LA CONSULENZA TECNICA Anna Maria Diana Piracci La consulenza tecnica, quale strumento di ricerca di prova, rappresenta una delle fonti di convincimento del giudice. Sia nell'ambito civile, che in quello penale, il magistrato può richiedere l'intervento di un esperto che, attraverso le sue specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche, consenta al giudice medesimo di acquisire elementi idonei al raggiungimento della verità. È fondamentale, il fatto che il legislatore abbia inteso riconoscere a tale istituto una rilevante funzione nell'ambito del momento formativo della prova, tant'è che la perizia è stata inserita nel "Titolo II" (mezzi di prova) del Libro Terzo (prove) capitolo relativo ai mezzi di prova del codice di procedura penale. Il ricorso alla consulenza tecnica, come segnalato dal Carnelutti, è reso necessario dalla "insufficienza del giudice". Il Corso, inoltre, ebbe a sottolineare che la necessità e la doverosità della perizia sono una diretta conseguenza dell'obiettiva necessità di considerare l'indagine tecnica "non solo nell'ottica dell'autorità procedente, ma anche in quella delle parti", ciò anche in presenza "di una particolare capacità culturale del giudice". Il Consolo (alla voce Perito, in Dir. Proc. Pen. in Enc. Giuridica Treccani) ha evidenziato che l'esigenza "di un più meditato controllo delle ragioni che stanno alla base di ogni decisione". Va inoltre indicato che, la giurisprudenza, che qualifica la consulenza tecnica come mezzo istruttorio e non come prova vera e propria (Cass. 4 aprile 1989 n. 1620) e come strumento di valutazione di fatti già acquisiti altrimenti (Cass. 8 agosto 1989 n. 3647) –afferma che la consulenza può assurgere a fonte oggettiva di prova come strumento di accertamento e descrizione dei fatti oltre che della loro valutazione -( così ad es. la Cass. 10 aprile 1986 n. 2497, Cass. 24 marzo 1987 n. 2849). L'articolo 220 c. p. p. prevede espressamente che la consulenza tecnica è ammessa quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni. L'indagine peritale incontra due limiti, il primo attinente l'oggetto della stessa, il secondo la libertà e la discrezionalità del giudice nel decidere. Va precisato che sotto il primo profilo è il 2° comma dell'articolo 220 c. p. p. a stabilire che non sono ammesse perizie per stabilire l'abitualità o la
professionalità nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la personalità dell'imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche. In poche parole, vige il divieto della consulenza tecnica psicologica. Da tale assunto sono emersi non pochi equivoci, sicché se l'indagine di analisi e di comparazione di scritture è espletata in osservanza del metodo grafologico, taluni detrattori della Grafologia inveiscono, accusando addirittura il perito grafologo di operare in contrasto alle norme che regolano l'indagine peritale in generale. Quest’equivoco è dettato dall'ignoranza specifica della materia grafologica. Nell'ambito peritale, tale materia, riguarda unicamente la metodologia di ricerca degli elementi grafici per effettuarne il confronto e la verifica e non anche lo studio della personalità del soggetto sottoposto ad indagine, attraverso la sua scrittura, per poi fornirne un referto. Ciò premesso va precisato che la verifica peritale in campo grafologico, ossia la consulenza tecnica di analisi e di comparazione della grafia come indicata dal legislatore, è quell'attività tecnica e/o scientifica esperita da un esperto che, secondo i casi, accerta l'identità o la non identità di un soggetto sulla base della propria scrittura oppure l'identità o la non identità di un soggetto nell'autore sconosciuto di una scrittura anonima. È noto come la consulenza tecnica su manoscritti sia considerata una delle perizie più difficili a giudizio di chi ha studiato il problema con rigore scientifico. Le cause di queste difficoltà vanno ricondotte a molteplici motivi: la variabilità del grafismo individuale, la difficoltà di avere a disposizione scritture che siano effettivamente confrontabili con quelle contestate, la non conoscenza del modo in cui sono state realizzate le scritture da analizzare, per citare solo gli aspetti più complessi da accertare. A questi problemi vanno aggiunte difficoltà d’altro genere connesse ad elementi di contesto che riguardano, ad esempio, l’invecchiamento della carta e degli inchiostri. Tali elementi sono evidentemente fondamentali quando bisogna stabilire la datazione di un documento. Inoltre occorre considerare la realtà peritale nel contesto in cui si svolge: il processo, sia civile, che penale. Come scrive Tullio De Rose, entrambe le perizie si pongono "come un insieme di operazioni tecniche compiute da persone particolarmente esperte che intervengono nella dinamica processuale - nei tempi, con le modalità, le
sfaccettature e gli effetti probatori previsti dai codici e dalle connesse disposizioni normative – nell’interesse superiore e generale di contribuire e < far giustizia >". L’attività peritale, come già precisato, si presenta come strumento per ricercare la verità, utilizzato non direttamente dal giudice, ma attraverso l’opera di una terza persona che deve essere fornita di particolari cognizioni tecniche e scientifiche. In tal modo la consulenza tecnica si pone al di fuori delle parti e assume così una funzione di garanzia. Questo spiega la "necessità" e quindi la "doverosità" da parte del giudice di ricorrere ad essa, anche nel caso in cui il giudice avesse competenza in questo campo. Tutto è palese quando l’esperto è nominato dall’Autorità Giudiziaria, ma il rigore metodologico e la complessità della situazione non vengono meno quando lo stesso è nominato dalla parte che non condivide la conclusione alla quale è giunto il perito d’ufficio. Si potrebbe anzi affermare che la presenza di questa possibilità arricchisce il contesto nel quale il perito opera, rendendo il suo lavoro più rischioso e quindi più sottoposto a cautele. Queste nascono dalla consapevolezza di due fattori: la complessità dell’indagine grafologica, per le difficoltà di reperire tutte le condizioni di accertamento della verità, e l’ambiguità della situazione in cui il perito opera, cioè uno scenario in cui esistono sempre, sul piano inconscio e psicologico, "due" verità, quelle di ciascuna delle parti in causa. A questo punto, è evidente che il rigore metodologico si pone come un’imprescindibile esigenza di deontologia processuale e tale rigore sarà tanto maggiore quanto più è matura la consapevolezza epistemologica del perito. Nel suo saggio sulle "Perizie di controdeduzioni. Efficacia oggettiva ed etica professionale" Aurora Cosbia, osserva, infatti, che "non sono poche le difficoltà psicologiche, diagnostiche, deontologiche in cui un professionista si trova ad operare", arrivando fino a sostenere che un perito "può astenersi dall’adempiere al proprio mandato rifiutando l’incarico" quando si accorge che, accettandolo, violerebbe la propria etica e le aspettative della giustizia. La realtà peritale, dunque, pone problemi complessi di accertamento della verità e, sotto questo profilo, non può essere disgiunta da un dibattito epistemologico il quale la fa oggetto del concetto stesso di verità. D’altronde l’epistemologia è chiamata in causa anche quando,
in termini più generali, deve definire lo stesso statuto scientifico della Grafologia, come documentano i numerosi interventi dedicati a questo problema, in cui si fa il punto sulle diverse teorie epistemologiche di riferimento. Il richiamo sembra utile poiché documenta il fatto che, nell’identificare gli stessi criteri epistemologici pertinenti al mondo della realtà peritale, noi abbiamo non una sola, unanimemente riconosciuta teoria, ma una pluralità di approcci. Il pluralismo va assunto non come fonte di scetticismo relativistico che ci porterebbe a negare qualunque verità e, con ciò, a vanificare il senso stesso della professione peritale, ma come fondamento per delimitare il concetto stesso di verità che non può mai essere assoluta. È opportuno pertanto ricordare alcune definizioni della consulenza tecnica allo scopo di chiarire meglio quella realtà la cui conoscenza è anche oggetto di riflessione epistemologica. Cazzanica, ad esempio, scrive che la perizia "va intesa come un giudizio tecnico sopra fatti che devono essere constatati e valutati con particolari conoscenze scientifiche e capacità pratiche". In Tullio De Rose, leggiamo che anche se la consulenza tecnica "non è di per sé un elemento di < prova >", "è un accertamento tecnico diretto a ricercare elementi di prova, o ad attribuirne efficacia probatoria o meno a un elemento di prova, documentale o materiale, già acquisito agli atti del processo". E ancora su questo tema G. Gullotta, parla dell’attività peritale come di una comunicazione nel corso della quale bisogna far comprendere ai non esperti "in modo coerentemente razionale, logico e dimostrativo, il perché di quel giudizio". Risulta dunque chiaro l’obiettivo della consulenza tecnica grafologica: ciò che è affermato deve possedere una chiara valenza dimostrativa, sostenuta dal rispetto di criteri epistemologici e metodologici tali da poter essere esplicitati. Va esclusa in altri termini, ogni improvvisazione o casualità, sottoponendo il proprio lavoro ad un rigore metodologico che giustifichi sempre le risultanze della propria indagine. Tutto ciò si intende bene se teniamo presente che la correttezza delle procedure e la coerenza metodologica sono requisiti che fanno parte dell’accertamento della verità in qualunque ambito di ricerca. Inoltre, proprio per essere più garantiti nel percorso verso l’accertamento della verità, è necessario sapere bene che cosa si vuole
accertare. In altre parole, occorre definire con la maggiore esattezza possibile il campo della realtà peritale. Nella realtà odierna non è così facile tracciare questa delimitazione. Con riferimento a quanto scrive Bruno Vettorazzo, non è possibile ignorare che oggi il perito grafologo "è di fatto interpellato, dentro e fuori il processo, sulle più diverse questioni, le cui connotazioni esulano talora dallo stesso ambito grafologico e persino grafico". Ricorderemo che è suo compito: verificare l’autenticità di firme su titoli di credito; di sottoscrizioni su scritture private; verificare l’autenticità di testamenti; individuare l’autore di scritti anonimi, siano essi in corsivo, stampatello o a macchina; individuare gli autori di tazebao e murales che sono spesso eseguiti con bombolette spray; effettuare verifiche documentali; verificare l’autenticità di moduli e distinte. Il quesito può far anche riferimento alla capacità di intendere e di volere dell’autore di uno scritto o al profilo di personalità in una perizia collegiale psichiatrica. Da quest’elenco si può intuire il carattere interdisciplinare delle competenze del perito grafologo e quindi cogliere l’intrinseca difficoltà di delimitare il campo in cui si esplica la sua indagine. Ogni fase, anche quella che non è direttamente connessa alle sue conoscenze grafologiche, è costitutiva del processo di accertamento della verità e in ogni momento è possibile l’errore che può portare fuori del giusto cammino. La vastità del campo che costituisce l’oggetto della realtà peritale, dunque, è un’ulteriore difficoltà che si aggiunge al problema ma, nello stesso tempo, è anche una ragione in più per cercare quel rigore metodologico e quella consapevolezza epistemologica che sono il fondamento della serietà professionale del consulente grafologo. Si può, più precisamente, parlare di "rigore epistemologico" proprio in relazione ad alcuni requisiti, uno dei quali è la definizione e delineazione dell’oggetto sul quale verte l’indagine peritale, che avviene con la formulazione del quesito da parte del Magistrato. La ricerca spesso assume un carattere interdisciplinare, come abbiano sopra osservato e, come rileva Vettorazzo, "Si attua così una interdisciplinarità tra più discipline scientifiche, ciascuna delle quali enuclea dal fascio degli oggetti costituenti il problema comune, il proprio oggetto particolare. ". Il carattere interdisciplinare dell’indagine, le pluralità eventuali delle metodologie tra loro integrate, nulla hanno a che fare con l’esigenza della
chiara formulazione del quesito. La messa in campo di una molteplicità di approcci riguarda il perito; al giudice, e questo aspetto della realtà peritale è molto importante, spettano la chiarezza, la precisione, la delimitazione dell’oggetto di indagine. La realtà peritale, intesa in senso letterale, operativo e tecnico, fa riferimento al grafologo polispecialista, conseguenza necessaria di quel carattere interdisciplinare che è da tutti ormai riconosciuto come una caratteristica implicita delle competenze dello stesso. Infatti, non è ipotizzabile far coincidere la realtà peritale con il collegio dei periti che è previsto quando le indagini e le valutazioni risultano di notevole complessità ovvero richiedano distinte conoscenze in differenti discipline (art 221 c. p. p. , punto 2). Bisogna piuttosto riconoscere che oggi si assiste ad una espansione delle conoscenze che costringe il tecnico ad ampliare il suo apprendimento per far fronte ad una realtà più complessa e mutevole. Il carattere interdisciplinare d’altronde riguarda non soltanto l’ampliarsi dei campi del sapere, che deve possedere l’esperto, ma la stessa varietà metodologica di analisi della struttura che può far riferimento a settori teorici differenti. Giancarlo Galeazzi nelle sue riflessioni epistemologiche sulla Grafologia, distingue i due aspetti della realtà peritale, quello definibile in ambito disciplinare e quello più propriamente interdisciplinare. Nel primo illustra proprio i due criteri del rigore e della oggettività che connotano il procedimento del rilevamento empirico dei dati e la via dimostrativa che si articola sulla base dei dati emersi. Nei casi in cui l’evidenza empirica è mascherata da fattori soggettivi o oggettivi, dolosi o non dolosi, il perito deve essere in grado di sfrondare l’aspetto mascherante, indicando il valore segnaletico degli elementi chiave.