mickey Mouse, Disneyland - hanno caratterizzato la sua carriera, ma ancor di più lo hanno caratterizzato come uomo. Ognuno di questi simboli rive la proprio il suo spirito e il suo obiettivo. Biancaneve voleva di mostrare che nulla era impossibile, neanche un lungometraggio animato in una sala cinematografica. Mickey Mouse voleva essere indimenticabile e unico, voleva stupire e far divertire, in un modo in cui nessuno prima era riuscito a fare. Disneyland voleva racchiu dere in un posto solo tutta la magia e le emozioni che Disney ha sempre cercato di trasmettere con i suoi tanto amati personaggi: creare un mondo dove tutto è possibile, il divertimento non ha età e l’immaginazione non ha limiti.

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Walt Disney e l’animazione

Questa definizione ci porta dritti a un importante fatto, apparentemente scontato: il teatro delle ombre cinesi, gli spettacoli della lanterna magica o del mondo nuovo, e tutta quella serie di strumenti ottici che precedettero la nascita del cinema vero e proprio, sono a ben vedere tutte forme primordiali di animazione

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Questa definizione di animazione, data da uno dei più grandi registi d’animazione, è la giusta premessa che ci accompagna all’introduzione di questo capitolo. Prima di poter descrivere come Walt Disney abbia cambiato l’animazione e descrivere nello specifico in quale maniera l’abbia fatto, occorre infatti fare un passo indietro e defi nire cosa si intende per cinema d’animazione e cos’ha preceduto l’avvento di Disney, andando ad analizzare tutto ciò che si ritiene essere più rilevante a livello storico e culturale.

NORMAN MCLAREN Breve storia del cinema d’animazione

Tecnica cinematografica mediante la quale vengono ripresi con speciale apparecchio fotogrammi di disegni o di oggetti inanimati rappresentati, o collocati, in posizioni di lievi spostamenti successivi, così che nella pro iezione diano poi allo spettatore l’impressione di un vero e proprio movi mento; è una tecnica particolarmente adoperata per i cosiddetti disegni animati e in genere per i film di animazione.5

6. Il cinema d’ani mazione quindi, che da sempre appare come una tipologia di cinema più relegata e considerata meno famosa, per la sua natura così analogica e tecnologicamente antecedente la cinepresa, precede in realtà il cinema tradizionale. Sebbene per natura l’animazione abbia preceduto il cinema “vero e proprio”, l’in venzione del cinema tradizionale le offrì comunque nuove opportunità di sviluppo stabilendo così un’interazione continua tra i due filoni. Parlare quindi delle origini del cinema d’animazione significa anche in parte parlare delle origini del cinema tradizionale, e viceversa. Per entrambi risulta difficile stabilire una data precisa, ma 5 https://www.treccani.it/vocabolario/animazione/ 6 https://www.brevestoriadelcinema.org/08-breve-storia-del-cinema-danimazione/ What happens between each frame is more important than what happens on each frame. Therefore, animation is the art of manipulating the invisible interstices between frames.

24 questo risulta ancor più vero per il cinema d’animazione. Già ai primordi della civiltà troviamo disegni in sequenza di figure umane e animali in antichi manufatti egiziani e in moltissime pitture rupestri. In quale modo lo possiamo ritenere un antesi gnano dell’animazione? Come già accennato prima, per la sua definizione, che la vuole coma una serie di immagini viste in ra pida successione attraverso una qualche forma di dispositivo, in modo tale da creare l’illusione del movimento7. Ricalcando questa definizione la prima animazione vera e propria mai do cumentata risale al 180 d.C. ed è da ricondurre all’inventore cinese Ting Huan. Le origini dell’animazione moderna, vera e propria, possono es sere rintracciate in un saggio di Peter Mark Roget del 1824 che arriva a teorizzare la persistenza retinica: la retina dell’occhio trattiene un’immagine per qualche istante anche dopo la sua scomparsa e in questo modo, se le immagini vengono proiettate rapidamente la mente umana le percepisce come un’immagine continua. Da questa scoperta deriveranno molti congegni e giocattoli ottici: il taumatropio, il fenachisto scopio, il daedaleum Tutte invenzioni in cui le sequenze di immagini vengono viste attraverso fessure che permettono di cogliere un disegno alla volta. Tra gli esempi più celebri dei primi esperimenti sull’animazione troviamo senz’altro la sperimentazione di Eadwaerd Muybridge. Sulla stessa scia, anzi una sua evoluzione tecnica, sarà l’invenzione del praxinoscopio di Charles Emile Reynaud. L’innovazione di questo strumento consisteva nell’aggiunta di specchi mon tati al centro del cilindro rotante, posizionati con un angolo tale da riflettere la striscia di immagini in successione ripro dotta nella superficie interna del cilindro, dando un’esperienza decisamente più confortevole agli spettatori. Successivamen te Reynaud ha l’idea di sviluppare il suo marchingegno in un apparecchio per la proiezione che chiamerà Theatre Optique. Nel 1888 dà una piccola dimostrazione del suo funzionamen to proiettando un primo film dal titolo Un bon Bock. Le im magini in movimento erano proiettate separatamente dallo sfondo, che era proiettato come un’immagine fissa. Il disposi tivo diventerà a Parigi un’attrazione popolare fino al 1900 quando il pubblico verrà conquistato dalle prime proiezioni cinematografiche dei fratelli Lumiere. Sebbene quindi per abitudine si tenda ad associare la storia del cinema d’anima zione agli Stati Uniti, l’Europa ha un ruolo molto importante nello sviluppo e nella 7 S. Cavalier, L. Della Casa, S. Battistini, Cartoon. Storia mondiale del cinema d’animazione, Atlante, 2011, pag. 30

8 Il termine “passo uno” si ricollega alla scelta di fotogrammi per secondo: se i fotogrammi, sono tutti differenti si parla di passo uno; se invece i fotogrammi si ripetono in coppie si parla di passo due.

sperimentazione dei principali strumenti e delle prime innovazioni. Per tutti i primi trent’anni del Novecento progressi e sperimentazioni attraversano il continente: i già citati fratelli Lumiere inventano la loro prima versione del cinematografo; a Londra, Robert W. Paul e Birt Acres completano il loro kinepticon; a Berlino i fratelli Sklaadanowsky inventano il loro bioskop. Nel fervore della tecnologia e delle invenzioni è difficile individuare il primo vero autore d’anima zione o la prima vera e propria animazione. Sembra sia stato un dipendente di Thomas Edison a scoprire il “fermo immagine” e il primo vero effetto speciale lavorando al film The execution of Mary, Queen of Scotland. Nel momento cruciale, ferma la mac china da presa, sostituisce l’attrice con un manichino e avvia di nuovo la ripresa. È solo alla fine del secolo e all’avvio del nuovo che sarà possibile distinguere la storia del cinema d’animazio ne con la storia più generale del cinema. Ma andiamo ad ana lizzare gli eventi che hanno segnato il progresso e lo sviluppo autonomo del cinema d’animazione. La prima vera opera d’animazione, considerata tale, risale al 1899, a cavallo tra i due secoli, e l’autore è l’inglese Arthur Melbourne-Cooper. Cooper lavora in un’agenzia fotografica quando realizza Matches: An Appeal, il film ha come protago nisti dei personaggi fatti di fiammiferi che scrivono in una la vagna. Girato a passo uno8, Cooper di fatto anticipa di sei o sette anni il lavoro di altri pionieri dell’animazione.

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10 Il termine indica le commedie leggere in cui alla prosa vengono alternate strofe cantate su arie conosciute.

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Nel 1905 in Spagna Hotel elettrico di Segundo de Chomòn segna un primo punto di svolta nella stop-motion9. Nel suo film, per la prima volta, figure e oggetti reali vengono animati e usati per realizzare le animazioni anticipando, anche in questo caso, opere venute solo anni dopo. Come già citato prima, legato alla figura di Thomas Edison, è James Stuart Blackton, autore di quello che viene considerato da alcuni come il primo film d’animazione con il suo Humorous Phases of Funny Faces del 1906. Prima ancora di realizzare quest’ultimo lavoro mentre si trova nella città di New York, Blackton aveva già speri mentato in Gran Bretagna nel teatro vaudeville10 un numero chiamato Chalk takes in cui l’artista abbozza velocemente uno schizzo, spesso la caricatura di uno spettatore, modificando il disegno man mano e intrattenendo la platea con un monologo. I suoi disegni animati, antesignani di tutti quelli che verranno dopo nell’industria, sono quindi spesso una semplice ripresa di queste esibizioni. Per questa ragione si può presupporre perché non tutti attribuiscono a Blackton la paternità del primo film d’animazione: il risultato produce un film, ma l’intenzione alla base non è quella di produrre un film d’animazione canonicamente inteso. È il 17 agosto del 1908 quando il disegnatore Èmile Cohl presenta il suo Fanta smagoria: considerato il primo film completamente animato, è composto da circa settecento disegni animati a passo due - o come dicono gli animatori “filmato a doppia esposizione” - e prende il titolo dal fantasmograph, una variante ottocente sca della lanterna magica. Il film ha una durata di soli due minuti, ma contiene un numero incredibile di scene divertenti e bizzarre scaturite dalla fantasia e dall’im maginazione di Cohl. Come gran parte dei disegnatori che intraprendono la stra da dell’animazione in quegli anni Cohl arriva dal mondo del cartoon, in particolare della satira politica. Dopo aver raggiunto il successo con le sue caricature, all’età di cinquant’anni decide di lanciarsi nel mondo del cinema, che a Parigi era diventato la tendenza del momento. Secondo i racconti, Cohl si lamenta col produttore Léon Gaumont per aver copiato una locandina e aver plagiato una sua idea. Il produttore ammette di essere in debito con lui e gli offre un lavoro come autore di film. Il lavoro di Blackton, che in quei giorni esplodeva per Parigi, aveva sollevato molta curiosità e Cohl sembrava l’unico in grado di poterlo replicare. È da questo momento che nascono Fantasmagoria, altri cinque film nello stesso anno e più di cinquecento cor tometraggi. L’opera di Cohl è incredibile, specialmente se si conta la mancanza di tecniche produttive efficienti, ancora inesistenti in quegli anni. È nello stesso anno che sperimenta la stop motion con Les allumettes animees che avrà un’enorme in fluenza sul progresso dell’animazione mondiale, ma ancora di più su una delle più 9 Termine inglese per indicare la tecnica del passo uno, sfrutta una particolare cinepresa che im pressiona un fotogramma alla volta, azionata dall’operatore/animatore.

27 importanti figure dell’animazione, se non il primo vero animatore: Winsor McCay. Tra i tanti produttori, un’altra fondamentale è quella di Wladyslw Starewicz che risulta importante e addirittura fondante per la tecnica della stop motion e della sua storia anche più recente. Il russo, infatti, nelle sue prime opere utilizza veri e propri insetti a cui toglie le zampette e che poi riattacca con la cera, per avere una maggio re libertà di movimento. Così realizza il suo The Beautiful Leukanida in cui gli insetti indossano abiti e camminano come gli umani, il tutto con una trama di impianto fia besco. Dopo questa prima produzione abbandona l’approccio realistico e dà ai suoi personaggi una connotazione antropomorfa: da qui nasce il suo The Night Before Christmas che lo consacra a padre dell’animazione in stop motion. Il ben più recente e moderno classico di Tim Burton The Nightmare Before Christmas prenderà spunto e ispirazione da questo suo predecessore. Lo statunitense John Randolph Bray, come il già citato Emile Cohl, proviene dai quotidiani e dalle strisce a fumetti. A lui si devono molte innovazioni che aiutano a migliorare la produzione di cartoni animati e brevetta molte tecniche capaci di tagliare i costi di produzione. La prima è la creazione di elementi di sfondo su car ta semitrasparente e l’idea di utilizzare i toni di grigio per l’animazione fino a quel momento in bianco e nero. Da questo brevetto nasce l’idea della cel animation11 Sempre a lui si deve la prima sperimentazione della suddivisione del lavoro della manodopera dell’animazione, un’altra innovazione pensata in un’ottica di risparmio e di miglioramento della produzione. Continuando nel processo di evoluzione delle tecniche della nascente industria tro viamo Earl Hurd e il suo brevetto che diventerà il sistema standard per l’animazione in tutto il mondo. Hurd descrive il processo di realizzazione dello sfondo su di un foglio di carta mentre l’animazione del personaggi si sposta sul rodovetro, o diversi strati di rodovetro l’uno sull’altro, in modo da lasciare su un livello separato le parti del disegno che rimangono immobili. Nel 1915 realizza una serie di cortometraggi dal titolo Bobby Bumps al seguito dei quali verrà contattato da Bray. I due, mettendo insieme i loro brevetti, iniziano a chiedere il pagamento dei diritti a tutti gli studi che utilizzano la nascente cel animation. Inizialmente la maggioranza cercherà di conti nuare a lavorare su carta per risparmiare il costo dei diritti, ma il generale sviluppo delle tecniche renderà poi indispensabile ricorrere al sistema inventato dai due disegnatori. Negli stessi anni, sempre in territorio statunitense, viene posata un’altra pietra milia re. Winsor McCay presenta per la prima volta presso il Palace Theatre di Chicago il suo capolavoro Gertie The Dinosaur. Durante lo spettacolo McCay sembra invitare 11 La cel animation o animazione su rodovetri è la forma d’animazione più comune e la più utilizzata fino all’avvento del digitale. Con questa tecnica l’animatore lavora solitamente su un tavolo lumino so in modo da poter controllare i disegni sottostanti. I disegni erano poi trasferiti su fogli trasparenti di acetato, i rodovetri, dove erano dipinti a mano e poi fotografati uno a uno.

Matches: An Appeal 1899 Chalk tales 1905 Fantasmagoria 1908 The Beautiful Leukania 1912 Koko The Clown 1918 Gestie The Dinosaur 1914 Bobby Bumps 1915 Felix The Cat 1919 Popeye 1929

Con questo sistema i fogli vengono forati uniformemente lungo il margine inferiore e poi posizionati su una barra di metallo e anche alla macchina da presa, garanten do un’inquadratura perfetta. Nolan mette a punto un’altra importantissima tecnica chiamata “panning backgrounds” che consiste in uno sfondo disegnato un lungo fo glio che viene spostato fotogramma dopo fotogramma sotto la macchina da presa per dare l’illusione che che l’inquadratura si stia spostando insieme al personaggio lungo il percorso. Queste due importanti innovazioni costituiranno un terreno fer tilissimo per permettere all’industria Disney di apportare cambiamenti ancora più radicali. Nel 1915 Max Fleischer brevetta un nuovo congegno chiamato rotoscopio13. Met tendo a frutto il suo interesse per la scienza il giovane Fleischer sviluppa una mac china capace di catturare il movimento: l’apparecchio proietta una pellicola filmata in precedenza su un pannello di vetro traslucido che funge da supporto per l’artista che può ricalcare il movimento. Ad aiutare il giovane Max nella realizzazione del film Koko The Clown sono i fratelli Joe e Dave. Immediatamente dopo Fleischer sarà as 12 S. Cavalier, L. Della Casa, S. Battistini, Cartoon. Storia mondiale del cinema d’animazione, Atlante, 2011, pag. 35 13 Il rotoscopio è l’antesignano della moderna “motion capture” in cui i movimenti degli attori sono registrati tramite sensori posizionati sul corpo.

29 sul palcoscenico il gigantesco personaggio animato con le sembianze di un bron tosauro: dopo essersi timidamente nascosta dietro alcune rocce, l’adorabile Gertie mangia, beve, balla e piange sotto le indicazioni del suo addestratore12. McCay può essere considerato come il primo animatore “classico”, oltre che uno dei più impor tanti disegnatori al mondo. La raffinatezza della sua opera, con le sue linee precise, il realistico uso della prospettiva e gli elaborati disegni alzano il livello qualitativo dell’animazione. A renderlo il primo animatore in senso classico non è tanto la quali tà tecnica del disegno o l’innovazione apportata (i suoi lavori più fortunati sono dise gnati su carta, passerà successivamente al rodovetro senza avere troppo successo) ma la fisionomia convincente e complessa che attribuisce alla sua Gertie, caratteri stiche riscontrabili per la prima volta in un cartone animato. Non è la spettacolarità a rendere McCay unico, ma la capacità di dare vita ai suoi personaggi, caratteristica comune a tutti i più grandi personaggi dell’animazione. È invece a Raoul Barré e Bill Nolan che viene riconosciuto il primato per aver dato vita al primo studio d’animazione al mondo. Si tratta di un passo importante in quel lo che diventerà il sempre più rapido processo di industrializzazione che il cinema d’animazione sta vivendo. Una delle più grandi innovazioni messa a punto dai due è quella della “peg bar” ovvero la “reggetta di riferimento”. Questa soluzione risulta fondamentale e migliorerà la produttiva nei tavoli da lavoro degli animatori. Uno dei più grandi problemi fino a quel momento era quello di riuscire a mantenere i fogli fermi e nella corretta posizione, per poter vedere lo sviluppo dell’animazione.

14 In gergo tecnico vengono chiamati key frames. 15 Tecnica che utilizza modelli tridimensionali di sfondi per dare tridimensionalità all’opera; anticipa la multiplane camera di Disney.

30 sunto da Bray per la realizzazione di Out of Inkwell, serie destinata a rimanere nella storia per la sua combinazione di animazione e live action. I fratelli Fleischer, Max e Dave, fonderanno poi i Fleischer Studios ottenendo un successo secondo solo a Walt Disney, sia per l’innovazione nel campo che per i numerosi personaggi ani mati rimasti nella storia. A loro ad esempio si deve l’invenzione dell’intercalazione, il cosidetto inbetweening, per cui gli animatori più esperti animano i disegni princi pali14 e gli apprendisti disegnano le pose intermedie. Durante i primi anni di attivi tà i Fleischer Studios mantengono un accattivante approccio umano, che permette ampia libertà d’espressione, ma dalla quale possono derivare numerosi errori. Gli artisti si scambiano i ruoli e i compiti, lavorando secondo il proprio stile personale, situazione in netto contrasto con la sempre più rigida e industrializzata divisione del lavoro negli altri studi. Inoltre, nel primo periodo di attività, gli studi non hanno un dipartimento di sceneggiatura e ciò significa che gli animatori cambiano la storia man mano che procedono con il lavoro, senza neppure avere dei modelli di riferi mento per i disegni, ottenendo quindi personaggi che subiscono grandi variazioni, passando di mano in mano e di modifica in modifica. Anche per quanto riguarda l’avvento del sonoro, gli studi Fleischer non hanno un approccio meticoloso parago nabile a quello degli studi Disney. I personaggi sono doppiati soltanto dopo essere stati disegnati, processo che tradizionalmente avviene al contrario. Questo approc cio impreciso produce un risultato rozzo ma allo stesso tempo dotato di freschezza che contribuisce a caratterizzare i personaggi, seppur ne riduca la qualità. Un altro ostacolo per i fratelli Fleischer è la precarietà del loro finanziatore e distributore: la Paramount. Quest’ultima infatti ritiene l’appena nata tecnica del technicolor troppo costosa lasciando così che gli studi Disney ne acquisiscano il controllo per ben quat tro anni. Alcuni anni dopo i Fleischer riescono a essere finanziati e producono la se rie dei Color Classics e alcuni lungometraggi, tra cui figurano anche alcuni speciali di Braccio di Ferro. Questi film a colori risultano importanti perché utilizzano un’altra delle invenzioni dei Fleischer: il processo stereoscopico15. La fortuna dei due fratelli si esaurisce rapidamente dopo i primi anni di successi andando prima incontro al primo sciopero degli animatori, mai avvenuto prima e in nessun altro studio, e poi alla frattura interna legata a un litigio tra i fratelli. Sebbene negli ultimi anni di vita i fratelli cadano nell’anonimato le loro innovazioni sono stata raramente eguagliate, così come il loro ingegno, e hanno segnato delle tappe fondamentali nel processo di evoluzione dell’industria. Inoltre, i personaggi creati da loro rimangono ancora oggi tra i più celebri e amati. Importante citare quello che ai più è sconosciuto, ma che è presumibilmente il primo vero lungometraggio della storia dell’animazione mondiale. Prodotto da Quirino Cristiani, disegnatore di origini italiane, stiamo parlando di El Apostol, film prodotto

31 in Argentina e primo esemplare mai tentato prima in nessun’altra parte del mondo. Sulla scia del successo dei primi animatori di quel periodo si produce una grande quantità di cartoni animati, tutti per la maggior parte di bassa qualità. A stabilire l’eccezione in questa regola è il gatto Felix. Disegnato dalla mano di Otto Messmer, per molti sconosciuto, il personaggio di Felix viene prodotto e portato alla ribalta da Pat Sullivan, a cui verrà più spesso attribuito il personaggio. Il merito di Sullivan deriva dalla sua invenzione del merchandising per cui vengono creati un grosso as sortimento di gadget e oggetti in onore del personaggio. Il vero successo però va ricercato nel design di Felix: Otto Messmer lo anima ispirandosi alle performance del celebre Charlie Chaplin, in gran voga in quel momento storico. Felix è geniale e divertente, possiede uno stile vivace e immediato ed è un chiaro esempio del potere dato da un design grafico e da una silhouette incisiva. Felix non introduce nessun nuova tecnica nell’animazione, ma rappresenta un perfetto esempio di inter pretazione e personalità di un personaggio, fattori che l’hanno reso così popolare, tanto da resistere al passaggio del tempo. Nonostante Felix riesca a gestire bene la mancanza del sonoro con espedienti visivi, con l’avvento di questa nuova tecnologia il personaggio scompare. Riapparirà solo alla fine del XX secolo quando Don Oriolo, figlio di Joe che a sua volta aveva lavorato al personaggio ed ereditato da Messmer, decide di scrivere e produrre il lungometraggio Felix the Cat: the Movie

3.2 L’intuizione fortunata di Walt Disney e la sua rivoluzione 3.2.1 Gli esordi

Il successo per Walt Disney, che verrà riconosciuto per sempre come genio e molto spesso come padre di questa tecnica, naturalmente non è immediato. Si potrebbe dire che la sua dose di fortuna sia coincisa con il tempismo della sua passione per l’animazione, ma anche in questo frangente notiamo la sua innata capacità di leg gere il presente e sfruttare l’occasione, da vero “go getter”16. Disney, infatti, lavora ancora allo Slide Co. quando subisce il fascino dell’animazione per la prima volta. A spingerlo a dedicarsi anima e corpo ad essa, come aveva fatto in precedenza con il disegno e come farà per tutto il resto delle cose nel corso della sua vita, fu questa sua incredibile lungimiranza: Disney si era accorto che l’animazione rappresentava un qualcosa che poteva fare meglio di chiunque altro. All’epoca erano ancora in pochi a farlo e ancora meno persone avevano abbastanza esperienza sul campo e Walt intravede in questo scenario la sua possibilità di essere il migliore, di eccel lere, di arrivare laddove ancora nessuno era riuscito a fare. Così, il lavoro allo Slide Co. diventa una scuola, ma per iniziare a sperimentare, a mettere in pratica questa sua nuova passione, Walt sa e sente la necessità di avere uno studio. E come nelle migliori favole moderne sarà il garage, appena costruito dal padre Elias, il regno di sperimentazione del giovane Walt Disney. La prima esperienza di Disney nel mondo dell’animazione risale al 1921 quando, ancora inesperto, assembla il suo primo reel di cartoni che intitola Newman LaughO-Gram, dal nome del più grande showman di Kansas City al quale presentava il suo primo reel. Questa prima presentazione non porterà nessun introito economico, ma farà guadagnare a Walt la popolarità sufficiente a convincerlo a produrre cartoni animati più lunghi. Successivamente, ispirato da Paul Terry17 e dai suoi cartoni tratti dalle favole di Esopo, decide di produrre anche lui dei cartoni animati sulle favole, iniziando a disegnare le animazioni basate su Cappuccetto Rosso e contemporane amente iniziando a cercare produttori pronti a finanziarlo. Così, dopo essere entrato nel mondo del lavoro da soli due anni, il 18 maggio 1921 Walt Disney fonda a tutti 16 Espressione usata per indicare una persona dotata di molta energia, determinata a ottenere il successo e capace di affrontare ogni tipo di situazione - Fonte Cambridge Dictionary 17 Altro famoso cineasta degli anni Trenta.

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È in questo scenario che si affaccia al mondo dell’animazione l’opera di Walt Disney, mentre l’industria sta compiendo i suoi primi passi e i pionieri dell’animazione spe rimentano nuove tecniche e soluzioni.

18 In campo cinematografico, un film si definisce a tecnica mista allorché in esso coesistano perso naggi in carne ed ossa (live action) e cartoni animati - fonte Wikipedia

34 gli effetti il suo primo studio di animazione, il Laugh-O-Gram Films. Il primo periodo a Kansas City determinerà, come abbiamo già visto precedente mente, un periodo molto difficile e tortuoso. La produzione di quel periodo sarà se gnata da The Four Musicians e da una lunga serie di mosse volte a trovare produttori e pubblicità, oltre che da un primo esempio di ottima leadership di Disney. Dopo numerosi rifiuti e declini, ispirato anche dalla produzione dei fratelli Fleischer e dal loro Out of Inkwell, Walt decide di produrre una serie in tecnica mista18 intitolata Ali ce’s Wonderland. Questa idea costerà a Disney una quantità ingente di denaro, ma anche di risorse umane: non avendo più soldi, né per produrre il film né per pagare i dipendenti che aveva assunto fino a quel momento, il suo primo studio si trova a chiudere i battenti. E così, il giovane Disney, abbandona Kansas City alla volta di NonostanteHollywood. si fosse definito sempre un missouriano, Walt Disney era un hollywoo diano a tutti gli effetti: amante dell’intrattenimento a 360 gradi, capace di esprimerlo in ogni sua forma. Una volta arrivato a Hollywood, dopo altri numerosi tentativi, Di sney incontra Margaret Winkler che produrrà Alice’s Wonderland. Trovata l’oppor tunità che aveva da tempo sospirato e agognato, a Disney manca però un team di lavoro e ancora di più, uno studio. Così, aiutato dal fratello Roy, che come abbiamo visto precedentemente diventerà il suo socio per il resto della sua vita, nascono i Di sney Bros Studios in Hollywood Avenue. Ad animare il primo dei sei episodi di Alice fu proprio Disney, completamente da solo. Qualche tempo dopo fu assunto il primo animatore: Rollin “Ham” Hamilton. Nonostante Disney desiderasse profondamente produrre cartoni di qualità, i tempi ferrati e stretti non gli concedevano la possibilità di farlo. “Non ho fatto neanche un disegno che mi piaccia” dirà tempo dopo a un giornalista. E pur assumendo nel suo studio il suo vecchio collega e amico Ub Iwerks la qualità di Alice non migliora. Difficile stabilire se per inesperienza o mancanza di ispirazione, ma ai contemporanei il paragone con il Koko dei Fleischer viene sponta neo, denotando come i film di Disney non siano all’altezza e anzi, alquanto imitatori e privi di immaginazione. Leggermente forzato dalla Winkler farà capolino nei carto ni di Alice, un gatto pensato per migliorare le gag. Il gatto, chiamato Julius succes sivamente, sarà il primo vero e proprio personaggio creato da Disney a essere una presenza costante e quindi a poter far sperimentare, anche se in una maniera del tutto iniziale, la caratterizzazione in un personaggio. Contemporaneamente, Winkler sposa Charles Mintz che subentra al comando dell’attività della donna, compresi i rapporti con Disney. Tempo dopo, quando i film di Alice stanno lentamente moren do, è lo stesso Mintz a notare che “nel mercato ci sono troppi gatti”, facendo riferi mento a Julius, ma in modo più particolare al più famoso Felix. Così, spinge Disney a creare un personaggio e Walt gli fornisce degli sketches che raffigurano un coniglio,

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Oswald Mintz procura immediatamente a Disney un contratto con la Universal, segnando per Walt una grandissima opportunità e un incredibile avanzamento di carriera.

E ancor più importante, Oswald costitu irà davvero il primo esempio e la prima occasione per Disney per caratterizzare un personaggio. Creare la personalità di un cartone, infatti, aveva sempre co stituto un cruccio per Disney che aveva a cuore questa questione. “Voglio che i personaggi siano qualcuno. Non voglio che siano solo disegni” e così Oswald diventa, a detta degli esperti dell’epo ca, un ottimo concorrente per i per sonaggi già esistenti. In questo modo, avendo dato vita a questo personag gio, Disney ancora una volta riesce a risalire il fondo e a superare la crisi, sia da un punto di vista “estetico” e della sua personale crescita artistica e sia da un punto di vista economico, riuscendo a garantire un otti mo introito per lo studio. Come sappiamo, purtroppo la nascita di Oswald coincide anche con quello che Disney definirà come il più grosso tradimento mai subito in vita sua. Mintz cercherà di appropriarsi non solo dell’opera di Disney, ma del suo stu dio per intero, portando dalla sua parte anche molti animatori e impiegati di Walt. L’eterno ottimista Walt Disney, che sembrava aver trovato la strada per poter essere il migliore dell’animazione è costretto ancora una volta a ripartire da zero. La moglie Lillian racconterà che Walt era furioso, continuava a ripetere che mai più in vita sua avrebbe lavorato per qualcun altro. Così, in preda alla furia e alla più tota le delusione, Disney pensò a un personaggio capace di sostituire Oswald. Durante un viaggio in treno scrive la sceneggiatura per un cartone dal titolo Plane Crazy con protagonista un topo che costruisce da solo un elicottero per conquistare la sua amata. Walt legge la storia a Lillian che però non riesce a concentrarsi sul racconto a causa della scelta infelice di Disney sul nome del personaggio, da lui chiamato Mor timer. “Era un nome orribile… ho paura di aver reagito un po’ male a questa scelta”. Dopo essersi calmata, Walt le chiede cosa ne pensa di un nome irlandese, un nome da outsider: Mickey. “Dissi che suonava molto meglio di Mortimer ed è così che è nato Mickey Mouse”19 19 Neal Gabler, Walt Disney: The Triumph of the American Imagination, Vintage, 2007, pag. 80

Sull’origine e sulla prima ispirazione per la nascita del personaggio sono sorte negli anni diverse leggende, ma quello che risulta importante analizzare è tutto ciò che la nascita di questo personaggio ha comportato.

Anche se, ancor prima di andare a osservare gli effetti della creazione di Topolino bisogna sottolineare e rivendicarne la vera paternità. Il Topolino disegnato da Walt Disney era lungo e magro, niente aveva a che vedere con il personaggio che conosciamo noi. A renderlo “ani mabile” fu infatti Ub Iwerks, che diede al personaggio una rotondità e delle forme perfette per l’animazione, oltre che un’appetibili tà estetica, argomento su cui ci soffermeremo più tardi. E ad animarlo, nel corto che Disney aveva già sceneggiato, fu infatti solo Iwerks, in questo caso specifico per proteg gere il nuovo prodotto e non permettere a nessuno degli animatori presenti nello studio di rubare l’i dea, come era successo precedentemente con Oswald. Plane Crazy fu animato a ritmi folli, Di sney aveva bisogno di produrre nuovi carto ni. Mickey Mouse veniva dalla disperazione e di conseguenza, come noteranno anche le figlie di Walt ad anni di distanza, il per sonaggio era acerbo, sia da un punto di vi sta del disegno che dal punto di vista della personalità. Disney era rimasto senza ispi razione, soltanto bisognoso di riprendere in mano le sorti del suo studio. Come già visto, nonostante le difficoltà Walt conserva la sua speranza e continua a fissare appunta menti con produttori e teatri per poter distri buire il suo nuovo cartone animato, senza ot tenere però nessun successo. Così, senza alcuna via di fuga e piano alternativo, Disney è costretto a continuare a lavorare sull’unico personaggio che gli rimane e nel bel mezzo della crisi, ha un’altra idea, mo numentale quanto l’idea e la creazione stessa di Topolino. Anche su questa idea sono nate diverse leggende, ma di fatto, l’idea a cui Disney era arrivato era un qualcosa che si stava muoven do nell’aria, ma che nessuno fino a quel momento era riuscito a introdurre in maniera rivoluzionaria all’interno di un cartone animato.

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LUCA RAFFAELLI

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Walt non era infatti l’unico animatore ad aver pensato l’introduzione del sonoro. I Fleischer erano i primi ani matori ad averci lavorato con un sistema chiamato DeForest Phonofilm, mentre Paul Terry contem poraneamente aveva già sincronizzato il suo no di un suo film in produzione con il sistema chiamato RCA Photophone sound. Introdurre il suono in un cartone animato non significava solamente sincronizzare una traccia audio con un cartone fino a quel momento muto, ma c’erano dei fatto ri psicologici da poter superare prima di compiere un passo così rivoluzionario per l’intera industria. Innanzitutto le persone, sedute nelle poltrone del cinema, senz’al tro si aspettavano di sentire attori veri par lare o cantare, ma lo stesso concetto non si applicava ai cartoni animati. Gli animatori stessi erano preoccupati che questo potesse sembrare innaturale e disturbante e fu infatti questa una delle ragioni che spinse Walt Disney a insistere affinché il suono fosse realistico, per l’ap punto. In secondo luogo, a preoccupare gli animatori e gli addetti al settore era una faccenda del tutto pratica e tecnica: in quale maniera sarebbe stato possibile sincronizza re l’immagine con il suono? “So a quale velocità vanno i film, ma quale velocità viaggia la musica?20” era il quesito sollevato dallo stesso Disney. Fu un giovane animatore di nome Wilfred Jackson, ancora alla base della gerarchia all’interno degli studi, a proporre di usare un metronomo per determinare il numero di fotogrammi dell’animazione per ogni battuta musicale. In breve, Jackson 20 Neal Gabler, Walt Disney: The Triumph of the American Imagination, Vintage, 2007, pag. 90 È stato il suono a far fiorire il pensiero disneyano.

3.2.2 Le innovazioni tecniche che cambieranno l’industria dell’animazione

22 Neal Gabler, Walt Disney: The Triumph of the American Imagination, Vintage, 2007, pag. 102

Ovviamente questa rappresentava la sfida più grande perché i produttori preferi vano restare fedeli al muto fino a che non avessero visto la qualità del sonoro. Con temporaneamente Disney era anche alla ricerca di un sistema di sincronizzazione che fosse efficiente e di qualità, ma anche questo era un tentativo di difficile portata. Dopo una serie di incontri, a Disney non rimase che affidarsi a Pat A. Powers che sta va brevettando un sistema chiamato Cinephone. Dopo aver visitato RCA e aver visto il loro sistema (lo stesso usato da Terry), essendosi assicurato della scarsa efficienza del sistema, decise di siglare l’accordo con Powers. Powers avrebbe fatto pagare loro soltanto per la sua esperienza tecnica con i microfoni, mentre Disney si sarebbe dovuto occupare di reclutare i musicisti e il personale addetto agli effetti sonori. La faccenda non si concluse nel più breve periodo perché i musicisti trovati da Disney resero il lavoro di registrazione più complicato del previsto. Walt era esasperato dal

38 inventò quella che in gergo tecnico è chiamata “dope sheet”, successivamente chiamata “bar sheet”. “Possiamo scompor re gli effetti sonori in modo che ogni otto fotogrammi abbia mo un accento, oppure ogni sedici o ogni dodici e a quel fotogramma preciso accentuiamo qualunque cosa succede nell’animazione - che sia un accenno della testa o un passo o qualunque cosa per sincronizzare l’effetto sonoro con la musica21”. A risollevare gli animi all’interno dello studio ora era proprio la prospettiva del sonoro, o meglio, la possi bilità di riuscire laddove nessuno era ancora pienamente riuscito. Quando Walt ebbe questa idea lo studio intero era al lavoro sul secondo cartone di Topolino, The Gallopin’ Gaucho, già avviato verso la fine della sua produzione, ma finito di animare questo cartone si spostarono veloce mente sul terzo cartone, quello con il suono. Impazienti di testare e vedere i risultati del sonoro, lo staff lavorò in fretta, arrivando a scrivere la storia in una notte soltanto. Disney inchiostrò, disegnò e filmò prima ancora di avere tutte le animazioni finite e complete e poi assoldò Jackson, l’unico con qualche competenza musicale, per suonare la colonna sonora prescelta. Una sera di giugno Walt montò il proiettore nel giardino posteriore allo studio, in modo che il rumore non disturbasse quello della musica del cartone. “Non avevo mai visto una reazione simile nel pubblico in tutta la mia vita”22 disse il solitamente taciturno Iwerks a fine proiezione. L’entusiasmo di Walt era alle stelle e anche quello dello staff che, seppur la proiezione fosse finita alle due del mattino, alle sei era già nuovamente pronto a lavorare al cartone. Quat tro settimane dopo l’animazione era terminata, così come tutto il cartone. Ora l’unica cosa che rimaneva da fare era unire il suono e l’animazione all’interno della stessa pellicola in modo da poter trovare un produttore che potesse distribuire il cartone.

21 Neal Gabler, Walt Disney: The Triumph of the American Imagination, Vintage, 2007, pag. 91

39 risultato della prima sessione e dovette programmarne una seconda. Al secondo tentativo però riuscì a risolvere il problema della sincronizzazione che non era stato soltanto un suo problema, ma di chiunque avesse tentato la stessa impresa fino a quel momento. Disegnò una pallina sia sulla traccia sonora che sulla pellicola che si alzava ad ogni accento delle battute, creando un segnale visivo e un leggero suo no. Tutto quello che il direttore d’orchestra doveva fare era seguire la pallina sullo schermo e cambiare il tempo dell’orchestra in base al tempo descritto dalla pallina segnata sulla traccia del sonoro. Seppur Disney fosse riuscito a risolvere un problema rimasto irrisolto per tempo, ora rimaneva comunque la problematica legata alla distribuzione dei cartoni. La produ zione era andata avanti: Walt si ritrovava ad avere quattro cartoni di Mickey Mouse con il sonoro e nessuna compagnia pronta a distribuirli. Fu il produttore Harry Rei chenbach a salvare Walt. Così, Steamboat Willie, il primo sonoro mai prodotto da Disney fece il suo debutto l’8 novembre 1928, precedendo la proiezione del film Gang War. Quando Steamboat Willie arriva alla proiezione non è più il primo carto ne animato con l’audio sincronizzato ma “il primo ad attirare una favorevole atten zione. Rappresenta l’ingenuità del cartone, saggiamente combinata al sonoro. L’u nione di questi fattori genera una risata che viene dal cuore” dirà la rivista Variety23

Steamboat Willie sembrava un film leggero, capace di generare entusiasmo, ma non tanto da diventare una pietra miliare nella storia del cinema come invece diverrà da lì a poco. Cosa lo rese così famoso rispetto agli altri? Rispetto a una trama scarna ed essenziale - sostanzialmente Mickey reagisce a ciò che gli succede - a stupire è l’approccio di Disney. A fare la differenza rispetto ai suoi colleghi animatori e studi rivali era stato il fatto di immaginare un cartone con il suono in cui musica ed effetti erano imprescindibili e inseparabili dalle azioni. Fino a quel momento, immagine e suoni erano pensati e sviluppati come due entità separate, ma Disney le aveva fuse nel suo processo immaginativo e di creazione del cartone. Merito che già all’epoca gli fu riconosciuto dai suoi rivali, tanto che l’animatore di Felix, Hal Walker, arrivò a dire “Disney ci ha tagliati fuori dal mercato con il suo sonoro”.

Ora Disney aveva paura di dipendere unicamente dal per sonaggio di Topolino e potersi ritrovare senza il suo per sonaggio, come gli era già successo nel caso di Oswald.

Da questa paura nasce l’idea di una nuova serie di car toni e a dare appoggio a questa idea fu Carl Stalling che propose di fare un ulteriore passo: pensare all’animazio ne sulla base del sonoro. Da questa idea e ispirata alla produzione di Stalling nascerà una delle serie più famose 23 Neal Gabler, Walt Disney: The Triumph of the American Imagina tion, Vintage, 2007, pag. 120

Gli anni a seguire sono gli anni della Grande Depressione per gli Stati Uniti, che non ha conseguenze economiche su Disney, ma le ha sul suo stato di salute. Dopo un crollo emotivo, dovuto principalmente alle pe ripezie con i produttori dell’epoca, Walt si ritrova insieme al fratello Roy ad affrontare la crisi, ma a resisterle grazie agli investimenti che i due fratelli operano all’interno della loro stessa azienda senza contare sul mercato esterno. Se quindi dal punto di vista economico Disney si ritro va a sopravvivere alle aspettative, più complicato diventa stare all’altezza delle sue stesse ambizioni e anche a quelle ormai provenienti dell’ester no. A questo punto della sua vita e carriera cinematografica, Disney in fatti iniziava già a essere riconosciuto come colui che stava trasformando l’animazione da un qualcosa di grezzo a un livello di una forma d’arte, seppur ancora in forma minore. Chuck Jones, ad anni di distanza, dirà che ogni mezzo utilizzato nell’industria era stato in realtà originariamente testato negli studi Disney. La smania per l’eccellenza induceva Disney e collaboratori a lavorare con precisione e in maniera analitica e da questa attenzione al dettaglio sono derivate negli anni le altre tecniche, successi ve a all’invenzione del suono, capaci di rendere la perfezione che si per seguiva.24Unodegli episodi più famosi della serie fu per l’appunto The Skeleton Dance 25 Neal Gabler, Walt Disney: The Triumph of the American Imagination, Vintage, 2007, pag. 143

40 nella storia del cinema d’animazione. Ma prima ancora di poter realizzare un nuovo progetto, Disney voleva assicurarsi un posto stabile e indispen sabile all’interno dell’industria dell’animazione, diventando non solo un produttore di animazione, ma anche un imprenditore con un suo perso nale studio di registrazione. Impresa nella quale riuscì, anche in questa Neloccasione.frattempo

la produzione in corso stava avendo meno successo, ma questo non fermava certamente Disney nel promuoverla. Così, quelle che diventeranno tra i titoli più famosi dei corti Disney, le Silly Sympho nies, faticano a trovare l’assenso dei produttori e distributori, ma una volta scavalcato questo ostacolo, attirano tutto il successo del pubblico. A tal punto che un giovane Joseph Barbera dirà “ero seduto lontanissimo dallo schermo, ma l’impatto che ha avuto su di me è stato comunque enorme. Ho visto questi scheletri danzare24 in cerchio e tutti insieme e mi sono chiesto: come riesci a fare questo? Come fai sì che diventi così reale?25”.

27 Il “pencil test” consiste nel filmare i bozzetti delle animazioni su una pellicola nega tiva, in modo da poter proiettare la bozza dell’animazione finale.

41 Tra le prime innovazioni troviamo quella della rinominata “sweat box”26 L’origine risale agli inizi del 1931 quando, Tom Palmer, invece di effettuare il classico “pencil test”27, ormai diffuso tra gli animatori, decise di filmare un piccolo test a matita e di proiettarlo tramite la Moviola28. Disney, sco perto per caso questo metodo utilizzato da Palmer, ne rimane impressio nato e decide di utilizzarlo come metodologia per tutto lo studio, imple mentandola. Walt installa lo stesso tipo di dispositivo, con uno schermo grande poco più di dieci centimetri per lato, in un piccolo armadio. Una volta sistemata la sua cosiddetta “sweat box” sarà possibile per lui e i suoi animatori strizzarsi dentro la piccola stanza e revisionare le animazioni, passo dopo passo, prima ancora di vederle sul grande schermo. Successi vamente, un altro animatore, Wilfred Jackson, propose di proiettare scene intere e chiamò il nuovo sistema “Leica reels”, dal nome della macchina fotografica utilizzata per registrare, sistema a cui fu poi aggiunto anche il sonoro. Questa innovazione era in grado di perfezionare il lavoro grazie alle innumerevoli revisioni effettuate, sia durante la fase di disegno delle animazioni, sia successivamente, quando le animazioni erano pressoché terminate ma bisognose di affinamento. Occorre sottolineare come questa metodologia, come tutte quelle che andremo ad analizzare, sia prassi comune fino a oggi negli studi Disney. Aiutati dalla tecnologia, oggigiorno non si ha più la necessità di stringersi in un unico stanzino, regista e animatori. Nelle produzioni moderne in teri team si riuniscono in sale di proiezione per revisionare e monitorare l’andamento del film, specialmente e più frequentemente durante la fase della realizzazione delle animazioni.

Tra i meriti più grandi che si riconoscono a Disney, ma in questo caso più nello specifico ai suoi animatori, è quello di aver davvero cambiato il modo di animare i personaggi dando una credibilità che prima di quel momento non avevano mai avuto. Questo risultato e questa resa sono stati raggiunti grazie alla sperimentazione nata negli studi Disney e all’elaborazione dei celebri “dodici principi”29, che chiunque si approccia al mondo dell’anima zione deve conoscere perché ritenuti sacri e imprescindibili. Ancor prima

Raffaelli scherza sul libro sull’originale del termine, facendolo risalire e attribuendo lo alla sensazione provata dagli animatori nel mostrare a Disney le proprie creazioni

29 I “dodici principi dell’animazione” saranno enunciati da Frank Thomas e Ollie John son nel loro libro The Illusion of Life, pubblicato parecchi anni dopo, nel 1981.

28 La Moviola, in ambito cinematografico, è un dispositivo con un piccolo schermo che permette di visionare un breve girato.

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realizzò che una buona gag non bastava più a tenere in piedi un’intera animazione. In primo luogo quindi, come diranno anni dopo John son e Thomas, le gag dovevano essere ben strutturate. Questo principio, chiamato poi “staging”, proveniva proprio dagli studi Disney. A fare la differenza con i prodotti degli altri studi era il modo di costruire la gag, il modo da anticiparla e renderla comprensibile. Inoltre, grazie a una buona costruzione, le gag riuscivano a essere legate le une alle altre - non slegate come in altri prodotti - garantendo una comicità Sucrescente.questo frangente Disney apportò una nuova modifica. Walt si rese conto che le gag non bastavano da sole: i suoi cartoni animati avevano bisogno di una storia su cui basarsi. Così, per la prima volta nella storia dell’animazione inaugura il diparti mento legato unicamente alla storia, inventando anche la figura dello storyboard artist30. Prestare attenzione alla storia significò dare più importanza anche ai perso naggi e alla loro personalità, forse il più grande riconoscimento che si deve a Walt Disney. Questi cambiamenti saranno di natura tecnica, ma in maniera più particolare legati al modo di percepire tutta l’animazione e alla “filosofia” di Disney legata a questo aspetto, che approfondiremo più tardi. Per riuscire nell’intento di dare una personalità e indagare la psicologia dei per sonaggi era però necessario renderli più credibili. Fino a quel momento i perso 30 Lo storyboard artist è colui che si occupa di disegnare e descrivere tramite bozzetti la trama del film, scena dopo scena.

42 di attuare il miglioramento del Pencil test, gli animatori si erano concen trati nel produrre disegni più puliti e intercalazioni sempre più precisi, per cercare di dover fare meno modifiche possibili. Il risultato comunque era ri gido e poco flessibile, i personaggi sembravano non avere peso e dopo ogni azione o movimento, risultavano immobili, come se si fossero bloccati all’improvviso. Subito dopo l’abbando no di Iwerks, che fino a quel momento era stato il miglior animatore in Disney e punto di riferimento per tutti i colleghi, gli animatori sono in un modo o nell’al tro costretti a sperimentare. Questo però determinò una vera e propria libertà e la sperimentazione portò Norm Ferguson a ottenere una fluidità, tra un’azione e l’altra delle animazioni, che non si era mai vista prima. Questa caratteristica diventerà un requisito fondamentale per una buona animazione e costituirà uno dei dodici prin cipi, l’”overlapping Contemporaneamenteaction”.Disney

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naggi erano stati disegnati con l’idea di rendere il tutto il più divertente possibile, dovevano essere divertenti e comportarsi in una maniera non naturale, ma mirata a generare la risata. La resa che si otteneva era quella di un personaggio che cam biava forma e volume in base all’azione compiuta. Questo determinava una totale assenza di gravità e peso, un fattore che a Disney sembrava togliere il realismo ne cessario a trasmettere la veridicità del personaggio e delle emozioni da lui provate. Così, la gravità si inserisce per la prima volta nei cartoni animati tramite un altro dei dodici principi, quello che verrà poi chiamato “secondary action”. La domanda più frequente all’interno degli studi diventò “i tuoi disegni hanno peso, profondità ed equilibrio?31”. In nome di questo realismo e di questa esigenza che, come vedremo dopo, aveva il fine ultimo di coinvolgere fino al grado più estremo lo spettatore, Disney arrivò a sperimentare un’altra grande innovazione per cui gli dobbiamo dare credito: il colore. In realtà, il colore era sempre stata tra le sue idee, ancora prima di intro durre il suono. Nel gennaio del 1930, impaziente di migliorare la resa dell’impatto visivo della sua produzione, Disney iniziò a usare la pellicola positiva al posto di quella negativa, seppur presentasse dei costi più elevati. Poco dopo Walt incaricò Bill Cottrell di condurre un esperimento su una Silly Symphony intitolata Night. Su sue istruzioni Cottrell aggiunse nitrato d’argento sulla pellicola per capire quale ef fetto si potesse ottenere, poi stampò su supporto blu e impregnò il supporto di un inchiostro che ricordasse il colore del cielo. Una sequenza rappresentante il fuoco fu stampata su supporto di carta rosso, un’altra con disegnato l’acqua di verde: Di sney stava cercando di riprodurre i colori. Contemporaneamente, sebbene la tecnologia fosse ancora lacunosa, faceva pressione e insisteva perché fermamente convinto che il colore potesse essere un valore aggiunto ai suoi cartoni. Tutto quello che era stato realizzato fino a quel momento però gli sembrava che potesse solo peggiorare il prodotto. Continuò a cercare e quando Technicolor, una compagnia che si occupava dello svi luppo delle pellicole a colori, annun ciò un processo a tre colori in grado di riprodurre fedelmente i colori, si dice che Walt esclamò “finalmente saremo 31 Neal Gabler, Walt Disney: The Triumph of the American Imagination, Vintage, 2007, pag. 189

32 Neal Gabler, Walt Disney: The Triumph of the American Imagination, Vintage, 2007, pag.211

44 storia destinata a essere ricordata - ma con la cooperazione di Technicolor decise di convertirla al colore. Di conseguenza chiese a inchiostratori e coloratori di pulire il lato posteriore delle rodovetri in bianco e nero, la parte in scala di grigi, lasciando solo le linee di contorno nere. Successivamente furono ricolorate a colori, appunto. Il risultato era così entusiasmante che Disney non potè trattenersi dal mostrarlo al suo amico Rob Wagner. Wagner a sua volta fu talmente impressionato da volerlo postare a Sid Grauman, imprenditore nel settore teatrale a Los Angeles. Grauman si assicurò che Flowers and Trees, questo il nome del celebre corto, ricevesse l’at tenzione che meritava affermando che si trattasse di una “creazione che poggia una nuova pietra miliare nella sviluppo della storia del cinema33”. Il corto ebbe talmente successo, anche nell’immediato futuro, da vincere un Academy Award come miglior corto Convertireanimato.l’intera produzione alla nuova tecnologia a colori non era certamente

33 Neal Gabler, Walt Disney: The Triumph of the American Imagination, Vintage, 2007, pag. 215

45 roba da poco, specialmente per una questione economica e di accordi. Disney però era convinto e deciso ad arrivare in fondo alla questione. Alla fine l’affare si concluse con un accordo che consisteva nel produrre tredici corti animati a colori in cambio dell’utilizzo esclusivo del processo Technicolor. Questo assicurò a Disney l’esclusiva per ben due anni, portando il suo studio a ottenere un qualcosa in grado di superare di gran lunga le produzioni degli studi rivali. È il 1934 quando Walt Disney realizza che, nonostante il suo studio stesse proce dendo bene, per poterlo far crescere ancora di più non sarebbe bastato produrre solo cortometraggi. Così, decide di dedicarsi alla produzione di un lungometraggio animato. Naturalmente, la questione economica era solo uno dei fattori che concor revano a questa decisione. Disney, ancora una volta, cercava la sfida e un modo per assicurarsi il titolo di migliore all’interno dell’industria. Aveva bisogno di costruire un luogo di fantasia ancora migliore in cui poter scappare. Il primo soggetto su cui cadde l’attenzione di Disney fu in realtà Bambi: A Life in the woods, progetto a cui Disney non rinuncerà realizzandolo però molti anni dopo. I suggerimenti si susse guivano, ciascuno all’interno degli studi e fuori sembrava avere un’idea vincente per il primo lungometraggio. Walt però aveva già deciso e anni dopo dirà di aver scelto Biancaneve e i sette nani per il suo potenziale estetico e perché sapeva di “poter fare un qualcosa con quei sette fottuti nani”34. Inoltre, il fattore ancora più importante era questo: con Biancaneve poteva puntare sui ricordi delle persone. Lui stesso raccon terà di ricordare una versione in live action, probabilmente quella del 1917 con Mar guerite Clark. Al di là delle possibili ragioni psicologiche ad averlo spinto a scegliere 34 Neal Gabler, Walt Disney: The Triumph of the American Imagination, Vintage, 2007, pag. 245

Nella primavera del 1933 aveva già iniziato a sintetizzare tutte le fonti indagate nella sua testa e aveva forgiato qualcosa di com pletamente nuovo che ripeteva a ogni occasione possibile. Al cuni suoi animatori, che avevano assistito per caso a una delle sue recite im provvisate, diranno “ero in una valle di lacrime nel sentirgli raccontare la storia, ep pure l’avevo già sentita da bambino e mai mi aveva commosso così tanto”35. Quando Walt finalmente fece una presentazione pubblica, soltanto un anno dopo, riuscì a far capire al suo pubblico come sarebbe stata la sua Biancaneve. Naturalmente, non era un’impresa facile e nonostante l’entusiasmo iniziale, ad accompagnare c’era anche del timore, ad alcuni sembrava di vedere “la follia di Disney”. Così, mentre sia Roy che Walt cercavano un modo per realizzare il progetto, economicamente parlando, Walt era già alle fasi iniziali: la scrittura della sceneggiatura. Il processo, così com’era pensato da Disney, era tutt’altro che semplice e veloce e nella primavera del 1935 i nani non avevano ancora trovato un nome e la storia continuava a essere revisio nata. Disney non voleva accelerare i tempi, anche se questo significava spingere le scadenze. Walt Disney non aveva fatto i conti però con il suo perfezionismo e aveva calcolato male i tempi di produzione. Produrre Biancaneve gli costerà molto tempo prima di diventare ciò che voleva che fosse. Innanzitutto un lavoro di tale portata necessitava di più animatori al lavoro. Grazie a questa necessità si uniranno agli studi tanti nuovi animatori, tra cui alcuni di quelli che verranno poi definiti i “nine old men”36: Les Clark (già al lavoro negli studi dal 1927), Frank Thoms, Ollie Johnson, Wolfgang Reitherman, John Lounsbery, Eric Lar son, Ward Kimball, Milt Kahl, Marc Davis. Assumere nuovi animatori comportò un clima di crescita e anche una continua necessità di studio e formazione. Anche le di mensioni reali dello studio crebbero in quello stesso periodo. E la fama, di cui parle remo dopo, di essere uno studio in cui lo scambio era continuo e il clima di scherzo e di fervente entusiasmo, crebbe con lui. Prima di passare all’avvio dell’animazione ci volle un altro anno e l’animazione finale fu iniziata solo nell’estate del 1936. Per animare i personaggi non bastava la creatività dei suoi animatori, così assunse degli 35 Neal Gabler, Walt Disney: The Triumph of the American Imagination, Vintage, 2007, pag. 248 36 Nome attribuito agli animatori storici e più talentosi.

46 Biancaneve come soggetto e del paragone con la sua stessa vita, Disney capì che né la ver sione vista sul grande schermo né quella originale dei fratelli Grimm poteva fare al caso suo.

47 attori veri perché potessero interpretare la personalità attribuita ai personaggi e gli animatori potessero ispirarsi alle loro interpretazioni.

Come accennato prima, realizzare Biancaneve significava per Disney non solo stare all’altezza delle sue aspettative, ma addirittura superarle e questo comportò altre innovazioni di tipo tecnico.

Disney voleva ottenere un prodotto che fosse musicalmente superiore a tutti quelli prodotti fino a quel momento - il corto sui Tre porcellini aveva riscosso un gran de successo dal punto di vista musicale - ma Walt premeva perché si distinguesse anche visivamente, e non solo a livello stilistico, ma addirittura nella sua palette. A tal punto che, per rendere i colori perfetti, lo studio arrivò a formulare un nuovo fissante per tenere le tinte insieme, con una base di gomma arabica che lo renderà riadattabile, per poter correggere eventuali errori. Fu installato uno sprettofotome tro, uno dei venti esistenti in tutto il mondo in quel periodo, per misurare il colore in maniera precisa e inequivocabile. E se con Flowers and Trees Disney era riuscito a ottenere i favoli della critica non solo per aver usato il colore, ma per averlo usato in maniera espressiva più che realistica, per Biancaneve voleva ottenere un nuovo successo. “Non stiamo cercando di riempire il cartone con i colori. Dobbiamo mi rare ad avere una certa profondità e quindi un certo realismo”37 affermava in quei giorni. Non si trattava quindi più di riempire le linee di contorno: Biancaneve avrà quindi un delicato, ma fine effetto di chiaroscuro, con un effetto del tutto pittorico. Naturalmente modificare i colori dei personaggi non poteva bastare, così istruì i suoi layout men38 affinché potessero realizzare degli sfondi più dettagliati. Si rendeva conto però che neanche questo poteva bastare a raggiungere quel grado di reali smo a cui stava aspirando. Il problema principale dell’animazione tradizionale era quello di poter replicare i cambi di prospettiva della vita vera, un qualcosa impossi bile - si pensava - da rendere visivamente. Ken Anderson raccontò di come Disney in quei giorni spingeva affinché si potesse ricreare un’illusione simile e gli chiese di lavorare insieme all’animatore degli effetti speciali, all’esperto delle luci e a un inge gnere di lavorare a un test in cui ci fossero diversi livelli di azione, in modo da creare una profondità che una singola pellicola non era in grado di replicare. La problematica che nacque era quindi quella di fotografare questi multipli livelli con una camera statica, perché c’era la necessità di far muovere la came ra attraverso i livelli diversi. Così, Disney costruisce la sua multiplane camera, un’altra grande invenzione di cui gli si darà credito. Finora altre camere di questo tipo erano 37 Neal Gabler, Walt Disney: The Triumph of the American Imagina tion, Vintage, 2007, pag. 261 38 La figura del layout man si occupa esclusivamente dei fondali e degli sfondi.

state testate, lo stesso Iwerks ne aveva creata una negli studi Disney. Questo nuo vo esempio, creato da Biancaneve, era però finalmente in grado di riprodurre quel senso di profondità che Disney aveva tanto bramato fino a quel momento. A questo punto, bisognava solo concludere la realizzazione e il tempo stringeva. Nell’autunno del 1937, a pochi mesi dalla data prestabilita, lo staff lavorava ventiquattro ore al giorno, in turni di otto ore ciascuno. Tra difficoltà economiche e difficoltà nell’ap procciarsi alla pubblicità di un lungometraggio per la prima volta, la data del 21 dicembre si era avvicinata. Il luogo dell’anteprima era lo stesso scelto da Disney per mostrare Skeleton Dance. L’impressione generale dopo la prima visione fu per tutti di essersi trovati nel bel mezzo della storia del cinema d’animazione. Biancaneve verrà poi distribuito al grande pubblico nel febbraio dell’anno seguente, arrivando poi a far vincere - in edizione speciale, una statuetta grande e sette piccoline, in ono re dei nani - un oscar onorario a Walt Disney. Walt era riuscito nella sua impresa più grande, fino quel momento. Ed entrerà davvero nella storia come primo lungome traggio del cinema d’animazione.

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Il cambiamento “mentale”, l’approccio Disney

3.2.3

Al di là delle innovazione tecniche apportate da Disney nel settore, tali da cambia re completamente l’industria, vanno considerati anche i cambiamenti apportati nel modo di concepire un cartone animato. Il primo grande fattore, e forse anche quello più importante, a stabilire e determinare un cambiamento nel modo di concepire l’animazione sarà nell’approccio mentale di Walt. Il clima in Disney era calmo e ri lassato, ma quando si trattava di mettersi al lavoro tutto era ben pianificato. Ogni cartone animato aveva quella che in gergo viene chiamata “exposure sheet”, che elencava con precisione ogni scena, ogni movimento e ogni singolo disegno. La differenza tra gli studi Disney e tutti gli altri studi a New York non risiedeva però nella o nella specializzazione. A fare la differenza erano le aspettative: Walt Disney doveva e voleva essere il migliore. In funzione di questo, ogni prodotto degli studi, già a partire da Oswald e dalla serie di Alice, era realizzato con la massima cura, mirando all’eccellenza. Parte del segreto di Disney consisteva nel fatto che insi stendo sulla qualità di ciò che il suo studio produceva, una qualità che mai prima era stata richiesta agli animatori, riusciva a ispirare e instillare nei suoi uomini dedizione e impegno. Iwerks a distanza di anni dirà “odiavamo andare a casa di notte, alla fine della giornata lavorativa. Non vedevamo l’ora di poter tornare il giorno dopo, ave vamo tanta vitalità e tanto da lavorare. Amavamo ciò che stavamo facendo e l’entu siasmo che mettevamo nel nostro lavoro riusciva a passare attraverso lo schermo39”. A generare negli studio uno spirito calmo e rilassato, tanto da creare un senso di comunità contribuì senz’altro l’informalità di Disney. Come raccontato molto bene nel film, di più recente produzione, Saving Mr Banks, Disney ha sempre tenuto fin dagli inizi ma anche nei giorni in cui gli studi contavano migliaia di addetti ai lavori, a mantenere un rapporto informale con i suoi dipendenti. Durante le prime grosse produzioni, come quella di Mickey Mouse ad esempio, ci teneva ad assistere i suoi animatori nel processo di creazione, talvolta fermandosi ai tavoli da lavoro a dare consigli, scambiare idee e opinioni. E sebbene questo modus operandi dovette su bire delle revisioni e degli adattamenti in base al numero crescente dei dipendenti, fino a oggi lascia il segno nelle politiche aziendali Disney. Come accennato nei paragrafi precedenti, un altro cambiamento apportato da Di sney fu l’attenzione dedicata alla storia, che determinò l’introduzione di nuove figu re professionali che si occupassero esclusivamente di questo parte del processo creativo. Questa dedizione alla storia segnò un approccio completamente nuovo, tale da segnare una svolta rivoluzionaria nel modo di concepire il cartone animato. Ancora non si parlava tra i corridoi dello studio di Biancaneve, l’idea del lungome traggio ancora era lontana, ma Disney già aveva iniziato a intuire l’importanza di 39 Neal Gabler, Walt Disney: The Triumph of the American Imagination, Vintage, 2007, pag. 140

preparazione

50 una trama più elaborata. Per ogni nuovo elemento cambiato, si genera una sorta di reazione a catena e questa sua nuova preoccupazione per la storia richiedeva quindi un nuovo modo di concepire i personaggi. Un animatore osserverà più tardi “la ragione per cui nessuno ricorda bene i vecchi cartoni animati è che non c’era una vera storia o una vera personalità, è questo il motivo per cui tutti attribuiscono a Disney l’invenzione dei cartoni animati”40. Un personaggio come Felix il Gatto aveva dei tratti caratteristici rintracciabili solo in alcuni momenti del cartone animato, ma Disney lo prese ad esempio sia nel primo tentativo di Oswald sia con Mickey Mouse. Nonostante questo, sentiva che non fosse abbastanza. Disney cercava di rendere i cartoni animati sempre più simili ai film live action perché aveva capito che il pub blico aveva bisogno di essere coinvolto. Aveva bisogno di creare un legame con il personaggio, sentirlo vicino, non solo di ridere delle avventure raccontate sullo schermo. Per questo motivo iniziò a far pressione sui suoi animatori, sottolineando loro l’importanza di creare personaggi che potessero coinvolgere le persone emoti vamente. Disse poi, in un’importante testimonianza della sua estetica, nel senso più stretto, “Il più importante scopo di ogni arte visiva è quello di avere una reazione pu ramente emotiva dall’osservatore”41. Il modo migliore di generare e ottenere questa risposta nel pubblico secondo Disney passava per la personalità dei personaggi, una serie di caratteristiche uniche per ognuno di essi, capaci di definire ciascuno in maniera chiara e precisa. Naturalmente questo segnò un cambio radicale nel modo di disegnare i personaggi, come abbiamo già accennato prima parlando dei dodici principi dell’animazione, nati proprio per lo stesso scopo. I personaggi infatti non dovevano solo essere disegnati e animati seguendo questi dettami, per essere più veritieri nel movimento, ma dovevano iniziare a essere credibili anche dal punto di visto emozionale. Non è un azzardo affermare che, tra tutte le innovazioni apportate da Disney, questa si configuri come la più importante. E risulta essere tale perché ha comportato delle innovazioni tecniche, delle novità nell’approccio, ma soprattutto ha generato un cambiamento radicale nella relazione con lo spettatore. Inoltre, è l’innovazione che l’ha contraddistinto nella storia del cinema d’animazione: tutti i personaggi per lui dovevano essere considerati non come oggetti da animare, ma alla stregua di persone vere e proprie, animate di vita propria. “Tutto nei suoi carto ni doveva avere personalità” affermò Ward Kimball “Insisteva affinché se un albero fosse stato concepito per essere timido, allora si comportasse come lo fosse davve ro. Richiedeva sempre una chiara descrizione della personalità del personaggio da tutti i suoi animatori”. Per Disney la caratterizzazione non era soltanto una questione di comportamento fisico o di una pallida emozione mostrata in qualche gesto dai personaggi. La magia dell’animazione, la magia dell’animazione Disney, era proprio la possibilità di veder uscire la personalità dai disegni, perché così dovevano essere concepiti e così dovevano essere presentati al grande pubblico.

40 Neal Gabler, Walt Disney: The Triumph of the American Imagination, Vintage, 2007, pag. 142

41 Neal Gabler, Walt Disney: The Triumph of the American Imagination, Vintage, 2007, pag. 145

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4

Walt Disney e il disegno

Questo cambiamento che abbiamo appena descritto ci guida verso gli argomenti che affronteremo in questo capitolo. Come anticipato, capire l’approccio di Disney all’animazione, conoscerne i motivi trainanti e la sua più profonda motivazione ci serve per capire tutto il suo operato. E partire da ciò che lui ha creato e dalle inno vazioni che ha apportato nei suoi studi è necessario per comprendere in quale modo sia riuscito a lasciare un’impronta in ogni settore in cui il suo mondo si è esteso, ma sopratutto capire in quale modo sia riuscito a influenzare coloro che sono venuti dopo di lui. In questo capitolo andremo ad analizzare in quale modo tutto il suo operato abbia avuto una qualche influenza, in modo particolare nell’ambito del disegno. Come ac cennato sul finire dell’ultimo capitolo, Disney è riusci to a dare un’impronta ben precisa al disegno dei suoi personaggi. Andremo quindi ad analizzare come si può definire lo “stile Disney” e quali sono le caratteristiche dal punto di vista del segno grafico. Ad aiutarci a entra re nel profondo della questione sarà il punto di vista di alcuni professionisti del settore. Successivamente, una volta definito e tracciati i caratteri salienti andremo a in dagare su come il disegno Disney abbia influenzato altre produzioni.

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4.1

nel settore fumettistico non può fregiarsi del titolo di “rivoluziona rio” come accade nel cinema d’animazione. Quando Disney inizia la sua carriera, il fumetto ha già infatti alle sue spalle una sua storia con delle basi solide. Indagare sul fumetto Disney ci è utile non tanto per capirne la portata rivoluzionaria, pressoché nulla, ma ci serve per capirne la differenza di stile rispetto al disegno legato all’ani Ilmazione.fumetto Disney, settore quindi indipendente dal cinema, vede i suoi primi esordi nel 1930 con il personaggio di Topolino. Anche in questo frangente occorre fare una precisazione: con il termine “fumetto” non si intende la raccolta delle strisce fumetti stiche, alla quale siamo più spesso abituati specialmente in Italia proprio grazie all’e ditoriale di Topolino, ma le strisce vere e proprie. Inizialmente infatti i fumetti sono pubblicati come singole strisce all’interno di quotidiani. Nel suo primo esordio To polino è disegnato dal suo disegnatore storico Ub Iwerks e i testi sono a cura perso nale di Walt. “Le prime storie sono avventure scanzonate, in linea con il personaggio che compare al cinema, sempre pronto al divertimento come un monello qualsiasi; ambientate in una località rurale senza nome, ogni striscia culmina in una battuta o in uno spiritoso colpo di scena; ma, ancor più rapidamente di come accade nei corti, il personaggio cambia anche nei fumetti e viene fatto maturare per permettergli di vivere avventure più complesse”42. Questo cambiamento avviene grazie alla figura del fumettista Floyd Gottfredson, colui che prenderà per mano il personaggio di To polino fino a fargli cambiare identità: da monello scansafatiche dei cortometraggi, Topolino diventa un cittadino modello, un avventuriero senza paure e un detective 42 https://it.wikipedia.org/wiki/Topolino

Per poter comprendere e analizzare il segno Disney occorre innanzitutto fare un’im portante specifica che può apparire semplice, ma è fondamentale. Il disegno Disney ha due varianti principali, diverse fra loro: il disegno che nasce per l’animazione e il disegno destinato al fumetto. Come probabilmente appare chiaro a essere nato prima è il disegno per l’animazione perché la produzione di Disney nasce con l’ani mazione, come abbiamo ampiamente detto nel precedente capitolo. Il disegno per il fumetto, e quindi il fumetto Disney in sé per sé, merita un altro discorso a parte. Il terzo filone è quello dell’illustrazione, ma l’illustrazione Disney è strettamente legata in genere al prodotto cinematografico e a una sua riproduzione cartacea o, in alter nativa, ai prodotti commerciali e al merchandising. Se quindi si discosta dal disegno dell’animazione perché destinato all’editoria tiene comunque fede al prodotto cine L’attivitàmatografico.diDisney

Il disegno Disney: l’animazione, il fumetto e l’illustrazione

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Dopo i primi anni, le serie a strisce pubblicate sui quotidiani vennero pubblicate anche in testate nel cosiddetto formato comic book, il formato che tradizionalmen te si lega nel sentire la parola fumetto. Successivamente si iniziarono a pubblicare storie inedite sul personaggio, non più legate alle strisce che ancora apparivano sui quotidiani, ma questa produzione andò via via scemando. A prendere il testimone di Gottfredson sarà il fumetto italiano. I fumetti di Topolino esordiscono in Italia il 30 marzo 1930, pubblicando la prima striscia disegnata da Iwerks sul numero 13 del settimanale Illustrazione del Popolo Solo due anni dopo esce il primo numero del settimanale a fumetti Topolino, edito da Editrice Nerbini. Inizialmente, il Topolino giornale pubblicava prevalentemente storie americane, ma nel 1948 esordisce la prima storia italiana Topolino e il cobra bianco. La storia, la cui ultima puntata fu pubblicata sul primo numero di Topolino, lo storico formato libretto, sarà solo la prima di una lunga tradizione. Già a partire dagli anni Sessanta infatti le storie di origine italiana divennero predominanti, tanto che a oggi si parla di scuola italiana del fumetto Disney. Stabilite le origini del fumetto, che comunque trae spunto e nasce dai cortome traggi, vediamo i due medium a confronto, in alcuni esempi distanti di anni tra loro. Mettere le immagini l’una affianco all’altra ci permette di capire in quale modo ani mazione e fumetto si siano discostate gradualmente. In questo primo paragone, il disegno dei due differenti prodotti risulta pressochéidentico.Strisciadi fumetto disegnata da Floyd Gottfredson, pubblicata nel 1932. Mickey’s Good Deed, sempre del 1932.

infallibile. A far compagnia a Topolino nelle sue avventure saranno personaggi già presenti nei cortometraggi dei primi anni Trenta o personaggi ideati unicamente per i fumetti: Pietro Gambadilegno, Clarabella, il commissario Basettoni, ecc…

confronto è l’ultimo esempio di apparizione di un perso naggio storico come Paperino all’interno di un lungometraggio. Il confronto con il disegno di Cavazzano, sebbene non si tratti di una tavola di fumetto, ci aiuta a capire come fumettisti e animatori abbiano proseguito per strade diverse. Il disegno per l’animazione segue un’impostazione più cinematografica, sia dal punto delle inqua drature che dal punto di vista della resa, mentre il disegno di Cavazzano è fedele al tratto Disney caratteristico dei fumetti.

Fantasia, lungometraggio uscito nei cinema nel 1940.

Mickey Mouse Outwits the Phantom Blot, del 1941, disegnato da Floyd e pubbli cato sul primo fumetto di Mickey Mouse uscito negli Stati Uniti.

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Illustrazione del fumettista Giorgio Ca vazzano, che ha disegnato per i fumetti Disney dai primissimi anni 2000. Fantasia 2000, uscito nel 1999.

Il secondo confronto appare già con dei confini più netti e uno stile che, in meno di dieci anni, si è già andato a differenziare. Lo stile del fumetto, seppur a colori, man tiene una colorazione piatta, rispetto all’ombreggiatura data dalla colorazione usata nelQuestolungometraggio.terzoeultimo

La definizione di stile Disney: interviste ai disegnatori

Conoscere le origini del fumetto e capire in cosa consiste la differenza tra disegno destinato ad esso o al cinema o all’illustrazione risulta fondamentale per risponde re alla domanda principale di questo capitolo: “cos’è lo stile Disney?”. In parte, la risposta può variare in base al medium che stiamo prendendo in considerazione, d’altra parte invece pare che la risposta sia universale e coinvolga tutti i medium in cui il disegno è l’arte principale. Per poter rispondere a questa domanda in maniera più approfondita ho deciso di svolgere un’indagine, rivolta a fumettisti e illustratori. Alcuni che hanno collaborato nel tempo con Disney, alcuni che ancora lavorano per il colosso e altri che non hanno a oggi uno stretto legame, ma che hanno raccontato in quale modo Disney abbia comunque svolto un ruolo nella propria carriera.

4.2

Il primo a prestare la sua esperienza per questa indagine è il fumettista Silvio Cam boni. Si trasferisce giovanissimo nella città di Milano per studiare Architettura presso il Politecnico, dove si laurea nel 1993. Nel raccontare i suoi esordi nel mondo del fumetto, dice di come sia possibile rintracciare una grossa differenza tra ieri e oggi. Nonostante siano passati poco meno di trent’anni, le possibilità di formazione nel campo del disegno erano nettamente inferiori rispetto a oggi, così come era sicu ramente più difficile riuscire a contattare gli editori. Silvio comunque riesce nel suo tentativo e, giovanissimo, inizia la sua carriera in casa Disney già nel 1988, quando è ancora uno studente di Architettura. Parlando ancora della sua formazione, gli chie do in quale modo Disney abbia avuto un’influenza sul giovane Silvio. Quello che ne vien fuori è un discorso legato alla persona di Disney, la sua capacità di vedere una possibilità laddove ancora nessuno l’aveva anche solo intravista, il suo spiccato spi rito imprenditoriale, ma ancora di più visionario. Veniamo poi alla domanda fonda mentale: “Essendo tu stesso uno degli artisti che lavorano ancora oggi per Disney, come ti sentiresti di definirne lo stile? Quali aggettivi useresti?” “Sicuramente morbi dezza, rotondità e armonia.” Camboni, come ricorrerà nelle altre interviste che leg geremo, rintraccia in questi aggettivi e in queste caratteristiche lo stile del disegno Disney. In particolare l’aggettivo “armonia” sembra essere quello che racchiude più il senso di ciò che Disney, o meglio i suoi disegnatori, sono riusciti a fare. La forma prescelta per il suo personaggio principale, Topolino, di per sé riesce a darci un’idea di questo concetto. Il cerchio infatti possiede tutte queste caratteristiche e a partire dal cerchio, infatti, nascono tutte le altre forme, che devono mantenere con il cerchio la giusta relazione e, ancor di più, la giusta proporzione. Importante quindi, sottoli nea il fumettista, studiare queste proporzioni e tenerle sempre a mente perché sono la cifra stilistica Disney. Fondamentalmente queste caratteristiche sono quelle che davvero servono a definire lo stile. E ancor di più, lo rendono riconoscibile anche in altri prodotti. L’esempio che fa Silvio è quello del fumetto francese, che ha assunto nel corso della sua storia dei tratti peculiari e che si distingue a sua volta. “La linea Disney è diventata talmente forte da essere inconfondibile”. Silvio Camboni

Giada Perissinotto

L’altra fumettista, e illustratrice, ad aver aiutato a rispondere alla domanda di questo capitolo è Giada Perissinotto. La storia di Giada è la più classica tra i disegnatori: ama disegnare fin da bambina e mai ha smesso di farlo da allora. Appassionata di manga, il suo personaggio preferito è Lamù. Si avvicina al mondo Disney studiando proprio all’Accademia Disney e subito dopo inizierà a lavorare nel mondo del fumet to. Per questi due fattori dice di avere avuta una formazione composta al 50% dalle due diverse scuole. Avendo lavorato fin da giovanissima in Disney però, conosce bene i segreti del mestiere e alla domanda “cos’è lo stile Disney per te?” risponde un po’ per istinto e personalità, un po’ per esperienza. Per Giada infatti lo stile Disney è l’insieme delle giuste forme, precise e uniche. Le forme Disney, dice, non posso no essere sbagliate. Per disegnare “topi e paperi”, come vengono definiti nell’am biente i personaggi dei fumetti, bisogna acquisire una tecnica ben precisa. L’altra caratteristica che la Perissinotto associa al disegno Disney è il senso del movimento: ogni personaggio Disney, sulla carta, deve dare una sensazione di movimento a chi guarda, pur rimanendo un disegno bidimensionale. Ancora, aggiunge, ciò che è im prescindibile per un disegnatore Disney, se vuol essere definito tale, è l’esaltazione delle emozioni del personaggio. Il segno della matita, e anche il segno della china per inchiostrare, devono riuscire a essere sufficientemente morbidi per trasmettere tutto ciò che il personaggio ha bisogno di far trasparire. Questo discorso, legato alle emozioni, si lega a un’altra domanda fatta alla fumettista “se dovessimo individuare un’era precedente e un’era successiva a Walt Disney, cosa rintracceresti come se gno indistinguibile della sua opera?” alla quale Giada risponde con un’unica parola “empatia”. Disney è stato colui che è riuscito per la prima volta a imprimere questa caratteristica nel cartone animato e successivamente, di conseguenza, al fumetto. Movimento ed emozione.

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Tra i fumettisti in senso più stretto troviamo ancora Ivan Bigarella, che lavora per Disney da poco tempo, ma che la Disney l’ha sempre amata. Sulla sua formazione personale mi dice di essere fin da pic colo un appassionato d’animazione, il suo primo vero amore, come spesso accade tra i disegnatori. Cresciuto però da una mamma che l’ha sempre stimolato alla creatività, Bigarella ha sempre letto il fa moso Topolino e fin da piccolo ha sempre copiato i disegni Disney, ma non solo. Perché tra i suoi personaggi preferiti troviamo anche Asterix e Obelix, la pantera rosa e tanti altri. Insomma, come consue tudine, i gusti sono sempre una miscela omogenea. La formazione artistica prende avvio con il liceo artistico e subito dopo prosegue con la Scuola di fumetto a Milano. Esordisce collaborando con la ri vista Extreme e successivamente manda il suo portfolio e inizia la sua carriera lavorando alle illustrazioni per Geronimo Stilton. Di questa avventura Bigarella dice di come l’abbia portato ad allontanarsi stili sticamente da Disney, ma di non aver perso totalmente la manualità necessaria a disegnare in quello stile. Torna al disegno Disney nel 2020 iniziando a disegnare per Topolino, appunto. E paragonando le due esperienze Bigarella offre uno spunto molto interessante. Dice di aver sempre usato il digitale, di padroneggiarlo senza alcun problema, ma di preferire il cartaceo approcciandosi a Topolino. Il fumetto Disney, per sua natura o per meglio dire per la tradizione che ha costruito ne gli anni, è di per sé un fumetto molto autoriale. Come abbiamo detto prima, nei fumetti Disney è possibile scorgere la mano di un fumetti sta piuttosto che di un altro. Ivan vuole conservare quella autenticità. Al digitale associa, quasi, l’idea di perfezione e in effetti il digitale ha questa caratteristica: la possibilità infinita di modifiche e perfezio namenti. Il disegno cartaceo, per quanto imperfetto, conserva l’au tenticità del segno. Il segno su carta non può essere modificato più di tanto, ma per questo rivela la sua vera natura, l’anima sotto forma di segno dell’autore. Questa differenza tra digitale e cartaceo è la differenza che Bigarella riscontra, in parte, tra la sua produzione pre cedente, prevalentemente con Stilton e la produzione Disney. Stilton è più asettico, Disney ha un’anima che riesce a venir fuori dai disegni. In questa differenza trovo la risposta alla solita domanda. Lo stile Di sney per Ivan è tecnica e controllo - il controllo che la carta consente, la tecnica che solo su carta può venir fuori se davvero c’è - ma allo stesso tempo è anima, è magia. Lo stile Disney è rigido, bisogna ri spondere a dei canoni e a delle regole che lo rendono indistinguibile, ma allo stesso tempo libero perché permette di esprimere e imprime re su carta l’emozione che si cerca di trasmettere. Il disegno Disney è modulato, vibrante e ha una magia tale da far trasparire l’anima, del personaggio disegnato e del disegnatore che l’ha ritratto.

Ivan Bigarella

Fabionarrazione.Pochet

L’inizio di un altro tra i disegnatori intervistati, Fabio Pochet, non è tra i più classici. Amante della Disney fin da bambino, non ha il sogno di disegnare: Fabio da grande vuole fare lo sceneggia tore. Anche lui frequenta prima la scuola di fumetto e poi l’Acca demia Disney. Entrato in Disney dal 2004, ora è Concept artist in Ubisoft. Il sogno da bambino è cambiato quindi negli anni, perché Fabio lavora e ha sempre lavorato come disegnatore, ma il cam biamento, rispetto alla passione d’origine, non è del tutto radi cale perché Fabio mi racconta di aver sempre portato all’inter no dei suoi disegni una caratteristica che ha imparato proprio da Disney: il modo di raccontare. Lo stile Disney per Pochet risiede proprio in quello infatti. Nonostante lui negli anni si sia fatto influenzare da tanti altri stili e altri mondi, ciò che lo differenzia è la sua eredità Disney. Dice infatti “per me lo stile Disney è senz’altro dinamicità, ma se devo risponderti d’istin to, senza pensarci troppo, mi viene da dirti che la differenza sostanziale con il resto è l’approccio alla narrazione”. Il modo di raccontare, come dicevo prima, ma anche il trattamento dei personaggi. Perché l’altra grande eredità di Walt è quel la di aver reso giustizia e il giusto spazio al personaggio e alla sua caratterizzazione, alla sua personalità. Un’altra cosa che aggiunge Fabio è che in Disney lui ha sempre visto una marcia in più. O meglio, chi lavora in Disney spesso lo fa perché ama ciò che ama, ama ciò che l’ha preceduto e ama tutta la storia dell’azienda. Gli faccio un’altra domanda: “Se ti dovessi chiedere cosa ti porti di Disney nel tuo lavoro di oggi, cosa mi diresti?” alla quale mi risponde dicendomi che, come già detto, c’è senz’altro lo stile narrativo, ma entrando ancora più nello specifico e nell’aspetto prettamente tecni co, la composizione della pagina. E inoltre “A oggi ancora conservo tutto ciò che ho imparato in Disney. Pur lavorando in Ubisoft, quando disegno dei per sonaggi, mi si riconosce la capacità di inserire per fettamente nel contesto i personaggi che disegno.”

Anche lì, ancora una volta, torna per Fabio l’amore per la

Altra disegnatrice a prestare il suo tempo e a regalarmi la sua esperienza è Valeria Turati. Anche lei, come i già citati Camboni e Pochet, è stata una delle allieve del grande Giovanni Battista Carpi nella sua Accademia Disney. Fa parte quindi di quel la generazione Disney che il famoso fumetto autoriale italiano l’ha visto da vicino e ha contribuito poi ad alimentarlo. Mi racconta un po’ della differenza netta tra la produzione italiana e quella americana, differenza che consiste principalmente nel fatto che il prodotto americano è molto rigido e rispetta pedissequamente le regole e i canoni imposti, mentre il fumetto italiano risulta essere più libero. E non solo per quanto riguarda il fumetto. Valeria, infatti, nata come disegnatrice, si è specializzata nella colorazione. Negli anni si è quindi ritrovata a produrre una quantità immensa di libri e illustrazioni, confrontandosi molto spesso con le commissioni e le direttive d’oltreoceano. E su questo mi dice “I model sheet43 che mi arrivano dall’America sono di una precisione incredibile. Disegnare Biancaneve, Cenerentola… è tra le cose più difficili che un disegnatore possa provare a fare”. Alla domanda cardine in vece di questo capitolo mi risponde dicendomi che è difficile definire lo stile Disney. Sicuramente, afferma, c’è una grossa differenza tra il passato e il presente. I vecchi classici, animati dagli storici animatori, conservano e conserveranno sempre quel qualcosa di autentico. A fare la differenza è la passione trasmessa. Un altro esempio è Fantasia, il preferito di Walt, dice Valeria. È chiaro come traspaia la passione e l’a more messo in quei film. Ancora una volta, a caratterizzare e a dare un senso allo stile Disney è l’anima di Disney stesso.

Valeria Turati

43 I model sheet sono documenti utilizzati per aiutare a standardizzare l’aspetto, le pose e i gesti di un personaggio nelle arti come l’animazione, i fumetti, e videogiochi.

Ultimo, ma non senz’altro per importanza e contributo dato è il fumettista Jean Clau dio Vinci. Originario di Sanluri, Jean Claudio mi racconta di come per lui la Disney sia stata una presenza costante nella sua infanzia. “Mia mamma mi diceva: - vieni che c’è un film Disney in tv - quindi per me la Disney è sempre stata un sinonimo di qualità, di un bel film da aspettare e non vedere l’ora di poterlo vedere in tv”. In realtà però, la formazione artistica di Jean Claudio è tutt’altro che disneyana. Indub biamente, mi dice, i personaggi e tutto il mondo Disney sono sempre stati parte del suo immaginario, ma ad appassionarlo davvero sono sempre stati i supereroi Marvel e quel genere di fumetto. Jean Claudio quindi disegna fin da bambino e nel 2000 si unisce all’Associazione Culturale Chine Vaganti di San Gavino Monreale e con un suo collega scrittore, Andrea Pau, realizza il suo primo fumetto Radio Punx. La carriera di Jean Claudio prosegue, annoverando numerosissime collaborazione con produzioni francesi, fino ad arrivare nel 2019 a collaborare con Disney alla pro duzione della miniserie Secret Identities tratto da Gli Incredibili 2. A proposito di questo gli chiedo che significato ha avuto per lui, con un background artistico così differente, disegnare per Disney. “In realtà ti dico che mi sono trovato molto a mio agio, è stato un lavoro stimolante, ma anche molto piacevole, un ambiente davve ro bello. Quello di cui sono contento poi è di essere riuscito a mantenere la mia identità, pur producendo un qualcosa firmato Disney”. A questo punto gli rivolgo la domanda fondamentale alla quale mi risponde dicendomi che per lui lo stile Disney è un qualcosa che ha sempre riconosciuto e individuato come Disney: le forme, la morbidezza e il tratto umoristico. Lavorare in Disney quindi ha significato per Jean Claudio esplorare un genere nuovo. Disney l’ha aiutato, mi dice, a lavorare sull’e spressività dei personaggi, sulle forme precise, ma morbide, sulla gestualità. “Rico nosci un personaggio Disney anche solo dalla postura, da com’è disegnata la mano che riesce a essere espressiva, anche da sola”. Gli chiedo poi come questo lavoro lo abbia influenzato anche negli altri lavori, esterni a Disney. “Sicuramente prima non mi sarei proposto come autore umoristico, non mi sentivo padrone di questo gene re. Ora mi rendo conto, se guardo i miei lavori, di aver aggiunto tanto che è Disney, quasi

Jeaninconsapevolmente”.ClaudioVinci

66 Appare chiaro, quindi, come ogni disegnatore abbia una propria per sonale interpretazione e propria risposta, uniche e originali, alla nostra domanda. In generale però, che si tratti di fumettisti per Topolino o che si tratti di illustratori più in generale, quello che possiamo trarre dal di scorso sono indubbiamente due cose: un fattore tecnico e un fattore legato al significato. Possiamo quindi affermare che il segno Disney sia un qualcosa che prescinde dall’aspetto prettamente tecnico, ma se fosse solo una questione di valori e di ciò che il disegno Disney trasmette forse ci risulterebbe difficile riconoscerlo così facilmente tra tanti. L’aspetto tec nico, l’aspetto su cui questa indagine voleva andare a mirare, è un qualcosa di chiaramente distinguibile e inquadrato. Lo stile Disney si individua come uno stile molto canonizzato, che deve rispondere a delle regole ben precise per poter essere davvero definito Disney, ma si caratterizza per: morbidezza del tratto, dinamicità ed espressività. Questi sono i tre aggettivi che ci per mettono di definirlo, a parole. Dall’indagine e da queste interviste emerge la difficoltà che si incontra nel definire un qualcosa che è una miscela omo genea di tanti fattori diversi, ma è un ottimo esempio e testimonianza di come in effetti il fumetto e il disegno Disney possano essere descritti e possano essere differenziati rispetto ad altri stili. E inoltre, ci mostra come lo stile Disney, approcciarsi a questo tipo di disegno così caratteristico, influenzi gli artisti anche quando si interfacciano e si confrontano con lavori e stili diversi.

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Innanzitutto occorre nuovamente differenziare i due settori che abbia mo analizzato prima, disegno per l’animazione e disegno per il fumetto.

In questa parte andremo a concentrarci in modo particolare sul primo che abbiamo detto essere quello ad aver dato l’impronta iniziale a tutto lo stile Disney, ma sopratutto quello che, grazie al successo dei lungo metraggi, ha avuto più diffusione se confrontato con il successo dello stile fumettistico, comunque più circoscritto. Stabilito questo, l’ulteriore domanda che bisogna porsi è: quali sono le altre scuole e gli altri stili di disegno? È possibile racchiudere anni di produzione cinematografica e stili diversi tra loro in grandi categorie?

Definite quindi le caratteristiche che contraddistinguono lo stile Di sney ci viene naturale ora chiederci come questo sia riuscito a in fluenzare non solo i disegnatori, ma anche altre scuole di disegno e altri stili veri e propri.

Prenderò in prestito la suddivisione che Luca Raffaelli adotta nel suo Le anime disegnate per parlare del pensiero dei cartoni animati, ma che può tornarci molto utile anche per parlare di stile e tecnica di disegno.

Raffaelli divide il mondo dei cartoni animate in tre grandi filosofie: la scuola Disney, la scuola americana in generale e la scuola giapponese. In primo luogo, racchiudere la scuola Disney come filosofia a sé stante ci dà la conferma ancora una volta di quanto Disney sia riuscito a dare un’impronta ben precisa ai suoi lungometraggi, ma ancora di più, sia riuscito nell’impresa di tramandare questa filosofia anche per i progetti che sono nati dopo la sua scomparsa. Al di là di questa ulteriore consta tazione, Raffaelli ci aiuta a capire come l’azione di Disney abbia operato non solo all’interno degli studi da lui stesso fondati, ma anche negli studi cosiddetti “rivali”, parlandoci in primo luogo dei cartoni animati prodotti negli Stati Uniti. Dopo una prima egemonia Disney, infatti, gli altri studi iniziano a dire la loro. Disney rappresentava comunque il precursore, “dal punto di vista tecnico e stilistico Disney era già il punto di riferimento di tutti gli altri studi americani, e i film di Walt erano osservati e ammirati per poterne carpire i segreti”. Il primo stu dio a essere analizzato è quello dei fratelli Warner. Raffaelli descri ve i personaggi come l’antitesi dei personaggi Disney: non vogliono toccare le corde più delicate degli spettatori, al massimo vogliono sputare in faccia agli stessi la realtà. “Già, ma che succede se le re Confronto e studio del segno tra il disegno Disney e altri stili di disegno

4.3

gole di Walt Disney vengono applicate da gente senza freni inibitori? Un conto è dire: «Esagerate!» a chi è timoroso di andare troppo in là, e un altro conto è dirlo a chi non vede l’ora di fare casino. Ecco allora che Squash and Stretch, Fol low Through and Overlapping Action e tutto il resto vengo no inglobati e trasformati in versione antidisneyana.” I fratelli Warner così, sfruttano tutti i progressi tecnici fatti da Disney e dai suoi animatori a loro piacimento. Filosoficamente parlando quin di vediamo come i due studi siano agli antipodi, pur essendo nati quasi in contemporanea e pur avendo prodotto cartoni animati nello stesso arco temporale. Da un punto di vista stilistico invece, è possibile trovare delle somiglianze? In realtà, partendo da presupposti e intenzioni così diverse tra loro, anche stilisticamente non è possibile paragonare questi grandi personaggi. Questo concetto appare chiaro nelle parole di Tex Avery, a cui si deve la paternità dei più famosi personaggi Warner quali Daf fy Duck, Bugs Bunny, tanto per citare i più importanti. Sull’origine di questi nuovi cartoni Avery dichiarò in un’intervista: “Cercavo di fare qualche cosa che avrebbe fatto ridere me se fossi stato davanti allo schermo, piuttosto che pormi la domanda “Un bambino di dieci anni riderà con questa roba?”. Perché non potevamo metterci in competizione con Disney, lo sapevamo che i bambini seguivano lui, così ci rivolgevamo agli adulti e ai giovani. Ecco perché lasciai perdere con quella roba piena di animaletti pelosi. Sai, quelle sco iattoline graziose e coccolone, i topolini che cantano e tutto quel genere di cose.”44 Vien da sé quindi che ciò che abbiamo defini to come carattere fondamentale dello stile nato in Disney, volto a comunicare un certo tipo di emozioni, non trova terreno fertile nel linguaggio che la Warner sceglie per i suoi cartoni animati. All’interno della scuola americana Raffaelli include molti altri studi e stili: i cartoni di Hanna & Barbera, i Simpson, South Park fino ad ar rivare al più recente BoJack Horseman. Naturalmente, più ci disco stiamo temporalmente, più anche lo stile si fa completamente diverso e per nulla confrontabile con quello Disney. Nel filone americano Raffaelli include quindi principalmente prodotti televisivi che, come dirà lui stes so, dalla Disney si discostano anche per esigenze legate al medium a cui il prodotto è destinato. Il pensiero da cui vengono accomunati e che fa sì che rientrino in un’unica categoria in parte deriva dal desiderio comunicativo dei creatori, in parte deriva sicuramente dal mezzo televisivo, che impone dei ritmi molto diversi da quelli cinema tografici.44https://specchioscuro.it/tex-avery/

Prendendo in considerazione però la produ zione cinematografica statunitense non si può tener conto della casa di produzione Dre amworks. Temporalmente lontana dai tempi di Biancaneve e Cenerentola, senza dubbio più vicina a quelli de La bella e la bestia e altri grandi successi della Disney, la Dreamworks nasce infatti nel 1994. Le due case di pro duzione sono state etichettate, nel recente passato, come dirette concorrenti, special mente per l’imposizione al botteghino dei prodotti Dreamworks. In modo particolare però i paragoni vengono fatti tra i lungo metraggi Dreamworks e i lungometraggi prodotti in casa Pixar45. Questo confronto per via della scelta, da parte di entrambe, di utilizzare la tecnica della CGI46, esclusiva nel caso della Pixar, prevalente in Dreamworks, ma con delle eccezioni. Le eccezioni di casa Dreamworks, ovvero i lungometraggi rea lizzati con l’animazione 2D - altro nome per chiamare l’animazione tradizionale, differen ziandola dalla computer grafica, chiamata anche animazione 3D - sono i prodotti che che è utile analizzare per comprendere in quale maniera lo stile di disegno Disney ab bia avuto un’influenza su queste produzioni nate alla fine degli anni 90. Prendiamo dapprima in considerazione il primo lungometraggio Il principe d’Egitto. Notiamo subito una scelta stilistica netta, che va a descrivere in maniera molto fedele la fisio nomia dei personaggi rappresentati. Le linee “morbide” Disney qua non sono presenti, la Dreamworks nonostante operi con l’animazio ne tradizionale riesce a distinguersi.

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46 La sigla CGI sta per computer-generate imagery ed è un’applicazione nel campo della computer grafica, o più specificatamente, nel campo della computer gra fica 3D per la resa degli effetti speciali digitali nei film, in televisione, negli spot commerciali, nei videogiochi di simulazione e in tutte le applicazioni di grafica visiva.

45 La Pixar Animation Studios nasce nel 1979 e viene acquisita dalla Disney nel 2006.

Il character design dei personaggi è curato nei minimi dettagli, per andare a sottolineare diverse caratteristiche caratteriali. In cosa ci ricorda la Disney? A differenza de Il principe d’Egitto che ha un’identità stilistica ben definita e coeren te, La strada per El Dorado assume delle caratteristiche tipiche dei lungometraggi Disney dagli anni 90 in poi. La prima somiglianza, e anche la più significativa, riguar da il disegno degli occhi. Oltre a questa prima somiglianza, che istantaneamente ci rimanda al cartone anima to in stile Disney, anche le forme scelte per il personaggio di Chel la avvicinano alle principesse Disney. Di tutt’altra taratura il carattere della giovane, molto diversa dai personaggi scritti in casa Disney, ma il suo aspetto è molto familiare.

70 In casa Dreamworks però ci sono due esempi che spiccano per somiglianza con la Disney. Il primo lungometraggio che analizziamo è La strada per El Dorado, uscito nei cinema nel 2000.

L’altro esempio è Spirit Cavallo selvaggio del 2002. A ricordarci, in questo caso, il de sign Disney è senz’altro l’antropomorfizzazione degli animali nel disegno, che pre sentano sempre questi grandi ed espressivi occhi. Inoltre, l’atmosfera e la provenien za geografica dei personaggi non può che ricordarci il classico Disney Pocahontas

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Un altro esempio di influenza Disney sono i lungometraggi realizzati da Don Bluth Tra i tanti nominiamo Fievel sbarca in America, Alla ricerca della valle incantata e Anastasia, il più famoso tra tutti. In questo caso specifico, lo stile di disegno Disney è inconfondibile, ma il fattore da tenere in maggiore considerazione è il fatto che Don Bluth è legato a doppio filo alla produzione interna Disney, avendo lavorato negli studi prima nel 1955 e poi successivamente, di nuovo, dal 1971 al 1979.

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Tornando alle grandi famiglie individuate da Raffael li veniamo alla terza e ultima: gli anime giapponesi. Raffaelli anche in questo caso individua una differen za sostanziale tra il modo di pensare giapponese e quello Disney, o più in generale il modo di pensare americano. Parlando dell’avvento dei cartoni giappo nesi in Italia dice: “In effetti non poteva non meravi gliare, nel ‘78, l’assoluta diversità dei cartoni venuti dal Giappone. Che cos’ erano stati i cartoni animati fino ad allora? Cose da ridere o da sorridere. Personaggi senza problemi seri, vitali. Erano Topolino, Paperino, erano Bugs Bunny e Daffy Duck, per chi se li ricorda erano anche Gustavo (ungherese) o il professor Balthazar (allora iugoslavo di Zagabria), erano le famigliole di Hanna & Barbera. Erano dunque la rappresentazione di un mondo i cui problemi erano ben delimitati: un mondo in cui non esisteva il problema della sopravvivenza fisica e psicologi ca, dove non c’era violenza, sacrificio, assunzione di respon sabilità. Improvvisamente un’altra fetta di mondo veniva mostrata ai ragazzi”. Per Raffaelli quindi il cartone giapponese, da Tezuka a Miyazaki, risponde a un’altra serie di ideali e comunica in un modo totalmente nuovo rispetto ai suoi corrispettivi oc cidentali. Stilisticamente parlando invece? Da cosa nasce l’animazione giapponese? Osamu Tezuka, è uno dei primi disegnatori che Raffaelli esplora e ci fa conoscere. Forse il nome non dirà niente al consumatore occidentali, ma Tezuka, tra i suoi tanti al tri personaggi, è colui che rivendica la paternità di Astro boy. Osservando il character design del personaggio appare chiaro come certi elementi richiamino al per sonaggio di Walt Disney. Infatti, dalle parole di Gian marco Biccini47 appare chiaro che “tra i due intercor reva un rapporto di amicizia e stima reciproca. Disney confessò al mangaka che avrebbe voluto realizzare un’opera della stessa caratura di Astro Boy, rivoluzio naria sotto ogni aspetto (forse dimenticandosi di aver ideato Mickey Mouse), mentre Tezuka durante la sua infanzia divorò le pellicole Disney, soprattutto Bambi e Pinocchio. Se ci soffermiamo a osservare i tratti so matici di Astro Boy, infatti, i richiami ai personaggi di sneyani sono evidenti: gli occhi grandi e espressivi che 47 ki-ghibli-come-disney-influenzato-anime-manga-54486.htmlhttps://anime.everyeye.it/articoli/speciale-tezuka-miyaza

Questo sodalizio ispirò le future generazioni di di segnatori giapponesi e registi d’animazione che, at tingendo a piene mani dalle opere di Tezuka, assor birono inevitabilmente anche la poetica di Disney. Sicuramente cambiandone alcuni aspetti, sia stilistici che di contenuto, ma l’impronta rimase.

L’altro grande artista giapponese che Raffaelli nomi na è Hayao Miyazaki. Molto spesso citato come il Disney giapponese, Miyazaki ha sempre rifiutato questo appellativo e questo accostamento. “Ovviamente il sensei ha studiato Topolino e compagni solo formalmente: dal suo stile alla sua forte im pronta ideologica, passando per i temi molto maturi e le critiche al sistema, i pilastri fondamentali del alle sue opere un’autorialità tale che è impossibile relegarlo a mero surrogato di Walt Disney” ci dice ancora Biccini.

Anche nel caso di Miyazaki quindi rimane vero il fatto che le generazioni di anima tori giapponesi che hanno seguito Tezuka hanno preso in prestito le sue tecniche di animazione e hanno anche dato ai loro personaggi teste grandi e occhi enormi, come lui aveva fatto ispirandosi a Disney. Nel tempo, questa tecnica è diventata ca ratteristica dello “stile manga” così riconoscibile da chiunque ami guardare gli ani me. È il motivo per cui anche i film anime relativamente violenti come La principessa Mononoke presentano personaggi dall’aspetto carino con occhi grandi e adorabili.

Pur cambiando il messaggio da comunicare, lo stile ispirato a Disney è rimasto in trappolato nello stile giapponese. Occorre anche sottolineare come questa influenza con il mondo giapponese sia stata reciproca. Sempre parlando dell’opera di Tezuka bisogna citare il caso della somiglianza tra il suo Kimba il leone bianco degli anni Sessanta e il celebre lungo metraggio Disney de Il re leone. Quando la Disney ha pubblicato Il re leone, nel 1994, i fan del lavoro di Tezuka hanno sottolineato una serie di somiglianze tra i due prodotti. Queste somiglianze includono il protagonista e molti altri personaggi, ol tre ad alcune scene notevolmente parallele. Un esempio che ci fa capire come l’arte si condizioni da sempre e Disney non poteva certamente fare eccezione. Nei capitoli precedenti abbiamo analizzato e indagato l’opera di Disney, cercando di comprendere in primo luogo le motivazioni che l’hanno spinto e guidato nel le sue scelte e successivamente analizzando in quale modo queste scelte abbiano avuto un impatto, sulla sua produzione, ma in modo particolare sulle produzioni successive. Questa analisi è dunque prettamente tecnica, concentrata sugli aspetti strettamente artistici dell’opera di Disney. In questo capitolo, invece, andremo a os servare come le sue creazioni e anche la sua figura siano state capaci di cambiare noi e il nostro immaginario. Come abbiamo sottolineato dall’inizio, Disney non è tanto un artista in senso stretto quanto più un imprenditore, un creativo in senso più ampio e il termine che forse

cinema miyazakiano conferiscono

ricordano quelli del celebre cerbiattino, o la silhouette riconducibile a quella del topo più famoso di sempre, nonché le spesse linee di contorno che hanno caratte rizzato i classici Disney fino all’avvento del 3D.”

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lo descrive meglio è “visionario”. Questo perché di Walt Disney non ricordiamo sol tanto i film o soltanto i disegni, che tramite le sue idee sono stati prodotti, ma ne ricordiamo, e a lui riconosciamo soprattutto, la sua personalità e il suo genio. Dire Disney, infatti, è spesso sinonimo di magia. Una caratteristica che riscontriamo in lui e che riconosciamo al suo brand per la narrativa a cui siamo stati abituati, ma anche per l’aurea che Disney ha sempre emanato. A contribuire a costruire intorno alla sua figura questa idea è stata senz’altro quella che, io personalmente, definisco “filosofia Disney”. Walt Disney infatti ci ha regalato nel corso della sua vita numerosi

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Walt Disney e l’immaginario collettivo

77 esempi di questo suo modo di pensare, in cui fantasia e sogno ricorrono sempre e ne fanno il nodo centrale della sua “poetica”. Navigando sul web e digi tando “Disney quotes” troviamo 183.000.000 di risultati: frasi tratte dai lungometraggi, dai cortometraggi, ma ancor di più, frasi pronunciate dallo stesso Walt Disney. Tra le più celebri citerò soltanto If you can dream it, you can do it e All our dreams can come true, if we have the courage to pursue them, il cui significato italiano è di facile intuizione, ma po trei proseguire con tantissimi altri esempi. Volendo aprire un dibattito strettamente filosofico probabilmente potremmo andare a toccare vere e proprie correnti filoso fiche, ma quel che interessa noi è ben altro. Disney è davvero riuscito a trasformare il suo pensiero, che possiamo rintracciare nella sua vita privata prima e nella sua car riera poi, in un’ideologia chiara e precisa, capace di influenzare chiunque sia venuto dopo di lui. E se il cinema d’animazione e il disegno sono stati fondamentali perché questi suoi ideali e valori arrivassero fino a noi, l’altra sua grande invenzione è quella che ha contribuito - forse più di tutti - a far sì che la Disney potesse diventare un vero e pro prio mondo, fatto di regole nuove e tutte di sue esclusiva proprietà. La sua ultima invenzione sarà la costruzione di un parco di divertimento comple tamente a tema Disney, Disneyland, per l’appunto. Già nelle intenzioni che hanno preceduto Disneyland vediamo la filosofia disneyana emergere prepoten temente: Walt desiderava realizzare un qualcosa che potesse trasmettere sicurezza, una certa idea del possesso di controllo, costruendo una realtà migliore di quella che poteva trovare al di fuori del suo studio. Difficile stabilire una data precisa per la nascita dell’idea di Disneyland, quel che è noto è che Disney già da tempo aveva trovato rifugio nella costruzione di modellini di treni prima (ricordate lo zio Mike?), modellini di treni utilizza bili poi e successivamente ancora nel collezionare miniature in giro per il mondo. In qualche modo quindi, Disney aveva già iniziato la costruzione 5.1 La “filosofia” Disney

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79 di una mini città. Tutto questo accade mentre negli studi di animazione era in corso la produzione di Le avventure di Ichabod e Mr. Toad e si cercavano di ottenere i diritti di Alice in Wonderland. Ottenuti, il film viene disegnato e prodotto, ma non ottiene il successo desiderato. Walt Disney non sarà nei suoi studi per poter vivere dal vivo questa delusione perché impegnato in uno dei suoi viaggi all’estero. Neal Gabler, autore della biografia che ci fornisce queste informazioni, ci racconta di come Disney in quegli anni perse gradualmente l’entusiasmo. Al rientro dal viaggio in Europa si concentrò completamente su Disneylanda - così chiamava la sua città in miniatura - e sulla sua idea, ormai radicata, di costruire un parco divertimenti. Il nome poi prescel to fu ideato da Ben Sharpsteen in una nota lasciata a Walt con scritto “a trip through Disneyland”. Naturalmente, con gli studi in piena produzione, il piano di Walt non andò subito in porto. Contemporaneamente infatti doveva supervisionare la produ zione dei lungometraggi. Disney era consapevole che i tempi d’oro erano ormai an dati, dopo lo sciopero del 1941 aveva perso gran parte dello staff e con essi anche lo spirito che tanto aveva faticato a instillare. Disneyland era un ulteriore tentativo di Walt di ritrovare lo spirito di comunità della sua amata e cara Marceline, la possibilità di ristabilire una comunità creativa. Era necessaria una nuova parte operativa che sovrintendesse solo le operazione di Disneyland: nel dicembre del 1952 nacque la WED Enterprises. Disney iniziò a vagare per il suo stesso studio alla ricerca di per sone in grado di poterlo aiutare in questa nuova avventura. Il suo altro desiderio era quello di riuscire a convogliare in Disneyland lo spirito americano, il riflesso e la rico struzione di una Hollywood in miniatura. Ancor di più però voleva ricreare gli arche tipi della sua stessa vita, riportando le esperienze dei suoi più amati lungometraggi: un testamento di come Disney ha cambiato l’immaginazione americana - e non solo, aggiungo io -. Disneyland diventò, anche solo nella sua idea, una riproduzione della sua stessa vita. E ancora una volta risulta vero come il suo parco sia stato il riflesso del suo modo di pensare. Chiunque fosse entrato nel parco si sarebbe ritrovato la Main Street di Marceline, una riproduzione della vita di Walt bambino. In quel modo, Disneyland divenne una metafora della possibilità. Il famoso “se puoi sognarlo puoi farlo” a Disneyland diventa implicito. Realizzate e preso coscienza delle sue vere in tenzioni e dei valori che desiderava trasmettere ai suoi visitatori, Walt si rende conto che il suo parco non può essere costruito a Burbank, come nei piani originali. Ha bisogno di un sito più grande. È luglio del 1953 quando Disney si accorda con Har rison Buzz Price. Price lo aiuterà a trovare il famoso spazio da 160 acri nel territorio di Anaheim. Naturalmente ora il problema di Disney sarebbe stato il problema più spesso ricorrente: trovare abbastanza denaro. A salvarlo fu la televisione. Da sempre affascinato dal mezzo Disney decise di sfruttarlo producendo una serie che potesse dare allo studio un’entrata finanziaria regolare. Così nacque The Mickey Mouse Club 5.2

La creazione di un nuovo mondo: i parchi a tema

I lavori iniziarono il 12 luglio 1954: ci volle un anno e cinque giorni perché il primo parco divertimenti a tema fosse costruito. Disney non si era sentito così dai tempi di Biancaneve, ci dice Gabler. Sapeva di essere tornato nel suo elemento. Disney ac colse i suoi visitatori dicendo loro “Qui si rivive la memoria del passato. E sempre qui si può assaporare la sfida e la promessa del futuro. Benvenuti nel posto più felice del mondo”49. A tutti fu chiaro fin da subito chiaro come Disneyland fosse un’estensione dell’animazione di Walt, ma soprattutto come tutto il suo mondo fatto di fantasia e immaginazione avesse finalmente preso vita. Walt Disney con la sua Disneyland è riuscito a dare una forma ai suoi sogni e, in qual che modo, a crearne di nuovi nei visitatori che accedono al parco e anche, e soprat tutto, a coloro che appassionandosi al mondo Disney, desiderano un giorno poter visitare il mondo creato da Walt in persona. Verrebbe quindi spontaneo affermare che Disney sia riuscito a cambiare la vita di qualche persona, con la sua arte o con tutto ciò che ha creato. In questo capitolo andremo a vedere però come Walt Disney sia riuscito a cambiare non solo l’immaginazione degli appassionati, ma anche di coloro che non si dichiarano tali. Vedremo come la Disney sia riuscita a entrare nelle nostre case e ci sia anche rimasta, al punto tale che a oggi conosciamo più i finali delle storie Disney che delle fiabe originali, da cui lui ha preso ispirazione.

48 Neal Gabler, Walt Disney: The Triumph of the American Imagination, Vintage, 2007, pag. 332

80 che avrebbe trasmesso, in parte, contenuti girati in diretta dal parco di Disneyland.

L’accordo con l’ABC si chiuse definitivamente nel 1955, accordo che dal Times fu accolto con questa affermazione “la conclusione di questo accordo potrebbe cam biare il mondo dell’intrattenimento in modo radicale”48. Fu quello che avvenne. La televisione aiutò le finanze, ma aiutò soprattutto la fama di Walt Disney, tanto da diventare per tanti americani “lo zio Walt” e cementare la sua posizione come uno degli uomini più famosi del XX secolo. L’attività televisiva costituì, come anticipato dal Times, un esempio senza precedenti, ma per Disney, nonostante fosse fonte di fame e successo, era soltanto un mezzo per arrivare alla realizzazione di Disneyland.

49 Neal Gabler, Walt Disney: The Triumph of the American Imagination, Vintage, 2007, pag. 360

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Analizziamo i risultati facendo una sintesi, partendo dall’ultima domanda. Nel chie dere se Walt Disney sia davvero riuscito a lasciare il segno nella propria vita, som mando le due risposte positive, il 91,3% risponde di sì. Forse non l’ha cambiato ra dicalmente, ma di fatto il segno l’ha lasciato. Sottolineare soltanto questa domanda secca però non ci dimostra realmente in quale maniera l’abbia fatto. Tra le risposte più significative troviamo senz’altro quella alla domanda numero 20, in cui si chiede se si è a conoscenza del fatto che i personaggi Disney, per natura, non sono davvero Disney. Il 52,4% risponde con no, dicendo quindi che Disney li ha resi talmente tanto unici da far credere che fossero una sua invenzione. Ancor di più, alle domande 21, 22 e 23, vediamo come dal sondaggio emerga proprio quello che stavamo cercan Come Disney ha cambiato l’immaginario collettivo: indagine sulla popolazione

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5.3

Per verificarlo ho svolto un sondaggio sulla popolazione, arrivato a raggiungere un campione di 665 persone con un’età compresa tra i 14 e i 75 anni. Le persone coin volte sono tutte di provenienza italiana, distribuite sul territorio. Il sondaggio è com posto da 30 domande in totale (compresa età, luogo e sesso) e ci aiuta a capire e ad osservare da vicino, in quale maniera Walt Disney sia davvero riuscito a cambiare piccole cose che però fanno parte del nostro “quotidiano” e del nostro immagina rio. Vediamo insieme le domande più importanti.

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89 do di verificare. Nella nostra mente, quei personaggi non sono identificati con i visi degli attori dei film in live action, ma li immaginiamo quasi immediatamente e quasi esclusivamente, in tutti e tre i casi, con i cartoni animati di Walt Disney. Ancora, nelle domande 24 e 25, si scopre che, come già accennato all’inizio del capitolo, il 79,5% nel primo caso e l’82,1% nel secondo, non riconosce il finale delle fiabe originali come finali ufficiali, ma quelli creati da Walt Disney nei suoi lungometraggi. In ultimo vediamo come il 90% alla domanda numero 11, vedendo i tre cerchi accostati, ab bia risposto dicendo di riconoscere la figura di Topolino. Indice e segnale di come, sebbene lì non ci sia davvero disegnato Topolino, l’opera di Disney sia stata talmen te tanto potente da forgiare il nostro modo di vedere le figure e anche, in certi casi, piccoli pezzi di immaginazione. Constatato che Disney sia riuscito a cambiare davvero l’immaginario collettivo in

90 maniera incisiva, resta da chiedersi: per quale ragione c’è riuscito? Questo cambia mento è dovuto solo all’estrema popolarità raggiunta? E se così fosse, c’è un motivo che precede la popolarità? Studiando i fenomeni percettivi appare subito chiaro come Walt Disney, un po’ per fortuna e un po’ per un eccellente intuito, sia riuscito a sfruttare i meccanismi del nostro cervello per “conquistare” le menti, ma soprattutto, ci verrebbe da dire, i cuori degli appassionati Disney. È interessante notare come Disney sia riuscito in questa impresa in tutti gli ambiti che abbiamo analizzato in questo elaborato: dal cinema al disegno vero e proprio fino a sfruttare la percezione all’interno dei suoi parchi

5.4 I fenomeni percettivi e la psicologia: come Disney le ha sfruttate

questa analisi sarà l’opera di Riccardo Falcinelli, in modo particolare il suo Guardare Pensare Progettare e il suo intervento durante la rassegna A regola d’Arte in occasione della mostra “Pixar. 30 anni di animazione” del 2019 al Palazzo delle PartiamoEsposizioni.peròda un’immagine che abbiamo già visto precedentemente. Nel son daggio abbiamo visto come, semplicemente accostando tre cerchi, uno più grande e due più piccoli, venga naturale e sia molto comune accostarli alla figura di Topo lino. Il motivo di questa associazione, in primo luogo, deriva dal riconoscere un’im magine e un’iconografia molto famose. A livello neurologico però, questo, ha una spiegazione. Senza andare a scomodare tutte le teorie della percezione visiva, pren diamo in considerazione soltanto quelle che si possono ricondurre a questo partico lare fenomeno. Le teorie che ci aiutano a spiegare questo esempio fanno parte degli approcci top down50 all’interno della quale sono racchiuse anche le teorie della Ge stalt. Ci dice Falcinelli “Gestalt alla lettera sta per «configurazione». La percezione è conformata in una struttura globale, e questa ha supremazia sui singoli pezzi, supre mazia non di significato ma di organizzazione. Le parti assumono significati diversi a seconda del tutto di cui sono parte”. In questo caso che stiamo analizzando ora entrano in gioco diverse regole, teorizzate da Max Wertheimer, e note come regole di raggruppamento percettivo. La prima è la regola della prossimità. Elementi vicini sono interpretati come in relazione tra loro. Questi tre cerchi potrebbero essere tre cerchi separati, che non hanno nessun legame tra loro, ma la vicinanza fa sì che il nostro cervello le interpreti collegate tra loro. Un’altra regola è quella della buona continuità, per cui gli elementi sono percepiti come appartenenti a un insieme coe rente e continuo. L’esempio che fa Falcinelli è il seguente: “vedo un albero e dietro vedo un coniglio, il muso sporge a destra e il sedere a sinistra, il cervello scommet te sul fatto che si tratti di un coniglio unico e intero, e non due conigli in fila di cui vedo solo due metà.” La stessa cosa accade nel nostro esempio, in qualche maniera. Questo meccanismo è infatti chiamato anche completamento amodale. Noi non ve diamo davvero la testa di Topolino, con le due orecchie attaccate. Allo stesso modo, così come completiamo la figura del coniglio, che sappiamo essere in un determina to modo, completiamo anche questa figura, perché conosciamo la testa di Topolino per intero. Arrivati a questo punto però, risulta necessario chiedersi come riusciamo a riconoscere la figura di Topolino. Questi processi ci portano al riconoscimento, 50 Processo percettivo i basa su processi cognitivi che coinvolgono attenzione e memoria, l’elabo razione sarebbe «guidata dai concetti», cioè basata sulle rappresentazioni contenute in memoria.

91 Addivertimento.aiutarciin

[…] Ma dove stanno le esperienze passate? Dove stan no i ricordi e le capacità acquisite? Il cervello ha due tipi di memoria: una dichiarativa e principalmente corticale, quella con cui ci ricordiamo che 1492 è la data della sco perta dell’America; e una memoria procedurale più profonda (sottocorticale), quella memoria del corpo e dello spazio che ci fa andare in bicicletta o nuotare dopo anni che non lo facevamo più. […] Non si può parlare di percezione visiva ignorando il ruo lo della memoria in rapporto alle immagini mentali, alla fantasia e all’immaginazione, tutte cose che sono parte integrante del vedere.”51 Istintivamente ci verrebbe forse da dire che, semplicemente, in quei tre cerchi abbiamo un ricordo di Topolino. Neurologica mente, questo è il motivo per cui riusciamo a farlo. Rimanendo sulla figura di Topolino è interessante andare ad analizzare il motivo del suo tanto successo. Partiamo da una considerazione: dopo il primo disegno realizzato da Walt Disney, Topolino è stato preso da Ub Iwer ks che l’ha ridisegnato, dandogli i connotati che noi oggi conosciamo e riconosciamo. Iwerks ridisegna il personaggio a partire dalla forma geometrica del cerchio, come vediamo in questa immagine. Que sto fattore viene riconosciuto fin dagli inizi come “rassicurante”. Affermò John Hench, collaboratore Disney “I cerchi non hanno mai fatto del male a nessuno” paragonando le forme di Mickey Mou 51 R. Falcinelli, Guardare, pensare, progettare. Neuroscien ze per il design, Stampa alternativa, 2011

92 ma come accade questo? Ce lo spiega sempre Falcinel li, che si pone la nostra stessa domanda. “Il guardare è sempre un guardare «esperto», non appena nati non smettiamo più di attuare una serie di meccanismi di scoperta e di verifica. La capacità di vedere è sia innata sia acquisita; poi, col passare del tempo, quando ab biamo raccolto molti dati sul mondo, sarà sempre più l’esperienza a guidarci nelle nostre esplorazioni visive.

93 se alle forme tondeggianti dei bambini, al seno materno, “mentre in genere le persone hanno cattive esperienze con le figure appuntite”52. Questa af fermazione ha in realtà una spiegazione neuroscientifica. In primo luo go occorre chiedersi perché attribuiamo un significato alle forme geo metriche. In generale, si può affermare che si attribuisce il significato di “morbido” al cerchio e quello di “appuntito” a una qualunque linea chiusa. Questo accade per l’associazione che facciamo con la realtà che ci circonda, su una base empirica quindi. Come avviene questo processo? Un esempio celebre è l’effetto bouba/kiki che si basa sulle forme e sui suoni, ma che ci aiuta a capire meglio il fenomeno. Durante un espe rimento lo psicologo tedesco Wolgang Kohler mostrò delle forme, simili a quelle mostrate di lato, e chiese ai partecipanti quale forma fosse per loro “bouba” e quale “Kiki”. Nella maggior parte dei casi Takete verrà associata alla figura dal le linee spezzate mentre Maluma a quella con linee curve. Que sto perché ogni parola viene recepita dal cervello come un’im magine, a cui successivamente viene fornito un significato. Il suono prodotto nella pronuncia della parola Takete risulta pungente e spigoloso rispetto alla parola Maluma, più mor bida e rotondeggiante. In più, le lettere stesse che compon gono le parole hanno dei caratteri simili a quelli riproposti nell’immagine: Takete è formata da due lettere T, che oltre ad avere un suono prodotto tramite la pressione della lingua contro i denti (strutture ossee che ricordano facilmente il mor so di un predatore), vengono rappresentate dall’intersezio ne di due rette perpendicolari (che possono benissimo dare l’idea di una trave sorretta da una colonna) dunque rigide e ferme, e da una lettera K anch’essa pronunciata con lo schiocco della lingua sul palato e raffigurata da una linea retta verti cale e due oblique. Maluma è composta da due lette re M solitamente raffigurate in corsivo con due onde curve e una L che, sempre in corsivo, viene scritta con un simbolo simile ad un palloncino. In più la 52 Neal Gabler, Walt Disney: The Triumph of the American Imagination, Vintage, 2007, pag. 117

lettera M della parola Maluma ricorda facilmente il suono della parola Mamma, il più morbido dei nomi ed il più facile da associare al ruolo di genitore dolce ed amorevo le53. Questo fenomeno venne interpretato come una sinestesia, mentre secondo stu di più recenti si tratterebbe di un’ideaestesia. Secondo Danko Nikolić, l’ideaestesia è “un fenomeno neuropsicologico in cui le attivazioni di concetti (induttori) evocano esperienze sensoriali simili alla percezione (concorrenti)”54. Il nome deriva dal gre co antico ἰδέα (idéa) e αἴσθησις (aísthēsis), che significa “concetti sensoriali” o “idee sensoriali”. Mentre “sinestesia” che significa “unione dei sensi” implica l’associazione di due elementi sensoriali con poca connessione al livello cognitivo, l’evidenza em pirica ha indicato che la maggior parte dei fenomeni legati alla sinestesia sono in realtà indotti da rappresentazioni semantiche. Cioè, il significato linguistico dello sti molo è ciò che è importante piuttosto che le sue proprietà sensoriali. In altre parole, mentre la sinestesia presume che sia l’innesco (induttore) che l’esperienza risultante (concorrente) siano di natura sensoriale, l’ideastesia presume che solo l’esperienza risultante sia di natura sensoriale mentre l’innesco è semantico. In altre parole, par tiamo da uno stimolo semantico (l’aggettivo morbido) per arrivare a un’esperienza di morbido, una forma geometrica che sensorialmente sperimentiamo come tale. Attribuiamo quindi alla figura del cerchio questo aggettivo. Questo stesso aggettivo “morbido” assume una connotazione positiva, rassicurante. Connotazione e signi ficato che, istintivamente, attribuiamo anche alle forme di Mickey Mouse. Naturale pensare a questo punto, che se Mickey Mouse fosse stato costruito con delle forme spigolose, probabilmente questo avrebbe potuto costituire un problema e magari il famoso personaggio di Disney non avrebbe ottenuto la stessa fama che questa linee morbide gli hanno dato.

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Passando all’ambito cinematografico e pensando ai più grandi e famosi lungome traggi prodotti in casa Disney non possiamo fare a meno di visualizzarne in testa alcuni: Malefica, Cenerentola, Peter Pan e l’elenco sarebbe ancora più lungo. Vale la pena soffermarsi su un particolare, ovvero sui colori scelti per ognuno di essi. È chia ro che il colore abbia un ruolo fondamentale quando si tratta di arte e questo in Di sney l’hanno sempre saputo molto bene. Ed è altrettanto chiaro e noto che dietro ai colori si costruiscano sempre messaggi e significati più o meno nascosti, ma bisogna sfatare un mito: i colori, da un punto di vista prettamente neuroscientifico, non han no un significato universale. Ci dice Falcinelli “il colore è infatti una faccenda storica e culturale e un aspetto chiave rimane quello semantico. Non c’è traccia nel cervello 53 https://it.wikipedia.org/wiki/Takete_e_Maluma 54 https://it.wikipedia.org/wiki/Effetto_bouba/kiki

95 che il rosso abbia a che fare con l’amore o il nero con la morte.

I significati e gli usi dei colori sono costruiti dalle varie culture attraverso articolati processi di analogia. Conosciamo i colori di forme definite e le loro qualità ed è da qui che, per asso ciazione sinestetica, costruiamo concetti come i colori caldi e freddi; un ipotetico uomo cresciuto in un mondo di colori indu striali assoluti, non sarebbe probabilmente in grado di cate gorizzare l’arancione come colore caldo. Si tratta appunto di semplici associazioni, visto che il contenuto spettrale della luce emessa da una sorgente incandescente a diverse tem perature non ha nulla a che vedere con la temperatura del colore come la chiamano i fisici”55. È più corretto quindi dire che, in base alla nostra cultura, attribuiamo ai colori un particolare significato. È quindi sulla base di queste convenzioni culturali che gli artisti Disney hanno de ciso quale colore attribuire ai propri personaggi. Convenzioni che fanno parte della nostra cultura occidentale. Malefica, ad esempio, veste un abito nero e viola. Tra i significati più spesso associati al colore viola troviamo il potere e l’ambizione, caratteristiche preponderanti del personaggio di Malefica. Per il colore nero, che da sempre ha una connotazione prettamente negativa, troviamo molti tra i cattivi Disney: Ursula de La Sirenetta, Frollo de Il gobbo di Notre Dame, la matrigna di Biancaneve. E via dicendo, potremmo trovare numero sissimi significati dati ai colori e asso ciati ai personaggi Disney. Sulla matrigna di Biancaneve tro viamo un altro interessante esem pio di come Disney abbia sfrut tato, seppur inconsapevolmente, la percezione. Nel suo intervento 55 R. Falcinelli, Guardare, pensare, progettare. Neuroscienze per il design, Stampa alternativa, 2011, pag.89

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97 durante la rassegna A regola d’Arte in occasione della mostra “Pixar. 30 anni di ani mazione”, Falcinelli si sofferma su una scelta che si può definire quasi “registica” di Disney. Disney fa un uso dello spazio che molto ha a che vedere con la tradizio ne. I fotogrammi con protagonista la strega, centrati e perfettamente simmetrici, riprendono la rappresentazione del potere dei sovrani. Infatti, i dipinti raffiguranti i re seguivano questa impostazione, anche i dipinti sacri volevano sempre il Cristo o la Madonna al centro. Questa scelta di Disney quindi, segue una tradizione artistica secolare. Per quale ragione però, questa tradizione nasce? Ce lo spiega sempre Fal cinelli in un altro suo libro Figure. In primo luogo bisogna precisare che un centro esiste solo se c’è uno spazio dato, definito, misurabile. Prosegue Falcinelli: “Il centro è dunque una consuetudine storica, che si basa però su una predisposizione psico logica. Per esempio gli studi sul disegno infantile hanno evidenziato come i bambini tendano a iniziare i loro scarabocchi nel mezzo del foglio, di rado disegnano sul mar gine e, anzi, quando questo accade potrebbe essere indizio di un disagio psicologi co: come se scegliere la periferia del campo fosse la figura simbolica di un’emargi nazione interiore.” Da un punto di vista percettivo, un pallino posizionato al centro di uno spazio ci comunica un senso di calma e di stasi, sappiamo che è una cosa stabile e piantata, inamovibile. Un pallino decentrato diventa subito un’immagine instabile, come se qualcosa non fosse nel suo posto. Analizzando la questione da un punto di vista percettivo quindi è proprio questa la differenza: il primo esempio dà un’idea di sicurezza (concetto associato alla stabilità), mentre nel secondo caso, si crea una vera e propria tensione. Arnheim56 parla di “potere del centro”, ossia tutte le compo sizioni contengono tensioni e dinamismi tra centro e periferia, e questo è il modo in cui leggiamo e inventiamo artefatti visivi. Disney, ancora una volta, ha un’intuizione capace di dare ulteriore forza alle sue creazioni e alla sua arte. È nella costruzione dei suoi parchi divertimento, o meglio, del suo primo parco dei divertimenti, che Disney agisce in maniera più consapevole, applicando volontaria mente alcune illusioni percettive, ma non solo. I parchi Disney saranno l’esempio più grande di come la psicologia può essere sfruttata per garantire un’esperienza migliore ai visitatori, o in alcuni casi, per “ingannarlo”. Il primo esempio è l’uso dell’inganno prospettico e di conseguenza anche percet tivo. Main Street, la strada che ti accoglie all’interno del parco di Disneyland e che conduce direttamente al castello, è stata costruita usando questa tecnica. Ad esem 56 Rudolph Arnheim, scrittore tedesco

98 pio, più alto diventa l’edificio, più piccoli sono effettivamente i mattoni. Questo stra tagemma non solo ha aiutato a controllare le dimensioni degli edifici, ma ha fatto sembrare il Castello della Bella Addormentata molto più grande di quanto non sia in realtà. All’interno del parco questo non è l’unico esempio in cui l’inganno prospetti co è stato utilizzato. Visitando il parco e girando attorno al castello, è probabile visi tare la Grotta di Biancaneve. Le statue di Biancaneve e dei Sette Nani sono state un generoso dono di un donatore anonimo. Tuttavia, questo generoso regalo presen tava una problematica: Biancaneve ha le stesse dimensioni di tutti i nani. La grotta è stata quindi costruita utilizzando la stessa prospettiva forzata, cosicché Biancaneve sembrasse più alta e tutto sembrasse perfettamente normale agli occhi dei visitatori. Un altro esempio ancora più interessante è un’invenzione vera e propria. Per nascon der determinati elementi agli occhi dei visitatori (recinzioni, sostegni delle giostre, sistemi di amplificazione sonora, ecc), il team di ingegneri e designer, chiamati Ima geneers, hanno creato un colore specifico chiamato “Go Away Green”. La “scienza” dietro questo inganno percettivo è molto semplice. Il colore, una miscela perfetta tra grigio e verde tenue, si fonde con l’erba, gli alberi e altri elementi naturali. Questo affinché l’occhio umano, registrandolo come un colore legato alla vegetazione, non si soffermi su di esso, trascurando qualsiasi cosa dipinta di quel colore.

Da un punto di vista strettamente psicologico sono invece tanti i fattori su cui gli Imageneers - e anche Walt Disney in prima persona - si sono concentrati. Fra le prime preoccupazioni di Disney c’era quella che i suoi dipendenti conoscesse ro l’esperienza in prima persona, per poter empatizzare con i visitatori e migliorare il parco sulla base di questo. Così, Disney instiste affinché i suoi Imageneers visitas sero Disneyland ogni due settimane e si comportassero esattamente da visitatori. La ragione per cui richiedeva loro delle visite così frequenti si basa su un bias cognitivo chiamo recency bias. In sostanza, questo principio comportamentale fa sì che i nuovi ricordi siano preferiti a quelli vecchi. In questa maniera, gli Imageneers, visitando il parco più frequentemente sarebbero stati ispirati da queste visite, tanto recenti da non consentire di diventare ricordi dimenticati. Un altro bias cognitivo sfruttato dagli Imageneers è il bias narrativo. Questo descrive la nostra tendenza a dare un senso al mondo attraverso le storie. Ci fidiamo delle storie, diventiamo più coinvolti emotivamente e ricordiamo meglio le informazioni quando sono in un formato narrativo. Le persone si fidano, ricordano e diventano emotivamente coinvolte nelle storie. Disney e i suoi Imagineers hanno creato un

mondo coinvolgente in cui ogni momento fa parte di una narrazione più ampia. Le storie fanno sentire i visitatori come parte della magia. Ancora, Disney aveva intuito l’importanza della comunicazione non verbale, anche applicata a questo contesto, e per questo motivo decise di creare un codice visivo coerente nel parco. John Hench descrisse così l’approccio Disney, che sappiamo essere basato sull’alfabetizzazione visiva57: “Prestiamo molta attenzione alle relazio ni cromatiche e al modo in cui ci aiutano a raccontare le nostre storie. Niente in un parco a tema è isolato, visualizziamo gli edifici nel contesto della pavimentazione circostante, del paesaggio, del cielo con il suo tempo che cambia… Il colore aiuta gli ospiti a prendere decisioni perché stabilisce l’identità di ogni attrazione del parco”. Insomma, come abbiamo visto all’inizio del capitolo, in tutto il suo operato Disney ri esce a miscelare in maniera perfetta intuito e conoscenza della realtà per assicurarsi che ogni sua creazione riesca a conquistare il pubblico in maniera eccellente.

57 L’alfabetizzazione visiva è la capacità di interpretare, negoziare e dare significato alle informazio ni presentate sotto forma di immagine, estendendo il significato di alfabetizzazione, che comune mente significa interpretazione di un testo scritto o stampato.

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La sua incredibile capacità di intuire e leggere l’immediato futuro gli ha sempre permesso di costruire e pianificare una maniera per arrivare a realizzare ciò che desiderava. I sogni, altro non sono che progetti, certamente più reali e concreti. A guidarlo c’è sempre stata una forte motivazione e un grande desiderio di realiz zazione di sé, ma la vera unicità e ciò che è rimasto fino a oggi è stata la capacità di riconvertire tutto questo in una missione: l’altro. Potrebbe risultare messianica come affermazione, ma questa analisi è riuscita a dimostrarci come il desiderio di Disney di suscitare un’emozione nell’altro sia il fattore che lo rende unico e indistin guibile a più di cent’anni dal suo esordio nell’animazione. Tutte le innovazioni e tutti i cambiamenti radicali apportati all’industria cinematografica hanno avuto come comune denominatore questa spinta verso l’altro, questa forte desidero di lasciare un Segnosegno.che, abbiamo visto, Disney ha lasciato in senso metaforico e in senso let terale. Riuscire a essere così riconoscibile, in ogni ambito di disegno approcciato, è un’impresa di difficile portata. Abbiamo analizzato tanti diversi prodotti che a oggi risultano essere inconfondibili, tanto quanto il disegno di Disney. Mettere a confronto queste diverse scuole, osservando quanto ci sia sempre un minimo di influenza reciproca, deve farci comprendere quanto importante sia la contamina zione, nell’arte e in ogni ambito del sapere.

Avendo osservato, analizzato e compreso la sua storia e gran parte della sua lunga carriera - tanti altri sarebbero i momenti importanti a cui rendere omaggio - penso si possa affermare che in questa sua citazione risieda il senso ultimo di tutto ciò che è riuscito a realizzare e il motivo per cui possiamo affermare che abbia cambiato tutti gli ambiti che abbiamo osservato.

La determinazione e la forza di volontà di Disney l’hanno sempre portato a raggiun gere gli obbiettivi che si è man mano prefissato. Il caso di Disney è il caso, come abbiamo sottolineato all’inizio, del “go getter” per eccellenza. È osservando la sua carriera però, che si può comprendere appieno la potenza di questa frase. Disney è sempre riuscito nell’impresa di visualizzarli, i suoi obbiettivi.

103 Conclusioni

Per ultimo abbiamo constatato come Disney abbia davvero trasformato i suoi sogni in realtà, o meglio, la sua fantasia in un mondo reale e in scala ridotta - e neppure tanto ridotta -. Qualunque sia il nostro grado di apprezzamento dei prodotti Di sney risulta impossibile negare l’impatto che ha avuto nelle nostre vite, a distanza If you can dream it, you can do it.

WALT DISNEY

Desidero concludere questo elaborato citando le parole, forse più famose, di Walt.

Guardando alla sua vita personale, è possibile riscontrare la verità di queste parole.

104 di venti, quaranta o sessant’anni. Scoprire che anche la psicologia è stata sfruttata potrebbe farci sentire ingannati e imbrogliati, ma non è altro che una conferma di come l’opera di Disney abbia avuto tutte le caratteristiche, estetiche e non solo, per conquistare il nostro cuore, ma ancor prima la nostra mente. Questo elaborato nasce con l’obiettivo di trasmettere la portata radicale dell’azione di Walt Disney, perché sperimentata in prima persona. I lungometraggi di Disney mi hanno accompagnata fin da bambina, ma molto di più da giovane adulta. Come Walt Disney si era appassionato all’arte, il trucco, di far muovere le cose, io mi sono innamorata di quei bellissimi disegni dei suoi lungometraggi che vedevo muover si sullo schermo. Walt Disney è riuscito laddove l’istruzione ha fallito: mi ha dato un qualcosa a cui appassionarmi, qualcosa in cui credere, ma ancora di più, una ragione per credere in me stessa e nelle mie capacità. Questa mia personale espe rienza è stata quindi lo spunto di questa analisi. Avrei potuto scegliere tantissimi altri argomenti, indubbiamente con un più alto valore artistico - o presunto tale -, ma desideravo elevare proprio questo esempio a forma d’arte. Credo fermamente che sia artista chiunque sia capace di esprimere e trasmettere la propria essenza al punto tale da arrivare dritto al cuore dell’altro. Vien da sé che Disney sia, per me, un artista. Un artista che non troviamo nei manuali di storia dell’arte perché spesso siamo costretti a chiudere l’arte in cassetti troppo piccoli per ospitare tutti. Desidero concludere con la frase che è la stessa che segna l’inizio di questa tesi, chiudendo il cerchio. Un altro cerchio lo chiude la frase di Ėjzenštejn, frase di aper tura presente nell’introduzione. Quella stessa frase, infatti, compare come chiusura della mia tesina di diploma, tesina scritta sempre sulla figura di Walt Disney. Quella citazione era stata scelta, senza avere all’epoca la minima idea di chi fosse Ėjz enštejn, soltanto perché mi sembrava racchiudesse bene ciò che Disney era riusci to a fare, ma ancora non sapevo cosa sarebbe riuscito a fare, invece, per me. L’ispi razione datami dal suo personaggio e dai suoi personaggi mi ha accompagnata negli ultimi sei anni, a partire da quella tesina. Mi ha aiutata a ritrovare il sorriso nei momenti più impegnativi, a non perdere la speranza e non abbandonare mai quei cari sogni. Negli ultimi quattro anni, in modo particolare, è stato il mio fedele com pagno di viaggio e fonte costante e inesauribile di idee e ispirazione. Penso non ci potesse essere altro modo di concludere questo viaggio. Perché se puoi sognarlo, puoi farlo. E io lo sto facendo.

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Neal Gabler, Walt Disney: The Biography, Aurum Press Ltd, 2011 Luca Raffaelli, Le anime disegnate. Il pensiero nei cartoon da Disney ai giapponesi e oltre. Ediz. ampliata, Tunué, 2018 Paolo Beltrami, Francesco B. Belfiore, Walt Disney: L’uomo che trasformò la fantasia in realtà, Ledizioni, 2018 S. Cavalier, L. Della Casa, S. Battistini, Cartoon. Storia mondiale del cinema d’anima zione, Atlante, 2011 Mariuccia Ciotta, Walt Disney Prima stella a destra, Tascabili Bompiani, 2005 Richard B. Davis, Disney and Philosophy: Truth, Trust, and a Little Bit of Pixie Dust, Wiley-Blackwell, 2019 Sergej M. Ejzenstein, Walt Disney, Castelvecchi, 2017 Riccardo Falcinelli, Guardare, pensare, progettare. Neuroscienze per il design, Stampa alternativa, 2011 Riccardo Falcinelli, Figure. Come funzionano le immagini dal Rinascimento a Insta gram. Ediz. illustrata, Einaudi, 2020 Una celebrazione del mondo Disney. The Disney book. Ediz. a colori, Disney Libri, 2017

Bibliografia

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109 Sitografia Eric Vilas-Boas and John Maher, “The 100 Sequences That Shaped Animation From Bugs Bunny to Spike Spiegel to Miles Morales, the history of an art form that conti nues to draw us in”, tom-up-percezione/,tiL’elaborazionebate/,https://bsmknighterrant.org/2021/03/01/disney-vs-dreamworks-an-animated-deClaudiaconsultatoson/2013/10/02/15-years-of-dreamworks-animation-and-its-complicated-legacy/,Scottcom/2013/08/how-walt-disney-influenced-anime/,Tabathacom/how-walt-disney-created-manga/,Tiffanyme-disney-influenzato-anime-manga-54486.html,meGianmarcodisneys-art-style-through-the-decades/,Carlynhttps://it.wikipedia.org/wiki/Topolino,Nicolòfect-its-experience-a77e846b6428,https://medium.com/choice-hacking/10-ways-disneyland-used-psychology-to-perJennifercom/disney-color-psychology,Jayden,29/05/2022pirate.com/2020/12/14/the-science-behind-our-disney-obsession/,Jaclynse.com/disneyland-psychology/,Gavinhttps://it.wikipedia.org/wiki/Storia_dell%27animazione,26/05/2022vestoriadelcinema.org/08-breve-storia-del-cinema-danimazione/,Piergiorgiodibili,Riccardonimation-history.html,https://www.vulture.com/article/most-influential-best-scenes-aconsultatoil07/03/2022Falcinelli,Comesiguardauncartoneanimato.DaBiancaneveaGliincrehttps://www.youtube.com/watch?v=7Gw0y-N92VM,consultatoil19/05/2022Mariniello,Leoriginidelcinemadianimazione,https://www.breconsultatoilconsultatoil26/05/2022Doyle,FiveWaysDisneylandControlsYouwithPsychology,https://disneydoconsultatoil29/05/2022Winkle,TheScienceBehindourDisneyObsession,https://www.kennytheconsultatoilCrazyWaysDisneyUsesColorPsychology,https://www.dailyinfographic.consultatoil29/05/2022Clinehens,10WaysDisneylandUsedPsychologytoPerfectItsExperience,consultatoil30/05/2022Vigna,https://specchioscuro.it/tex-avery/,consultatoil05/06/2022consultatoil10/06/2022Hill,Disney’sArtStyleThroughtheDecades,https://blog.threadless.com/consultatoil12/06/2022Biccini,DaTezukaAMiyazakieGhibli:comeDisneyhainfluenzatoaniemanga,https://anime.everyeye.it/articoli/speciale-tezuka-miyazaki-ghibli-coconsultatoil15/06/2022Martin,HowWaltDisneyCreatedManga,https://www.escapistmagazine.consultatoil15/06/2022Butler,HowWaltDisneyInfluencedAnime,https://www.themovieblog.consultatoil15/06/2022Mendelson,https://www.forbes.com/sites/scottmendelil16/06/2022Scherer and AvaKrueger,Disneyvs.DreamWorks:ananimateddebate,consultatoil16/06/2022dell’informazionesecondoiprocessitopdownebottomup,irisvolsullapraticapsicoterapeuticahttps://www.stateofmind.it/2019/01/top-down-botconsultatoil21/06/2022

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111 Elaborati Scansiona il codice per visionare l’elaborato Walt Disney - I fenomeni percettivi a servizio del genio Scansiona il codice per visionare l’elaborato Stampa linoleografica Scansiona il codice per visionare l’elaborato Libro d’artista

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Grazie ai disegnatori per il loro preziosissimo contributo e l’esperienza che ho po tuto assorbire dalle loro parole. Silvio, Giada, Ivan, Fabio, Valeria, Jean Claudio mi avete trasmesso tutto l’amore per il vostro lavoro e dato un’importante lezione di duro lavoro, passione e dedizione. Mi auguro un giorno di poter avere anche solo un decimo della vostra esperienza e talento. Grazie ai professori che ho incontrato in questi anni. Nel bene e nel male, nono stante spesso io abbia pensato che fosse tutto inutile, ho imparato una lezione da ciascuno di loro e da ciascuna delle loro materie. Un grazie particolare al mio rela tore, professor Claudio Cavallaro per la fiducia datami e per il costante sostegno. E alla professoressa Alessandra Cabras che mi ha dimostrato come spesso gli inizi tortuosi e le materie ostiche possano diventare un’occasione incredibile di crescita e di conforto, se solo si ha il coraggio di metterci tutto se stessi.

Ringraziamenti

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Perché, suonerà senz’altro banale, ma non sarei qui a scrivere queste righe se non fosse stato per tutto l’aiuto e il sostegno ricevuto nel corso di questi ultimi quattro anni e anche tutti quelli prima. E questo è il momento perfetto per restituire un po’ d’amore e dimostrare tanta gratitudine.

Se siete arrivati qui senza leggere neanche introduzione e conclusioni, tornate im mediatamente indietro e guardate almeno tutte le figure. Scherzi a parte, penso che questo sia il pezzo della tesi che ho atteso più a lungo.

Grazie all’ambiente accademico, più in generale. Sarò onesta, tante volte mi sono pentita della scelta fatta e molte più volte ho maledetto quel ritorno in terra sarda, ma altrettante volte mi sono sentita fortunata ad aver trovato un posto in cui poter crescere personalmente, ma soprattutto affacciarmi per la prima volta al mondo dell’arte, capendolo un pochino di più e amandolo cento volte tanto. Non credo sarò mai un’artista, ma a oggi forse ho imparato a riconoscerne uno.

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