Erodoto108 n°9

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ERODOTO108 9 • INVERNO 2014

IL SACRO


ERODOTO108SOMMARIO IL SACRO 4• EDITORIALE I VOLTI DEL SACRO Andrea Semplici 8• MANI PATAGONIA•MATERA•ROMANIA• GERUSALEMME•FIRENZE• THAILANDHIA•ISOLA DOMENICANA 24• L’INVERNO DI ERBIL Cristiani in Oriente cronache dal Kurdistan Foto di Linda Dorigo, testo di Bianca Brien In copertina San Giovannni in Laterano, Roma Fotografia di Davide Repetto

38• ROMA UNA DOMENICA IN PIAZZA SAN PIETRO Testo di Alberto Bile, foto di Alessandro Lanzetta 42• FIRENZE TRA I DERVISHI FIORENTINI Testo di Leonardo Lalli

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Fondatore: Marco Turini • Direttore responsabile: Andrea Semplici • Redazione Giovanni Breschi, Valentina Cabiale, Francesca Cappelli, Massimo D’Amato, Alessandro Lanzetta, Sergio Leone, Sara Lozzi, Isabella Mancini, Yuri Materassi, Andrea Semplici, Letizia Sgalambro, Marco Turini • Web designer Allegra Adani • Progetto grafico Giovanni Breschi /Casalta ERODOTO108 registrata al Tribunale di Firenze Stampa Periodica al n.5738 il 28/09/2009

46• I SIKH IN ITALIA TURBANTI COLORATI SUGLI ARGINI DEL PO Foto di Giovanni Mereghetti, testo di Antonio Alberi 50• PERÙ SEÑOR DE QOYLLUR RIT’I STELLA DELLA NEVE Il più grande pellegrinaggio indigeno dell’America Testo e foto di Bruno Zanzottera 62• MESSICO LA FESTA DEI MORTI DI OAXACA Testo e foto di Vittore Buzzi 74• ISTAMBUL Lo spartito della speranza AL MARTEDI DI FRONTE A SANT’ANTONIO Testo di Paolo Floretta, foto di Roberto Dotti


9 INVERNO 2014 76• INDIA LE SORGENTO DEL PARADISO L’infinito pellegrinaggio alle sorgenti del Gange Testo e foto di Aldo Pavan 84• AFRICA Nostalgia di Tripoli ELOGIO DEL BELGASIN Testo e foto di Giorgio Librandi 86• AFRICA/ETIOPIA GERUSALEMME NERA Testo e foto di Andrea Semplici 94• UNA FOTO UNA STORIA LE VERTIGINI DELL’ANIMELLA di Antonio Mancuso 96• CAMPANIA /PAGANI LE GALLINE E LA MADONNA Testo di Sandro Abruzzese, foto di Marco De Pasquale 100• STORIE DI LIBRI LIBRI, SACRI LIBRI di Claudio Di Benedetto PIER CELESTINO: DIO HA CREATO LE ANIME, NON LEISTITUZIONI Valentina Cabiale e Marco Gobetti

112• OROSCOPO Letizia Sgalambro

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104• IL CIBO DEGLI DEI ITALIA /ASPROMONTE LE MELANZANE PER LA MADONNA DELLA MONTAGNA ASIA ISOLA DI BALI IL BALZELLO DIVINO Foto e testo di Giancarlo Cittolin ARGENTINA • EL DIA DE LOS MUERTOS


Non riusciamo a darci pace. A fine settembre, 43 studenti di una scuola rurale di Iguala, città di centomila abitanti dello stato di Guerrero, in Messico, sono stati sequestrati, fucilati, soffocati, bruciati da una banda di norcotrafficanti e poliziotti. I loro resti dispersi in discariche di rifiuti. Avevano quasi tutti vent’anni. Ben pochi, in Italia, ne hanno parlato.

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JORGE ÀLVAREZ NAVA19 ANNI JORGE ANÍBAL CRUZ MENDOZA 19ANNI CRHISTIAN ALONZO RODRIGUEZ TELUMBRE 21 ANNI CARLOS IVÀN RAMÍREZ VILLAREAL 20 ANNI MIGUEL ÀNGE HERNÀNDEZ MARTÍNEZ 27 ANNI LEONEL CASTRO ABARCA18 ANNI JOSÈ EDUARDO BARTOLO TLATEMPA 19 ANNI JONÀS TRUJILLO GONZÀLES 20 ANNI MARTIN GETSEMANY SÀNCEHEZ GARCIA 20 ANNI EVERARDO RODRIGUEZ BELLO 21 ANNI CUTBERTO ORTIZ RAMOS 22 ANNI JHOSIVANI GUERRERO DE LA CRUZ 21 ANNI GIOVANNI GALINDES GUERRERO 20 ANNI JOSÈ ÀNGEL CAMPOS CANTOR 33 ANNI LUIS ÀNGEL ABARCA CARILLO 18 ANNI ALEXANDER MORA VENACIO 21 ANNI MIGUEL ÀNGEL MENDOZA ZACARIA 33 ANNI MARCIAL PABLO BARANDA 20 ANNI JOSÈ ÀNGEL NAVARRETE GONZÀLEZ 18 ANNI JULIO CÈSAN LÒPEZ PANTOLZIN 25 ANNI ISRAEL JACINTO LUGARDO 19 ANNI CARLOS LORENZO HERNANDÈZ MUÑOZ 19 ANN LUIS ÀNGEL FRANCISCO ARZOLA 20 ANNI CHRISTIAN TOMÀS COLÒN GARNICA 18 ANNI ADÀN ABRAJAN DE LA CRUZ 24 ANNI SAÙL BRUNO GARCIA CÈSAR MANUEL GONZÀLES HERNÀNDEZ MARCO ANTONIO GÒMEZ MOLINA ANTONIO SANTANA MAESTRO JORGE ANTONIO TIZAPA LEGIDEGÑO MAURIZIO ORTEGA VALERIO 18 ANNI JOSÈ LUIS LUNA TORRES 20 ANNI MAGDSALENO RUBÈN LAURO VILLEGAS 19 ANNI JORGE LUIS GONZÀLEZ PARRAL 21 ANNI DORIAM GONZÀLEZ PARRAL 19 ANNI EMILIANO ALEN GASPAR DE LA CRUZ 23 ANNI ABEL GARCÌA HERNÀNDEZ 21 ANNI NEMJAMÌN ASCENCIO BAUTISTA 19 ANNI FELIPE ARNULFO ROSA 20 ANNI JESÙS JOVANY RODRÌGUEZ TLATEMPA 21 ANNI ABELARDO VAZQUEZ PANITEN BERNARD FLORENS ALCARAZ ISRAEL CABALIERO SÀNCHEZ


I voltI del sacro

Gli studenti sono il sacro. erano studenti i ragazzi massacrati dagli isla-

misti di Boko Haram nel Nord della Nigeria. Quarantotto ragazzi, fra i 15 e i 20 anni, uccisi, a ottobre, da un kamikaze a Potiskum nello stato di Yobe. Boko Haram si oppone, con il sangue e la ferocia, a ogni educazione. sui giornali italiani, solo poche righe, sfuggite a quasi tutti. la Nigeria, in fondo, non esiste. Non conosciamo i volti dei ragazzi di Potiskum. Non sappiamo nemmeno dov’è questa cittadina. sono il sacro i quattro rabbini ebrei e il poliziotto uccisi a colpi di mannaia da ‘lupi solitari’ palestinesi in una sinagoga di Gerusalemme.

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I volti dei quarantatré studenti di Iguala, cittadina dello stato messicano di Guerrero, sono il sacro. avevano fra i 20 e i 23 anni. Uno di loro ne aveva trentatré. Forse era un insegnante. studiavano per diventare maestri. In una scuola rurale. a fine settembre, sono stati rapiti, fucilati, soffocati, bruciati. da una banda di narcotrafficanti, complici polizia e potere politico. le loro ceneri seppellite in discariche di rifiuti. In Messico, in un anno, sono scomparse, nel buco nero di una guerra oscena, 25mila persone. I ragazzi di Iguala sono il sacro dei nostri giorni. Quanti, qui, in Italia, sanno di cosa sta accadendo in Messico? Nessuno, qui, in europa immagina che là si sta combattendo ogni giorno.


sono il sacro le oltre 2660 vittime uccise dalle bombe di Israele sganciate su Gaza. Fra di loro vi erano oltre seicento bambini. di loro non conosceremo né il nome, né vedremo mai le foto. Non è vero, molte foto e alcuni video li abbiamo visti. li abbiamo dimenticati in fretta. sono il sacro i musulmani sunniti passati per le armi dagli islamisti dell’Is, massacrati perché non ne volevano sapere di un califfato ‘sanguinario e abusivo’. vittime musulmane come i cristiani, i turcomanni, gli yazidi, i curdi dell’Iraq. Questi uomini e donne, questi bambini, tutti loro, sono il martirio contemporaneo. tutti questi ragazzi e ragazze sono i santi della nostra modernità.

Guardate una delle foto del reportage sui ‘cristiani d’oriente’: vi è una veste da messa, un abito da prete celebrante appeso a un ulivo delle campagne di Betlemme. Questa foto è stata scattata nella valle di cremisan, l’ultimo varco libero dall’accerchiamento che imprigiona la città dove è nato cristo. l’esercito di Israele vuole spazzare via quegli ulivi per sigillare il suo Muro attorno a Betlemme. In Israele e in Palestina, ‘l’odio è vissuto come una fede’, scrive Bernardo valli. Il sacro della spianata delle Moschee o delle sinagoghe dei quartieri occidentali di Gerusalemme diventa territorio di guerra. le religioni sono diventate strumento di sangue. ‘e’ una tragedia che ci ferisce. che ci offende’.

Il nostro sacro è una ribellione contro l’oscenità di questa violenza. ora sono

i giorni delle feste più importanti del mondo cristiano, volevamo ricordarcelo anche con queste pagine. Una giovane fotografa friulana, linda dorigo, sta viaggiando da anni per le comunità cristiane del Medioriente. e’ lei ad averci convinto, con il dono delle sue immagini bellissime, ad affrontare un viaggio nel sacro. sono le sue foto a dirci di una testarda speranza alla quale ci aggrappiamo: che sia possibile una resistenza e una esistenza, che il mondo possa essere migliore, che si possa pregare in una sinagoga a damasco, in una moschea a tel aviv, in una chiesa nel Nord della Nigeria.

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le strade del sacro ci hanno portato, con la casualità di erodoto, sulle montagne più alte delle ande: Bruno Zanzottera, fotografo lombardo, ha seguito i pellegrini indigeni che, in nome di cristo, pregano il sole che nasce. Aldo Pavan, fotografo veneto, ha camminato fino alle sorgenti del Gange per vedere altri pellegrini arrampicarsi lungo sentieri impossibili pur di bagnarsi nel gelo di acque sacre. Giovanni Mereghetti, fotografo milanese, al contrario, non ha fatto molti chilometri, ha viaggiato per le pianure fra cremona e reggio emilia per raccontarci della bellezza della religione dei sikh indiani. le loro cerimonie sono sfarzose. la loro accoglienza è straordinaria. Vittore Buzzi, un altro fotografo milanese, è andato oltre


oceano, per essere nel giorno dei Morti a oaxaca e vedere gli scheletri danzare in una resurrezione gioiosa. Io sono andato a cercare la magnificenza delle grandi cerimonie ortodosse a lalibela, la città santa dell’etiopia, Gerusalemme nera, per narrare di un cristianesimo conservatore e tenace. Il mondo ha bisogno del mistero del sacro.

Questo numero attorno ci ha preso la mano. doveva essere il primo numero di ottanta pagine. In molti ci dicevano che, sul web, non ha senso fare una rivista di centosessanta pagine. Non ci riusciamo. si è dilatato, non sappiamo scegliere. tutto ci sembrava sorprendente. Non potevamo fare a meno dei sikh o di mostrare con Islam ed ebraismo si assomigliano quando i loro fedeli toccano le pietre. come sempre, può essere l’ultimo numero (davvero non ce la facciamo più), ma abbiamo cercato di farlo bene. e chi ci regala parole e immagini è stato generoso.

Il sacro non lascia indifferenti. a volte ho provato a pregare in mezzo al deserto. chinandomi

In Kosovo, in albania, a Istanbul ho visto donne e uomini musulmani invocare proprio sant’antonio. toccarne le vesti, sfiorarlo, quasi lucidarne la statua con una maglia. chiedevano di essere benedetti da un prete cattolico. Paolo Floretta, frate francescano, ci racconta di questa fede che ci stordisce. e’ lo spartito della speranza.

Andrea Semplici

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verso la Mecca, guidato da un amico tuareg. altre volte ho mormorato preghiere in un bosco della lucania. la bellezza mi dice che forse un disegno incomprensibile nel nostro essere al mondo esiste. allo stesso tempo riesco a intuire qualcosa che non capisco anche nella ferocia di scampia o nell’abbandono di tor sapienza. Mi commuove la devozione popolare di chi dona melanzane e pomodori alla Madonna di Polsi, là, in aspromonte, in una notte di danze e misticismo gridato. Mi piace salutare gli amici arabi con un leggero salamaleikum. ascolto i francescani salutarsi con ‘pace e bene’. Ho acceso candele nella sera di shabbat, recitato salmi fra le pietre dell’Hoggar assieme a un eremita vestito di bianco, camminato un rosario di fronte al check point numero 300 a Betlemme assieme a una piccola storia che non ha più lacrime per quanto accade in quella terra, a tirano ho guardato una donna piangere di fronte alla tomba di un papa bektashi, un sufi musulmano. Ho vissuto momenti di spiritualità profonda nella preghiera di un sacerdote voodoo ai confini fra dominicana e Haiti e ho sorriso di fronte alla camicia di un prete togolese: era colorata con Madonne fosforescenti. Posso anche dire che non ho visto il sacro nelle folle in estasi a Medjugorje, né nel cipiglio di padre Pio. e l’ho ritrovato quando ho sentito una suora, a Gerusalemme, raccontarmi: ‘Preghiamo per stancare dio. vogliamo che ci ascolti, che ci sia pace in questa terra’. e’ la stessa cosa che un parroco francescano invitava a fare a taranto: ‘Non lasceremo in pace sant’antonio. abbiamo bisogno di lui’.



PataGoNIa

Gli antenati del popolo tehuelche hanno impresso migliaia di mani sulle pareti di una grotta che, noi, contemporanei, non potevamo che chiamare cueva de las manos. Patagonia centrale, regione di santa cruz, il rio Pinturas aggira un monolite di roccia e fa da scenografia a questo luogo formidabile. Mani sinistre, mani in negativo, realizzate con materiali minerali. le mani più antiche risalgono a 13mila anni fa. le più recenti sono state disegnate poco più di novemila anni fa. Invocazioni a divinità sconosciute? Grido di un popolo? rito di iniziazione verso l’età adulta? Fra le mani appaiono immagini del sole e degli animali delle steppe patagoniche. vita quotidiana e, forse, ingenuità del soprannaturale. la grotta, ci piace pensare, era il sacro di una protostoria lontana da noi. le mani come strumento di passaggio dall’umano al divino.

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mani

Per GlI deI scoNoscIUtI


Il sacro è toccare Matera

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ci sono dei momenti in una festa che vanno oltre la tradizione. la devozione dei fedeli per la Madonna della Bruna e per il suo Bambino vissuta nella chiesa di Piccianello, quartiere di Matera, conserva una memoria lontana. Un fiume di gente in preghiera attende il loro arrivo. Mani che sfiorano e occhi che cercano il Bambino. tutti in fila, tutti in silenzio e in attesa del proprio momento. dopo la benedizione, la gente sparisce. Gambe sotto i tavoli, pasta al forno e agnello. la festa, per qualche ora, prende fiato. Poi una immensa processione ricondurrĂ la Madonna verso la sua casa. Foto e testo di Antonio Sansone

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vIvI e MortI

roMaNIa

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Marius ha la romania negli occhi, luminosi e profondi. con lui abbiamo percorso oltre 1700 km, a Babadag, che in turco significa “Montagna del santo”, ci fermiamo, ospiti in case costruite nel periodo del regime di ceausescu, lungo la “strada republicii”, la strada principale che taglia e attraversa la città. dall’altra parte la cattedrale di san demetrio. è domenica mattina e gli ortodossi vivono questi luoghi di culto, si affollano intorno all’altare, pregano in gruppo o si isolano rivolti verso icone che abbelliscono l’interno della chiesa. si entra e si esce, ci si affolla al chiostro per comprare un santino da regalare, da appendere alla macchina o da conservare nel portafoglio e due candele: una per i “vII” e una per i “Morti”.

Testo e foto di Alessio Duranti

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Il MUro deGlI eBreI GerUsaleMMe

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Il volto verso il Kotel, il Muro occidentale, il Muro del Pianto. Gli ebrei vi si avvicinano in estasi e in preghiera. oscillano, ondeggiano, recitano pagine della torah. al sabato, giorno sacro, la spianata del Muro (qui sorgeva un quartiere arabo) si riempie delle vesti neri degli ebrei ortodossi. Il Kotel è quanto rimane delle fondamenta del secondo tempio di Gerusalemme, distrutto dall’imperatore tito nel 70 dopo cristo. Gli ebrei narrano della loro sofferenza divina. Un uomo appoggia la sua mano al Muro. lascerà un minuscolo biglietto in una sua fessura.

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Il MUro deI MUsUlMaNI GerUsaleMMe

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al venerdì, giorno dell’Islam, i ragazzi palestinesi cercano di raggiungere la spianata delle Moschee, vogliono pregare ad al-aqsa, ‘la moschea Ultima’, uno dei luoghi sacri a dio. la polizia e l’esercito sbarreranno il loro cammino. ci saranno tafferugli, tensioni, botte. Ma, a mezzogiorno, quando si alza la voce di chi guida la preghiera, ragazzi e ragazze trovano un vicolo nascosto, ne ascoltano le invocazioni. e allora si inginocchiano di fronte ad allah. si prostrano a terra. le mani sulle pietre di Gerusalemme, la loro città.


Il rIto deI sUFI FIreNze

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“Il numero di mesi per allah è dodici (menzionati) nel libro di allah il giorno in cui creò i cieli e la terra. tra questi (dodici mesi) ve ne sono quattro santificati”. Uno di questi è il Muharram e il decimo giorno del mese lunare è ashura. capodanno, inizio del nuovo percorso, rottura del digiuno. si festeggia assieme così come dopo il diluvio. tutti condividono il dolce che viene offerto alla comunità dall’Iraq all’Indonesia, dalla Jamaica al Poderaccio (campo nomadi di Firenze). Un unico messaggio: per costruire una società armoniosa, senza conflitti, pur mantenedo ogni individuo la propria cultura, è necessario preparare il piatto insieme. Foto di Massimo D’Amato Testo di Isabella Mancini

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Il sorrIso dell’ aNIMa tHaIlaNdIa MoNacI BUddHIstI

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osservare. Forse un mondo antico. Forse una necessità interiore. Mulini di preghiera, mistici pellegrini, volti scavati. Monaci con le mani intrecciate. la spiritualità che avvolge. Il bisogno di qualcosa che manca. attimi fugaci da comprendere. lunghi silenzi di riflessione. si apre una finestra. Il sorriso dell’anima. Foto e testo di Giovanni Mereghetti

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GlI sPIrItI del voodoo Isola doMeNIcaNa

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I bateyes sono gli antichi villaggi-dormitori dei tagliatori della canna da zucchero alla frontiera fra dominicana e Haiti. luoghi senza nome. chi vi vive qui è materiale di scarto dell’umanità. Ma qui, più che altrove, c’è dio. Il dio dei cristiani e il dio dei neri haitiani: è una buona convivenza. Ilio, trent’anni, è sacerdote del voodoo. alza la mano e parla con i misterios, gli spiriti che possono intercedere presso dio. Ilio invoca crimi Nel, tonnere, Map Banou Medou, divinità benevolenti. e poi lancia uno sguardo di compassione a un cristo sanguinante e a Madonna nera dal volto scarificato.

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CRISTIANI IN ORIENTE CRONACHE DAL KURDISTAN

L’INVERNO DI ERBIL DIECI ANNI FA, IN IRAQ VIVEVANO UN MILIONE E MEZZO DI CRISTIANI. OGGI SONO POCO PIÙ DI TRECENTOMILA. UNA FUGA IN MASSA, UN ESODO BIBLICO. IL RACCONTO DI IMAN, UNA GIOVANE DONNA SFUGGITA ALLE MILIZIE DELL’IS. ‘VORREI CHE CHI CHIEDE DI RESISTERE PROVASSE A VIVERE SOLO UNA SETTIMANA QUI’.

fotografie di Linda Dorigo testo di Bianca Brien


TURCHIA, le rovine armene di Ani


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PALESTINA, tra Ghilo e Arghilo, due insediamenti israeliani. Messa sotto gli ulivi.


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cristiani in oriente

‘è

come se la mia vita si fosse fermata’, raconta Iman, una giovane donna di 23 anni che da quattro mesi vive, se cosi si può dire, nella sala proiezioni della chiesa di san Giuseppe assieme ad altre venticinque persone. e loro sono tra i fortunati: la maggior parte degli oltre quattrocento sfollati cattolici che hanno trovato rifugio nei giardini della chiesa è accampata in tende che a ogni acquazzone si riempiono di acqua. vivono tra le aiuole della parrocchia, ma a pregare in chiesa oggigiorno ci vanno in pochi. Una famiglia raccolta davanti alla tenda barcollante dove vivono accalcati, mi accoglie con cortesia e un po’ di diffidenza. Non sono la prima a essere passata a vedere come vivono gli sfollati cristiani. ci sono tanti bambini di tutte le età e anziani con il volto cupo. la nonna alza le braccia e indicando il cielo chiede con rabbia: ‘che fine ha fatto?!’. sono circa centomila i cristiani che, dal giugno scorso, hanno trovato rifugio a erbil, la capitale della regione autonoma del Kurdestan Iracheno. Molti vivono accampati intorno alle chiese di ainkawa, il quartiere cristiano, tanti altri hanno trovato rifugi di fortuna nelle scuole o in edifici non completati, centinaia hanno occupato quello che doveva diventare un supermercato. Il recente esodo delle minoranze presenti in Iraq è cominciato dopo che Mosul era stata occupata dall’IsIs. I combattenti salafisti avevano concesso un giorno alle minoranze cristiane per scegliere tra tre opzioni: convertirsi all’islam, pagare la jizya, la tassa di protezione, o morire. In agosto l’offensiva si era estesa al resto della zona costringendo l’intera comunità alla fuga verso zone piu sicure. si erano uniti nella fuga decine di migliaia

IRAN, chiesa di San Taddeo


GERUSALEMME, antica Bibbia etiope

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di Yazidi considerati politeisti, turkmeni e shiiti ritenuti eretici. Nella chiesa di san Giuseppe di ainkawa, sono tutti di Qarakosh, un paese a est di Mosul dove la comunità è presente dal primo secolo. Nel 2003, vi erano un milione e mezzo di cristiani fra caldei, siriaci e armeni. erano il 5% della popolazione irachena. oggi sono meno di trecentomila. sotto saddam i cristiani non avevano sofferto particolari persecuzioni ed erano stati trattati alla stessa stregua dei sunniti. I guai per loro erano cominciati con l’invasione americana del 2003 quando erano stati visti come complici di una nuova crociata contro l’Islam. ‘siamo fuggiti abbandonando tutto - racconta Iman - e mano mano che passano i giorni ci accorgiamo che é sempre piu improbabile che possiamo tornare a casa: siamo ora rifugiati nel nostro stesso paese’. Quello che doveva essere una soluzione temporanea di emergenza si é trasformata in una situazione definitiva. ‘In quattro mesi non è cambiato nulla. ogni tanto passa qualcuno della chiesa a fare domande, altre volte sono giornalisti, ma poi rimane tutto uguale”. Il marito di Iman, un poliziotto con gravi dolori alla schiena, non vede uno stipendio da mesi. Hanno due figli e ora Iman è nuovamente incinta. ‘Qui ci danno del cibo, della pasta del riso, un po’ di olio’. apre uno dei cartoni che delimita il territorio delle tre famiglie che condividono lo spazio. ‘Il resto, le verdure, i pannolini, persino il gas per fare andare i fornelli dobbiamo comprarlo noi. Io, come tanti altri, ho gia venduto tutto l’oro che avevo’. Uno dei suoi vicini mi mostra sullo schermo del suo cellulare una serie di riprese di un bel cortile con fontana. scherzando con un misto tristezza accetto il suo invito ad andarlo a trovare un giorno nella sua bella casa di alquosh, inshallah. ‘e poi guarda quanti bambini, nessuno di loro va a scuola’, racconta ancora Iman. sono solo quattro a erbil le scuole che offrono un’educazione in


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GIORDANIA, cimitero a Smakieh


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IRAN, convertito al Cristianesimo

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arabo, una lingua che i curdi oramai parlano sempre più raramente e non posso assorbire l’ondata di ragazzi. Il governo curdo ha accolto la comunità cristiana con generosità, ma ha chiarito che non si sarebbe accollato nessun onere. Il Kurdestan ospita piu della metà del milione e ottocentomila sfollati in Iraq e continua a non ricevere i fondi promessi da Baghdad. la risposta umanitaria delle organizzazioni internazionali é stata finora molto lenta, sono pochi i campi di accoglienza completati e gli operatori sul terreno non sono sufficienti. l’arcivescovo Warda, oltre a denunciare la discriminazione nella distribuzione degli aiuti da parte del governo centrale, ha sottolineato come finora le autorità religiose islamiche del paese ‘hanno mancato di condannare inequivocabilmente la violenza perpetuata in nome dell’Islam e l’espulsione dei cristiani dalla loro terra biblica’. ‘Non si vede la fine di questa situazione - dice ancora Iman non c’è lavoro, non ci sono soldi. la gente è depressa, la tensione sale, si litiga per un nonnulla. Per l’acqua, per i bagni sporchi, per le coperte. ci sono state consegnate due coperte per famiglia e chi dorme in tenda di notte ha freddo’. le latrine sono insufficienti e sporche, messe su rapidamente in un angolo del giardino della diocesi, una delle cinque doccie disponibili ha la porta sfondata. ‘Non tutti capiscono che l’igiene é importante ma come si fa a convincere la gente a dare una mano?’. Nel campo improvvisato manca chiaramente una gestione esperta e i problemi si aggravano man mano che passa il tempo e si abbassa la temperatura. a Iman mancava un anno per qualificarsi come infermiera. “vorrei tanto finire gli studi e poi cominciare a lavorare e si che avremmo bisogno di un entrata. Ma qui non conosco nessuno, non so come muovermi, non capisco nemmeno la lingua.” ‘Il mio sogno è andare un giorno a roma e vedere san Pietro’, mi confessa. Iman vorrebbe emigrare ma solo chi è benestante è finora riuscito a partire. I numeri degli allievi della scuola elementare privata gestita dalle suore sono diminuiti. chi ha i mezzi ha anche famigliari che facilitano l’emigrazione, nonché risorse per ottenere visti. ‘Io non ho nemmeno il passaporto’, si lamenta Iman. alcuni incantati dalle promesse dei paesi occidentali hanno venduto quel poco che avevano e sono andati a registrarsi come rifugiati in turchia: passate alcune settimane, dopo aver speso una fortuna in alberghi si sono sentiti dare un appunta-


GIORDANIA, Maktass il giorno della prima comunione

KURDISTAN SIRIANO (ROJAVA) GHARDUKA, chiesa distrutta dai combattenti di Jabat al Nusra


BAGHDAD, chiesa di santa Maria

BETLEMME, chiesa della NativitĂ


IRAN, SALMAS, chiesa ricavata da una vecchia stalla tra i boschi

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mento per il 2019 e sono tornati in Iraq. I vertici della chiesa spingono affinché la comunità resista e rimanga ma la gente è sempre piu’ disillusa, solo il consolato francese ha ricevuto decine di migliaia di richieste di visti dopo aver rilasciato dichiarazioni ventilando l’offerta di asilo politico. ‘Mi piacerebbe che chi parla di resistere venisse a trascorrere non un anno, non un mese, ma solo una settimana qui’ mi dice il parroco di una chiesa a Kirkuk divenuta ormai l’ultima frontiera a sud del Kurdestan. ‘Nella periferia di Kirkuk ci sono interi villaggi cristiani in vendita’ racconta Marilyn un’infermiera che lavora nell’opedale principale della citta. Il valore delle case è precipitato. tutti sognano di vendere e poi andare all’estero.’ con tutti gli sfollati che arrivato dalle zone di conflitto e che fuggono dai bombardamenti delle forze governative e quelli piu recenti della coalizione occidentale, gente interessata a stabilirsi nelle nostre case non manca. Ma il problema è che i potenziali acquirenti sono arabi sunniti e una legge creata per proteggere gli insediamenti cristiani in questa zona impedisce a chi è di un’altra fede di stabilirsi qui’. Marilyn, che ha famiglia in canada, si prepara a partire a gennaio per la Giordania dove sono oltre quattromila i cristiani che si sono già trasferiti nella speranza di ottenere un giorno un visto per un paese occidentale che li accolga. ‘ci vorranno un paio di anni, spiega Marilyn che non potrà lavorare durante il suo soggiorno. ‘Noi iracheni in Giordania non possiamo ottenere il permesso per lavorare. Non so come farò a resistere, ma questo è il prezzo da pagare per una vita futura’. Il vescovo greco ortosso Gattham Hazim ha di recente dichiarato che di seicento famiglie che vivevano a Baghdad ne rimangono solo trenta e meno di dieci famiglie resistono a Mosul ormai sotto controllo dell’IsIs. ‘Io non credo che questa sia una campagna diretta contro i cristiani. l’Islam è una religione che racchiude forme molto diverse e che è anch’essa minacciata’, avverte Hazim che teme che ‘è l’eredità culturale di tutta la regione ad essere a rischio’.


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BIANCA BRIEN, 27 anni, giornalista free lance, ha lavorato e vissuto in Medio Oriente. In Iraq da qualche mese osserva, impotente, l'evolversi di una catastrofe.

LINDA DORIGO, friulana, 31 anni, fotografa, giornalista e documentarista. Si occupa di minoranze etniche e religiose, questioni di genere, in Medio Oriente. Collabora con numerose testate internazionali (Marie Claire, Der Spiegel, Le Monde, L’Espresso, Figaro) e con l’associazione Kineo per la ricerca e lo sviluppo audiovisivo. Ha realizzato il film “Safar-e-sabz” dedicato all’Iran contemporaneo. Nella prossima primavera uscirà il libro fotografico “Rifugio” (Schilt Publishing): è il racconto di tre anni di ricerche sulle comunità cristiane del Medio Oriente. Nata a Tolmezzo, oggi vive tra Roma e la città irachena di Sulaimaniya.


ROMA

UNA DOMENICA IN PIAZZA SAN PIETRO Testo di Alberto Bile Fotografie di Alessandro Lanzetta

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l sole non è ancora sorto e già decine di pellegrini cantano e suonano, proteggendosi dalla pioggia sottile sotto il colonnato nord di Piazza San Pietro.

Oggi non è giorno di Angelus, tradizionale messa domenicale del Papa, ma di canonizzazioni: quattro italiani e due indiani. Evento sempre meno straordinario: dal pontificato Giovanni Paolo II si parla di “fabbrica dei santi”, strumento utile a consolidare la fede in

comunità vicine e lontane.Nelle vie circostanti, a Borgo Pio, ci si prepara ad accogliere turisti e fedeli: menu con carbonara a dieci euro, statue, rosari, tuniche. Ma anche la focaccia alla mortadella del vecchio forno, dove la proprietaria assicura: «con Papa Fran-

cesco ce stanno clienti a secchi».Su molti scaffali è in vendita la “Misericordina”, un “medicinale spirituale” pubblicizzato direttamente dal Papa durante un Angelus nel novembre 2013. Nella scatola: un rosario, un'immagine di Gesù e un foglietto illustrativo


(È un medicinale spirituale il quale fa arrivare la misericordia nell'anima. Lo si avverte tramite la tranquillità al cuore, la gioia esterna e il desiderio di diffondere il bene. L'efficacia del medicinale è garantita dalle parole di Gesù). La piazza si riempie. Ovunque

croci. Piccole, grandi, colorate, brillantinate. Su vestiti, gioielli, cartelli. Così il popolo di Dio sfoggia con gioia uno strumento di morte. Carlos Fuentes ha scritto: Allo stesso modo potremmo adorare una sedia elettrica. Potremmo collocare una forca sull'altare. Potremmo

portare una ghigliottina in processione. Tantissime bandiere indiane; poi ecuadoregni, spagnoli, polacchi, argentini, croati, brasiliani, peruviani, statunitensi. Oltre a guardie svizzere e gendarmi pontifici, che invitano tutti a sedersi.


Prima dell'inizio della cerimonia, suonano a lungo musiche solenni. Una suora ecuadoregna piange a dirotto. Una fedele spagnola ripete ossessivamente: qué nervios! Ovunque, scatti: macchine professionali, compatte, cellulari. Selfies sorridenti, selfies con bastone allungabile. Bisogna congelare il momento, per esporlo sulla credenza di casa in Brasile, in India, in Polonia. Ma c'è anche il raccoglimento di una parte silenziosa, che qui si sente protetta e unita. Nella fila per il bagno, due anziane a colloquio, un'italiana e un'indiana. Benvenuta, dice la prima. L'altra ride.

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Gli altoparlanti intimano di non sventolare bandiere e di prestare silenzio durante la messa. Così, quando finalmente il Papa compare sull'altare, l'applauso è timido. Grandi maxischermi proiettano i volti di protagonisti e spettatori. Francesco tossisce e qualcuno urla: Cuidateeee, riguardati. Prelati di varia provenienza, se inquadrati, salutano divertiti; un prete benedice la folla con aria austera; una suora, pescata poco dopo la comunione, trattiene a stento il sorriso. In un riquadro, una donna spiega in linguaggio dei segni. La messa dura un'ora e mezza, perlopiù cantata. Il libretto, distribuito all'ingresso, permette di seguirne tutti i passaggi, con

traduzioni da latino, greco, inglese, italiano e spagnolo. Nella preghiera universale, letture in cinese, malayalam, ucraino e portoghese. Al segno di pace tutti salutano tutti e la comunità si salda. Finita la messa, ci si accalca dietro transenne per la passerella. Da lontano, al di sopra del mare di teste, cappelli e bandiere, un piccolo uomo in

bianco vola con un braccio alzato. Al suo passaggio, la folla si agita come un'onda. Si sta avvicinando. I gendarmi intimano di scendere dalle sedie ai fedeli pronti a scattare. Arriva Francesco sulla Papamobile, veloce, sorridente, buffo. Lascia al suo passaggio sollievo e gioia. Ma c'è chi non perdona un cartello alzato di fronte all'obiettivo al momento


lonne, le statue armate, la Basilica e la piazza stesse. Una ragazza leccese confessa un po' imbarazzata che ancora non sa se crede, se le piace tutto ciò. Deve tornare a casa e pensarci. Il suo sguardo è illuminato dai dubbi.

ALBERTO BILE, 27 anni, reporter freelance. Studia tra Napoli, Bologna, Salamanca, Barcellona e Bogotà, prima di seguire il Master in Reportage di Viaggio a Roma e lavorare al Festival della Letteratura di Viaggio. Esperienze passate, interessi presenti e progetti futuri tra America Latina e Mediterraneo. Ha un sito, www.ovunquevada.com, e una pagina FB, OvunqueVada. ALESSANDRO LANZETTA, 33 anni, ha lavorato in progetti umanitari e di sviluppo. Per lui il viaggio é anche lavoro e Erodoto é un piacevole modo di scoprire nuovi mondi.

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fatidico. La piazza si svuota lentamente, e la gente si riversa nelle strade circostanti per la carbonara e i souvenir. Più convinta, più fedele. Nella sua omelia, Francesco ha ricordato il “mistero” della fede. Su questo “mistero”, la Chiesa sembra avere costruito certezze: il fedele che canta con tono compiaciuto anticipando i passi, il ritmo delle co-


FIRENZE

TRA I DERVISHI FIORENTINI di Leonardo Landi

La ritualità quotidiana dei mistici dell'Islam nel campo rom del Poderaccio. Le vie dall’avvicinamento a Dio hanno tanti percorsi


“Q

Baba Gevat in preghiera Poderaccio, Firenze 2014, Foto di Luca Hosseini

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uesta brava gente passa diverse ore a danzare pestando con forza i piedi […]. Cantano su toni diversi un'eterna litania che ha per ritornello: - Allah hay! - vale a dire -Dio vivente! [...]. In capo a un'ora di questo esercizio, qualcuno entra in uno stato di eccitazione che lo rende melbus (ispirato). Allora si rotolano a terra e hanno visioni beatificanti”. Così narrava il viaggiatore francese Gerard de Nerval nel 1851, descrivendo una cerimonia sufi ad Istanbul. Oggi non è necessario intraprendere un lungo viaggio per assistere a queste forme di misticismo religioso, basta recarsi in un campo rom alla periferia di Firenze. Pregiudizi, equivoci e ignoranza impediscono spesso di conoscere ciò che avviene nelle città italiane ma forse questi scatti, realizzati da Massimo d'Amato, una decina di anni fa, e da Gabriele Berti e Luca Hosseini, durante il 2014, possono aiutarci a scoprire una realtà a noi così vicina, ma sconosciuta.


Raccogliemento in preghiera. Poderaccio, Firenze 2001 Foto di Massimo D’Amato

PER CHI FOSSE INTERESSATO AD APPROFONDIRE L’ARGOMENTO ERODOTO108 • 9

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possiamo consigliare gli ottimi volumi della collana Simorg dell’editore Mimesis o anche la recente edizione italiana di un classico degli anni ’70: Trimingham S., Gli ordini sufi nell’Islam, Controluce, Nardò (LE), 2014. Una buona introduzione, semplice, ma esaustiva si può trovare in Ernst C., Il grande libro della sapienza sufi, Mondadori, Milano, 2000. Il testo più completo sull’argomento resta comunque il volume in francese: Popovic A., Veinstein G. (a cura di), Les Voies d’Allah, Fayard, Paris, 1996.

Nelle baracche del campo del Poderaccio, infatti, vive una confraternita di dervisci che pratica una ritualità quotidiana con le 5 preghiere canoniche dell’Islam, il digiuno di Ramadan, la preghiera collettiva del venerdì, ma anche, tutti i sabato sera, con la cerimonia sufi dello zikr, simile a quella descritta da de Nerval. Zikr deriva dall’arabo dhikr che significa ricordo ed è il cuore delle pratiche sufi.Il sufismo è la via mistico- esoterica dell’Islam. Il suo scopo è il controllo dell’ego individuale e l’avvicinamento a Dio. Le tec-

niche spirituali sono tramandate direttamente dai maestri (detti Shayk) ai discepoli. Il sufismo è presente in tutto il mondo islamico. Gli esercizi spirituali, pur variando moltissimo da paese a paese e da confraternita a confraternita, sono basati sulla ripetizione dei nomi di Dio con tecniche codificate di concentrazione e di respirazione. Spesso i rituali sono accompagnati da musiche che permettono di realizzare danze sacre. Le pratiche si fondano sulla concezione degli “stati spirituali” come tappe di un cam-


permesso di praticare i riti anche di altre confraternite. Dopo l’incontro con uno Shayk turco ha ricevuto l’autorizzazione per insegnare gli esercizi spirituali di Qadirya e Rifaya, in Bosnia quella dell’ordine Naqsbhandya. In Italia, tra la popolazione immigrata, sono presenti molte confraternite sufi, le più numerose sono probabilmente quelle senegalesi, ma ne esistono di arabe, turche, pakistane ed anche alcune di dervisci italiani che hanno ricevuto l’iniziazione in qualche paese islamico.

Donne in preghiera Poderaccio, Firenze 2014, Foto di Gabriele Berti

LEONARDO LANDI Speaker radiofonico ed educatore di strada , collabora da oltre venti anni con riviste e giornali su tematiche relative a culture popolari, musica, immigrazione e politiche sociali.

PO DROM, IN VIAGGIO CON BABA GEVAT Un viaggio video, un documentario per raccontare una confraternita di Dervishi Rom attraverso la propria guida spirituale. Dalla Macedonia all’Italia, Baba Gevat, maestro sufi del popolo rom Khorakanè (rom mussulmani della Macedonia), racconta in una lunga intervista il suo viaggio fisico e spirituale per avvicinarsi alla “Realtà divina”. Il lavoro è ancora in fase di realizzazione a cura di Gabriele Berti e Luca Hosseini e sarà corredato da un libro, a firma di Leonardo Landi, con una sezione introduttiva sul sufismo balcanico e rom. Il video è il risultato di tre anni di lavoro tra Firenze e Suto Orizari che hanno permesso di mettere a fuoco la dimensione del sacro nei campi rom.

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mino per avvicinarsi alla realtà divina. I sufi riconducono l’origine degli insegnamenti al Profeta Muhammad ed ai suoi compagni più intimi, ma l’organizzazione in confraternite risale al XII secolo. Ogni ordine prende il nome dal suo fondatore: Qadirya da Ab el Qader al Gilani, Rifaya da Ahmed Rifai, Mewlewya da Mewlana Jalal u Din Rumi, Khalwatya da Omar Khalwaty. I rom di Firenze, originari dell’ex-Juogoslavia, appartengono all’ordine Khalwatya, ma lo Sheik, Baba Gevat, ha ottenuto il


I SIKH IN ITALIA TURBANTI COLORATI SUGLI ARGINI DEL PO

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Da oltre vent’anni, le campagne della pianura Padana sono abitati da nuovi bovari: arrivano dal Punjab, sono diventati esperti di parmigiano e di allevamenti di vacche, lavorano duramente e alzano i loro grandi templi a ridosso del più grande fiume italiano. La loro religione è mistica ed egualitaria. Le loro cerimonie sono sfolgoranti di bellezza.

Foto di Giovanni Mereghetti Testo di Antonio Alberi


P

I Sikh, con i loro turbanti e le barbe folte che non possono tagliare, sono una comunità forte, solidale, orgogliosa. Si sbrogliano da soli i problemi. La rete familiare chiama i parenti dall’India, aiuta a trovare un lavoro, una casa. E i Sikh lavorano con tenacia. Nelle immagini un matrimonio Sikh

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iccole storie della Bassa Padana. Qui gli argini del Po chiudono l’orizzonte e cascinali immensi, dai mattoni rossi, affiorano dai confini della pianura. Il fiume, sfiorata Cremona, si allarga in una grande curva verso le campagne parmigiane. E’ l’ora della pausa per il lavoro nelle stalle e nei campi: braccianti e operai agricoli, bovari e commercianti bighellonano verso le osterie dei paesi. Queste campagne sono un buon posto per lanciare sguardi sul nuovo mondo etnico della Bassa. ‘Senza gli indiani tu non mangeresti questo grana, capisci’, mi spiegò già dieci anni fa un allevatore cremonese. Oggi è ancora più vero. Nessuno, due decenni fa, voleva più fare il bergamino, i bovari che calavano dalle valli bergamasche per lavorare nelle fattorie della più grande pianura italiana. Nessuno voleva avere a che fare con la merda (e il latte) delle vacche. Alla fine degli anni ’80, i primi Sikh, in fuga dalle guerre nelle loro terre, trovarono lavoro come inservienti nei grandi circhi che, in inverno, trovavano rifugio sulle sponde del Po (Aristide Togni, nel 1872. aveva fondato il suo circo a era originario di Rio Saliceto, paese del reggiano). Erano svegli, i Sikh: capirono in fretta che, in questa terra, il lavoro non mancava. La pianura padana era simile al loro Punjab, la terra dei cinque fiumi, uno dei granai dell’India. Non solo: avevano la stessa etica del lavoro e della famiglia degli agricoltori emiliani. Accadde così che i vecchi cascinali padani, fra Reggio Emilia e Cremona vennero abitati nuovamente da migliaia di Sikh


S IK H, IL D IS C EP OLO

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La parola Sikh significa ‘discepolo’. Il Sikhismo è uno degli ultimi, grandi monoteismi religiosi della storia dell’umanità. Un Sikh crede in un solo Dio e nell’insegnamento dei dieci Guru, i Maestri. La nuova religione nasce, nel XV° secolo, nel Punjab, regione oggi divisa a metà fra India e Pakistan. Nanak, il primo Guru, è nato nel 1469 a Talwandi, villaggio non lontano da Lahore. Il Sikhismo consente un rapporto diretto fra i fedeli e Dio. Non è necessaria la mediazione di una casta sacerdotale. Dio è Akal Purakh, ‘al di là del tempo’. Non ne è consentita nessuna raffigurazione. I Sikh cercano il namamarga, la ‘via verso Dio’. Un codice di condotta, il rahit maryada, ne ispira il comportamento: la loro vita è sobria, riservata, spesso ascetica. Famiglia e lavoro sono valori saldissimi. Il successo economico (i Sikh hanno tradizione di mercanti) fa parte di un’etica che riesce a tenere assieme un forte misticismo religioso a un impegno positivo nel mondo. Nove Guru guidarono i Sikh dopo la morte di Nanak. L’ultimo Goving Singh (1666-1708) non volle successori: l’autorità spirituale passò al libro sacro della teologia Sikh, il Guru Granth Sahib, ‘il nobile libro che è Signore e Maestro’. Era stato compilato, nel 1604 dal quinto Guru, Arjan: raccoglie, in 339 pagine e 4.492.672 parole, gli inni-preghiera dei guru Sikh. Il potere temporale Sikh, dalla morte dell’ultimo Guru, appartiene alla ‘comunità dei puri’, ai membri della confraternita della Khalsa.

Restano legati alla loro storia e alla loro religione. A Novellara, nella zona industriale, nel 2000, sorse il più celebre dei Gurdwara italiani, uno dei templi Sikh più importanti d’Europa. Nel 2011, a Pessina Cremonese, è stato inaugurato il più grande tempio Sikh del continente. Le comunità Sikh organizzano grandi cerimonie pubbliche: i loro cortei, nel giorno sacro di Bahisack (cade ad aprile e ricorda la fondazione della confraternita della khalsa, ‘la comunità dei puri’), attraversano alcune città italiane e i fedeli ortodossi impugnano, con le autorizzazioni della questura, spade e pugnali. In ogni tempio, i visitatori sono accolti come ospiti graditi: nelle grandi cucine comuni, i langar, vengono offerti cibi vegetariani. Attorno ai Sikh, comunità padana, è nata una geografia fitta di negozi, bazar, venditori di cibo vegetariano, di dischi, di film indiani, di stoffe, di thè. Gli antennisti montano parabole capaci di afferrare programmi indiani. Nelle loro case, i volti dei dieci Guru occhieggiano


FR A PA RM IG IAN O E RO S ETTA, I S IKH S O NO U N P OP OL O DE LLE C AM PAG NE

Cortei sikh nel giorno sacro di Bahisack

Nel 1990 erano solo sedici, i Sikh che vivevano nelle campagne attorno a Cremona. Venticinque anni dopo sono almeno cinquemila. Un immigrato su cinque, nel cremonese, è di origini indiane. Almeno 70mila gli indiani di religione sikh presenti in Italia. Solo in Inghilterra, in Europa, i Sikh sono più numerosi. Cremona, Brescia e reggio il triangolo italiano che li ha accolti.Sono almeno trentatré i Gurdwara, luoghi di culto di questa religione. Il più celebre, inaugurato alla presenza di Romano Prodi, si trova a Novellara, in provincia di Reggio Emilia. A Pessina Cremonese, meno di ottocento abitanti, vi è il più grande tempio sikh d’Europa. Se nel Nord Italia e nel Lazio lavorano nelle aziende agricole in alcuni paesi dei castelli romani (a Cori, a Genziano o Ardea) i sikh fanno i panettieri: la celebre rosetta è, spesso, infornata da uomini con la lunga barba e il turbante.

fra soprammobili-ninnoli. I ragazzi giocano a videogame sotto l’occhio vigile del maestro Nanak. In inverno, nella nebbia padana, processioni di Sikh camminano sugli argini dei fiumi e dei canali. Nelle cascine di ‘Novecento’ spuntano, ovunque, ‘turbanti che non turbano’. Chissà che film girerebbe Bernardo Bertolucci sulla Padania di oggi?

GIOVANNI MEREGHETTI 52 anni, fotogiornalista milanese. Free-lance dal 1980. Ama i reportage geografici e sociali. Ha viaggiato dalla Cambogia al Sahara. Ha documentato l’immigrazione a Milano negli anni ’80 e il lavoro minorile in Malawi. Autore di numerosi libri. Fra gli altri: ‘Nuba’ per Bertelli; ‘Da Capo Nord a Tombuctou…passando per il modo’ sempre per Bertelli e ‘Veli’ per Les Cultures.


SEÑOR DE QOYLLUR RIT’I

FOTOGRAFIE E TESTO DI BRUNO ZANZOTTERA


STELLA DELLA NEVE

PERÙ IL PIÙ GRANDE PELLEGRINAGGIO INDIGENO DELL’AMERICA


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In questa e nella pagina precedente: In questa e nella pagina precedente: gruppo di pellegrini nei panni di Ukukus, i leggendari figli di un lama maschio e una principessa, spiriti della montagna a cui è


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affidata la protezione di uomini e animali, affrontano la salita al ghiacciaio sacro Sinakara. L’immensa processione si arrampica ben oltre i cinquemila metri di altezza.


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Centinaia e centinaia di pellegrini camminano giorno e notte, seguendo la grande croce del Signore di Tayancani.


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Vogliono raggiungere il piccolo santuario dedicato al Cristo della montagna.


gni anno, in Perù, la prima settimana di giugno, nel distretto cusqueño di Ocongate, si celebra il rituale del Señor de Qoyllur Rit’i, la ‘Stella della neve’, in lingua quechua. Festa immensa, coraggiosa, capace di sfidare le montagne, di arrampicarsi fino in cielo. Qui si incrociano, in un sincretismo straordinario, il cristianesimo popolare del latinoamerica e il mondo andino con i suoi riti di fertilità e di adorazione del sole, eredità viva delle antiche popolazioni precolombiane. Il pellegrinaggio è un cammino impossibile per raggiungere il ghiacciaio Sinakara. Qui si trova il santuario del Señor de Qoyllur Rit’i. I pellegrini vogliono rendere omaggio a un dipinto del Cristo, comparso miracolosamente, secoli fa, sopra una roccia.

O

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Nel secondo giorno della cerimonia, gruppi di Ukukus, esseri mitici, spiriti della montagna, figli di un lama maschio e una principessa inca, salgono sul ghiacciaio, sono a oltre cinquemila metri e portano croci, fanno offerte al cielo, pregano. Gli Ukukus hanno il compito di proteggere gli uomini della montagne. Fino a pochi anni fa i pellegrini riportavano a valle, in spalla enormi blocchi di ghiaccio per bagnare le loro terre con l’acqua sacra della montagna. E’ la fertilità dell’antica ritualità andina. Oggi questa pratica è stata vietata, perché i ghiacciai stanno scomparendo. I pellegrini camminano oltre ogni fatica. Seguono una grande croce. All’alba del secondo giorno sorge il sole: è il momento atteso, gli uomini delle Ande sono qui per adorarlo, per venerarlo, per inchinarsi di fronte alla sua forza. Viracocha, la principale divinità inca creatrice della luce, si fonde con il Cristo cattolico.

A destra, in alto Al mattino, i pellegrini, nei panni di Chunchus, indigeni delle foreste abbigliati con piume dell’ara macao, bellissimo pappagallo tropicale, si inchinano al sole. Pregano l’antica divinità inca. Per chilometri, giorno e notte, hanno trasportato la grande croce del Signore di Tayancani verso il suo santuario di alta quota. Durante il grande pellegrinaggio della Stella del Neve si incrociano e si mischiano il mondo arcaico preincaico, le forza delle tradizioni incaiche e l’universo dei cristianesimo. A destra, in basso Danza notturna di un Ukuku. Siamo a 4600 metri di altezza. Di fronte al santuario del Signor di Qollur Ri’ti.



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Il lungo cammino dei pellegrini verso le solitudini del santuario del Señor Qoyllur rit’i. Croci e piccole colline artificiali di rocce indicano i sentieri della salita.


Un sacerdote cattolico benedice, con acqua benedetta, la folla che ha assistito alla messa nel santuario del Signor di Qollur Ri’ti.


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Il corteo degli uomini verso il ghiacciaio sacro di Sinakara è impressionante. Una lunga fila indiana che fatica di fronte alle più aspre come delle Ande. Gli uomini sono già diventati Ukukus, sono i figli di un lama e di una principessa inca. Sono diventati spiriti della montagna.


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© BRUNO ZANZOTTERA / PARALLELOZERO

BRUNO ZANZOTTERA, 56 anni. Nel 1979, compie il suo primo viaggio africano a bordo di una vetusta Peugeot 404 che lo porterà, attraverso il Sahara, sulle sponde dell’Oceano Atlantico. Comicia così la sua avventura di fotoreporter. Nel 2008 ha creato, con Alessandro Gandolfi, Davide Scagliola e Sergio Ramazzoti, l’agenzia fotografica Parallelozero. Nel 2014 realizza il suo primo documentario Il gioco delle perle di vetro, sull’uso africano delle perle di vetro veneziano. Collabora con le testate: Geo France, Geo Int., National Geographic Italia, VSD, Figaro mag, La Vie, Focus, Elle, Gioia, OGGI, Itinerari e Luoghi, Jesus, Africa


MESSICO


LA FESTA DEI MORTI DI OAXACA VITTORE BUZZI

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Tequila, tequila e ancora tequila in quelle notti illuminate da candele e ombre di morti... cibo e musica fino a stramazzarne. .. Trombe, tube, tromboni, ottoni come se le porte dell'inferno bussassero al paradiso per convincerli a fare baldoria... Tutti assieme allegramente, tenendo il ritmo verso la fine del mondo... Almeno i Messicani corrono verso l'inevitabile con un sorriso beffardo e liberatorio... in questo hanno stile, hanno gusto, loro, per le cause perse, per gli epici oscuri che popolano il mondo... Non è la vittoria l'importante ma la scelta, la scelta di non stare zitti, la scelta di abbracciare l'altro, riconoscere l'ingiustizia e non accettarla... Storie lontane scivolano addosso... Il mattino profumo di cacao nell'aria... Il sole illumina Oaxaca come se fosse l'ultimo giorno, perchÊ la vita va presa ora prima che scappi, prima che si dilegui meglio, almeno per un giorno, aver deposto la maschera che la società ci impone...








papel picado danzano sospinti dal vento, un soffio di vita che richiama il respiro dei cari scomparsi. Non c'è nostalgia ma attesa, trepidazione, gioia per potersi riunire, almeno un per un giorno ancora. I morti tornano, almeno a Oaxaca, il due di novembre di ogni anno. Per accoglierli nuovamente sulla Terra si alzano altari, si riempiono di candele i cimiteri e si allestiscono banchetti. Sacro, profano sono categorie che perdono il loro senso in questo giorno antico. Per i mesoamericani i destini dei defunti erano segnati dal tipo di morte e non dal loro comportamento in vita. Rose, girasoli e cempasÚchilt, fiore che guida e attrae le anime dei morti, riempiono gli altari: ogni fiore rappresenta una vita a cui offrire da bere e da mangiare. Mezcal, tequila, pulque, sigari, bicchieri d'acqua e piatti di dolci dove sono scritti i nomi dei defunti. Tra i piatti un posto privilegiato se lo ritaglia la zucca: cotta con zucchero, guava e cannella. Di tutt'altro spirito il mole negro: venti differenti spezie per essere la regina delle mole, servita nei tamales tanto buona da essere il piatto preferito di vivi e morti.

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DOVE: OAXACA, MESSICO. QUANDO: 31 OTTOBRE, 1 E 2 NOVEMBRE

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73 VITTORE BUZZI, 46 anni, milanese, preferisce questa microbiografia: ‘Comincia a fotografare nel 1992. Non ha ancora smesso’. Possiamo aggiungere? ‘Ha studiato fotografia con Roberta Valtorta, ha vinto prestigiosi premi internazionali di fotografia di ricerca e di reportage. Fra cui, nel 2013, un World Press Photo’. Se volete conoscere i suoi lavori: www.facebook.com/pages/Vittore-Buzzi-Fotografo/146792108433" Organizza workshop ( www.corsifotografia.it) ed è considerato fra i migliori fotografi di matrimonio al mondo www.fotografomatrimoni.biz


ISTANBUL AL MARTEDÌ, DI FRONTE A SANT’ANTONIO

lo sPartIto della sPeraNza

Nella chiesa francescana di Istiklal caddesi, cattolici, musulmani, ortodossi si affollano di fronte alla statua del santo più amato. Pregano, chiedono grazia, aiuto, ringraziano… ERODOTO108 •9

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Testo di Paolo Floretta Foto di Roberto Dotti

la fotografia di roberto dotti è del 2004. Faceva parte di uno straordinario lavoro fotografico: Homo viator, Edizioni Messaggero Padova, 2004.

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ivedo la foto presa a Istanbul più di dieci anni orsono, nella nostra chiesa dedicata a sant'antonio, sulla centralissima Istiklal caddesi. Una donna musulmana prega, mani al cielo e abito nero, sant'antonio, di martedì.

Martedì è il giorno del santo, over the world. la devozione globalizzata lo ha sempre ritenuto il giorno del suo grazioso assecondare ascolto e aiuto per salute, famiglia, relazioni intergenerazionali, problemi finanziari e giudiziari, fede vacillante sotto i colpi impietosi della vita. Il martedì a Istanbul c'è la fila davanti alla statua del santo. cattolici, ortodossi, musulmani. centinaia. Un'ecumene indiscussa, silente, che parla la dolorante lingua dell'esistere, incurante delle differenze dottrinali. sottigliezze davvero metafisiche, che una moltitudine nemmeno sfiora, morsa nella carne da ben altre certezze inconfutabili. sola teologia vissuta e creduta: la fiducia istintiva e indiscussa nella dedizione senza bandiere alla comune condizione umana. Frate antonio l'ha sempre riservata ai più piccoli, alle donne, ai deboli vessati dalla boria narcisista del

vacuo e pericoloso prepotente di turno. Una santità di carne, lo spirito al seguito. sul libro delle intenzioni spontanee anche le lingue si parlano e s'intendono benissimo sugli stessi temi vitali. turco, inglese, arabo si traducono in simultanee preghiere essenziali. Pagine come spartiti di speranza, dove la disperazione e la fiducia calcano e rigano le pagine, bianche banchine affollate di desideri e necessità, pronte a salpare verso un cuore più capace di dare senso e sollievo. sono lì in coda, tutte e tutti, per farsi ascoltare, sapendo che altri sono già stati esauditi. Il bene è sempre concreto, anche quando fa attendere turni comunque troppo lenti. le candeline accese in prossimità della statua sono lì a ricordare al santo l'agenda, gli ordini di carità ancora inevasi, senza priorità reclamate, benché agognate. In fondo alla chiesa una giovane coppia musulmana si bacia, in modo casto e galeotto. sullo sfondo il crocifisso dell'amore che tutti accoglie, senza frontiere. Una missione silente l'amore. Il silenzio che abbraccia l'umano che ha bisogno di riconoscimento, dentro le differenze.



INDIA/HIMALAYA

LE SORGENTI DEL PARADISO ERODOTO108 • 9

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L’INFINITO PELLEGRINAGGIO AL GAUMUKH, LA ‘BOCCA DELLA MUCCA’, LÀ DOVE NASCONO LE ACQUE DEL GANGE FOTO E TESTO DI ALDO PAVAN



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Il Gange è l'anima dell'India e le sue sorgenti sono sacre

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Un pellegrino a 3892 metri di altitudine, presso Gaumukh, la “bocca della mucca”, la sorgente del Gange, prega davanti a un altare dedicato a Shiva, la divinità considerata la madre del grande fiume indiano.

e sue acque sono una liberazione. Immergersi nel fiume significa liberarsi da ogni karma negativo. e questo vale soprattutto là dove il fiume nasce. Qui, alle pendici delle montagne del Bhagirath, uno dei cuori dell’Himalaya, dalle lingue del ghiacciaio di Gangotri, a 3892 metri di altezza, sgorgano le acque purissime del fiume santo dell’India. salire fino alle sorgenti del Gange è un’impresa faticosa. l’ultima arrampicata deve essere compiuta a piedi: ventitré chilometri tra pareti scoscese, sovrastate da cime perennemente innevate. la vetta più alta è il linga di shiva, il ‘segno di shiva’, 7540 metri, piramide di ghiaccio che sfida il cielo. linga è un oggetto ovale, simbolo fallico, considerata una delle forme di shiva, una delle più importanti divinità maschili dell’olimpo induista. Incuranti del freddo e della fatica, ansimando e soffrendo per l'altitudine, migliaia di pellegrini salgono, instancabili, fino alla ‘Bocca della Mucca”, fino a Gaumukh, la cavità dalla quale fuoriescono, con irruenza, le prime acque del fiume sacro. e qui, in quest’acqua gelida, ci si bagna con coraggio da estasi, si fanno le abluzioni e si prega.


Lo Shivling, la montagna sacra dedicata a Shiva, si erge solenne sopra la vasta valle di Tapovan che raccoglie nel suo grembo il ghiacciaio da cui nasce il Gange

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Un sadu, uomo santo, in portantina verso le sorgenti del Gange. Un sentiero lungo 23 km conduce da Gangotri, l'ultima cittĂ raggiungibile in auto, fino all'incipit del fiume sacro.


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Ad Haridvar, una madre lava nel Gange il proprio figlio per purificarlo. Le acque sono considerate cariche di energia.


In alto a destra: Un Sadu, uomo santo, incontrato lungo il corso del Gange mentre si dirige a piedi verso le sorgenti. In mano un recipiente per raccogliere le acque sacre da usare per le abluzioni.

Tutte le sere ad Haridwar, si svolge la cerimonia “aarti” lungo il Gange. Durante il rituale i bramini fanno ardere la canfora da offrire alle divinità. La canfora quando brucia non lascia residui, questa sua qualità simboleggia il dissolvimento del proprio io.



Ad Haridwar, un gruppo di donne si immerge per una abluzione sacra nelle acque del Gange. Si sorreggono una con l'altra per non finire trascinate via dalla forza della corrente. A destra: Una pira a Uttarkashi, città della valle di Bhagirathi. Il corpo del defunto viene bruciato in riva al fiume Gange.

Quasi tutti i pellegrini hanno dei recipienti. li riempiono della prima acqua del Gange: la porteranno a valle per donarla a parenti e amici. a Gaumukh si incontrano sadhu vestiti di rosso, uomini dediti solamente alla preghiera. Portantini si caricano, in spalla, le persone malate. Muli stracarichi alleviano la fatica dei pellegrini quando la strada si fa molto ripida.

ALDO PAVAN, 60 anni, trevigiano. Giornalista, fotografo, documentarista. Da trent’anni viaggia per il mondo: i suoi reportage sono apparsi sulle principali riviste italiane. Ha scritto, per Calderini, ‘Danubio’ e per Feltrinelli, ‘Birmania, su sentieri dell’oppio’. Ha risalito il Nilo, il Gange e il Fiume Giallo per ricavare tre splendidi libri per l’editore Magnus. Per la Rai ha appena ultimato una serie di reportages sul rapporto fra uomini e animali.

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Il cammino verso le sorgenti del Gange comincia a Gangotri, a oltre tremila metri di quota. concedetevi un riposo in quest’ultima cittadina, qui avete l’ultima possibilità di un letto appena decente e di un pasto caldo. Non è facile raggiungere Gangotri: la strada è un serpente tortuoso che s’incunea tra strette valli. a volte frane disastrose impediscono di proseguire. Interi villaggi, in queste solitudini, sono stati sepolti da valanghe spaventose. Haridwar e rishikesh sono le due ultime vere città prima di smarrirsi fra le montagne più alte. Furono i Beatles, qualche decennio fa a dare fama a rishikesh: vennero fino a qui a cercare pace e meditazione. Il pellegrinaggio induista alle sorgenti del Gange comincia in queste due città con le abluzioni nel fiume, i fuochi e le preghiere. Poi è solo un viaggio verso il sacro. la fatica sarà ricompensata dalla gioia di aver raggiunto il Paradiso.


ISLAM/LIBIA

NOSTALGIA DI TRIPOLI ELOGIO DI BELGASIN

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Il vecchio custode della moschea Gurgi, la più bella della disperata capitale della Libia, non apre più le porte ai turisti. La sua città, così bella e mediterranea, è percorsa da guerre per bande e non si festeggerà più il giorno santo del Mawled, l’anniversario della nascita del Profeta Testo e foto di Giorgio Librandi

P

er anni e anni, sono andato a Tripoli. Là lavoravo, là mi piaceva stare. E, ogni volta, la mia prima visita, nella medina della città, era l’incontro con un piccolo uomo, magro e senza età. In realtà una volta mi confessò di aver compiuto, pochi giorni prima, ottanta anni. Belgasin era il custode della moschea Gurgi, la più bella di Tripoli. La più mistica. Ho sempre visto Belgasin indossare la cravatta, il cappello nero dei tripolini, una giacchetta scura (la penna bic nel taschino) e una camicia chiara. Parlava un italiano dolce e spezzato, memoria di scuole italiane e degli anni della colonia. Apriva la porta, mi riconosceva. Aveva un sorriso timido e mi faceva accomodare in una stanzetta ricolma di ombra. Mi invitava a sedermi sul suo letto e mi offriva un bicchier d’acqua.

Non credo che Belgasin sia ancora vivo. Per età. E, probabilmente, per il dolore di vedere la sua città percorsa da bande armate. Non vado più a Tripoli. E non di lui volevo scrivere, ma quando mi è stato chiesto di raccontare del Mawled, la grande festa islamica che celebra l’anniversario della nascita di Maometto, ho ricordato il volto di Belgasin e questa città mediterranea. Una volta andai a Tripoli solo per assistere al Mawled: in quel giorno santo vide, per la prima e unica volta, Belgasin vestito in maniera diversa. Indossava una jallabia candida e una camicia bianca di bucato. Fra le dita un rosario di grandi d’ambra. In piedi, sopra un gradone, ondeggiava leggermente cercando di afferrare il ritmo dei canti dei fedeli sufi, il battito delle mani, il rullio dei tamburelli e lo schioccare ipnotico di piccoli piatti di ottone. Era una preghiera da trance. Ne eri stordito, il canto salmodiato ti portava da un’altra parte. ‘La jihiad è dentro di noi, nella nostra anima –

mi spiegò Belgasin – è una lotta fra il bene e il male, sta a noi scegliere, chiedere ad Allah di darci la forza’. Nella corte della zuwiya Sarira, scuola coranica di una confraternita musulmana, luogo di meditazione e spiritualità, gli uomini suonavano, danzavano, offrivano bevande rin-

frescanti e piccoli dolci. E’ festa di leggerezza, il Mawled. E’ una vera gioia. Non ha la grandiosità di altri giorni sacri all’Islam. A Tripoli si festeggiava in strada, le confraternite esibivano le loro lunghe bandiere verdi, le donne cucinavano senza riposo, i vassoi con i dolci ve-


nivano portati per le strade delle processioni, i musicisti afferravano flauti in legno e scaldavano la pelle dei tamburelli sulle braci, gli uomini si mettevano in file ordinate e cominciavano a battere pezzi di legno e mani. Cercavano un’onda sacra, chiudevano gli occhi, facevano vibrare la gola suoni incantati. Nelle

visto, ed era maggio, perfino un albero di Natale in plastica. Il giorno era un mare: si placava in una preghiera, in silenzi improvvisi, in sussurri sacri per poi regalarsi ore di tumulto, di caos, di botti e fuochi di artificio. E’ una festa di regali. Di abiti eleganti. Di incontri davanti alle porte delle case. Di ragazzi ec-

con un gesto. Poi ci guardava e ci pregava di scusarli.

moschee si pregava e poi si correva per i vicoli della città vecchia. Foglie di palma e fiori erano appesi alle finestre. Le donne accendevano piccole lampade agli angoli delle strade, lucine a festone pendevano dalle porte. Il Mawled è davvero un Natale musulmano. Giuro di aver

citati. Negli stradelli della medina, esplodevano petardi e castagnole. Ricordo che eravamo i soli occidentali smarriti in questa ebbrezza collettiva e i guappi ci prendevano di mira con i loro scoppi rumorosi. Poi scappavano ridendo. Belgasin non ci aveva perso di vista, li redarguiva

La città vecchia era diventata un teatro del sacro. Maometto era nato, cominciava la sua predicazione. Belgasin apparve al nostro fianco. Con un vassoio di dolcetti e bicchieri di aranciata.

A sera gli uomini si ritrovavano nella zuwiya. Leggevano il Libro. Qualcuno mormorava preghiere. Alcuni si inginocchiavano verso Oriente. Poi intonavano ancora un canto come uno scorrere di acque.


AFRICA/ETIOPIA

Nel regno perduto del Prete Gianni. A gennaio si celebra il Natale e l’Epifania del cristianesimo ortodosso d’Etiopia. Migliaia e migliaia di pellegrini raggiungono Lalibela, città santa, capitale rupestre di una religione testarda. Cinquecento anni fa, in Europa si pensava che questo fosse il regno del Prete Gianni, terra leggendaria di oro e bellezza. Testo e foto di Andrea Semplici

GERUSALEMME NERA

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gennaio, in Etiopia, nelle terre del più grande altopiano d’Africa, i cristiani ortodossi celebrano le loro grandi feste: il Genna, il Natale di questa ortodossia africana, e Timkat, l’epifania che non ricorda l’arrivo dei re Magi in Palestina, ma il battesimo di Gesù nelle acque del Giordano. Giorni sacri dell’affollato calendario religioso etiopico. In un lontano medioevo, i cristiani d’Etiopia accerchiati dall’Islam trionfante, non potevano più raggiungere Gerusalemme. E, allora, ne costruirono una copia nel cuore degli altopiani. Scavarono montagne, intagliarono la pietra, spezzarono una collina e vi fecero passare un fiume (e non poteva essere che il Giordano): sorse così, oltre ottocento anni fa, Lalibela, uno dei capolavori della storia dell’umanità. A Lalibela, nei giorni di Genna e di Timkat si ritrovano migliaia e migliaia di pellegrini. Hanno camminato per settimane pur di inginocchiarsi di fronte ai simulacri del sepolcro di Cristo, della tomba di Adamo e della casa della Madonna.



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preti ortodossi si agghindano a festa e, per ore infinite, intonano i canti del sacro di quest’Africa così particolare. Talmente particolare che, per secoli, si è creduto che qui fosse il regno medioevale del Prete Gianni. Francisco Alvares, cappellano portoghese, prete umile e ignorante, vi arrivò nel settembre del 1520: davanti a lui si apriva un crepaccio profondo, un balzo nel vuoto di oltre dieci metri, un’immensa trincea scavata nella pietra di tufo, un taglio perfetto nella collina rocciosa di Lalibela. Il povero Alvares fu abbagliato dalla bellezza della costruzione che s’innalzava dal fondo di quella fossa sacra: era il santuario di Beta Giyorgis, un edificio a forma di croce greca ritagliato dal ventre stesso della montagna. Uomini dai volti scavati, avvolti in laceri scialli bianchi di cotone grezzo, stavano uscendo dalla chiesa. Donne vestite nelle loro lunghe vesti raggrinzite avevano la faccia rivolta ai muri della trincea di pietra. Pregavano in silenzio, ondeggiando leggermente il corpo. Suoni monotoni di sistri e rullio di tamburi provenivano dall’interno della chiesa. Era un’immagine da Bibbia nera.

Il piccolo prete portoghese ne era

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certo: era arrivato nel regno del Prete Gianni, il sovrano immaginario e misterioso che, fin dai primi anni del 1100, aveva agitato i sogni di ogni corte imperiale dell’Occidente ed eccitava le fantasie popolari. Scrisse subito: ‘Vedemmo il Prete Gianni seduto su un palco a cui si accedeva per mezzo di sei scalini ornati molto riccamente’. Il Prete Gianni, nel 1165, aveva inviato una lettera ai sovrani di Bisanzio e così si raccontava: ‘Supero per ricchezza, valore e potere tutte le creature che vivono su questa terra…se tu sei in grado di contare le stelle del cielo e i granelli di sabbia del mare, allora sarai in grado anche di valutare la grandezza del no-


stro regno e del nostro potere’. Settandue re erano suoi vassalli. Nel suo paese scorreva il miele e vi era abbondanza di latte. Non c’erano né serpenti, né scorpioni. Le sue terre erano attraversate dal fiume Pison che ha le sue sorgenti in Paradiso e trascina a valle smeraldi, zaffiri, carbonchi e topazi. Ogni mese sette re, sessantadue duchi, 365 conti servivano alla sua tavola. Il Prete Gianni affermava di essere un re cristiano.

Il Prete Gianni divenne, così, una leggenda: era un discendente dei re Magi? Era il custode della fontana dell’eterna giovinezza e aveva oramai compiuto 562 anni? Marco Polo, nelle pagine del suo Milione, ne descrive l’impero e ne racconta alcune imprese. Per secoli le corti europee hanno sognato di trovare il mitico regno di questo prete. Alla fine del 1400, caravelle portoghesi riuscirono a doppiare il Capo di Buona

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Speranza e ad aprire rotte verso le Indie. Finalmente le coste orientali dell’Africa potevano essere risalite fino alle regioni che, secondo le intuizioni dei geografi medioevali, dovevano essere sotto il controllo di quel prete-re. Dopo secoli di tentativi, passi diplomatici, spedizioni sfortunate, nei primi anni del XVI° secolo, sarà il re del Portogallo, Manuel I°, ad organizzare una missione di quattordici persone con l’incarico di raggiungere l’Etiopia e di portare doni al Prete Gianni. Francisco Alvares era il cappellano di quella stralunata ambasceria.

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Io ti capisco, povero Alvares. Ho visto Lalibela e so che è difficile essere creduti da chi non abbia avuto la fortuna di smarrirsi nel labirinto dei suoi passaggi sotterranei e nel dedalo delle sue cattedrali di pietra. Chi poteva crederti Alvares se narravi che, in Etiopia, nel più profondo dei medioevi, architetti cristiani avevano voluto ricostruire una copia conforme di Gerusalemme? Chi ti avrebbe dato retta, Francisco, se tu avessi raccontato che operai divini (forse davvero non potevano essere altro che angeli, come sostiene la leggenda della creazione di Lalibela), in soli 24 anni,


erano stati capaci di intagliare canyon, svuotare montagne, traforare colline di tufo, allineare colonne di navate scavando direttamente nel macigno. Perché questo hanno fatto gli uomini a Lalibela: hanno lavorato ‘a rovescio’, hanno preso una montagna e hanno tolto dalle sue viscere la roccia ‘superflua’. Hanno così scolpito chiese, absidi, finestre, pilastri, frontoni, pareti con la testardaggine di uno scultore folle e geniale. Hanno aperto il cuore di una collina di tufo come se fosse una conchiglia. Lalibela è ‘dentro la roccia’, è una superba città, sacra


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e sotterranea, di undici basiliche di pietra. Quattro sorgono direttamente dal profondo della montagna e sono saldate ad essa dal pavimento. Una, Beta Abba Libanos, è allacciata al macigno dal soffitto. Le altre sono fuse alla roccia da una o più pareti. Vi sono chiese che s’incastrano una dentro l’altro come gigantesche matrioske africane: e nel luogo più inaccessibile, dicono i monaci di Lalibela, si trova il sarcofago di Cristo. Nella più imponente di queste cattedrali, Medhane

Alem, monolite lungo 33 metri, largo venti e alto più di undici, ventotto colonne si alzano direttamente dalla roccia e sorreggono il tetto proteggendo, come a Hebron, i sepolcri di Abramo, Isacco e Giacobbe. Beta Giyorgis è davvero, per la sua architettura solitaria, la più bella delle chiese di pietra di questo luogo incredibile.

Trecentocinquanta sacerdoti, oltre duecento diaconi e quattrocento novizi vi-


ANDREA SEMPLICI, 61 anni, giornalista fiorentino. Cerca di vivere più a Sud. Coordina la non-redazione di Erodoto108. E continua a chiedersi le ragioni di questa fatica. Non ha risposte, continua a farlo. L’Amazzonia è stata parte della sua vita. Nel 1992 era al grande incontro di indios e ambientalisti ad Altamira sul rio Xingù. Vi è tornato altre volte. E il Grande Fiume non lascia in pace. Bisogna tornare in quelle acque, starne al centro, là dove non si vedono le sue sponde.

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vono nella magnificenza rupestre di Lalibela. Ogni anno, a gennaio, migliaia e migliaia di pellegrini straccioni e poverissimi raggiungono, a piedi, questa terra sacra. I miei occhi, sei secoli dopo Alvares, guardano, senza crederci, a una moltitudine di uomini e donne che hanno camminato per settimane e settimane, fino a cadere al suolo stremati, pur di sfiorare le pietre di una Gerusalemme nera?


UNA FOTO UNA STORIA Calabria/Palmi

LE VERTIGINI DELL’ ANIMELLA DI ANTONIO MANCUSO

L’ultima domenica di agosto, la Vergine Maria ascende al cielo, accompagnata da angeli, sorretta dal Padreterno e spinta da duecento mbuttaturi. Mentre un fotografo, per due ore, aspetta il passaggio della Varia. Venti secondi per scattare una foto.

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ANTONIO MANCUSO, 59 anni, calabrese, vive a Cellara. Fotografa per passione dal 1979. E’ direttore artistico dell’Unione Italiana Fotoamatore e direttore della fotografia dei periodici L’Officina delle Idee di Cosenza. Ha illustrato volumi e guide sulla Calabria. Le sue foto illustrano ‘Les Fluides D’Aristote’, edito da Les belles lettres di Parigi. Documenta le ritualità sacre del Sud Italia. Ha la speranza di lasciare una traccia, una testimonianza di quanto è accaduto di fronte alla sua macchina fotografica.

Varia è la parola dialettale che traduce ‘bara’. Il colossale carro sacro di Palmi, ‘u cippu, poggia su una base di legno che rappresenta, appunto, una bara. Qui si trova il corpo della Madonna. Che, durante la grande festa, si alza, vola, ondeggia nell’aria e tende la sua anima verso il cielo per raggiungere il Figlio

a Varia è una festa popolare, una festa cattolica che si svolge a Palmi, cittadina calabrese della Costa Viola reggina, in onore di Maria Santissima della Sacra Lettera, patrona e protettrice della città.

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La Varia, o bara, è una macchina devozionale di ferro e legno a forma di piramide alta più di sedici metri e pesante oltre venti tonnellate: viene fatta scivolare sul pavimento granitico del corso principale, spinta da oltre duecento mbuttaturi, i giovani rappresentanti le corporazioni dei contadini, dei bovari, dei marinai, degli operai, dei carrettieri. In cima alla Varia c’è una bambina, scelta tra tante: è l’Animella e rappresenta l’anima della Santissima Vergine nell’atto di ascendere in cielo per raggiungere il figlio diletto, accompagnata da angeli e apostoli e sorretta dal Padreterno. E’ un maestoso spettacolo di folla e di fede. Dal 2013, la Varia di Palmi, assieme alle grandi feste delle ‘macchine devozionali’ (i Gigli di Nola, la macchina di Santa Rosa di Vi-

terbo e i Candelieri di Sassari), fa parte del patrimonio culturale dell'umanità. Da diciotto anni seguo la festa di Palmi. Non sono mai mancato negli ultimi cinque anni. Ricordo un’immagine riprodotta dalla copertina della Domenica del Corriere del 1938. Coglieva a pieno l’essenza dell’evento. Alla ricerca di una di quelle immagini che non descrive, ma racconta e che può essere esauriente più di tante parole per descrivere l’evento, pensando che spesso essere in movimento non significa scattare foto espressive, ho atteso, quasi appollaiato su un traliccio metallico per oltre due ore, il passaggio della “Varia” in Piazza 1° maggio. Non cercavo una foto creativa, ma un’immagine che condensava sensazioni ed emozioni anche se, queste, vanno soltanto vissute. Mi piaceva riassumere tutto il mio reportage in una sola foto. Sapevo, dall’esperienza degli anni passati, che questo momento non sarebbe durato più di una ventina di secondi, quindi ogni dieci minuti controllavo luce e reazione della macchina fotografica per farmi trovare pronto. La foto di quel giorno della scorsa estate appare in queste pagine. Non so se sono riuscito a descrivere tutta l’emozione e il tempo della lunga attesa. Io sono stato ripagato.


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caMPaNIa PaGaNI

le GallINe e la MadoNNa

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Una settimana dopo Pasqua, fra Napoli e salerno, un popolo del sud vive un grande festa sacra. devoti e femminielli, travestiti e ferventi fedeli abbracciano la Madonna del carmelo. tutto merito delle galline che rivelarono agli uomini la bellezza della Madre di cristo. testo di sandro abruzzese Foto di Marco de Pasquale

s

i distende in tutta la sua lunghezza in cima a una scala e consente al nipotino di baciarle le vesti. allo stesso modo tanti altri genitori aspettano il loro turno per esporre i propri bambini. Il corteo attraversa la vecchia via lamia, una delle parti più antiche e popolari di della città. all’interno dei cortili sono stati allestiti i toselli votivi, cappelle adornate con drappi in onore al culto. I devoti depongono i frutti della terra ai piedi dell’effigie. se non è il sud e Magia di ernesto de Martino, ci manca davvero poco.

la scena a cui assisto avviene nel quartiere di Cas Camptiell al centro di una strada gremita, costeggiata da immensi palazzoni che tolgono il sole ad ogni ora. al passaggio della Madonna partono potenti batterie di fuoco, in mezzo alle coperte ‘buone’ del corredo stese ai balconi, una suggestiva pioggia di coriandoli ricavati dagli involucri delle uova di pasqua. Questa scena si ripete ogni anno esattamente una settimana dopo la Pasqua, nelle viscere di Pagani, città crocevia stretta tra i monti lattari e la

conurbazione che unisce i paesi del salernitano a quelli delle province di Napoli e caserta. si ripete perché la Madonna del carmelo lo merita: cinquecento anni fa, in via striani, guarì uno storpio e qui si dice che la sua tavola lignea sia stata ritrovata proprio dalle amate galline: ecco spiegato il nome, la chiesa, la celebrazione.

Il primo venerdì dopo pasqua si schiudono le porte della chiesa, l’euforia apre le danze. Il cerchio si chiuderà solo il lunedì, quando musicisti e devoti si ritroveranno all’alba per la consegna delle tammorre alla Madonna. l’attenzione è tale che il giorno della processione non si mangia finché non si saluta la Madonna, e se in alcuni quartieri il corteo arriva in orario, in altri si aspetta fino a sera. la Madonna delle Galline in passato era, tra gli altri, la voce di Franco tiano, detto l’africano. Gli ultimi tempi, con la faccia scavata per via della malattia, girava col consueto fervore, occupato dai preparativi nella sua corte califano.


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Franco tiano era amico di roberto de simone, di eugenio Bennato e Peppe Barra. aveva recitato a fianco di Ben Gazzarra nel film Il camorrista di Giuseppe tornatore. tiano incarnava la doppia anima della festa, ne rappresentava la tensione sacrale e il risvolto profano. dopo la processione, la domenica sera, nelle corti storiche di Pagani, la città è colma di danze incessanti e di canti notturni. al ritmo incalzante delle tammuriate ondeggia un popolo estremamente variegato che mescola persone comuni, devoti, travestiti, femminielli. Una festa popolare inclusiva, senza età e priva di etichette.

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Non capita spesso che un evento abbia così tanti connotati: le corti, i toselli, le musiche, gli odori. le strade sono inondate dal profumo dei carciofi arrostiti. Il ritmo ossessivo della tammorra che disvela, scioglie, libera gli istinti e innesca il continuo corteggiamento mimato dai movimenti dei ballerini. Una danza dalla matrice voluttuosa, sensuale, fatta di sguardi intensi e rivelazione, accelerata dalla girata


la Madonna delle Galline oggi conserva a denti stretti parte del suo fascino; certo, risente della inattesa celebrità degli ultimi anni, paga le intrusioni rumorose, i numerosi pullman e l’eccessiva esuberanza di giovani che non hanno la pazienza di ascoltare, non possiedono gli strumenti per comprendere, abituati a una movida vuota e apatica. Il comune di Pagani, dal suo canto, ha fatto propria una manifestazione che in origine coinvolgeva poche strade del centro città. Negli anni è stato affiancato un Festival del ritmo, e così oggi sono cinque giorni di festeggiamenti, con bancarelle, giostre, e avventori che poco hanno a che vedere col contesto originario. Ma la festa di Pagani è, ancora oggi,

uno degli avvenimenti più sentiti e caratteristici del sud dell’europa. Pagani è ‘una città di santi, artisti e mercanti’, avverte una targa un po’ velleitaria all’ingresso del centro. Un tamburello gigante da qualche anno occupa l’aiuola di un quadrivio con lo scopo di sposare la città all’evento. “Pagani non è Berlino”, si potrebbe scrivere parafrasando il titolo di un libro scritto dal sociologo e politico paganese Isaia sales. città disincantata, fatalista, che paga lo scotto della sua essenza: dalla terra dei pastifici, con i suoi giardini fatti di agrumeti e loti, sede di diversi stabilimenti industriali, all’emigrazione e la disoccupazione odierna. lo sviluppo disordinato e abnorme ha reso i suoi confini indistinti. spaccata a metà dalla ferrovia, non sai quando cominci il suo centro, mentre ne cerchi i margini, sei già nella vicina Nocera Inferiore. Poi i cortili che brulicano di bambini, le strade, la fila nel traffico, i motorini. Questo è un sud in cui affondano immense eccellenze e in superficie, più visibili, permangono i nodi, le incrinature. Pagani è un piccolo teatro all’ombra di

Napoli, a pochi passi dal vesuvio. Nelle sue piazze, nei luoghi, ha sfondato la sua quarta parete e mette in scena tutte le sfumature della vita. I cittadini non hanno perso l’attitudine a farsi popolo alla prima occasione: a capodanno, ad esempio, poi ad agosto in onore del patrono sant’alfonso Maria de’liguori; nel tifo viscerale per la propria squadra di calcio. Pagani è una terra dove la borghesia risulta ancora sconfitta a vantaggio dell’anima popolare, anarchica e sanfedista per scetticismo e rassegnazione. oggi la sua festa della Madonna del carmelo, detta delle Galline, riesce ancora a mostrarne il volto più potente, quasi ancestrale. riesce a coinvolgere, a volte unire, una comunità. Molto è cambiato dagli anni ’50. Per fortuna, però, la Madonna resiste. da secoli, la Madonna resta. sopravvive e, d’altronde, lo merita. In fondo, intorno a questa valle dal clima mite e la storia antica, si sente ancora un gran bisogno di lei, del suo aiuto, dei suoi miracoli. SANDRO ABRUZZESE, 36 anni, irpino. Laurea in lettere moderne a Napoli. Insegnante d’italiano e storia nelle scuole superiori nel veronese. Ora a Ferrara. Blogger per necessità: cura il progetto Raccontiviandanti e scrive per colmare la distanza, il vuoto vuoto, lo spazio che –sostiene – lo separa dalle cose e dalle persone.

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ritmica, la votata, che accentua i passi del ballo per poi ricominciare. Una festa in origine intrisa di rabbia e piacere, capace di condensare le frustrazioni e i desideri dell’universo contadino partenopeo: è una folle quanto utile espiazione. rito necessario che capovolge e sovverte, ma non dimentica la memoria della dura quotidianità dell’indomani.


STORIE DI LIBRI

LIBRI, SACRI LIBRI Claudio Di Benedetto

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l sostantivo “libro” e l’aggettivo “sacro” si incontrano in combinazioni diverse, da sempre. Formando nessi e significati differenti, universali spesso e soggettivi sempre. Tant'è che - in qualche modo - in principio era il Libro: “sacro” per eccellenza da millenni e per miliardi di individui. Anche laicamente "sacro", per quella possente interpretazione che permea il mondo di sé, traccia il percorso della storia, determina utopie, guerre, carestie, migrazioni, persecuzioni... ma anche rappresentazioni figurative, poesia, letteratura, musica. Nel “sacro” di quel libro – o di quei libri, come giustamente sottolinea il plurale neutro greco, Biblia, che li designa – si concentra e si sintetizza una buona parte della storia del mondo, a prescindere dalla religiosità e dalla fede. Libri affiancati poderosamente da altri libri, anch'essi sacri per eccellenza: il Talmud (parimente espressione della rivelazione di Mosè sul Sinai) e il Corano. Per

"Diffido di chi ha letto un solo libro" i quali vale perfettamente quello che ho appena detto della Bibbia. Perché questi sono libri sacri per definizione. Sacri in assoluto, per formazione e per ruolo - ma ognuno di loro sacro per infiniti singoli che formano l'umanità. Poi, ognuno ha i propri sacri libri – sia detto senza blasfemia o presunzione. Libri scoperti, libri tramandati, libri custoditi: laicamente sacri per l'identità delle collettività cui appartengono. Ma anche libri bruciati, libri dispersi... con le memorie di interi popoli, di fedi, di culture e tradizioni sottratte alla trasmissione della conoscenza di sé, delle proprie radici, dei propri pensieri, delle proprie creazioni e

delle proprie intuizioni - attraverso le intuizioni, le creazioni, i pensieri di altri prima di noi. Sacri per la propria storia personale, per la propria formazione, per la propria educazione sentimentale, per i propri orizzonti vasti o da allargare- per i propri sogni, per la propria capacità di apprendere, di volare, di riscattarsi. Per alcuni la sacralità del libro sta nella sua raffinata essenza di oggetto, nei cuoi delle legature, nei fregi dorati delle coperte, nella grammatura della carta, nelle barbe dei margini, nei caratteri e negl'inchiostri. Tutti elementi pregevoli che suscitano l'ammirazione per l'opera dell'uomo, artigiano e artista nello stesso tempo. Tutte ragioni di apprezzamento estetico dell'oggetto in sé, della sua bellezza intrinseca. Ma non necessariamente in intima relazione con il suo contenuto e, di conseguenza, con noi stessi. Noi che usiamo e amiamo con lo stesso ardore libri che si leggono da sinistra a destra, o da destra a sinistra, che si leggono dall'alto


di loro non ci completa. Ci sono libri che ci stanno dentro da che ne abbiamo memoria, e alcuni di questi ci chiedono periodicamente di essere riletti... ognuno di noi ha i suoi, e qualsiasi titolo sarebbe arbitrario. Ma queste modeste righe hanno un autore - modesto anch'esso e la terza persona singolare o plurale, il soggetto impersonale devono cedere il posto a un ineludubile "Io". Del quale dirò - se non stona parafrasare il principe de Curtis - che non so se lettori si nasce, ma so che comunque “modestamente io lo nacqui”. Lo dico forse con orgoglio ma non con superbia; lo dico con la consapevolezza che questo ha costituito un privilegio e che ha dato sicuramente un indirizzo alla mia vita in generale e, per coincidenza, anche a quella professionale. Ripenso allo scolaro che ero (pessimo e svogliato, lento ad apprendere al limite dell’ottuso); penso al bambino che sono stato (e che nonostante le apparenze ancora, parzialmente, sono) e mi trovo felicemente lettore, con una biblioteca paterna ricchissima e nella quale ho avuto sempre diritto di pascolo illimitato. Professional-

mente - "da grande", come si suol dire - ho poi avuto il privilegio di lavorare in mezzo ai libri, di vivere nel cuore del caos, al centro di Babele, allo zenit e al nadir di voci libere e sovrapposte, in mezzo a lingue che è impossibile imbavagliare e che si esprimono senza alcun limite temporale e cronologico. Libri, appunto. Soggettivamente sacri, ossia "degni di alta venerazione o del massimo rispetto" (ci dice il Vocabolario Treccani della lingua italiana): una venerazione senza fanatismi, che si esprime con la gratitudine; un rispetto solido eppure mutevole, per confronto con altre conoscenze o per evoluzione di sé. Il libro ha infatti una sacralità panteista che ammette culti eterogenei, ed estasi improvvise, mai rinnegamenti repentini. "Timeo hominem unius libri" - avrebbe detto Tommaso d'Aquino - ossia, traducendo liberamente, "Diffido di chi ha letto un solo libro". CLAUDIO DI BENEDETTO, 61 anni, ama i libri, ama leggerli e raccontarli come un viaggio. Ama scrivere e passa molto del suo tempo nella Biblioteca degli Uffizi a Firenze. Anche perchè lo pagano per dirigerla. Poco, ma lo pagano.

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verso il basso, che si leggono facendo scorrere i polpastrelli. Usiamo e amiamo pagine sfogliate, con il loro magico fruscio; o pagine scorse con un dito, nel più assoluto silenzio delle righe che si succedono ("orrore!" - dirà qualcuno). Evochiamo ed amiamo il silenzio dei chiostri o, all'occorrenza, il "rumore" della rete ("Ri-orrore!"), la lettura ad alta voce, la lettura silenziosa. Convinti come siamo che il meglio di noi può essere anche in poche o molte pagine, in libretti deliziosi che si leggono in mezz'ora o in sogni lunghi centinaia di pagine che vediamo con terrore diminuire man mano che rimandiamo il momento di spegnere la luce e di chiudere il libro... Questi testi sacri possono avere, dunque, anche l'aspetto vilissimo di una modestissima edizione, o vivere in un assai precario stato di conservazione. Senza essere per questo meno sacri, e non perché siano nostri perché da noi acquistati o perché a noi pervenuti - ma per la ricchezza che ci hanno dato e continueranno a dare, nel tempo, a quella parte di noi che di loro ha bisogno, e che senza


Pensieri su “L'avventura di un povero cristiano” di Ignazio Silone

PIER CELESTINO: DIO HA CREATO LE ANIME, NON LE ISTITUZIONI Valentina Cabiale Marco Gobetti

720 anni fa,

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dopo due anni di concilio irrisolto a causa delle frizioni tra le famiglie romane degli Orsini e dei Colonna, fu eletto papa fra Pietro Angelerio del Morrone, un eremita che aveva trascorso più di 60 anni sulle montagne abruzzesi. Erano passati settant'anni dalla morte di San Francesco: profondo era il contrasto fra le istituzioni ecclesiastiche e i movimenti spirituali fondati sulla povertà e su un ritorno allo spirito originario della Chiesa. Il 29 agosto 1294 fra Pietro, che apparteneva a uno di quei movimenti, arrivò all’Aquila, a dorso d'asino, per essere incoronato Papa con il nome di Celestino V. Quattro mesi dopo si dimise. Questa è la storia di un “povero cristiano qualsiasi” che Ignazio Silone scrisse sotto

forma di dramma, nel 1966-67; “L’avventura di un povero cristiano” uscì, ultimo libro dello scrittore, nel 1968 (il primo era stato, nel 1930, “Fontamara”). 720 anni non sono poi tanti. Prendendo a prestito un esperimento con il tempo di M. Yourcenar, soltanto poche generazioni, sette o otto paia di mani scheletriche di vegliardi ci separano da Celestino V. Eppure Silone sapeva che gliel’avrebbero fatto notare: stava scrivendo di Medioevo e di cristianità nel 1968, in piena rivoluzione culturale. Proprio lui che da sempre si era impegnato sul presente in modo laico: antifascista, aveva militato nel partito comunista e non aveva mai affrontato in modo diretto temi strettamente religiosi. Sapeva inoltre che ci si deve giustificare, spiegare, quando si parla del passato non a scopo d’evasione; quando si

Ignazio Silone


svolgersi dell'azione. La decisione di Celestino V è stata variamente interpretata. Dante lo collocò nell'Antinferno, tra gli ignavi (sempre che a lui si riferisse con le parole “colui che fece per viltade il gran rifiuto”): un papa che fa marcia indietro, incapace di reggere il peso delle responsabilità. Iacopone da Todi domandò a Celestino, in una laude scritta all'indomani dell'incoronazione: Que farai, Pier da Morrone? / Ei venuto al paragone./ Vederimo el lavorato /che en cell'ai contemplato. Questo è il momento della prova: tu che da eremita prima, da pastore poi, hai predicato e incarnato la speranza di una chiesa più povera, più autentica ed evangelica, ora hai la possibilità di farle invertire rotta: trasformare dall'interno il sistema, smontare la macchina che non considera e trita il singolo. Ma come può una persona sola agire dall'interno senza farsi inquinare dall'ideologia dominante, conciliando le aspirazioni con i meccanismi del potere nel loro concreto dispiegarsi? Le vertigini dell’utopia possono assumere una forma reale nel mondo, o sono condannate ad essere snaturate dai processi di adattamento e correzione sui quali si regge ogni ideologia religiosa e politica una volta organizzata in sistema? Il Celestino V di Silone è un povero cristiano, un uomo sfortunato. Convinto dell’impossibilità di conciliare lo spirito evangelico con i propri doveri istituzionali, rifiuta la carica ed esce dal sistema che sperava di

modificare. Compie un atto di umiltà, vorrebbe tornare alla sua vita da eremita, alla contemplazione che lo avvicina a Dio; ma perseguitato dal cardinale Benedetto Caetani, nel frattempo eletto papa con il nome di Bonifacio VIII, è imprigionato ad Anagni dove muore, forse assassinato, nel 1296. Il dilemma celestiniano è paradigma della crisi che precede ogni scelta individuale riguardante il destino della collettività; e della presa di coscienza che anche le autonomie hanno il loro peso. Forse a questo pensa Silone, quando decide di occuparsi di Pietro dal Morrone: nel 1948 lo scrittore, impegnato nella direzione del partito socialista e deputato alla Costituente, rifiutò di presentarsi candidato alle elezioni e abbandonò la vita politica, dedicandosi interamente alla letteratura; vent'anni dopo quel rifiuto scrive su Celestino V un romanzo in forma teatrale, compiendo, per sottrazione, un vero e proprio gesto politico.

MARCO GOBETTI Drammaturgo, attore e 103 regista attivo dagli anni ‘90, coniuga da sempre l’attività di prosa su strada a quella nei teatri. A partire dal 2000 inventa il Teatro Stabile di Strada®, con cui tenta di contaminare il sistema teatrale, e fonda la Compagnia Marco Gobetti. ERODOTO108 • 9

narra la storia di uomini morti da più di un secolo con la pretesa che abbiano ancora un rapporto con i vivi. L'intento di Silone è ben espresso dalle parole di Vittorio Foa: “ricordare il passato ha valore in quanto si propongono dei nodi sul presente. Se no, può essere un’emozione o anche un bel racconto che vivi, godi, dopo di che pensi ad altro”. Perché il passato faccia riflettere analogicamente sul presente occorre però, secondo Foa, non solo «conoscere le cose» ma anche «il modo di raccontarle». Silone sceglie un “modo” preciso: quello dell'oralità, sotto forma di dialogo immaginario (ma con profonde radici storiche), leggibile e rappresentabile. “L'avventura di un povero Cristiano” è un copione teatrale, con tanto di dialoghi, didascalie e note scenografiche. Una scelta forte se pensiamo che Silone non era un drammaturgo: scrisse un unico altro testo teatrale (“Ed egli si nascose”, nel 1944, tratto dal romanzo “Pane e vino”). Il dramma è però in questo caso preceduto da una sorta di modernissimo prologo, il racconto della ricerca storica che l'autore compie sulla figura di Pietro dal Morrone: un ancoraggio al presente, evidente sin dal titolo “Quel che rimane” (qui, oggi). Silone fa poi parlare in prima persona, senza intermediari, fra Pietro e gli altri personaggi. E a quelle storiche reali mescola immaginarie figure del popolo, che con le loro intelligenze sensibili offrono un punto di vista prezioso, vivificando e oggettivando di continuo lo

VALENTINA CABIALE, archeologa, 32 anni. Laureata in Lettere a Torino, specializzata in archeologia medievale a Firenze. Ama viaggiare ma soprattutto leggere, non le biografie (proprie e altrui).

STORIE DI LIBRI


IL CIBO DEGLI DEI N

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Italia/Aspromonte

LE MELANZANE PER LA MADONNA DELLA MONTAGNA

ella notte fra il primo e il due di settembre, migliaia di pellegrini salgono i sentieri dell’aspromonte. sono i giorni sacri della Madonna della Montagna, la Madonna di Polsi. e’ un popolo che si arrampica lungo i valloni solitari della punta più estrema della calabria. Molte donne portano doni per la Madonna: casse di cibo, raccolti di pomodori e melanzane. la terra restituisce al sacro quanto ha ricevuto. Il cibo come intercessione verso il divino. si lasciano sull’altare, si prega, si canta, si balla, si dorme sui gradini dell’altare. Notte di santità ed ebbrezza.



IL CIBO DEGLI DEI Asia/Isola di Bali

IL BALZELLO DIVINO Bisogna placare l’irrequietezza delle divinità indù. Oppure a loro si chiedono grazie. Si offrono fiori, foglie, frutta, cibo, acqua. Così si cerca di mettere ordine alle ‘cose’. Questo è il Dharma.

I

Testo e foto di Giancarlo Cittolin

balinesi temono gli dei. e i demoni. e gli offrono doni. Il tuono che scende insistente dalle alture sopra Pemuteran, sulla costa nord di Bali, avvolte da nubi grigie, ne chiarisce le ragioni. lassù, sulla cima di montagne e vulcani, risiedono le potenze a cui i balinesi si rivolgono con doni compiacenti. Per placare, per ringraziare, per chiedere. e la foggia che danno alle offerte più appariscenti, o banten tegeh, vere costruzioni dove infondere il meglio dell'estetica isolana, richiama la forma piramidale della montagna par exellence, il Mahameru, l'olimpo mitico di ogni indù.

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la base filosofica dell'atto di offrire cibo agli dei viene fatta risalire al Bhagavad-Gita, il discorso appassionato che Krisna, avatar del dio Wisnu, rivolge all'esitante arjuna: ‘chiunque offra a me con devozione una foglia, un fiore, un frutto o dell’acqua, quell’offerta d'amore di un cuore puro, Io accetterò’.

le offerte di cibo sono viste dai balinesi come una tassa, un obbligo, un sacrificio. Nei confronti di dei e demoni. Mettere tempo e denaro


si crede che il regolare e preciso confezionamento delle offerte, nella loro infinita varietà, e la loro presentazione al destinatario secondo un rituale secolare sia una dei comportamenti necessari a dare ordine compiuto alle cose, il dharma.

L'offerta, affinché sia efficace, deve conformarsi a una serie di regole specifiche influenzate dal calendario balinese. la data, secondo il calendario pawukon, che conta sei mesi di trentacinque giorni ciascuno, e la direzione cardinale sono i fattori principali. ogni giorno della settimana richiama un fiore e un

colore e determina quantità, qualità e posizione dei cibi inclusi nel vassoio. sempre presenti i tre ingredienti che richiamano, con i loro colori, le manifestazioni principali del dio, Brahma, Wisnu e siwa: la noce di areca (rosso), la foglia di betel (verde) e la calce (bianco). regole abitualmente conosciute in ogni villaggio dell'isola, ma più spesso rispettate affidando il compito a donne d'alta casta (Ida ayu), disposte a dirigere la realizzazione di offerte complesse in cambio di un compenso.

Ni Luh Adriadi, una donna del villaggio di Seminyak, cerca di spiegarmi queste regole. Non interrompe il sorriso mentre le sue mani tagliano e intrecciano con pochi fluidi movimenti la lunga striscia ricavata dalla foglia immatura del cocco. da giorni, assieme alle altre donne del banjar, scambia pettegolezzi e confidenze e prepara le offerte per la grande cerimonia al tempio. è allora, mi spiega, che dei e

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per concedere ogni giorno, in senso figurato e spirituale, il proprio cibo significa sacrificare parte di sé per ingraziarsi entità superiori. che non devono interferire nelle faccende umane (demoni) o, nella migliore delle ipotesi, possono accondiscendere e aiutare la realizzazione dei propri desideri (dei).


IL CIBO DEGLI DEI

demoni si mescolano agli umani che, invariabilmente, li accolgono con cibi di ogni genere.

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Stamattina, poco dopo l’alba, ha cucinato il cibo per la sua famiglia e ne ha usato un po’ per confezionare piccole offerte lasciate sugli altari del tempio di famiglia, il merajan. Poi ha tagliato fasci di busung, la sottile foglia centrale di palma, bianco-giallastra, e l’ha portata al cortile esterno del tempio. Qui altre mani piegano la foglia in piccole spatole triangolari (tangkih), vassoi piatti dai bordi rialzati (canang) o vasetti cilindrici (bedogan). ognuno riceve piccole quantità di cibarie, riso, pezzetti di carne, dolciumi, una fetta di pane, fiori colorati. talvolta un oggetto di valore, una moneta, una banconota e, magari, una sigaretta. a condire, un po' di salsa di soia, un niente di peperoncino. Uno spruzzo d'acqua benedetta, perché l'induismo balinese è materia d'acqua. Non manca mai un bastoncino d'incenso fu-

mante, le cui spire profumate sono il sentiero che l'essenza spirituale dell'offerta (sari) percorre per arrivare al destinatario. abilmente indirizzate verso l'empireo da un lieve cenno della mano destra, che stringe petali di fiori.

Con questi gesti si compie il trasferimento immateriale dell'intenzione a compiacere. dopo ciò, l'offerta rimane sulla terra per quel che è: pochi oggetti svuotati oramai del loro contenuto immateriale, lasciati all'azione degli animali, cani, gatti, uccelli, scimmie, insetti. Ne possono liberamente disporre, nel caso delle offerte quotidiane o legate alle cerimonie più semplici. e’ invece cibo da suddividere in famiglia, redistribuire nel villaggio, o riciclato dall'officiante (pemangku), se si tratta di grandi quantità di frutta, riso e carne. Queste, foggiate nelle costruzioni piramidali dei pajegan/gebogan, sono portate dalle donne in corteo al tempio, in sensuale equilibrio sulla testa. anche le sontuose costruzioni di pasta di riso,


se dedicata alle manifestazioni più importanti degli dei, l'offerta è appoggiata in posizione rialzata da terra, su una piattaforma di bambù, un altare di mattoni, un simulacro di pietra. agli spiriti malevoli, i buta e kala del sottomondo che affliggono il villaggio con la loro influenza negativa, sono proposti allestimenti meno elaborati, cibi spesso cotti e preparati da tempo, lasciati a terra, davanti casa o agli an-

goli delle strade, sull'asfalto bollente degli incroci, dove le essenze malevole sono particolarmente concentrate. spesso, durante una cerimonia al tempio, ogni presenza sgradevole è placata versando a terra un po’ di brem o tuak (vino di riso o distillato di palma).

Ni Luh si alza e, in un unico, fluido movimento si posa sul capo la pesante piramide di frutta. Mi guarda, e basta la forza che emana dal suo sorriso a raggiungere ogni angolo, anche il più invisibile, di questo piccolo universo. GIANCARLO CITTOLIN, 59 ann, biologo nomade, vive a Bali molti mesi all'anno. S’interessa di fauna e flora tropicali, antropologia delle genti Indonesiane. Viaggia con moderazione attraverso le isole del Grande Arcipelago. Ama leggere e s’illude di scrivere in uno dei suoi blog.

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dolce e colorata, cui viene data la forma del padmasana, che richiama la cosmologia balinese, abbellite di spiedini di maiale, festoni di interiora e bandierine di cotenna, tra polli e anatre arrostite e teste di porco allo spiedo, sono poi suddivise. In tal modo ognuno approfitta del banchetto. la composizione deve essere in ogni caso attentamente allestita ed esteticamente piacevole affinché attiri lo sguardo di occhi invisibili e sia gradita a sensi imperscrutabili.


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d

Argentina del Nord onna ernestina ha cucinato per due giorni interi. don Francisco ha comprato il vino e agghindato la tavola. dia de los muertos a san antonio de los cobres, notte fra il primo e il due di novembre: i defunti della famiglia arrivano in visita, riappaiono nella casa dove avevano abitato. sono affamati e ingolositi dal lungo sonno. ernestina e Francisco vogliono che si trovino bene. cucinano per loro manicaretti da leccarsi le dita, infornano il pane migliore, stappano le bottiglie piĂš buone. Nella notte, i morti mangeranno queste delizie prima di risalire al cielo.

EL DIA DE LOS MUERTOS

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Far entrare il sacro nella propria vita significa mettere da parte gli aspetti più razionali ed affidarsi alla nostra sfera più intuitiva. Due aspetti legati alla sacralità, qualsiasi sia la nostra fede, o anche dove la fede non c’é, sono la simbologia e la ritualità. L’oroscopo di questo numero abbina alle stelle simboli e riti, per permetterci di leggere nuovi segnali che ci avvicinano alla comprensione del nostro futuro.

ARIETE 21 Marzo -19 Aprile

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Parola chiave: SILENZIO Fare silenzio significa allenarsi ad un ascolto fatto non con le orecchie, ma con il cuore e tutti i sensi. Vuol dire creare un legame speciale con se stessi e con le persone con cui siamo in grado di tacere senza provare imbarazzo. I prossimi mesi saranno l’occasione per diventare un “cacciatore del silenzio”, per risintonizzarsi con un silenzio che non è fatto non di vuoto ma di pienezza, e uscire arricchiti da questa nuova esperienza.

GEMELLI 21 Maggio -20 Giugno

Parola chiave: SEME Se il seme non muore, il fiore non può nascere. E’ il ciclo della vita, che non si può cambiare. nell'antichità arare i campi, voltando le zolle e preparandole per una nuova semina era considerata un azione sacra poiché precedeva un nuovo ciclo di raccolto. In questo momento c’é qualcosa nella tua vita che morirà. Ti sembrerà una grossa ingiustizia, ma è invece l’occasione per una rinascita ed una nuova partenza. Preparati arando il tuo campo.

CANCRO

21 Giugno – 22 Luglio Parola chiave: SOSTA Mettersi in cammino ha un valore molto importante per qualsiasi religione, perché significa abbandonare le certezze e andare a posare lo sguardo altrove. Ma altrettanta importanza lo ha il fermarsi, per staccarsi dalle preoccupazioni quotidiane, per riposare, per osservare il nuovo. E’ arrivato per te il tempo di fermarti un po’, di osservare dove sei e scegliere poi come e per quale direzione ripartire.

LEONE

23 Luglio - 22 Agosto Parola chiave: NASCITA Ogni respiro che esce è morte, ogni nuovo respiro è una rinascita, è vita. Quindi, con ogni respiro muori e rinasci. Conoscere la verità significa conoscere ciò che non è nato e che non muore mai, conoscere quell’elemento eterno che vive sempre. Significa conoscere l’intervallo fra i due respiri, fra quello che esce e quello che entra. Sperimenta, e raggiungerai la consapevolezza.

VERGINE

TORO 20 aprile -20 maggio

Parola chiave: DIGIUNO In molte religioni il digiuno rappresenta un importante simbolo della fede e del rapporto con il soprannaturale. Spesso al digiuno si abbinano occasioni di apertura verso gli altri con atti di carità o di perdono. Se vuoi elevarti e migliorare le tua vita, individua qualcosa su cui iniziare ad allenarti alla rinuncia per fare il tuo digiuno.

23 Agosto - 22 Settembre Parola chiave: CERCHIO/ANELLO La perfezione dell'anello egizio shen, privo di principio e fine, fece di questo amuleto un simbolo di eternità, la sua forma rotonda veniva associata al disco del Sole. Gli anelli magici sono venerati in molte tradizioni, perché viene attribuito loro il potere di proteggere dalle malattie. Ogni cerchio rappresenta la protezione del proprio Io dalle influenze esterne, la creazione, al suo interno di uno spazio magico. E’


giunto per te il momento di crearti un tuo cerchio, uno spazio che ti protegga dall’esterno e ti ridia la carica giusta per ripartire.

BILANCIA 23 settembre - 22 ottobre

Parola chiave: ALBERO L’albero costituisce il collegamento tra il cielo e la terra e per questo è considerato il simbolo dell’ energia cosmica: le radici sono collegate all'universo sotterraneo, il tronco alla superficie terrestre e i rami al cielo. Solo se ben radicato l’albero può crescere e svilupparsi. Avrai l’opportunità di comprendere quali sono le tue radici, e ciò permetterà la tua migliore evoluzione: sarà forse l’occasione per far pace con qualche parte del passato?

SCORPIONE

23 ottobre - 21 novembre Parola chiave: OCCHIO DI ALLAH Lungo la storia dell'umanità, in ogni cultura ed in ogni fede religiosa, la figura dell'occhio e' concepita come un talismano che scaccia il male. L’occhio, secondo la tradizione, é la finestra che si apre verso il mondo ed è il primo punto di partenza dei pensieri buoni o cattivi. Allenati ad aprire e chiudere la finestra, per permettere al bene di entrare, tenendo fuori il male. Non chiudere gli occhi completamente, altrimenti niente potrà entrare!

22 Dicembre -19 Gennaio Parola chiave: FUOCO Il fuoco è l'elemento di purificazione, ciò che bruciando le impurità, eleva l'uomo dalla mortalità all'immortalità. Il fuoco esprime luce, la luce sorge dal fuoco. Fuoco è l'astro solare, fuoco sono le stelle, fuoco sono i lampi della tempesta. Da tempo l'uomo indica quegli esseri che vediamo raggiungere la prossimità col mistero del Divino, come illuminati. Anche tu avrai in questo periodo la tua dose di illuminazione, principalmente rispetto a te stesso e alla strada da seguire. Non aver paura di seguirla.

ACQUARIO 20 gennaio- 18 febbraio

Parola chiave: L’ACQUA Narciso vi si specchia, Ofelia vi muore, Caronte traghetta le anime. L’acqua è il simbolo dell’origine, il luogo da cui tutto nasce, l’oceano primitivo. L’acqua lava e purifica, la pioggia è il dono del cielo alla terra che le permette di essere fertile. In India si accoglievano gli ospiti offrendogli acqua da bere ed il bagno nel Gange è una richiesta alla Dea Ganga la liberazione dal karma negativo e dal ciclo delle reincarnazioni. E te, sei pronto a cogliere l’occasione per uscire dai tuoi schemi negativi e rinnovarti?

PESCI 19 febbraio - 20 marzo

22 novembre – 21 dicembre Parola chiave: LOTO Il loto rappresenta la crescita vegetale, il rigoglio della vita organica, la fertilità delle acque e della terra che queste fecondano. Poiché sviluppa nel suolo il suo rizoma, attraversa l’acqua con lo stelo e fiorisce all’aria e al sole, il loto percorre e unifica tutti gli elementi. A livello cosmico, evoca la creazione stessa, l’universo. Questo è il momento in cui la tua capacità di creare è al suo apice, e se la saprai incanalare nel modo giusto avrai splendide sorprese.

Parola chiave: DANZA. Come Dioniso nell’antica Grecia, Shiva in India è il Dio della danza e dell’estasi, che annulla le forme e le idee fisse in un’unica danza di creazione e distruzione. I dervisci danzanti nella danza estatica si liberano di ogni idea artificialmente fissa delle virtù e dei peccati. Il suo elemento è il fuoco, simbolo dell’energia. Vortice di vita e movimento, ritmo suono, ritualità. E’ arrivato il momento di danzare alla vita, di alzare la tua energia e affrontare il mondo, quale nuovo ritmo vuoi proporre?

LETIZIA SGALAMBRO 52 anni, sagittario, counselor ed esperta di processi formativi. Crede che per ognuno sia già scritto il punto più alto dove possiamo arrivare in questa vita, e che il nostro libero arbitrio ci fa scegliere se raggiungere quel traguardo o meno. L'oroscopo? Uno strumento come altri per illuminare la strada.

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SAGITTARIO

CAPRICORNO


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