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EUPOSIA L a R i v is t a

del

Vino

Per chi ama il vino e per chi vuole conoscerlo - Anno XV - n. 90 - Euro 5 - settembre 2017

Prosecco a Valdobbiadene dal 1952 Il 1952 è l’anno di inizio del nostro percorso legato al Prosecco Superiore Valdobbiadene D.O.C.G. Ecco perché, quando abbiamo raggiunto l’espressione più raffinata di una storia, di un territorio e di una passione che dura da 60 anni, abbiamo pensato che il suo nome potesse essere uno solo: 52.

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Euposia – settembre 2017 – n.90 – Kettmeir 1919 – Gonzales byass – Tannat Lageder – Franciacorta Docg –Catalogna – Matilde Poggi – Barbadillo – Veiuve Clicquot – Montevento – Doppio Malto

VALDOBBIADENE PROSECCO SUPERIORE “52” SANTA MARGHERITA:

Kettmeir 1919 la grande riserva Catalogna vigneto d’Europa

www.euposia.it www.italianwinejournal.com Il vigneto ritrovato di Asolo – Gonzáles Byass, oltre Tìo Pepe – Lambrusco, arriva Claudio Biondi – Il Tannat di Lageder – Franciacorta, la magnifica dozzina – Monteverro, essenza di Maremma – Doppio Malto, Birra & Gourmet – Brew Dog – KBIRR BIMESTRALE - “Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1 NE/VR


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Sommario

Degustazioni

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Del Rèbene Riserva Gonzalez Byass Le Marchesine Secolo Novo:la verticale il Tannat di Alois Lagader Franciacorta: una dozzina di bollicine da non mancare Sidewood Estate, sauvignon blanc dalle Adelaide Hills Szigeti, Muscat Ottonel Extra-dry Barbadillo

Reportage

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Kettmeir, la Riserva 1919 Catalogna

Cantine

16 30 54 56

Lambrusco, cambio al vertice della denominazione Monteverro, Capalbio Vevue Cliquot Monte Vento

Birre

67 68 72

Brew Dog, Londra Doppio Malto, Verona K-birr, Napoli

Distillati

41 63 77 78 Euposia

Jack Daniel’s Bulleit Bourbon Gin Elephant Kaitlyn Stewart, bartender of the yar

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Veneto

Del Rèbene, una Riserva dai Colli Berici

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Colli Berici, antico vulcano, stanno diventando un punto di riferimento importante per il “vigneto Veneto” richiamando nuovi progetti: dai big del settore, come Inama che fra i primi l’ha riscoperto, a tanti piccoli produttori il cui tratto distintivo sembra essere l’eccellenza, tanto nei vini bianchi che nei rossi. Tratto che si percepisce anche in Del Rèbene, brand new che domina a mezzogiorno la valle del Gazzo (costa settentrionale dei Colli) e che trae origine da un antico borgo di genti germaniche risalente al Seicento ed abitato sino agli Anni Cinquanta. Più di mezzo secolo di abbandono hanno sì compromesso il complesso dei fabbricati, ma non hanno alterato l’anima agricola di questo fondo. Bastava ripulire l’uliveto ed il suo terrazzamento originale; strappare dal bosco i vecchi vigneti e sostituirli con nuovi impianti a spalliera e, olpà, il miracolo si è compiuto: venticinque ettari a Cabernet sauvignon, Carmenere e, ora, anche Tai Rosso (la versione veneta dell’Alicante, vitigno spagnolo che ha colonizzato il Mediterraneo prendendo diversi nomi: Grenache, Cannonau) che stanno entrando in piena produzione. Del Rèbene è il sogno di Francesco Castegnaro, giovane avvocato vicentino, rimasto folgorato ancora da studente negli Anni Ottanta da questo piccolo mondo antico ed oggi votato alla realizzazione di questo progetto molto integrato con la natura circo-

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stante: il bosco che lo delimita è la migliore protezione dagli agenti patogeni mentre fra i filari corrono i cerbiatti che fanno a gara coi cinghiali a chi fa più danni, scegliendo i grappoli più maturi per banchettare… In degustazione, tre vini: il Carmene IGT Veneto, 3mila500 bottiglie, lavorato in vasche di cemento; la Riserva 2015, 3mila bottiglie, blend di Carmenere e Cabernet sauvignon (per un terzo), che affina dodici mesi in tonneaux non di primo passaggio cui seguono altri cinque mesi in vasche di cemento prima dell’imbottigliamento. Se il primo mostra, come logico, la vivace rusticità di un vino giovane, ma dal gran potenziale, la Riserva si presenta già più quadrata e sofistica dove all’olfatto alle note di frutta rossa, di marasca e di sottobosco, aggiunge un palato coerente, ampio, caldo, dove tornano le note di frutta rossa matura, balsamico e cuoio. Un vino maschio che promette longevità. Terzo vino: un Cabernet sauvignon Veneto IGT 2013 con 24 mesi di affinamento in acciaio: note mature di frutta rossa, mora e rabarbaro. Palato caldo, con note di sottobosco, tannini croccanti. A completare la gamma di questa piccola maison un olio extravergine biologico DOP Veneto Euganeo e Berici composto dalle cultivar Casaliva, Leccino ed altre varietà minori.

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Terroir

Il vigneto ritrovato di Asolo Montelvini prepara il cru “Villa degli Armeni”: mezzo ettaro nel centro storico della capitale del Montello. Le prime bottiglie nel 2023

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el centro storico di Asolo, all’interno dei terreni dalla famiglia Contarini, che alla fine del 1600 fece edificare quella che oggi è conosciuta come “Villa degli Armeni”, un vecchio vigneto abbandonato è stato riscoperto e sta per essere portato a nuova vita. Un cru di nemmeno mezzo ettaro, con una ottantina di piante di Glera, in cui, grazie all’impegno di

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Montelvini, si lavorerà per i prossimi sei anni al recupero del genoma della pianta originale, per andare ancor più a fondo, alle radici della storia e del cuore del Prosecco Superiore e dell’Asolo Docg, l’unica denominazione del Prosecco che può vantare nel disciplinare la versione Extra Brut, poiché solo qui il terreno e il microclima regalano al vino struttura e salinità uniche.

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Terroir

Il “Vigneto ritrovato” si trova in stretto rapporto con la scenografica architettura del “Fresco” di Villa Contarini- degli Armeni”, ed il monumentale giardino all’italiana di Villa De Mattia, che sul vigneto si affaccia. Il cru si presenta con un’estensione di circa 3000 mq (0.3 ettari), con vitigni prevalentemente di Glera, il cui anno di impianto risale al 1960. Il terreno, esposto a sud, è di medio impasto con buona presenza di argilla. Presenta alcune zone di argilla dal colore rossastro, dato dall’accumulo di ossidi di ferro. La forma di allevamento prevista per il futuro è quella a Sylvoz, tipica della zona. Vista la posizione del vigneto è previsto il completo inerbimento, per evitare fenomeni erosivi. Dal prossimo dicembre e lungo tutto il 2018 si svolgerà la pulizia completa del vigneto con la rimozione delle eventuali piante malate; la potatura delle piante sane con lo scopo di produrre legno utile per la moltiplicazione, lo sviluppo vegetativo delle piante selezionate; interventi agronomici di mantenimento della fase vegetativa. Alla fine del prossimo anno vi sarà il prelievo delle gemme dal legno delle piante prescelte e il loro mantenimento in frigorifero in vivo cui seguirà a marzo 2019 l’innesto delle gemme su portainnesto e messa in camere di forzatura del materiale innestato. A maggio seguirà la posa in pieno campo del materiale ottenuto per il consolidamento dell’innesto e la formazione delle radici. Altro step a novembre col prelievo delle barbatelle dal pieno campo e la preparazione delle barbatelle sino alla loro messa a dimora nel “Vigneto ritrovato” nella primavera del 2020. Dopo un altro anno, al settembre 2021, si avrà la maturazione dei primi grappoli con la prima produzione effettiva nel settembre del 2022 e la presentazione delle prime bottiglie del “Cru vigneto ritrovato” nella primavera del 2023.

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Alto Adige di Giulio Bendfeldt

1919, ecco la grande riserva di Kettmeir 57 mesi sui lieviti, blend di Chardonnay e Pinot nero: queste bollicine hanno già conquistato la critica internazionale

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a spumantistica dell’Alto Adige, sebbene ancora di piccole dimensioni, vanta una sua tradizione che risale a Sissi, agli ultimi anni dell’Austria Felix ,e che dal Secondo Dopoguerra in poi va ricostruendosi grazie ad un manipolo di appassionati produttori. Kettmeir fa parte di questo gruppo e, anzi, ne è stata una dei fondatori riproponendo nel 1965 quella “Grande Cuvée” di Pinot bianco, metodo charmat, che convinse poi altri produttori a mettere in cantiere una nuova generazione di bollicine delle Dolomiti. Una Cuvée che è ancora oggi in catalogo. Bollicine di montagna diverse dalle “sorelle” del Trentodoc con cui – però - hanno in comune il pa-

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trimonio di conoscenze di Edmund Mach e della sua scuola a San Michele all’Adige che, quando venne costituita, aveva il compito di sviluppare l’agricoltura di un Sud Tirolo molto vasto che ricomprendeva anche Trento e le sue vallate. Dalla Cuvée del 1965, dallo charmat lungo allora adottato, si è poi passati alla scelta del metodo classico, con la rifermentazione in bottiglia, ed allo sviluppo di Riserve – 36 mesi minimo sui lieviti, stessa durata di Trentodoc e Champagne, maggiore di Oltrepò Pavese e Cava, lontanissima dai 60 mesi necessari per avere un Franciacorta Riserva - : un percorso step-by-step per arrivare al vertice qualitativo senza fretta, consolidando una produzione di nicchia nella più vasta offerta dell’Alto Adige che non poteva dunque permettersi cadute

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di stile o uscite affrettate di prodotti. Non a caso, la produzione attuale è sulle 250mila bottiglie, lontanissima dai 9,5 milioni del Trentodoc e lontana anche dall’Alta Langa (diciamo, la culla originaria con Gancia del metodo classico in Italia) che la doppia in termini di produzione. Una produzione essenzialmente consumata sul mercato domestico-nazionale, con una quota di export irrilevante. 1919, la Riserva Extrabrut di Kettmeir che porta nel nome la data di fondazione della Cantina di Caldaro, nasce così, nel solco di questa tradizione riscoperta e rinnovata. Il millesimo è il 2011, quindi la permanenza sui lieviti è di 57 mesi dato che la sboccatura di questa annata è avvenuta nel febbraio scorso. Studiata da Josef Romen e dallo staff di enologi del gruppo Santa Margherita (di cui Kettmeir fa parte sin dal 1986), 1919 è un blend di Chardonnay (al 60%) e di Pinot nero. Dello Chardonnay un terzo della massa fa la vinificazione in barrique dove svolge anche la malolattica. Le uve provengono da due distinti vigneti: per lo Chardonnay è quello di Castelvecchio, un balcone a 600 metri slm, che s’affaccia sulla conca “mediterranea” del Lago di Caldaro; per il Pinot nero invece il vigneto è quello di Salorno (tradizionale confine linguistico all’interno dell’Alto Adige), il Maso Reiner, che si trova ad un’altitudine inferiore, sui 350

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metri slm, ed è rivolto a sud-ovest. Due vigneti che, da sempre, forniscono eccellenze e la cui produzione è contingentata a 90 quintali/ettari contro i 130/120 quintali ettaro ammessi dal disciplinare della denominazione per Chardonnay e Pinot nero. La degustazione La Riserva 1919 è un Extrabrut, quindi con un dosaggio di 2 grammi/litro. Sboccata a febbraio, questa bottiglia è stata degustata però nell’estate successiva dando modo al vino di amalgamarsi ulteriormente. All’olfatto sono immediate, potenti e vitalissime, le note balsamiche, di frutta candita, di nocciola e di leggera tostatura. Il palato è molto coerente con l’olfatto: mantiene una bella freschezza e tornano le note di cedro candito, di fiori bianchi, quelle fruttate e di crema pasticcera. Il finale è sapido, molto vibrante, promette di poter evolvere ancora. Chiama una seconda beva ed è davvero facile innamorarsene.

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Attorno al 1860 Carlo Gancia inizia a produrre il suo Gancia-Champagne che vent’anni dopo troverà le prime soddisfazioni internazionali. La prima notizia documentata di uno spumante dell’Alto Adige è del 1902, prodotto da uve Riesling dalla cantina di Champagne d’Oltradige ad Appiano. Nel 1911 è presentato come “Oro d’Oltradige” alla Mostra Vini di Bolzano. Annessione, due guerre mondiali, ricostruzione: lo spumante altoatesino finisce nel dimenticatoio. Nel 1962 Sebastian Stocker ci riprova con un primo brut e nell’anno successivo l’Associazione degli enologi dell’Alto Adige tenta un esperimento da Pinot Bianco. Nel 1964 nasce però il primo vero e proprio spumante altoatesino, la Grande Cuvée Pinot Bianco di Kettmeir. Gli anni ‘70 vedono la nascita degli altri protagonisti: l’altitudine della cantina di Arunda, la passione familiare di Braunbach, gli estremi tempi di invecchiamento di Lorenz Martini, la tradizione secolare di Praeclarus e il piacere di seguire nuove vie di Erste & Neue formano un mosaico che presenta, nonostante una quantità complessiva modesta risultati qualitativi di prim’ordine. Nel 1990 i produttori altoatesini si uniscono nell’Associazione dei produttori di spumante dell’Alto Adige, che nel 1996 è socio fondatore dell’Istituto Talento Metodo Classico. Queste sono le tappe di Kettmeir: 1964 / 1965 - Grande Cuvéè Pinot Bianco Brut (metodo Charmat lungo) 1992 / 1995 - Metodo Classico Brut Athesis (millesimato con la vendemmia 2009) 2000 / 2003 - Metodo Classico Brut Rosè Athesis (millesimato con la vendemmia 2014) 2011 / 2017 - Metodo Classico Riserva ExtraBrut “1919”

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La storia delle bollicine sudtirolesi


Sherry di Filippo Ciardi

González Byass, non soltanto Tìo Pepe Grande degustazione degli sherry di uno dei brand iconici di Jerez

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Unito dove ricevettero una magnifica accoglienza. L’alleanza commerciale tra le famiglie Gonzalez e Byass rimase fino al 1988 quando la seconda si ritirò dagli affari e attualmente la cantina è presieduta dalla 5a generazione della famiglia González. Il carattere imprenditoriale di Manuel María González Ángel si tradusse nell’installazione della luce elettrica nei suoi magazzini due anni prima che nella città stessa (Jerez, insieme a Haro, nella Rioja, fu tra le prime città spagnole dotate di luce elettrica), oltre a portare una linea di acqua purificata alle sue strutture e a collaborare intensamente nel terzo progetto ferroviario della Spagna, così come in molti nuovi impianti industriali precedentemente sconosciuti nel paese.

onzález Byass è una delle imprese storiche produttrici di vino sherry di Jerez. Fu fondata nel 1835 dal giovane Manuel María González Ángel, con il sostegno dello zio materno, José Ángel, Tío Pepe, che gli insegnò tutto sul vino fino al punto di dare nome alle botti di fondazione in cui ancora oggi si legge il nome “Solera del Tío Pepe”. Incoraggiato dal continuo sviluppo delle esportazioni e del crescente successo della sua azienda, Manuel María González decise di associarsi con Robert Blake Byass, il suo agente in Inghilterra, che in una lettera scritta nel 1844 lo raccomandava di vendere un vino “eccezionalmente pallido ...”: erano le prime botti di vino fino Tío Pepe inviate al Regno Euposia

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Sherry

La festa della vendemmia di Jerez de La Frontera, a settembre, è stata l’occasione per provare 5 tipi di vino sherry del marchio González Byass durante una masterclass nell’alcazar di Jerez, abbinati a 5 ricercate “tapas” di Gourmet Cobos catering con il commento dell’enologo della cantina Antonio Flores e del presidente del Consiglio Regolatore dei vini sherry di Jerez e Manzanilla di Sanlucar, Beltrán Domecq. I vini in degustazione sono stati alcuni tra quelli della gamma classica in commercio, dal più secco al più dolce, Fino Tío Pepe, Amontillado Viña AB, Palo Cortado Leonor, Oloroso Alfonso, Pedro Ximénez Néctar. Tra questi vogliamo ricordare i primi tre, secchi, quelli che svolgono parte del processo di invecchiamento sotto il lievito, chiamato flor – fiore, che si forma naturalmente sulla superficie del vino nella botte. Antonio Flores ha evidenziato che il fino a marchio Tío Pepe è il più venduto nel mondo e «nel suo proEuposia

cesso di invecchiamento biologico, la “flor” estende il suo velo bianco protettore evitandone l’ossidazione, conferendo al vino un odor di panetteria, mandorla, sale e mare». L’amontillado Viña AB, definito da Flores come

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«l’incontro tra la vita e la morte del lievito flor», si crea con un processo in parte biologico, durante i primi 4 anni, mentre il vino passa tra le botti criaderas e soleras come se fosse un fino, sotto il velo di flor, e per gli 8 anni successivi invecchiato in botti mentre il lievito si dissolve e «il sapore a mandorla diventa nocciola e si inizia a sentire quello di vaniglia, dando al vino un sapore più complesso». Leonor, come tutti i vini palo cortado, è definito da Flores come il «vino ribelle, il più misterioso, un oloroso delicato», per il suo particolare processo di invecchiamento. I primi riferimenti a questo vino nella cantina datano 1863, mentre nel 1841 veniva chiamato “oloroso fino”. González Byass è stata scelta come la migliore cantina in Spagna e in Europa nella classifica “Top 100 aziende vinicole del mondo 2017”, stilata dall’Associazione Mondiale di Scrittori e Giornalisti di Vini e Liquori (WAWWJ). In particolare, González Byass è il secondo nella classifica mondiale guidata dalla cantina australiana Taylors. La passione della famiglia González per il vino ha portato non solo a estendere la cultura del vino di Jerez a tutti gli angoli del mondo, ma anche a diventare una “famiglia di vini”, che rappresenta fedelmente la diversità enologica della Spagna. Seguendo questo percorso, da più di 30 anni González Byass sta incorporando cantine in aree emblematiche della Spagna, oltre alla storica Tío Pepe. Tra queste, ci sono: Bodegas Beronia -D.O.Ca. Rioja-, Viñas del Vero Euposia

-D.O. Somontano-, Cavas Vilarnau -D.O. Cava-, Finca Constancia -V.T. Castilla-, Finca Moncloa -V.T. Cádiz-, Beronia Verdejo -D.O. Rueda- y Pazos de Lusco -D.O. Rías Baixas. Nel 2016, l’azienda ha anche inglobato la cantina familiare cilena di Veramonte.

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González Byass Viña AB amontillado Dopo la fermentazione, la classificazione e la fortificazione al 15,5% di gradazione alcoolica, il vino entra nelle botti di Tío Pepe, dove trascorrerà più di 4 anni in rovere americano seguendo il tradizionale sistema di travasi tra botti criaderas e soleras. Durante questo processo, il vino subisce un invecchiamento biologico sotto uno strato di lievito noto come “velo di flor”. Dopo questi quattro anni, il lievito inizia a svanire e il vino entra nel sistema delle botti del Viña AB, dove invecchia a contatto con l’aria e comincia ad ossidarsi. In totale, Viña AB passerà una media di 8 anni in queste botti, per un totale di 12 anni. Viña AB è un amontillado molto giovane che ha potuto sperimentare due tipi di invecchiamento, biologico e ossidativo. È un vino elegante di colore topazio. Profumo sottile e delicato, con ricordi di mandorla caratteristici della varietà di uva Palomino e del tempo passato sotto il “velo di flor”. Viña AB mostra anche sfumature che ricordano il legno, le erbe aromatiche, in bocca è amabile con acidità equilibrata e retrogusto prolungato in cui tornano note di frutta secca e di legno invinato. González Byass Leonor palo cortado È prodotto da vini giovani molto fini, inizialmente fortificati fino al 15% in volume alcoolico con l’aggiunta di alcool distillato di vino. Le sue botti sono inizialmente contrassegnate con un “palo” ossia una barra verticale, per essere destinate a invecchiamento biologico, ma in una seconda classificazione, se i degustatori notano l’esistenza di determinate caratteristiche molto specifiche del vino in alcune delle botti in cui è stato mantenuto il lievito flor, le segnano come potenziale palo cortado disegnando una linea orizzontale attraverso la barra verticale, segno da cui deriva il nome. Il vino viene dunque nuovamente fortificato fino al 18% in volume alcoolico, cambiando così il processo di invecchiamento in ossidativo, in quanto sopra i 17 gradi alcoolici il velo di lievito flor scompare. In totale il vino invecchia in botti di rovere per 12 anni, e raggiunge un grado alcoolico finale del 20%. Di colore da castano a mogano, si tratta di un vino di grande complessità che unisce il delicato bouquet di un amontillado al corpo e al palato di un oloroso, con possibili note citriche, che ricordano l’arancia amara, e di burro fermentato.

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González Byass Tío Pepe fino Tío Pepe è stato il primo vino fino ad arrivare in Inghilterra nella metà del diciannovesimo secolo e ha cominciato gradualmente ad avere un grande riconoscimento in tutti i mercati. Nel 1935, nel centenario della fondazione delle cantine, il capo propaganda, Luís Pérez Solero, disegnò una serie di immagini vestendo ciascuna delle bottiglie con diversi tipi di abbigliamento, tra cui si differenziò l’icona del Tío Pepe, raffigurato con cappello a tesa larga e giacca rossa andalusa, con le braccia sui fianchi e chitarra spagnola sul lato. Il simbolo del Tío Pepe da allora ha aiutato l’immagine internazionale del marchio, che ora è presente in più di 100 paesi ed è probabilmente uno dei più riconosciuti in Spagna, dove tra l’altro è presente come gigantografia di metallo al lato di alcuni tratti delle autostrade. Tío Pepe è di colore dorato pallido, simile al topazio, pulito e brillante. Di aromi pungenti e delicati, molto eleganti, con un bouquet potente con note di mandorle e note di pasta fresca di pane, tocchi distintivi del “flor”. Al palato ricordi di mandorle, lasciano una piacevole sensazione di freschezza. Molto secco, con un retrogusto lungo e complesso.


Lambrusco di Enzo Russo

Cinquant’anni di sviluppo Cambio al vertice della Denominazione: ecco il programma di Claudio Biondi

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opo 24 anni Pierluigi Sciolette lascia la guida dei Consorzi dei Lambruschi DOC modenesi. Preso atto delle dimissioni, all’unanimità i consiglieri hanno eletto Claudio Biondi, nominandolo Presidente del Consorzio Tutela del Lambrusco di Modena e del Consorzio Marchio Storico dei Lambruschi Modenesi. Nato nel 1960 a San Cesario sul Panaro, Claudio Biondi imprenditore agricolo da 38 anni, dal 2015 ricopre il ruolo di Vice Presidente di Cantine Riunite & CIV, di Vice Presidente di GIV Gruppo Italiano Vini ed è Consigliere nazionale di Lega Coop Agroalimentare. Altri incarichi ricoperti sono stati quelli

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di vice presidente di APOFRUIT Italia, importante società cooperativa del comparto ortofrutticolo. “Ringrazio Pierluigi Sciolette – ha dichiarato il Presidente Biondi – per l’impegno e la lungimiranza che hanno caratterizzato i suoi mandati alla guida dei Consorzi per la tutela, la promozione e la valorizzazione del Lambrusco DOC. A lui e ai consiglieri che hanno espresso la loro fiducia eleggendomi chiedo di starmi vicino con il sostegno, le proposte e i consigli che non vorranno farmi mancare. Sono però già in grado di indicare alcune linee essenziali per i prossimi mesi: il primo tema è quello delle funzioni istituzionali che svolge il Consorzio - quest’anno traguarda i 50 anni di attività - per salvaguardare

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Il presidente Claudio Biondi a fianco della DS5, l’elegante auto che ci ha accompagnati nel mondo del Lambrusco con sicurezza e tranquillità.

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Lambrusco

il Lambrusco e le attività imprenditoriali collegate a questa eccellenza del nostro territorio”. Il secondo tema è quello di individuare strategie possibilmente condivise per creare sviluppo e opportune di energia che sa quello che vuole. Ha le idee ben nità di miglioramento economico a favore di tutte le chiare e ben definite su come “rilanciare” il Lambruimprese del settore vitivinicolo. In questo quadro sco nel suo insieme. Un made in Italy molto imporsi inseriscono le azioni di registrazione del marchio tante per l’economia emiliana ma anche per il nostro “Lambrusco” nei Paesi extra UE, la collaborazione Paese. E’ una giornata calda, afosa ma dall’Appennicon gli Istituti Universitari per la ricerca scientifica no modenese sembra arrivare un aria molto fresca e in campo agronomico e nelle fasi di produzione per ben rassicurante. affermare l’origine geografica del Lambrusco, il proIn aprile c’è stato il cambio della guardia tra getto di certificazione ambientale del territorio viti- Pierluigi Sciolette e lei alla guida del Consorzio del colo DOC, in buona sostanza garantire le scelte del Lambrusco. Da oggi è il nuovo Presidente proprio consumatore. in occasione dei festeggiamenti Terzo tema di ampio interesdel cinquantesimo anno di atFunzionamento se è quello della comunicazione, tività del Consorzio costituito dobbiamo promuovere il Lamnel 1967. Le chiedo quale è la del Consorzio, brusco con l’obiettivo di dare vimissione principale “nei primi tutela del marchio, sibilità alla tradizione e diffondecento giorni” per promuovere il re la cultura del nostro territorio. nuova comunicazione: Lambrusco e come intende sviCome si vede il nuovo Presilupparla. queste le prime dente Biondi si è presentato in “La prima cosa è capire qual’è Consiglio con un programma di la produzione reale di Lambrulinee di azione lavoro molto impegnativo accomsco, avere un monitoraggio prepagnato da un biglietto da visita ciso e puntuale delle situazioni di tutto rispetto con una importante esperienza ma- in collaborazione con gli organismi istituzionali che turata in diversi settori che certamente saranno un si occupano di queste cose. Quindi un monitoraggio valore aggiunto per il Consorzio che in questo mo- dell’attività produttiva e dei consumi su basi mensimento particolare ne ha un grande bisogno. li per capire i numeri. Ovviamente a tutto questo ci Il Presidente Biondi lo incontriamo nella sede del sono le tutele perché il nostro è Consorzio di tutele Consorzio a Modena ed è anche l’occasione di cono- e promozione, quindi noi ci poniamo l’obbiettivo scerlo di persona. Sorprende la sua figura giovane e di registrare questo marchio nel maggior numero l’abbigliamento sportivo che fa subito pensare a una di Paesi extra UE, perché tutti i giorni assistiamo ventata di aria fresca. a tentativi di imitazione del Lambrusco prodotto in Ci accoglie sorridendo, ma si capisce subito dalla alcuni Paesi. L’altra cosa sarà la mappatura precisa stretta di mano che è una persona determinata pie- delle aziende e commissionare uno studio per vede-


Lambrusco

Un’altra grande sfida: produrre sostenibili nel cuore della Pianura Padana

re se ci sono le condizioni per certificare i territori di produzione del lambrusco a Modena e a Reggio E.. Capire se ci sono le condizioni di fattibilità per rendere questo territorio certificabile con la sostenibilità ambientale che da vantaggi al consumatore, al produttore e ai trasformatori. Il nostro è un territorio fortemente antropizzato dove da oltre trent’anni si applicano i disciplinari di produzione a lotta integrata, ma vogliamo fare un ulteriore passo per rendere la sostenibilità completa del territorio. Noi abbiamo all’interno del Consorzio tutta la filiera. Ci sono le aziende agricole, i produttori, le Cantine Sociali e i trasformatori. Quindi una filiera completa nella quale quale ognuno deve avere la giusta remunerazione. Abbiamo la fortuna di avere un prodotto genuino ad un prezzo accessibile ed abbiamo ampliato la gamma. Negli ultimi anni sono nati dei rosati di alta qualità. Quindi non più la sola sfida da presentarlo come solo vino pasto ma un prodotto che può essere consumato in diverse occasioni della giornata anche come aperitivo”. A quale prodotto si riferisce. “Il Lambrusco ha tre denominazioni, Grasparossa, Sorbara e Salamino di Santa Croce e poi il Modena, un blend fatto con i tre vitigni. Sono tutti prodotti diversi con caratteristiche organolettiche ben definite. Prendiamo ad esempio il Sorbara, si presta ad essere consumato come aperitivo oppure ad un Lambrusco Salamino o Grasparossa abbinati a cibi importanti. Tutto questo per dire che le diverse tipologie di Lambrusco hanno dei “compiti” ben precisi a tavola, l’importante è saperli abbinare al cibo giusto. Consideriamo anche che le bollicine sono tornate di moda con un calo dei consumi dei vini bianchi fermi. Ed in estate le bollicine di Lambrusco, che vanno bevute fresche, possono essere un ottimo abbinamento in qualsiasi occasione conviviale”. E all’ora che cosa pensate di fare per valorizzare il Lambrusco. “Sicuramente pensiamo

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di proseguire la campagna di comunicazione e promozione al di fuori di quello che è il bacino degli addetti ai lavori. Faremo campagne stampa, azioni mirate verso il consumatore e poi tanto estero. Abbiamo già degli importanti appuntamenti all’estero, vogliamo portare il Lambrusco al di fuori dei nostri confini in Paesi che si stanno avvicinando per la prima volta al consumo del vino, pensiamo alla Cina e al Centro America, dove il rapporto qualità prezzo deve far si di rilanciare questo prodotto al di fuori di quelli che sono i consumatori abituali che molto spesso sono abituati a vedere il lambrusco a fianco di un piatto di pasta. Non è solo questo, grazie alla tenacia dei produttori e dei trasformatori che hanno innalzato tantissimo la qualità in questi ultimi anni, il Lambrusco si presenta a tutto tondo come un vino da bere in qualsiasi momento della giornata. E’ un vino frizzante, giovane con un prezzo accessibile a tutti. Tra l’altro la fermentazione in autoclave o in bottiglia dà un vino molto versatile, frizzante e spumante, rosso o rosato, secco o amabile. Quindi un Lambrusco

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Lambrusco per le sue caratteristiche si fa apprezzare dal consumatore giovane in moltissime occasioni come l’happy hour”. Come sta andando il consumo del Lambrusco in Italia. “Il Lambrusco è il vino italiano più comprato nella Grande Distribuzione, sicuramente si conferma una scelta vincente per il rapporto qualità-prezzo. Sta invece calando la richiesta del bottiglione da 1 litro e mezzo, stanno cambiando le famiglie come numero di persone. La tendenza è l’acquisto di bottiglie da 750 e 350 cc. Il consumo del Lambrusco non sta andando male, ci sono ancora molte famiglie che lo comprano in damigiana e se lo imbottigliano. Certamente il Lambrusco è un prodotto che merita di più e noi del Consorzio abbiamo il dovere di farlo conoscere bene, promuoverlo, valorizzarne le diverse tipologie di consumo con i cibi, soprattutto all’estero dove gli stili di vita sono diversi. Pensiamo agli Stati Uniti o alla Cina che fino a poco tempo fa erano abituati a bere vini francesi o altre bevande. Per cui la sfida è. dati di vendemmia, dati di consumo, campagne commerciali e individuare mercati nuovi. Milano rientra nei nostri piani. Infatti a novembre ci sarà un evento, la Prima Rassegna del Vino Cooperativo in Italia. Tutte le Aziende cooperative vitivinicole del territorio italiano si daranno appuntamento in un ex opificio industriale per presentare questo prodotto fatto da migliaia di soci. Tra l’altro in Consorzio coesistono realtà diverse, Cantine Sociali, famiglie storiche modenesi e reggiane, che fin dal secolo scorso svolgono l’attività di imbottigliatori e questo è un grande valore aggiunto. La nostra sarà un azione a tutto campo perché crediamo nel nostro Lambrusco, un vino che ha percorso tutta la storia d’Italia”. “Il vero Lambrusco è quello che viene prodotto nel modenese e reggiano”, ci ripete con orgoglio il Presidente Biondi prima di salutarci.

a tutto pasto, per l’aperitivo o l’happy hour e per la convivialità”. Presidente, ogni anno si svolge a Modena la manifestazione Lambrusco Mio, interessante e bella ma si svolge sempre nell’ambito modenese, lei non pensa sia il caso di esportarla anche in altre città come Milano dove ci sono moltissimi ristoranti, enoteche, locali d’intrattenimento dove l’happy hour è diventato l’appuntamento più importante per i milanesi e poi i navigli dove la movida by night si fa più intensa? “ La manifestazione Lambrusco Mio è stata fatta quest’anno dopo anni che non la si faceva. E’ stata fatta la scelta in modo diverso, l’abbiamo realizzata in una cornice prestigiosa, Palazzo dei Musei, per significare il legame molto forte con la cultura e la storia del territorio. Al Vinitaly di quest’anno abbiamo dato molto spazio ai produttori del Lambrusco nell’ambito dell’iniziativa Via Emilia. Per quanto riguarda Milano, una città interessante sotto tutti gli aspetti, da tempo ci stiamo pensando, dobbiamo capire e valutare bene come impostare l’evento e sapere in linea di massima quali sono i ristoranti disposti a mettere nella carta dei vini il Lambrusco. Perché noi possiamo realizzare una bella manifestazione di degustazione e promozione del Lambrusco e fare investimenti nella comunicazione, ma se il consumatore il giorno dopo non lo trova in enoteca o al ristorante? Abbiamo fatto un buon lavoro che però non ha prodotto nessun beneficio. Certamente troveremo il modo per promuovere alcune tipologie come il Lambrusco di Sorbara, un vino fresco e frizzante che

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Franciacorta di Enzo Russo

Franciacorta da annata Riserva Franciacorta docg Secolo Novo millesimato Cinque annate racchiuse in 15 anni

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on 47 ettari di vigneti e 500 mila bottiglie vendute nel mondo, è una delle più importanti realtà del territorio, che ogni anno donano milioni di bollicine millesimate docg agli appassionati del buon bere. Stiamo parlando dell’Azienda Agricola Le Marchesine– Franciacorta, rinomata per le qualità organolettiche dei suoi millesimati nelle diverse tipologie. Per ribadire queste peculiarità, Loris Biatta patron dell’azienda, quest’anno l’ha dedicata al Franciacorta docg Riserva Secolo

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Novo Millesimato con una verticale, proponendo in degustazione cinque annate: 2009 – 2006 – 2004 – 2002 e 1995. Ognuna di esse ha saputo raccontare, secondo le proprie caratteristiche, le peculiarità delle diverse vendemmie. Questa, infatti, la sfida che ogni anno l’azienda Le Marchesine si pone con i propri millesimi: contraddistinguere l’annata, la longevità e la grande forza di questo vino e valorizzare il terroir. La bollicina millesimata che ha conquistato tutti è stata il 2004, annata che ha sfiorato l’eccellenza. In

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Franciacorta evolutivo che ha caratterizzato le diverse vendemmie degustate. Le 5 annate, racchiuse in15 anni, hanno dimostrato come si evolve col passare degli anni questo vino. Colpisce subito la freschezza e l’eleganza. Poi si fa notare per il perlage finissimo e persistente che arriva al naso con grande piacere. Grande struttura e notevole morbidezza caratterizzano questo prodotto. Potenza, generosità e ricchezza sono le prerogative migliori di questo Franciacorta, complesso e ampio al naso, in bocca appare meravigliosamente morbido e persistente. Rappresenta perfettamente la filosofia della “bollicina a tutto pasto”.

bocca si apre donando al palato sensazioni uniche, lungo e persistente, bollicine scoppiettanti con profumi di frutta, una buona acidità e mineralità. Anche le altre annate non hanno deluso come il 2009, fresco e ricco di profumi e tante bollicine che sembravano in processione, belle da vedere. La sorpresa è stata l’annata del ‘95 che ha dimostrato la longevità di questo Chardonnay che nasce sulla collina la Santissima di Gussago, un vino ancora fresco, non ossidato e ancora carico di acidità. In bocca risulta caldo e lungo, il colore è intenso, ricco di profumi, buona schiuma con bollicine quasi persistenti. L’inestimabile vanto de Le Marchesine è presentare in degustazione non prodotti di annate storiche con sboccature recenti, bensì i medesimi prodotti che venivano commercializzati negli anni passati. Ecco allora che assaporare un Franciacorta docg Secolo Novo Millesimato con un carattere così ben delineato ed una vitalità ancora ben marcata non può che emozionare e conquistare anche i palati più esigenti. Con la preziosa guida di Loris Biatta, gli esperti giornalisti hanno potuto ripercorrere il cammino

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Il Franciacorta docg Riserva Secolo Novo Brut Millesimato nasce da selezioni clonali di uve Chardonnay con vendemmia a mano. Le bottiglie vengono accatastate in locali di affinamento a temperatura controllata (12° - 14°) per almeno 48 mesi che lo portano ad assumere un particolare profumo e sapore con un lungo e finissimo perlage. Si presenta di colore giallo paglierino brillante

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Franciacorta

con riflessi oro-verde. Al naso si percepisce la nocciolina tostata, margarina, note mentolate e di cedro candido. Avvolgente e rotondo al gusto e grande equilibrio tra acidità e sapidità. Nell’insieme è un vino elegante e dalle grandi occasioni. Le cinque annate degustate sono anche il frutto del profondo legame che il vignaiolo Loris Biatta ha con il territorio, sempre alla ricerca dell’eccellenza che non è solo una missione commerciale, ma soprattutto una vocazione e un gesto d’amore. Se ne accorgono anche i visitatori, ad accoglierli non trova

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l’impeccabile e freddo benvenuto standardizzato di strutture pensate come attrazione turistica, ma il fascino autentico della storia e dell’attualità del Franciacorta e il calore e l’entusiasmo di chi, con spirito di sacrificio tutto bresciano, dedica la vita a queste vigne. Quella delle Marchesine è una storia unica che rende l’esperienza della degustazione più completa e gratificante. Le Marchesine si confermano ancora una volta come una delle più importanti realtà vitivinicole della Franciacorta, dalla cui cantina escono importanti vini di diverse tipicità.

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Alto Adige

Il Tannat che nasce a Magrè è firmato da Alois Lageder

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ebutta il 2014 Casòn Rosso con una profonda evoluzione di una delle etichette simbolo di Alois Lageder. Per la prima volta, infatti, questo vino contiene, nell’annata 2014, ben l’80% di Tannat, mentre le precedenti annate ne contenevano il 5%. Il Tannat si può definire un vitigno esotico per l’Alto Adige, originario del sud-est della Francia e, oggi, anche vitigno principe dell’Uruguay. A metà degli anni Ottanta, le prime previsioni sui futuri cambiamenti climatici spinsero Alois Lageder a prendere in considerazione vitigni diversi e a coltivarli a titolo sperimentale, per capire se e in quale misura fossero idonei a sopportare temperature medie più elevate e condizioni atmosferiche estreme. Vennero quindi piantate, tra le altre, tipologie d’uva di zone viticole dell’Europa meridionale che, nella visione del vignaiolo di Magrè, coltivati nella Bassa Atesina, si sarebbero distinti per un’acidità più elevata e una gradazione zuccherina più moderata. Fra questi vitigni figurava appunto anche il Tannat – impiantato a Cason Hirschprunn a Magrè, su terreni sabbiosi, pietrosi e con calce dolomitica facilmente riconoscibile nei vigneti per il colore rosso dei suoi piccioli, che di anno in anno prospera, arriva a piena maturazione e conserva una freschezza incredibilmente elevata, presupposto ottimale per produrre vini rossi d’eccellenza. I vigneti hanno un’età compresa fra 21 ed i 58 anni e vengono lavorati secon-

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do i dettami dell’agricoltura biologica. Dopo la vinificazione, il vino svolge in acciaio la fermentazione malolattica, cui seguono circa 18 mesi di affinamento in barrique e altri undici mesi in vetro. Uno degli obiettivi più importanti – che intende perseguire anche la sesta generazione Alois Clemens Lageder - è proprio quello di dar vita a un processo di sviluppo che metta in condizione l’azienda di garantire e migliorare la qualità dei vini anche negli anni a venire, contribuendo in questo modo a far crescere la realtà vinicola altoatesina nel suo insieme. L’azienda, a conduzione familiare e con alle spalle una tradizione nel vino di quasi due secoli, è caratterizzata da un approccio olistico e sostenibile, che si rispecchia nella sua scelta di coltivare secondo il metodo biologico-dinamico. La Tenuta Alois Lageder cerca di trarre spunti e insegnamenti preziosi dalla tradizione da adoperare in vista di uno sviluppo futuro. Sperimentando nel vigneto e in cantina, cerca di alzare sempre più l’asticella della qualità e di acquisire nuove conoscenze, studiando i cambiamenti climatici e producendo vini che raccontino la diversità che caratterizza l’Alto Adige. Il 2014 Casòn Rosso – che nasce ad un’altitudine di 230-360 metri s.l.m. - si presenta di un rosso ciliegia con riflessi violacei. In degustazione è intenso, corposo e fruttato, si ritrovano prugne e more, note di cuoio e di affumicato, dovute queste ultime all’affinamento in legno.

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di Daniela Scaccabarozzi

Franciacorta: la magnifica dozzina

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Franciacorta

Arrivata alla maturità, la DOCG ora punta al futuro: biologico e mercati internazionali. Nella vostra cantina, intanto, fate spazio per queste bollicine!

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l Franciacorta compie i suoi primi cinquant’anni di riconoscimento dalla DOC e redige il bilancio dell’attività finora svolta. Mezzo secolo di storia, di sperimentazioni, di innovazione tecnologica e di suc-

ciacorta” e poi via via cercando di migliorare sempre più questo vino, fino ad arrivare ad essere il primo territorio viticolo italiano a dotarsi di un metodo di autocontrollo dell’impronta carbonica. Oggi l’impegno e l’attenzione in favore dello sviluppo ambientale è molto sentito e viene portato avanti anche con il contenimento dei consumi idrici, il ricorso alle fonti energetiche sostenibili, il regolamento dei fitofarmaci, ecc. Innovazione tecnologica: parola che va a brac-

cessi. Si perché tanta strada ha fatto finora questo piccolo triangolo di terra circondato da dolci colline di origine morenica e dalle condizioni climatiche ottimali posto tra il lago d’Iseo, la pianura e la Valcamonica che gli conferiscono una continua ventilazione con un regolare apporto idrico, senza ristagno di umidità. Storia: perché la vite è presente fin dalla preistoria e perché il territorio è costellato da monasteri, castelli e torri medioevali. Il suo nome ci riporta alle “Corti Franche” ed al momento in cui, dopo la venuta dei monaci cluniacensi, questa zona beneficiò di libero scambio nel commercio (curtes francae). Sperimentazioni: perché tanto è stato fatto per arrivare al Franciacorta di oggi, a partire da quando nel 1961 il primo spumante fatto con il metodo classico vide la luce per mano di Franco Ziliani che lo battezzò “Pinot di Fran-

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Franciacorta

cetto con la sostenibilità e che in Franciacorta è sicuramente presente soprattutto in cantina dove si è molto sviluppata, grazie anche alla mentalità imprenditoriale di questa gente. E’ la parola d’ordine sia per il prodotto che per il territorio. Successi: Nessuno può negare che grazie alla passione ed all’arte del fare, il Franciacorta sia quindi diventato un’icona di tutti gli spumanti a livello nazionale. Una terra che si è trasformata radicalmente rispetto ai suoi esordi. Un vino simbolo di un ter-

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ra e che si fonde con essa, tanto da rappresentarne l’essenza. E’ stato anche il primo vino italiano, prodotto esclusivamente con il metodo della rifermentazione in bottiglia, ad ottenere nel 1995 la DOCG. Oggi le cantine associate al Consorzio sono 116 distribuite su 2.800 ettari vitati in 19 Comuni e si interrogano su quale sarà il loro futuro. Gli obiettivi che si sono poste sono diversi e tutti ambiziosi. Innanzitutto il tema del biologico, dato

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Bellavista Franciacorta Extra Brut Vittorio Moretti 2008 Uno dei produttori più noti dove nascono alcuni degli spumanti più particolari. Una cantina fra le più moderne della Franciacorta dove lo stile maniacale che contraddistingue tutta la produzione, riesce a concepire degli spumanti dallo stile molto personale. Uve: Chardonnay 58% e Pinot Nero 42% Colore: giallo dorato. Naso: complesso, con sentori di frutta matura, miele, piccola pasticceria. Bocca: si conferma complesso, elegante, molto equilibrato, bella acidità, piuttosto sapido, morbido. Lunghissima persistenza. Voto: 98/100 Ferghettina Franciacorta Saten Brut 2005 Cantina nata nel 1991 costruita in posizione panoramica su terreni di origine calcarea, fondata da Roberto Gatti che porta avanti, insieme ai due figli, una produzione costante spalmata su 400.000 bottiglie in 7 tipologie, calibrando complessità, longevità piacevolezza. Uve: Chardonnay 100% Colore: giallo brillante. Naso: fragrante, fruttato, con note agrumate. Bocca: Morbido, cremoso, discretamente sapido e persistente. Voto: 92/100 Ricci Curbastro Franciacorta dosaggio zero Gualberto 2008 Sorge in un parco secolare, questa storica azienda dalle antichissime tradizioni rurali, che porta avanti la sua attività di padre in figlio e che vinifica solamente le uve di sua proprietà.

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che sempre più sono le vigne coltivate secondo il regolamento biologico e che aumentano di pari passo alla sensibilità dei produttori ed alla loro volontà di salvaguardare il futuro di questo “terroir”. Nel 2016 la Franciacorta è la prima Denominazione a livello internazionale per quota di viticoltura bio. Al momento sono già 965 gli ettari gestiti con questo tipo di coltivazione ed 898 sono in fase di conversione. Il secondo obiettivo è quello di promuovere e sviluppare le potenzialità turistiche, soprattutto quelle legale al turismo enogastronomico. Le vigne, che disegnano il paesaggio, sono un patrimonio culturale che va difeso e fatto conoscere. La Strada del vino della Franciacorta è un percorso di 80 km. nato nel 2000 per proporre all’eno-turista un’offerta completa, grazie anche ai molti eventi organizzati dalle cantine. E’ inoltre in programma la realizzazione di una pista ciclabile lunga 60 km. che si snoderà lungo 13 Comuni del lago d’Iseo. Anche i margini di crescita sul mercato export sono ancora ampi, dato che attualmente si attesta intorno al 10%, mentre l’obiettivo è di cercare di arrivare intorno al 50%. Al momento il primo mercato è quello del Giappone, seguito dalla Svizzera e dalla Germania. Gli USA e la Cina rappresentano i prossimi traguardi. Ed infine la costruzione di una identità territoriale unica che deve differenziarsi da tutti, in primis dai cugini francesi della Champagne, alla quale spesso questa zona viene paragonata, accusata anche di scimmiottare il loro vino, dando vita ad un prodotto che ha poca personalità e dove gli stessi Franciacorta si assomigliano tra di loro. Il segreto sarà quindi quello di sapersi distinguere, valorizzando i singoli territori.


Uve: Pinot nero 70% e Chardonnay 30% Colore: giallo brillante con riflessi dorati. Naso: Frutta matura, nocciola tostata, miele, pasta frolla. Bocca: Complesso, minerale, fresco, con una bella acidità. Voto: 94/100 Quadra Green Vegan Brut Giovane realtà nata nel 2003, che fonda sulla ricerca e sulla sperimentazione la sua filosofia. L’enologo Mario Falcetti, ha effettuato coraggiosamente delle scelte che lo hanno portato a certificare l’azienda “green vegan” nel 2015, unica nel territorio. Uve: Chardonnay 70%, Pinot Bianco 27% e Pinot Nero 3% Colore: Giallo paglierino brillante. Naso: Complesso con profumi di fieno, agrumi, pasticceria, note tostate, frutta bianca e gialla mature. Bocca: Morbido, cremoso, avvolgente, di struttura. Lungo affinamento. Voto: 93/100 Faccoli Franciacorta Dosage Zero 2010 Famiglia di viticoltori giunti alla seconda generazione, che cura tutte le fasi di produzione sia in cantina che in vigna e che custodisce un patrimonio vitato con viti che superano anche i quarant’anni. Il loro primo metodo classico uscì nel 1979. Uve: Chardonnay 65%, Pinot Bianco 30% e Pinot Nero 5% Colore: Giallo dorato. Naso: Ricco ed intenso, dominato da ananas, biancospino, nocciola tostata ed erba lemoncina. Bocca: Robusto, minerale, con ritorni di miele e leggera tostatura. Molto buona la persistenza. Voto: 94/100

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Uberti Franciacorta Dosaggio Zero Sublimis 2008 Azienda storica fondata nel 1793, ormai totalmente convertita al biologico, posizionata in un’area molto ben esposta, grazie al contesto geologico e microclimatico, che conferisce ai suoi vini degli alti valori di acidità e che danno vita a vini longevi. Uve: Chardonnay 100% Colore: Giallo paglierino Naso: Suggestivo ed intrigante, con un bouquet di frutta matura, miele, cacao, erbe aromatiche ed una leggera speziatura. Bocca: Pieno, cremoso, sapido, fresco, con una lunga persistenza. Voto: 95/100 Fratelli Berlucchi Franciacorta Brut Casa delle Colonne Riserva 2010 Cinque fratelli conducono saldamente l’azienda di famiglia, coadiuvati dall’esperto enologo Cesare Ferrari che da oltre trent’anni cura la produzione nel rispetto totale della terra, eliminando l’uso di sostanze nocive. Si vinificano solo uve dei loro appezzamenti. Uve: Chardonnay 80% e Pinot Nero 20% Colore: giallo paglierino Naso: Fine e delicato con note di frutta bianca, pompelmo rosa, resina, erbe aromatiche. Bocca: Fresco, minerale, con una bella acidità e discreta sapidità. Voto: 93/100 Tenuta Ambrosini Franciacorta Brut Dosage Zero Nihil Piccola realtà giunta alla terza generazione che ha aumentato di recente la sua produzione, ampliando e modernizzando la

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sua cantina. Uve: Chardonnay 85% e Pinot Nero 15% Colore: giallo paglierino Naso: Ampio e fragrante di melone, verbena, pompelmo e note minerali. Bocca: Austero, fresco, con finale agrumato e minerale. Voto: 92/100 Massussi Franciacorta extra-brut Rosè Cuvée del Lago 2011 Luigi Massussi è uno dei più giovani e piccoli produttori della Franciacorta; sta in una delle aziende più a settentrione della denominazione. La cantina si sta ingrandendo con nuovi vigneti per portare la produzione a 15.000 bottiglie annue (in conversione al Biologico). Questa Cuvée del Lago Rosè è un blend di Pinot Nero 70%, Chardonnay 15% e Pinot Bianco 15% Lo Chardonnay della cuvée è del millesimo 2010 ed è stato affinato in barrique. Rifermentazione per 36 mesi. Colore rosa tenue. Le prime impressioni al naso raccontano di frutti di bosco, ribes e fragola selvatica. Presenti anche note più erbacee e balsamiche. I profumi sono netti, molto fini e davvero ben delineati. Il palato conferma le ottime impressioni dell’olfatto. Ampio, di bella struttura, tornano note fruttate supportate da una bella spalla acida, note minerali spiccate ed un finale dove torna la frutta rossa e note più balsamiche. Molto elegante ed equilibrato. Ottimo il perlage e la persistenza. Molto appagante. Un vino prezioso, di altissima qualità, da avere in cantina. Voto: 96/100 Guido Berlucchi, Palazzo Lana Satèn Franciacorta Docg Riserva 2008 Un sontuoso, e superbo, Satén Riserva 2008 che Guido Berlucchi, la

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maison di Borgonato guidata oggi dai figli di Franco Ziliani, pone al suo vertice qualitativo: la collezione Palazzo Lana. Le uve sono esclusivamente Chardonnay, provenienti dalle tre vigne di proprietà, allevate ad alta densità d’impianti: Arzelle, Mancapane e Castello. Sono 90 quintali per ettaro, soltanto un terzo come resa in mosto, per 3.600 bottiglie a ettaro. Pressatura soffice dei grappoli, fermentazione in parte in acciaio e in parte in barrique di rovere per sei mesi. A primavera si assembla la cuvée, si imbottiglia e poi per sette anni si lasciano lavorare i lieviti per la seconda fermentazione. Il millesimo degustato – brut come zuccheraggio – è il 2008. A nove anni dalla vendemmia questo vino si presenta ancora estremamente fresco e vitale, con al naso note immediate di fiori bianchi, frutta a pasta gialla, crema pasticceria ed un gradevole sentore di tostatura. Il palato è di struttura, ampio, potente, molto coerente al naso, con note più ammandorlate e di vaniglia sul finale, supportate da una nota di cedro candito. Cremoso, molto vitale e persistente. Di beva piacevolissima, molto invitante Voto: 97/100

Cà del Bosco Franciacorta Riserva Dosage Zero Noir 2007 Questo Pinot nero in purezza nasce in tenuta Belvedere – tre corpi di vigna circondati da boschi a Iseo, a 466 metri di altitudine, sulle colline che delimitano a sud il lago – e punta all’essenziale, all’assenza di compromessi. Dopo la pressatura soffice, singolarmente, delle uve provenienti dai tre vigneti e la vinificazione in bianco, il vino base eleva per cinque mesi in barrique. Dopo cinque mesi si arriva all’assemblaggio dei vini ed al tiraggio. Servono poi altri otto anni di rifermentazione in bottiglia cui segue il degorgement (brevetto di Cà del Bosco, senza contaminazioni di ossigeno) senza l’aggiunta della liquer di expedition. Zero aggiunte, l’essenza del frutto. Al naso è potente, maschio, con note balsamiche. Il palato è coerente, pieno, cedro candito che si lega ai frutti rossi. Vibrante, molto vivo, promette longevità. Voto: 98/100

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Toscana di Carlo Rossi

Monteverro, essenza di Maremma

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Toscana

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Toscana

Promettono bene i nuovi vini a quattro mani Taunay-Rolland

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utto parla di amore a Monteverro e del sogno di un giovane e talentuoso esponente di una importante famiglia imprenditoriale tedesca, i Weber, storicamente attiva nel settore del giardinaggio. Raggiunta la maggiore età il padre di Georg propone al figlio, well educated in economics studies, di dimostrare il suo valore prima di assumere incarichi al vertice dell’azienda. Georg Weber, nato in Germania , ha seguito corsi di studio in Business e Management in vari stati europei. Negli anni la sua passione per il vino lo ha portato ad approfondire questo settore ed è diventato un grande collezionista. Il passaggio dalla collezione di vini pregiati alla decisione di produrli in proprio è stato un attimo. Per attuare questo sogno ha visitato molti siti in un gran numero di paesi alla ricerca dei terroir più adatti alla produzione del vino, fermandosi infine in Toscana, a Capalbio, e dando vita a Monteverro IGT. Oggi Georg Weber e sua moglie Julia guidano

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la giovane Cantina – 50 ettari di cui 30 già in produzione - coadiuvati da un team di esperti a livello internazionale: il loro comune obiettivo è quello di portare un giorno i vini di Monteverro a far parte della cerchia dei vini più prestigiosi del mondo. I pendii ripidi della tenuta accolgono shiraz, cabernet franc e sauvignon, merlot e vermentino. Niente Sangiovese. Vendemmia rigorosamente manuale nei vigneti a ritocchino, in cantina i tini troncoconici d’acciaio sono sollevati da terra e le barriques francesi da ben 26 tonnellerie! Completano il quadro la scelta, anche questa dopo anni di prove e sperimentazioni, di dare il via al processo di certificazione biologica che si concluderà nel 2019 con la certificazione. In cantina non si vedono tubi, l’approccio è di tipo olistico, rivolto alla eliminazione di indesiderati campi magnetici . Un sistema di raffreddamento a pavimento, l’esperienza degli antichi si vede, senza cedere all’eccesso di modernità attraverso la spinta di termoconvettori, e la presenza di intercapedini per canalizzare il più possibile naturalmente l’aria

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Toscana

fresca che proviene dalla collina, la maniacale ricerca della pulizia, completano una splendida cantina di design. Poco cemento, solo dove è indispensabile come nei cordoli e zero ferro, in modo da evitare quelle gabbie di Faraday che con le correnti statiche finiscono sempre con il creare dispettosi campi magnetici. Qui il vino deve stare fino a quattro anni e se l’ambiente è così armonico da divenire impercettibile, allora siamo sicuri che il vino si sentirà bene e diverrà ancor più buono. «Questa sensibilità per le “forze deboli” l’abbiamo imparata dalla nostra maestra natura» racconta un Michel Rolland, capo consulente sin dall’avvio del progetto Monteverro, che incontriamo in occasione del “Monteverro en primeur” , per così dire, dato che si sta studiando il miglior blend per un’altra annata assai positiva, il 2016. Cuore italiano, precisione teutonica, esperienza internazionale sono i pilastri di Monteverro nella vision di Georg Weber, attento ed umile “camminatore della terra” capace di offrire ancora emozioni da ricordare. «Monteverro è il nostro vino icona, una cuvée di Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot e Petit Verdot, quello che si può definire un premier grand cru toscano, sinonimo di assoluta qualità e carattere inconfondibile» racconta il direttore commerciale Andreas Comploj, di origine delle Dolomiti, grande e profondo conoscitore della coltivazione di montagna e biodinamica nell’Alto Adige con Alois Lagader. La qualità è garantita grazie alla massima cura in vigna e alla selezione rigo-

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rosa in fase di vendemmia. In fase di vinificazione poi c’è la possibilità di seguire il grappolo in ogni sua fase grazie ad una precisissima mappa dei vigneti associata ad una zonazione che tiene conto delle particolari vocazioni di questo suolo composito. «Monteverro offre basse rese per ettaro, inferiori ai 50 quintali mentre il disciplinare ammette sino a 120 e deve la sua struttura vellutata, la sua complessità inconfondibile e l’incredibile varietà del suo bouquet in primis ai grappoli delle nostre migliori parcelle sulle colline che digradano verso il mare e poi alla particolare attenzione rivolta ad ogni singola fase del processo produttivo senza apporti da micro ossigenazioni e con follature e rimontaggi costanti, ma attenti sempre a non devastare la composizione organolettica di antociani e polifenoli riccamente presenti in natura» evidenzia una delle altre punte di diamante dello staff, l’enologo Matthieu Taunay, nato e cresciuto nella valle della Loira.

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Cantine

Sidewood Estate: ecco il miglior Sauvignon blanc d’Australia

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una importante spalla acida, offre una straordinaria lunghezza e sapore. Un Sauvignon blanc versatile che è perfetto per la cucina mediterranea, piatti di pesce fresco o insalata di formaggio di capra come opzione vegetariana . Il proprietario di Sidewood Estate, Owen Inglis, ha detto che il lavoro cominciò con il suo team di viticoltura guidato da Mark Vella ed è stato rifinito dal viticoltore Darryl Catlin, che ha descritto come un “genio”: «Portare il Trofeo Sauvignon Blanc in Australia Meridionale e nelle colline Adelaide per la prima volta mette una grande soddisfazione - racconta Inglis - . Ho avviato la produzione sulle colline perché ho amato la regione sin da quando ero bambino ed ho sempre pensato, grazie al suo clima fresco, di poter fare i migliori vini d’Australia, se non del mondo. Sono sicuro che la regione di Adelaide Hills, e spero ancora Sidewood, raccoglieranno sempre più trofei nei prossimi anni». L’Australia del Sud è attualmente responsabile di circa il 50% della produzione annuale dell’Australia, ma di oltre il 75% del vino premium della nazione. Ci sono 18 regioni vinicole nell’Australia meridionale, tra cui la Valle di Barossa, Clare Valley, Coonawarra, Hills Adelaide, Langhorne Creek, McLaren Vale, Limestone Coast e Riverland e più di 200 porte della cantina si trovano a un’ora di macchina dal centro della città di Adelaide.

uesto è il miglior sauvignon blanc d’Australia: arriva dalle Adelaide Hills ed è firmato da Sidewood Estate. I proprietari Cassandra e Owen Inglis hanno acquistato l’originale Oakbank Vineyard nel 2004. Da allora Sidewood si è ampliata in quattro vigneti diventando, grazie alle tecniche di campagna e di vinificazione adottate, la più grande cantina sostenibile della regione con un accreditamento Entwine. Questo vino ha fatto incetta di premi: miglior vino bianco al “New World International Wine Challenge USA” e miglior Sauvignon blanc d’Australia al “Royal Melbourne Wine Awards” ed è la prima volta che un Sb australiano vince a Melbourne! L’annata del 2017, 20 dollari aussie a bottiglia, è fatta con le sole uve di un single-vineyard. Nel bicchiere è giallo pallido con brillanti tonalità verdi; questo vino al naso evidenzia aromi di frutta tropicale ed aggrumati come pompelmo e limone. Il palato è vivace, fresco, vibrante dove tornano i sapori di pompelmo, melone e mela verde. Splendidamente equilibrato con

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Motori di Enzo Russo

Fiat 500 X S-Design bella, comoda e sicura

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lcuni la chiamano Suv altri Crossover o city car la nuova 500 X S-Design 1.600 Mjet DCT 120CV 4X2 che debutta in un inedito allestimento elegante e molto raffinato. Guardandola di profilo si nota subito la linea morbida che la rende compatta, severa e nel contempo sembra voler strizzare l’occhio per farsi guidare. Accattivante fuori ma anche dentro dove l’arredamento è stato curato fin nei piccoli dettagli dai designer torinesi. Mettersi alla guida della nuova 500X si prova un ebrezza unica con il sedile ben posizionato e comodo si ha la sensazione di dominare la strada e questo infonde sicurezza. L’abitacolo è accogliente, ci stanno comodamente 4/5 persone. Colpisce la plancia ben disegnata con al centro il navigatore satellitare, computer di bordo, Bluetooth, kit viva voce e il climatizzatore. Sotto al volante tutti gli altri strumenti che permettono di controllare la velocità, il chilometraggio e i consumi di carburante. Molti i comfort, eccone alcuni: Alzacristalli elettrico, antifurto immobilizer, chiusura centralizzata, cruise control, sensori di pioggia, sistema Start & Stop (comodissimo in città), specchietto laterale elettrico, parcheggio assistito. Il sistema di sicurezza è perfetto. La nuova Cinquecento X diesel con cambio automatico a sei rapporti, l’abbiamo provata in città dove ha dimostrato di trovarsi a suo agio per la sua maneggevolezza, sia nei parcheggi sia nel traffico cittadino, è facile da guidare con un volante che si può girare quasi con un “dito”. Nei percorsi misti e in autostrada si fanno sentire i 120 cv, specialmente quando c’è bisogno di fare i

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sorpassi, è veloce e sorprendente per la ripresa e per la tenuta di strada, nessuna sbavatura, rimane incollata alla strada. Infonde sicurezza anche l’impianto frenante che alcune volte potrebbe essere determinante nelle improvvise frenate per evitare incidenti. Anche sulle strade sterrate, tra i vigneti di lambrusco reggiano, la Cinquecento X ha fatto vedere tutte le sue qualità, dagli ammortizzatori all’elasticità del motore, sempre pronto a reagire. I consumi vanno dai 5/6 l x 100 km, tra città e autostrada, tenendo un piede leggero sull’acceleratore, non superando i 130 km orari. A Torino sono riusciti a produrre un auto destinata ad incutere paura alle avversarie. E’ un auto che può soddisfare anche il pilota più esigente, dalla guida alla tenuta di strada, dalla linea elegante ai comfort, dalle prestazioni sportive a quelle familiari per chi ama viaggiare in tutta sicurezza e tranquillità. Nella foto, il presidente di Emilia Wine Davide Frascari accanto alla nuova ed elegante 500 X.

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Cantine

Sapori dall’Impero: Szigeti, Muscat Ottonel

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è sempre stata storia per i Metodo classici con un buon dosaggio di zucchero – extra dry o dry (quindi, da 17 grammi/litro sino a 32) -; anzi, nel passato, lo stesso Champagne era cercato a livelli zuccherini ben maggiori di quelli che apprezziamo oggigiorno. La tradizione è rimasta e sebbene l’extra dry sia appannaggio di bollicine più facili, non sono poche le maison “tradizionali” che inseriscono vini di questa dolcezza in portfolio. Ne abbiamo provato uno austriaco, proveniente dalla antica Pannonia, al confine con l’Ungheria (con cui condivide il lago Neusiedler che, nonostante la sua limitata portata d’acqua, ha importanti effetti sul clima della zona ed è patrimonio Unesco per le sue peculiarità): si tratta del Muscat Ottonel della storica cantina Szigeti, rilanciata nel 1991 dai due fratelli Norbert e Peter che hanno deciso di concentrarsi sulla produzione di spumanti. I vitigni utilizzati sono quelli tradizionali più Welschriesling (il nostro Riesling italico che viene prodotto anche bio), Saint Laurent (anch’esso bio nella versione Rosé), Gruener Veltiner e Zweigelt. «Per la produzione – spiegano – usiamo soltanto uve selezionate a mano, che provengono quasi esclusivamente da vigneti posizionati nell’area limitrofa al lago Neusiedler (è ad appena 15 metri sul livello

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del mare, ed ha una profondità massima di 1,8 metri, non ha emissari o immissari, e vive soltanto delle precipitazioni): il microclima speciale e le molte ore di sole in questa regione danno al vino un suo gusto speciale». L’enologo Norbert Szigeti passa molto tempo nei vigneti dei conferitori al fine di garantire che le uve soddisfino standard di alta qualità e il carattere varietale dei vitigni. Compreso questo Muscat Ottonel (ovvero, l’incrocio fra Chasselas e Muscat Ingram realizzato in Francia a metà dell’Ottocento che in Alsazia, altra sua terra d’elezione assieme ad Austria, Svizzera e Romania, prende il nome di Muscat d’Alsace). Giallo paglierino, ottimo perlage, al naso sviluppa profumi di fiori d’arancio, gelsomino, e note agrumate e di crema pasticcera; il palato è di buon corpo, molto coerente al naso, lungo ed ampio. Tornano note d’agrumi, una leggera balsamicità ed una buona salinità. Molto particolare, di gradevole beva, interessante e soprattutto diverso dagli standard cui ci siamo abituati.

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scoprite la vostra storia su croazia.hr

Piena di benessere

source: zagreb tourist board, photo by julien duval

photo by hrvoje serdar

Non riempire di giorni la tua vita, riempi di vita i tuoi giorni.


Emilia di Zeno Sorus

Confronto in Trentino

Emilia Wine porta i suoi soci a verificare il successo delle strategie di sostenibilità ambientale

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milia Wine è una delle più importanti realtà vitivinicola dell’Emilia, una società cooperativa agricola con 726 soci che lavorano 1.700 ettari tra la Via Emilia e l’Appennino. Quando si arriva ad Arceto di Scandiano si nota subito la sede del “colosso del Lambrusco”, una struttura moderna con ampie vetrate che sembra proiettata nel futuro attrezzata con le più moderne tecnologie ma nel rispetto delle tradizioni. L’ampia entrata sorprende, ci si trova davanti ad un moderno wine shop per la vendita al dettaglio dove il cliente può scegliere tra vini tipici sfusi del territorio pedecollinare e un’am-

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pia gamma di bottiglie. Subito dietro c’è il cuore battente dell’azienda, importanti silos in acciaio inox e tutti i macchinari per la lavorazione del vino, rigorosamente nel rispetto della tradizione , come la moderna barricaia per l’affinamento di alcune tipologie di vino. Il Presidente di Emilia Wine, Davide Frascari, ci aspetta nel suo ampio ufficio, è molto contento e soddisfatto dei risultati ottenuti, sia in Italia sia all’estero, con il suo Lambrusco, un vino che rappresenta una realtà molto importante in tutta la Provincia di Reggio E., che fa lavorare migliaia di persone. Ma è anche contento per il viaggio che ha organizzato,

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portando con alcuni pullman numerosi soci soci di Emilia Wine in Trentino. Come e perché nasce questo incontro con la cooperazione vitivinicola trentina? “Il motivo principale di questa giornata trentina era quello di poter dare la possibilità ai nostri soci di vedere come funziona il rapporto fra socio e cooperativa e come la cooperativa vitivinicola funziona inserita in un contesto agroindustriale. Questa è la prima di una serie di iniziative che andremo a realizzare. Questo viaggio nasce dalla volontà di una visione diversa, credo che anche la nostra azienda con i numeri che ha raggiunto, molto importanti, deve confrontarsi con altre realtà. Penso che sia l’inizio di un percorso a cui credo, portare tutti i soci a vedere come funziona la cooperazione in altre regioni che hanno maturato esperienze in un contesto diverso. Siamo partiti dal Trentino, perché tutte le cantine trentine hanno una particolare attenzione alla salvaguardia dell’ambiente, all’adozione di un disciplinare di produzione più restrittivo rispetto a quelli consentiti dalla legislazione vigente. E questo è un percorso che Emilia Wine ha già iniziato. E’ chiaro che per le cantine trentine è una cosa scontata. Non per noi. Abbiamo fatto fatica a far capire alle nostre cantine le nuove regole e metodi di produzione e di trattamenti. Però io ci credo fortemente per due motivi: il primo perché è spendibile dal punto di vista del marketing e quindi un ritorno economico all’azienda nel momento in cui deve fare delle rinunce e si limita nei trattamenti delle uve, l’altro motivo è di natura ambientale perché prima di produrre il vino da vendere, il vigneto è luogo di lavoro dei nostri soci e dei loro figli, molti dei quali vivono o abitano intorno al vigneto. Quindi un autotutela del proprio benessere. Ecco perché ho voluto portare i soci in

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un ambiente dove queste “regole” vigono da molto”. Dove siete stati. “A visitare due realtà diverse. A Toblino nella Valle dei Laghi, un posto molto bello anche paesaggisticamente, abbiamo visitato una cantina sociale medio piccola circondata da 40 ettari di vigneto che producono circa 60 mila quintali di uva che danno vini eccellenti come la Nosiola. Fanno molta sperimentazione. Hanno investo molto sul punto vendita. Ci ha ricevuto il presidente Bruno Lutterotti, è anche il presidente di Cavit e il direttore generale Carlo De Biasi che è anche un agronomo. L’altra cantina visitata è Mezzacorona, una realtà ben diversa dalla prima, fattura oltre 200 milioni di euro, la filiera produttiva è loro come la rete commerciale”. In questa giornata avete avuto modo di confrontarvi, parlare delle vostre esperienze, delle diverse realtà produttive, qual’è stata la vostra impressione sulla vitivinicoltura trentina. “La prima cosa che è emersa è che il rapporto che legano il socio con la cooperativa sono uguali, i riparti delle uve sono molto diverse però è diversa la produzione per ettaro, è diverso il quantitativo di ore di manodopera per ettaro. In quella zona sono attorno alle 600 ore per ettaro, nella nostra siamo attorno alle 220 perché con la meccanizzazione siamo Euposia

riusciti a spingere di più. Loro fanno una vendemmia tassativamente manuale anche sui nuovi impianti e quindi il prezzo di riparto che che va da 100 a 120 euro al quintale dell’uva potrebbero essere assimilabili ai 40 euro del nostro territorio per garantire lo stesso reddito ai viticoltori. Quindi una realtà diversa che li costringe a vendere a prezzi superiori. Finora hanno dimostrato di esserci riusciti”. Ma loro hanno un contributo da parte della Provincia: “Essendo una Regione autonoma, il Trentino garantisce un 60% a fondo perduto su tutti gli investimenti. Da noi al massimo si arriva al 30%”. I soci cosa hanno detto, come hanno commentato: “c’è stato un grande entusiasmo, a parte il momento conviviale, la conferma l’ho avuta al ritorno. La scelta di andare in Trentino e fare questa esperienza è stata giudicata positiva, perché c’è stato un confronto sul modo di lavorare, le difficoltà che s’incontrano, scambi di esperienze. Penso sia stato un arricchimento da ambo le parti, perché ognuno ha potuto confrontarsi su tutta la filiera produttiva”. Qual’è la cosa che maggiormente l’ha colpita: “ L’importanza della rete commerciale, è fondamentale per lo sviluppo di un azienda e questo noi l’abbiamo capito nel 2014”.

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Distillati

Jack Daniel’s Red Dog Saloon arriva in Italia

Una bottiglia unica pensata per celebrare la leggenda senza tempo di uno degli storici locali di Lynchburg voluti da Mr. Jack

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econdo la leggenda, il Red Dog Saloon era situato proprio al centro della piazza principale di Lynchburg, sede della storica Distilleria, la più antica registrata negli Stati Uniti, che produce ogni goccia di Jack Daniel’s presente in tutto il mondo. La Limited Edition Red Dog Saloon di Jack Daniel’s arriva in Italia per celebrare proprio il 125esimo anniversario dall’apertura dell’omonimo locale: si tratta di un’edizione speciale del classico Old N°7, interamente dedicata al primo bar di proprietà di Mr. Jack Daniel. Grazie a questa bottiglia speciale, Jack Daniel’s ricorda così i giorni in cui anche a Lynchburg (dry county per oltre un secolo) erano presenti due locali che si affacciavano nella sua piccola piazza centrale, il “White Rabbit Saloon” e il “Red Dog Saloon”. Due realtà importanti volute da Mr. Jack e fondate nel 1892, pensate per rafforzare lo spirito della co-

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munità ed entrate nella leggenda: nel novembre del 1892, infatti, un grande incendio colpì Lynchburg danneggiando buona parte della città, ma il White Rabbit e il Red Dog non subirono danni. Jack Daniel’s Red Dog Saloon Limited Edition, imbottigliato a 43%, mantiene tutte le caratteristiche del classico Old N°7 a partire dal gusto morbido e rotondo. Dal colore rosso ambrato, ha aroma di vaniglia, frutta matura e un leggero sentore di menta e buccia d’arancia. La bottiglia di Jack Daniel’s Red Dog Saloon si presenta nel classico formato squadrata e con il collo allungato, impreziosita da un’etichetta che unisce elementi più classici a uno spirito contemporaneo. Jack Daniel’s Red Dog Saloon è disponibile in edizione limitata ad un prezzo consigliato di 21,90€.

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Catalogna di Magda Beverari

Catalogna, un vigneto al centro della storia

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Catalogna

Un percorso fra castelli e cantine, architetture e spiagge dorate

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Ce n’è per tutti i gusti, per chi ad esempio preferisce un contesto lontano dal traffico si può spingere a 70 km dalla città in luoghi meravigliosi che celano magnifici angoli di natura quasi incontaminata. Un esempio? Il Parco naturale di Montserrat con il suo storico Monastero, un importante simbolo spirituale e religioso della cultura catalana. Una terra ricca di eremi, castelli e vestigia storiche. Per gli enofili tra le cose da vedere c’è il Parco naturale di Sant Llorenç del Munt i l’Obac: si tratta di uno spazio verde costellato da centinaia di cisterne costruite nel XIX secolo . Oggi il parco è costituito

utti o quasi tutti ci siamo stati almeno una volta nella vita, per visitare Barcellona, citta di sogni che strego’ George Orwel impressionato dallo stile architettonico della cattedrale e dei palazzi di Antoni Gaudi. Barcellona, città internazionale, dove non mancano gli stimoli, dallo shopping, ai musei alla spiaggia… Piacevolissima da visitare a piedi, con ampi marciapiedi da percorrere, dove si respira un’aria di libertà, nonostante gli ultimi episodi di cronaca.

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rigine Pla de Pages, una regione privilegiata situata tra il Monserrat e Saint LLorenç del Mount e la riserva dell’Obac. Il vigneto consta di 500 ettari ed i vini di questo territorio sono particolarmente conosciuti per le loro note balsamiche di timo e lavanda. L’azienda è focalizzata sulle varietà autoctone e i vini naturali, con la certificazione di agricoltura biologica favorita da un clima ideale. In cantina e’ possibile prenotare molte attività tra cui sport (golf, calcio, pallavolo, nuoto), tour guidati in 4x4, degustazioni di prodotti biologici, tour a cavallo, matrimoni, cerimonie e feste di ogni genere.

da vegetazione boschiva, ma nel XIX secolo era costituito da vigneti che producevano vino per il consumo locale, ma anche per esportare sul mercato francese afflitto dalla filossera. L’architettura è davvero particolare, costituita interamente in pietra, una delle prime testimonianze di vinificazione in mezzo ai vigneti per ottimizzare tempi e risultati. La visita guidata dura circa un’ora, ma è davvero qualcosa di impressionante a testimonianza della vocazione vinicola della regione. A 15 minuti dal parco, si trova la cantina Oller de mas, di proprietà della famiglia Margenat da oltre 1000 anni. La cantina si trova sotto un imponente castello medievale del X secolo, restaurato tra il 1981 e il 2008, dove si trovano le tracce del passaggio di Sant Ignazio di Loyola nel XVI secolo durante il suo pellegrinaggio a Gerusalemme. La famiglia Margenat, depositaria di questo patrimonio millenario, gestisce la cantina con dedizione ed una particolare vocazione per l’enoturismo. Oller del mas e’ situata nella denominazione d’o-

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Feste che poi possono continuare sulla spiaggia, verso il Penedes, Costa Barcelona. Il mare qui è infatti il punto di partenza per scoprire un territorio sorprendente. È il caso delle cantine Llopart, fondate nel 1385 dove ancora oggi i cava Llopart sono elaborati secondo il metodo «Cava LLopart de Subirats» da una delle più antiche famiglie del Paese. Il primo cava fu

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nella denominazione Montsant. Visitando il Priorato una tappa obbligata è il villaggio di Siurana, un luogo di singolare bellezza, come l’omonima regina Abdelazia, a cui fa riferimento la leggenda del villaggio. Per una tappa gourmand c’è il ristorante Restaurant Els Tallers – Hotel la Siuranella. Da qui, facilmanete ci si può dirigere verso la regione de Les Pendedès, a 30 minuti da Barcellona, con delle spiagge sublimi ed il maestoso abbraccio delle montagne all’interno della costa. Una tappa può essere la cantina Nadal, fondata durante la Guerra Civile Spagnola (1936-1939), quando Ramon Nadal Girò recuperò i vigneti da cui era stato espropriato per la realizzazione di una pista di atterraggio. Decise poi di orientare il business di famiglia verso la produzione di bollicine. La prima bottiglia di Cava Brut Nadal venne prodotta nel 1943. Settant’anni dopo, si continua a coltivare Xarel-lo, Parellada and Macabeo per produrre cava di grande qualitá ispirati al metodo classico champenois. In regime di viticoltura ragionata producono anche un vino botrytizzato davvero particolare. Sulla strada del ritorno verso Barcellona un luogo irrinunciabile e’ la cantina Frexinet, primo gruppo mondiale per la produzione di vini efferfescenti, con una capacitá di 130 milioni di bottiglie. I cava di Barcellona sono elaborati dal XIX secolo sulle terre della Freixeneda, la Frèneraie, una grande propietà di famiglia soleggiata e costeggiata da boschi.

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tuttavia elaborato nel 1887 e all’inizio la produzione non fu facile, a causa della filossera che aveva già devastato la maggior parte delle vigne europee. Le vigne sono situate a 340 mt di altitudine, con un’esposizione al sole ottimale, d’inverno sono protette dalla montagne del Montserrat. I vitigni coltivati sono Macabeu, Chardonnay, Xarello, Oarellada, Garnatxa, Monastrell. Per gli amanti della natura non troppo lontano c’è il Parc Naturel del Delta de l’Ebre o le montagne del Parc Naturel des Ports. Ovviamente anche qui il vino è ben presente, per averne un’idea basta visitare la Cattedrale del vino Pinell del Brai, costruita tra il 1918 e il 1929 da Caesar Martinell, un discepolo di Gaudi. Il concetto di cattedrali del vino si basano sl modernismo catalano, ma la loro esecuzione risale al XX secolo. Sono state concepite per ottimizzare la produttività e la qualità del vino e sono uno degli esempi più significativi dell’ingegneria industriale nelle zone rurali. Poi si può tornare verso la costa, più precisamente la Costa Daurada, una delle più belle zone della costa catalana nonché una delle principali destinazioni turistiche del Mediterraneo. La sua posizione privilegiata la caratterizza per un territorio vario e ricco, dal litorale esteso sul mare alle zone interne più rurali. Qui una tappa importante è di sicuro la cantina Masroig, fondata nel 1917 e oggi una delle cantine cooperative più importanti della regione del Priorato, con più di 500 ettari di vigneti di proprietà


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Llopart Gran Reserva EX-VITE Brut Solo 5300 bottiglie all’anno per questo Cava Riserva prodotto con uve Xarello e Macabeu della migliore selezione di vigneti di proprietà che hanno oltre 40 anni. Fermentazione rigorosamente in bottiglia e almeno 60 mesi sui lieviti, coupage con vino riserva affinato in botti di rovere, selezione naturale dei lieviti e liqueur de dosage elaborato con un segreto di famiglia rendono questo Cava un piccolo gioello per le grandi occasioni. Dal colore giallo oro con riflessi verdognoli, perlage lento e minuto. Al naso si esprime con forza ed eleganza con note balsamiche e di noci tostate, agrumi maturi e brioche su sfondo affumicato. In bocca é ampio, strutturato e cremoso con una persistenza intensa e note di agrumi e pesca. Perfetto in abbinamento ad antipasti a base di pesce, frutti di mare e aperitivi rinforzati. Freixenet Gran Reserva Brut Nature Casa Sala Si tratta di uno dei più costosi vini appartenenti alla denominazione Cava. Prodotto a partire da una selezione di Xarello e Parellada che viene vendemmiata durante la seconda metà del mese di settembre e la prima metà del mese di ottobre. Le uve vengono spremute delicatamente in una pressa originale champenoise risalente al 1900. Poi vengono fatte fermentare separatamente in micro cuvée in base alla varietà. 7 gli anni di affinamento in bottiglia a contatto con i lieviti. Di colore giallo chiaro, con riflessi oro, mousse elegante e persistente. Al naso si presenta chiaro, con note di marmellata e frutti a nocciolo duro maturi, in particolare la pesca. Note di pane croccante appena sfornato, voluttuoso nel palato con una mousse molto ben bilanciata, un Cava perfettamente strutturato, molto piacevole dal corpo pieno. Celler Mas Roig, Ferest 2015 DO Montsant Il blend vede Garnacha (50%) con Cariñena e Syrah. Da agricoltura biologica. Vinificazione tradizionale in acciaio cui segue l’affinamento in barrique per sei mesi. Rosso ciliegia intenso nel bicchiere; al naso profumi immediati di frutta rossa e di spezie dolci. Molto equilibrato al palato che conferma le buone impressioni olfattive: tornano le note di frutta rossa, spezie, tabacco e cacao. Rotondo, pieno, coi tannini ben evoluti. Nadal, Brut Reserva DO Cava E’ una Riserva il cui blend vede Parellada (63%), Macabeu al 30 e Xarel-lo a chiudere. Due anni sui lieviti. Produzione annua di 80mila bottiglie. Al naso sono potenti le note di tostatura, di crema pasticcera, e di agrumi canditi, con frutti a pasta bianca a chiudere. Il palato è tipico, un Cava molto caratteristico, molto fresco ma con buona struttura. Tornano le note aggrumate su un finale salino. Oller del Mas Especial Picapoll negre Un altro vino da agricoltura biologica, proveniente dalla vigna Margenat. Poco meno di 3mila bottiglie. Vinificazione in rosso classica, circa 20 giorni di macerazione con doppio rimontaggio quotidiano. Seguono nove mesi in botte grande di rovere d’Allier da 500 litri. Altri 12 mesi in bottiglia prima dell’invio al mercato. Profumo immediati di frutti rossi e sottobosco. Palato ampio, molto caldo, di buona acidità, coerente col naso, speziato e di grande soddisfazione.

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Il futuro? È indipendente Matilde Poggi: l’agricoltura non è un ammortizzatore sociale. Noi creiamo valore. Le nostre famiglie sono esse stesse un valore. L’arrivo di grandi capitali, alla fine, impoverisce il settore. E’ palese la “fame” di vigneti a livello nazionale, a fronte dell’enorme richiesta qual è il vostro pensiero? Difendiamo strenuamente l’importanza del rispetto del territorio, dell’attenzione alla diversa vocazione di ogni zona e guardiamo con estremo sospetto, come sottolineato più volte, a questa “fame” dilagante. Ne è un caso emblematico la situazione nella zona del Prosecco dove abbiamo preso posizione sull’ipotesi di una rimozione al blocco degli impianti di Glera nella zona di produzione di Prosecco DOC. Allargare indiscriminatamente le aree vitabili serve solo a soddisfare un’esigenza di mercato e in nessun modo contribuisce a valorizzare il territorio e a rafforzare l’identità dei nostri vini. Qual è per voi il piano di sviluppo del settore? Lo sviluppo del settore andrà accompagnato da una grande semplificazione burocratica, per la quale ci battiamo da quando siamo nati. Aziende che producono 50.000 bottiglie hanno le stesse incombenze burocratiche di aziende che producono milioni di bottiglie. E’ evidente che il costo della burocrazia incida diversamente su piccole aziende rispetto alle grandi, causando una distorsione del mercato e della concorrenza. L’export per noi, come per tutti i produttori di vino italiano è sempre più importante. A volte, però, si arriva al paradosso che esportare versoterzi sia più semplice che spedire vino all’interno

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i svolge a fine novembre, a Piacenza, la settima edizione della mostra mercato della Fivi, la federazione che raccoglie i vignaioli indipendenti. Euposia ha intervistato la sua presidente, Matilde Poggi. Partiamo dalla materia prima: cosa fare per garantire una remunerazione adeguata delle uve? La FIVI si occupa di rappresentare la figura del Vignaiolo di fronte alle Istituzioni, porta la voce dei vignaioli direttamente sui tavoli di discussione e rappresenta presso le istituzioni le aziende che chiudono l’intera filiera produttiva. A questo si limita. Premesso che il Vignaiolo FIVI produce uve che andrà poi a vinificare, noi puntiamo a far sì che il vignaiolo possa lavorare senza fardelli burocratici inutili, che abbia il tempo di dedicarsi alle proprie vigne con l’impegno che richiedono, che possa seguire la crescita delle uve e che poi le trasformi in vino rispettando la materia prima e il territorio da cui proviene.

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del mercato unico europeo. Per non parlare poi della difficoltà di spedire il vino ai consumatori finali europei. Che significa essere “indipendenti”? La FIVI non è un’associazione di categoria, la FIVI è LA categoria, si autorappresenta senza intermediari, questo significa essere indipendenti. Il vignaiolo indipendente ha il controllo totale della filiera; coltivazione delle vigne, trasformazione dell’uva raccolta in vino, vendita del vino al consu-

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matore, il tutto svolto dalle stesse mani. Tutta la responsabilità del processo, dalla vigna alla bottiglia è del vignaiolo. Vini bio: in dieci anni, dal 2004 al 2014, si registra una crescita del +259% in Europa e +261% a livello globale. La vostra idea? La FIVI rappresenta un modello produttivo (il vignaiolo), indipendentemente dallo stile produttivo. Essendo essa stessa categoria non privilegia un metodo agricolo rispetto a un altro, rappresenta indi-

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Manifestazioni

stintamente vignaioli convenzionali, integrati, bio e biodinamici. Al suo interno comunque ben più della metà dei vignaioli coltivano i loro vigneti in biologico. Questo testimonia la nostra indipendenza nelle scelte di coltivazione e la sensibilità verso la conservazione dell’ambiente in cui operiamo e verso le necessità del consumatore. Qual è il “peso” delle attività internazionali oggi sul vostro business? La produzione dei Vignaioli Indipendenti è quanto mai varia e differenziata regionalmente, declinata in dimensioni piccole e grandi, in distribuzione locale e internazionale, in micro e macro denominazioni di origine, in vini antichi e moderni sempre rispettosi del territorio di provenienza. Ognuna di queste realtà sceglie i canali di commercializzazione più consoni al prodotto, alle capacità e all’intraprendenza del vignaiolo. Il successo di alcune microaziende locali sembra contraddire la necessità dell’internazionalizzazione. Il nostro Mercato dei Vini dei Vignaioli Indipendenti si è rivolto innanzitutto ai consumatori nazionali, ritenendo che una produzione dovesse essere forte per prima cosa all’interno, ciò non di meno ogni anno aumentano gli operatori esteri richiamati dalla formidabile opportunità di assaggiare i vini di 500 Vignaioli da tutte le regioni d’Italia, ognuno unico nella sua individualità territoriale. Com’è il rapporto con la burocrazia all’estero e, più in generale, quali sono state le principali difficoltà che riscontrate? La principale difficoltà riguarda la vendita a distanza a privati presso gli altri paesi europei. Attualmente, per inviare vino da un paese all’altro in Europa, è necessario avviare una pratica doganale e dotarsi di un domicilio fiscale nel paese di destinazione con il quale assolvere al pagamento delle accise. Una procedura che, non solo rende economicamente sconveniente un e-commerce su scala europea, se non proprio impossibile, ma complica la vita a tutti i vignaioli che dopo una visita in cantina da parte di

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turisti stranieri devono spesso rinunciare alle vendite che ne potrebbero derivare. Da tempo la FIVI, tramite la Confederazione Europea dei Vignaioli Indipendenti di cui fa parte, sta chiedendo a Bruxelles una revisione della materia con l’introduzione di un meccanismo che permetta di assolvere iva e accise, del paese di destinazione, nel paese di origine, prima della partenza del vino. Il vero «ammortizzatore sociale» d’Italia sembra essere proprio l’agricoltura. Credito, investimenti, passaggio generazionale: siamo usciti dalla crisi? Il vero rischio consiste forse proprio nel considerare l’agricoltura un ammortizzatore sociale. Se, negli anni di crisi più profonda, è un settore che ha tenuto meglio di altri, è perché ci sono stati imprenditori agricoli che hanno continuato con caparbia a lavorare e ad investire, creando valore attorno ai loro marchi. E’ un settore che presenta varie sfaccettature; accanto a denominazioni molto richieste, che danno remunerazione ai produttori, ci sono denominazioni i cui prodotti faticano a trovare un mercato. Il passaggio generazionale non è mai semplice da gestire e, per i giovani che iniziano, non è mai facile l’accesso al credito. Guardiamo con favore ai tanti giovani che decidono di continuare la tradizione familiare iniziata dai loro nonni o padri. Il nostro è una lavoro magnifico e capisco quei giovani che non si spaventano davanti alle inevitabili difficoltà. Parlando con loro ho imparato che non riescono a restare sordi davanti al richiamo della terra, il più grande patrimonio che abbiamo da cui dipende il nostro futuro e quello dei nostri figli. Le famiglie vignaiole sono un grande valore; l’arrivo di grandi capitali da altri settori, anche se apparentemente aumenta il valore di alcune aree, alla lunga costituisce un impoverimento del tessuto produttivo a favore di un modello industriale che non potrà mai avere lo stesso rapporto con la terra di noi vignaioli: di chi si sporca le mani tutti i giorni per fare bene il proprio lavoro.

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Spagna di Filippo Ciardi

Barbadillo, l’anima di Sanlúcar Fondata nel 1821 è oggi la bodega di riferimento della denominazione andalusa Manzanilla, con 17 cantine, 500 ettari e 32mila barrique

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lla foce del fiume Guadalquivir, di fronte al Parco Nazionale di Doñana e nel bel mezzo del famoso triangolo dei vini di Jerez, Bodegas Barbadillo e le sue 17 cantine formano un piccolo villaggio di 75.000 metri quadrati nel comune di Sanlúcar de Barrameda, nel quartiere alto intorno al castello medievale di Santiago, a cui si sommano i 500 ettari di terreni propri e uno stabilimento di vinificazione di uve bianche e rosse, ai piedi della Sierra de Gibalbín e Santa Lucía.

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La storia di Bodegas Barbadillo inizia nel XIX secolo, quando Benigno Barbadillo e Ortigüela, insieme al cugino Manuel López Barbadillo, si stabilirono a Sanlúcar de Barrameda ritornando dal Messico. In quel paese, Benigno riuscì a fare fortuna grazie alle attività di suo zio legate a immobili, farmacie, prestiti e importazione di vini spagnoli. Nel 1821 fu decretata l’indipendenza messicana dall’impero spagnolo e Benigno, sempre accompagnato da Manuel, decise di tornare in Spagna, dove acquistò la sua prima cantina, denominata El Toro, paradigma dell’architettura popolare andalusa e testimone delle origini del

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Spagna

marchio Barbadillo. Con la sua gestione le cantine iniziarono a esportare vini in differenti punti di Spagna, e fu tra i primi ad inviare botti nel Regno Unito e in America, approfittando delle rotte fluviali e marittime che partivano da Sanlúcar. Nel 1827 apparì per la prima volta la denominazione “manzanilla” in una botte inviata a Philadelphia e visto il suo successo alcuni mesi dopo Barbadillo lanciò sul mercato “Pastora”, la prima e in quel momento unica manzanilla imbottigliata del mondo. Benigno morì nel 1837 e la famiglia prese le redini dell’impresa, che nel 1954 si costituì formalmente come Bodegas Barbadillo.

Barbadillo segue come cantina di famiglia, produttrice di 4 denominazioni: Jerez-Xeres-Sherry, Brandy di Jerez, Aceto di Jerez, e Manzanilla-Sanlúcar de Barrameda, oltre ai Vini della Terra di Cadice. Fuori dal territorio di Jerez produce anche in altre due denominazioni: D.O.: Ribera del Duero e Somontano. Con un parco di 31.800 botti, e capacità per produrre più di 12 milioni di litri all’anno, Barbadillo è il primo operatore del marchio di Jerez, dei vini della Terra di Cadice, e numero uno di vendite di manzanilla in Spagna. Nei suoi vigneti si coltivano diverse

Montserrat Molina, enologa di Barbadillo

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Spagna

varietà di uve bianche (Palomino Fino, Sauvignon Blanc e Chardonnay, e rosse (Tempranillo, Caubernet Sauvignon, Merlot, Syrah, e Tintilla de Rota), in terra “albariza”, un terreno calcareo tipico della zona di Jerez, che trattiene l’acqua caduta nella stagione invernale in profonditá e protegge l’evaporazione durante l’estate secca, responsabile delle sfumature dei vini che si elaborano in questa cantina sotto la direzione della propria enologa Montserrat Molina. Barbadillo esporta fino al 40% della sua produzione e è presente in più di 50 paesi, con un peso importante in Regno Unito, Germania, Belgio, Olanda, Danimarca e Stati Uniti. Nel 2015 fu eletta dalla Guida Peñín miglior cantina dell’anno e considerata tra le migliori 100 cantine del mondo dall’Associazione Mondiale di Giornalisti e Scrittori di Vini e Liquori. Fu pioniera nella creazione del primo vino bianco della terra di Cadice – Castillo de San Diego – , e nello sviluppare in Andalusia il primo vino rosso – Gibalbin – e il primo spumante metodo classico brut, fatto a base di uva palomino e chardonnay. La Manzanilla Solear è medaglia d’oro nell’International Wine Challenge 2017 , Pastora é medaglia di platino del prestigioso premio Decanter 2017, Reliquia Palo Cortado è stato il primo vino di denominazione Jerez a ottenere i 100 punti del famoso critico Robert

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Parker, che ha conferito anche 94 punti a Manzanilla Pasada en Rama Saca estacional Invierno, il maggior punteggio ottenuto da una manzanilla. Barbadillo produce anche un amontillado di straordinaria etá, Versos 1891, di piú di 125 anni, di cui esistono solo 100 bottiglie.

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Spagna

In una passeggiata nel quartiere alto di Sanlúcar possiamo incontrare il tempio della manzanilla biologica: la Bodega La Arboledilla. L’impegno per la conservazione del patrimonio storico è stato assoluto da parte di Barbadillo. Le sue 17 cantine formano un villaggio all’interno del paese, un labirinto di nomi antichi che mantiene i segreti di marchi con classe mondiale. La manzanilla si ottiene con lo stesso procedimento del fino, da cui si differenzia per la posizione geografica e il clima di Sanlúcar, che non solo riceve l’influenza dell’oceano Atlantico, ma anche dell’estuario del fiume Guadalquívir e del parco di Doñana. • Manzanilla Solear. Marchio di bandiera della casa. Sei anni di invecchiamento biologico del vino sotto il lievito flor. Incluso nei vini Top 100 del mondo da Wine Spectator. • Manzanilla en rama Saca Estacional. Un tipo di manzanilla con imbottigliamento stagionale e “pasada”, cioé soggetta a un periodo di invecchiamento insolitamente lungo, in cui il lievito flor è leggermente indebolito, causando un piccolo livello di ossidazione e una maggiore complessità. La nascita di questa manzanilla nel 1999 suppone anche quella della categoria “en rama”, cioé non filtrata, ora un indiscutibile segno di prestigio. • Manzanilla Pastora. Marca storica e recuperata per mostrare all’appassionato l’influenza delle cantine nella evoluzione biologica del vino. “Pasada” imbottigliata piú volte all’anno come la “Saca Estacional” e con la sua stessa età, ma realizzata con pratiche differenti che le conferiscono una personalitá unica. Premiata con la “Platinum Best in Show Medal Decanter 2017”

Castillo de San Diego Alla fine degli anni ‘60, Antonio Fedro Barbadillo Romero – Toto - (allora presidente di Bodegas Barbadillo) scoprí nei suoi viaggi in Europa e negli Stati Uniti alcuni vini che erano perfetti per accompagnare pesci e molluschi. I loro sapori, più leggeri e fruttati dei tradizionali vini bianchi spagnoli, gli ricordavano il vino giovane della sua cantina da cui poi nascevano le sue piú corpose manzanilla e i suoi sherry con la successiva fortificazione alcoolica e l’invecchiamento. Si decise dunque a fare esperimenti di fermentazione a partire da succo d’uva nel frigorifero di casa sua, cercando di conservare gli aromi primari e fruttati dell’uva. La prima edizione del nuovo prodotto fu lanciata nel 1975, e fu chiamato “vino bianco da tavola”. Risultò pioniero per la Spagna, dove al momento non c’era nulla di simile. Il nome Castillo di San Diego fu dato nel 1980, dovuto alla strada dove è situata la cantina. Da allora in altre zone dell’Andalusia si cominciarono a produrre vini simili ma questo continua ad essere il numero uno dei vini imbottigliati in Spagna, il più consumato nella ristorazione. Dati sui volumi delle vendite di Bodegas Barbadillo Leader nelle vendite di MANZANILLA (Solear +Muy Fina): 3.156.000 bottiglie Primo operatore per le denominazioni JEREZ e MANZANILLA: 8.712.000 bottiglie

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Primo operatore per i VINI DELLA TERRA DI CADICE: 4.572.000 bottiglie Primo compratore/utilizzatore di uva palomino (propria e di altri produttori): 12.000.000 kg

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Champagne

Veuve Clicquot cellar in the sea

Una nave affondata, dello Champagne recuperato dal mare intatto, una comparazione per capire le potenzialità di un affinamento diverso

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il 1840. Una nave che trasporta 168 bottiglie di champagne affonda proprio a sud dell’Arcipelago delle Åland, tra la Svezia e la Finlandia; 47 di quelle bottiglie sono state prodotte da Veuve Clicquot. Quasi 200 anni dopo, il 16 luglio 2010, un team di sommozzatori compie la straordinaria scoperta. Quando la prima bottiglia viene riportata in superficie dal fondo marino, invece di acqua salata, i sommozzatori assaggiano stupefatti un vino dolce, quasi interamente conservato nel suo stato originale, in parte grazie al sigillo delle bottiglie e alle straordinarie capacità di invecchiamento

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del vino stesso. Inoltre, il fondo del mare ha fornito le condizioni ideali di invecchiamento, con una salinità 20 volte inferiore a quella dell’oceano, con la sua mancanza di luce e con una temperatura costantemente bassa di 4°C, rispetto agli 8°C delle cantine di gesso. Nel 2014, lo Chef de Caves Dominique Demarville ha lanciato Cellar in The Sea, un esperimento senza precedenti ispirato al naufragio della nave. Una selezione dei vini più raffinati della Maison è stata immersa nelle profondità del Mar Baltico: tre tipologie di champagne Veuve Clicquot, in bottiglia e in formato magnum, sono stati immersi sott’acqua a

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Champagne Reims. Le bottiglie provenienti dalle cantine hanno già iniziato a sviluppare complessità e profondità, con un colore più ricco e una maggiore maturità. Si è osservata una condizione analoga per il Vintage Rosé 2004, che ha un bouquet leggermente affumicato e chiuso, con tannini meno duttili e integrati, pur conservando grande freschezza. Per quanto riguarda il Demi-Sec, mentre gli esperti hanno trovato molte somiglianze fra le due bottiglie, in termini di colore, e meno differenze in termini di corposità, il vino delle Åland evidenzia una nota finale leggermente acerba. Le conclusioni iniziali degli esperti li hanno portati a ritenere che, sebbene entrambi i metodi abbiano fornito eccellenti condizioni di invecchiamento, il fondo del mare potrebbe essere una scelta migliore per i vini che si intende fare invecchiare più a lungo. Entro la fine dell’anno, queste prime conclusioni saranno rafforzate dai risultati delle analisi scientifiche che si stanno attualmente eseguendo sui campioni delle Åland presso le Università Enologiche di Reims e Bordeaux, partner dell’esperimento sin dall’inizio.

43 metri di profondità, in una cantina subacquea appositamente costruita per ricostruire le stesse condizioni di invecchiamento, priva di qualsiasi specie di alghe che potrebbero interferire con il vino, causando lo sviluppo di aromi di iodio. Lo stato delle bottiglie sarà monitorato periodicamente nell’arco di 40 anni, nel tentativo di approfondire ulteriormente l’ampia conoscenza di Veuve Clicquot del processo di invecchiamento. Nel 2017, tre anni dopo il lancio di questo singolare esperimento, le bottiglie sono state riportate in superficie durante il Solstizio d’Estate per la prima degustazione comparativa con la stessa selezione di bottiglie conservate nelle celebri cantine di gesso della Maison a Reims. Dopo la degustazione di entrambe le bottiglie, gli esperti hanno concluso che il fondo marino ha lasciato i vini più freschi e giovani. Le bottiglie e le magnum di Yellow Label conservate nelle Åland, in particolare, sono più chiare e delicate e presentano un bouquet leggermente meno sviluppato, con fresche note agrumate, oltre a una minore corposità al palato, rispetto alle bottiglie conservate nelle cantine di gesso della Maison a

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Lombardia di Carlo Rossi

Nuovi territori crescono

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sogni son desideri; che si avverino dipende anche da circostanze fortunate e dalla tenacia dei caratteri. I cugini Mario ed Elena Danesi avevano quello di sviluppare un progetto di vita legato alla terra ereditata dai genitori, capitani d’industria nel settore dei laterizi in quel di Monte Netto: un altopiano che deve essere sembrato magico al primo arrivo, occasione di

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relax agli stressati meneghini, luogo ottimale per chi ama passeggiare e immergersi nella natura appena fuori porta. Terra di vini decisi e schietti ma anche imprevedibili, come quelli di Mario Danesi. Qui sul Monte Netto, che deve il nome probabilmente alla circostanza di essere spoglio di vegetazione, abbondano argille antiche; Mario ed Elena coi membri dello

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Lombardia

Il sogno della cantina sul Monte Netto di Mario ed Elena due brillanti giovani italiani. La curiosità del Belvedere metodo classico brut, nuova strada per l’eccellenza di un territorio dalle enormi potenzialità.

circostante. Questo è il terroir. La cantina è attiva dal 1980: in quell’anno la famiglia Danesi, attiva nel settore dei laterizi tra Brescia e Cremona, ha rilevato a Capriano una proprietà per la propria attività industriale, con annessi territori vitati sul Monte Netto. Con 16 ettari vitati, buona parte dei quali rinnovati negli ultimi 15 anni con moderni impianti da 6.000 ceppi ad ettaro, San Michele rappresenta una delle realtà principali nel Consorzio del Montenetto; la produzione annua è già a quota 60 mila bottiglie, declinate in otto etichette. Tanti i progetti per il futuro: il primo è quello finalizzato a portare l’imbottigliato a 70 mila pezzi. In programma anche l’impianto, fra due o tre anni, di un nuovo vigneto in un terreno di proprietà con esposizione a sud, ideale per la produzione di un cru che potrebbe elevare il profilo della gamma. Nella tenuta è presente anche una cascina, per la quale già si pensa alla ristrutturazione per ampliare il business al settore dell’ospitalità.

staff “tecnico”, ovvero il perito agricolo Francesco Tonelli (vigna) e l’enologo Giovanni Pagani (cantina) sono riusciti nell’intento di dare ali al progetto dei genitori contribuendo alla crescita della Cantina San Michele. Storie di intrecci tra calcio e Monte Netto, scelto anche da Andrea Pirlo non a caso come Buen Retiro. Incontriamo Mario che ti accoglie sempre il sorriso, modi gentili ed educati e soprattutto è sempre umile e positivo. Ci racconta della sfida che ha sotto mano: vicino alla Franciacorta, ma non Franciacorta, San Michele nasce su una collina a sé stante e prende forma con l’idea di valorizzare il territorio, specialmente la piccola ma preziosa DOC di Capriano del Colle. Siamo al limite settentrionale della Pianura Padana nel tratto compreso tra i fiumi Oglio e Mincio, in cui si inserisce anche Capriano del Colle, territorio costituito da apparati morenici organizzati in ampi anfiteatri risalenti a fasi di espansione glaciale databili attorno al Pleistocene medio e superiore. Singolare orografia, a confronto con il territorio

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«Vorrei che i successi di alcuni nostri vini fossero prima di tutto stimolo positivo per tutti i produttori locali» mi dice Mario che è anche vicepresidente del Consorzio Monte Netto, salutandomi, anche per questo del Monte Netto sentiremo parlare sempre di più, anche da tutti quei numerosi winelover curiosi che cercano ancora qualcosa di intrigante. « Il 50% del mercato è concentrato in provincia, la vendita diretta rappresenta il 15%. Milano è la zona più importante per noi, ma iniziamo ad affacciarci anche all’estero, siamo arrivati in Germania e negli Usa» dice Mario. Gli inviti ricevuti da Mario Danesi e Silvia Profili, che ora cura l’ufficio stampa dell’azienda, desiderosi di farmi provare qualcosa di «assolutamente diverso» mi avevano incuriosito ed affascinato. Ed il risultato della visita è stato sicuramente all’altezza.

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M: Marzemino passito 100% Antico vitigno del territorio prima ancora di quello trentino, presente nel pranzo del Don Giovanni di Mozart. Marzemino in purezza, che racconta di fragranze profonde, ricchezza al palato, una nota di misurata dolcezza e una fruttuosità a tutta prova. Vinificazione: Fermentazione a temperatura controllata per 15 giorni. Affinamento in vasche di cemento. VOTO : 92/100. Belvedere brut Nuovo e giovane blend non scontato, di Trebbiano 50%, Chardonnay 50% . Profumi luminosi, nitidi e penetranti, ma misurati, tra zafferano, vaniglia e frutti estivi, la bolla è croccante, viva, mentre l’acidità agrumata accompagna la pienezza del sorso, fino ad un finale dolce e sfumato, per una sensazione di grande finezza. Ne sentiremo parlare. 94/100. Nubes Montenetto di Brescia IGT Merlot Da uve merlot in purezza che si caratterizza per l’inconsueta armonia sin da subito, rigoroso e definito nei profumi, ove il frutto intenso è ravvivato da una punta di spezie. Sinuoso ed espressivo al palato, è facile da apprezzare nonostante la grande profondità. 90/100 Corso

Fusione aurea tra piacevolezza e struttura, dove frutta bianca e note tropicali si rincorrono con leggerezza e charme. Grandi profumi su tutto. Composizione del blend è Chardonnay 50%, Incrocio Manzoni 30%, Pinot Bianco 20%. 89/100

Otten Figlio dell’annata 2012, del tutto particolare come condizioni climatiche «Abbiamo avuto poche, pochissime precipitazioni, durante il giorno tanto sole e notti particolarmente umide e, scoperto che alcune vigne del nostro Trebbiano era stato colpito dalla Botrytis Cinerea, abbiamo deciso di utilizzare positivamente l’evento prolungando la permanenza in pianta dell’uva sino a metà novembre, ma per non perdere freschezza nel prodotto finale abbiamo aggiunto altro Trebbiano raccolto precedentemente. Il tutto è stato poi affinato in vasche di cemento per 12 mesi e altrettanto in bottiglia» spiega Mario Danesi . 91/100 1884 Capriano del Colle DOC Rosso Riserva. Deciso “di grande intensità per la riserva dove mettiamo il meglio delle nostre uve” sottolinea Mario. Note quasi balsamiche fanno da controcanto alla linearità fruttata dei profumi e alla piacevolezza di beva. con un bel palmares anche internazionale. Fermentazione a temperatura controllata con macerazione delle uve per circa 20 giorni, elevage in barrique di rovere francese per 18 mesi, a seguire affinamento in vasche di cemento per 6 mesi e in bottiglia per 12 mesi per questo vino il cui mix è Merlot 50%, Marzemino 40%, Sangiovese a chiudere. 93/100

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Alto Adige

Loacker, Erbhof Unterganzner e Cantina Tramin: questi i tre migliori Lagrein del 2017

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resco quando rosato, scuro e corposo adatto a buon invecchiamento oppure fruttato e pieno: il Lagrein ha rivelato tre sue tipiche attitudini anche in questa edizione di “Tasting Lagrein”. Un vino affascinante, che affonda le sue radici nel terroir altoatesino: il vitigno da cui prende il nome è infatti il più antico fra quelli storicamente documentati e tuttora coltivati in regione. Proprio a questa uva autoctona a bacca rossa è dedicato il “Tasting Lagrein”, tradizionale appuntamento che proprio ieri nell’ambito della quattordicesima edizione di Autochtona ha visto a confronto 68 etichette della tipologia. Una degustazione di grande respiro dedicata al territorio che ospita il forum, organizzata come di consueto in collaborazione con il Consorzio Vini Alto Adige, che ha portato ad eleggere i tre vini più meritevoli delle categorie Lagrein, Lagrein Riserva e Lagrein Rosato (noto in Alto Adige come “Kretzer”).

giuria Christine Mayr, presidente AIS Alto Adige – “Come sappiamo, tutti i Lagrein hanno la loro trama tipica e ben definita, è un vino abbastanza tannico con una bella struttura e una riconoscibilità legata alla nostra regione.” La categoria “Miglior Lagrein” assegna l’award al Gran Lareyn Lagrein 2015 di Loacker (azienda già vincitrice due volte in passato), per il suo Lagrein polposo e fruttato come sa essere il vitigno. Il “Miglior Lagrein Riserva” va invece a Erbhof Unterganzner di Josephus Mayr, già premiato due volte in passato, con il suo Südtiroler Lagrein Riserva 2015, complesso, strutturato e destinato a una importatnte longevità. Infine nella categoria “Miglior Lagrein Rosato (Kretzer)” a trionfare è Lagrein Rosé 2016 di Cantina Tramin, fresco, sbarazzino di grande bevibilità.

“È stata una degustazione molto interessante: molto giovani le annate 2016, le riserve 2015 avevano belle espressioni, ben strutturate e complesse, per le 2014 come sapevamo è stata un’annata difficile e ne ho avuto conferma durante gli assaggi, interessanti e di buonissima qualità le annate più anziane come ad esempio la 2009.” – è quanto afferma il Presidente di

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e-commerce

E-commerce, la nuova rotta

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na puntuale analisi de “I numeri del Vino” di inizio settembre ha evidenziato il trend di crescita dei siti italiani di e-commerce legati al mondo del vino alla fine del passato esercizio. I primi otto siti del settore evidenziato una crescita ulteriore del fatturato, attestandosi a quasi 26 milioni di euro, con una crescita del 30% circa sul 2015 e di oltre l’80% sul 2014, quando le vendite totali superarono di poco di 14 milioni di euro. Certo, siamo lontani da Amazon e Alibaba, ma lo scenario sembra delineato e mai come in questi ultimi anni le Cantine italiane sono state sollecitate

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ad avviare propri e-commerce (componente questa molto presente nei siti delle cantine internazionali) oppure ad entrare, in varie formule, in strutture già esistenti o in start-up. Gli operatori principali rimangono Italian Wine Brands, Tannico ed ExtraWine che, assieme, totalizzano oltre il 71% del fatturato. Il settore resta molto dinamico, con merger & acquisitions, aggregazioni, avvii e ripartenze. Euposia ne ha parlato con Christian Largura che segue Avvenice (www.avvenice.com), uno degli ultimi progetti partiti in Italia la cui particolarità sta nella “multi-settorialità” dell’offerta e nelle liaison internazionali. Italiaonline ha appena acquisito Buonissimo:

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e-commerce conferma della grande attenzione sul web sulle te- interviste ai proprietari, le fasi produttive, fornire – matiche wine’n food? insomma - al consumatore ogni informazione utile «Sicuramente il tema wine & food online è in net- sui prodotti in vendita, tutto documentato con foto ta e continua espansione, e di certo uno dei settori e video di qualità in HD. C’è una differenza netta tra che avrà il più rapido e costante sviluppo, per alme- Avvenice rispetto ad eBay, Amazon, Alibaba. Da noi no i prossimi dieci anni; l’incremento degli acquisti non può entrare chiunque, sono richiesti dei requionline è costante a livello globale. Crediamo che an- siti minimi di qualità, la maggior parte delle aziende che in Europa sarà raggiunto in pochi anni lo stesso che sono presenti su Avvenice, hanno prodotti di livello degli USA. Per quanto riguarda il settore vini eccellenza riconosciuti a livello nazionale e internaonline in Italia, c’è veramente molta offerta e tanti zionale. nuovi siti che stanno nascendo, non credo che inveAvvenice ha come obbiettivo minimo quello di stire in un ecommerce dedicato diventare il primo sito italiano solamente al vino, con vendite per prodotti di qualità, e uno Crescono i numeri solamente verso il mercato itadei primi in Europa raggiundel commercio liano, sia al momento, la scelta gendo un minimo 5000 brands corretta. Crediamo che la scelnel portale. Il progetto Avvenidel vino on-line. ta corretta sia investire in più ce è stato sviluppato per affacsettori, e offrire una customer E crescono nuovi modelli. ciarsi al mercato globale, non experience a 360 gradi, offrenè rivolto solamente al mercato Il caso di Avvenice, do quindi prodotti di qualità, italiano, sia per quanto riguarda nuovo player che punta in un unico portale, che copra i clienti, che le aziende partner. quindi molti settori. Ciò è posL’Italia è solamente la nostra a tutto il life-style sibile grazie ad un accurata sebase di partenza. Il nostro oblezione delle aziende partner». biettivo è quello di riunire in un unico portale, tutti i Quanto sono preparate le cantine italiane top brands europei di tutti i settori. Per tutti i settori all’e-commerce? intendiamo: alimentazione, bevande, cosmetici, he«Al momento non stiamo riscontrando tra le can- alth care, prodotti naturali, bio, vacanze benessere, tine italiane, una elevata preparazione per il merca- luxury, wellness, spa, arredamento, arte, accessori, to online. Solamente un terzo delle cantine italiane gioielli, resort 4 - 5 stelle.. Inoltre noi forniamo cuè pronta per l’ecommerce, crediamo però che in stomer care in live chat 24/7, 365 giorni all’ anno, massimo 10 anni, il 90 % delle cantine italiane, sarà con tempi di risposta rapidi e immediati, risposte pronto per il mercato online.» concrete grazie a reali competenze e conoscenze sui Quali le differenze/particolarità di Avvenice ri- prodotti, a differenza di altri colossi del web dove il spetto al resto del panorama italiano di settore? customer care è praticamente inesistente e in caso «Avvenice ha come obbiettivo minimo riuni- di problemi o domande, si viene rimandati semplire aziende con prodotti di qualità di tutta Europa, cemente all’ elenco standard di domande e risposte. soprattutto italiane. Quello che stiamo facendo, è Chi ha già acquistato da noi sa di cosa stiamo parlanraccontare la storia dell’Italia e dell’Europa tramite do. lo storytelling aziendale: per noi è fondamentale la Inoltre riusciamo ad offrire i prodotti in vendita narrazione delle aziende, come e quando sono nate, a prezzi concorrenziali ed in linea con il mercato,

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e-commerce

grazie al rapporto diretto che abbiamo con tutte le aziende presenti nel nostro portale, i nostri partner, e grazie alle collaborazioni con i principali corrieri mondiali. La realizzazione di un portale come Avvenice, che per ora viene sviluppato in italiano e inglese madrelingua, ( successivamente sarà tradotto anche in cinese ), presenta dei costi molto più elevati rispetto a un ecommerce tradizionale, siamo però convinti che l’investimento ripagherà, anzi, seppure in fase iniziale, stà già ripagando, viste le aziende che sono già entrate a far parte del nostro progetto e che si sono dimostrate interessate nel farne parte e che quindi saranno presenti nel nostro portale in futuro. Siamo quindi certi di essere nella strada giusta per il raggiungimento dei nostri obbiettivi». Come nasce Avvenice? «Il progetto Avvenice nasce, ed è stato sviluppato, da … imprenditore italiano con elevata esperienza nelle vendite online e sviluppo di sistemi automatici, e da …uno dei più importanti ed affermati imprenditori asiatici. Avvenice è quindi la fusione di ideologie e previsioni di come cambierà il mondo nel futuro, secondo l’ideologia italiana e asiatica. Successivamente il progetto Avvenice è stato sviluppato ed è supportato, grazie alla cooperazione di alcuni tra i piú importanti imprenditori europei ed asiatici, leader di aziende con prodotti riconosciuti a livello nazionale ed internazionale per la loro qualità ed eccellenza. Il progetto è stato ideato quindi grazie all’ unione di menti italiane ed asiatiche. Quale sarà il ruolo potenziale dei piccoli e.commerce rispetto a giganti come Alibaba? «Crediamo che un ecommerce, se non è in grado di offrire prodotti in vendita di almeno 500 brands di un certo livello, riconosciuti a livello nazionale ed internazionale, non possa funzionare, ad eccezione di rari siti, dove vengono venduti prodotti esclusivi o di nicchia.Noi, al momento abbiamo oltre 130 top

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brands europei che hanno sottoscritto il contratto di fornitura con noi. La cosa che ci da piú soddisfazione, è che, seppur online da poco, solamente da un anno, abbiamo la fila per poter entrare nel nostro portale, e che la maggior parte delle aziende interessate al nostro progetto, siano aziende con fatturati importanti, riconosciute a livello nazionale ed internazionale per i loro prodotti. Molte delle aziende presenti nel nostro sito vendono già in oltre 40 paesi del mondo. I contatti ed il livello delle aziende con cui ci stiamo interfacciando conferma quindi che abbiamo fatto un ottimo lavoro e che siamo nella strada giusta. Seppure in una fase iniziale, di costruzione, le nostre consegne hanno toccato praticamente tutti i paesi europei ( Islanda compresa ), USA, Canada, Emirati Arabi, Hong Kong, Singapore. Solamente il 10 % dei nostri clienti è di nazionalità italiana. Ma Avvenice, non accetta solamente partner con fatturati di milioni di euro, ricerchiamo anche giovani imprenditori o start-up, che dimostrano di avere un prodotto di qualità, che possa affermarsi a livello globale, e non vogliono rischiare, o non hanno a disposizione 5mila euro (cifra base solitamente richiesta dalle agenzie italiane per la realizzazione di un ecommerce ), per crearsi il loro shop online indipendente, che comunque offrirebbe una visibilità limitata».

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Distillati

Arriva il Bulliet Bourbon 10-Year-Old

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barca in Italia il Bulleit Bourbon 10-Year-Old, uno dei marchi più rinomati della riserva appositamente selezionata da Tom Bulleit, fondatore di Bulleit Frontier Whiskey. Originariamente lanciato nel 2013 negli Stati Uniti, Bulleit 10-YearOld invecchia in botti selezionate di quercia bianca americana bruciata che hanno precedentemente contenuto il tradizionale Bulleit Bourbon, che invecchia invece dai quattro ai sei anni. L’ulteriore invecchiamento dona a Bulleit Bourbon 10-Year-Old un particolare gusto ricco, intenso, incredibilmente morbido, che mantiene tutto il carattere e l’alto contenuto di segale che ha reso celebre Bulleit. «Siamo entusiasti di annunciare l’apertura di Bulleit Bourbon 10-Year-Old al mercato globale”, ha dichiarato Tom Bulleit. “Bulleit Bourbon 10-Year-Old è realizzato con pura acqua filtrata del Kentucky, secondo una ricetta a base di segale assolutamente unica che conferisce quel carattere distintivo che siamo sicuri sarà ben apprezzato dagli appassionati di bourbon in tutto il mondo». Bulleit Bourbon 10-Year-Old ha un colore marrone scuro con striature rosso-arancio. L’aroma è inizialmente ricco, con sentori di quercia tostata e una leggera nota dolce di vaniglia e frutta secca. Il gusto è secco e leggermente speziato, con note di caramello, frutta secca e sfumature di sapori che persistono fino alla fine di ogni sorso. Con una gradazione alcolica del 45,6%, perfetta per questa variante, Bulleit Bourbon 10-Year-Old ha un finale affumicato ed eccezionalmente morbido. Bulleit Bourbon 10-Year-Old è in vendita al prezzo di 48 €. Con una gradazione alcolica del 45,6%, perfetta per questa variante, Bulleit Bourbon 10-Year-Old ha un finale affumicato ed eccezionalmen-

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te morbido. Ampliamento di gamma che si unisce a Bulleit Bourbon, Bulleit Rye e a Bulleit Barrel Strenght, Bulleit Bourbon 10-Year-Old è venduto nella storica bottiglia con etichetta beige su cui sono riportati gli anni di invecchiamento del prodotto. «Siamo curiosi di vedere come il mondo risponderà a Bulleit Bourbon 10-Year-Old - ha continuato Bulleit - . Questa variante è un’occasione speciale per gustare responsabilmente il bourbon nella sua espressione più raffinata».

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Motori di Zeno Sorus

Renault Megane Sporter comoda, elegante, sportiva

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a Renault Megane Sporter diesel, cambio atomatico a 6 rapporti colpisce subito l’occhio per la linea slanciata, giovane e moderna. Ha in dote tante cose che la rendono “appetitosa” a chi ama guidare in relax oppure sportivamente. L’abbiamo provata per andare a Desenzano del Garda a visitare l’azienda vitivinicola Cà Maiol, 140 ettari di vigneto con una moderna enoteca, dalla cui cantina escono importanti vini come il Lugana doc fermo e spumante. La Megane Sporter si rivela subito comoda quando ci si siede al posto di guida, i sedili avvolgenti danno un senso di sicurezza e di padronanza dell’auto. E’ questa la prima sensazione che si prova andando in autostrada che si coniuga con silenziosità e sicurezza. Al volante del 1.500 da 110 cavalli con cambio automatico EDC a sei rapporti ci si trova a proprio agio, confortevole e scattante quando serve nei sorpassi. I cambi di marcia sono rapidi, merito della doppia frizione. Poi c’è il Multi-Sense, dove si possono scegliere diverse modalità di guida: Comfort, Normal, Eco, Sport e Personalizzato, che cambiano la risposta di cambio, sterzo, risposate del motore e clima. L’isolamento acustico è veramente ottimo. La strumentazione è ricca e ben visibile: dati immediati sul consumo di carburante, i chilometri da percorrere, la media dei consumi e la velocità. Al centro della plancia c’è un grande schermo da 8,7 pollici posizionato verticalmente, da cui è possibile controllare praticamente tutte le funzioni, dall’infotainment al navigatore, le funzionalità della vettura come l’illuminazione interna e la

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climatizzazione, una soluzione che permette di eliminare tasti e pulsanti dalla plancia, contribuendo a creare un layout più pulito. Nell’insieme l’abitacolo si dimostra accogliente, molto curato anche nei dettagli. Il bagagliaio è molto capiente. L’abbiamo provata in città, autostrada e lungo il lago di Garda, dove le curve non mancano. Nelle diverse situazioni di guida ha dimostrato tutta la sua affidabilità di tenuta di strada e sicurezza con un ottimo impianto frenante. Altra sorpresa della Megane per quanto riguarda i consumi, impostando il MultiSense su Eco, si consuma meno in città, 17 chilometri con un litro di carburante. Nel misto invece, si percorrono 21 chilometri e in autostrada a 130 km.h si raggiungono addirittura i 27 chilometri. Non male con i tempi che corrono. Nella foto lo Show Room, una struttura moderna con l’esposizione e vendita di vini e il presidente dell’Azienda vitivinicola Cà Maiol Fabio Contato, che ha reso il Lugana Doc uno dei vini bianchi più famosi e ricercati nel mondo, accanto alla nuova Megane Sporter.

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Motori di Zeno Sorus

La DS5, bella da vedere ma anche da guidare

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a nuova DS5 2000 diesel è un auto da una spiccata personalità con un abitacolo, molto spazioso anche nella zona posteriore. Molto particolare la posizione di guida allungata, tipica di una vettura di stampo sportivo, ma nello stesso tempo piuttosto rialzata. I sedili sono comodi, la strumentazione sul cruscotto ha tre strumenti, ognuno separato dall’altro e sistemato in un alloggiamento a sé stante. Molto massiccia la plancia, dotata di numerosi comandi che vanno a costituire un tutt’uno con il tunnel del cambio automatico a sei rapporti, anch’esso da particolare disegno “dentato”. Altra particolarità sta nel fatto che la console non è l’unico posto in cui vengono concentrati i comandi, ma ce ne sono altri sistemati sotto il tetto che servono a rendere il tettuccio panoramico. Tutto questo conferisce alla postazione di guida anche un che di aeronautico, a partire dai gesti da compiere per azionare tali comandi. Per le sue caratteristiche stilistiche del tutto particolari, per gli ingombri e per il ricco equipaggiamento, unito a finiture di alto livello, la DS5 non ha concorrenti. Qualità e cura dei dettagli, è questo il verbo della Casa francese. Quando si apre l’appoggia gomiti nel tunnel centrale si rimane sorpresi dalla raffinatezza di quello

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che si trova: un piccolo box rivestito di velluto dove c’è la presa USB; una volta alzato questo scomparto, sotto c’è un vano molto spazioso e anche refrigerato. Il sistema di infotainment vede il suo fulcro nel display touch da 7” e anche nel Connect Nav che integra la funzione Mirror Screen che consente di utilizzare le app del proprio smartphone tramite Apple CarPlay o MirrorLink. L’abbiamo provata in città, sulle strade provinciali e in autostrada. E’ reattiva e scattante, non sembra di guidare una macchina grande e non leggerissima. Perfetta per i lunghi viaggi: in autostrada fila via liscia, confortevole e silenziosa, ma pronta allo scatto se si vuole sorpassare. Ha lo sterzo morbido e preciso. In autostrada, tra Modena e Reggio, siamo stati colti da un nubifragio violento dove la visibilità non superava i 20 mt. E’ proprio qui che la DS5 ha dimostrato quanto sia sicura: tenuta di strada e ruote ben aderenti e nessun sbandamento considerando la tanta acqua sul manto stradale e poi l’impianto frenante all’altezza della situazione che ha dato sicurezza alla guida. Anche in questo caso i 180 cv si sono fatti sentire. Il consumo di carburante sorprende, 15 kml tenendo un piede leggero, in città e nel misto si arriva agli 11 kml. Gli ingegneri del gruppo francese che hanno saputo interpretare modernamente la storia di questa auto.

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Motori

Make Earth Great Again La nuova birra di BrewDog sfida i leader mondiali sul cambiamento climatico

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l birrificio artigianale indipendente BrewDog ha lanciato “Make Earth Great Again”, una birra “di protesta” con l’obiettivo dichiarato di ricordare ai leader mondiali l’importanza dell’impegno nella lotta al cambiamento climatico. Nata in seguito alla decisione degli Stati Uniti di ritirarsi dall’Accordo di Parigi, la nuova birra di BrewDog contiene ingredienti provenienti dalle aree più colpite dal riscaldamento globale e sarà servita direttamente da uno spillatore costruito all’interno di una replica a dimensioni naturali di un orso polare. Tutti i proventi generati da Make Earth Great Again saranno donati a 10:10, associazione no-profit dedicata a promuovere disegni di legge atti a contrastare i cambiamenti climatici. Tutto in questa nuova birra è studiato per sensibilizzare e favorire il dibattito sul tema, non ultimo l’utilizzo di acqua proveniente da calotte polari artiche in scioglimento e ingredienti come il lampone artico, attualmente a rischio. Make Earth Great Again è una birra di stile saison, che viene cioè fermentata a una temperatura più alta di qualsiasi altro stile, un altro modo per alludere agli effetti del riscaldamento globale. Il Co-Fondatore di BrewDog, James Watt, spiega: «Make Earth Great Again è la nostra reazione all’evidente declino dell’interesse da parte dei più importanti leader mondiali verso uno dei più gravi problemi che il nostro pianeta e la nostra civiltà sta affrontando. La birra è un linguaggio universale, dotata di una forza

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incredibile, per cui abbiamo deciso di fare un gesto importante e creare una birra che abbia un impatto diretto e positivo sul cambiamento climatico. Questo avviene da una parte supportando un’organizzazione che si impegna per cambiare le cose, dall’altra fornendo agli amanti della birra artigianale un modo per fare sentire la propria voce all’establishment». L’etichetta della bottiglia infatti riporta: «Questa birra è amara quanto il mondo che ignora il cambiamento climatico» oltre a un avviso che la birra «potrebbe contenere tracce di satira». Gli amanti della birra artigianale possono visitare il bar di BrewDog a Shoreditch di Londra per prendere un buon bicchiere di Make Earth Great Again spillata direttamente dalla bocca di un orso polare. Le bottiglie inoltre sono acquistabili su BrewDog.com e in tantissimi bar e pub dedicati alle birre artigianali in tutto il mondo. BrewDog ha anche spedito una cassa di Make Earth Great Again alla Casa Bianca, nella speranza di attirare l’attenzione del Presidente Donald Trump.

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Birra di Emanuele Delmiglio

Birra & Gourmet Inaugura a Verona Doppio Malto Brew Restaurant, il birrificio con il ristorante dentro

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ortare la cultura della birra artigianale in Italia” associandola al buon cibo è la sfida di Alessandro Campanini, mastro birraio e biersommelier, fondatore del brand. Essere “artisti del gusto, trattare il cliente al meglio e farlo sentire a casa propria” è il mantra di Roberto Locatelli, titolare del locale di Verona. Di seguito l’intervista ai due imprenditori. Alessandro, com’è nata la sua passione per la birra? Circa quindici anni fa giravo per gli Stati Uniti a caccia di oggetti vintage. Un giorno, a Durango, mi sono trovato in una birreria. Quando sono andato a pagare mi hanno detto che la birra la producevano

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loro. La cultura birraria italiana, all’epoca, era piuttosto limitata: c’erano solo birre industriali. Non esistevano birrifici artigianali a conduzione familiare. Così mi si è “accesa la lampadina”. Mi sono trasferito in Canada per prendere il brevetto di mastro birraio alla Niagara Brewing Company. Tornato a Erba, ho aperto il primo Brew Restaurant con annesso l’impianto produttivo. L’ispirazione, dunque, è quella della birra in stile americano… Uso prevalentemente luppoli americani. La Bitterland, ad esempio, è realizzata con cinque luppoli di cinque piantagioni americane diverse. Una di queste viene coltivata dagli Amish con la sola forza umana e animale. Nel mio lavoro c’è tutta una parte di ricerca di materie prime nobili. Faccio anche una

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birra allo zenzero australiano, la Zingibeer, che mantiene tutte le proprietà officinali della pianta, quasi da poter essere venduta in farmacia! Ha ottenuto riconoscimenti mondiali… Quest’anno abbiamo vinto un argento e tre bronzi al mondiale di Londra. Finora abbiamo raggiunto 99 medaglie. A settembre, invece, sono stato a Monaco come membro della giuria del loro premio di Stato. Lì ho frequentato anche l’Accademia Doemens, dove ho preso il diploma di Biersommelier. Quindici anni fa il primo birrificio… E poi?

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Tre anni fa Food Brand ha acquisito Doppio Malto per dare vita ad un progetto di fabbrica di birra diffusa, con l’apertura di Brew Restaurant sia di proprietà, sia in affiliazione. Il 4 luglio abbiamo inaugurato a Verona, a ottobre a Castelletto Ticino, mentre apriremo a novembre a Roma a due passi dalla Fontana di Trevi. Poi a Erbusco, a Bologna, a Marcon e a Bari. Vogliamo avvicinare gli italiani alla birra. Noi italiani siamo i primi in Europa per il consumo di vino e il “fanalino di coda” per il consumo di birra. Abbiamo ancora molta strada da fare…

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Ci parli un po’ delle sue birre… Sono tra i primi mastri birrai in Italia a creare birre IPA (India Pale Ale), fin dal 2006. Nel 2010 e nel 2012 ho vinto due ori mondiali a Londra, dagli stessi inglesi che l’hanno inventata! Inoltre creo delle birre stagionali: per l’estate propongo una versione della Weiss al pompelmo rosa; poi la Coffee Bock, una birra tedesca, ambrata, molto corposa, alle quale ho aggiunto delle fave di caffè; per l’inverno, invece, una birra torbata al sigaro cubano. Faccio anche birre barricate: la Imperial IPA, una birra da nove gradi e mezzo, per esempio, viene messa in una botte di Nero di Lambrusco. Prossimamente a Roma proporremo anche una birra fatta con l’uva sultanina. Presso i Brew Restaurant Doppio Malto organizziamo delle serate di degustazione, durante le quali spiego come associare e utilizzare la birra in cucina. I clienti ad esempio rimangono sempre stupiti dal Birramisù. C’è complicità fra produttori di birra? Assolutamente sì! L’altro giorno abbiamo avuto a cena il proprietario del birrificio Lagunitas, che fa la IPA più bevuta in America. Collaboriamo, inoltre, con la Santa Fe Brewing in Messico. Poi ho scritto la ricetta della Cocoa IPA, la birra

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con fave di cacao, insieme a Samuel e Paulo Cavalcanti, i proprietari del birrificio brasiliano Bodebrown. La Cocoa IPA l’anno scorso ha vinto l’oro a Barcellona, l’argento a Birra dell’anno in Italia (dove abbiamo vinto anche l’oro con la Rust Ale) e poi quest’anno ha vinto il bronzo mondiale come birra speziata. La formula del birrificio per ogni locale è funzionale? Certo. È un impegno, ma costituisce un valore aggiunto. È importante vedere la fabbrica dove viene prodotta la birra che il cliente beve, e questo fa la differenza. Il primo locale Doppio Malto in franchising ha aperto a Verona il 4 luglio… Roberto Locatelli, il proprietario, è stato il primo che ha sposato il progetto ancora prima che partisse il franchising. Dovevamo avviarlo nel 2018, ma abbiamo dovuto accelerare per consentire a Roberto di aprire subito. Quando Roberto ha scoperto questo progetto se n’è innamorato! Roberto, ci racconti qualcosa di lei… Sono romano e lavoro nell’imprenditoria da molto tempo. Ho lavorato nel settore del legname all’ingrosso e ancora prima dei tessuti all’ingrosso. Sono arrivato a Verona diciotto anni fa per intraprendere

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la carriera imprenditoriale nel settore della ristorazione. Com’è venuto a contatto con il brand Doppio Malto? Ho conosciuto Giovanni Porcu, CEO del brand, che mi ha parlato del progetto e l’idea mi è piaciuta fin da subito. Mi piacciono le sfide e i nuovi stimoli. A febbraio 2016 l’incontro a Verona insieme ad Alessandro. Ci siamo trovati subito in sintonia. Poi gli ho mostrato la location e da lì è partito tutto: in quattro mesi ho preso il locale e tutto è diventato una passione vera e propria. Dopotutto, quando ti avvicini al mondo della birra con un personaggio come Alessandro è impossibile non rimanerne affascinati. Quindi la scelta della location è sua… Sì, e anche Food Brand ne è stata subito entusiasta. L’ho scelta tenendo conto della visibilità, della disponibilità di un parcheggio, delle terrazze… C’è un po’ tutto. Siamo professionisti della birra ma apriamo le porte anche al resto. Possiamo attirare persone di tutte le età. I clienti sono curiosi e io sono un PR nato: mi piace accompagnarli e parlare con loro. Alla fine i clienti diventano amici.

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KBIRR: la birra che parla napoletano

La bionda partenopea: cultura mediterranea e luppoli internazionali

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colare attenzione alle produzioni di micro birrifici a lavorazione artigianale. In quasi vent’anni di attività, Loco for Drink è oggi sinonimo di promozione e valorizzazione della cultura della birra con un’offerta di 110 tipi di birre alla spina e in bottiglia provenienti dai più importanti paesi produttori come Germania, Belgio, Scozia, Irlanda, Olanda, Italia, America ma anche da paesi emergenti nel settore come il Giappone. Loco For drink ha in esclusiva per la Campania la distribuzione delle marche di birra più importanti e note come Paulaner, Hacker Pschorr, Charles V, Warsteiner, Fosters, Bulldog, Konig Ludwig e la Ceres. E’ dunque su questa scia e su questi traguardi che è nato Kbirr, un progetto festoso anche nel nome (Kbirr, in dialetto Che Birra) e che nel l’arco di un anno KBirr ha conquistato i palati più fini, chef stellati, pizzaioli di fama e tanti cultori della birra artigianale. Ma non solo: sin dall’esordio, KBirr promuove la creatività napoletana con incursioni in luoghi d’arte. A luglio 2016 nelle scuderie di Palazzo Sansevero, nell’antro-atelier e fucina creativa dell’artista Lello Esposi-

rinkneapolitan ovvero bevi napoletano è lo slogan di KBirr, la prima birra artigianale nata a Napoli con metodo artigianale in produzione dagli inizi del 2016. Nel nome e nell’immagine le birre KBirr, quattro in commercio attualmente, evocano icone e usanze tipicamente partenopee, da San Gennaro al corno scaramantico. L’idea di produrre una gamma di birre dal cuore napoletano è scoccata a Fabio Ditto, ovviamente ed orgogliosamente napoletano, fine conoscitore e importatore di birre. «È un omaggio alla mia città, KBirr», spiega Ditto «La prima, la lager, non poteva che essere dedicata al nostro santo Patrono e il nome è sia un rimando al miracolo che si rinnova ogni anno “un’altra volta” sia un riferimento esplicito alla piacevolezza di questa birra fresca e leggera, da bere tutta di un sorso». Kbirr è distribuita da Loco for Drink l’azienda leader in Campania per l’importazione e distribuzione di birre di marche nazionali ed internazionali tra le più blasonate del mercato mondiale, con una parti-

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to, in piazza San Domenico Maggiore, viene presentata Natavot; ad ottobre 2016 Jattura in una location decisamente non convenzionale: un tipico “basso” nel cuore di Spaccanapoli casa privata di donna Titina che ha preparato per tutti il ragù napoletano. La presentazione ha visto la partecipazione dell’artista Roxy in the box nota per le sue opere di street art, irriverenti e pop, disseminate nei vicoli di Napoli che per l’occasione ha dedicato un progetto artistico: tre disegni, tre interpretazioni del prodotto, ciascuna legata ad un personaggio, tra storia e fantasy, nel suo personalissimo linguaggio; a dicembre 2016 è la volta di Paliat, Imperial Stout la cui presentazione alla stampa ed al pubblico avviene in occasione della presentazione di Paliatone, un panettone al tarallo di Leopoldo Infante. L’ultima arrivata, la #Cuoredinapoli, nasce infine all’interno dell’omonima manifestazione artistica proposta dall’Accademia di Belle Arti di Napoli che ogni maggio propone diverse iniziative tra cui l’installazione del famoso Cuore di Napoli sulla torre di Porta Capuana. «Le nostre 4 referenze non sono frutto del caso ma prodotti su cui sono state compiute ripetute sperimentazioni su un piccolo impianto pilota curate dal nostro Mastro birraio Achille Certezza» spiega Fabio Ditto, «Le prove sono state fatte assaggiare sia ad esperti del settore che a comuni consumatori e, dopo le modifiche di rito, sono andate in produzione. Ne scaturisce una birra che è apprezzata da un vasto pubblico, dai degustatori ai fruitori più distratti. L’utilizzo di materie prime d’eccellenza è alla base della qualità del prodotto; i luppoli utilizzati sono stati scelti in base alle loro caratteristiche aromatiche e provengono dalla Germania, dalla Slovenia, dall’Inghilterra, dagli stati uniti e dalla Nuova Zelanda».

si rinnova ogni anno, un’altra volta (natavot).

NATAVOT, Lager. E’ la prima birra napoletana fatta con metodo artigianale, non filtrata e non pastorizzata. L’etichetta rappresenta l’immagine stilizzata di San Gennaro e nel nome rimanda al miracolo che

CUOREDINAPOLI, American Pale Ale. Birra in edizione limitata che porta in etichetta il cuore pixellato simbolo dell’omonima installazione luminosa realizzata dagli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Napoli.

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JATTURA, Scotch Ale. E’ realizzata con metodo artigianale, non filtrata e non pastorizzata, sull’etichetta riporta il simbolo tutto partenopeo di un corno stilizzato, portafortuna appunto contro la Jattura (sfortuna), archetipo della scaramanzia, simbolo apotropaico per eccellenza. PALIAT, Imperial Stout. E’ una birra molto complessa creata con materie prime di alta gamma (dai malti tostati al luppolo). La birra ha una elevata gradazione alcolica di oltre 9° che scuote piacevolmente, ma intensamente, chi la degusta. Paliat, nel dialetto napoletano, si traduce in solenne bastonata, picchiare con forza. Nell’etichetta è raffigurato un mastino napoletano.

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‘A Pizza un progetto col brevetto

La sfida: portare la vera pizza di Napoli in tutta Italia. Senza farle perdere nemmeno un grammo di qualità

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l Ministero dello Sviluppo Economico riconosce l’invenzione industriale per il “metodo per la produzione e conservazione della pizza napoletana artigianale” di ‘A Pizza e assegna il Brevetto per Invenzione Industriale n° 0001427815 alla Vulcano Food Gourmet srl titolare del brand ‘A Pizza. L’attestato di brevetto, rilasciato il 29 maggio 2017 dalla Direzione generale per la lotta alla contraffazione Ufficio italiano Brevetti e Marchi, conferma l’innovazione tecnologica del processo di produzione e conservazione di ‘A Pizza, la prima pizza napoletana artigianale surgelata che ha rivoluzionato il mondo della pizza a dicembre 2016. <Il Brevetto di Invenzione industriale è un riconoscimento importante che premia anni di ricerca e studio, nonché di investimenti, del processo di lavorazione e abbattimento della pizza napoletana. Un

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metodo che non tradisce i valori artigianali e il gusto autentico della pizza napoletana ma che consente di preservarli intatti grazie alla più avanzata tecnologia del freddo>, commenta Maurizio Ramirez, l’imprenditore napoletano inventore del processo e co-titolare con Guido Freda del brand ‘A Pizza. ‘A Pizza ‘A pizza è il progetto di due imprenditori napoletani Maurizio Ramirez e Guido Freda che coniuga artigianalità ed alta tecnologia. È la prima pizza napoletana fatta a Napoli come vuole la tradizione: a mano da un pizzaiolo partenopeo, con i migliori ingredienti, cotta nel forno a legna e immediatamente abbattuta per poter essere consegnata surgelata in tutto il mondo. ‘A pizza è un prodotto locale che si rivolge al mercato globale senza tradire le sue origini

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e senza cancellare le tradizioni. Il processo di abbattimento rapido – da 90° a meno 20° in dieci minuti ne preserva profumo, fragranza e gusto, nonché tutti i valori nutrizionali: il risultato è una pizza da consumare a casa buona come in pizzeria. Pensata per il mercato domestico, ‘A Pizza si conserva in freezer e si “risveglia” nel forno di casa in soli 8/10 minuti ad una temperatura di 220°. Senza conservanti, né aromi aggiunti, è preparata con farina 00, acqua e lievito madre, condita con pomodoro campano, fior di latte o mozzarella di bufala, olio extravergine d’oliva e basilico fresco e cotta nel tradizionale forno a legna. Oltre alla tradizionale Margherita, il catalogo di ‘A Pizza prevede altre sei varianti: Bufalina, Bianca, Primavera, Porcina, Friariella, Piennolo Dop. Gli ingredienti sono tutti di alta qualità, a Km zero, selezionati con cura tra i migliori fornitori. ‘A Pizza nasce per il mercato domestico come alternativa al “porta pizza” di quartiere e alle pizze surgelate industriali. Si ordina telefonando al Numero Verde 800 931193 o si ordina con pochi click on line sul sito www.apizza.it. Viene distribuita in una elegante bag di cartone direttamente al cliente finale a domicilio mediante veicoli a due e quattro ruote dotati di celle frigorifero. Il corriere espresso partner GLS garantisce la consegna in tutta Italia e lo speciale “frozen packaging” preserva il prodotto Euposia

alla sua temperatura di partenza senza interrompere la catena del freddo per 36 ore. Nelle principali città italiane ‘A Pizza viene consegnata entro 24 ore dalla sua spedizione. L’azienda Il progetto ‘A Pizza nasce nel 2014 ed è una storia tutta napoletana.

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Il quartiere generale è a Pozzuoli, nel territorio verde dei Campi Flegrei a nord di Napoli, in uno stabilimento di 900 mq dove è concentrata tutta la filiera produttiva e la logistica: due forni a legna e un tunnel di refrigerazione ad azoto liquido messo a punto proprio per ‘A Pizza. Il processo di abbattimento è straordinariamente veloce: da 90° a -20° in soli dieci minuti. La capacità produttiva dello stabilimento è stimata in 9000 pizze al giorno. Artigianato e tecnologia industriale convivono in uno stabilimento moderno ed efficiente, a ciclo completo, dotato delle più alte certificazioni di qualità (HACCP – UNI 10854:1999 e ISO 22000:2005). L’azienda ha inoltre il Certificato di Export USA della U.S. Food and Drug Administration ed il certificato di Preventive Controls for Human Food della FESPCA Food Safety Preventive Controls Alliance.

e poi Joint Venture Partner di McDonald’s, leader mondiale della ristorazione veloce. Nel 2016 ha liquidato la sua partecipazione nella Joint Venture con McDonald’s per sviluppare ed investire in un marchio/prodotto legato alle tradizioni e alla cultura della sua terra. Dall’ incontro dei due, oggi soci alla pari della Vulcano Food Gourmet srl con sede in Napoli, nasce il prodotto ed il marchio ‘A Pizza. Il prodotto Dietro ogni pizza di ‘A pizza c’è un pizzaiolo in carne ed ossa che fa l’impasto, stende con le mani il panetto, condisce e inforna il prodotto nel tradizionale forno a legno. ‘A pizza è un prodotto artigianale fatto con sola farina 00, acqua, lievito naturale; condita con i migliori ingredienti di stagione ed esclusivamente con olio extravergine d’oliva. Non contiene conservanti né aromi aggiunti. È prodotta secondo alti standard di qualità. L’etichetta breve è garanzia di un prodotto salubre e genuino. Ogni pizza di ‘A Pizza ha un peso di circa 400.

I soci Maurizio Ramirez, napoletano, classe 1964 è l’ideatore del progetto e il responsabile della produzione. Imprenditore nel settore del calzaturiero, dal 2012 studia il mondo della pizza con l’obiettivo imprenditoriale di fare emigrare l’autentico prodotto artigianale napoletano nel mondo, facendo dell’abbattimento con la tecnologia criogenica, il mezzo per fare giungere La vera Pizza Napoletana ovunque come appena sfornata. Guido Freda, classe 1962, napoletano, vanta una forte e completa esperienza imprenditoriale nel mondo del food: dal 1998 è stato prima licenziatario

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Distillati

Elephant Strength Gin, dall’Africa i nuovi aromi

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lephant Strength Gin è una variazione ad alta gradazione dell’Elephant London Dry Gin (già vincitore di molti premi) caratterizzata da un gusto più forte e poderoso e in grado di esaltare l’aroma e le fragranze del mix unico di botaniche provenienti dall’Africa (bucco, frutto di Baobab, artemisia africana, artiglio del diavolo, coda di leone), pur mantenendo lo stesso sapore morbido ed equilibrato per cui il London Dry è famoso. Prodotto in Germania mantenendo gli elevati standard di produzione del London Dry, l’Elephant Strength Gin viene distillato utilizzando quattordici botaniche. Oltre all’aroma di ginepro, una pianta locale, l’African Buchu, introduce un sapore simile al ribes nero, mentre l’African Wormwood fornisce una nota floreale. La combinazione tra il pino di montagna e la mela fresca proveniente dai frutteti che circondano la distilleria, genera infine un gin ricco ma perfettamente equilibrato, con un sapore persistente ed un valore alcolico del 57%. Le origini dello Strength Gin risalgono al XVIII secolo, quando il gin era al picco della sua popolarità nel Regno Unito. In quel periodo, infatti, la marina militare britannica stabilì che ogni nave in procinto di affrontare il giro del mondo avrebbe dovuto dotarsi di una quantità di gin per l’equipaggio. Durante questi viaggi, alcuni esploratori si resero conto, grazie alla prova della polvere da sparo, che spesso il gin fornito dalle distillerie era annacquato: se dopo aver versato il gin sulla polvere da sparo e averle dato fuoco questa non si accendeva, significava che il gin non era puro. Da quel momento, sulle navi britanniche venne accettato soltanto gin con una gradazione alcolica del 57%. É da questo episodio che si sviluppa lo Strength Gin! Realizzato in piccoli lotti, Elephant Gin viene prodotto usando un metodo Euposia

di distillazione tradizionale. Le botaniche comprendono una serie di ingredienti rari e selezionati che aumentano la purezza e la morbidezza del gin. La nuova bottiglia di Elephant Strength è ispirata alle origini navali del gin: sull’etichetta, che riprende i colori del mare, è raffigurata una mappa dell’oceano, a rimarcare lo spirito di esplorazione e di avventura che contraddistingue il marchio. Inoltre, invece del tipico spago, la bottiglia di Strength è legata con una sottile corda nautica con un ciondolo a forma di ancora, sempre in riferimento alla sua origine marinara. Nella produzione di Elephant Strength Gin, come da tradizione, nessun dettaglio è stato lasciato al caso. L’elegante bottiglia dal design minimale si ispira alla forza e allo spirito degli elefanti del Parco Nazionale di Kruger. Su ciascuna di esse è infatti riportato il nome di uno dei “Magnifici Sette”, i sette elefanti - ormai purtroppo deceduti - che sono stati l’emblema del Parco. Un omaggio quindi a Kambaku, João, Dzombo, Mafunyane, Ndlulamithi, Shawu e Shingwedzi. Ad ulteriore conferma della sua attenzione nei confronti di queste straordinarie creature, Elephant Gin dona il 15% dei suoi profitti a due fondazioni africane sulla conservazione degli elefanti: Big Life Foundation è un’organizzazione anti-avorio che protegge due milioni di acri del selvaggio ecosistema dell’est Africa (biglife.org). I contributi di Elephant Gin finanziano i salari, le spese e gli equipaggiamenti di 8 soldati per 3 mesi alla volta. Space for Elephants è invece incentrato sul ripristino delle vecchie vie migratorie - perse quando le riserve sono state recintate - e mira a liberare migliaia di elefanti in tutta l’Africa (space4elephants.org).

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Riconoscimenti

Kaitlyn Stewart miglior bartender del mondo Portano in Canada le nuove rotte dei mixology di talento

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a canadese Kaitlyn Stewart del Royal Dinette di Vancouver è stata proclamata Miglior Bartender del mondo alla finale globale di Città del Messico del World Class Bartender of the Year 2017, la prestigiosa ed acclamata competizione internazionale che celebra l’arte della mixology e che mette in scena il più grande, aspirazionale ed

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autorevole palcoscenico del settore dei luxury spirits. Istituita da Diageo Reserve, la divisione luxury dell’azienda, la competizione mette in gara i migliori mixologist del pianeta per confrontarsi con brand ultra premium come vodka Ketel One e Cîroc, tequila Don Julio, gin Tanqueray No TEN, bourbon Bulleit, rum Zacapa, blended scotch whisky Johnnie Walker Blue Label e single malt come Talisker e Lagavulin.

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Riconoscimenti

In una settimana di gare, Kaitlyn ha dimostrato di saper superare le sfide che hanno messo alla prova le sue abilità e quelle di altri 54 concorrenti provenienti da tutto il mondo (per l’Italia ha gareggiato Mirko Turconi del Piano 35 di Torino). È sopravvissuta alla prova del fuoco della sfida Heat of the Moment dimostrando di saper creare un cocktail integrando il meglio delle tecniche culinarie a quella della miscelazione. Con la sfida Mex ECO poi, dedicata alla consapevolezza ambientale a livello globale, ha saputo testimoniare che anche i bartender possono trovare un approccio green al mondo della miscelazione. Dalla prima sessione di gare che ha ridotto i concorrenti da 55 a 10, è passata al ring del Lucha Libre, la prova a tempo che prevede la preparazione in sei minuti di sei classici della miscelazione con la possibilità di un piccolo twist personale. Da lì ha proseguito la sua corsa verso il titolo mondiale passando alla fase finale della gara, Los Elementos, alla quale hanno avuto accesso solo i migliori 4 in assoluto. Un’ultima epica sfida dedicata alla creazione originale di quattro cocktail ispirati ai quattro elementi. I finalisti di Diageo Reserve World Class rappresentano l’apice della creatività del bartending, incarnano la capacità di creare nuove tendenze e di allargare pionieristicamente le frontiere della mixology. Nonostante l’altissimo livello dei finalisti, Kaitlyn si è imposta come la best of the best, in grado di padroneggiare il portfolio luxury di Diageo Reserve per creare risultati senza precedenti. La competizione Diageo Reserv World Class Bartender of the Year è la più vasta del pianeta con più di 10.000 bartender provenienti da più di 57 paesi diversi. Kaitlyn si prepara ad un anno di avventure - avrà la possibilità di viaggiare per il mondo in veste di Diageo Reserve Brand Ambassador, creando drink ad hoc e partecipando come giudice in diversi concorsi. Sarà annoverata tra i migliori dell’industria e diventerà nono membro del World Class Hall of Fame.

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“Sono sorpresa e felice di essere stata nominata Bartender of the Year – ha dichiarato Kaitlyn - . La settimana è stata estenuante, mi ha messo in gara contro i migliori bardender che abbia mai conosciuto. Partecipare alle Finali è stato sicuramente eccitante ma finire la settimana di sfide come vincitore... sono felicissima! I cocktail sono più che mai sulla cresta dell’onda ed essere protagonista e portavoce di questo momento d’oro, promuovendo l’idea di usare i migliori ingredienti e le migliori ricette per creare miscele sempre originali è qualcosa che mi ha sempre appassionato e ho adorato in ogni singolo momento di questa esperienza.

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Ultima pagina Euposia sostiene la campagna di Cantine Settesoli per il Parco Archeologico di Selinunte: il primo fundraising del mondo del vino a favore del patrimonio archeologico nazionale

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hiunque abbia avuto la fortuna di visitare il parco archeologico di Selinunte (a Castelvetrano, in provincia di Trapani) ne serba un ricordo dolce-amaro: da un lato il senso di potenza, di commozione nel vedere i resti di questa città greca fondata 650 anni prima della nascita di Cristo - oggi la più grande area archeologica d’Europa che si estende per 310 ettari, di cui solo il 10% è fruibile dai visitatori - nonché l’orgoglio per questo grande patrimonio europeo; dall’altro, il senso di smarrimento, di rabbia, nel vedere una grande ricchezza lasciata in larga parte abbandonata, senza servizi moderni, senza archeologi, tecnici ed operai che vi lavorino a tempo pieno, senza un’accoglienza degna della quinta potenza economica del mondo. Possiamo risalire in auto e dimenticarci delle contraddizioni di Selinunte oppure fare qualcosa. Non da soli, ma assieme a Settesoli: la più grande cooperativa di vino siciliana. 2mila soci che coltivano 28 tipi di uve differenti, su un totale di 6.000 ettari, sulla costa sud occidentale della Sicilia, proprio a pochi chilometri da Selinunte, una realtà economica importante, pluripremiata per l’eccellenza dei suoi vini, il cui indotto dà lavoro al 70% delle famiglie di Menfi, Agrigento. Settesoli ha deciso di impegnarsi in prima perso-

Direttore responsabile: Beppe Giuliano email: boss@euposia.it telefono +39 045 591342 Vicedirettore: Nicoletta Fattori email: fattori@euposia.it telefono +39 045 591342 Redazione e Degustazioni (dove inviare i Campioni): Via Luigi Negrelli, nr 28 37138 Verona tel. fax. 045.591342 email: desk@giornaleadige,it Enzo Russo Caporedattore Enogastronomia email: desk@giornaleadige.it Hanno collaborato a questo numero: Filippo Ciardi, Carlo Rossi, Giulio Bendfeldt, Magda Beverari, Daniela Scaccabarozzi, Zeno Sorus, Emanuele Delmiglio

na e di chiamare a raccolta i winelover, tutti noi, e raccogliere fondi per iniziare a fare qualcosa. Ad oggi sono stati raccolti oltre 120mila euro che hanno permesso di realizzare il primo impianto di illuminazione della cinta muraria, ma che riguarderanno anche il tempio “C” il più importante dell’intero Parco per valore storico e architettonico, attraverso lavori di restauro, la creazione di un percorso di visita , accessibile anche per i cittadini disabili. Come fare per partecipare a questo bellissimo progetto? È molto semplice: potete cercare nei supermercati di Italia le bottiglie Settesoli e con ogni bottiglia acquistata donerete automaticamente 10 centesimi a Selinunte. Ma potete anche donare di più facendo un versamento bancario su IBAN IT75Y0200881830000104621411, intestato a “Parco Archeologico di Selinunte e Cave di Cusa”, con la possibilità di detrarre dalle tasse il 65% della donazione, attraverso l’ Art Bonus. Ricordatevi che per ricevere il beneficio fiscale dovrete specificare nella causale “Art Bonus – Parco di Selinunte” seguito dal vostro codice fiscale o partita iva. Euposia ha deciso di partecipare a questa iniziativa mettendo a disposizione spazi pubblicitari gratuiti su questa rivista e sui suoi siti collegati: www. euposia.it; www.challengeeuposia.it e www.italianwinejournal.com.

Impaginazione: Delmiglio email: redazione@delmiglio.it telefono: 045 6931457 Copertina: Archivio Santa Margherita

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www.euposia.it www.italianwinejournal.com Il vigneto ritrovato di Asolo – Gonzáles Byass, oltre Tìo Pepe – Lambrusco, arriva Claudio Biondi – Il Tannat di Lageder – Franciacorta, la magnifica dozzina – Monteverro, essenza di Maremma – Doppio Malto, Birra & Gourmet – Brew Dog – KBIRR BIMESTRALE - “Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1 NE/VR


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