Da “IL TESTAMENTO” a cura di Roberto Triola GIUFFRE’ EDITORE MILANO Cap. 4 - L’AUTOGRAFIA Mentre con riferimento alla scrittura privata il legislatore ha richiesto la autografia per la sola sottoscrizione del documento, in quanto, mirando evidentemente a risolvere il problema dell’accertamento della paternità del testo documentato, si è accontentato della mera possibilità di fatto concessa al firmatario, prima di sottoscrivere, di rendersi conto a sufficienza della piena corrispondenza del contenuto del documento alla dichiarazione, per il testamento olografo la preoccupazione relativa alla paternità del testo è andata congiunta a quella di garantirne la conformità alla dichiarazione. La giustificazione di tale prescrizione formale può essere individuata nel fatto che, essendo il testamento destinato, per sua natura, ad assumere rilevanza solo dopo la morte del testatore, il legislatore si è preoccupato di assicurare l’autenticità dell’intero contenuto della dichiarazione e non della sola sottoscrizione. In tale prospettiva si è affermata la giuridica irrilevanza di un testamento olografo redatto in una lingua completamente sconosciuta al testatore, mentre l’applicazione dei principi invocabili per la scrittura privata — secondo cui l’efficacia della stessa va ricollegata soltanto all’apposizione della sottoscrizione in calce al documento — dovrebbe condurre a diversa soluzione (LISERRE, Formalismo negoziale e testamento, Milano 1966, 145). La legge prescrive che il testamento debba essere scritto per intero di mano del testatore anche per impedire che questi possa subire illecite ingerenze altrui e che quindi la volontà da lui manifestata nel testamento non corrisponda effettivamente, in tutto o in parte, alla sua libera e spontanea volontà (GANGI, op. cit., 33). Il testamento deve essere scritto per intero « di mano » del testatore; per scrittura « di mano » del testatore si deve intendere non già qualsiasi scrittura fatta « per mezzo della mano » del testatore, e quindi anche una scrittura a macchina quando la macchina da scrivere sia adoperata dal testatore, ma scrittura “a mano” e quindi con i caratteri calligrafici tracciati di mano del testatore (GANGI, op. cit., 127; CICU op. cit., 36; GIANNATTASIO, Successioni testamentarie, in Commentario del codice civile Torino 1978, 95; AZZARITI, op. cit., 383; BRANCA, op. cit., 72 ss.). Per tale motivo si dovrebbe considerare invalido il testamento stampato, anche quando la composizione dei caratteri tipografici fosse stata fatta dal testatore, ed anche il testamento fatto da un cieco con i caratteri Braille, in quanto trattasi di caratteri che possono essere adoperati da qualunque persona, senza un’impronta personale che possa essere utilizzata per accertare la provenienza del testamento (GANGI, op. loc. ult. cit.; Cicu, op. cit., 38; Azz~1TI, op. loc. ult. cit.). In tutte le ipotesi considerate non viene garantito il risultato che la legge persegue: avere la prova che lo scritto è opera del testatore.
In dottrina (Cicu, op. cit., 36 ss.) è stato posto il problema della validità del testamento redatto dal testatore, il quale, pur non servendosi di caratteri già formati, imiti i caratteri a stampa, in modo che sia più o meno difficile riconoscere se si tratta di caratteri stampati o comunque non si possa riconoscere che lo scritto è di mano del testatore. A sostegno della tesi favorevole alla validità non potrebbe essere invocato il principio secondo cui non è il motivo politico di una norma che ne segna i limiti di applicazione, per cui se è vero che il legislatore ha prescritto che il testatore scriva di sua mano per avere con questo mezzo tecnico la certezza che lo scritto è opera sua, una volta che sia stato osservato tale precetto di forma è indifferente se nel caso concreto la certezza si raggiunga o meno. Come si è osservato in dottrina (PUGLIATTI, Delle successioni testamentarie, in Commentario D’Amelio, Firenze 1941, 421), infatti, è vero che per il testamento scritto di mano del testatore con lettere imitanti la stampa o in qualunque altro modo da lui alterate, rispetto al proprio carattere, si potrebbe, in caso di disconoscimento, più facilmente dimostrare che sia effettivamente opera sua, mentre ciò non sarebbe possibile per il testamento stampato o dattilografato, ma la questione non è di più o meno facile prova, peritale o testimoniale, ma di stabilire se cotesti segni grafici debbano portare in se stessi l’impronta che siano voluti dallo stesso testatore come riconoscibili per suoi, come rappresentanti, cioè, il suo carattere, ed esprimenti, quindi, come tali, la sua seria e determinata ultima volontà da seguire dopo la morte. In definitiva, l’espressione “scritto di mano” va interpretata nel senso che è necessaria l’impronta della personalità del testatore, per cui non è sufficiente una scrittura imitata, artefatta, ricalcata, in quanto in tale ipotesi il testatore, più che scrivere, disegna. Il requisito della olografia comporta che la persona che vuol fare testamento sappia leggere e scrivere; ne consegue che l’analfabeta non può utilizzare tale tipo di testamento. E necessario che sappia scrivere, non già macchinalmente, ma coscientemente, intendendo, cioè, il significato di ciò che scrive, per cui si è ritenuto che non sarebbe valido un testamento compilato dal testatore scrivendo sotto dettato di altra persona le varie lettere dell’alfabeto, senza essere in grado di comprendere il significato delle parole formate colle varie lettere messe insieme (GANGI, op. cit., 128). Con riferimento al testamento redatto dall’analfabeta che si limiti a ricopiare il modello scritto da altri, si è affermato che non si dovrebbe parlare di vizio di forma, ma eventualmente di errore ostativo (ALLARA, Principi di diritto testamentario, Torino 1957, 83; nel senso di una nullità per vizio sostanziale, non meglio specificato, cfr. Cicu, op. cit., 39), al che si è replicato che, invece, si tratta di nullità per difetto di autografia, in quanto ai segni in tal modo tracciati non dovrebbero riconoscersi i caratteri della scrittura, ma piuttosto di un disegno (BRANCA, op. cit., 76) oppure che non può dirsi che il testamento è stato scritto, sia pure inconsciamente, dal testatore, perché in realtà è stato scritto da un terzo (GANGI, op. loc. ult. cit.).
Si ritiene comunemente valido il testamento olografo fatto dal cieco che sappia scrivere. Una conferma a tale conclusione viene desunta, in primo luogo, dal fatto che la legge non dichiara il cieco incapace di fare testamento olografo, mentre all’art. 604 c.c. stabilisce che coloro che non sanno o non possono leggere non possono fare testamento segreto, e, in secondo luogo, dal fatto che se il cieco, prima di diventare tale, sapeva scrivere e leggere, egli può anche dopo continuare a scrivere avendo piena coscienza di ciò che scrive; né importa che egli non abbia la possibilità di controllare personalmente se ciò che ha scritto corrisponde effettivamente a ciò che voleva scrivere, in quanto tale controllo potrà farlo facendosi leggere ciò che ha scritto (GANGI, op. cit., 129). Se il testatore sa scrivere e comprende ciò che scrive, egli può anche scrivere il suo testamento sotto dettatura di un’altra persona da lui incaricata, a cui ha già manifestato le sue ultime volontà o copiando una minuta preparatagli, dietro suo incarico, da altra persona (GANGI, op. loc. ult. cit.; BRANCA, op. cit., 75; in senso conforme, in giurisprudenza, cfr. App. Messina 21 giugno 1955, in Rep. Giust. civ. 1955, voce « Successione testamentaria », n. 132). In tal caso non si pone un problema di invalidità dal punto di vista formale del testamento, il quale potrà essere, invece, impugnato sotto il profilo che le disposizioni, così come sono state dettate o predisposte dal terzo, non corrispondono alla effettiva volontà del testatore. Secondo una parte della dottrina la scrittura utilizzata per la redazione del testamento dovrebbe rispondere ai requisiti della individualità, normalità e abitualità, con la conseguenza che dovrebbe escludersi la validità del testamento scritto in caratteri speciali (es. alfabeto Morse) o propri di un’altra lingua viva o morta (gotici, greci, cirillici), a meno che esso sia scritto in tale lingua e questa fosse conosciuta al testatore e sia inoltre indubbio che questi, così scrivendo il suo testamento, ebbe una seria volontà di disporre; a sostegno di tale conclusione si invoca il fatto che l’accertamento dell’autenticità del testamento sulla base del solo esame della scrittura, che è la finalità perseguita dal legislatore, verrebbe ad essere frustrato ove il testamento venisse scritto con caratteri diversi da quelli abituali (GANGI, op. cit., 131; GIANNATTASIO, op. cit., 95; AZZARITI, op. cit., 383 ss.). Anche la S.C. si è espressa nel senso che l’autografia deve rispondere a due requisiti fondamentali: la personalità, nel senso della provenienza della scrittura dal testatore; l’abitualità, nel senso che la grafia deve essere quella da lui normalmente usata (Cass. 7 gennaio 1992 n. 32, in Giust. civ. 1992, I, 1495). Lo stesso problema si è presentato anche con riferimento al testamento scritto con caratteri stenografici, di cui si è riconosciuta la validità solo se la stenografia sia la scrittura abituale del testatore e rechi l’impronta della sua personalità (Cicu, op. cit., 38; Azzariti, op. loc. ult. cit.; ). Nello stesso ordine di idee si è affermato che non ogni scrittura normale da un punto di vista oggettivo si adegua al precetto legale, ma la scrittura deve rispondere al precetto legale ed all’impronta personale ed esso può differire dalla normalità oggettiva nei limiti fissati al fine della norma. Un carattere grafico
insolito non è di per sé argomento contro l’animus testandi, ma deve essere apprezzato in confronto alla scrittura abituale del testatore, considerando l’importanza particolare del negozio: ad es. la stenografia dello stenografo appassionato è valida (BREITSCHMID, Cenni critici sull’art. 602 c.c., in Rass. dir. civ. 1988, 781). In senso contrario alla tesi più rigorosa si è osservato che essa è espressione di un formalismo eccessivo (BRANCA, op. cit., 78) e che se è vero che nei casi in questione vi è la difficoltà di accertare la autenticità della dichiarazione testamentaria, è anche vero che la legge si limita a richiedere l’autografia, non anche che la medesima sia facilmente accertabile; trattandosi di norme che disciplinano il formalismo, di norme cioè che limitano la libertà del privato nel campo della dichiarazione negoziale, non si potrebbe aggravare, nel silenzio della legge, questo formalismo (ALLARA, op. cit., 82). Solo con riferimento specifico allo « stampatello » si riconosce che, di regola, manca la garanzia di autenticità e perciò manca l’autografia, a meno che non risulti che il testatore abitualmente scriveva a stampatello, in quanto in tal caso lo stampatello sarebbe un segno, se pur labile, della provenienza della scheda dal de cuius (BRANCA, op. cit., 77). Si è peraltro replicato che intanto potrebbe essere pertinente invocare il fatto che la legge non fa menzione di particolari requisiti dell’autografia, in quanto fosse consentito sostenere che anche una autografia non individuale, normale ed abituale, sarebbe idonea a raggiungere lo scopo per cui il legislatore l’ha richiesta e che pacificamente va individuato nell’eliminazione delle difficoltà relative all’accertamento dell’autenticità della dichiarazione testamentaria; poiché la risposta non può che essere negativa, appare chiaro che una specificazione legislativa del requisito dell’autografia nel senso indicato dalla dottrina prevalente è stata giustamente ritenuta superflua (LISERRE, op. cit., 141). In giurisprudenza si è affermato che tra i requisiti formali del testamento olografo non è compreso quello della regolarità e leggibilità della scrittura, salva la necessità che il testo autografo sia decifrabile, affinché possa essere accertata la volontà del testatore (Cass. 28 ottobre 1994 n. 8899, in Arch. civ. 1995, 951) e tale opinione è condivisa in dottrina, dove si è osservato che, diversamente opinando, se chi ha una grafia incomprensibile, o quasi, saggiamente decida di scrivere un testamento in modo da farsi capire, l’atto sarebbe nullo per non abitualità della scrittura (BRANCA, op. cit., 78) e che non è vietata una scrittura divergente da quella normale dal punto di vista soggettivo ove, per esempio, il testatore intenda compilare un atto perfettamente leggibile, oppure nel caso di testamento redatto dal testatore a letto per malattia (BREITSCHM1D, op. cit.). Cap. 5 - L’INTERVENTO DI TERZI. L’intervento di terzi può avvenire mediante l’inserzione diretta nel testo di parole non di pugno del testatore oppure attraverso una cooperazione materiale alla redazione (mano guidata). In dottrina è pacifico il principio secondo il quale è sufficiente ogni intervento di terzi ad escludere l’olografia, indipendentemente dalla entità o dal tipo di
intervento. Si è così ritenuto che è sufficiente la presenza anche di una sola parola scritta da un terzo durante la confezione del testamento per escludere l’olografia, senza che si possa attribuire alcun rilievo alla eventuale irrilevanza, dal punto di vista sostanziale, che la parte eterografa riveste ai fini della nullità dell’intero testamento, e non soltanto quella parziale riguardante la sola scrittura del testo, secondo il principio utile per inutile non vitiatur (GANGI, op. cit., 133; Cicu, op. cit., 40; GIANATTASIO, op. cit., 97; BRANCA, op. cit., 73). Comunemente la nullità viene ricondotta ad una ragione sostanziale, nel senso che si avrebbe una prova che alla confezione del testamento ha cooperato una volontà altrui, il che costituisce la base di una presunzione assoluta di mancanza di spontaneità e libertà del volere. In senso contrario si è osservato che questo può essere stato il motivo politico del precetto della autografia, ma, una volta prescritta, la forma va rispettata per se stessa, ricorra o meno quel motivo (CICU, op. loc. ult. cit.). Per quanto riguarda la semplice cooperazione del terzo alla scrittura del testamento, in giurisprudenza si è affermato (App. Milano 17 luglio 1953, in Foro padano 1953, I, 653) che in ogni caso è richiesto assolutamente che la scrittura sia opera del testatore, sia prodotto della sua mano. La penna deve essere mossa esclusivamente dalle dita del testatore e come sua deve essere riconosciuta la scrittura. Ciò non si verificherebbe, se, con il pretesto di tener ferma la mano eventualmente tremante del testatore, una mano aliena guidasse la penna nella scrittura; in tal caso si potrebbe dire che la mano aliena ha scritto, facendosi accompagnare nello scrivere dalla mano del testatore; e quest’ultima circostanza non sarebbe sufficiente a ritenere che il testatore abbia scritto la scheda. Quando il terzo prende la mano del testatore e la guida nella redazione del testamento, quest’ultimo viene ad essere scritto con la cooperazione di due soggetti (il terzo ed il testatore), il che è sufficiente ad escludere la autografia, che presuppone una scrittura riconducibile alla esclusiva attività del de cuius e diventa irrilevante stabilire quale sia stata l’entità della collaborazione del terzo (Cass. 17 marzo 1993 n. 3163, in Giur. it. 1994, I, 1, 1956; nello stesso senso, con riferimento all’ipotesi del testatore che, essendo impedito nei movimenti da paralisi, si sia lasciato sorreggere e guidare la mano da un terzo, cfr. Cass. 26 marzo 1949 n. 681, in Foro it. 1949, I, 788). Il fatto che il testatore, in tale ipotesi, indubbiamente collabora alla materiale compilazione del documento, quanto meno sorreggendo la penna e contribuendo alla formulazione delle lettere, non esclude la mancanza dell’autografia (Cass. 10 luglio 1991 n. 7636, in Giur. it. 1993, I, 1, 104). Alla luce di tale orientamento non si può approvare una decisione della S.C. la quale ha escluso la nullità del testamento scritto interamente dal testatore, che si era fatto guidare la mano soltanto per vergare una parte della data con maggiore chiarezza al fine di eliminare scarti e tremolii, sul presupposto che il testatore si era servito della collaborazione grafica meramente meccanica del terzo senza divenirne un inerte strumento di scritturazione (Cass. 7 gennaio 1992 n. 32, in Giust. civ. 1992, I, 1495). La data, infatti, è un elemento essenziale ai fini della validità del testamento e per il quale vale il precetto della autografia, per cui la collaborazione del terzo il quale guidi la mano del testatore nella stesura di tale
parte del documento, comporta quella mancanza di totale autografia alla quale consegue la nullità del testamento. Si può ammettere solo che il terzo agevoli il testatore nella compilazione del testamento, come, ad esempio, allineando la carta perché il testatore possa scrivere agevolmente, indicando allo stesso le righe, perché la scrittura non si sovrapponga ad altro scritto e risulti indecifrabile, tenendo ferma la carta in modo che il testatore sia agevolato nella stesura del testamento, e magari tenendo ferma la mano del testatore con un peso o con la mano altrui perché sia eliminato o attenuato il tremito che impedirebbe al testatore di scrivere correttamente e leggibilmente (App. Milano 17 luglio 1953, cit.; in dottrina, per l’affermazione che non è escluso che il testatore, qualora abbia un tremito alla mano, si faccia assistere da un terzo, al solo fine di impedire o attutire tale tremito, cft GANGI, op. cit., 127 ss.). L’intervento di terzi nella scrittura che comporta nullità del testamento è peraltro solo quello che si verifica nel momento in cui il testamento viene formato. Tale intervento, invece, è irrilevante se è successivo (Cass. 25 marzo 1946 n. 314, in Giur. it. 1947 I, 1, 66; App. Catania 26 febbraio 1955, in Rep. Giust. civ. 1955, voce « Successione testamentaria », n. 131), in quanto altrimenti sarebbe facile per chiunque vi sia interessato togliere valore ad un testamento già formato (CICU-, op. cit., 40; BRANCA, op. cit., 74). Le alterazioni al testo successive alla redazione del testamento, pertanto, non incidono sulla validità dello stesso, ma possono solo rendere irriconoscibile la manifestazione olografa del testatore, in modo da rendere incerto il contenuto ovvero gli altri elementi essenziali, come la data e la firma, prescritti dalla legge per la validità della scheda (Cass. 25 marzo 1946, cit.; nel senso che il testamento olografo alterato da terzi può conservare il suo valore quando l’alterazione non sia tale da impedire la individuazione della originaria, genuina volontà che il testatore intese manifestare nella relativa scheda, cfr. anche Cass. 17 luglio 1976 n. 2837). Le correzioni od aggiunte fatte dal terzo con il consenso del testatore, pur essendo invalide, secondo un orientamento, non comporterebbero la invalidità del testamento (GANGI, op. cit., 134; BRANCA, op. loc. ult. cit., 74). Alla obiezione che in questo caso il testamento dovrebbe ritenersi invalido in quanto scritto in parte dal testatore ed in parte dal terzo, mentre la legge stabilisce che il testamento olografo deve essere scritto per intero di mano del testatore (CICU, op. loc. ult. cit.), si replica osservando che, non potendo le correzioni od aggiunte avere alcun effetto perché invalide, esse non possono neppure avere l’effetto di invalidare il testamento, che, essendo stato scritto per intero del testatore, è stato confezionato in conformità alla disposizione della legge (GANGI, op. cit., 135).