Un altro soggiorno a Venezia

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Un’altro soggiorno a Venezia Evan Czillag



Dispercorsi

Avevo comunque deciso di percorrere Venezia, malgrado diversi avvenimenti mi avessero lasciato a pezzi. E purtroppo la fiducia in una certa mia capacità di orientamento fu tradita dalla intricata rete di calli. Qui, per non perdermi, ho dovuto a poco a poco lasciare le mie parti, in modo da segnare così la strada del ritorno (come delle briciole, penserete voi- sì anch’io ho letto quella fiaba). In questo modo mi sono smembrato per tutta Venezia. Adesso, unita ad ogni tappa del mio percorso si trova un’immagine parziale di me stesso: sul bordo di un pozzo, davanti ai primi gradini di una parte di scala, sul riflesso di un canale sbarrato, nell’angolo di una piazza. Ingenuamente mi sono spogliato, lentamente, di tutte le mie parti, fino a che sono rimasti soltanto due piedi sul lastricato. Girando sui talloni hanno cominciato la strada del ritorno, ciechi, a tentoni, cercano la mia mano sinistra che sanno alzata fanaticamente tra la moltitudine, la mia schiena appoggiata stancamente contro un’ antica colonna, di sicuro ancora più stanca di starsene in piedi da secoli, i miei capelli abbandonati da un colpo di vento sulla cima di un albero (sarà difficile arrivare fino a loro), il mio naso perso irrimediabilmente dentro un caffè, le mie orecchie dimenticate in qualche posto molto silenzioso, ed infine gli occhi, fissi, certamente, che guardano invecchiare su una panchina una signora già troppo vecchia per riuscire a farlo. Li guarda e dice “Venezia”, come chi pronuncia il suo stesso nome.

Venezia, 1997.


















































MCMXCVIII


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