EUREKA Saggio sull'universo materiale e spirituale di Edgar Allan Poe
EUREKA Saggio sull'universo materiale e spirituale di Edgar Allan Poe
Titolo originale: "Eureka. A Prose Poem" Quest'opera è lo sviluppo di una conferenza che l'autore tenne il 3 febbraio 1848 a New York un anno prima della sua morte.
Con profondissimo rispetto, questo libro è dedicato a ALEXANDER VON HUMBOLDT.
PREFAZIONE Ai pochi che mi amano e che io amo, a quelli che sentono piuttosto che a coloro che pensano, ai sognatori e a coloro che hanno fede nei sogni come nella sola realtà, offro questo Libro di Verità, non come esposizione di verità, ma per la Bellezza che abbonda nella sua Verità, e che lo rende vero. A questi offro il mio lavoro come un semplice Prodotto d'Arte, diciamo come un Racconto, o, se non fosse titolo troppo superbo, come un Poema. QUEL CHE IO ESPONGO QUI E' VERO. Dunque non può morire. Se, in qualche modo, dovesse essere umiliato tanto da morirne, esso "risorgerà alla Vita Eterna". E' mio desiderio, in ogni caso, che quest'opera sia giudicata unicamente, dopo la mia morte, come un Poema. E.A.P.
EUREKA Saggio sull'universo materiale e spirituale.
di Edgar Allan Poe
E' con umiltà veramente sincera, è con un certo sentimento di soggezione, che vergo la prima frase di questa opera, perché io avvicino il lettore al più solenne, al più esteso, al più difficile, al più augusto fra tutti gli argomenti concepibili. Quali parole potrò trovare, sufficientemente semplici nella loro sublimità, e sufficientemente sublimi nella loro semplicità, per la mera enunciazione del mio tema? Io mi propongo di parlare DELL'UNIVERSO FISICO,METAFISICOE MATEMATICO, DELL'UNIVERSO MATERIALE E SPIRITUALE; DELLA SUA ESSENZA, ORIGINE E CREAZIONE, DELLA SUA CONDIZIONE PRESENTE E DEL SUO DESTINO. Sarò inoltre così temerario da sfidare le conclusioni e mettere in discussione la sagacia di molti uomini fra i più grandi e giustamente riveriti. Lasciate che esponga per cominciare con la maggiore chiarezza possibile non il teorema che spero di dimostrare (poiché nonostante quanto asseriscono i matematici non vi è, a questo mondo almeno, nulla di simile a una dimostrazione) ma l'idea dominante che, nel corso di quest'opera, cercherò di tratteggiare. La mia idea generale è dunque questa: NELL'UNITA' ORIGINARIA DELL'ENTE PRIMO RISIEDE LA CAUSA SECONDARIA DI TUTTE LE COSE, E IL GERME DEL LORO INEVITABILE ANNICHILIMENTO. Per illustrarla, mi propongo di fare un esame dell'Universo che la mente umana sia realmente in grado di seguire, ricevendone un'impressione unitaria. Colui che dalla cima dell'Etna getta lentamente lo sguardo intorno a sé, riceve in primo luogo l'impressione dell'ESTENSIONE e della DIVERSITA' della scena. Solo con un rapido giro su se stesso potrà sperare di contenere in uno sguardo il panorama della sua sublime unità. Ma come sulla sommità dell'Etna nessun uomo ha pensato di girare su se stesso, nessuno mai ha fermato nella sua mente l'unità complessiva della prospettiva, e così qualsiasi considerazione sia implicita in tale unità, essa non ha esistenza pratica per il genere umano. Non conosco un trattato in cui si compia un esame complessivo dell'UNIVERSO (usando il termine nella sua più comprensiva, e sola legittima, accezione). Gioverà qui dire che con il termine "Universo", ovunque questo saggio sia impiegato senza spiegazioni, intendo in genere designare LA PIU' GRANDE ESTENSIONE CONCEPIBILE DELLO SPAZIO E DI TUTTI GLI ENTI SPIRITUALI E MATERIALI DI CUI SI POSSA IMMAGINARE L'ESISTENZA ENTRO IL LIMITE DI TALE ESTENSIONE. Parlando di ciò che comunemente si intende con il termine Universo, userò in molti casi un'espressione limitativa: l'"Universo Siderale". Si vedrà in seguito perché questa distinzione sia considerata necessaria.
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Anche fra i trattati sull'Universo SIDERALE, realmente limitato (anche se spesso considerato illimitato), non ne conosco alcuno in cui l'esame - ancorché di questo Universo limitato - sia fatto in modo da garantire le deduzioni derivanti dalla sua SINGOLARITA'. Ciò che si avvicina di più a tale intento si trova nel "Cosmos" di Alexander von Humboldt. Egli presenta però la materia non nella sua singolarità, ma nella sua indeterminatezza. Il suo tema, in ultima istanza, è la legge di ciascuna porzione dell'Universo meramente fisico in quanto questa legge è in relazione con quella di ogni altra porzione di tale Universo meramente fisico. Il suo progetto è solo sincretico. In sintesi, egli tratta dell'universalità dei rapporti materiali, e apre allo sguardo della Filosofia tutte le deduzioni che erano sino ad allora rimaste nascoste DIETRO questa universalità. Ma per quanto ammirevole sia la stringatezza con cui egli ha esaminato ogni singolo punto del suo argomento, la sola molteplicità di tali punti origina necessariamente una quantità di dettagli che precludono ogni SINGOLARITA' dell'impressione, ciò che provoca, dunque, un'involuzione dell'idea. A me sembra che, considerando quest'ultimo effetto e, attraverso questo, le conseguenze, le conclusioni, le intuizioni, le riflessioni o, se nulla di meglio ci è offerto, le semplici congetture che possono risultare da ciò, ci occorra qualcosa di simile a un giro panoramico attorno all'asse della nostra mente. Abbiamo bisogno di una rivoluzione di ogni cosa attorno al punto di vista centrale così rapida da far svanire completamente i dettagli fondendo in uno anche gli oggetti più cospicui. Tra i dettagli che spariscono, in uno sguardo di questo tipo, si troverebbero necessariamente tutti i fenomeni esclusivamente terrestri. La Terra dovrebbe essere considerata unicamente per i suoi rapporti con gli altri pianeti. Un uomo, in tale prospettiva, diviene il Genere Umano; e il Genere Umano un membro della famiglia cosmica di Intelligenze. E ora, prima di addentrarci nel nostro tema specifico, lasciate che io richiami l'attenzione del lettore su uno o due frammenti di una lettera piuttosto importante, a quel che sembra ritrovata chiusa in una bottiglia che galleggiava sul "Mare Tenebrarum", un oceano ben descritto dal geografo Nubiano Tolomeo Hephestion, ma poco frequentato ai nostri tempi se non dai trascendentalisti e da alcuni altri per capriccio. Confesso che la data di questa lettera mi sorprende ancor più che il contenuto, perché sembra sia stata scritta nell'anno DUEmilaottocentoquarantotto. Quanto ai brani che trascrivo, essi, immagino, parleranno da sé. "Sapete, mio caro amico - disse lo scrittore, rivolgendosi senza dubbio a un suo contemporaneo -, che solo da poco più di otto o novecento anni i metafisici hanno consentito per la prima volta a liberare la gente dalla singolare idea che esistono SOLO DUE VIE POSSIBILI ALLA VERITA'? Credetelo se potete! Sembra però che molto, molto tempo fa, nella notte dei tempi, viveva un filosofo Turco chiamato Aries e soprannominato Tottile. (- Qui probabilmente l'autore della lettera intende Aristotele; i migliori nomi, in due o tremila anni, si sono disgraziatamente corrotti -). La fama di questo grande uomo venne principalmente dall'avere dimostrato che lo starnuto è una disposizione naturale,
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per mezzo della quale i profondissimi pensatori possono espellere le idee superflue attraverso il naso; ma ebbe fama di poco minore quale fondatore, o almeno quale principale propagatore, di quella che fu chiamata la filosofia deduttiva, o "a priori". Egli partì da quelli che indicò come assiomi, o verità evidenti di per sé; e per quanto ora sia ben noto che NESSUNA verità è EVIDENTE DI PER SE', ciò non scalfisce affatto il valore delle sue speculazioni: era sufficiente per quanto egli si proponeva che le verità in questione fossero del tutto evidenti. Dagli assiomi egli perveniva, secondo logica, ai risultati. I suoi più illustri discepoli furono tal Tuclide, un geometra (- leggi Euclide -), e un certo Kant, un Tedesco, iniziatore di quella specie di Trascendentalismo che, con il semplice scambio di una C al posto del K, porta ancora il suo nome. Aries Tottile ebbe massima celebrità, sino alla venuta di un certo Hog, soprannominato il pastore di Ettrick, il quale predicò un sistema totalmente diverso, che chiamò "a posteriori" o induttivo. Il suo sistema era interamente basato sulla sensazione. Egli procedeva osservando, analizzando e classificando i fatti, le "instantiae Naturae", come un po' artificiosamente erano chiamati, inscrivendoli poi entro leggi generali. In sintesi, mentre il metodo di Aries era basato sui "noumena", quello di Hog dipendeva dai "phaenomena"; e tanto grande fu l'ammirazione suscitata da quest'ultimo sistema che, al momento in cui fu introdotto, Aries cadde nel generale discredito. In seguito, però, egli riprese terreno, e gli fu consentito di condividere l'impero della Filosofia con il suo più moderno rivale. Gli studiosi si contentarono di mettere al bando tutti gli ALTRI concorrenti, passati, presenti e futuri, e di por fine a ogni controversia sull'argomento con la promulgazione di una legge Mediana, in base alla quale le vie Aristotelica e Baconiana erano, e di diritto dovevano essere, le sole vie possibili alla conoscenza. Dovete sapere, mio caro amico - aggiunge a questo punto l'autore della lettera -, che "Baconiano'' era un aggettivo equivalente a Hog-iano, ma più nobile ed eufonico. Io vi assicuro formalmente - prosegue la lettera- di riportare le cose fedelmente; e voi potrete comprendere facilmente come delle restrizioni così evidentemente assurde possano aver contribuito a ritardare, in quei giorni, il progresso della vera Scienza, che, come la Storia dimostra, compie i suoi progressi più importanti attraverso SALTI apparentemente intuitivi. Queste antiche idee costrinsero la ricerca a procedere con lentezza; e non c'è bisogno di dire che il procedere con lentezza, fra i molti modi di procedere, è metodo assai fruttuoso nel suo genere; ma dobbiamo noi, solo perché la lumaca ha il piede sicuro, tagliare le ali alle aquile? Per molti secoli il fanatismo fu tale, specialmente per Hog, che fu imposto un blocco virtuale a tutto il pensiero propriamente detto. Nessuno osava esprimere una verità per la quale si sentisse obbligato solo verso la sua anima. Non importava che la verità fosse dimostrabile, poiché i filosofi dogmatizzanti di quell'epoca guardavano unicamente ALLA VIA attraverso la quale
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essa era stata raggiunta. Il fine era per loro un punto senza importanza: "i mezzi - urlavano -, fateci vedere i mezzi!"; e se, esaminati i mezzi, si scopriva che essi non erano annoverati né nella categoria Hog né nella categoria Aries (che significa ariete),gli studiosi non procedevano più oltre; apostrofavano come "pazzo" il pensatore e, bollatolo come "teoreta", da allora in poi non volevano più aver nulla a che fare né con lui né con le sue verità. Ora non si può credere, mio caro amico - prosegue la lettera -, che per questa via di lento progresso adottata l'uomo potesse giungere alla massima luce di verità, sia pure in un lungo periodo di anni, poiché la repressione dell'immaginazione era un male che non poteva ritenersi compensato neppure dall'ASSOLUTA certezza dei lenti progressi. Ma le sue certezze erano poi assai lontane dall'essere assolute. L'errore dei nostri avi fu del tutto simile a quello di quel saccentone che immagina di dover necessariamente vedere un oggetto tanto più distintamente quanto più lo tiene vicino ai suoi occhi. Si accecavano anche da soli con l'impalpabile e solleticante tabacco Scozzese da fiuto del PARTICOLARE; così i pretesi fatti degli Hogghiani non erano sempre dei fatti, ciò che è cosa di poca importanza, ove però si prescinda dal loro presupposto che lo FOSSERO sempre. Tuttavia la tara profonda del Baconianismo, e la sua più deprecabile fonte di errore, stava nella sua tendenza a rimettere potere e stima nelle mani di uomini meramente percettivi, inter Tritonici pesciolini, microscopici sapienti, scavatori e venditori ambulanti di DATI minuti, in gran parte nella scienza fisica, dati che essi rivendevano tutti allo stesso prezzo sulla pubblica piazza, dipendendo il loro valore, essi supponevano, semplicemente dal FATTO DI ESSERE DATI, senza tener conto della loro applicabilità o inapplicabilità nello sviluppo di quei fondamentali e soli legittimi dati che costituiscono la Legge. Mai - prosegue l'autore della lettera - visse sulla faccia della terra una genia di bigotti e tiranni più intollerante e intollerabile di quella gente, improvvisamente elevata dalla filosofia Hogghiana a una posizione cui era inadatta, trasferita dalle cucine alle aule della Scienza, dalle dispense ai pulpiti. Il loro credo, la loro Bibbia e il loro sermone erano sempre e soltanto quell'unica parola: "DATI"; pure, la maggior parte di loro ignorava persino il significato di quella parola. Verso coloro che osavano DISTURBARE i loro dati allo scopo di ordinarli e utilizzarli, i discepoli di Hog non ebbero alcuna misericordia. Ogni tentativo di generalizzazione venne definito con i termini "teoretico", "teoria", "teoreta", ogni PENSIERO, in breve, veniva accolto come un affronto personale a loro stessi. Coltivando le scienze naturali, con l'esclusione della Metafisica, della Matematica e della Logica, molti di questi filosofi Bacon-generati, monoideisti, monopartitici e zoppi, erano più spaventosamente ingenui, più miserabilmente ignoranti su tutti gli argomenti immaginabili della conoscenza, che il più illetterato dei villani, il quale dà prova di sapere qualcosa se non altro con l'ammettere di non sapere assolutamente nulla. Né i nostri antenati ebbero maggior diritto di pronunciarsi sulla CERTEZZA, proseguendo con cieca fiducia sul sentiero "a priori" degli assiomi, o dell'Ariete. In innumerevoli punti tale sentiero era dritto proprio quanto il corno di un
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ariete. La sola verità è che gli Aristotelici eressero i loro castelli su una baseassaipiù inconsistente dell'aria, PERCHE' NULLA DI SIMILE AGLI ASSIOMI E' MAI ESISTITO O POTRA' ESISTERE MAI. Essi dovettero essere veramente ciechi per non vederlo, o per non sospettarlo almeno; perché già in quel tempo molti dei loro "assiomi", a lungo ritenuti tali, erano stati abbandonati, come ad esempio che "ex nihilo nihil fit", o che "una cosa non può agire dove non è", o che "non possono esistere antipodi", o che "l'oscurità non può derivare dalla luce". Queste e altre consimili asserzioni, anticamente accettate senza esitazione come assiomi, o innegabili verità, furono infine tenute per assolutamente indifendibili, anche al tempo di cui scrivo. Quale assurdità dunque per questa gente persistere nel divincolarsi a un fondamento creduto immutabile, mentre la sua mutabilità si era già tanto ripetutamente manifestata! Proprio per mezzo delle testimonianze lasciate da loro stessi contro di sé, è facile convincere questi ragionatori dell'"a priori" della grossolana irragionevolezza, è facile dimostrare la futilità, l'impalpabilità, dei loro assiomi in generale. Ho qui davanti a me (- si badi che andiamo ancora avanti con la lettera-), ho qui davanti a me un libro stampato circa mille anni fa. Pundit mi assicura che essa è in assoluto la più intelligente fra le antiche opere sull'argomento. Si tratta della "Logica". L'autore, assai stimato ai suoi tempi, era un certo Miller, o Mill, e si ricorda di lui, come un fatto di una certa importanza, che cavalcava un cavallo da macina cui diede nome Jeremy Bentham; ma passiamo a esaminare il volume! Ah!: "La capacità e l'incapacità di concepire", dice il signor Mill assai giustamente, "IN NESSUN CASO deve intendersi come un criterio assiomatico di verità". Ora nessun uomo ragionevole negherà che questo è un palese truismo. NON ammettere tale affermazione significa infatti insinuare un sospetto di variabilità nella verità stessa, che nel suo vero significato è sinonimo di Immutabilità. Se la capacità di concepire fosse intesa come un criterio di Verità per DAVID Hume, sarebbe considerata tale anche da JOE, e il novantanove per cento di ciò che è innegabile in Cielo sarebbe dimostrabile menzogna sulla Terra. L'affermazione del signor Mill è dunque fondata. Non garantirò che sia un ASSIOMA, giacché intendo dimostrare appunto che non esiste nessun assioma; ma, introducendo una distinzione che lo stesso signor Mill non metterebbe in discussione, sono pronto a garantire che, SE un assioma ESISTE, allora l'affermazione di cui discutiamo ha il pieno diritto di essere definita tale, poiché NON c'è assioma più assoluto di questo, e di conseguenza ogni affermazione successiva che fosse in conflitto con questa fondamentale dovrà essere di fatto considerata falsa in sé, dunque il contrario di un assioma o, se ammessa come assiomatica, dovrà neutralizzare a un tempo se stessa e l'affermazione che la genera. Passiamo a esaminare ora alcuni degli assiomi proposti, secondo la logica dell'assertore. Diamo la parola al signor Mill. Porteremo la questione a un esito non comune. Non sceglieremo per la ricerca alcun assioma ordinario, nessuno di quegli assiomi che egli chiama, in modo non meno assurdo per quanto implicito,
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di seconda classe, come se una verità positiva per definizione potesse essere più o meno positivamente vera; non sceglieremo insomma alcun assioma di indiscutibilità tanto discutibile come se ne trovano in Euclide. Non parleremo, ad esempio, di proposizioni come "due linee rette non possono racchiudere uno spazio", o "l'intero è più grande di ognuna delle sue parti". Concederemo al logico ogni vantaggio. Arriveremo a discutere immediatamente una proposizione che egli considera il massimo dell'incontestabilità, la quintessenza dell'innegabilità assiomatica. Eccola: "due proposizioni contraddittorie non possono essere ENTRAMBE vere. Esse non possono cioè coesistere in natura". Qui il signor Mill intende, ad esempio, (e io do l'esempio più convincente possibile), che un albero deve essere o non essere un albero, e non può essere al tempo stesso un albero e non esserlo; ciò che è perfettamente ragionevole di per sé e risponde ottimamente alle caratteristiche di un assioma, finché non si procede al confronto con un assioma riferito poche pagine prima. In altre parole, parole che ho già usato in precedenza, finché non proveremo tale assioma con la logica del suo stesso assertore. "Un albero - sostiene il signor Mill - deve essere o NON essere un albero". Molto bene, ma lasciate che gliene chieda il PERCHE'. A questa semplice domanda non c'è che una risposta, e sfido chiunque a trovarne un'altra. L'unica risposta è questa; "perché ci riesce IMPOSSIBILE CONCEPIRE che un albero possa essere qualsiasi altra cosa che un albero o non esserlo affatto". Questa, lo ripeto, è l'unica risposta del signor Mill. Egli non PRETENDERA' di fornircene un'altra. Eppure, per la sua dimostrazione stessa, tale risposta è tutto tranne che una risposta. Infatti, non ci ha appena chiesto di ammettere come ASSIOMA che la capacità o incapacità di concepire non deve in nessun caso essere presa quale criterio di verità assiomatica? Pertanto TUTTA la sua argomentazione, assolutamente tutta la sua argomentazione naviga senza timone. Né si dovrà dire che occorre fare un'eccezione alla regola generale nei casi in cui "l'impossibilità di concepire" è così particolarmente grande, come in questo, in cui siamo chiamati a concepire un albero che CONTEMPORANEAMENTE è un albero e NON lo è. Non si tenti, dico, di insistere in questo sproposito; perché in primo grado non ci sono gradi diversi di "impossibilità", e pertanto nessuna cosa impossibile a concepirsi può essere in modo particolare più impossibile di un'altra idea impossibile; in secondo luogo, lo stesso signor Mill ha escluso, senza dubbio dopo attenta riflessione, con la massima chiarezza e razionalità, ogni qualsiasi eccezione, ponendo l'accento sulla sua proposizione, secondo la quale in NESSUN CASO deve prendersi come un criterio di verità assiomatica la capacità o meno di concepire qualcosa; in terzo luogo, anche ove fossero ammissibili delle eccezioni, resta pur sempre da dimostrare in qual modo una qualche eccezione sia ammissibile in QUESTO CASO. Il fatto che un albero possa contemporaneamente essere un albero e non esserlo è un'idea che gli angeli, o i diavoli, POSSONO concepire, e che senza dubbio sulla Terra più di un bedlamite o di un Trascendentalista ACCETTA. Ora io contesto a questi antichi - prosegue l'autore della lettera - NON TANTO l'evidente debolezza della loro logica (la quale, per essere chiari, era priva di fondamenta, priva di valore e del tutto fantasiosa), quanto la loro pretenziosa e
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fanatica proscrizione di OGNI altra strada verso la Verità che non fosse uno dei due tortuosi e stretti viottoli, in cui si procede a tentoni, o strisciando, in cui, nella loro ignorante deviazione, essi hanno osato confinare l'Anima, l'Anima che nulla ama più del librarsi in quelle regioni di illimitata intuizione che non conoscono affatto stretti SENTIERI. E poi, caro amico mio, non è forse una dimostrazione della schiavitù mentale imposta a quella gente bigotta dai loro Hog e dai loro Arieti il fatto che al di là di tutto il vano chiacchierare dei loro sapienti sulle vie che portano alla Verità, nessuno di loro abbia percepito, sia pure per caso, quella che oggi così limpidamente vediamo essere la più larga, la più giusta e la più accessibile di tutte le vie, la grande strada maestra, la più maestosa strada della COERENZA? Non è stupefacente che essi non abbiano saputo dedurre dalle opere di Dio la vitale, importante considerazione che UNA PERFETTA COERENZA NON PUO' ESSERE NIENT'ALTRO CHE UNA VERITA' ASSOLUTA? Quanto sono stati chiari, e rapidi, i nostri progressi, da quando si enunciò finalmente tale proposizione! Per mezzo di questa, la ricerca è stata tolta dalle mani delle talpe, e affidata come un dovere, piuttosto che come un compito, ai veri, ai SOLI autentici pensatori, a quegli uomini di educazione completa e di ardente immaginazione. Questi ultimi, i nostri Keplero, i nostri Laplace, "speculano", "teorizzano", queste sono le parole giuste (immaginate le urla sdegnose con cui esse sarebbero accolte dai nostri progenitori, se fosse loro possibile guardare sopra la mia spalla mentre scrivo); i Keplero, lo ripeto, speculano, teorizzano, e le loro teorie sono semplicemente corrette, ridotte, vagliate, ripulite poco a poco dalle loro scorie di caos, finché alla fine non appare evidente una assoluta COERENZA che anche il più stolto ammette, proprio perché è coerenza, come un'assoluta e indiscutibile VERITA'. Ho spesso pensato, amico mio, che deve aver messo in serio imbarazzo questi dogmatici di un migliaio di anni fa il decidere attraverso quale delle loro due vantate vie il crittografo fosse giunto alla soluzione dei più complicati cifrari, e attraverso quali di esse Champollion avesse guidato il genere umano a quelle innumerevoli e importanti verità che per tanti secoli sono rimaste sepolte sotto i geroglifici fonetici egiziani. In particolar modo, non avrà creato problemi a questi bigotti lo stabilire attraverso quale delle loro vie si pervenne alla più importante e sublime di TUTTE le loro verità, la verità, la scoperta della GRAVITA'? Newton la dedusse dalle leggi di Keplero. Keplero ammise che aveva INDOVINATO queste leggi, queste leggi il cui studio dischiuse al più importante astronomo britannico quel principio, base di ogni principio fisico (esistente), seguendo il quale entriamo di colpo nel nebuloso regno della Metafisica. Sì! Keplero INDOVINO' queste leggi capitali, cioè egli le IMMAGINO'. Qualora gli fosse stato richiesto di precisare se le aveva ottenute seguendo una via INduttiva o DEduttiva, la sua risposta sarebbe stata probabilmente: "Di VIE io non so nulla, ma CONOSCO il meccanismo del l'Universo. Ecco. L'ho
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raggiunto con la MIA ANIMA, l'ho acquisito attraverso un semplice slancio di INTUIZIONE". Ahimé, povero vecchio ignorante! Non poteva dirgli un qualsiasi metafisico che ciò che lui chiamava "intuizione" altro non era se non la convinzione risultante da DEduzioni e INduzioni, il procedere delle quali era così oscuro da essere sfuggito alla sua consapevolezza, eluso la sua ragione, sfidato la sua capacità espressiva? Che gran peccato che qualche "filosofo morale" non lo abbia istruito in proposito! Come lo avrebbe confortato, sul letto di morte, sapere che invece d'essere andato avanti intuitivamente, e dunque imperfettamente, egli aveva proceduto con decoro e legittimità, vale a dire Hogghianamente, o almeno Arietemente, tra i vasti palazzi dove stanno splendenti, non curati, e fino ad oggi non toccati da mano umana, non visti da occhio mortale, gli imperituri e inestimabili segreti dell'Universo! Sì, Keplero fu essenzialmente un TEORETA; ma questo appellativo, ORA così sacro, era in quei lontani giorni indice di supremo disprezzo. Soltanto ora gli uomini cominciano ad apprezzare quel vecchio divino, asimpatizzare con la poetica e profetica rapsodia delle sue memorabili parole. Per parte MIA - continua l'ignoto scrittore - brucio di sacro fuoco non appena penso a esse, e sento che mai sarò stanco di ripeterle; a conclusione di questa lettera lasciatemi dunque il piacere di trascriverle ancora una volta: "NON MI IMPORTA CHE LA MIAOPERASIASTATALETTA ORA O DALLA POSTERITA'.POTRO' TRANQUILLAMENTE ASPETTARE UN SECOLO I MIEI LETTORI, PERCHE' DIO STESSO HA ATTESO UN OSSERVATORE PER SEIMILA ANNI. IL MIO E' UN TRIONFO. HO RUBATO L'AUREO SEGRETO DEGLI EGIZIANI. VOGLIO ABBANDONARMI AL MIO SACRO FURORE"". Qui hanno termine le mie citazioni da questa lettera, veramente inspiegabile se non impertinente; e forse è follia commentare, sotto ogni aspetto, le chimeriche, per non dire rivoluzionarie, idee di colui che l'ha scritta, chiunque egli sia, idee in così radicale contrasto con le ben note e tanto stimate opinioni di questa epoca. Procediamo allora verso la nostra legittima tesi: l'UNIVERSO. Questa tesi ammette una scelta tra due modi di procedere: possiamo AScendere o DIScendere. Cominciando dal nostro stesso punto di vista, dalla Terra dove siamo, possiamo passare agli altri pianeti del nostro sistema, poi al Sole, quindi al nostro sistema considerato nel suo insieme, e infine, attraverso altri sistemi, indefinitivamente fuori; oppure, cominciando dall'alto, da un qualche punto quanto più definito possiamo stabilirlo o concepirlo, possiamo scendere giù fino verso la dimora dell'Uomo. Di solito, vale a dire nei comuni saggi sull'Astronomia, è generalmente adottato, con certe riserve, il primo di questi due modi; e ciò per l'ovvia ragione che essendone l'oggetto gli EVENTI astronomici, semplicemente, e i principi, tale oggetto è meglio perseguito procedendo dal noto, in quanto prossimo, gradatamente oltre, sino al punto in cui ogni certezza si perde nel remoto. Ciononostante per il mio scopo presente, quello di permet-
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tere alla mente di afferrare, come da lontano e con un unico sguardo, una concezione prospettica dell'Universo INDIVIDUALE, è chiaro che una discesa al piccolo dal grande, dal centro (se potessimo stabilirne uno) alla periferia, da un inizio (se potessimo immaginare un inizio) a una fine sarebbe il metodo preferibile, non fosse per la difficoltà, se non impossibilità, di presentare in questo modo al non astronomo un quadro perfettamente comprensibile delle considerazioni implicate nella QUANTITA', cioè nel numero, grandezza e distanza. Ora la chiarezza, l'intelligibilità, in ogni punto, sono di fondamentale importanza nel mio progetto generale. E' bene, su argomenti importanti, essere un po' troppo prolissi piuttosto che anche soltanto un po' oscuri. Ma l'astrusità non è di per sé propria a nessun argomento. Tutto è ugualmente facile a intendersi per colui che affronta le cose con giusta gradualità. Ed è solo perché qui e là abbiamo trascurato un passo sulla nostra via verso il Calcolo Differenziale che quest'ultimo non è cosa altrettanto semplice che un sonetto di Solomon Seesaw. Non ammettendo dunque nessuna POSSIBILITA' di errata comprensione, penso sia consigliabile procedere come se anche i fatti più ovvi dell'Astronomia fossero ignoti al nostro lettore. Combinando i due modi di discussione cui ho fatto riferimento, mi propongo di avvalermi delle qualità proprie di entrambi, e in modo particolare della REITERAZIONE DEI PARTICOLARI, che sarà una conseguenza inevitabile di tale progetto. Cominciando con una discesa, mi riservo per il ritorno in alto quelle indispensabili considerazioni quantitative alle quali avevo alluso in precedenza. Cominciamo dunque subito con la più semplice delle parole: "Infinito". Questa, come le parole "Dio", "spirito", e alcune altre di cui esistono equivalenti in quasi tutte le lingue, non è affatto l'espressione di un'idea, ma dello sforzo di arrivarci. Essa rappresenta lo sforzo possibile di arrivare a una concezione impossibile. L'Uomo aveva bisogno di un termine mediante il quale segnalare la DIREZIONE di questo sforzo, la fitta nebbia dietro la quale sta, per sempre invisibile, l'OGGETTO di questo sforzo. Si aveva bisogno di una parola, insomma, per mezzo della quale un essere umano potesse mettersi in relazione diretta con un altro essere umano e con una certa tendenza dell'intelletto umano. Da questo bisogno ha origine la parola "Infinito", che rappresenta quindi null'altro se non il PENSIERO DI UN PENSIERO. Quanto a quell'infinito ora considerato, l'infinito spaziale, abbiamo spesso sentito dire che "la sua idea è ammessa dalla mente, è accettata, accolta, in relazione alla grande difficoltà attinente la concezione di un limite". Ma questa è semplicemente una di quelle FRASI con le quali anche i pensatori più profondi,da tempo immemorabile, si sono di tanto in tanto compiaciuti di ingannare se stessi. L'inganno si cela dietro la parola "difficoltà". "La mente - ci si dice - accetta l'idea di ILLIMITATEZZA per la maggiore DIFFICOLTA' che ha nell'accettare l'idea di spazio LIMITATO". Ora, se la proposizione fosse
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enunciata correttamente, la sua assurdità diverrebbe immediatamente manifesta. Chiaramente nel caso in questione non vi è una semplice difficoltà. Se proposta senza sofismi, secondo il suo intendimento, dovrebbe suonare: "La mente ammette l'idea di ILLIMITATEZZA per la maggiore IMPOSSIBILITA' concepire l'idea di uno spazio limitato". Deve essere subito chiaro che qui non è questione di due asserzioni, o di due argomenti, sulla rispettiva credibilità o valore dei quali la RAGIONE sia chiamata a decidere, ma di due concezioni in diretto conflitto, ambedue chiaramente impossibili, una delle quali si suppone che l'INTELLETTO sia in grado di ammettere, sulla sola base della maggiore IMPOSSIBILITA' di ammettere l'altra. La scelta NON è tra due difficoltà; si IMMAGINA, semplicemente, che essa sia fatta tra due impossibilità. Ora mentre per la prima CI SONO gradi, per la seconda non ne esiste alcuno, come appunto scrive il nostro impertinente autore della lettera. Un compito PUO' ESSERE più o meno difficile, ma può essere solo possibile o impossibile; non ci sono vie di mezzo. Può risultare più DIFFICILE abbattere le Ande che un formicaio; ma non sarà in maggior grado IMPOSSIBILE annientare la materia delle prime che non la materia delle secondo. Un uomo potrà saltare dieci piedi con minor DIFFICOLTA' che nel saltarne venti; ma l'IMPOSSIBILITA' per lui di spiccare un salto sino alla Luna non sarà certo minore che quella di spiccare un salto sino alla stella Sirio. Poiché tutto ciò è innegabile, perché la scelta della mente umana si compie tra due concezioni IMPOSSIBILI, e poiché una cosa impossibile non può esserlo in maggior misura di un'altra e dunque non si può preferire l'una all'altra, i filosofi, che in base agli elementi menzionati sostengono non solo l'IDEA umana di infinito, ma, riguardo a tale ipotetica idea, l'INFINITO STESSO, s'impegnano a fondo nel dimostrare che una cosa impossibile è possibile, mostrando come avvenga che un'altra cosa sia anch'essa impossibile. Questo, si dirà, è un nonsenso, e forse è vero. In realtà io penso che questo sia un enorme nonsenso, ma rinuncio del tutto a rivendicarlo come un nonsenso mio. Il modo più semplice, in ogni caso, per mostrare la fallacia dell'argomento filosofico su tale questione è semplicemente quello di analizzare un FATTO che lo riguarda, e che è stato sinora del tutto trascurato: il fatto che l'argomento cui ci si riferisce prova e contemporaneamente smentisce la sua stessa proposizione. "La mente umana è spinta - dicono i teologi, e altri con loro - ad ammettere una CAUSA PRIMA, per la maggiore difficoltà che ha a concepire cause sopra cause senza fine". L'inganno, come prima, si annida nella parola "difficoltà"; ma che cosa si adduce qui per sostenerla? Una Causa Prima. E che cosa è una Causa Prima? Il limite ultimo di tutte le cause. E che cosa è il limite ultimo delle cause? La Finitezza, il Finito.Pertanto la medesima scappatoia è impiegataneidue procedimenti, Dio sa da quanti filosofi, per sostenere ora il Finito ora l'Infinito; non potrebbe dunque servire a sostenere qualcos'altro? Quanto a questi sofisti, ESSI sono quanto meno insopportabili. Per liberarcene, diremo che ciò che essi dimostrano nel primo caso è, esattamente come nel
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secondo caso, un bel nulla. Di certo nessuno vorrà credere che io propenda qui per l'assoluta impossibilità di ciò che noi tentiamo di comunicare mediante la parola "infinito". Il mio proposito è invece quello di mostrare l'assurdità del tentativo di provare lo stesso Infinito, o addirittura il nostro concetto di questo, mediante quegli errati ragionamenti che di solito si usano. Ciò nonostante, personalmente mi si consentirà di dire che io NON POSSO concepire l'infinito, e sono convinto che nessun essere umano lo possa. E' vero che una mente non interamente cosciente, non abituata all'analisi introspettiva dei propri meccanismi; ingannerà spesso se stessa supponendo di AVER ammesso il concetto di cui parliamo. Nello sforzo di ammetterlo noi procediamo gradino dopo gradino, riflettiamo punto dopo punto, e finché CONTINUIAMO nello sforzo, possiamo di fatto dire che TENDIAMO alla formazione dell'idea designata, mentre la forza dell'impressione di configurarla progressivamente o di averla già configurata pienamente, è proporzionale al periodo durante il quale portiamo avanti tale sforzo mentale. Ma è al momento in cui interrompiamo lo sforzo di definire (come noi crediamo) l'idea, di dare l'ultimo colpo (come supponiamo) al concetto, che l'intera costruzione della nostra fantasia crolla d'un lampo, lasciandoci fermi a un punto finale, e pertanto ben determinato. Tuttavia, per l'assoluta coincidenza temporale tra l'arrivare al punto finale dello sforzo e lo smettere di pensare, noi non siamo in grado di percepire tale arresto. Tentando, d'altro canto, di formare l'idea di uno spazio limitato, noi non facciamo altro che invertire i processi che implicano l'impossibilità. Noi CREDIAMO in un Dio. Possiamo credere o no in uno spazio finito o in uno spazio infinito; ma il nostro credere dev'essere in entrambi i casi più propriamente definito come FEDE, ed è cosa assolutamente distinta da quel pensiero proprio, da quel credere INTELLETTUALMENTE, che presuppone il concetto mentale. Il fatto è che nell'enunciazione di qualsiasi cosa compresa in quella classe di termini cui appartiene il concetto di "Infinito", la classe che rappresenta PENSIERI DI PENSIERO, colui che ha il diritto di affermare che egli pensa REALMENTE si sente in dovere NON di ammettere un concetto, ma semplicemente di dirigere la sua visione mentale verso un punto dato del firmamento intellettuale, dove sta una nebulosa che non sarà mai dissolta. In realtà, egli non compie nessuno sforzo per dissolverla, poiché con istinto immediato intuisce non solo l'impossibilità, ma, rispetto a tutti i propositi umani, la INESSENZIALITA' della dissoluzione. Egli intuisce che la Divinità non ha VOLUTO che essa fosse dissolta. Egli comprende, insieme, che ciò OLTREPASSA i limiti della ragione; e intende pure COME, se non PERCHE', ne è al di là. Ci sono persone, ne conosco alcune, che dedicandosi al tentativo di raggiungere l'inattingibile, acquistano assai facilmente, grazie al loro linguaggio fumoso, reputazione di profondità presso gli pseudo-pensatori loro simili, per i quali oscurità e profondità sono sinonimi; ma la più sottile qualità del pensiero è la sua autocoscienza; e
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senza sbagliare di molto si può dire che nessuna nebbia mentale è maggiore di quella che estendendosi fino ai confini del dominio mentale preclude anche quei confini stessi alla comprensione. Sarà ora chiaro che usando l'espressione "Infinito Spaziale" non desidero affatto forzare il lettore ad accettare il concetto impossibile di un infinito ASSOLUTO, ma che mi riferisco semplicemente alla "più grande estensione concepibile" dello spazio, un regno oscuro e fluttuante, che si stringe e si espande secondo le mutevoli energie dell'immaginazione. Sino a oggi, l'Universo Siderale è stato sempre considerato come coincidente con l'Universo propriamente detto, come io l'ho definito all'inizio del presente Studio. Si è sempre ammesso, in modo diretto o indiretto, almeno a partire dalla nascita dell'Astronomia scientifica, che ove ci fosse possibile raggiungere qualsiasi punto nello spazio, noi troveremmo sempre, da ogni parte, un'interminabile serie di stelle. Questa fu l'insostenibile idea di Pascal, che forse stava compiendo invece il più importante tentativo mai compiuto di rendere con una perifrasi il concetto tanto discusso della parola "Universo". "Si tratta di una sfera - egli scrive - il cui centro è ovunque, e la circonferenza in nessun luogo". Ma per quanto questa proposta di definizione sia di fatto una NON-definizione dell'universo siderale, possiamo accettarla, sia pure con qualche riserva mentale, come una definizione(sufficientemente rigorosa per ogni scopo pratico) dell'Universo PROPRIAMENTE DETTO, vale a dire dell'Universo SPAZIALE. Considereremo dunque quest'ultimo come "una sfera il cui centro è ovunque, e la circonferenza in nessun luogo". Mentre ci riesce infatti impossibile immaginare una fine dello spazio, non abbiamo difficoltà a rappresentarci una serie infinita di inizi. Adotteremo dunque, quale punto di partenza, la MENTE DIVINA. Non è empio, né è sciocco solo colui che di questa Mente Divina in sé non afferma nulla. "Nous ne connaissons rien", dice il barone di Bielefeld, "nous ne connaissons rien de la nature ou de l'essence de Dieu: pour savoir ce qu'il est, il faut être Dieu même". "Non sappiamo assolutamente nulla della natura o dell'essenza di Dio; per sapere ciò che è dovremmo essere Dio stesso". "Dovremmo essere Dio stesso!". Nonostante il fatto che una frase tremenda come questa ancora risuoni nelle mie orecchie, mi avventuro a chiedere se questa nostra attuale ignoranza della Divinità sia un'ignoranza cui l'anima è condannata PER L'ETERNITA'. Da LUI, L'Incomprensibile, PER ORA almeno, da Lui, considerandolo come SPIRITO, cioè come NON-Materia, distinzione che per ogni proposito comprensibile sostituirà adeguatamente una definizione, da Lui, dunque, esistente come Spirito, accontentiamoci di supporre di essere stati CREATI,
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ovvero fatti dal Nulla per grazia della sua Volontà, in qualche punto dello Spazio che prenderemo come centro, in un tempo attorno al quale non pretendiamo indagare, ma che è in ogni caso immensamente remoto; da Lui, ancora, supponiamo dunque di essere stati creati. Ma COSA (è questo un punto di vitale importanza nelle nostre considerazioni), cosa può giustificarci, solo giustificarci, a credere di essere stati in principio CREATI? Siamo pervenuti a un punto in cui solo l'INTUIZIONE può venirci in aiuto; ma facciamo ora ricorso all'idea che ho già suggerito come la sola che possiamo a buon diritto ammettere come intuizione. Essa è unicamente IL CONVINCIMENTO CHE DERIVA DA QUELLEINDUZIONIO DEDUZIONI, I CUI PROCESSI SONO COSI' OSCURI DA SFUGGIRE ALLA NOSTRA CONSAPEVOLEZZA, ELUDERE LA NOSTRA RAGIONE, SFIDARE LA NOSTRA CAPACITA' DI ESPRESSIONE. Con questo intendimento io asserisco ora che un'intuizione assolutamente irresistibile, per quanto inesprimibile, mi conduce alla conclusione che quel che Dio ha creato in origine, che quella Materia che egli forgiò dal suo Spirito e dal Nulla assoluto per grazia della sua Volontà, non PUO' essere stato nient'altro che la Materia allo stato più estremo possibile di, cosa? Di ELEMENTARITA'? Questa sarà la sola ipotesi assoluta del mio Studio. Uso la parola "ipotesi" nel suo significato comune; ciò nonostante, io sostengo anche che questa mia ipotesi fondamentale è in realtà assai lontana dall'essere effettivamente una mera ipotesi. Nulla è mai stato infatti più sicuro, mai nessuna conclusione umana è stata più legittimamente e più rigorosamente dedotta; ma i processi sono purtroppo al di là dell'analisi umana, e in ogni caso sono al di là delle capacità espressive del linguaggio umano. Se però nel corso di questo saggio io riuscirò a dimostrare che al di là della Materia nella sua forma più assolutamente semplice tutto AVREBBE POTUTO essere costruito, giungeremo direttamente a dedurne che ciò FU dunque costruito, non potendosi attribuire un eccesso di zelo all'Onnipotente. Cerchiamo ora di comprendere ciò che la materia dev'essere quando, o se, si trova nella sua forma più assolutamente semplice. Qui la Ragione vola di colpo alla Imparticolarità, a una particella, una SINGOLA particella, particella di genere UNICO, di carattere UNICO, di natura UNICA, di UNA SOLA misura, di una SOLA forma, una particella insomma che è "SENZA forma, e vuota", particella che è realmente particella in ogni punto, assolutamente unica, individuale, indivisa, e non indivisibile soltanto perché Colui che l'ha CREATA per grazia della sua Volontà, può certamente dividerla con uno sforzo della volontà infinitamente minore. L'UNITA' è dunque l'unica cosa che io affermo della Materia originariamente creata; ma mi propongo di dimostrare che tale UNITA' E'UNPRINCIPIODELTUTTO SUFFICIENTE A DAR RAGIONE DELLA COSTITUZIONE, DEI FENOMENI ESISTENTI,E ALMENO DELL'INEVITABILE ANNICHILIMENTO DELL'UNIVERSO MATERIALE.
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La volontà d'esistere della Particella primordiale ha completato l'atto, o più precisamente la CONCEZIONE, della Creazione. Procediamo ora verso lo scopo finale per il quale dobbiamo supporre che la Particella sia stata creata, vale a dire il proposito ultimo fin dove le nostre considerazioni ci consentono di verificare ANCORA la costituzione dell'Universo da questa Particella. Tale costituzione si è realizzata COSTRINGENDO la UNITA' originaria e dunque normale alla anomala condizione della PLURALITA'. Un'azione di questo tipo implica una reazione. Una diffusione dall'Unità sotto condizioni implica una tendenza a tornare all'Unità, tendenza ineliminabile finché non sia soddisfatta. Ma di tali questioni parlerò più diffusamente tra poco. L'ipotesi dell'assoluta Unità nella Particella primordiale implica quella di una divisibilità all'infinito. Pensiamo dunque la Particella come non del tutto esaurita dalla sua diffusione nello Spazio. Dall'unica Particella presa come centro supponiamo che sia irradiato sfericamente, in tutte le direzioni, a distanze immense ma tuttavia definite nello Spazio prima vuoto, un certo numero inesprimibilmente grande ma tuttavia limitato di atomi inimmaginabilmente e tuttavia non infinitamente piccoli. Di questi atomi così diffusi, o in diffusione, quali condizioni ci è consentito non tanto di dedurre quanto di inferire, dall'esame della loro sorgente e dal carattere dell'obiettivo manifestato nel loro diffondersi? Essendo l'UNITA' la loro sorgente, e la DIFFERENZA DALL'UNITA' il carattere dell'obiettivo manifestato nel loro diffondersi, siamo autorizzati a supporre l'uniformità, almeno in linea generale, di tale carattere nel disegno complessivo, e che lo stesso sia parte del disegno medesimo. Ciò significa che siamo autorizzati a concepire differenze costanti in tutti i punti dall'unicità e semplicità dell'origine. Ma saremo per ciò giustificati a immaginare gli atomi eterogenei, dissimili, ineguali e non equidistanti? Più esplicitamente, dovremo credere che non esistono neppure due atomi che al momento della loro diffusione fossero della medesima natura, forma e dimensione? E che dopo aver completato la loro diffusione nello Spazio, l'assoluta diversità di distanza l'uno dall'altro sia comune a tutti gli altri? In tale ordinamento, e a tali condizioni, possiamo facilmente e immediatamente intendere la conseguente miglior realizzabilità di qualsivoglia disegno come quello cui ho accennato, il disegno della molteplicità tratta dall'unità, della diversità dall'eguale, dell'eterogeneità dall'omogeneo, del complesso dal semplice, in una parola della massima molteplicità di RELAZIONI possibili dall'UNITA' espressamente assoluta. Indubbiamente quindi noi DOVREMMO sentirci autorizzati a supporre tutto quanto è stato detto, se non riflettessimo al fatto che in primo luogo non è ammissibile un impegno eccessivo in un Atto Divino, e in un secondo luogo che l'obiettivo prefissato appare realizzabile e quando alcune delle condizioni in questione sono eliminate fin dal principio, e quando sono date per immediatamente esistenti. Voglio dire che alcune sono implicate nelle altre, e ne sono conseguenza così immediatamente diretta da rendere nulla ogni
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distinzione. La differenza di dimensione, ad esempio, verrà ottenuta immediatamente dalla tendenza di un atomo verso un secondo, invece che di un terzo, a causa di una SPECIFICA NON EQUIDISTANZA, CHE DOVRA' INTENDERSI COME UNA PARTICOLARE NON EQUIDISTANZA FRA CENTRI DI QUANTITA' IN ATOMI VICINI DI DIMENSIONI DIVERSE, questione che non interferisce per nulla con la distribuzione generalmente uguale degli atomi. Anche la stessa differenza di GENERE è facilmente comprensibile come semplice risultato di differenze di dimensione e di forma, considerate più o meno congiuntamente; infatti, giacché l'UNITA' della Particella Propriamente Detta implica assoluta omogeneità, noi non possiamo immaginare che gli atomi differiscano per genere, al momento della loro diffusione, senza immaginare al tempo stesso un particolare esercizio della Volontà Divina all'emissione di ciascun atomo, al fine di imprimere in ognuno un mutamento nella sua natura essenziale, e a un'idea talmente fantastica non dobbiamo indulgere poiché si vede che l'obiettivo proposto può essere perfettamente raggiunto senza tale particolare ed elaborata interpolazione. Comprendiamo quindi tutto sommato che sarebbe eccessivo, e di conseguenza non filosofico, attribuire agli atomi, quanto alle loro intenzioni, qualcos'altro che la DIFFERENZA DI FORMA nell'atto della loro dispersione, con particolare inequidistanza dopo di ciò, discendendo insieme da queste tutte le altre differenze, nei primordiali processi della costituzione della massa. Noi consideriamo pertanto l'Universo su una base puramente GEOMETRICA. Evidentemente non è affatto necessario ipotizzare una differenza assoluta, sia pure di forma, tra TUTTI gli atomi irradiati, se non quella di una specifica inequidistanza assoluta tra l'uno e l'altro. Ci basta pensare semplicemente che nessun gruppo di atomi VICINI ha forma simile, e nessun atomo potrà mai avvicinarsi ad altri sino alla loro inevitabile riunificazione finale. Benché la TENDENZA immediata e perpetua degli atomi separati a ritornare alla loro consueta Unità è implicita, come ho detto, nella loro diffusione anomala, è però chiaro che tale tendenza resterà senza conseguenze, in quanto tendenza e nulla più, finché l'energia diffondente, smettendo di essere esercitata, lascerà QUESTA TENDENZA libera di cercare il proprio compimento. Considerando tuttavia l'Atto Divino come determinato, e interrotto al momento in cui completa la sua diffusione, noi prevediamo una REAZIONE subitanea, in altre parole una tendenza SODDISFATTIBILE degli atomi divisi a tornare a essere UNO. Ma essendo cessata l'energia diffusiva, ed essendo cominciata la reazione in direzione dell'obiettivo ultimo, QUELLO DI CREARE LA MAGGIORE QUANTITA' DI RAPPORTI POSSIBILE, tale obiettivo corre ora il pericolo di rimanere frustrato in particolare a causa di quella effettiva tendenza al ritorno che è necessaria alla sua realizzazione in generale. La MOLTEPLICITA' è l'obiettivo, ma non c'è nulla che impedisca agli atomi vicini di scivolare IMPROVVISAMENTE, a causa della tendenza resasi ora appagabile, e PRIMA che si compia qualsiasi obiettivo prefisso nella molteplicità, verso un'assoluta unità tra loro. Non c'è nulla che impedisca l'aggregazione di più masse UNITA-
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RIE in punti diversi dello spazio: in altre parole, nulla che interferisca con l'accumulazione di varie masse ciascuna delle quali è assolutamente Unitaria. Per l'effettivo compimento del disegno generale noi vediamo quindi la necessità di una forza repulsiva di limitata capacità, un QUALCOSA di separato che al cessare della Volontà diffusiva consenta l'avvicinamento degli atomi impedendone al tempo stesso la riunificazione, che consenta loro un'infinita approssimazione e contemporaneamente neghi il contatto effettivo; in una parola, che abbia il potere, SINO A UN CERTO PUNTO, di prevenire la loro COALIZIONE, ma non la capacità di interferire, in nessun modo o grado, sulla loro COALESCENZA. La forza repulsiva, già considerata come specialmente limitata sotto altri aspetti, deve essere intesa, ripeto, come munita della capacità di impedire la coalizione assoluta, SOLO FINO A UN DETERMINATO GRADO. A meno di non considerare la tendenza degli atomi all'Unità come destinata a non essere MAI soddisfatta, e a meno di non considerare che ciò che ha avuto un inizio non dovrà avere fine (una concezione questa che non può essere DAVVERO accettata, per quanto si possa parlare o fantasticare della possibilità di ammetterla), siamo costretti a concludere che l'influsso repulsivo immaginato dovrà infine, sotto la pressione della Tendenza all'Unità COLLETTIVAMENTE esercitata (ma mai e in nessun grado FINCHE', a coronamento dei propositi Divini, tale pressione collettiva non sarà naturalmente esercitata), arrendersi a una forza che, in quell'ultimo stadio, sarà esattamente superiore all'estensione richiesta. Ciò permetterà l'universale fusione nell'inevitabile, proprio perché originaria e dunque normale, UNITA'. Le condizioni qui espresse sono indubbiamente difficili da conciliare; e anzi noi non possiamo addirittura concepire la possibilità che esse lo siano; ciò nonostante, l'apparente impossibilità è fortemente stimolante. NOI VEDIAMO BENE che questa repulsione esiste realmente. L'Uomo non conosce né impiega una forza sufficiente a porre in contatto due atomi. E' questa la ben nota proposizione della impenetrabilità della materia. Tutti gli Esperimenti lo provano, ogni Filosofia lo ammette. L'OBIETTIVO della repulsione, la necessità della sua esistenza, sono quanto mi sono sforzato di dimostrare; ma mi sono scrupolosamente astenuto da ogni tentativo di investigare la sua natura, e ciò per il convincimento intuitivo che il principio in questione sia strettamente spirituale, risieda in antri impenetrabili alla nostra attuale capacità di comprensione, sia implicato in una considerazione di ciò che ora, nella nostra condizione umana, NON deve essere oggetto di esame, in una considerazione di SPIRITO IN SE STESSO. Avverto, in una parola, che qui il Dio si è interposto, e qui soltanto, proprio perché qui e qui soltanto il nodo richiedeva l'interposizione di Dio. Infatti, mentre nella tendenza degli atomi diffusi a ritornare allo stato di Unità si riconoscerà immediatamente il principio newtoniano di Gravità, ciò che ho detto della forza repulsiva, che impone limiti alla soddisfazione (immediata) di tale tendenza, sarà inteso come ciò che siamo stati abituati a considerare ora
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come magnetismo, ora come ELETTRICITA'; mostrando la nostra ignoranza della sua terribile natura nelle oscillazioni terminologiche con le quali tentiamo di definire tale forza. Chiamandola, solo per il momento, elettricità, noi sappiamo che ogni analisi sperimentale dell'elettricità ha dato come risultato ultimo il principio, o l'apparente principio, della ETEROGENEITA'. SOLO dove le cose differiscono appare l'elettricità; ed è presumibile che esse non differiscano MAI dove l'elettricità non è minimamente sviluppata se non in apparenza. Ora, questo risultato è del tutto uguale a quello che ho raggiunto in modo non empirico. Ho sostenuto che l'obiettivo della forza repulsiva è quello di impedire l'immediata riunificazione degli atomi diffusi; e tali atomi sono presentati come diversi l'uno dall'altro. La DIFFERENZA è la loro caratteristica, la loro essenzialità, così come la NON-DIFFERENZA costituiva l'essenzialità del loro corso. Quando diciamo, dunque, che ogni tentativo di porre in contatto due di questi atomi produrrebbe una risposta della forza repulsiva volta a impedire il contatto, possiamo affermare al contrario secondo la proprietà commutativa che un tentativo di unire qualsiasi coppia di differenze produrrà uno sviluppo di elettricità. Tutti i corpi esistenti sono indubbiamente composti di tali atomi vicini al contatto, e devono perciò essere considerati come semplici assemblaggi di un numero più o meno grande di differenze; e la resistenza opposta dalla forza repulsiva nel porre in contatto una qualsiasi coppia di assemblati dovrebbe essere in ragione della somma delle differenze di ognuno, espressione che ridotta equivale alla seguente: LA QUANTITA' DI ELETTRICITA' SVILUPPATA NELL'AVVICINAMENTO DI DUE CORPI E' PROPORZIONALE ALLA DIFFERENZA TRA LE RISPETTIVE SOMME DEGLI ATOMI DI CUI I CORPI SONO COMPOSTI. E' un semplice corollario di tutto quanto detto il fatto che non esista una sola coppia di corpi assolutamente uguale. Pertanto l'elettricità, costantemente presente, SI SVILUPPA sempre da ogni corpo, ma si MANIFESTA solo quando due corpi sensibilmente diversi sono posti in contatto. Alla elettricità, continuando per il momento a chiamarla così, NON A SPROPOSITO dovremo attribuire i diversi fenomeni fisici della luce, del calore e del magnetismo; ma ancor meno a sproposito dovremo attribuire a questo principio strettamente spirituale i più importanti fenomeni della vitalità, della coscienza e del PENSIERO. Su questo punto devo però fermarmi per il momento QUI, semplicemente per notare che questi fenomeni, osservati in generale o nei particolari, sembrano accadere ALMENO IN RAGIONE DELLA ETEROGENEITA'. Lasciando ora da parte i due termini equivoci di "gravitazione" ed "elettricità", adottiamo le definizioni più esatte di "ATTRAZIONE" e "REPULSIONE". La prima è il corpo, la seconda l'anima; l'una è il principio materiale, l'altra il principio spirituale dell'Universo.
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NON ESISTE NESSUN ALTRO PRINCIPIO. TUTTI i fenomeni possono essere riferiti all'uno o all'altro o ad ambedue insieme. Questo fatto è così rigorosamente vero, è così pienamente dimostrabile che l'Attrazione e la Repulsione sono le UNICHE proprietà attraverso le quali percepiamo l'Universo, in altre parole attraverso le quali la Materia si manifesta all'Intelletto, che da tutte queste proposizioni puramente argomentative siamo pienamente giustificati a supporre che la Materia esiste unicamente come Attrazione e Repulsione, e che l'Attrazione e la Repulsione SONO la materia: non è concepibile il caso per cui non si possa impiegare il termine "Materia" e i termini "Attrazione" e "Repulsione", presi insieme come espressioni logiche equivalenti e pertanto interscambiabili. Ho appena detto che quanto ho descritto come la tendenza degli atomi diffusi a tornare alla loro Unità originaria è riconoscibile come il principio della Legge di Gravità di Newton; e infatti non si troverà che una minima difficoltà a comprenderlo, se guardiamo alla Gravità di Newton da un punto di vista puramente generale, come a una forza che spinge la Materia a ricercare la Materia, cioè se non prestiamo attenzione al noto "modus operandi" della forza newtoniana. La generica coincidenza ci soddisfa; ma, a ben guardare, noi vediamo in particolare molte cose che appaiono NON coincidere, e molte altre riguardo alle quali non può stabilirsi in realtà nessuna coincidenza. Per esempio, quando pensiamo alla Gravità Newtoniana in un determinato modo, questa NON appare essere una tendenza assoluta all'UNITA', ma piuttosto una tendenza di tutti i corpi in tutte le direzioni, frase evidentemente allusiva a una tendenza alla diffusione. Qui, dunque, sussiste una NONcoincidenza. Ancora: quando pensiamo alla LEGGE matematica che regola la tendenza newtoniana, vediamo chiaramente che nessuna coincidenza è possibile quanto al "modus operandi", almeno, fra la Gravita' quale ci è nota e la tendenza, apparentemente semplice e diretta, che ho supposto. Ho infatti raggiunto un punto in cui sarà ragionevole rafforzare la mia posizione rovesciando i miei precedenti. Sinora abbiamo proceduto A PRIORI, da una astratta considerazione della SEMPLICITA' come la qualità che più verosimilmente ha caratterizzato l'originaria azione divina. Vediamo ora se i noti fatti della Legge di Gravità di Newton possono consentirci alcune legittime induzioni A POSTERIORI. Che cosa enuncia la Legge di Newton? Che tutti i corpi si attraggono l'un l'altro con forza proporzionale alla loro quantità di materia e inversamente proporzionale al quadrato delle loro distanze. Intenzionalmente ho dato prima la versione volgare della legge; e confermo che in questa, come in molte altre versioni volgari di grandi verità, ritroviamo ben poco della suggestività originaria. Adottiamo ora una fraseologia più propriamente filosofica: OGNI ATOMO, DI OGNI CORPO, ATTRAE OGNI
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ALTRO ATOMO, DEL SUO STESSO CORPO E DI OGNI ALTRO, CON UNA FORZA CHE VARIA INVERSAMENTE AL QUADRATO DELLE DISTANZE FRA GLI ATOMI ATTRATTI E QUELLI CHE ESERCITANO L'ATTRAZIONE. Qui, veramente, sgorga dalla mente un torrente di intuizioni. Ma vediamo distintamente che cosa HA PROVATO Newton, secondo le definizioni grossolanamente irrazionali di PROVA prescritte dalle scuole metafisiche. Egli fu costretto a contentarsi di mostrare quanto pienamente i movimenti di un Universo immaginario composto di atomi che attraggono e atomi attratti, obbedienti alla legge che egli enunciò, coincidano con quelli dell'Universo realmente esistente non appena questo viene osservato da noi. Questo fu il risultato della sua dimostrazione, o per meglio dire questo fu il risultato secondo il gergo convenzionale delle "filosofie". I suoi successori aggiunsero prove su prove, prove che ogni sano intelletto ammette, ma la DIMOSTRAZIONE della legge stessa, insistono i metafisici, non ne veniva rafforzata in alcun modo. "La prova OCULARE,FISICA" dell'Attrazione qui sulla Terra secondo la teoria di Newton, fu alla fine concessa, per soddisfazione di alcuni rettili intellettuali. Questa prova venne collateralmente e incidentalmente (come sono venute quasi tutte le verità importanti) da un tentativo di accertare la densità media della Terra. Nei famosi esperimenti di Maskelyne, Cavendish e Baily a questo proposito l'attrazione della massa di una montagna fu vista, sentita, misurata, e si trovò che era matematicamente coerente con la teoria dell'astronomo britannico. Ma nonostante questa conferma di cui non c'era alcun bisogno, a dispetto del cosiddetto avvaloramento della "teoria" grazie alla cosiddetta "prova oculare e fisica", nonostante il CARATTERE di questa prova, si VEDE che le idee sulla Gravità che anche i veri filosofi non possono fare a meno di accettare, e in particolar modo l'idea di quel che l'uomo comune intende e assimila, sono derivate per la maggior parte da una considerazione del principio come essi lo trovano sviluppato PROPRIO NEL PIANETA SUL QUALE VIVONO. A che cosa tende una considerazione tanto parziale, a quale specie di errore dà origine? Sulla Terra noi VEDIAMO, e SENTIAMO, solo che la Gravità attrae tutti i corpi verso il centro della Terra. Nessuno, nel normale corso della vita, ha potuto fare a meno di sentire o vedere diversamente, o di percepire che in ogni cosa e dovunque esiste una costante tendenza gravitazionale in direzione del centro della Terra; pure (con un'eccezione che si vedrà più avanti) è un fatto che ogni cosa sulla Terra (senza parlare per ora delle cose celesti) ha una tendenza NON SOLO verso il centro della Terra, ma anche oltre, in tutte le direzioni possibili. Ora, per quanto non si possa dire che i filosofi ERRINO insieme al volgo su questa materia, ciò nonostante essi si lasciano inconsapevolmente influenzare dal SENTIMENTO dell'idea volgare. "Per quanto non si creda alle favole pagane - dice Bryant nella sua eruditissima "Mitologia" - pure noi lo dimenti-
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chiamo continuamente, e ricaviamo deduzioni da esse come da realtà esistenti". Intendo sostenere che la semplice PERCEZIONE SENSIBILE della Gravità quale noi la sperimentiamo sulla Terra induce il genere umano all'idea dell'ACCENTRAMENTO o particolarità rispetto a essa, e ha fortemente inclinato verso questa fantasia persino gli intelletti migliori, conducendoli continuamente, anche se impercettibilmente, lontano dalle caratteristiche reali del principio, impedendogli così sino a oggi di ottenere anche solo un briciolo di quella realtà vitale che sta nella direzione diametralmente opposta, dietro le caratteristiche essenziali del principio, che NON sono quelle della particolarità o dell'accentramento, ma quelle della UNIVERSALITA' e DIFFUSIONE. Questa "vitale verità" è l'UNITA', fontE del fenomeno. Ripeterò ora la definizione di Gravità: OGNI ATOMO, DI OGNI CORPO, ATTRAE OGNI ALTRO ATOMO, DEL SUO E DI OGNI ALTRO CORPO, con una forza che varia inversamente al quadrato delle distanze fra gli atomi attratti e quelli che esercitano l'attrazione. Si soffermi un momento il lettore assieme a me a contemplare la miracolosa, ineffabile, assolutamente inimmaginabile complessità di relazioni implicate nel fatto che OGNI ATOMO ATTRAE OGNI ALTRO ATOMO, senza riferimento alla legge o modo in cui tale attrazione si esercita, implicate SEMPLICEMENTE nel fatto che ogni atomo attrae ogni altro atomo, in una così grande vastità di atomi che quelli che vanno a costituire una palla di cannone superano probabilmente per numero tutte le stelle che costituiscono l'Universo. Avessimo scoperto semplicemente che ogni atomo tende verso un qualche atomo particolarmente dotato di attrazione, questa sola scoperta basterebbe di per se stessa a sconvolgere la mente: ma che cosa siamo ora chiamati a comprendere esattamente? Che ogni atomo attrae, partecipa ai più deboli movimenti di ogni altro atomo, di tutti e di ognuno al tempo stesso, e per sempre, e in accordo con una legge determinata la cui complessità, ancorché considerata per se stessa, va abbondantemente oltre ogni nostra immaginazione. Se io mi proponessi di accertare l'influenza in un raggio di Sole di un atomo sul suo atomo più vicino, non potrei raggiungere il mio scopo senza prima contare e pesare tutti gli atomi dell'Universo, definendo l'esatta posizione di ognuno in un determinato momento. Se mi avventurassi a spostare, anche solo di una bilionesima parte di un pollice, il microscopico granello di polvere che è ora sulla punta del mio dito, quale sarebbe la qualità di questo atto cui mi sono avventurato? Ho fatto un'azione che sposta la Luna dalla sua orbita, che costringe il Sole a non essere più il Sole, e altera per sempre il destino delle innumerevoli miriadi di stelle che orbitano e brillano alla maestosa presenza del loro Creatore. QUESTE idee, concetti come QUESTI, pensieri che non sono pensieri, sogni dell'anima piuttosto che conclusioni o anche considerazioni razionali, idee come queste, ripeto, sono tutto ciò che possiamo concretamente sperare di concepire nello sforzo di afferrare il grande principio dell'ATTRAZIONE.
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Ma ora, CON queste idee, con questa VISIONE della meravigliosa complessità dell'Attrazione ben chiara nella mente, ogni uomo abituato al pensiero di argomenti come questo si applichi al compito di immaginare un PRINCIPIO per i fenomeni osservati, una condizione da cui essi derivano. Una così evidente affinità tra gli atomi non suggerisce forse una comune origine? Un'armonia così assolutamente prevalente, così invincibile, e così completamente indipendente, non suggerisce una comune paternità originaria? Un estremo non spinge forse la ragione verso l'altro estremo? L'infinità della divisione non suggerisce l'assolutezza dell'individualità? L'integrità del complesso non porta la riflessione alla perfezione del semplice? NON sono gli atomi a essere divisi, o complessi nelle loro relazioni nel momento in cui li osserviamo, ma è che essi sono inconcepibilmente divisi e straordinariamente complessi; è all'estremità delle condizioni che ora alludo, piuttosto che alle condizioni in se stesse. In altre parole, non è perché gli atomi erano, in una remota epoca, ANCOR PIU' CHE UNITI, non è perché in origine, e dunque regolarmente, essi erano UNO, che ora, in ogni circostanza, in ogni punto, in ogni direzione, in ogni modo di approccio, in ogni rapporto e attraverso tutte le condizioni, essi tendono a TORNARE a questa assoluta, indipendente e incondizionata UNITA'? Qualcuno potrà chiedere: "Perché, se gli atomi tendono a tornare a uno stato di UNITA', non troviamo e non definiamo l'Attrazione come una mera tendenza generale verso un centro?; perché, in particolare, i VOSTRI atomi, gli atomi che voi descrivete come irradiati da un unico centro, non recedono direttamente verso il punto centrale della loro origine?". Io rispondo che ESSI LO FANNO, come sarà chiaramente dimostrato, ma che il motivo per cui lo fanno non ha nulla a che vedere con il centro IN SE'. Essi tendono tutti in linea retta verso un centro, per la circolarità con cui essi sono stati irradiati nello spazio. Ogni atomo, facendo parte di un globo di atomi generalmente uniforme, trova sicuramente più atomi in direzione del centro che in ogni altra direzione, e in questa direzione è quindi spinto, ma non lo è perché il centro è IL PUNTO DELLA SUA ORIGINE. Gli atomi non sono riuniti in alcun PUNTO. Non c'è alcuna posizione, in concreto o in astratto, cui io li supponga legati. Niente che somigli a un LUOGO può essere immaginato come loro origine. La loro sorgente sta nel principio di UNITA'. QUESTA è la loro origine nascosta. E' QUESTO che cercano in permanenza, immediatamente, in ogni direzione, ovunque lo si possa trovare anche solo in parte, acquietando così in qualche misura l'invincibile tensione, mentre sono sulla via della completa soddisfazione finale. Da tutto questo deriva che ogni principio che sia adeguato a spiegare la LEGGE o "modus operandi" della forza d'attrazione in generale potrà spiegare tale legge in particolare: vale a dire che ogni principio che mostri perché gli atomi tendono al loro CENTRO GENERALE DIIRRADIAZIONE con forza inversamente proporzionale al quadrato delle distanze si suppone sufficiente a spiegare al
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tempo stesso la tendenza di questi atomi gli uni verso gli altri per la stessa legge, POICHE' la tendenza verso il centro è semplicemente la tendenza dell'uno verso l'altro, e non la tendenza verso un centro in sé. Pertanto si intenderà anche che l'esposizione delle mie proposizioni non implicherebbe la NECESSITA' di modificare i termini della definizione newtoniana della Gravità, la quale dichiara che ogni atomo attrae ogni altro atomo, e così via, e dichiara solamente questo; ma (sempre ipotizzando che quel che io propongo venga, alla fine, ammesso) pare chiaro che alcuni errori potrebbero occasionalmente essere evitati, nei futuri progressi della Scienza, adottando una fraseologia più ampia. Ad esempio: "Ogni atomo tende verso ogni altro atomo eccetera, con una forza eccetera, IL CUI RISULTATO GENERALE E' UNA TENDENZA DI TUTTI, CON UNA FORZA OMOGENEA, A UN CENTRO GENERALE". L'inversione dei nostri procedimenti ci ha dunque portati a un identico risultato; ma mentre nel primo il punto di partenza era l'INTUIZIONE, nell'altro essa è il punto finale. Cominciando il primo percorso potevo dire unicamente che con un'irresistibile Intuizione sentivo che la Semplicità era stata la caratteristica dell'azione originaria di Dio; nel concludere il secondo posso solo dichiarare che, con un'irresistibile Intuizione, percepisco che l'Unità è stata la fonte dei fenomeni della Gravità Newtoniana che ho esaminato. Pertanto, secondo le scuole, io non PROVO nulla. E sia. Intendo solo suggerire, e CONVINCERE mediante il suggerimento. Sono orgogliosamente consapevole del fatto che molti degli intelletti più profondi e più prudentemente sagaci non possono FARE A MENO di essere pienamente soddisfatti dei miei suggerimenti. Per questi intelletti, come per il mio stesso, non esiste dimostrazione matematica che POSSA apportare la benché minima PROVA VERA in aggiunta alla grande VERITA' che ho suggerito, la VERITA' DELL'UNITA' ORIGINARIA QUALE fontE E PRINCIPIO DEI FENOMENI DELL'UNIVERSO. Per parte mia io non sono sicuro di parlare e di vedere, non sono così sicuro che il mio cuore batte e la mia anima vive, e che il Sole sorgerà domani (una probabilità che sta ancora nel futuro), non pretendo di esserne neanche per la millesima parte sicuro quanto lo sono del FATTO irrimediabilmente passato che Tutte le Cose, e Tutti i Pensieri di Cose, con la loro ineffabile Molteplicità di Rapporti, vennero alla luce di colpo dalla UNITA' primordiale e irrelata. Riferendosi alla Gravità di Newton il dottor Nichol, eloquente autore della "Architecture of the Heavens", scrive: "In realtà non abbiamo ragione di supporre che questa grande Legge, come ora ci si rivela, sia la forma definitiva o la più semplice, e pertanto universale e onnicomprensiva, di un grande Ordinamento. Il modo in cui la sua intensità diminuisce con il variare della distanza non ha l'aspetto di un PRINCIPIO primo, che assume sempre la semplicità e autoevidenza di quegli assiomi che costituiscono la base della Geometria". Ora è verissimo che i "principi primi", nella comune accezione dell'espressione, assumono sempre la semplicità degli assiomi geometrici (poiché cose "evidenti di per sé" non ce ne sono), ma chiaramente questi principi NON sono "primi";
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in altri termini quelli che siamo abituati a chiamare principi non sono principi, parlando propriamente, poiché può esistere un unico PRINCIPIO: la Volontà di Dio. Non abbiamo dunque il diritto di ipotizzare da quanto osserviamo nelle regole che follemente scegliamo di chiamare "principi", nulla che sia simile alle caratteristiche di un principio propriamente detto. I "principi primi" di cui parla il dottor Nichol, come dotati di semplicità geometrica, possono avere e hanno quest'aspetto geometrico, essendo parte integrante di un vasto sistema geometrico e pertanto di un sistema semplice in se stesso, nel quale ciò nonostante il vero principio primo è, COME SAPPIAMO, la realizzazione del complesso, vale a dire dell'inintelligibile; perché non è esso forse la Capacità Spirituale di Dio? Ho citato tuttavia l'osservazione del dottor Nichol non tanto per discutere la sua filosofia, quanto per richiamare l'attenzione sul fatto che mentre tutti gli uomini hanno ammesso che esiste dietro la Legge di Gravità un QUALCHE principio, non è stato ancora fatto nessun tentativo per precisare che cosa sia in modo specifico questo principio, fatta eccezione forse per alcuni fantasiosi e occasionali sforzi per collegarlo al Magnetismo, o al Mesmerismo, o allo Swedenborghianesimo, o al Trascendentalismo, o a un qualche altro delizioso "-ismo" della stessa specie, e immancabilmente patrocinato da un'unica specie di gente. Mentre afferrava arditamente la Legge stessa, la grande mente di Newton si allontanava dal principio della Legge. La sagacia di Laplace, più pronta o almeno più comprensiva, se non più paziente e profonda, non ebbe il coraggio di attaccarla. Ma l'esitazione da parte di questi due astronomi non è forse così difficile a capirsi. Come tutta la prima leva di matematici, essi furono UNICAMENTE dei matematici: il loro intelletto, almeno, aveva una struttura fisicomatematica fortemente pronunciata. Ciò che non appartiene distintamente al campo della Fisica o della Matematica sembrava loro Non Essenza o Ombra. Anche noi possiamo ben stupirci del fatto che Leibniz, che fu una notevole eccezione alla regola in questo senso, e la cui indole mentale fu una singolare mescolanza di un atteggiamento matematico e fisico-metafisico, non abbia subito investigato e stabilito il punto in questione. Tanto Newton che Laplace, cercando un principio FISICO e non trovandolo, si sarebbero contentati della conclusione che non ce ne fosse assolutamente nessuno; ma è quasi impossibile immaginare che Leibniz, avendo esaurito nella sua ricerca il campo della Fisica, non abbia prontamente avanzato, ardito e pieno di speranze, nel suo familiare e prediletto regno della Metafisica. Qui, indubbiamente, è chiaro che egli deve essersi avventurato alla ricerca del tesoro, e che se alla fine non lo trovò ciò fu forse dovuto al fatto che la sua favolosa guida, l'Immaginazione, non era abbastanza sperimentata e disciplinata a dirigerlo rettamente. Ho appena osservato che ci furono difatti certi vaghi tentativi di riferire la Gravità ad alcuni "-ismi" alquanto improbabili. Questi tentativi però, pur considerati giustamente arditi, non andarono più in là della genericità, pura genericità della Legge di Newton. Il suo "modus operandi" non è mai stato affrontato, per quel che ne so, in modo da tentarne una spiegazione. E' dunque con il legittimo timore di esser preso per un folle sin dal principio, e prima che possa timidamente esporre le mie proposizioni agli occhi di coloro che soli sono
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competenti a decidere su di esse, che io dichiaro qui che il "modus" operandi della Legge di Gravità diviene la cosa più estremamente semplice e più facilmente spiegabile, quando facciamo i nostri passi nella giusta direzione e con la giusta gradualità, e guardiamo a essa dal punto di vista più appropriato. Sia che noi perveniamo all'idea di assoluta UNITA' come fonte di Tutte le Cose, considerando la Semplicità come la caratteristica più probabile dell'azione originaria di Dio, sia che vi perveniamo attraverso un'analisi dell'universalità di rapporti nei fenomeni gravitazionali, o che infine la ipotizziamo come il risultato del mutuo concorso di entrambi i processi, pure l'idea stessa, se accettata interamente, sarà come inseparabilmente connessa con un'altra idea, quella della condizione dell'Universo Siderale come noi ora lo percepiamo, cioè una condizione di incommensurabile DIFFUSIONE nello spazio. Ora una connessione tra queste due idee, unità e diffusione, non può essere stabilita se non attraverso la definizione di una terza idea, quella di IRRADIAZIONE. Prendendo come centro l'Unità assoluta, l'Universo Siderale esistente è il risultato della IRRADIAZIONE da quel centro. Ora le leggi dell'irradiazione sono CONOSCIUTE. Esse sono parte integrante della SFERA, e appartengono alla classe delle indiscutibili proprietà geometriche. Diciamo di esse che "sono vere ed evidenti". Chiedere perché esse sono vere equivarrebbe a chiedere perché sono veri gli assiomi sui quali esse si fondano. Nulla è dimostrabile, parlando in senso stretto; ma se qualcosa lo è, allora le proprietà, le leggi in questione sono dimostrate. Ma che cosa affermano queste leggi? Come e per quali processi l'irradiazione si diffonde dal centro verso lo spazio? Da un centro LUMINOSO, la LUCE si propaga per irradiazione; e la quantità di luce ricevuta da un piano dato, che supponiamo girevole così da essere ora vicino al centro e ora lontano da questo, diminuirà in modo direttamente proporzionale al crescere del quadrato delle distanze del piano dal corpo luminoso, e aumenterà proporzionalmente alla diminuzione di tale quadrato. La formulazione della legge può essere generalizzata così: il numero delle particelle luminose (o, se si preferisce,il numero di impressioni luminose) ricevute dal piano girevole, sarà inversamente PROPORZIONALE al quadrato delle distanze del piano. Generalizzando ancora, possiamo dire che la diffusione, la dispersione, l'irradiazione, in una parola, è direttamente proporzionale al quadrato delle distanze. Ad esempio: alla distanza B dal centro luminoso A un certo numero di particelle è tanto diffuso da occupare la superficie B. Pertanto raddoppiando la distanza sino a C, esse saranno tanto diffuse da occupare quattro superfici uguali a B: a distanza tripla, vale a dire in D, esse saranno tanto separate da occupare nove superfici, mentre a distanza quadrupla, vale a dire in E, esse saranno così diffuse
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da estendersi su sedici superfici, e così via all'infinito. Dicendo, in generale, che l'irradiazione procede in modo direttamente proporzionale al quadrato delle distanze, usiamo la parola "irradiazione" per esprimere IL GRADO DI DIFFUSIONE a misura che ci allontaniamo dal centro. Invertendo l'idea, e impiegando la parola "accentramento" per esprimere IL GRADO DI RIUNIFICAZIONE a misura che torniamo verso il centro da una posizione periferica, possiamo dire che l'accentramento procede INVERSAMENTE al quadrato delle distanze. In altre parole siamo pervenuti alla conclusione che nell'ipotesi che la materia sia stata in origine irradiata da un centro e stia ora tornando a esso, l'accentramento nel ritorno procede ESATTAMENTE COME SAPPIAMO PROCEDERE LA FORZA DI GRAVITA'. Se ci si consente di ipotizzare che l'accentramento rappresenta esattamente LA FORZA DELLA TENDENZA VERSO IL CENTRO, che la prima è esattamente proporzionale all'altra, e che entrambe procedono congiuntamente, dovremmo aver dimostrato tutto ciò che è richiesto. La sola difficoltà che esiste è dunque quella di stabilire una proporzione diretta fra "accentramento", e FORZA di accentramento, e questa risulta data, ovviamente, se stabiliamo una proporzione fra la "irradiazione" e la FORZA di irradiazione. Un rapido sguardo ai Cieli ci assicura che le stelle hanno una certa generale uniformità, uguaglianza o equidistanza di distribuzione in quella regione dello spazio dove collettivamente, e con una forma approssimativamente sferica, sono collocate: questo tipo di uguaglianza più generale che assoluta è in pieno accordo con le mie deduzioni circa l'inequidistanza, entro certi limiti, fra gli atomi originariamente diffusi, e costituisce un corollario al disegno di infinita complessità di rapporti che deriva dall'irrelazione. Ho cominciato, come si ricorderà, con l'idea di una distribuzione degli atomi uniforme in generale ma non uniforme in particolare; un'idea, ripeto, che è confermata da un semplice sguardo alle stelle, in quanto esistenti. Ma anche nella pura uguaglianza generale di distribuzione, per quel che riguarda gli atomi, appare una difficoltà che si è senza dubbio già presentata a quei miei lettori i quali hanno fisso in mente che io presuppongo questa uguaglianza di distribuzione come un effetto della IRRADIAZIONE DA UN CENTRO. Di primo acchito l'idea di irradiazione ci spinge ad accettare l'altra idea, finora inseparata e apparentemente inseparabile, di un'agglomerazione intorno a un centro, con una dispersione a misura che ci allontaniamo da questo; l'idea, in una parola, di una ineguaglianza di distribuzione rispetto alla materia irradiata. Ho osservato altrove che è attraverso difficoltà, peculiarità, asprezze e rilievi sul piano dell'ordinario, come per quella in questione, che la Ragione trova la sua via, se mai la trova, nella ricerca della verità. Attraverso la difficoltà, la "peculiarità" ora presentatasi giungo d'un salto AL segreto, un segreto che non avrei mai
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raggiunto SENZA la peculiarità, e le deduzioni, che essa mi accorda NEL SUO MERO CARATTERE DI PECULIARITA'. Il processo del pensiero può dunque a questo punto essere approssimativamente disegnato così: io dico a me stesso che "l'Unità, come ho spiegato, è una verità; lo sento. La diffusione è una verità; lo sento. La diffusione è una verità; lo vedo. L'irradiazione, attraverso la quale soltanto queste due verità si riconciliano, è conseguentemente una verità; e questo lo percepisco. L'UNIFORMITA' di diffusione, prima dedotta A PRIORI e inseguito corroborata dall'esplorazione dei fenomeni, è anch'essa una verità, come ammetto pienamente. Fin qui tutto è chiaro intorno a me: non ci sono nuvole dietro le quali IL segreto, il grande segreto del "modus operandi" gravitazionale, possa rimanere nascosto; ma questo segreto aleggia ancora nei paraggi, indubbiamente; e ci fosse una sola nuvola in vista, sarei indotto a sospettare di quella nuvola". E proprio ora, mentre dico questo, giunge alla mia vista una nuvola. Questa nuvola è l'apparente impossibilità di riconciliare la mia verità dell'IRRADIAZIONE con la mia verità dell'UNIFORMITA' DI DIFFUSIONE. Adesso dico: "dietro questa APPARENTE impossibilità deve trovarsi ciò che io desidero". Non parlo di "REALE impossibilità" perché l'invincibile fede nelle mie verità mi assicura che questa è, in definitiva, solo una difficoltà, e mi spingo a dire con irremovibile fiducia che QUANDO questa DIFFICOLTA' verrà risolta troveremo, AVVOLTA NEL PROCESSO DI SOLUZIONE, la chiave del segreto al quale tendiamo. Ancora, io sento che noi scopriremo una unica possibile soluzione della difficoltà, e questo per il motivo che se ce ne fossero due una di queste sarebbe superflua, sterile, vuota, non conterrebbe alcuna chiave, poiché non c'è bisogno di doppia chiave per i segreti della Natura. Osserviamo ora che le nostre abituali cognizioni sull'irradiazione, e di fatto TUTTE le nostre nozioni distinte a questo proposito, sono ricavate semplicemente dal processo che osserviamo esemplificato nella Luce. Qui vi è una CONTINUA effusione di FLUSSI DI RAGGI, CON UNA FORZA CHE IN DEFINITIVA NON ABBIAMO IL DIRITTO DI SUPPORRE VARIABILE. Ora, in qualsiasi irradiazione COME QUESTA, continuata e di forza invariabile, le regioni più vicine al centro debbono NECESSARIAMENTE essere sempre più dense di materia irradiata che le regioni più lontane. Ma io non ho supposto alcuna irradiazione come questa. Non ho supposto alcuna irradiazione CONTINUA, e questo per la semplice ragione che tale ipotesi avrebbe implicato, in primo luogo, la necessità di ammettere un concetto che io ho dimostrato essere inintelligibile per qualsiasi uomo e che (come mostrerò più dettagliatamente in seguito) tutta l'osservazione del firmamento smentisce: il concetto dell'assoluta infinità dell'Universo Siderale; e avrebbe implicato, in secondo luogo, l'impossibilità di comprendere una reazione, vale a dire la gravità, come attualmente esistente, poiché mentre un atto si perpetua nessuna reazione può evidentemen-
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te avere luogo. La mia ipotesi dunque, o almeno la mia inevitabile deduzione da giuste premesse, è stata quella di una irradiazione DETERMINATA, e in ultima analisi DIScontinua. Descriverò ora l'unico modo possibile per cui si può concepire che la materia possa essere stata diffusa attraverso lo spazio, in modo da rispondere insieme alle condizioni dell'irradiazione e della distribuzione generalmente uniforme. Per comodità di spiegazione, immaginiamo in primo luogo una sfera concava, di vetro o di qualsiasi altro materiale, che occupi lo spazio attraverso il quale la materia universale deve essere ugualmente diffusa attraverso l'irradiazione dalla particella assoluta, irrelata e incondizionata, posta al centro della sfera. Un certo esercizio del potere diffusivo (che presumiamo essere la Volontà Divina), in altre parole una certa forza la cui misura è la quantità di materia emessa, vale a dire il numero degli atomi, emette per irradiazione questo determinato numero di atomi; spingendoli a partire dal centro in tutte le direzioni, la loro distanza reciproca da altri aumenta a misura che essi avanzano, finché infine non vengono distribuiti irregolarmente sulla superficie interna della sfera. Quando questi atomi hanno raggiunto la loro posizione, o mentre procedono per raggiungerla, un secondo e inferiore esercizio della stessa forza, o una seconda inferiore forza dello stesso tipo emette, nella stessa maniera, vale a dire per irradiazione come prima, un secondo strato di atomi che va a depositarsi sopra il primo; essendo indubbiamente il numero degli atomi in questo caso come nell'altro la misura della forza che li ha emessi; in altre parole la forza è esattamente confacente allo scopo che produce, essendo la forza e il numero degli atomi sprigionati da essa DIRETTAMENTE PROPORZIONALI. Quando questo secondo strato ha raggiunto la posizione stabilita, o mentre le si avvicina, un terzo esercizio ancora inferiore della forza, o una terza forza inferiore della medesima specie, essendo in TUTTI i casi il numero di atomi emessi la misura della forza, passa a depositare un terzo strato sopra il secondo, e così via finché questi strati concentrici decrescendo gradualmente sempre più giungono finalmente al punto centrale; e la materia diffondibile, contemporaneamente alla forza diffusiva, si esaurisce. La sfera è ora riempita, attraverso l'irradiazione, di atomi uniformemente diffusi. Le due condizioni necessarie, l'irradiazione e la diffusione uniforme, sono soddisfatte, attraverso l'UNICO processo in cui la possibilità della loro contemporanea soddisfazione risulta concepibile. Per questa ragione confido pienamente di poter trovare, nascosto dietro la presente condizione degli atomi così distribuiti in tutta la sfera, il segreto di cui sono alla ricerca, il principio capitale del "modus operandi" della legge di Newton. Esaminiamo dunque la presente condizione degli atomi.
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Essi giacciono in una serie di strati concentrici, e sono uniformemente distribuiti in tutta la sfera. Essendo gli atomi UNIFORMEMENTE distribuiti, quanto più grande sia l'estensione superficiale di ognuno di questi strati concentrici o sfere, tanti più atomi saranno in questo strato. In altre parole, il numero degli atomi che sono sulla superficie di ognuna delle sfere concentriche è direttamente proporzionale all'estensione della superficie. MA IN OGNI SERIE DI SFERE CONCENTRICHE LE SUPERFICI SONO DIRETTAMENTE PROPORZIONALI AI QUADRATI DELLE DISTANZE DAL CENTRO. Pertanto il numero degli atomi di ogni strato è DIRETTAMENTE PROPORZIONALE al quadrato della distanza dello strato dal centro. Ma il numero degli atomi di ogni strato è la misura della forza che ha emesso questo strato, è cioè direttamente proporzionale alla forza. Pertanto la forza irradiata da ogni strato è direttamente proporzionale al quadrato della distanza dello strato dal centro. In generale: LA FORZA DELLA IRRADIAZIONE E' STATA DIRETTAMENTE PROPORZIONALE AL QUADRATO DELLE DISTANZE; in particolare: la forza con cui ogni singolo atomo è stato inviato alla sua posizione nella sfera è stata direttamente proporzionale al quadrato della distanza dell'atomo, in quella posizione, dal centro della sfera. La Reazione è, per quanto ne sappiamo, l'Azione inversa. Il principio GENERALE di Gravità essendo inteso in primo luogo come reazione a un'azione, come l'espressione di una tendenza della Materia a ritornare, finché è allo stato di diffusione, all'Unità da cui fu diffusa, e in secondo luogo essendo chiamata la mente a determinare le CARATTERISTICHE di tale tendenza, cioè la maniera con cui questa dovrebbe manifestarsi naturalmente, in altre parole essendo chiamata a concepire una probabile legge o "modus operandi" per il ritorno, essa non poté fare a meno di giungere alla conclusione che questa legge di ritorno avrebbe dovuto essere esattamente inversa alla legge di partenza. Questo è il caso cui ognuno sarà abbondantemente autorizzato a prestar fede finché qualcuno NON ipotizzerà una ragione plausibile per dimostrare perché non dovrebbe essere così, finché un periodo come la legge di ritorno non sarà immaginato in modo che l'intelletto possa considerarlo preferibile. Si può dunque supporre "a priori" che la Materia irradiata nello spazio con una forza che varia con il quadrato della distanza ritorni verso il suo centro di irradiazione con un forza che varia INVERSAMENTE al quadrato della distanza: e io ho già dimostrato come si dovrà ammettere che ogni principio che spieghi perché è necessario che gli atomi tendano, secondo una legge, al centro
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generale, al tempo stesso spiega soddisfacentemente perché, secondo la stessa legge, essi tendano l'uno verso l'altro. La tendenza al centro generale non è infatti la tendenza verso un centro qualsiasi, poiché questo centro è un punto tendendo verso il quale ogni atomo tende più direttamente al suo centro vero ed essenziale, l'UNITA', l'assoluta e finale unità del tutto. La considerazione qui implicita non presenta per la mia mente difficoltà alcuna, ma questo non mi impedisce di vedere che essa può risultare oscura a coloro che sono meno abituati alle astrazioni, e soprattutto sarà opportuno esaminare la materia da uno o due punti di vista. La particella assoluta, indipendente, primitivamente creata dalla Volontà di Dio, deve essere stata in una condizione di NORMALITA' positiva, di legittimità, poiché l'illegittimità implica RAPPORTO. Il giusto è positivo, l'ingiusto è negativo, è la mera negazione del giusto, così come il freddo è la negazione del caldo e il buio della luce. Perché una cosa sia ingiusta, è necessario che esista un'altra cosa in RELAZIONE alla quale questa è ingiusta, qualche legge che viola, qualche essere che offende. Se non c'è alcun essere, legge o condizione rispetto alla quale la cosa è ingiusta e, ancor più in particolare, se non esistono affatto esseri, leggi o condizioni, allora la cosa NON può essere ingiusta e di conseguenza dev'essere GIUSTA. Ogni deviazione dalla norma implica una tendenza a ritornare a questa. Una differenza dal regolare, dal giusto, dal retto, può essere intesa soltanto come la conseguenza del sopraggiungere di una difficoltà; e se la forza che supera la difficoltà non è continuata infinitamente, l'inestirpabile tendenza al ritorno sarà alla fine libera di agire per la sua soddisfazione. Al ritirarsi della forza, la tendenza agisce. E' questo il principio della reazione come conseguenza inevitabile di un'azione finita. Impiegando una fraseologia la cui apparente affettazione sarà perdonata per la sua espressività, possiamo dire che la Reazione è il ritorno dalla condizione IN CUI E' ORA E NON DOVREBBE ESSERE alla condizione IN CUI ERA IN ORIGINE E PERCIO' DOVREBBE ESSERE; mi si lasci aggiungere qui che l'ASSOLUTA forza di reazione dovrebbe indubbiamente trovarsi sempre in diretta proporzione con la realtà, l'assolutezza della ORIGINARIETA', se mai fosse possibile misurare quest'ultima; e di conseguenza la più grande di tutte le reazioni concepibili dev'essere quella manifestata nella tendenza che ora stiamo esaminando, la tendenza a ritornare nell'ASSOLUTAMENTE originario, nel SUPREMAMENTE primitivo. La gravità dunque DEV'ESSERE LA PIU' FORTE DI TUTTE LE FORZE, un'idea concepita "a priori" e abbondantemente confermata dall'induzione. Si vedrà in seguito quale uso io faccia di questa. Ora, gli atomi essendo stati diffusi dalla loro normale condizione di Unità, cercano di tornare. Ma a cosa? A nessun PUNTO particolare, indubbiamente, perché è chiaro che se nella diffusione l'intero Universo materiale fosse stato proiettato globalmente a una distanza data dal punto di irradiazione, la tendenza
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degli atomi al centro generale della sfera non sarebbe stata disturbata affatto. Gli atomi non avrebbero cercato il punto NELLO SPAZIO ASSOLUTO dal quale essi erano stati spinti in origine. Gli atomi cercano di ristabilire semplicemente questa CONDIZIONE, e non il punto o il luogo nel quale questa condizione ha avuto origine. Essi tendono semplicemente alla CONDIZIONE CHE E' LA LORO NORMA. "Ma essi ricercano un centro si dirà -, e un centro è un punto". Vero; ma essi cercano questo punto non per il suo carattere di punto (perché se l'intera sfera si fosse mossa dalla sua posizione, essi avrebbero cercato ugualmente il centro; e il centro sarebbe stato ALLORA un nuovo punto), ma solo perché a causa della forma in cui essi esistono collettivamente (quella della sfera), solo attraverso il punto in questione, il centro della sfera, essi possono raggiungere il loro vero obiettivo, l'Unità. In direzione del centro ogni atomo incontra più atomi che in ogni altra direzione. Ogni atomo è spinto verso il centro perché lungo la linea retta che congiunge questo con il centro passando oltre fino alla circonferenza si trova un numero di atomi maggiore che lungo qualsiasi altra linea retta che congiunga questo atomo con ogni altro punto della sfera, e si trova un più grande numero di oggetti che cercano questo, l'atomo individuale, un più grande numero di tendenze all'Unità, un più grande numero di possibilità di soddisfare la sua stessa tendenza all'Unità; in una parola, perché in direzione del centro sta la più grande possibilità di soddisfazione, in generale, per la sua propria inclinazione individuale. Per essere brevi, la CONDIZIONE dell'UNITA' è tutto ciò che essi cercano realmente, e se gli atomi SEMBRANO cercare il centro della sfera ciò avviene solo implicitamente, per implicazione, perché ogni centro implica, comprende o circoscrive l'unico centro essenziale, l'Unità. Ma A CAUSA di questa implicazione o coinvolgimento non c'è possibilità di separare praticamente la tendenza all'Unità astratta dalla tendenza al centro concreto. Pertanto la tendenza degli atomi al centro generale è, per tutti gli aspetti pratici e a tutti gli effetti logici, la tendenza dell'uno verso l'altro è la tendenza verso il centro; e l'una tendenza può essere intesa COME l'altra; qualunque cosa sia valida per l'una sarà altrettanto valida per l'altra, e in conclusione qualsiasi principio che spieghi soddisfacentemente l'una potrà pacificamente spiegare anche l'altra. Guardando attentamente attorno a me per vedere razionali obiezioni a quanto ho detto, non sono in grado di scoprirne alcuna; ma di quel genere di obiezioni abitualmente poste da quelli che dubitano per il solo amore del Dubbio, io ne vedo immediatamente tre, e procederò a eliminarle per ordine. Si potrà dire innanzitutto: "La prova che la forza di irradiazione (nel caso descritto) è direttamente proporzionale al quadrato delle distanze dipende da un'ipotesi non provata, e cioè che il numero degli atomi in ogni strato è la misura della forza con la quale essi sono stati emessi". Rispondo che non solo mi sento autorizzato a fare tale ipotesi, ma che NON sarei autorizzato a farne nessun'altra. Quel che io ipotizzo è semplicemente che
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un effetto è la misura della sua causa, che ogni esercizio della Volontà Divina sarà proporzionale a quello richiesto dallo sforzo, e che i mezzi dell'Onnipotenza e dell'Onniscienza si adatteranno esattamente ai suoi propositi. Un difetto o un eccesso di causa non sortirebbe alcun effetto. Se la forza che ha irradiato ogni strato nella sua posizione fosse stata maggiore o minore di quanto era necessario allo scopo, e cioè non direttamente proporzionale allo scopo, allora quello strato non sarebbe stato irradiato nella sua posizione. Se la forza che, in vista di una generale uniformità di distribuzione, ha emesso l'esatto numero di atomi per ogni strato, non fosse stata DIRETTAMENTE PROPORZIONALE al numero, allora il numero non sarebbe stato quello richiesto per l'uniforme distribuzione. La seconda obiezione prevedibile è tale da avere maggior diritto a una risposta. E' un principio ammesso dalla Dinamica che ogni corpo, ricevendo un impulso, o un ordine al movimento, si muoverà in avanti in linea retta nella direzione impartita dalla forza di spinta, finché non sia deviata, o fermata da un'altra forza. Ci si potrà chiedere allora come si spiega che il mio primo o più esterno strato di atomi arresti il suo movimento alla superficie della immaginaria sfera di vetro, quando nessuna seconda forza, di un carattere più che immaginario, interviene a spiegare tale interruzione. Rispondo che in questo caso l'obiezione si fonda attualmente su una "ipotesi non autorizzata", da parte di chi fa l'obiezione; la supposizione di un principio della Dinamica in un momento in cui non esiste nessun principio in NESSUNA cosa: io uso la parola "principio", ovviamente, secondo l'accezione del mio critico. "In principio" possiamo ammettere, possiamo comprendere solo una CAUSA PRIMA, il PRINCIPIO veramente basilare, la Volontà di Dio. L'atto primordiale, quello dell'Irradiazione dall'Unità, dev'essere stato indipendente da tutto ciò che il mondo chiama ora "principio", perché tutto quello che designiamo con questo nome non è altro se non la conseguenza della reazione di quell'atto primordiale. Io dico atto primordiale, perché la creazione della Particella materiale assoluta deve intendersi più esattamente come una concezione che come un "ATTO" nel senso comune del termine. Pertanto noi dobbiamo intendere l'atto primordiale come un atto per stabilire quelli che noi chiamiamo ora "principi". Ma questo stesso atto primordiale dev'essere considerato come una VOLIZIONE CONTINUATA. Il Pensiero di Dio deve essere inteso come originante la Diffusione, accompagnandola e regolandola, per ritirarsi infine da questa nel momento in cui essa ha termine. ALLORA ha inizio la Reazione, e con la Reazione il "Principio", nel senso in cui impieghiamo la parola. Sarà conveniente tuttavia limitare l'applicazione di questa parola ai due risultati IMMEDIATI dell'intenzione della Volontà Divina, vale a dire ai due agenti, l'ATTRAZIONE e la REPULSIONE. Ogni altro agente Naturale dipende più o meno immediatamente da questi due, e pertanto dovrebbe più propriamente essere designato come SOTTO-principio.
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Si potrà obiettare in terzo luogo che in generale il modo peculiare di distribuzione degli atomi che ho indicato sia solo "un'ipotesi e nient'altro". E io so che la parola "ipotesi" è un ponderoso maglio che ogni piccolissimo pensatore afferra immediatamente, pur senza sollevarlo, alla prima comparsa di ogni proposizione che abbia in ogni particolare l'aspetto di UNA TEORIA. Ma l'"ipotesi" non può essere brandita QUI a buon fine neppure da coloro che riuscirebbero a sollevarla, nani o giganti. Io sostengo in primo luogo che SOLO nel modo descritto è concepibile che la Materia sia stata diffusa in modo da soddisfare al tempo stesso le condizioni dell'irradiazione e della distribuzione generalmente uniforme. Sostengo in secondo luogo che queste condizioni in se stesse ci sono imposte come necessarie in conseguenza di un ragionamento tanto rigorosamente logico quanto quello che stabilisce tutte le dimostrazioni di Euclide; e sostengo in terzo luogo che anche se l'accusa di "ipotesi" fosse pienamente sostenibile quanto è invece insostenibile e indimostrabile, anche in tal caso la validità e irrefutabilità del mio risultato non ne sarebbe minimamente scalfita. Mi spiego: la Gravità Newtoniana, una legge di Natura, una legge la cui esistenza in sé potrebbe essere contestata solo a Bedlam, una legge la cui ammissibilità in sé ci consente di spiegare i nove decimi dei fenomeni dell'Universo, una legge che, semplicemente perché ci consente di spiegare questi fenomeni, noi siamo perfettamente in grado di ammettere senza fare riferimento a nessun'altra considerazione, e che non possiamo fare a meno di ammettere come legge, una legge di cui malgrado ciò né il principio né il "modus operandi" del principio sono stati mai fino a ora individuati dall'analisi umana, una legge che in breve non è stata suscettibile di spiegazione ALCUNA né nei particolari né in generale, è infine considerata essere in ogni punto perfettamente spiegabile, a condizione di concedere il nostro consenso a... che cosa? A un'ipotesi? Ma SE un'ipotesi, la più semplice ipotesi, un'ipotesi la cui supposizione, come nel caso di quella PURA ipotesi della Legge di Newton stessa, non determinasse nessuna ombra di ragioni "a priori", se un'ipotesi, anche così assoluta come tutto ciò richiede, ci rendesse capaci di percepire un principio della legge di Newton, ci consentisse di considerare soddisfatte condizioni così miracolosamente, così ineffabilmente complesse e apparentemente inconciliabili come quelle implicate nelle relazioni di cui la Gravità ci parla, quale essere razionale spingerebbe tanto oltre la sua stoltezza da definire persino questa ipotesi assoluta un'ipotesi "tout court", a meno che veramente egli non persistesse nel chiamarla così con l'intesa che egli agisce in tal modo semplicemente per amore di ultra coerenza LINGUISTICA? Ma quale è il vero stato della nostra questione? Qual è IL DATO? Non solo questa NON è un'ipotesi che ci si chiede di ADOTTARE, in modo da ammettere il principio qui sopra spiegato, ma è una conclusione logica che noi siamo invitati NON ad adottare, se possiamo evitarlo, ma semplicemente a NEGARE
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SE POSSIAMO: una conclusione di logicità così stringente che confutarla e dubitare della sua validità costituirebbe uno sforzo al di là delle nostre possibilità; una conclusione dalla quale non vediamo modo di sfuggire, giriamola come vogliamo; un risultato che ci sta di fronte sia alla fine del percorso INduttivo dai fenomeni della Legge discussa, sia in chiusura di un itinerario DEduttivo a partire dalla più rigorosamente semplice di tutte le ipotesi, dell'ipotesi in assoluto: IN UNA PAROLA, DELLA SEMPLICITA' IN SE STESSA. E se ora si obiettasse che per quanto il mio punto di partenza sia, come io affermo, la supposizione dell'assoluta Semplicità, anche la Semplicità, considerata meramente in se stessa, non è un assioma, e che solo le conclusioni tratte da assiomi sono indiscutibili, ecco cosa risponderei. Ogni scienza diversa dalla Logica è la scienza dei rapporti concreti. L'Aritmetica, per esempio, è la scienza dei rapporti fra i numeri; la Geometria quella dei rapporti tra le forme; la Matematica in generale dei rapporti di quantità in generale, di qualunque cosa possa essere accresciuta o diminuita. La Logica è però la scienza dei Rapporti in astratto, dei Rapporti in assoluto, dei Rapporti considerati unicamente in se stessi. In ogni scienza diversa dalla Logica un assioma è dunque semplicemente una proposizione che annuncia alcuni rapporti concreti, i quali appaiono essere troppo ovvi per essere messi in questione, come quando diciamo, ad esempio, che l'intero è più grande delle sue parti; e così pure il principio dell'assioma LOGICO, in altre parole di un assioma in astratto, è semplicemente EVIDENZA DI RAPPORTI. Ora è chiaro non solo che quel che è evidente per una mente può non esserlo per un'altra, ma che ciò che è evidente per una mente in un dato momento può non esserlo affatto in un altro momento per la stessa persona. E' chiaro inoltre che quanto oggi è ovvio persino alla maggioranza del genere umano o alla maggioranza delle menti migliori del genere umano, può essere domani alla stessa maggioranza più o meno evidente, o può non esserlo per niente. Si è visto, dunque che il PRINCIPIO ASSIOMATICO in se stesso è suscettibile di variazione, e che di certo gli assiomi sono ugualmente suscettibili di cambiamento. Essendo mutevoli, le "verità" che nascono da essi sono necessariamente mutevoli anch'esse; in altre parole, non si può mai fare reale affidamento su di esse come verità assolute finché la Verità e l'Immutabilità sono tutt'uno. Si potrà ora prontamente intendere che nessuna idea assiomatica, nessuna idea fondata sul principio fluttuante dell'evidenza di rapporti possa realmente essere una base così sicura, così affidabile per ogni struttura eretta dalla Ragione, quanto QUELLA idea (qualunque essa sia, ovunque possiamo individuarla, se è possibile trovarla in qualche posto) che NON ha relazione alcuna, che non solo non presenta alla comprensione NESSUNA EVIDENZA di rapporti considerabile, grande o meno grande che sia, ma che assoggetta l'intelletto, in misura non irrilevante, alla necessità di non guardare AD ALCUN RAPPORTO. Se una tale idea non è ciò che troppo leggermente chiamiamo "assioma", è almeno preferibile, come base logica, a ogni altro assioma mai proposto, o a tutti gli assiomi
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immaginabili messi assieme: e questa è esattamente l'idea da cui ha inizio il mio processo deduttivo, così pienamente corroborato dall'induzione. La mia PARTICELLA PROPRIA non è altro che una IRRADIAZIONE ASSOLUTA. Per riassumere quanto è stato detto: come punto di partenza ho supposto per certo, semplicemente, che l'Inizio non ha avuto nulla prima o dietro di lui, essendo di fatto un Inizio; e che questo era un Inizio e nulla di diverso da questo; in breve, che questo Inizio ERA CIO' CHE ERA. Se questa è una "mera supposizione", allora lasciamo che lo sia. Per concludere questa parte dell'argomento: io sono pienamente autorizzato a dichiarare che LA LEGGE CHE CHIAMIAMO GRAVITA' ESISTE PER ESSERE STATA LA MATERIA ATOMICAMENTE IRRADIATA ALLA SUA ORIGINE IN UNA LIMITATA SFERA DI SPAZIO DA UNA, INDIVIDUALE, INCONDIZIONATA, IRRELATA E ASSOLUTA PARTICELLA PROPRIA, ATTRAVERSO L'UNICO PROCESSO CON IL QUALE ERA POSSIBILE SODDISFARE AL TEMPO STESSO ALLE DUE CONDIZIONI DELL'IRRADIAZIONE E DELL'UNIFORME DISTRIBUZIONE ENTRO LA SFERA; VALE A DIRE CON UNA FORZA CHE VARIA IN MISURA DIRETTAMENTE PROPORZIONALE AL QUADRATO DELLE DISTANZE RISPETTIVAMENTE FRA GLI ATOMI IRRADIATI E IL CENTRO INDIVIDUATO D'IRRADIAZIONE. Ho già detto le mie ragioni per presumere che la Materia sia stata irradiata da una forza determinata piuttosto che da una forza continua o infinitamente continua. Supponendo una forza continua saremmo in primo luogo incapaci di comprendere una reazione; e, in secondo luogo, saremmo obbligati ad ammettere l'impossibile concetto di un'infinita estensione di Materia. Per non insistere sull'impossibilità di tale concetto, diciamo che l'infinita estensione della Materia è un'idea che se non definitivamente confutata, non è almeno in nessun modo autorizzata dall'osservazione delle stelle con il telescopio, un punto che dovrà essere spiegato meglio in seguito; e questa ragione empirica per pensare alla finitezza originaria della Materia è confermata in modo non empirico. Per esempio: ammettendo per il momento la possibilità di comprendere lo Spazio come RICOLMO di atomi irradiati, e cioè ammettendo come meglio possiamo, per amore dell'argomentazione, che la successione degli atomi non avesse assolutamente FINE, è chiaro che, anche quando la Volontà di Dio si fosse ritirata da essi, e pertanto la tendenza a ritornare all'Unità potesse (in astratto) essere soddisfatta, questa possibilità sarebbe stata nulla o non valida, praticamente destituita di valore e di qualsiasi effetto. Non ci sarebbe stata nessuna Reazione; nessun movimento verso l'Unità si sarebbe potuto compiere, e non avremmo avuto nessuna Legge di Gravità. Mi spiego: accordate che la tendenza astratta di ogni atomo verso ogni altro atomo è l'inevitabile risultato della diffusione dell'Unità normale, o, ciò che è lo stesso, ammettete che ogni atomo dato si proponga di muoversi in una qualsiasi direzione data; è chiaro che, finché c'è un'INFINITA' di atomi su tutti i lati
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dell'atomo che si propone di muoversi, questo non può mai muoversi realmente verso la soddisfazione della sua inclinazione nella direzione data, per causa di un'inclinazione esattamente uguale e contraria nella direzione diametralmente opposta. In altre parole, ci sono esattamente tante inclinazioni all'Unità dietro all'atomo esitante quante ce ne sono davanti. Poiché è pura follia dire che una linea infinita è più lunga o più corta di un'altra linea infinita, o che un numero infinito è più grande o più piccolo di un altro numero infinito, l'atomo in questione dovrà restare fermo. Nelle circostanze impossibili che abbiamo semplicemente tentato di concepire, per amore della discussione, non ci sarebbe stata nessuna aggregazione di Materia, nessuna stella, nessun mondo, null'altro che un Universo perpetuamente atomico e privo di conseguenze di sorta. Di fatto, comunque si voglia considerare la cosa, l'intera idea di una Materia senza limiti è non solo insostenibile ma impossibile e assurda. Nel considerare una SFERA di atomi, ciò nonostante, noi percepiamo subito un'inclinazione all'unione CHE PUO' ESSERE SODDISFATTA. Essendo il risultato generale della tendenza dell'uno all'altro un'inclinazione di tutti verso il centro, il processo GENERALE di condensazione, di avvicinamento, ha inizio immediatamente, attraverso un movimento comune e simultaneo, al ritirarsi della Volontà Divina, essendo gli avvicinamenti INDIVIDUALI, o le coalescenze, di ogni atomo con ogni altro atomo, soggette a infinite variazioni di tempo, grado e condizione, a causa sia dell'eccessiva molteplicità di rapporti provocata dalle differenze di forma supposte come caratterizzanti gli atomi, al momento in cui lasciavano la Particella Propria, che dalla susseguente inequidistanza particolare di ogni atomo da ogni altro atomo. Vorrei imprimere nel lettore la certezza del fatto che a un tratto (al ritirarsi della forza diffusiva, o Divina Volontà), dalla descritta condizione degli atomi, hanno dovuto sorgere in innumerevoli punti della sfera Universale innumerevoli agglomerazioni, caratterizzate dalle innumerevoli differenze specifiche di forma, dimensione, natura essenziale e distanza l'uno dall'altro. Lo sviluppo della Repulsione (l'Elettricità) dev'essere cominciato certamente con i primissimi sforzi particolari verso l'Unità, e dev'essere andato avanti in modo costante proporzionalmente alla coalescenza, cioè ALLA CONDENSAZIONE, o ancora, all'Eterogeneità. Pertanto i due Principi propriamente detti, l'ATTRAZIONE e la REPULSIONE, il Materiale e lo Spirituale, si accompagnano l'un l'altro, nella più stretta intimità, per sempre. IL CORPO E L'ANIMA CAMMINANO INSOMMA MANO NELLA MANO. Se ora con l'immaginazione scegliamo una delle agglomerazioni considerate nei loro stadi primitivi in ogni parte della sfera universale, e immaginiamo che questa agglomerazione incipiente stia prendendo posto nel punto in cui è situato al centro del nostro Sole, o piuttosto dove ERA in origine, perché il Sole cambia perpetuamente di posizione, noi ci incontreremo, e per un po' di tempo almeno avanzeremo con la più esaltante delle teorie, con la Cosmogonia Nebulare di
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Laplace, sebbene "Cosmogonia" sia un termine fin troppo onnicomprensivo per ciò che designa in realtà: la costituzione del solo nostro sistema solare, di uno tra i miliardi di sistemi simili che sono nell'Universo Siderale. Confinando se stesso in una regione EVIDENTEMENTE LIMITATA, quella del nostro sistema solare e delle sue relativamente immediate vicinanze, e supponendo SEMPLICEMENTE, vale a dire supponendo senza alcuna base, MOLTO di ciò che ho tentato di sistemare su una base più stabile di una supposizione, supponendo per esempio la materia come diffusa (senza pretendere di spiegare la diffusione) tutto intorno, e talvolta oltre lo spazio occupato dal nostro sistema, diffusa in uno stato di eterogenea nebulosità e obbediente alla onniprevalente legge di Gravità sul cui principio egli non si avventurò a far congetture; supponendo tutto questo (che è assolutamente vero, per quanto non avesse avuto alcun diritto logico alla sua supposizione) Laplace ha mostrato, dinamicamente e matematicamente, che i risultati sono in tal caso necessariamente e soltanto quelli che noi vediamo manifestarsi nella condizione realmente esistente del sistema stesso. Mi spiego: supponiamo che QUELLA particolare agglomerazione di cui abbiamo appena parlato, quella che è nel punto designato dal centro del nostro Sole, sia andata tanto avanti che una vasta quantità di materia nebulosa abbia qui assunto una forma irregolarmente sferica, coincidendo evidentemente il suo centro con quel che è adesso o è stato in origine il centro del nostro Sole; e che la sua superficie si estenda fuori attorno all'orbita di Nettuno, il più lontano dei nostri pianeti: in altre parole, supponiamo che il diametro di questa sfera irregolare sia di 6000 milioni di miglia. Per lungo tempo questa massa di materia andò condensandosi, finché alla fine si ridusse alla dimensione che immaginiamo, essendo evidentemente passata con gradualità dal suo stato atomico e impercettibile a ciò che noi percepiamo come un'apprezzabile nebulosità. La condizione di questa massa implica una rotazione attorno a un asse immaginario, una rotazione che cominciando con l'assoluta incipienza di aggregazione, è andata progressivamente acquistando velocità. I primissimi due atomi che abbiamo incontrato, avvicinandosi l'uno all'altro da punti non diametralmente opposti, spingendosi un po' al di là l'uno dall'altro, avrebbero formato un nucleo per il movimento rotatorio descritto. Come questo sia andato acquistando velocità, si vedrà immediatamente. I due atomi sono raggiunti da altri e si forma un'aggregazione. La massa continua a rotare finché non si condensa. Ma un atomo che è all'esterno ha di certo un movimento più rapido di un altro più vicino al centro. L'atomo esterno però, con la sua superiore velocità, si avvicina al centro, portando con sé questa velocità superiore mentre si muove. Pertanto ogni atomo, avanzando e infine congiungendosi al centro condensato, aggiunge qualcosa alla velocità originaria di quel centro, incrementa cioè il movimento rotatorio della massa. Supponiamo ora che questa massa sia tanto condensata da occupare ESATTAMENTE lo spazio circoscritto dall'orbita di Nettuno, e che la velocità con cui si
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muove la superficie esterna della massa nella rotazione generale sia precisamente la velocità con cui Nettuno ruota ora attorno al Sole. A questo punto noi comprendiamo dunque che la forza centrifuga in costante incremento avendo avuto la meglio sulla forza centripeta stabile, sciolse e separò l'ultimo e più esterno strato condensato, o alcuni degli strati periferici e meno condensati, all'equatore della sfera, dove predominava la velocità tangenziale, di modo che questi strati formarono attorno allo stesso corpo un anello indipendente che avvolgeva le regioni equatoriali, così come la parte esterna di una molla, espulsa dall'eccessiva velocità di rotazione, avrebbe formato un anello attorno a questa, non fosse stato per la solidità del materiale esterno; se questo fosse stato caucciù, o qualsiasi altro di simile consistenza, si sarebbe presentato esattamente il fenomeno descritto. Allontanandosi vorticosamente dalla massa nebulosa, l'anello FACEVA IL SUO GIRO DI RIVOLUZIONE COME un anello indipendente, con la velocità con cui ROTEAVA alla superficie della massa. Intanto, proseguendo la condensazione, lo scarto fra l'anello distaccatosi e la massa principale stessa continuava a crescere, finché l'uno rimase a una grande distanza dall'altra. Ora ammettendo che l'anello abbia avuto, per una combinazione apparentemente accidentale dei suoi componenti eterogenei, una costituzione sufficientemente uniforme, in TALE condizione questo anello non avrebbe mai smesso di girare attorno alla massa principale; ma come si poteva prevedere, sembra si sia avuta una irregolarità nella disposizione dei materiali, sufficiente a costringerli attorno a centri di solidità maggiore, così che la forma anulare fu distrutta. Senza dubbio, la fascia si divise rapidamente in diversi frammenti, e predominando uno di questi per la sua massa assorbì gli altri costituendosi in un pianeta di forma sferica. E' sufficientemente chiaro che quest'ultimo, COME pianeta, continuasse il movimento di rivoluzione che lo caratterizzava quando ancora era un anello; e che poi nella sua nuova condizione di sfera abbia assunto anche un altro movimento, è presto spiegato. Supponendo che l'anello non si sia ancora rotto, vediamo che, ancora mentre la sua massa ruota attorno al corpo originario, la parte esterna si muove più rapidamente che non quella interna. Al sopraggiungere della rottura, una parte d'ogni frammento si deve essere mossa quindi con una velocità maggiore delle altre, così che prevalendo, il movimento maggiore deve aver fatto girare vorticosamente ogni frammento, spingendolo cioè alla rotazione; e la direzione del movimento rotatorio dev'essere stata senz'altro la direzione del movimento di rivoluzione da cui derivava. TUTTI i frammenti essendo diventati soggetti alla rotazione descritta, coalescendo devono aver impartito lo stesso movimento al pianeta formato dalla loro coalescenza. Questo pianeta era Nettuno. Proseguendo la condensazione della sua materia, e prevalendo infine la forza centrifuga generata dalla sua rotazione sulla forza centripeta, come prima nel caso della massa originaria, pure dalla superficie equatoriale di questo pianeta fu proiettato un anello; questo anello, la cui costituzione non era stata uniforme, si
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ruppe, e i suoi molti frammenti, inglobati da quello più dotato di massa, diedero origine collettivamente a un satellite. In seguito il fenomeno si ripeté, e ne risultò un secondo satellite. Così spieghiamo il pianeta Nettuno e i due satelliti che lo accompagnano. Proiettando un anello dal suo equatore, il Sole ristabilì l'equilibrio tra le sue forze centrifughe e centripete, che era stato perturbato nel processo di condensazione; ma dato che questa condensazione continuava, subito l'equilibrio fu ancora una volta turbato, per l'accrescersi della rotazione. E' chiaro che mentre la massa si era tanto ristretta da occupare un'orbita sferica circoscritta appunto dall'orbita di Urano, la forza centrifuga predominava in modo così netto da rendere necessario un nuovo alleggerimento: di conseguenza fu proiettata una seconda fascia equatoriale che, divenendo non uniforme, si ruppe come prima nel caso di Nettuno; i frammenti formarono il pianeta Urano la cui attuale velocità di rivoluzione attorno al Sole indica con evidenza la velocità di rotazione di quella superficie equatoriale del Sole al momento della separazione. Urano, attingendo la sua rotazione dalle rotazioni collettive dei frammenti che lo componevano, come ho spiegato prima, proiettava ora un anello dopo l'altro, ognuno dei quali rompendosi si condensava in un satellite. Tre satelliti si formarono in questo modo, in epoche successive, mediante la rottura e la generale condensazione sferica di altrettanti diversi anelli non uniformi. Nel momento in cui il Sole si era ristretto fino a occupare esattamente lo spazio circoscritto dall'orbita di Saturno, dobbiamo supporre che l'equilibrio tra le sue forze centrifughe e centripete fu nuovamente perturbato dall'accrescersi della spinta rotatoria risultante dalla condensazione, così che si rese necessaria una terza opera di riequilibrio, e come già due volte prima venne proiettata una fascia anulare, la quale rompendosi per la non uniformità si consolidò nel pianeta Saturno. Quest'ultimo proiettò in una prima fase sette fasce non uniformi, che rompendosi si condensarono in altrettanti satelliti; in seguito però esso sembra aver proiettato, in tre momenti distinti ma non lontani tra loro, tre anelli la cui uniformità di costituzione è per apparente accidentalità tanto considerevole da non presentare occasione di rottura, per cui essi continuano a ruotare come anelli. Uso l'espressione "APPARENTE accidentalità", perché non ci fu traccia di un accidente nel senso comune del termine: il termine è applicato propriamente solo al risultato di una LEGGE non distinguibile o non immediatamente delineabile. Restringendosi fino a occupare esattamente lo spazio circoscritto dall'orbita di Giove, il Sole trovò necessario un ulteriore sforzo per restaurare un equilibrio delle sue due forze, continuamente minacciate dal persistente aumentare della rotazione. Giove fu in conseguenza proiettato all'esterno, passando dalla condizione di anello a quella di pianeta, e, raggiunta quest'ultima, a sua volta proiettò all'esterno, in quattro momenti diversi, altrettanti anelli che infine si condensarono in altrettanti satelliti.
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Restringendosi ancora, finché la sua sfera non occupò esattamente lo spazio definito dall'orbita degli Asteroidi, il Sole proiettò un anello che sembra abbia avuto nove centri di più alta solidità, i quali rompendosi si sono separati in nove frammenti, nessuno dei quali predominava tanto sugli altri da assorbirli in sé. Tutti, quindi, come pianeti distinti per quanto piccoli a paragone degli altri, continuarono a ruotare in orbite le cui distanze l'una dall'altra possono essere considerate in certo grado come la misura della forza che li spinse a separarsi: tutte le orbite, ciò nonostante, sono così perfettamente coincidenti da ammettere che le si possa considerare UNA SOLA, a paragone con le altre orbite planetarie. Continuando a restringersi, e divenendo così piccolo da occupare appena l'orbita di Marte, il Sole proiettò questo pianeta, ovviamente mediante il processo ripetutamente descritto. Poiché però questo non ha alcun satellite, Marte non deve aver proiettato nessun anello. Si era infatti dinanzi a un nuovo stadio nella vita della massa originaria, il centro del sistema. Il DEcrescere della sua nebulosità, che significava ACcrescimento della sua densità e DEcrescita della sua condensazione, la quale causa va la costante perturbazione dell'equilibrio, dovette raggiungere in quel periodo un punto in cui gli sforzi per ristabilire tale equilibrio sarebbero stati sempre più sterili a misura che si rendevano meno necessari. Così i processi di cui abbiamo parlato mostravano ovunque segni di esaurimento, nei pianeti in primo luogo, e in secondo luogo nella massa originaria. Non cadremo nell'errore di supporre che il decrescere della distanza fra i pianeti a misura che ci avviciniamo al Sole sia in qualche modo indicativo di un aumento di frequenza nei periodi in cui essi furono proiettati. Si deve invece presumere esattamente il contrario. Il più lungo intervallo di tempo deve essersi avuto nella proiezione dei due pianeti interni, e il più breve nella proiezione dei due esterni. Il diminuire della distanza spaziale è tuttavia la misura della densità del Sole e inversamente della sua condensazione nel corso dei processi descritti. La massa originaria tuttavia, essendosi tanto ristretta da occupare solo l'orbita della nostra Terra, proiettò ancora un altro corpo, la Terra, in uno stato così nebuloso che è ammissibile che questo corpo a sua volta ne abbia proiettato un altro, la nostra Luna; ma qui ebbe termine la formazione di satelliti. Decrescendo infine sino alle orbite di Venere e poi di Mercurio il Sole originò questi due pianeti interni, nessuno dei quali ha dato origine ad alcun satellite. Così, da questa massa originaria, o, più esattamente, dalla condizione in cui l'abbiamo considerata da principio, da una massa nebulare parzialmente sferica, che possedeva un diametro CERTAMENTE molto maggiore di 5600 milioni di miglia, il grande astro centrale all'origine del nostro sistema solare-planetariolunare si è gradualmente ridotto per condensazione, obbedendo alla legge di Gravità, a un globo di sole 882 mila miglia di diametro; non ne risulta però in nessun modo che la sua condensazione sia definitiva, o che non possieda più la capacità di proiettare un altro pianeta.
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Ho fornito qui, a grandi linee, evidentemente, ma con tutti i particolari necessari alla chiarezza, un prospetto della Teoria Nebulare nel modo in cui la concepì il suo autore. Da qualunque punto la si guardi, essa ci appare MERAVIGLIOSAMENTE VERA. Essa è veramente troppo bella per non possedere la Verità come sua qualità essenziale; e di quello che dico sono profondamente convinto. Sembra che ci sia nella rivoluzione dei satelliti di Urano qualcosa di apparentemente contraddittorio rispetto alle ipotesi di Laplace; ma che quell'unica incoerenza possa invalidare una teoria costruita da una miriade di intricate coerenze è una stravaganza valida soltanto per gli esseri fantasiosi. Non pretendo di possedere uno speciale potere divinatorio nel profetizzare fiducioso che l'apparente anomalia alla quale ho alluso si riveli prima o poi una delle migliori conferme possibili dell'ipotesi generale. Si tratta di una questione la cui unica difficoltà sta anzi nel non prevederne. Come si è visto, i corpi proiettati nei processi descritti cambierebbero il moto di ROTAZIONE superficiale della massa da cui ebbero origine in un moto di RIVOLUZIONE di uguale velocità attorno a tali masse assunte come centri distanti, e il moto di rivoluzione così generato dovrebbe continuare finché la forza centripeta, o quella con cui il corpo proiettato gravita attorno alla massa originaria, non fosse maggiore o minore di quella con cui esso venne proiettato, cioè della velocità centrifuga o, molto più propriamente, della velocità tangenziale. Dall'unità di origine di queste due forze noi avremmo potuto tuttavia aspettarci di trovarle come sono in realtà, ossia l'una controbilanciante perfettamente l'altra. Si è già dimostrato che in ogni caso l'atto della proiezione è semplicemente un atto di conservazione dell'equilibrio. Tuttavia, dopo aver attribuito la forza centripeta all'onniprevalente legge di Gravità, si è diffuso in alcuni trattati di astronomia l'uso di cercare oltre i limiti della mera Natura, cioè della Causa SECONDARIA, una soluzione del fenomeno della velocità tangenziale. Essi attribuiscono quest'ultima direttamente a una Causa PRIMA, a Dio, asserendo che la forza che sostiene un corpo stellare attorno al suo pianeta principale è stata originata da un impulso dato direttamente dal dito (questa è la loro fanciullesca terminologia) della Divinità. In questo modo si intende che i pianeti, già completamente formati, siano stati lanciati dalla mano Divina in una posizione prossima ai soli con una spinta matematicamente proporzionata alle masse o capacità attrattive dei soli stessi. Un'idea così grossolanamente antifilosofica, eppure così supinamente adottata, poteva sorgere solamente dalla difficoltà di spiegare altrimenti un reciproco equilibrio così perfetto di due forze tanto indipendenti in apparenza l'una dall'altra come la forza di gravitazione e la forza tangenziale. Ma ci si dovrebbe ricordare che per molto tempo la coincidenza fra la rotazione
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della Luna e la sua rivoluzione siderale, due cose apparentemente molto più indipendenti di quelle considerate qui sopra, fu guardata come un fatto assolutamente miracoloso, e che ci fu una forte propensione, anche fra gli astronomi, ad attribuire questo prodigio all'azione diretta e continuata di Dio, che in questo caso, si diceva, aveva ritenuto necessario frapporre in modo particolare tra le sue leggi generali una serie di regole supplementari, allo scopo di nascondere agli occhi dei mortali gli splendori, o forse gli orrori, dell'altra faccia della Luna, di quel misterioso emisfero che è sempre sfuggito e che sfuggirà sempre alle osservazioni telescopiche degli uomini. Il progresso della Scienza ha tuttavia dimostrato ben presto ciò che per un istinto filosofico NON aveva bisogno di dimostrazione: e cioè che il primo movimento non è che una parte, solo qualcosa di più che una conseguenza, dell'altro. Per quel che mi riguarda, non sopporto fantasie al tempo stesso così timorose, idiote e sciocche. Esse appartengono alla vigliaccheria del pensiero. Nessun essere pensante potrà dubitare a lungo che la Natura e il Dio della Natura siano distinti. Attraverso la prima noi possiamo semplicemente intendere le leggi dell'altro. Ma è attraverso l'idea di Dio, onnipotente e onnisciente, che noi afferriamo anche l'idea della INFALLIBILITA' delle sue leggi. Non esistendo in Lui né Passato né Futuro, ed essendo tutto PRESENTE, non lo insultiamo noi forse supponendo le sue leggi tanto limitate da non coprire ogni possibile contingenza? O ancora, che idea POSSIAMO avere ancora di una QUALUNQUE contingenza possibile, se non che essa è al tempo stesso un risultato e una manifestazione delle sue leggi? Colui che spogliandosi del pregiudizio avrà il raro coraggio di pensare completamente per se stesso, non potrà non arrivare infine alla condensazione delle LEGGI in una LEGGE; non potrà non arrivare alla conclusione che OGNI LEGGE DI NATURA DIPENDE IN OGNI ASPETTO DA TUTTE LE ALTRE LEGGI, e che le stesse non sono altro che conseguenze di un originario esercizio della Volontà Divina. Tale è il principio della Cosmogonia, che con tutta la deferenza necessaria io oso qui proporre e sostenere. A questo scopo si vedrà che, escludendo come frivola ed empia l'idea che la forza tangenziale sia stata impressa ai pianeti direttamente dal "dito di Dio", io affermo che tale forza è stata originata dalla rotazione delle stelle; che la rotazione è stata causata dall'irrompere dei primi atomi nei loro rispettivi centri di aggregazione; che il loro irrompere è la conseguenza della legge di Gravità; che questa legge è l'unico modo in cui si manifesti necessariamente l'inclinazione degli atomi a ritornare nell'indistinzione; infine che questa inclinazione al ritorno è la reazione inevitabile del primo e più sublime degli Atti: quell'atto per cui un Dio, esistente per sé e solo esistente, per l'esercizio della sua volontà diveniva nello stesso tempo tutti gli enti, mentre tutti gli enti formavano così una parte di Dio. Le ipotesi radicali di questo Studio mi suggeriscono, e implicano di fatto, alcune
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importanti modificazioni della Teoria Nebulare formulata da Laplace. Ho considerato gli sforzi del potere repulsivo come volti apre venire il contatto fra gli atomi, quindi in ragione dell'avvicinamento al contatto, cioè proporzionali alla condensazione. In altri termini l'ELETTRICITA' con i suoi fenomeni impliciti, calore, luce e magnetismo, procede di pari passo con la condensazione e inversamente alla densità ovvero la CESSAZIONE DEL PROCESSO DI CONDENSAZIONE. Così il Sole, consolidandosi e sviluppandola repulsione, dev'essere presto divenuto eccessivamente caldo, incandescente; e possiamo comprendere come debba essere stato materialmente favorito nell'emissione dei suoi anelli dal leggero indurimento della sua superficie conseguente al raffreddamento. Alcuni consueti esperimenti ci dimostrano come una crosta del tipo in questione si separi, a causa dell'eterogeneità, dalla massa interna. Ma a ogni eccessiva espulsione della crosta la nuova superficie apparirà incandescente come prima; e si può ben immaginare che il momento in cui diventerà nuovamente tanto dura da essere facilmente separata ed espulsa coincida esattamente con il momento in cui sarebbe necessario un nuovo sforzo, per l'intera massa, al fine di ristabilire l'equilibrio delle sue due forze, perturbato dalla condensazione. In altre parole, se ne deduce che nel momento in cui l'influsso elettrico (la Repulsione) prepara la superficie per l'espulsione, l'influsso gravitazionale (l'Attrazione) è appunto pronto a espellerla. Dunque anche qui, come sempre, IL CORPO E L'ANIMA CAMMINANO MANO NELLA MANO. Queste idee sono empiricamente confermate in ogni punto. Poiché in nessun corpo si potrà mai considerare la condensazione del tutto esaurita, noi siamo autorizzati a prevedere che ogni qual volta si avrà l'opportunità di sperimentare tali ipotesi, si troveranno indizi di luminosità stabile in TUTTI i corpi stellari, siano essi satelliti, pianeti o stelle. Che la nostra Luna abbia luce propria noi lo vediamo a ogni sua eclissi totale, poiché se così non fosse, essa dovrebbe sparire. Anche nella parte oscura del satellite, durante le sue fasi, noi osserviamo spesso dei bagliori simili alle nostre Aurore; ed è altrettanto evidente che queste ultime, insieme con altri cosiddetti fenomeni elettrici, senza contare i fulgori più costanti, debbano dare alla nostra Terra una qualche apparenza di luminosità per un abitante della Luna. Di fatto tutti i fenomeni riferiti dovrebbero essere considerati come semplici manifestazioni, diverse per modo e per grado, della lenta, ma persistente condensazione della Terra. Se le mie opinioni sono attendibili, dovremmo essere pronti a constatare che i pianeti più recenti, cioè quelli più vicini al Sole, sono più luminosi di quelli meno recenti e vicini; e lo straordinario splendore di Venere (sulle cui zone oscure, durante le sue fasi, le Aurore sono frequentemente visibili) non sembra interamente spiegabile soltanto per la sua prossimità alla massa centrale. Esso ha senza dubbio una viva luminosità propria, anche se minore di Mercurio, mentre la luminosità di Nettuno è invece comparativamente nulla.
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Ammettendo quanto ho già detto, è chiaro che dal momento dell'espulsione di un anello il Sole subisce una persistente diminuzione tanto della luce che del calore, a causa del progressivo indurirsi della sua superficie, e che arriverà un momento, il momento immediatamente precedente una nuova espulsione, in cui diverrà evidente una DIMINUZIONE di luce e di calore FORTEMENTE ACCENTUATA. Ora noi sappiamo che i segni di tali cambiamenti sono distintamente riconoscibili. Sulle isole Melville, per fare solo un esempio fra cento, noi troviamo tracce di vegetazione ULTRA-TROPICALE, di piante che non avrebbero mai potuto fiorire senza una luce e un calore immensamente maggiori di quelli attualmente forniti dal nostro Sole in ogni parte della superficie della Terra. Tale vegetazione è forse riferibile a un tempo immediatamente susseguente all'espulsione di Venere. E' a quell'epoca che deve risalire infatti il massimo aumento dell'influsso solare per noi; e difatti, questo influsso deve aver raggiunto allora il suo apice, se si prescinde naturalmente dal momento in cui la Terra stessa fu espulsa, che fu semplicemente il periodo della sua formazione. E ancora: noi sappiamo che esistono STELLE NON LUMINOSE, cioè stelle di cui deduciamo l'esistenza dai movimenti di altre, la cui luminosità non è sufficiente a raggiungerci. Queste stelle sono forse invisibili semplicemente a causa dell'intervallo di tempo trascorso dal momento in cui hanno dato origine a un pianeta? E ancora: non possiamo, almeno in certi casi, spiegare l'improvvisa apparizione di certe stelle dove non ne era stata prima sospettata l'esistenza, supponendo che ognuna di queste stelle abbia ruotato, la superficie incrostata, per diverse migliaia di anni della nostra storia astronomica, per poi spiegare finalmente gli splendori della sua parte interna ancora incandescente dopo aver dato origine a un pianeta? Quanto poi all'evidente proporzionale aumento della temperatura a misura che discendiamo nelle viscere della Terra, mi basta evidentemente menzionarlo soltanto; ciò costituisce la prova più convincente di tutto quanto ho detto sull'argomento in questione. Parlando, non molto tempo fa, dell'influenza repulsiva o elettrica, avevo osservato che "se noi consideriamo gli importanti fenomeni della vitalità, della coscienza e del pensiero, tanto in generale che nei particolari, essi sembrano accadere ALMENO IN RAGIONE DELL'ETEROGENEITA'". Mi ero ripromesso inoltre di voler ritornare sull'argomento, e questo è il momento adatto per farlo. Osservando la questione dapprima nei particolari, noi vediamo che non soltanto la MANIFESTAZIONE della vitalità, ma anche la sua importanza, le sue conseguenze, l'elevazione del suo carattere seguono di pari passo l'eterogeneità o complessità della struttura animale. Ora considerando la questione in generale, e riferendoci ai primi movimenti degli atomi verso la costituzione della massa, noi troviamo che l'eterogeneità causata direttamente dalla condensazione è sempre proporzionale a essa. Giungiamo così all'affermazione che L'IMPORTANZA DELLO SVILUPPO DELLA VITALITA' TERRESTRE PROCEDE PROPORZIONALMENTE ALLA CONDENSAZIONE TERRESTRE.
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Questo si accorda perfettamente con quanto sappiamo della successione degli animali sulla Terra. A misura che la Terra procedeva nella sua condensazione, apparvero razze sempre più elevate. E' impossibile che le successive rivoluzioni geologiche che hanno, almeno, assistito, se non portato immediatamente, a tali successive elevazioni del carattere di vitalità, è improbabile che queste rivoluzioni siano state prodotte dalle successive creazioni di pianeti dal Sole, in altri termini, dalle successive variazioni dell'influsso solare sulla Terra? Se questa idea fosse ammissibile noi saremmo autorizzati a immaginare che l'emissione di un nuovo pianeta, più interno di Mercurio, potrebbe dare origine a una nuova modificazione della superficie terrestre, dalla quale potrebbe venire alla luce una razza fisicamente e spiritualmente superiore all'Uomo. Questi pensieri m'impressionano con tutta la forza della verità, ma io li espongo ovviamente con un mero carattere di suggerimenti. Ultimamente la Teoria Nebulare di Laplace ha ricevuto una conferma molto più solida di quanto fosse necessario ad opera del filosofo Comte. I due insieme hanno dunque dimostrato NON GIA' che la Materia sia esistita da sempre, come fu descritta, allo stato di diffusione nebulare, ma che ammettendo che sia esistita in tutto lo spazio ora occupato dal nostro sistema solare e ben oltre questo, E CHE ABBIA COMINCIATO UN MOVIMENTO VERSO IL CENTRO, deve avere gradatamente assunto le diverse forme e movimenti che vediamo ora in questo sistema. Una dimostrazione come questa, dinamica e matematica per quanto può esserlo una dimostrazione peraltro confermata empiricamente, una dimostrazione indiscutibile e indiscussa se non da quell'inutile e screditata tribù dei dubitatori di professione, semplici folli che negano la Legge di Gravità Newtoniana su cui si basano i risultati dei matematici francesi, una dimostrazione come questa dovrebbe insomma essere definitiva per la maggior parte degli intelletti, e confesso che per me lo è quanto alla validità dell'ipotesi nebulare da cui dipende la dimostrazione. Ammetto naturalmente che la dimostrazione non provi l'ipotesi, nel significato comunemente attribuito alla parola "prova". Dimostrare che certi risultati, certi fatti accertati, possono essere spiegati anche matematicamente ammettendo una certa ipotesi, non significa aver provato l'ipotesi stessa. In altri termini: dimostrare che ammessi certi dati ne potrebbe, NE DOVREBBE anzi CONSEGUIRE un certo risultato, non prova che tale risultato sia effettivamente scaturito DAI DATI AMMESSI finché non si dimostri che non ci sono E NON CI POSSONO ESSERE altri dati dai quali il risultato in questione potrebbe UGUALMENTE scaturire. Nel caso ora esaminato però, e benché tutti ammettano la deficienza di ciò che abbiamo l'abitudine di chiamare "prova", ci saranno molti intelletti, anche i più eccelsi, la cui CONVINZIONE non potrebbe essere minimamente incrementata da NESSUNA prova. Senza scendere in particolari che possono urtare contro il Nebuloso Regno della Metafisica, posso tuttavia osservare che la forza di convinzione, in casi come questo, sarà sempre proporzionale per i veri pensatori al grado di COMPLESSITA' che congiunge ipotesi e risultato. Per essere meno astratti: la grande complessità delle condizioni
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cosmiche rendendo grande nella stessa proporzione la difficoltà di spiegare complessivamente queste condizioni, rafforza nella stessa proporzione la nostra fede in quell'ipotesi che le spiega in modo soddisfacente; e siccome non si può concepire ALCUNA complessità maggiore di quella data dalle condizioni astronomiche, nessuna convinzione potrà essere più forte, almeno PER ME, di quella che ricevo da un'ipotesi che non solo riconcilia queste condizioni con un'esattezza matematica, riducendole in un tutto coerente e intelligibile, ma è allo stesso tempo LA SOLA ipotesi per mezzo della quale l'intelletto umano sia stato mai messo in condizione di spiegarsele completamente. Un'infondatissima opinione circolava ultimamente nei circoli mondani e in quelli scientifici: l'opinione che la cosiddetta Cosmogonia Nebulare fosse stata smentita. Questa fantasticheria è nata dai rendiconti delle ultime osservazioni fatte su tutto quello che fino a ora è stato chiamato "nebulosa", per mezzo del grande telescopio di Cincinnati e del rinomatissimo strumento di Lord Rosse. Alcune macchie del firmamento che apparivano, anche ai più potenti fra i vecchi telescopi, come nebulosità o nebbie, erano state considerate per molto tempo come una conferma della teoria di Laplace. Esse erano considerate stelle che stavano subendo il processo di condensazione che ho tentato di descrivere. Così si supponeva che "noi avessimo una prova oculare", una prova della verità dell'ipotesi che fra l'altro è sempre stata considerata molto discutibile; e benché i progressi dei telescopi ci avessero consentito di quando in quando di verificare qui e là che una macchia, classificata tra le nebulose, si rivelava in realtà come un gruppo di stelle la cui nebulosità derivava unicamente dall'immensa distanza, pure si credeva che non potesse sussistere alcun dubbio sulla reale nebulosità di numerose altre masse, strenuo sostegno dei nebulisti, le quali resistono a qualunque sforzo di separazione. Di queste la più interessante era la grande nebulosa nella costellazione di Orione, che quale, come innumerevoli altre impropriamente chiamate "nebulose", all'esame dei più potenti telescopi moderni si rivela un semplice addensamento di stelle. Questo fatto è stato generalmente inteso come prova decisiva contro l'Ipotesi nebulare di Laplace; all'annuncio delle scoperte in questione il più entusiastico difensore e magniloquente volgarizzatore della teoria, il dottor Nichol, arrivò ad "ammettere la necessità di abbandonare" un'idea che aveva costituito il materiale del suo libro migliore. Senza dubbio molti miei lettori inclineranno a dire che il risultato di queste nuove ricerche HA almeno una forte TENDENZA a inficiare l'ipotesi; altri, più riflessivi, diranno che la teoria non viene per nulla messa in discussione dalla separazione delle particolari "nebulose" di cui ho accennato, e anzi l'IMPOSSIBILITA' di analizzarle al telescopio può essere considerata un ARGOMENTO vincente in favore della teoria; questi ultimi saranno forse sorpresi nel sentirmi dire che non sono d'accordo neanche con LORO. Se le asserzioni di questa Dissertazione sono giustamente intese, si vedrà che dal mio punto di vista l'impossibilità di analizzare le "nebulose" serve piuttosto a confutare che non a confermare l'Ipotesi Nebulare.
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Mi spiego: noi possiamo senz'altro dare per dimostrata la Legge di Gravità di Newton. Come si ricorderà, io ho riferito questa legge alla reazione del primo Atto Divino, alla reazione di un esercizio della Volontà Divina volto a superare una temporanea difficoltà, la difficoltà di obbligare il normale a divenire anormale, di costringere quel che era originario e la cui legittima condizione era l'UNITA' a subire l'irregolare condizione della PLURALITA'. E' solo supponendo questa difficoltà come TEMPORANEAMENTE superata che possiamo comprendere una reazione. Se l'atto si fosse perpetuato infinitamente non ci sarebbe stata alcuna reazione. Finché l'atto si perpetuava, nessuna reazione poteva cominciare; in altre parole, nessuna GRAVITAZIONE poteva avere luogo, poiché noi abbiamo considerato l'una come manifestazione dell'altra. Ma la gravitazione ha avuto luogo, quindi l'atto della Creazione è cessato, e la gravitazione si è manifestata molto tempo fa, quindi l'atto della Creazione è cessato molto tempo fa. Noi non possiamo più sperare, dunque, di osservare i PRIMORDIALI PROCESSI della Creazione, e la condizione di nebulosità, come si è già detto, appartiene appunto a questi primordiali processi. Da quello che sappiamo della propagazione della luce, abbiamo una prova diretta del fatto che le stelle più lontane esistono nella forma in cui le vediamo ora da un inconcepibile numero di anni. Pertanto il momento in cui ebbero inizio i processi di costituzione della massa deve risalire ALMENO al momento in cui queste stelle si condensarono. Se dunque ammettiamo che tali processi continuano ancora oggi per certe nebulose, mentre in tutti gli altri casi essi sono completamente finiti, ci vediamo costretti a fare delle supposizioni che NON hanno alcun fondamento reale, e a imporre alla ragione in rivolta l'idea blasfema di una speciale interposizione; a supporre che nel particolare caso di queste "nebulose" un Dio infallibile abbia ritenuto necessario introdurre ordinamenti supplementari, determinate migliorie alla legge generale, certi ritocchi ed emendamenti, in una parola, che avessero l'effetto di differire il compimento di queste particolari stelle per secoli e secoli oltre l'era in cui tutti gli altri corpi stellari ebbero il tempo non solo di completare la loro costituzione, ma di invecchiare di un'età indicibilmente avanzata. Si obietterà evidentemente che, dato che la luce attraverso la quale noi ora riconosciamo le nebulose deve essere unicamente quella che lasciò la loro superficie un gran numero di anni fa, i processi attualmente osservati, o che crediamo d'osservare, non sono processi che si stiano realmente compiendo ora, ma il fantasma di processi già da lungo tempo completati, proprio come quelli di costituzione della massa, di cui ho parlato. A ciò rispondo che la condizione ora osservata delle stelle condensate non è la condizione attuale, ma è una condizione già compiuta nel Passato, così che il mio ragionamento sulla condizione RELATIVA delle stelle e delle "nebulose" non ne viene compromesso in nessun modo. E ancora, quelli che sostengono l'esistenza delle nebulose NON attribuiscono la nebulosità all'estrema distanza e dichiarano che si tratta di una nebulosità reale e non semplicemente prospettica.
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Affinché si possa concepire una massa nebulosa veramente visibile, occorrerà pensarla come molto vicina a noi a paragone delle stelle condensate osservate con i moderni telescopi. Affermando dunque che le apparenze in questione sono realmente delle nebulose noi affermiamo la loro relativa vicinanza al nostro punto di osservazione, e quindi la loro condizione, come la vediamo ora, deve essere riferita a un'epoca MOLTO MENO LONTANA di quella cui facciamo riferimento perla condizione presente della maggioranza delle stelle. In una parola, se l'Astronomia potesse sempre dimostrare l'esistenza di una nebulosa nel senso che correntemente si dà a questa parola, io dovrei considerare la Cosmogonia Nebulare non come rafforzata da questa dimostrazione, ma anzi irremissibilmente destituita di fondamento. Bisogna dire però, e questo per dare a Cesare solo quel che è di Cesare, che la formulazione dell'ipotesi che condusse Laplace a un risultato così glorioso, pare gli sia stata in gran parte suggerita da un concetto erroneo, da quello stesso concetto erroneo di cui abbiamo parlato, dall'equivoco generalmente in auge sul carattere delle nebulose, impropriamente chiamate così. Egli suppose che queste fossero in realtà ciò che implica il loro nome. Il fatto è che molto giustamente questo grande uomo aveva fiducia nelle sue facoltà puramente PERCETTIVE, e quindi rispetto all'esistenza effettiva delle nebulose, un'esistenza così presuntuosamente affermata dagli astronomi a lui contemporanei, egli faceva minor affidamento su quello che vedeva che su quello che sentiva dire. Si vedrà che le sole obiezioni valide contro la sua teoria sono quelle fatte contro la sua ipotesi considerata COME tale, contro ciò che la ispirò e non contro ciò che essa sostiene, contro le premesse piuttosto che contro i risultati. La supposizione meno giustificata di Laplace era quella di attribuire agli atomi un movimento verso un centro, malgrado il fatto che egli comprendeva evidentemente che questi atomi si estendono in successione illimitata in tutto lo spazio Universale. Ho già dimostrato che in tali circostanze non poteva aver luogo alcun movimento, e di conseguenza Laplace ne ammetteva uno su un fondamento tanto poco filosofico quanto poco necessario a ciò che voleva stabilire. La sua originale idea sembra sia stata una mescolanza dei veri atomi di Epicuro con le false nebulose dei suoi contemporanei, così che la sua teoria ci si presenta con la singolare anomalia di una verità assoluta dedotta come risultato matematico da un ibrido dato dell'antica immaginazione intrecciata con una moderna mancanza d'acume. La vera forza di Laplace sta di fatto in un istinto matematico assolutamente miracoloso: egli aveva fede in esso e questo non lo tradì e non gli venne a mancare in nessuna occasione; nel caso della Cosmogonia Nebulare questo istinto lo condusse bendato attraverso un labirinto di Errori in uno dei templi più luminosi e stupendi della Verità. Immaginiamo ora per un momento che il primo anello proiettato dal Sole, cioè l'anello che rompendosi diede origine a Nettuno, non si sia rotto fino all'emissione dell'anello dal quale nacque Urano; che quest'ultimo anello sia rimasto intatto
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fino all'emissione di quello da cui nacque Saturno; e che quest'ultimo si sia conservato intero fino all'emissione di quello che originò Giove, e così via. Immaginiamo, in una parola, che non sia avvenuta alcuna rottura negli anelli fino all'emissione finale di quello che diede origine a Mercurio. Noi vediamo così, con gli occhi della mente, una serie di cerchi concentrici coesistenti, e guardando tanto a essi quanto ai processi per cui, secondo l'ipotesi di Laplace, essi furono formati, noi vediamo insieme una singolare analogia con gli strati atomici e i processi dell'irradiazione originaria da me descritta. E' forse impossibile che misurando rispettivamente le FORZE per mezzo delle quali ogni successivo cerchio planetario fu emesso, cioè misurando i successivi eccessi di rotazione sulla gravitazione che hanno occasionato le successive proiezioni, si possa trovare più decisamente confermata l'analogia in questione? E' FORSE IMPROBABILE CHE SI POSSA SCOPRIRE CHE QUESTE FORZE SIANO MUTATE,COME NELL'IRRADIAZIONE ORIGINARIA, IN MISURA PROPORZIONALE AL QUADRATO DELLE DISTANZE? Il nostro sistema solare, che consiste in primo luogo di una stella e di diciassette pianeti certi e forse di alcuni altri che ruotarono attorno a essa a distanze diverse, accompagnato da diciassette satelliti certi ma molto probabilmente da altri ancora, dev'essere considerato ora come UN ESEMPIO delle innumerevoli agglomerazioni, che continuarono a prendere posto in tutta la Sfera Universale di atomi al ritirarsi della Volontà Divina. Intendo dire che il nostro sistema solare deve essere considerato come un ESEMPIO GENERICO di queste agglomerazioni, o, più propriamente, delle ulteriori condizioni alle quali esse pervennero. Se fissiamo la nostra attenzione sull'idea della MASSIMAQUANTITA'DI RAPPORTI POSSIBILE, come disegno dell'Onnipotente, e sulle precauzioni prese per compierlo attraverso la differenza di forma tra gli atomi originari e la particolare inequidistanza, riterremmo impossibile supporre per un momento che anche solo due agglomerazioni incipienti abbiano potuto raggiungere infine esattamente lo stesso risultato. Saremo piuttosto propensi a pensare che NON ci sono DUE corpi stellari nell'Universo - siano essi stelle, pianeti o satelliti - che siano simili in particolare, ancorché tutti lo siano in generale. Ancor meno possiamo immaginare che due GRUPPI qualunque di tali corpi, due "sistemi" qualunque, possano avere più che una generica rassomiglianza. Su questo punto i nostri telescopi confermano del tutto le nostre deduzioni. Considerando dunque il nostro sistema solare semplicemente come un sistema tipo, approssimativo o generale, fra tutti gli altri, facciamo un passo tanto importante nel nostro studio da poter esaminare l'Universo Siderale sotto l'aspetto di uno spazio sferico entro il quale, dispersi con uniformità puramente generale, esistono vari sistemi, genericamente simili. Ampliando questi concetti, consideriamo ciascuno di questi sistemi come un atomo per se stesso, come infatti è se lo consideriamo come una delle incalcolabili miriadi di sistemi che costituiscono l'universo. Considerandoli, perciò, ognuno come un colossale atomo, dotato della stessa inestirpabile inclinazione
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all'unità che caratterizza gli atomi da cui è composto, noi entriamo di colpo in un nuovo ordine di aggregazioni. I sistemi più piccoli, in prossimità di uno più grande, dovranno inevitabilmente essere attratti a distanza sempre minore. Così un migliaio si riunirà qui, un milione là, qui forse addirittura un bilione, lasciando nello spazio dei vuoti smisurati. Se ora mi si chiedesse perché nel caso di questi sistemi, di questi semplici atomi colossali io parlo unicamente di un "assembramento" e non, come nel caso dei veri atomi, di un insieme più o meno consolidato; se mi si chiedesse per esempio perché non porto fino alla sua legittima conclusione quel che lascio intravedere, perché infine non descrivo quindi questi assembramenti di sistemi- atomi mentre si precipitano a consolidarsi in sfere, e condensandosi diventano una magnifica stella, la mia risposta è che "MELLONTA TATA" [scritto in greco nel testo: N.d.T.]; sull'imponente soglia del FUTURO non posso che arrestarmi un momento. Per ora, chiamando questi assembramenti "ammassi", li consideriamo allo stadio iniziale della loro consolidazione. La loro consolidazione ASSOLUTA deve ANCORA compiersi. Siamo arrivati ora a un punto in cui contempliamo l'Universo Siderale come uno spazio sferico intervallato, IN MISURA NON UNIFORME, da AMMASSI. Si noti che preferisco qui l'avverbio "non uniformemente" all'espressione "con uniformità puramente generale", già usata prima. E' evidente infatti che l'uniformità di distribuzione diminuirà a misura che progredisce l'agglomerazione, cioè a misura che le cose distribuite diminuiscono di numero. Pertanto l'aumento della difformità, un aumento che proseguirà finché presto o tardi l'agglomerazione più grande assorbirà tutte le altre, dovrà essere considerato come una semplice indicazione della INCLINAZIONE ALL'UNITA'. Qui sembra infine conveniente verificare se i DATI già accertati dell'Astronomia confermano l'ordinamento generale che io ho deduttivamente attribuito al Firmamento. In effetti, essi LO CONFERMANO IN PIENO. L'osservazione al telescopio, guidata dalla prospettiva, ci permette di capire che l'Universo percepibile è disposto come UN AMMASSO DI AMMASSI IRREGOLARMENTE DISPOSTI. Gli "ammassi" di cui è composto questo Universale "AMMASSO DI AMMASSI" sono semplicemente ciò che per abitudine abbiamo chiamato "nebulosa", e di queste nebulose UNA è di interesse capitale per il genere umano. Alludo alla Galassia, o Via Lattea. Questa c'interessa prima di tutto, e ovviamente, per la grande superiorità delle sue dimensioni apparenti non solo su qualunque altro ammasso del firmamento, ma su tutti gli altri ammassi messi insieme. In confronto il più grande di questi ammassi non occupa che un punto e si vede distintamente solo con l'aiuto di un telescopio. La Galassia si estende per il Cielo ed è nettamente visibile a occhio nudo. Ma essa interessa l'uomo principalmente, per quanto meno immediatamente, in quanto è la sua casa, la casa della Terra su cui egli vive, la casa del Sole attorno a cui la Terra gira, la casa del "sistema" di
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globi di cui il Sole è il centro e il principio e la Terra uno dei diciassette terziari, o satelliti. La Galassia, ripeto, non è che uno degli ammassi già descritti, una delle impropriamente chiamate "nebulose", che ci si rivelano, qualche volta solo per mezzo del telescopio, come leggere macchie nebulose in vari punti del cielo. Non abbiamo nessun motivo per supporre che la Via Lattea sia VERAMENTE più estesa dell'ultima di queste nebulose. La sua grande superiorità di dimensioni non è che apparente, dovuta alla nostra posizione relativamente a essa, cioè alla nostra posizione nel centro di essa. Per quanto strana possa apparire sulle prime questa asserzione a chi non si occupa di Astronomia, pure l'astronomo stesso non esita a dire che non siamo NEL CENTRO di quella inconcepibile moltitudine di stelle, soli, sistemi, che costituiscono la Galassia. E per di più non solo NOI, non solo il NOSTRO Sole, abbiamo il diritto di rivendicare la Galassia come il suo proprio ammasso ma, con scarse riserve, si può dire che tutte le stelle distintamente visibili nel firmamento, tutte le stelle visibili a occhio nudo, hanno uguale diritto di proclamarla come LORO propria. C'è stata una gran quantità di idee erronee per quel che riguarda la FORMA della Galassia, di cui si dice in quasi tutti i nostri trattati di astronomia che somiglia a una Y maiuscola. L'ammasso in questione ha in realtà una certa somiglianza generica, MOLTO generica, con il pianeta Saturno, con il suo triplice anello che lo circonda. Ma invece del globo solido di quel pianeta dobbiamo immaginarci un'isola tutta punteggiata di stelle, o un insieme di stelle; il nostro Sole è in posizione eccentrica, vicino al bordo dell'isola, da quella parte dell'isola che è più vicina alla costellazione della Croce e più lontana da quella di Cassiopea. L'anello che la circonda ha in sé, nella zona più vicina alla nostra posizione, un TAGLIO longitudinale che spiega in realtà perché, quando L'ANELLO E' VICINO A NOI, questo assume vagamente l'aspetto di una Y maiuscola. Non dobbiamo però cadere nell'errore di concepire questa fascia, alquanto indefinita, come assolutamente LONTANA, relativamente parlando, dal pure indefinito gruppo lenticolare che essa circonda; così, tanto per intenderci, possiamo dire che il nostro Sole è realmente situato in quel punto della Y in cui si uniscono le tre linee che lo compongono; e supponendo che questa lettera sia di una certa solidità, di un certo spessore molto esiguo in confronto alla sua lunghezza, possiamo dire che la nostra posizione è nel MEZZO di questo spessore. Immaginando d'essere in questa posizione, non troveremo più difficoltà a spiegarci i fenomeni già presentati, che sono puri fenomeni di prospettiva. Quando guardiamo in alto o in basso, cioè quando gettiamo il nostro sguardo in direzione dello SPESSORE della lettera, noi vediamo un numero di stelle minore di quando lo gettiamo in direzione della sua LUNGHEZZA o LUNGO una delle tre linee che la compongono. Naturalmente, nel primo caso le stelle appaiono sparse e nell'ultimo ammassate. Rovesciando questa spiegazione, un abitante della Terra che guarda, come noi diciamo comunemente, verso la Galassia, la guarda nella direzione della sua lunghezza, lungo le linee della Y; ma quando, fissando gli occhi nel Firmamento, li distoglie DALLA Galassia, egli la guarda nella direzione dello spessore della lettera; in
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questo aspetto le stelle gli appaiono sparse, mentre in realtà esse sono riunite, in media, come nella massa del raggruppamento. NESSUN esempio potrebbe essere più adatto per dare un'idea della stupefacente estensione di questo ammasso. Se con un telescopio di grande potenza osserviamo attentamente il firmamento, scopriremo UNA CINTURA DI AMMASSI, composta di ciò che finora abbiamo chiamato "nebulose", una FASCIA di larghezza variabile, che si estende da un orizzonte all'altro, gli angoli retti verso la direzione generale della Via Lattea. Questa fascia è l'ultimo AMMASSO DI AMMASSI. Questa cintura è l'UNIVERSO SIDERALE. La nostra Galassia non è che uno,e forse tra i meno importanti ammassi,che costituiscono quest'ultima CINTURA o FASCIA universale. L'aspetto di cintura, o di fascia, che assume ai nostri occhi questo ammasso di ammassi, è un fenomeno puramente prospettico, dello stesso tipo di quello che ci fa vedere il nostro ammasso individuale e irregolarmente sferico, la Galassia, come una cintura che attraversa il Firmamento ad angolo retto verso l'ammasso universale. Naturalmente la forma dell'ammasso che racchiude tutti gli altri è, IN GENERALE, quella di ogni ammasso da esso incluso, così come le stelle sparse che noi vediamo in tutto il cielo osservando DALL'INTERNO della Galassia non sono in realtà che una parte della Galassia stessa, e tanto strettamente legate a essa quanto ognuno dei punti telescopici in cui pare sia lo strato più denso della sua massa, così come le "nebulose" sparse che noi vediamo in tutti i punti del firmamento guardando DALL'INTERNO della CINTURA dell'Universo devono essere considerate sparse solamente per effetto della prospettiva, e parti integranti dell'unica e suprema SFERA Universale. Nessun errore astronomico è più insostenibile, e nessuno è mai stato tanto tenacemente mantenuto quanto quello che considera l'Universo Siderale assolutamente ILLIMITATO. Le ragioni per considerarlo limitato, come ho già detto "a priori", mi sembrano irrefutabili; ma senza per ora riferirci a esse, l'OSSERVAZIONE ci assicura che in numerose direzioni attorno a noi, se non in tutte, vi è un limite effettivo, o almeno non ci si offre alcun fondamento per pensare altrimenti. Se la successione delle stelle fosse infinita, lo sfondo del cielo ci presenterebbe una luminosità uniforme come quella esposta dalla Galassia, poiché non ci sarebbe assolutamente neanche un punto in tutto questo sfondo in cui non esisterebbe una stella. L'unico modo per comprendere, in una tale condizione, I VUOTI che il nostro telescopio individua in innumerevoli direzioni, sarebbe quello di supporre che la distanza dello sfondo invisibile sia così immensa che mai nessun raggio abbia finora potuto giungere fino a noi. Chi oserebbe negare che ciò POSSA essere così? Quello che io sostengo è semplicemente che noi non abbiamo neppure l'ombra di una ragione per credere che ciò SIA effettivamente così. Parlando della comune propensione a considerare tutti i corpi che sono sulla Terra come tendenti unicamente verso il centro della Terra, osservai che "con alcune eccezioni, delle quali si parlerà più oltre, ogni corpo terrestre tende non solo verso il centro della Terra, ma verso ogni altra direzione concepibile". Le
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"eccezioni" si riferiscono ai frequenti vuoti nel Cielo, dove il più scrupoloso esame non ci rivela non solo nessun corpo stellare, ma neanche un sintomo della loro esistenza; dove abissi spalancati, più neri dell'Erebo, sembrano concederci uno sguardo attraverso i muri limitrofi dell'Universo Siderale, lì nell'illimitabile Universo del Vuoto. Ora, poiché a ogni corpo che esiste sulla Terra accade di essere in linea con uno di questi vuoti o abissi cosmici, per il suo movimento e per quello della Terra è chiaro che esso non sarà più a lungo attratto NELLA DIREZIONE DI QUEL VUOTO, e in quell'attimo, di conseguenza, sarà "più pesante" che in qualunque altro momento, sia prima che dopo. Tuttavia, indipendentemente dalla considerazione di questi vuoti, guardando unicamente alla distribuzione generalmente ineguale delle stelle, noi vediamo che la tendenza assoluta dei corpi terrestri verso il centro della Terra è in una condizione di variazione perpetua. Comprendiamo dunque l'isolamento del nostro Universo. Percepiamo l'isolamento di CIO', di TUTTO ciò che possiamo afferrare con i nostri sensi. Sappiamo che esiste un ammasso di ammassi, un'agglomerazione, intorno alla quale, su tutti i lati, si estende l'incommensurabile deserto di uno Spazio incomprensibile A OGNI PERCEZIONE UMANA. Ma è giusto, solo perché siamo costretti a fermarci ai confini di questo Universo Siderale per mancanza di nuove prove fornite dai nostri sensi, concludere che non ci SIA nessun altro punto materiale oltre quello che ci è stato consentito di raggiungere? Abbiamo o non abbiamo un diritto analogo a inferire che questo Universo percepibile, questo ammasso di ammassi, non è che uno di UNA SERIE di ammassi di ammassi, il resto dei quali rimane invisibile a causa della distanza, per il fatto che la diffusione della loro luce è così estrema nel giungere a noi da non produrre sulla nostra retina alcuna impressione luminosa, o per il fatto che non c'è assolutamente nessuna emanazione di luce da questi mondi così ineffabilmente lontani, o infine perché la distanza che ci separa è così vasta che le onde elettriche della loro presenza nello Spazio non l'hanno ancora potuta attraversare dopo le miriadi di anni trascorsi? Abbiamo diritto a tali deduzioni, a un qualsiasi fondamento per visioni come questa? Se abbiamo UN PO' di questo diritto, abbiamo pure diritto a concepire la loro estensione infinita. Il cervello umano ha un'inclinazione evidente all'"Infinito", e accarezza il fantasma di quest'idea. Esso sembra tendere con appassionato fervore a questo impossibile concetto, con la speranza di poterci credere intellettualmente quando l'avrà concepito. Nessun individuo umano è autorizzato a considerare anormale quel che è valido per tutta la razza umana: ciò nonostante, PUO' esistere una classe di intelligenze superiori per la quale la tendenza umana di cui si è parlato può avere tutto l'aspetto di una monomania. La mia domanda resta tuttavia senza risposta: abbiamo diritto a dedurre, diciamo piuttosto di immaginare, una interminabile successione di "ammassi di ammassi", o di "Universi" più o meno simili?
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Rispondo che il "diritto", in un caso come questo, dipende solo dall'ardimento dell'immaginazione che osa proclamare tale diritto. Dirò soltanto che personalmente io mi sento spinto A IMMAGINARE, non oso esprimermi diversamente, che ESISTE una ILLIMITATA successione di universi più o meno simili a quello di cui abbiamo conoscenza, l'UNICO del quale avremo sempre conoscenza, almeno fino al momento in cui il nostro particolare Universo ritornerà all'Unità. Tuttavia, se tali ammassi di ammassi esistono, ED ESSI ESISTONO, è ampiamente evidente che, non avendo avuto alcun ruolo nella nostra origine, essi non ne hanno alcuno nelle nostre leggi. Essi non attraggono noi, e noi non attiriamo loro. La loro materia, il loro spirito non sono i nostri, non è nulla che esista in una parte qualunque del nostro Universo. Essi non possono impressionare né i nostri sensi né la nostra anima. Tra loro e noi, considerandoli tutti per un momento collettivamente, non vi sono reciproche interazioni. Ognuno esiste separatamente e indipendentemente, IN SENO AL SUO PROPRIO E PARTICOLARE DIO. Nel corso di questa argomentazione io miro meno all'ordine fisico che a quello metafisico. La chiarezza con cui anche i fenomeni materiali sono presentati alla comprensione dipende molto poco, ho imparato a capirlo da molto tempo, da un ordinamento puramente materiale, e molto, quasi completamente, da un ordinamento morale. Se dunque di tanto in tanto sembra che io avanzi in maniera troppo discorsiva da un punto all'altro del mio discorso, lo faccio nella speranza di mantenere intatta nel miglior modo possibile quella catena di IMPRESSIONI GRADUALI solo attraverso la quale l'intelletto umano può aspettarsi di abbracciare le grandiosità di cui parlo, e di comprenderle nella loro maestosa totalità. Fino a ora la nostra attenzione si è concentrata quasi esclusivamente su un raggruppamento generale e relativo dei corpi stellari nello spazio. Le specificazioni sono state poche, e qualunque idea di QUANTITA', cioè di numero, grandezza e distanza, è stata incidentalmente introdotta solo in preparazione di concetti più definiti. Sono questi ultimi che tenteremo ora di affrontare. Come si è già detto, il nostro sistema solare consiste principalmente di una stella e di diciassette pianeti certi, ma molto probabilmente anche di alcuni altri che ruotano attorno a esso come loro centro, accompagnati da diciassette satelliti certi, e forse da diversi altri di cui attualmente non sappiamo niente. Questi diversi corpi non sono vere sfere, ma sferoidi schiacciati, sfere schiacciate ai poli di quegli assi immaginari attorno ai quali girano, il cui schiacciamento non è che una conseguenza della rotazione. Il Sole non è però il vero centro del sistema, perché il Sole stesso gira con tutti i pianeti attorno a un punto dello spazio, perpetuamente variante, che è il centro di gravità generale del sistema. Né
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dobbiamo considerare le orbite nelle quali i diversi sferoidi si muovono, i satelliti attorno ai pianeti, i pianeti attorno al Sole, o il Sole attorno al centro comune, come circoli nel senso più appropriato della parola. Essi sono in realtà delle ELLISSI, ESSENDO UNO DEI FUOCHI IL PUNTO ATTORNO AL QUALE AVVIENE IL MOVIMENTO DI RIVOLUZIONE. Un'ellisse è una curva che ruota attorno al proprio asse, avendo uno dei diametri più lungo dell'altro. Nel diametro più lungo, ci sono due punti equidistanti dal centro della linea, posti in modo che se si traccia da ciascuno di essi una linea retta su un punto qualsiasi della curva, le due linee prese insieme saranno uguali al diametro maggiore stesso. Immaginiamo dunque un'ellisse di tal genere. Fissiamo a uno di questi punti, che sono i FUOCHI, un'arancia. Con un filo elastico uniamo quest'arancia a un pisello, e collochiamo quest'ultimo sulla circonferenza dell'ellisse. Spostiamo ora continuamente il pisello intorno all'arancia, tenendolo sempre sulla circonferenza dell'ellisse. Il filo elastico che varia naturalmente in lunghezza quando spostiamo il pisello, formerà quel che in geometria si chiama un VETTORE RADIALE. Ora se noi immaginiamo che l'arancia è il Sole e il pisello un pianeta ruotante attorno a esso, il movimento di rivoluzione si avrebbe in modo tale che con una velocità così variabile il VETTORE RADIALE passerebbe sopra AREE DI SPAZIO UGUALI IN TEMPI UGUALI. Il cammino del pisello, e cioè il cammino del pianeta, sarà naturalmente lento in proporzione della sua distanza dal Sole, e rapido in proporzione della sua prossimità a esso. Quanto più saranno lontani dal Sole, inoltre, tanto più lentamente quei pianeti si muoveranno, AVENDO I QUADRATI DEI LORO PERIODI DI RIVOLUZIONE LA STESSA PROPORZIONE CHE HANNO TRA LORO I CUBI DELLE LORO DISTANZE MEDIE DAL SOLE. Non si deve tuttavia supporre che le leggi di rivoluzione qui descritte, così meravigliosamente complesse, esistano solo nel nostro sistema. Esse esistono OVUNQUE esiste l'Attrazione, e regolano l'UNIVERSO SIDERALE. Ogni punto che brilla nel firmamento è, senza dubbio, una stella luminosa simile alla nostra, almeno nei suoi caratteri generali, accompagnata da un numero maggiore o minore di pianeti più o meno grandi la cui luminosità troppo in ritardo rispetto a noi non è sufficiente a renderceli visibili a una distanza così grande, ma che tuttavia girano, accompagnati da satelliti, intorno al loro centro stellare, obbedendo ai principi già spiegati, alle tre leggi universali di rivoluzione, alle tre leggi immortali INTUITE dall'immaginativo Keplero e dimostrate in seguito dal paziente matematico Newton. In una tribù di filosofi che si vantano oltre misura di basarsi su fatti positivi, è fin troppo di moda etichettare ogni speculazione con il pregnante "sobriquet" di "lavoro ipotetico". Ma quello che va considerato è CHI ipotizza. Ora come allora, ipotizzando con Platone occupiamo il nostro tempo per uno scopo migliore, che prestando attenzione a una dimostrazione di Alcmeone. Vedo che in molte opere di Astronomia si dice distintamente che le leggi di
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Keplero sono IL FONDAMENTO del grande principio della Gravitazione. Questa idea deve essere nata dal fatto che l'intuizione di queste leggi da parte di Keplero, e le sue prove a posteriori della loro reale esistenza, condussero Newton a spiegarle per mezzo dell'ipotesi della Gravitazione, e infine a dimostrarle "a priori" come conseguenze necessarie del principio ipotetico. Così, essendo le leggi di Keplero ben lontane dall'essere il fondamento della legge di Gravità, è la legge di Gravità stessa la loro base, come accade in realtà per tutte le leggi dell'Universo materiale che non sono unicamente riferibili alla Repulsione. La distanza media della Terra dalla Luna, cioè dal corpo celeste più vicino a noi, è di 237000 miglia. Mercurio, il pianeta più vicino al Sole, dista da esso 37 milioni di miglia. Venere, che lo segue, ruota a una distanza di 68 milioni; la Terra, che viene dopo, a una distanza di 95 milioni; e Marte, infine, a una distanza di 144 milioni. Vengono poi i nove Asteroidi (Ceres, Giunone, Vesta, Pallade, Astrea, Flora, Iride, Ebe e [...]), a una distanza media di circa 250 milioni. Abbiamo poi Giove, distante 490 milioni; poi Saturno: 900 milioni; Urano: 1900 milioni; infine Nettuno, scoperto ultimamente, che ruota a una distanza di 2800 milioni. Lasciando fuori causa Nettuno, che attualmente conosciamo ancora poco, e che è probabilmente un pianeta del sistema di Asteroidi, si vedrà che, entro certi limiti, esiste un ORDINE NELLA DISTANZA fra i pianeti. Approssimativamente, possiamo dire che ogni pianeta esterno è lontano dal Sole il doppio del pianeta interno che lo precede. Ora l'ORDINE qui ricordato, la LEGGE DI BODE, NON POTREBBE ESSERE DEDOTTO DALLA CONSIDERAZIONE DELL'ANALOGIA, DA ME SOTTOLINEATA, TRA L'ESPULSIONE DEGLI ANELLI DA PARTE DEL SOLE E LE MODALITA' DELL'IRRADIAZIONE ATOMICA? Sarebbe folle tentare di comprendere i numeri così frettolosamente ricordati in questa tavola delle distanze, a meno di non porsi dal punto di vista dei fatti aritmetici astratti. Essi non sono praticamente tangibili. Non trasmettono alcuna idea precisa. Io ho detto che Nettuno, il pianeta più lontano dal Sole, fa il suo giro di rivoluzione a una distanza di 2800 milioni di miglia. Fin qui ci siamo: ho dato un fatto matematico che anche senza comprenderlo possiamo usare matematicamente. Ma anche accennando al fatto che la Luna gira attorno alla Terra alla distanza relativamente piccola di 237000 miglia, non avevo accarezzato alcuna speranza di far capire, di far sapere, o sentire, a qualcuno, quanto sia effettivamente lontana la Luna dalla Terra. 237000 miglia! Sono forse pochi i miei lettori che non hanno attraversato l'oceano Atlantico; pure, quanti di loro hanno un'idea chiara delle 3000 miglia soltanto che sono fra una sponda e l'altra? Io dubito, addirittura, esista un solo uomo che possa costringere nella sua mente il più vago concetto della distanza esistente fra una pietra miliare e quella che la segue sulla strada maestra. Noi siamo però aiutati fino a un certo punto nella nostra considerazione della distanza associandola alla considerazione affine della velocità. Il suono copre uno spazio di 1100 piedi al secondo.
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Ora, se a un abitante della Terra fosse possibile vedere il lampo prodotto da un colpo di cannone sparato sulla Luna, e udirne il suono, dopo il lampo egli dovrebbe aspettare più di tredici giorni e tredici notti prima di ricevere una traccia del suono. Per quanto vaga possa essere la cognizione così ottenuta della distanza reale della Luna dalla Terra, essa avrà ciò nonostante un'utilità, permettendoci di vedere più chiaramente la futilità del tentativo di afferrare distanze così vaste come quella di 2800 milioni di miglia tra il nostro Sole e Nettuno, o anche quella di 95 milioni, tra il Sole e la Terra su cui ci troviamo. Una palla di cannone lanciata alla massima velocità con cui ne sia mai stata lanciata una a memoria d'uomo, non potrebbe attraversare quest'ultima distanza in meno di 20 anni, mentre per attraversare la prima impiegherebbe 590 anni. Il diametro reale della nostra Luna è di 2160 miglia; eppure essa è un oggetto relativamente tanto piccolo che sarebbero necessari cinquanta di tali globi per comporne uno grande quanto la Terra. Il diametro del nostro pianeta è di 7912 miglia; ma quale idea reale ricaviamo dall'enunciazione di questi numeri? Se noi scaliamo una normale montagna e guardiamo attorno a noi dalla sua sommità osserviamo un paesaggio che si estende per circa 40 miglia in ogni direzione, formando un cerchio di 250 miglia di circonferenza che racchiude un'area di 5000 miglia quadrate. L'estensione di una tale prospettiva non può essere apprezzata che in modo debole e molto parziale, a causa della SUCCESSIONE con cui le sue parti si presentano al nostro sguardo; pure l'intero panorama non comprende più di una quarantamillesima parte della sola SUPERFICIE del nostro pianeta. Se poi questo panorama dovesse essere seguito, con un intervallo di un'ora, da un altro panorama di uguale estensione e questo da un terzo, sempre con l'intervallo di un'ora, e questo ancora da un quarto, con l'intervallo di un'altra ora, e così via, finché tutto lo sviluppo della Terra fosse esaurito, e noi fossimo impegnati a esaminare questi diversi panorami per dodici ore al giorno, per completare quest'ispezione complessiva dovremmo impiegare nove anni e quarantotto giorni. Ma se già la superficie della Terra trascende i limiti dell'immaginazione, cosa dobbiamo pensare del suo volume? Esso abbraccia una massa di materia pari ad almeno due sestilioni e duecento quintilioni di tonnellate. Supponiamolo in uno stato di quiete e proviamo ora a concepire una forza meccanica sufficiente a metterlo in movimento! La forza di tutte le miriadi di esseri che possiamo supporre abitino il mondo planetario del nostro sistema, la forza fisica combinata di tutti questi esseri, anche ammettendo che tutti siano più forti dell'uomo, non riuscirebbe a muovere la ponderosa massa, SIA PURE DI UN SOLO POLLICE, dalla sua posizione.
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Che cosa si dirà allora della forza che sarebbe necessaria in circostanze simili per muovere IL PIU' GRANDE dei nostri pianeti: Giove? Questo ha 86000 mila miglia di diametro, e il suo volume ingloberebbe più di mille pianeti grandi come la nostra Terra. Pure questo meraviglioso corpo gira effettivamente attorno al Sole alla velocità di 29000 miglia l'ora, cioè con una velocità quaranta volte maggiore di quella di una palla di cannone! Non si può neppure dire che il pensiero di un tale fenomeno faccia TRASALIRE la ragione; semplicemente, esso la paralizza e la sgomenta. Non di rado noi chiediamo alla nostra immaginazione di rappresentarci le facoltà di un angelo. Immaginiamoci un tale essere alla distanza di qualche centinaio di miglia da Giove, prossimo osservatore di questo pianeta, mentre esso inizia la sua rivoluzione annuale. POSSIAMO, mi chiedo, farci un'idea abbastanza chiara della elevazione spirituale di questo essere ideale, quanto QUELLA implicita nella supposizione che egli stesso, un angelo, per quanto angelico sia, non venga subito gettato nel nulla e schiacciato da questa smisurata massa di materia che gira impetuosamente proprio davanti ai suoi occhi, con una velocità così inimmaginabilmente grande? A questo punto, tuttavia, ritengo opportuno osservare che, in realtà, al confronto noi non abbiamo parlato che di inezie. Il nostro Sole, il globo centrale che dirige il sistema al quale Giove appartiene, non solo è maggiore di Giove, ma è molto più grande di tutti i pianeti del sistema messi insieme. Questo fatto è in realtà una condizione essenziale della stabilità del sistema stesso. ll diametro di Giove, come si è detto, è di 86000 miglia; quello del Sole è di 882000 miglia. Un abitante del Sole che percorresse novanta miglia al giorno dovrebbe girare intorno alla sua circonferenza per più di ottant'anni. Esso occupa un volume di 681 quadrilioni e 472 trilioni di miglia. La Luna, come si è già detto, gira attorno alla Terra, a una distanza di 237000 miglia, in un'orbita che è conseguentemente di quasi un milione e mezzo di miglia. Ora se il Sole fosse sovrapposto alla Terra, centro su centro, la massa del primo si estenderebbe in ogni direzione non solo fino alla linea dell'orbita della Luna, ma più in là ancora, a una distanza di 200000 mila miglia. Lasciatemi dire una volta ancora che, in realtà, finora non abbiamo parlato relativamente che di inezie. La distanza del pianeta Nettuno dal Sole è di 2800 milioni di miglia: la circonferenza della sua orbita, quindi, è di 17 bilioni circa. Ricordiamoci bene di questo quando guardiamo qualcuna delle stelle più brillanti. Fra questa stella e quella del NOSTRO sistema (il Sole), c'è un tale abisso di spazio che sarebbe necessaria la lingua di un arcangelo per darne un'idea. La stella sulla quale supponiamo di aver gettato uno sguardo, è una cosa nettamente separata dal NOSTRO sistema e dal NOSTRO Sole o stella: pure, immaginiamo per ora che essa sia sovrapposta al nostro Sole, centro su centro, proprio come immaginavamo prima che il Sole stesso si sovrapponesse alla Terra. Immaginiamoci ora chela particolare stella che abbiamo in mente si estenda, in ogni direzione, oltre l'orbita di Mercurio, di Venere, della Terra,
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SEMPRE AVANTI oltre le orbite di Marte, di Giove, di Saturno e di Urano, finché finalmente immaginiamo che riempia il circolo di 17 BILIONI DI MIGLIA DI CIRCONFERENZA che descrive nel suo giro di rivoluzione il pianeta di Leverrier. Quando avremo potuto immaginare tutto ciò, non avremo immaginato nulla di straordinario. Ci sono ottime ragioni per credere che molte stelle siano ancora più grandi di quella che abbiamo immaginato. Intendo dire che abbiamo ottime basi EMPIRICHE per crederlo, e gettando uno sguardo indietro, agli ordinamenti atomici originari per la DIVERSITA' che abbiamo supposto come parte del Piano Divino nella costituzione dell'Universo, noi potremo facilmente capire e credere all'esistenza di sproporzioni nelle dimensioni delle stelle, molto più vaste di quelle di cui abbiamo parlato finora. Naturalmente dobbiamo aspettarci di trovare i corpi più grandi ruotanti nei vuoti più grandi dello Spazio. Ho notato appunto ora che per dare un'idea della distanza fra il nostro Sole e qualunque altra stella avremmo bisogno dell'eloquenza di un arcangelo. Dicendo questo non dovrei essere accusato di esagerazione, perché in realtà questi sono argomenti sui quali è difficilmente possibile esagerare. Ma portiamo la questione più direttamente davanti allo sguardo della ragione. In primo luogo, noi possiamo avere un RELATIVO concetto generale della distanza in questione confrontandola con gli spazi interplanetari. Se per esempio supponiamo che la Terra, che è in realtà lontana dal Sole 95 milioni di miglia, non sia più lontana di UN PIEDE da quell'astro, Nettuno in questo caso sarebbe distante 40 piedi E LA STELLA ALPHA LIRAE ALMENO 159. Presumo che pochi lettori abbiano notato qualcosa di assolutamente inammissibile e particolarmente erroneo nella conclusione della mia ultima frase. Avevo detto che supponendo pari a UN PIEDE la distanza fra la Terra e il Sole, la distanza di Nettuno sarebbe di 40 piedi a quella di Alpha Lyrae di 159. La proporzione fra uno e 159 piedi sembra forse dare un'impressione sufficientemente determinata della proporzione fra le due distanze, quella della Terra dal Sole e quella di Alpha Lyrae dallo stesso. Ma il mio calcolo avrebbe dovuto in realtà essere questo: considerando pari a un piede la distanza della Terra dal Sole, la distanza di Nettuno sarebbe di 40 piedi e quella di Alpha Lyrae di 159 miglia; nel mio primo calcolo, cioè, ho assegnato ad Alpha Lyrae solo la CINQUEMILADUECENTOTTANTESIMA parte della distanza, che è la MINORE DISTANZA POSSIBILE in cui possa realmente trovarsi. Proseguiamo: per quanto distante sia un semplice PIANETA, osservandolo attraverso un telescopio lo vediamo di una certa forma, e di una certa apprezzabile dimensione. Ora, ho già accennato alla verosimile mole di più di una stella; ciò nonostante, quando noi ne osserviamo qualcuna con il telescopio più potente, vediamo che ci si presenta PRIVA DI FORMA, e conseguentemente PRIVA DI GRANDEZZA. Vediamo un punto e nulla più. Ancora: supponiamo di passeggiare una notte in una strada principale.
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In un campo, da un lato della strada, c'è una linea di oggetti alti, per esempio alberi, le cui figure si stagliano distintamente sullo sfondo del cielo. Questa linea di oggetti si estende ad angolo retto con la strada e dalla strada all'orizzonte. Ora, via via che noi procediamo lungo la strada, vediamo che questi oggetti cambiano posizione proporzionalmente, rispetto a un punto fisso in quella parte del firmamento che fa da sfondo alla veduta. Supponiamo che questo punto fisso, sufficientemente fisso per il nostro scopo, sia la Luna che spunta. Ci accorgiamo subito che mentre l'albero più vicino a noi altera la sua posizione rispetto alla Luna, tanto che sembra fuggire dietro di noi, quello che si trova alla massima distanza non ha praticamente cambiato la sua posizione rispetto al satellite. Di conseguenza possiamo intendere che quanto più gli oggetti sono lontano da noi tanto meno alterano la loro posizione, e viceversa. Senza accorgercene dunque, cominciamo a valutare la distanza di ogni albero per mezzo del relativo grado di spostamento. Infine arriviamo a capire come sarebbe possibile accertare la reale distanza di un dato albero nella fila, considerando come base la somma dello spostamento relativo in un semplice problema geometrico. Questo spostamento relativo è quel che si chiama "parallasse"; e per mezzo della parallasse possiamo calcolare le distanze dei corpi celesti. Applicando questo principio agli alberi in questione, avremmo indubbiamente difficoltà a calcolare la distanza di QUELL'albero che, per quanto ci siamo allontanati sulla strada, non ci presenta ALCUNA parallasse. Nel caso in questione, il calcolo è impossibile; ma solo perché tutte le distanze sulla nostra Terra sono assolute inezie; in confronto alle enormi distanze cosmiche possiamo dire che esse sono del tutto nulle. Supponiamo ora che la stella Alpha Lyrae sia direttamente sopra il nostro capo, e immaginiamo che, invece d'essere sulla Terra, stiamo sul limite di una via diritta che si estende attraverso lo Spazio fino a una distanza uguale al diametro dell'orbita della Terra, cioè a una distanza di 190 MILIONI DI MIGLIA. Individuata, per mezzo dei più sensibili strumenti micrometrici, l'esatta posizione della stella, avanziamo ora lungo questa immaginaria via finché non raggiungiamo l'altro capo. Ora osserviamo ancora una volta la stella. Essa è ESATTAMENTE dov'era. I nostri strumenti, per quanto sensibili, ci assicurano che la sua posizione relativa è assolutamente e identicamente la stessa che all'inizio del nostro impossibile viaggio. Non si è trovata NESSUNA parallasse, di nessun genere. Il fatto è che quanto alla distanza delle stelle fisse, di una qualunque di quelle miriadi di stelle scintillanti nella zona più lontana di quel maestoso abisso che separa il nostro sistema dai sistemi suoi fratelli nell'ammasso cui esso appartiene, la scienza astronomica non ha potuto parlare finora che con certezze negative. Considerando le stelle più brillanti come le più vicine, non potremmo dire altro, anche DI ESSE, se non che c'è una certa distanza incomprensibile entro il cui limite più vicino esse non possono stare; quanto siano lontane entro questo
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limite, non siamo mai stati in grado di dirlo. Abbiamo detto ad esempio che Alpha Lyrae non può essere più vicina a noi di 19 trilioni e 200 bilioni di miglia; ma per quanto ne sapevamo, e per quanto ne sappiamo adesso, essa può essere distante da noi al quadrato o al cubo o a qualunque altra potenza del numero ora indicato. Tuttavia, attraverso continuate osservazioni accuratamente minuziose e prudenti, attraverso nuovi strumenti, per molti e lunghi anni BESSEL, che morì qualche tempo fa, era alla fine riuscito a determinare la distanza di sei o sette stelle, fra cui quella della stella che porta il numero 61 della costellazione del Cigno. La distanza accertata è in questo caso 670000 volte maggiore di quella del Sole, che, sarà bene ricordare, è di 95 milioni di miglia. La stella 61 del Cigno è dunque lontana da noi circa 64 trilioni di miglia, a una distanza tre volte maggiore della distanza minima attribuita ad Alpha Lyrae. Se tentiamo di valutare tale distanza con l'aiuto di qualche considerazione di VELOCITA', come già nel tentare di valutare la distanza della Luna, dobbiamo trascurare le inezie come quella della palla di cannone o del suono. La Luce, però, secondo gli ultimi calcoli di Struve, procede alla velocità di 167000 miglia al secondo. Il pensiero stesso non potrebbe essere più veloce, se pur potesse mai attraversare distanze. Pure, per giungere dalla stella 61 del Cigno fino a noi, anche mediante questa inconcepibile velocità la luce impiega più di DIECI ANNI, e di conseguenza quand'anche la stella fosse in questo momento cancellata dall'universo, per DIECI ANNI continuerebbe a brillare immutata nel suo paradossale splendore. Tenendo ora ben fermo il concetto, per quanto vago esso sia, che ci siamo fatto della distanza fra il nostro Sole e la stella 61 del Cigno, ricordiamo che siamo autorizzati a considerare questa distanza, per quanto indicibilmente grande, come distanza MEDIA fra l'innumerevole moltitudine di stelle che compone l'ammasso o "nebulosa" cui appartiene il nostro sistema, come quello della stella 61 del Cigno sia una delle stelle PIU' VICINE; così per concludere, almeno per ora, diremo che la sua distanza da noi è MINORE della distanza media fra ogni stella del grandioso ammasso della Via Lattea. Qui ancora per un'ultima volta mi pare opportuno ricordare che non s'è parlato per il momento che di inezie. Smettiamo di meravigliarci dello spazio esistente fra stella e stella nel nostro ammasso o in qualsiasi altro ammasso particolare, e rivolgiamo piuttosto i nostri pensieri alle distanze fra un ammasso e l'altro nell'onnicomprensivo ammasso dell'Universo. Ho già detto che la luce avanza alla velocità di 167000 miglia al secondo, cioè circa 10 milioni di miglia al minuto o circa 600 milioni di miglia all'ora; eppure, alcune nebulose sono così lontane da noi che anche la luce, per quanto si propaghi a tale velocità, non potrebbe arrivare a noi, da quelle arcane regioni, in meno di TRE MILIONI di anni. Questi calcoli sono stati fatti del resto da Herschel senior basandosi semplicemente sugli ammassi relativamente più vicini
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che erano alla portata del suo telescopio. CI SONO però delle nebulose che, attraverso il portentoso telescopio di Lord Rosse, sussurrano in questo istante alle nostre orecchie il segreto di UN MILIONE DI SECOLI FA. In sintesi gli eventi che osserviamo in questo momento in quei mondi lontani, sono gli eventi che riguardavano i loro abitanti dieci centinaia di migliaia di secoli fa. Su tempi, su distanze come quelle imposte all'ANIMA piuttosto che alla mente di questa espressione, troviamo finalmente una gradazione adeguata per tutte le precedenti vane considerazioni di QUANTITA'. Ora che la nostra immaginazione ha preso tale confidenza con le distanze cosmiche, profittiamone per parlare delle difficoltà che così spesso abbiamo incontrato mentre seguivamo IL SENTIERO BATTUTO della meditazione astronomica, PER SPIEGARE gli innumerevoli vuoti ai quali si è già accennato; per capire perché fra stella e stella, fra un ammasso e l'altro, siano stati creati degli abissi così assolutamente vuoti e quindi così apparentemente inutili; per scoprire, in breve, una ragione sufficiente alla gigantesca scala in cui, per quanto riguarda il puro SPAZIO, pare sia stato costruito l'Universo Siderale. Io sono persuaso che l'Astronomia non è tangibilmente riuscita a dare una spiegazione razionale del fenomeno: ma le considerazioni, mediante le quali in questo saggio siamo andati avanti, a passo a passo, ci permettono di capire in modo chiaro e immediato che LO SPAZIO E LA DURATA SONO UNA COSA SOLA. Perché l'Universo Siderale potesse DURARE per un tempo del tutto proporzionato alla grandezza della materia che lo compone e all'alta maestà dei suoi fini spirituali, sarebbe stato necessario che la diffusione atomica originaria avesse avuto luogo entro un'estensione così inconcepibile da esser tale senza essere infinita. Sarebbe stato necessario, in sintesi, che le stelle si fossero riunite dalla nebulosità visibile, e poi fossero passate dalla visibilità al consolidamento, e fossero invecchiate dando vita e morte a variazioni di sviluppo vitale indicibilmente numerose e complesse; sarebbe stato necessario che le stelle avessero fatto tutto questo, che avessero avuto tempo di compiere interamente tutti questi progetti divini, NEL PERIODO in cui tutte le cose andavano compiendo la loro fase di ritorno all'Unità con una velocità accumulantesi in proporzione inversa al quadrato della distanza in cui si trova l'inevitabile Fine. Attraverso tutto questo non abbiamo difficoltà alcuna a comprendere l'assoluta esattezza della DISPOSIZIONE divina. La densità delle stelle aumenta proporzionalmente alla diminuzione della loro condensazione; la condensazione e l'eterogeneità camminano di pari passo, e attraverso quest'ultima, che è indice della prima, valutiamo lo sviluppo vitale e spirituale. Così dalla densità dei globi abbiamo la misura di quanto sono compiuti i progetti che li determinano. MAN MANO che la densità aumenta, MAN MANO che le intenzioni divine SI COMPIONO, MAN MANO che un numero sempre minore di cose RIMANE DA COMPIERE, nella stessa proporzione ci aspettiamo di trovare un approssimarsi DELLA FINE; pertanto una mente filosofica capirà facilmente che i progetti divini nella formulazione delle stelle progrediscono MATEMATICAMENTE verso la loro conclusione, e darà senza difficoltà a questo avanzamento
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una espressione matematica, concludendo che esso è inversamente proporzionale al quadrato delle distanze di tutti gli enti generati dal principio alla fine della loro creazione. Non solo questa disposizione divina è comunque matematicamente esatta, ma anzi c'è qualcosa in essa che le dà un'impronta DIVINA, per distinguerla da una disposizione che è semplicemente il prodotto della costruzione umana. Alludo alla sua completa RECIPROCITA' di rapporti. Per esempio: nelle opere umane una determinata causa ha un determinato effetto; una determinata intenzione particolare porta a un oggetto determinato; ma questo è tutto quello che vediamo; non vediamo alcuna reciprocità. L'effetto non reagisce sulla causa, l'intenzione non cambia i rapporti con l'oggetto. Nelle opere divine l'oggetto è disegno od oggetto, come preferiamo considerarlo, e noi possiamo prendere, in qualunque momento, una causa per un effetto o viceversa, così che non possiamo mai assolutamente stabilire quale sia l'una e quale l'altra. Per fare un esempio: nei climi polari il corpo umano, per mantenere il calore animale, necessita per la combustione nel sistema capillare di un'abbondante quantità di cibo fortemente azotato proprio come l'olio di balena. Inoltre, nei climi polari il solo cibo che sia concesso all'uomo è l'olio di foca e balena. Ora quell'olio è stato messo alla portata dell'uomo perché richiesto categoricamente, o è l'unica cosa richiesta perché è la sola che egli potesse avere? E' impossibile decidere. La DISPOSIZIONE è assolutamente RECIPROCA. Il piacere che ricaviamo da ogni manifestazione del genio umano è in ragione dell'APPROSSIMAZIONE a questa specie di reciprocità. Per esempio nella costruzione di un INTRECCIO, nella finzione letteraria, dobbiamo mirare a combinare gli avvenimenti in modo tale che noi stessi non saremmo capaci di decidere, per ciascuno di essi, se questo dipende da un altro o se ne è la causa. Naturalmente, in questo senso una PERFEZIONE d'intreccio è di fatto praticamente irraggiungibile, ma solo perché è modellato da un'intelligenza finita. Gli intrecci di Dio sono perfetti, e l'Universo è un intreccio di Dio. Siamo arrivati ora a un punto in cui l'intelletto è nuovamente costretto a lottare contro la sua propensione per la deduzione analogica, contro la sua mania di afferrare l'infinito. Abbiamo già visto dei satelliti GIRARE attorno a pianeti; e dei pianeti girare attorno a stelle; il poetico istinto dell'umanità, il suo istinto per la simmetria, quand'anche questa non fosse che superficiale, questo ISTINTO, che l'Anima non solo dell'Uomo ma di tutti gli esseri creati ha tratto dai principi del fondamento GEOMETRICO dell'irradiazione universale, ci spinge a immaginare un'infinita estensione di questo sistema di CICLI. Chiudendo i nostri occhi tanto alla deduzione quanto all'induzione, ci ostiniamo a immaginare una RIVOLUZIONE di tutti i corpi che compongono la Galassia attorno a un gigantesco globo che consideriamo il perno centrale di tutto. Si immagini che ogni ammasso nel grande gruppo di ammassi sia naturalmente provvisto e
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costruito in maniera uguale; perché l'"analogia" non faccia difetto in nessun punto, arriviamo fino a concepire che questi stessi gruppi GIRINO attorno a una sfera sempre più maestosa; quest'ultima, a sua volta, forma CON i gruppi che la circondano una delle sempre più splendide serie di agglomerazioni, e GIRA anch'essa attorno a un altro globo che è il SUO centro, un globo sempre più ineffabilmente sublime, un globo, diciamo meglio, di una sublimità infinita moltiplicata senza fine per l'infinitamente sublime. Le condizioni perpetuamente continue del termine che taluni chiamano "analogia" sono tali da imporre all'Immaginazione di rappresentare, e alla Ragione di contemplare l'immagine, senza insoddisfazione, se possibile. Così è, IN GENERALE, l'indefinito sistema di circoli su circoli che abbiamo imparato dalla Filosofia a concepire e a spiegare nel migliore modo possibile. Di quando in quando però un vero filosofo, uno di coloro il cui delirio prende una piega ben conosciuta, il cui genio, per parlare più riverentemente, ha, come per le lavandaie, un'inclinazione molto pronunciata a sciorinare cose a dozzine, ci mette in grado di vedere PRECISAMENTE quel punto, che ormai abbiamo perso di vista, in cui le serie di rivoluzioni in questione arrivano, e giustamente, a una fine. Probabilmente non vale la pena di scherzare sulle fantasticherie di Fourier (ma si è parlato molto ultimamente dell'ipotesi di Mädler) secondo cui esiste, nel centro della Galassia, uno stupendo globo attorno al quale ruotano tutti i sistemi degli ammassi. In realtà, il PERIODO di rivoluzione del nostro sistema è stato valutato in 117 milioni di anni. Da molto tempo è stato ipotizzato che il nostro Sole abbia un movimento nello spazio, indipendente dalla sua rotazione e dalla sua rivoluzione, attorno al centro di gravità del sistema. Questo movimento, ammettendo che esista, si manifesterebbe per mezzo della prospettiva. Nella regione del firmamento che lasciamo dietro di noi, le stelle in una lunghissima serie di anni si ammasserebbero, mentre quelle che sono nella parte opposta si disperderebbero. Ora, attraverso la Storia astronomica noi sappiamo vagamente che alcuni di questi fenomeni si sono effettivamente manifestati. Basandosi su questo è stato detto che il nostro sistema si muove in un punto del cielo diametralmente opposto alla stella Zeta Herculis; ma questa induzione è forse il limite ultimo di ciò che noi abbiamo il diritto di stabilire secondo logica. Mädler è andato tuttavia tanto oltre da designare una stella particolare, Alcyone, nella costellazione delle Pleiadi, come situata all'incirca nel punto attorno al quale si effettua una RIVOLUZIONE generale. Ora, dato che per "analogia" siamo indotti di primo acchito a questi sogni, è più che naturale restare fedeli all'analogia, almeno fino a un certo punto, durante il loro sviluppo; e l'analogia che suggerisce l'idea della rivoluzione ci suggerisce al tempo stesso l'idea di un globo centrale attorno al quale questa si effettuerebbe; fino a questo punto l'astronomo era coerente. Questo globo centrale dovrebbe essere tuttavia dinamicamente maggiore di tutti i globi che lo circondano presi insieme. Ci sono circa 100 milioni di questi globi. "Perché dunque", si domanderà, "noi non VEDIAMO questa grande stella centrale, PARI AD ALMENO 100
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milioni di stelle come la nostra, perché non la VEDIAMO, proprio NOI che siamo nella zona centrale dell'ammasso, la zona VICINO alla quale, in ogni caso, deve essere situata questa enorme stella?". La risposta è stata pronta: "Essa deve essere non- luminosa come i nostri pianeti". Qui dunque per perseguire uno scopo l'analogia è improvvisamente venuta meno. Si potrebbe dire: "Sappiamo che esistono effettivamente stelle non-luminose, ma non di questo tipo". E' vero che abbiamo buone ragioni per fare questa ipotesi, ma non abbiamo di certo alcun motivo di supporre che tali stelle non- luminose siano circondate da stelle LUMINOSE, quando pure queste sono circondate da pianeti non-luminosi; ed è esattamente tutto ciò di cui Mädler è chiamato a trovare qualcosa di analogo nei cieli, perché questo è precisamente ciò che egli immagina a proposito della Galassia. Ammettendo che le cose stiano così, non possiamo fare a meno di immaginare in quale triste imbarazzo debba mettere tutti i filosofi dell'"a priori" la necessità di provare PERCHE' E' COSI'. Ma pur ammettendo, a dispetto dell'analogia e d'ogni altra cosa, la non-luminosità della grande sfera centrale, ci possiamo chiedere come mai questa sfera così immensa non sia resa visibile dai fasci di luce gettati su di essa da 100 milioni di splendide stelle irradiati in tutte le circostanti direzioni. Dinanzi all'incalzare di questa domanda, l'idea d'una sola stella centrale effettivamente solida sembra sia stata in qualche modo abbandonata, mentre la teoria continuava ad asserire che i sistemi degli ammassi effettuano le loro rivoluzioni semplicemente intorno a un centro di gravità immateriale comune a tutti. Qui, ancora una volta, per adattarsi a uno scopo l'analogia è venuta meno. I pianeti del nostro sistema girano, è vero, attorno a un comune centro di gravità; ma essi lo fanno in relazione con, e in conseguenza di, una stella materiale la cui massa equilibra abbondantemente il resto del sistema. La circonferenza matematica è una curva composta di un'infinità di linee rette. Ma quest'idea della circonferenza, un'idea che dal punto di vista di ogni geometria comune è semplicemente l'idea matematica distinta dall'idea pratica, è, a rigor di termini, l'unico concetto PRATICO che abbiamo diritto d'accettare riguardo alla maestosa circonferenza di cui dobbiamo occuparci, o almeno immaginare, allorché supponiamo che il nostro sistema giri intorno a un punto al centro della Galassia. Provi la più potente delle immaginazioni umane a fare soltanto un passo nella comprensione di una curva così ineffabile! Non sarebbe tanto paradossale dire che anche l'improvviso bagliore di un lampo che girasse ETERNAMENTE attorno alla circonferenza di questa straordinaria circonferenza percorrerebbe per sempre ETERNAMENTE una linea retta. Non è ammissibile al di là d'ogni concezione umana che il percorso dell'orbita solare abbia deviato, sia pure minimamente, da una linea retta, anche in un milione di anni; pure, dobbiamo credere che durante il breve periodo della nostra storia astronomica si sia effettivamente manifestata una curva anche se per un solo momento, nell'assoluta inezia di due o tremila anni. Si può dire che Mädler ABBIA realmente accertato la presenza di una curva nella direzione del percorso attraverso lo Spazio del nostro sistema ora esatta-
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mente stabilito. Ammettendo, se è necessario, che le cose stiano effettivamente così, sostengo che con questo non si è dimostrato nulla se non l'esistenza di questo fatto, l'esistenza della curva. Per la sua determinazione COMPLETA saranno necessari secoli; e, quando sarà determinata, si troverà che indica diversi rapporti binari o molteplici fra il nostro Sole e qualcuna o più delle stelle vicine. Non arrischio nulla, però, predicendo che dopo molti secoli, ogni sforzo per determinare il percorso del nostro Sole nello Spazio sarà abbandonato come inutile e vano. Questo è facilmente comprensibile se consideriamo le infinite perturbazioni che esso subisce nei rapporti continuamente variabili con gli altri corpi, nel comune avvicinamento di tutti al nucleo della Galassia. Ma esaminando altre "nebulose" fuori della Via Lattea, e osservando in generale gli ammassi che sono apparsi nel cielo, troviamo o no una conferma all'ipotesi di Mädler? NON la troviamo. Quando si guarda casualmente a esse, le forme degli ammassi sono troppo diverse; ma esaminandole più da vicino per mezzo di potenti telescopi, vediamo che la forma sferica è quella cui si approssimano di più, essendo la loro costituzione generalmente in disaccordo con l'idea di una rivoluzione attorno a un centro comune. "E' difficile - dice Sir John Herschel - farsi un'idea dello stato dinamico di tali sistemi. Da un lato, senza un movimento rotatorio e una forza centrifuga è quasi impossibile non considerarli come in uno stato di PROGRESSIVO COLLASSO. Dall'altro ammettendo un tale movimento e una tale forza non troviamo meno difficile riconciliare le loro forme con la rotazione di tutto il sistema - egli intende dire ammasso - attorno a un solo asse senza il quale una collisione interna parrebbe inevitabile". Alcune osservazioni fatte ultimamente dal dottor Nicholsulle "nebulose", esponendo un punto di vista sullo stato cosmico del tutto diverso da quelli adottati in questo Studio, sono particolarmente applicabili al punto in questione. Egli dice: "Quando puntiamo su di esse i nostri più grandi telescopi, troviamo che quelle che credevamo irregolari non lo sono. Esse sono più o meno simili a una sfera. Eccone una che sembrava ovale, ma il telescopio di Lord Rosse ce la mostra sferica... Ora accade qualcosa di notevole che si riferisce a queste masse circolari di nebulose. Vediamo cioè che esse non sono perfettamente circolari, ma al contrario tutto intorno a esse, da ogni parte, ci sono volumi di stelle CHE SI ESTENDONO APPARENTEMENTE LONTANO, COME SE STESSERO PER PRECIPITARSI VERSO UNA GRAN MASSA CENTRALE IN CONSEGUENZA DELL'AZIONE DI UNA GRANDE FORZA". Se io dovessi descrivere con parole mie quale deve essere necessariamente la condizione attuale d'ogni nebulosa nell'ipotesi che tutta la materia ritorni, come ho teorizzato, verso la sua Unità originaria, ripeterei semplicemente quasi parola per parola quanto detto dal dottor Nichol senza il minimo sospetto di quella
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stupenda verità che è la chiave di questo fenomeno nebulare. E qui rafforzerò maggiormente la mia posizione con la testimonianza di uno scienziato più grande di Mädler, di uno scienziato per il quale tutti i dati di Mädler erano cose note da lungo tempo, esaminate con cura ed esperienza. Sui calcoli elaborati da Argelander, le cui esatte ricerche sono alla base di quelle di Mädler, HUMBOLDT, le cui facoltà di generalizzazione non sono forse mai state uguagliate, osserva quanto segue: "Quando consideriamo il movimento reale, proprio e non prospettico delle stelle, troviamo FRA ESSE MOLTI GRUPPI CHE SI MUOVONO IN DIREZIONI OPPOSTE; e i dati che abbiamo ora fra le mani non ci obbligano a pensare che i sistemi che compongono la Via Lattea, o gli ammassi che compongono l'Universo, girano attorno a un particolare centro conosciuto, luminoso o non luminoso che sia. E' soltanto l'immenso desiderio dell'Uomo di avere una Causa Prima fondamentale che spinge tanto il suo intelletto quanto la sua immaginazione ad adottare una simile ipotesi". Il fenomeno di cui s'è parlato, cioè dei "diversi gruppi che si muovono in direzioni opposte", rimane assolutamente inesplicabile con l'idea di Mädler; ma deriva come necessaria conseguenza dall'idea che è alla base di questo Studio. Mentre LA DIREZIONE PURAMENTE GENERALE di ogni atomo - di ogni satellite, pianeta, stella o ammasso - sarebbe, secondo la mia ipotesi, perfettamente rettilinea; mentre l'itinerario GENERALE tracciato da tutti i corpi sarebbe una linea retta che porta al centro, ciò nonostante è chiaro che questa rettilinea direzione generale sarebbe composta di quel che noi possiamo definire, senza grande esagerazione, un'infinità di curve determinate, una infinità di locali deviazioni dalla direzione rettilinea, il risultato di continue differenze di posizioni relative fra le innumerevoli masse, come se ognuna procedesse nel suo particolare viaggio verso la Fine. Citavo poco fa le seguenti parole di Sir John Herschel in riferimento agli ammassi: "Da un lato, senza un movimento rotatorio e una forza centrifuga è quasi impossibile non considerarli come in uno stato di PROGRESSIVO COLLASSO". Il fatto è che esaminando la "nebulosa" con un telescopio assai potente, troveremo del tutto impossibile, avendo già una volta concepito questa idea di "collasso", non accumulare, in ogni aspetto, conferme a questa idea. C'è sempre un nucleo visibile, nella direzione del quale le stelle sembrano precipitarsi; né questi nuclei possono essere presi per semplici fenomeni di prospettiva; gli ammassi sono REALMENTE più densi vicino al centro, più rarefatti nelle regioni più lontane. In sintesi, noi vediamo ogni cosa come la VEDREMMO se avesse luogo un collasso; ma in generale si può dire, quando guardiamo questi ammassi, che possiamo onestamente accettare l'idea di un MOVIMENTO ORBITALE ATTORNO A UN CENTRO, solo ammettendo la POSSIBILE esistenza nelle remote regioni dello spazio di leggi dinamiche delle quali noi non abbiamo conoscenza.
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In ogni caso da parte di Herschel c'è evidentemente UNA RILUTTANZA a considerare la nebulosa come in "una condizione di progressivo collasso". Ma se i dati, benché apparenti, giustificano l'ipotesi di tale condizione, PERCHE', è lecito domandare, egli non è propenso ad ammetterlo? Semplicemente per un pregiudizio, soltanto perché questa ipotesi urta contro un'opinione preconcetta e del tutto infondata, quella cioè della infinità e dell'eterna stabilità dell'Universo. Se le affermazioni del presente Studio sono sostenibili, "la condizione di progressivo collasso" è ESATTAMENTE l'unica condizione in cui noi possiamo considerare Tutte le Cose con sicurezza; e, con la dovuta umiltà, lasciatemi confessare, che, per parte mia, sono incapace di comprendere come qualunque ALTRA interpretazione dell'attuale condizione delle cose abbia mai potuto essersi fatta strada nella ragione umana. "La tendenza al collasso" e "l'attrazione della gravitazione" sono frasi convertibili. Usando tanto l'una che l'altra, noi intendiamo parlare della reazione dell'Atto Primordiale. Non ci fu mai una necessità meno evidente che quella di supporre la Materia imbevuta di una insopprimibile QUALITA' che facesse parte della sua natura materiale, una qualità, un istinto PER SEMPRE inseparabile da essa, un principio inalienabile, per virtù del quale ogni atomo è PERPETUAMENTE spinto a cercare l'atomo simile a lui. Non ci fu mai una necessità meno evidente che quella di concepire questa idea non filosofica. Spingendoci coraggiosamente al di là del pensiero volgare noi comprenderemo, metafisicamente, che il principio della gravitazione appartiene TEMPORANEAMENTE alla Materia, soltanto durante la sua diffusione, soltanto mentre esiste come Pluralità invece che come Unità, le appartiene solo in virtù del suo stato di irradiazione, appartiene, in una parola, interamente alla sua CONDIZIONE e per nulla alla materia. In questa prospettiva quando l'irradiazione sarà tornata verso la sua sorgente - quando la reazione sarà completa - il principio della gravitazione non esisterà più. E infatti gli astronomi, senza raggiungere mai l'idea qui proposta, sembra che l'abbiano avvicinata con quest'asserzione: "Se non ci fosse che un solo corpo nell'Universo, sarebbe impossibile capire come potrebbe avere luogo il principio di Gravità"; ciò vale a dire che dalla considerazione della Materia, per come essi la considerano, arrivano alla conclusione alla quale io sono pervenuto deduttivamente. Come un'ipotesi così feconda come quella citata abbia potuto rimanere così a lungo infruttuosa è un mistero che trovo difficile da decifrare. Forse, e in misura non modesta, la nostra inclinazione per il continuo, per l'analogico e, più particolarmente in questo caso, per il simmetrico, ci ha condotto fuori strada. E infatti, il senso della simmetria è un istinto che può fare affidamento su di una fiducia quasi cieca. E' l'essenza poetica dell'Universo, DELL'UNIVERSO che nella sua suprema simmetria è il più eccelso dei poemi. Ora simmetria e coerenza sono due termini convertibili, come Poesia e Verità sono una cosa sola. Una cosa è coerente in ragione della sua verità, è vera in ragione della sua coerenza. UNA PERFETTA COERENZA, RIPETO, NON PUO' ESSERE CHE UN'ASSOLUTA VERITA'. Possiamo perciò dare come assodato che l'Uomo non può sbagliare né a lungo né molto, se si lascia guidare
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dal suo istinto poetico che io sostengo essere l'istinto del vero e conseguentemente del simmetrico. Tuttavia egli deve essere attento a non perdere di vista, seguendo troppo matematicamente la simmetria superficiale delle forme e dei movimenti, la simmetria veramente essenziale dei principi che li determinano e li dirigono. Un'idea che da qualche tempo sembra essersi impossessata, vagamente e indeterminatamente, dell'immaginazione umana, è quella per cui i corpi stellari debbano alla fine fondersi tutti in uno, che infine tutti debbano riunirsi nella sostanza di UNA MAGNIFICA SFERA CENTRALE GIA' ESISTENTE. E' un'idea, in effetti, che appartiene alla classe delle idee ECCESSIVAMENTE EVIDENTI. Essa scaturisce istantaneamente da una osservazione superficiale del movimento ciclico e apparentemente ROTATORIO O VORTICOSO di quella singola parte dell'Universo che cade più immediatamente, più direttamente sotto la nostra osservazione. Non c'è forse un solo essere umano, di cultura comune e di una media capacità di riflessione, al quale, a un certo punto, non sia venuta in mente l'idea in questione spontaneamente o intuitivamente, e con tutte le caratteristiche di un concetto molto profondo. Tuttavia, questo concetto così comunemente accolto non è mai scaturito, che io sappia, da considerazioni astratte; al contrario, esso è sempre stato suggerito, come ho detto, dal movimento vorticoso intorno a centri, e fra questi movimenti stessi fu naturalmente cercata nella stessa direzione anche una ragione di esso, una CAUSA della riunione di tutte le sfere in una sola CHE S'IMMAGINAVA GIA' ESISTENTE. Accade così che rivelando il restringimento graduale e perfettamente regolare dell'orbita della cometa di Encke a ogni successiva rivoluzione attorno al nostro Sole, gli astronomi furono quasi unanimi nell'opinione che si fosse trovata la causa in questione, che si fosse scoperto un principio sufficiente a spiegare fisicamente quella contrazione finale e universale che, ripeto, l'istinto analogico, simmetrico o poetico dell'Uomo aveva predeterminato di percepire come qualche cosa di più che una semplice ipotesi. Si asserì che questa causa, questa ragione sufficiente per la riunione finale, esiste in un agente intermediario che pervade lo spazio straordinariamente rarefatto, ma pur sempre materiale; il quale agente, ritardando un poco il processo della cometa, indebolisce continuamente la sua forza tangenziale, facendo così predominare la forza centripeta che, per definizione, a ogni rivoluzione attira la cometa sempre più vicino al Sole sul quale, un giorno, dovrà infine schiantarsi. Tutto questo era rigorosamente logico ammettendo l'elemento intermedio o etere; ma questo etere fu ipotizzato nel modo più illogico con la certezza che non sarebbe stato possibile SCOPRIRE nessun altro modo tranne quello citato per spiegare l'osservato restringimento dell'orbita della cometa: come se dal fatto che noi non possiamo scoprire nessun'altra via di spiegazione potessimo dedurre che realmente non ne esiste nessun'altra. E' chiaro che un'infinità di cause possono servire, combinandosi, a restringere l'orbita senza neanche una
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possibilità da parte nostra di conoscere una sola. Nel contempo non si è mai potuto dimostrare interamente, forse, perché i ritardi occasionati dai lembi estremi dell'atmosfera solare, attraverso i quali passa la cometa al perielio, non siano sufficienti per spiegare il fenomeno. E' probabile che la cometa di Encke venga assorbita dal Sole; e c'è qualcosa di più di una semplice probabilità che vengano assorbite man mano tutte le comete del sistema; ma in tal caso il principio di assorbimento si dovrà attribuire all'eccentricità dell'orbita delle comete, al loro estremo avvicinamento al Sole al loro perielio; ed è un principio che non indebolisce in alcun modo quello secondo cui le pesanti SFERE devono essere considerate come il vero materiale che costituisce l'Universo. Mi sia concesso incidentalmente d'affermare, rispetto alle comete in generale, che non si sbaglia di molto a considerarle come I LAMPI DEL CIELO COSMICO. L'idea di un etere ritardante, e di una contrazione finale di tutte le cose a causa di questo, sembrò essere riconfermata in una sola volta da un effettivo restringimento osservato nell'orbita della Luna. Riferendosi alle eclissi registrate 2500 anni fa, si trovò che la velocità della rivoluzione del satellite ALLORA era considerevolmente minore di quella ATTUALE, e che, nell'ipotesi che il movimento della sua orbita sia uniformemente coerente alla legge di Keplero (e questo venne accuratamente determinato ALLORA, 2500 anni fa), adesso si registrerebbe un anticipo di 9000 miglia circa dalla posizione in cui SI SAREBBE DOVUTA trovare. L'aumento di velocità provava, naturalmente, un restringimento di orbita, e gli astronomi erano fortemente propensi ad ammettere un etere, come la sola maniera di spiegare il fenomeno, quando venne in loro soccorso Lagrange. Egli dimostrò che per la configurazione degli sferoidi gli assi più corti delle loro ellissi sono soggetti a variazioni in lunghezza, mentre gli assi più lunghi sono fissi; e che questa variazione è continua e vibratoria, cosicché ogni orbita è in un stato di transizione o dal cerchio all'ellisse, o dall'ellisse al cerchio. Nel caso della Luna, in cui l'asse più corto è DEcrescente, l'orbita passa dal cerchio all'ellisse e per conseguenza DEcresce anch'essa; ma dopo un gran numero di secoli si raggiungerà l'estrema eccentricità; allora l'asse minore comincerà ad aumentare finché l'orbita diventerà un circolo, poi avrà luogo di nuovo il processo di diminuzione e così via per sempre. Nel caso della Terra l'orbita passa dall'ellisse al circolo. I fatti così dimostrati eliminano ogni necessità di supporre un etere e, naturalmente, ogni apprensione per l'instabilità del sistema DOVUTA ALL'ETERE. Si ricorderà che io stesso mi sono riferito a qualcosa che possiamo definire ETERE. Ho parlato di una sottile INFLUENZA che, come sappiamo, accompagna sempre la materia, sebbene si evidenzi solo a causa dell'eterogeneità della materia. Ho attribuito a questa INFLUENZA, senza poter arrivare a spiegare, anche con uno sforzo, la sua sconcertante NATURA, i vari fenomeni dell'elettricità, del calore, della luce, del magnetismo; e ancora, della vitalità, della coscienza e del pensiero, in una parola, della spiritualità. Si vedrà subito, allora, che l'etere così concepito è radicalmente diverso dall'etere degli astronomi, in quanto quello è MATERIA mentre il mio NON lo è.
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Così, con l'idea dell'etere materiale, sembra contemporaneamente svanire pure l'idea di quella contrazione universale presentita dall'immaginazione poetica del genere umano, alla quale una sana Filosofia avrebbe potuto legittimamente prestar fede, almeno fino a un certo punto, se fosse stata presentita senza nessun'altra ragione all'infuori di questa immaginazione poetica. Ma secondo ciò che l'Astronomia, e la semplice Fisica, hanno affermato, i cicli universali sono perpetui, e non si può concepire una fine dell'Universo. Se anche si fosse dimostrata tale fine per mezzo di una causa così collaterale come l'etere, l'istinto umano della divina CAPACITA' DI ADATTAMENTO si sarebbe ribellato contro questa dimostrazione. Noi saremmo stati obbligati a considerare l'Universo con un certo senso d'insoddisfazione simile a quello che proviamo contemplando un lavoro dell'arte umana inutilmente complesso. La creazione ci avrebbe dato la sensazione come di un imperfetto INTRECCIO in un romanzo il cui "dénouement" sia goffamente svolto per mezzo di avvenimenti esterni ed estranei alla trama principale, invece di scaturire dal profondo della tesi, dal cuore dell'idea dominante, invece di sorgere come risultato del proposito fondamentale, come parte integrante, inseparabile e inevitabile dell'idea di fondo del libro. Ora si capirà più chiaramente che cosa io intenda per simmetria puramente superficiale. Solo per le lusinghe di questa simmetria noi siamo stati ingannati dall'idea generale di cui l'ipotesi di Mädler non è che una parte, l'idea cioè del vorticoso restringimento dell'orbita. Mettendo da parte questo concetto puramente fisico, la simmetria di PRINCIPIO prevede la fine di tutte le cose metafisiche implicate nel pensiero di un inizio; ci fa cercare e trovare in questa origine di tutte le cose i RUDIMENTI di questa fine; e ci mostra quanto sia empio supporre che questa fine sia forse stata pensata meno semplicemente, meno direttamente, meno evidentemente, meno artisticamente, che per REAZIONE ALL'ATTO CREATORE. Tornando poi a un'ipotesi precedente, concepiamo i sistemi - concepiamo ogni stella con il suo relativo pianeta - come un atomo titanico esistente in uno spazio che ha precisamente la stessa inclinazione all'Unità che caratterizzava, in principio, gli atomi reali dopo la loro irradiazione in ogni parte della sfera universale. Poiché questi atomi originali si precipitavano uno verso l'altro in linea generalmente retta, allo stesso modo noi possiamo concepire le vie che conducono i sistemi-atomi verso i loro rispettivi centri di aggregazione come almeno generalmente rettilinee; e con questa diretta attrazione dei sistemi in ammassi, con quest'attrazione simile e simultanea degli ammassi stessi, mentre avviene il consolidamento, noi abbiamo infine raggiunto il grande ADESSO - lo sconcertante Presente - la Condizione Attuale dell'Universo. Riguardo al futuro, ancora più sconcertante, può guidarci a formulare un'ipotesi un'analogia non irrazionale. Essendo l'equilibrio tra le forze centripete e
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centrifughe di ogni sistema necessariamente distrutto nel raggiungimento di una certa prossimità ai nuclei degli ammassi ai quali appartiene, avverrà a un tratto una precipitazione caotica, o apparentemente caotica dei satelliti sui pianeti, dei pianeti sui soli e dei soli sui nuclei; e il risultato generale di questa precipitazione sarà l'assembramento delle miriadi di stelle attualmente esistenti nel firmamento in un numero quasi infinitamente minore di sfere quasi infinitamente più grandi. Essendo smisuratamente minori, i mondi di quell'epoca saranno incommensurabilmente più grandi dei nostri. Allora, fra impenetrabili abissi, splenderanno inimmaginabili soli. Ma tutto ciò sarà soltanto un sublime apogeo che profetizzerà la grande Fine. La nuova genesi descritta non sarà che un temporaneo differimento di questa Fine. Mentre si compirà il consolidamento, gli ammassi stessi con una velocità prodigiosamente crescente si saranno slanciati verso il loro vero centro generale, e ora con una forza elettrica mille volte maggiore, proporzionata solo alla loro grandezza materiale e alla spirituale passione per l'unità, i maestosi avanzi della tribù delle Stelle sfolgoreranno infine in un comune amplesso. L'inevitabile catastrofe è prossima. Ma che cos'è questa catastrofe? Noi abbiamo visto compiersi la contrazione dei corpi celesti. Non dovremo concepire d'ora in poi questa materiale SFERA DI SFERE come contenente e costituente l'Universo? Una simile idea sarebbe completamente contraddittoria rispetto a ogni affermazione e ogni considerazione di questo Studio. Ho già accennato a quell'assoluta RECIPROCITA' DI ADATTAMENTO che è la caratteristica dell'Arte Divina, ciò che le imprime tale qualifica. Finora nelle nostre riflessioni abbiamo considerato l'influenza elettrica come qualche cosa a causa della cui forza di repulsione soltanto la Materia può resistere in quello stato di diffusione richiesto per il compimento dei suoi disegni; fino a questo punto, in sintesi, noi abbiamo considerato tale influenza come istituita per causa della Materia, per servire agli scopi materiali. Con reciprocità perfettamente legittima, noi possiamo ora considerare la Materia creata SOLAMENTE PER AMORE DI QUEST'INFLUENZA, solamente per servire agli scopi di questo Etere spirituale. Per l'aiuto, per l'azione, per mezzo della Materia e per forza della sua eterogeneità, questo Etere si manifesta, E LO SPIRITO SI INDIVIDUALIZZA. Solo nello sviluppo di questo Etere, mediante l'eterogeneità, quelle particolari masse di Materia divengono animate, sensibili, e ciò in proporzione alla loro eterogeneità; raggiungendo alcune un grado di sensibilità che implica ciò che noi chiamiamo PENSIERO per giungere così all'altezza dell'Intelligenza Cosciente. In tale prospettiva noi possiamo comprendere la Materia come un Mezzo, non come un Fine. I suoi propositi sono così stati compresi nella sua diffusione; e ritornando all'Unità questi propositi trovano compimento. Questa sfera di sfere completamente consolidata sarebbe SENZA SCOPO, quindi non potrebbe continuare a esistere neppure per un momento. La Materia, creata per uno
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scopo, non può indubbiamente restare ancora tale quando questo scopo è raggiunto. Tentiamo di capire questa sua tendenza a scomparire mentre Dio rimane tutto in tutto. Che ogni opera della concezione divina debba esistere ed estinguersi insieme con i suoi particolari disegni, mi sembra particolarmente evidente; e io non dubito affatto che vedendo l'INUTILITA' della finale sfera di sfere, la maggioranza dei miei lettori sarà soddisfatta di queste mie parole: "DUNQUE non può continuare a esistere". Tuttavia, siccome il sorprendente pensiero della sua scomparsa istantanea è un fatto che il più potente intelletto non può aspettarsi di capire senza difficoltà su basi così decisamente astratte, cerchiamo di considerare l'idea da qualche altro punto di vista più comune: vediamo come è interamente e magnificamente corroborata in una considerazione A POSTERIORI della Materia come noi la percepiamo effettivamente. Ho detto prima che l'attrazione e la repulsione essendo innegabilmente le uniche proprietà per mezzo delle quali la Materia si manifesta alla Ragione, noi siamo autorizzati a supporre che la Materia esiste solo come Attrazione e Repulsione, in altre parole, che l'Attrazione e la Repulsione SONO Materia, non essendovi alcun caso concepibile in cui non possiamo usare il termine "Materia" e i termini "Attrazione" e "Repulsione" presi contemporaneamente come equivalenti espressioni logiche e perciò convertibili. Ora, la stessa definizione dell'Attrazione implica particolarità, l'esistenza di parti, particelle o atomi; perché noi la definiamo come inclinazione di "ogni atomo, eccetera a ogni altro atomo, eccetera" secondo una certa legge. Naturalmente dove NON ci sono parti, dove non c'è che assoluta Unità, dove la tendenza all'Unità è soddisfatta, non ci può essere alcuna Attrazione; ciò è stato pienamente dimostrato e ogni Filosofia lo ammette. Quando, compiendo i suoi disegni, la Materia ritornerà nella sua condizione originale di UNITA', condizione che presuppone l'espulsione dell'Etere separativo, la cui competenza e la cui capacità è limitata a tenere gli atomi separati fino a quel gran giorno in cui, non essendo più necessario questo Etere, la schiacciante pressione della collettiva Attrazione finale predominerà infine e l'espellerà, quando, dico, la Materia espellendo finalmente l'Etere ritornerà nell'Unità assoluta; sarà allora (per esprimersi per il momento paradossalmente), sarà allora Materia senza Attrazione e sen a Repulsione, in altri termini Materia senza Materia, in altri termini ancora, NON PIU' MATERIA. Sprofondando nell'Unità, sprofonderà contemporaneamente in quel Nulla che per ogni percezione finita deve essere identico all'Unità, in quel Nulla Materiale da cui solo noi possiamo concepire che tutto sia stato evocato, che tutto sia stato CREATO per la Volontà di Dio. Dunque, ripeto, cerchiamo di comprendere che la finale sfera di sfere sparirà istantaneamente e che Dio rimarrà tutto in tutto. Ma dobbiamo fermarci qui? No. Nell'assembramento e dissoluzione universale noi possiamo facilmente immaginare che da una serie di condizioni nuove e
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forse del tutto differenti possa derivare - un'altra creazione e irradiazione ritornando in se stessa - un'altra azione o reazione della Volontà Divina. Guidando la nostra immaginazione per mezzo di quella onnicomprensiva legge delle leggi, la legge della periodicità, non siamo noi in realtà più che autorizzati ad accogliere la credenza - diciamo piuttosto a indulgere a una speranza - che i processi che noi ci siamo avventurati a osservare saranno eternamente rinnovati nei secoli dei secoli, e che crescerà un nuovo Universo, verrà a esistere per poi ricadere nel nulla a ogni pulsazione del Cuore Divino? Ma allora questo Cuore Divino che cos'è? E' IL NOSTRO STESSO CUORE. Non lasciamo che la nostra anima si spaventi dell'irriverenza solo apparente di questa idea affiorante da quel freddo esercizio di coscienza, da quella profonda tranquillità dell'introspezione per mezzo della quale soltanto, noi possiamo sperare di raggiungere la più sublime verità, e di guardarla comodamente in faccia. I FENOMENI, dai quali devono, a questo punto, dipendere le nostre conclusioni, sono pure ombre spirituali, ma non per questo meno sostanziali. Noi passeggiamo attraverso i destini dell'esistenza del nostro mondo circondati da MEMORIE oscure, ma pur sempre presenti, di un Destino più vasto, molto remoto nel tempo passato, che incute infinito sgomento. Noi viviamo una Giovinezza particolarmente perseguitata dagli spettri di tali ombre, che però non confondiamo mai con i sogni. Noi le riconosciamo come Memorie. DURANTE LA NOSTRA GIOVINEZZA la distinzione è troppo chiara per ingannarci anche per un solo momento. Finché dura questa Giovinezza IL SENTIMENTO DELLA NOSTRA ESISTENZA è il più naturale di tutti i sentimenti. Noi lo comprendiamo PERFETTAMENTE.DURANTE QUESTA GIOVINEZZA troviamo difficoltà a immaginare che ci sia stato un periodo in cui NON esistevamo, o che possa essere accaduto che non fossimo mai esistiti. Perché avremmo potuto non esistere: FINO AL MOMENTO DELLA NOSTRA MATURITA', di tutti gli interrogativi questo è quello al quale ci sarebbe stato più difficile rispondere. L'esistenza - la stessa esistenza -, l'esistenza di tutti i Tempi e di tutta l'Eternità ci sembra, fino al momento della Maturità, una condizione normale e incontestabile: QUESTO SEMBRA, PERCHE' QUESTO E'. Ma poi viene il periodo in cui una convenzionale Ragione del Mondo ci desta dalla verità del nostro sogno. Il Dubbio, la Sorpresa e l'Incomprensibilità arrivano tutti allo stesso momento. Essi dicono: "Voi vivete e ci fu un tempo in cui non vivevate. Voi siete stati creati. Esiste
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un'Intelligenza più potente della vostra; ed è solo per mezzo di questa Intelligenza che voi vivete". Noi lottiamo per comprendere queste cose e NON POSSIAMO, non possiamo perché queste cose non essendo vere, sono così, di necessità, incomprensibili. Non esiste un essere pensante che, a un certo luminoso punto della sua vita di pensiero, non si sia sentito smarrito in quel caos di futili tentativi per comprendere e credere che esiste qualche cosa PIU' GRANDE DELLA SUA PROPRIA ANIMA. La completa impossibilità di un'anima a sentirsi interiore a un'altra; l'intensa e opprimente insoddisfazione e ribellione del pensiero: queste, con le onniprevalenti aspirazioni alla perfezione, queste non sono che le lotte spirituali, che coincidono con le lotte materiali contro l'Unità originale, sono, almeno per la mia razionalità, una specie di prova che sorpassa di molto ciò che l'Uomo chiama la dimostrazione che nessun'anima è inferiore a un'altra, che non c'è, e non ci può essere, niente di superiore a un'anima qualunque, che ogni anima è, in parte, il proprio Dio, il proprio Creatore: in una parola, che Dio, il Dio materiale E spirituale, ORA esiste unicamente nella Materia e nello spirito diffusi nell'Universo; e che la concentrazione della Materia e di questo spirito diffusi non sarà che la ricostituzione del Dio PURAMENTE SPIRITUALE E INDIVIDUALE. In questa prospettiva, e solo in questa, noi comprendiamo gli enigmi dell'Ingiustizia Divina, del Fato Inesorabile. Soltanto in questa prospettiva diventa intelligibile l'esistenza del Male; anzi da questo punto di vista essa diviene addirittura sopportabile. La nostra anima non si ribella più contro un DOLORE che noi abbiamo imposto a noi stessi, per la realizzazione dei nostri disegni, con lo scopo - per quanto futile esso sia - di estendere la nostra FELICITA'. Ho parlato di MEMORIE che popolano di fantasmi la nostra Giovinezza. Talvolta ci perseguitano anche nella Maturità: assumono gradatamente forme sempre meno indefinite e di tanto in tanto ci parlano all'orecchio e dicono: "Ci fu un'epoca, nella Notte dei Tempi, in cui esisté un Essere che ancora esiste, uno solo in un numero assolutamente infinito di Esseri simili che popolano il regno assolutamente infinito dell'assolutamente infinito spazio. Questo Essere non ebbe e non ha il potere - più di quello che non abbia tu stesso - di estendere in misura tangibile la felicità della sua Esistenza; ma soltanto come è in tuo potere espandere e concentrare i tuoi piaceri (restando però sempre lo stesso l'ammontare assoluto della felicità), allo stesso modo una tale capacità apparteneva e appartiene a questo Essere Divino che passa la sua eternità in perpetua variazione di Concentrazione e quasi Infinita Diffusione di Sé. Quello che tu chiami "l'Universo Siderale" non è che l'espansione presente della sua esistenza. Egli ora sente la sua vita attraverso un numero infinito di piaceri imperfetti, di piaceri parziali frammisti a dolori propri di quegli esseri inconcepibilmente numerosi che tu designi come sue creature, ma che non sono in realtà che infinite individualizzazioni di Lui stesso. Tutte queste creature - TUTTE -, tanto
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EUREKA
Edgar Allan Poe
quelle che tu chiami animate quanto quelle alle quali tu neghi la vita, per la semplice ragione che tu non ne avverti la presenza, tutte queste creature hanno in maggiore o minor misura una capacità di godere e di soffrire: MA LA SOMMA GENERALE DELLE LORO SENSAZIONI E' ESATTAMENTE QUELL'AMMONTARE DI FELICITA’ CHE APPARTIENE DI DIRITTO ALL'ESSERE DIVINO CONCENTRATO IN SE STESSO. Tutte queste creature sono anch'esse Intelligenze più o meno coscienti: coscienti, prima di tutto, della loro identità; coscienti, in secondo luogo, e per deboli e indeterminati barlumi, della loro identità con l'Essere Divino di cui parliamo, della loro identità con Dio. Delle due specie di coscienze supponi che la prima gradualmente si indebolisca e la seconda si rafforzi, nella lunga successione di secoli che deve trascorrere prima che queste miriadi d'Intelligenze individuali si confondano, allorché anche le luminose stelle si confonderanno nell'Unità. Penso che il senso dell'Identità individuale verrà gradatamente sommerso nella coscienza generale, che l'Uomo, per esempio, cessando impercettibilmente di sentirsi Uomo, raggiungerà infine quell'epoca di sgomento e trionfo in cui riconoscerà nella sua esistenza l'esistenza di Geova. Intanto ricordati che tutto è Vita, Vita, Vita nella Vita, la minore entro la maggiore e tutto entro lo SPIRITO DI DIO". NOTA. Il dolore suscitato dalla nostra consapevolezza di perdere la nostra personale identità cessa d'improvviso quando si riflette, successivamente, che il processo sopra descritto non è né più né meno che quello dell'assorbimento di ogni intelligenza individuale e di qualsiasi altra intelligenza (vale a dire: dell'Universo) in se stessa. Se Dio può essere tutto in tutto, CIASCUNO, necessariamente, è Dio. Eureka.
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testo e traduzione a cura di http://libri.freenfo.net impaginazione e grafica a cura di Ettore De Lauretis
La cosmologia scientifica di Poe da Wikipedia
Il 3 febbraio del 1848 Edgar Allan Poe tenne a New York una conferenza sulla "Cosmogonia dell'Universo"; nei mesi successivi, egli rielaborò il testo di quella conferenza, che pubblicò con il titolo “Eureka: a prose poem”. Poe era convinto di aver scritto l'opera più importante della sua vita ed intendeva proporre seriamente una teoria cosmologica su basi metafisiche e scientifiche, anche se descritta in un'opera letteraria, un "poema in prosa". "Eureka" non ebbe il successo che Poe si attendeva, nonostante fin dall'inizio la critica letteraria ne abbia dato un giudizio generalmente positivo: addirittura vi è una tradizione letteraria, che risale a Paul Valéry, la quale attribuisce a Poe intuizioni relativistiche. Un'attenta analisi mostra che in realtà Poe non ha anticipato la relatività, ma ha posto e trattato diverse problematiche che sono al cuore della cosmologia moderna. Il motivo alla base di questo apparente anacronismo è che Poe ha concepito un universo newtoniano non statico ma in evoluzione dinamica. Convinto che l'universo abbia avuto origine da una condizione di unità e che a questa condizione di unità esso tenda a tornare (come si manifesta dall'universalità della gravitazione), Poe attribuisce la nascita dell'universo dalla frammentazione di una particella primitiva in un "flash" per l'azione di una forza repulsiva; una volta esauritasi l'azione di questa forza, gli atomi diffusi nello spazio hanno cominciato ad attrarsi e a formare le stelle e i sistemi stellari (Poe riprende esplicitamente e generalizza l'ipotesi della nebulosa primordiale di Laplace). L'insieme di questi sistemi stellari ("the Universe of Stars"), ciascuno dei quali ha un rango paragonabile alla Via Lattea (ovvero, in termini moderni, è una galassia), ha una distribuzione sferica di raggio grande ma non infinito, ed è destinato a causa della gravità a collassare in futuro e a tornare all'unità primordiale. L'intuizione di Poe che l'universo ha un'origine nel passato e che è in evoluzione spiega perché diversi temi discussi da Poe si ritrovano nella moderna cosmologia scientifica, pur riproposti in un contesto relativistico: l'omogeneità dell'universo in espansione, l'atomo primordiale di Lemaître, il paradosso di Olbers, il principio antropico applicato all'età e alle dimensioni dell'universo, l'epoca di formazione delle stelle, la presenza di una forza repulsiva per generare l'universo, la possibilità di altri universi, ecc.