D03 corso base di tecnica fotografica

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PICCOLO CORSO BASE DI FOTOGRAFIA Senza alcuna pretenziosità, questo articolo mira ad illustrare il più comune utilizzo di un apparecchio fotografico in ambito amatoriale. Lo scopo è quello di fornire a chi vorrebbe avvicinarsi al mondo della fotografia una guida base sulle principali nozioni da conoscere.

CAPITOLO PRIMO: le categorie delle macchine fotografiche Le apparecchiature fotografiche possono principalmente suddividersi in: a) COMPATTE - si tratta dei più comuni apparecchi per uso vacanziero. Comodissimi per il ridotto ingombro e generalmente economici e di semplice utilizzo in quanto totalmente automatici, presentano di norma la caratteristica della non intercambiabilità degli obiettivi salvo che nelle realizzazioni più sofisticate. Utilizzano pellicole di formato 24 x 36 mm. e montano quasi sempre un mirino che non consente di vedere l’inquadratura tramite l’obiettivo (tecnicamente chiamato mirino galileiano), che può portare all’errore di parallasse proprio del mirino galileiano. L’immagine riprodotta sulla pellicola viene lievemente sfalsata rispetto a quella che si vedeva inquadrata. Si può notare su foto scattate con il soggetto a distanza ravvicinata.. b) REFLEX – vengono definite tali quelle macchine fotografiche in cui il mirino consente di vedere l’inquadratura tramite l’obiettivo. Nella accezione più comune si intende per Reflex l’apparecchio fotografico costituito da corpo macchina e obiettivi intercambiabili. E’ comunemente utilizzato dai fotoamatori per la grande funzionalità, determinata da ottime prestazioni pur con ingombri e costi accettabili. Come le compatte utilizzano pellicole di formato 24 x 36 mm. c) MEDIO FORMATO – simili alle Reflex ma più grandi, vengono utilizzate di norma in ambito professionale o da amatori evoluti poiché montano pellicole di formato più ampio (da 60 x 45 mm fino a 60 x 90mm). Essendo molto più ampia la superficie del fotogramma, il risultato finale presenta una migliore definizione, riscontrabile soprattutto in caso di ingrandimenti. Il costo elevato e la minore praticità di trasporto rende questi apparecchi piuttosto esclusivi. d) BANCHI OTTICI – siamo nell’utilizzo puramente professionale. Montano pellicole di dimensioni elevate, superiore a 60 x 90mm. Restituiscono quindi risultati di grande qualità per forti ingrandimenti. e) DIGITALI – di svariate tipologie e dimensioni (da quelle simili alle compatte a quelle simili alle reflex) presentano la caratteristica di memorizzare i fotogrammi non su pellicola ma su supporti digitali (dai floppy disk da 3,5” delle digitali più vecchie alle memory card delle più recenti). La fotografia può essere poi facilmente riversata sul computer per eventuali elaborazioni nell’immagine, per essere stampata, oppure per essere vista sul monitor. Ad oggi i risultati ottenibili con le migliori digitali non sono ancora al pari di quelli prodotti con le reflex tradizionali, ma le differenze sono distinguibili quasi solo in caso di ingrandimenti oppure di confronto diretto. f) APS – rappresentano l’anello di congiunzione fra le digitali pure e le “analogiche”. Funzionano di norma come una macchina fotografica comune (esistono sia in versione compatta che reflex) ma registrano i fotogrammi su particolari pellicole digitali che possono poi essere sviluppate esclusivamente in laboratorio (come le


pellicole comuni). Fino a quando le digitali pure restituivano risultati accettabili solo dal vacanziere comune, le APS rappresentavano per il vero fotoamatore l’unica alternativa alle macchine fotografiche “analogiche”.

CAPITOLO SECONDO: gli obiettivi L’obiettivo è la parte più importante della macchina fotografica, quella che fa la differenza sia in termini di prezzo che di risultati. Un obiettivo è costituito da un numero variabile di lenti costruite con vetro ottico (vetro trattato con processi chimici volti a garantirne particolari doti di trasparenza ed altre caratteristiche.) e con curvature differenti l’una dalle altre. Le lenti hanno solitamente un diametro tanto maggiore quanto più si allontanano dalla zona di innesto nel corpo macchina. L’ultima lente (quella che vediamo comunemente) subisce un trattamento superficiale antigraffio e antiriflesso, è quindi molto importante provvedere alla pulizia con le dovute maniere ed il meno frequentemente possibile. Nell’obiettivo è installato il diaframma, una sorta di saracinesca circolare la cui apertura regola la quantità di luce che raggiunge la pellicola. Parlando di obiettivi è importante conoscere il concetto di lunghezza focale (è la distanza in millimetri fra il centro di un obiettivo ed il piano pellicola): espressa in millimetri, rappresenta la distanza fra il centro dell’obiettivo e la superficie della pellicola. Quando di un obiettivo si dice che è un 35mm, o un 200mm, si parla della sua lunghezza focale. La L.F. incide in modo proporzionale sulla dimensione del soggetto da riprendere. Raddoppiando la L.F. (mediante chiaramente un obiettivo più lungo) raddoppierà l’ingrandimento del soggetto e viceversa. Si dice essere a focale normale (si dice di obiettivo avente una lunghezza focale che consente di vedere un soggetto alle medesime dimensioni dell’occhio nudo.) un obiettivo che fa si che il soggetto venga riprodotto sulla pellicola alle medesime dimensioni di come lo si vede ad occhio nudo. Negli apparecchi che impiegano pellicole 24x36mm la focale normale è di circa 46mm, che corrisponde quindi ad un obiettivo fisso di 50mm (non esistono obiettivi di 46). Quelli al di sotto di questo valore vengono definiti obiettivi grandangolari (presenta una lunghezza focale inferiore alla “focale normale”; consente inquadrature più ampie ma “allontana” la scena), al di sopra si parla di teleobiettivi (presenta una lunghezza focale superiore alla “focale normale”; produce un ingrandimento del soggetto ma abbraccia un angolo di campo più stretto cioè restringe l’inquadratura). Gli obiettivi si distinguono in due grandi categorie: a focale fissa e a focale variabile (questi ultimi comunemente chiamati zoom facendo nostro un termine anglosassone). I primi sono gli obiettivi per eccellenza, la fotografia è nata con gli obiettivi a focale fissa che però sono poco flessibili nell’utilizzo comune. La tecnologia negli ultimi anni ha consentito agli zoom di raggiungere livelli qualitativi davvero eccellenti, un tempo propri esclusivamente di quelli a focale fissa. Oggigiorno un ottimo zoom costa molto di più di un obiettivo a focale fissa paragonabile per livello qualitativo, ma assai meno di un corredo di almeno tre obiettivi “fissi” necessari per superare tutte le situazioni che uno zoom è in grado di coprire (oltretutto mettendo a disposizione anche tutte le focali intermedie). CAPITOLO TERZO: l’esposizione Gli strumenti che in un apparecchio fotografico regolano l’esposizione di una pellicola alla luce sono il diaframma (è una sorta di saracinesca circolare posta dentro l’obiettivo e serve per regolare la quantità di luce che colpisce la pellicola.) e l’otturatore (è una tendina posta sul corpo macchina e serve per regolare il lasso di tempo durante il quale la


quantità di luce regolata dal diaframma colpisce la pellicola). Il primo, come si è già accennato, è posto nell’obiettivo, il secondo è invece all’interno del corpo macchina. IL DIAFRAMMA: regola la quantità di luce che colpisce la pellicola, impressionandola. L’apertura del diaframma è misurata da un’apposita scala di valori riportata qui di seguito: 1 – 1.4 – 2 – 2.8 – 4 – 5.6 – 8 – 11 – 16 – 22 – 32 – 45 – 64 E’ importante sottolineare che esistono anche valori intermedi (i più comuni sono il 3.5, il 4.5 ed il 6.7) e che l’apertura del diaframma è inversamente proporzionale al valore espresso dalla scala (2.8 rappresenta un’apertura maggiore di 16 – vedi fig.1 come esempio). Da notare anche che nella scala i valori raddoppiano a due a due (passare da 1.4 a 2.8 significa chiudere della metà l’area di passaggio della luce dentro l’obiettivo). Parlando di diaframma è importante introdurre il concetto di apertura relativa o apertura minima (contrariamente a quanto lascia pensare è la massima apertura del diaframma, quella che lascia passare la maggiore quantità di luce.). Viene determinata dal seguente rapporto: apertura relativa (chiamata “F”) = lunghezza focale / diametro ultima lente dell’obiettivo Nel determinare il valore di apertura minima intervengono anche altri fattori ma dalla formula di cui sopra risulta chiaro che più un obiettivo è lungo (e quindi maggiore è la lunghezza focale), peggiore sarà il valore di apertura minima (salvo l’impiego di lenti di diametro enorme). Negli zoom il fatto che il diametro dell’ultima lente non possa variare, determina un differente valore di apertura minima a seconda di quale L.F. si utilizzi.Così si sente ad esempio parlare di zoom “28-105 F3.5-4.5” dove i primi due valori rappresentano la lunghezza focale entro la quale spazia l’obiettivo ed i secondi due l’apertura minima alle due differenti focali. Il valore F è tanto piu’ ridotto quanto piu’ luminoso è un obiettivo, alcuni hanno un’apertura minima di F4.5, altri di F2.8. La luminosità è una delle caratteristiche principali da tenere presente nella scelta di un obiettivo e una di FIGURA 1 – La scala dei diaframmi quelle che ne forma il prezzo (grande luminosità significa impiego di lenti costose e di grande diametro che si accompagnano a obiettivi di grande qualità complessiva). Chiaro che quanta più luce riesce a passare attraverso l’obiettivo, tanto minore potrà essere il tempo di apertura dell’otturatore, con meno rischi di mosso. L’OTTURATORE: regola il lasso di tempo in cui la quantità di luce determinata dall’apertura del diaframma colpisce la pellicola impressionandola. Variando il tempo


dell’otturatore si agisce sulle possibilità di mosso (fotografare un soggetto in movimento richiederà un tempo molto più rapido rispetto ad un soggetto fermo, ma a volte il mosso può essere voluto – si pensi all’acqua di una cascata che fotografata con un tempo lungo può creare un piacevole ed artistico effetto scia). Un piccolo trucco per evitare il mosso consiste nello scattare ad un tempo sempre più rapido rispetto alla focale dell’obiettivo (esempio: obiettivo da 50mm, tempo otturatore non più lento di 1/60 di secondo, obiettivo da 200mm, otturatore non più lento di 1/250). Di seguito si riporta la scala dei tempi di un’otturatore (le aperture più rapide sono esclusiva delle macchine fotografiche più evolute), che è sempre espressa in secondi e frazioni di secondo: 2s – 1s – ½ - ¼ - 1/8 – 1 /15 – 1/30 – 1/60 – 1/125 – 1/250 – 1/500 – 1/1000 – 1/2000 – 1/4000 – 1/8000 Ogni passaggio da uno all’altro di questi valori (così come per i valori del diaframma) corrisponde ad una variazione di luce pari a 1 E.V. (1 valore luce). Al passaggio di 1 E.V. concorre anche la sensibilità della pellicola, variandola per esempio da 100 a 200 ASA si aumenta di un E.V. il valore luce. Da tutto ciò consegue che se la coppia tempo/diaframma ideale per scattare una fotografia è ad esempio 1/30 di secondo a F8, volendo scattare la fotografia con un tempo di apertura dell’otturatore più rapido per scongiurare rischi di mosso, ad esempio a 1/250, occorrerà impostare il diaframma a F2.8. Se il ns. obiettivo non va oltre l’F4, per scattare la stessa foto a 1/250 di secondo occorrerà aiutarsi montando una pellicola più sensibile di 1E.V. (nell’esempio di prima da 100 a 200ASA). Senza seguire questi accorgimenti la fotografia potrebbe essere sottoesposta (il fotogramma ha preso troppa luce e la foto è eccessivamente lumino-sa, i colori sbiaditi, con poco contrasto.) o sovraesposta (il fotogramma ha preso poca luce e la foto è eccessivamente buia, i colori scuri, i dettagli non ben distinguibili.). Nel primo caso la foto verrà buia, nel secondo troppo luminosa (fino ad essere “bruciata”). Lievi sotto o sovraesposizioni a volte possono essere volute per far risaltare determinate caratteristiche dell’immagine (ad esempio i colori con la sottoesposizione) o per mantenere un margine di sicurezza (la lieve sovraesposizione può essere facilmente corretta dai laboratori, anche automaticamente, in fase di stampa della fotografia). La coppia tempo/diaframma ideale viene calcolata automaticamente dall’esposimetro della macchina fotografica, che, a meno di utilizzare programmi specifici quali per il ritratto o per soggetti in movimento (ove nel primo caso l’automatismo darà maggiore importanza al mantenere un diaframma aperto per sfocare lo sfondo e nel secondo ad utilizzare tempi rapidi per scongiurare il mosso, raggiungendo alla fine il medesimo risultato), tenderà sempre a proporci valori medi. Toccherà al fotografo, per dare un tocco in più all’opera d’arte che sta costruendo, intervenire ad hoc su tali valori. Gli esposimetri possono essere, oltre che all’interno della macchina fotografica (definiti TTL – misurano solo la luce riflessa dal soggetto) anche a mano, ovverosia apparecchi a se stanti che vengono utilizzati in ambito professionale (soprattutto in studio o per i ritratti) poiché molto più precisi nella misurazione della luce, sia quella riflessa che quella incidente (che colpisce il soggetto). Gli esposimetri TTL possono a loro volta dividersi in più categorie: spot, semispot e a zone. Le reflex più recenti montano esposimetri in grado di essere programmati su tutte e tre le funzioni. La misurazione spot della luce viene effettuata solo sul soggetto che rimane esattamente al centro dell’obiettivo, trascurando le zone più marginali (alcuni apparecchi sofisticati consentono di programmare in quale zona dell’obiettivo effettuare la misurazione, in modo da poter correttamente ritrarre il soggetto principale anche se non tenuto al centro dell’immagine), la misurazione a zone fa invece una media della luce


rilevata in tutta l’inquadratura, media che viene ponderata a seconda della luce che colpisce ciò che sta al centro (più importante) rispetto a ciò che rimane ai lati (che normalmente riveste un’importanza inferiore). La semispot è una via di mezzo. Oggigiorno alcune reflex, anche di categoria media o medio-bassa, hanno esposimetri in grado di suddividere l’inquadratura in ben 35 zone e più.

CAPITOLO QUARTO: la profondità di campo E’ ora il momento di introdurre un concetto molto importante nella fotografia, la profondità di campo (nell’inquadratura che si vede dal mirino della macchina fotografica, è l’area che nella foto verrà perfettamente a fuoco. Varia al variare dell’apertura del diaframma e della focale dell’obiettivo ed è molto importante nel ritratto per donare maggior risalto al volto rispetto a ciò che lo circonda). Non è infatti detto che quando si scatta una fotografia tutto ciò che viene ripreso debba essere nitido, anche lo sfuocato presenta i suoi vantaggi. Si pensi ad un ritratto, ove il soggetto è costituito dal volto della persona e tutto ciò che lo circonda può essere di disturbo. Pilotando adeguatamente la profondità di campo si può far si che tutto ciò che non riguarda il soggetto principale venga più o meno sfuocato, donando in questo modo maggior risalto al soggetto stesso. E’ variando l’apertura del diaframma che si agisce sulla profondità di campo, man mano che lo si chiude questa aumenta. Ad esempio: - se scattando con diaframma a F2.8 poniamo che venga a fuoco un’immagine a partire da 5 metri di distanza dal fotografo FIGURA 2 – Le scale di un obiettivo fino ai 6 metri di distanza (e tutto ciò che è prima e dopo verrà sfuocato), con un diaframma a F8 l’area perfettamente nitida potrà partire dai 2 metri di distanza dal fotografo fino a 10 metri, con F22 l’area a fuoco potrà partire da 1m di distanza fino all’infinito ecc. Nella tecnica del ritratto viene utilizzato l’obiettivo quasi a tutta apertura in modo da evidenziare il volto del soggetto rispetto allo sfondo, che così facendo viene ad assumere una connotazione non ben definita (fig. 3). Una fotografia che debba riprendere più soggetti a distanze differenti dovrà giocoforza essere scattata con un diaframma piuttosto chiuso (sempre tenendo in considerazione la possibilità di mosso determinata dell’allungarsi FIGURA 3 – Esempio di utilizzo del diaframma dei tempi dell’otturatore). Se si cerca il per regolare la profondità di campo massimo rendimento dal proprio obiettivo


(ovvero la migliore qualità dell’immagine), in linea di massima si dovrà scattare utilizzando diaframmi medi (la maggior parte degli obiettivi è ottimizzata su valori medi in modo che la qualità non scada troppo allontanandosi dai valori di ottimizzazione). Oltre che dell’apertura del diaframma la profondità di campo è funzione anche della focale dell’obiettivo utilizzato. Così a parità di diaframma la profondità di campo sarà tanto inferiore quanto più aumenta la lunghezza focale (nei teleobiettivi spinti può divenire un fattore critico, anche per l’esigenza di utilizzare diaframmi molto aperti per non penalizzare troppo i tempi di scatto). Salvo che negli obiettivi più economici il fotografo prima di scattare può leggere la profondità di campo grazie ad un’apposita ghiera circolare posta sull’obiettivo stesso (fig.2).

CAPITOLO QUINTO: le pellicole

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Innanzitutto sfatiamo un mito, negativo non è sinonimo di pellicola. Il primo ne è invece una categoria, quella di utilizzo più comune insieme alla invertibile (detta diapositiva). Le categorie principali sono: - per luce al tungsteno (ottimizzate per lavorare in ambienti illuminati dalla classica lampadina); - infrarossi (per il buio quasi totale); - per luce diurna (ottimizzate per lavorare alla luce del sole); e queste ultime possono essere - negative (per la stampa delle foto); - invertibili o diapositive (si utilizza il fotogramma direttamente per la proiezione, ma sono anche stampabili – pur a costi superiori). Le pellicole negative presentano una più ampia latitudine di posa (tendenza di una pellicola a sopportare sotto o sovra-esposizioni restituindo immagini corrette o comunque accettabili. Le pellicole negative presentano una più elevata L.di P. (e quindi sono “più facili”) rispetto alle diapositive.) rispetto alle diapositive, ovvero sopportano molto meglio eventuali sotto o sovraesposizioni, consentendo spesso di salvare fotografie scattate con poca avvertenza. Le moderne negative permettono errori anche fino a 2 E.V. restituendo foto accettabili. In più è possibile correggere eventuali sovraesposizioni anche in fase di stampa. Le diapositive non permettono errori. La diapositiva è però molto più bella, sia da proiettare, in quanto l’immagine di grandi dimensioni è di sicuro effetto, sia stampata (anche le diapositive infatti consentono la stampa) in quanto i colori sono più saturi e carichi. Altra valida caratteristica della diapositiva risiede nel costo, 5000 £ per sviluppare un rullino da 36 pose la rende enormemente più economica della pellicola negativa (normalmente stampare foto 12x18 costa dalle 500 alle 750£ cad.), consentendo di scattare con maggiore leggerezza anche più fotogrammi allo stesso soggetto magari con inquadrature o esposizioni differenti per poi scegliere la foto migliore. Si è già accennato al fatto che al variare di una classe la sensibilità della pellicola si ha una variazione di 1 E.V. Ciò che non si è detto è che all’aumentare della sensibilità diminuisce la definizione che la pellicola è in grado di donare alla foto. Convenzionalmente per l’utente normale in condizioni di piena luce una pellicola di 100ASA può restituire i migliori risultati. Con obiettivi poco luminosi quali quelli utilizzati sulla maggior parte delle compatte è però opportuno utilizzare i 200ASA, anche perché con i recenti progressi la grana rimane molto vicina a quella di una 100ASA. Se si cerca la massima definizione anche in vista di possibili ingrandimenti è invece opportuno scendere a valori di 25-50ASA. Dai 400ASA in su diviene sempre più evidente la grana


della pellicola, specie in caso di ingrandimenti. Nella fotografia artistica la grana può essere anche voluta specie per rendere più espressivi alcuni ritratti (così come a volte si ricerca lo sfuocato). E’ opportuno precisare che diminuendo la sensibilità di una pellicola aumenta il contrasto (che solitamente dona alla foto una maggiore profondità e vivacità).

CAPITOLO SESTO: gli accessori Gli accessori fondamentali al fotoamatore sono essenzialmente costituiti da qualche filtro, il flash (al limite anche quello incorporato nella macchina fotografica) e possibilmente un buon cavalletto (a seconda delle necessità se ne trovano anche di molto leggeri e di ridotte dimensioni). FILTRI: i filtri fondamentali sono sicuramente un polarizzatore circolare ed un filtro di protezione alla lente dell’obiettivo (un U.V. o uno skylight). - il filtro U.V. lo si monta quasi esclusivamente per proteggere la lente dell’obiettivo da polvere e graffi, può risultare utile in montagna per filtrare i raggi ultravioletti che danneggerebbero la pellicola (anche se oggi tutte le pellicole hanno un buon strato di protezione anti ultravioletti). Ininfluente in termini di luminosità; - lo skylight può sostituire l’U.V. nella sua opera di protezione della lente dell’obiettivo. E’ leggermente ambrato per scattare immagini più calde, difficilmente disturba in quanto agisce solo sui toni caldi ed in modo molto discreto. Quasi ininfluente in termini di luminosità; - un polarizzatore circolare è assolutamente necessario per scattare nelle ore centrali della giornata, quando il cielo è più bianco che blu. Il polarizzatore rende i colori molto più saturi e di sicuro effetto. E’ utile anche per eliminare i riflessi quando si voglia scattare da dietro un vetro, oppure per fotografare un fondale marino da sopra la superficie dell’acqua (memorabili sono le foto delle imbarcazioni che sembrano volare sui mari caraibici). Un polarizzatore può togliere luminosità per valori variabili da 1,5 a 2,5 stop (o E.V.). Suggerimento: per verificare l’effetto del polarizzatore circolare provare a ruotarlo mirando i vetri di un’auto o un bel cielo con qualche nuvola. - un filtro azzurro/blu può essere utile in caso si scattino foto in interni con illuminazione al tungsteno senza utilizzare una pellicola apposita, le foto diversamente verrebbero di tonalità troppo calda. Ecco alcuni consigli nella scelta di un filtro: il filtro pone un altro vetro fra la pellicola ed il soggetto da fotografare. Acquistare un obiettivo di qualità e vanificare il tutto con un filtro poco valido non è una buona scelta. Attenzione al bordo dei filtri, potrebbe vignettare (è una caduta di luce nei punti estremi di una fotografia. Gli angoli vengono quindi più scuri rispetto alla norma. Propria di obiettivi economici) le immagini se il suo spessore è tale da interferire con l’angolo di campo (copertura laterale dell’obiettivo. Quanto più è ampio, tanto più ampia sarà l’inquadratura.) degli obiettivi grandangolari. E’ quindi essenziale che il bordo sia ridottissimo, pena il non poter utilizzare il filtro sul proprio zoom a focali inferiori a 40-50mm. FLASH: sui flash una precisazione importante, la luce che sviluppano è tarata sulla luce diurna ma il lampeggiatore bianco può restituire immagini un po’ “slavate”. In questo caso un filtro ambrato può rappresentare un giusto complemento (lo skilight ha poca incisività in questi casi ma è meglio che niente). Il flash non arriva oltre i 6-8m (i migliori, non quelli a corredo delle macchine fotografiche che possono fermarsi a 3-4m), è quindi perfettamente inutile fotografare soggetti a grande distanza utilizzando questo strumento (assurdi sono i lampi di flash che si vedono provenire dalle tribune degli stadi) che anzi diventa deleterio


dal momento che sincronizza l’otturatore ad essere più rapido di ciò che l’illuminazione richiederebbe. Per non far venire gli occhi rossi la cosa migliore sarebbe indirizzare il lampo sul soffitto (per i flash a parabola orientabile). Nel flash è importante capire cosa è il numero guida (valore che indica la portata del flash, la distanza che è in grado di coprire. Non è espressa in metri, questi si ottengono dividendo il numero guida del flash per il valore di apertura del diaframma, quindi la portata varia a seconda di come utilizziamo tale strumento. Il numero guida è impostato per una pellicola di 100ASA, quindi variando la sensibilità della pellicola sarà come se si varia l’apertura del diaframma). Questo è il valore che diviso per l’apertura minima del diaframma del ns. obiettivo ci da la distanza massima alla quale può trovarsi il soggetto da fotografare affinché venga raggiunto dal lampo. Per esempio, se si ha un obiettivo con diaframma che arriva a F2.8 e un flash con n° guida 12 la distanza max del soggetto potrà essere pari a 12/2.8 = 4.3 metri, se l’obiettivo è un F4.5 la portata massima dello stesso flash sarà pari a 2,5 metri circa. Come si vede il principio è fondamentale. Occorre anche tenere presente (ai fini del mosso) che utilizzando il flash non è permesso in nessun modo accelerare i tempi dell’otturatore (funzione chiamata sincroflash cioè sincronizzazione fra il flash e l’otturatore. E’ il tempo più rapido con cui è possibile utilizzare l’otturatore quando si ha il flash inserito.), pena il trovarsi con un fotogramma metà nero e metà correttamente illuminato. Le reflex consentono la funzione contraria, ovvero di rallentare i tempi dell’otturatore, in modo da poter avere, oltre ad un soggetto ben illuminato dal flash, anche uno sfondo leggibile (sempre che si disponga di un cavalletto o di una valida superficie di appoggio per la macchina fotografica). Se il soggetto rischiarato dal flash è una persona la foto riuscirà perfettamente anche in caso di piccoli movimenti pur con tempi dell’otturatore prolungati, perché la pellicola sarà stata principalmente impressa grazie alla forte luce prodotta dal lampo. Ultima cosa importante da sapere sul flash riguarda la funzione TTL. I flash di questo tipo dosano l’intensità del lampo a seconda della distanza del soggetto, in modo da non avere immagini sovraesposte anche se questi è molto vicino. E’ una funzione che personalmente ritengo fondamentale.

CAPITOLO SETTIMO: tecniche di fotografia SOTTOESPOSIZIONE: sottoesponendo aumenta il contrasto nella foto, ovvero i colori scuri vengono ritratti ancora più scuri ed i chiari ancora più chiari. I colori “di mezzo” diventano più vivi, più pieni e la foto acquista un indubbio effetto scenico ove siano presenti colori già di per se vivaci. E’ per questo motivo (oppure per rendere un cielo troppo chiaro un po’ più blu) che a volte si sottoespone intenzionalmente di 1/3 o ½ stop (o E.V.). Attenzione però perché l’errore in questo caso non perdona e la foto potrebbe essere irrimediabilmente compromessa da una sottoesposizione troppo marcata (se si vuole essere certi del risultato vale la pena scattarne più d’una a valori di esposizione diversi). Con le pellicole diapositive, affinché i colori vengano più saturi, sottoesporre di 1/3 di stop può essere utile. CONTROLUCE: un’immagine in controluce presenta un fortissimo contrasto, i colori scuri diventano quasi neri ed i chiari sono ancora più marcati (essendo il più delle volte al tramonto o all’alba diventano però ambrati). Il soggetto da ritrarre rimane buio in quanto colpito dalla luce alle sue spalle (fig. 4) Se si desidera che il


soggetto sia leggibile occorrerà sovraesporre (in taluni casi anche pesantemente ma perdendo in questo caso lo sfondo che verrà bruciato). Spesso è preferibile che il soggetto rimanga nero dando alla fotografia un alone di mistero. SULLA NEVE: la luminosità del bianco manto nevoso trae in inganno l’esposimetro, è quindi sempre necessario sovraesporre da 1 a 2 stop. Lo stesso può accadere per le foto in spiaggia, da valutare però a seconda del colore della sabbia e dell’intensità del sole.

FILL INN: tecnica che prevede l’utilizzo del flash anche se è giorno. Molto utile in caso di luce radente per illuminare le zone in ombra del soggetto da fotografare. Spesso indispensabile per leggere correttamente i lineamenti di un viso (vedi fig. 5).

CASCATE E GIOCHI D’ACQUA: l’acqua è uno splendido soggetto che può essere immortalato principalmente in due differenti modalità, congelandola per mostrare tutte le goccioline sospese in aria (fig. 6) o con l’effetto scia che renda in pieno il senso di movimento. Tutto questo si attua modificando i tempi di scatto, rapidi per congelare, lenti per l’effetto scia. I tempi giusti si imparano con l’esperienza poiché variano a seconda della velocità dell’acqua, ad ogni modo in genere sopra il trentesimo di secondo l’effetto scia inizia ad essere evidente.

CAPITOLO OTTAVO: consigli per gli acquisti Premettendo che ognuno presenta le proprie necessità e le proprie aspettative, ben diverse fra una persona e l’altra (soprattutto rispetto al tipo di fotografia che si va ad affrontare), ritengo che il miglior corredo sia quello che concede maggiore importanza agli obiettivi che non al corpo macchina, obiettivi che per ragioni di praticità saranno costituiti da zoom. In linea di principio un 28-200 consente di affrontare tutte le più comuni necessità di ripresa ma attenzione, trattandosi di un obiettivo richiesto per lo più da fotoamatori con poche pretese, quelli in circolazione sono economici ma poco adatti a chi abbia voglia di cimentarsi con la vera fotografia amatoriale, che vada al di la del semplice scatto per ricordo di un viaggio. A ciò si aggiunga che più la funzione zoom è potente e più critica sarà la qualità dell’obiettivo (in questo caso la scelta migliore sarebbe sempre la focale fissa). Personalmente ritengo ottimale l’acquisto di due singoli obiettivi, uno di focale 28-80/105 con luminosità non inferiore a F3,5 a 28mm e F4 a 80mm o F4,5 a 105mm e l’altro di focale 70/75-300 (nella caccia fotografica 300mm servono tutti) e di luminosità non inferiore a F4 a 70mm e F5,6 a 300mm. Meglio per il teleobiettivo ricorrere a modelli di luminosità ancora maggiore alla massima focale, oppure di tipo stabilizzato. Questi ultimi sono di recente costruzione e, rispetto ai modelli tradizionali, grazie ad un meccanismo giroscopico interno consentono di scattare con l’otturatore più lento di uno stop a parità di apertura del diaframma, senza che per questo la foto venga mossa. Costano mediamente molto meno rispetto ad analoghi obiettivi di luminosità paragonabile allo stop che sono in grado di far guadagnare all’otturatore e sono un po’


meno pesanti nonostante il meccanismo interno (poiché le lenti sono più economiche e di diametro inferiore), ma presentano l’inconveniente di consumare molto le batterie quando il giroscopio è in funzione, inoltre l’affidabilità elettronica è ancora tutta da provare. Splendidi sarebbero anche quegli obiettivi di focale 28-300 (chiamati per questo motivo 10X), che consentirebbero di affrontare pressoché tutte le situazioni se non fosse che, essendo piuttosto economici rispetto al servizio che possono rendere, alla massima focale hanno una luminosità solitamente non migliore di F6,7. Ciò significa poter scattare fotografie a mano libera alla massima focale utilizzando l’otturatore non più lento di 1/500 di secondo se si ha la mano molto ferma, o addirittura a non meno di 1/1000 in caso contrario. Si pensi alle situazioni in cui possa essere utilizzabile un 300mm (valido soprattutto per splendide immagini di animali o sportive) e si valuti se sarà mai possibile sfruttare l’obiettivo a meno di appostarsi con il cavalletto, cosa tutt’altro che facile nelle situazioni sopra citate. E veniamo ad un nuovo argomento, il cavalletto. Per esperienza posso dire che un cavalletto molto pesante ed ingombrante si finisce per lasciarlo a casa (salvo spedizioni esclusivamente fotografiche) anziché portarlo in viaggio con noi. Ecco che l’acquisto di questo accessorio dovrà essere ponderato sulla base della dimensione delle borse e degli zaini che utilizzeremo. E’ senz’altro meglio che il treppiede rimanga per bene all’interno della borsa, sarà più semplice trasportarlo. Prendete quindi bene le misure prima di recarvi in negozio giacché di cavalletti ne esistono delle dimensioni più svariate, dai pochi centimetri (economici e molto pratici da trasportare ma poco da utilizzare) a quelli che tutti aperti arrivano a misurare il metro e settanta. A ognuno il suo.


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