1° psic 01 introduzione alla psicologia

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PSICOLOGIA 1° ANNO LEZIONE ONLINE n° 1 INTRODUZIONE ALLA PSICOLOGIA La verità non può essere tollerante; essa non deve ammettere né compromessi né restrizioni. (Sigmund Freud) Oggi si può parlare di psicologia scientifica. Con questo termine non s’intende una scienza votata al razionale, all’evidente, al quantificabile, perché un tale sistema finirebbe col mutilare il metodo clinico. Ciò che invece si vuol dimostrare lo si ottiene puntando sulla scientificità, cioè su una psicologia sempre più rigorosa nello studio, onesta nella metodologia, tenace nel raccogliere con precisione i dati; in questo senso s’intende la Psicologia Scientifica: prudente nell’affrontare il bisturi alla scoperta della personalità. Se ci si attiene a questa scientificità, rigorosità, si evitano i facili entusiasmi e la tentazione di stupire o di fermarsi ad autocompiacimenti miracolistici. E’ gratificante far guarire e la popolarità fa piacere, quindi si potrebbe facilmente scivolare nel pressappochismo. Un profilo psicologico e grafologico ben fatto ci gratifica, ma attenzione, deve essere di aiuto al soggetto, quindi prudenza! La psicologia passata si basava sull’empirismo, sulla metafisica, ossi si tende a parlare di una scienza cosciente e sperimentata che studia la psiche, ma, non essendo facile dare un metodo, una ricetta, è una scienza maggiormente attaccabile. Tre sono le tipologie tipiche di chi avvicina uno psicologo: C’è chi è mosso da curiosità, quindi fa domande. Che cosa significa questo sogno? Perché mio figlio si succhia il pollice? Questo significa che il soggetto crede che lo psicologo possa trovare una soluzione utile, immediata e conveniente. 1


C’è poi chi ha un atteggiamento di difesa e di chiusura, di diffidenza, come se temesse di essere scrutato dentro e come se lo psicologo potesse trovare in lui qualcosa di sporco, come se bastasse un’occhiata per capire tutta la complessità di una persona. Infine c’è chi rifiuta a priori il discorso. Solitamente si tratta di uomini. Questi tre atteggiamenti, quello di volere le ricette, quello della difesa pregiudiziale e quello del rifiuto ostinato, rispecchiano la confusione che la gente ha di questa scienza che studia l’uomo in tutte le sue dinamiche apparenti, nascoste, inconsce, naturali o costruite, vissute come spettatore o come attore. E’ noto il detto che “la verità fa liberi”. Ebbene la psicologia, intesa nel suo più alto significato, dovrebbe avere proprio questo scopo per tutti: liberare l’uomo da inutili sensi di colpa, renderlo più consapevole dei propri valori, che per essere tali devono comprendere anche i limiti. Perché si possa comprendere che cosa è il valore bisogna conoscere il limite e accettarlo. La psicologia studia l’attività psichica dell’uomo, permettendogli di conoscersi meglio, evitando gli errori di sopra e sottovalutazione. Solitamente questi due modi (sopra e sottovalutazione) incatenano l’Io rispettivamente nell’egocentrismo (narcisismo) o nella timidezza, che lo imprigionano senza dargli la capacità di esprimere le sue potenzialità. Quindi, la conoscenza porta alla consapevolezza e questa porta all’introspezione. Sappiamo quale deve essere l’approccio alla psicologia e abbiamo visto che alcuni individui la ritengono disciplina onnipotente e onnisciente alla quale si chiedono soluzioni, ricette facili e indirizzi sicuri; altri vi si accostano con diffidenza e altri ancora con pregiudizio. Proprio per chiarire i concetti, oggi gli psicologi vi si accostano sempre di più usando il metodo clinico, cioè studiando i fenomeni interni ed esterni dell’individuo nella sua globalità, come spettatore e come attore. Questo indica passaggi complessi, responsabili ed evolutivi che devono comprendere tutte le aree: motorie, affettive, intellettive, culturali, corporee, funzionali e linguistiche. Lo psicologo studia anche le reazioni di tali passaggi

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complessi e si chiede come mai l’uomo, pur avendo delle costanti uguali, reagisce diversamente. Ciò che rende differente ogni individuo dall’altro sono i fattori innati e quelli acquisiti. I fattori innati sono quelli già presenti al momento del concepimento, fanno parte del suo patrimonio biologico ed ereditario (colori, statura, attività motorie, ecc.); i fattori acquisiti sono quelli esterni che influiscono sull’individuo dalla nascita e sono legati all’educazione impartita dalle figure rappresentative o dalla cultura vigente nel paese ove si nasce e si cresce. Questi due fattori non si discosteranno più l’uno dall’altro, perché entrano così in simbiosi da non poterli più dividere. Non potremo più sapere (neppure con la grafologia) quando un uomo agisce per la sua natura biologica o ereditaria o quanto la sua azione sia influenzata dall’apprendimento ambientale. Non potremo più distinguere quanto il biologico, l’ereditario è indipendente, nel suo agire, dal fattore ambientale e neppure potremo dire che l’uno è più importante dell’altro. Entrambi sono essenziali come terreno e seme per la pianta. Eredità e ambiente sono talmente ricchi di elementi convergenti e divergenti che alla fine producono l’uomo unico e singolare. Due gemelli possono svilupparsi in modo dissimile perché si sono sviluppati in ambienti diversi; ma se cresciuti nello stesso ambiente possono avere uno sviluppo diverso a causa della diversità ereditaria e biologica. Alcuni fenomeni sono legati all’innato come l’attività motoria, lo scrivere, il camminare, ma questi rimarrebbero mutilati nel loro progredire se non intervenisse l’apprendimento. L’attitudine alla pittura è ereditata, ma il suo sviluppo dipenderà dall’ambiente, dalle occasioni, dagli studi. Non impariamo ad avere fame, sete o a respirare, sono stimoli innati, mentre le abitudini, le preferenze alimentari sono qualcosa di acquisito dall’ambiente socioculturale. Che cos’è che spinge l’uomo ad affrontare ostacoli e a crescere? La motivazione, l’impulso, la tendenza o il bisogno. Non sempre, però, il bisogno o la tendenza possono essere soddisfatti, in tal caso può nascere il conflitto, che può essere negativo o positivo.

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Il conflitto può essere originato da noi o causato dall’ambiente: le conseguenze, in ogni caso, sono tutte psicologiche e portano il soggetto in quello stato che, se è prolungato, è definita frustrazione. Finché il nostro comportamento tende a un unico fine, tutto procede bene, non esiste conflitto. Per quanto complessa possa essere la sequela dei comportamenti e delle scelte nella giornata (psicologiche, lavorative, piacevoli, fastidiose o sgradite), ciò non comporta fastidi particolari al nostro Io se non ci sono decisioni contrastanti da prendere. Tale quotidianità permette alla nostra persona di vivere una vita dinamica, ma senza contrasti. E’ quando sorgano in noi desideri o bisogni o tendenze discordi, oppure scelte problematiche che implicano una decisione, che noi entriamo in conflitto. Orbene, perché al conflitto non si sostituisca la frustrazione, occorre passare all’azione, cosa che non sempre è facile. La frustrazione è un fenomeno frequente, perché ogni adattamento implica frustrazione. Lo stato di piacere deriva da un precedente stato di dispiacere. E’ difficile quindi immaginare una soddisfazione che non abbia qualche frustrazione anteriore, che può essere causata dall’ambiente.

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