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STORIA DELLA GRAFOLOGIA 2° ANNO LEZIONE ONLINE n° 1 I CAPISCUOLA Camillo Baldi (1550-1637) Anche se molti, anticamente, sembrano essersi interessati della scrittura come possibile strumento di conoscenza dell’uomo, a noi poco o nulla è giunto che testimoni concretamente tali studi. Si è quindi tutti concordi, almeno per ora, nel considerare Camillo Baldi, letterato, medico, filosofo e docente presso l’Università di Bologna, come il pioniere della Grafologia Moderna. L’opera che lo ha fatto passare alla storia come primo grafologo è il “Trattato come da una lettera missiva si conoscano la natura, e qualità dello scrittore” (1622). In questo lavoro, però, egli non tratta solo di grafologia; anzi, la gran parte del testo si occupa della forma e del modo di scrivere epistole e missive. Nel VI capitolo, intitolato “quali siano le significazioni che nella figura del carattere si possano prendere”, Baldi accenna a un tentativo grafologico operando correlazioni tra i caratteri della scrittura e quelli della personalità. Egli parla della grafia lenta e grossa associandola all’amore del tangibile e dei piaceri della vita; la scrittura senza forza, ascendente e disordinata sarebbe tipica dei giovani che hanno appena appreso a scrivere, indice di instabilità, di chi è facile a scatti di collera; chi invece scrive velocemente e con pressione ineguale, secondo Baldi, rivelerà anche nel modo di vivere le stesse caratteristiche d’impazienza e di facili cambiamenti. Infine,


chi scrivendo pone molta attenzione alla forma (accurata con studio) dimostra “che sa poco e poco vale, perché rari sono i buoni scrittori, che siano uomini giudiziosi e prudenti”. Come si vede, il “grafologico” in Baldi è limitato a osservazioni sul carattere, ma se si pensa che tale tipo di approccio è stato valido fino a pochi anni orsono, non si possono misconoscere al professore bolognese spirito di osservazione e talento psicologico. Se non si è trovato un modo per esprimersi più ampiamente e correttamente, è da imputare più all’ambiente storicoculturale che non ai limiti dell’autore.

Hippolite Michon (1806-1881) Se Baldi è da tutti considerato il primo ad aver accennato alla grafologia già nel XVII secolo, è però con Jean Hippolite Michon che si può parlare a pieno titolo di scienza grafologica. Sono passati più di due secoli. L’abate Michon infatti pubblica nel 1872 a Parigi, per le edizioni Garnier, il suo “Les mystères de l’écriture; Art de juger les hommes sur leurs autographes”. L’opera è suddivisa in tre parti: nella prima l’autore cerca di spiegare le ragioni della validità della grafologia, nella seconda espone il suo metodo pratico per l’interpretazione e nella terza fa una carrellata di profili relativi alle diverse professioni. Un’altra opera fondamentale, pubblicata nel 1875, è “Systéme de Graphologie. L’art de connaitre les hommes d’après leurs écritures” nella quale Michon affronta gli aspetti filosofici, anatomici, terminologici, fisiologici ed epistemologici relativi alla scrittura. E’ in quest’opera che egli utilizza per la


prima volta i termini “classe, ordine e genere” quali base per il suo metodo grafologico. Tre anni più tardi pubblica “Méthode pratique de graphologie. L’Art de connaitre les hommes d’après leur écriture, pour faire suite au système de graphologie”, con la quale completa e amplia la sua teoria che verrà poi ripresa dagli autori successivi. “Michon”, sostiene Salvatore Ruzza (“Storia della grafologia......”), “ha il grande merito di aver emancipato la Grafologia dal settore delle scienze occulte, di averrne fatto uno studio sistematico, proponendo un insieme stimolante di criteri di studio, di principi, di osservazioni e di applicazioni. La Grafologia si presenta così come il primo test elaborato nella storia della psicologia empirica”.

Jules Crépieux-Jamin (1859-1940) Continuatore dell’opera di Michon è Jules Crépieux-Jamin. autodidatta, che per vari decenni dominerà il movimento grafologico in Europa. Originario di Ginevra, poi stabilitosi in Francia, scrisse, tra l’altro, “L’écriture e le caractère” (1888), una delle opere fondamentali della grafologia. Il fondamento scientifico di Crépieux-Jamin risiede nella verifica sperimentale dell’impronta individuale della scrittura intimamente connessa alla natura del soggetto in quanto sintesi e risultato di movimento fisiologico, gesto e movimento psicologico, collegati e mossi essenzialmente dalla spontaneità. Il sistema jaminiano si fonda sulla classificazione dei segni grafici


in sette caratteristiche dominanti, dette generi (velocità, pressione, forma, dimensione, direzione, continuità e disposizione), che si suddividono in qualità particolareggiate (specie) e manifestazioni individuali (modi). La ripartizione è molto minuziosa (ricordiamo anche l’analisi del taglio della “t”). Altrettanto precisa deve essere la rilevazione (con carta millimetrata, lente e goniometro). Per ogni segno occorre precisare anche il grado (da uno a tre: forte, medio, debole). Il preciso significato di un segno viene dato dalla sua posizione all’interno di un contesto grafico fatto di interazioni, e comunque è sempre da ricondurre al concetto fondamentale di armonia: il grafologo decompone gli accordi di questa armonia per ricomporli sotto altra forma e ogni nota della scrittura concorre a un effetto più o meno importante, secondo le associazioni, e noi non possiamo conoscere, considerando una sola di queste note, la natura dell’accordo di cui fa parte. Esistono però segni qualitativi (o principali) che sono i più pregnanti e ricchi di proprietà (es.: rapida = attività; semplice = rettitudine). In aggiunta al concetto di armonia Crépieux sottopone l’analisi grafica all’ulteriore verifica delle cosiddette “sintesi di orientamento”. A proposito dell’orientamento jaminiano è interessante osservare il concetto dall’angolo visuale della nostra sensibilità moderna. “Fare un ritratto grafologico” dice l’autore, “significa stabilire una risultante tra il valore dello scrivente e i tratti singolari del suo carattere”. Egli considera il carattere come l’unione di tre componenti: intellettualità, moralità, volontà; sempre desunte dalle risultanti grafologiche. Nel pur lodevole intento di orientare l’interpretazione dei segni in


quanto parti dell’unità grafica, Crépieux-Jamin finisce con l’emettere giudizi di valore. In verità egli ne confessa il rischio affrettandosi a dichiarare di non voler puntare alla classificazione dei sentimenti, ma inevitabilmente s’invischia nel limite del moralismo. Rimane ancorato a fondamenti empirici e pragmatici e rifiuta di accostarsi alle nascenti psicologie del profondo (Freud, Jung) che certamente sconvolgevano le basi della psicologia classica e nelle quali il ponderato e scrupoloso ricercatore non è riuscito a intravedere risultati pratici da sostituire ai punti basilari già da lui raggiunti nella sistemazione metodologica dalla grafologia. Questo è il limite di Crépieux: rimanere nell’ambito di una descrittività che non chiarisce le motivazioni. Va comunque sottolineato il grande merito dell’affermazione che la grafologia non è un’arte, ma una scienza di osservazione che è diretta da principi, è fondata sull’osservazione e, attraverso la verifica, può progredire nei risultati. Crépieux-Jamin rimane un maestro, non soltanto per aver introdotto un metodo grafologico, ma anche come studioso della conoscenza dell’uomo, esaltato nella sua autentica superiorità: quella delle capacità morali e intellettuali.

Ludwig Klages (1872-1956) Filosofo e psicologo, nacque ad Hannover e studiò all’università di Monaco, dove fondò un istituto per lo studio della psicologia caratterologica, disciplina che egli coltivò per tutta la vita, dirigendo le sue ricerche non tanto verso la psicologia della percezione, ma piuttosto verso l’indagine del comportamento espressivo; da qui il suo interesse per la grafologia. La sua opera fondamentale in questo campo è “La scrittura e il carattere”, manuale divulgativo di tecnica grafologica del 1917. Fondò l’associazione tedesca dei periti grafici giudiziari e l’associazione dei grafologi professionisti. Una fondamentale unità sta a base della concezione dell’autore per cui in ogni tratto grafico c’è sempre tutto l’individuo con la sua ricchezza vitale, la sua carica di mistero e il fascino dell’infinito, anche se, viene precisato, nessun


singolo elemento costitutivo della scrittura si ripete con matematica precisione. Klages, rifacendosi a Nietzsche, vede una dicotomia tra istinto, che è l’essenza della vita, e spirito, che si esprime con la razionalità cosciente. Come conseguenza di questa concezione fondamentale basata sulla continua antitesi dei due principi, l’autore suddivide il significato dei segni grafici in due categorie: positivo e negativo. Pertanto un segno, quando è proiezione di un’attività dello spirito, ha un significato opposto a quello che ha nel caso sia proiezione di un’attività della vita. I rapporti tra vita e spirito costituiscono il carattere e delineano l’uomo originario, al quale la storia aggiunge la sua impronta, e il risultato è la personalità. Klages evidenzia così l’individualità dei fenomeni psichici, che però egli studia con il metodo dell’intuizione, escludendo ricerche statistiche e inquadrando la grafia come espressione della personalità. E’ questo il principio dell’espressione che Klages completa con il principio della rappresentazione costituito dal condizionamento della grafia da parte di uno schema spaziale personale, una sorta di simbolismo spaziale in base al quale il punto di partenza del movimento grafico è l’Io e il punto di arrivo è la meta dell’aspirazione personale. La categoria fondamentale del metodo di Klages è comunque il “Formniwo” o livello di forma, dove forma sta per carattere vitale del movimento grafico. Poiché è il quantum di vitalità a dare valore a una grafia (diversamente da Crépieux-Jamin, per il quale è l’armonia), Klages anzitutto vuole stabilirne il livello. La valutazione dei livello è condotta in termini non propriamente scientifici, ma soggettivi: Klages consiglia, per valutare, di “lasciarsi penetrare dal sentimento” che produce in noi la grafia. Se il Formniwo è basso, tutti i segni della grafia avranno valenza negativa. A tutto questo si aggiungono le combinazioni dei segni. Ma va naturalmente ricordato che la struttura della personalità è un problema tuttora aperto, da affrontare sempre con il supporto della sperimentazione.



Max Pulver (1889-1952) Nato a Berna e laureatosi in storia, Max Pulver si dedica a studi di filosofia e, solo dopo i 40 anni, abbraccia la psicologia, e la grafologia, che insegna per lungo tempo soprattutto a Zurigo. Il pensiero di Pulver si basa fondamentalmente sulla psicologia del tempo, raccogliendo tendenze diverse legate alle correnti allora in voga, sempre però dominato da una propensione, almeno iniziale, verso la caratterologia. Esiste infatti per l’autore una componente che egli chiama “pre-caratterologica” costituita dallo spirito, dalla quale vanno distinti sia i sentimenti che l’intelligenza, e una componente “caratterologica” formata da impulsi e affettività. Con i primi egli intende alcuni fenomeni psichici elementari, inconsci e finalizzati, quali quelli sessuali, di autoconservazione e di dominio; nella seconda egli comprende fenomeni più complessi e coscienti, quali le emozioni, i sentimenti, le disposizioni... Tra gli strumenti più idonei per conoscere queste realtà, Pulver pone ai primi posti la grafologia in quanto basa la sua essenza sullo studio della scrittura, che è una sorta di autoregistrazione spontanea senza bisogno di particolari strumenti. Risulta quindi fedele e precisa riproduzione simbolica dell’intera personalità. Ma il tema più noto e importante della grafologia pulveriana, per il quale egli è passato alla storia, è quello relativo al simbolismo del campo grafico che associa il foglio all’ambiente nel quale l’Io-penna si muove. Così la scrittura occupa variamente il piano scrittorio; e dal modo con cui lo scrivente occupa lo spazio si possono trarre indicazioni utili per conoscere molti aspetti dell’interiorità dell’individuo. A sinistra sta il passato, a destra il futuro e al centro il presente; in alto stanno il cielo, l’idea, la mente, in basso sta la terra, la materia, il corpo, e al centro sta l’Io cosciente.


Analizzando una scrittura può essere individuato e addirittura quantificato lo spazio concesso dal soggetto alle varie parti costituenti la personalità in una dinamica temporale che può favorire il passato, il presente o il futuro.

Ogni segno grafologico è direttamente o indirettamente influenzato da questa legge, per cui essa risulta fondamentale sia per l’allievo che deve apprendere i significati dei segni, sia per lo studioso o il ricercatore che devono approfondirli. Per quanto poi concerne la suddivisione dei caratteri grafologici, Pulver si attiene sostanzialmente all’impostazione data da Klages, secondo la quale essi devono essere raggruppati in ampie categorie che li accomunino. In conclusione questo autore svizzero ha il merito di aver inserito nella grafologia concetti legati alla psicologia fenomenologica e alla psicanalisi, ottenendo un metodo che, pur dando molto spazio all’intuizione del grafologo, non ignora la necessità di una strutturazione che faccia del test di scrittura una prova concreta e ripetibile.


Robert Saudek (1880-1935) Nato a Kolìn, in Cecoslovacchia, si stabilisce a Londra nel 1924, dopo un lungo peregrinare in Oriente e in Occidente. Scrittore, giornalista e poliglotta, si pone come grafologo a cavallo tra la scuola francese (vedi Crépieux-Jamin) e quella tedesca (vedi Klages), sempre attento ai condizionamenti culturali che possono influire, almeno indirettamente, sul gesto grafico. Autore di quattro opere e di numerosi articoli di grafologia, egli ha impostato il suo approccio alla scrittura sulla sperimentazione e sulla verifica, ottenendo dei criteri raggruppabili in tre nuclei: i “dodici fattori” che concorrono alla strutturazione della grafia individuale, le “quindici leggi” grafiche e i “ventiquattro indici -rapidità/lentezza-”. I dodici fattori sono: 1.

Strumenti scrittori

2.

Grado di maturità grafica

3.

Stato fisiologico attuale dello scrivente

4.

Condizionamenti fisiologici cronici

5.

Velocità della scrittura

6.

Interferenze legate al modello scolastico appreso

7.

Nazionalità

8.

Disturbi della vista

9.

Capacità grafica legata anche all’abitudine a scrivere

10.

Naturalezza o meno dello scritto

11.

Livello di cultura

12.

Posizione delle lettere nelle parole

Le quindici leggi e i ventiquattro indici di rapidità/lentezza, che non stiamo a riportare dettagliatamente, sono il frutto di interessanti ricerche eseguite


utilizzando strumenti d’indagine originali come la tecnica cinematografica rallentata. Ci preme però sottolineare come con Saudek si sia dato avvio, in modo concreto e costruttivo, a una corrente grafologica che ha fondato i suoi princìpi su criteri di sperimentazione, alla ricerca di leggi comuni che sarebbero poi servite come base per ogni studioso della materia. Ma le intuizioni di Saudek non hanno portato a interpretazioni univoche. Questo dipende dal fatto che da un lato esistevano limiti tecnici dovuti all’imperfezione degli strumenti di rilevazione e dall’altro prevaleva in Saudek un certo soggettivismo interpretativo non sostenuto da una conveniente conoscenza delle leggi neuropsicologiche. Girolamo Moretti (1879-1963) E’ da tutti considerato il fondatore di una “grafologia italiana” poiché per primo elaborò un metodo che presenta alcune originalità anche rispetto ai grandi autori stranieri. Moretti compì i suoi primi studi nella cittadina nativa di Recanati senza molto successo, e presto iniziò a lavorare in una filanda di seta, dove rimase fino ai quindici anni. Di intelligenza originale e vivace, sembra che a tutto pensasse fuorché farsi frate, cosa che decise un po’ inaspettatamente nel 1894, quando entrò nel convento di Montalto. A venti anni la professione solenne, che emise il 4 ottobre 1899. Studiò ancora, ma soprattutto come autodidatta, probabilmente perché il suo temperamento mal sopportava imposizioni e regole. L’approccio alla grafologia è avvenuto senza dubbio studiando le opere di Michon e di Crépieux-Jamin.


Nel 1914, dopo anni di duro lavoro, pubblica la prima edizione del suo “Trattato di grafologia”, che non ebbe riscontri molto positivi, soprattutto negli ambienti scientifici. Molto più successo ebbero invece le analisi richieste da tutta Italia e anche dall’estero. In poco il tempo il frate di Recanati si costruisce attorno una fama, che, se per certi versi lo fa passare da mago, per altri gli permette di far conoscere e diffondere la grafologia. Prima della morte pubblica molte altre opere, tra cui citiamo “Il corpo umano dalla scrittura”, “I santi dalla scrittura”, “La passione predominante”, “Grafologia sui vizi”.

La grafologia morettiana pone le sue basi scientifiche sull’obbiettivabile, sul vivibile, sul misurabile. Moretti individua un certo numero di segni che possono essere reperiti più o meno in tutte le scritture, e ne propone una valutazione sia quantitativa che qualitativa. Con la prima egli stabilisce che ogni segno può essere misurabile secondo una scala decimale, nella quale lo zero corrisponde all’assenza, il cinque alla media e il dieci al massimo della presenza possibile. Con la valutazione qualitativa invece si opera una suddivisione dei segni in sostanziali, modificanti e accidentali, a seconda che essi diano “La coscienza dell’essere”, “La coscienza di dover essere” o “Il come essere”. Vale a dire che i primi manifestano il complesso delle qualità innate che condizionano tutta l’esistenza; i secondi, interagendo con i sostanziali, ne modificano la struttura


in virtù delle esperienze; i terzi sono quelli che maggiormente sfuggono alla volontà e danno colore alla personalità. Dall’analisi quantitativa e qualitativa risulterà una “dominante” che farà da nucleo costitutivo sul quale inserire le altre variabili. Un accostamento obiettivo e fedele dovrebbe permettere a chiunque di stilare corretti profili della personalità basati su dati verificabili. Il suo metodo psicologico tuttavia, nel tempo, si è rivelato carente, non tanto per l’inesattezza delle affermazioni, quanto per il crescere delle conoscenze in questo campo, che talvolta hanno reso anacronistiche e superate le affermazioni morettiane. Innegabile comunque resta il merito di aver strutturato una precisa metodica di misurazione che molto ha tolto all’improvvisazione e all’istrionismo dei primi grafologi. In ciò sta la genialità dello studioso che non si è accontentato dei risultati frammentari e soggettivi, ma ha cercato con tenacia, rigore e lungimiranza un metodo, al quale ogni scuola seria dovrà fare riferimento.


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