Finger in the eye. Theories of perception applied to graphic design

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Dita negli occhi

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“Dita negli occhi� Teorie della percezione applicate alla grafica. di Federica Esposito

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Accademia di Belle Arti di Napoli Tesi in Graphic Design Relatore Prof.ssa Mariateresa Girosi Correlatore Prof. Luca Castellano Curatrice del progetto artistico Prof. Enrica D’Aguanno


a mia sorella Alessandra.



“Dita negli occhi� Teorie della percezione applicate alla grafica. di Federica Esposito


“Dita negli occhi.” Teorie della percezione applicate alla grafica. di Federica Esposito Progetto grafico e videoimpaginazione Federica Esposito Accademia di Belle Arti di Napoli Tesi triennale in Graphic Design A.A. 2013/2014 Relatrice Prof.ssa Mariateresa Girosi Correlatore Prof. Luca Castellano Curatrice del progetto artistico Prof. Enrica D’Aguanno Matricola 36758 Questo libro è stato composto in caratteri Century Schoolbook, Clarendon, Lato su Windows Stampa presso Jo’ Stamperia. Vai Don Minzoni, 157 Finito di stampare in Marzo 2015




Indice

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Introduzione

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Gestalt psychologie

Come vediamo? 1.1 Percepire.

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1.2 Anatomia dell’occhio.

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1.3 Annessi all’occhio.

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1.4 Processo visivo.

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2.1 Nasce la Gestalt.

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2.2 22 La psicologia della forma. 2.3 24 Creare forme ottiche. 2.4 29 Art and visual perception. 2.5 36 Alphonse Jean Marie Mouron.

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New look of perception

Conclusione

3.1 45 Nuove teorie sulla percezione.

4.1 Neuroscienze.

3.2 47 Ricerche motivazionali.

4.2 Neuromarketing.

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Introduzione Le cose che si vedono sono l’aspetto visibile di quelle che non si vedono.

Camminando per strada è facile notare come le persone raramente si soffermano a osservare un manifesto. Stando a casa è osservabile quanta poca attenzione i nostri coinquilini prestano alla pubblicità in televisione. Quante possibilità ci sono che un impiegato nella fretta di raggiungere il suo posto di lavoro si soffermi davanti ad una locandina ed esclami: “Che bella campagna pubblicitaria!”. Eppure questi, come molti altri mezzi di comunicazione, sono lì, che cercano di trasmetterci delle informazioni, che vogliono dirci qualcosa, magari suggerirci dei bisogni o delle necessità. Allora perché i grafici, come altri del mestiere, “sprecano” tempo prezioso per degli elaborati che solo una minima parte dell’utenza apprezzerà? In realtà la sfida è proprio questa: inviare un messaggio, nel minor tempo possibile e con la massima efficacia. Per ottenere questo tipo di risultati si parte da una solida progettazione, per proseguire con un lavoro meticoloso e un’attenta cura dei dettagli. Una progettazione che pone le basi nei più profondi studi della psicologia umana. Spesso nei programmi accademici si nomina la Psicologia della Forma o Gestaltpsychologie. I gestaltici hanno effettivamente rivoluzionato il campo della percezione della realtà: il tutto è più della semplice somma delle parti. C’è qualcosa che va oltre al banale addizionare dei singoli elementi. Un tutto che emana una forza superiore. Gli elementi sul foglio interagiscono fra di loro, creano un qualcosa, un “più”. Gli studi della gestalt risalgono ai primi anni del ‘900, ma le ricerche sulla percezione partono da epoche molto più remote e ovviamente, sono andati avanti. È il caso del movimento americano del “New Look of Perception”, nato negli anni sessanta grazie allo psicologo statunitense Jerome Bruner. La teoria, seguendo le orme della Gestalt si basa sul dinamismo della mente nell’atto di percepire e di apprendere. Un meccanismo in continuo mutamento, fondato su una percezione selettiva degli elementi della realtà non legati a una perceptio innata e statica, ma mutevole, condizionate da esperienze passate, bisogni e interessi dell’individuo. Attualmente tali studi sono stati presi in esame dalla neuroscienza, che tenta, con l’aiuto dei mezzi oggi a disposizione l’analisi, delle componenti del nostro cervello coinvolte nei processi visivi. Determinante è la volontà di conoscere, e le nuove tecnologie permettono di fare un passo in avanti in tal senso. Scopo della ricerca è analizzare alcune delle più importanti teorie sulla percezione visiva, e quanto queste abbiano influenzato la grafica moderna, tentando di darle la sincera validità che merita.



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Come vediamo? Per percezione si indica l’atto del prendere coscienza di una realtà che si considera esterna a noi.

1.1 Percepire È possibile distinguere le sensazioni della percezione. Le sensazioni sono reazioni passive legate a stimoli esterni di tipo elementare, mentre, la percezione è un processo mediante il quale l’essere vivente trova informazioni sul mondo che lo circonda: è una rielaborazione interna del mondo esterno. Percepire è un’azione costante e naturale, anche se spesso può essere alterata da circostanze contingenti. Essa può essere sia una manifestazione soggettiva delle interpretazioni esterne oppure essere indipendente dal soggetto. Pur essendo la percezione un forte processo cognitivo senza il quale non avremmo contatto con la realtà che ci circonda, spesso,tutto è incerto nella percezione, nell’esperienza quotidiana ci accorgiamo che tutto nel campo del visibile può trasformarsi in un tranello. L’atto del vedere è possibile grazie all’organo della vista: l’occhio. Esso ci rende partecipi del mondo esterno donandoci dell’80% delle informazioni sull’ambiente circostante,anche se la percezione poi avviene tramite la rielaborazione dovuta al cervello, per cui si può dire che guardiamo con gli occhi ma “vediamo” col cervello. L’occhio ha la funzione di raccogliere la luce che proviene dall’esterno, essa viene rifratta al suo interno dalla cornea – la prima lente dell’apparato diottrico dell’occhio- in seguito passa attraverso un diaframma,l’iride,che regola l’intensità della luce che deve entrare all’interno del bulbo (troppa luce darebbe l’abbagliamento troppo poca genera una visione sfocata). La luce incontra poi la seconda lente dei mezzi diottrici, il cristallino, che mette a fuoco l’immagine che infine si fissa sulla retina in un punto particolare chiamato fovea, questa immagine è piccola e capovolta. Successivamente l’ immagine viene trasformata in una serie di segnali elettrici che grazie al nervo ottico vengono inviati al cervello per l’elaborazione e l’interpretazione percettiva.


1.2 Anatomia dell’occhio

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L’apparato della vista è costituito da due ordini di formazione: il primo è direttamente collegato al fenomeno della visione (conduzione e interpretazione dell’immagine visiva), il secondo che fa da supporto e accessorio al primo. Il primo ordine di formazione è costituito da: • Gli occhi, o bulbi oculari, la cui parte essenziale è una membrana nervosa: la retina, atta alla percezione delle immagini luminose. • I nervi ottici e le vie ottiche che congiungono le due retine ai centri nervosi. • I centri nervosi collegati alle vie di conduzione suddette. Al secondo ordine corrispondo una serie di organi annessi al bulbo oculare destinati a proteggerlo, consentirne il movimento, permettere il deflusso del liquido lacrimale. È composto da: • Il corpo adiposo dell’orbita • Le fasce del bulbo • Le palpebre e la congiuntiva • I muscoli dell’occhio • I vasi sanguigni, linfatici • Le vie lacrimali L’occhio ha una forma sferoidale. Nel bulbo si possono considerare una parete e un contenuto. La parete è formata da tre tonache (figura 1): La prima tonaca, sclera, è la più esterna detta anche tonaca fibrosa. Essa avvolge l’organo e ha funzione principalmente protettiva. È una membrana compatta, resistente e poco elastica. All’esterno appare bianca opaca. Nella sua parte anteriore cambia di curvatura e diventa trasparente formando la cornea (prima lente dell’occhio). La cornea sporge in fuori e agisce come mezzo convergente della luce. Il suo spessore è variabile. La seconda tonaca, quella media, è detta anche uvea. È interposta fra la sclera all’esterno e la retina all’interno. È una membrana di natura connettivale, ricca di vasi e pigmento, appare quindi di colore scuro, nel suo interno è anche presente tessuto muscolare. Il muscolo ciliare che serve al movimento del cristallino. Grazie al suo colore impedisce la rifrazione della luce nella cavità oculare. Nella sua parte anteriore all’altezza della coroide si curva verso l’interno e costituisce l’iride, formazione muscolare a forma di anello al cui centro c’è un foro, la pupilla, il cui diametro varia a seconda della attività antagonista del muscolo sfintere e del muscolo dilatatore della pupilla. Questi riflessi si distinguono in: sensoriali e psicosensitivi. Tra i sensoriali distinguiamo quello fotomotore: la pupilla si restringe se viene a contatto con una fonte luminosa; e il riflesso della visione da vicino: se si invita il soggetto a guardare a grande distanza e poi subito a guardare un oggetto vicino le pupille si restringeranno (accomodazione). Tra i psicosensitivi ricordiamo il riflesso al dolore: sotto l’azione di un dolore la pupilla si dilata lentamente per poi restringersi velocemente; il riflesso alle emozioni: la pupilla di un soggetto sottoposto ad un emozione violenta si dilata; il riflesso alla chiusura palpebrale: nell’atto della chiusura delle palpebra la pupilla si dilata. La terza tonica è la retina, è la più interna delle tre membrane che formano la parete del globo oculare. Si estende dal punto di entrata del nervo ottico fino al margine pupillare dell’ride. Rappresenta la parte più differenziata dell’occhio e anche la sua parte essenziale de processo di visione. È molto sottile e il suo spessore varia nei diversi punti. Considerandola nel suo insieme può essere suddivisa in due zone principali che continuano dall’indietro all’avanti senza interruzione: la parte ottica, utile per la vista, e la parte cieca. Strutturalmente la retina risulta formata da due strati. Lo strato pigmentario è a diretto contatto con la coroide. Sopra di questo è posto lo strato nervoso che


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sclera

fovea centrale

muscoli oculari

uvea

cristallino

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cornea

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pupilla

iride

nervo ottico

corpo vitreo

fig. 1

retina epitelio coni e bastoncelli

cellule bipolari cellule gangliari

fig. 2


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comprende una stratificazione cellulare in cui sono contenute le cellule (figura 2)capaci di percepire la luce, coni e bastoncelli. Queste sono chiamate cellule fotocettrici, oltre a esse distinguiamo le cellule bipolari a loro volta connesse con le cellule gangliari i cui prolungamenti vanno a formare il nervo ottico. Praticamente in questo modo uno stimolo luminoso, percepito a livello delle cellule fotocettrici, viene inviato alle bipolari, di qui alle gangliari i cui prolungamenti formano il nervo ottico e di qui via verso i centri corticali. Macroscopicamente tre zone sono caratteristiche della retina. La prima è l’ora serrata, che rappresenta il limite anteriore della parte ottica. La seconda è la papilla ottica, è una zona chiara giallo rossa che si staglia sul colorito rosso del fondo oculare e rappresenta il punto di emergenza del nervo ottico, non essendo ricoperta dalla retina è una zona cieca e non è perciò sensibile alla luce. L’ultima è la macula lutea, è un’area a forma di ellissi con una lieve depressione al centro chiamata fovea centrale. Al suo centro la retina presenta spessore minimo e proprio in questo punto vi è la sede della visione distinta. Il nervo ottico si forma grazie ai cilindrassi che formano uno strato della retina e si dirigono verso il foro posto sul fondo per attraversarlo e costituire il nervo ottico. Esso è composto da tre tipi di fasci: il fascio diretto è parte della zona laterale della retina e fuoriesce verso il cervello senza subire variazioni; il fascio crociato parte dalla zona mediale e si incrocia con quello del lato opposto; il fascio maculato si suddivide in un fascio che continua il suo cammino e un altro che si incrocia con il fascio corrispondente.


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1.3 Annessi all’occhio Nell’orbita sono contenuti i muscoli destinati a promuovere il movimento dell’occhio e l’elevazione della palpebra superiore. I muscoli oculo motori sono distinguibili in intrinseci ed estrinseci. I primi sono costituiti dai muscoli ciliari, che controllano l’accomodazione a distanza; e dallo sfintere, la cui funzione è quella di regolare l’apertura della pupilla insieme al muscolo dilatatore, essi provocano l’apertura e chiusura della pupilla miosi e midriasi, che può avvenire in seguito a diversi stimoli, tra cui quello della luce (riflesso pupillare) e l’accomodazione. I muscoli estrinseci, sono costituiti da quattro muscoli retti: retto superiore, inferiore, mediale, e laterale spostano la cornea nelle quattro direzioni. Le palpebre sono due pieghe cutanee poste davanti al bulbo oculare di cui rappresentano un organo di protezione. La palpebra superiore presenta uno sviluppo maggiore rispetto alla inferiore. La palpebra inferiore, infatti, è poco mobile per cui quasi tutta la meccanica di chiusura palpebrale ricade su quella superiore e sul suo muscolo elevatore. Entrambe contribuiscono ad aumentare e diminuire la luce che penetra l’occhio, La congiuntiva è una membrana mucosa trasparente che riveste la faccia posteriore delle palpebre e buona parte della faccia anteriore del bulbo. Ha la funzione di proteggere il bulbo oculare, soprattutto la cornea (benché la sua faccia anteriore sia sprovvista del rivestimento congiuntivale), nonché di facilitare il suo scorrimento e quello delle palpebre nelle fasi di ammiccamento, mediante la secrezione della componente mucinica del film lacrimale. , Le ciglia e le sopracciglia sono formazioni pilifere, le prime sono impiantate su una o diverse file lungo il margine delle palpebre. Le sopracciglia sono due rilievi allungati in direzione trasversale e forniscono all’occhio un ulteriore elemento di protezione. L’apparato lacrimale fa parte assieme alle palpebre e alla congiuntiva del sistema di protezione dell’occhio, tenendolo inoltre sempre umido.

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1.4 Processo visivo

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Gli assoni delle cellule gangliari della retina, circa un milione e mezzo di cellule, si riuniscono nella papilla ottica ed escono dalla retina formando il nervo ottico. I nervi (figura 3) si incontrano nel chiasma, dove si incrociano parzialmente: gli assoni provenienti dalla metà destra di ognuna delle due retine vanno a formare il tratto ottico sinistro, che si dirige verso l’emisfero sinistro del cervello, mentre gli assoni della metà sinistra delle retine formano il tratto ottico destro. Ne consegue che la metà sinistra del campo visivo è rappresentata nella parte destra del cervello e viceversa. I tratti ottici terminano nei nuclei (o corpi) genicolati laterali del talamo, dove le fibre si distribuiscono ordinatamente in sei strati di cellule, tre provenienti dall’occhio destro e tre, alternati, dall’occhio sinistro. Il corpo genicolato laterale è una stazione intermedia delle vie visive, dove le fibre dei tratti ottici entrano in contatto sinaptico con le cellule genicolate, i cui assoni si dirigono poi alla corteccia visiva del cervello dello stesso lato. I campi recettivi delle cellule del corpo genicolato sono molto simili a quelli della retina già descritti: campi a simmetria circolare, con risposte di tipo on e off. Nel corpo genicolato laterale, oltre a quelle del tratto ottico, convergono molte altre fibre, provenienti dalla sostanza reticolare e dalla corteccia visiva, che hanno il compito di modulare il flusso dell’informazione visiva in rapporto allo stato di veglia o di attenzione del soggetto o dell’animale. Quando la persona tende ad assopirsi o è comunque disattenta, le risposte visive sono molto attenuate, come se il cervello tendesse a ignorare le informazioni che in quel momento non ha interesse a elaborare. Grazie alla complessa struttura dell’occhio e di tutti gli organi accessori è possibile la visione e la percezione del mondo. Per vedere è necessario che ci sia luce. La luce è un flusso di onde elettromagnetiche. Il sistema visivo umano riesce a percepire lo spettro di luce approssimativamente da 400 nanometri (violetto) a 700 nanometri (rosso). Questo intervallo viene definito “spettro visivo” e il colore è determinato dalla lunghezza d’onda. La luce attraversa i mezzi ottici dell’occhio: la cornea che è la parte trasparente e il cristallino, che cambiando la propria forma consente di mettere a fuoco gli oggetti vicini e quelli lontani. Questa capacità del cristallino viene definita “potere accomodativo” o “accomodazione”. La radiazione luminosa arriva alla retina, che è la parte “fotosensibile”. Qui hanno sede fotorecettori detti coni e bastoncelli (rispettivamente 6 e 120 milioni), la luce viene trasformata in impulsi elettrici e avviene una pre-elaborazione dell’immagine, la quale viene trasmessa tramite il nervo ottico al cervello, che si occupa di invertirla, interpretarla e riconoscerla. Il processo visivo avviene in 1/10 di secondo. Essendo gli occhi a una certa distanza fra loro, le immagini che arrivano alle rispettive retine, provengono da angolazioni diverse e non sono esattamente sovrapponibili. Questo permette di vedere gli oggetti in tre dimensioni e acquisire il senso della profondità della scena. È ciò che si definisce “visione stereoscopica” o “stereopsi”.L’acuità visiva massima (la capacità di vedere i 10/10) risiede solamente nella ristretta zona della retina chiamata fovea che ha una dimensione di 0,5 mm. Proprio per questo motivo i nostri occhi si spostano continuamente in un alternarsi di micromovimenti impercettibili detti “saccadi” o Fast Eye Movement. Questi movimenti consentono di raccogliere tutte le informazioni relative a ciò che stiamo guardando, per esempio osservando un volto si concentrano e si soffermano su aree specifiche. Nei movimenti oculari gli assi visivi dei due occhi si mantengono sempre paralleli evitando così immagini confuse.


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occhio

nervo ottico

chiasma

campo visuale

corteccia visiva primaria

fig. 3

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Gestalpsychologie Il tutto è più della somma delle sue parti

2.1 Nasce la Gestalt Gli studi sulla percezione della realtà hanno influenzato in maniera rilevante qualunque disciplina le avesse rivolto una particolare attenzione. I primi studi su questa materia risalgono al ‘700, ma gli sviluppi più rilevanti sono emersi verso la fine del ‘800. è all’inizio del ‘900 che La psicologia della gestalt pone le basi per una vera a propria rivoluzione nel campo della percezione. Il nuovo sguardo che gli psicologi della gestalt rivolgono a questo settore affonda le sue radici negli studi di Chr. Von Ehrenfels del 1890. Egli fu il primo a dubitare della validità delle impostazioni atomistiche ai fini di una teoria della vita psichica, definendo “le qualità gestaltiche”. Il primo criterio ehrenfelsiano della forma è l’espressione che sarà poi tanto cara ai gestaltici: il tutto è più della somma delle sue parti. Secondo la quale determinati oggetti percettivi, pur potendo essere vissuti soltanto sulla base di date sensazioni, non sono propriamente costituiti da quelle sensazioni, tanto è vero che si può mutare l’insieme dei dati sensoriali lasciando invariato il percetto. Negli anni attorno al 1900 la scuola di Graz costituisce una complessa dottrina per l’interpretazione della genesi di questi oggetti percettivi particolari. Gli psicologi appartenenti a questa scuola applicano in ricerche sperimentali i punti di vista teoretici di questa teoria. Grazie ad uno dei suoi esponenti, Benussi, il problema della percezione della forma diviene l’oggetto principale delle ricerche di molti psicologi. Una posizione fondamentale assume in tali ricerche il contributo di Wertheimer, Kohler e Koffka che nel 1911 definiscono un nuovo indirizzo, quello appunto della Gestalpsychologie, ovvero psicologia della forma. Nasce dunque una nuova scuola che fa capo all’istituto di psicologia dell’università di Berlino. La gestalpsychologie ha avuto importanti sviluppi in tutto il XX secolo. Rudolf Arnheim, in particolare, ne ha fatto la base per la sua analisi dei fenomeni artistici, e il settore della comunicazione visiva e della grafica ne ha tratto preziose indicazioni per la messa a punto di paradigmi progettuali efficaci e moderni. In campo artistico, basti pensare a Klee e Kandiskj che sostengono la teoria secondo la quale punti e linee, collocati su una superficie, vengono percepiti come forze spaziali, dinamiche in tensione, con energia di campo e direzione. Causa l’inizio della seconda guerra mondiale, gli psicologi della Gestalt furono costretti ad emigrare negli Stati uniti. Da un lato questi studiosi dovettero prendere posizione di fronte alle correnti che


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Max Wertheimer 1880-1943 è stato uno psicologo ceco. Fu uno dei maggiori esponenti della psicologia gestaltistica assieme a Wolfgang Köhler e Kurt Koffka.

dominavano il panorama americano: il behaviorismo e la riflessologia. Dall’altro si adattarono alla mentalità del nuovo paese, dando all’esposizione delle loro dottrine maggiore flessibilità e concretezza. Kurt Lewin, in particolar modo, che già precedentemente aveva applicato i punti di vista della gestalt allo studio della emotività e del comportamento attivo dell’uomo, costruì, sempre nello spirito della gestalpsycologie, quella che egli definì psicologia vettoriale, o topologia. Si tratta di un metodo per studiare il comportamento umano considerandolo determinato dalla struttura dello spirito ambientale e come è concretamente vissuto dal soggetto in base ai fattori emotivi e tendenziali che in qualche modo lo pervadono.

2.2 La psicologia della forma La psicologia della forma si pose subito in contrasto con la teoria atomistica che alla fine del 1800 dominava il panorama psicologico. La psicologia atomistica deriva dal materialismo greco che immagina il mondo composto da elementi minutissimi, non divisibili e dotati di determinate forze. Una pratica dimostrazione è riscontrabile nella teoria fisiologica, dove l’organismo viene rappresentato come composto da milioni di cellule, il cui elemento base che permette il movimento è il riflesso. I riflessi hanno una struttura costante e presentano reazioni costanti agli stimoli ambientali. Essi si eccitano o si inibiscono a vicenda portando all’organismo il risultato di queste funzioni individuali raggiunte per addizione o sottrazione. Il nostro corpo è posto su un piano puramente meccanico essendo controllato esclusivamente da riflessi. È nel campo delle sensazioni che la teoria atomistica trova piena giustificazione grazie all’anatomia degli organi sensoriali e alla scoperta dei recettori puntiformi della cute. Alla stimolazione isolata dei sensori della pelle corrispondono percezioni singole. Quindi, la percezione tramite gli organi sensoriali non è altro che un processo sommativo- aggregativo: le impressioni percettive provengono dalla somma delle eccitazioni degli elementi sensitivi singoli. La psicologia della forma non si accontenta di questi risultati della teoria atomistica-meccanicistica, portando avanti l’idea che il tutto è più della somma delle parti, criticando il carattere meccanico di questo tipo di psicologia – carattere che si può evincere anche dalla considerazione delle immagini, definite come repliche più deboli delle percezioni. Il processo della coscienza è una progressione di sensazioni e d’immagini che si associano per contiguità nel tempo e nello spazio (associazionismo). In questo modo, qualsiasi immagine può collegarsi all’altra, formando una “meccanica delle immagini”. Molti, del resto, furono gli esperimenti compiuti su questo piano, ovverosia esaminare immagini o materiali svuotati completamente dal loro valore significativo (ad es. sillabe senza senso), evidenziando la perdita di vitalità del pensiero sensato e della fantasia. La psicologia della forma nega l’attinenza della teoria dei riflessi poiché non c’è correlazione stabile tra un determinato stimolo ambientale e la percezione sensoriale che ne consegue, infatti stimoli diversi possono dare esito alla stesso percetto.


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“ Le forme sono strutture integrali il cui comportamento non è determinato dal comportamento degli elementi singoli che le compongono, ma dalla natura intrinseca del loro insieme.”

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-M. Wertheimer

Un’ulteriore critica che la psicologia della gestalt muove a discapito della psicologia tradizionale riguarda il concetto di sensazioni pure. Con sensazioni pure si intendono quelle percezioni che provengono immediatamente, e senza ulteriore attività interpretativa, dall’eccitazione degli organi sensitivi. Se ad esempio guardiamo una forma geometrica inclinata nello spazio, questa apparirà distorta (cerchio, ovale). Grazie a tale caratteristica del nostro sistema percettivo, siamo informati sulle vere proprietà degli oggetti del nostro ambiente. Se la forma degli oggetti cambiasse continuamente a seconda della loro inclinazione rispetto all’asse ottico (cosa che in realtà accade con le immagini retiniche) allora il nostro orientamento del mondo sarebbe seriamente compromesso, vivremmo il mondo delle forme non più come ordine ma come caos. Nel caso sopra citato, la forma geometrica rimane immutata a prescindere dalla sua posizione di fronte all’osservatore: ciò viene definito come fenomeno della costanza e precisamente come costanza di forma. Per il fenomeno della costanza di dimensioni, le dimensioni vissute di un oggetto appaiono ampiamente indipendenti dalle dimensioni dell’immagine retinica locale. Analogamente per la costanza del colore, infatti l’impressione che abbiamo del colore di un oggetto è indipendente dalle condizione d’eccitamento locale. Fanno parte dei fenomeni di costanza anche esperienze dei sensi tattile e muscolare, le quali dimostrano che la percezione delle proprietà degli oggetti, come la ruvidezza, la levigatezza, la durezza è libera dall’eccitamento di questi sensi. Il fenomeno della costanza caratterizza ogni nostra esperienza visiva a prescindere dal fatto che forma, dimensione o colore di un dato oggetto siano stati visti in precedenza, il fenomeno della costanza è quindi indipendente dall’esperienza passata dell’osservatore. Ciò si spiega col fatto che l’uomo possiede l’impulso innato a costituire gli oggetti in unità ed è quindi capace di percepire oggetti come unità ancora prima di sapere di che cosa si tratti: riusciamo a distinguere un oggetto nello spazio quando siamo in presenza di unità chiuse. Tornando al pensiero sopra menzionato, cioè che la psicologia della forma nega la correlazione stabile tra un determinato stimolo ambientale e la percezione sensoriale che ne consegue, scopriamo dunque che ciò che determina l’impressione percettiva che proviamo in un punto circoscritto del campo visivo è lo stato eccitatorio globale del campo.

Christian von Ehrenfels 1859-1932 è stato un filosofo austriaco, precursore della psicologia gestaltistica, in quanto inventore del concetto stesso di Gestalt. Divenne famoso per l’opera “Sulle qualità gestaltiche”.


2.3 Creare forme ottiche

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Per investigare i fattori che determinano l’organizzazione del campo visivo in unità separate e autonome, la psicologia della forma si serve di figure ottiche semplici, per lo più costituite da punti e linee. Questa scelta è legata al fatto che in tali circostanze si ha una comprensione immediata del fenomeno: utilizzando immagini più complesse, infatti, il carico informativo aumenta e con esso anche la probabilità di rendere caotica la percezione, in tali condizioni l’assimilazione di un concetto diventa più problematica. Secondo la psicologia della forma si percepisce attraverso schemi innati, che non derivano cioè dall’esperienza condotta dall’individuo nell’arco della sua vita. La percezione dipende dalla posizione assoluta dell’oggetto nello spazio. Attraverso il contrasto tra i sensi con e senza problemi dell’espressione si può affrontare efficientemente la relazione tra percezione di forme e posizione assoluta. La percezione dipende dalla posizione assoluta dell’oggetto nello spazio. Le condizioni più importanti per la genesi di forme ottiche sono: 1. Legge della vicinanza. Le parti di un insieme percettivo vengono raccolte in unità conforme alla minima distanza.

fig. 1

2. Legge dell’eguaglianza. Se lo stimolo è costituito da una moltitudine di elementi diversi,si manifesta una tendenza a raccogliere in un gruppi gli elementi fra loro simili.

fig. 2

3. Legge della forma chiusa. Le linee determinanti una superficie si percepiscono come unità più facilmente di quelle che non si chiudono. Nella figura 3a, gli elementi lineari 1 e 2, 3 e 4, 5 e 6 si costituiscono in strisce; nella 3b, invece, sono le linee 2 e 3, 4 e 5, 6 e 7 che costituiscono delle unità. La legge della "forma chiusa" è molto importante per la segmentazione ottica del campo visivo in oggetti, indipendentemente dal fatto che siano conosciuti o meno.


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a

b

fig. 3

b a 3 1 2

4 c

fig. 4

4. Legge della curva buona o del destino comune. Quelle parti d’una figura che formano una curva buona o hanno destino comune si costituiscono in unità con facilità maggiore rispetto alle altre. Questa legge impedisce frequentemente che parti appartenenti a oggetti diversi si fondano in unità. In altre parole aiuta a vedere separatamente oggetti che si trovano in contatto ottico tra loro. Ciò perchè i contorni delle parti dei vari oggetti non si congiungono in una “curva buona” e, quindi, hanno destini diversi.

La figura 4 c è un esempio lampante della legge del destino comune. In effetti è naturale percepire come unità le parti 1 e 2, 3 e 4. Uno sforzo maggiore è richiesto, per esempio, per unire la parte 1 con la 3.

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Il triangolo di Kanizsa è un’illusione ottica. Nella figura “vediamo” due triangoli equilateri bianchi l’uno sovrapposto all’altro anche se nessuno dei due triangoli è effettivamente disegnato. Il triangolo bianco inesistente sembra essere più luminoso della zona circostante, mentre quell’area ha la stessa luminosità delle zone adiacenti. Ciò perché la nostra valutazione percettiva ha bisogno di contrasto figura/sfondo e anche quando questo non c’è si crea lo stesso.

5. Legge dell’esperienza. Elementi che per la nostra esperienza passata sono abitualmente associati tra di loro tendono a essere uniti in forme comprese in modo unitario e univoco. La psicologia della forma, pur non attribuendo all'esperienza la stessa importanza per l'organizzazione delle cose che le dà la psicologia associazionistica, non esita a riconoscerle una azione concomitante. Oltre a interpretare l'esperienza sotto un profilo biogenetico, aggiunge anche l'idea che l'esperienza individuale modella le nostre impressioni. Solo per chi conosce l'alfabeto latino, in effetti, riconoscerà le tre linee presenti nella figura 5 come la lettera "E", credendo persino di vedere dei contorni di lettura che in realtà non sono presenti.

fig. 5


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a

b

c

fig. 6

6. Legge della pregnanza o della buona forma. Le forme più regolari, più semplici, più simmetriche sono quelle che andranno a costituirsi in unità nel campo percettivo. Dunque tra le varie organizzazioni geometriche possibili, prevale quella “ percettivamente” più stabile, cioè che ha maggiore probabilità di essere individuata agli occhi di un osservatore. Le caratteristiche basilari di una forma pregnante sono la semplicità, l’ordine, la simmetria, la regolarità, ma soprattutto la coerenza strutturale e il carattere unitario: ciò si verifica quando siamo in presenza di oggetti percettivi costruiti secondo un medesimo principio in tutte le parti. Nella figura 6a è possibile notare come il l’ellisse possa sembra un cerchio perfetto. Gli angoli della 6b appaiono retti quando in realtà sono leggermente acuti. Il triangolo 6c, di primo acchitto, è percepito come figura chiusa e non leggermente aperta negli angoli inferiori. Possiamo annoverare per la forma le seguenti caratteristiche: delimitata, coerente, spiccante, e strutturata. Vivere una forma figurale vuol dire vivere un’unità percettiva che non può essere modificata a discrezione del soggetto. Quanto più “forte” è una forma tanto più forte è la sua resistenza a interventi esterni. Nella sua struttura predominano le qualità del tutto sulla quantità delle singole parti. Il cerchio è un esempio perfetto di coesione di una forma. Lo si evince anche sotto l’aspetto funzionale. La pressione endogena si manifesta con massima intensità inducendo addirittura la trasformazione di figure irregolari in cerchi. L’impressione della forma impedisce il distacco di frammenti dal suo complesso, mentre la forma viene turbata qualora elementi singoli spiccano in essa. Per esempio, figura 7, nella lettera “R” non notiamo le lettere “P”, “D” e “I” seppure sono contenute in essa. Nella Lettera “E” nessuno vede la “F”o la “I” eppure fanno parte della sua costruzione. Le parti di una forma hanno valenze diverse. Ce ne sono alcuni indispensabili per l’identificazione della forma e la conservazione della struttura integrale. Nelle figure “plurivoche”, ossia le figure ambigue, si vede o l’una o l’altra immagine possibile. È impossibile vederle entrambe nello stesso momento. Questo perché, secondo la teoria della forma, i contorni hanno una funzione unilaterale.

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fig. 7

Noi vediamo le cose e non le lacune o i vuoti che le separano, anche nei casi in cui i contorni di un vuoto costituiscono una figura significativa. La forma oltre a un primato fenomenico, ha anche un primato funzionale: emana delle influenze su altri processi. Per esempio la soglia cromatica è più alta per una forma figurale che per lo sfondo, pur essendo identiche le condizioni fisiche di entrambi gli stimoli. La figura ha la tendenza ad apparire più omogenea e più coerente per colore e contorno. Ricordiamo che la psicologia della forma sostiene che l’organismo reagisce a una data costellazione di stimoli con un processo globale. Gli elementi della forma vengono determinati dalla forma globale, e non viceversa. Secondo Kohler anche nelle forme vissute si manifesta la tendenza verso la regolarità e la simmetria. Questo fenomeno si può osservare con dei semplici esperimenti. Versando dell’olio nell’acqua le forze superficiali modificano la forma della superficie di confine fra le due masse fin tanto che l’olio galleggi come una sfera perfetta nell’altro liquido. Il concetto di forma ha un’estensione che oltrepassa notevolmente il campo psicologico, questo concetto abbraccia sia la fisica sia la fisiologia.


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2.4 Art and visual perception La psicologia della Gestalt implica una conoscenza e una percezione strutturata, autonomamente configurata. Essa ha mostrato sempre una parentela con l’arte. In effetti, si richiede una sorta di “sguardo artistico” verso la realtà per ricordare agli scienziati che la maggior parte dei fenomeni naturali non verranno mai descritti in maniera adeguata se saranno analizzati pezzo per pezzo. Gli studi gestaltici chiarirono come, più spesso di quanto non si creda, le situazioni che ci troviamo a dover fronteggiare possiedono delle caratteristiche che richiedono di dover essere percepite “correttamente”. Il processo di guardare il mondo esterno si rivela come uno scambio tra proprietà fornite dall’oggetto e la natura dell’osservatore. A Rudolf Arheim, uno dei più importanti allievi degli psicologi della forma, va il contributo di aver mostrato come si potessero cogliere i significati delle opere d’arte approfondendo il rapporto tra forma, spazio, luce, colore, e movimento attraverso il tramite della percezione. Operò una saldatura tra le tesi della Psicologia della Gestalt e l’iconologia. Nel suo più celebre libro, Arte e percezione visiva del 1954, indicò come il vedere fosse un atto creativo e come il giudizio visivo e la comprensione intellettuale del mondo dell’arte fossero tutt’uno con l’atto stesso del percepire. Sviluppò studi che mostrarono come le scelte dei colori e delle forme nei pittori dipendano da modalità psicologiche e percettive e come anche la interpretazioni critiche fossero condizionata dalle modalità percettive del singolo individuo. L’equilibrio Osservando la figura 1 anche senza nessun metodo di misurazione si nota che il cerchio è decentrato rispetto al resto del quadrato. Guardando l’immagine nel suo intero si avverte un’asimmetria. Come prima cosa si può affermare che l’oggetto è visto immediatamente nella sua particolare dimensione, nella sua determinata posizione. Infatti, niente viene percepito come unico o isolato dal resto. “Vedere” qualcosa significa assegnare il suo posto nello spazio, valutando la sua dimensione e la sua distanza. Un’ulteriore caratteristica risalta all’occhio guardando la figura: il cerchio dimostra una certa “irrequietezza”. È come se il protagonista del disegno tentasse di raggiungere una posizione

Rudolf Arnheim 1904 – 2007 è stato uno scrittore, storico dell’arte e psicologo tedesco. Nel 1946 ottenne la cittadinanza americana e nel 1954 pubblicò il suo libro più famoso, “Arte e percezione visiva” (Art and visual perception).

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più stabile nello sfondo. Questo perché l’esperienza visiva è dinamica, l’oggetto della percezione umana è prima di tutto un’interazione tra tensioni guidate. Tensioni che non sono aggiunte dall’osservatore ma che fanno parte delle caratteristiche dell’elemento percepito tanto quanto la dimensione, la forma, ecc. Questa tensione ha essa stessa una grandezza e una direzione che potremmo definire come una “forza psicologica”. Nella figura non c’è nessuna forza o direttiva che rileva la tendenza del cerchio ad avvicinarsi verso il centro o verso i bordi, eppure si avverte: nel campo visivo ci sono più cose di quante colpiscono la retina. Questa tendenza è innata nel nostro sistema visivo, proprio come è innato raggruppare forme in base alla loro vicinanza o alla loro somiglianza o alle altre leggi che i gestaltici già hanno esaminato nella loro teoria. Sono delle strutture indotte che portano a un’induzione percettiva. Ponendo il disco in altre zone del quadrato si potrà scoprire come in alcuni punti esso dà l’impressione di essere solidamente fermo, o di rimanere del tutto stabile, o di tendere verso determinate direzioni. Il punto di maggiore stabilità ovviamente è il centro, ma per ogni rapporto spaziale c’è una distanza “esatta” stabilita dall’occhio. I grafici rispondono a questa esigenza quando stabiliscono le posizioni degli elementi in un elaborato. L’immagine della figura 2 è lo scheletro strutturale del quadrato. Qualunque sarà la posizione del disco posto su questo sfondo, esso subirà l’influenza di tutte le forze esercitate dai fattori strumentali nascosti. Tutte le posizioni che vanno a coincidere con i punti salienti dello scheletro strutturale danno un senso di stabilità. Un effetto spiacevole viene prodotto da posizioni del cerchio nelle quali le spinte sono ambigue ed equivoche. In questo caso entrano in gioco i fattori soggettivi dell’osservatore. La figura, e la sua struttura nascosta, non sono soltanto un intrico di linee. Un pattern, o scheletro strutturale, è davvero un campo di forze. Nessun punto è libero da questa influenza. È vero che esistono dei punti “morti”, dove apparentemente questa tensione è assente ma non realmente: non si sentono stimoli perché si raggiunge un equilibrio, sono fermi ma carichi di energia. Viene spontaneo chiedersi da dove nascano queste forze. È bene spiegare che ogni aspetto dell’esperienza visiva ha una controparte psicologica nel sistema nervoso, dove si può prevedere in linea generale la natura di questi processi cerebrali. Ogni processo verificatosi in un punto qualsiasi è determinato dalle interazioni tra le parti e il tutto. Solo percettivamente e artisticamente sono reali. Che cos’è l’equilibrio? In fisica viene definito come la condizione di un corpo in cui le forze, che agiscono su di esso, si bilanciano. Non è possibile ricorrere ad alcun sistema di calcolo che sia in grado di sostituire l’intuitivo senso d’equilibrio dell’occhio. Quindi, l’organo della vista vive l’equilibrio quando le forze fisiologiche corrispondenti nel sistema nervoso sono distribuite in modo da bilanciarsi a vicenda. L’equilibrio, è quella condizione distributiva nella quale ogni cosa raggiunge la desiderata immobilità. sbilanciata dà un’impressione di accidentalità, la figura diviene ambigua e tale da non permettere quali delle possibili configurazioni l’artista avesse in mente di conferirgli. L’equilibrio, comunque, non esige la simmetria. Paradossalmente si può affermare che anche uno squilibrio, magari ben accentuato e definito, può regalare una sensazione di equilibrio. Come è possibile notare nella figura 3 a e b.


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fig. 1

fig. 2

a

b fig. 3

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Due proprietà degli oggetti visivi hanno un’influenza particolare sull’equilibrio: il peso e la direzione. Il peso Il peso, scientificamente, è descritto come un’azione della forza gravitazionale che attira gli oggetti verso il basso. Nel campo artistico, più precisamente in quello pittorico, è un effetto dinamico. Esso dipende dalla collocazione, dalla profondità spaziale, dall’interesse intrinseco, dall’isolamento e dalla forma. 32 g e s t a l t p s y c h o l o g i e

1. Collocazione: una posizione “forte” sulla pianta strutturale supporta un peso maggiore di una posizione decentrata o lontana dall’asse centro-verticale o centroorizzontale. 2. Profondità spaziale: maggiore è la profondità raggiunta da un’area del campo visivo e maggiore e il suo peso. Praticamente: un oggetto più lontano si percepisce come più grande e più importante che se fosse collocato in primo piano. 3. Interesse intrinseco: un’area di un dipinto può attrarre l’attenzione dell’osservatore per via del soggetto che si vuole riprodurre. 4. Isolamento: un elemento posto da solo o in netta distanza dal resto della composizione acquisisce maggiore peso e importanza. 5. Forma: Le forme regolari, semplici, compatti o con direzione verticale hanno solitamente più peso. L’equilibrio visivo si ottiene con infinite modalità differenti. Il numero degli elementi può variare dalla figura singola a una distesa di elementi che occupano il campo intero. La distribuzione del peso può essere dominata da un accento poderoso al quale tutto il resto è subordinato.

“ La tendenza dell’uomo verso l’ordine, della quale l’arte non è che una delle manifestazioni, deriva da una consimile tendenza universale presente in tutto il mondo organico, e trova pure un parallelo, anzi forse un’origine, nella tendenza verso lo stato di struttura più semplice, presente nei sistemi fisici.” -R. Arnheim


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Figura 5 Con punto al limite della superficie 1924 Kandinsky

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fig. 5

La direzione Come si è già detto l’equilibrio si ottiene compensando le varie forze (collocazione, valore, direzione). Il peso di un colore può essere equilibrato da un movimento verso il centro, oppure il peso ottenuto con una collocazione centrale può essere contrapposto con la direzione di una forma. La complessità di questi rapporti rende maggiormente vivace una scena. La direzione della forza visiva può essere esercitata con diversi espedienti: 1. L’attrazione esercitata dai pesi degli oggetti circostanti. 2. La forma. Un esempio classico è la forma triangolare diretta verso l’alto della “Pietà” del Greco 3. La natura del soggetto, una personaggio che sta camminando ad esempio o un oggetto che sta cadendo. In una composizione grafica il testo spesso determina delle direzione e dei movimenti. Pattern d’equilibrio L’equilibrio visivo può variare anche dal numero degli elementi. Una scena con un singolo elemento o con una coppia ha un “gradiente gerarchico” molto ripido, la distribuzione del peso sarà dominata da un unico accento che subordina il resto. Il gradiente gerarchico si avvicina allo zero quando un pattern è costituito da varie unità di pari peso e l’equilibrio è ottenuto attraverso l’omogeneità. Essa può essere portata a casi limiti e la composizione viene detta atonale poiché non vengono presi in considerazione i rapporti tra gli elementi ma vengono collegati tra di loro, come in alcuni dipinti di J. Pollock.

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Alto e basso

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La forza di gravità ci fa vivere in uno spazio anisotropico, la dinamica varia con il variare della direzione. Salire verso l’alto significa opporsi ad una forza, scendere o cadere è una adesione passiva alla forza di attrazione. Visivamente un determinato oggetto acquisterà maggior peso se collocato in alto, in una composizione verticale per raggiungere un equilibrio gli oggetti in alto dovranno essere più leggeri. La linea di visione umana è praticamente sempre parallela al suolo, questo non accade in fotografia e nemmeno nei software 3d quindi la regola precedente non necessariamente è valida. Ruotare l’orizzonte non basta per ottenere un’immagine “d’effetto”, bisogna anche raggiungere un buon equilibrio tra gli elementi in basso e quelli in alto. Per la vista la posizione eretta ha più significati: 1. Orientamento ambientale: in qualsiasi posizione della testa siamo quasi sempre consapevoli della verticale fisica (o oggettiva) 2. Orientamento retinico: distinguiamo l’orientamento verticale anche per figure perpendicolari alla verticale fisica (l’alto e il basso in una pagina di un libro su un tavolo ad esempio). Nella realizzazione dei paesaggi realistici spesso la parte bassa dell’immagine è nettamente la più pesante, lo stesso vale per la maggior parte dei font tipografici. Questo contribuisce a dare un’idea di equilibrio sicuro, la controprova si può fare facilmente ribaltando alcune lettere come la “S”, la “B” o il numero “3” di alcune font tradizionali, noteremo subito un disequilibrio ( figura 4 ). Questa regola è valida anche per le cornici e le impaginazioni verticali, così in presenza di un margine si tende a mettere maggiore spazio in basso che lateralmente. Destra e sinistra L’anisotropia ci permette di distinguere bene “l’alto e il basso”, lo stesso non è per la destra e la sinistra”, la cosiddetta “asimmetria laterale” si manifesta nella distribuzione degli oggetti con un’irregolarità di pesi e in un vettore dinamico orientato da destra a sinistra del campo visivo. Questo fenomeno genera diversi effetti: 1. La diagonale che va dal basso a sinistra all’alto a destra è visto come ascendente, al contrario come discendente. 2. L’osservatore vive l’immagine come se stesse di fronte spostato a sinistra, questa zona scenica assume importanza. Addirittura nel teatro e nel cinema se ci sono 2 gruppi di personaggi contrapposti si tende a posizionare (o a fare entrare in scena) dal lato sinistro il gruppo di personaggi con cui si vuole far identificare il pubblico. Solitamente la lettura di un quadro, di un’immagine o di una composizione grafica viene letta con maggiore agevolazione da sinistra verso destra, se fosse presente un oggetto nella scena che si muovendosi in direzione opposta si avrà l’impressione che vada più lento, come se incontrasse una forza resistente.


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B S 3

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a

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b

c

fig. 4


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2.5 Alphonse Jean Marie Mouron È facile immaginare che gli studi effettuati da Rudolf Arnheim in “Arte e percezione visiva” divennero ben presto delle colonne fondamentali per la composizione grafica. Il libro fu scritto nel 1954, ma già precedentemente furono tangibili le applicazioni che le regole dell’organizzazione del campo visivo, stipulate dagli psicologi della Gestalt, ebbero nel campo della grafica. Un esempio lampante è Alphonse Jean Marie Mouron, noto con lo pseudonimo di Cassandre (1901-1968). Egli colse, fin dalla giovane età, la sintesi di quei concetti di approfondimento sulla percezione visiva che gli studiosi della forma ebbero da poco evidenziato. L’operato di questo grande grafico va collocato nel periodo dell’Art Decò francese, la sua forte geometrizzazione deriva (anche) dalla sua amicizia con Le Corbusier (che progettò la casa di Cassandre), del quale ammirò in modo particolare le strutture modulari in mostra nel 1925 al padiglione ”Esprit Nouveau”. Le interpretazioni figurative di Cassandre partono sicuramente da Leonetto Cappiello, inoltre fu influenzato dal Cubismo e dal Futurismo italiano, in particolar modo da F. Depero. Tutto ciò determina lo stile inconfondibile di Cassandre:

preciso e definito. La sua grafica è sintetica, simbolica, bidimensionale, di grande rigore geometrico. Egli gioca sui contrasti cromatici e su una composizione particolarmente dinamica, utilizzando più volte la linea diagonale del manifesto su cui pone l’elemento figurativo. Egli sostiene che il manifesto deve risolvere contemporaneamente tre problemi: 1. Un problema ottico: la visibilità non dipende da un semplice contrasto di colori, ma da un preciso rapporto tra i valori di campo. 2. Un problema grafico: esprimersi in senso ideografico ed emblematico. L’immagine è il veicolo stesso del pensiero, ed anche se con un vocabolario grafico limitato, è necessario adottare una grammatica, una sintassi per raggiungere l’armonia. 3. Un problema poetico: provocare nello spettatore un’associazione di idee, una sensazione visuale fuggitiva, un’emozione, cosciente o incosciente. Altro elemento stilistico fondamentale di Cassandre è rappresentato dallo studio della parte scritta della pubblicità: la scel-


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“Il poster non è pensato per essere un esemplare unico consacrato ad un singolo amante dell’arte, ma un oggetto di produzione di massa che deve avere una funzione commerciale. Progettare un poster significa risolvere un problema tecnico e commerciale, in un linguaggio comprensibile dall’uomo comune.” -Cassandre

ta del carattere tipografico, la collocazione di titolo e testo, il rapporto e l’equilibrio tra tutti gli elementi che vanno a costituire un manifesto. Cassandre tende a usare la componente tipografica in maniera decorativa e ritmata, prediligendo scritte compatte, armoniose, proporzionate e scegliendo spesso font monumentali e lapidari. Il tutto regolato da un forte senso architettonico. La passione di Cassandre per il lettering si ritroverà evidenziata più tardi quando realizzerà manifesti di sole scritte, come ad esempio “A la maison dorée” (1926) o “J’achète tout aux Galeries Lafayette” (1928), ma soprattutto quando si cimenterà nella progettazione di caratteri tipografici. Charles Peignot, titolare dell’omonima fonderia, nata dall’unione di due delle più grandi fonderie tipografiche dell’epoca, dimostrò una forte predilezione per l’innovazione, cercando delle alternative alle forme sinuose e curvilinee che dominavano l’Art Nouveau. I caratteri disegnati a mano da Cassandre devono aver colpito Peignot, dato che ogni lettera era stilisticamente ridotta alla sua essenza geometrica, priva di ogni curva al di là della pura circonferenza. Con questa presentazione, Peignot gli commissionò la creazione di lettere per la propria fonderia. Cassandre progetta per Peignot uno dei caratteri da stampa più innovativi e rappresentativi

Leonetto Cappiello 1875-1942 è stato un pubblicitario, illustratore e caricaturista italiano. Le sue interpretazioni figurative furono importanti per lo sviluppo dello stile grafico di Cassandre.

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Normandie 1935 La Route Bleue 1929

del periodo Art Déco: il “Bifur”, ideato nel 1927, ritmico e dinamico. Un decennio dopo, invece, disegna il “Peignot”, ispirato alla scrittura onciale e semionciale, in cui alcune minuscole sono in realtà delle maiuscole più piccole. Negli ultimi anni Cassandre, dopo un’importante esposizione dei suoi manifesti al Museum of Modern Art di New York, soggiorna per un’intera stagione in quella città, firmando un contratto con la rivista “Harper’s Bazaar”. Ma quando i maggiori riconoscimenti internazionali gli spalancano le porte di nuove opportunità in campo grafico, egli, da artista irrequieto mai pago di soddisfazioni, ha già deciso di imboccare nuove strade, quali il teatro e la pittura, alla ricerca di altre emozioni. In ogni caso non abbandonerà mai del tutto la grafica ma continuerà a realizzare lavori in modo saltuario. Ritorna quindi in Europa dedicandosi alla pittura e al teatro, nel 1948 viene premiato con la Legion d’onore (l’onorificenza più alta attribuita dalla Repubblica francese). Nel 1963 Cassandre realizza il suo lavoro più importante, disegna il logotipo di Yves Saint Laurent per il noto stilista francese, tutt’oggi ancora utilizzato. Cassandre, dopo un primo tentativo di suicidio nel 1967, si tolse la vita nel suo appartamento di Parigi il 17 giugno del 1968.


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Étoile du Nord 1927 Thomson 1930 L’Intransigeant 1925 pagina 38 Nord Express 1927 pagina 39 Grande Quinzaine Internationale de Lawn-Tennis 1932 pagina 40

fig. 5

Produits des laboratoires du Dr Charpy 1930 pagina 41 Unic 1930

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New Look of Perception Spazio alle virtù e ai valori personali.

3.1 Nuove teorie sulla percezione Un nuovo impulso agli studi sulla percezione fu apportato dal Funzionalismo ed in particolare da una corrente che si sviluppò al suo interno: il “New Look of perception”, sviluppatosi negli Stati Uniti tra la fine degli anni ’50 e i primi anni ’60. Gli studiosi del New Look (Postman, Bruner e Goodman), opponendosi agli strutturalisti, ritenevano importante analizzare le funzioni della percezione, non più come un solo atto di registrazione dei dati, bensì come guidata dalle aspettative e dalle motivazioni del soggetto. La percezione venne studiata come un processo che proviene dall’interno e che è influenzato dai valori, dalle motivazioni e dalle credenze della persona, e non come una risposta ad uno stimolo. Percepire è fondamentalmente il frutto di un’ipotesi (inconscia) a partire dalla quale si traggono informazioni dal mondo esterno che possono verificarla o falsificarla. L’attività e il valore (personale e sociale) dell’oggetto acquisirono un’importanza del tutto trascurata dalla scuola della Gestalt. Le forme, non più innate, sono ancorate ai bisogni e agli scopi degli individui. Le virtù e i bisogni personali divennero elementi chiave attraverso cui strutturare il processo percettivo. Oggetti e simboli ritenuti significativi dalla persona possono essere percepiti in maniera distorta, e dissonanti dall’approccio fenomenologico della percezione portato avanti dalla Gestalt. Bruner fu il primo ad affermare che l’attività umana è finalizzata e diretta ad uno scopo, quindi anticipatrice perché dotata di aspettative. L’attività umana è un processo di attribuzione di significati. Gli strumenti per realizzare questi scopi, sono costruiti tramite il linguaggio e gli insegnamenti su come fare le cose (area di sviluppo prossimo di Vygotskij). I due concetti chiave della sua opera sono quelli di anticipazione e comunicazione sociale. La metodologia usata fu stata quella sperimentale. I ricercatori posero l’attività percettiva in vere e proprie situazioni problematiche, come situazioni svantaggiose o ambigue. L’ipotesi di lavoro che sostenne queste ricerche fu che in queste condizioni l’attività percettiva riveli meglio l’influenza di fattori come i bisogni, le tensioni, i valori, le difese, le emozioni e gli atteggiamenti. Infatti, in uno dei più famosi esperimenti condotto dallo stesso Bruner, gli autori chiesero ad un gruppo di studenti di 10 anni, metà appartenenti ad una classe socio–economica elevata e l’altra metà provenienti da famiglie umili, di indovinare le dimensioni di monete in corso legale eguagliandone il diametro con una macchia


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Jerome Seymour Bruner 1915 è uno psicologo statunitense che ha contribuito allo sviluppo della psicologia cognitiva e la psicologia culturale nel campo della psicologia dell’educazione

di luce proiettata. L’ipotesi era che personalità, motivazioni, emozioni e valori sono fonte di aspettative sulla realtà. L’esperimento confermò ampiamente le ipotesi: i bambini, non solo, sopravvalutarono la grandezza delle monete, tanto più quanto maggiore era il loro valore, ma quelli di loro poveri sovrastimavano la grandezza delle monete di valore maggiore più dei ricchi. Sono i bisogni fisiologici che tendono a determinare ciò che è percepito. Mc Clelland ed Atkinson (1948) sottoposero 108 soggetti adulti, tenuti a digiuno da un minimo di un’ora ad un massimo di 18 ore, ad una prova che, secondo le istruzioni, si proponeva di misurare le capacità di percepire stimoli deboli o subliminali. In realtà per 32 dei soggetti venivano proiettate su di uno schermo deboli macchie, mentre per i rimanenti non si proiettava assolutamente nulla, sebbene vari espedienti fossero messi in atto per dare l’impressione che si trattasse effettivamente di una prova di acutezza visiva. Le risposte percettive dei soggetti, sottoposti all’esperimento, furono analizzate secondo la frequenza con cui si presentavano contenuti relativi al cibo o secondo le ore di digiuno a cui i soggetti erano stati sottoposti. I risultati mostrarono come il numero delle risposte comportanti connotazioni di cibo aumentò notevolmente man mano che crebbero le ore di digiuno; questo numero accrebbe quando lo schermo era vuoto ed ai soggetti era stato ugualmente chiesto di riferire ciò che “vedevano”. I sopracitati esperimenti furono solo una parte di tanti effettuati da questi psicologi. Molti rilevarono dei comportamenti innati e analoghi in quasi tutti i soggetti. Principalmente si evinse che il valore individuale degli oggetti influisce sulla velocità di riconoscimento (fenomeno della “risonanza percettiva”: parole aventi un riferimento positivo con gli atteggiamenti del soggetto vengono riconosciute in un tempo significativamente più basso di quello richiesto dalle parole aventi un significato negativo); il valore dell’oggetto influisce sulla grandezza percepita; la condizione socio-economica è un fattore che influenza l’organizzazione percettiva; inoltre essa è influenzata anche dalle differenze individuali e dalla personalità del soggetto percepente. L’autore che maggiormente ha studiato il rapporto tra personalità e percezione è Witkin. I suoi esperimenti lo condussero ad individuare due categorie di soggetti. I primi hanno prestazioni percettive dipendenti dal campo, sono caratterizzati da passività nel rapporto con l’ambiente, da scarsa fiducia e paura dei propri impulsi accompagnate da insufficiente controllo, da mancanza di autostima e dal possesso di un’immagine corporea indifferenziata ed alquanto primitiva; I secondi forniscono prestazioni indipendenti dal campo, caratterizzati da attività ed autonomia in rapporto all’ambiente. Sono meno difesi perché hanno un maggior controllo dei propri impulsi e posseggono un buon livello di autostima accompagnato dalla percezione di un’immagine corporea differenziata e matura. Secondo Witkin la prestazione di un individuo in certi compiti percettivi fornisce un “modello” del suo modo di agire. La percezione diventa non solo una organizzazione autonoma e regolata da leggi generali ma anche una funzione che può rispondere ai dinamismi psichici più sensibili ai diversi bisogni che regolano l’integrazione dell’individuo all’ambiente. Importante fu il suo test della figura nascosta: il soggetto deve rintracciare una figura precedentemente mostrata all’interno di un disegno più grande, in cui altre linee infastidiscono e creano confusione. Secondo la teoria di Witkin le persone più indipendenti dal campo risolvono bene ed in modo rapido il compito, dimostrando capacità analitiche e lasciandosi guidare da indici provenienti dall’interno. La teoria di Gibson è nota come Teoria Ecologica (1966), la percezione non è atomistica, né globalistica, né motivazionale. Gibson propose una teoria della percezione in cui gli eventi mentali non giocavano alcun ruolo: il percettore coglie direttamente le informazioni che il mondo esterno gli offre, dunque una percezione diretta. Secondo Gibson, la ricerca tradizionale sulla percezione ha trascurato l’interazione attiva e volta alla ricerca di informazioni tra l’organismo e l’ambiente. I nostri sistemi sensoriali, lungi dal limitarsi a fornire sensazioni, a partire dalle quali il cervello può trarre inferenze, si sono evoluti in modo da agire come sistemi percettivi autonomi. Essi sono sufficientemente sensibili alla complessità del nostro ambiente da generare immediatamente esperienze percettive senza che s’interponga alcun processo inferenziale, questa teoria è nota


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come Teoria della Raccolta di Informazioni (Information Pickup Theory). Tutte le percezioni sono realizzate in relazione alla posizione del corpo e alle sue attività e funzione nell’ambiente. L’assetto ambientale include invarianti come la luce, le ombre, la texture, i colori che determinano ciò che è percepito. La percezione è in grado di cercare ed estrarre queste invarianti in un mondo che è costituito da un flusso incessante di informazioni. Per indicare tali aspetti di relazione Gibson usa il termine “stimoli di ordine superiore” e sostiene che il nostro sistema percettivo si è evoluto in modo da rispondere ad essi e non ai loro elementi costitutivi più semplici. Secondo Gibson quindi la percezione è una diretta conseguenza delle proprietà dell’ambiente e non implica forme di elaborazione degli stimoli. Le prove di laboratorio della percezione diretta derivano dagli studi effettuati utilizzando il “Precipizio Visivo”. Gibson e Walk inventarono una struttura che creava l’illusione di un precipizio. I bambini piccoli, protagonisti dell’esperimento, furono riluttanti ad avvicinarsi al lato del finto precipizio, anche se, avendo appena cominciato a muoversi carponi, non possedevano alcuna esperienza in fatto di cadute dalle superfici. Gibson sosteneva che ogni oggetto possedesse specifiche variabili, le Affordances (la terra è percorribile , l’acqua è tuffabile, una maniglia afferrabile). Le Affordances, sono considerate proprietà specifiche dell’ambiente significative e rilevanti per l’organismo che ci vive. Le relazioni tra gli stimoli non emergono da calcoli mentali, ma sono parte intrinseca degli stimoli sensoriali. Dal punto di vista del piano applicativo, in ambito clinico, la percezione rappresenta un potente indicatore del vissuto emotivo e motivazionale dell’individuo. Infatti, come la corrente del New Look of Perception ha sottolineato, i motivi e gli stati emotivi del soggetto, sia momentanei che persistenti, hanno l’effetto di sensibilizzare selettivamente il soggetto verso gli oggetti legati alle sue tendenze o avversioni, siano essi processi di allontanamento e difesa percettiva o vigilanza percettiva.

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Herman A. Witkin 1916-1979 psicologo americano che si è specializzato nei settori della psicologia cognitiva e della psicologia pedagogica.

3.2 Ricerche motivazionali L’atteggiamento percettivo, aspetto di un più generale stile cognitivo, è strettamente legato al modo dell’individuo di vivere questi aspetti, quindi alla sua personalità in senso globale, nei suoi aspetti consapevoli e inconsapevoli. Ciò che si sa dell’influenza della percezione viene utilizzato anche nell’ambito della pubblicità e nel marketing. È noto che la percezione del bisogno di un oggetto può essere influenzata da adeguati messaggi pubblicitari e che i consumatori possono tentare di valutare i prodotti direttamente mettendone a confronto gli attributi fisici quali il gusto, l’odore, la dimensione, la forma, illuminazione e posizione nel punto vendita. Importantissime scoperte furono fatte in questo campo durante gli anni ’50 negli Stati Uniti. L’attenzione era incentrata nel capire come e cosa effettivamente l’utente percepisce quando guarda un manifesto o una pubblicità in televisione. Questo tipo di studi non nacquero esattamente in maniera spontanea, ma ebbero una sollecitazione direttamente dal panorama commerciale statunitense. Vance Packard pose particolare interesse nell’uso della psicologia nel campo della pubblicità in questo periodo storico. Negli Stati Uniti, la pubblicità, durante gli anni della seconda guerra mondiale, si era fossilizzata così come aveva fatto la nazione, incentrata sul patriottismo e la produttività. Con la fine della guerra, l’ “advertising” riprese un ritmo molto accelerato. La vendita di

Vance Packard 1914–1996 è stato un giornalista e sociologo statunitense di grande influenza nel suo tempo.

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nuovi prodotti, l’ottimismo dovuto al ritorno dei soldati dalla guerra, un classe media in espansione che desiderava un compenso in beni dopo il periodo di depressione economica posero le basi per una rapida ricrescita. Gli anni ’50, furono infatti gli anni del cosiddetto “Boom Economico”. La ricchezza generale del popolo americano aumentò considerevolmente. Questi fattore aggiunto al successivo ripopolamento del mercato, con beni già noti e beni nuovi come i primi elettrodomestici, furono le colonne di questa resurrezione economica. Gli americani iniziarono a comprare, e a comprare tanto. Lavatrici, lavastoviglie, per non parlare delle automobili e delle radio, entrarono a far parte della vita di tutti i giorni nelle case di tutti. Si diffuse uno spiccato entusiasmo grazie alla propagazione di questi nuovi prodotti e al risollevamento economico. Verso il 1955 la produzione americana di beni di consumo aveva raggiunto picchi altissimi, che promettevano di crescere ancora. Questo mentre quasi tutte le industrie avevano magazzini sempre più grandi e pieni di prodotti da smerciare. Da una parte si conferma quell’aria ottimista, secondo la quale il tenore di vita sarebbe migliorato per tutti, dall’altra si faceva sempre più pesante l’obbligo di ogni americano a comprare e a consumare. Con questo tangente passaggio dal capitalismo al consumismo molti tra i più importanti industriali si trovarono costretti a puntare su un nuovo tipo di pubblicità. Alle riunioni si parlava spesso di rivoluzionare il mercato e si discuteva il miglior modo per stimolare la domanda, creando dei bisogni della cui esistenza il pubblico stesso non era ancora cosciente. Gli imprenditori iniziarono a rivolgersi sempre più spesso a psicologi e sociologi piuttosto che ad agenzie pubblicitarie, e si trovarono impegnati ben presto nello studio e nella interpretazione dei fattori inconsci e subconsci che determinano il comportamento dell’uomo. In effetti gli studiosi che si appassionarono alla causa condussero delle ricerche definite “motivazionali”. Gli psicologi per lo scopo approfondirono i diversi livelli di coscienza dell’uomo , in modo particolare tre di questi che si sarebbero rivelati molto utile per la propaganda consumistica. Il primo livello è quello consapevole e razionale, in cui il pubblico si rende conto di ciò che sta accadendo e ne riconosce le ragioni. Il secondo è il subconscio. Esso indica quella zona della coscienza in cui una persona si rende confusamente conto dei propri segreti pensieri, delle proprie sensazioni e dei propri atteggiamenti, ma non desidera spiegarseli. È il livello dei pregiudizi, delle credenze, dei terrori, ecc. Il terzo livello è quello più inconscio. I soggetti sono ignari dei propri sentimenti e atteggiamenti reali e si rifiutano di discuterli anche sotto invito. Le ricerche motivazionali ebbero grande successo negli anni ’40-’50. I più importanti esponenti del movimento furono Ernest Dichter, presidente dell’ Institute for Motivational Research, e Luis Cheskin, direttore del Color Research Institute of America. Dichter stesso affermò che le agenzie pubblicitarie avrebbero dovuto riconoscere il loro carattere di “avanzati laboratori di psicologia”, precisando che per avere successo dovevano “manipolare i moventi e i desideri umani, e creare il bisogno di prodotti che in passato il pubblico non ha preso in considerazione o che addirittura non desiderava acquistare”. Il principio dell’immagine assunse un importantissimo ruolo. Divenne un mezzo per controllare il pubblico e indirizzarlo inconsciamente verso una ditta o una marca in particolare. Le tecniche usate per investigare l’inconscio furono le stesse usate dalle cliniche psichiatriche. Una delle più diffuse fu il “colloquio in profondità”. Lo psicologo, o lo psicanalista, cercava, infondendo calma e pazienza, di provocare nel consumatore una completa disinibizione verbale portandolo a riconsiderare liberamente tutti i piaceri, le gioie, gli entusiasmi, gli incubi e le delusioni che un determinato prodotto aveva evocato in lui. Queste interiste a volte erano personali, a volte collettive: spesso la “fantasticheria collettiva” risultò più produttiva. Molte persone si sentirono meno inibite in gruppo che in un colloquio da soli con l’investigatore. Uno dei partecipanti iniziava la discussione con una dichiarazione audace o egoista. Si notava subito la partecipazione delle altre persone che proseguivano la conversazione sullo stesso tono sentendo che l’atmosfera si era fatta più libera. In questo modo furono affrontati temi estremamente personali in me-


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rito a qualsiasi prodotto: lassativi, compresse antinfluenzali, deodoranti ecc. I colloqui in profondità vennero condotti mediante test definiti indiretti. Il soggetto credeva che lo scopo del test era un altro da quello reale. In molti casi si ricorse ai “test di proiezione”. Il soggetto veniva posto di fronte a un disegno o a un altro stimolo scarsamente strutturato e successivamente invitato a completare il quadro introducendo un nuovo elemento “proiettando” una parte di sé stesso. Uno dei test più diffusi fu il test delle macchie d’inchiostro dello psichiatra svizzero Herman Rorschach. Il test si effettuava con dieci tavole sulle quali erano state stampate macchie bi simmetriche d’inchiostro, senza un vero significato. Semplici macchie. Il soggetto vedeva in ciascuna di esse ciò che aveva bisogno di vedere, e in tal modo proiettava nella macchia se stesso, le proprie ansie e le proprie debolezze. Una variante fu il test a fumetto. Il soggetto era invitato a scrivere le parole di una nuvoletta lasciata in bianco. Nel test di frustrazione di Rosenzweig, ad esempio, una delle figure del fumetto diceva una frase frustrante per l’altro personaggio della scena; il soggetto doveva scrivere la risposta di quest’ultimo. Importantissimo fu il test del dottor Szondi. Il soggetto, messo di fronte a una serie di ritratti di varie persone, era invitato a scegliere tra esse quella che avrebbe preferito avere accanto in un viaggio in treno e quella che mai avrebbe voluto con sé. L’intervistato, ovviamente, non sapeva che tutte le persone ritratte erano per un verso o l’altro squilibrate. Ciascuno era affetto da questi otto disturbi psichici: omosessuale, sadico, epilettico, isterico, catatonico, paranoico, depresso o maniaco. Si presupponeva che c’era un rapporto tra il soggetto e uno o più di questi personaggi.


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Scegliendo un compagno di viaggio essi in realtà avevano scelto la persona affetta in forma molto acuta del loro stesso stato emotivo. Questo studio fu richiesto dalle grandi distillerie di whisky e applicato ai bevitori, per scoprire le vere ragioni per cui le persone lo bevono. Grazie a questo metodo si capì che tramite lo’assunzione di questa bevanda si attuava una trasformazione della propria personalità che provocava un senso di appagamento. Gli esaminati subirono dei veri e propri mutamenti circa il loro modo di approcciarsi al prossimo. I più tranquilli si trasformarono in aggressivi, i più timidi in espansivi, ecc. Per scoprire gli effetti che determinati prodotti avevano sui clienti si ricorsero ai metodi più disparati. Alcuni test miravano a misurare le reazioni fisiologiche del soggetto permettendone di individuare i suoi stati emotivi. Uno strumento utilizzato a questo scopo fu il galvanometro, detto anche “macchina della verità”. L’esaminato vedeva immagini e ascoltava suoni destinati a stimolare le vendite del prodotto. L’apparecchio era incaricato di censire le sue reazioni fisiologiche. Una tecnica simile fu adottata dallo psicologo James Vicary che con una macchina da presa registrava, all’insaputa del cliente,

la frequenza dei suoi battiti di ciglia di fronte a determinate situazioni. Il ritmo del battito di ciglia costituiva una chiave per misurare il grado di tensione emotiva. Anche l’ipnosi fu uno dei tanti test utilizzati dai ricercatori motivazionali per capire cosa realmente vedessero i clienti quando guardavano una merce. L’ipnosi, infatti, attivizzava la loro memoria e gli permetteva di ricordare situazioni che al contrario potrebbero rimanere per sempre sepolte. I test produssero risultati soddisfacenti su alcuni soggetti che in stato di ipnosi avevano confessato il reale motivo per il quale si orientavano su una marca piuttosto che un’altra. Motivi legati alla loro infanzia o slogan particolarmente incisivi di molti anni addietro erano le cause inconsce di determinate scelte. Molte agenzie pubblicitarie si orientarono verso la ricerca motivazionale attribuendo alla nuova teoria un prestigio che si conquistò con risultati stupefacenti. Non furono completamente abbandonati, però, i classici metodi di ricerca, quali: l’indagine di mercato e la ricerca pubblicitaria vera e propria. Gli psicologi motivazionali allargarono la loro ricerca in varie direzioni. Le immagini pubblicitarie, soprattutto, acquisirono un ruolo fondamentale per fornire una “personalità” ben distinta a quei prodotti che non possedevano delle spiccate caratteristiche. Tentavano di creare immagini così forti da riscuotere nella mente dell’osservatore, mediante il semplice sguardo, il riconoscimento della marca. Una esigenza nata per puri scopi commerciali. In conformità di esami in precedenza effettuati si notò che il consumatore difficilmente sapeva quello che realmente vuole. Quando gli si pongono domande circa la sua marca preferita o il prodotto più utilizzato, egli tendeva sempre a non dichiarare la verità. Rispondeva nominando prodotti diversi da quelli consumati, preoccupato in maniera conscia o inconscia di apparire come persona razionale e sofisticata. Per tali risultati i ricercatori, nei loro studi, passarono ad analizzare la parte irrazionale della mente. Il loro obiettivo divenne quello di creare una situazione illogica. Il cliente doveva affezionarsi a un dato prodotto e rimanere legato ad esso da un profondo

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attaccamento, senza che questo aveva della qualità di produzione diverso dalle altre. L’immagine acquisì un ruolo completamente nuovo. Quando si osservava un’immagine, non si era più condizionati dal suo reale significato, ma lo si era per via di tutti i simbolismi, propagande e emozioni che questa suscitava. Il fattore emotivo in particolar modo divenne il perno su cui fare leva per questo scopo. Iniziarono a studiare delle immagini che riuscissero a provocare le reazioni più intense nel maggior numero di persone possibili. Dei notevoli risultati furono raggiunti quando introdussero nei prodotti le qualità che il consumatore ama e riconosce in sé. Giocare sul narcisismo delle persone divenne un fattore determinante per parecchie pubblicità. L’uomo, o in questo caso il cliente, è attratto più che da ogni altra cosa da se stesso. L’immagine si sarebbe rivolta a quella porzione della clientela che si fosse identificata in essa. Così che queste immagini si arricchirono di caratteristiche sempre più specifiche in base a un determinato aspetto della personalità del cliente. Il metodo ebbe subito un grande successo sulla vendita di molti prodotti, in particolar modo automobili, sigarette e benzina. Gli esperimenti affermarono quanto l’immagine di un prodotto sia il vero tratto distintivo che raggiunge il cliente, era molto più rilevante rispetto alla sua qualità o alla sua particolarità. Messi alla prova gli esaminati non riuscirono a distinguere, tra sigarette di aziende diverse cui venne rimosso il logo, la loro marca preferita anche se l’avevano fumata per anni. Gli effetti più palesi si riscontrarono nel campo automobilistico. La macchina divenne una vera e propria estensione della personalità dell’acquirente. In base alla sua scelta si potevano comprendere moltissime qualità del suo proprietario, la classe sociale, per esempio, in primo luogo. Ma anche: le sue aspirazioni nella vita, la sua età, il suo rapporto con gli amici, la sua famiglia, se fosse un tipo responsabile o no, ecc. Immagini per una varietà infinita di modelli e prodotti erano pronte a plasmarsi sulla personalità del consumatore.

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test dei ritratti di Lepold Szondi pagina accanto test delle macchie d'inchiostro di Herman Rorschach


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“ Dei 260 miliardi di dollari spesi nel 1955 dai consumatori, una buona metà sono andati probabilmente a quei rami dell’industria nei quali una o più grandi aziende hanno fatto una Ricerca Motivazionale” -Fortune


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Old Gold 1950 “Niente canzone e balletto sulle indicazioni mediche...” pagina accanto Old Gold 1954 “Old Gold è una sigaretta di cui ti puoi fidare” pagine successive Marlboro 1955 “Il filtro non si mette in mezzo tra te e il gusto!” Marlboro 1958 “Dove c'è un Uomo...c'è una Marlboro”

Il narcisismo non rappresentò l’unico fronte su cui si mossero questi acuti psicologi. Nell’americano medio era ancora molto radicata la mentalità puritana e molte pubblicità puntavano su un piacere materiale che alcuni non erano disposti a soddisfare. Il senso di colpa rappresentò un serio problema che doveva essere affrontato. Era necessario liberare l’acquirente da ogni problema morale e “offrirgli l’assoluzione”. Questo dilemma fu riscontrato soprattutto nei prodotti come le sigarette e i dolciumi. Negli anni ’50 iniziarono ad emergere i riscontri negativi che le sigarette avevano sulla salute dei consumatori. Si determinò un rapido abbassamento delle vendite e, ovviamente, una insoddisfazione negli industriali. I pubblicitari si trovarono ben presto a far fronte a due aspetti paralizzanti del prodotto, tra l’altro molto incisivi sugli acquirenti: la nocività e il fatto che le sigarette rappresentassero un vizio.

Puntare su campagne che esplicavano la beneficenza di una determinata marca di sigaretta rispetto ad un’altra, era molto controproducente. Il dottor Dichter suggerì invece di cambiare completamente direzione. Cercare di capire il vero motivo del fumare e cosa provano, o vorrebbero provare, i consumatori quando pensano ad una sigaretta, divennero gli elementi portanti di una nuova ricerca. Si scoprì che molta gente continuava a fumare per alleviare la tensione, o per apparire socievoli, per premiare se stessi dopo uno sforzo, o per rincuorarsi in vista di un momento difficile, per mostrarsi spregiudicati, ecc. Ma soprattutto gli uomini americani continuavano a fumare perché gli assegnava un senso di virilità e maturità. Così molti affissi pubblicitari cambiarono aspetto. Vennero ritratte situazioni snervanti e difficili con protagonisti individui con una spiccata mascolinità.


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“ Cosa succede se posizioni un pezzo di carne rossa su uno sfondo rosso? Semplicemente si intensifica il concetto di rosso e di virilità. Ed è questo che noi vogliamo esprimere con la carne.” -Leo Burnett


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pagina precedente American Meat Institute 1945 “Questa é Vita”

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American Airlines 1952 “Don ha fatto il Viaggio -di nuovo in ritardo John ha fatto l'Affare - lui ha scelto l'aereo"

Come il senso di colpa, anche paure e vergogne furono utilizzate come ulteriore analisi sul cosa si prova quando si ha davanti un oggetto. Si comprese che alcuni prodotti, come determinate situazioni, trasmettevano un senso di disagio e di rigetto. Era il caso di prodotti alimentari precotti che infondevano nelle casalinghe una troppa velocità nella preparazione e che quindi potevano apparire pigre agli occhi della loro famiglia o dei loro amici. Affrontare e capire la paura di volare di molti americani, per esempio, rappresentarono per i produttori del settore un notevole interesse commerciale. Più che avere paura di volare, la maggior parte delle persone, che non preferiva viaggiare in aereo, erano preoccupati di come la loro famiglia avrebbe appreso la notizia. Questo li portava ad avere una inconscia paura di un commento, ad esempio della propria moglie, circa il non avere preso il treno. Le agenzie pubblicitarie cercarono non di trasmettere un senso di sicurezza ma di far capire le qualità dell’aereo rispetto al treno, come la velocità nel ritornare a casa dalla propria famiglia.


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Ovviamente anche l’elemento sessuale, usato spesso nella pubblicità, assunse un valore decisivo per molte campagne. Con l’avvento delle nuove tecniche il sesso venne utilizzato nelle sue pieghe più complesse , si ramificò e prese delle sfumature sottilissime. Si volle agire sugli strati più bassi dell’umana coscienza. I ricercatori motivazionali sottolinearono in realtà come la mentalità della donna stava cambiando. Oramai si era diffusa una nuova tendenza nelle americane, quella di essere considerata alla pari dell’uomo, del marito o del fidanzato. Questi cambiamenti si resero palesi soprattutto con le pubblicità di cosmesi. I temi principali della cartellonistica che si occupava di questi prodotti raffiguravano uomini che apprezzavano la donna che usava questa o quella marca. Ma non ebbero un successo rilevante. Bisognava mettere in primo piano l’esigenza che le donne volevano essere belle prima di tutto per se stesse e poi per gli altri. In un contesto americano degli anni 50, dove le aspettative di molte signore era quella di avere una cucina perfetta, questo discorso portato avanti dagli psicologi, non ebbe subito un grande successo. Molte agenzie, infatti, mantennero un carattere molto sessista nelle loro pubblicità. Un esempio è la pubblicità che raffigura una ragazza in intimo trascinata per i capelli da un uomo delle caverne, recita: “vieni fuori dall’era primitiva, carina”.

Warner's 1956 “Vieni fuori dall'età della pietra, carina...”


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Lucky Strike 1954 “Cosa rende una Lucky così buona? È tostata, per essere più buona!" pagina accanto Jayson 1952 “Ho i miei occhi puntati su chi indossa Jayson... perchè calzano alla perfezione!”

La donna assunse un ruolo fondamentale per i ricercatori motivazionali. Moglie, madre, casalinga, fidanzata, lavoratrice, qualsiasi appellativo le fosse conferito rimaneva una consumatrice perfetta. Il tempo che dedicava alla spesa era sicuramente maggiore di quello dell’uomo. Diventa l’obiettivo principale di questo tipo di ricerche. Era lei che si dirigeva al supermercato per fare la spesa, ed era, quasi obbligatorio, farle leva per la scelta di un prodotto tra le miriadi che erano posti sugli scaffali dei negozi. La donna gestiva la casa, accudiva i figli il marito e si occupava dell’economia domestica. Tutti ruoli che non dovevano passare inosservati nelle pubblicità, anzi valorizzati il più possibile. Un esperimento interessante fu fatto quando alcune agenzie di abiti maschili si rivolsero agli psicologi per aumentare le loro entrate. Il problema era che gli uomini americani raramente si dedicavano allo shopping, aumentare il numero dei vestiti degli armadi non era proprio una loro prerogativa. Anzi si capì che avevano una certo distacco da questo tipo di attività perché la consideravano femminile, troppo narcisista, e una perdita di tempo. le donne, in effetti, si dedicavano allo shopping, a spendere lo

stipendio del marito in vestiti e accessori superflui. Si decise allora di puntare proprio sul pubblico femminile per lo sviluppo di questo settore. Ogni donna nutre il silenzioso desiderio di curare il look del marito, è lei che si occupa in tutto e per tutto del suo compagno, come se fosse un bell’oggetto da mostrare alle amiche e al vicinato. I ricercatori le diedero un ottima opportunità ponendola al centro del mondo vestiario del marito. Molte pubblicità maschili apparsero su riviste prettamente per signore, raffigurando a volte solo donne che apprezzavano quella determinata marca.


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“ Nessuno conta il numero di pubblicità che produci; si ricorda solo l’impressione che fanno” -Bill Bernbach


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pagina precedente American Dairy Association 1958 “Il Latte dà Energia!”

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Marlboro 1950 “Prima di rimproverarmi, Mamma...forse faresti meglio ad accenderti una Marlboro" "Gee, Mammina sicuramente gradirai la tua Marlboro" Un aspetto che non abbiamo affrontato è il nuovo ruolo che attribuirono ai bambini e ai ragazzini. Un target che non presero in considerazione finché non capirono il valore commerciale che potevano simboleggiare. Era vero che loro non rappresentavano immediatamente un popolo di compratori, ma in un futuro prossimo lo sarebbero sicuramente stati. I “persuasori” iniziarono a fare pressioni commerciali sui bambini tramite spot pubblicitari e agevolazioni nei grandi magazzini. Al supermercato, per esempio furono introdotti dei piccoli carrellini che andavano affiancati a quelli più grandi per la mamma. Il bambino, così, si trovava quasi in obbligo a fare la propria spesa scegliendo gli oggetti

in base a ai soli elementi grafici delle scatole che li attraevano. Gli psicologi motivazionali si occuparono di molto altri campi avendo a che fare con delle agenzie pubblicitarie che dovevano creare un’immagine forte a qualsiasi prodotto, anche loro si trovarono ad effettuare studi e ricerche su tutti gli aspetti dell’inconscio umano. Grazie ai loro studi si ottennero delle scoperte importantissime nel campo della psicologia, non solo mirate alla commercializzazione. Un contributo che tutt’ora è sfruttato dai pubblicitari anche se i tempi sono molto cambiati. Ai giorni nostri sono state intensificate le ricerche sul sistema nervoso del nostro cervello, grazie anche a tecnologie più sviluppate ed efficienti.


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Little Lady 1960 “Regalale il divertimento di giocare crescendo” pagine successive Hotpoint 1959 “Amerai il modo in cui la tua cucina appare...Amerai il modo in cui la tua cucina funziona!” Clairol 1960 “Lo fa o non lo fa?”

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Coca-Cola 1953 “La sete non conosce stagioni.Bevi Coca-Cola” “...goditi il pranzo” “L'ospitalità può essere così semplice. Servi Coca-Cola”

South African Touris Corporation 1955 “Cosa bolle in pentola?”


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Smirnoff 1958 “Quando ordino Vodka, mi aspetto Smirnoff! dice Geoffrey Holder”

Hart Schaffner & Marx 1960


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Conclusione La percezione oggi.

4.1 Neuroscienze Gli studi sulla percezione, delle sue forme e influenze, sono diventati, nell’ultimo scorcio del ventesimo secolo, dominanti anche nel campo delle neuroscienze. In effetti, se prima, e non a torto, deputavamo le indagini sulla percezione come compito esclusivo di filosofi o psicologi comportamentali, ora gli stessi e le loro teorie risultano sterili senza una documentazione condotta sul sistema neuronale. Del resto, maggiore è diventata la consapevolezza che noi conosciamo il mondo soltanto come espressione dell’attività del nostro cervello, vera matrice e collante tra mondo esterno e interno. Ed è proprio dall’analisi di questa sempre dinamica relazione ad interessare le industrie grafiche e pubblicitarie per conseguire un prodotto moderno, redditizio e consumabile. Quali sono, allora, gli attributi (e contributi) scientifici della percezione in quest’organo così complesso e strabiliante? Da cosa è influenzata? Le risposte sono molteplici e aperte a discussioni interdisciplinari. Anche se, tutte sono d’accordo nell’evidenziare come noi agiamo in supposizione al fatto che i nostri occhi garantiscono al nostro cervello la realtà del mondo. Siamo del solipsisti: il mondo esterno è visto e interpretato attraverso l’occhio della nostra mente, il nostro modo di vederlo è il solo che sia importante quando si abbia a che fare con esso. In un certo senso, noi tutti crediamo che il mondo vada a letto quando ci andiamo noi e che le nostre immagini diurne siano sostituite da quelle notturne. E quando trattiamo con soggetti per noi importanti come quelli che consideriamo ‘compagni’, noi vediamo le loro azioni da un punto di vista che è molto simile alla visione generale di un solipsista. Tuttavia, è innegabile che ogni individuo sia influenzato dalla creazione percettiva dell’altro, da quel guardare e giudicare così simile così diverso che ci pone in connessione e distanza. Basti pensare alla scoperta dei cosiddetti neuroni specchio, cellule nervose che non solo sono coinvolte nel processo delle proprie emozioni, sensazioni e azioni, ma sono attive anche quando emozioni, sensazioni e azioni sono compiute e vissute da altri. Per comprendere l’uomo, quindi, è importante indagare i meccanismi neurofisiologici che stanno alla base dell’intersoggettività. Base che trova le sue ragioni nell’attività della simulazione incarnata, nell’attività dei neuroni specchio. In altri termini, proviamo a riportare un esempio di colui che ha scoperto per primo l’attività di questi neuroni, Giacomo Rizzolatti: “Un uomo al bancone di un bar


prende in mano un boccale di birra. Basta guardare il modo in cui lo afferra per sapere cosa sta per fare: sta semplicemente per bere, sta per brindare o magari ha intenzione di lanciarlo”. Secondo Rizzolatti questa comprensione immediata del comportamento altrui la dobbiamo appunto ai neuroni specchio, cellule nervose motorie che risuonano nel nostro cervello proprio come se a compiere quei gesti fossimo noi. Da qui, il ruolo della percezione, in particolare nel tessuto grafico e pubblicitario, assume un carattere nuovo e originale: non è più importante confutare o meno che la somma sia il risultato delle parti o che il tutto sia più della somma delle stesse, ma prioritario è conoscere il funzionamento strettamente neuronale per realizzare un metodo sicuro e disciplinante affinché i risultati siano i più omologabili e vantaggiosi possibili. 76 N e u r o s c i e n z e

4.2 Neuromarketing Gli studi effettuati dalle neuroscienze hanno rivoluzionato gran parte delle teorie sulla percezione. Com’è accaduto già in passato queste scoperte sono state rapidamente consultate e applicate a materie quali il marketing. Il neuro marketing è una scienza che si è sviluppata in un tempo relativamente recente ed è volta a ricercare le cause scatenanti dell’insorgere dell’impulso all’acquisto. Grazie alle neuroscienze la convenzione strutturale del cervello subisce una variazione. Anatomicamente il cervello umano si distingue in un emisfero sinistro e in un emisfero destro. Il primo è il centro del pensiero logico e lineare, del linguaggio, della logica e della matematica. Il secondo è il centro del pensiero concettuale e metaforico, delle arte e della musica, della creatività e dell’ispirazione. I recenti studi aggiungono una tripartizione distinta ma comunque comunicante. Il cervello razionale elabora i dati logici e condivide le sue deduzioni con: il cervello intermedio, che sviluppa le emozioni e i sentimenti profondi, e con il cervello primitivo. Esso analizza le informazioni che provengono dagli altri due settori e si assume la responsabilità di prendere decisioni. È il cervello primitivo che si è occupato della sopravvivenza dell’uomo sulla terra, prendendo importanti decisioni come “attacco o fuga”, “tutto o niente”, “vincere o perdere”. Le decisioni sono prese in modo emotivo e istintivo, solo successivamente vengo giustificate. La caratteristica principale del cervello primitivo è il metodo che esso attua nel momento di prendere una decisione. Il suo primo obiettivo è allontanarsi il più possibile dal dolore, e avvicinarsi alle sensazioni di piacere. In presenza di un contrasto netto è in grado di prendere decisioni veloci, senza rischio percepito, al contrario entra in una confusione e tende ad allontanarsi. Si può dedurre che è alla continua ricerca di sicurezza, di ciò che gli risulta familiare e che può essere riconosciuto velocemente. Il senso della vista è particolarmente importante per questa zona. Esso predomina sugli altri sensi essendo connesso direttamente tramite nervo ottico e trasmettendo informazioni 25 volte più velocemente rispetto al nervo uditivo. È su questa particolare zona del cervello che bisogna fare leva per indagare e studiare i processi cerebrali che costituiscono il comportamento e la presa di decisione dei clienti nel campo del marketing tradizionale. Il neuro marketing, quindi è una disciplina avanzata che tenta di comprendere scientificamente la mente del consumatore, capire i suoi desideri, e perché è indirizzato a comprare un prodotto piuttosto che un altro. In effetti, le tradizionali forme di’indagine, fondandosi su sondaggi d’opinione e ricerche di mercato risultano inefficaci nel soddisfare questa conoscenza. Come sottolineavano già i ricercatori motivazionali negli anni ’50, il consumatore difficilmente e a conoscenza dei fattori che lo inducono a scegliere un prodotto piuttosto che un altro. Il danese Martin Lindstrom dà il via alle sue analisi neuroscientifiche partendo da questa esigenza. Egli è particolarmente convinto che l’esame dell’attività cerebrale connessa a opportuni stimoli può dare una risposta chiara e inequivocabile alla famosa domanda che da sempre accompagna l’attività di marketing: “in che modo si comportano i consumatori?” i


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risultati dei suoi studi durati tre anni, con l’ausilio delle più avanzate tecniche di scansione cerebrale - risonanza magnetica funzionale (fRMI) e topografia a stato stazionario (sst) - hanno individuato i punti di forza che contraddistinguono le proposte pubblicitarie più efficaci. Le neuroscienze sono valse in questa sede a convalidare l’ipotesi che il brand di maggiore successo riescono a imporsi all’attenzione del consumatore solleticando opportunamente la sua affettività. A determinare la scelta del prodotto non sarebbero, pertanto, le nostre considerazioni razionali, bensì un potente insieme di desideri e di emozioni primarie, come la paura o l’empatia, che il più delle volte si colloca sotto la soglia della nostra consapevolezza. In conclusione a tali osservazioni, l’autore prevede per il futuro un notevole incremento delle operazioni di marketing che faranno leva su tali stati emotivi per orientare i comportamenti d’acquisto dei clienti. Gli scenari delineati da questa nuova disciplina hanno senza dubbio il potere di suscitare l’entusiasmo dei professionisti del marketing, e una certa dose d’inquietudine nei consumatori, lasciando intravedere l’idea che il pensiero umano possa essere concepito come un meccanismo di cui sia possibile conoscere e manipolare gli ingranaggi in maniera efficace e, soprattutto, senza sprechi di risorse. A tal proposito gli studiosi della materia mettono in guardia dal trarre facili conclusioni. Prendendo le distanze da una visione radicalmente deterministica della mente umana, si ricorda che gli esperimenti di neuroimaging sono effettuati in un contesto di laboratorio, prendendo in considerazione una variabile per volta. Essi, pertanto, non riescono a tener conto della complessa interazione che l’individuo intrattiene col suo ambiente, la quale rende imprevedibile la sua azione. Per tale motivo, pur ricordando gli importanti contributi offerti da questo nuovo campo di studi, si invita a non assolutizzarne i metodi e i risultati. Una completa introduzione al neuromarketing non può non tener conto delle responsabilità etiche che col suo sviluppo tale disciplina prospetta. Gli studiosi che si sono occupati della materia mostrano di esserne pienamente consapevoli, confrontandosi con le numerose preoccupazioni che questa nuova area di ricerca inevitabilmente suscita. Fanno riferimento in particolar modo alle perplessità esposte dal Commercial Alert, un’organizzazione no–profit che si propone il fine di tutelare i consumatori da eventuali abusi nelle iniziative commerciali. Sin dal 2004, tale organizzazione ha avviato numerose iniziative volte a sensibilizzare l’opinione pubblica circa gli esiti negativi che il neuromarketing potrebbe comportare nell’ambito della salute pubblica, della propaganda politica e del costume sociale. Pur riconoscendo la necessità di procedere con cautela, ritengono eccessive le preoccupazioni sopraelencate. In particolare, pongono l’accento sul fatto che il neuromarketing non è che uno strumento. In quanto tale esso non è pericoloso in sé. Tutto dipende dall’uso che se ne fa. Ad avvalorare tale posizione viene ricordato come, attraverso uno dei suoi primi studi effettuati con le tecniche di scansione cerebrale, Lindstrom abbia dimostrato l’inefficacia delle etichette dissuasive presenti sulle confezioni di sigarette, offrendo in tal modo il proprio contributo all’interesse dei consumatori. Se, dunque, da un lato il neuromarketing si presenta come un potente strumento di persuasione, dall’altro lato, sottolinea in particolar modo Lindstrom, esso può rivelarsi una forma di conoscenza utile affinché le persone possano tutelarsi più agevolmente dalle insidie del marketing. L’autore danese sostiene, infatti, che «capendo meglio il nostro comportamento irrazionale […] avremo in realtà più controllo, non meno».

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Gatorade “Victory dehydrates” BBDO Chile pagina accanto Nike EMEA 2009 “First” 72andSunny USA


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Live Green Toronto “Lettering says a lot about you” Toronto, Canada

Raising the Roof:Jeanne “Homelessness can happen to anyone” Leo Burnett Toronto, Canada


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Volkswagen Fatigue Detection Eye Clash: Hammer 2014 “Keeps you awake. Driver Alert System by Volkswagen. Drive responsibly and take a break at least every two hours.” DDB Tribal Group Berlin, Germany


Dita negli occhi

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Max Shoes “You are what you wear.” Jung von Matt/Limmat Zurich, Switzerland


84 N e u r o s c i e n z e


Dita negli occhi

85 N e u r o s c i e n z e

Acción Solidaria AIDS fundations 2014 “Discriminations feels far worse than HIV.” Publicis Caracas, Venezuela

Adidas Split 2003 “Forever Sport.” TBWA Hong Kong, China


86 N e u r o s c i e n z e


Dita negli occhi

87 N e u r o s c i e n z e

pagina accanto in alto Ikea Portugal 2014 “Early Christmas Sale” TBWA Lisbon, Portugal in basso ZooBratislava “Open for smiles” JANDL Bratislava, Slovakia

Coca-Cola “Small World” Leo Burnett Sydney, Australia


Abraz-MG “In the beginning, it was about dates, names and addresses. As time went by, the brain even forgets how one gets fed and dressed. Nowadays, he needs help. Paulo can no longer take care of his mom on his own.Those with Alzheimer are not the only ones who need help.� Perfil252 Belo Horizonte, Brazil


Dita negli occhi

Alzheimer’s Association 2014 “Husband by Alzheimer’s” Grupo Gallegos USA



Dita negli occhi


Bibliografia

A

R. Arnheim Arte e percezione visiva Campi del sapere/Feltrinelli 1986 R. Arnheim Intuizione e intelletto Campi del sapere/Feltrinelli 1987

B

Daniele Baroni e Maurizio Vitta Storia del design grafico Longanesi 2003 Franco Bartoli e Luciano Liuzzi Manuale di Oftalmologia Edizioni Minerva Medica 1978

D

Renato de Fusco Storia del design Editori Laterza 2002

H

Steven Heller Mid-Century Ads Taschen 2010

P

Vance Packard Persuasori occulti Einaudi 1989

K S

David Katz La Psicologia della forma Editore Boringhieri 1979

L

Martin Lindstrom Neuromarketing. Attività cerebrale e comportamenti d’acquisto Apogeo Milano 2009 Gianpiero Lugli Neuroshopping. Come e perché acquistiamo Apogeo Milano 2011 Ludovica Lumer e Semir Zeki La Bella e La Bestia: Arte e Neuroscienze Editori Laterza 2011

Michele Spera Abecedario del grafico Gangemi Editore 2002


Dita negli occhi

Sitografia

A

adsoftheworld.com

C

P

psicologiaecomunicazione.wordpress.com

S

crescita-personale.it

scienzepostmoderne.org

cassandre-france.com

sviluppoecrescitapersonale.blogspot.it

collections.vam.ac.uk T E

treccani.it economiacomportamentale.com etsy.com

F

flickr.com


Indice dei nomi

A

G

P

Arnheim 19,27,30,34

Gibson 44,45

Packard 44

Atkinson 44

Goodman 43

Peignot 35 Postman 43

B

K R

Benussi 19

Kandinskj 19,31

Bernbach 62

Klee 19

Rizzolatti 73,74

Bruner 43

Koffka 19,20

Rorschach 48

Burnett 56

Kohler 19, 20, 26

Rosenzweig 48

Kanizsa 26 S

C L

Szondi 48

Cappiello 34,35 Cassandre 34,35,36

Le Corbusier 34

Cheskin 46

Lewin 20

V

Lindstrom 76 D M

Vikary 49 Von Ehrenfels 19,21 Vygotskij 43

Dichter 46,52 Mc Clelland 44


Dita negli occhi

W

Walk 45 Wertheimer 19,20 Witkin 44



Ringrazio con affetto e stima per il supporto: mia Mamma, mio Padre, Massimo, Alessandra, Sissi, Alice. I miei Zii Silvana e Giovanni. I Fratricidi: Alessandra, Alessandro, Lino, Emilio, Alfonso. I miei compagni di corso. I miei piÚ cari amici: Valentina, Ciro, Bruno, Vincenzo. Ringrazio in special modo: La correlatrica Profssa. Mariateresa Girosi, il correlatore Prof. Luca Castellano, la curatrice del prgetto artistico Prof.ssa Enrica D’Aguanno.



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