IL RESTO DEL TEMPO PRATICHE DI ABBANDONO E LONTANANZA
IL RESTO DEL TEMPO
CASTELLO VISCONTEO DI JERAGO 18-26 aprile 2009
con il patrocinio di
IL RESTO DEL TEMPO PRATICHE DI ABBANDONO E LONTANANZA
A CURA DI ALESSANDRO CASTIGLIONI
SERGIO BREVIARIO UMBERTO CAVENAGO ERMANNO CRISTINI DANIELE GIUNTA JULIA KRAHN MICHELE LOMBARDELLI GIANCARLO NORESE LUCA SCARABELLI ELISA VLADILO
Comune di Jerago con Orago Sindaco Giorgio Ginelli Assessore alla Cultura Emilio Aliverti Associazione Culturale Aleph Presidente Vincenzo Bonfacini Vicepresidente Daniela Aliverti Castello Visconteo di Jerago Camillo e Maria Antonietta Paveri Fontana
IL RESTO DEL TEMPO Pratiche di abbandono e lontananza a cura di Alessandro Castiglioni 18-26 aprile 2009 Sergio Breviario Umberto Cavenago Ermanno Cristini Daniele Giunta Julia Krahn Michele Lombardelli Giancarlo Norese Luca Scarabelli Elisa Vladilo Catalogo a cura di Alessandro Castiglioni e Michele Lombardelli Fotografie di Julia Krahn
In occasione di: Terra, arte e radici 18 aprile - 5 giugno 2009 nei comuni di: Arsago Seprio, Besnate, Cardano al Campo, Casorate Sempione, Cassano Magnago, Cavaria con Premezzo, Gallarate, Jerago con Orago
Š 2009 agli autori PRINTED IN ITALY EDIZIONI NLF
L’Amministrazione Comunale di Jerago con Orago non può che essere grata al curatore della mostra, Alessandro Castiglioni della Galleria d’Arte Moderna di Gallarate, all’Associazione Culturale Aleph e alla famiglia Paveri Fontana per quanto oggi realizzato. A Castiglioni per aver da subito accettato la scommessa e sostenuto l’iniziativa mettendo a disposizione tutta l’esperienza, la competenza e le capacità maturate presso un’istituzione tanto prestigiosa come la GAM, da anni guida nella scena nazionale. Ad Aleph, che da 10 anni ci stupisce e arricchisce con iniziative sempre originali, di qualità eccellente e livello impareggiabile. Alla famiglia Paveri Fontana, che con entusiasmo e generosità ha voluto ancora una volta condividere con tutti noi le bellezze misteriose del Castello Visconteo di Jerago, di sua proprietà. Questa mostra, che dà lustro indiscusso al nostro Comune, è frutto di un lavoro di squadra che orgogliosamente riconosco e indico come riferimento per tutti coloro che, come il sottoscritto, amano Jerago con Orago e lo desiderano culturalmente vivace, sempre ricco di nuove iniziative e al contempo fiero delle proprie tradizioni.
Il Sindaco di Jerago con Orago Giorgio Ginelli
Giovani e brillanti visionari, un luogo ispirante e senza tempo, un gruppo di persone coraggiose e appassionate. Da qui nasce la mostra il resto del tempo. Dalla volontà concorde dell’Associazione Culturale Aleph e dell’Amministrazione Comunale che i luoghi simbolo del nostro paese siano valorizzati, cioè conosciuti e sperimentati. Dall’incontro tutto speciale di questo straordinario gruppo di artisti con un luogo simbolo del nostro Comune, il Castello Visconteo di Jerago. Un incontro che ha suscitato emozioni e visioni, che ha ispirato interventi e che vede nelle esperienze qui raccolte e rappresentate, il risultato ultimo. Ospitare in un castello come il nostro, così imponente e al contempo fuori dal tempo, una mostra di arte contemporanea è certamente una scelta coraggiosa. Nessun luogo, come questo castello, è segno dell’appartenenza al nostro comune: elemento di vanto, perché preziosamente esclusivo, culla di tanti ricordi condivisi, perché vissuto da tutti noi, sin dall’infanzia. Un luogo che si trasforma ancora una volta, ma oggi in maniera inconsueta e inattesa, in ambasciatore e strumento di riscoperta delle bellezze del nostro territorio. Questa mostra, le cui opere sono state concepite e costruite specificatamente per queste mura, è certamente origine di emozioni e sentimenti contrastanti per chiunque la visiti. E questo già significa aver raggiunto l’obiettivo: significa, aver introdotto il visitatore in modo improvviso ed inaspettato nel mondo e nello stile proprio dell’arte del ventunesimo secolo. Il mio personale ringraziamento va poi all’ideatore e curatore della mostra, Alessandro Castiglioni, che con coraggio, pazienza e passione ha saputo condurre tanto noi quanto gli artisti qui rappresentati, in questo percorso originale e stimolante. A lui il merito di aver riconosciuto nei nostri luoghi uno spazio ideale per dar vita a nuove esperienze. A lui la riconoscenza per il tempo dedicato nell’individuare spazi e idee caratterizzanti. A lui infine il plauso per aver brillantemente guidato a quanto oggi possiamo tutti condividere e sperimentare.
L’Assessore alla Cultura Emilio Aliverti
Con molta gioia ospito a Jerago queste opere di arte contemporanea. Ho seguito le varie fasi del progetto di questi artisti che hanno saputo trovare un punto di ispirazione per le loro creazioni anche in un ambiente antico. La severità delle mura di questo luogo e la natura rigogliosa che lo circonda si sposano benissimo con le installazioni contemporanee, le une mettono in risalto le altre e viceversa. Il percorso secolare dell'uomo lascia le sue tracce; è giusto mantenere le tradizioni,ricordarsi del passato che fa parte del nostro essere e nello stesso tempo favorire l'espressione della sensibilità dell'uomo di oggi. Raccomando a questi artisti di proseguire con tenacia nella ricerca del bello e auguro loro un futuro pieno di soddisfazioni. Grazie Castello Visconteo di Jerago Mariantonietta Paveri Fontana Bruni
Morii per la bellezza – ma non m’ero ancora abituata alla mia tomba quando un altro – morto per la verità – nel sepolcro vicino fu adagiato – Piano mi domandò perché ero morta – “Per la bellezza” – gli risposi – e lui: “io per la verità – è una sola cosa” disse “siamo fratelli.” Così, come congiunti che di notte s’incontrino dall’una all’altra stanza conversammo finché le nostre labbra raggiunsero il muschio e coprì i nostri nomi
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Emily Dickinson, Tutte le poesie, n. 449
Quando l’estate scorsa proposi ad Alessandro Castiglioni, per conto dell’Associazione Culturale Aleph, il progetto di una mostra di arte contemporanea come evento inaugurale della manifestazione Terra, arte e radici, quest’anno incentrata sul tema della bellezza, era del tutto chiaro il significato di sfida e di apertura di uno spazio di riflessione circa il binomio bellezza/arte contemporanea. Conosco Alessandro, giovane critico d’arte, fin da quando, ancora liceale, era già evidente il segno di una passione che ne avrebbe tracciato il percorso. Non potevo del tutto quantificare la reale dimensione che avrebbe assunto il progetto, né l’impegno che ha richiesto l’allestimento di una mostra site specific che coinvolge ben nove artisti, realizzata in un luogo così ‘delicato’ come il Castello Visconteo di Jerago. È stata una scoperta per me bellissima la naturalezza con la quale i tanti problemi che l’intervento ha comportato sono stati risolti da così numerosi attori, Alessandro, gli artisti, ma anche Maria Antonietta Paveri Fontana, proprietaria del castello e l’amministrazione comunale, che ha mostrato in questa occasione capacità organizzative e flessibilità per nulla scontate. Perché una mostra di arte contemporanea come Il resto del tempo. Pratiche di abbandono e lontananza come evento inaugurale di Terra, arte e radici 09?
Si tratta di una scelta coerente con una politica culturale che l’Aleph e l’Assessorato alla cultura hanno condiviso in molti progetti comuni, progetti nei quali anche a costo della rinuncia a un consenso plebiscitario si è fatta delle occasioni di riflessione e di approfondimento una consuetudine, meglio una tradizione. Parlare allora di bellezza attraverso l’arte contemporanea è una scelta coraggiosa, in primo luogo perché costituisce un evidente sganciamento dall’onnipresente riferimento alla forma fisica o all’industria dello spettacolo, ma anche e più propriamente perché l’attacco che l’arte contemporanea ha diretto contro la nozione di bellezza si può dire mortale. Barnett Newman, astrattista americano nel ’48 affermava: “L’impulso dell’arte moderna consisteva in questo desiderio di distruggere il bello”. Stefano Chiodi, critico e storico dell’arte, attribuisce alla Pop Art la rottura definitiva tra arte contemporanea e bellezza: con Andy Warhol la bellezza non appartiene più, né all’essenza, né alla definizione dell’arte e tuttavia essa, dal dominio dell’arte, non può essere del tutto estromessa (La bellezza difficile, Le lettere, 2008). La paradossalità di tale affermazione può trovare un’esplicitazione nelle parole del critico e filosofo dell’arte americano Arthur Danto il quale, spiegando perché con l’arte contemporanea non possiamo più avere un’arte bella, dice: “Considero la scoperta che si possa fare buona arte senza farla bella uno dei più grandi chiarimenti concettuali della filosofia dell’arte del XX secolo” (L’abuso della bellezza, Postmedia, 2008). Certo, la posizione non priva di punti problematici di Danto passa attraverso la distinzione tra bellezza estetica, quella che appartiene alla sfera del sentimento, e bellezza artistica che nella contemporaneità ha ri-flesso l’arte, ripiegandola su se stessa e distaccandola dalla percezione del bello. "ll risultato, in ogni caso, è che l’ingresso nella contemporaneità implica che non possiamo più semplicemente fare uso della bellezza, siamo costretti a distorcere ogni rapporto equilibrato col bello – siamo, per così dire, condannati all’eccesso, al disequilibrio, alla violazione di senso e all’abuso” (Marco Senaldi, ibid. Prefazione). Nel mondo postmoderno la bellezza come ricerca di armonia totale e di durata eterna è stata aggressivamente riscritta; nondimeno rappresenta un terreno dove il rapporto di significazione con del reale costituisce un potenziale di trasformazione del reale stesso che dischiude per l’arte e per l’artista un’inedita relazione con il mondo. Così conclude Chiodi “forse è precisamente in questa oscillazione che l’arte può ancora rappresentare nel tempo che attraversiamo la nostra coscienza infelice” (ibid.) La riflessione artistica può quindi assumere un ruolo di risignificazione e di comprensione del nostro tempo, ma a mio avviso l’arte può rappresentare un’ulteriore straordinaria risorsa, una funzione di natura pedagogica. Il nostro tempo, in particolare nel nostro paese, è investito da profonde e traumatiche trasformazioni, è un tempo di crisi, insomma, che richiede idee e la capacità di trasformare queste idee in innovazione. Come scrive l’economista Pier Luigi Sacco nel Domenicale del Sole 24 Ore del 1 marzo scorso “le idee richiedono uno stato mentale e psicologico che può essere indotto solo parzialmente e che si nutre di interesse genuino, spontaneo, nei confronti delle cose, di curiosità e capacità di sorprendersi, di una mente aperta alle possibilità non conosciute e non familiari”. L’arte è allora da guardare come un ambiente che stimola la curiosità, la disponibilità a recepire l’inatteso, quello scarto di senso che richiede uno sguardo con occhi diversi; l’arte rappresenta in sostanza “una palestra di pre-innovazione”.
Quanto è importante per il nostro sistema paese una mentalità aperta, diffusa, responsabile e consapevole? A raggiungere questo difficile obiettivo è chiamata in prima battuta l’istruzione pubblica nella difficile sfida, come dice Edgar Morin, a “educare al pensiero dell’incertezza”, ma lo sono anche le istituzioni e gli enti che svolgono una politica culturale. È certamente un vanto per un’amministrazione comunale come Jerago mostrare una sensibilità culturale che altre realtà, ben più titolate, non manifestano affatto. Vorrei esprimere la mia riconoscenza agli artisti Sergio Breviario, Umberto Cavenago, Ermanno Cristini, Daniele Giunta, Michele Lombardelli, Giancarlo Norese, Luca Scarabelli, Elisa Vladilo e Julia Krahn per l’armoniosa collaborazione con la quale hanno dato vita all’evento. Un particolare ringraziamento, infine, a Alessandro Castiglioni per l’instancabile e pacata sollecitudine con cui ha orchestrato l’intera operazione. Associazione Culturale Aleph Daniela Aliverti
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JULIA KRAHN
DANIELE GIUNTA
DANIELE GIUNTA
DANIELE GIUNTA
DANIELE GIUNTA
DANIELE GIUNTA
MICHELE LOMBARDELLI
MICHELE LOMBARDELLI
MICHELE LOMBARDELLI
MICHELE LOMBARDELLI
MICHELE LOMBARDELLI
MICHELE LOMBARDELLI
LUCA SCARABELLI
LUCA SCARABELLI
LUCA SCARABELLI
LUCA SCARABELLI
LUCA SCARABELLI
SERGIO BREVIARIO
SERGIO BREVIARIO
SERGIO BREVIARIO
SERGIO BREVIARIO
SERGIO BREVIARIO
SERGIO BREVIARIO
UMBERTO CAVENAGO
UMBERTO CAVENAGO
UMBERTO CAVENAGO
UMBERTO CAVENAGO
UMBERTO CAVENAGO
ERMANNO CRISTINI
ERMANNO CRISTINI
ERMANNO CRISTINI
ERMANNO CRISTINI
ERMANNO CRISTINI
ELISA VLADILO
ELISA VLADILO
ELISA VLADILO
ELISA VLADILO
ELISA VLADILO
GIANCARLO NORESE
Ditemi cosa devo fare, ditemi dove devo andare Giancarlo Norese Julia Krahn
GIANCARLO NORESE
GIANCARLO NORESE
GIANCARLO NORESE
ELENCO DELLE OPERE ESPOSTE
SERGIO BREVIARIO
P.E.P.E., 2007, materiali vari, 112x47x47 cm 1960 TTM project, 2005, 6 vestiti
Vista catoptrica dell始interno di P.E.P.E., 2009, stampa lambda, 18x24 cm
UMBERTO CAVENAGO
La 74, 2006, acciaio CorTen, 216x205x300 cm
ERMANNO CRISTINI
Surplace 14+4+1 su 14, 2009, lamiera zincata, carta, site specific
DANIELE GIUNTA
Distanza Abbandono Desiderio Tempo, 2009, cenere e materiale organico, site specific (courtesy arsprima, Lecco)
MICHELE LOMBARDELLI
Jerago Corner, 2009, cartoncino Black Black, 70x50x70 cm
Doppio Sguardo, 2009, cornice in metallo, vetro, legno, cartoncino Black Black, feltro, ceramica, dimensioni variabili
Apocalisse, 2009, ink-jet e matita su carta, cartoncino Black Black, 10x13 cm Apocalisse, 2009, installazione sonora
(tutte le opere courtesy AMT | ALBERTO MATTEO TORRI, Milano)
GIANCARLO NORESE
Ditemi cosa devo fare, ditemi dove devo andare, 2009, dimensioni variabili
LUCA SCARABELLI
Il passare delle ore (suggestione cromatica), 2008, vasi in vetro da farmacia, hula hop, dimensioni variabili Un po始 lontano (riposizionamento di un paesaggio), 2009, frammenti di pagine di riviste illustrate, dimensioni variabili
Trascendere l始orizzonte, 2009, cornice in legno, fotocopia su carta ruvida, cartoncino colorato, 25x21 cm
ELISA VLADILO
Debole sistro al vento, 2009, seta e metallo, site specific
IL RESTO DEL TEMPO PRATICHE DI ABBANDONO E LONTANANZA
ALESSANDRO CASTIGLIONI
ALESSANDRO CASTIGLIONI
Sabato 31 gennaio 2009 L’idea di una mostra negli spazi di un castello medievale, anzi per essere più precisi una fortificazione Viscontea del XIII secolo, nasce assieme all’idea di scoprire e lasciar scrivere una storia. Immaginavo un Castello dei destini incrociati, con le proprie carte da mescolare, ogni volta in modo diverso, ogni volta per storie diverse. Questa idea un po’ confusa e astratta, si è subito scontrata con un’evidenza molto potente. Intendo ovviamente la forza visiva, forse addirittura ingombrante che caratterizza il Castello di Jerago. Uno spazio dove il passato mi sembra allo stesso tempo lontano e intatto, a tratti abbandonato a se stesso, al proprio microuniverso. Bastano pochi passi oltre una strada sterrata per trovarsi altrove. Seconda questione è stata capire come costruire le trame di questi intrecci di storie, se decidere di trovarle in modo chiaro e determinato, o lasciare che nascessero in modo libero, casuale e scostante, strada facendo. Ho optato così per la seconda soluzione, invitando diversi artisti, amici con cui condivido ricerche e di cui apprezzo e studio il lavoro, per proporre loro la stesura di una sorta di racconto collettivo. A sottolineare ulteriormente questo aspetto, il fatto che in parallelo (e non di conseguenza) alla mostra venga progettato un libro, in cui presentare questo percorso, la sua progettazione, le diverse fasi, l’esito conclusivo. Tengo molto a questa dimensione di attraversamento temporale come elemento di continuità tra castello e interventi, tra aspetto progettuale e risultato finale. Gli elementi su cui infatti ho invitato tutti gli artisti a riflettere sono proprio la distanza, la lontananza e l’abbandono e di contro l’attraversamento, il ritrovamento, l’archeologia; e sviluppare queste idee nella dimensione del tempo più che in quella dello spazio. Bene. Come mi ha detto Giancarlo Norese Venerdì scorso lasciando il castello: “Allora il racconto inizia qui.”
ALESSANDRO CASTIGLIONI
Appunti su un romanzo inesistente
Fu la letteratura, ancor prima delle arti visive, ad accorgersi della potenza evocativa di alcune semplici operazioni retoriche e linguistiche, atte a destrutturare la composizione. Bastò un Forse perchè… incipitario a instillare un dubbio, a stimolare una riflessione, a costruire una cornice, un metatesto. Da Foscolo la strada è stata lunga ma, in qualche modo, poi, tutta la poesia dei secoli successivi, ha lavorato attorno a queste suggestioni: la decontestualizzazione, lo straniamento, l’ermetismo. Raccontare le parti di una storia che non c’è diventa, non solo un’attitudine estetica, ma una vera e propria posizione culturale e sociale, immagine della civiltà occidentale. Per quanto riguarda le arti visive, questo processo è stato senza dubbio più lento e travagliato, segnato da continui contrasti e ripensamenti. Le prime esperienze volte a questa ridefinizione del rapporto tra oggetto artistico, pubblico e percezione del reale, sono indubbiamente segnate dalla ricerca di Marcel Duchamp. Il ready made, ovvero l’oggetto reale, della nostra quotidianità, nella sua disarmante semplicità, sposta il centro dell’attenzione. Si tratta di una vera e propria scossa, capace di rivoluzionare il modo di concepire l’arte in occidente. Duchamp afferma in questo modo che la vera operazione dell’artista consiste nell’osservazione del reale, scegliere e spostare. Tutto qui. Dagli anni Sessanta, poi, diverse sono le correnti concettuali in cui questa risignificazione del quotidiano passa attraverso oggetti e azioni semplici, decontestualizzati, frammentati, ancora parti di un racconto inesistente o solo lontanamente intuibile. In proposito mi vengono in mente gli archivi di Joseph Kosuth, le catalogazioni di Ed Ruscha e John Baldessari, le fotografie di Sophie Calle, tanto per citare i casi più noti a livello internazionale. L’idea di documentare, soprattutto attraverso la fotografia, una storia che non c’è, invisibile, intuibile oppure nemmeno accennata, diventa dunque, a partire dagli anni Settanta, una linea di ricerca ben definita. In particolare in Italia, questa riflessione in bilico continuo tra racconto e suggestione, tra senso e non senso, ha ibridato le arti visive e quelle letterarie facendo sbocciare, sempre negli stessi anni, una serie di esperienze basate sul rapporto tra immagine e parola in cui, questo disorientamento semantico, diviene elemento strutturale. Il fascino di queste operazioni, di fondamentale importanza per il nostro progetto, risiedono tutte qui, in un ricordo che non sappiamo tracciare con precisione, dove il segreto e il non detto costituiscono un universo ancor più denso di quello effettivamente presente. Altro riferimento che vorrei citare, tra le diverse esperienze che poi a livello letterario
ALESSANDRO CASTIGLIONI
si inseriscono in questa riflessione, è Il Castello dei Destini Incrociati di Italo Calvino. In particolare trovo interessante lo spunto da cui questo romanzo è nato, l’idea di prendere queste carte, i tarocchi, così profondamente connotati e liberarli da qualsiasi implicazione, senza “mettersi a interrogare l’avvenire dato che d’ogni avvenire sembravamo svuotati, sospesi in un viaggio né terminato né da terminare. Era qualcos’altro che vedevamo in quei tarocchi…” Ed è in questa direzione, come si legge anche nella lettera che apre il testo, che è nato il progetto di una mostra fatta di racconti che si inseriscono uno dentro l’altro, sviluppati in modo parallelo e autonomo durante quasi un anno di lavoro.
Un castello, otto tarocchi, due racconti Il resto del tempo è dunque un romanzo, nato come una mostra, in cui diverse storie si intrecciano e sovrappongono: il castello con la sua storia, i progetti dei diversi artisti, il racconto fotografico di Julia Krahn, il mio racconto, la mostra, questo libro. A intrecciare questi fili sono alcuni temi che si sono ripresentati con casualità, in modo particolarmente intenso come frutto della riflessione e del dialogo che in questi mesi hanno sostenuto il progetto. Desiderio, attesa, abbandono, lontananza. Sono questi crocevia, i punti d’incontro a cui tutte le diverse parti della mostra fanno riferimento.
Un castello Il castello di Jerago non è solo il nostro scenario, un luogo silente e spento, una fortezza occupata. Anzi, il peso drammatico della storia che porta con sé è stato il vero motivo scatenante della mostra. Ogni idea, ogni scelta e ogni progetto nasce dal contatto con questa fonte. Tutte le opere scelte hanno infatti una particolare natura sottrattiva, discreta e silenziosa, atta a valorizzare gli ampi ambienti del castello, più che occuparli. Ogni intervento sembra fare un passo indietro, nascondersi, confondersi, spostarsi in questo spazio che si configura come una sorta di archetipo, insomma non un luogo, ma il luogo.
Otto tarocchi Come nel romanzo di Calvino, dove la vicenda prende le mosse dall’incrocio e l’abbinamento di queste misteriose carte, così la mostra si sostanzia degli interventi, dei diversi artisti che come tarocchi, intrecciano le loro storie per generarne di nuove.
ALESSANDRO CASTIGLIONI
Ognuna di esse è un piccolo universo, che scioglie le spirali della propria nebulosa per fondersi e ibridarsi con gli altri: le pagine di Sergio Breviario ospitano una piccola “opera scritta” di Luca Scarabelli, e lo stesso Scarabelli interviene nello spazio interno de La 74 di Umberto Cavenago; Julia Krahn compare nelle fotografie di Elisa Vladilo indossando gli abiti parte di un’installazione di Sergio Breviario e Giancarlo Norese interviene su frammenti di immagini di Julia Krahn. Daniele Giunta confonde il proprio lavoro con gli elementi naturali che circondano il castello; Cristini e Scarabelli hanno sviluppato con me la riflessione teorica. E sempre insieme a me, Michele Lombardelli ha progettato la struttura di questo libro. È il racconto nel racconto, e (come scrissi a Luca) la storia che genera storie e storie di storie.
Due racconti I narratori di questi microaccadimenti sono due. Queste pagine conclusive del libro presentano il materiale che ho scelto e raccolto per documentare la genesi e la storia dei diversi lavori, uno dopo l’altro, in modo diverso per ogni artista, presentando bozzetti, appunti, scambi mail e foto di backstage, dosando, forse con un po’ di divertita confusione, altre storie e altri racconti insieme alla nostra mostra. L’altro racconto è il suggestivo viaggio di Julia Krahn, documentato nella prima importante sezione del libro. L’artista, per questo progetto, non ha solo studiato gli spazi espositivi e i diversi interventi. Infatti Julia ha costruito la propria esperienza vivendo qualche giorno, quasi in completa solitudine, tra le opere e le mura del castello. Ne nasce così un racconto affascinante, fatto di frammenti emozionali e passaggi caratterizzati da una geografia interiore, tutta da ricostruire. La forza di questo racconto è costituita proprio da queste immagini, dall’espressività profonda, capace di ritrarre dettagli, silenzi e vuoti, parti di una narrazione aperta e non univoca, che lascia spazio all’immaginazione e ancora… al desiderio, l’attesa, l’abbandono, la lontananza.
SERGIO BREVIARIO
SERGIO BREVIARIO
P.E.P.E Da questo momento in poi, lo giuro, sono una semplice combinazione. Una formula critica tripartita. Sono fuori e dentro di me. Sono il limite superato, un artificio naturalizzato. Inizia così, una dichiarazione d’intenti di P.E.P.E, approntata per specificare il suo congedo, le sue dimissioni dalla società delle imprese e delle costruzioni. Le sue, sono parole decise e sicure che rivendicano autonomia e l’ipostatizzazione dell’ente. È risentito e seccato per com’ è stato trattato. Il suo contributo alla formulazione di una nuova dimoranza per il seme ordinatore, non a sortito gli esiti sperati e quindi si sente abbandonato, deluso e in difficoltà, ed è arrabbiato. Non ho pietà del vostro soffrire! La mia brama di libertà ha forzato le serrature e le catene che mi tenevano legato a voi, la mia riprovazione è autentica e motivata. Voi siete una pietra fredda che per notti e giorni ha trasudato solo dolore. Siete un motivo omologato e comune. Siete una sterile ripetizione. Non è mai stato così duro. E continua… Sono una diffida. Non posso e non desidero essere più considerato la vostra ombra, la soglia da attraversare. Io sono il nuovo centro, il fulcro dove vomita il cuore, il chiasmo dell’universo, il nuovo corpo. Non sono semplicemente l’epifania di un’ idea. Farò ricadere su voi i miei controsensi. Dimenticate quello che è stato. Sente il fluido seme transgenico crescere dentro di se. Fortissimamente. Non si sente più inerte. Ora gli piace essere il centro dell’attenzione e gli piace rimanere in bilico tra il femminile e il maschile, giocando a far l’eroe, ad incitar la folla. Per entrare nella mia nuova dimora non passerete più sotto di me, ma sarete in me e io sarò in voi, attraverserete l’oriente e l’occidente. Il mio io non è la finestra attraverso la quale il mondo guarda il mondo. Lo spazio non mi contiene, è la mia presenza a fondare lo spazio. Annuncia così, con slancio cristologico, la nuova condizione del suo esistere. Un Palomar alla rovescia, si direbbe, con la pelle color nero come la notte, nero come il profondo vuoto della malachite più scura. Il disegno del suo corpo è ieratico, rigido e marziale. Il suo contatto con il mondo è un grande orifizio tondo e due ferite. E una luce interiore. Ha il vigore e la spregiudicatezza della giovinezza, l’eleganza e la grazia del seminatore, del fecondatore e un profilo da assassino. È pronto ad eiaculare verità scomode. Ha abbandonato Bisanzio per germogliare e fruttificare. È diventato un evento, la cui misura non ha la distanza. E non crediate che solo perché sono un acronimo anonimo, un novizio…non crediate che mi sia facile prendere questa decisione. Dentro di me c’è un fuoco che arde, la luce che segna il futuro, c’è l’innocenza, c’è quello che non potete sapere. Mi divido da voi per far crescere la mia centralità, per sfuggire alla clausura. Io sono il principio. Sono il nuovo distruttore, il nuovo fecondatore, sono un tentatore e l’oggetto della vostra venerazione. La mia verità è quella del sangue. Le polarità in me finalmente sono unite. In questo punto, si scorge, nel decifrare la sua scrittura mossa e ritmata, un sussulto, delle macchie d’inchiostro che segnano il foglio, rompono la sequenza logica della lettura, come a sottolineare un fremito, una possibile svista, un artifizio. Si sente che si è mosso, che un tempo è passato prima della ripresa delle parole. Che si sia allontanato da sé? Si è allontanato dal suo corpo? La mia materia desidera la forma. La forma e la bellezza. Questo ci permette di pensare che forse P.E.P.E è uno scrigno, una forma prestata dalla legge dell’istante, dell’hic et nunc, una forma fondatrice di una nuova geometria catastale. Come in ogni modello di spazio-tempo, ogni punto dello spazio ha quattro coordinate (x.y.z.t oppure p.e.p.e), tre delle quali rappresentano un punto dello spazio, e la quarta un preciso momento temporale: ciascun punto rappresenta un evento, un fatto accaduto in un preciso luogo in un preciso istante. P.E.P.E si è mosso. Sono il nido che accoglie la tua crescita. La mia legge è l’unità di misura per la tua esperienza. Siete in me quando siete fuori di me. Lo spazio che finalmente conquista P.E.P.E è lo spazio della dimensione morale, è un luogo reale che ingloba lo spazio interiore di ognuno di noi, in lui puoi espanderti e ritrovare le coordinate per muoverti sicuro. Ciò ha un prezzo e costa una fatica. Nato da uno schema, aumenta la distanza dal suo luogo d’origine e comincia a prendere coscienza delle proprie possibilità. È un amuleto incantatore. Un angelo e un demone. La venerazione che gli si deve è quella del linga e deve essere officiata attraverso l'offerta di fiori freschi, infiorescenze, acqua pura, foglie, frutta e riso essiccato al sole. Sono un pilastro…a lei di fare al bel fianco colonna , sono un senza uguale, sono il più grande. La sua dimoranza non può più essere rinchiusa e determinata da categorie prestabilite. La legge che dispone a protezione del suo io, è il suo limite e la chiave del nostro rapporto con lui. Attraverso l’esperienza entriamo in contatto con il suo essere oggetto, il suo essere nido, fallo, misura, realtà, idea. Il resto potete e dovete portarlo voi, attingendo al “vostro” spazio: portategli la passione da condividere, un desiderio da realizzare, un’arte da apprendere, un senso da scoprire, una serie da finire. Portategli la follia e una
SERGIO BREVIARIO
visione del mondo da censurare. Portategli la voglia di crescere e il suo prossimo passo sarà l’esperienza della percezione senza l’oggetto del percepito. “Lei non sa chi sono io”, potrebbe chiuderla lì, con questa formula, ma non lo fa. Luca Scarabelli 1) a lei di fare al bel fianco colonna (Petrarca).
P.E.P.E., 2007, materiali vari, 112x47x47 cm
UMBERTO CAVENAGO
L ’ a l c o v a d ’ a c c i a i o , Filippo Tommaso Marinetti, 1918 L’alcova d’acciaio, romanzo di Marinetti scritto sul finire della Prima Guerra Mondiale, si struttura attorno a elementi caratteristici dell’estetica futurista. In particolare l’autore si riferisce a un enorme carro armato, modello “74”, autoblindo Lancia-Ansaldo 1ZM, capace di sbaragliare il nemico e contemporaneamente essere perfetto riparo per una notte d’amore e passione. Di questa invincibile macchina, Umberto Cavenago ripercorre le fattezze, con la propria La 74, enigmatico elemento in acciaio CorTen, in apparenza inaccessibile e completamente defunzionalizzato. La struttura infatti, più che un veicolo bellico, sembra essere una sorta di rifugio, volto più a proteggere che non attaccare. Inoltre, il particolare posizionamento pensato per il Castello di Jerago (tra l’altro è inspiegabile come questa scultura, pesante più di tre tonnellate, sia riuscita a raggiungere, attraverso piccolissime porte, questa terrazza interna), un nascondiglio tra mura e vegetazione, amplifica un altro carattere de La 74. La scultura ci appare così come un relitto, un reperto straniante ed ermetico. È la traccia di un’archeologia del presente che dissesta e stupisce, ci interroga sul passare del tempo, sul senso di ciò che resta e l’incomunicabilità di ciò che trascorre.
La 74, fase di montaggio, Castello Visconteo di Jerago
UMBERTO CAVENAGO
La 74, 2006, acciaio CorTen, 216x205x300 cm; Foto di A. Zambianchi - Simply.it, Milano
FTM, il kit di montaggio per La 74 in scala 1:35, ABS, 5,5 x 5,5 x 8,5 cm; Installazione per ROAMING, La Rada Locarno
UMBERTO CAVENAGO
Lʼautomitragliatrice 1ZM, 1918; su concessione dell’Archivio Storico della Fondazione Ansaldo, Genova
ERMANNO CRISTINI
A s p e t t a n d o G o d o t , Samuel Beckett, 1952 Non c’è nulla da fare, solo attendere. Vladimiro ed Estragone aspettano, in un dramma senza inizio e senza fine, spezzato a tratti da un umorismo glaciale. Loro due seduti su una panchina, nel mezzo del nulla. A più di cinquant’anni dalla sua prima messa in scena, l’opera di Beckett conserva intatto questo sguardo perplesso sul mondo e questo senso di vuoto drammaticamente teso. E: Andiamocene V: Non si può E: Perché? V: Aspettiamo Godot. E: Già è vero. Sei sicuro che sia qui? V: Che cosa vorresti insinuare, che ci siamo sbagliati di posto? E: Dovrebbe già essere qui V: Non ha detto che verrà di sicuro E: E se non viene? V: Torneremo domani. Il Castello di Jerago ha proprio l’aria di essere il luogo dell’attesa infinita. Ermanno Cristini si ispira a questa condizione con un intervento progettato per le diverse panchine presenti nel parco del Castello stesso. L’artista, con materiali a lui cari, quali la carta e la lamiera zincata, costruisce delle piccole panchine in precisa proporzione rispetto agli spazi cui si riferiscono, lasciando nascere così delle piccole storie, delicati scenari per microaccadimenti casuali e invisibili. Non solo l’elemento dell’attesa caratterizza l’operazione, infatti anche la componente casuale, il caso, connota fortemente il lavoro; questa emerge attraverso l’apparente libertà con cui ogni piccola scultura è disposta nello spazio e dal fatto che questi frammenti vengano lasciati e abbandonati sui marmi e sui muri: “magari sarà lasciato un foglio con un piccolo disegno, precariamente tenuto con un vetro”, racconta Cristini, “elementi che stanno lì per un attimo disposti a farsi spostare dal vento, consumare dalla pioggia, per praticare nomadicamente lo spazio lasciandosi trascinare dal tempo”. Senza mai riuscire a costruire un finale dunque, senza sapere se mai qualcuno riuscirà ad arrivare.
ERMANNO CRISTINI
Surplace 14+4+1 su 14, 2009, work in progress
Surplace, 14+4+1 su 14, 2009 “…bastano pochi passi oltre una strada sterrata per trovarsi altrove…” Qui l’altrove è un anacronismo, nel senso etimologico del termine: (Anà) avanti o indietro nel tempo. Entrare nel Castello è allora consumare un’intempestività, una sfasatura. Nei cortili interni del Castello ci sono delle panchine. La panchina è un rallentando e dunque, ancora, una sfasatura temporale. Se il Castello è un “altrove” che è un anacronismo, la panchina è un anacronismo nell’anacronismo. Pietro Paladini, il protagonista di CAOS CALMO, fermo sulla sua panchina scopre poco a poco il lato nascosto degli altri e delle cose. Dentro un’intempestività è tempestivo rispetto al proprio presente.
ERMANNO CRISTINI
Dunque abbandonarsi a una lontananza può essere il modo per essere dentro una vicinanza temporale. Osserva Agamben: “La contemporaneità è, cioè, una singolare relazione col proprio tempo, che aderisce ad esso e, insieme, ne prende le distanze; più precisamente, essa è quella relazione col tempo che aderisce a esso attraverso una sfasatura e un anacronismo”. Ermanno Cristini
Surplace 14+4+1 su 14, 2009, work in progress
DANIELE GIUNTA
In termini generali questa mostra parla di diversi rapporti sussistenti tra passato e presente. Ma anche tra staticità e movimento. Ci tengo a questa premessa perché desidero parlare con attenzione dell’installazione di Daniele Giunta. Daniele essenzialmente opera in due ambiti tutto sommato ben definiti, da una parte quello della pittura, dall’altro quello della musica. Sono stato io a chiedergli, durante un viaggio che abbiamo fatto insieme in macchina (che poi..viaggio..eravamo bloccati nel traffico milanese e Daniele era in ritardo perché doveva partire per Feltre), un intervento site specific, per il Castello, un luogo particolarmente affine all’estetica del suo lavoro che già conoscevo bene. Per molte settimane abbiamo riflettuto su questi elementi di costante ricerca per il nostro artista: l’idea di natura e di paesaggio interiore e la possibilità di legare le esperienze passate a un determinato spazio fisico. Dal nostro dialogo è nata questa forma ibrida, Distanza Abbandono Desiderio Tempo. Un elemento bianchissimo, completamente ricoperto di cenere, una creatura autogeneratasi che sembra spuntare dal nulla e lentamente ampliarsi e intaccare tutto ciò che sta intorno. La metamorfosi di un paesaggio che diventa immagine di un personalissimo sentimento del tempo.
d1 [psycogenesis], 2009, stilografica su carta, 14x18 cm (courtesy arsprima, Lecco)
DANIELE GIUNTA
DANIELE GIUNTA
Distanza Abbandono Desiderio Tempo, 2009, cenere e materiale organico, site specific (particolari) (courtesy arsprima, Lecco)
MICHELE LOMBARDELLI
Jerago Corner, 2009, cartoncino Black Black, 70x50x70 cm (courtesy AMT | ALBERTO MATTEO TORRI, Milano)
Allontanato dal segreto che detiene
Essere un altro
Spirito Per gettarlo Nella tempesta Ripiegarne la divisione, e passare fiero
Da U n t i r o d i d a d i m a i a b o l i r à i l c a s o , Stéphane Mallarmé, 1897
MICHELE LOMBARDELLI
MICHELE LOMBARDELLI
Apocalisse, 2009, ink-jet e matita su carta, cartoncino Black Black, 10x13 cm (courtesy AMT | ALBERTO MATTEO TORRI, Milano)
…Si perché l’opera di Michele Lombardelli vive di tensioni e contrasti. Scelte sottrattive e minimali, quasi criptiche, caratterizzano le installazioni in cui elementi apparentemente in opposizione convivono in continuo equilibrio. Bianco e nero, carta e ceramica, ordine geometrico e casualità si fondono intimamente lasciandoci delle piccole tracce, piccole luci accese che segnano la strada percorsa dall’artista. Forse un invito a seguirlo … (continua)
GIANCARLO NORESE
Giancarlo Norese è sempre in viaggio, in particolar modo in questo periodo. Pensavo che il suo peregrinare, costante e faticoso, lo rendesse perfetto per partecipare a questo progetto dedicato alla distanza e l’abbandono. Anche perché l’elemento centrale nella ricerca di Norese è proprio il continuo slittamento, sovrapposizione tra pratica artistica e vita quotidiana, attitudine relazionale e soluzioni momentanee. È per questo motivo che durante la preparazione della mostra (di questa ma in realtà di qualsiasi altra) in qualche modo riesce sempre a porre interrogativi sul senso e la direzione che il lavoro sta prendendo. Forse un giorno mi deciderò a invitare Giancarlo a qualsiasi mostra che faccio. Tornando al nostro progetto, vorrei solo aggiungere che, a un certo momento, vedendo Giancarlo sempre sfuggente e di corsa, addirittura ho pensato che avesse deciso di abbandonare la mostra. L’operazione Ditemi cosa devo fare ditemi dove devo andare, nasce dunque così, tra contatti e assenze, ordini e disordini, che caratterizzano così tanto la mostra stessa, da farci decidere di recuperarli uno a uno. 8/11/2008 Workshop Name is a name is a name is a name GAM Gallarate Inizio a parlare a Giancarlo dell’idea di fare una mostra in un castello. 22/11/2008 Apartment Art, Solbiate Arno Giancarlo, Umberto, Luca ed Ermanno partecipano a questa mostra invitati da Elisa; inizio a elaborare qualche idea attorno al progetto. 27/11/2008 Careof, Milano Andiamo con Francesca e Lorena all’asta per Careof, incontriamo Ferdinando, Umberto, Pierpaolo, Rita… troppa gente con cui chiacchierare… di Jerago neanche un accenno. 31/12/2008 Casa di Francesca, Busto Arsizio Per festeggiare capodanno, mangiamo del peperoncino piccantissimo. Io e Giancarlo poi parliamo del progetto. Gli dico del budget per il catalogo e lui mi risponde che con quei soldi potremmo comprare un sacco di gelati per tutti e questo sarebbe il suo lavoro. Gli dico che l’idea mi piace, ma io voglio fare un catalogo. Allora ci accordiamo per incontrarci a metà gennaio e parlare del progetto. 21/1/2009 Telefono Chiamo Giancarlo, ci sentiamo e decidiamo di andare a visitare il castello la settimana dopo. 31/1/2009 Castello di Jerago Siamo per la prima volta al castello con Sergio, Luca, Umberto e Francesca; Giancarlo fa molte foto.
GIANCARLO NORESE
2/2/2009 Mail Giancarlo mi invia le foto scattate qualche giorno prima e mi dice che inizia a pensare a qualcosa. 24/2/2009 Mail Chiedo a Giancarlo se ha iniziato a pensarci. 27/2/2009 Mail e telefono Giancarlo, dopo aver saputo che Umberto porterà La 74, decide di documentare tutto il lavoro di trasporto e montaggio del pezzo. 9/3/2009 Castello di Jerago Inizia il montaggio de La 74, di Giancarlo nessuna notizia. 10/3/2009 Castello di Jerago Continua il montaggio de La 74, di Giancarlo nessuna notizia. 11/3/2009 Castello di Jerago Continua il montaggio de La 74, di Giancarlo nessuna notizia. 12/3/2009 Facebook Parlo con Giancarlo via chat. Mi dice che ha cambiato idea, non documenterà il montaggio de La 74 e lavorerà con altre fotografie. 14/3/2009 Kunstbrulè, Studio di Umberto Cavenago, Brugherio Parliamo del fatto che il giorno dopo Julia sarà al castello. Giancarlo verrà. 15/3/2009 Castello di Jerago A metà pomeriggio arriva Giancarlo e fa alcune foto. Come lavoro decide di disturbare Julia mentre scatta, per far diventare le sue foto mosse. La segue un po’, poi ha paura che Julia lo picchi e smette. Allora decide di lavorare (infine) al montaggio de La 74. Al castello ci sono tutti gli artisti tranne Elisa. Arriva anche l’assessore di Jerago e Daniela di Aleph.
GIANCARLO NORESE
16/3/2009 Mail Giancarlo mi invia le foto scattate. Parliamo di un viaggio che faremo con Luca ed Ermanno a Berlino. 17/3/ 2009 Mail “sì, ci faccio qualcosa con le foto. Qualcosa uscirà. G” 18/3/2009 Mail Chiedo a Giancarlo di mandarmi qualche ipotesi su ciò che allora ha intenzione di fare. Ma non ricevo risposta. 21/3/2009 GAM Gallarate Sono in ufficio per finire alcune cose, c’è anche Giancarlo che deve accompagnare Francesca in aeroporto (parte per la Colombia). Mi dice che dopo passerà al castello per fare il suo intervento, visto che anche questo week end Julia è là a fotografare. Poi non si presenta. 22/3/2009 Telefono Giancarlo vorrebbe vedere le foto di Julia, per usare quelle foto. Mando a Giancarlo il numero di Julia ma lui si dimentica di chiamarla. 24/3/2009 Telefono Giancarlo si scusa, in questo periodo è sempre in viaggio. 26/3/2009 Telefono Michele chiama Giancarlo per chiedergli del lavoro. Ricevute le foto di Julia, Giancarlo fa il suo intervento direttamente sugli scatti della fotografa, utilizzando le macchie di polvere e i pelucchi sulle stampe b/n (“li clono e formo delle parole”). Giancarlo reinvia il materiale a Michele. Poi dovrebbe chiamare Julia ma è sera tardi, allora le manda un sms scrivendo “ti chiamo domani”. 27/3/2009 Ufficio di Michele, Castelvetro Piacentino Vedo il lavoro di Giancarlo, sento Julia che è curiosa di vederlo anche lei. Giancarlo non ha chiamato Julia. 28/3/2009 Ufficio di Michele, Castelvetro Piacentino Cerco di chiamare Giancarlo per l’impaginazione del lavoro ma non risponde.
LUCA SCARABELLI
Un poʼ lontano (riposizionamento di un paesaggio), 2009, dimensioni variabili (particolare)
L’uomo sulla Luna, 1969 Uno dei più discussi e dibattuti “misteri” della nostra contemporaneità riguarda il fantomatico sbarco sulla Luna del 20 luglio 1969. Un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’umanità. Chissà se è avvenuto davvero… se il limite tra sogno, realtà e finzione è stato varcato o solo un po’ confuso. Negli anni Settanta credo sia stato Andy Kaufman il più bravo a raccontare questa storia, come una piccola fiaba comica, a cui poi i REM nel 1992 hanno dedicato una canzone e Milos Forman nel 1999 un film, entrambi intitolati Man on the Moon. Mi immagino l’opera di Luca Scarabelli come una nuova rilettura di questo racconto. L’installazione è infatti una sorta di sguardo misterioso sull’universo, uno sguardo di passaggio e ignoto. Così, attraverso differenti modalità espressive, oggetti, pagine di giornale, strappi da vecchi libri di scuola, una costante forma circolare si ripresenta di intervento in intervento. L’archetipo della ciclicità qui si sovrappone all’immagine di una spirale, che riavvolgendosi su se stessa ci fa perdere qualsiasi riferimento. Come sempre l’opera di Scarabelli nasce da una rielaborazione del quotidiano a noi più prossimo. Strappi, vasi di vetro e hula hop si trasformano in criptiche formule alchemiche, segni minimi di un racconto complesso e articolato, da ricostruire passo per passo: un prato, una galleria, una costellazione, una galassia. E poco importa se l’uomo non è andato per davvero sulla Luna, è abbastanza crederci.
LUCA SCARABELLI
Trascendere l始orizzonte, 2009, collage, 23,5x29,5 cm
Una volta sono tornato a vedere il punto di partenza (猫 la terra vista dallo spazio). L.S.
LUCA SCARABELLI
Un po始 lontano (riposizionamento di un paesaggio), 2009, dimensioni variabili (particolare)
ELISA VLADILO
--- On Mon, 9/3/09, eirhcc@tin.it <eirhcc@tin.it> wrote: From: eirhcc@tin.it <eirhcc@tin.it> Subject: Jerago To: elisabrzo2003@yahoo.co.uk Date: Mondayday, 9 March, 2009, 4:24 PM Cara Elisa Come va con la progettazione del lavoro? Per telefono mi avevi detto di voler installare dei fili a cui legare piccoli sonagli. Funziona l’idea? Di che colore devo prendere le strisce? Io inizierei a fare qualche prova; a presto Alessandro ---Messaggio originale---Da: elisabrzo2003@yahoo.co.uk Data: 10-mar-2009 2.07 PM A: "eirhcc@tin.it"<eirhcc@tin.it> Ogg: forse basta una striscia sola....
Caro Alessandro, il nostro lavoro, visivamente, l’ho concepito come un colpo d'occhio, una linea arancione; i campanellini, vanno messi a grappolo in fondo nell'estremità bassa. Penso sia meglio prima fare il grappolo di sonagli tra loro, al telefono ho detto usando un filo di nylon....ma forse ancora meglio usando un pezzo dello stesso filo arancione....una volta fatto il grappolo, si lega alla sommità bassa della striscia...passando sempre nelle asole dei sonagli il filo stesso. La striscia, sarebbe bene distasse da terra almeno 80 cm....come dire che i campanelli siano a portata di mano circa....e volendo si possono far suonare. La posizione della striscia rispetto alla parete del castello, sarebbe ideale, all'inizio del secondo riquadro a rombi dallo spigolo della parete, in prossimità dell'entrata ma non troppo affinché campeggi bene sulla parete....; e nel secondo riquadro posizionata sul secondo rombo, in pratica come nella simulazione Photoshop, dove si vede la prima linea arancione da destra a più tardi grazie di tutto salutoni elisa
--- On Wed, 11/3/09, eirhcc@tin.it <eirhcc@tin.it> wrote: From: eirhcc@tin.it <eirhcc@tin.it> Subject: Debole sistro.... To: elisabrzo2003@yahoo.co.uk Date: Wednesday, 11 March, 2009, 7:35 PM Ciao Elisa, come mi dicevi questa idea di precarietà è molto bella. Ho trovato una poesia di Montale, è in Ossi di seppia, mi sembra perfetta:
ELISA VLADILO
Debole sistro al vento d'una persa cicala, toccato appena e spento nel torpore ch'esala. Dirama dal profondo in noi la vena segreta: il nostro mondo si regge appena. Se tu l'accenni, all'aria bigia treman corrotte le vestigia che il vuoto non ringhiotte. Il gesto indi s'annulla, tace ogni voce, discende alla sua foce la vita brulla.
----Messaggio originale---Da: elisabrzo2003@yahoo.co.uk Data: 12-mar-2009 2.07 PM A: "eirhcc@tin.it"<eirhcc@tin.it> Ogg: R: Debole sistro.... ciao Alessandro La poesia è bellissima,,, perfetta, credo possiamo anche usarla per il titolo del lavoro. Poi volevo dirti che sono molto contenta di come si sia sviluppato l'intervento al Castello di Jerago; l'idea iniziale si è trasformata nel corso delle nostre conversazioni per definirsi poi quando ho potuto vedere realmente il castello. Devo dire che rispetto al mio modo solito di lavorare questa versione è più leggera e minimale, quasi una rivelazione.... nel senso che il dover in qualche modo essere meno evidente e più mimetica con l'ambiente, mi ha fatto trovare una dimensione che utilizzo meno, ma che per me è stata una piacevole scoperta... direi una liberazione. La leggerezza è certamente una delle qualità che perseguo da sempre, ma la mia leggerezza è spesso frutto di un certo travaglio che leggero non è... in questo caso invece, l'aver in qualche modo condiviso con te lo sviluppo del lavoro, mi ha alleggerito e quasi senza accorgemene... me se son accorta solo a lavoro installato.... trovo anche proprio interessante questo fatto, che ci sia stato questo scambio avvenuto in un gradevole e stimolante rispetto reciproco...almeno per me lo è... il risultato finale direi che corrisponde alla mia idea iniziale.... un leggero soffio di sonagli che echeggia ed evoca vari mondi..... appartenenti all'epoca del castello ma non solo.... per favore inviami un ok di risposta se ricevi questa email; grazie di tutto elisa
ELISA VLADILO
Debole sistro al vento, 2009, seta e metallo, site specific
finito di stampare nel mese di aprile 2009 presso la nuovalitoeffe snc di castelvetro piacentino, piacenza edizioni NLF www.nuovalitoeffe.com
IL RESTO DEL TEMPO PRATICHE DI ABBANDONO E LONTANANZA
A CURA DI ALESSANDRO CASTIGLIONI SERGIO BREVIARIO UMBERTO CAVENAGO ERMANNO CRISTINI DANIELE GIUNTA JULIA KRAHN MICHELE LOMBARDELLI GIANCARLO NORESE LUCA SCARABELLI ELISA VLADILO