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PSICANALISI 2° ANNO LEZIONE ONLINE n° 1

FREUD É impossibile conoscere gli uomini senza conoscere la forza delle parole. Sigmund Freud Le tematiche legate a Freud sono un argomento che ricorre spesso nello studio della grafologia. Pertanto è di basilare importanza per il grafologo accostarsi alla psicanalisi, che scandaglia la personalità nel profondo. Partendo da Freud si parte dal suo fondatore poiché egli ha posto delle pietre miliari a fondamento degli studi della psiche, anche se ha contemporaneamente lasciato spazi aperti alle ricerche sulle dinamiche dei rapporti tra Es, Io e Super-Io, o su come i meccanismi di difesa influiscano sulla relazione tra individuo e ambiente. Oggi si discute molto su quale sia la posizione della grafologia in rapporto alla psicologia e l’argomento è ancora da precisare. Quale che sia la risposta definitiva, noi assumiamo come ipotesi di lavoro il concetto di analogia, cioè di quel procedimento conoscitivo per cui, sulla base delle acquisizioni ottenute in una delle due discipline, possiamo postulare l’esistenza di simili proprietà anche nell’altra, giacché esse hanno lo stesso campo d’indagine. E’ il caso di ribadire comunque l’indipendenza delle due discipline, psicologia e grafologia; ma esse sono due insiemi che hanno lo stesso campo di azione e quindi i punti in cui si trovano a coincidere forniscono indicazioni preziose per la conoscenza dell’uomo. Vedremo cioè come determinati segni grafologici, in determinati contesti, possano costituire indici di alcune situazioni e alcune dinamiche che la psicanalisi di Freud ha scavato e portato in luce. Dovremo così ripercorrere i


procedimenti attraverso cui egli è giunto a formulare le sue acquisizioni fondamentali. Per entrare più approfonditamente nel merito, cominciamo ora a conoscere le tematiche di Freud a partire dalla sua biografia. E’ importante, infatti, conoscere i momenti fondamentali della sua esistenza perché gli sviluppi della sua ricerca sono strettamente legati alla sua vita, ai suoi rapporti con gli altri, all’introspezione che costituì una fonte indispensabile di conoscenze. Un grande merito di Freud, un aspetto che rende particolarmente vitale e degna di rispetto la sua opera, è che egli non si adagiò sui risultati ottenuti ma proseguì continuamente la ricerca, anche se questo poteva voler dire modificare le proprie teorie e riconoscere i limiti delle sue affermazioni precedenti. Questo rende la psicoanalisi una costruzione di cui è possibile riconoscere le tappe, e stimola il proseguimento della ricerca. VITA E PENSIERO Sigmund Freud nacque nel 1856 a Freiberg, in Moravia, (regione dell’odierna Cecoslovacchia) da un mercante di lana e dalla sua seconda moglie. La famiglia era israelita, e a questa sua condizione, di ebreo e di austriaco, F. attribuiva la propria capacità di sopportare il peso di una posizione impopolare, il misconoscimento e le accuse che gliene erano propinate. Possiamo dire che egli interpretò le inquietudini, a mano a mano che portò avanti la sua rivoluzionaria concezione dell’uomo, e che diffuse il movimento psicoanalitico di cui fu il fondatore. Molta parte della critica scientifica osteggiava la nuova disciplina e F. ne subì tutti i disagi procedendo sempre sulla sua strada, anzi sempre più convinto di poter trovare la chiave per risolvere il problema delle nevrosi e risollevare anche la sua situazione pratica. Tornando alla sua biografia, la famiglia si trasferì presto a Vienna, dove egli visse fino a un anno prima della morte. Nel 1938, infatti, lasciò Vienna


occupata dai nazisti e si trasferì a Londra, dove morì nel ‘39, assistito dalla figlia Anna. Nel corso dei suoi studi F. si iscrisse alla facoltà universitaria di scienze dedicandosi alla ricerca sotto la guida dello psicologo Brucke, da cui il giovane trasse il modello della disciplina scientifica da seguire con rigore e meticolosità. Tuttavia per motivi economici F, dovette passare a medicina, laureandosi nel 1881 e specializzandosi poi in neurologia. Ottenuta una borsa di studio, andò a Parigi, da Charcot, il più grande neurologo europeo di allora che, studiando l’isteria, aveva concluso che questa, come le altre nevrosi, è una malattia funzionale, esente da lesioni organiche. Questa concezione nuova fu accolta da F., e così pure la terapia usata da Charcot, cioè l’ipnosi. A Vienna tale metodo era usato dal dott. Breuer, e F., che nel frattempo si era sposato con Martha Bernays, decise di collaborare con lui. In questa circostanza, come spesso anche in seguito, F. fu rifiutato o guardato con indifferenza dall’ambiente medico contemporaneo (come quando presentò un caso di isteria maschile). Gli scienziati di allora, infatti, erano impegnati a ricondurre i fatti psichici a cause somatiche anatomiche o chimiche. Secondo Helhmolz, neurofisiologo, nell’organismo agiscono solo forze quantificabili in senso fisico-chimico. Si spiega così la diffidenza verso questi studi di F. e verso l’opera pubblicata nel 1895 e scritta in collaborazione con Breuer: “Studi sull’isteria”. Da questa esperienza F. ricavò soprattutto la convinzione dell’importanza di sbloccare nel paziente un’emozione rimossa e nel far affiorare alla coscienza quanto prima era inconscio. E’ questa l’origine della psicoanalisi, nata dall’abbandono dell’ipnosi. Nello studio in cui F. curava i “malati di nervi”, egli cominciò quelle esperienze fatte di pratica e di elaborazione teorica che coinvolgevano tutto il suo vissuto personale. Dalle sue lettere emerge che si tratta di un cammino faticoso fatto di dubbi, di tentativi, di avvicinamenti progressivi alla spiegazione di fenomeni psichici. Abbandonata l’ipnosi e staccatosi da Breuer, F. procedette nell’analisi di una dimensione fino allora solo intuita, in cui vanno ricercati gli impulsi, le passioni, le idee e i sentimenti rimossi: un mondo sottostante di forze vitali e


sconosciute che esercitano un controllo imperioso sui pensieri e sui bisogni coscienti dell’uomo. Da questo punto di vista una scienza psicologica che si limiti ad analizzare la coscienza, sarà incapace di comprendere i motivi profondi del comportamento umano. Proseguiremo ora a esaminare le tappe della vita di F., prima vedendo a grandi linee le sue attività e indicando il titolo delle opere fondamentali, poi entreremo nel merito dei principali cardini della sua psicoanalisi. A partire dal 1895 inizia il trentennio più fecondo dell’attività scientifica di Freud. L’anno seguente, la morte del padre lo colpisce con una intensità che egli non si sarebbe aspettato; l’eco profondamente dolorosa che quest’evento suscita in lui è lo stimolo più immediato a intraprendere l’autoanalisi attraverso il metodo delle libere associazioni e dell’interpretazione dei sogni. Prende pio avvio la ricerca di F. su quali siano state le radici profonde dei suoi difficili rapporti col padre; nel corso di questa indagine, compiuta anche in conformità a un’accurata documentazione riguardante episodi e vicende degli anni remoti della propria infanzia, viene configurandosi nella mente di F. la struttura fondamentale di quello che egli chiamerà più tardi il “complesso edipico”; la scoperta del complesso edipico si pone al centro nello studio delle manifestazioni spontanee e universali della sessualità infantile. Nel 1900 Freud pubblica “L’interpretazione dei sogni”, che costituisce per la psicologia un contributo rivoluzionario e fondamentale. Ancora nel ‘31 F. stesso scriveva del suo libro: “Esso contiene la più valida di tutte le scoperte che ho avuto la fortuna di fare. Intuizioni come queste capitano a molti, ma una volta sola nel corso di un’intera vita”. E F. aveva ragione di attribuire tanto valore al proprio lavoro sui sogni. In nessun altro fenomeno della vita psichica normale viene rivelata con tanta chiarezza, e resa accessibile con tanta facilità allo studio, una quantità così grande di processi psichici inconsci. Il sogno non porta semplicemente a una migliore comprensione dei processi e dei contenuti psichici inconsci in genere, ma conduce in particolare proprio a quei contenuti che sono stati rimossi dalla coscienza e scaricati per opera delle attività difensive dell’Io.


Su un terreno per certi versi analogo si muove F. nell’opera “Psicopatologia della vita quotidiana” del 1904. Il titolo vuole porre l’accento sul fatto che non vi è netta differenza qualitativa tra normale e patologico; essa analizza i lapsus nel parlare, nello scrivere, le sviste, i difetti di memoria e molti di quei contrattempi della vita di tutti i giorni che attribuiamo di solito al caso e che chiamiamo incidenti. Anche prima delle ricerche di Freud su questi fenomeni nella mentalità popolare c’era la vaga consapevolezza che avessero un qualche significato non solo legato al caso. Comunque F. per primo sostiene con argomenti scientifici che sviste e paraprassie sono il risultato di un’azione significativa e intenzionale dell’individuo, benché tale intenzione rimanga sconosciuta allo stesso soggetto, o meglio sia inconscia. Tutto ciò per effetto della rimozione. Un uomo d’affari non ricorda il nome di un commerciante con cui ha frequenti contatti di lavoro; motivo: ha sposato una sua precedente fidanzata. Uno sposo sta andando a casa della sposa il giorno del matrimonio. Sta fermo sulla sua auto anche quando il semaforo è verde; lui crede che sia rosso; motivo: paure (rimosse) nei confronti del legame che si sta formando. In “casa Freud” iniziarono poi le riunioni di un gruppo di studiosi che nel 1908 daranno vita alla Società psicoanalitica di Vienna. F., convinto dell’importanza dell’istinto sessuale già nell’età infantile, pubblicò nel 1905 “Tre saggi sulla teoria sessuale”, mentre la sua carriera universitaria procedeva non grazie alla psicoanalisi, ancora ignorata o guardata con scandalo, bensì grazie alla sua attività di neuropatologo. Nel 1907 però la psicoanalisi cominciò a diffondersi: F. entrò in rapporto con la clinica psichiatrica di Zurigo e vi conobbe Jung, col quale iniziò una collaborazione fruttuosa ma tormentata, che terminò con una rottura nel 1913. F. e J. intanto furono invitati anche a Boston per una serie di conferenze che diedero il via alla diffusione della psicoanalisi in USA, e nel 1910 fu fondata l’Associazione Psicoanalitica Internazionale. Dice F. in proposito: “Ritenevo necessario istituire un’associazione ufficiale perché temevo gli abusi che in nome della psicoanalisi sarebbero stati


commessi non appena fosse divenuta popolare. Doveva esserci una sede competente a dichiarare: - Con tutte queste fandonie l’analisi non ha niente a che fare, questa non è psicoanalisi - ... Mi pareva inoltre auspicabile che i seguaci della psicoanalisi s’incontrassero per mantenere rapporti amichevoli e aiutarsi a vicenda. ... Tutto questo e nient’altro io volevo ottenere con la fondazione dell’Associazione Psicoanalitica Internazionale. Probabilmente era più di quanto fosse possibile. Come i miei avversarti avevano dovuto sperimentare che non era possibile frenare il nuovo movimento, così a me toccò sperimentare che esso non si lasciava guidare sulla via che avevo inteso indicargli”. Con quanto aspro rammarico F. vive le rotture e gi abbandoni da parte di molti suoi seguaci s’intuisce bene dal tono acceso, appassionato e polemico con cui ne scrive, sempre in “Per la storia del movimento psicoanalitico” del 1914. Adler “ha buttato all’aria tutte le acquisizioni psicologiche della psicoanalisi” e il suo movimento è “radicalmente errato”. L’impostazione di Jung è invece “confusa, nebulosa e intricata”. Durante questo periodo tormentato F. lavora a “Totem e Tabù” (1913), il “primo tentativo - dice l’autore - che io abbia compiuto di applicare le premesse e i risultati della psicoanalisi a problemi non ancora chiariti della psicologia dei popoli”. Il tabù dell’incesto per esempio, o anche quello dei morti, dipendono da processi inconsci che in una data società non sono poi dissimili da quelli riscontrabili in società molto diverse sotto altri punti di vista. Freud continua, ampliandola e accostandola all’antropologia culturale, l’indagine sulla libido già condotta in “Tre saggi sulla sessualità” (1905). E giungiamo a un momento grave e decisivo per tutti: gli anni della grande guerra. Nel 1920 esce “Al di là del principio del piacere”, opera tanto sconvolgente quanto ancora oggi messa in discussione. Non più Eros, ma Eros e Thanatos. In precedenza era l’istinto di vita l’unica fonte di energia libidica. “Esiste nella psiche una forte tendenza verso il principio del piacere”. Ma con lo scoppio della Prima Guerra mondiale giunge per F. una svolta importante nella sua teoria. Egli, che dapprima approva la dichiarazione di


guerra lasciandosi prendere da senso patriottico, in seguito, davanti agli sconvolgimenti e alle distruzioni, giunge a una conclusione pessimistica. Nel ‘18 è chiamato a far parte di una commissione medica per lo studio delle nevrosi di guerra. Mentre era chiaro il rapporto tra tali nevrosi e i conflitti inconsci, era altrettanto evidente però che non erano in causa fattori sessuali o comunque elementi riconducibili al principio del piacere. E questo passo va nella stessa direzione di altre osservazioni: i sogni ricorrenti a contenuto spiacevole, la coazione a ripetere, che deriva da un principio conservatore tendente al ripristino di uno stato anteriore. Ecco allora che tutto ciò porta F. a riconoscere un’altra pulsione fondamentale dell’uomo: l’istinto di morte. Esso si manifesta attraverso un’energia cui F. non dà nome, potremmo definirla destrudo o energia aggressiva; ed è la rappresentazione psicologica del principio fisico della costanza, per cui tutti i processi vitali tendono a un ritorno verso la stabilità del mondo inorganico. Ciò equivale anche al 2° principio della termodinamica: è impossibile trasformare tutto il calore in lavoro, una parte dev’essere dissipata, fino ad arrivare all’entropia massima, alla stasi. In qualsiasi sistema le cose vanno dal disordine all’ordine, da un dislivello a un livello (cascata, montagna). La fisica dice che l’elemento negativo, o entropia, aumenta sempre. Nel momento in cui l’entropia è massima, si ha l’uguaglianza totale della distribuzione d’energia, la stasi, ciò che F. chiama morte. Naturalmente questa è solo un’analogia, poiché energia fisica e psichica sono due concetti ben distinti. Dall’istinto di distruzione derivano le tendenze aggressive, che non sono altro che autodistruzione rivolta verso l’esterno. Un uomo lotta con altri e ha impulsi distruttivi perché il suo desiderio di morire è bloccato dalla forza degli istinti di vita. Eros e Thanatos con le loro derivazioni possono fondersi, neutralizzarsi o sostituirsi l’un l’altro. L’atto del mangiare è insieme libidico e distruttivo, l’amore può sostituire l’odio o mescolarvisi.


Nel ‘23 esce “L’Io e l’Es”; quest’opera appartiene a un periodo d’indagini teoriche. Freud formula qui l’ipotesi strutturale che per ora grossolanamente definiamo così: l’apparato psichico funziona su tre gruppi di processi: Es (pulsioni istintuali), Io (relazioni individuo-ambiente), Super-Io (precetti morali e aspirazioni ideali). Nonostante fosse già malato, F. continuò vitalmente la sua attività, mentre la psicoanalisi stava diffondendosi straordinariamente. A Berlino però i nazisti dettero alle fiamme i suoi libri. F. commentò: “Che progresso stiamo facendo! Nel medioevo avrebbero bruciato me”. Ma non seppe che le sue quattro sorelle in un campo di sterminio avrebbero dovuto subire proprio quella sorte. Se esaminiamo la vita di Freud dal punto di vista degli sviluppi della sua attività, ci accorgiamo che essa può intendersi come un susseguirsi di tappe che portano passo per passo alle conclusioni della sua costruzione della psicoanalisi. Cesare Musatti (introduzione a “La teoria psicoanalitica” di Freud) lo psicanalista che ha maggiormente contribuito a diffondere in Italia le tematiche freudiane ed il suo sistema di approccio alla nevrosi, ha colto essenzialmente 5 fasi nella sua attività: 

Fino al 1895 si ha la collaborazione con Breuer e la presa di coscienza della necessità di una psicologia del profondo;

Fino al 1900 è l’epoca dell’autoanalisi e dell’interpretazione dei sogni;

Fino alla 1a guerra mondiale, Freud collabora con altri studiosi e sviluppa la dottrina della libido (“Psicopatologia della vita quotidiana”, “Tre saggi sulla sessualità”, “Totem e tabù”);

Metapsicologia, ricerca, non riuscita, di un principio unitario;

Sbocco verso la concezione dualistica delle pulsioni. Saggi sulla guerra e “Al di là del principio del piacere”.

Entriamo ora più approfonditamente nel merito. Rifacendoci al periodo in cui Freud studiava l’isteria, abbiamo accennato alla sua convinzione che quando in una persona affiorano impulsi non accettabili consapevolmente, l’isteria può


fungere da difesa rimuovendo queste rappresentazioni dalla coscienza e deviando la loro carica verso l’espressione somatica con vari sintomi (paralisi, confusione mentale...) Si tratta quindi di saperne di più su questi contenuti non manifesti, anche prescindendo dal fatto che si debba indagare nella psiche di un “normale” o di uno psiconevrotico. La sua opera è fondata sull’autoanalisi, ma il suo valore sta nella scoperta della fondamentale uniformità del funzionamento della psiche, nell’aver dimostrato cioè che i fatti psichici sono regolati da leggi precise e nell’aver indicato il senso di fenomeni ritenuti oscuri e casuali. Due le conseguenze: occorre esplorare scientificamente una nuova dimensione, l’inconscio; inoltre è necessario conoscere se stessi per attingere alla conoscenza della realtà profonda degli altri. Torniamo allora a quegli “impulsi” che ci spingono, ma non sempre affiorano a livello di coscienza. Parleremo a questo proposito di pulsioni, parola forse più adatta di istinti (meglio riferibile al mondo animale). Con “pulsione” intendiamo uno stato di eccitazione psichica o tensione in risposta ad una stimolazione. La pulsione può dar luogo a un’attività motoria di risposta, mediata dall’Io, e tale risposta può variare a seconda dell’esperienza e della riflessione, ma comunque tende alla cessazione dell’eccitazione o in altri termini alla gratificazione. Le pulsioni costituiscono quindi una sorta di energia psichica. Sono già state analizzate in altra sede le fasi che il bambino attraversa nel suo sviluppo, considerate dal punto di vista dell’evoluzione nella gestione delle pulsioni, che si manifestano in tutta la loro forza già alla nascita. Anzi la crescita può considerarsi proprio il modo con cui il bambino impara a controllare i propri impulsi istintuali. Ricordiamo in breve che secondo Freud il bambino attraversa una serie di fasi dinamicamente differenziate durante i primi 5/6 anni di vita, fasi determinate in base all’importanza assunta da varie parti del corpo come punti privilegiati per il soddisfacimento di un bisogno e per l’ottenimento di un piacere. A ciascuna fase è legato lo sviluppo di alcuni tratti del carattere che nella personalità matura risultano riassorbiti e controllati dall’Io.


Fase orale (1° anno): la principale fonte di piacere è la bocca, tramite le attività dell’assumere cibo e del mordere. Tratti del carattere: credulità o anche aggressività verbale, dipendenza. Fase anale (2° anno): l’espulsione delle feci comporta l’eliminazione di un fastidio e un senso di sollievo. Tratti del carattere: riservatezza e grettezza oppure scoppi di collera e distruttività, o ancora produttività. Fase fallica (fino a 5/6 anni): concentrazione sugli organi genitali e formazione e superamento del complesso di Edipo (= libido oggettuale sul genitore di sesso opposto e carica ostile verso il genitore dello stesso sesso). Il Super-Io è l’erede del complesso edipico. Segue poi la fase di latenza, della durata di circa 5 anni: si ha come una stasi durante la quale gli impulsi sessuali tendono ad essere contenuti in uno stato di rimozione. Il risveglio dell’adolescenza riattiva tali impulsi: fase genitale, in cui la libido non è più narcisistica, ma compie scelte oggettuali genuine: cominciano a manifestarsi l’attrazione sessuale, la socialità, le attività di gruppo, i progetti professionali, la preparazione al matrimonio. Gli impulsi vengono incanalati dall’Io e l’individuo si trasforma da bambino narcisista che ricerca in se stesso il piacere in adulto orientato verso la realtà. Dice Freud in proposito: “Il principio del piacere è inerente a una modalità primaria di lavoro dell’apparato psichico, ma quando entra in gioco l’autoconservazione dell’organismo, di fronte a difficoltà che hanno origine dal mondo esterno, esso si rivela inefficiente e perfino pericoloso. Infatti ... il principio del piacere viene sostituito dal principio della realtà. Quest’ultimo, pur senza rinunciare al fine ultimo del conseguimento del piacere, esige tuttavia e mette in atto il differimento del soddisfacimento, la rinuncia a certe possibilità di gratificazione, e la temporanea sopportazione del dispiacere, come tappa nel lungo e contorto cammino verso il piacere.” Dire che al principio del piacere si sostituisce il principio della realtà equivale a dire che l’Io si è differenziato dall’Es, o anche che il processo secondario è subentrato al processo primario.


Il processo primario è il primo modo di funzionamento dell’apparato psichico e si può ritenere che l’Es funzioni in conformità col processo primario durante tutta la vita. Anche l’Io, durante i primi anni di vita funziona in tal modo, quando è ancora immaturo, ma gradualmente tende a svilupparsi il processo secondario. Caratteristica del processo primario è la tendenza al soddisfacimento immediato delle pulsioni con conseguente scarico dell’energia psichica: il bambino che ha fame vuole immediatamente il biberon, oppure si succhia il dito. Il tipo di pensiero del processo primario è difficile da definire. Esso procede per allusioni, manca ogni negativo o condizionale, non esiste passato o futuro. Vi è la tendenza a rappresentare idee in modo non verbale (scarabocchi, disegno e, negli adulti, arte). Il processo secondario invece mostra la capacità di ritardare la scarica dell’energia, rimandandola fino a quando le circostanze ambientali non risultino favorevoli. Il pensiero del processo secondario è più facile da descrivere: è il modo di pensare cosciente ordinario, rispettoso delle leggi della logica e della sintassi. L’Io basa la sua funzione di pensare su un’altra delle sue funzioni, e cioè quella di comprendere le percezioni sensoriali. La terza funzione dell’Io consiste infine nel controllo motorio e nella destrezza dei movimenti, il che permette di agire nell’ambiente e di modificarlo. CORRELAZIONI CON LA GRAFOLOGIA E IL DISEGNO Questi risultati dell’indagine di Freud sono di straordinaria importanza per noi per l’analogia che è possibile riscontrare con le osservazioni della grafologia. Infatti, possiamo accostare la fase di vita che corrisponde ai processi primari e al principio del piacere con la fase dello scarabocchio. Quindi invece si affacciano alla coscienza i processi secondari dell’Io (e con essi il controllo motorio) entriamo nella fase della scrittura. Scarabocchio è il primo tratto scrittorio, un atto che il bambino compie per il puro piacere di farlo. Ciò può avvenire già dai diciotto mesi. E’ molto importante permettere che il bambino si esprima con questo mezzo rudimentale. In questo modo gli s’infonde fiducia, voglia di comunicare, di


esplorare se stesso in rapporto alla realtà e gli si consente di provare la soddisfazione di aver prodotto qualcosa di proprio. Oltre a tutto ciò si permette alla mano di acquisire scioltezza, sensibilità tattile, e l’azione delle dita sui meccanismi cerebrali imprimerà un buon collegamento tra pensiero ed espressione corporea, con il coordinamento tra ciò che è fisiologico, ciò che è psichico, ciò che è intellettivo. Lo scarabocchio è l’espressione della fase primaria della vita: in esso, infatti, troviamo manifestati in modo immediato bisogni, impulsi, sensazioni, sentimenti quali esigenza di espansione o autoprotezione, gioia, angoscia, aggressività, benessere o malessere. In tutti i casi si ha una scarica della libido che sollecita da parte dell’ambiente una risposta al bisogno affettivo ed esprime la necessità di gratificazione da parte delle figure rappresentative. Pur se nello scarabocchio il bambino si esprime con estrema libertà, vincolato solo dallo strumento scrittorio e dalla dimensione del foglio (a volte neppure da quelli), tuttavia è già possibile analizzare e interpretare questo suo modo di esprimersi secondo precisi punti di osservazione. Diciamo subito che oltre al prodotto finito occorre tenere presenti anche altri elementi come la presa del foglio, l’impugnatura della matita, il modo di trattare il materiale. Per venire al campione grafico vero e proprio, la nostra scuola adotta i seguenti punti di osservazione: Spazio: il foglio è idealmente suddiviso in quattro quadranti e si osserva quali parti e margini sono toccati. Margini sono uguali ad autocontrollo. Poiché il foglio rappresenta io limite spaziale che il bambino sperimenta quotidianamente pur sotto altre forme, egli riproduce simbolicamente la situazione e fissa sulla carta le reazioni che ha nei confronti dell’ambiente. Punto iniziale: non sempre è possibile rilevarlo, ma è importante poiché permette di chiarire in quale posizione il bimbo colloca il suo Io. Nucleo centrale: è da registrare non solo in quale zona si trova, ma anche se è centrale o periferico. Tracciato curvo o angoloso: esprime l’adattamento, la distensione, oppure la chiusura, l’introversione, l’indipendenza.


Pressione: leggera vuol dire soglia bassa di ricettività agli stimoli; grossa è uguale a tendenza ad attività operative; con scariche significa conflitto tra le proprie istanze istintuali e la realtà. Legamenti: segnalano la capacità di collegare e di comunicare. Quando arriva sui tre anni, il bambino non scarabocchia più solo per il piacere del movimento o per sentire la resistenza della matita contro il foglio, ma per rappresentare sensazioni interne vissute intensamente; a questo stadio c’è già un intento rappresentativo. Verso la fine dei tre anni il bimbo incomincia a disegnare figure che somigliano ad abbozzi di case o di soli. Verso i quattro anni emergono le prime figure umane schematiche e sono scritte le prime lettere dell’alfabeto. Quindi il disegno è scarabocchio il bambino manifesta nei gesti immediati e improvvisi impulsi e tratti temperamentali allo stato puro; in seguito, nel periodo delle prime rappresentazioni, esprime emozioni, scoperte, il suo modo di vedere il mondo; ma verso gli otto/nove anni, con l’impostazione logica del pensiero, l’influenza della disciplina scolastica, le norme familiari e sociali, i disegni assumono un aspetto più conformistico, stereotipato, meno sentito e autentico. Al contrario, la scrittura nelle prime fasi dell’apprendimento è un esercizio impegnativo e faticoso per poi arrivare a sempre maggiore scioltezza e autenticità. L’apprendimento della scrittura rientra in quel processo di sviluppo dell’Io per cui il soggetto passa da modalità primarie a modalità secondarie. E da questo punto in poi, pur senza disconoscere che a certe condizioni il disegno può rimanere un importante reattivo della personalità, la grafia risulta uno specchio più completo, che non tocca solo la sfera emotivo-affettiva, ma coinvolge anche gli aspetti intellettivi. L’apprendimento della scrittura è laborioso data la quantità di elementi che interagiscono: 

Fattori fisici: sistema neuromuscolare col controllo della motricità;

Fattori intellettivi: capacità di apprendimento, memorizzazione, fantasia, sviluppo del sistema spazio-temporale;


Fattori affettivi: cioè le dinamiche emotivo-affettive che si creano nel rapporto Io-Tu implicato nella scrittura;

Fattori socio-culturali: di dipendenza dall’ambiente, perché il linguaggio viene tradotto in segni particolari e secondo determinate regole che vanno più o meno rigidamente rispettate.

Lo scrivente non può sbizzarrirsi come nello scarabocchio, ma deve coordinare i movimenti secondo canoni prestabiliti: spazi, dimensioni, direzione, legamenti, inclinazione, profili, margini... Ciò che è tolto alla libera espressione della spontaneità e della fantasia inconscia è energia che, attraverso una costrizione e un’applicazione intensa va a servire e a rafforzare l’Io intellettivo e sociale, che anche così impara a mediare tra esigenze proprie e realtà ambientale. Non è possibile in questa sede descrivere passo per passo l’evoluzione del grafismo, ma vediamone gli aspetti fondamentali. 

Prima e seconda elementare: il bambino entra nella fase di latenza e da un rapporto egocentrico primario si avvia alla socializzazione e all’acquisizione di dati culturali. L’assestamento e la forma delle lettere risentono di una coordinazione della motricità ancora non pienamente raggiunta: “stentata” è normale a questa età. Anche un disordine emotivo può contribuire ad una disarmonia delle lettere e della loro consequenzialità. Pressione: in genere forte, oppure incostante. Calibro: quasi tutti, come emerge da ricerche della nostra Scuola, hanno calibro sopra media. Per Crotti ciò è espressione del bisogno di espansione, dell’affettività ancora narcisistica, ma anche di una motricità non ancora completamente controllata. C’è una forte aderenza al modello, segno di forte diligenza; mentre un’impronta personale è desiderio di autonomia.

Terza e quarta elementare: già i calibri si diversificano; permane lo stretto tra parole e può già comparire il segno aste a sinistra. Il largo tra lettere è abitualmente sotto media.

Quinta elementare: si struttura il processo cognitivo e matura il sistema nervoso centrale. Le tre larghezze assumono il loro valore, anche se con


qualche ritardo per il largo tra parole. Maggiore è l’autocontrollo e pure la stabilità emotiva. 

Dalla prima media assistiamo al passaggio verso l’adolescenza. Facilmente si trovano allunghi rattrappiti o rigonfi e il riccio dell’evasione. Gli umori mutevoli, disordinati, contraddittori si riversano in grafie estremamente variabili, transitorie. Inoltre: aste a sinistra e rovesciata, espressione della scarsa propensione a essere disponibili, tentennante, addossata, accartocciata e adagiata a significare le difficoltà legate alla costruzione della stima di sé.


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