46a edizione Scivac Rimini

Page 1

Atti del

SOCIETĂ€ CULTURALE ITALIANA VETERINARI PER ANIMALI DA COMPAGNIA

8-11 in collaborazione con

8 maggio: 9 maggio: 10 maggio: 11 maggio:

8 crediti 7 crediti 6 crediti 6 crediti

Estratti relazioni Comunicazioni brevi


46°

congresso

nazionale multisala

scivac

8-11 maggio 2003

FIERA MILANO in collaborazione con

SOCIETÀ CULTURALE ITALIANA VETERINARI PER ANIMALI DA COMPAGNIA

Estratti relazioni Comunicazioni brevi Traduzione dei testi inglesi: Dr. Maurizio Garetto


G

U I D A

A L L

U T I L I Z Z O

D E L

C D

li atti del Congresso Multisala SCIVAC 2002 sono presentati in formato PDF. Oltre a consentire la fedele riproduzione digitale della versione cartacea, questo formato offre la possibilità di inserire ipertesti in modo da rendere i documenti ricercabili e navigabili. La consultazione del CD richiede Acrobat Reader 3.0 o superiore installato sul computer. Nel CD è contenuto il file di installazione del programma per gli utenti che ne fossero sprovvisti (aprire la cartella ACROBAT e quindi quella MAC o WIN in base al proprio sistema operativo. Cliccare sul file di installazione e seguire le istruzioni fornite). Per iniziare la consultazione aprire il file menu.pdf. Si può accedere agli abstracts a partire dai segnalibri (a sinistra della finestra di Acrobat reader). Le frecce gialle consentono di visualizzare in sequenza i lavori di ciascun autore. È possibile eseguire una ricerca per parole chiave ( TROVA) e stampare ogni sezione degli atti.

G

R Macintosh PowerPC 160 MHz MacOS 8.1 64 Mb RAM CD-ROM 8x monitor 800x600 migliaia di colori

E Q U I S I T I

M I N I M I

D I

S I S T E M A

PC Pentium 150 MHZ WIN 95/98 32 Mb Ram CD-ROM 8x monitor 800x600 migliaia di colori

Ideazione e realizzazione Enrico Febbo, Med Vet Supervisione Scientifica Enrico Febbo, Med Vet Aldo Vezzoni, Med Vet, Dipl ECVS © SCIVAC 2002. Tutti i diritti riservati.

La SCIVAC ringrazia le Aziende sponsor

Hill’s* Animal Health


COMMISSIONI DIRETTIVO SCIVAC 2001-2003 SCIVAC BOARD OF DIRECTORS 2001-2003 ERMENEGILDO BARONI

Presidente

CARLO DAMIANI

Tesoriere

PIER MARIO PIGA

Presidente Senior

CARLO DE FEO

Consigliere

MASSIMO BARONI

Vice Presidente

ROBERTO TOVINI

Consigliere

MATTEO SPALLAROSSA

Segretario

COMITATO SCIENTIFICO CONGRESSUALE / CONGRESS SCIENTIFIC COMMITTEE MARTA AVANZI, MARCO BERNARDINI, DEA BONELLO, MICHELE BORGARELLI, PAOLO BURACCO, CLAUDIO BUSSADORI, RAIMONDO COLANGELI, DE LORENZI DAVIDE, SERGIO FANFONI, LUCA FORMAGGINI, TOMMASO FURLANELLO, MARGHERITA GRACIS, ADOLFO GUANDALINI, UGO LOTTI, MASSIMO MILLEFANTI, CARLO MARIA MORTELLARO, BRUNO PEIRONE, CLAUDIO PERUCCIO, PIER MARIO PIGA, MARCO POGGI, GIORGIO ROMANELLI, ROBERTO SANTILLI, CARLO SCOTTI, MATTEO SPALLAROSSA, ALDO VEZZONI, MASSIMO VIGNOLI, ANDREA ZATELLI

Coordinatore Congressuale / Congress Coordinator FULVIO STANGA

Segreteria Scientifica MONICA VILLA - Tel: +39 0372 403504 - email: commscientifica@scivac.it

Segreteria Marketing FRANCESCA MANFREDI - Tel: +39 0372 403538 - email: marketing@evsrl.it

Segreteria Iscrizioni PAOLA GAMBAROTTI - Tel: +39 0372 403508 - Fax +39 0372 457091 - email: info@scivac.it

ORGANIZZAZIONE CONGRESSUALE / ORGANIZING SECRETARIAT EV - Eventi Veterinari Via Trecchi 20 - 26100 CREMONA - Tel: + 39 0372 460440 - Fax: +39 0372 457091

ORGANIZZAZIONE ALBERGHIERA / HOTEL RESERVATIONS UVET VIAGGI TURISMO SpA Via V. Pisani 22 - Milano (Italy) - Tel: +39 02 67506318 - Fax: +39 02 67506322


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

5

CURRICULA VITAE DEI RELATORI

MASSIMO BARONI Med Vet, Dipl ECVN Monsummano Terme (PT) Laureato in Medicina Veterinaria con Lode nel 1987 presso l’Università di Pisa. Dal 1992 al 1995 ha compiuto un Non Conforming Residency Programme in Neurologia presso l’Istituto di Neurologia, Università di Berna. Nel 1995 ha ottenuto Il Diploma del College Europeo di Neurologia a Liegi (Belgio). Dal 1995 al 1999 ha lavorato a Genova, svolgendo attività di referenza in campo neurologico ed ortopedico. Attualmente svolge la propria attività specialistica presso la Clinica Veterinaria “Val di Nievole”, Monsummano Terme, Pistoia. È stato membro dell’Education Commitee del College Europeo di Neurologia dal 1996 al 1999 ed è direttore del Corso di Neurologia SCIVAC. È autore di pubblicazioni riguardanti l’ortopedia e la neurologia e ha presentato oltre 50 relazioni ad incontri a carattere nazionale ed internazionale. Attuali aree di interesse: Neurodiagnostica per immagini, neurochirurgia intracranica. MAURO BENDINELLI Med Chir, PhD Università di Pisa Mauro Bendinelli è professore ordinario di Microbiologia nella Facoltà di Medicina e Chirurgia di Pisa dal 1975. Laurea in Medicina e Chirurgia nel 1959, assistente e professore incaricato dal 1960 al 1975 presso gli istituti di Microbiologia e di Igiene dell’Università di Pisa e presso il Department of Cancer Research, Medical College, dell’Università di Londra. Ha trascorso vari anni in laboratori del Regno Unito e degli USA prima come borsista poi come visiting professor. È direttore del Centro Retrovirus e della U.O. Virologia della Università di Pisa. Coordinatore del corso di Dottorato in Virologia Fondamentale e Clinica (in precedenza, Immunobiologia dei Virus). Interessi di ricerca prevalenti: storia naturale e patogenesi delle infezioni virali; retrovirus immunodepressivi; vaccini anti-AIDS; virus dell’epatite; virologia diagnostica. Oltre 200 lavori in extenso su riviste con elevato impact factor. Membro dell’editorial board di varie riviste internazionali (Clinical Microbiology Reviews, Clinical and Diagnostic Laboratory Immunology, etc.) e co-editor capo della serie di volumi Infectious Agents and Pathogenesis, Kluwer Academic/Plenum Publisher, New York. MARCO BERNARDINI Med Vet, Dipl ECVN Bologna Laureato presso l’Università di Bologna nel 1988, inizia ad occuparsi di neurologia frequentando i corsi dell’European School for Advanced

Veterinary Studies (ESAVS). Nel biennio 1994-95 effettua un Residency in Neurologia presso l’Università di Berna (Svizzera). Nel 1995 si diploma all’European College of Veterinary Neurology (ECVN). Dal 1997 al 2001 lavora presso l’Università di Barcellona (Spagna) come docente di Neurologia Veterinaria e responsabile del Servizio di Neurologia e Neurochirurgia dell’Ospedale Veterinario della stessa facoltà. È relatore in corsi e congressi in Italia e all’estero. Attualmente lavora in Italia come libero professionista referente di casi neurologici, è docente a contratto presso l’Università di Padova, Oberassistent in Neurologie presso l’Università di Berna, presidente della Società Italiana di Neurologia Veterinaria (SINVet) e membro dell’Examination Committee dell’ECVN. FRÉDÉRIC BEUGNET Med Vet Lion, Francia Dottore in Medicina Veterinaria, Master in Parassitologia Umana ed in Immunologia, PhD in Chemioresistenza Parassitaria, Referente delle associazioni francesi di Parassitologia e Malattie Parassitarie. Professore in Parassitologia all’Università di medicina veterinaria di Lione e di Parigi, attualmente Technical Manager Merial Europe. Ha lavorato molti anni sullo studio della biologia delle zecche, sull’efficacia degli acaricidi, sulle malattie trasmesse da Artropodi, tra cui l’Ehrlichiosi, l’Hepatozoonosi e la Babesiosi. DEA BONELLO Med Vet, SRV, Dipl EVDC Torino Si laurea nel 1989 alla Facoltà di Medicina Veterinaria di Torino. Si specializza nel 1997 in Radiologia Veterinaria, nel 2001 consegue il titolo di Dottore di Ricerca in Medicina Interna e nel 2001 ottiene un contratto di ricerca presso il Dipartimento di Patologia Animale della Facoltà di Medicina Veterinaria di Torino. Dal 1989 si dedica all’odontostomatologia veterinaria ed in questo settore svolge attività di consulenza per i piccoli ed i grossi animali. Nel 1996 e nel 1998 è stata, a scopo di aggiornamento, all’Università di Davis in California. Dal 1998 è Diplomata dell’European College of Veterinary Dentistry. Relatore a numerosi congressi in Italia ed all’estero e autore di pubblicazioni inerenti l’odontostomatologia veterinaria e comparata. Per molti anni Coordinatore del Gruppo di Studio di Odontostomatologia della SCIVAC, dal 1998 al 2002 è stata Segretario dell’EVDC. Attualmente è Vice Presidente del College, Referee scientifico della SIODOV ed Editor della rivista Quaderni di Odontostomatologia.


6

UGO BONFANTI Med Vet Milano Laureato a pieni voti presso l’Università di Milano nell’anno 1992. Dal conseguimento della Laurea ha lavorato regolarmente presso alcune cliniche veterinarie. Attualmente esercita la libera professione presso la Clinica Veterinaria Gran Sasso – Milano (Dr. Bussadori), occupandosi in particolare di Medicina Interna ed Oncologia; da circa 6 anni si occupa attivamente di citologia veterinaria. Nel 1997 ha effettuato uno stage presso il Dott. Teske dell’Università di Utrecht; nel 1998 si è recato a Cambridge presso il Prof. Herrtage. All’inizio di quest’anno ha seguito un corso di aggiornamento di Clinical Pathology alla School of Veterinary Medicine, University of Pennsylvania a Philadelphia. Ha presentato alcune relazioni di ecografia, citologia ed oncologia in occasione di gruppi di studio, seminari di citologia e congressi nazionali SCIVAC. È istruttore e relatore al corso di citologia della SCIVAC, e riveste la carica di vicepresidente della Società Italiana di Citologia Veterinaria. MICHELE BORGARELLI Med Vet, Dipl ECVIM-Ca (Card) Università di Torino Si è laureato presso l’Università di Torino nel 1989 con una tesi di fisiologia. Dal 1990 si occupa di cardiologia e di ecografia nei piccoli animali. Da allora ha seguito numerosi periodi di aggiornamento in Italia e all’estero. È stato professore a contratto in ecocardiografia per gli anni 1996-97, 1998-99 e 2000-01 presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Torino. Nel 1999 si è diplomato al College Europeo di Medicina Interna (Cardiologia). Attualmente è Ricercatore e Dottorando di ricerca presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Torino dove segue alcuni programmi di ricerca sulla miocardiopatia dilatativa nel cane, e sulla insufficienza mitralica nei cani di grossa taglia. Ha tenuto numerosi seminari scientifici e corsi di perfezionamento su argomenti riguardanti la cardiologia e l’ecografia internistica nei piccoli animali ed ha presentato i risultati dei suoi esperimenti ed esperienze cliniche in congressi nazionali ed internazionali. È segretario e tesoriere della Società Europea di Cardiologia Veterinaria. È autore di numerose pubblicazioni di cardiologia ed ecografia internistica su riviste nazionali ed internazionali. CLAUDIO BUSSADORI Med Vet, Med Chir, Dipl ECVIM-CA (Card) Milano Laureato in Medicina Veterinaria, il 23/3/82 con tesi di laurea in fisiologia su “riflessi respiratori in corso d’ipertensione polmonare nel maiale” 108/110. Diplomato in Cardiologia dell’European College of Internal Medicine ECVIM il 21/3/93. Laureato in Medicina e Chirurgia il 29/10/2001, con tesi di laurea in cardiologia pediatrica su “chiusura transcatetere dei difetti del setto interventricolare muscolare” 110 e Lode.

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Ha svolto attività di studio e di ricerca su vari argomenti cardiologici presso centri veterinari e medici in Europa e negli USA. Ha tenuto corsi di Cardiologia, Ecografia ed Ecocardiografia presso Università e istituzioni private in varie nazioni Europee. DAVID CHIAVEGATO Med Vet Padova Laureato nel 1984 alla Facoltà di Medicina Veterinaria di Bologna, con 110/110 discutendo una tesi sperimentale svolta in collaborazione con l’Ist. Zoopr. Sperimentale delle Venezie. Si occupa di cardiologia e diagnostica ecografia nei piccoli animali da circa 8 anni. Dal 1996 collabora con il dott. Claudio Bussadori (DM; DVM Dipl. ECVIM – cardiology). È relatore ed istruttore a corsi SCIVAC di “Cardiologia”, e di “Ecografia” dal 1998 e al corso di “Ecocardiografia” (AVULP- 2002). È stato coordinatore del Gruppo di studio di “Diagnostica per immagini” della SCIVAC nel triennio 1999/2001, ed è attualmente segretario della SICARV (Società italiana di cardiologia veterinaria). Ha tenuto varie relazioni ad incontri di aggiornamento professionale in cardiologia ed ecografia internistica È stato relatore al congresso nazionale multisala SCIVAC Milano 2001. Lavora a Padova come libero professionista dove svolge prevalentemente attività di referenza in cardiologia ed ecografia addominale. Principali interessi sono rivolti all’ipertensione polmonare ed alla diagnostica ecocardiografica. MARIO CIPONE Med Vet Università di Bologna Il Dott. Mario Cipone si è laureato nell’anno accademico 1977/1978 presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Bologna dove lavora interessandosi di diagnostica per immagini con particolare attenzione all’impiego della TAC nei piccoli animali. FABRICE CLERFEUILLE Dr Med Vet, PhD, MBA Università di Nantes, Francia Dopo aver ottenuto il PhD con un lavoro sui cani guida per ciechi, Fabrice Clerfeuille lavora da sette anni come associato in una clinica veterinaria nei pressi di Nantes. Nello stesso periodo ha completato un corso di formazione universitaria in Scienze Economiche ottenendo un MBA in Economia, un MBA in Marketing e un PhD in Marketing. Con tali diplomi ha potuto diventare Professore di Marketing presso l’Università Economica di Nantes (Francia). Le due qualifiche in Medicina Veterinaria e in Scienze Economiche gli hanno consentito di lavorare nell’industria veterinaria in qualità di Consulente di Marketing. Si è inoltre occupato della formazione di studenti universitari in tre delle quattro scuole veterinarie francesi, insegnando per dodici anni. Ha fondato nel 1990 il Gruppo Francese di Studio e Ricerca Economica, riconosciuto dall’Associazione Veterinaria Nazionale Francese, di cui è stato presidente dal 1994 al 1997. Attualmente è Professore di Marketing all’Università di Economia, Professore di Economia in scuole veterinarie,


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

consulente marketing e direttore di una clinica veterinaria a Nantes. È autore di numerosi articoli riguardanti la professione veterinaria e ha presentato varie relazioni nel settore economico in Francia, Italia, Svezia, Portogallo, Danimarca e Regno Unito. Ha inoltre presenziato come relatore a Congressi sul Marketing in Argentina, Cuba e negli Stati Uniti. RAIMONDO COLANGELI Med Vet, Comport ENVF Roma Si laurea nel 1982 a Perugia in medicina veterinaria. Lavora come libero professionista a Roma dal 1983. Dal 1995 si occupa di patologia comportamentale. Consigliere SISCA dal 1999. Ha seguito corsi di base ed avanzati di patologia comportamentale sia in Italia che in Francia. Sta seguendo la specializzazione di Veterinario Comportamentalista nella Ecole Nationale Vétérinaire in Francia. È stato relatore a congressi, seminari, giornate regionali SCIVAC e corsi di patologia comportamentale in Italia ed in Francia. Direttore del corso SCIVAC di novembre 2002 di patologia comportamentale. Ha pubblicato articoli di medicina comportamentale su riviste veterinarie. Membro di Zoopsy (associazione dei veterinari comportamentalisti francesi) e Membro ESVCE. DANIELE CORLAZZOLI Med Vet Roma Si laurea nel 1991 a Milano con lode, discutendo una tesi sulla discospondilite nel cane, relatore il Prof. Mortellaro. Dopo un periodo di studio in Francia, Inghilterra e negli Stati Uniti, lavora nell’area milanese occupandosi esclusivamente di neurologia e chirurgica dei piccoli animali. Dal 1995 si trasferisce a Roma dove collabora inizialmente con il Centro Veterinario Gregorio VII, quindi con lo Zoospedale Flaminio. Dal 2001 ha aperto un centro di referenza in neurologia, ortopedia e diagnostica per immagini a Roma.

GINO D’AGNOLO Med Vet Trieste Laureato in Medicina Veterinaria presso l’Università di Bologna. Ha partecipato a numerosi congressi, corsi e seminari in qualità di relatore presentando relazioni riguardanti la cardiologia degli animali da compagnia. Ha collaborato con le Delegazioni della SCIVAC e con la SICARV (Società Italiana di Cardiologia Veterinaria) presentando relazioni di cardiologia durante le giornate di approfondimento e gli incontri regionali. I suoi principali ambiti di interesse comprendono la radiologia toracica, le cardiopatie, l’approccio clinico al paziente cardiopatico. I suoi hobbies sono la pesca e gli sport acquatici. IVANA DE FRANCESCO Med Vet, Università di Milano Ha compiuto i suoi studi presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi

7

di Milano dove ha conseguito la Laurea. Attualmente è ricercatore confermato presso l’Istituto di Clinica Chirurgica e Radiologia Veterinaria. È lettore ufficiale della displasia dell’anca per l’FSA, con accreditamento del Prof. W. Brass, Presidente della Commissione Scientifica della FCI. Le sue principali aree d’interesse riguardano la semeiotica radiologica dei piccoli animali, con particolare riferimento ai problemi inerenti l’apparato respiratorio e digerente. DAVIDE DE LORENZI Med Vet, SMPA Forlì Laureato in Medicina Veterinaria a Bologna nel 1988, con lode; ha conseguito nel 1992 la specializzazione in Clinica e Patologia degli animali da Affezione presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Pisa. È stato ideatore e coordinatore del Gruppo di studio SCIVAC di Citologia Diagnostica fino al 2001 ed inoltre è relatore ed istruttore del Corso di Citologia Diagnostica della SCIVAC. Da alcuni anni tiene un seminario di Citologia Diagnostica alla Scuola di Specializzazione in Clinica e Patologia degli animali da Affezione della Facoltà di Medicina Veterinaria di Pisa. È autore e coautore di articoli e comunicazioni a congressi nazionali ed internazionali aventi come oggetto la patologia clinica, la citologia diagnostica e la chirurgia. Dal 1993 compie regolari periodi di aggiornamento in Olanda presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Utrecht (Dipartimento Animali da Compagnia) per approfondire argomenti di citologia diagnostica e chirurgia; presso la medesima Facoltà ha portato a termine un corso triennale, organizzato dall’ESAVS, in medicina interna. Ha recentemente compiuto un periodo di studi di circa un mese presso la Purdue University con il Prof. De Nicola, su argomenti di citologia diagnostica ed ematologia. È membro dell’E.S.V.C.P. (Società Europea di Patologia Clinica Veterinaria). È attualmente membro della Commissione Scientifica della SCIVAC. Esercita come libero professionista a Forlì occupandosi quasi esclusivamente di Chirurgia e Citologia Diagnostica. FABRIZIO FABBRINI Med Vet, Dipl CES Derm, Milano Laureatosi a pieni voti presso l’Università Statale di Milano nel 1981 si occupa, come libero professionista, dei piccoli animali da compagnia. Dal 1987 il suo interesse verte verso la dermatologia veterinaria prendendo parte a diverse attività del gruppo di studio di dermatologia della SCIVAC (organizzare seminari, presentare relazioni ad incontri nazionali e ai corsi di base di Dermatologia). Ha ottenuto il Diploma Francese in Dermatologia (C.E.S.) frequentando nel Triennio 93-95 le Facoltà Veterinarie di Lyon e Nantes. Attualmente lavora a Milano, dove segue casi di dermatologia anche riferiti. Ha presentato relazioni e case report di dermatologia in congressi nazionali ed europei; ha scritto articoli di dermatologia in riviste nazionali e partecipa dal 1994 in qualità di relatore ai corsi di base di dermatologia organizzati dalla SCIVAC. Il Dr. Fabbrini è full member della ESVD, uno dei promotori e soci fondatori della SIDEV (Società italiana di Dermatologia Veterinaria) nella quale riveste attualmente la carica di vice-presidente.


8

SERGIO FANFONI Med Vet Roma Laureato con Lode presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Perugia nel 1991. Dal 1998 al 2000 ha rivestito il ruolo di collaboratore nel Gruppo di Studio di Medicina Interna della SCIVAC. Dal 2001 è Coordinatore del suddetto Gruppo. È stato relatore al Corso pratico SCIVAC di “Metodologia clinica” e a Congressi e Seminari nazionali SCIVAC. Attualmente svolge attività libero professionale nel campo della medicina interna, ecografia e cardiologia presso la Clinica Veterinaria Caffarella di Roma e nel suo ambulatorio a Monte San Savino (AR). LUCA FERASIN Med Vet, PhD, Cert VC, MRCVS Università di Bristol, UK Luca Ferasin si è laureato con lode presso l’Università di Bologna nel marzo 1992. Dopo aver svolto per un anno l’attività di responsabile del laboratorio didattico di microscopia all’Università di Padova, è ritornato all’Università di Bologna per iniziare un dottorato di ricerca in endocrinologia. Il suo progetto di ricerca sull’immunomodulazione dell’attività ormonale è stato svolto presso il BBSRC Babraham Institute di Cambridge (UK) e completato nel 1996 con il conseguimento del titolo di dottore di ricerca e di due brevetti farmaceutici internazionali. È diventato ricercatore presso l’Università di Padova dapprima in fisiologia (1996) e poi in clinica medica (1998). Nel luglio 1999, è stato chiamato dall’Università di Bristol (UK) in veste di lecturer in small animal medicine dove tutt’oggi è responsabile dell’insegnamento di malattie cardiorespiratorie del cane e del gatto e del servizio di referenza in medicina cardiorespiratoria dell’ospedale universitario. Il Dr Ferasin ha conseguito il RCVS Certificate in veterinary cardiology nel 2001 ed il Certificate in teaching & learning in higher education nel 2002. È autore e coautore di numerose pubblicazioni scientifiche internazionali ed ha ricevuto diversi premi di riconoscimento sia come clinico che come docente. I suoi principali interessi scientifici sono rivolti alla diagnosi e al trattamento delle aritmie cardiache nel cane e nel gatto e allo studio degli adattamenti fisiologici del sistema cardiorespiratorio all’esercizio fisico nel cane atleta. PAOLO LUIGI FERRARI Med Vet Azzano San Paolo (BG) Consegue la laurea nel 1991 presso la facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Milano, con tesi dal titolo “Ulteriori osservazioni sull’impiego degli ace-inibitori nella insufficienza cardiaca congestizia nel cane”. Dal 1992 al 1999 svolge un periodo di tirocinio teorico- pratico presso il Dott. Claudio Bussadori (Dipl. ECVM-CA Cardiology). Ha seguito un corso di perfezionamento annuale in “Malattie cardiovascolari dei piccoli animali” presso il Dipartimento di Patologia Animale dell’Università degli studi di Torino. È socio dei gruppi di studio dal 1991 di cardiologia e di diagnostica per immagini della SCIVAC, dove ha presentato numerosi casi clinici e relazioni a tema.

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Attualmente ricopre la carica di vicepresidente della Società Italiana di Diagnostica per Immagini (SVIDI) e svolge attività libero-professionale presso lo Studio Veterinario Associato in Azzano San Paolo (BG), occupandosi di cardiologia ed ecografia orientata alla medicina interna. ANTONIO FERRETTI Med Vet, Dipl ECVS Legnano (Milano) Antonio Ferretti è nato a Cortina d’Ampezzo nel 1948. Dopo quattro anni di Ingegneria Meccanica è passato alla Facoltà di Medicina Veterinaria di Milano laureandosi nel 1979 con tesi di argomento chirurgico. Si è dedicato fin dall’inizio della attività professionale al settore chirurgico sviluppando in particolar modo la Chirurgia Ortopedica e Traumatologica. Nel 1982 ha iniziato lo studio del Metodo Ilizarov e, nell’anno seguente, la sua applicazione clinica. Nel 1988 e nel 1991 ha trascorso un periodo di approfondimento presso il Prof. G.A. Ilizarov, all’Istituto Ortopedico Traumatologico della città di Kurgan (Siberia). Nel 1993 ha conseguito il Diploma dell’European College of Veterinary Surgeons. Svolge l’attività esclusivamente nel campo ortopedico nella propria clinica a Legnano (MI). OTTO WOLFGANG FISCHER Med Vet Dr Med Vet Dr. Fischer si è laureato in medicina veterinaria nel 1985 presso l’Università di Vienna dove ha completato un dottorato di ricerca nel 1987. Successivamente ha lavorato presso una clinica privata per grossi e piccoli animali e nel 1989 ha avviato una propria clinica privata per animali da compagnia nelle vicinanze di Vienna. Nel 1992 si è specializzato in dermatologia e dal 1995 svolge referenza clinica. Inoltre tiene relazioni presso l’Università di Vienna e organizza seminari in dermatologia. TOMMASO FURLANELLO Med Vet Padova Laureato a Bologna con una tesi sulla Peritonite Infettiva Felina nel 1990, si è sempre interessato di medicina interna del cane e del gatto, con particolare interesse verso la farmacologia clinica, le malattie infettive e la diagnostica clinica. Ha frequentato l’Università della Georgia ed altri centri veterinari nordamericani. È uno degli autori del Prontuario Veterinario Scivac e ha pubblicato numerosi articoli scientifici su Veterinaria ed altre riviste italiane ed estere ed ha presentato delle comunicazioni anche al congresso annuale del American College of Veterinary Internal Medicine (ACVIM). È uno degli autori della recente monografia SCIVAC sulla filariosi cardiopolmonare. Dal 1992 è stato relatore a numerosi congressi e seminari SCIVAC ed ha partecipato ai Corsi Pratici SCIVAC, in qualità di relatore, di “Approccio Orientato al Problema”, “Diagnostica di Laboratorio”, “Biochimica Clinica”, “Endocrinologia Clinica” e “Coagulopatie”. Ha collaborato, sia nelle fasi organizzative che scientifiche, alla conduzione del Gruppo di Studio di Medicina Interna. È attualmente presidente della Società Ita-


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

liana di Medicina Felina. Ha collaborato alla realizzazione del FECAVA 1998, in qualità di membro della Commissione Scientifica e come relatore. Dal 1996 ha ricevuto dalla Facoltà di Medicina Veterinaria di Padova l’insegnamento di Malattie Infettive dei Piccoli Animali, che tuttora conduce, con la qualità di Professore Incaricato. Attualmente sta conducendo un gruppo di lavoro per lo studio di malattie infettive trasmesse da zecche “emergenti” quali la rickettsiosi canina e l’ehrlichiosi granulocitaria canina. Svolge l’attività libero-professionale presso la Clinica Veterinaria Privata San Marco di Padova, occupandosi esclusivamente di Medicina Interna ed è anche direttore del Laboratorio d’Analisi Veterinarie San Marco, a Padova. THOMAS GOEBEL Dr Med Vet, DVM, Cert spec avian and reptile diseases Berlino, Germania. Nel 1990 si laurea in Medicina Veterinaria presso l’Università Justus-Liebig di Giessen, dove esercita fino al 1991 come assistente Scientifico nell’Istituto di Malattie aviarie. Successivamente, nel 1992 si specializza in patologia aviaria e nel 1993 in conservazione degli animali selvaggi. Dal 1991 al 2001 è Assistente Scientifico C1 in Medicina degli animali esotici e selvaggi presso la Libera Università di Berlino. La specializzazione in patologie dei rettili è stata conseguita nel 2002, anno in cui è docente a contratto sempre presso l’Università di Berlino. Dal 2001 al 2002 si trasferisce in Florida (USA) dove è Professore Assistente in Medicina Zoologica, Dipartimento di Scienze cliniche dei Piccoli Animali, presso l’Università di medicina Veterinaria della Florida. Tornato in Germania nel 2003 apre a Berlino una clinica privata specializzata in piccoli animali. MARGHERITA GRACIS Med Vet, Dipl AVDC, Dipl EVDC Milano Luglio 1993: laureata alla facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Milano. Fino al 1996 esercita presso la Clinica Veterinaria Città di Monza (Monza, Milano). Dal Marzo 1996 al Giugno 1998: Residency di odontoiatria veterinaria presso l’Università della Pennsylvania, Philadelphia (USA) Luglio 1998 – Giugno 2000: Lecturer di odontoiatria veterinaria presso l’Università della Pennsylvania, Philadelphia (USA) Aprile 1999: Diplomata presso il College Americano di Odontoiatria Veterinaria (AVDC). Da Maggio 1999: Membro del College Europeo di Odontoiatria Veterinaria (EVDC) Luglio 1999: Vincitrice del “Pharmacia and Upjohn Veterinary Dental Award” per due studi radiografici del canino superiore del cane e del gatto. Da Settembre 2000: libero professionista a Monza e Milano. Da Ottobre 2000: President Elect della Società Europea di Odontoiatria Veterinaria (EVDS). Da Luglio 2001: Membro del Comitato Direttivo dell’EVDC. Da Novembre 2001: Presidente della Società Italiana di Odontostomatologia Veterinaria (SIODOV).

9

MASSIMO GUALTIERI Med Vet Università di Milano Massimo Gualtieri si è laureato presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Milano nel 1983. Nel 1987 consegue il diploma della Scuola di Specializzazione in Clinica delle Malattie dei Piccoli Animali. Nel 1991 ottiene la nomina a Ricercatore presso l’Istituto di Clinica Chirurgica dell’Università di Milano. Dal 1992 è docente presso il “Centro de Cirurgia de Minima Invasion” della Facoltà di Caceres (Spagna) per il “Corso Internazionale Teorico-Pratico di Endoscopia nei Piccoli Animali” e dove, dal 1997, è direttore e organizzatore del “Corso Teorico-Pratico di Endoscopia Flessibile nei piccoli Animali” per Veterinari italiani. Dal 1995 è docente presso la Scuola di Specializzazione in Patologia e Clinica degli animali d’affezione della Facoltà di Medicina Veterinaria di Milano. Dal 1996 è docente per il Corso di Medicina Operatoria che ha in affidamento presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Milano. È stato docente invitato per l’anno 98/99 presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Liegi per un ciclo di lezioni riguardanti la Chirurgia dell’Apparato Gastroenterico. Dal 1998 è Presidente della European Society of Comparative Gastroenterology (ESCG) della quale è inoltre membro fondatore. È autore e coautore di più di 75 pubblicazioni su riviste italiane ed estere. ANDRE JAGGY Doc Med Vet, Dipl ECVN Università di Berna, Svizzera Laureato nel 1983 all’Università di Berna (Svizzera). Dal 1983 al 1985 ha compiuto un residency presso il Dipartimento di Medicina e Chirurgia dei Piccoli Animali dell’Università di Berna. Nel 1985 ha conseguito il DVM. Dal 1985 al 1987 ha compiuto un residency all’Istituto di Neurologia Animale dell’Università di Berna e dal 1987 al 1990 un residency in neurologia all’Università della Georgia (Athens, USA). È diplomato ECVN dal 1993 e Presidente dell’ESVN dal 1996. Nel 1996 ha conseguito il PhD. Dal 1999 ricopre l’incarico di Professore e Direttore del Dipartimento di Neurologia Clinica dell’Università di Berna. È autore di circa 100 pubblicazioni sulla neurologia e la medicina interna e di oltre 200 relazioni a congressi nazionali e internazionali. Nel 2000 è stato riconosciuto professore dell’anno all’Unviersità di Berna. I suoi principali ambiti di ricerca riguardano l’elettrodiagnostica, la patogenesi dell’epilessia idiopatica e l’ipotiroidismo. DANIEL KOCH Dr Med Vet, Dipl ECVS Università di Zurigo, Svizzera Laureato nel 1990 all’Università di Zurigo, in Svizzera. Ha seguito in periodo di internship all’Università di Utrecht, in Olanda. Tra il 1992 e il 1994 ha svolto la libera professione. Dal 1995 è affiliato alla Clinica Chirurgica dei Piccoli Animali dell’Università di Zurigo. Dal 1999 è diplomato ECVS. Dal 1998 ricopre il ruolo di assistente, relatore e incaricato dell’educazione continua per i veterinari. I suoi interessi di ricerca riguardano principalmente la chirurgia articolare e la sindrome ostruttiva delle prime vie aeree.


10

GARY LANDSBERG DVM, Dipl. ACVB, Doncaster Animal Clinic Thornhill, Ontario, USA Laureatosi nel 1976 in Medicina Veterinaria all’Ontario Veterinary College, Gary Landsberg si diploma nel 1996 all’American College of Veterinary Behaviorists (ACVB). Past President dell’American Veterinary Society of Animal Behavior e della Toronto Academy of Veterinary Medicine, attualmente è consulente per i problemi comportamentali degli animali da compagnia alla Doncaster Animal Clinic (Thornill, Ontario) ed è Presidente dell’ACVB. È autore di una trentina di pubblicazioni su riviste internazionali referate e co-autore di libri sui problemi comportamentali del cane e del gatto. Da anni si impegna in intense attività divulgative sulle problematiche connesse al comportamento dei piccoli animali, sia come conduttore di trasmissioni televisive, che come coordinatore di servizi di consulenza per i medici veterinari liberi professionisti. UGO LOTTI Med Vet Monsummano Terme (PT) Si è laureato con lode a Pisa nel 1981. Dopo il servizio militare, si è dedicato ad una “mixed practice” fino al 1988, occupandosi principalmente di medicina equina e dei piccoli animali. Nel 1989 si è specializzato in medicina dei piccoli animali presso l’università di Pisa. Dal 1990 si occupa esclusivamente di medicina dei piccoli animali (cane e gatto). Autore di pubblicazioni su riviste nazionali e internazionali. Relatore presso numerosi corsi, seminari e congressi nazionali organizzati dalla SCIVAC (società culturale italiana veterinari per animali da compagnia). Dal 1994 fa parte del consiglio direttivo della SCIVAC e nel 1995 né è diventato il segretario. Attualmente lavora in un ospedale veterinario a Monsummano Terme in Toscana, di cui è il direttore sanitario, dove si occupa principalmente di medicina interna. JODY LULICH DVM, PhD, Dipl ACVIM Università del Minnesota, USA Jody Lulich è professore al College di Medicina Veterinaria dell’Università del Minnesota. Ha ottenuto il DVM dall’Università di Tuskegee e il PhD dall’Università del Minnesota. È Diplomato ACVIM. I suoi principali ambiti di interesse riguardano le malattie del sistema urinario. Ha pubblicato numerosi articoli di ricerca e capitoli di libri sulle malattie urinarie nel cane e nel gatto. Collabora con il Minnesota Urolith Center, un laboratorio di analisi sui calcoli urinari che fornisce consulenze agli ospedali veterinari. Come segno della sua devozione nei confronti della propria professione, ha adottato un dalmata affetto da calcolosi urinaria. FEDERICA MAGGIO Med Vet North Carolina State University Dottorato in Medicina Veterinaria all’Università di Bologna Posizione attuale: residency in Oftalmologia Veterinaria Comparata presso l’Università del North Carolina State. Invitata

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

in qualità di relatore a congressi nazionali e internazionali. Autore di abstract nel campo dei piccoli animali: Maggio F, Pizzirani S. On a case of lymphocytic-plasmacytic gastroenteritis in a cat. Proceedings of the SCIVAC National Meeting on Gastroenterology, Perugia, 1995 - Maggio F, Pizzirani S. Colonic Protothecosis in a Boxer. Proceedings of the SCIVAC National Meeting, Montecatini, 2000 - Maggio F, Pizzirani S, DeFrancesco T, Atkins CE, Gilger BC, Davidson MG. Ocular lesions associated with systemic hypertension in Cats: 69 cases (1985-1998). Proceedings of the American College of Veterinary Ophthalmologists, Chicago, November 3-7, 1999 - Maggio F, Miller-Michau T, Pizzirani S, Gilger BC, Davidson MG. Ocular Cryptococcosis in Cats: 9 cases. Proceedings of the American College of Veterinary Ophthalmologists. Denver, October 9-13, 2002 - Miller-Michau T, Maggio F, Pizzirani S, Davidson MG, Gilger BC. Findings from 16 Consecutive Cases of Penetrating Keratoplasty for Deep Stromal Abscesses in the Horse. Proceedings of the American College of Veterinary Ophthalmologists. Denver, October 9-13, 2002 - Pizzirani S, Sapienza J, Guandalini A, Maggio F, Miller-Michau T, Gilger BC, Davidson MG. Evaluation of Corneal Foldable Intraocular Lenses. Proceedings of the American College of Veterinary Ophthalmologists. Denver, October 9-13, 2002. Autore delle seguenti pubblicazioni: Maggio F, Pizzirani S. On a case of lymphocytic-plasmacytic gastroenteritis in a cat. Veterinaria 1999;13 (1):105-109 - Maggio F, DeFrancesco TC, Atkins C, Pizzirani S, Gilger BC, Davidson MG. Ocular lesions associated with systemic hypertension in cats: 69 cases (1985-1998). J Am Vet Med Assoc 2000;217:695-702 - Miller-Michau T, Gilger BC, Maggio F, Davidson MG. Thermalkeratoplasty for the treatment of recurrent corneal erosions in bullous keratopathy in 15 dogs. In progress. MAURIZIO MANERA Med Vet Università di Teramo Maurizio Manera si è laureato in Medicina Veterinaria a Bologna nel 1992 e nel 1997 ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Discipline Anatomoistopatologiche Veterinarie. Si è occupato di patologia ittica, con particolare riguardo agli aspetti patologicocomparati e patologico-ambientali. È stato consulente nel campo dell’acquariologia, occupandosi in particolar modo delle problematiche connesse con l’alimentazione dei pesci d’acquario e della formulazione/ valutazione di prodotti per l’acquariofilia. Ha svolto, inoltre, attività di divulgazione scientifica in questo settore. Dal 1998 è ricercatore presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Ateneo di Teramo, impegnato nella ricerca dei risvolti della patologia sulla qualità dei prodotti ittici. Ultimamente ha studiato l’impatto sul sistema acquario derivante dall’uso di mangimi per pesci ornamentali. VERONICA MARCHETTI Med Vet, PhD Università di Pisa Laureata presso l’Università di Medicina Veterinaria di Pisa nel 1996 con lode; ha conseguito il titolo di dottore di ricerca nel 2000 e frequenta attualmente l’ultimo anno della Scuola di Specializzazione


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

in Patologia e Clinica degli Animali d’Affezione presso l’Università di Pisa. Dal 2002 è ricercatore presso il Dipartimento di Clinica Veterinaria di Pisa. Ha recentemente compiuto un periodo di aggiornamento in Francia presso la Scuola Veterinaria di Lione. Dal 2000 è membro della SICIV. I suoi principali campi di interesse riguardano la medicina interna e la citologia, ed è autore di diverse pubblicazioni su riviste nazionali ed internazionali; è coautore di un capitolo di un libro sulla medicina interna del gatto. STANLEY MARKS BVSc, PhD, Dipl ACVIM (Internal Medicine Oncology), Dipl ACVN University of California, Davis, USA Laureato nel 1986 all’Università di Pretoria nel Sud Africa. Nel 1987 ha completato un internship in medicina e chirurgia dei piccoli animali all’Università del Missouri (Columbia). Successivamente ha compiuto un residency in medicina interna all’Università della Florida e un residency all’Università della California (Davis). Ha conseguito il PhD in nutrizione presso l’Università della California, dove attualmente svolge il ruolo di Professore Associato in Medicina nel Dipartimento di Medicina ed Epidemiologia. È diplomato ACVIM (medicina interna e oncologia) ed ACVN. I suoi ambiti di ricerca comprendono la gastroenterologia dei piccoli animali, in particolare la modulazione dietetica della funzionalità della barriera mocosale e le gastroenteriti batteriche. FILIPPO MARIA MARTINI Med Vet Università di Parma Nato a Parma il 16/01/1968. Laureato in Medicina Veterinaria presso l’Università degli Studi di Parma nel 1993 ed abilitato alla professione nello stesso anno. Nel 1997 ha conseguito il titolo di Dottore in Ricerca in “Ortopedia degli animali domestici”. Attualmente è Ricercatore Confermato presso il Dipartimento di Salute Animale dell’Università degli Studi di Parma ed è docente dei corsi di “Medicina operatoria”, “Chirurgia piccoli e grandi animali”, “Clinica dei piccoli animali: medicina, ginecologia-ostetricia, chirurgia, radiologia e diagnostica per immagini”; è inoltre docente del corso di “Medicina sperimentale, ingegneria tissutale e bioprotesi” nel Corso di Laurea in Biotecnologie Mediche, Veterinarie e Farmaceutiche. È autore di 40 pubblicazioni apparse su riviste nazionali ed internazionali o in forma di comunicazioni presentate a congressi nazionali ed internazionali. Ha effettuato alcuni periodi di soggiorno all’estero presso: - Istituto di Clinica Chirurgica della Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Monaco (Germania) con la supervisione del Prof. Matis. - Istituto di Diagnostica per Immagini della Facoltà di Medicina Veterinaria di Ghent (Belgio) con la supervisione del Prof. Van Bree. È socio ordinario delle seguenti società scientifiche: Società Italiana delle Scienze Veterinarie (SISVET), Società Italiana di Ippologia (SIDI), Eurpean Society of Veterinary Orthopaedics and Traumatology (ESVOT), Società Italiana di Chirurgia Veterinaria (SICV), International Elbow Working

11

Group (IEWG), Società Italiana Traumatologia e Ortopedia Veterinaria (SITOV), Società Culturale Italiana Veterinari per Animali da Compagnia (SCIVAC). È segretario della SIMESC (Società Italiana di Medicina Sportiva del Cane). I principali campi di interesse sono rappresentati dall’ortopedia del cane e del gatto. La maggior parte dell’attività è incentrata sullo studio clinico ed applicativo del trattamento delle patologie articolari del cane con particolare riferimento all’impiego dell’artroscopia. Svolge attività di ricerca sperimentale sull’impiego dei biomateriali nella chirurgia ortopedica collaborando con diversi gruppi di ricerca. MASSIMO MILLEFANTI Med Vet Gaggiano (MI) Laureato a Milano in Medicina Veterinaria nel 1982. Lavora in un Ambulatorio Veterinario a pochi chilometri da Milano, che ha costituito nel 1983. Si interessa in particolar modo di medicina e chirurgia di nuovi piccoli mammiferi da compagnia, di rettili e anfibi e di pesci ornamentali. È stato Coordinatore del Gruppo di Studio di Animali Esotici della SCIVAC (Società Culturale Italiana Veterinari per Animali da Compagnia) dal 1995 al 1998. Attualmente è Vicepresidente e membro della Commissione Scientifica della SIVAE (Società Italiana Veterinari per Animali Esotici), di cui è un socio fondatore. Collabora con il Notiziario “Exotic files” della stessa Società. È consulente della Commissione Scientifica della SCIVAC ed è consigliere dell’ANMVI Lombardia. Ha partecipato a molti Congressi, Seminari e Corsi italiani ed europei, come relatore ed istruttore. Ha redatto numerosi lavori scientifici pubblicati anche all’estero. Ha partecipato a trasmissioni televisive e radiofoniche ed ha tenuto conferenze sulla gestione degli animali esotici e dei nuovi animali da compagnia per allevatori e proprietari. Collabora con alcuni giornali, riviste del settore, siti internet e con alcune ditte. Ha scritto dei libri sulle malattie dei pesci ornamentali, sull’iguana verde, sul pitone reale, sul boa costrittore, sui camaleonti, sulle tartarughe acquatiche e sui gechi per la De Vecchi Editore (DVE). Attualmente dirige, per lo stesso Editore, una collana di guide dedicate ad animali esotici ed affini come ragni giganti, furetti, anfibi anuri, criceti, conigli da compagnia, tartarughe, testuggini e cani della prateria. DAVID MORGAN BSc, MA, VertMB, CertVR, MRCVS Regno Unito La prima laurea, in Biochimica, conseguita da David Morgan presso l’Università di Cardiff, è stata seguita nel 1986 da quella rilasciata dalla Facoltà di Veterinaria dell’Università di Cambridge. Dopo brevi esperienze di lavoro e varie occupazioni, ha operato per sette anni nel settore degli animali da compagnia, indirizzando i propri interessi principalmente sulla chirurgia e sulla radiologia. Nel 1990 ha ottenuto il Certificato in Radiologia Veterinaria. Nel 1993 ha iniziato a lavorare in una società privata, fornendo consulenze tecniche nel Regno


12

Unito, nei Paesi Scandinavi ed in Sud Africa. È frequentemente coinvolto in attività di informazione ed aggiornamento rivolta alla classe medico veterinaria, docenti universitari e studenti. Ha tenuto conferenze in tutta l’Europa ed in Sud Africa, in occasione di congressi sia nazionali che internazionali. GIUSEPPE MOSCONI Med Vet Università di Bologna Laureato nel 1978 in Medicina Veterinaria presso l’Università di Bologna con una tesi sperimentale sui pesci Ictaluridi (110/110), ha sempre dedicato la propria attività professionale esclusivamente ai pesci ornamentali ed ai rettili, come veterinario responsabile di molti centri d’importazione. Ha partecipato a due corsi intensivi (1981 - 1983) presso l’Università di Hohenheim, in Germania, riguardanti l’ittiopatologia dei pesci ornamentali. È intervenuto come docente a molti corsi (organizzati da CEFA, IRECOOP, ITTIOCONSULT, AIVPA, SCIVAC, FECAVA, Università di Bologna, Università di Udine, Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste, molti Ordini provinciali dei Medici Veterinari e Associazioni acquariologiche). Ha lavorato presso l’Università di Bologna (Istituto Zooculture della Facoltà di Agraria) dal 1982 al 1985 e attualmente ha l’incarico di insegnamento del corso di “Gestione delle Malattie Parassitarie in Acquario” presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Bologna. È autore di numerose pubblicazioni apparse su: Hobby Zoo, Cani gatti e C., Aquarium, Hydra, Il mio acquario e altre ancora; ha partecipato a svariate trasmissioni televisive (Rai 1, Rai 2, Canale 5, ecc.). È socio fondatore della SIVAE. MASSIMO OLIVIERI Med Vet Samarate (VA) Laureato in Medicina Veterinaria presso l’Università di Milano nel 1988. Dal 1986 al 1988 frequenta l’Istituto di Clinica Chirurgica della Facoltà di Medicina Veterinaria di Milano. Dal 1989 al 1998 ha lavorato in una grossa Clinica Veterinaria di Milano occupandosi di chirurgia dei tessuti molli e duri. Nel 1991, con altri veterinari, ha aperto la “Clinica Veterinaria Malpensa” dove si occupa di chirurgia dei tessuti molli (torace e addome) e di ortopedia: nell’ambito di questa, il suo interesse è rivolto particolarmente alle patologie articolari e all’artroscopia. Dal 1991 al 1997 ha svolto programmi di aggiornamento in chirurgia dei tessuti molli ed in ortopedia presso l’Ohio State University, la Colorado State University e in Francia presso la clinica privata del Dr. Bardet, dipl. ECVS. Ha presentato numerosi lavori a congressi Nazionali e Internazionali. È autore di varie pubblicazioni. Dal 1997 ha iniziato il suo residence program per il College Europeo di Chirurgia (ECVS). È relatore e istruttore in vari corsi SCIVAC di chirurgia e ortopedia. È stato collaboratore del gruppo di ortopedia SCIVAC dal 1998 al 2001. Dal 2001 collabora con l’Università di Torino dove effettua artroscopia e ricerca nelle patologie articolari dei piccoli animali. Nel Gennaio 2002 ha iniziato un dottorato di ricerca sull’artroscopia nei piccoli animali presso l’Università di Torino.

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

PHILIP PADRID DVM, Dipl ACVIM University of Chicago, Chicago Midwest Regional Medical Director USA Laureato in Medicina Veterinaria nel 1985 all’Università di Cornell: dopo aver completato un internship presso l’Ospedale Veterinario di Santa Cruz, ha svolto un residency in Medicina Interna dei Piccoli Animali a Davis, presso l’Università della California (scuola veterinaria 19861988) ed un fellow in Malattie polmonari e Medicina d’Urgenza (scuola medica 1988-1990). Dal 1990 al 2000 è stato Professore Associato di Medicina e Immunologia all’Università di Chicago. Nel 2000 è stato nominato Direttore Medico Regionale degli Stati Uniti del Midwest per i centri veterinari americani. BRUNO PEIRONE Med Vet Università di Torino Laureato in Medicina Veterinaria nel 1983 e abilitato alla professione nello stesso anno. Nel 1988 ha conseguito il titolo di Dottore in Ricerca in Patologia Comparata degli Animali Domestici. Attualmente è Professore Associato presso il Dipartimento di Patologia Animale dell’Università di Torino ed è titolare del Corso di “Patologia Chirurgica” e “Clinica Ortopedica e Traumatologica”. È membro del Collegio dei Docenti del Dottorato di Ricerca “Scienze Cliniche Veterinarie” dell’Università di Torino. È autore di 76 pubblicazioni apparse su riviste o in forma di comunicazioni presentate a congressi nazionali ed internazionali. Ha partecipato a numerosi Corsi di aggiornamento sulle tecniche di chirurgia ossea ricostruttiva e sulle tecniche ortopediche per il trattamento delle patologie articolari. Ha partecipato, in qualità di relatore invitato, a diversi Congressi Scientifici ed iniziative di aggiornamento organizzate da associazioni di settore e da Ordini Provinciali di Medici Veterinari. Ha effettuato alcuni periodi di soggiorno all’estero e ha curato la traduzione italiana dei seguenti libri: “Atlas of Small Animal Surgery” di I. Gourley – C. Gregory, edito dalla UTET, “Current Techniques in Small Animal Surgery” sezione M- Scheletro appendicolare – di MJ Bojrab, edito dalla UTET. È socio ordinario della AO-Vet International (Arbeitsgemeinschaft fur Osteosynthesefragen (dal 1997), vice-presidente della SIOVET (Società Italiana Ortopedia Veterinaria) e membro del Comitato Scientifico della IOVA (Innovet Osteoarthritis Veterinary Association). CLAUDIO PERUCCIO Med Vet Università di Torino Medico Veterinario, Specialista in Clinica delle Malattie dei Piccoli Animali, Diplomato dell’European College of Veterinary Ophthalmologists (ECVO), Professore Associato della Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Torino, consulente con attività esclusiva nel settore dell’oculistica veterinaria. Dal 1974 si dedica all’oftalmologia veterinaria e comparata. Ha studiato presso alcune Università negli Stati Uniti (Illinois, Pennsylvania, Florida) e per molti anni gli è stato con-


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

ferito il ruolo di Adjunct Associate Professor presso il Department of Clinical Medicine, College of Veterinary Medicine, University of Illinois, USA. Dal 1993 è diplomato ECVO di cui è stato uno dei fondatori. Relatore in numerosi congressi in Italia ed all’estero ed autore di molte pubblicazioni e libri di testo. Ha rivestito cariche in diverse organizzazioni nazionali ed internazionali (AIVPA, SCIVAC, FECAVA, WSAVA, ISVO, ESVO, ECVO, SOVI, SINVET, FSA). Con la sua attività editoriale ha dato vita e diretto riviste nazionali ed internazionali: Veterinaria, Ippologia, Orizzonti Veterinari, Progress in Veterinary and Comparative Ophthalmology, Progress in Veterinary Neurology, The Globe. Nel 1997 gli è stato assegnato a Birmingham il WSAVA/ WALTHAM International Award for Service to the Profession. GUIDO PISANI Med Vet Castelnuovo Magra (SP) Guido Pisani si è laureato presso l’Università di Pisa nel 1987. Socio Scivac dal 1988, membro AO/ASIF dal 1999, ha partecipato alle attività dei gruppi di studio di Chirurgia e Ortopedia nel cui ambito ha presentato numerose relazioni e riveste attualmente la carica di Vicepresidente della Società di Chirurgia Veterinaria Italiana. Ha partecipato a corsi e congressi in ambito europeo ed è stato relatore ed istruttore dei Corsi Scivac di Chirurgia Generale, Chirurgia Urogenitale, Chirurgia Addominale, Pronto Soccorso e A/O BASE. Sta svolgendo l’iter didattico per l’European College of Veterinary Surgeon e in questo ambito ha trascorso un periodo di training presso la North Carolina State University. Esercita la libera professione a Castelnuovo Magra (SP). MARK PODELL BA, DVM, MSc, Dipl ACVIM (Neurology) Animal Emergency and Critical Care Center in Northbrook, Illinois, USA Il Dr. Podell è attualmente Direttore Medico e Neurologo presso il Centro di Medicina d’Urgenza e Pronto Soccorso di Northbrook (Illinois, USA). Ricopre inoltre l’incarico di Professore Aggiunto nel Dipartimento di Bioscienze Veterinarie dell’Ohio State University (Columbus, USA). Dal 1989 al 2002 è stato Professore e Direttore del Servizio di Neurologia Comparata nel Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie, Collegio di Medicina Veterinaria dell’Ohio State University. Nel 1980 ha conseguito il diploma BA all’Università del North Carolina (Chapel Hill), nel 1983 il Master of Science in Fisiologia all’Università di Tel-Aviv (1983) e nel 1988 il DVM all’Università di Tifts. È diplomato ACVIM (neurologia). È autore di oltre 100 articoli e capitoli di libri sulla neurologia clinica e la neuroscienza di base. I suoi principali ambiti di interesse riguardano lo studio delle cause e il trattamento dell’epilessia nel cane. Grazie alle sue doti di ricercatore, è stato incaricato dall’Istituto Nazionale della Sanità, dalla Fondazione Animale Morris e da numerose ditte private dello studio delle malattie animali ed umane. Ha ottenuto il premio di riconoscimento alla carriera di ricercatore e scienziato dall’Istituto Nazionale della Sanità ed il premio Pfizer per la salute animale.

13

VICTOR T. RENDANO JR. VMD, MSC, Dipl ACVR, Dipl ACVR-RO Veterinary Multi-Imaging PLLC, Lansing, New York USA Laureato all’Università della Pennsylvania. Ha completato gli studi post-universitari presso il College Veterinario dell’Ontario a Guelph (Canada) e presso la Washington State Unversity a Pullman (Washington). Dal 1976 al 1996 è stato docente alla Cornell University. Ha pubblicato oltre 100 articoli in numerose riviste scientifiche ed ha presentato oltre 150 relazioni a congressi internazionali. Ha abbandonato la carriera universitaria per dedicarsi ad un servizio privato di consulenza situato a Lansing, New York, inizialmente conosciuto come Veterinary Radiology Consultation Service. Grazie all’incremento dell’attività di tale servizio, il centro è stato rinominato Veterinary Multi-Imaging PLLC e il Dr. Rendano è divenuto presidente del gruppo. Nel 1997 si è dedicato a studi avanzati in terapia radiante. Per 15 anni è stato membro del Consiglio Esecutivo del College Americano di Radiologia Veterinaria. STEFANO ROMUSSI Med Vet, Prof Ass Università di Milano Stefano Romussi si laurea in medicina veterinaria nel 1990 presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Milano quale allievo interno dell’Istituto di Clinica Chirurgica. Ricercatore presso lo stesso istituto dal 1996 sviluppa la sua attività clinica e di ricerca nell’ambito della chirurgia dei tessuti molli dei piccoli animali e diviene Professore incaricato di Chirurgia dei piccoli animali nel 1999 presso la Facoltà milanese. Si occupa da subito dell’approfondimento di temi riguardanti le modalità didattiche in campo chirurgico veterinario, tema che approfondirà nel corso degli anni e che tuttora lo appassiona. Docente della scuola di Specializzazione in patologia e clinica degli animali da compagnia amplia le sue conoscenze nell’ambito della chirurgia mininvasiva delle prime vie aeree del cane con la sperimentazione di approcci di tipo transendoscopico. Diviene Professore Associato in Clinica Chirurgica Veterinaria nel 2001 continuando a prestare la sua attività clinica e didattica presso l’istituto di Clinica Chirurgica e Radiologia Veterinaria della facoltà di Milano. ROBERTO A. SANTILLI Med Vet, Dipl ECVIM-CA (Cardiology) Samarate (Varese) Laureato presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Milano nel 1990. Si è diplomato all’European College of Veterinary Internal Medicine Companion Animals (Specialty of Cardiology) nel 1999. Lavora presso la Clinica Veterinaria Malpensa in Samarate (Varese) come referente per la cardiologia e la medicina interna. È stato professore a contratto in cardiologia felina per l’anno 1997-1998 presso la Scuola di Specializzazione in Patologia e Clinica degli animali d’affezione dell’Università degli Studi di Milano. Dal 1992 al 1998 ha svolto programmi di aggiornamento in cardiologia ed ecografia addominale presso la North Carolina State University, l’Ohio State University, University of California, Cornell University e Missouri State University. È istruttore ai corsi SCIVAC di car-


14

diologia, ed ecografia addominale. È autore di numerose pubblicazioni di cardiologia ed ecografia addominale su riviste nazionali ed internazionali. Il suo principale settore di ricerca sono le aritmie con rischio di morte improvvisa e le cardiomiopatie e l’ipertensione arteriosa del gatto. FABIA SCARAMPELLA Med Vet, Dipl ECVD Milano Laureata all’Università di Milano nel 1982, ha lavorato come libero professionista nel settore dei piccoli animali dal 1983 sino al 1996. Dal 1997 al 2000 ha frequentato un Residency di specializzazione in dermatologia veterinaria a Milano. Nel 2000 ha conseguito il Diploma del College Europeo di Dermatologia Veterinaria (Dip ECVD). Attualmente lavora eseguendo esclusivamente consulenze dermatologiche nel suo studio a Milano e a Torino. È membro del Consiglio Direttivo della Società Italiana di Dermatologia Veterinaria (SIDEV) e del Consiglio Direttivo dell’ECVD (College Europeo di Dermatologia Veterinaria). È autrice di articoli pubblicati su riviste italiane e straniere e co-autorice del libro “Manuale pratico di Dermatologia Veterinaria” (Poletto Editore, Gaggiano, 2002). RUDOLF SCHENKER Dr. Med Vet Basilea, Svizzera Laureato in biologia nel 1978 presso l’Università di Basilea dove nel 1981 ha completato il suo dottorato. In seguito a due anni trascorsi a Cambridge con un programma di ricerca è diventato lettore presso l’Università di Basilea. Nel 1986 si unisce a Novartis Animal Health nel settore ricerca sviluppo del prodotto. Dopo aver lavorato tre anni negli Stati Uniti oggi è un Professional Services Manager per gli ectoparassiti negli animali domestici. SUSAN E. SHAW BVSc (Hons), MSc, Dipl ACVIM, Dipl ECVIM, FACVSc, Cert Arts (Arch), MRCVS Università di Bristol, Regno Unito Laureata all’Università di Sydney (Australia). Dopo diversi anni di pratica veterinaria, si è trasferita negli Stati Uniti dove ha completato un residency in Medicina dei Piccoli animali e ha conseguito un diploma Master of Science in Immunologia presso l’Università del Kansas State. Tra il 1982 e il 1991, ha lavorato come lecturer e senior lecturer in Medicina dei Piccoli Animali alla Murdoch University, nell’Australia occidentale; successivamente è entrata a far parte del Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie dell’Università di Bristol (UK), dove ricopre attualmente il ruolo di senior lecturer. È diplomata ECVIM ed ACVIM e membro del College Australiano di Scienziati Veterinari. I suoi principali ambiti di interesse riguardano l’epidemiologia e l’immunopatogenesi delle malattie infettive. È Direttore dell’Unità Acarus (Università di Bristol) per lo studio delle malattie trasmesse da artropodi negli animali da compagnia. È autore di oltre 50 pubblicazioni e capitoli di libri in riviste scientifiche ed è co-editore di un nuovo testo sulle malattie trasmesse da artropodi nel cane e nel gatto.

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

DAVID SISSON DVM, Dipl ACVIM-Cardiology Università dell’Illinois, Urbana, Illinois, USA Professore di Medicina Cardiovascolare e Direttore del Servizio di Cardiologia Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia Veterinaria dell’Università dell’Illinois, USA. Nel 1975 consegue il DVM all’Università della California, Davis. Successivamente compie un internship alla Cornell University (New York) e un residency in cardiologia all’Università della California (Davis). È autore di oltre 100 articoli su riviste e capitoli di libri. È co-editore e autore del seguente testo: Canine and Feline Heart Disease (Fox, Sisson, and Moise, WB Saunders). I suoi ambiti di ricerca comprendono le risposte neuroendocrine all’insufficienza cardiaca, i marker biologici delle miocardiopatie, il trattamento dell’insufficienza cardiaca congestizia e la terapia non chirurgica delle patologie cardiache congenite. Nel 2001 ottiene il premio di riconoscimento per l’insegnamento, la ricerca e il servizio dal College di Medicina Veterinaria dell’Illinois. TOM TURNER DVM, Dipl ACVS VCA Berwin Animal Hospital Berwyn, Illinois, USA Diplomato al College Americano di Chirurgia Veterinaria. Relatore internazionale ai corsi AO-VET. Fa parte dello staff di ricerca della Mathys per quanto riguarda la fissazione interna. Si occupa di ortopedia veterinaria e comparata collaborando sia con strutture veterinarie (Veterinary Centers of America) che con cliniche ortopediche umane. SAMUEL J. VAINISI DVM, Dipl ACVO Wisconsin, USA Il Dr. S. J. Vainisi ha iniziato la carriera nell’ambito dell’oculistica nel 1965, grazie ad un programma di oftalmologia umana presso la Stanford University grazie al quale è entrato a far parte dello staff di oftalmologia dell’Animal Medical Center di New York. Successivamente è divenuto membro del corpo docente del Dipartimento di Oftalmologia della Facoltà di Medicina Umana dell’Università dell’Illinois, con l’incarico di Professore in “Oftalmologia Comparata”. Durante questo periodo ha collaborato con il Dr. Kirk Packo, oculista rinomato a livello internazionale e tra i più grossi esperti di chirurgia vitreo-retinica, sviluppando un metodo per il trattamento del distacco retinico nel cane. È stato uno dei 5 fondatori dell’American College of Veterinary Ophthalmologists (A.C.V.O.), di cui è tutt’ora membro. È stato anche socio fondatore dell’Animal Eye Associates di Chicago-Illinois, dove attualmente svolge la sua attività libero professionale. È da considerarsi oggi la massima autorità mondiale in medicina veterinaria nell’ambito della chirurgia vitreo-retinica nel cane. Relatore in numerosi congressi, nonché autore e co-autore di molti lavori scientifici in oftalmologia veterinaria, ha recentemente realizzato, insieme al Dr. K. Packo, un video di grande interesse sulla chirurgia della retina nel cane.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

ALDO VEZZONI Med Vet, Dipl ECVS Cremona Laureato nel 1975 presso la facoltà di Veterinaria dell’Università di Milano, ha ottenuto il titolo di specialista in Medicina dei Piccoli Animali nel 1978 presso la stessa facoltà. Dal 1976 lavora a Cremona come libero professionista nella propria clinica veterinaria. Si è Diplomato al College Europeo di Chirurgia a Cambridge nel 1993. Ha tenuto diverse relazioni sia in Italia che all’estero su temi riguardanti la filariosi canina, l’ortopedia, la chirurgia e l’odontostomatologia. Autore di numerosi articoli scientifici sulla filariosi e sulla chirurgia e ortopedia nei piccoli animali. Autore e co-autore di un testo sulla filariosi canina e del prontuario SCIVAC, è stato anche curatore di numerose edizioni italiane di testi stranieri. Dal 1994 è membro del Comitato Centrale FNOVI di cui riveste dal 1997 la carica di Segretario. Dallo stesso anno è anche Presidente dell’Ordine dei Veterinari di Cremona. MIKE WILLARD DVM, Dipl ACVIM Texas A&M University, USA Laureato nel 1975 all’Università A&M del Texas. Dopo aver compiuto due anni di internship presso la Kansas State University, ha effettuato un residency presso l’Università del Michigan. Dal 1988 è Professore presso l’Università A&M del Texas specializzandosi in gastroenterologia, epatologia, pancreatologia ed endoscopia. È Past President della Società di Gastroenterologia (CGS); è stato inoltre segretario della Specializzazione in Medicina Interna. È autore di oltre 60 pubblicazioni scientifiche e di 50 capitoli di libri. Ha partecipato come relatore a numerosi congressi nazionali e internazionali. È Diplomato ACVIM. I suoi principali ambiti di interesse sono la gastroenterologia e l’endoscopia. Attualmente si occupa principalmente di endoscopia e di istopatologia delle biopsie intestinali nel cane e nel gatto. ALESSANDRO ZANI Med Vet Livorno Laureato nel 1996 presso l’Università degli studi di Pisa con una tesi sulla valutazione strumentale dell’ingrandimento atriale sinistro nel cane. Dal 1996 svolge attività di referenza in cardiologia ed ecografia addominale. È autore di pubblicazioni inerenti la cardiologia veterinaria. Dal 2001 Partecipa agli studi sulle cardiopatie ereditarie dell’FSA e del Boxer Club d’Italia. ANDREA ZATELLI DMV, Med Vet Reggio Emilia Laureato con lode presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Parma nel 1991 con una tesi sperimentale sulle

15

“Proprietà conformazionali dell’Alcol Deidrogenasi di fegato di cavallo”. Dal 1991 al 1998 trascorre periodi di aggiornamento in Europa e negli Stati Uniti finalizzandoli all’esclusivo approfondimento di argomenti di medicina interna del cane e del gatto. Agosto-Dicembre 1991-Munchen University School of Medicine (Germany) tutor Prof. F. Kraft. Giugno-Novembre 1993-Intensive Post Graduate Course di 320 ore e Clinical Rotation presso The Animal Medical Center, New York (USA) tutor: M. Wallace DVM dipl. ACVIM, M. Peterson DVM dipl. ACVIM e R. Scott DVM dipl. ACVIM. Aprile-Maggio 1994-Clinical Rotation presso The Animal Medical Center, New York (USA) tutor: M. Wallace DVM dipl. ACVIM, M. Peterson DVM dipl. ACVIM e R. Scott DVM dipl. ACVIM. Maggio-Giugno 1995-Internship presso The University of Georgia School of Medicine (USA) tutor: J. A. Barsanti DVM dipl. ACVIM. Ottobre 1998- Internship presso The University of Georgia School of Medicine (USA) tutor J. A. Barsanti DVM dipl. ACVIM. Professore a contratto presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Torino nell’Anno Accademico 2000-2001 e nell’Anno Accademico 2001-2002. Iscritto alla Società Culturale Italiana Veterinari per Animali da Compagnia (SCIVAC) dal 1991 ne è relatore dal 1998 e Consulente Scientifico dal 2001. Relatore al corso SCIVAC di Ecografia Addominale negli anni 1999, 2000, 2001 e 2002. Attualmente svolge la libera professione occupandosi esclusivamente di medicina interna del cane e del gatto con particolare interesse per la nefrologia e la terapia intensiva presso la Clinica Veterinaria Pirani di Reggio Emilia di cui è Direttore Sanitario. JÜRGEN ZENTEK Med Vet, Clinical nutrition Professor Veterinary University of Vienna Laureato nel 1987 in Medicina Veterinaria ad Hannover nel 1994 presenta la tesi di Abilitazione “Indagini relative agli effetti nutrizionali sul metabolismo della microflora gastrointestinale. Nell’86 è Direttore dell’Istituto di Alimentazione sempre presso l’Università di Hannover. Nel 1987 si impegna in un progetto di ricerca condotto presso il Dipartimento Alimentazione Animale della Tierärztliche Hochschule di Hannover, su: “Immissione di energia e sviluppo dello scheletro nell’allevamento dei Great Danes”. Nel 1993 consegue la specializzazione in Alimentazione e Nutrizione Animale. Nel 1997 diventa veterinario incaricato della consulenza alla clientela e dell’attività di laboratorio nella clinica veterinaria del Dipartimento, con circa 2500 casi pratici per anno, relativi sia ad animali di fattoria che a piccoli animali. Successivamente, nel 1999 ottiene una nomina di Professore Associato ad Hannover. Il 2000 è un anno sabbatico trascorso presso la Facoltà di Veterinaria dell’Università di Bristol seguito da un’attività di ricerca in ambito di nutrizione clinica presso l’Università di Veterinaria di Vienna.


ESTRATTI DELLE RELAZIONI

Gli estratti sono elencati in ordine alfabetico secondo il cognome del relatore. Le relazioni di uno stesso autore sono elencate secondo l’ordine cronologico di presentazione.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

19

Sindrome della Cauda Equina: revisione critica, diagnostica e terapeutica Massimo Baroni Med Vet, Dipl ECVN - Monsummano Terme (PT)

Estratto breve La sindrome della cauda equina costituisce una patologia neurologica ben conosciuta e di frequente riscontro nel cane soprattutto di grossa taglia. La letteratura in merito è ampia, spaziando dai segni clinici fino ai differenti approcci diagnostici e terapeutici e alle indicazioni prognostiche. Scopo della presente trattazione è quello di esaminare criticamente i diversi aspetti della sindrome, sulla base della casistica personale e delle indicazioni bibliografiche.

VISITA NEUROLOGICA I segni clinici e i deficit neurologici che possono essere riscontrati, da soli o, più spesso in associazione, in corso di CES sono elencati in Tabella 1: Tabella 1 SEGNI CLINICI Riluttanza ad alzarsi Riluttanza a salire le scale o in auto Rigidità specie a freddo Guaiti spontanei Cifosi lombo-sacrale Zoppia arti posteriori Diminuzione movimenti della coda Incontinenza/ritenzione urinaria e fecale DEFICIT NEUROLOGICI Dolore lombo-sacrale Lieve paraparesi Lieve deficit propriocettivo Ipotrofia muscoli glutei Ipotrofia muscoli posteriori della coscia Pseudoipereflessia patellare Iporeflessia flessoria e perineale

Su alcuni segni clinici occorre soffermarsi: La presenza di dolore lombo-sacrale è una condizione indispensabile per poter ipotizzare la malattia; deve quindi poter essere messo sempre in evidenza. La palpazione accurata della regione lombo-sacrale è quindi uno dei capisaldi su cui si basa la diagnosi di sindrome. Essa deve essere effettuata sia per di-

gito pressione che per estensione forzata della giuntura: quest’ultima manovra si effettua comprimendo con il palmo della mano sull’articolazione mentre con l’altra mano si solleva la regione pubica. Operando in tal modo si esclude dalla manipolazione l’articolazione dell’anca, evitando confusione sull’origine dell’eventuale algia. Il deficit propriocettivo è di solito lieve; in qualche caso addirittura assente; tale reperto si fonda sull’integrità neuroanatomica delle fibre propriocettive di pertinenza del dito mediale e quindi del nervo safeno, il quale non partecipa alla formazione della cauda equina. Quindi se all’esame neurologico si riscontra un deficit profondo della propriocezione, pur in presenza di segni tipici di CES, si deve sempre porre in ipotesi una concomitante lesione neurologica più craniale, tale da giustificare questo dato clinico. La visita clinica potrà, se ben analizzata, fornirci già da sola indicazioni riguardo alla possibile sede di compressione, in particolare se intracanalare, foraminale o in entrambi i distretti. Se è presente zoppia su un arto, sarà molto probabilmente coinvolta la radice ischiatica e quindi dovrà sicuramente esistere un problema foraminale; lo stesso accadrà in caso di ipotrofia glutea e dei muscoli posteriore della coscia, entrambi territori di innervazione ischiatica. Viceversa un problema ai movimenti della coda e un incontinenza/ritenzione urinaria saranno legate a compressioni sul piano mediano/paramediano, comunque dentro al canale spinale. Le lesioni associate alla sindrome possono essere singole o multiple, comunque di vario tipo e sono elencate in Tabella 2: Tabella 2 LESIONI ASSOCIATE Protrusione discale Spondilolistesi (retrolistesi) Osteofitosi foraminale Ipertrofia legamentum flavum Discospondilite Osteocondrosi sacrale/ L7 Neoplasia Stenosi congenita del canale.

Considerata la molteplicità del tipo e della sede di lesione, la diagnosi di CES deve essere estremamente accurata e meticolosa al fine di un trattamente mirato ed efficace. Il


20

protocollo diagnostico classico include, oltre alla importantissima considerazione dei dati clinici, l’esecuzione di esami collaterali che comprendono studio elettromiografico, mielografia dinamica, epidurografia, discografia. L’esecuzione combinata di tali procedure porta, in una buona percentuale di casi, ad una diagnosi sufficientemente accurata. Esistono comunque dei limiti. In particolare, l’esame elettromiografico, nella nostra esperienza, può non evidenziare alcuna neuropatia negli stadi iniziali di compressione foraminale. La mielografia, l’epidurografia e la discografia sono sensibili solo in caso di lesioni sul piano mediano.paramediano, ma lasciano anch’esse indiagnosticate gran parti delle lesioni lateralizzate. L’utilizzo di tecniche di diagnostica per immagini avanzate (CT e MRI) risolve gran parte di questi problemi. In particolare la Risonanza Magnetica fornisce in maniera costante informazioni importanti riguardo tutti i distretti dell’articolazione visti nei tre piani dello spazio ed è sensibile sia per lesioni riguardanti i tessuti duri che quelli molli. L’interpretazione delle immagini MR, soprattutto sul piano sagittale, deve essere accurata in quanto la metodica tende a sovrastimare il grado di eventuale protrusione discale. Sul piano traverso fornisce elementi diretti e indiretti di compressione foraminale. Tra questi ultimi risulta importante la scomparsa o attenuazione del tessuto adiposo perineurale. Si ritiene che attualmente un protocollo valido per la

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

diagnosi di CES possa essere costituito da esame clinico, studio radiologico dinamico e Risonanza Magnetica. Lo studio radiologico rimane importante per l’evidenziazione di retrolistesi e instabilità della giunzione, lesione spesso alla base della sindrome. Anche le metodiche terapeutiche hanno avuto, negli anni, una notevole evoluzione.Da tempo è apparso evidente che l’approccio chirurgico classico, consistente in laminectomia dorsale con fenestrazione discale è, nonostante alcuni dati bibliografici contrastanti, inadeguato in molti pazienti affetti da lesione dinamica. In questi casi, la necessità di una stabilizzazione dell’articolazione è ormai ritenuta procedura indispensabile. Le tecniche descritte di stabilizzazione dorsale con chiodi inseriti nelle faccette articolari supportati da innesti di spongiosa sono, nella nostra esperienza, fallimentari, per rottura precoce dei mezzi di sintesi o delle faccette articolari. La fissazione con viti e metilmetacrilato (viti inserite sul corpo di L7 e Ileo) è decisamente più soddisfacente e fornisce buoni risultati in una alta percentuale di pazienti, per lo meno a medio termine. Una fenestrazione discale con scarificazione delle placche terminali di L7 e S1 deve accompagnare la fissazione al fine di promuovere una fusione articolare. I risultati di tale approccio chirurgico dovranno comunque essere valutati attentamente sul lungo periodo.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

21

Il virus della immunodeficienza virale felina: il punto sullo sviluppo di vaccini efficaci Mauro Bendinelli Med Chir, PhD - Università di Pisa

Estratto breve Il lentivirus della immunodeficienza felina (FIV) è un diffuso patogeno del gatto domestico, che ha importanti ma chiaramente distinte controparti in molti felidi selvaggi. Sebbene siano possibili anche altre modalità di trasmissione, FIV viene trasmesso prevalentemente attraverso il morso. La prevalenza varia tra l’1% e oltre il 10% in diverse popolazioni di gatti domestici, in dipendenza della localizzazione geografica e dello stile di vita degli animali. FIV assomiglia al virus della immunodeficienza umana (HIV) sotto molti rispetti. Le somiglianze includono le caratteristiche strutturali del virione, l’organizzazione generale e la grande variabilità del genoma, il ciclo biologico nell’ospite infettato e, in particolare, il potenziale patogeno. L’infezione è associata con segni di laboratorio di immunodepressione e con un’ampia varietà di superinfezioni, tumori e manifestazioni neurologiche. Le conoscenze su FIV sono notevolmente cresciute negli ultimi anni e stanno fornendo importanti contributi alla comprensione di molti aspetti della patogenesi dei lentivirus e di come si possa tentare di controllare questi virus. Il recettore cellulare per FIV è di-

verso dall’equivalente felino della molecola umana CD4 utilizzata da HIV. Ciò nonostante, analogamente ad HIV, il principale marcatore dell’infezione è un calo progressivo dei T linfociti CD4+ circolanti. La molecola CXCR4 è invece sicuramente coinvolta ma non è chiaro se rappresenti il vero e proprio recettore oppure un corecettore, come in HIV. I meccanismi che consentono a FIV di sfuggire alle risposte immuni, e quindi di persistere negli ospiti infettati, sono solo in parte conosciuti. In vitro, FIV causa la lisi delle cellule T infettate e sembra anche predisporle all’apoptosi. È ben documenta anche l’infezione dei macrofagi e di altri tipi cellulari. Per motivi attualmente sotto intenso scrutinio, la neutralizzazione mediata da anticorpi dei ceppi virali isolati di fresco, e quindi rappresentativi dei virus che circolano in natura, è molto inefficiente sia in vitro che in vivo. Il virus è scarsamente sensibile agli agenti antivirali attualmente disponibili ma alcuni recenti risultati fanno intravedere la possibilità di sviluppare molecole nettamente più attive. Gli studi di vaccinazione hanno fornito alcuni risultati incoraggianti, tuttavia le difficoltà che si stanno incontrando non sono dissimili da quelle che si hanno nello sviluppo di vaccini anti-HIV. Anche sotto questo aspetto, FIV è considerato un ottimo modello per HIV.


22

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Aggiornamento nella prevenzione delle malattie trasmesse da zecche F. Beugnet Dr Vét - Lione, Francia

Estratto breve Secondo l’OMS, si definisce vettore: un artropode ematofago che assicura la sopravvivenza, la trasformazione, talvolta la moltiplicazione, e la trasmissione di un agente patogeno infettivo o parassitario. Le principali malattie trasmesse da vettori osservate nei carnivori domestici in Europa, e in particolare nella zona mediterranea sono: la Leishmaniosi canina, la Piroplasmosi, le Ehrlichiosi-Rickettsiosi-Anaplasmosi, la Dirofilariosi cardio-polmonare e le Mycoplasmosi feline (ex-Hemobartonellosi). Recentemente, alcune di queste malattie sono state catalogate come emergenti, o piuttosto ri-emergenti. In effetti, l’epidemiologia delle malattie trasmesse da vettori non è stabile, ma soggetta a variazioni dovute a numerosi fattori, come per esempio: - aumento degli spostamenti in compagnia di cani e gatti, favorendo così l’importazione di diversi agenti infettivi in nuove zone geografiche. - aumento delle attività a contatto con la natura, come le passeggiate nei parchi, boschi……. favorendo così il rischio di contagio. - spostamento dalla città alla periferia con la costruzione di case con giardino - salvaguardia della fauna selvatica e aumento della popolazione animale, come per esempio cervidi e cinghiali, noti veicolatori di zecche. Oggi le tecniche di biologia molecolare, PCR, consentono indagini epidemiologiche più approfondite e uno studio più accurato dei vari agenti patogeni trasmessi da zecche. Dopo l’introduzione di cani in Gran Bretagna senza quarantena, è stato realizzato uno studio presso l’Università di Bristol (Acarus) che ha evidenziato che il 29% (12/42) dei cani erano portatori di Babesia, 2% (1/43) di Ehrlichia canis e 11% (5/44) di Leishmania. Tra i cani in quarantena classica il 20% (3/15) era infetto da Babesia, 36% (5/14) da Ehrlichia canis, 27% (3/11) da Leishmania. La maggior parte di questi cani aveva soggiornato in Italia, Francia o Spagna. Un’indagine con PCR su zecche (184), cani (632) e gatti (243), condotta in 55 ambulatori veterinari nel Sud della Francia, ha indicato che 62 gatti (26,4%) risultavano infetti da diverse forme di mycoplasmi (anticamente Hemobartonella) trasmessi da pulci (79% da Mycoplasma haemominutum, 13%, da Mycoplasma haemofelis e 8% da entrambi). 2/3 di questi gatti erano anche infetti da FeLV o FIV. 25 cani (4%) erano portatori di Babesia. 14% dei cani ed il

21% dei gatti erano infestati da zecche. Sui cani sono stati trovati tutti i generi più importanti di zecche (Ixodes, Rhipicephalus e Dermacentor) mentre il 75% delle zecche osservate sui gatti appartenevano al genere Ixodes. Di tutte queste zecche, il 43% appartiene al genere Rhipicephalus (79/184), il 31,5% al genere Ixodes (58/184) e il 24,5% al genere Dermacentor (45/184). 15 zecche (Rhipicephalus e Dermacentor) su 184, 8%, erano infette da Babesia canis, mentre 30 zecche (16,3%) erano portatrici d’Ehrlichia di cui metà apparteneva al genere Ixodes (Anaplasma phagocytophila) e l’altra metà al genere Rhipicephalus (Ehrlichia canis). 2 zecche del genere Rhipicephalus (2,5%) risultavano portatrici di Hepatozoon canis. Quest’indagine eseguita nel sud della Francia indica che in media 1 zecca su 10 è vettore di un agente patogeno capace d’infettare il cane. Ad oggi, la migliore prevenzione di queste malattie trasmesse da zecche resta la lotta contro i vettori. I dati bibliografici indicano che le zecche trasmettono la Babesia da 48 a 72 ore dopo l’inizio del loro pasto. Quindi, un acaricida efficace in meno di 48 ore fornisce una protezione contro la Piroplasmosi. Uno studio sulla prevenzione della trasmissione dell’Ehrlichiosi monocitica canina è stato condotto in 2 gruppi di cani appartenenti all’esercito militare francese. L’obiettivo dello studio è stato quello di verificare la protezione conferita da un’applicazione mensile di fipronil in presentazione spot on (Frontline Spot On). 55 cani dell’esercito militare, mantenuti in canili situati a Dakar (Senegal) ed a Djibouti, sono stati trattati con fipronil spot on e seguiti per 6 mesi, e successivamente sono stati confrontati con 133 cani controllo (autoctoni non trattati) e 60 cani di proprietari che vivevano nella stessa zona. Il 100% dei cani controllo ha sviluppato un’Ehrlichiosi monocitica canina, contro il 22% dei cani di proprietà (trattati in modo irregolare) e il 3,6% dei cani dell’esercito (2 soggetti che hanno sieroconvertito senza sviluppare la malattia). Per tutto il periodo dello studio, il trattamento regolare dei cani con una soluzione acaricida, dotata di attività residuale, ha permesso di ottenere un tasso di protezione del 96,4%. In tutte quelle situazioni in cui non è possibile eseguire un efficace protocollo vaccinale, come per la Piroplasmosi e la Malattia di Lyme del cane, è indispensabile, per il controllo e l’eliminazione delle zecche, attuare un piano preventivo basato sull’uso regolare (mensile) di una soluzione acaricida dotata di notevole attività residuale.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

23

Gestione delle parodontopatie e di altre comuni patologie orali del gatto: diagnosi, trattamento e mantenimento dei risultati Dea Bonello Med Vet, Dipl EDVC - Torino

Estratto breve Le malattie del cavo orale sono un evento patologico frequente e comune a tutte le specie animali, spesso sottostimato nella sua incidenza anche a causa delle difficoltà che presenta l’ispezione accurata della bocca di un animale non sedato od anestetizzato. Dal punto di vista clinico si evidenzia sia un danno primario a carico dei tessuti del cavo orale, sia, in un secondo momento, un danno derivante dalla persistenza di una condizione di infiammazione (batteriemie intermittenti) e dalla compromissione della capacità di alimentarsi, con conseguente declino generale dell’animale, abbattimento e prostrazione. Trattare la malattia parodontale e le altre patologie del cavo orale del gatto significa miglioramento della qualità di vita del paziente e ripresa dell’attività, compatibilmente con l’età e con le condizioni generali.

Estratto completo Le malattie del cavo orale sono un evento patologico frequente e comune a tutte le specie animali, spesso sottostimato nella sua incidenza anche a causa delle difficoltà che presenta l’ispezione accurata della bocca di un animale non sedato od anestetizzato. Dal punto di vista clinico si evidenzia sia un danno primario a carico dei tessuti del cavo orale, sia, in un secondo momento, un danno derivante dalla compromissione della capacità di alimentarsi. L’odontostomatologia è quella branca della medicina veterinaria che ha per compito lo studio delle malattie dei denti, della bocca e delle ossa mascellari. Come tale essa prende in considerazione non solo le patologie proprie dei tessuti dentali (parodontopatie, patologie apicali, pulpiti, carie, ecc.) ma anche tutte quelle della bocca e dello scheletro maxillo-facciale, che con le malattie dei denti presentano spesso stretti rapporti patogenetici (stomatiti, osteiti, tumori odontogenici e non odontogenici, epulidi, cisti, ecc.). Grazie all’ampiezza ed alla versatilità dei contenuti, che le consente di spaziare nel campo della clinica medica ed in quello della clinica chirurgica, l’odontostomatologia è cresciuta negli ultimi tempi come nessuna altra disciplina veterinaria. Alla base di questo fenomeno, anche, e forse soprat-

tutto, l’effettivo ritorno economico che ha gratificato e gratifica tuttora quanti hanno deciso di investire in questo settore. Dedicarsi all’odontostomatologia rappresenta infatti un vero e proprio investimento per il medico veterinario, in termini sia di studio che di denaro. È indispensabile un notevole impegno iniziale, per formarsi un’idea generale della clinica e della patologia di questo settore dell’organismo, nell’ambito del quale si esplicano funzioni ed attività diverse e che, potendo divenire sede di patologie del tutto eterogenee, richiede cognizioni e soprattutto presidi terapeutici strumentali particolari e specifici, che non trovano riscontro nella risoluzione delle patologie degli altri apparati. Oggi un importante stimolo ad un ulteriore sviluppo ed approfondimento della materia ci arriva dal campo della medicina felina: sempre più infatti si cerca di separare le storie mediche di cani e gatti, in riconoscimento alla particolare individualità di questi ultimi, ma soprattutto in virtù del fatto che molte e complesse patologie proprie della specie feline richiedono sempre più l’attenzione e la dedizione del medico veterinario, vuoi per la loro crescente diffusione, vuoi per la loro gravità o ancora per la scarsa conoscenza che purtroppo ne abbiamo dal punto di vista diagnostico e terapeutico. A buon diritto quindi, il gatto oggi diventa un paziente a cui il “dentista” veterinario deve dedicare tempo ed energie, spesso in collaborazione stretta con i colleghi dermatologi ed internisti, nell’intento di curare al meglio le patologie ma anche di contribuire ad ampliare la conoscenza di queste ultime. Pensiamo ad esempio alla “gengivo stomatite cronica (plasmacellulare)” ed alle lesioni odontoclastiche erosive dei denti del gatto (EORL), forse meglio conosciute come “lesioni del colletto” o “neck lesions”. Con il termine generico di “gengivo stomatite cronica” si intende definire una alterazione patologica di natura infiammatoria del cavo orale, contraddistinta dal punto di vista istologico da una massiccia presenza di neutrofili, plasmacellule e linfociti. Sovente una ipergammaglobulinemia accompagna il dato istopatologico, ma in entrambe i casi si tratta di prevedibili risposte del sistema immunitario ad una esposizione cronica a batteri e prodotti tossici del metabolismo batterico. A differenza della malattia parodontale vera e propria, la “stomatite” del gatto è caratterizzata dal persistere della componente infiammatoria acuta, che è verosimilmente responsabile della persistenza del dolore acuto quale sintomo principale.


24

Da un punto di vista clinico, le lesioni ai tessuti molli del cavo orale provocate dalla “stomatite” sono identificate in base alla loro localizzazione, e si combinano variamente. Possiamo così avere una gengivite marginale, o una gengivite ed una stomatite, oppure una stomatite ed una gengivite ed una faucite oppure ancora una oro-faringite, quando tutti gli epiteli del cavo orale ed il connettivo sottostante siano interessati dal processo infiammatorio. La causa primaria della “stomatite” del gatto non é ancora stata individuata, nonostante molti studi siano stati condotti sull’argomento. In linea di massima si tende a concordare sul fatto che possa trattarsi di una malattia ad eziologia multifattoriale, e cioè che il processo patologico sia sostenuto da più agenti causali, di natura virale e batterica, che possono o meno essere sempre presenti e che interagiscono variamente. Probabilmente anche il sistema immunitario dell’organismo ospite gioca un ruolo importante, ma quale esso sia non è stato ancora chiarito, visto che i gatti affetti da “stomatite” hanno in linea di massima una risposta immunitaria normale, sia umorale sia cellulare. Riuscire a colmare questa lacuna sarebbe senza dubbio molto importante, non solo per poter acquisire una completa conoscenza dei meccanismi con i quali si sviluppa il processo patologico, ma anche e soprattutto per poter individuare una cura valida ed efficace. Ad oggi, e sulla base delle conoscenze in nostro possesso, la diagnosi della “stomatite” del gatto è soprattutto istologica, ma anche clinica, e nell’ambito della visita clinica particolare interesse riveste l’indagine radiologica. È stato infatti recentemente osservato che sulla radiografia molto spesso si evidenzia la presenza di frammenti di radici ritenuti in sede endossea, laddove all’esame clinico si nota la mancanza di uno o più denti. Siccome l’estrazione di tutti i denti, o almeno dei premolari e dei molari, rappresenta spesso l’unica opzione terapeutica per poter curare la “stomatite”, ecco allora che l’indagine radiologica ci consente di valutare o meno la presenza di radici ritenute, quando manchino all’appello uno o più denti. Il buon esito della chirurgia è infatti legato alla completa rimozione di tutti i denti, o parti di essi in caso di pregresse fratture, dato che anche il più piccolo frammento è in grado di alimentare il processo infiammatorio acuto e di impedire quindi la remissione della sintomatologia.. La segnalazione così frequente di denti mancanti e di radici ritenute in soggetti affetti da “stomatite”, è spiegabile dal fatto che in questi casi i denti possono interessati da processi odontoclastici erosivi, che ne compromettono seriamente l’integrità, fino a provocare la frattura della corona e/o delle radici. Le lesioni odontoclastiche erosive o lesioni del colletto (EORL) sono lesioni erosive dello smalto, della dentina e/o del cemento, spesso ricoperte da tessuto infiammatorio di origine gengivale. Queste lesioni possono originare all’interno del dente ed evolversi verso l’esterno, quando siano presenti alterazioni a carico della polpa, oppure aver inizio all’esterno del dente, quando siano invece presenti disordini delle strutture parodontali. Allo stato attuale delle conoscenze molte sono le ipotesi formulate sulla natura e sulle cause di questa patologia, così

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

come tanti sono i tentativi che sono stati fatti per curare gli elementi dentali interessati, peraltro senza risultati soddisfacenti. Tra i fattori causali estrinseci sono annoverati sia la placca sia tutti i prodotti del metabolismo dei batteri che la compongono, e tra i fattori di mediazione tutti quelle sostanze responsabili dell’attivazione dei meccanismi infiammatori, acuti e cronici. Sembra infatti che tutte queste sostanze agiscano attivando gli osteoclasti (odontoclasti) presenti nello spazio parodontale ed in prossimità dei vasi sanguigni, che distruggono progressivamente i tessuti dentali. Lesioni di lieve entità, che interessino solo in minima parte la dentina, possono essere trattate sigillandole con sostanze protettive, ad esempio vetro-ionomeri, mentre i denti interessati da lesioni più profonde ed estese devono essere estratti. È stato infatti dimostrato che in questi casi nessun trattamento si è rivelato efficace ed affidabile. Per migliorare la comprensione di queste malattie del gatto, può essere utile pensare che la “stomatite plasmacellulare” e le EORL sono patologie parzialmente assimilabili, per eziologia, decorso e manifestazioni cliniche, alle parodontopatie. Le EORL in particolare sono state effettivamente classificate come parodontopatie, nel 1976 da Schneck. La causa principale delle malattie parodontali è l’alterazione dell’equilibrio fisiologico esistente tra la flora batterica della placca sottogengivale, e del tartaro, e la risposta immunitaria dell’organismo ospite. Questa “battaglia” avviene a livello del solco gengivale, e porta progressivamente alla distruzione dell’attacco epiteliale del dente, del legamento alveolo-dentale e dell’osso alveolare, ed occasionalmente dei tessuti dentali stessi, come avviene nelle EORL. Molte sono le cause che possono iniziare o influenzare questo processo patologico: squilibri endocrini, malattie metaboliche o immuno-mediate, stati di depressione immunitaria, terapie protratte con corticosteroidi, carenze nutrizionali, ed altre ancora. Inoltre bisogna sempre tenere nella dovuta considerazione il ruolo sistemico che la parodontopatia può assumere se lasciata evolvere indisturbata nel tempo, perché le batteriemie/setticemie intermittenti in origine dal cavo orale possono provocare: - iperglobulinemia da stimolazione del sistema immunitario - nefropatie da immunocomplessi - nefrite interstiziale cronica - epatopatia - malattie cardiovascolari Il gatto affetto da malattia parodontale deve essere sottoposto ad una accurata visita clinica generale, per poi passare alla valutazione del cavo orale e delle strutture limitrofe. Rispettare questo schema ci permette di conoscere lo stato di salute generale del paziente, sia in funzione dell’anestesia sia per meglio comprendere e definire il quadro patologico specifico. Allo stesso modo, nel valutare l’anamnesi del caso, non bisogna focalizzarsi esclusivamente sulla dieta o sull’igiene orale domestica, ma bisogna ascoltare ogni informazione relativa all’ambiente in cui il gatto vive ed alle sua interazione con lo stesso, alla sua vita di relazione, nonché a problemi di salute passati o presenti.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Sono sintomi di parodontopatia, ma anche di altre malattie del cavo orale, e spesso passano inosservati: - inappetenza - perdita di peso - masticazione e/o deglutizione alterata - alitosi - “chattering” - scarsa toelettatura - sfregamento del muso - scolo nasale (spesso monolaterale) e starnuti - sanguinamento spontaneo o provocato Per completare il quadro clinico ci si dovrebbe poi avvalere dell’ausilio di alcuni esami di laboratorio. La malattia parodontale spesso comporta modificazione dei parametri ematici ed ematochimici: - neutrofilia, corpi di Dohle (setticemia periodica) - iperglobulinemia (proteine totali e globuline) - alterazione del rapporto a/g - aumento ALT (epatopatia reattiva) Il check up preoperatorio dovrebbe comprendere quindi il l’emocromo completo, le proteine totali l’azotemia, la creatininemia, il glucosio ematico ed il peso specifico delle urine. Se il gatto non è più giovane si dovrebbe richiedere anche un esame completo delle urine. Eventuali disordini della coagulazione possono essere individuati valutando il tempo di sanguinamento delle mucose. Se però l’anamnesi suggerisce l’esistenza di problemi specifici, allora questi vanno indagati in modo particolare ed approfondito. L’anestesia, male inevitabile per ogni paziente odontoiatrico, deve essere scelta di volta in volta, in base alle caratteristiche cliniche che il caso presenta. L’applicazione indiscriminata di un protocollo anestesiologico, per quanto valido e collaudato, non rappresenta un metodo ottimale, né mette al riparo dai rischi comunque connessi alla pratica dell’anestesia. L’anestesia gassosa è raccomandata e raccomandabile, per tutta una serie di ragioni. In primo luogo il tubo endotracheale cuffiato è indispensabile per evitare che il paziente inali acqua ed altri fluidi; secondariamente, la durata di una procedura odontoiatrica non è mai prevedibile, e solitamente si quantifica in ore e non in minuti. In ultimo, sono senz’altro molti i vantaggi dell’anestesia gassosa, sia per la salute del paziente, sia per la tranquillità dell’operatore. Il monitoraggio del paziente odontoiatrico è consigliato come per qualunque altro intervento chirurgico: la temperatura corporea, il ritmo cardiaco e la pressione sanguigna sono parametri di rilievo indispensabile alla corretta gestione dell’anestesia, ma se possibile bisognerebbe monitorare anche la saturazione arteriosa dell’ossigeno. Le chirurgie dentali, detartrasi inclusa, causano sempre una batteriemia, e per questa ragione non dovrebbero essere praticate in concomitanza con altri interventi chirurgici “maggiori”. Bisogna dunque sfatare il luogo comune che vuole che la detartrasi venga praticata in associazione ad un altro intervento chirurgico, per risparmiare al paziente una anestesia. La batteriemia rappresenta una fonte endogena di infezione: il proprietario deve essere messo a conoscenza del fatto che associare una procedura dentale ad un altro intervento non rappresenta la scelta migliore per il loro animale. È

25

altresì vero in molti casi, soprattutto di pazienti geriatrici o particolarmente debilitati, che ricorrere a questo compromesso ha valide motivazioni e giustificazioni di natura medica ed anche etica. La decisione finale dovrebbe comunque spettare sempre al veterinario e non al proprietario. La batteriemia associata ad una detartrasi sopra e sottogengivale si estingue in 20 minuti circa. La profilassi antibiotica si rende necessaria solo nei pazienti geriatrici o debilitati, oppure nel caso in cui in si proceda poi ad altri interventi chirurgici, oppure ancora in presenza di infezioni importanti o di stomatiti croniche. La terapia antibiotica postoperatoria è invece indicata nei casi di infezione purulenta (ascessi) e nei casi di stomatite cronica. La scelta ed il dosaggio degli antibiotici sono argomenti controversi nel campo dell’odontostomatologia veterinaria. I suggerimenti variano dalla prescrizione preoperatoria di clindamicina per os per 5 giorni, alla somministrazione endovenosa o intramuscolare di un antibiotico ad ampio spettro (ampicillina-ac.clavulanico, metronidazolo) immediatamente prima della chirurgia. È consigliato anche risciacquare il cavo orale con una soluzione antisettica adeguata, prima, durante e dopo la detartrasi o la chirurgia orale. La clorexidina gluconato è considerata l’antisettico di elezione in questi casi. Bisogna però fare attenzione a che la clorexidina sia diluita nelle percentuali corrette: per l’applicazione sulle mucose del cavo orale del gatto è sufficiente una concentrazione allo 0,06%. Ogni accorgimento volto a limitare la carica batterica presente nel campo operatorio protegge anche l’operatore da eventuali rischi di contaminazione, soprattutto quando si effettua una detartrasi. In questo caso il veterinario dovrebbe anche indossare un paio di guanti in lattice, una mascherina ed un paio di occhiali, essendo esposto all’aerosol che si libera dall’apparecchio ad ultrasuoni, e che veicola una quantità considerevole di germi. La detartrasi ed ogni altra chirurgia del cavo orale, dovrebbe essere eseguita in una stanza dedicata, ben ventilata e ben illuminata. Quando non fosse possibile usufruire di una stanza riservata, allora bisognerebbe delimitare con degli schermi o dei paraventi lo spazio in cui si eseguono le procedure dentali. Tutta l’attrezzatura dovrebbe inoltre essere sterilizzata regolarmente, così come dovrebbe essere disinfettato l’ambiente in cui è collocata.

Estrazione del canino superiore L’estrazione chirurgica di un dente prevede sempre l’esecuzione di un ampio lembo a tutto spessore di gengiva e mucosa e l’asportazione di parte dell’osso alveolare che ricopre la radice del dente. Solitamente si utilizza questa tecnica quando bisogna estrarre, un dente che presenti un’ampia superficie radicolare e sia ben infisso nel suo alveolo, ad esempio in caso in caso di radici appiattite in senso mediolaterale, estese fratture di corona, fratture radicolari, anchilosi dentale, denti sani. Tipicamente è l’estrazione del canino superiore ad essere praticata secondo questa tecnica.


26

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

- Lembo mucogengivale: 1. nelle zone interprossimali si praticano due incisioni parallele in partenza dalla gengiva ed estese alla mucosa orale; 2. in alternativa si può disegnare un lembo triangolare con apice vestibolare; 3. si solleva un lembo mucoperiostale. - Alveolotomia: 1. con una fresa a pallina montata sulla turbina si asporta tutto l’osso alveolare che ricopre la radice, o almeno i 2/3 prossimali. - Estrazione del dente: 1. si inserisce la leva tra l’osso alveolare e la radice del dente e si forza delicatamente in più punti; 2. controllare l’integrità dell’osso mascellare. - Alveoloplastica: 1. rimozione dei detriti; 2. rimodellamento dei contorni dell’osso alveolare ed eliminazione delle punte. - Sutura: 1. il lembo deve essere più ampio del difetto osseo; 2. la sutura deve essere anche interprossimale; 3. no trazione e tensione.

Estrazione dei denti pluriradicolati 1. Scollamento della gengiva aderente ed eventuale allontanamento. 2. Individuazione della forcatura. 3. Sezionamento del dente in due o tre parti. 4. Estrazione semplice. 5. Alveolotomia per le radici appiattite in senso medio-laterale. 6. Dopo l’estrazione si curetta l’alveolo per rimuovere i detriti e formare il coagulo. 7. Alveoloplastica. 8. Sutura completa o parziale in caso di infezione parodontale o apicale.

Complicanze - Frattura della radice: riassorbimento in assenza di infezione; infezione, reazione periapicale, osteite, sinusite, scolo nasale, fistolizzazione. - Strumenti: leve per frammenti apicali (Heidbrink 13/14, Davis 11); pinze per frammenti (Steiglitz, X49); - Emorragia: cellulosa ossidata, tessuto autologo, o analoghi riempitivi - Infezione: necrosi ossea e ritardo nella guarigione; revisione chirurgica. - Fistola oro-nasale: scolo nasale muco-purulento o emorragico; revisione chirurgica e chiusura con due lembi.

- Frattura mandibolare: pazienti geriatrici o osteodistrofici; sostenere sempre la mandibola con la mano che non lavora.

Attenzione! 1. Gli strumenti non sempre sono adatti alle dimensioni della bocca del gatto. 2. Le EORL tipo III e tipo IV sono spesso accompagnate da anchilosi delle radice. 3. In caso di stomatite i frammenti di radice devono essere rimossi.

Il mantenimento dei risultati: l’importanza della prevenzione La malattia parodontale è causata dall’accumulo di placca e dalla sua successiva calcificazione, che porta alla formazione del tartaro. Prevenire la malattia significa quindi prevenire la formazione della placca, o almeno rallentarla, ed eliminare il deposito presente sui denti. Questo perché, come abbiamo detto, la parodontite è una malattia che provoca danni irreversibili. Inoltre, negli animali da compagnia, è inevitabile il ricorso all’anestesia generale per fare la detartrasi. L’uso dello spazzolino in combinazione con prodotti (dentifrici) in grado di rallentare l’accumulo della placca batterica, o di agire come antinfiammatori a livello locale, si è rivelato il metodo più efficace per la prevenzione ed il controllo della malattia parodontale. L’ostacolo principale è però rappresentato dalla scarsa disponibilità dei proprietari a svolgere questa pratica, e non tanto, come si sarebbe più propensi a credere, dalla mancanza di collaborazione da parte degli animali. Alla luce di questo fatto è importante promuovere tutti quei metodi che richiedono scarsa o nulla collaborazione del proprietario per il mantenimento di una corretta igiene orale, quali la somministrazione di alimenti secchi, di ossa artificiali e di ogni altro prodotto formulato appositamente per favorire una corretta masticazione ed una conseguente pulizia dei denti. Ricordiamo, a sostegno dell’importanza della prevenzione, che la necessità di spazzolare i denti in un animale sano si limita a 2-3 volte alla settimana, mentre in un soggetto affetto da parodontite questa pratica deve diventare quotidiana!

Alimentazione È generalmente il primo e più facile argomento da trattare, dato il notevole interesse dei proprietari nei confronti dell’argomento. Chiunque possieda un cane ha almeno una volta rivolto domande specifiche in materia di alimentazione al proprio veterinario durante la visita clinica ambulatoriale. Gli alimenti proposti dal medico veterinario devono fornire un giusto e bilanciato apporto di fattori nutrizionali. È stato dimostrato che diete povere di proteine non riducono la produzione di placca, mentre gli eccessi ne favoriscono l’au-


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

mento. Anche gli eccessi di integrazioni minerali vanno evitati, perché provocando una concentrazione di minerali nella saliva inducono una più rapida formazione del tartaro, aumentando la velocità di mineralizzazione della placca attraverso un aumento della concentrazione di ioni calcio e fosforo nella saliva. Forma, consistenza, orientamento delle fibre ed altri fattori fisici influiscono sulla formazione di placca e tartaro: è quindi sconsigliata la pratica di sminuzzare e triturare il cibo, tanto cara a molti proprietari, o di somministrare esclusivamente alimenti umidi, tanto graditi a molti animali. Bisogna educare i nostri cani a masticare, non necessariamente variando il tipo di dieta, ma variando le caratteristiche fisiche dell’alimento, in modo tale che l’animale sia costretto a masticare il cibo prima di poterlo ingoiare. Esistono poi mangimi secchi disponibili in commercio che hanno una azione “spazzolante” sul dente, grazie ad un particolare orientamento delle fibre di cui sono costituiti, e che sono raccomandati in tutti quei soggetti che non hanno esigenze alimentari particolari (allergie alimentari, insufficienza renale, diabete mellito, ecc.). Un’alternativa può essere quella di somministrarli come gratifica occasionale al posto di pane, biscotti, ecc. Nonostante il ruolo dei carboidrati nell’eziopatogenesi della carie nei carnivori domestici sia meno rilevante rispetto a quello che rivestono nella medicina umana, anche nell’alimentazione dei nostri animali vanno evitati gli zuccheri semplici (fruttosio, saccarosio, ecc.).

Comportamento e abitudini di gioco Un importante fattore da considerare, e da correggere, è costituito dai comportamenti anomali e dalle abitudini sbagliate. Non è infrequente notare il consumo delle corone dei denti e la comparsa di dentina terziaria, prodotta per stimolazione dei processi odontoblastici dei tubuli dentinali, nei cani abituati a giocare con le pietre o con le palline da tennis: in questi cani sono pure frequenti le fratture coronali con conseguente esposizione pulpare. Altri comportamenti anomali che possono cagionare la salute del cavo orale sono l’abitudine a mordere le recinzioni (tipiche dei cani di grossa mole), tic d’appoggio, ecc. La prevenzione di questi ed altri comportamenti anomali che provocano lesioni delle strutture orali riveste un ruolo importantissimo, ed il veterinario è in grado di affrontarla solo con la piena collaborazione del proprietario.

Igiene orale Indubbiamente il più importante ed efficace metodo di prevenzione della malattia parodontale consiste nel mantenimento di una corretta igiene orale quotidiana. La spazzolatura dei denti rimane il metodo più efficace per rimuovere la placca batterica. La placca impiega dalle 24 alle 48 ore per mineralizzarsi, trasformandosi in tartaro, contro il quale la spazzolatura non è più efficace. È quindi sufficiente lavare i denti una volta al giorno per impedire quasi completamente la formazione del tartaro.

27

Il tartaro non è di per sé patogeno, in quanto sappiamo essere la placca l’agente eziologico delle parodontopatie, ma la sua superficie ruvida permette un più rapido accumulo placca e soprattutto a lungo andare provoca un’irritazione di tipo meccanico sui tessuti gengivali. Non ultimo, per rimuovere il tartaro dalle superfici dentali è necessario porre il paziente in anestesia generale ed utilizzare strumenti appositi (ablatore ad ultrasuoni, curettes). Anche l’igiene orale quotidiana deve essere praticata con gli strumenti giusti, e va adattata in modo personalizzato alle proprie esigenze, che dipendono soprattutto dalla disponibilità del cane e dal tipo di malattia. La condizione ottimale sarebbe quella di lavare i denti una volta al giorno con spazzolino e dentifricio per animali; la spazzolatura deve raggiungere tutti gli elementi dentali su tutte le loro superfici esposte (vestibolare, occlusale, interprossimale e linguale) e deve essere praticata dopo l’ultimo pasto. Anche se la maggior parte dei cani ed alcuni gatti accetterebbero di buon grado questa pratica, sono pochi i proprietari che dimostrano la disponibilità, ed hanno il tempo, per metterla in pratica. Per quei soggetti, invece, che si dimostrano insofferenti o addirittura refrattari a farsi lavare i denti, è possibile ricorrere ad alcuni espedienti estremamente utili. Le situazioni più difficili possono essere risolte utilizzando prodotti del commercio appositamente studiati e realizzati per facilitare il compito del proprietario nel mantenimento dell’igiene orale: i “fingerbrush”, ad esempio, sono spazzolini che opportunamente posizionati sul dito indice semplificano la stesura del dentifricio e la successiva spazzolatura dentale. Se il soggetto non gradisce neanche questa manovra, sarà allora necessario suggerire al proprietario di provare a lavare i denti cospargendo prima lo spazzolino con un cibo particolarmente gradito all’animale (omogeneizzato, maionese o altro). Quando questa manovra risulti di facile esecuzione, il proprietario dovrà iniziare ad utilizzare dentifrici speciali per animali, oppure potrà usare lo spazzolino da solo. La spazzolatura dei denti può essere affiancata dall’uso dei “chews” appositamente studiati per cani e per gatti, che hanno una efficace azione detergente sui denti, tale da rimuovere parzialmente la placca. Anche l’uso di collutori può essere associato alla spazzolatura, ma il solo utilizzo di collutori “rinfrescanti” non è sufficiente a controllare la placca batterica. Esistono altresì collutori che svolgono un’importante azione antiplacca, ma per il fatto che contengono clorexidina non possono essere utilizzati in maniera continuativa, perché possono presentare effetti collaterali indesiderati, anche se blandi e reversibili, quali la disepitelizzazione delle mucose del cavo orale e l’alterazione del senso del gusto.

Bibliografia Advanced glycation endproducts (AGEs) induce oxidant stress in the gingiva: a potential mechanism underlying accelerated periodontal disease associated with diabetes. Schmidt AM, Weidman E, Lalla E, Yan SD, Hori O, Cao R, Brett JG, Lamster IB. J Periodontal Res 1996 Oct; 31 (7):508-15. Cytokine, elastase and oxygen radical release by Fusobacterium nucleatumactivated leukocytes: a possible pathogenic factor in periodontitis. Sheikhi M, Gustafsson A, Jarstrand C. J Clin Periodontol 2000 Oct; 27 (10):758-62.


28

Enhanced chemiluminescent assay for measuring the total antioxidant capacity of serum, saliva and crevicular fluid. Chapple IL, Mason GI, Garner I, Matthews JB, Thorpe GH, Maxwell SR, Whitehead TP. Ann Clin Biochem 1997 Jul; 34 (Pt4): 412-21. Lipid peroxidation caused by oxygen radicals from Fusobacterium-stimulated neutrophils as a possible model for the emergence of periodontitis. Sheikhi M, Bouhafs RK, Hammarstrom KJ, Jarstrand C. Oral Dis 2001 Jan; 7 (1):41-6. Local delivery of liposome-encapsulted superoxide dismutase catalase suppress periodontal inflammation in beagles. Petelin M, Pavlica Z, Ivanusa T, Sentjurc M, Skaleric U. J Clin Periodontol 2000 Dec; 27 (12):918-25. Morphological examinations of hard tissues of periodontium and evaluation of selected processes of lipid perioxidation in blood serum of rats in the course of experimental periodontitis. Sobaniec H, Sobaniec-Lotowska ME. Med Sci Monit 2000 Sep-Oct; 6 (5):875-81. Oxidative injury and inflammatory periodontal diseases: the challenge of anti-oxidants to free radicals and reactive oxygen species. Battino M, Bullon P, Wilson M, Newman H. Crit Rev Oral Biol Med 1999; 10 (4)458-76.

46째 Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Oxygen metabolism, oxidative stress and acid-base physiology of dental plaque biofilms. Marquis RE. J Ind Microbiol 1995 Sep; 15 (3):198207. Reactive oxygen species activate and tetracyclines inhibit rat osteoblast collagenase. Ramamurthy NS, Vernillo AT, Greenwald RA, Lee HM, Sorsa T, Golub LM, Rifkin BR. J Bone Miner Res 1993 Oct; 8 (10):1247-53. Reactive oxygen species and antioxidants in inflammatory diseases. Chapple IL. J Clin Periodontol 1997 May; 24 (5):287-96. Reactive oxygen species: a potential role in the pathogenesis of periodontal diseases. Waddington RJ, Moseley R, Embery G. Oral Dis 2000 May; 6 (3):136-7. Reduction of collagen degradation in experimental granulation tissue by vitamin E and selenium. Asman B, Wijkander P, Hjerpe A. J Clin Periodontol 1994 Jan; 21 (1):45-7. Salivary antioxidants and periodontal disease status. Sculley DV, LangleyEvans SC. Proc Nutr Soc 2002 Feb; 61 (1):137-43. The modification of alveolar bone proteoglycans by reactive oxygen species in vitro. Moseley R, Waddington RJ, Embery G, Rees SG. Connect Tissue Res 1998; 37 (1-2):13-28.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

29

Stomatite cronica del gatto: gestione dei meccanismi infiammatori Dea Bonello Med Vet, Dipl EDVC - Torino

Estratto breve La gengivostomatite cronica felina è una malattia molto comune del gatto, della quale ancora molto poco si sa dal punto di vista eziopatogenetico. Batteri (placca dentale), virus (FCV, corona virus) e stati di immunodeficienza (FIV, FeLV) sono stati via via considerati agenti causali della malattia. Non esiste predilezione di razza o sesso, e l’età media dei soggetti colpiti sembra essere di 7,1 anni (range da 4 mesi a 17 anni). I sintomi clinici sono alitosi, scialorrea, difficoltà nella prensione o nella masticazione degli alimenti, disoressia o anoressia e perdita di peso. Alla visita clinica si rilevano lesioni eritematose, ulcerative o proliferative delle gengive, degli archi glosso-palatini della lingua, della mucosa vestibolare, del palato duro, del faringe e delle labbra. Frequentemente sono presenti anche parodontite, tartaro, lesioni odontoclastiche erosive (FORL) e linfoadenopatia regionale.

RILIEVI ISTOPATOLOGICI Dal punto di vista istopatologico possiamo distinguere due tipi di stomatite cronica erosivo-ulcerativa: il primo caratterizzato da un denso infiltrato nella sottomucosa di linfociti e plasmacellule, che frequentemente esibiscono corpi di Russell nel loro citoplasma, ed un secondo caratterizzato invece da una infiammazione cronica attiva della mucosa e della sottomucosa, con un infiltrato neutrofilico da focale a diffuso, esocitosi ed una marcata spongiosi epiteliale. In molti casi sono anche presenti numerosi eosinofili sparsi. In ognuno di questi quadri è inoltre presente un numero elevato, ma variabile, di mastociti, che notoriamente giocano un ruolo importante nel cronicizzarsi dell’infiammazione, attraverso il processo di degranulazione. Spesso è anche coinvolto l’osso alveolare, interessato da un infiltrato infiammatorio misto e da alterazioni litiche della struttura ossea. I rilievi istopatologici descritti indicano che la FCGS è sempre associata ad una intensa, persistente stimolazione immunitaria, che si potrebbe ipotizzare essere di natura virale. In associazione, è frequente osservare ulcerazione dei tessuti con conseguente infiltrazione diffusa di neutrofili (lesione cronica attiva). La presenza di eosinofili, non infrequente, suggerisce invece la concomitanza di un fenomeno di ipersensibilità o di una reazione iperergica.

Possiamo inoltre affermare che in una certa percentuale di casi di FCGS sono presenti anche lesioni infiammatorie profonde a carico delle ossa mascellari e/o mandibolari, che verosimilmente complicano il decorso clinico della malattia e ne peggiorano la prognosi. Questi quadri istopatologici possono coesistere nello stesso soggetto, e la sintomatologia in atto è spesso direttamente proporzionale alla gravità ed estensione del fatto infiammatorio cronico attivo.

TRATTAMENTO SINTOMATICO E CURATIVO La patogenesi della gengivostomatite cronica felina è sconosciuta, e si pensa che possa essere la conseguenza di stati di immunodeficienza associati a fenomeni locali di ipersensibilità (o meglio iperergia). I trattamenti riportati in letteratura includono gli antibiotici, i corticosteroidi, il megestrolo acetato, i sali d’oro, il salicilato di sodio, la clorexidina, la detartrasi e l’estrazione completa o parziale dei denti. L’utilizzo degli antinfiammatori steroidei per trattare la FCGS è estremamente comune, ma sconsigliato, perché in molti casi la terapia deve essere protratta per tutta la vita dell’animale. Questi farmaci purtroppo hanno numerosi effetti collaterali e spesso la loro efficacia decresce nel tempo, cosicché sempre più alti dosaggi o sempre più brevi periodi di intervallo tra le somministrazioni sono necessari per garantire la remissione della sintomatologia acuta della FCGS. Gli antinfiammatori non steroidei, d’altro canto, presentano una scarsa maneggevolezza d’impiego nel gatto, e sono soprattutto sconsigliati nelle terapie di lunga durata. Analogo discorso è possibile fare per la somministrazione prolungata nel tempo di alte dosi di antibiotici, il cui scopo è quello di tenere sotto controllo la carica batterica patogena distribuita sulle mucose del cavo orale e sulla superficie dei denti. Proprio per evitare gli effetti collaterali di queste terapie farmacologiche, e nell’impossibilità di mantenere una corretta igiene orale nei soggetti affetti da FCGS, è stato proposto di estrarre tutti, o in parte (premolari e molari), i denti, per impedire l’accumulo di quei germi patogeni che proliferano all’interno dello spessore della placca dentale. I risultati che si ottengono con la terapia chirurgica sono percentualmente molto buoni, con l’eccezione di alcuni casi che stentano a guarire e necessitano di somministrazioni di analgesici e/o antinfiammatori cicliche. Ecco allora che di-


30

venta fondamentale, nella cura di questa patologia, individuare la giusta associazione tra l’interventi di tipo chirurgico e le terapie mediche, perché il primo ci consente di ottenere una regressione importante delle lesioni, e nel nuovo equilibrio che si viene a creare diventa possibile l’utilizzo di farmaci utili a controllare l’infiammazione ed il dolore, al riparo però dalla maggior parte degli effetti collaterali sgraditi o addirittura letali.

IL CONTROLLO DELL’IPER-REATTIVITÀ MUCOSALE TRAMITE LA MODULAZIONE DEI MASTOCITI Le attuali conoscenze in tema di fisiopatologia del mastocita della mucosa orale hanno consentito di definirne un doppio profilo funzionale, come cellula preposta al mantenimento della normo-reattività distrettuale da una parte, ma capace, dall’altra, di attivare i meccanismi e determinare le alterazioni strutturali e funzionali connesse agli stati di iperreattività della mucosa, infiammazioni (parodontopatie, stomatiti) in primis. Tale bipolarismo funzionale è fondamentalmente legato al tono di degranulazione di queste cellule. Se graduale e controllato, esso si rivela, infatti, meccanismo indispensabile alla regolazione dei sistemi tissutali di difesa/riparazione. Viceversa, una volta superata la “soglia di degranulazione”, compatibile con l’omeostasi del distretto mucosale, i mastociti daranno avvio a risposte patologiche iperreattive e, come conseguenza finale, alla comparsa delle ingravescenti manifestazioni cliniche - acute e croniche - tipiche dell’infiammazione della mucosa orale. Per tali premesse, il controllo e/o il ripristino di un fisiologico tono degranulatorio dei mastociti acquista una notevole rilevanza, quale intervento di “attenuazione biologica”, in grado di riportare a norma uno stato di reattività mucosale - alterato per il convergere di più fattori disreattivi, sia locali che sistemici - e correggere segni e sintomi ad esso associati. Un importante passo in avanti in tal senso si è fatto con la recente scoperta di un gruppo di molecole, capaci di indurre la normalizzazione della degranulazione mastocitaria entro limiti fisiologici e denominate ALIAmidi, dato che agiscono con un meccanismo di modulazione biologica dell’iper-reattività, noto con l’acronimo ALIA (Autacoid Local Injury Antagonism). Si tratta, in particolare, di analoghi sintetici di molecole endogene di natura lipidica (N-acil lipidi) che si comportano da autacoidi (“sostanze farmacologicamente attive prodotte da sé”): si accumulano, cioè, nei tessuti in situazioni di danno, facendo riguadagnare al mastocita iper-reattivo un fisiologico tono degranulatorio, senza determinarne la deplezione numerica o il blocco funzionale completo, come avviene in corso di trattamenti con anti-istaminici e/o corticosteroidi. Specificatamente nella mucosa orale, queste molecole grazie alla modulazione fisiologica dell’eccessivo rilascio da parte dei mastociti di mediatori direttamente coinvolti negli stadi essenziali dell’infiammazione mucosale – possiede tutte le potenzialità per contrastare l’iper-reattività distrettuale, riducendo segni e sintomi ad essa associati e ripristinando gradualmente una condizione di normo-reattività.

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Estratto completo La gengivostomatite cronica felina è una malattia molto comune del gatto, della quale ancora molto poco si sa dal punto di vista eziopatogenetico. Batteri (placca dentale), virus (FCV, corona virus) e stati di immunodeficienza (FIV, FeLV) sono stati via via considerati agenti causali della malattia. Non esiste predilezione di razza o sesso, e l’età media dei soggetti colpiti sembra essere di 7,1 anni (range da 4 mesi a 17 anni). I sintomi clinici sono alitosi, scialorrea, difficoltà nella prensione o nella masticazione degli alimenti, disoressia o anoressia e perdita di peso. Alla visita clinica si rilevano lesioni eritematose, ulcerative o proliferative delle gengive, degli archi glosso-palatini della lingua, della mucosa vestibolare, del palato duro, del faringe e delle labbra. Frequentemente sono presenti anche parodontite, tartaro, lesioni odontoclastiche erosive (FORL) e linfoadenopatia regionale.

RILIEVI ISTOPATOLOGICI Dal punto di vista istopatologico possiamo distinguere due tipi di stomatite cronica erosivo-ulcerativa: il primo caratterizzato da un denso infiltrato nella sottomucosa di linfociti e plasmacellule, che frequentemente esibiscono corpi di Russell nel loro citoplasma, ed un secondo caratterizzato invece da una infiammazione cronica attiva della mucosa e della sottomucosa, con un infiltrato neutrofilico da focale a diffuso, esocitosi ed una marcata spongiosi epiteliale. In molti casi sono anche presenti numerosi eosinofili sparsi. In ognuno di questi quadri è inoltre presente un numero elevato, ma variabile, di mastociti, che notoriamente giocano un ruolo importante nel cronicizzarsi dell’infiammazione, attraverso il processo di degranulazione. Spesso è anche coinvolto l’osso alveolare, interessato da un infiltrato infiammatorio misto e da alterazioni litiche della struttura ossea.

MASTOCITA E DIFESE IMMUNITARIE È noto da tempo il ruolo svolto dal mastocita nelle reazioni immunitarie acquisite, dove – attivato da anticorpi specifici (IgE), fissati a recettori presenti sulla sua superficie – libera per degranulazione un ampio spettro di mediatori, chiamati in causa nell’innesco e nella perpetuazione della risposta immuno-infiammatoria specifica dei tessuti e degli stati patologici ad essa correlati (es. allergie).

Molto più recente è, altresì, la dimostrazione di un chiaro coinvolgimento dei mastociti anche nell’immunità naturale, intendendo con tale termine l’insieme di risposte difensive aspecifiche “di prima linea”, messe in atto dall’organismo per proteggersi dalle invasioni microbiche e dalle infezioni (1, 2, 3). Al pari di macrofagi e basofili, i mastociti sono, infatti, attivati – direttamente o indirettamente attraverso il si-


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

stema del complemento – da numerosi parassiti (es. Strongiloides) e batteri, sia Gram+ (es. Staphylococcus aureus, Streptococcus piogenes) che Gram- (es. Klebsiella pneumoniae, Escherichia Coli) (2, 3). In queste condizioni, essi possiedono importanti proprietà difensive, in quanto capaci di eliminare i microrganismi tramite meccanismi di:

- fagocitosi ed attività microbicida diretta (4, 5); - degranulazione di sostanze pre-formate (IL-4, IL-6, IL-10, TNF) e sintetizzate ex novo (prostaglandine, leucotrieni), capaci di richiamare i leucociti circolanti e di potenziarne le proprietà battericide (4, 6, 7).

I rilievi istopatologici descritti indicano che la FCGS è sempre associata ad una intensa, persistente stimolazione immunitaria, che si potrebbe ipotizzare essere di natura virale. In associazione, è frequente osservare ulcerazione dei tessuti con conseguente infiltrazione diffusa di neutrofili (lesione cronica attiva). La presenza di eosinofili, non infrequente, suggerisce invece la concomitanza di un fenomeno di ipersensibilità o di una reazione iperergica. Possiamo inoltre affermare che in una certa percentuale di casi di FCGS sono presenti anche lesioni infiammatorie profonde a carico delle ossa mascellari e/o mandibolari, che verosimilmente complicano il decorso clinico della malattia e ne peggiorano la prognosi. Questi quadri istopatologici possono coesistere nello stesso soggetto, e la sintomatologia in atto è spesso direttamente proporzionale alla gravità ed estensione del fatto infiammatorio cronico attivo.

TRATTAMENTO SINTOMATICO E CURATIVO La patogenesi della gengivostomatite cronica felina è sconosciuta, e si pensa che possa essere la conseguenza di stati di immunodeficienza associati a fenomeni locali di ipersensibilità (o meglio iperergia). Sono state evidenziate alterazioni significative di IL-2, IL-4, IL-5, IL-6, IL-10, IL12 (p35 &p40), IFN-gamma in campioni di tessuto prelevato dal cavo orale di gatti affetti da FCGS, ma non è stata evidenziata alcuna correlazione tra questi valori e la gravità delle lesioni. I trattamenti riportati in letteratura includono gli antibiotici, i corticosteroidi, il megestrolo acetato, i sali d’oro, il salicilato di sodio, la clorexidina, la detartrasi e l’estrazione completa o parziale dei denti. L’utilizzo degli antinfiammatori steroidei per trattare la FCGS è estremamente comune, ma sconsigliato, perché in molti casi la terapia deve essere protratta per tutta la vita dell’animale. Questi farmaci purtroppo hanno numerosi effetti collaterali e spesso la loro efficacia decresce nel tempo, cosicché sempre più alti dosaggi o sempre più brevi periodi di intervallo tra le somministrazioni sono necessari per garantire la remissione della sintomatologia acuta della FCGS. Gli antinfiammatori non steroidei, d’altro canto, presentano una scarsa maneggevolezza d’impiego nel gatto, e sono soprattutto sconsigliati nelle terapie di lunga durata.

31

Analogo discorso è possibile fare per la somministrazione prolungata nel tempo di alte dosi di antibiotici, il cui scopo è quello di tenere sotto controllo la carica batterica patogena distribuita sulle mucose del cavo orale e sulla superficie dei denti. Proprio per evitare gli effetti collaterali di queste terapie farmacologiche, e nell’impossibilità di mantenere una corretta igiene orale nei soggetti affetti da FCGS, è stato proposto di estrarre tutti, o in parte (premolari e molari), i denti, per impedire l’accumulo di quei germi patogeni che proliferano all’interno dello spessore della placca dentale. I risultati che si ottengono con la terapia chirurgica sono percentualmente molto buoni, con l’eccezione di alcuni casi che stentano a guarire e necessitano di somministrazioni di analgesici e/o antinfiammatori cicliche. Ecco allora che diventa fondamentale, nella cura di questa patologia, individuare la giusta associazione tra l’interventi di tipo chirurgico e le terapie mediche, perché il primo ci consente di ottenere una regressione importante delle lesioni, e nel nuovo equilibrio che si viene a creare diventa possibile l’utilizzo di farmaci utili a controllare l’infiammazione ed il dolore, al riparo però dalla maggior parte degli effetti collaterali sgraditi o addirittura letali.

IL CONTROLLO DELL’IPER-REATTIVITÀ MUCOSALE TRAMITE LA MODULAZIONE DEI MASTOCITI Le attuali conoscenze in tema di fisiopatologia del mastocita della mucosa orale hanno consentito di definirne un doppio profilo funzionale, come cellula preposta al mantenimento della normo-reattività distrettuale da una parte, ma capace, dall’altra, di attivare i meccanismi e determinare le alterazioni strutturali e funzionali connesse agli stati di iperreattività della mucosa, infiammazioni (parodontopatie, stomatiti) in primis. Tale bipolarismo funzionale è fondamentalmente legato al tono di degranulazione di queste cellule. Se graduale e controllato, esso si rivela, infatti, meccanismo indispensabile alla regolazione dei sistemi tissutali di difesa/riparazione. Viceversa, una volta superata la “soglia di degranulazione”, compatibile con l’omeostasi del distretto mucosale, i mastociti daranno avvio a risposte patologiche iperreattive e, come conseguenza finale, alla comparsa delle ingravescenti manifestazioni cliniche - acute e croniche - tipiche dell’infiammazione della mucosa orale. Per tali premesse, il controllo e/o il ripristino di un fisiologico tono degranulatorio dei mastociti acquista una notevole rilevanza, quale intervento di “attenuazione biologica”, in grado di riportare a norma uno stato di reattività mucosale - alterato per il convergere di più fattori disreattivi, sia locali che sistemici - e correggere segni e sintomi ad esso associati. Un importante passo in avanti in tal senso si è fatto con la recente scoperta di un gruppo di molecole, capaci di indurre la normalizzazione della degranulazione mastocitaria entro limiti fisiologici e denominate ALIAmidi, dato che agiscono con un meccanismo di modulazione biologica dell’iper-reattività, noto con l’acronimo ALIA (Autacoid Local Injury Antagonism).1 Si tratta, in particolare, di analoghi sintetici di molecole endogene di natura lipidica (N-acil lipidi) che si comportano da autacoidi (“sostanze farmacologicamente attive prodotte


32

da sé”): si accumulano, cioè, nei tessuti in situazioni di danno, facendo riguadagnare al mastocita iper-reattivo un fisiologico tono degranulatorio,2, 3 senza determinarne la deplezione numerica o il blocco funzionale completo, come avviene in corso di trattamenti con anti-istaminici e/o corticosteroidi. Le ALIAmidi esercitano l’effetto di modulazione locale dell’iper-reattività mastocitaria grazie al legame con uno specifico recettore periferico - denominato CB2 – espresso sulla superficie del mastocita4 e di altri stipiti cellulari (es. basofili, macrofagi, linfociti), presenti a livello tissutale in stati iper-reattivi ed infiammatori.5, 6 Recenti ricerche attribuiscono, inoltre, alle ALIAmidi anche vie di modulazione biologica dell’iperdegranulazione mastocitaria indipendenti dal meccanismo recettoriale,7, 8 oltre ad un’attività inibitoria nei confronti di enzimi direttamente coinvolti nell’infiammazione.9 Da un punto di vista applicativo, le molecole aliamidiche – il cui capostipite è noto come Palmidrol (Denominazione Comune Internazionale – DCI – dell’ N-palmitoiletanolamide o PEA) – hanno ricevute numerose conferme in vivo della loro efficacia anti-infiammatoria. Somministrato per via orale, il Palmidrol non solo riduce edema ed iperalgesia nell’infiammazione indotta da stimoli neurogenici ed immunogenici,10, 11 ma ha dimostrato di migliorare lesioni e sintomi connessi all’ipersensibilità cutanea nel cane e nel gatto.12 Anche Adelmidrol (DCI della N,N’-bis-(2-hydroxyethyl)nonandiamide) è un’ALIAmide ad applicazione topica, già ampiamente utilizzata con buoni risultati nel controllo della riparazione delle ferite nel cane e nel gatto.13, 14, 15 Specificatamente nella mucosa orale, tale molecola - grazie alla modulazione fisiologica dell’eccessivo rilascio da parte dei mastociti di mediatori direttamente coinvolti negli stadi essenziali dell’infiammazione mucosale – possiede tutte le potenzialità per contrastare l’iper-reattività distrettuale, riducendo segni e sintomi ad essa associati e ripristinando gradualmente una condizione di normo-reattività.

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

matory disease in the feline oral cavity. Praktische Tierartzt 1998; 79:410-416. Wedemeyer J, Tsai M, Galli SJ, 2000, Roles of mast cells and basophils in innate and acquired immunity, Current Opinion in Immunology, 12: 624-631 Abraham SN, Malaviya R, 1997, Mast cells in infection and immunity, Infection and Immunity, 65: 3501-3508 Malaviya A, Abraham SN, 1998, Clinical implications of mast cell-bacteria interaction, Journal of Molecular Medicine, 76: 617-623 Abraham SN, Arock M, 1998, Mast cells and basophils in innate immunity, Seminars in Immunology, 10: 373-381 Malaviya R, Ikeda T, Ross EA, Jakschik BA, Abraham SN, 1995, Bacteriamast cell interactions in inflammatory disease, American Journal of Therapy, 2(10): 787-792 Malaviya R, Abraham SN, 2001, Mast cell modulation of immune responses to bacteria, Immunological Review, 179: 16-24 Malaviya R, Navara C, Uckun FM, 2002, Augmentation of mast cell bactericidal activity by the anti-leukemic drug, 4-(3’bromo-4’-hydroxylphenyl)-amino-6,7-dimethoxyquinazoline, Leukemia and Lymphoma, 43(6): 1329-1332 Malaviya R, Ikeda T, Ross E, Abraham SN, 1996, Mast cell modulation of neutrophil influx and bacterial clearance at sites of infection through TNF-alpha, Nature, 381: 77-80 Malaviya R, Georges A, 2002, Regulation of mast cell-mediated innate immunity during early response to bacterial infection, 22(2): 189-204

1

2

3

4

5

6

7

8

Bibliografia Sims TJ, Moncla BJ, Page RC. Serum antibody response to antigens of oral Gram-negative bacteria in cats with plasma cell gingivitis-stomatitis, J Dent Res 1990; 69:877-882. Pedersen NC. Inflammatory oral cavity diseases of the cat, Vet Clin North Am Small Anim Pract 1992; 22:1323-1345. Harbour DA et al. Isolation of FCV and FHV from domestic cats 1980 to 1989. Vet Rec 1991;128:77-80. Hargis AM, Ginn PE. Feline herpesvirus 1-associated facial and nasal dermatitis and stomatitis in domestic cats. Vet Clin North Am Small Anim Pract. 1999;29:1281-90. Knowles JO, Gaskell RM, Gaskell CJ, Harvey CE, Lutz H. The prevalence of feline calicivirus, feline leukemia virus and antibodies to FIV in cats with chronic stomatitis, Vet Rec 1989;124:336. Johnesse JS, Hurvitz A. Feline plasma cell gingivitis/pharyngitis. J Am Anim Hosp Assoc 1983;19:179. Thompson RR, Wilcox GE, Clark WT, Jansen KL. Association of calicivirus with chronic gengivitis and pharyngitis. J Small Anim Pract 1984;25:207. White SD, Rosychuk RAW, Janik TA, Denerolle P, Schultheiss P. Plasma cell stomatitis-pharyngitis in cats: 40 cases (1973-1991). J Am Vet Med Assoc 1992;200:1377-1380. Williams CA, Aller MS. Gingivitis/stomatitis in cats. Vet Clin North Am Small Anim Pract. 1992;22:1361-83. Harley R et al. Cytokine mRNA expression in lesions in cats with chronic gingivostomatitis. Clin Diagn Lab Immunol 1999;6:471-478. Zetner K, Steurer I, Kampfer PH, Maier H. Melatonin and chronic inflam-

9

10

11

12

13

14

15

Aloe L, Leon A, Levi-Montalcini R, 1993, A proposed autacoid mechanism controllino mastocyte behaviour, Agents and Actions, 39: C145C147 Jack BJ, 1996, ALIAmidi: un nuovo approccio al trattamento dell’infiammazione, Drug News and Perspectives, 9: 91-97 Lambert DM, Vandevoorde S, Jonsson KO, Fowler CJ, 2002, The palmitoylethanolamide family: a new class of anti-inflammatory agents?, Current Medicinal Chemistry, 9. 663-674 Facci L, Dal Toso R, Romanello S, Buriani A, Skaper SD, Leon A, 1995, Mast cells express a peripheral cannabinoid receptor with differential sensitivity to anandamide and palmitoylethanolamide, Proceedings of the national Academy of Sciences, 92: 3376-3380 Lambert DM, Di Marzo V, 1999, The palmitoylethanolamide and oleamide enigmas: are these two fatty acid amides cannabimimetic?, Current Medicinal Chemistry, 6: 757-773 Gallegue S, Mary S, Marchand J, Dussossoy D, Carriere D, Carayon P, Bouaboula M, Shire D, Le Fur G, Casellas P, 1995, Expression of central and peripheral cannabonoid receptors in human tissues and leukocytes subpopulation, European Journal of Biochemistry, 232: 54-61 Bueb JL, Lambert DM, Tschirhart EJ, 2001, Receptor-independent effects of natural cannabinoids in rat peritoneal mast cells in vitro, Biochimica Biophysica Acta, 1538: 252-259 Smart D, Jonsson KO, Vandevoorde S, Lambert DM, Fowler CJ, 2002, “Entourage“ effects of N-acyl ethanolamines at human vanilloid receptors. Comparison of effects upon anandamide-induced vanilloid receptor activation and upon anandamide metabolism, British Journal of Pharmacology, 136: 452-458 Costa B, Conti S, Giagnoni G, Colleoni MP, 2002, Therapeutic effect of the endogenous fatty acid amide, palmitoylethanolamide, in rat acute inflammation: inhibition of nitric oxide and cyclo-oxygenase systems, British Journal of Pharmacology, 137: 413-420 Mazzari S, Canella R, Petrelli L, Marcolongo G, Leon A, 1996, N-(2-hydroxyethyl)hexadecanamide is orally active in reducing edema formation and inflammatory hyperalgesia by down-modulating mast cell activation, European Journal of Pharmacology, 300: 227-236 Conti S, Costa B, Colleoni MP, Parolaro D, Giagnoni G, 2002, Antiinflammatory action of endocannabinoid palmitoylethanolamide and the synthetic cannabinoid nabilone in a model of acute inflammation in the rat, British Journal of Pharmacology, 135: 181-187 Scarampella F, Abramo F, Noli C, 2001, Clinical and histological evaluation of an analogue of palmitoylethanolamide, PLR120 (comicronized Palmidrol INN) in cats with eosinophilic granuloma and eosinophilic plaque: a pilot study, Veterinary Dermatology, 12: 29-39 Manara GL, Guttadauro S, Giovannella A, 2001, Ferite aperte a localizzazione acrale nel cane e nel gatto: 3 esperienze cliniche sull’utilizzo di agenti topici, Veterinaria, 15(1): 97-104 Giovannella A, 2001, Cicatrizzazione per seconda intenzione delle ferite cutanee nel cane e nel gatto: trattamento topico di base (TBT), Summa, 8: 1-8 Giovannella A, Manara GL, 2001, Topical basic treatment for complicated skin wounds in dogs and cats: seven case reports, Proceedings 5th Annual Scientific Meeting Veterinary Wound Healing Association, Hannover, May 10-12


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

33

Approccio clinico alla proteinuria Ugo Bonfanti Med Vet - Milano

Estratto breve

Estratto completo

La proteinuria rappresenta un rilievo laboratoristico di frequente riscontro nella pratica clinica quotidiana. Le proteine nelle urine possono derivare dal plasma, dal tratto urinario e, in base al metodo di raccolta, dal tratto genitale. Una proteinuria inferiore a 20 mg/kg/die viene comunemente considerata normale. Infatti, anche in soggetti clinicamente normali, proteine possono essere presenti nelle urine, ma in quantità inferiore rispetto a quella prevista in corso di nefropatia. La proteinuria si classifica in fisiologica, funzionale e patologica. La proteinuria fisiologica rappresenta l’esito della somma delle proteine presenti nell’ultrafiltrato e che non sono riassorbite dal tubulo, cui si aggiungono proteine secrete dalle cellule tubulari (ad es. proteina di Tamm-Horsfall). La proteinuria funzionale, che può essere considerata fisiologica, si può verificare in associazione a stress, esercizio fisico intenso, febbre, convulsioni, esposizione a temperature elevate e congestione venosa renale, insufficienza cardiaca. La proteinuria patologica può essere rappresentata dalla presenza di proteine di origine plasmatica (proteine che in condizioni normali non passano la barriera glomerulare) o da proteine presenti nelle urine qualora le cellule tubulari non svolgano più la loro funzione di riassorbimento per sovraccarico di proteine plasmatiche, o per lesione tubulare stessa. La proteinuria può essere classificata anche in prerenale o preglomerulare (funzionale e overload proteinuria/paraproteinuria), postrenale (che si verifica in corso di processi infiammatori, infettivi e neoplastici a carico di pelvi, uretere, vescica, prostata), e renale (glomerulare, tubulare e mista). La proteinuria renale rappresenta una dato laboratoristico associato a nefropatia: la proteinuria glomerulare si verifica allorquando sono presenti nelle urine proteine di peso molecolare uguale o superiore a 69000 Daltons, la proteinuria tubulare nel caso in cui siano presenti proteine di peso molecolare inferiore e la proteinuria mista quando sono contemporaneamente presenti proteine di peso molecolare superiore ed inferiore. I metodi per lo studio della proteinuria si classificano in semiquantitativi, quantitativi e qualitativi, e rappresentano uno degli strumenti per approfondire le differenti patologie renali.

La proteinuria rappresenta un rilievo laboratoristico di frequente riscontro nella pratica clinica quotidiana. Le proteine nelle urine possono derivare dal plasma, dal tratto urinario e, in base al metodo di raccolta, dal tratto genitale. Anche in soggetti clinicamente normali, proteine possono essere presenti nelle urine, ma in quantità inferiore rispetto a quella prevista in corso di nefropatia. La proteinuria normale rappresenta infatti il risultato netto del passaggio di proteine attraverso i capillari glomerulari, del relativo riassorbimento delle proteine filtrate da parte del tubulo, nonché, nel caso in cui le urine vengano raccolte mediante minzione spontanea, di proteine provenienti da uretra ed apparato genitale. Occorre sottolineare come, sempre in condizioni di normalità, possano essere presenti la proteina di TammHorsfall (uromucoide), matrice essenziale dei cilindri secreta dalle cellule tubulari dell’ansa di Henle e del tubulo contorto distale, ed IgA, secrete in particolare dalle cellule dell’apparato genitale, che posseggono funzione anticorpale. Rientra nell’ambito della proteinuria patologica nel cane, una proteinuria superiore a 20 mg/kg/die; secondo altri Autori si considera patologica se superiore a 30 mg/kg/die o a 300 mg/m2/die.

TABLE 17.4

Twenty-Four-Hour Protein Excretion by Normal Dogs Protein excretion (mg/kg/24 hours)

Author Barsanti and Finco, 1979 Barsanti and Finco, 1979 Biewenga et al., 1982 White et al., 1984 McCaw et al., 1985 Grauer et al., 1985 Center et al., 1985 a

Analytical method

No dogs

Mean

Range

Coomassie blue

10

7.0

2.4-19.7

Ponceau S

10 a

3.8

0.8-15.1

Ponceau S Ponceau S Coomassie blue Coomassie blue Turbidometric

29 8 14 16 19

6.6 4.8 7.7 2.3 2.5

2.7-23.2 1.9-11.1 1.8-22.4 0.6-5.1 0.2-7.7

Same dogs as Barsanti; Coomassie blue method.


34

TIPI DI PROTEINURIA La proteinuria si classifica in fisiologica, funzionale e patologica. La proteinuria fisiologica o normale, come detto, rappresenta l’esito della somma della quota esigua di proteine che passano nell’ultrafiltrato e che non vengono riassorbite dal tubulo, cui si aggiungono proteine secrete dalle cellule tubulari. La proteinuria funzionale, che può essere considerata fisiologica o parafisiologica, si può verificare in associazione a stress, esercizio fisico intenso, febbre, convulsioni, esposizione a temperature elevate e congestione venosa renale, insufficienza cardiaca. Sebbene la funzione glomerulare sia temporaneamente alterata, il processo è rapidamente reversibile. Di solito, comunque, a seguito di studi effettuati su alcuni Beagle, l’esercizio intenso non è mai stato in grado di provocare proteinuria di entità paragonabile a quella osservata in corso di patologia. Il meccanismo esatto mediante il quale si verifichi una proteinuria funzionale non è perfettamente chiaro, ma sembra correlato a modificazioni del flusso sanguigno a livello del glomerulo, o ad alterazioni reversibili a carico della permeabilità glomerulare. Comunque, la proteinuria funzionale non ha, in pratica, significato clinico particolare. La proteinuria patologica può essere rappresentata dalla presenza di proteine di origine plasmatica (proteine che in condizioni normali non passano la barriera glomerulare) o da proteine presenti nelle urine qualora le cellule tubulari non svolgano più la loro funzione di riassorbimento per sovraccarico di proteine plasmatiche, o per lesione tubulare stessa. La proteinuria può essere classificata anche in prerenale o preglomerulare (funzionale e overload proteinuria/paraproteinuria), postrenale (che si verifica in corso di processi infiammatori, infettivi e neoplastici a carico di pelvi, uretere, vescica, prostata), e renale (glomerulare, tubulare e mista). Le forme di proteinuria preglomerulare non sono espressione di malattia renale e rappresentano spesso una patologia sita al di fuori dell’apparato urogenitale. In particolare, la “overload proteinuria”, o proteinuria da sovraccarico, ha come causa sottostante un aumento delle proteine plasmatiche che passano in quantità elevate nell’ultrafiltrato e che non vengono adeguatamente riassorbite dal tubulo, eccedendo la soglia di riassorbimento tubulare. È stata sperimentalmente provocata somministrando quantità elevate di proteine per via parenterale. Se aumentano proteine ad elevato peso molecolare nel sangue, queste vengono, eliminate dal rene per aumento reversibile della permeabilità della barriera di filtrazione. Con il termine invece di “Tubular overload proteinuria”, si intende una proteinuria associata ad aumento nel circolo ematico di proteine a basso peso molecolare (< 45000 Daltons) che sono filtrate dal glomerulo e che, per saturazione dei meccanismi di riassorbimento, si rilevano nelle urine. Con il termine di Paraproteinuria, si intende una forma di overload proteinuria che si verifica allorquando immunoglobuline complete o frammenti, macroglobuline, crioglobuline prodotte da cloni di plasmacellule neoplastiche, raggiungono concentrazioni elevate nel sangue: in tal caso vengono filtrate dal glomerulo e si rilevano nelle urine.

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

La proteinuria di Bence Jones, che si può definire una paraproteinuria, consegue alla presenza nel sangue della proteina di Bence Jones (catena leggera di Immunoglobuline – PM 22000 Daltons), che si rileva nelle urine di pazienti affetti da mieloma multiplo sotto forma di monomeri e dimeri (PM 22000 e 44000 Daltons). La proteinuria renale si classifica in glomerulare, tubulare e mista. La proteinuria glomerulare è la conseguenza di lesioni a carico delle differenti componenti del glomerulo; si verifica quindi a seguito di glomerulopatie di gravità differente, e determina la presenza nelle urine di proteine con peso molecolare uguale o superiore a quello dell’albumina (69000 Daltons). La proteinuria glomerulare si classifica in selettiva e non selettiva. La proteinuria glomerulare selettiva si verifica in associazione a glomerulopatie di grado lieve o moderato che consentono il passaggio di proteine plasmatiche con peso molecolare compreso tra 67000 e 80000 Daltons (in particolare albumina e transferrina). Quando la patologia glomerulare peggiora, anche le proteine di peso molecolare maggiore passano il filtro costituito dai capillari glomerulari (proteinuria non selettiva). In medicina umana vengono adottati degli indici di selettività che consistono nel rapportare la concentrazione di albumina o di transferrina a quella di IgG, e quindi, considerando i rapporti Alb/IgG e Transf/IgG, essi risulteranno tanto più elevati quanto più selettiva sarà la proteinuria. Il riassorbimento delle proteine filtrate dal glomerulo, che avviene a livello tubulare mediante meccanismi di endocitosi, prevede la corretta funzionalità delle cellule tubulari stesse; nel caso si verifichi una lesione a carico delle cellule del tubulo o dell’interstizio, si verificherà una proteinuria di origine tubulare. In corso di proteinuria tubulare si manifesterà un difetto di riassorbimento, o un’aumentata escrezione di proteine da parte delle cellule del tubulo. In tal caso le proteine presenti nelle urine avranno peso molecolare inferiore a 69000 Daltons. La proteinuria tubulare può essere completa, se coinvolge tutte le proteine di peso inferiore a 69000 Daltons, o incompleta, nel caso in cui nelle urine siano presenti solo proteine di peso molecolare compreso tra 40000 e 67000 Daltons. La proteinuria mista rappresenta infine la proteinuria di più frequente riscontro nella pratica clinica. Prevede una perdita di proteine di entità e peso estremamente variabili, ed è correlata a patologie che coinvolgono sia il tubulo che il glomerulo. Nell’ambito dell’approccio clinico, occorre ricordare che la proteinuria si verifica a seguito di numerose patologie sistemiche, renali e dell’apparato urogenitale. La corretta comprensione dei meccanismi di filtrazione glomerulare, i potenziali siti di perdita delle proteine e i metodi per misurare le proteine urinarie sono mezzi utili per approfondire correttamente la patologia. Il significato clinico di proteinuria deve sempre essere valutato alla luce di alcune variabili: 1: Eventuali patologie extrarenali. Come detto numerose patologie localizzate al di fuori dell’apparato escretore possono causare la presenza di proteinuria. 2: Metodo di raccolta. In base al metodo di raccolta è possibile, ad esempio, raccogliere eritrociti o leucociti che potrebbero essere la causa di eritruria o leucocitura in grado di falsare la determinazione della proteinuria.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

3: Peso specifico urinario. La presenza di proteine nelle urine, in particolare con i metodi semiquantitativi di screening, deve sempre essere considerata alla luce del peso specifico delle urine stesse: la quantità di proteine rilevate mediante striscia reattiva diventa più significativa mano a mano che il peso specifico urinario si riduce.

4: Metodo di determinazione. Metodi semiquantitativi (dipstick / turbidometrico) possono causare risultati falsi positivi e falsi negativi più facilmente rispetto ai metodi quantitativi.

35

Metodi di determimazione Le proteine presenti nelle urine sono più difficilmente identificabili e misurabili rispetto a quelle del siero poiché sono spesso presenti in quantità ridotte, poiché possono variare molto in termini di qualità e quantità da campione a campione, oltre ad essere, talora, difficilmente interpretabili poiché, come abbiamo visto, sono in grado di derivare dal plasma, da patologie renali e dall’apparato genitale. I metodi di determinazione delle proteine urinarie consistono in metodi semiquantitativi, quantitativi e qualitativi. Essi dovrebbero essere sempre impiegati sul surnatante di urine centrifugate per eliminare le interferenze che potrebbero derivare da globuli rossi, leucociti, cellule epiteliali e cilindri. Inoltre, andrebbe sempre effettuato su un campione prima che vengano somministrati agenti diagnostici o terapeutici. Tra i metodi semiquantitativi ricordiamo la prova colorimetrica con striscia reattiva e le prove turbidimetriche. La prova colorimetrica con striscia reattiva rappresenta un metodo semiquantitativo che si basa sul viraggio di colore del Blu di Tetrabromofenolo (indicatore) in presenza di proteine: dipende quindi dalla concentrazione di proteine presenti nel campione: in particolare, i gruppi amminici liberi delle proteine si legano all’indicatore, e la conseguente variazione di colore dipende dal numero di gruppi amminici liberi di ogni proteina. Poiché l’albumina possiede più gruppi amminici rispetto alle altre proteine che si possono rilevare nelle urine, il test rileva, in particolare, elevate quantità di albumina nelle urine. I metodi turbidimetrici si basano sulla precipitazione delle proteine a seguito dell’aggiunta di acido sulfosalicilico; ciò causa torbidità del campione approssimativamente proporzionale alla quantità di proteine presenti; i risultati sono semiquantitativi poiché non tutte le proteine causano la stessa torbidità. Tra i metodi quantitativi ricordiamo i metodi basati sul legame proteine-colorante (Blu di Coomassie e Ponceau S), i metodi al biureto, e la determinazione colorimetrica mediante pirogallolo. Queste metodiche sono impiegate anche per la determinazione della proteinuria delle 24 ore e per il calcolo del rapporto proteine / creatinina urinaria (PU/CU). Il rapporto PU/CU non viene influenzato, di solito, dalla concentrazione e dal volume delle urine prodotte e si correla bene con la determinazione della proteinuria delle 24 ore. Il rapporto viene calcolato su un singolo campione di urine, preferibilmente raccolto tra le 10 e le 14, mediante cistocentesi. Può essere influenzato dalla presenza di ematuria o di leucocitaria e deve quindi essere approntato su urine con sedimento inattivo. Il rapporto rappresenta comunque un test indubbiamente specifico, ma poco sensibile, in particolare nel rilevamento di proteinuria di entità modesta. I metodi qualitativi per lo studio della proteinuria si basano sull’utilizzo della tecnica elettroforetica. In particolare sono state impiegate elettroforesi su acetato di cellulosa, elettroforesi su gel di agarosio, elettroforesi su gel di poliacrilamide, elettroforesi su gel di poliacrilamide con SDS (SDS PAGE = Sodium Dodecyl Sulphate PolyAcrylamide Gel Electrophoresis), elettroforesi su gel di


36

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

agarosio con SDS (SDS AGE = Sodium Dodecyl Sulphate Agarose Gel Electrophoresis), nonché l’elettroforesi bidimensionale e l’immunofissazione. In particolare, l’elettroforesi su gel di agarosio in tampone neutro SDS consente di separare le proteine urinarie secondo il loro peso molecolare e di distinguere quindi facilmente le proteine di origine tubulare da quelle di origine glomerulare. Il limite di sensibilità per ogni singola banda proteica è pari a15 mg/litro. Pattern di migrazione β2 Microglobulina (12 kDa) Lisozima (15 kDa) RBP (21 kDa) Proteine di origine tubulare (< 70 kDa)

Catene leggere libere (25 kDa) Microproteina (33 kDa) Dimero di catene leggere libere (50 kDa)

Albumina (70 kDa) Transferrina (80 kDa)

Proteine di origine glomerulare (> 70 kDa)

Ig G (160 kDa) Ig A (165 kDa) Aptoglobine α2 Macroglobulina - Ig M (800 - 900 kDa) Punto di applicazione

L’interpretazione delle bande delle singole frazioni si determina visivamente valutandone l’intensità: banda di intensità lieve, moderata o intensa. In questi ultimi anni, nel cane, all’interno dell’approccio clinico al paziente proteinurico, sta acquisendo progressivo interesse la determinazione della microalbuminuria. Con il termine di microalbuminuria si intende l’escrezione giornaliera di albumine compresa tra 30 e 300 mg. Nell’uomo diabetico e nei soggetti ipertesi, la microalbuminuria rappresenta un rilievo di notevole importanza prognostica e terapeutica. Sono in corso studi prospettici per chiarire la reale utilità della determinazione della microalbuminuria anche negli animali da affezione. Risulta quindi evidente come nell’ambito dell’approccio alla proteinuria rientrino numerose variabili di interesse clinico e laboratoristico che devono esser correttamente indagate ed interpretate al fine di giungere alla diagnosi corretta della patologia sottostante.

Bibliografia ABID, O., SUN, Q., SUGIMOTO, K., MERCAN, D., VINCENT, J. (2001). Predictive value of microalbuminuria in medical ICU patients. Results of a pilot study. Chest 120, 1984-1988. AGEWALL, S., WILKSTRAND, J., LJUNGMAN, S., FAGERBERG, B. (1997). Usefulness of microalbuminuria in predicting cardiovascular mortality in treated hypertensive men with and without diabetes mellitus. Risk Factor Interventional Study Group. The American Journal of Cardiology 80, 164-169. AHN, C.W., SONG, Y.D., KIM, J.H., LIM, S.K., CHOI, K.H., KIM, K.R., LEE, H.C., HUH, K.B. (1999). The validity of random urine specimen albumin measurement as a screening test for diabetic nephropathy. Yonsei Medicine Journal 40, 40-45. ASSADI, F.K. (2002). Quantitation of microalbuminuria using random urine sample. Pediatric Nephrology 17, 107-110. BAGLEY, R.S., CENTER, S.A., LEWIS, R.M., SHING S., DOUGHERTY,

S.A., RANDOLPH, J.F., ERB, H. (1991). The effect of experimental cystitis and iatrogenic blood contamination on the urine protein/creatinine ratio in the dog. Journal of Veterinary Internal Medicine 5, 66-70. BARSANTI, J.A., FINCO, D.R. (1979). Protein concentration in urine of normal dogs. American Journal of Veterinary Research 40, 15831588. BIANCHI-BOSISIO, A., D’AGROSA, F., GABOARDI, F., GIANAZZA, E., RIGHETTI, P. (1991). Sodium dodecyl sulphate electrophoresis of urinary proteins. Journal of Chromatography 569, 243-260. BIEWENGA, W.J. (1986). Proteinuria in the dog: a clinicopathological study in 51 dogs. Research in Veterinary Science 41, 257-264. BIEWENGA, W.J., GRUYS, E., HENDRIKS H.J. (1982). Urinary protein loss in the dog: nephrological study of 29 dogs without signs of renal disease. Research in Veterinary Science 33, 366-374. BORCH-JOHNSEN, K., FELDT-RASMUSSEN, B., STRANDGAARD, S., SCHROLL, M. JENSEN, J.S. (1999). Urinary albumin excretion. An indipendent predictor of ischemic heart disease. Arteriosclerosis, Thrombosis and Vascular Biology 19, 1992-1997. BOISSON, R.C., EYNARD, J.C., CROZIER, M., GRAFMEYER, D.C. (2000). French experience of quality assessment of quantitative urinary analysis. Clinica Chimica Acta 297, 285-295. BROCKLEBANK, T., COOPER, E.H., RICHMOND, K. (1991). Sodium dodecyl sulphate polyacrylamide gel electrophoresis patterns of proteinuria in various renal diseases of childhood. Pediatric Nephrology 5, 371-375. DIBARTOLA, S.P., CHEW, D.J., JACOBS, G. (1980). Quantitative analysis includine 24-hour protein excretion in the dog. Journal of the American Animal Hospital Association 16, 537-546. DUBAYBO, B.A. (2001). Microalbuminuria. Chest 120, 1769-1771. FINCO, D.R. (1997). Kidney function. In: Clinical biochemistry of domestic animals, ed. J.J. Kaneko, J.W. Harvey, M.L., Bruss, pp. 450-484. GILBERT, R.E., AKDENIZ, A., JEREMUS G. (1992). Semiquantitative determination of microalbuminuria by urinary dipstick. Australian and New Zealand Journal of Medicine 22, 334-337. GOSSAIN, V.V., GUNAGA, K.P., CARELLA, M.J., EDMINSTER, R.R., BOWMAN K.A., ROVNER D.R. (1996). Utility of micral test strips in screening for microalbuminuria. Archives of Pathology and Laboratory Medicine 120, 1015-1018. GRAUER, G.F., THOMAS, C.B., EICKER, S.W. (1985). Estimation of quantitative proteinuria in the dog, using the urine protein-to creatinine ratio from a random, voided sample. American Journal of Veterinary Research 46, 2116-2119. HUESTON, W.J., SCIBELLI, S., MAINOUS, A.G. (2001). Use of microalbuminuria testing in persons with type 2 diabetes. Are the right patients being tested?. The Journal of Family Practice 50, 669-673. JENSEN, W.A., GRAUER, G.F., ANDREWS, J., SIMPSON, D. (2001). Prevalence of microalbuminuria in dogs. Journal of Veterinary Internal Medicine 15, 300. KOLIOS, G., BAIRAKTARI. E., TSOLAS O., SEFERIADIS K. (2001). Routine differential diagnosis of proteinurias by capillary electrophoresis. Clinical chemistry and laboratory medicine 39, 784-788. LE BRICON, T., ERLICH, D., BENGOUFA, D., DUSSAUCY, M., GARNIER, J.P., BOUSQUET, B. (1998). Sodium dodecyl sulfate-agarose gel electrophoresis of urinary proteins: application to multiple mieloma. Clinical Chemistry 44, 1191-1197. LULICH, J.P., OSBORNE, C.A. (1990). Interpretation of urine proteincreatinine ratios in dogs with glomerular and nonglomerular disorders. Compendium on continuing education for veterinary practice 12, 59-70. MCCAW, D.L., KNAPP, D.W., HEWETT, J.E. (1985). Effect of collection time and exercise restriction on the prediction of urine protein excretion, using urine protein/creatinine ratio in dogs. American Journal of Veterinary Research 46, 1665-1669. MARSHALL, S.M. (1991). Screening for microalbuminuria: which measurement?. Diabet Med 8, 706-711. MARSHALL, T., WILLIAMS, K.M. (1993). Sodium dodecyl sulfatepolyacrylamide gel electrophoreis of urine: concentration of urinary proteins by precipitation with coomassie blue. Clinical Chemistry 39, 2314-2318. MARSHALL, T., WILLIAMS, K.M. (1998). Clinical analysis of human urinary proteins using high resolution electrophoretic methods. Electrophoresis 19, 1752-1770.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

MARSHALL, T., WILLIAMS, K.M. (1999). Electrophoresis analysis of Bence Jones proteinuria. Electrophoresis 20, 1307-1324. MARSHALL, T., WILLIAMS, K.M. (2000). Total protein determination in urine: elimination of a differential response between the coomassie blue and pyrogallol red protein dye-binding assays. Clinical chemistry 46, 392-398. MEYER-LINDENBERG, A., WOHLSEIN, P., TRAUTWEIN, G., NOLTE, I. (1997). Urinproteinanalyse mit der sodium-dodecyl-sulfat-polyacrylamid-gradientgel elektrophorese (SDS-PAGE) bei gesunden und nierenkranken katzen. Journal of Veterinary Medicine A 44, 39-54. MOGENSEN, C.E., CHACHATI A., CHRISTENSEN C.K., CLOSE, C.F., DECKERT, T., HOMMEL, E., KASTRUP, J., LEFEBVRE, P, MATHIESEN, E.R., FELDT-RASMUSSEN, B. (1985-86). Microalbuminuria: an early marker of renal involvment in diabetes. Uremia Investigational 9, 85-95. METTIMANO, M., SPECCHIA, M.L., MIGNECO, A., SAVI, L. (2001). Microalbuminuira as a marker of cardiac damage in essential hypertension. European Review for Medical and Pharmacological Sciences 5, 31-36. PEDERSEN, L.M., MILMAN, L. (1998). Microalbuminuria in patients with lung cancer. The European Journal of Cancer 34, 76-80. PEDERSEN, L.M., SORENSEN, P.G. (1999). Clinical significance of urinary albumin excretion in patients with non-Hodgkin’s lymphoma. The British Journal of Haemathology 107, 889-891. PETERSON, K.A. (2001). Screening for microalbuminuria. The Journal of Family Practice 50, 674-675. PRESSLER, B.M., VADEN, S.L., JENSEN W.A., SIMPSON D. (2001). Prevalence of microalbuminuria in dogs evaluated at a referral veterinary hospital. Journal of Veterinary Internal Medicine 15, 300. PRESSLER, B.M., VADEN, S.L., JENSEN W.A., SIMPSON D. (2002). Detection of canine microalbuminuria using semiquantitative test strips designed for use with human urine. Veterinary Clinical Pathology 31, 56-60.

37

RAMJEE, G., COOVADIA, H.M., ADHIKARI, M. (1994). Sodium dodecyl sulphate polyacrylamide gel electrophoresis of urinary proteins in steroid-responsive and steroid resistant nephrotic sindrome in children. Pediatric Nephrology 8: 653-656. SCHEID, D.C., MCCARTHY, L.H., LAWLER, F.H., HAMM, R.M., REILLY, K.E.H. (2001). Screening for microalbuminuria to prevent nephropathy in patients with diabetes. The Journal of Family Practice 50, 661-668. SCHULTZE, A.E., JENSEN R.K. (1989). Sodium dodecyl sulphate polyacrylamide gel electrophoresis of canine urinary proteins for the analysis and differentiation of tubular and glomerular diseases. Veterinary Clinical Pathology 18, 93-97. TASIC, V., KORNETI, P., GUCEV, Z., KORNETI, B. (2001). Stress tolerance test and SDS-PAGE for the analysis of urinary proteins in children and youths. Clinical Chemistry and Laboratory Medicine 39, 478-483. TREWICK, A.L., LUXTON, F., PATEL, S., HEYS, A.D. (1993). Urine protein electrophoresis without sample concentration: an evaluation of two methods. Annals of Clinical Biochemistry 30, 321-323. UMBREIT, A., WIEDEMANN, G. (2000). Determination of urinary protein fractions. A comparison with different electrophoretic methods and quantitatively determined protein concentration. Clinica Chimica Acta 297, 163-172. VIBERTI, G.C., HILL, R.D., JARRETT, R.J., ARGYROPOULOS, A., MAHMUD, D. KEEN, H. (1982). Microalbuminuria as a predictor of clinical nephropathy in insulin-dependent diabetes mellitus. The Lancet 8782, 1430-1432. WACHTELL, K., OLSEN, M.H., DAHLOF, B., DEVEREUX, R.B., KJELDSEN S.E., NIEMINEN, M.S., OKIN, P.M., PAPADEMETRIOU V., MOGENSEN, C.E., BORCH-JOHNSEN K., IBSEN, H. (2002). Microalbuminuria in hypertensive patients with electrocardiographic left ventricular hyperthrophy: the LIFE study. Journal of Hypertension 20, 405-412.


38

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Insufficienza mitralica nei cani di grossa taglia Michele Borgarelli Med Vet, DECVIM-CA (Card) - Università di Torino

Estratto breve

Estratto completo

La malattia cronica valvolare (MCV) è la patologia cardiovascolare più comune del cane. I maschi sono più colpiti delle femmine e la malattia peggiora con l’età. I cani di razze di piccola taglia sono più frequentemente colpiti rispetto a quelli di grossa taglia. De Madron descrive l’insufficienza mitralica primaria acquisita nei cani di grossa taglia ed evidenzia come il Pastore Tedesco, tra questi, sia la razza più frequentemente affetta. Secondo questo studio, nelle razze di grossa taglia l’insufficienza mitralica (IM) in corso di MCV mitralica, sembra un evento più comune e più precoce rispetto a quanto accade nei pazienti di piccola taglia, non è rara l’ipertensione polmonare, e sono più frequenti le aritmie atriali e ventricolari. Inoltre, le alterazioni morfologiche valvolari esaminate ecograficamente nei cani di grossa taglia appaiono meno importanti. Questi dati sembrano confermati da uno studio retrospettivo condotto dal nostro gruppo che ha valutato un gruppo di Pastori tedeschi affetti da prolasso mitralico e/o insufficienza mitralica e un gruppo di cani di piccola taglia affetti da MCV. Questo studio ha evidenziato che nel gruppo dei Pastore Tedeschi l’IM e la fibrillazione atriale sono più frequenti rispetto ai cani di piccola taglia. Inoltre, nel Pastore tedesco le lesioni ecografiche a carico dell’apparato mitralico appaiono meno evidenti e spesso l’unica alterazione riconoscibile è rappresentata dal prolasso di uno o di entrambi i lembi mitralici. Tali osservazioni morfologiche sembrano confermate dall’esame anatomo patologico eseguito su alcuni cani di razza Pastore tedesco. In questi soggetti infatti, sebbene l’aspetto microscopico delle lesioni valvolari sia riferibile a degenerazione di tipo mixomatoso, identica a quella osservata nei pazienti di piccola taglia, la localizzazione di tali lesioni è prevalentemente sul margine libero valvolare, suggerendo che esse siano determinate da un meccansimo di danno e riparazione continui legati all’insufficienza mitralica più che ad un processo primario a carico dell’apparato valvolare stesso. Osservazioni cliniche ed ecocardiografiche simili, sono state riscontrate dal nostro gruppo, anche in un piccolo gruppo di Pastori Maremmano-Abruzzese, Un progetto multicentrico di ricerca dedicato a meglio descrivere il decorso clinico e gli aspetti anatomo patologici della MVC nei cani di grossa taglia è attualmente in corso presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Torino.

La malattia cronica valvolare (MCV) è la patologia cardiovascolare più comune del cane. I maschi sono più colpiti delle femmine e la malattia peggiora con l’età. I cani di razze di piccola taglia sono più frequentemente colpiti rispetto a quelli di grossa taglia e un’alta prevalenza della malattia è stata riportata nel Cavalier King Charles. De Madron descrive l’insufficienza mitralica primaria acquisita nei cani di grossa taglia ed evidenzia come il Pastore Tedesco, tra questi, sia la razza più frequentemente affetta. La MCV della valvola mitrale determina una dilatazione atriale sinistra tanto maggiore quanto maggiore è il volume rigurgitante e tanto più è lenta la progressione della malattia. Le conseguenze dell’insufficienza mitralica a carico del ventricolo sinistro sono rappresentate da sovraccarico di volume che provoca dilatazione ventricolare e ipertrofia eccentrica, necessarie entrambe per normalizzare lo stress diastolico e per mantenere un’adeguata gittata cardiaca. Questi meccanismi di compenso possono risultare efficaci per molti anni, ma quando raggiungono il loro limite fisiologico, la malattia esita in insufficienza cardicaca progressiva e clinicamente evidente. I segni clinici più comuni sono in questo caso conseguenza dell’edema polmonare, della dilatazione atriale, delle aritmie sopraventricolari, e, talora, nelle fasi avanzate della malattia, dell’insufficienza miocardica (IM) ed dell’ipertensione polmonare. Da un punto di vista anatomo patologico, i lembi valvolari si presentano ispessiti, coartati e con formazioni nodulari in prossimità dei margini liberi. Istologicamente tale lesioni sono caratterizzate da degenerazione mixomatosa più o meno estesa dell’apparato valvolare. Nelle razze di grossa taglia De Madron, riferisce che l’IM rappresenta un evento più comune e precoce, che l’ipertensione polmonare non è rara, e che le aritmie atriali e ventricolari appaiono frequentemente. Inoltre, le alterazioni morfologiche ecografiche valvolari nei cani di grossa taglia appaiono meno evidenti. Questi dati sembrano confermati da uno studio retrospettivo condotto dal nostro gruppo che ha valutato un gruppo di Pastori tedeschi affetti da prolasso mitralico e/o insufficienza mitralica e un gruppo di cani di piccola taglia affetti da MCV. In questo studio sono stati retrospettivamente valutati i dati clinici ed ecocardiografici di un gruppo di cani di razza P. Tedesco e di un gruppo di cani di pe-


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

so inferiore ai 15 kg entrambi affetti da patologia mitralica. I due gruppi non differivano per quanto concerne la distribuzione di sesso, età e classe di insufficienza cardiaca (ISACHC). L’analisi dei dati ha evidenziato come nel gruppo dei Pastore Tedeschi l’IM e la fibrillazione atriale (FA), sono più frequenti rispetto ai cani di piccola taglia.. Inoltre, nel Pastore tedesco le lesioni ecografiche a carico dell’apparato mitralico appaiono meno evidenti e spesso le unica alterazioni riconoscibile sono rappresentate dal prolasso di uno o di entrambi i lembi mitralici, o dall’aspetto ridondante di uno o di entrambi i lembi mitralici. Tali osservazioni morfologiche sembrano confermate dall’esame anatomo patologico eseguito presso il Dipartimento di Patologia Animale di Torino su alcuni cani di razza Pastore tedesco. In questi soggetti infatti, sebbene l’aspetto microscopico delle lesioni valvolari riscontrate, sia riferibile ad una degenerazione di tipo mixomatoso, identica a quella osservata nei pazienti di piccola taglia, la localizzazione di tali lesioni è prevalentemente sul margine libero valvolare, suggerendo che esse siano determinate più da un meccansimo di danno e riparazione continui legati all’insufficienza mitralica, che ad un processo primario a carico dell’apparato valvolare stesso. Osservazioni cliniche ed ecocardiografiche simili, sono state riscontrate dal nostro gruppo, anche in un piccolo gruppo di Pastori Maremmano-Abruzzese. La maggiore prevalenza della FA nei cani di grossa taglia non rappresenta un evento inatteso, poiché è noto che per sviluppare questa aritmia è necessaria una massa critica di tessuto atriale con alterate proprietà elettriche, e che tale massa è raramente presente nei pazienti di piccola taglia. Da questo punto di vista la presenza delle FA in un cospicuo numero di pazienti di grossa taglia (43,9%) del nostro studio e 50% nello studio di De Madron, potrebbe spiegare la ragione della più precoce comparsa dei segni clinici nei pazienti affetti nonché la più frequente e precoce comparsa di IM. Infatti, in molti di questi pazienti la frequenza cardiaca supera i 200 battiti al minuto. In tali condizioni, lo svuotamento completo dell’atrio sinistro è impedito e di conseguenza anche il riempimento ventricolare viene alterato. Questa situazione da un punto di vista emodinamico esita in un aumento delle pressioni capillari polmonari e in una compromissione della gittata cardiaca. Inoltre l’elevata frequenza cardiaca conduce ad un aumento del lavoro cardiaco ed eventualmente ad ischemia miocardica in associazione con il sovraccarico di volume cronico presente e quindi alla comparsa di aritmie ventricolari. De Madron riferisce che il 12% dei pazienti da lui studiati presentavano infatti extrasistoli ventricolari e tale dato è confermato anche nel nostro studio. La presenza di aritmie potrebbe quindi spiegare in parte l’IM più frequentemente riscontrata nei cani di grossa taglia affetti da MVC. Tale associazione tuttavia apparirebbe smentita dal nostro studio in quanto sebbene si sia osservato che i cani di peso superiore a 20 kg presentino un rischio 5,8 volte maggiore di sviluppare IM, fibrillazione atriale, e aritmie ventricolari, la presenza della fibrillazione atriale non è associata allo sviluppo dell’IM stessa. Inoltre una lieve o moderata insufficienza miocardica (definita dalla presenza di un indice te-

39

lesistolico compreso tra 50 e 100 ml/m2 in pazienti normotesi), è stata osservata in molti cani di razza P. Tedesco al momento del primo esame e in assenza di segni clinici, mentre al momento della comparsa della sintomatologia molti cani di grossa taglia presentano indici telesistolici > 100 ml/m2 indicativi di un’insufficienza miocardica più grave. L’IM evidenziata in questi pazienti potrebbe contribuire in modo essenziale alla comparsa dei segni clinici così come è stato osservato nell’uomo, ed inoltre può rendere difficile la diagnosi differenziale nei confronti della miocardiopatia dilatativa. Tra gli elementi che possono contribuire ad una diagnosi differenziale in tali condizioni troviamo l’età più giovane ed il maggior grado di compromissione sistolica caratteristici dei cani affetti da cardiomiopatia dilatativa. Inoltre, molti dei pazienti affetti da insufficienza mitralica primaria con compromissione della funzione sistolica se trattati aggressivamente presentano valori di frazione di accorciamento che si riportano intorno al 20-25%, mentre tali valori non si riscontrano mai in pazienti affetti da cardiomiopatia dilatativa in fase sintomatica. Diverse sono le ipotesi per la diminuita funzione contrattile apparentemente presente nei cani di grossa taglia affetti da MCV. In modelli sperimentali è stato osservato infatti che questo evento possa essere il risultato finale della perdita di miofibrille, eventualmente provocato dall’elevata stimolazione adrenergica presente nei pazienti affetti da insufficienza cardiaca. L’aumento del tono adrenergico è infatti stato documentato in un gruppo di cani in cui è stata sperimentalmente indotta un’insufficienza mitralica. Un’altra ipotesi suggerita per spiegare la comparsa dell’IM nei cani affetti da MCV è l’inadeguata risposta ipertrofica. Infatti, in corso di insufficienza mitralica in pazienti normotesi, si determina una riduzione del post carico, ed una riduzione dello stimolo all’ipertrofia dei cardiociti necessaria per mantenere un’adeguata gittata cardiaca. In tali condizioni è l’aumento del tono adrenergico che consente il mantenimento della portata sebbene esso comporti molti effetti negativi sui cardiociti stessi. Il ruolo svolto dall’aumento del tono adrenergico nella diminuzione della funzione contrattile in cani con insufficienza mitralica sperimentalmente indotta, appare dimostrato dal fatto che la somministrazione di farmaci beta bloccanti in questi cani, conduce ad un miglioramento della funzione contrattile e ad aumento del numero degli elementi contrattili nel miocardio di questi cani. Tuttavia deve essere sottolineato che si assume corretta tale ipotesi per spiegare la comparsa dell’IM nei pazienti affetti da MCV, tale ipotesi non permette di spiegare perché tale evento non si verifichi anche nei soggetti di piccola taglia. Di seguito sono riportate le tabelle 1, 2, 3, 4, che riassumono i dati clinici ed ecocardiografici del gruppo di 58 pastori tedeschi da noi studiato. Poiché la patologia mitralica nei cani di grossa taglia appare presentare molte peculiarità cliniche, ecocardiografiche e anatomo patologiche un progetto multicentrico di ricerca dedicato a meglio descrivere il decorso clinico e gli aspetti anatomo patologici della MVC nei cani di grossa taglia è attualmente in corso presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Torino.


40

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Letture consigliate

Tabella 1 Anamnesi e segni clinici Anorexia

Dyspnea

Ascites

Reduced muscular mass

11.8%

29.2%

23.5%

52.9%

Tabella 2 Reperti ascultatori Absent

I/VI

II/VI

III/VI

IV/VI

V/VI

VI/VI

17.6%

5.9%

19.6%

35.3%

19.6%

2.0%

0%

Tabella 3 Classe di IC (ISACHC) Ia

Ib

II

IIIa

IIIb

13.8%

37.9%

34.5%

13.8%

0%

Tabella 4 Reperti ecocardiografici ESV-I (ml/m2)

EDV-I (ml/m2)

SF (%)

EPSS (mm)

LA/Ao

Mean ± SD

56.6±32.0

138.3±58.5

33.3±7.7

6.6±3.3

1.9±0,8

Range

17.0-135.7

52.8-301.3

16.0-52.0

3.0-1.5

1.0-4.5

ESV-I = indice telesistolico; EDV-I = indice telediastolico; SF = frazione di accorciamento; LA/Ao = atrio sx/aorta

Buchanan JW. Chronic valvular disease (endocardiosis) in dogs. Adv Vet Sci Comp Med 1977; 21: 75-106. De Madron E. Primary acquired mitral insufficiency in adult large breed dogs. Proc. 10th ACVIM Forum 1992; 608-609. Kittleson MD. Myxomatosus atrioventricular valvular degeneration. In Kittleson MD, Kienle RD: “Small animal cardiovascular medicine", 1998, Mosby St. Louis; 297-318. Whitney JC. Observations on the effect of age on the severity of heart valve lesions in the dog. J Small Anim Pract 1974; 15: 511-522. Sisson D, Kvart C, Darke PGG. Acquired valvular heart disease in dogs and cats. In Fox PR, Sisson D, Moise NS: “Textbook of Canine and feline cardiology”, 1999, WB Saunders; 536-566. Lombard CW. Pathophysiology and therapy of mitral regurgitation in the dog. Proc. 6th ESVIM Annual Congress 1996; 35-38. Le Winter MM, Engler RL, Karliner JS. Enhanced left ventricular shortening during chronic volume overload in conscious dogs. Am J Physiol 1980; 238: H126-H133. Manohar M, Smetzer DL. Atrial fibrillation. Comp Cont Ed Prac Vet 1992; 14: 1327-1333. Kittleson MD, Eyster GE, Knowlen GG, et al. Myocardial function in small dogs with chronic mitral regurgitation and severe congestive heart failure. J Am Vet Med Assoc 1984; 184: 455-459. O’Grady MR. Acquired valvular heart disease. In Ettinger SJ, Feldman EC: “Textbook of Veterinary Internal Medicine,” 1995 WB Saunders, Philadelphia; 944-958. De Madron E. Unusual aspects of mitral valve disease in the dog. Proc. 16th ACVIM Forum 1998; 116- 118. Schuler G, Peterson KL, Johnson A, et al. Temporal response of left ventricular performance to mitral valve surgery. Circulation 1979; 59: 1218-1231. Newman WH, Webb JG, Privitera PJ. Persistence of myocardial failure following removal of chronic volume overload. Am J Physiol 1982; 243: H876-H883. Urabe Y, Mann DL, Kent RL, et al. Cellular and ventricular contractile dysfunction in experimental canine mitral regurgitation. Circ Res 1992; 70: 131-147. Nagatsu M, Zile MR, Tsutsui H, et al. Native b-adrenergic support for left ventricular dysfunction in experimental mitral regurgitation normalizes indexes of pump and contractile function. Circulation 1994; 89: 818-826. Ware WA, Lund DD, Subieta AR, et al. Sympathetic activation in dogs with congestive heart failure caused by chronic mitral valve disease and dilated cardiomyopathy. J Am Vet Med Assoc 1990; 197: 1475-1481. Tsutsui H, Spinale FG, Nagatsu M, et al. Effects of chronic b-adrenergic blockade on the left ventricular and cardiocyte abnormalities of chronic canine mitral regurgitation. J Clin Invest 1994; 93: 2639-2648. Dupuis J, Moe GW, Cernacek P. Reduced pulmonary metabolism of endothelin-1 in canine tachycardia-induced heart failure. Cardiovasc Res 1998; 39: 609-616. Guglielmino R, Geuna M, Tarducci A et al. Atti XLIX SISVET 1995; 811-812 Marin-Garcia J, Goldenthal MJ, Moe GW. Abnormal cardiac and skeletal muscle mitochondrial function in pacing-induced cardiac failure. Cardiovasc Res 2001; 52:103-110. Bolger AP, Anker SD. Tumour necrosis factor in chronic heart failure: a peripheral view on pathogenesis, clinical manifestations and therapeutic implications. Drugs 2000; 60: 1245-1257.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

41

Ipertensione polmonare in corso d’insufficienza mitralica nel cane David Chiavegato Med Vet - Padova

Estratto breve L’ipertensione polmonare rappresenta l’esito di un disordine primario o secondario del letto vascolare polmonare. Essa può essere classificata come precapillare, quando il coinvolgimento vascolare riguarda il letto arterioso polmonare (vasocostrizione arteriolare ipossiemica, muscolarizzazione, occlusioni a varia eziologia) e postcapillare quando l’origine del fenomeno ipertensivo risiede in una patologia cardiaca a coinvolgimento dei settori sinistri. Ad un incremento della pressione atriale sinistra può conseguire un aumento della pressione arteriosa polmonare sistolica e diastolica con tre possibili meccanismi fiosiopatologici conosciuti: 1) trasmissione passiva 2) vasocostrizione arteriolare (ipertensione polmonare reattiva) 3) modificazioni obliterative delle arteriole Le variazioni pressorie sono inoltre condizionate dalla compliance atriale sinistra e dalla compliance polmonare.

Su un campione di 344 esami ecocardiografici eseguiti nell’intervallo temporale fra l’ottobre 1999 e l’ottobre 2002 con diagnosi di patologia cardiaca acquisita a coinvolgimento dei settori sinistri, si sono studiate le possibili correlazioni esistenti fra la pressione ventricolare destra (quindi delle pressione polmonare essendo tutti soggetti senza ostruzione del tratto di efflusso), la classe di insufficienza cardiaca (classificazione ISACH) e vari parametri ecocardiografici (ESVI, EDVI, dimensioni atriali). L’aumento dei diametri telediastolici ed atriali sinistri si accompagna ad un incremento della classe di PVD fra 48-80 mmHg con aumento delle misurazioni fra i 60 e gli 80 mmHg. Al contrario si osserva una riduzione della rappresentazione della classe di PVD al di sotto di 35 mmHg. Aumento tendenziale della pressione ventricolare destra si rileva anche con il progredire della classe di insufficienza cardiaca. Meno marcata appare questa tendenza valutando l’ESVI. I dati emersi, seppure necessitino di un ulteriore sforzo di approfondimento e conferma istologica, ipotizzano l’esistenza di una correlazione fra patologia cardiaca sinistra e pressione arteriosa polmonare non solo come esito di un processo passivo.


42

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

La radiologia e la tomografia computerizzata (TC) nella diagnostica delle mediastinopatie Mario Cipone Med Vet - Università di Bologna

Estratto breve Il mediastino è lo spazio compreso tra le riflessioni mediane dei due foglietti pleurici che si modellano sulle strutture in esso contenute; separa in modo incompleto, nel cane e nel gatto, l’emitorace destro e sinistro ed è in comunicazione, attraverso lo iato aortico, con lo spazio retroperitoneale e, attraverso l’ingresso del torace, con i piani fasciali profondi del collo. Mediante radiologia convenzionale (Rx) sono riconoscibili in modo sintetico solo alcuni organi (trachea, cuore, aorta, vena cava caudale, timo) mentre la tomografia computerizzata (TC) permette una visualizzazione analitica di tutte le sue strutture. Anche l’ecografia, transtoracica o transesofagea, è applicabile se le strutture mediastiniche sono a contatto diretto con la parete toracica o se un concomitante versamento pleurico fornisce una finestra acustica. Le principali indicazioni per lo studio del mediastino sono le disfagie, le disfonie, le disfunzioni respiratorie, le compressioni cavali, le paralisi diaframmatiche e le disfunzioni tiroidee (tiroidi ectopiche). Le patologie mediastiniche possono essere sinteticamente così classificate: spostamenti, pneumomediastino, ingrandimenti focali o diffusi. Gli spostamenti del mediastino, meglio visibili nelle proiezioni sagittali, dipendono o dalla riduzione di volume di un polmone (spostamento ipsilaterale alla lesione) o dall’aumento di volume di un emitorace (p.e. pneumotorace) o di una massa (spostamento controlaterale alla lesione). Il pneumomediastino consegue alla presenza patologica di aria/gas che si infiltra tra le sue strutture e, aumentandone il contrasto, le rende singolarmente visibili in proiezione latero-laterale. Esso può derivare da rotture delle vie aeree (p.e. lesioni tracheali per manovre anestesiologiche

o diagnostiche di pneumopatie); lesioni esofagee; avvelenamento da Paraquat; ferite penetranti del collo, faringe; estensione di gas dallo spazio retroperitoneale ed infezione mediastinica da germi anaerobi. Gli ingrandimenti focali sono generalmente legati a masse neoplastiche, infiammatorie o cistiche) che si presentano come ombre di radiopacità tissulare che spostano gli organi adiacenti; ai fini della formulazione delle ipotesi diagnostiche per una massa mediastinica è pertanto utile applicare il criterio della localizzazione anatomo-topografica e dei rapporti contratti dalla lesione con le strutture contigue; spesso ciò permette di intuirne la sede di origine (p.e. adenomegalie, chemodectomi, neoplasie esofagee). Gli ingrandimenti diffusi del mediastino, secondari a flogosi, emorragie, edema, riconoscono numerose cause: infezioni da corpi estranei penetranti (spesso di origine vegetale); estensione di infezioni da strutture contigue intra ed extratoraciche (rotture esofagee, traumi della regione ascellare); peritonite infettiva del gatto; coagulopatie (m. di von Willebrand); traumi da collare (emorragie timiche nei cuccioli). L’infiltrazione liquida (trasudatizia, essudatizia, ematica) dello spazio mediastinico ne determina un allargamento che, in relazione alla sua entità, diventa riconoscibile meglio nelle proiezioni sagittali. Risulta molto indicativa inoltre la rilevazione di un ispessimento delle riflessioni mediastiniche utilizzando diverse proiezioni e/o posizioni del paziente. La diagnosi radiografica di mediastinite o di edema mediastinico può risultare difficoltosa in relazione al possibile coinvolgimento degli spazi adiacenti e delle sierose contigue come il pericardio o la pleura; in questo caso metodiche aggiuntive (TC, ecografia) possono consentire la individuazione più precisa delle strutture interessate dal processo patologico valutandone i limiti ed i rapporti.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

43

Le regole di base per capire le aspettative dei vostri clienti: identificazione e la tipologia del cliente Fabrice Clerfeuille Dr Vét, PhD, MBA - Management University of Nantes, Francia

Estratto breve La concorrenza sempre più forte tra i veterinari, unita al comportamento sempre più attivo dei proprietari di animali da compagnia, impone una migliore comprensione delle aspettative dei clienti. Ciò consente di garantire il massimo benessere ai loro animali. Focalizzare le aspettative dei clienti comporta la necessità di conoscere i servizi associati che questi si aspettano di ricevere e la percezione che hanno degli stessi attraverso la loro personalità.

I. I SERVIZI ASSOCIATI ATTESI DAL CLIENTE Il consumatore che si reca in un’impresa di servizi ha due tipi di aspettative: una concernente il servizio di base (per cui è venuto nella vostra struttura) e l’altra relativa al modo in cui questo viene offerto (servizi associati).

A - Servizio di base e servizi associati Il consumatore che entra in un’impresa di servizi ha un bisogno. Questo deve essere soddisfatto dall’impresa proponendogli un servizio globale. Quest’ultimo è costituito da due componenti: un servizio di base e dei servizi associati. Il servizio di base corrisponde alla prestazione stessa, il servizio per il quale il consumatore è entrato. Per un cliente di una clinica veterinaria, il servizio di base è la prestazione medica, il consiglio o la chirurgia. I servizi associati sono rappresentati da tutto ciò che è di contorno, dall’atto dell’arrivo del cliente nel parcheggio alla sua uscita dalla clinica. Si può anche dire che questi servizi associati sono tutto ciò che facilita il servizio di base e la sua percezione. La percezione e la valutazione da parte del cliente del servizio globale offerto dalla clinica risulterà dalla sua stima della qualità del servizio di base e della qualità dei servizi associati ricevuti durante il suo rapporto con la stessa.

B - Natura dei servizi associati Nel marketing dei servizi vengono descritti otto gruppi di servizi associati, indipendentemente dalla natura dell’impresa di servizio:

- La qualità dell’informazione fornita dall’impresa di servizio - La qualità dei consigli ricevuti dal personale dell’impresa - La qualità della presa d’ordini da parte dell’impresa - L’ospitalità percepita trasmessa dall’impresa - La sicurezza per i propri beni all’interno dell’impresa - La gestione da parte dell’impresa degli eventi eccezionali qualora si verifichino - La fatturazione delle prestazioni - I diversi modelli di pagamento utilizzabili per regolare i servizi di base. Rispondere alle aspettative dei clienti comporta quindi non soltanto di offrire un buon servizio di base (effettuare bene la prestazione richiesta dal cliente) ma anche di assicurare la qualità degli otto servizi associati sopra descritti. Inoltre conviene tener conto della personalità del cliente mentre si interagisce con lui.

II. TENERE CONTO DELLA PERSONALITÀ DEL CLIENTE La personalità del cliente interviene nella sua percezione e valutazione del servizio globale proposto dalla clinica. Occorre quindi cercare di comprenderla per adattarvisi e rispondere al meglio alle sue aspettative.

A - Personalità e comportamenti Sono state effettuate numerose ricerche sulla personalità per trovare delle chiavi di comprensione dei comportamenti. Tutti questi lavori sono derivati dal pensiero di Jung sul funzionamento dello spirito umano. Il suo principio di base è semplice: le variazioni del comportamento che si osservano tra gli individui non derivano dal caso ma sono la conseguenza delle preferenze spontanee che riguardano molteplici dimensioni fondamentali. La combinazione di queste preferenze porta a famiglie di caratteri o tipi psicologici. I vantaggi dei diversi indicatori impiegati sono molteplici: - non sono mirati a giudicare: non si hanno risposte buone o cattive, ma maniere diverse di essere e di agire, delle quali occorre essere a conoscenza per potersi adattare alle differenti situazioni: - descrivono finemente il funzionamento della personalità, mettendo in rilievo i punti forti e le eventuali difficoltà di ciascuno, suggerendo vie di miglioramento;


44

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

- consentono di comprendere le diversità tra le persone e di trarne vantaggio, di accettare l’altro non più “malgrado” ma “per” la sua diversità. L’autore riporterà, con un intento operativo, una tipologia costruita su due dimensioni, ciascuna delle quali è stata definita da due poli opposti.

B - I quattro tipi di personalità I due assi ritenuti facili da evidenziare in caso di interazione con il cliente saranno i seguenti: - Un primo asse che contrappone i clienti che privilegiano i fatti a quelli che preferiscono le emozioni. - Un secondo asse che oppone i clienti pazienti a quelli impazienti. Questi due assi determinano quattro quadranti (quattro tipi di personalità) che risultano da quattro combinazioni possibili: - Gli “Analisti”, pazienti e che privilegiano i fatti; - Gli “Affabili”, pazienti e che privilegiano le emozioni; - I “Pragmatici”, impazienti e che privilegiano i fatti; - Gli “Estroversi”, impazienti e che privilegiano le emozioni. Individuare il tipo di personalità del cliente consente quindi di rispondere meglio alle sue attese, adattando la sua comunicazione.

Le service de base correspond à la prestation elle-même, le service pour lequel le consommateur est entré. Pour un client d’une clinique vétérinaire, le service de base est l’acte médical, le conseil ou la chirurgie. Les services associés sont constitués de tout ce qui va environner l’acte de l’arrivée du client sur le parking à sa sortie de la clinique. On peut aussi dire que ces services associés sont tout ce qui va faciliter le service de base et sa perception. La perception du client et son évaluation du service global offert par la clinique résultera de son estimation de la qualité du service de base et de la qualité des services associés reçus pendant son interaction avec la clinique vétérinaire.

Estratto completo B - Nature des services associés La concurrence de plus en plus forte entre les vétérinaires, associée au comportement de plus en plus actif des propriétaires d’animaux de compagnie nécessitent de mieux comprendre les attentes des clients. Mieux comprendre les attentes des clients c’est mieux y répondre pour le bienfait de leur animal. Cerner les attentes des clients nécessite de connaître les services associés attendus par le client et sa perception de ces services au travers de sa personnalité.

I. LES SERVICES ASSOCIÉS ATTENDUS PAR LE CLIENT Le consommateur qui se rend dans une entreprise de service a deux types d’attentes: une attente concernant le service de base (ce pour quoi il est venu dans cette entreprise de service), et la façon dont s’est déroulé ce service de base (les services associés).

A - Service de base et services associés Le consommateur qui rentre dans une entreprise de service à un besoin. Ce besoin va être satisfait par l’entreprise en lui proposant un service global. Ce service global est constitué de deux composantes: un service de base et des services associés.

En Marketing des services, huit groupes de services associés sont décrits et ce quelque soit la nature de l’entreprise de service: - La qualité de l’information donnée par l’entreprise de service: les clients souhaitent des informations concernant les caractéristiques ou l’utilisation des biens qu’ils acquièrent. Ils souhaitent également des rappels. - La qualité des conseils reçus par le personnel de l’entreprise: on peut augmenter la valeur des biens et des services proposés en offrant de services personnalisés aux clients. - La qualité de la prise de commande par l’entreprise: beaucoup de produits peuvent être commandés à l’avance. Les clients veulent savoir quand ces produits seront disponibles, avec un engagement de livraison. - L’hospitalité perçue de la part de l’entreprise: les clients qui investissent du temps, de l’énergie et de l’argent à venir chez vous nécessitent qu’ils soient traités comme des invités. - La sécurité pour ses biens dans l’entreprise: les clients ne veulent pas se soucier des biens qu’ils amènent sur le site de service pas plus que des produits ou des services qu’ils y achètent. - La gestion par l’entreprise des exceptions lorsqu’elles arrivent: les clients souhaitent une certaine souplesse lorsqu’ils demandent quelque chose de spécial ou lorsque quelque chose ne fonctionne pas normalement.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

45

- La facturation de la prestation: les clients souhaitent une facture claire, simple et lisible. - Les différents modes de paiements utilisables pour régler le service de base: les clients souhaitent des modes de paiement variés et simples. Répondre aux attentes des clients nécessite donc non seulement d’offrir un bon service de base (bien accomplir la prestation demandée par le client) mais également de s’assurer de la qualité des huit services associés décrits ci-dessus. Ensuite il convient de tenir compte de la personnalité du client lors de l’interaction avec lui.

II. PRISE EN COMPTE DE LA PERSONNALITÉ DU CLIENT La personnalité du client intervient dans sa perception et son évaluation du service global proposé par la clinique. Il faut donc essayer de comprendre la personnalité du client pour s’y adapter et mieux répondre à ses attentes.

A - Personnalité et comportements De nombreuses recherches ont été effectuées sur la personnalité afin de trouver des clés d’explication des comportements. Tous ces travaux sont issus de la pensée de Jung sur le fonctionnement de l’esprit humain. Son principe de base en est simple: les variations de comportement que l’on observe entre les individus ne sont pas le résultat du hasard mais la conséquence de préférences spontanées concernant plusieurs dimensions fondamentales. La combinaison de ces préférences conduit à des familles de caractères ou types psychologiques. Les avantages des différents indicateurs utilisés sont nombreux: - ils ne sont pas destinés à juger: il n’y a pas de bonnes ou mauvaises réponses, mais des manières d’être ou d’agir différentes, dont il faut être conscient pour pouvoir s’adapter aux différentes situations; - ils décrivent en finesse le fonctionnement de la personnalité en mettant en relief les points forts et les difficultés éventuelles de chacun en suggérant des démarches d’amélioration; - ils permettent de comprendre les différences d’une personne à l’autre et d’en tirer parti, d’accepter l’autre non plus “malgré” mais “pour” sa différence. Nous retiendrons, dans un souci d’opérationnalisation, une typologie construite autour de deux dimensions, chacune étant définie par deux pôles opposés.

B - Les quatre types de personnalité Les deux axes retenus, faciles à mettre en évidence lors d’une interaction avec le client seront les suivants: - Un premier axe opposant les clients qui privilégient les faits à ceux qui privilégient les émotions; - Un deuxième axe opposant les clients patients à ceux qui sont impatients.

Ces deux axes déterminent quatre cadrans (quatre type de personnalité) résultant des quatre combinaisons possibles: - Les “Analystes”, patients et privilégiant les faits; - Les “Affables”, patients et privilégiant les émotions; - Les “Pragmatiques”, impatients et privilégiant les faits; - Les “Extravertis”, impatients et privilégiant les émotions. Les extravertis sont expansifs, parfois jusqu’à l’excès. Ils ont besoin d’être rassurés sur eux-mêmes, ce qui les amène à agir sur le mode de la séduction. Leur sociabilité et leur enthousiasme fait qu’ils sont souvent entourés de nombreuses personnes. Ils ont un mode d’organisation très personnel, peu structuré pour les autres. Les pragmatiques se caractérisent par leur réalisme et l’attention qu’ils portent aux plus petits détails comme les analystes, mais ils réagissent spontanément et rapidement aux situations qui se présentent. Ils cherchent à optimiser leurs efforts et économiser l’énergie déployée à obtenir un résultat. Ils veulent la meilleure efficacité et considèrent toujours l’utilité pratique dans leurs comportements. Ils vivent dans le présent. Les affables observent et s’expriment relativement peu. Ils sont très fortement tournés vers le bien être des autres et font inlassablement preuve de dévouement et de gentillesse. Ils recherchent avant tout l’harmonie entre les personnes, et les conflits leur sont particulièrement pénibles. Ils cherchent à arranger tout le monde. Ils ont tendance à se sous-estimer et à passer inaperçus. Les analystes sont des observateurs extrêmement attentifs: ils notent tout ce qui se passe dans les choses, les événements ou les personnes autour d’eux. Ils s’imprègnent des plus petits détails. Les analystes sont calmes, méthodiques, stables, bien organisés. Leur réflexion est analytique et méthodique. Tenir compte des attentes des clients est désormais possible: contrôlez la qualité de vos services associés et prenez en compte la personnalité de vos clients. Sa perception du service global sera alors excellente, ce qui augmentera son niveau de satisfaction et sa fidélité à votre clinique.


46

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

La negoziazione con i fornitori per l’acquisto dei prodotti Fabrice Clerfeuille Dr Vét, PhD, MBA - Management University of Nantes, Francia

Estratto breve Nelle nostre strutture, la vendita è sempre più importante ed impone di negoziare al meglio i contratti d’acquisto con i laboratori farmaceutici. La negoziazione con gli informatori medico-scientifici può essere migliorata, perché spesso viene condotta frettolosamente e con scarsa precisione. La seguente presentazione ha lo scopo di illustrare alcuni elementi di questa contrattazione.

B. Le informazioni sulla casa farmaceutica - Le statistiche d’acquisto dei prodotti della casa farmaceutica in oggetto ed i confronti in relazione all’anno prima; - I resi di cui avete beneficiato con questa ditta; - La lista delle pecche della casa farmaceutica (campioni gratuiti –CG – non ricevuti, consegne in ritardo, ecc…).

I. LA NEGOZIAZIONE COMMERCIALE I. BASI TEORICHE DELLA NEGOZIAZIONE La contrattazione può essere rappresentata da un territorio i cui due estremi sono lo scontro (zona di negoziato conflittuale) e l’intesa (zona di negoziato cooperativo). Il primo è all’origine delle relazioni vincitore-vinto non vantaggioso per il venditore o l’acquirente. Inoltre contribuisce a future contrattazioni ancora più negative. La zona di contrattazione cooperativa va preferita nella misura in cui porta ad una relazione vincitore-vincitore ed a una conciliazione degli interessi delle due parti.

Si possono verificare due tipi di contrattazione: una per un contratto singolo ed una per una fornitura annuale. La negoziazione per un contratto annuale va effettuata sempre su appuntamento, senza limiti di tempo (appuntamento a fine mattinata o tardo pomeriggio).

A - La scelta dei farmaci Dato che l’obiettivo di questa relazione è di natura commerciale, ricorderemo sicuramente che la qualità dei farmaci è la clausola primaria della contrattazione…. prima di ogni altra cosa!

II. LA PREPARAZIONE DEL NEGOZIATO COMMERCIALE Un negoziato commerciale va sempre preparato in anticipo prima della visita dal rappresentante farmaceutico. Questa preparazione segue numerose fasi che è importante rispettare.

A. Le informazioni sui vostri acquisti che dovete avere - Le statistiche dei vostri acquisti dell’anno precedente, classificati per casa farmaceutica e per prodotto: - Le statistiche dei vostri acquisti dell’anno in corso, suddivise per trimestre, classificate per laboratorio e per prodotto; - I (vostri) fabbisogni dei farmaci prodotti dalla casa rappresentata dall’informatore che ha preso appuntamento, in funzione dei vostri stock attuali e delle contrattazioni con le ditte concorrenti.

B - Valutazione della rimessa proposta dal rappresentante farmaceutico Occorre innanzitutto passare dalla percentuale di campioni gratuiti (CG) proposta alla percentuale di prodotto pagato: % pagata = 100 – 100 x numero acquistati numero acquistati + CG Successivamente, si devono effettuare alcune sottrazioni: - Sconto praticato a fine anno dal grossista se avete effettuato acquisti diretti; - Differenza dal prezzo praticato dalla casa farmaceutica con quello del vostro grossista se avete acquistato direttamente; - Eventuale perdita dello sconto per pagamento in contanti se la fattura d’acquisto è molto consistente; - Spesa di magazzino: 1% al mese x numero di mesi di stoccaggio.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Si possono tuttavia effettuare delle aggiunte alla percentuale di spesa calcolata, come ad esempio un aumento del prezzo futuro di questo farmaco da parte della casa produttrice. Una volta eseguito questo calcolo, confrontate il valore ottenuto con la rendita finanziaria di un investimento e con i valori ottenuti per altre case farmaceutiche.

IV - IL SEGUITO DELLA NEGOZIAZIONE È importante seguire il contratto effettuato e, per ogni negoziazione, compilare una scheda che riporti: - Data dell’incontro - I farmaci commissionati: numero, CA, ecc… - Le condizioni ottenute in corso di contrattazione; - Se la fornitura dei farmaci è attivata dal rappresentante o se siete voi che vi dovete preoccupare di richiederla: - Se la fornitura è tempestiva o differita nel tempo; - Se il contratto include dei campioni gratuiti, questi vengono forniti immediatamente dal rappresentante o vi saranno dati in seguito? In quest’ultimo caso, qual è la data di arrivo prevista per i campioni gratuiti?

47

Affrontement

Compromis

Entente

Concessions Relations gagnant/perdant Négociation conflictuelle

Contreparties Relations gagnant/gagnant Négociation raisonnée

Accord parfait Relations gagnant/gagnant Négociation coopérative

Gagnant Perdant

Gagnant Gagnant

Perdant Perdant

Perdant Gagnant

CONCLUSIONE Qualunque sia il contratto effettuato, una buona contrattazione richiede che entrambe le parti la onorino… seguite con cura i vostri contratti e richiedete al vostro grossista le statistiche di acquisto. La realizzazione degli obiettivi fissati dai contratti con i fornitori farmaceutici costituirà una garanzia di fiducia per le negoziazioni future.

II - LA PRÉPARATION DE LA NÉGOCIATION COMMERCIALE

Estratto completo

A - Les renseignements sur vos achats que vous devez avoir

La vente est de plus en plus importante dans nos structures et elle impose de négocier au mieux les contrats d’achats avec les laboratoires pharmaceutiques. Souvent bâclée faute de connaissances, la négociation avec le délégué médical peut être améliorée. Des éléments sur cette négociation constituent l’objet de cette présentation.

I - BASES THÉORIQUES DE LA NÉGOCIATION La négociation peut être représentée par un territoire dont les deux extrêmes sont l’affrontement (zone de négociation conflictuelle) et l’entente (zone de négociation coopérative). La zone de négociation conflictuelle est à l’origine de relations gagnant-perdant non profitable pour le vendeur ou l’acheteur. Elle concourt de plus à des négociations futures encore plus négatives. La zone de négociation coopérative est à privilégier dans la mesure où elle aboutit à une relation gagnant-gagnant et à un rapprochement des intérêts des deux parties.

Une négociation commerciale se prépare toujours avant la visite du délégué médical. Cette préparation suit plusieurs étapes qu’il est important de respecter.

- Les statistiques de vos achats de l’année précédente, classées par laboratoire et par produit; - Les statistiques de vos achats de l’année en cours par trimestre, classées par laboratoire et par produit; - Les besoins en médicaments du laboratoire qui a pris rendez-vous, en fonction de vos stocks actuels et des négociations avec des laboratoires concurrents (Tab. 1).

B - Les renseignements sur le laboratoire - Les statistiques d’achats des produits du laboratoire concerné et les comparaisons par rapport à l’année précédente; - Les remises dont vous avez bénéficié avec ce laboratoire; - La liste des dysfonctionnements du laboratoire (UG non reçues, livraisons tardives, etc.).


48

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

III - LA NÉGOCIATION COMMERCIALE

1

DOMITOR

37631,16

3,94

3,94

2

ANTISEDAN

23224,96

2,43

6,37

3

LEUCOGEN 50

19950,06

2,09

8,46

4

FILM FUJI 24X30

17768,19

1,86

10,32

5

FRONTLINE SPRAY 250 ML

13299,64

1,39

11,71

6

SOLUMEDROL 500

12508,81

1,31

13,02

7

FORENE 250 ML

11798,28

1,24

14,26

8

FEL C/D 5 KGS

10994,84

1,15

15,41

9

OPTIMMUNE

10135,54

1,06

16,47

10 FILM FUJI 30X40

10100,40

1,06

17,53

11 DRONTAL CT 2 CPS

9662,58

1,01

18,54

12 FEL C/D 2 KGS

9635,44

1,01

19,55

13 FELIGEN CRP

9516,23

1,00

20,55

14 REVELATEUR

8727,36

0,91

21,46

15 RILEXINE 600

8573,34

0,85

22,31

16 FORTEKOR 5

8093,75

0,85

23,16

17 MARBOCYL INJ

8082,02

0,85

24,00

18 FRONTLINE SPRAY 100 ML

7789,81

0,82

24,82

19 SOLUMEDROL 120

7782,72

0,81

25,63

20 FRONTLINE SPRAY 500 ML

7758,16

0,81

26,45

21 FEL MAINT LIGHT 5 KGS

7614,42

0,80

27,24

22 DRONTAL CN 100 CPS

7164,56

0,75

27,99

23 DRONTAL CN 2 CPS

6899,52

0,72

28,72

24 OROMEDROL 16 MG

6879,81

0,72

29,44

25 ERCYLENE

6795,58

0,71

30,15

26 CAN MAINT LIGHT 15 KGS

6315,41

0,66

30,81

27 ADVANTAGE 40 CT

6314,62

0,66

31,47

28 OROMEDROL 4 MG

6272,16

0,66

32,13

IV - LE SUIVI DE LA NÉGOCIATION

29 ADVANTAGE 100 CN

6120,13

0,64

32,77

30 FRONTLINE CN 2-10 KGS 3 PIP

6089,34

0,64

33,41

31 CANIGEN CHPPI

6079,50

0,64

34,04

32 OCRYL

5963,20

0,62

34,67

33 THERIOS CT

5803,06

0,61

35,28

34 PERFUSEUR PERFUPACK

5781,34

0,61

35,88

Il est important de suivre le contrat effectué et d’utiliser une matrice pour suivre chaque négociation incluant: - Date du rendez-vous - Les médicaments commandés: nombre, CA, etc. - Les conditions obtenues lors de la négociation; - Si la commande des médicaments est déclenchée par le délégué ou si c’est vous qui vous chargez de commander; - Si la commande est immédiate ou différée dans le temps; - Si le contrat inclue des unités gratuites, sont elles données instantanément par le délégué ou sont elles à venir? Dans ce dernier cas, quelle est la date d’arrivée prévue des unités gratuites?

TOTAL DES ACHATS

954965,98

13 références font 20% des achats de 99 29 références font 33% des achats en 99

Deux types de négociation peuvent se produire: une négociation pour un contrat ponctuel et une négociation pour un contrat annuel. Toujours sur rendez-vous, la négociation d’un contrat annuel se fait sans contrainte de temps (rendezvous en fin de matinée ou en fin d’après-midi).

A - Le choix des médicaments L’objet de cette présentation étant de nature commerciale nous rappellerons bien sûr que la qualité des médicaments est la clause première de la négociation... avant toute autre chose!

B - Estimation de la remise proposée par le délégué médical Il faut tout d’abord passer d’un pourcentage d’unités gratuites (UG) proposé à un pourcentage financier: 100 x nombre acheté % financier = 100 - ————————— nombre acheté + UG Ensuite, certaines diminutions sont à faire: - Ristourne de fin d’année de la centrale si vous achetez en direct; - Différentiel du prix labo avec le prix de votre centrale si vous achetez en direct; - Perte éventuelle de l’escompte pour paiement comptant si la facture d’achat est lourde; - Frais de stockage: 1% par mois x nombre de mois de stockage. Certains rajouts peuvent cependant être effectués sur le pourcentage financier trouvé, comme par exemple une augmentation de tarif prochaine du laboratoire pour ce médicament. Une fois ce calcul fait, comparez ce chiffre obtenu à la rentabilité financière d’un placement et aux résultats calculés avec d’autres laboratoires pharmaceutiques.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

LABORATOIRE:

Produit

49

Date: Qté

CA

Commande

Clinique

UG Financier

Coût

Contrat:

Annuel

Ponctuel

Remise X

contrat annuel

Remise UG

Remise Fi

Délégué

Immédiate

Différée

Date:

Livrées

A venir

En direct

Avec la commande

Date:

Fin d’année

Ponctuelle

Chèque

Autre:

Date:

CONCLUSION Quel que soit le contrat effectué, une bonne négociation nécessite que les deux parties l’honorent... suivez bien vos contrats en demandant à votre centrale les statistiques d’achats. La réalisation des objectifs fixés par les contrats avec les délégués médicaux seront un gage de confiance pour de futures négociations!


50

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

La determinazione del prezzo di vendita di un nuovo servizio Fabrice Clerfeuille Dr Vét, PhD, MBA - Management University of Nantes, Francia

Estratto breve INTRODUZIONE Si può fissare il prezzo di un prodotto o di un servizio secondo tre grandi famiglie di metodi: - Il calcolo del prezzo di costo, al quale va applicato un margine o un coefficiente - La collocazione del prezzo in relazione a quelli praticati dalla concorrenza - La determinazione del prezzo secondo il valore percepito dal consumatore. L’autore desidera presentare in dettaglio un metodo per fissare il prezzo appartenente all’ultima famiglia: il metodo del prezzo psicologico.

1. LE BASI DEL METODO DEL PREZZO PSICOLOGICO Molteplici studi di Marketing indicano che i consumatori utilizzano dei prezzi di riferimento quando vogliono acquistare un prodotto o un servizio. Si prenda l’esempio di un consumatore che desidera acquistare un prodotto. Tra tutti quelli che possono rispondere alle sue esigenze, egli ha in mente tre sottoinsiemi: “l’insieme evocato”, che comprende le marche privilegiate, “l’insieme inerte”, che include le marche che eventualmente acquisterà se non ne trova nel sottoinsieme precedente e infine “l’insieme inadatto”, che comprende le marche conosciute dal consumatore ma che questi non acquisterà mai. Se si riprendono di nuovo in considerazione le marche dell’insieme evocato, il consumatore possiede un prezzo di riferimento, compreso fra un valore di minima al di sotto del quale non acquisterà questo prodotto per mancanza di fiducia ed un prezzo di massima, al di sopra del quale non lo acquisterà perché lo considera troppo caro. Questa zona di prezzo accettabile è la base del concetto di prezzo psicologico.

2. IL METODO DEL PREZZO P SICOLOGICO Questa zona di prezzo così definita serve come base teorica di un metodo per fissare il prezzo di un prodotto o di un

servizio: il metodo del prezzo psicologico. Spesso utilizzato per la determinazione del prezzo di un prodotto o di un servizio nuovo, consiste nel sottoporre due domande ad un campione rappresentativo di consumatori potenzialmente acquirenti di questa categoria di prodotti o di servizi: “Al di sotto di quale prezzo non acquistereste questo prodotto (o servizio)? (ad es., in funzione di dubbi sulla sua qualità) “Al di sopra di quale prezzo non acquistereste questo prodotto (o servizio)? (ad es., in ragione dell’impressione di pagarlo troppo caro). Si calcola il numero di consumatori che ha dato questo valore per ciascun livello di prezzo citato dagli stessi consumatori del campione. Il prezzo per il quale si ottiene il maggior numero di acquirenti è, per definizione, il prezzo psicologico di questo prodotto o servizio analizzato. Applicazione al “tatuaggio” mediante microchip L’autore ha voluto testare questo metodo di determinazione del prezzo per un nuovo servizio proposto ai proprietari di animali da compagnia: il “tatuaggio” mediante microchip. Il modello di questionario distribuito a 100 clienti in questo studio esplorativo era il seguente: “Nel quadro di un lavoro di tesi veterinaria, vorremmo che ci concedeste un minuto del vostro tempo per rispondere a queste due domande. Vi ringraziamo anticipatamente per il vostro aiuto”. I veterinari hanno la possibilità di tatuare un animale da compagnia con una nuova metodica. Si tratta dell’impianto, nel corso di una visita di base e senza anestesia generale, di un microchip elettronico della dimensione di un grano di riso, che riporta un numero. I vantaggi di questa nuova tecnica sono duplici: garantire una lettura perfetta del numero di tatuaggio anche col passare del tempo (garantito da un lettore posseduto da tutti i veterinari di Francia) ed evitare le frodi attuali, in caso di furti di animali da compagnia, che consistono nel cancellare i numeri di tatuaggio o nell’asportare la parte di cute che porta il tatuaggio stesso (orecchio o coscia). Prima domanda: al di sopra di quale prezzo voi non effettuereste questo nuovo processo di tatuaggio del vostro animale presso il vostro veterinario (ritenendolo troppo caro?). Risposta: EURO O, se preferite in FRANCHI: Risposta: FRANCHI


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Seconda domanda: al di sotto di quale prezzo non effettuereste questa nuova procedura di tatuaggio del vostro animale presso il vostro veterinario (ritenendo che non vi fidate perché ritenete il prezzo troppo basso?) Risposta: EURO O, se preferite in FRANCHI: Risposta: FRANCHI

51

manque de confiance et un prix maxima au-dessus duquel il n’achètera pas ce produit, le jugeant trop cher. Cette zone de prix acceptable est la base du concept de prix psychologique.

II - LA MÉTHODE DU PRIX PSYCHOLOGIQUE CONCLUSIONE I risultati di questa inchiesta dimostrano l’interesse che provoca questa tecnica. Tuttavia, essa comporta dei limiti: - Il metodo del prezzo psicologico raccoglie dichiarazioni di intenzioni e non di comportamenti, cosa che implica senza dubbio uno scarto tra ciò che viene detto dal proprietario e ciò che farà. - Il secondo limite riguarda l’impossibilità di utilizzare questa tecnica da sola per fissare il prezzo di un prodotto o di un nuovo servizio. Essa consente semplicemente di dare una percezione dell’opinione del cliente, ma quest’ultima deve essere integrata con uno studio esaustivo del prezzo di costo e della collocazione (di un dato prodotto o servizio) attesa in relazione ai costi dei suoi concorrenti.

Estratto completo INTRODUCTION La fixation du prix d’un produit ou d’un service peut se faire selon trois grandes familles de méthodes: - Le calcul du coût de revient, sur lequel on va affecter une marge ou un coefficient - Le positionnement du prix selon les prix pratiqués par la concurrence - La fixation du prix selon la valeur perçue par le consommateur. Nous souhaitons présenter en détail une méthode de fixation de prix de la dernière famille: la méthode du prix psychologique.

I - LES BASES DE LA MÉTHODE DU PRIX PSYCHOLOGIQUE De très nombreuses études en Marketing montrent que les consommateurs utilisent des prix de référence lorsqu’ils veulent acquérir un produit ou un service. Prenons l’exemple d’un consommateur souhaitant acheter un produit. Parmi tous les produits pouvant répondre à son besoin, il a en mémoire 3 sous ensembles: “l’ensemble évoqué”, comprenant les marques privilégiées, “l’ensemble inerte”, comprenant les marques qu’il achètera éventuellement s’il ne trouve pas les marques du sous-ensemble précédent et enfin “l’ensemble inapte”, comprenant les marques connues par le consommateur mais qu’il n’achètera jamais. Si l’on reprend les marques de l’ensemble évoqué, le consommateur a un prix de référence, encadré par un prix minima en-dessous duquel il n’achètera pas ce produit par

Cette zone de prix ainsi définie sert de base théorique à une méthode de fixation du prix d’un produit ou d’un service: la méthode du prix psychologique. Souvent utilisée pour la fixation du prix d’un produit ou d’un service nouveau, elle consiste à administrer deux questions à un échantillon représentatif de consommateurs susceptibles d’acheter dans cette catégorie de produit ou de service: “En-dessous de quel prix n’achèteriez-vous pas ce produit (ou service)?” (i.e. en raison de doutes sur sa qualité) “Au-dessus de quel prix n’achèteriez-vous pas ce produit (ou service)?” (i.e. en raison de l’impression de payer trop cher ce produit). On calcule ensuite pour chaque niveau de prix cité par les consommateurs de l’échantillon, le nombre de consommateurs ayant donné cette valeur. Le prix pour lequel on a le plus grand nombre d’acheteurs est par définition le prix psychologique de ce produit ou service étudié. Application aux puces électroniques Nous avons voulu tester cette méthode de fixation de prix pour un service nouveau proposé aux propriétaires d’animaux de compagnie: la puce électronique. Le modèle de questionnaire distribué à 100 clients dans cette étude exploratoire était le suivant: “Dans le cadre d’un travail de thèse vétérinaire, nous aimerions que vous nous accordiez une minute de votre temps à répondre à ces deux questions. Nous vous remercions par avance de cette aide”. Les vétérinaires ont la possibilité de tatouer un animal de compagnie au moyen d’un nouveau procédé. Il s’agit de l’implantation, au cours d’une consultation de base, et sans anesthésie générale, d’une puce électronique de la taille d’un grain de riz, comportant un numéro. Les avantages de ce nouveau procédé de tatouage sont doubles: garantir une lecture parfaite du numéro de tatouage au fil du temps (assurée par un lecteur possédé par tous les vétérinaires de France) et éviter les fraudes actuelles, lors de vols d’animaux de compagnie, consistant à effacer les numéros de tatouage ou à enlever la partie cutanée comportant le tatouage (oreille ou cuisse). Première Question: Au-dessus de quel prix vous n’effectueriez pas ce nouveau procédé de tatouage de votre animal chez votre vétérinaire (en estimant qu’il est trop cher)? Réponse: EUROS Ou, si vous préférez en FRANCS: Réponse: FRANCS Deuxième Question: Au-dessous de quel prix vous n’effectueriez pas ce nouveau procédé de tatouage de votre animal chez votre vétérinaire (en estimant que vous n’avez pas confiance compte tenu de ce prix trop bas)? Réponse: EUROS Ou, si vous préférez en FRANCS: Réponse: FRANCS


52

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Les résultats de cette enquête sont les suivants:

En agrégeant ces deux sous échantillons:

En ce qui concerne le sous échantillon de ceux ayant répondu en Francs: prix FF

2 50 80 100 130 150 200 250 300 350 400 450 500 600 700 1000 1500

Trop Pas Somme prix élevé confiance trop élevée

1 5 1 14 2 10 16 2 9

2 1 5 1 16 2 9 2 16 5 2 9 2

Somme pas Somme non confiance acheteurs

0 0 0 2 2 3 8 9 25 27 36 38 54 59 61 70 72

3 8 1

72 71 66 65 51 49 39 23 21 12 12 9 9 1 0 0 0

72 71 66 67 53 52 47 32 46 39 48 47 63 60 61 70 72

Somme Acheteurs

CA

0 1 6 5 19 20 25 40 26 33 24 25 9 12 11 2 0

0 50 480 500 2470 3000 5000 10000 7800 11550 9600 11250 4500 7200 7700 2000 0

En ce qui concerne le sous échantillon de ceux ayant répondu en Euros: prix Europe

5 10 15 20 25 30 35 40 44 45 50 53 60 65 70 75 76 80 100 150 300

Trop élevé

2 1 5 4 2 3 6 5 1 1 4 2 2 3 4 1

Pas Somme prix confiance trop élevée

3 3 6 6 1 14 1 3 1 3 1 1 1 1

1

0 0 2 3 3 8 8 12 14 17 23 23 28 29 30 34 36 38 41 45 46

Somme pas confiance

Somme non acheteurs

Somme Acheteurs

46 43 40 34 28 27 13 12 9 8 8 5 4 3 3 2 1 1 1 0 0

46 43 42 37 31 35 21 24 23 25 31 28 32 32 33 36 37 39 42 45 46

0 3 4 9 15 11 25 22 23 21 15 18 14 14 13 10 9 7 4 1 0

Agrégé Trop en FF élevé

2 33 50 66 80 98 100 130 131 150 164 197 200 230 250 262 289 295 300 328 348 350 394 400 426 450 459 492 499 500 525 600 656 700 984 1000 1500 1968

2 2 1 1 5 5 1 4 2 3 16 6 2 5 9 1 2 1 4 2 16 2 5 3 2 4 9 2 1

Pas Somme prix confiance trop élevée

1 3 5 3 1 6 14 2 6 10 1 14 16 1 2 3 1 9 3 1 1 3

1 1 8 1 1

0 0 0 0 0 2 4 4 5 6 6 11 16 16 17 21 23 26 42 48 48 50 55 64 65 67 68 72 74 90 92 97 100 102 106 115 117 118

Somme pas confiance

Somme non acheteurs

118 117 114 109 106 105 99 85 83 77 67 66 52 36 35 33 30 29 29 20 17 16 16 15 12 12 12 11 10 10 2 2 1 0 0 0 0 0

118 117 114 109 106 107 103 89 88 83 73 77 68 52 52 54 53 55 71 68 65 66 71 79 77 79 80 83 84 100 94 99 101 102 106 115 117 118

Somme Acheteurs CA

0 1 4 9 12 11 15 29 30 35 45 41 50 66 66 64 65 63 47 50 53 52 47 39 41 39 38 35 34 18 24 19 17 16 12 3 1 0

0 33 200 590 960 1082 1500 3770 3936 5250 7380 8068 10000 15153 16500 16792 18760 18596 14100 16399 18426 18200 18498 15600 17481 17550 17448 17219 16950 9000 12594 11400 11151 11200 11807 3000 1500 0

CONCLUSION Les résultats de cette enquête démontrent l’intérêt de cette méthode. Elle doit toutefois être assortie de limites: - La méthode du prix psychologique ne collecte que des déclarations d’intentions et non des comportements, ce qui entraîne sans nul doute un écart entre ce qui est dit par le propriétaire et ce qu’il fera; - La deuxième limite concerne l’impossibilité d’utiliser cette méthode seule pour fixer le prix d’un produit ou d’un service nouveau. Elle permet simplement de donner une perception de la part du client mais qui doit être complétée par une étude exhaustive du coût de revient et du positionnement souhaité par rapport à ses concurrents.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

53

Impiego della feromonoterapia nel cane e nel gatto. Casi clinici Raimondo Colangeli Med Vet, Comport ENVF - Roma

Estratto breve La comunicazione nel mondo animale avviene tramite i diversi canali sensoriali a disposizione: • Canale tatto-cinetico • Canale acustico-verbale • Canale visivo-comportamentale • Canale olfatto-chimico Le varie specie presentano chiaramente delle differenze e preferenze di utilizzo di questi canali. I segnali chimici sono il più antico e diffuso mezzo di comunicazione utilizzato nel mondo vegetale e animale. Gli studi effettuati agli inizi degli anni ’60 hanno permesso l’identificazione e la classificazione di un grande numero di sostanze escrete nell’ambiente esterno in grado di modificare la fisiologia e/ o il comportamento dell’individuo ricevente. Queste ultime, percepite dal sistema olfattorio principale ed accessorio, possono essere portatrici di un messaggio rivolto ad individui della stessa specie o di specie differenti. Nei Mammiferi i feromoni sono escreti da differenti strutture ghiandolari distribuite nell’epidermide e nelle mucose attorno agli orifizi naturali. Nel cane le principali strutture secernenti sono le ghiandole sebacee poste nel solco intermammario, le ghiandole periorali (diffuse nel mento, nelle labbra, nella cute del muso nei pressi delle vibrisse e delle guance), le ghiandole ceruminose poste nel padiglione auricolare, le ghiandole anali (che comprendono le ghiandole epatoidi circumanali, le ghiandole sebacee poste nella parte cutanea dell’ano, la mucosa rettale e i seni paranali), le ghiandole sottocaudali (poste sulla faccia ventrale della base della coda), le ghiandole sopracaudali (poste sulla faccia dorsale della base della coda), le ghiandole podali (diffuse nei cuscinetti plantari e nella cute della regione interdigitale), e nella saliva, nell’urina (minzioni sociali) e nelle feci (defecazioni sociali). Inoltre è possibile evidenziare la presenza di feromoni definiti di adozione che sembrano essere in soluzione nel liquido amniotico. Nel cane, questi ultimi, presenti negli invogli fetali durante il parto, aumenterebbero l’attaccamento da parte della madre nei confronti della prole, favorendo così le cure parentali. Al contrario la produzione del feromone materno attraverso le ghiandole poste nel solco intermammario, e percepite dai cuccioli nel periodo di transizione (14-21 gg), favoriscono l’attaccamento alla figura materna e l’attuazione di due processi fondamentali: l’impregnazione intraspecifica e

una corretta omeostasi sensoriale (conoscenza ed arricchimento della banca dati degli stimoli esterni presenti nell’ambiente circostante). Il Dog Appesing Pheromon, prodotto nel laboratorio Pherosynthèse dell’equipe del dott. Patrick Pageat in Francia e prodotto dalla Ceva Vetem, è la forma sintetica del feromone prodotto dalla cagna. La sua composizione chimica in acidi grassi volatili ha permesso di utilizzarlo sotto forma di diffusore. La sua azione è dunque di simulare la presenza di quella base rassicurante che è la figura materna, quindi un azione che diminuisce lo stato di stress del cucciolo e del cane adulto. La feromonoterapia è un supporto nella medicina comportamentale durante l’intervento terapeutico di molte patologie comportamentali: • l’ansia da separazione legato ad un iperattaccamento primario • gli stati ansiosi con iperattaccamento secondario legati alla sindrome da privazione sensoriale, alle fobie post-traumatiche, alle fobie sociali, alla sindrome Ipersensibilità-Iperattività • gli stati depressivi Ma il suo impiego può avvenire in altre situazioni che determinano alterazioni emozionali nel cane quali: • l’introduzione del cucciolo al momento dell’adozione • nell’abituazione del cucciolo a rimanere da solo a casa • nella sindrome confusionale dell’anziano • durante le visite ambulatoriali • durante l’ospedalizzazione. Anche nel gatto avviene la produzione di feromoni e tra questi sono di particolare interesse quelli legati alla comunicazione territoriale; ciò ci ricorda la fondamentale differenza etologica fra il cane ed il gatto: mentre nel primo l’attaccamento si sposta dalla madre al gruppo sociale di appartenenza, nel secondo avviene sul territorio, suddiviso in campi territoriali. Inoltre è una comunicazione che è rivolta più a chi le produce che agli altri. La comunicazione territoriale del gatto avviene attraverso le marcature di identificazioni o facciali, le marcature territoriali (marcature urinarie e le graffiature) e le marcature di allarme. Le marcature facciali sono composte di cinque frazioni, secrete da ghiandole sebacee poste sulla faccia laterale del muso. La frazione F3, effettuata dal gatto sui mobili, oggetti, stipiti delle porte, consente il riconoscimento territoriale; invece la frazione F4 consente l’allomarcatura, cioè il rico-


54

noscimento degli individui, sia della stessa specie che di altre (uomini, cani, ecc.), che vivono nel territorio, impedendo così conflitti ed attacchi predatori. Le marcature territoriali si dividono in graffiature e marcature urinarie. Le prime sono effettuate vicino ai campi di isolamento, dunque dove il gatto dorme. Le seconde sono legate ad eccitazione sessuale, presenza di intrusi, perturbazione emozionale e alla scomparsa di più del 70% delle marcature facciali nel territorio, dunque della frazione F3. È comprensibile dunque l’utilizzo del Feliway in diffusore, che libera nell’ambiente la frazione F3 sintetica: aumentare lo stato di appagamento del gatto/gatti che vivono nel territorio.

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Alcuni esempi sono i seguenti: • introduzione di un nuovo gattino in casa • nei traslochi oppure dopo i lavori di ristrutturazione di un appartamento • durante le visite ambulatoriali • durante l’ospedalizazzione. Ed altri esempi dove la feromonoterapia supporta l’intervento sull’ecosistema del gatto: • introduzione di un altro gatto in casa • nelle sovrappopolazioni • nei disturbi dell’omeostasi sensoriale • nell’ansia da luogo chiuso • nelle depressioni


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

55

La tomografia computerizzata (TC) nella diagnostica delle patologie spinali Daniele Corlazzoli Med Vet - Roma

Estratto breve La TC è un’indagine radiologica che consente di produrre immagini in sezione trasversale (assiale). È possibile impostare lo spessore della sezione (da 1 a 10 millimetri), e impostare il software in modo che prediliga la visualizzazione di tessuti molli o di tessuti duri. Le immagini in sezione assiale possono essere rielaborate (ricostruite) tramite un software per ottenere immagini in sezione sagittale e coronale. Una radiografia convenzionale è un’immagine bidimensionale caratterizzata dalla sovrapposizione delle strutture in esame. Le sezioni che si ottengono con TC e RM permettono di superare questo limite e consentono di valutare la colonna vertebrale e il suo contenuto senza sovrapposizioni. La TC possiede un’elevata risoluzione soprattutto nello studio delle lesioni ossee, mentre è meno specifica nello studio di lesioni dei tessuti molli. Per una migliore valutazione del midollo spinale si ricorre quindi all’introduzione di un mezzo di contrasto iodato nello spazio sub-aracnoideo (mielo-TC), con la medesima tecnica che si utilizza nelle mielografie convenzionali. In casi selezionati l’esame viene completato con uno studio dopo somministrazione di mezzi di contrasto iodati per via endovenosa. TC e RM non sostituiscono la radiologia convenzionale in medicina umana e tanto meno in veterinaria. L’utilizzo della TC come indagine di primo livello è sconsigliabile perché non è uno studio panoramico, perché è comunque necessario ricorrere all’introduzione di mezzo di contrasto, e perché l’attendibilità diagnostica della mielografia convenzionale è molto elevata. Il ruolo della TC è invece importantissimo come indagine complementare ad una mielografia e spesso risulta l’esame di elezione per valutare patologie extracanalari, proprio grazie alle immagini sul piano assiale. La Mielo-TC risulta essenziale in caso di dubbi per quanto riguarda la lateralizzazione di una lesione discale, risoluzione di dubbi nella interpretazione della natura di compressioni spinali, a completamento di studi di lesioni neoplastiche o infettive, e in studi di lesioni sia discali che neoplastiche foraminali e soprattutto extraforaminali Lo studio delle patologie lombosacrali è campo pressoché esclusivo della TC o della RM. La mielografia infatti permette lo studio dello spazio L7 S1 solo in alcuni casi, e comunque non permette mai di studiare lesioni foraminali.

La possibilità di eseguire infine biopsie TC guidate completa il panorama delle applicazioni possibili. Lesioni neoplastiche o infiammatorie dei tessuti perivertebrali o dei corpi vertebrali sono biopsiabili agevolmente ovviando alla necessità di una biopsia chirurgica. La TC è uno strumento che ha ampliato enormemente i nostri panorami diagnostici tuttavia un corretto impiego comporta un utilizzo come indagine di secondo livello, selezionarla come indagine di primo livello non è scorretto tuttavia significa sacrificare le potenzialità diagnostiche di altri strumenti che sono fisiologicamente più disponibili in campo veterinario.

Estratto completo L’approccio diagnostico alle patologie spinali è necessariamente multidisciplinare: indagini ematologiche, radiologia convenzionale, TC e risonanza magnetica (RM), esame del liquido spinale, sono tutte indagini collaterali, la cui importanza varia in ogni singolo caso clinico. Non è possibile affermare la superiorità di una tecnica rispetto alle altre, piuttosto è dall’integrazione di più metodiche che si giunge alla diagnosi più corretta. La TC è un’indagine radiologica che consente di produrre immagini in sezione trasversale (assiale). È possibile impostare lo spessore della sezione (da 1 a 10 millimetri), e impostare il software in modo che prediliga la visualizzazione di tessuti molli o di tessuti duri. Le immagini in sezione assiale possono essere rielaborate (ricostruite) tramite un software per ottenere immagini in sezione sagittale e coronale. Tuttavia tali immagini sono caratterizzate da una risoluzione inferiore rispetto a quelle acquisite direttamente e non ricostruite. Una radiografia convenzionale è un’immagine bidimensionale caratterizzata dalla sovrapposizione delle strutture in esame. Le sezioni che si ottengono con TC e RM permettono di superare questo limite e consentono di valutare la colonna vertebrale e il suo contenuto senza sovrapposizioni. La TC possiede un’elevata risoluzione soprattutto nello studio delle lesioni ossee, mentre è meno specifica nello studio di lesioni dei tessuti molli. Per una migliore valutazione del midollo spinale si ricorre quindi all’introduzione di un mezzo di contrasto iodato


56

nello spazio sub-aracnoideo (mielo-TC), con la medesima tecnica che si utilizza nelle mielografie convenzionali. La mielo-TC permette di ottenere immagini caratterizzate da un’ottimale risoluzione del contenuto dello speco vertebrale, per questo motivo difficilmente si ricorre a studi senza mezzo di contrasto. In casi selezionati l’esame viene completato con uno studio dopo somministrazione di mezzi di contrasto iodati per via endovenosa. Oggi è possibile accedere a indagini TC e RM sia tramite strutture ospedaliere umane che veterinarie, tuttavia ritengo che la radiologia convenzionale, e soprattutto la mielografia, sono e rimarranno per molto ancora l’ausilio principale in medicina veterinaria. La disponibilità presso ogni struttura veterinaria, associata al costo contenuto e all’elevata attendibilità diagnostica fanno, infatti, della radiologia convenzionale l’ausilio diagnostico principale nelle patologie vertebrali e nelle compressioni del midollo spinale. TC e RM non sostituiscono la radiologia convenzionale in medicina umana e tanto meno in veterinaria. L’utilizzo della TC come indagine di primo livello è sconsigliabile per più motivi: 1) la TC non è un esame panoramico, ovvero non è possibile analizzare in un ragionevole lasso di tempo l’intero tratto toraco lombare o cervicale di un paziente. Questo per motivi tecnici legati al funzionamento stesso della macchina; la maggior parte delle TC disponibili in campo veterinario infatti esegue solo serie di scansioni da 1 a 10 mm di spessore ognuna. Un esame completo di un tratto esteso richiede quindi un tempo di indagine piuttosto lungo: macchine più recenti, segnatamente le TC cosiddette spirali, sono in grado di eseguire studi di tratti estesi in tempi molto brevi anche se la risoluzione di contrasto è decisamente inferiore rispetto all’acquisizione convenzionale. È d’uso l’utilizzo dell’acquisizione in spirale come indagine panoramica per riservare poi l’acquisizione con sezioni convenzionali, su regioni d’interesse. Tuttavia il costo di queste TC, simile a quello di una buona RM ne limitano la disponibilità a centri universitari. 2) nella maggior parte dei casi è comunque necessario eseguire una mielo TC, ovvero un’iniezione sub-aracnoidea convenzionale di mezzo di contrasto seguita poi dalle scansioni TC. In questo caso è senza dubbio più rapido completare lo studio con radiografie in proiezione latero-laterale, ventro-dorsale e oblique del tratto in esame invece che analizzarlo in scansioni TC. Il ruolo della TC è invece importantissimo come indagine complementare ad una mielografia e spesso risulta l’esame di elezione per valutare patologie extracanalari, proprio

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

grazie alle immagini sul piano assiale che presentano un ottimo “contrasto” rispetto ai tessuti limitrofi. La Mielo-TC risulta essenziale in caso di: - dubbi per quanto riguarda la lateralizzazione di una lesione discale - risoluzione di dubbi nella interpretazione della natura di compressioni spinali - completamento di studi di lesioni neoplastiche o infettive - studi di lesioni sia discali che neoplastiche foraminali e soprattutto extraforaminali Si consideri inoltre che la TC è in grado di evidenziare il mezzo di contrasto anche a distanza di molte ore dalla mielografia, ed è quindi possibile anche non avendo la TC disponibile all’interno della struttura, eseguirla a distanza di ore presso un centro veterinario o umano. Lo studio delle patologie lombosacrali è campo pressoché esclusivo della TC o della RM. La mielografia, infatti, permette lo studio dello spazio L7-S1 solo in alcuni casi, e comunque non permette mai di studiare lesioni foraminali. La possibilità di valutare immagini in sezione assiale dello spazio lomboscarale ha, infatti, aumentato notevolmente l’attendibilità diagnostica. Epidurografie e discografie sono tecniche con un’attendibilità diagnostica bassa, la cui interpretazione è spesso dubbia, e che non permettono comunque di studiare lesioni foraminali. Per motivi clinici e neuroanatomici, è sempre auspicabile che alla TC lombo-sacrale segua uno studio mielografico del tratto toraco lombare, sia per escludere lesioni concomitanti toraco lombari che per valutare lesioni nel tratto lombare L5-L7 che potrebbero mimare, da un punto di vista clinico, lesioni del tratto lombosacrale. La possibilità di eseguire infine biopsie TC guidate completa il panorama delle applicazioni possibili. Lesioni neoplastiche o infiammatorie dei tessuti perivertebrali o dei corpi vertebrali sono biopsiabili agevolmente ovviando alla necessità di una biopsia chirurgica: - l’immagine TC viene utilizzata per identificare il tragitto e il bersaglio più diagnostico, la posizione dell’ago può essere controllata con una scansione successiva e la biopsia o l’aspirazione eseguita solo quando in posizione corretta. Con poche eccezioni, lesioni invece a carico dello speco vertebrale o del midollo spinale non sono biopsiabili per l’elevato rischio di iatrogenie. La TC è uno strumento che ha ampliato enormemente i nostri panorami diagnostici tuttavia un corretto impiego comporta un utilizzo come indagine di secondo livello, selezionarla come indagine di primo livello non è scorretto tuttavia significa sacrificare le potenzialità diagnostiche di altri strumenti che sono fisiologicamente più disponibili in campo veterinario.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Studio morfologico dell’apparato valvolare mitralico Gino D’Agnolo Med Vet - Trieste

RELAZIONE NON PERVENUTA

57


58

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Aspetti radiografici ed ecografici in corso di alcune affezioni cardiache (neoplasie) e del pericardio del cane Ivana De Francesco Med Vet - Università di Milano

Paolo Ferrari Med Vet - Azzano San Paolo (BG)

Estratto breve Le malattie del pericardio sono rare, riguardano circa l’1% delle affezioni cardiovascolari dei piccoli animali.Tali patologie provocano frequentemente versamento pericardico,nel cane con esito in tamponamento cardiaco, che causa insufficienza cardiaca dx,mentre nel gatto raramente determina segni clinici riferibili a tamponamento cardiaco e rende quindi difficile la sua diagnosi in vita. Classicamente le malattie pericardiche vengono suddivise in patologie congenite (ernia peritoneo-pericardica, difetti e cisti pericardiche) e acquisite (versamenti pericardici, npl, pericardite costrittiva); una classificazione più pratica prende in considerazione il segnalamento e suddivide i cani in: animali giovani (patologie congenite o infettive), animali di media età e grossa taglia (pericardite emorragica idiopatica) ed animali anziani (patologie neoplastiche).La pericardite emorragica idiopatica e le neoplasie intracardiache e pericardiche sono le cause più frequenti di versamento pericardico nel cane.Quadro radiografico: la maggior parte di affezioni del pericardio si accompagna a versamento. La diagnosi radiografica dipende dalla quantità di liquido presente, infatti nei versamenti di modica entità le variazioni della silhouette cardiaca sono minime e quindi difficilmente evidenziabili, soprattutto se questa patologia si accompagna a preesistente cardiomegalia. Nei versamenti massivi l’ombra cardiaca assume una forma globosa, “a palla”, dovuta al riempimento dello spazio pericardico con il liquido, che circonda tutto il cuore, rispar-

miando a volte la base cardiaca. In corso di tamponamento cardiaco si possono evidenziare, oltre ai segni radiografici a carico del cuore, anche versamenti pleurici, distensione della vena cava caudale, ascite,epatomegalia. Le neoplasie cardiache non sempre sviluppano versamento pericardico e in questo caso i reperti radiografici possono essere variabili, a volte non evidenziabili con l’esame diretto. I tumori intracavitari si possono presentare con un’immagine di protrusione a livello dell’atrio o dell’auricola destra oppure con modica cardiomegalia, i tumori della base del cuore con spostamento dorsale della trachea nella porzione terminale. I rilievi ecocardiografici in corso di affezione pericardica o neoplasia cardiaca possono precedere i segni clinici riferibili a tamponamento cardiaco. L’ecocardiografia permette di rilevare e quantificare il versamento pericardico e di identificare le eventuali neoplasie pericardiche o cardiache. Il rilievo più importante e precoce del tamponamento cardiaco è il collasso diastolico dell’atrio dx. L’eventuale presenza di collasso ventricolare dx costituisce un segno più specifico ma meno sensibile del tamponamento cardiaco. È da sottolineare come il collasso atriale dx sia correlabile alla volemia del paziente, infatti negli stati di ipovolemia (disidratazione) il collasso risulta più evidente, mentre in caso di ipervolemia (fluidoterapia e.v. aggressiva o trasfusione) è assente; questo dimostra come sia dannoso l’uso di diuretici in corso di versamento pericardico. Ulteriori rilievi da evidenziare sono le discinesie delle pareti cardiache e il movimento paradosso del setto interventricolare e, tramite l’ esame doppler, le variazioni della velocità del flusso ematico durante l’inspirazione.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

59

L’impiego dell’esame citologico nella diagnosi delle neoformazioni del condotto uditivo esterno del gatto Davide De Lorenzi Med Vet, SMPA - Forlì

Estratto breve Introduzione: La crescita di neoformazioni all’interno del Condotto Uditivo Esterno (CUE) del gatto rappresenta una fra le cause più frequenti di otite cronica ed otorrea in questa specie animale ed una loro identificazione preoperatoria permette di decidere la terapia chirurgica più adeguata e di comunicare al proprietario una prognosi precoce, che verrà poi perfezionata al ricevimento della valutazione istologica. Obbiettivi: Lo scopo di questo lavoro consiste nell’individuare i caratteri citologici distintivi e caratterizzanti le più frequenti neoformazioni che si possono incontrare nel CUE

del gatto (iperplasia/adenoma delle ghiandole ceruminose, adenocarcinoma delle ghiandole ceruminose, cd polipo infiammatorio) e di valutare la corrispondenza fra diagnosi citologica e diagnosi istologica. Materiali e metodi: Vengono analizzate dal punto di vista citologico 20 neoformazioni localizzate all’interno del condotto uditivo di 16 gatti (due soggetti con neoformazioni bilaterali) presentati con sintomi clinici di otorrea cronica nel periodo Marzo 1997 - Luglio 2001. Tutti i prelievi citologici sono stati eseguiti in anestesia generale inalatoria, dopo irrigazione con fisiologica tiepida ed asciugatura del condotto. In ogni soggetto esaminato i condotti uditivi sono stati ispezionati bilateralmente con otoscopio a fibre ottiche oppure con endoscopio rigido a fibre

Tabella 1 Segnalamento

Diagnosi Citologica

Diagnosi Istologica

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27

Adenocarcinoma ceruminose Iperplasia/adenoma ceruminose Adenocarcinoma ceruminose Iperplasia/adenoma ceruminose Iperplasia/adenoma ceruminose Adenocarcinoma ceruminose Adenocarcinoma ceruminose Iperplasia/adenoma ceruminose Iperplasia/adenoma ceruminose Adenocarcinoma ceruminose Polipo infiammatorio Polipo infiammatorio Mastocitoma Adenocarcinoma ceruminose Polipo infiammatorio Polipo infiammatorio Adenocarcinoma ceruminose Adenoma ceruminose Adenocarcinoma ceruminose Iperplasia/adenoma ceruminose Adenocarcinoma ceruminose Mastocitoma Polipo infiammatorio Adenocarcinoma ceruminose Polipo infiammatorio Iperplasia/adenoma ceruminose Polipo infiammatorio

Adenocarcinoma ceruminose Iperplasia ghiandole ceruminose Adenocarcinoma ceruminose Iperplasia ghiandole ceruminose Adenomi multipli ceruminose Adenocarcinoma ceruminose Adenocarcinoma ceruminose Adenomi multipli ceruminose Adenomi multipli ceruminose Adenoma ceruminose Polipo infiammatorio Polipo infiammatorio Mastocitoma Adenoma ceruminose Polipo infiammatorio Polipo infiammatorio Adenoma ceruminose Adenocarcinoma ceruminose Adenocarcinoma ceruminose Iperplasia ghiandole ceruminose Adenocarcinoma ceruminose Mastocitoma Polipo infiammatorio Adenoma ceruminose Polipo infiammatorio Adenoma ceruminose Polipo infiammatorio

Gatto persiano m.c. 12 a Gatto persiano m.c. 8a Gatto persiano f.c. 14 a Gatto met f.c. 7 a Stesso soggetto caso 4 Gatto met m.c. 12 a. Gatto siamese f.c. 13 a Gatto met m 11 a Stesso soggetto caso 7 Gatto persiano m.c. 9 a Gatto met f.c. 10 a Gatto met m.c. 3 a Gatto siamese f 9 a Gatto persiano m.c. 6 a Gatto met f.c. 6 a Gatto maine coon m 8 a Gatto meticcio f 9 a Gatto siamese f 11 a Gatto meticciof 12 a Gatto meticcio m 8 a Gatto met m 6 a Gatto meticcio m 10 a Gatto siamese f 1 a Gato meticcio f 11 a Gatto meticcio m 3 a Gatto persiano m 8 a Gatto meticcio m 2 a


60

ottiche (Storz diametro: 2,7 mm, lunghezza: 18 cm, angolo frontale di visione 30°). I prelievi citologici sono stati eseguiti per agofissione o agoaspirazione con ago da siringa 23 G oppure ago spinale senza mandrino 25 G, preparati per striscio, fatti fissare all’aria e colorati con May-Grünwald-Giemsa in coloratrice automatica (7100 Aerospray Slide Stainer - Wiescor). I campioni per l’istologia sono stati preparati dai pezzi chirurgici: in generale tutto il CUE, quando disponibile, è stato immerso in formalina tamponata al 10%. Quando non disponibile viene inviato alle valutazioni istopatologiche un campione bioptico della neoformazione prelevato nel corso della visita otoscopica in anestesia oppure la neoformazione “in toto” qualora la sua asportazione non abbia richiesto l’amputazione del CUE. Risultati: L’accuratezza dell’esame citologico ovvero la proporzione complessiva di diagnosi corrette riferita alla intera serie di 20 casi, calcolata sul rapporto fra somma di veri positivi e veri negativi divisa il numero totale dei casi esaminati è di 0,80 (dove 1 rappresenta il valore massimo raggiungibile). Il valore predittivo positivo calcolato sulla intera serie di 20 casi, ovvero l’attendibilità di un giudizio di malignità espresso in base all’esame citologico, calcolato dividendo i veri positivi per il risultato della somma fra veri positivi e falsi positivi risulta essere di 0,66. Il valore predittivo negativo calcolato sulla intera serie di 20 casi, ovvero l’attendibilità di un giudizio di benignità

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

espresso in base all’esame citologico, calcolato dividendo i veri negativi per il risultato della somma fra veri negativi e falsi negativi risulta essere di 0,90. Conclusioni: In tutti i casi di questa serie l’esame citologico ha permesso una corretta distinzione fra patologia a carico delle ghiandole ceruminose e polipo infiammatorio permettendo l’approccio chirurgico più adeguato. La valutazione citologica permette una precisa identificazione anche di patologie neoplastiche diverse da quelle a carico delle ghiandole ceruminose permettendo di intraprendere le misure terapeutiche più adeguate. La precisa distinzione fra neoplasie maligne e patologie benigne delle ghiandole ceruminose risulta, al contrario, difficoltosa e non costante con il solo ausilio dell’esame citologico: su 15 casi di patologie a carico delle ghiandole ceruminose, l’esame citologico ha trovato una conferma istologica in 11 casi mentre dei restanti 4 casi 3 sono risultati falsi positivi ed 1 falso negativo al controllo istologico. Dalla analisi dei dati sopra riportati, risulta che l’esame citologico delle neoformazioni del condotto uditivo del gatto rappresenta una tecnica diagnostica accurata, con una rispondenza dell’80% all’esame istologico mentre risulta mediocre la sua capacità di esprimere con certezza un giudizio di malignità, con una corrispondenza solo del 66% con l’esame istologico. Risulta invece molto attendibile l’espressione di un giudizio di benignità espressa con l’esame citologico, con una corrispondenza del 90% all’esame istologico.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

61

Le reazioni avverse al cibo. Meccanismo patogenetico, diagnosi e trattamento Fabrizio Fabbrini Med Vet, Dipl CESDERM - Milano

Estratto breve L’allergia alimentare, secondo vari Autori, ha un’incidenza del 1-5% nei cani e del 6% dei gatti con problemi dermatologici. Inoltre, rappresenta circa il 15% delle malattie allergiche, ed è spesso segnalata (75% dei casi) in associazione ad altre malattie come la Dermatite allergica alle pulci o la Dermatite atopica, da cui talvolta è difficile da distinguere per la presenza dello stesso quadro clinico. Nel cane, spesso si ha prurito generalizzato non stagionale, non sempre accompagnato da lesioni. Le aree colpite sono le stesse viste in corso d’atopia: orecchie, muso e piedi. Si possono osservare dermatiti eritematose-papulose ventrali (ascelle, addome e inguine), piodermiti superficiali (talvolta non pruriginose e ricorrenti come unico segno clinico della malattia allergica), otiti esterne singole o bilaterali, seborrea generalizzata e raramente edema delle palpebre e orticaria. Circa il 10-15% dei casi presenta anche segni gastrointestinali concomitanti. Nel gatto la sintomatologia riscontrata è data da prurito non stagionale a faccia e collo, con presenza di croste, erosioni, escoriazioni, ed ulcere; l’alopecia auto indotta (per l’eccessivo leccamento o mordicchiamento); e la dermatite miliare. Sono anche segnalate lesioni del C.G.E. (in particolare placca e ulcera) e otiti esterne, come unici segni clinici presenti e, più raramente, follicoliti eosinofiliche, follicoliti murali linfocitarie, angioedema /orticaria, congiuntiviti e segni respiratori. In circa 1/3 dei casi sono presenti sintomi gastrointestinali concomitanti. Le diagnosi differenziali comprendono le ectoparassitosi, le endoparassitosi, le malattie allergiche come la dermatite atopica, la dermatite allergica alle pulci; le infezioni cutanee (batteriche e da lieviti), le reazioni da farmaco; le dermatiti seborroiche e, nel gatto, anche le psicodermatosi. Ancora oggi l’unico metodo attendibile per la diagnosi, riconosciuto internazionalmente, si basa sull’uso di una dieta ad eliminazione (che contenga una sola fonte di carboidrati e una sola fonte proteica mai ingerite prima, scelte in base all’anamnesi alimentare del paziente) per almeno 6-8 settimane, di una risposta positiva (scomparsa o diminuzione importante della sintomatologia), seguita dall’induzione di una recidiva della malattia dopo somministrazione del cibo abituale (dieta di provocazione). Idealmente solo le diete di tipo “casalingo”, sono in grado di ottemperare a quanto sopra esposto, inoltre, hanno il

vantaggio di non contenere aditivi “a rischio” di una intolleranza alimentare; per contro, sono diete “frustranti” per alcuni proprietari privi di tempo da dedicare alla loro preparazione, sono carenti da un punto di vista nutrizionale e non indicate per somministrazioni prolungate nel tempo. In alternativa, per molti anni le ditte mangimistiche hanno proposto diete bilanciate così dette “ipoallergeniche” dal contenuto proteico diversificato (salmone, agnello, cavallo, ecc..) rispetto alle diete tradizionali, ma comunque ricche in additivi. Queste diete sono state oggetto di risultati controversi. Negli ultimi anni sono state immesse in commercio diete bilanciate specifiche per cani e gatti a base di proteine idrolizzate. Il concetto su cui si basano è che l’idrolisi porti alla formazione di peptidi con peso molecolare insufficiente ad indurre una reazione immunitaria, in quanto è stato ipotizzato che gli allergeni chiamati in causa nell’allergia alimentare, siano composti da glicoproteine idrosolubili dal peso molecolare compreso tra 10 000 e 60 000 dalton. Questo dato rende le diete con proteine idrolizzate particolarmente utili per la diagnosi e gestione a lungo termine delle reazioni avverse al cibo.

Estratto completo INTRODUZIONE L’accademia americana d’allergologia e immunologia definisce le reazioni avverse al cibo (RAC) qualsiasi risposta anomala attribuibile all’ingestione di cibo o additivi alimentari. In medicina veterinaria, è stata documentata sin dal 1920 la correlazione esistente tra l’ingestione di cibo e la presentazione di problemi cutanei, gastrointestinali o di entrambi. Attualmente è dimostrato che non tutte le “reazioni avverse al cibo” hanno una base immunologica, e si definisce come “intolleranza alimentare”, quelle idiosincrasiche, metaboliche, farmacologiche o tossicologiche, determinate da una reazione infiammatoria non mediata da una risposta immunitaria. Purtroppo, non esiste modo di distinguere clinicamente una “vera allergia o ipersensibilità alimentare” da un’intolleranza alimentare e spesso questi termini sono utilizzati come sinonimi.


62

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

EZIOPATOGENESI

Possibili cause predisponenti

L’allergia alimentare è probabilmente causata da reazioni d’ipersensibilità di tipo I, tipo III e tipo IV, indotte dal contatto di glicoproteine presenti nel cibo, dal peso molecolare compreso tra 10 e 60 kilodalton, con il GALT (gastrointestinal associated lymphoid tissue). Le reazioni di tipo I sono considerate le più frequenti e si presentano da pochi minuti a diversi giorni dall’ingestione del cibo incriminato. Classicamente promuovono la produzione d’anticorpi reaginici (IgE, IgM) allergene-specifici che si legano alla superficie di mastociti e basofili inducendone la degranulazione alla successiva esposizione allergenica. Le reazioni ritardate di tipo IV, mediate da macrofagi e linfociti, possono presentarsi anche a diversi giorni dall’ingestione del cibo incriminato. Le proteine alimentari causa d’allergia alimentare più spesso segnalate nel cane sono la carne bovina, il pollo, il latte e derivati, il frumento, la soia e il mais mentre nel gatto sono segnalate la carne bovina, i prodotti latteo-caseari, ed il pesce. Inoltre, sono state osservate reazioni crociate tra allergeni alimentari e pollini e, tra acari delle derrate alimentari (mangimi) e quelli della polvere di casa. I meccanismi di difesa intestinale che servono a prevenire la comparsa di un’allergia alimentare comprendono il processo digestivo (che trasforma le proteine in peptidi non imunogeni), la barriera fisica (data dalla presenza del muco di superficie e dell’integrità e adesione delle cellule epiteliali della mucosa che nell’insieme non permettono il passaggio d’antigeni) dalla presenza di IgA-secretorie (capaci di legarsi agli antigeni alimentari sottraendoli all’esposizione del GALT), e dell’integrità e funzione del GALT. In condizioni normali il GALT vaglia costantemente un numero molto ampio di antigeni/allergeni presenti nel lume intestinale (derivati da batteri patogeni, da microrganismi simbionti, e dai componenti alimentari) per distinguere i patogeni dalle sostanze innocue e modulare la risposta immunitaria tramite l’azione di citochine e di linfociti T helper e T supressor. La barriera intestinale comunque non è totalmente efficace, si calcola che normalmente circa il 2% degli antigeni ingeriti con il cibo, a causa di un certo grado di permeabilità intestinale, sia assorbito e induca una risposta immunitaria soppressiva (inibente una reazione allergica) di tipo cellulomediata detta tolleranza orale. La tolleranza orale è un processo attivo e influenzato da più fattori come la natura, dimensione e quantità dell’antigene presente nonché la frequenza d’esposizione: così molecole solubili di piccole dimensioni inducono una pronta e duratura tolleranza mentre molecole grosse o complesse (es.batteri) affatto; proteine come le caseine non inducono tolleranza ma reazione allergica e l’esposizione continua dell’antigene induce tolleranza orale mentre l’esposizione intermittente più facilmente induce una risposta allergica. Le ipotesi attualmente proposte per l’insorgenza dell’allergia alimentare comprendono un’inadeguata funzione barriera, un’anormale presentazione dell’antigene al GALT e una risposta immunitaria aberrante da parte del GALT.

1 - Aumentata permeabilità intestinale alle macromolecole - innata (es. nel setter irlandese per il glutine) - svezzamento precoce (l’intestino permetterebbe ancora il passaggio di macromolecole) - infezioni intestinali virali o batteriche - parassitosi, C. E 2 - Deficit di IgA: segnalata in cocker, Pastore Tedesco, beagle, e Shar-phei 3 - Livelli elevati di IgE, e attivazione di mastociti ed eosinofili: nelle parassitosi, malattie allergiche (DA, DAPP) e dopo vaccinazioni con virus vivi attenuati.

CLINICA L’incidenza dell’allergia alimentare nel cane varia tra 15% delle malattie ad interessamento cutaneo, e tra il 10-20% delle malattie allergiche non stagionali. È considerata la terza malattia allergica più frequente, dopo l’allergia alle pulci (DAP) e la dermatite atopica (DA). Nel 75% dei casi può presentarsi associata alla DA o alla DAP. Nel gatto l’incidenza sembra essere più alta, dal 1-6% delle dermatosi, ed è considerata la seconda malattia allergica più frequente dopo la DAP; e in circa il 25% dei casi è associata ad altre malattie allergiche.

Dati anamnestici L’esordio della malattia è plausibile a qualsiasi età (dai quattro mesi ai dodici anni), nei cani spesso (33-52% dei casi) insorge prima dell’anno di età, mentre nei gatti, entro i due anni. In circa la metà dei casi non si ha risposta ai corticosteroidi (naturalmente una risposta ai cortisonici non permette d’escludere la malattia!). Le razze a rischio sono date da Boxer, Bassotto, Barboncino, Cairn terrier, Cocker, Collie, West highland white terrier, Dalmata, Golden, Labrador, Lhasa apso, Pastore tedesco, Setter inglese, Setter irlandese, Shar pei e, tra i gatti i Siamesi. Le manifestazioni cliniche sono varie e aspecifiche. Nel cane, spesso si ha prurito generalizzato non stagionale, non sempre accompagnato da lesioni. Le aree colpite sono le stesse viste in corso d’atopia: orecchie, muso e piedi. Si possono osservare dermatiti eritematose-papulose ventrali (ascelle, addome e inguine), piodermiti superficiali (talvolta non pruriginose e ricorrenti come unico segno clinico della malattia allergica), otiti esterne singole o bilaterali, seborrea generalizzata e raramente edema delle palpebre e orticaria. Circa il 10-15% dei casi presenta anche segni gastrointestinali concomitanti. Nel gatto la sintomatologia riscontrata è data da prurito non stagionale a faccia e collo, con presenza di croste, erosioni, escoriazioni, ed ulcere; l’alopecia auto indotta (per l’eccessivo leccamento o mordicchiamento); e la dermatite miliare. Sono anche segnalate lesioni del C.G.E. (in particolare placca e ulcera) e otiti esterne, come unici segni clinici


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

63

presenti e, più raramente, follicoliti eosinofiliche, follicoliti murali linfocitarie, angioedema /orticaria, congiuntiviti e segni respiratori. In circa 1/3 dei casi sono presenti sintomi gastrointestinali concomitanti.

Le risposte possibili con la dieta a eliminazione sono: 1. si ha miglioramento parziale (prurito calato del 2550%) in tal caso è possibile che: a. ci voglia più tempo per la risoluzione completa della sintomatologia; è possibile continuare la dieta e rivalutare il paziente dopo altre due quattro settimane oppure, b. che sia presente anche un’altra malattia allergica concomitante; nel qual caso è possibile somministrare la dieta di provocazione. L’aggravarsi del quadro clinico, testimonia la presenza di una componente allergica alimentare. 2. assenza di risposta: a. diagnosi poco probabile di allergia alimentare, oppure b. presenza d’intolleranza a qualche additivo o allergia a componenti della dieta scelta; in questo caso è possibile riprovare ex novo con nuova dieta ad eliminazione (casalinga x industriale idrolizzata). 3. si ha la completa remissione: la diagnosi è plausibile ma è necessario confermarla somministrando la dieta abituale (di provocazione) oppure le singole proteine di cui è composta (una ogni 2 settimane). Se i segni clinici si aggravano la diagnosi d’allergia alimentare è molto probabile.

Le Diagnosi Differenziali comprendono le ectoparassitosi, le endoparassitosi, le malattie allergiche come la dermatite atopica, la dermatite allergica alle pulci; le infezioni cutanee (batteriche e da lieviti), le reazioni da farmaco; le dermatiti seborroiche e, nel gatto, anche le psicodermatosi. Diagnosi. Attualmente la diagnosi delle RAC (allergia e/o intolleranza alimentari) si basa sull’uso di una dieta ad eliminazione, scelta in base alla storia alimentare del paziente, per 8-10 settimane; della presenza di risposta alla dieta e dall’aggravamento e recidiva della sintomatologia clinica a seguito dell’introduzione del cibo abituale (di provocazione). I test in vitro o in vivo, disponibili in commercio per la diagnosi dell’allergia alimentare, sono considerati non attendibili poiché presentano spesso falsi positivi e talvolta anche falsi negativi. Iter Diagnostico. Si eliminano le infezioni secondarie (piodermiti ed infezioni da Malassezia) e le possibili malattie parassitarie presenti, tramite terapia mirata. Nei casi in cui il prurito è particolarmente intenso è possibile utilizzare shampoo e cortisonici nelle prime due settimane. Si sceglie una dieta ad eliminazione appropriata in base all’anamnesi e alle esigenze nutrizionali del paziente e si somministra per sei, otto settimane, e si valuta la risposta. Idealmente solo le diete di tipo “casalingo” sono in grado di ottemperare a quanto sopra esposto, avendo il vantaggio di non contenere aditivi “a rischio” di un’intolleranza alimentare; per contro, sono diete “frustranti” per alcuni proprietari privi di tempo da dedicare alla loro preparazione, sono carenti da un punto di vista nutrizionale e non indicate per somministrazioni prolungate nel tempo. In alternativa, per molti anni le ditte mangimistiche hanno proposto diete bilanciate così dette “ipoallergeniche” dal contenuto proteico diversificato (salmone, agnello, cavallo, ecc..) rispetto alle diete tradizionali, ma comunque ricche in additivi. Queste diete sono state oggetto di risultati controversi. Negli ultimi anni sono state immesse in commercio diete bilanciate specifiche per cani e gatti a base di proteine idrolizzate. Il concetto su cui si basano è che l’idrolisi porti alla formazione di peptidi con peso molecolare insufficiente ad indurre una reazione immunitaria. Questo dato rende le diete con proteine idrolizzate particolarmente utili per la diagnosi e la gestione a lungo termine delle reazioni avverse al cibo.

Terapia Scegliere una dieta di mantenimento idrolizzata o esente degli allergeni chiamati in causa e consona alle necessità nutrizionali del paziente.

Riferimenti bibliografici 1. 2.

3. 4. 5.

6.

7.

Carlotti DN, et al, Food allergy in dogs and cats: A review and report of 43 cases. Vet Dermatolology, 1990, 1: 55. Groh M, Moser E, Diagnosis of food allergy in the non-seasonally symptomatic dog using a novel antigen, low molecular weight diet: a prospective study of 29 cases. Vet Aller Clinic Immunology, 1998, 6: 5-6. Guaguére E, Prélaud P, Les intolerances alimentaires. Prat Méd Chir Anim Comp, 1998, 33: 389. Rosser E, Food allergy in dogs and cats: A review. Vet Aller Clinic Immunology, 1998, 6: 21. Roudebush P, Hypoallergenic diets for Dogs and Cats. In: Bonagura JD, ed: Current Veterinari Therapy XIII. Philadelphia: WB Saunders, 2000, 530-535. Roudebush P, et al: Results of a hypoallergenic diet survey of veterinarians in North America with a nutritional evaluation of homemade diet prescriptions. Vet Dermatolology, 1992, 3: 23. Scott DW, Miller WH, Griffin CE: Skin Immune System and Allergic Skin Diseases. In: Muller and Kirk’s Small Animal Dermatology, 6th ed. Philadelphia: WB Saunders, 2001, 615-627.


64

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Cause endocrine di sovrappeso nel cane. Casi clinici Sergio Fanfoni Med Vet - Roma

Estratto breve Due patologie endocrine possono influenzare il peso corporeo di un animale da compagnia; esse sono l’ipotiroidismo e l’iperadrenocorticismo (sindrome di Cushing). L’ipotiroidismo determina una riduzione della RMR, che causa a sua volta una predisposizione all’obesità, così come l’iperadrenocorticismo, conseguente ad una produzio-

ne in eccesso di ormoni corticosteroidei da parte della corticale del surrene, può provocare un aumento del peso corporeo. Lo scopo di questa relazione è quello di chiarire l'approccio diagnostico all'ipotiroidismo e/o al Cushing, tramite casi clinici da trattare con i partecipanti, esaminando quelli che sono i mezzi di laboratorio e di diagnostica per immagini oggi a disposizione dei medici veterinari per giungere alla diagnosi e poi al trattamento di tali patologie.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

65

L’ipertensione portale nel cane Sergio Fanfoni Med Vet - Roma

Estratto breve Il sistema venoso splancnico ha una disposizione anatomica parallela a quella arteriosa a livello delle diramazioni più periferiche, mentre i suoi rami maggiori, in particolare la vena gastrica sinistra, la mesenterica craniale, la splenica e la gastro-duodenale anziché gettarsi nella vena cava caudale, si riuniscono a formare la vena porta che entra nel fegato a livello dell’ilo. Tra circolo portale e circolo sistemico esistono numerose anastomosi che possono fungere da circoli collaterali fondamentali in corso di ipertensione portale grave. Nell’uomo i più importanti sono i porto precavali in particolare a livello di sottomucosa gastrica ed esofagea, mentre nel cane sono più attivi i porto postcavali a livello delle vene lombari, retroperitoneali e renale sinistra. Il circolo portale è un circolo di capacitanza a bassa pressione e privo di valvole tanto che qualsiasi occlusione oppure uno stato di ipertensione si ripercuotono prossimalmente sull’intero circolo. Il flusso e la pressione di tale circolo sono influenzati da una serie di fattori fisiologici come la fase respiratoria, il digiuno, l’esercizio, l’anestesia. Un ruolo importante nel controllo dell’emodinamoca epatica è svolto dalle interconnessioni tra circolo portale ed arterioso tramite una interazione idrodinamica tra i due circoli che tende a mantenere un flusso ematico costante al fegato. In caso di ipertensione portale tale equilibrio viene a mancare per un insieme di fattori quali lo stato iperdinamico del circolo arterioso epatico e mesenterico, l’iperafflusso splenico, l’aumento delle resistenze intraepatiche e l’apertura di anastomosi artero-portali

e porto-sistemiche. Le metodiche per la misurazione della pressione portale possono essere dirette o indirette. Le prime sono poco usate per la loro scarsa praticità anche se costituiscono sicuramente il metodo più accurato. Come metodo indiretto l’eco-doppler si presta particolarmente per lo studio flussimetrico dei vasi del sistema portale in condizioni fisiologiche e patologiche. Il segnale doppler può essere rilevato a livello del tronco principale poco prima dell’ingresso nell’ilo epatico, nel ramo sinistro intraepatico, nella vena splenica e nella gastrica di sinistra. Il tipo di tracciato è caratterizzato da uno spettro a banda ampia ed a profilo solitamente piatto dovuto alla bassa velocità del flusso (da 10 a 20 cm/sec) che comporta un un profilo emodinamicodi tipo parabolico con sensibile differenza di velocità tra le parti assiali e periferiche del vaso. Non esistono dati riguardo le differenze di velocità del flusso portale nelle varie diramazioni del sistema venoso splancnico nel cane. La classificazione delle varie forme di ipertensione portale si basa sulla sede dell’aumento delle resistenze al flusso venoso che può essere preepatico, intraepatico (che a sua volta può essere suddiviso in pre- e post-sinusoidale) e postepatico. La genesi dell’ipertensione portale e più in particolare della formazione di ascite in corso di cirrosi rimane ad oggi argomento dibattuto. Alla teoria classica (backward theory) che ritiene l’aumento delle resistenze intraepatiche come evento determinante si contrappone una tesi più recente (forward theory) che considera la vasodilatazione arteriolare splancnica come causa dell’aumento della pressione capillare splancnica, del coefficiente di filtrazione e quindi in ultimo della formazione di liquido in addome.


66

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Approccio clinico al paziente con problemi respiratori Luca Ferasin Med Vet, PhD, Cert VC, MRCVS - Università di Bristol, Regno Unito

Obiettivi didattici L’ obiettivo principale di questa unità didattica è di illustrare i principi basilari per il riconoscimento e l’interpretazione dei segni clinici riferibili a malattie respiratorie. Vengono inoltre forniti suggerimenti per l’approccio clinico orientato al problema e per una corretta e completa esecuzione dell’esame fisico del paziente con problemi respiratori (con particolare enfasi in merito a percussione e auscultazione del torace).

paziente che comprende l’esame delle mucose visibili, cute e sottocute, polso, linfonodi esplorabili, addome, movimenti del torace e temperatura corporea. L’esame particolare dell’apparato respiratorio prevede la percussione e l’auscultazione del torace. La percussione permette di rilevare aree ipofonetiche (atelettasia, masse tumorali, versamento pleurico) o aree iperfonetiche (enfisema, bolle, pneumotorace). L’auscultazione permette di rilevare suoni anormali (rantoli, sibili, rumori di sfregamento) riconducibili a determinati processi patologici.

Estratto breve

Estratto completo

Un paziente affetto da una malattia cardio-respiratoria può essere presentato alla visita per la presenza di uno o più dei seguenti segni clinici: scolo nasale, stridore, deformità della faccia, starnuto (o starnuto inverso), tosse, dispnea e/o tachipnea, cianosi, intolleranza all’esercizio fisico e/o collasso, astenia e/o letargia, paralisi del treno posteriore, inappetenza e perdita di peso, aumento di dimensione dell’addome. Tutti questi segni clinici possono essere riferibili ad una malattia cardiaca o respiratoria (o entrambi) ed è spesso difficile (se non impossibile) identificare la precisa eziologia senza l’aiuto di indagini diagnostiche specifiche (es. profilo ematochimico, elettrocardiografia, radiografia del torace, etc). Talvolta, l’indagine diagnostica di casi cardio-respiratori risulta lunga e indaginosa e può richiedere l’impiego di tecnologie non sempre accessibili in un ambulatorio veterinario (es. ecocardiografia, broncoscopia, etc). Alcune patologie del torace possono avere una predisposizione di età, razza o sesso. La conoscenza di questi dati può essere particolarmente utile nella corretta stesura della diagnosi differenziale. Come in tutte le indagini cliniche, l’anamnesi di un paziente affetto da malattie cardio-respiratorie dev’essere raccolta in maniera completa e meticolosa. Una volta individuati i problemi del paziente, è necessario riconoscere per ciascun problema la sua modalità d’insorgenza, il suo corso, la sua durata e la sua frequenza. Se due o più segni clinici sono contemporaneamente presenti, è importante determinare quali possono essere ricondotti allo stesso problema e quali possono derivare da condizioni diverse. Prima di concentrare l’attenzione sul sistema cardio-respiratorio, è necessario eseguire un esame fisico generale del

Introduzione È spesso difficile riconoscere un paziente affetto da problemi respiratori e distinguerlo da uno affetto da problemi cardiaci. Il sistema cardio- circolatorio ed il sistema respiratorio, infatti, lavorano all’unisono e in perfetta armonia, tant’è che una disfunzione del sistema cardio-vascolare provoca inevitabilmente un problema del sistema respiratorio e viceversa. Il termine “medicina cardio-respiratoria” risulta pertanto più appropriato nell’ identificare lo studio dei pazienti affetti da patologie a carico di uno o più organi toracici. Le malattie dell’apparato cardio-respiratorio colpiscono una considerevole percentuale (circa il 10%) di cani e gatti presentati presso le strutture veterinarie e rappresentano la principale causa di morte nei nostri pazienti.

Il paziente con problemi respiratori La tradizionale classificazione che distingue malattie respiratorie da malattie cardiache risulta alquanto limitata. Infatti, alcuni segni clinici (es. tosse e dispnea) sono aspecifici e possono rappresentare la conseguenza sia di una patologia primaria del tratto respiratorio che di una disfunzione cardio-circolatoria. Secondo un approccio clinico orientato al problema, un paziente affetto da una malattia cardio-respiratoria può essere presentato alla visita per la presenza di uno o più dei seguenti segni clinici: • scolo nasale (o oculo-nasale) • stridore • deformità della faccia • starnuto o starnuto inverso • tosse (accompagnata o meno da rigurgito o vomito)


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

• • • • •

dispnea e/o tachipnea cianosi intolleranza all’esercizio fisico e/o collasso astenia e/o letargia paralisi del treno posteriore (tromboembolismo nel gatto con cardiomiopatia) • inappetenza e perdita di peso • aumento di dimensione dell’addome Tutti questi segni clinici possono essere riferibili ad una malattia respiratoria o cardiaca (o entrambi) ed è spesso difficile (se non impossibile) identificare la precisa eziologia senza l’aiuto di indagini diagnostiche specifiche (es. profilo ematochimico, elettrocardiografia, radiografia del torace, etc). Talvolta, l’indagine diagnostica di casi cardio-respiratori risulta lunga e indaginosa e può richiedere l’impiego di tecnologie non sempre accessibili in un ambulatorio veterinario (es. ecocardiografia, broncoscopia, etc). In questi casi, la possibilità di riferire il paziente presso un centro veterinario specializzato dovrebbe essere presa in considerazione come possibile opzione. Scolo nasale: rappresenta una risposta aspecifica ad un processo infiammatorio o erosivo/distruttivo della mucosa nasale. Talvolta, anche patologie del polmone o coagulopatie possono risultare in scolo nasale. Lo scolo nasale può essere classificato a seconda della localizzazione: • unilaterale: corpi estranei, neoplasie, polipi, malattie dentarie (es. ascesso radicolare); • bilaterale: processi infettivi, malattie allergiche o coagulopatie; • unilaterale che evolve in bilaterale: neoplasie o malattie fungine con distruzione del setto; oppure in base all’aspetto del materiale che caratterizza lo scolo: • sieroso: fasi iniziali dell’infiammazione, infezioni respiratorie del gatto • siero-mucoso: infiammazione lieve aspecifica • muco-purulento: infezione di origine batterica, fungina, parassitaria o virale, infezioni secondarie a corpi estranei, neoplasie, etc. • emorragico: trauma, processi distruttivi secondari ad infezioni fungine o neoplasie, coagulopatie, etc. Stridore: è caratterizzato da un profondo “russare”, soprattutto in inspirazione, e suggerisce la presenza di un processo ostruttivo a carico delle prime vie aeree. Deformità facciali: sono dovute soprattutto a deformità dell’osso mascellare e facciale conseguenti a gravi sinusiti o processi neoplastici. Starnuto: è caratterizzato da un improvviso, violento, involontario atto espiratorio attraverso il naso e la bocca, generalmente preceduto da una profonda inspirazione. Lo starnuto rappresenta la risposta ad un insulto a carico delle cavità nasali finalizzata all’espulsione dell’agente irritante. Starnuto inverso (o respirazione parossistica): è rappresentato da episodi di respiro difficoltoso, “russante” e parossistico della durata variabile tra 10 secondi e due minuti. Ne sono affetti maggiormente cani di taglia piccola o media, per lo più giovani, in ottima condizione di salute. Durante l’episodio di starnuto inverso, gli animali rimangono generalmente immobili e con la testa estesa sul collo. L’eziopatogenesi dello starnuto inverso rimane sconosciuta, ma può tal-

67

volta essere associata a sinusite o altre malattie delle prime vie aeree. Lo stranuto inverso è molto raro nel gatto. Tosse: è una meccanismo riflesso caratterizzato da un “esplosivo” movimento espiratorio a glottide chiusa, immediatamente seguito dalla rapida espulsione di aria allo scopo di eliminare attraverso la bocca materiale patologico presente nelle vie aeree (laringe, trachea e bronchi). Per questo motivo, la tosse è generalmente considerata un meccanismo positivo. Tuttavia, vi sono situazioni in cui la tosse può causare debolezza, danni organici (es. enfisema), esacerbare un processo infiammatorio o favorire la diffusione di agenti infettivi. I recettori della tosse sono di tipo chimico e meccanico e sono distribuiti con maggior densità a livello di laringe e primi anelli tracheali. La densità recettoriale tende a diminuire progressivamente procedendo verso le vie aeree inferiori fino a scomparire a livello dei bronchioli respiratori. Le malattie del parenchima non sono perciò accompagnate dalla presenza di tosse, a meno che il materiale patologico presente negli spazi alveolari o nei bronchioli non si sposti a livello di bronchi e/o trachea, stimolando i recettori della tosse. Il tipo di tosse e le variazioni della sonorità riflettono le differenze tra i vari siti da cui possono prendono origine gli stimoli tossigeni. Ad esempio, la stimolazione del laringe causata da paralisi laringea produce un tipo di tosse “afona” (simile al verso della foca o a una voce strozzata), non preceduta da inspirazione. O ancora, il paziente con inadeguati meccanismi di clearance mucociliare, come può accadere nella bronchite cronica e nella bronchiectasia, può manifestare un tipo di tosse superficiale e caratterizzata da ripetute espirazioni non intervallate da atti inspiratori. Se il paziente non tossisce spontaneamente, la tosse può essera indotta tramite palpazione della laringe o dei primi anelli tracheali. È raccomandabile eseguire questa manualità dopo, o ancor meglio durante, l’auscultazione del torace, in quanto i rumori delle secrezioni bronchiali possono essere eliminati dai colpi di tosse. In alcuni casi di bronchite cronica, i rantoli possono comparire dopo il colpo di tosse. La produzione di sputo che accompagna spesso la tosse nei pazienti umani, non è frequente nel cane e nel gatto, in quanto il materiale espettorato viene quasi sempre deglutito al termine della tosse. L’atto deglutitorio dopo la tosse dev’essere quindi interpretato come un segno di tosse produttiva. Nelle rare occasioni in cui l’espettorato viene sputato durante la visita, è consigliabile raccoglierne un campione da sottoporre ad esame citologico e a colorazione di Gram. Dispnea e tachipnea: compaiono generalmente a seguito di una aumentata richiesta di ossigeno o quando non vi è adeguata ventilazione e/o perfusione a livello polmonare. La dispnea è una respirazione difficoltosa o dolorosa, accompagnata da una sensazione di malessere o ansia (più facilmente valutabile nell’uomo che nei nostri pazienti); la tachipnea è definita invece come un respiro rapido e frequente. Dispnea e tachipnea possono comparire simultaneamente: (iperpnea). Quando il paziente presenta una respirazione difficoltosa, a bocca aperta, con la testa estesa sul collo e gli arti anteriori divaricati con gomiti abdotti, o assumendo un decubito sternale, si parla di “ortopnea”. È importante però riconoscere la tachipnea fisiologica da quella patologica. Durante l’esercizio, l’eccitazione o lo stress, infatti, l’organi-


68

smo richiede una maggiore quantità di ossigeno per far fronte all’aumentato fabbisogno metabolico. Un’altro tipo di tachipnea fisiologica può comparire a seguito della rarefazione dell’ossigeno ambientale ad elevate altitudini e in ambienti chiusi, o per meccanismi di termoregolazione. La dispnea può essere classificata in base all’eziologia in dispnea polmonare e dispnea cardiaca. Nel primo caso la carenza di ossigeno può essere causata da un processo restrittivo cui consegue una ridotta espansione del polmone (fibrosi polmonare, versamento pleurico, etc.) o da un processo ostruttivo (corpo estraneo a livello di laringe o trachea, collasso tracheale, etc.). La dispnea cardiaca può essere causata, nelle fasi iniziali, da un rallentamento del circolo periferico con conseguente acidosi e ipossia che inducono stimolazione dei centri respiratori bulbari (respiro periodico o di Cheyne-Stokes). Nelle forme cardiache congestizie, la presenza di fluido negli spazi alveolari (edema polmonare) causa dispnea per riduzione degli scambi gassosi e per ridotta elasticità del parenchima. Altre cause di dispnea sono rappresentate dall’anemia (dispnea circolatoria), cheto-acidosi diabetica (respiro di Kussmaul) e lesioni cerebrali (respiro di Biot). Cianosi: è una colorazione bluastra della pelle o delle mucose dovuta a un eccesso di emoglobina ridotta nel sangue. La cianosi può originare da patologie polmonari che causano ipossiemia arteriosa (es. disturbi della ventilazione e perfusione). Intolleranza all’esercizio fisico, collasso, astenia e letargia sono tutti segni clinici potenzialmente riferibili ad ipossia conseguente ad una patologia respiratoria. Paralisi del treno posteriore: è un segno caratteristico del tromboembolismo aortico del gatto (raro invece nel cane) secondario a cardiomiopatia. Inappetanza e perdita di peso: sono segni aspecifici ma frequentemente presenti nel paziente con problemi cardiorespiratori. Aumento di volume dell’addome: può essere indicativo di epatomegalia ed ascite secondarie a insufficienza cardiaca destra, a sua volta possibile conseguenza di malattie cardiache o polmonari (ipertensione polmonare). L’addome può apparire dilatato anche in caso di iperadrenocorticismo o ipotiroidismo nel cane, endocrinopatie spesso accompagnate da tachipnea.

Segnalamento Alcune patologie del torace possono avere una predisposizione di età, razza o sesso. La conoscenza di questi dati può essere particolarmente utile nella corretta stesura della diagnosi differenziale. Età: segni clinici riferibili a malattie cardio-respiratorie in giovani animali o cuccioli suggerisce la possibilità di una malattia congenita, soprattutto se esiste un concomitante ritardo nella crescita. Animali non vaccinati sono inoltre predisposti a malattie infettive del tratto respiratorio. Malattie neoplastiche, invece, sono più frequenti negli animali adulti, così come malattie degenerative (es. cardiomiopatie, degenerazioni valvolari, fibrosi polmonare, paralisi laringea), endocrinopatie (es. iperadrenocorticismo, ipo/ipertiroidismo) e ipertensione sistemica..

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Razza: molte razze canine sembrano essere predisposte a particolari patologie toraciche: • Terriers: bronchite cronica e malattia interstiziale cronica del polmone • Razze “toy”: collasso tracheale • Razze di piccola taglia: endocardiosi delle valvole atrio-ventricolari • Razze brachicefaliche: disordini congeniti delle vie aeree superiori • Razze dolicocefaliche: aspergillosi delle vie nasali • Razze giganti: paralisi laringea Sesso: esiste una lieve predominanza di cani maschi affetti da cardiomiopatia dilatativa ed endocardiosi. Nelle femmine, invece, la presenza di metastasi polmonari rappresenta una frequente complicazione del carcinoma mammario.

Anamnesi Come in tutte le indagini cliniche, l’anamnesi di un paziente affetto da malattie cardio-respiratorie dev’essere raccolta in maniera completa e meticolosa. A tal fine, l’impiego di questionari prestampati può rivelarsi molto utile, permettendo l’acquisizione di importanti informazioni in modo completo e standardizzato. Spesso, alcuni dei quesiti che inizialmente sembrano irrilevanti possono fornire successivamente informazioni fondamentali per una corretta diagnosi ed un corretto intervento terapeutico. Una volta individuati i problemi del paziente, è necessario riconoscere per ciascun problema la sua modalità d’insorgenza, il suo corso, la sua durata e la sua frequenza. Se due o più segni clinici sono contemporaneamente presenti, è importante determinare quali possono essere ricondotti allo stesso problema e quali possono derivare da condizioni diverse.

Esame clinico Prima di concentrare l’attenzione sul sistema cardio-respiratorio, è necessario eseguire un esame generale completo del paziente. Anche in questo caso, l’uso di moduli prestampati può essere d’aiuto nell’eseguire l’esame in maniera standardizzata e diminuire il rischio di omettere importanti valutazioni cliniche. In presenza di un soggetto con problemi cardio-respiratori può risultare spesso istintivo iniziare la visita dall’auscultazione del torace. Tuttavia, l’auscultazione dovrebbe essere eseguita solamente dopo un esame generale del paziente. L’esame iniziale si basa sulla valutazione soggettiva dello stato di nutrizione del soggetto, della sua conformazione corporea, delle condizioni del mantello, degli atteggiamenti comportamentali, dello stato del sensorio. Segue l’esame fisico, che comprende: • mucose: colore, umettazione, presenza di ulcere o petecchie, tempo di riempimento capillare • cute: colore, elasticita e temperatura (soprattutto a livello delle estremità corporee) della pelle • sottocute: presenza di edema o versamenti di altra natura • polso: frequenza, ritmo ed amplitudine


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

• linfonodi esplorabili: forma e volume, consistenza, presenza di adesioni o dolorabilità • addome: percussione, auscultazione, e palpazione degli organi interni • valutazione dei movimenti del torace: frequenza, profondità, ritmo e tipo di respirazione • temperatura corporea

Percussione del torace La percussione del torace permette di rilevare il bordo caudale del polmone e di valutare in misura indiretta la quantità di gas presente nelle sottostanti strutture respiratorie. Tale tecnica può essere eseguita con l’aiuto di un martello e di un plessimetro (percussione mediata) o più semplicemente colpendo con un dito della mano destra il dito medio sinistro (tra la seconda e la terza falange) appoggiato sulla parete toracica a livello degli spazi intercostali (percussione diretta o digito-digitale). La percussione del torace andrebbe eseguita per linee orizzontali e verticali in modo da delineare l’espansione dei campi polmonari. In cani di media o grossa taglia è inoltre possibile rilevare l’area di ottusità cardiaca nell’area ventrocraniale sinistra del torace. Alla percussione, il suono di un polmone sano viene definito come “chiaro” per la giusta combinazione di aria e parenchima nel tratto di torace percosso. Una diminuita sonorità del torace (suono ottuso) può suggerire la presenza di un’area polmonare consolidata (es. atelettasia, massa tumorale) o di fluido (versamento pleurico). Al contrario, un rilievo iperfonetico (suono timpanico) può indicare la presenza di un eccesso di aria nelle strutture sottostanti (es. enfisema, bolle, pneumotorace).

Ascoltazione del torace Per una auscultazione ideale, la stanza di consultazione dovrebbe essere silenziosa. Tuttavia, grugniti, ringhia, miagolii, fusa e proprietari loquaci rendeno spesso difficile, se non impossibile, l’auscultazione del torace. Il sistema internazionale di classificazione dei suoni respiratori è ormai universalmente utilizzato anche in campo veterinario. I suoni respiratori sono prodotti dal movimento di aria attraverso le vie respiratorie e possono essere classificati in suoni normali e suoni patologici. I suoni normali sono rappresentati da: • suono laringeo e tracheale: sonoro, inspiratorio ed espiratorio e udibile a livello di trachea e laringe; • suono broncovescicolare: udibile tra trachea e polmoni, inspiratorio ed espiratorio con la fase inspiratoria generalmente più lunga della fase espiratoria.

69

• suono vescicolare: a bassa sonorità e udibile su tutto il campo polmonare; tende a diminuire o scomparire a seguito di enfisema, versamento pleurico o pneumotorace; I suoni patologici sono rappresentati da: • rantoli a piccoli bolle (o crackles o rales): suono fine, non musicale, schioppettante e discontinuo udibile soprattutto in fase inspiratoria. Sono generalmente generati dal movimento dell’aria attraverso un mezzo liquido (es. edema polmonare). Tuttavia, i crackles sono udibili anche in assenza di fluido (es. fibrosi polmonare interstiziale, polmonite) verosimilmente a seguito della brusca apertura e chiusura degli alveoli durante le diverse fasi respiratorie. • rantoli a grosse bolle (o rhonchi): simili ai crackles ma udibili nelle vie aeree più di maggior calibro (bronchi) e pertanto più sonori. Originano dal passaggio d’aria attraverso secrezioni fluide (es. bronchite cronica). • sibili (o wheezes): suoni musicali continui, sonori, simili ad uno squittio, udibili soprattutto in fase espiratoria. Sono causati dal restringimento (costrizione o spasmo) delle vie aeree inferiori in assenza di materiale fluido essudativo (es. asma felina, fibrosi polmonare, polmonite). • stridori (o stridors): sono suoni inspiratori rumorosi, simili al “russare”, generalmente udibili anche senza l’ausilio dello stetoscopio e associabili ad un processo ostruttivo delle vie aeree superiori. • rumori di sfregamento (friction rub): sono suoni prodotti da zone di adesione tra la pleura parietale e la pleura viscerale in corso di pleurite. Appaiono generalmente intermittenti nelle forme lievi di pleurite e simili ai crackles (ma udibili sia in inspirazione che in espirazione). Nelle forme più diffuse di pleurite, questi suoni possono essere paragonati ad un rumore “di grattugia”. L’auscultazione del torace dev’essere infine completata con un’attenta auscultazione del cuore per poter rilevare l’eventuale presenza di soffi, aritmie o altre anomalie (es. sdoppiamento dei toni cardiaci, ritmi di galoppo) riconducibili a patologie cardiache.

Bibliografia 1. 2.

3.

Martin M. and Corcoran C (1997), Cardiorespiratory diseases of the dog and cat. Blackwell Science Oxford, 3-12. Ferasin L (2002) Cardio-respiratory diseases of the dog and cat. Lecture notes for Companion Animal Science I. University of Bristol, 328. Ferasin L (2002) Auscultation and electrocardiography. Lecture notes for Companion Animal Science I. University of Bristol, 3-9.


70

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Indagini diagnostiche nel paziente con problemi respiratori (radiologia, broncoscopia, BAL, etc.) Luca Ferasin Med Vet, PhD, Cert VC, MRCVS - Università di Bristol, Regno Unito

Obiettivi didattici L’ obiettivo principale di questa unità didattica è di illustrare le possibili indagini strumentali e laboratoristiche che possono essere utilizzate dal medico veterinario per favorire il raggiungimento di una diagnosi accurata nei pazienti affetti da malattie respiratorie. Vengono inoltre forniti suggerimenti pratici per una facile e rapida interpretazione dell’esame radiologico del torace, per una corretta esecuzione di broncoscopie e lavaggi bronco-alveolari (BAL), ultrasonografia di laringe e torace, ed esecuzione di aghi aspirati o biopsie polmonari. La sessione prevede inoltre brevi cenni sul potenziale impiego di tecnologie diagnostiche avanzate come tomografia assiale computerizzata (TAC), risonanza magnetica (MRI), scintigrafia, etc.

Estratto breve Al termine della completa raccolta dei dati anamnestici, obiettivi e funzionali del paziente, alcune indagini collaterali risultano spesso indespensabili per il conseguimento di una diagnosi accurata nei pazienti con problemi respiratori. Esami di laboratorio che possono risultare utili alla diagnosi di una patologia cardiopolmonare sono rappresentati dall’esame emocromocitometrico, biochimica clinica, test endocrinologici, test immunologici ed emogasanalisi. La radiologia del torace rappresenta uno dei principali test diagnostici nel paziente affetto da patologie cardiopolmonari. Con l’esame radiografico è possibile individuare anomalie riferibili a patologie della laringe e dello ioide, della trachea, dei grossi bronchi, e dei polmoni. La radiografia del torace permette inoltre di rilevare alterazioni dello spazio del mediastino e del tratto toracico dell’esofago. Nella valutazione della radiografia del torace è importante riconoscere e valutare la presenza di disegni (o pattern) caratteristici, quali il pattern alveolare, il broncogramma aereo, il pattern interstiziale, vascolare e bronchiale, così come l’aumento o la diminuzione della radiopacità dei campi polmonari. La broncoscopia (esame endoscopico delle vie aeree) permette di visualizzare restringimenti delle vie aeree, processi infiammatori della mucosa bronchiale, emorragie, corpi estranei e neoplasie. Durante la broncoscopia è possibile inoltre recidere piccole masse tumorali, estrarre corpi estranei, eseguire broncoplastiche e prelevare campioni a fini dia-

gnostici (spazzola per citologia, lavaggio broncoalveolare, ago aspirato e biopsia). Il lavaggio broncoalveolare (bronchoalveolar lavage o BAL) dovrebbe essere eseguito ad ogni endoscopia in quanto variazioni citologiche del tratto broncoalveolare non sono sempre macroscopicamente visibili. La broncoscopia non è scevra di possibili complicazioni quali pneumotorace, ipossia ed emorragie. Pur essendo limitata dall’incapacità degli ultrasuoni di penetrare le strutture contenenti aria, l’ultrasonografia del tratto respiratorio permette di esaminare la dinamica dei movimenti della rima glottis (laringe), identificare la torsione di un lobo polmonare, presenza di masse laringee, mediastiniche e polmonari, confermare ernie diaframmatiche, rilevare versamenti pleurici e guidare l’operatore nell’esecuzione di biopsie o aghi aspirati. La toracoscopia è una tecnica chirurgica minimamente invasiva che permette la chiara visualizzazione di lesioni toraciche e di prelevare con accuratezza campioni bioptici. Durante la toracoscopia è inoltre possibile rimuovere masse tumorali, esguire lobectomie e fenestrazioni pericardiche.

Estratto completo Introduzione Al termine della completa raccolta dei dati anamnestici, obiettivi e funzionali del paziente, alcune indagini collaterali risultano spesso indespensabili per il conseguimento di una diagnosi accurata nei pazienti con problemi respiratori.

Esami di laboratorio Ematologia: l’esame emocromocitometrico può fornire importanti informazioni sul paziente affetto da malattie cardiorespiratorie. Anemia: può risultare secondaria ad insufficienza renale in corso di insufficienza cardiaca; Policitemia: può risultare a seguito di ipossiemia secondaria a patologie polmonari o in presenza di shunt cardiaci (es. tetralogia di Fallot); Eosinofilia e/o basofilia: può essere presente in corso di patologie allergiche (es. asma felina), nella infiltrazione eosinofilica del parenchima (PIE), nelle micosi (es. criptococ-


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

cosi) e parassitosi (es. Oslerus osleri) dell’albero respiatorio, nella filariosi e angiostrongilosi cardiopolmonare o in corso di alcune neoplasie; Neutrofilia con left-shift: può indicare infiammazioni dell’albero respiratorio (generalmente di origine infettiva) o endocardite settica. In assenza di giovani neutrofili, la neutrofilia è spesso di difficile interpretazione, ma può essere associata ad eccesso di corticosteroidi (es. stress, Cushing’s o somministrazione di steroidi) se esiste una concomitante eosinopenia e linfopenia; Linfocitosi: se persistente può suggerire un’infezione cronica o essere associata a una recente vaccinazione; Monocitosi: può indicare un elemento del leucogramma da stress (associata a neutrofilia matura, eosinopenia e linfopenia) o infammazione cronica con distruzione tissutale (es. corpi estranei bronchiali, ascessi, etc). Biochimica clinica: alcuni parametri ematochimici possono suggerire patologie cardiorespiratorie: Uremia: elevata nell’insufficienza renale. L’esame delle urine, in questo caso, è indispensabile per distinguere un’azotemia renale da una pre- o post-renale; Creatinina: generalmente elevata in corso di insufficienza renale; Enzimi epatici: ALT e ALP possono risultare elevati nella congestione epatica secondaria ad insufficienza cardiaca destra e ipertensione polmonare; Proteine plasmatiche: possono aumentare a seguito di disidratazione (es. grave quadro congestizio) o gravi infezioni; possono diminuire a seguito di epatopatia da stasi, vasculopatia o insufficienza renale; Sodio: risulta in genere aumentato nella disidratazione (ipernatremia relativa) e diminuito nell’insufficienza renale avanzata, nell’overidratazione (iponatremia relativa) o a seguito di eccessiva diuresi; Potassio: risulta in genere aumentato nell’insufficienza renale acuta e diminuito nell’insufficienza renale cronica o come conseguenza dell’amministrazione di furosemide (specialmente nel gatto); Calcio: può aumenare in corso di ipercalcemia maligna e nell’iperparatiroidismo e diminuire in corso di ipoalbuminemia grave (ipocalcemia relativa) e nell’ipoparatiroidismo; Fosforo: può aumentare nell’insufficienza renale cronica e diminuito nell’ipercalcemia maligna; Test endocrinologici: possibili disturbi del sistema endocrino (es. ipo- iper-tiroidismo e iperadrenocorticismo) possono causare disturbi cardiorespiratori; pertanto test dinamici specifici dovrebbero essere presi in considerazione se esiste il sospetto di una di queste endocrinopatie. Test immunologici: esistono diversi test immunologici che possono essere di notevole contributo nella indagine diagnostica di casi cardiorespiratori: • Aspergillus fumigatus (aspergillosi nasale) • Toxoplasma gondii (toxoplasmosi) • Chlamydia psittaci (clamidiosi) • Dirofilaria immitis (filariosi cardiopolmonare) • FIV and FeLV (responsabili di anemia e immunodepressione con infezioni persistenti) • Cimurro (Canine distemper virus -CDV) (responsabile di gravi disturbi respiratori, gastro-intestinali e neurologici)

71

• Parvovirus (responsabile di miocardite nei cuccioli) Emogasanalisi: permette la misurazione del contenuto di ossigeno (O2), anidride carbonica (CO2) e acidità (pH) nel sangue. L’esame da un campione di sangue arterioso fornisce indubbiamente maggiori informazioni rispetto al sangue venoso nei pazienti con problemi respiratori. Il campione di sangue può essere prelevato da qualsiasi arteria accessibile (es. a. femorole o a. metacarpale) usando un ago molto sottile ed una siringa eparinizzata. Dopo il prelievo, è necessario esercitare una accurata e costante pressione per diversi minuti per bloccare completamente il sanguinamento. Il campione dovrebbe essere analizzato immediatamente evitando contaminazioni con l’atmosfera ambientale. È possibile tuttavia mantenere il campione stabile in ghiaccio per circa due ore nel caso di invio ad un laboratorio esterno. La tecnica è spesso stressante nel paziente cosciente e la puntura dell’arteria può risultare assai dolorosa. Pertanto, in pazienti poco docili o con grave compromissione cardiorespiratoria, è spesso consigliabile evitare la procedura. L’esame dei gas ematici sul sangue venoso può comunque fornire valide indicazioni sul pH ematico e può essere preso in considerazione quando il prelievo da un’arteria non è attuabile. L’emogasanalisi permette di valutare l’influenza di patologie cardiopolmonari sull’ossigenzaione del sangue e di valutare l’efficacia dell’ossigenoterapia. Il valore del pH ematico fornisce valide informazioni sull’efficacia dei sistemi tampone e, indirettamente, sul funzionamento di reni e polmoni.

Radiologia del torace La radiologia del torace rappresenta uno dei principali test diagnostici nel paziente affetto da patologie cardiopolmonari. La corretta interpretazione non dipende solamente dalla competenza ed esperienza del clinico, ma anche dalla qualità delle immagini ottenute. L’esame dei campi polmonari, in particolare, può risultare assai difficile se l’immagine radiografica non è di qualità adeguata. Molti fattori influenzano il successo di una immagine radiografica del torace tra cui brevi tempi di esposizione, uso di schermi a terre rare, sviluppo automatico, corretto posizionamento del paziente, esposizione ottenuta durante il picco inspiratorio, etc. L’esposizione ottenuta in decubito laterale destro dovrebbe essere ottenuta in tutti i pazienti con patologie cardiorespiratorie. L’impiego di entrambi le proiezioni laterali (destra e sinistra) è consigliabile nella ricerca di patologie polmonari (es. polmonite, metastasi polmonari) in quanto il polmone non adiacente al tavolo risulta maggiormente insufflato, rendendo così maggiormente visibili alterazioni a carico dei suoi lobi. L’esposizione in decubito sternale permette una miglior valutazione del cuore, mentre il decubito dorsale è preferibile per l’esame dei polmoni per la maggior vicinanza al tavolo radiologico delle strutture polmonari e per la più ampia espansione del torace in inspirazione. Tuttavia la proiezione in decubito sternale può risultare più confortevole per il paziente in caso di severa compromissione respiratoria o in caso di shock ipovolemico. Se l’esposizione viene eseguita in anestesia generale, è possibile eseguire l’insufflazione manuale dei polmoni per aumentare la definizione dei dettagli radiografici.


72

L’esame della radiografia del torace prevede la valutazione del sistema cardio-vascolare e del sistema respiratorio. Nella valutazione del sistema cardio-vascolare è necessario rilevare possibili cambiamenti riferibili a congestione dei vasi venosi, edema (interstiziale o alveolare) e aumenti di dimensione parziali o totali del cuore. L’esame dell’apparato respiratorio prevede invece la valutazione di anomalie radiografiche riferibili a patologie della laringe e dello ioide (eccessiva lunghezza del palato molle, ipoplasia delle cartilagini, neoplasie), della trachea (stenosi, collasso, corpi estranei, masse), dei grossi bronchi (bronchite, bronchiectasia, corpi estranei) e dei polmoni (ipoperfusione, polmonite, bolle, granulomi, ascessi, neoplasie, etc). La radiografia del torace permette inoltre di rilevare alterazioni dello spazio pleurico (versamento pleurico e pneumotorace), del mediastino (pneumomediastino, ascessi, granulomi, linfoadenomegalia, cisti, neoplasie, etc.) e del tratto toracico dell’esofago (megaesofago, corpi estranei, diverticoli, etc.). Una comune tecnica per l’esame dei campi polmonari prevede la valutazione della radio-opacità del parenchima e la presenza e distrubuzione di disegni (o patterns) caratteristici: - pattern alveolare: è caratterizzato da una aumentata opacità (circoscritta o diffusa) causata dalla presenza di fluido o di infiltrati cellulari nello spazio alveolare (es. edema, polmonite, etc.); - broncogramma aereo: si riferisce alla visione di un bronco pervio e libero da infiltrazioni e circondato da un pattern alveolare; - pattern interstiziale: è caratterizzato dalla visualizzazione dell’interstizio parenchimale a seguito di accumulo di fluido (edema interstiziale), infiltrazione cellulare (polmonite interstiziale, neoplasia) o consolidamento (fibrosi); - pattern vascolare: è rappresentato da dilatazione delle arterie polmonari (es. filariosi, tromboembolismo, ipertensione polmonare) o delle vene (es. insufficienza mitralica, cardiomiopatie, iperidratazione) o di entrambe (persistenza del dotto di Botallo, difetti del setto ventricolare, ipervolemia). - pattern bronchiale: si riferisce all’ingrossamento della parete bronchiale che appare a forma di “ciambella” nel bronco sezionato trasversalmente o con un disegno a “binario di ferrovia” in sezione longitudinale. Il pattern bronchiale indica generalmente bronchite o bronchiectasia (in quest’ultimo caso i bronchi appaiono anche dilatati). L’aumento diffuso della radio-opacità polmonare può essere associato a polmonite, edema, atelettasia, emorragia o neoplasia. Al contrario, i campi polmonari appaiono maggiormente trasparenti in corso di enfisema, asma (a seguito del fenomeno dell’ “air trapping”) o insufflazione eccessiva durante l’esposizione.

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

coscopi a fibre ottiche e video-broncoscopi. Il primo è costituito da un tubo flessibile rivestito all’interno da fibre ottiche che permettono la trasmissione dell’immagine dall’estremità inserita nell’albero bronchiale all’estremità rivolta verso l’operatore. L’immagine viene osservata dall’esaminatore attraverso una lente. Il video-broncoscopio utilizza invece un chip elettronico che funge da telecamera. L’immagine, elaborata da un computer, viene proiettata su monitor, offrendo maggiori possibilità di movimento all’operatore. Inoltre, la qualità dell’immagine ottenuta in videoendoscopia è di gran lunga superiore rispetto a quella ottenuta con un tradizionale endoscopio a fibre ottiche. I videoendoscopi sono però molto più costosi, anche se è possibile trovare in commercio convenienti apparecchiature ricondizionate provenienti da strutture ospedaliere umane. In entrambe le tipologie, la parte terminale del broncoscopio è manovrabile in due direzioni mediante la manipolazione di una cloche posta all’estremità dell’operatore. I broncoscopi sono inoltre forniti di un tunnel di lavoro per l’introduzione di strumenti operativi (pinze bioptiche, cateteri, etc). La broncoscopia permette di visualizzare restringimenti delle vie aeree, processi infiammatori della mucosa bronchiale, emorragie, corpi estranei e neoplasie. Durante la broncoscopia è possibile inoltre recidere piccole masse tumorali, estrarre corpi estranei, eseguire broncoplastiche e prelevare campioni a fini diagnostici (spazzola per citologia, lavaggio broncoalveolare, ago aspirato e biopsia). La broncoscopia non è scevra di possibili complicazioni quali pneumotorace, ipossia ed emorragie. Il lavaggio broncoalveolare (bronchoalveolar lavage o BAL) dovrebbe essere eseguito ad ogni endoscopia in quanto variazioni citologiche del tratto broncoalveolare non sono sempre macroscopicamente apprezzabili. Il lavaggio può essere eseguito mediante inserzione di un catetere nel canale di lavoro o attraverso il canale stesso a seconda del modello di broncoscopio impiegato. Allo scopo si instilla soluzione fisiologica sterile (1-1.5 ml/Kg) in ciascun polmone (o in un punto preciso in caso di alterazioni visibili); il liquido viene poi riaspirato tramite siringa o con pompa di suzione a seconda della tecnica utilizzata. Il campione così prelevato viene diviso in due aliquote: una parte in una provetta con EDTA per la citologia ed una parte in una provetta sterile per esami colturali. In mancanza di un broncoscopio flessibile, è possibile eseguire un simile campionamento mediante lavaggio transtracheale (transtracheal wash o TTW). La tecnica è estremamente semplice e consiste nell’inserzione di un ago di grosso calibro tra due anelli tracheali. Un catetere urinario sottile viene quindi inserito in trachea attraverso l’ago e fatto avanzare all’incirca fino alla biforcazione tracheale. Il lavaggio, eseguito attraverso il catetere, non permette però di prelevare materiale dalle basse viee aeree o da zone specifiche dell’albero respiratorio.

Ultrasonografia (ecografia) Broncoscopia La broncoscopia è l’esame endoscopico delle vie aeree. Consiste nell’impiego di un endoscopio flessibile (broncoscopio) che viene inserito all’interno delle vie aeree del paziente passando attraverso faringe e trachea. Esistono bron-

Mentre l’ecocardiografia rappresenta il test di elezione nella diagnosi delle malattie cardiache, l’ultrasonografia trova limitata applicazione nell’esame dell’apparato respiratorio per l’incapacità degli ultrasuoni di penetrare le strutture contenenti aria. Tuttavia, l’ultrasonografia permette di esaminare la


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

dinamica dei movimenti della rima glottis (laringe), identificare la torsione di un lobo polmonare, evidenziare la presenza di masse laringee, mediastiniche e polmonari, confermare ernie diaframmatiche, rilevare versamenti pleurici e guidare l’operatore nell’esecuzione di biopsie o aghi aspirati.

Biopsia ed ago aspirato mediante tecnica transtoracica In assenza di ecografo, biopsie ed aghi aspirati possono essere eseguiti “alla cieca” inserendo l’ago attraverso la parete toracica. In questo caso, è indispensabile identificare con accuratezza il punto di inserzione e la direzione dell’ago onde evitare il contatto con delicate strutture toraciche (cuore, aorta, vena cava, etc.). A tale scopo la radiografia del torace risulta indispensabile per stabilire la zona di parenchima polmonare da cui prelevare il campione bioptico.

Biopsia tramite toracotomia o toracoscopia Essendo una tecnica altamente invasiva, la toracotomia dovrebbe essere riservata solamente ai casi in cui la diagnosi non è stata possibile mediante indagini tradizionali o ai casi in cui l’intervento chirurgico preveda anche finalità terapeutiche (es. rimozione di una massa neoplastica). La toracoscopia rappresenta invece un valido compromesso, essendo un intervento chirurgico minimamente invasivo. La toracoscopia consiste nell’introduzione in cavità toracica di una sondamunita di lente collegabile a telecamera (toracoscopio) e di uno o più strumenti chirurgici (pinze, forbici, etc.) attraverso due piccoli fori eseguiti sulla parete costale. La tecnica permette la chiara visualizzazione di lesioni toraciche (masse polmonari e cardiache, linfoadenomegalia, lesioni della pleura e del pericardio, etc.) e di prelevare con accuratezza campioni bioptici. Durante la toracoscopia è inoltre possibile rimuovere masse tumorali, esguire lobectomie e fenestrazioni pericardiche.

73

Diagnostica per immagini avanzata (Scintigrafia, CAT, MRI, PET) La scintigrafia polmonare perfusionale è un esame basato sulla iniezione per via endovenosa di macroaggregati di albumina marcati con tecnezio (MAA Tc-99m). I macroaggregati rimangono intrappolati a livello del microcircolo polmonare, consentendo una valutazione della perfusione polmonare mediante una gamma camera. La scintigrafia trova una valida applicazione nella valutazione di alterazioni della perfusione in seguito a tromboembolismo polmonare. Nell’esame del torace, sia la tomografia assiale computerizzata (computed axial tomography o CAT) che la risonanza magnetica (magnetic resonance imaging o MRI) sono condizionate dalla presenza di artefatti di movimento causati dalla respirazione e dalle pulsazioni cardiache. Per ovviare a questo inconveniente è necessario impiegare tempi di scansione molto brevi e speciali software per l’analisi delle immagini ottenute. Anche se la CAT risulta oggi superiore alla MRI per la qualità dei dettagli ottenuti dal contrasto aria/tessuto polmonare e per la più elevata velocità di scansione, macchine per la risonanza magnetica ad elevatica velocità di scansione saranno disponibili sul mercato in tempi molto brevi. La tomografia a emissione di protoni (Positron Emission Tomography o PET) non produce una immagine strutturale anatomica bensì una immagine dell’attività metabolica. In questo modo, la PET può facilmente individuare aree di aumentato metabolismo glucidico e può essere utilizzata in alcune situazioni per distinguere lesioni benigne da patologie maligne.

Bibliografia 1. 2.

Owens JM & Biery DN (1999) Radiographic interpretation for the small animal clinician. 2nd ed. Williams & Wilkins, 147-184. Ferasin L (2002) Cardio-respiratory diseases of the dog and cat. Lecture notes for Companion Animal Science I. University of Bristol, 3-28.


74

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Terapia d’urgenza e terapia intensiva nel paziente con malattie respiratorie Luca Ferasin Med Vet, PhD, Cert VC, MRCVS - Università di Bristol, Regno Unito

Obiettivi didattici L’ obiettivo principale di questa unità didattica è di illustrare i principi per il riconoscimento e valutazione dello stato critico di un paziente affetto da malattia respiratoria. Vengono inoltre illustrate le comuni procedure di emergenza e di terapia intensiva nel paziente dispnoico o asfittico (ossigenoterapia, toracocentesi, tracheotomia, ventilazione assistita, etc). Nella seconda parte di questa sessione vengono invece descritte le tecniche di rianimazione nei pazienti in corso di arresto cardiorespiratorio.

lesioni possono essere irreversibili se la rianimazione non viene attuata in un brevissimo arco di tempo (1-3 minuti). La rianimazione non può quindi essere improvvisata ma deve essere prepianificata ed eseguita in perfetto ordine e coordinazione da personale esperto. La rianimazione nel cane e nel gatto ha successo solamente in 5-10% dei casi e che molti di questi casi soccombono nelle 48 ore successive o subiscono gravi danni cerebrali, responsabili di cecità, crisi epilettiformi o coma.

Estratto completo Estratto breve La dispnea rappresenta spesso un quadro di emergenza clinica. È perciò necessario saperla riconoscere immediatamente in modo da poter attuare tutti gli interventi possibili per stabilizzare il paziente. L’osservazione della meccanica respiratoria e l’esame fisico del paziente rappresentano i primi due passi fondamentali nella medicina d’urgenza del soggetto dispnoico. La presenza di cianosi delle mucose visibili e/o della cute, per esempio, possono indicare una grave compromissione del sistema respiratorio. La prima fase della stabilizzazione di un paziente dispnoico grave è rappresentata dalla somministrazione di ossigeno (ossigenoterapia). Animali gravemente dispnoici che non rispondono a terapia o pazienti incapaci di ventilare richiedono anestesia generale, intubazione e ventilazione assistita. Test funzionali nel paziente dispnoico grave comprendono pulsossimetria (misurazione della percentuale di saturazione dell’emoglobina con ossigeno nel sangue arterioso), capnometria (misurazione della CO2 a fine espirazione) ed emogasanalisi (concentrazione ematica di ossigeno e anidride carbonica). Nel caso in cui i segni clinici presentati dal paziente suggeriscano la presenza di pneumotorace o versamento pleurico dovrebbe essere sempre presa in considerazione la toracocentesi. La tecnica è semplice e permette di ripristinare rapidamente l’espansione inspiratoria del torace. L’arresto cardiopolmonare avviene quando cessano improvvisamente la ventilazione spontanea e la circolazione. Questo evento provoca la mancata perfusione dei tessuti e conseguentemente la morte. L’organo che subisce i maggiori danni in caso di arresto cardiopolmonare è il cervello e le

Introduzione La dispnea può essere causata sia da ipossiemia (ridotta pressione parziale dell’ossigeno) che da ipercapnia (aumentata pressione parziale dell’anidride carbonica) e rappresenta spesso un quadro di emergenza clinica. È perciò necessario saperla riconoscere immediatamente in modo da poter attuare tutti gli interventi possibili per stabilizzare il paziente. L’osservazione della meccanica respiratoria e l’esame fisico del paziente rappresentano i primi due passi fondamentali nella medicina d’urgenza del soggetto dispnoico.

Osservazione dei movimenti respiratori Cani e gatti affetti da dispnea grave sono riconsocibili per l’aumenata frequenza respiratoria e per la presenza di segni e atteggiamenti caratteristici. Segni importanti da rilevare sono la dilatazione delle narici e l’impiego dei muscoli respiratori accessori del collo, del torace e dell’addome durante la fase espiratoria. La concomitante presenza di respiro paradosso, caratterizzato dall’assimetria dei movimenti della parete del torace e dell’addome, indica una grave compromissione dell’apparato respiratorio. Atteggiamenti caratteristici in corso di dispnea sono rappresentati dalla respirazione a bocca aperta (per ridurre la resistenza all’aria causata dai turbinati nasali), estensione della testa sul collo (per distendere la trachea), arti anteriori divaricati con gomiti abdotti o decubito sternale (per favorire l’espansione del torace). Ogni manualità che prevede l’impedimento di uno di questi meccanismi compensatori (es forzatura in decubito laterale) può risultare in un aggravamento del quadro clinico.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Esame fisico del paziente critico La presenza di cianosi delle mucose visibili e/o della cute possono indicare una grave compromissione del sistema respiratorio. La cianosi compare quando la saturazione di ossigeno dell’emoglobina arteriosa è inferiore all’80%. Poiché la comparsa di cianosi dipende dalla concentrazione assoluta di emoglobina ridotta, e non dalla proporzione tra emoglobina ridotta ed emoglobina ossidata, pazienti anemici possono presentare segni di cianosi solamente in casi di grave ipossia. Per questo motivo l’assenza di cianosi non è sufficiente ad escludere una scarsa ossigenazione del sangue. L’auscultazione del polmone permette di rilevare rantoli, sibili, rumori di sfregamento, suoni smorzati (vd sezione “approccio clinico al paziente con problemi respiratori”) indirizzando il clinico verso la corretta localizzazione del processo patologico. Rilievi anomali all’auscultazione del cuore o alla valutazione del polso arterioso possono suggerire la presenza di una patologia cardiaca e secondario coinvolgimento del sistema respiratorio. La presenza di un suono timpanico alla percussione del torace deve far sospettare pneumotorace, mentre un suono ottuso può suggerire la presenza di versamento pleurico.

75

dev’essere umidificato facendolo gorgogliare attraverso un flacone di acqua distillata (umidificatore) prima della sua somministrazione. È possibile somministrare ossigeno anche durante la visita clinica (es. camera o tenda ossigeno) e tale pratica è consigliabile in pazienti particolarmente compromessi. L’esame clinico può essere completato non appena il paziente risulta stabilizzato. La seconda importante azione consiste nell’inserzione di un catetere endovenoso periferico (v. cefalica o v.safena) avendo cura di evitare ogni forma di eccessivo contenimento o stress. Questo permette il facile accesso al circolo sanguigno in ogni momento per la somministrazione di fluidi, farmaci o anestetici. Molto utile è il monitoraggio costante dell’elettrocardiogramma (ECG) che può essere ottenuto facilmente impiegando elettrodi autoadesivi monouso collegati ad un ECGmonitor. L’uso della radiotelemetria consente il monitoraggio costante del paziente senza impiego di cavi elettrici, permettendo così ampia libertà di movimento e minimo stress per il paziente. Nel caso di sospetto pneumotorace o versamento pleurico, è consigliabile eseguire una toracocentesi prima di ogni altra procedura diagnostica (es. radiografia).

Stabilizzazione del paziente Intubazione e ventilazione assistitita La prima fase della stabilizzazione di un paziente dispnoico grave è rappresentata dalla somministrazione di ossigeno (ossigenoterapia). L’ossigeno può essere somministrato con varie metodiche: - maschera: spesso mal tollerata da pazienti particolarmente stressati; - flusso libero: direttamente dal tubo dell’ossigeno. Meglio tollerato ma meno efficace; - catetere nasale: generalmente meglio tollerato della maschera ma spesso difficile da posizionare e mantenere in sede, soprattutto in cani brachicefalici; è inoltre poco efficace nei pazienti dispnoici che respirano a bocca aperta; - catetere endotracheale: viene inserito in trachea per via percutanea. Questa tecnica invasiva è spesso l’unica impiegabile in cani brachicefalici affetti da ipossia grave; - collare elisabettiano chiuso anteriormente da una pellicola per alimenti (o “Doggy bag”): l’ossigeno viene somministrato mediante inserzione del tubo all’interno del collare; - tenda o camera ossigeno: ideale per pazienti particolarmente stressati; tuttavia la saturazione della camera con ossigeno può impiegare parecchio tempo (a seconda delle dimensioni della gabbia); - incubatore pediatrico: può essere facilmente saturato con ossigeno; il suo uso è limitato a gatti, cuccioli o cani di piccola taglia; Un volume di somministrazione di 5-6 litri/min è in genere considerato sufficiente impiegando una maschera di misura ideale. Tuttavia è consigliabile utilizzare volumi maggiori con le altre metodiche (es. 6-8 litri/min). Onde evitare la secchezza delle mucose respiratorie, l’ossigeno

Animali gravemente dispnoici che non rispondono a terapia o pazienti incapaci di ventilare richiedono anestesia generale, intubazione e ventilazione assistita. L’anestesia generale preserva il paziente da stress e facilita l’esecuzione dell’intubazione. Anche se nessun anestetico risulta scevro di rischio, la somministrazione endovenosa di propofol sembra essere la più sicura, ammesso che il paziente non sia ipovolemico. È sempre buona norma avere pronto tutto il materiale per la tracheotomia nel caso l’intubazione del paziente risulti impossibile (es. processo ostruttivo delle prime vie aeree). Una volta intubato, il paziente deve ricevere ossigeno al 100% e la ventilazione può essere iniziata manualmente comprimendo la borsa respiratoria ogni 3-5 secondi. La decisione se esercitare o meno la ventilazione assistita dipende dai valori rilevati all’emogasanalisi (PaO2 < 50 mmHg oppure PaCO2 > 50 mmHg);

Test funzionali La pulsossimetria è un metodo semplice e non invasivo per la misurazione della percentuale di saturazione dell’emoglobina con ossigeno nel sangue arterioso. In terapia intensiva, il pulsossimetro è ampiamente utilizzato per monitorare l’efficacia dell’ossigenoterapia o della ventilazione assistita o per rilevare problemi di ossigenazione nel paziente prima che questi siano osservabili clinicamente. Il principio di lettura del pulsossimetro si basa sul diverso assorbimento di raggi infrarossi da parte dell’emoglobina a seconda del suo livello di saturazione con l’ossigeno. La sonda di trasmissione e ricezione è in genere di dimensioni molto ridotte ed è normalmente inserita all’interno di una molletta


76

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

atraumatica che può essere applicata in una qualsiasi zona di cute non rivestita da peli (orecchio, labbro, prepuzio, vulva, etc.) anche nel paziente non anestetizzato. Una guida approsimativa di lettura del pulsossimetro può essere così brevemente riassunta: • 97-99%: normale saturazione di ossigeno; • 93% - 97%: ridotta saturazione di ossigeno; tuttavia alcuni pazienti possono presentare segni clinici di ipossiemia già a 97%, mentre altri appaiono perfettamente normali anche a 93-94%; • ≤ 93%: il paziente richiede ossigenoterapia (O2 100%) e possibilmente ventilazione assistita; Il confronto tra le letture del pulsossimetro prima e dopo la somministrazione di ossigeno è utile per valutare l’efficacia del trattamento. Il pulsossimetro non fornisce però alcuna informazione circa il livello di anidride carbonica ed è pertanto inutile in quei pazienti che sviluppano insufficienza respiratoria a seguito di ritenzione di CO2. La misurazione della CO2 a fine espirazione è possibile tramite capnometria. Con tale metodica si possono avere informazioni sull’esatto posizionamento del tubo endotracheale, sull’efficacia o meno della ventilazione e sulla validità delle manovre di rianimazione cardiopolmonare. Il principio di lettura è simile a quello della pulsossimetria, basandosi sul diverso grado di assorbimento di raggi infrarossi a seconda della concentrazione di CO2 nel gas espirato dal paziente. Esistono ora in commercio pulsossimetri e capnografi riuniti in uno stesso apparecchio. L’emogasanalisi rappresenta il test funzionale d’elezione nel paziente dispnoico (vd. sezione “indagini diagnostiche nel paziente con problemi respiratori”). Valori normali nel cane e nel gatto sono riportati nella tabella 1. Il significato dei parametri ottenuti dall’emogasanalisi può essere così brevemente riassunto (dove a = sangue arterioso; v = sangue venoso): Pa O2 = capacità dei polmoni di ossigenare il sangue; Pa CO2 = capacità dei polmoni di eliminare anidride carbonica; Pv O2 = consumo tissutale di ossigeno; Pv CO2 = consumo tissutale di anidride carbonica;

Bisogna ricordare che il valore di PaO2 ottenuto durante ossigenoterapia può superare di gran lunga i valori normali. In un paziente con funzioni respiratorie normali, la somministrazione di O2 può aumentare il valore di PaO2 fino a cinque volte la concentrazione dell’ O2 inalato (es. 500 mmHg in caso di O2 al 100%, 200mmHg in caso di O2 al 40%, etc). Lo svantaggio dell’emogasanalisi è rappresentato dagli elevati costi dell’apparecchiatura e del suo mantenimento, spesa che risulta pertanto giustificata solamente in una unità di terapia intensiva con alto numero di pazienti.

Toracocentesi La toracocentesi dovrebbe essere sempre presa in considerazione tutte le volte in cui i segni clinici presentati dal paziente suggeriscono la presenza di pneumotorace o versamento pleurico. La tecnica più comune per eseguire una toracocentesi consiste nell’inserzione, previa anestesia locale, di un ago a farfalla (18-21 G) tra il VII e l’VIII spazio intercostale, nel terzo dorsale se si sospetta la presenza di gas o nel terzo ventrale nel caso in cui si sospetti versamento pleurico. Il gas o il fluido viene quindi aspirato con una siringa collegata ad un rubinetto a tre vie per evitare l’ingresso di aria nel cavo pleurico. La procedure viene interrotta non appena si raggiunge una pressione intratoracica negativa. Nel caso in cui una soddisfacente pressione non dovesse essere raggiunta, è consigliabile considerare l’inserzione di un tubo drenaggio permanente collegato ad una valvola di “Heimlich” in modo di consentire un drenaggio continuo del gas o del fluido sfruttando le variazioni di pressione intratoracica durante le fasi respiratorie.

Rianimazione in caso di arresto cardiopolmonare L’arresto cardiopolmonare avviene quando cessano improvvisamente la ventilazione spontanea e la circolazione. Questo evento provoca la mancata perfusione dei tessuti e conseguentemente la morte. L’organo che subisce i maggiori danni in caso di arresto cardiopolmonare è il cervello e le

Tabella 1 Emogasanalisi: valori normali nel cane e nel gatto (a livello del mare) PH

PCO2 (mmHg)

HCO3 (mEq/l)

PO2 (mmHg)

Cane (arterioso)

7.36-7.44

36-44

18-26

81-103

Cane (venoso)

7.32-7.40

33-50

18-26

Gatto (arterioso)

7.36-7.44

28-32

17-22

Gatto (venoso)

7.28-7.41

33-45

18-23

95-118

Da Willard & al 1999 Small animal clinical diagnosis by laboratory methods. 3rd ed. Saunders (modificato)


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

lesioni possono essere irreversibili se la rianimazione non viene attuata in un brevissimo arco di tempo (1-3 minuti). La rianimazione non può quindi essere improvvisata ma deve essere prepianificata ed eseguita in perfetto ordine e coordinazione da personale esperto. È importante inoltre selezionare i pazienti a priori, limitando la rianimazione solo a quegli individui affetti da malattie trattabili (es un paziente oncologico terminale non è generalmente un potenziale candidato). Le fasi della rianimazione sono classificate in ordine alfabetico (A, B, C, etc.) ed elencati qui di seguito: A (Airway): consiste nel garantire l’apertura delle viee aeree mediante inserzione di un tubo endotracheale. Se le vie aeree superiori risultano occluse ed impediscono l’intubazione, è necessario eseguire una tracheostomia. B (Breathing): una volta che il tubo endotracheale risulta correttamente inserito, dev’essere collegato ad un sistema di ventilazione automatico o manuale (es. Ambu bag). La ventilazione con ossigeno al 100% viene eseguita a 25-30 atti respiratori al minuto, assicurandosi che l’escursione del torace non sia ostacolata. C (Circulation): il ripristino della circolazione viene ottenuto con compressione ritmica (80-120 atti/minuto) del torace (massaggio cardiaco). La respirazione artificiale dev’essere garantita anche durante questa fase, mediante una profonda ventilazione ogni 5 o 6 compressioni del torace. In cani di grossa taglia questa tecnica risulta spesso fallimentare ed è consigliabile procedere al massaggio cardiaco a torace aperto. È importante che il paziente sia collegato ad un monitor con ECG per valutare l’attività elettrica del cuore. D (Drugs): in letteratura è riportata una lunga lista di farmaci da utilizzare in questa fase della rianimazione. Oltre ai fluidi (es soluzione fisiologica) che devono essere somministrati brevemente in grandi volumi per innalzare la pressione arteriosa, i farmaci più utilizzati sono adrenalina, atropi-

77

na e lidocaina che possono essere somministrati per via venosa o endotracheale o, nel caso di rianimazione a torace aperto, con iniezione intracardiaca. E (Electrical defibrillation): l’uso del defibrillatore dovrebbe essere limitato solamente ai casi con fibrillazione ventricolare o asistolia mantenendo il massaggio cardiaco e la ventilazione (eccetto durante la scarica elettrica). Se l’elettrocardiogramma non presenta variazione in seguito alla scarica elettrica, è necessario aumentare la tensione e ritentare la procedura. In caso di rianimazione a torace aperto, è possibile eseguire la defibrillazione impiegando appositi elettrodi a placca da applicare alla parete del cuore. F (Follow up): se al termine delle procedure descritte il paziente risulta rianimato, è necessario eseguire un monitoraggio costante del paziente, garantendo inoltre la somministrazione di fluidi e ossigeno e cateterizzando la vescica per misurare la produzione di urina. In caso di rianimazione a torace aperto, è necessario irrigare accuratamente il torace con soluzione sterile, suturare la breccia operatoria e somministrare antibiotici ed analgesici. È doveroso ricordare tuttavia che la rianimazione nel cane e nel gatto ha successo solamente in 5-10% dei casi e che molti di questi casi soccombono nelle 48 ore successive o subiscono gravi danni cerebrali, responsabili di cecità, crisi epilettiformi o coma.

Bibliografia 1. 2.

3.

Martin M. and Corcoran C (1997), Cardiorespiratory diseases of the dog and cat. Blackwell Science Oxford, 3-12. Waddell L & King L. (1999) General approach to dyspnoea. In Manual of canine and feline emergency and critical care. Ed BSAVA, Cheltenham, UK, 65-86. Muir WW (1999) Cardiopulmonary-cerebral resuscitation. In Manual of canine and feline emergency and critical care. Ed BSAVA, Cheltenham, UK, 247-260.


78

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Malattie del parenchima polmonare. Polmonite, infiltrazione polmonare eosinofilica, malattia polmonare interstiziale cronica Luca Ferasin Med Vet, PhD, Cert VC, MRCVS - Università di Bristol, Regno Unito

Obiettivi didattici L’ obiettivo principale di questa unità didattica è di illustrare eziologia, fisiopatologia ed aspetti clinici delle malattie del parenchima polmonare del cane e del gatto (polmonite, infiltrazione eosinofilica polmonare, polmonite interstiziale cronica, neoplasie polmonari). Vengono inoltre citati alcuni aspetti pratici di ordine diagnostico, prognostico e terapeutico con esempi tratti da casi clinici riferiti presso l’Università di Bristol (UK).

Estratto breve La polmonite è un processo infiammatorio del parenchima polmonare la cui patogenesi dipende dal tipo di agente eziologico in causa. Il segno clinico più comune è rappresentato da tachipnea /dispnea. Generalmente la tachipnea è l’unico segno presente nelle forme lievi, mentre la dispnea, prevalentemente espiratoria, compare nelle forme più gravi. Se vi è coinvolgimento delle vie aeree inferiori (es. broncopolmonite) è possibile osservare anche una tosse leggera e non produttiva. La presenza di febbre, letargia e anoressia deve far sospettare un coinvolgimento sistemico (es. polmoniti infettive). La diagnosi di polmonite non è sempre facile. Nei processi acuti è possibile osservare alterazioni ematologiche. In molti casi, però, la diagnosi si basa sul rilievo radiografico di lesioni polmonari. Nei pazienti stabili, la broncoscopia permette di osservare presenza di essudato nelle vie aeree, che può essere successivamente raccolto con lavaggio broncoalveolare (BAL) e caratterizzato con citologia ed esame colturale. Tuttavia, sia la broncoscopia che il BAL risultano spesso negativi nei processi flogistici interstiziali. La terapia dipende dal tipo di agente eziologico in causa. È molto importante mantenere il paziente con polmonite in assoluto riposo in un ambiente tranquillo e isolato, fornendo una dieta adeguata e, se necessario, somministrando fluidi e/o nutrizione parenterale. Casi acuti possono richiedere ossigenoterapia. Anche la prognosi varia a seconda dell’eziologia e della rapidità con cui viene instaurato un adatto protocollo terapeutico. La polmonite eosinofilica è una patologia respiratoria ad eziologia non ben definita (spore fungine, farmaci, batteri,

pollini, parassiti) caratterizzata da una significativa infiltrazione di eosinofili. Le lesioni polmonari sono spesso visibili nella radiografia del torace, come pattern misto (bronchiale, alveolare ed interstiziale), spesso con masse localizzate di dimensioni variabili e difficilmente differenziabili da lesioni neoplastiche. La terapia si basa sull’impiego di corticosteroidi. La polmonite interstiziale cronica è un processo patologico ad eziologia sconosciuta che produce lesioni croniche a carico dell’interstizio interalveolare (flogosi alveolo-settale) con organizzazione fibroconnettivale dell’essudato e successiva sclerosi interstiziale. Il quadro clinico è rappresentato da tosse secca, dispnea espiratoria e ridotte prestazioni fisiche. Tipico reperto ascoltatorio è rappresentato da rantoli a piccole bolle (crackles). La diagnosi è difficile e spesso basata sul criterio di esclusione di altre cause di tosse e dipsnea. I tumori del polmone possono essere primari o secondari (lesioni metastiche). Il carcinoma broncogeno rappresenta la forma più comune di tumore primario. La diagnosi si basa soprattutto su rilievo radiografico di masse solitarie o multiple generalmente ben definite e delineate a carico di uno o piu lobi polmonari. La terapia è chirurgica e riservata solamente ai casi di tumori primari ben localizzati.

Estratto completo Introduzione Le malattie del parenchima polmonare possono essere classificate come anomalie congenite (es. polmone policistico, displasia alveolare, atelettasia neonatale), processi degenerativi/distruttivi (es. enfisema, atelettasia), disturbi di circolo (es. ischemia, iperemia, ipertensione, edema), processi infiammatori (polmoniti) e neoplastici. In questa sessione verranno descritti gli aspetti generali dei processi infiammatori del polmone nel cane e nel gatto (eziopatogenesi, segni clinici, diagnosi e principi terapeutici), con particolare riferimento alle polmoniti infettive, all’infiltrazione eosinofilica polmonare e alla polmonite interstiziale cronica. Verranno inoltre prese in considerazione le più comuni neoplasie del polmone.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

79

Polmonite La polmonite è un processo infiammatorio del parenchima polmonare che può coinvolgere un intero lobo (polmonite lobare), un segmento di lobo (polmonite segmentale o lobulare), gli alveoli contigui ai bronchi (broncopolmonite) o il tessuto interstiziale (polmonite interstiziale). Queste distinzioni si basano generalmente sulle osservazioni radiografiche. La polmonite può anche essere classificata a seconda del tipo di infiammazione (es. polmonite eosinofilica), della causa (es. polmonite ab ingestis) o della tipologia di reazione parenchimale (polmonite “lipidica”). Le più comuni cause di polmonite nel cane e nel gatto sono elencate nella tabella 1. La patogenesi delle polmoniti è varia e complessa e dipende prevalentemente dal tipo di agente eziologico in causa. In generale, l’agente eziologico induce lesioni morfologiche e/o biochimiche nel tessuto polmonare (fase citotossica), cui segue la liberazione di mediatori chimici dell’infiammazione (fase reattiva). I mediatori chimici inducono un aumento della permeabilità capillare nell’area interessata e l’attivazione leucocitaria, con mobilizzazione delle cellule infiammatorie nel compartimento extravascolare. Nella sede dell’insulto flogogeno, i leucociti attivati liberano enzimi e ossigeno reattivo allo scopo di eliminare l’agente in causa e rimuovono, per fagocitosi, batteri, particelle estranee e detriti cellulari. Contemporaneamente, vengono liberate sostanze pro-infiammatorie che promuovono una ulteriore attivazione di cellule infiammatorie e di piastrine. Se da un lato lo scopo di questi fenomeni è quello di eliminare l’agente eziologico, dall’altro il processo infiammatorio può causare danni tissutali anche maggiori di quelli causati inizialmente dall’agente flogogeno. Questa eventualità è soprattutto possibile nei fenomeni di ipersensibilità (es. asma, parassitosi, polmonite eosinofilica, etc.). Il segno clinico più comune nella polmonite è rappresentato da tachipnea /dispnea. Generalmente la tachipnea è l’unico segno presente nelle forme lievi, mentre la dispnea, prevalentemente espiratoria, compare nelle forme più gravi. Se vi è coinvolgimento delle vie aeree inferiori (es. broncopolmonite) è possibile osservare anche una tosse leggera e non produttiva. La presenza di febbre, letargia e anoressia deve far sospettare un coinvolgimento sistemico (es. polmoniti infettive). Polmoniti causate da fenomeni di ipersensibilità possono essere accompagnate invece da dermatiti o disturbi gastroenterici. La diagnosi di polmonite non è sempre facile. Nei processi acuti, accompagnati da imponente reazione flogistica, è possibile osservare un quadro di neutrofilia con deviazione a sinistra. In molti casi, però, non si osservano alterazioni ematologiche e la diagnosi si deve basare sul rilievo radiografico di lesioni polmonari (pattern alveolare e broncogrammi aerei e/o pattern interstiziale). La localizzazione delle lesioni permette di classificare ulteriormente la polmonite in lobare (es. polmonite ab ingestis con lesioni generalmente a carico dei lobi ventro-craniali), lobulare, interstiziale (es. polmonite interstiziale) o broncopolmonite (pattern bronchiale e alveolare). Nei pazienti stabili, la broncoscopia permette di osservare presenza di essudato nelle vie aeree, che può essere successivamente raccolto con lavaggio bron-

Tabella 1 Forme infettive

Forme non infettive

Batteriche

Aspirazione di fluidi o cibo

Bordetella bronchiseptica

disturbi della deglutizione

Pasteurella sp.

paralisi laringea

Staphylococcus sp.

megaesofago

Streptococcus sp.

Anestesia

Pseudomonas sp.

Forme allergiche

Klebsiella sp.

Aspirazione di fumo

Mycoplasma

Aspirazione di sostanze caustiche

Virali

Corpi estranei

CDV (cimurro)

Malattie da accumulo

CAV II (adenovirus II)

lipidi endogeni (polmonite

Avvelenamento da paraquat

Parainfluenza III FCV (calicivirosi)

xantomatosa) sostanze oleose esogene

FHV (herpes)

(polmonite lipidica) fosfolipidi (lipoproteinosi)

Micotiche

muco (glicoproteinosi)

Histoplasma capsulatum

silice, asbesto (silicosi, asbestosi)

Blastomyces dermatiditis

Calcificazione metastatica

Coccidioides immitis

Polmonite uremica

Parassitarie

Forme idiopatiche

Contusione toracica Toxoplasma gondii Pneumocystis carinii Aelurostrongylus obstrusus Angiostrongilus vasorum Dirofilaria immitis Oslerus osleri Larva migrans (es. Toxocara)

coalveolare (BAL) e caratterizzato con citologia ed esame colturale. Tuttavia, sia la broncoscopia che il BAL risultano spesso negativi nei processi flogistici interstiziali. La terapia nei pazienti affetti da polmonite dipende dal tipo di agente eziologico in causa. Per esempio, l’uso di antibiotici è sempre indicato nelle broncopolmoniti batteriche o in tutte le forme che possono essere aggravate da una invasione batterica secondaria (es. polmoniti virali). L’uso di corticosteroidi è generalmente consigliabile nei pazienti con polmoniti allergiche o parassitarie. Nella terapia della polmonite, molto spesso vengono impiegati farmaci broncodilatatori (es. β-agonisti o metilxantine), ma la loro reale efficacia è dubbia, soprattutto in assenza di un processo broncocostrittivo. Agenti antitussivi (es. codeina, butorfanolo) sono invece sconsigliabili in quanto bloccano la clearance naturale delle viee aeree. È molto importante mantenere il paziente con polmonite in assoluto riposo in un ambiente tranquillo e isolato, fornendo una dieta adeguata e, se necessario, somministrando fluidi e/o nutrizione parenterale. Casi acuti possono richiedere ossigenoterapia (vd. sezione “terapia d’urgenza e terapia intensiva nel paziente con malattie respiratorie”). L’espulsione di muco dalle vie aeree può essere facilitata con umidificazione ambientale, nebulizzazioni con soluzione fi-


80

siologica sterile e coupage. Mucolitici (es acetilcisteina, bromexina) sono utilizzati ampiamente in medicina umana, ma la lora efficacia nelle malattie respiratorie del cane e del gatto non è stata sufficientemente studiata. La prognosi nei pazienti affetti da polmonite varia a seconda dell’eziologia e della rapidità con cui viene instaurato un adatto protocollo terapeutico. Casi di polmonite ab ingestis secondaria a megaesofago prevedono una prognosi infausta per l’alto rishio di recidiva causato dal rigurgito esofageo.

Polmonite eosinofilica La polmonite eosinofilica è una patologia respiratoria caratterizzata da una significativa infiltrazione di eosinofili. In letteratura sono riportate diverse forme: infiltrazione eosinofilica del polmone (o pulmonary infiltration with eosinophils –PIE), broncopneumopatia esonifilica (eosinophilic bronchopneumopathy –EBP) e granulomatosi eosinofilica polmonare (eosinophilic pulmonary granulomatosis -EPG). La classificazione in tre diverse forme risulta però spesso confusa ed imprecisa. L’ezioopatogenesi dell’ipersensibilità polmonare non è stata ancora del tutto chiarita, ma potenziali agenti eziologici sono rappresentati da spore fungine (es Aspergillus), farmaci (es. penicillina, acido salicilico, nitrofurantoina), batteri, pollini, parassiti (Toxocara, Oslerus, Angyostrongilus, Dirofilaria). Il meccanismo patogenetico principale sembra essere riferibile ad un fenomeno di ipersensibilità di tipo I ed è possibile che vi siano analogie con la risposta immunitaria regolata da linfociti Th2 che si osserva nella dermatite atopica. La gravità del quadro clinico dipende dal grado di infiltrazione eosinofilica. Il sintomo principale è rappresentato da tosse cronica che risponde al trattamento con corticosteroidi e, nelle forme più gravi, può essere presente diminuita prestazione fisica, tachipnea/dispnea, tromboembolismo e coagulazione intravasale disseminata (DIC). In rari casi, alla sintomatologia respiratoria si affianca un quadro di dermatite atopica. Le lesioni polmonari sono spesso visibili nella radiografia del torace, come pattern misto (bronchiale, alveolare ed interstiziale), spesso con masse localizzate di dimensioni variabili e difficilmente differenziabili da lesioni neoplastiche. Eosinofilia e/o basofilia periferica sono talvolta presenti in corso di infiltrazione polmonare eosinofilica. La diagnosi si basa tuttavia sulla presenza significativa di eosinofili nel liquido di lavaggio broncoalveolare, mentre l’esame colturale risulta spesso negativo. L’infiltrazione eosinofilica può anche essere rilevata all’esame istopatologico della biopsia polmonare. La terapia si basa sull’impiego di corticosteroidi (prednisolone, 0.5-1.0 mg/Kg bid per 5 giorni da ridurre progressivamente fino alle dose minima efficace da somministrare a giorni alterni). Nei casi più gravi è consigliabile somministrare ossigeno (ossigenoterapia) e dexametasone per via parenterale. La trasfusione di plasma (± eparina) può essere presa in considerazione in caso di DIC. Trattamento antiparassiario (es. fenbendazolo) è suggeribile in caso di presenza (BAL o esame coprologico) o sospetta presenza di parassiti polmonari o intestinali. Ambienti polverosi o fumosi an-

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

drebbero rigorosamente evitati. La prognosi è favorevole se il paziente risponde prontamente al trattamento con corticosteroidi, ma è generalmente infausta nei casi aggravati da tromboembolismo polmonare e DIC.

Polmonite interstiziale cronica La polmonite interstiziale cronica, detta anche malattia interstiziale polmonare cronica (chronic pulmonary interstitial disease) o malattia interstiziale polmonare idiopatica (idiopathic interstitial lung disease) o fibrosi interstiziale polmonare (pulmonary interstitial fibrosis-PIF), rappresenta un processo patologico ad eziologia sconosciuta che produce lesioni croniche a carico dell’interstizio interalveolare (flogosi alveolo-settale) con organizzazione fibroconnettivale dell’essudato e successiva sclerosi interstiziale. La fibrosi interstiziale polmonare (PIF) nell’uomo è causata da disturbi del collagene vascolare ed ha pertanto una eziopatogenesi ben definita. Nel cane, invece, le cause sono ancora sconosciute e la denominazione di malattia interstiziale idiopatica risulta quindi più corretta. La malattia è tipicamente cronica e lentamente progressiva (mesi/anni). I cani di razza West Highland White e Cairn terriers sembrano essere maggiormente colpiti e vengono quasi sempre presentati al veterinario per tosse secca, dispnea espiratoria e ridotte prestazioni fisiche. Tipico reperto ascoltatorio è rappresentato da rantoli a piccole bolle (crackles) udibili su tutta la superficie dei campi polmonari. I crackles, in questa patologia, non sono causati dalla presenza di fluido nelle vie aeree ma sono dovuti ad una brusca apertura e chiusura degli alveoli durante le diverse fasi respiratorie per la ridotta elasticità del parenchima. La diagnosi è difficile e spesso basata sul criterio di esclusione di altre cause di tosse e dipsnea. La radiografia del torace rileva in genere un pattern interstiziale diffuso (disegno a “nido d’ape”), scarsa insufflazione polmonare e cardiomegalia destra (cor polmonale). Spesso cani obesi o anziani presentano un simile quadro interstiziale diffuso e la diagnosi radiologica può risultare pertanto assai difficile. L’esame broncoscopico rileva collasso dinamico di tratti bronchiali in espirazione e citologia normale del BAL. L’esame colturale risulta negativo. L’esame dei gas arteriosi rivela invece ipossiemia ed ipocapnia, soprattutto dopo breve esercizio fisico. Nonostante vari aspetti clinici caratteristici della malattia, una diagnosi definitiva può essere raggiunta solamente mediante biopsia polmonare ed esame istopatologico, procedura raramente esguita per l’alto rishio anestetico in questi pazienti. Il trattamento della malattia interstiziale polmonare idiopatica è frustrante per la scarsa possibilità di miglioramento in questi pazienti. Broncodilatatori, corticosteroidi e colchicina sono utilizzati da molti clinici; tuttavia, studi in medicina umana hanno dimostrato che nessuno di questi farmaci fornisce un miglioramento significativo del quadro clinico. Nella personale esperienza dell’autore, i migliori risultati si ottengono con una rigorosa dieta nei pazienti obesi, esercizio fisico controllato (es. lunghe passeggiate invece di brevi corse intense) e l’uso della pettorina al posto del guinzaglio. Le lesioni polmonari sono irreversibili, pertanto la prognosi dipende dalla severità dell’infiltrazione interstiziale.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Neoplasie polmonari I tumori del polmone possono essere primari o secondari (lesioni metastiche). Secondo le linee guida del World Health Organisation (WHO), i tumori primitivi del polmone vengono classificati in tre gruppi principali: carcinoma broncogeno (tumore delle cellule colonnari), carcinoma broncoalveolare (tumore delle cellule cuboidi) e tumori rari (linfosarcoma, istiocitosi, melanoma, etc). Il carcinoma broncogeno rappresenta la principale causa di morte per cancro negli uomini (32%) e nelle donne (25%) e comprende l’adenocarcinoma, il carcinoma a cellule squamose e il carcinoma indifferenziato a grandi cellule (large cell carcinoma). Il carcinoma broncoalveolare è più raro ma tende a crescere e a metastatizzare più rapidamente, soprattutto ai linfonodi regionali. Le metastasi polmonari derivano da tumori primitivi in altri organi, soprattutto carcinomi mammari, del colon, prostata, rene, testicolo e ossa. Le cellule tumorali possono colonizzare il polmone sia per via ematica e/o linfatica, sia per migrazione attraverso le vie aeree. Generalmente interessati sono cani e gatti anziani, che vengono presentati al veterinario per anoressia e perdita di peso con progressivo deterioramento delle condizioni fisiche generali, tosse lieve e non produttiva, emottisi, polmoniti ricorrenti. La diagnosi si basa soprattutto sul rilievo radiografico di masse solitarie o multiple generalmente ben definite e delineate a carico di uno o piu lobi polmonari. Il coinvolgimento di linfonodi regionali e la presenza di versamento pleuri-

81

co sono altri rilievi frequenti. La diagnosi definitiva viene ottenuta con ago aspirato o biopsia polmonare dalla zona (o zone) di lesione. La broncoscopia risulta spesso normale, anche se talvolta è possibile osservare invasione tumorale delle vie aeree o compressione delle stesse dall’esterno e la presenza di cellule neoplastiche nel BAL. La terapia è chirurgica (lobectomia o pneumectomia unilaterale) e riservata solamente ai casi di tumori primari ben localizzati. La chemioterapia è consigliabile nei casi di linfoma, mentre sembra avere scarsissimo successo nei carcinomi. Studi di chemioterapia inalatoria, radioterapia e immunoterapia sono riportati in letteratura umana, ma esistono pochi dati in merito all’impiego di queste tecniche nel cane e nel gatto. Il tempo di sopravvivenza media in cani e gatti dopo resezione chirurgica completa di carcinoma polmonare dipende dal grado di differenziazione del tumore, e varia tra i 6 e 18 mesi.

Bibliografia 1. 2.

3.

Martin M. and Corcoran C (1997), Cardiorespiratory diseases of the dog and cat. Blackwell Science Oxford, 222-252. Ferasin L (2002) Cardio-respiratory diseases of the dog and cat. Lecture notes for Companion Animal Science I. University of Bristol, 8190. Beers MH & Berkow R. (1997) Pulmonary disorders. In The Merck Manual of Diagnosis and Therapy; 17th Edition. Merck & Co., Inc.


82

46째 Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Trattamento chirurgico delle lesioni meniscali Antonio Ferretti Med Vet, Dipl ECVS - Milano

RELAZIONE NON PERVENUTA


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

83

Dermatite allergica da pulci (DAP) nel cane: quadro clinico, approccio diagnostico, nuove terapie Otto W. Fischer Med Vet - Vienna

Estratto breve La saliva delle pulci contiene numerosi antigeni completi che sono inoculati nella cute quando la pulce morde, portando allo sviluppo della DAP. Il più comune disturbo è il prurito con compulsivo grattamento, mordicchiamento e leccamento soprattutto nella regione pelvica. Nei casi avanzati il proprietario avrà notato lesioni cutanee quali papule, eritemi, croste, escoriazioni e alopecia. La classica allergia da pulci esita nella formazione di lesioni nella regione pelvica, inclusa la base della coda, caudomedialmente sulle cosce e ventralmente sull’addome. L’interessamento della testa, del collo e delle estremità distali degli arti è raro. Le lesioni tipiche sono papule arrossate, eritema, scaglie; lesioni secondarie possono comparire con il progredire della malattia ed essere la conseguenza di piodermite: iperpigmentazione, alopecia e lichenificazione e, in caso di piodermite profonda, può svilupparsi foruncolosi con fistole. La diagnosi di DAP si può spesso basare sull’anamnesi e sul quadro clinico classico. Il test allergico intradermico con antigeni di pulce è un test pratico e attendibile per supportare la diagnosi di DAP. Sia la sensibilità che la specificità sono vicine al 90%. Sono disponibili test in vitro (test sierologici) per la diagnosi di ipersensibilità al morso della pulce, ma danno risultati non sempre attendibili. Gestione clinica: la più importante terapia è l’eliminazione delle pulci. I glucocorticoidi sistemici sono utili, ma non sono in grado di controllare completamente la malattia se le pulci sono ancora presenti. L’iposensibilizzazione è controversa e di solito non raccomandata. Nuove terapie/concetti terapeutici per la DAP: per provocare i sintomi di DAP è necessaria una certa quantità di antigeni salivari di pulce. Le pulci mordono l’ospite entro qualche minuto dopo l’infestazione. Non esistono repellenti efficaci per le pulci e i prodotti che dichiarano una tossicità per contatto abbattono troppo lentamente per evitare il morso delle pulci. Secondo questo concetto è stato condotto uno studio clinico di campo per dimostrare l’efficacia di un’associazione di nitenpyram (Capstar, Novartis Animal Health, Basel) / lufenuron (Program®, Novartis Animal Health, Basel) nel trattamento e prevenzione della ricomparsa della dermatite allergica da pulci (DAP) nel cane.

L’associazione di due prodotti sistemici costituisce un vantaggio per i dermatologi, perché non comporta limitazioni nel trattamento locale di dermatosi concomitanti, quali piodermite o dermatite da malassezia. Per alcuni proprietari è il trattamento di elezione perchè non comporta rischi per i bambini che vengono a contatto con l’animale trattato, non richiede l’applicazione di insetticidi nell’ambiente, e non perde efficacia per esempio negli animali che nuotano o sono lavati di frequente. Lo studio clinico di campo dimostra che l’associazione di nitenpyram e lufenuron è un trattamento affidabile per la dermatite allergica da pulci (DAP) e un pratico ed efficace protocollo per prevenire le ricadute.

Estratto completo Importanza A seconda del clima, la DAP è la più comune forma di ipersensibilità nei cani. Da un’indagine sulla prevalenza delle pulci e sull’ipersensibilità alle pulci nel Regno Unito è risultato che il 5-20% dei cani era infestato e che di questi il 50% sviluppava segni di DAP.

Patogenesi La specie di pulce che più comunemente infesta cani e gatti è Ctenocephalides felis, che infesta anche molte altre specie di mammiferi incluso l’uomo. La saliva delle pulci contiene numerosi antigeni completi che sono inoculati nella cute quando la pulce morde. Ogni individuo reagisce ad antigeni diversi, ma è stato identificato un antigene salivare principale al quale la maggior parte dei cani reagisce. Questo antigene è stato clonato e può essere utilizzato per test cutanei, test sierologici e immunoterapia. Non è ancora noto se antigeni non salivari giochino un ruolo importante. La maggior parte dei cani con DAP sviluppa una reazione immediata al test intradermico (skin test) (tipo 1), ma fino al 30% dei cani ha solo una reazione ritardata (tipo 4) allo skin test. La desensibilizzazione naturale dovuta alla continua esposizione è possibile, ma rara e quindi priva di importanza pratica.


84

Malattia clinica, anamnesi Il più comune disturbo segnalato è il prurito con compulsivo grattamento, mordicchiamento e leccamento soprattutto della regione pelvica. Nei casi avanzati il proprietario avrà notato lesioni cutanee quali papule, eritemi, croste, escoriazioni e alopecia. Le domande dell’anamnesi dovranno riguardare anche le misure di controllo delle pulci precedentemente utilizzate sul paziente, come pure il contatto con altri animali e l’ambiente. Spesso queste domande rivelano che il proprietario non crede che il problema del suo animale sia connesso all’infestazione da pulci o che sia stato applicato un programma di controllo delle pulci inadeguato. A volte i prodotti impiegati sono inadeguati, a volte il prodotto non è stato usato correttamente. Non esiste una predisposizione di razza o sesso. L’età di esordio è variabile, ma in genere è tra 2 e 5 anni. Un peggioramento stagionale è possibile e dipende dal clima e dall’ambiente domestico.

Quadri clinici La classica allergia alle pulci esita nella formazione di lesioni nella regione pelvica, inclusa la base della coda, caudomedialmente sulle cosce e ventralmente sull’addome. L’interessamento della testa, del collo e delle estremità distali degli arti è raro. Le lesioni tipiche sono papule arrossate, eritemi, scaglie; lesioni secondarie possono comparire con il progredire della malattia ed essere la conseguenza di piodermite: iperpigmentazione, alopecia e lichenificazione e, in caso di piodermite profonda, può svilupparsi foruncolosi con fistole.

Diagnosi La diagnosi di DAP si può spesso basare sull’anamnesi e sulla distribuzione classica delle lesioni. In molti casi la presenza di pulci o di feci di pulce può essere dimostrata con un pettine per pulci. Gli animali non devono essere lavati prima di essere portati al veterinario, in modo da permettere la visualizzazione dei parassiti, di scaglie o di strutture microscopiche adese alla cute, come batteri e lieviti. Se nè pulci nè feci di pulce sono presenti, questo non permette di escludere la DAP, poichè molti proprietari avranno usato trattamenti antiparassitari prima della visita veterinaria. D’altro canto il ritrovamento di pulci o di feci di pulce sull’animale non prova la relazione con la malattia cutanea pruriginosa. Tutti o molti dei problemi di prurito possono essere dovuti alla contemporanea presenza di altre malattie. I cani con dermatite atopica sono più esposti al rischio di sviluppare DAP, ma la distribuzione delle lesioni può aiutare a differenziare le due allergie: interessamento della testa (otite, cheilite) e delle zampe (pododermatite superficiale pruriginosa) sono classici segni di dermatite atopica e non di DAP. Differenziare una dermatite allergica alimentare da una dermatite allergica da pulci solo su base clinica non è possibile, perchè il quadro clinico può essere identico. La via per la diagnosi è prescrivere una dieta di eliminazione rigorosa, istituire un controllo delle pulci completo ed efficace e monitorare gli

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

effetti sulla dermatite e sul prurito. Se il prurito e le lesioni si risolvono, un test di provocazione con alimenti deve essere eseguito per differenziare le possibili eziologie. Se si diagnostica una concomitante piodermite secondaria è necessario trattarla con antibiotici sistemici appropriati per un minimo di 21 giorni. Solo dopo la risoluzione della piodermite è possibile avere una chiara visione della malattia primaria.

Immunodiagnostica Il test allergico intradermico con antigeni di pulce è un test pratico e attendibile per supportare la diagnosi di DAP. Sia la sensibilità che la specificità sono vicine al 90%. Approssimativamente il 90% dei cani con allergia alle pulci manifesta una reazione positiva immediata (formazione di un pomfo) entro 15 minuti, più tardi possono sviluppare una reazione ritardata. Nel 30% circa di individui allergici alle pulci si svilupperà solo una reazione ritardata (lieve eritema e ispessimento dermico). Sono disponibili test in vitro (test sierologici) per la diagnosi di ipersensibilità al morso della pulce, ma danno risultati non sempre attendibili a causa dell’uso di differenti antigeni. Inoltre i test sierologici per IgE antigene specifiche non rilevano gli individui che sviluppano solo reazioni ritardate. Anche gli alti livelli di IgG per gli antigeni salivari delle pulci spesso costituiscono un problema tecnico per il test. In sintesi si può affermare che la specificità e la sensibilità di questi test deve essere ulteriormente valutata.

Gestione clinica La desensibilizzazione naturale è rara. Allergie concomitanti come la malattia atopica e/o l’ipersensibilità alimentare possono aggravare la malattia e se trattate adeguatamente possono contribuire al controllo della DAP. Questo riflette il concetto di soglia. Opzioni terapeutiche: 1 - La terapia più importante è l’eliminazione delle pulci 2 - I glucocorticoidi sistemici sono utili, ma non sono in grado di controllare completamente la malattia se le pulci sono ancora presenti. Dopo che la diagnosi è stata fatta, i glucocorticoidi possono essere usati per un breve periodo nei casi in cui gli animali si automutilano ed è necessario tempo per eliminare le pulci. La dose iniziale è 1 mg/kg p.c./die di prednisolone e deve essere ridotta in funzione del miglioramento clinico. Di solito sono sufficienti 14 giorni di trattamento. 3 - L’iposensibilizzazione è controversa e di solito non raccomandata. Se fossero disponibili per l’iposensibilizzazione antigeni salivari di pulce purificati, questo metodo dovrebbe essere rivalutato per l’impiego in determinati casi. 4 - Il trattamento di malattie concomitanti, quali malattia atopica e/o ipersensibilità alimentare, è molto importante e spesso è uno strumento per la diagnosi differenziale. La piodermite secondaria è comune e risponde ai normali trattamenti.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Eliminazione delle pulci: - meccanica: questa è parzialmente eseguita dagli animali come reazione al prurito, può essere effettuata dai proprietari usando un pettine per le pulci. La riduzione delle pulci porterà a un miglioramento della DAP, ma non è un mezzo adeguato ad interrompere il ciclo vitale delle pulci. - dispositivi a ultrasuoni e trappole speciali di metallo non hanno effetto - chimica: molti prodotti differenti sono stati usati negli anni. Questi hanno diversa efficacia e sicurezza per gli animali, le persone che ne vengono a contatto e l’ambiente. Anche il metodo di applicazione è un aspetto importante, poichè singoli animali, proprietari e ambienti domestici richiedono strategie terapeutiche individuali! Il trattamento dell’ambiente esterno deve mirare a creare un ambiente sfavorevole per lo sviluppo di uova e larve, per esempio condizioni di umidità molto bassa o molto elevata. Da un paio d’anni sono disponibili farmaci sicuri e altamente efficaci per gli animali infestati. Il trattamento dell’ambiente esterno con grandi quantità di pesticidi dovrebbe quindi essere evitato, per ridurre il rischio di tossicità per animali e persone. Trattamento dell’ambiente interno: la pulizia accurata con aspirapolvere e il lavaggio in lavatrice a 60°C delle coperte del cane riduce la popolazione di pulci. Spray ambientali contenenti piretroidi e un regolatore della crescita degli insetti possono essere usati per il trattamento localizzato, per esempio nei posti preferiti dall’animale per dormire. I prodotti contenenti fipronil (un fenilpirazolo) o imidacloprid (un neonicotinoide) o un regolatore/inibitore della crescita degli insetti (methoprene, fenoxycarb, pyriproxifen, lufenuron) hanno portato all’eliminazione molto efficace e sicura delle pulci in questi ultimi anni.

Nuove terapie/concetti terapeutici per la DAP Per provocare i sintomi di DAP è necessaria una certa quantità di antigeni salivari di pulce. Le pulci mordono entro qualche minuto dopo l’infestazione dell’ospite. Non esistono repellenti efficaci per le pulci e i prodotti che dichiarano una tossicità per contatto abbattono troppo lentamente per evitare il morso delle pulci. È un luogo comune che con i nuovi prodotti efficaci le pulci non mordano. Secondo questo concetto è stato condotto uno studio clinico di campo per dimostrare l’efficacia di un’associazione di nitenpyram (Capstar, Novartis Animal Health, Basel) / lufenuron (Program® Novartis Animal Health, Basel) nel trattamento (Fase 1) e prevenzione della ricomparsa (Fase 2) della dermatite allergica da pulci (DAP) nel cane. Sono stati inclusi nello studio 27 cani in totale. In Fase 1, il nitenpyram è stato somministrato giornalmente alla dose >1 mg/kg p.c. e il lufenuron mensilmente alla dose >10 mg/kg p.c.. Gli animali sono stati riesaminati ai giorni 7 e 21, e nei casi di scarsa efficacia clinica anche al giorno 35. La Fase 1 è stata completata in totale 23 cani. L’efficacia clinica è risultata eccellente nel 73,9% dei cani, buona nel 21,7% e scarsa nel 4,3%. In Fase

85

2, il nitenpyram è stato somministrato una volta alla settimana alla dose >1 mg/kg p.c. e il lufenuron una volta al mese a >10 mg/kg p.c.. I cani sono stati riesaminati ai giorni 30, 60 e 90. La Fase 2 è stata completata in totale da 20 cani. L’efficacia clinica è risultata eccellente nel 75% dei cani e buona nel 25%. Sia nitenpyram che lufenuron sono stati ben tollerati, non sono state osservate reazioni avverse. Per il controllo a lungo termine della DAP, è importante rimuovere le pulci dall’ambiente dell’animale. Questo si può ottenere interrompendo il ciclo vitale delle pulci utilizzando un regolatore della crescita degli insetti (IGR)/inibitore dello sviluppo degli insetti (IDI) come lufenuron. Per essere efficace il trattamento deve riguardare tutti gli animali presenti nell’ambiente domestico. Rispetto all’uso di un singolo prodotto, il controllo integrato delle pulci con un’associazione di due prodotti con differenti modalità di azione non è solo più efficace, ma rende anche improbabile la selezione di popolazione di pulci resistenti. L’associazione di due prodotti sistemici costituisce un vantaggio per i dermatologi, perché non comporta limitazioni nel trattamento locale di dermatosi concomitanti, quali piodermite o dermatite da malassezia. Per alcuni proprietari è il trattamento di elezione, perchè non comporta rischi per i bambini che vengono a contatto con l’animale trattato, non richiede l’applicazione di insetticidi nell’ambiente, e non perde efficacia per esempio negli animali che nuotano o sono lavati di frequente. Grazie alla sua azione affidabile e rapida, il nitenpyram rappresenta una buona scelta per eliminare le pulci prima dell’accoppiamento o di un intervento chirurgico, e dopo la visita ad amici che possiedono animali non trattati, dopo il passaggio in sala d’attesa del veterinario, o dopo una mostra canina. Lo studio clinico di campo dimostra che l’associazione di nitenpyram e lufenuron è un trattamento affidabile per la dermatite allergica da pulci (DAP) e un pratico ed efficace protocollo per prevenire le ricadute.

Bibliografia Fischer, O.W., Wagner R.: Efficacy of a nitenpyram / lufenuron combination for the treatment of flea allergy dermatitis in a clinical field study, Proceedings Novartis Symposium, 27 th WSAVA Congress, Granada, p 10-16, October 2002. Cadiergue MC, Steffan J., Tinembart O., Franc M.: Efficacy of an adulticide used alone or in combination with an insect growth regulator for flea infestations of dogs in simulated home environments. Am. J. Vet. Res. 60(9): p. 1122-1125, 1999. Dryden M., McCoy C., Payne P.: Speed of flea kill with nitenpyram tablets compared to imidacloprid spot on and fipronil spot on in dogs. Compend. Cont. Educ. Pract. Vet. Vol. 23, No 3(A), p. 24-27, 2001. Schenker R., Luempert L., Barnett S.: Efficacy of nitenpyram against fleas on dogs and cats in a clinical field study. Compend. Cont. Educ. Pract. Vet. Vol. 23, No 3(A), p. 12 –15, 2001. Schenker R., Tinembart O., Barnett S., Witte S.: A brief introduction to nitenpyram: a new systemic flea adulticide for cats and dogs. Compend. Cont. Educ. Pract. Vet. Vol. 23, No 3(A), p. 4 – 6, 2001. Scott, D. W., Miller, W.H, Griffin, C.E.: Canine flea bite hypersensitivity. In Small Animal Dermatology, 6 th ed, W.B. Saunders, p 627-632, 2001. Witte S., Luempert L.: Laboratory safety studies of nitenpyram tablets for the rapid removal of fleas on cats and dogs. Compend. Cont. Educ. Pract. Vet. Vol. 23, No 3(A), p. 7-11, 2001.


86

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Citometria a flusso, novità relative all’uso pratico nella diagnosi e monitoraggio delle malattie infettive Tommaso Furlanello Med Vet, Padova

Estratto breve

ma tra tutte eccelle il riconoscimento tramite FC dei linfociti circolanti CD4+ e CD8+. Nel nostro studio abbiamo voluto applicare tale tecnica a 40 cani, tutti sieropositivi per L. infantum con metodica IFAT. I cani sono stati estesamente valutati dal punto di vista parassitologico e clinico-patologico. 18 cani cani erano già positivi all’esame microscopico dell’aspirato midollare e/o agoaspirato midollare, 11 cani erano pos. su sangue e/o midollo emopoietico alla PCR quantitativa (Light Cycler, Roche D. ) mentre 11 cani erano negativi. Abbiamo poi distinto i 29 cani, nei quali era documentata la presenza dell’antigene, in asintomatici e sintomatici. I linfociti CD4+ e CD8+ sono stati conteggiati a partire da sangue intero in K EDTA con citofluorimetro Epics XL-MCL (Beckman C. ). La media CD4/CD8 è significativamente differente tra i cani negativi per la ricerca dell’antigene e i positivi sintomatici, mentre i positivi asintomatici presentano un rapporto più simile a quello dei negativi. La nostra proposta è che si possano delineare, nell’ambito della vasta classe dei cani sierologicamente positivi per leishmaniosi, 3 categorie: (1) cani PCR negativi e (2) positivi, con rapporto CD4+/CD8+ simile a quello degli animali indenni ed infine (3) cani PCR positivi, riconoscibili sia clinicamente ma soprattutto per il rapporto CD4+/CD8+, come “ammalati”. L’appartenenza alle ultime 2 classi è probabilmente associata ad una differente prognosi e terapia.In conclusione la FC è una metodica applicabile clinicamente, che richiede un facile campionamento (sangue intero da analizzare entro 24h), che fornisce ineguagliabili informazioni sull’assetto immunitario dei pazienti affetti da alcune delle più importanti patologie infettive del cane e del gatto. @

La citometria a flusso (FC) è una metodica che permette di raccogliere parametri fisici e chimici di particelle contenute in una sospensione. Tramite l’uso di una luce laser e di rilevatori ottici, il sistema raccoglie la fluorescenza emessa da un fluorocromo legato ad un anticorpo monoclonale specifico per i recettori di superficie e/o intracitoplasmatici delle cellule. Il segnale raccolto viene poi convertito in un segnale elettronico e rappresentato in grafico.I diversi gruppi di anticorpi monoclonali, capaci di riconoscere specificatamente una molecola (cluster of differentation, CD), sono codificati con un numero che ne indica la funzione: ad esempio la molecola CD4 è associata ai linfociti T helper, mentre la CD8 è propria dei linfociti T citotossici. Le applicazioni pratiche in medicina veterinaria riguardano principalmente l’immunoematologia e l’oncologia (ad es. tipizzazione dei linfomi, diagnostica differenziale delle leucemie e delle istiocitosi canine). Nell’ambito delle malattie infettive vi sono almeno due patologie nella quale la FC è stata applicata con successo: la leishmaniosi canina e l’infezione da FIV (Feline Immunodeficiency Virus). Nelle infezioni da FIV, il conteggio dei linfociti CD4+ declina con la progressione della malattia e permette un’accurata stadiazione, impossibile con altri metodi. Nella leishmaniosi canina è ormai dimostrato che la resistenza alla malattia è correlata con la presenza di un’immunità cellulo-mediata, a sua volta associata ad una risposta di tipo T helper 1 (Th1), invece carente nei cani sintomatici. Questi ultimi, piuttosto, presentano una risposta di tipo Th2, caratterizzata da una risposta umorale. Esistono varie modalità per definire l’assetto linfocitario di un cane e la tipologia della sua risposta nei confronti del parassita ed in ultima analisi la sua “resistenza” o “predisposizione” alla malattia,

®

3

®

Ringraz. a: Prof. M. Castagnaro, Prof.ssa G. Capelli (Fac. di Med. Vet., Padova) e ai MM.VV. che hanno collaborato alla raccolta di casi. @


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

87

Indicazioni terapeutiche dell’impiego di Enrofloxacin negli animali esotici Thomas Göbel Cert spec avian and reptile diseases - Berlin, Germania

Estratto breve Il numero di uccelli esotici, rettili, anfibi e piccoli mammiferi, come conigli, roditori e furetti, che vengono portati alla visita presso le strutture veterinarie è in continuo aumento. Le principali ragioni di questo sviluppo sono da un lato la crescente popolarità di questi animali come soggetti da compagnia e dall’altro il fatto che i proprietari hanno compreso che ormai è possibile trattare con successo le loro affezioni. Gli agenti infettanti sono cause importanti di malattia in tutti questi animali e spesso è necessario effettuare una terapia antimicrobica. In queste specie, tuttavia, l’impiego degli antibiotici è limitato da diversi problemi. Esiste un’ampia gamma di peculiarità anatomiche, fisiologiche e comportamentali delle varie specie. I più comuni fra i piccoli mammiferi da compagnia appartengono all’ordine dei roditori e sono rappresentati da differenti specie di cavie, ratti, criceti, gerbilli, cincillà e topi; invece, il coniglio appartiene all’ordine Lagomorpha ed il furetto è un piccolo carnivoro. La classe Reptilia, con più di 6000 specie differenti, e quella Aves, con oltre 8000 specie diverse, pongono il veterinario pratico di fronte ad una mancanza di informazione. Esistono enormi differenze fra queste varie specie di rettili ed uccelli: ad esempio, una lucertola pesa da adulta solo pochi grammi, mentre una tartaruga gigante adulta supera i 100 kg; analoghe differenze esistono fra un canarino ed un’ara. Per scegliere un agente antimicrobico appropriato da utilizzare negli animali esotici e nei piccoli mammiferi, il clinico deve tenere conto dei seguenti fattori: • Che tipo di animale è il paziente e qual è la sua normale flora batterica?

• Quali agenti patogeni sono generalmente coinvolti nelle malattie di questo tipo di specie? • Si tratta di un’infezione acuta o cronica? • Quale apparato è coinvolto? • Quale agente antimicrobico è efficace nei confronti del sospetto patogeno? • Quali dosi e vie di somministrazioni sono necessarie e possibili in queste specie? • Esistono possibili effetti collaterali o tossici? Considerando tutti questi aspetti è possibile attuare con successo una terapia antibatterica nei piccoli mammiferi e negli animali esotici. Tuttavia, occorre sempre tenere presente che un trattamento di questo tipo può essere efficace soltanto in associazione con interventi di supporto aggiuntivi come la fluidoterapia, il sostegno nutrizionale e le cure intensive. Gli animali gravemente ammalati, ed in particolar modo i soggetti di piccola taglia e gli uccelli con un elevato metabolismo, necessitano di un trattamento immediato ed aggressivo. Grazie alla loro eccellente efficacia nei confronti delle infezioni sostenute da batteri Gram-negativi e Gram-positivi e micoplasmi, i fluorochinoloni sono diventati entro breve tempo gli antibiotici più comunemente utilizzati nei piccoli mammiferi e negli animali esotici. Possono essere impiegati senza rischi in un’ampia gamma di animali esotici e non inducono fenomeni di disbiosi nei piccoli mammiferi erbivori. Possono essere somministrati per os e la loro biodisponibilità per questa via nelle specie monogastriche è eccellente. Molti dati relativi all’impiego in questi animali sono disponibili per l’enrofloxacin (Baytril®), che è stato il primo antibatterico di questa famiglia commercializzato in medicina veterinaria. In questa rassegna verranno presentati i dati esistenti sull’impiego pratico dell’enrofloxacin (Baytril®) nelle malattie dei piccoli mammiferi, degli uccelli da gabbia, dei rettili e degli anfibi.


88

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Gestione delle parodontopatie del cane: diagnosi, trattamento e mantenimento dei risultati. Indicazioni e tecniche di estrazione nel paziente parodontale Margherita Gracis Med Vet, Dipl ADVC, Dipl EDVC - Milano

Estratto breve La malattia parodontale (parodontopatia) è la malattia delle strutture di sostegno del dente (periodonzio), comprendenti la gengiva, l’osso alveolare, il legamento parodontale, ed il cemento. Si parla di gengivite nel caso in cui solo i tessuti gengivali siano interessati dal processo infiammatorio, e di parodontite se sono coinvolte anche le altre strutture. L’incidenza della parodontopatia riportata nei cani adulti e anziani arriva fino al 97%, anche se questo dato va interpretato con cautela poiché gli studi variano molto per metodologia e tipo di popolazione studiata. Nel cane, tra i fattori predisponenti di parodontopatia vengono elencate le caratteristiche chimiche e fisiche della dieta, alcune malattie sistemiche (per es. il diabete mellito), delle alterate abitudini alimentari, un’attività masticatoria ridotta o insufficiente, e la presenza di un’eventuale malocclusione dentale. Come nell’uomo, anche nel cane vi è poi certamente una suscettibilità soggettiva, probabilmente su base genetica. In questa specie, l’incidenza di parodontopatia aumenta in maniera significativa con l’età e in maniera inversamente proporzionale alla taglia. Nell’uomo sembra dimostrata la correlazione tra la malattia parodontale e diverse patologie sistemiche, tra cui alcune malattie coronariche, l’arteriosclerosi, l’ischemia cerebrale, il diabete mellito, problemi di gestazione (nascita prematura), talune malattie respiratorie, e perfino morte. La malattia parodontale deve dunque essere considerata come un problema di salute generale e non solo un problema di alitosi e di estetica, in quanto la mancanza di tecniche preventive e trattamenti appropriati può esporre i soggetti a gravi complicanze. Il ruolo della placca e in particolare dei batteri in essa contenuti è essenziale per lo sviluppo delle lesioni parodontali. La placca localizzata lungo il margine gengivale e in sede sottogengivale causa lo sviluppo di gengivite, ed eventualmente di parodontite. Tra le diverse centinaia di batteri isolati dal solco gengivale del cane, i batteri bastoncellari anaerobi produttori di pigmenti (per es. Pseudomonas) rivestono sicuramente un ruolo chiave nello sviluppo della parodontite. Nonostante i pazienti di solito non presentino particolari segni clinici di malessere o dolorabilità del cavo orale, l’intervento terapeutico va programmato nel momento in cui compare un’infiammazione dei tessuti gengivali, per evitare la progressione delle lesioni. Poiché non ci è

dato di sapere in quale caso la gengivite progredisca a parodontite, tutti i pazienti affetti da gengivite dovrebbero ricevere una detartrasi professionale. La diagnosi di parodontopatia è basata principalmente sull’esame clinico e radiografico eseguiti sotto sedazione o anestesia. Per ogni dente vengono valutate con una sonda la mobilità e l’esposizione della zona di forcatura (che sono indici di distruzione dell’osso alveolare), l’eventuale presenza di iperplasia gengivale (che causa la formazione di pseudotasche), di recessione gengivale e di tasche parodontali. Nel cane, il solco gengivale normale dovrebbe avere una profondità di < 3 mm). I segni radiografici di parodontopatia includono un aumento di dimensioni dello spazio parodontale, la discontinuità della linea radiopaca corrispondente alla lamina dura, il riassorbimento osseo orizzontale (parallelo al margine gengivale) o verticale (lungo le radici). Lo scopo principale del trattamento è rivolto al rallentamento del processo patologico mediante ablazione manuale e/o meccanica della placca e del tartaro, eventualmente accompagnata da interventi di chirurgia resettiva o rigenerativa. L’intervento di detartrasi deve concludersi mediante lucidatura della superficie dentale, che serve a levigare il dente e quindi ritardare l’accumulo di placca. La terapia antibiotica non dovrebbe mai essere usata come unico trattamento nei casi di parodontopatia. Il numero consistente e la varietà di batteri presenti giustificano la scarsa efficacia dei trattamenti medici, che se non accompagnati dall’ablazione meccanica della placca risultano spesso inutili. Nel caso in cui vi siano le indicazioni per una terapia medica (per es. pazienti immunodepressi, o affetti da patologie metaboliche ed organiche), la scelta dovrebbe cadere su farmaci rivolti principalmente a batteri Gram -, anaerobi. L’uso prolungato di sostanze chimiche con proprietà antimicrobiche, come la clorexidina digluconato, è consigliabile nei pazienti con recidive frequenti e grave infiammazione dei tessuti orali. Le indicazioni parodontali per l’estrazione dentale includono la perdita completa di tessuto gengivale, l’esposizione della zona di biforcazione, e la perdita di più del 75% di sostegno osseo. Tuttavia, in ultima analisi la scelta di un intervento di tipo conservativo o meno va basata su valutazioni riguardanti non solo il dente, ma anche il paziente in toto. Fattori quali l’età, la situazione dentale iniziale (per es. il numero di denti presenti, o la velocità di sviluppo delle lesioni parodontali), la salute generale del soggetto, l’attività a cui preposto (cane da lavoro vs. cane da


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

compagnia), e non da ultimo la disponibilità o meno ad seguire un piano d’igiene casalingo e le possibilità economiche del proprietario sono tutti fattori molto importanti nella scelta terapeutica. Una volta eseguito l’intervento di detartrasi e lucidatura, accompagnato dall’estrazione dei denti compromessi, il passo successivo del trattamento è mirato ad evitare la formazione di nuove lesioni parodontali mediante la rimozione giornaliera della placca. Grazie alla scarse forze adesive, la rimozione della placca può essere effettuata mediante lo spazzolamento quotidiano dei denti (che in parodontologia rappresenta in assoluto il mezzo preventivo più efficace), coadiuvato dall’uso di diete appropriate, e di chew toys. Le caratteristiche fisiche della dieta sono indicate da numerosi studi come fattori importanti nel mantenimento della salute orale degli animali da compagnia. In particolare, le diete di tipo secco sembrano essere preferibili rispetto a quelle di tipo morbido. Oltre ad avere un potenziale meccanismo abrasivo diretto, le diete che favoriscono una masticazione prolungata stimolano la produzione di saliva e massimizzano l’effetto fisiologico della masticazione (per es. la pulizia della faccia linguale/palatale dei denti da parte della lingua). La consistenza e le dimensioni dei croccantini in particolare sembrano influire sull’efficacia delle diete nel controllo della placca e del tartaro. Le diete della Hills Pet Nutrition Hill’s Prescription Diet® CANINE t/d (Original Bites and Small Bites), e Science Diet Oral Care Diet per cani sono tra le diete approvate dal Veterinary Oral Health Council (VOHC) come efficaci nel controllo meccanico della placca e del tartaro nel cane.

Estratto completo TERMINOLOGIA La malattia parodontale (parodontopatia) è la malattia delle strutture di sostegno del dente (periodonzio), comprendenti la gengiva, l’osso alveolare, il legamento parodontale, ed il cemento.10,13 Si parla di gengivite nel caso in cui solo i tessuti gengivali siano interessati dal processo infiammatorio, e di parodontite se sono coinvolte anche le altre strutture. La gengivite è reversibile (l’infiammazione regredisce in seguito alla rimozione dell’agente causale), mentre la perdita di tessuto che accompagna le forme parodontali avanzate deve essere considerata come irreversibile. 10,13 Mentre in odontoiatria umana la tipizzazione delle forme di parodontopatia, che è basata sull’età dei soggetti, reperti clinici e radiografici, e risposta al trattamento, è relativamente definita (le forme riconosciute sono la periodontite degli individui adulti, la periodontite a comparsa precoce, suddivisa in prepubere, giovanile, e a progressione rapida, la periodontite associata a malattie sistemiche, la periodontite necrotizzante ulcerativa, e la periodontite refrattaria), 13 in medicina veterinaria manca una classificazione standardizzata, per cui il termine “parodontopatia” viene utilizzato indiscriminatamente per definire una varietà di patologie che come denominatore comune hanno l’interessamento del periodonzio.

89

EPIDEMIOLOGIA L’incidenza della parodontopatia riportata in letteratura nei cani adulti e anziani arriva fino al 97%, anche se questo dato va interpretato con cautela poiché gli studi variano molto per metodologia e tipo di popolazione studiata (taglia, alimentazione, fattori ambientali, ecc). Uno studio recente condotto su alcune decine di migliaia di soggetti ha dimostrato comunque che le patologie del cavo orale, ed in particolare le affezioni parodontali, rappresentano uno dei problemi di più comune riscontro nei pazienti canini e felini di ogni gruppo di età. 12 Un autore sostiene che “la maggior parte dei cani di più di 5 anni di età soffre di parodontite”.8

EZIOPATOGENESI Nell’uomo sono riconosciuti diversi fattori predisponenti, quali il fumo, lo stress, disordini nutrizionali (per es le caratteristiche fisiche degli alimenti, ipovitaminosi A, D, E, B, C, e ipoprotidemia), disordini endocrini (per es diabete mellito, uso di corticosteroidi), disordini ematologici (per es. leucemia, anemia, trombocitopenia) e immunitari (per es. disordini leucocitari e AIDS), e malattie cardiovascolari (per es. arteriosclerosi). 13 Il riconoscimento dell’importanza di fattori diversi da quelli locali nella patogenesi delle parodontopatie in parte spiega la grande varietà clinica dei pazienti. Ad esempio, perchè alcuni pazienti con accumulo minimo di placca presentano lesioni parodontali gravi, ed altri con odontolitiasi abbondante e generalizzata hanno solo una lieve gengivite? È possibile che la diversa capacità reattiva nei confronti degli irritanti locali sia legata a differenze nella resistenza dei tessuti condizionata da fattori metabolici e/o genetici. Nel cane, lo stress, gli effetti negativi che le vaccinazioni possono avere sul sistema immunitario, le caratteristiche chimiche e fisiche della dieta, ed alcune malattie sistemiche (per es. il diabete mellito) venegono elencati come possibili fattori predisponenti di parodontopatia. 10,19 Altri fattori includono delle alterate abitudini alimentari, un’attività masticatoria ridotta o insufficiente, e la presenza di un’eventuale malocclusione o affollamento dentale. Come nell’uomo, anche nel cane vi è poi certamente una suscettibilità soggettiva, probabilmente su base genetica, come nel caso della gengivo-stomatite placca-associata del cane Maltese e le forme di parodontite giovanile degli Schnauzer nani. 10 In questa specie, l’incidenza di parodontopatia aumenta in maniera significativa con l’età e in maniera inversamente proporzionale alla taglia (i cani di grossa taglia sembrano essere meno predisposti ai problemi parodontali).8 Lo sviluppo delle lesioni parodontali è un processo complesso. Tuttavia, è certo che il ruolo della placca e in particolare dei batteri in essa contenuti è essenziale, tanto è vero che animali “germ-free” non sviluppano parodontopatia. 10,13 Già pochi secondi dopo una profilassi dentale si forma sulla superficie del dente una pellicola di glicoproteine di origine salivare. I batteri orali, in particolare piccoli cocchi, aderiscono quindi alla pellicola e cominciano a proliferare. Nell’arco di 24 ore è riconoscibile uno strato di placca sopragengivale, a cui aderiscono anche batteri aerobi e anaeorobi


90

facoltativi. Nel giro di pochi giorni si forma uno strato di placca batterica organizzata in una matrice di glicoproteine, polisaccaridi, cellule epiteliali, leucociti, macrofagi, lipidi, carboidrati, materiale inorganico e acqua, che costituisce un vero e proprio biofilm. La rapida mineralizzazione della placca, favorita dall’accumulo di sali di carbonato e fosfato di calcio escreti con la saliva, porta nell’arco di pochi giorni alla formazione di tartaro. Il tartaro a sua volta, pur non avendo un’azione diretta sui tessuti parodontali, favorisce ulteriore accumulo di placca. La placca localizzata lungo il margine gengivale e in sede sottogengivale causa lo sviluppo della gengivite, che nel tempo può progredire in parodontite. Non è chiaro però perché la progressione da gengivite a parodontite avvenga solo in taluni individui. Mano a mano che la placca aumenta e si estende al di sotto del margine gengivale, il microambiente del solco viene depleto di ossigeno, favorendo lo sviluppo di batteri anaerobi che sono i principali responsabili delle lesioni parodontali. 10 Tra le diverse centinaia di batteri isolati dal solco gengivale del cane, i batteri bastoncellari anaerobi produttori di pigmenti (per es. Pseudomonas) rivestono sicuramente un ruolo chiave. Le lesioni sono legate all’azione diretta dei microrganismi (alcuni dei quali sono capaci anche di invadere i tessuti gengivali) e dei loro prodotti enzimatici (per es collagenasi, proteasi ed endotossine), e soprattutto alla riposta infiammatoria ed immunitaria dell’ospite, con richiamo di neutrofili, macrofagi, plasmacellule e linfociti e produzione di interleuchine, prostaglandine, metalloproteinasi e altri agenti attivi. L’epitelio giunzionale dei tessuti gengivali può eventualmente perdere la connessione con il dente, e migrare lungo la radice con la formazione di una tasca parodontale. Il processo distruttivo a carico dei tessuti gengivali e dell’osso alveolare può progredire poi fino eventualmente alla perdita dell’elemento dentale. Una risposta immunitaria inadeguata o esagerata può comportare lo sviluppo di complicanze, quali ulcerazioni a carico delle mucose in contatto con la placca. Nell’uomo sembra dimostrata la correlazione tra la malattia parodontale e diverse patologie sistemiche, tra cui alcune malattie coronariche, l’arteriosclerosi, l’ischemia cerebrale, il diabete mellito, problemi di gestazione (nascita prematura), e talune malattie respiratorie. 1,16 Uno studio pubblicato nel 1998 e durato circa 30 anni ha addirittura dimostrato che la mortalità dei pazienti umani con problemi parodontali è del 70% maggiore di quelli parodontalmente sani. 4 Anche se più che avere un ruolo causale vero e proprio la parodontopatia potrebbe in realtà solo presentare un’associazione significativa con i fattori di rischio di morte (per es. molti pazienti parodontali sono fumatori), questi dati vanno presi in seria considerazione. La malattia parodontale deve dunque essere considerata come un problema di salute generale e non solo un problema di alitosi e di estetica, in quanto la mancanza di tecniche preventive e trattamenti appropriati può esporre i soggetti a gravi complicanze. 2

SINTOMATOLOGIA La gengivite è caratterizzata da un’infiammazione che può essere localizzata (ad uno o pochi denti) o generalizza-

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

ta (a tutte le arcate dentali), marginale (lungo il margine gengivale) o diffusa (che interessa la totale estensione del tessuto gengivale). Le gengive appaiono arrossate, edematose, e vi può essere sanguinamento spontaneo o indotto dal sondaggio. 6,10 Spesso è presente alitosi, che rappresenta nella maggior parte dei casi il motivo principale per cui il cane viene portato all’attenzione del medico veterinario. Nonostante i pazienti di solito non presentino particolari segni clinici di malessere o dolorabilità del cavo orale, questo è lo stadio in cui va programmato l’intervento terapeutico, per evitare la progressione delle lesioni. Poiché non ci è dato di sapere in quale caso la gengivite progredisca a parodontite, tutti i pazienti affetti da gengivite dovrebbero ricevere una detartrasi professionale. I segni clinici di parodontite includono alitosi, disoressia, difficoltà di masticazione, dolorabilità all’esame orale, depressione, ma spesso i pazienti sono asintomatici. 10 Vi è generalmente retrazione gengivale localizzata o generalizzata, esposizione delle radici dentali e delle zone di biforcazione, un aumento nella mobilità dentale, ed eventualmente la perdita di alcuni denti. L’interessamento delle strutture anatomiche viciniore induce la comparsa di complicanze quali osteomielite, fistolizzazione oronasale, oroantrale, o retrorbitale, fratture ossee patologiche (frequenti soprattutto nei cani di piccola taglia), emorragie acute (nel caso vi sia un coinvolgimento delle strutture vascolari mandibolari e infraorbitali), e lo sviluppo di lesioni endodontiche nel caso in cui il processo patologico raggiunga l’apice radicolare. Inoltre, nei pazienti parodontali è stata documentata la presenza di batteriemia. La parodontopatia è un processo cronico caratterizzato da alterni periodi di attività e di quiescenza. Anche nello stesso paziente è possibile individuare siti attivi ed altri quiescenti, ed il motivo per cui il grado di infiammazione può variare notevolmente all’interno della stessa cavità orale è ancora oggetto di speculazioni.

DIAGNOSI La diagnosi di parodontopatia è basata principalmente sull’esame clinico e radiografico. 6 In campo umano, in cui l’intervento preventivo è particolarmente importante, sono stati sviluppati diversi test e strumenti che permettono la diagnosi precoce e precisa di gengivite (ad es. le sonde termiche che misurano l’aumento della temperatura gengivale in presenza di processi infiammatori), e di parodontite (per es. le sonde parodontali cosiddette pressure-sensitive, caratterizzate da una pressione di inserzione all’interno del solco gengivale di tipo standardizzato che limita la possibilità di ledere i tessuti giunzionali della gengiva e quindi di creare danni iatrogeni, e allo stesso tempo di ottenere delle misurazioni di precisione). Inoltre, sono in studio da tempo test microbiologici, immunologici e biochimici per l’identificazione di individui e sedi ad alta suscettibilità di malattia parodontale. 6 Il costo e l’applicabilità di queste metodiche ne limita l’utilizzo in campo veterinario. Tuttavia, anche l’uso appropriato di strumenti più semplici ed economici, come le son-


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

de parodontali manuali, può fornire dati importanti per raggiungere una diagnosi dettagliata di parodontopatia. La sonda che consiglio è la Michigan O con marcature di Williams, che è uno strumento sottile caratterizzato da marcature colorate a 1, 2, 3, 5, 7, 8, 9 e 10 mm che permettono una facile e rapida lettura dei dati. L’esame parodontale richiede nei nostri pazienti un’anestesia generale o una sedazione profonda. Per ogni dente vanno valutate la mobilità e l’esposizione della zona di forcatura (che sono indici di distruzione dell’osso alveolare), l’eventuale presenza di iperplasia gengivale (che causa la formazione di pseudotasche), di recessione gengivale (definita come la distanza tra la giunzione smalto-cemento e il margine coronale della gengiva) e di tasche parodontali (definite dalla distanza tra l’attacco gengivale e il margine coronale della gengiva). Nel cane, il solco gengivale normale dovrebbe avere una profondità inferiore ai 3mm). Spesso, soprattutto in pazienti affetti da stomatite, è indicato annotare anche la presenza ed il grado di gengivite, e di accumulo di placca e tartaro. Il più sensibile indicatore clinico di infiammazione gengivale è l’indice di emorragia al sondaggio. 6 L’archiviazione di questi dati su una cartella odontoiatrica dedicata permette di confrontare i reperti a distanza di tempo, e quindi di valutare l’efficacia dei trattamenti effettuati. Complementare all’esame parodontale clinico è l’esame radiografico, che risulta indispensabile per una diagnosi completa delle lesioni, in particolare della distruzione di osso alveolare e di eventuali complicanze. Pur essendo un esame bidimensionale, e quindi con dei limiti intrinseci, può infatti fornire importanti dati aggiuntivi alla visita clinica. L’importanza dell’esame radiografico è facilmente intuibile, se si considera che solo un terzo della struttura dentale (la corona) è solitamente visibile ad occhio nudo. È consigliabile l’utilizzo di apparecchi radiografici dentali e di pellicole dentali intraorali, tenendo comunque conto che anche con gli apparecchi standard è possibile ottenere immagini radiografiche di buona qualità. I vantaggi degli apparecchi dentali includono la possibilità di ruotare la testa del radiografico in ogni direzione, la possibilità di montare l’apparecchio direttamente nella sala chirurgica riducendo di conseguenza i tempi anestesiologici, la limitata emissione di radiazioni, ed il costo relativamente contenuto. Inoltre, le ridotte dimensioni del fuoco ottimizzano il contrasto e la risoluzione delle immagini. Le pellicole dentali sono di dimensioni e di consistenza ideali per il posizionamento intraorale, sono rivestite da un foglio protettivo resistente all’umidità, sono rapide da sviluppare ed economiche. Lo sviluppo può essere effettuato direttamente in sala chirurgica mediante l’uso di una sviluppatrice manuale o di una sviluppatrice automatica dedicata. L’immagine radiografica deve includere circa 3mm di osso periradicolare. I segni radiografici di parodontopatia includono un aumento di dimensioni dello spazio parodontale, la discontinuità della linea radiopaca corrispondente alla lamina dura, il riassorbimento osseo orizzontale (parallelo al margine gengivale) o verticale (lungo le radici). È bene ricordare che è necessaria la perdita di circa il 30-40% della massa ossea perché questa sia evidenziata radiograficamente.

91

TRATTAMENTO DETARTRASI La diagnosi raggiunta mediante l’esame clinico e radiografico dovrebbe dettare la scelta terapeutica per ogni singolo elemento dentale. Poiché ad oggi una cura definitiva della malattia parodontale non è stata ancora scoperta, lo scopo principale del trattamento è rivolto al rallentamento del processo patologico mediante ablazione manuale e/o meccanica della placca e del tartaro. Il tartaro è dotato di forze adesive elevate che non permettono la sua rimozione se non mediante ablazione meccanica con strumenti dedicati. Durante l’intervento di detartrasi, il paziente deve essere anestetizzato e intubato, in maniera tale che non possa aspirare i detriti e i batteri areosolizzati. 7 Per lo stesso motivo, l’operatore dovrebbe vestire un paio di occhiali e una maschera protettiva. 7 Il lavaggio del cavo orale con soluzioni a base di clorexidina digluconato prima dell’uso di ablatori meccanici diminuisce la quantità di batteri aereosolizzati ed è pertanto consigliabile. La detartrasi professionale non può essere eseguita in maniera efficace e precisa nell’animale vigile. Asportare porzioni di tartaro sopragengivale non porterà alcun beneficio all’animale, e l’uso di strumenti taglienti ed appuntiti nella cavità orale di un paziente non anestetizzato può essere molto pericoloso. Gli ablatori si classificano in ultrasonici (magnetorestrittivi e piezoelettrici), meccanici (sonici e rotanti), e idraulici. Gli ablatori ultrasonici e sonici, le cui differenze principali sono date dalla frequenza e dal tipo di vibrazione della punta, sono quelli più comunemente utilizzati in campo veterinario. Essi vanno usati mantenendo la punta rivolta verso il margine gengivale, parallelamente alla superficie del dente, a contatto con lo smalto per periodi non superiori ai 15-20 secondi, con un movimento di va e vieni continuo e sempre con acqua di raffreddamento. 7 Se il tempo indicato non è sufficiente a pulire un dente, è bene attendere almeno 30 secondi prima di utilizzare l’ablatore sullo stesso dente. Gli ultimi 3 mm della punta sono generalmente i più efficaci. Poiché le forze coesive (all’interno del tartaro) sono più elevate di quelle adesive (tra il tartaro e la superficie dentale), è più semplice rimuovere il tartaro lavorando con gli strumenti lungo il suo margine. È stato dimostrato che, quando usati da un operatore esperto, i moderni ablatori meccanici non sono più lesivi per la superficie dentale degli strumenti manuali, e permettono di ridurre i tempi operativi in maniera significativa. Le perio tips (punte sottili che possono essere usate sottogengiva) consentono anche la pulizia di zone poco accessibili. Gli strumenti manuali per la rimozione del tartaro, gli scalers e le curettes, vengono usati principalmente per rifinire il lavoro eseguito con gli ablatori meccanici. 7 I primi sono strumenti appuntiti che devono essere utilizzati solo al di sopra del margine gengivale, mentre le curettes sono dotate di una punta arrotondata e possono essere usate sia in sede sopragengivale che in sede sottogengivale. Poiché la taglia dei nostri pazienti e dei loro denti è molto variabile, è bene fornirsi di un certo numero di strumenti di diverse dimensioni. Gli strumenti che preferisco sono le curettes Columbia 2R/2L e 13/14 (a lama ampia), e Langer 1/2 e 5/6 (a lama di ridotte dimensioni), e lo scaler McCalls 13s/14s.


92

Come molti altri strumenti odontoiatrici, sia gli ablatori manuali che quelli meccanici (oggi preferiti rispetto ai primi) devono essere afferrati con la presa “a penna modificata”, che ne permette un migliore controllo. Il dito medio (più vicino alla punta) e l’indice (subito dietro) sono appoggiati sul dorso dello strumento, mentre il pollice viene appoggiato sulla parte inferiore, in una posizione intermedia tra medio e indice. Le due dita rimanenti, l’anulare ed il mignolo, possono così essere utilizzate come punti di appoggio sul paziente.

LUCIDATURA L’intervento di detartrasi deve concludersi mediante lucidatura della superficie dentale, che serve a levigare il dente e quindi ritardare l’accumulo di placca. 7 Lo strumento d’elezione è il contrangolo su micromotore, usato con delle coppette di gomma e una pasta abrasiva. Il contrangolo va utilizzato a un numero di giri/minuto inferiore a 3000, per limitarne l’attrito che potrebbe eventualmente indurre una pulpite termica. Per lo stesso motivo, i tempi di contatto e la pressione della coppetta sul dente vanno ridotti al minimo. Come nel caso degli ablatori meccanici, il movimento deve essere continuo e i tempi di contatto devono essere brevi.

CHIRURGIA PARODONTALE Nel caso in cui vi sia la formazione di tasche o di pseudotasche profonde, la superficie dentale altrimenti inaccessibile va esposta per permetterne la pulizia professionale in sede chirurgica, e l’igiene continuata da parte del proprietario. 7,19 La pulizia meticolosa delle radici esposte, infatti, è particolarmente importante in quanto la superficie radicolare è naturalmente più ruvida e quindi più ritentiva per la placca rispetto allo smalto. Le possibilità terapeutiche includono la rimozione chirurgica del tessuto in eccesso mediante gengivectomia o gengivoplastica, o l’uso di lembi mucogengivali a riposizionamento apicale. In alcuni pazienti può essere indicato anche un tentativo di rigenerazione guidata dei tessuti perduti. 19 Tuttavia, questi interventi sono piuttosto complessi e hanno una percentuale di successo che in campo veterinario è ancora da dimostrare, per tanto la scelta di questi pazienti va fatta in maniera estremamente oculata.

ESTRAZIONI Le indicazioni parodontali per l’estrazione includono la perdita completa di tessuto gengivale, l’esposizione della zona di biforcazione delle radici, la perdita di più del 75% di sostegno osseo (ma spesso è necessario estrarre denti anche che abbiano perso una percentuale inferiore di osso alveolare), e lo sviluppo delle complicanze descritte in precedenza. Anche se i cani si adattano molto bene a dentature parziali e all’assenza completa dei denti, vi sono motivi funzionali oltre che estetici per cui la conservazione di alcuni denti può essere consigliabile. Tuttavia, in ultima analisi la scelta di un intervento di tipo conservativo o estrattivo va basata su valu-

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

tazioni riguardanti non solo il dente, ma anche il paziente in toto. Fattori quali l’età, la situazione dentale iniziale (per es. il numero di denti presenti, o la velocità di sviluppo delle lesioni parodontali), la salute generale del soggetto, e l’attività a cui è preposto (cane da lavoro vs. cane da compagnia) sono tutti molto importanti. In un cane con problemi di salute che comportano dei rischi elevati ad ogni episodio anestesiologico, si preferirà l’estrazione di denti che in un paziente giovane e in buona salute possono magari essere conservati per tempi più o meno prolungati. Inoltre, la disponibilità o meno ad seguire un piano d’igiene casalingo e le possibilità economiche del proprietario sono di grandissima importanza nella scelta terapeutica. Questi fattori vanno indagati e discussi in sede di prima visita. La tecnica di estrazione prevede innanzitutto l’incisione dell’attacco gengivale alla superficie dentale con una lama da bisturi. 14 Le radici dei denti pluriradicolari vanno separate chirurgicamente con una fresa su turbina, in maniera tale da poter aggredire ognuna di esse come fosse un dente monoradicolare. Le frese che consiglio sono quelle allungate (per es. 701, 702) e a pera (per es. 35, 36). Anche nel caso degli strumenti chirurgici, come per gli strumenti parodontali, è bene acquistare una gamma di forme e dimensioni che bene si adattino al paziente e ai denti da estrarre. Non è pensabile affrontare un incisivo di uno Yorkshire terrier con lo stesso strumento che si utilizza per il canino di un Alano. Tra i miei strumenti preferiti annovero le leve Luxators SDI, dotate di punte sottili, e le leve di Bein, tutti con impugnatura ampia (tipo Hylin, per esempio). La punta della leva deve essere posizionata nello spazio parodontale tra il dente e la parete alveolare, e quindi ruotata delicatamente in senso orario e/o antiorario nel tentativo di stirare e lacerare le fibre del legamento parodontale. L’asse lungo dello strumento dovrebbe essere mantenuto parallelo all’asse lungo del dente, per limitare l’applicazione di forze trasversali che favoriscono le fratture dentali. Questa procedura va ripetuta tutt’intorno alla radice, fino a che la radice non può essere estratta manualmente o con l’aiuto di pinze da estrazione. Nel caso di denti pluriradicolari, la leva può essere posizionata tra le radici stesse per agire contemporaneamente su più d’una radice. È comunque consigliabile sfruttare inizialmente la massa ossea mesiale e distale ai denti, che offre una certa resistenza alle forze applicate. Solo quando si evidenzia un certo grado di mobilità si può quindi agire sul lato linguale/palatale e vestibolare dove lo spessore dell’osso è decisamente inferiore e prono a frattura. Le dita della mano libera (la sinistra, nei destrorsi) dovrebbero essere posizionate in vicinanza dell’elemento dentale al quale si lavora per evitare danni alle strutture viciniore nel caso in cui lo strumento scivoli al di fuori della sua sede. È bene ricordare che l’applicazione di forze eccessive favorisce complicanze anche gravi quali la frattura della radice dentale, la dislocazione dello strumento o della radice in sede intranasale, retrorbitale o nel canale mandibolare, e lo sviluppo di fistole oronasali. 14 Non è la forza applicata a determinare la capacità di estrarre un dente, ma lo strumento appropriato, il posizionamento, la tecnica utilizzata, e l’abilità e la pazienza dell’operatore. Le estrazioni di denti parodontalmente compromessi è spesso relativamente semplice, in quanto è mancante parte o la totalità delle loro strutture di sostegno. In caso di fattori


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

complicanti, quali anchilosi radicolare, anomalie di forma e numero delle radici, fratture radicolari, ecc. o in caso di estrazioni multiple e di denti di grosse dimensioni (per es. canino), la tecnica estrattiva va modificata. In particolare si consiglia l’estrazione chirurgica, mediante lembi mucogengivali a tutto spessore e alveoloplastica. 14 Il concetto di base è quello di permettere l’applicazione di forze in senso laterale, in direzione della parete alveolare asportata, limitando così le possibilità di frattura radicolare e facilitando la rimozione stessa dell’elemento dentale. Soprattutto nel caso di estrazioni multiple o estrazioni di tipo chirurgico, è consigliabile suturare i tessuti molli al disopra degli alveoli mediante l’uso di sottile materiale da sutura, monofilamento, riassorbibile. L’apposizione dei tessuti permette una più rapida guarigione ed un periodo post-operatorio più confortevole per il paziente.

TRATTAMENTO ANTIBIOTICO La terapia antibiotica non dovrebbe mai essere usata come unico trattamento nei casi di gengivite o parodontite. 15,17 Circa 500 diverse specie di batteri possono essere isolate dalla placca dentale di soggetti con periodontite (tra cui Fusobacterium, Bacteroides, Prevotella, Porphyromonas, Klebsiella, Pasteurella, Spirochete, Pseudomonas, ecc.). Anche se solo una ventina sembrano associati a processi patologici, il numero consistente e la varietà di batteri presenti (nell’uomo, 1 mg di placca contiene circa 100 milioni di batteri) giustifica la scarsa efficacia dei trattamenti medici, che se non accompagnati dall’ablazione meccanica della placca risultano spesso inutili. Come consigliato dal Position Paper dell’American Academy of Periodontology, “la terapia antibiotica è riservata generalmente ai pazienti che nonostante il trattamento meccanico convenzionale continuino ad avere frequenti recidive”, e “gli antibiotici dovrebbero essere considerati come un adiuvante della profilassi parodontale di tipo meccanico”.15 L’uso indiscriminato di antibiotici nei pazienti parodontali è oggetto di critiche nel mondo medico a causa dello sviluppo preoccupante di resistenze batteriche. Per questo è importante che anche il medico veterinario tenga in considerazione le potenziali conseguenze dell’uso inappropriato degli antibiotici. A differenza della gengivite, nell’uomo la parodontite pare essere legata alla presenza di specifici microrganismi, quali la Prevotella intermedia e il Phorphyromonas gengivalis. L’Actinombacillus actinomycetemcomitans è riconosciuto come l’agente causale della periodontite giovanile localizzata. Nel cane vi sono sempre maggiori evidenze scientifiche del ruolo dei Porphyromonas spp. e delle spirochete nei soggetti parodontali. Nel caso quindi in cui vi siano le indicazioni per una terapia medica (per es. pazienti immunodepressi, o affetti da patologie metaboliche ed organiche, o sottoposti a interventi chirurgici complessi), la scelta dovrebbe ricadere su farmaci rivolti principalmente a batteri Gram negativi, anaerobi. Tra gli antibiotici più efficaci si enumerano l’amoxicillina, l’associazione amoxicillina-acido clavulanico, il metronidazolo, la clindamicina, e la doxicixlina. L’uso prolungato di sostanze chimiche con proprietà antimicrobiche, come la clorexidina digluconato in gel o in

93

soluzione al 0,1-0,2 %, è consigliabile nei pazienti con recidive frequenti e infiammazione grave dei tessuti orali.

PREVENZIONE E MANTENIMENTO DEI RISULTATI Una volta eseguito l’intervento di detartrasi e lucidatura, accompagnato dall’estrazione dei denti compromessi, il passo successivo del trattamento è mirato ad evitare la formazione di nuove lesioni parodontali mediante la rimozione giornaliera della placca. Se fatta accumulare e lasciata indisturbata, infatti, la placca induce inevitabilmente allo sviluppo di gengivite e possibilmente di parodontite. Il proprietario deve essere informato del ruolo chiave che riveste nel mantenimento della salute orale del proprio animale, e deve essere istruito in maniera esaustiva sulle tecniche di spazzolamento e sugli altri metodi preventivi. L’ottenimento di risultati positivi può avvenire solo dall’attività concordata del medico veterinario (mediante detartrasi professionale sotto anestesia generale) e del proprietario. Grazie alla scarse forze coesive e adesive della placca, la sua rimozione può essere effettuata e il suo accumulo limitato mediante lo spazzolamento quotidiano dei denti, l’uso di diete appropriate, e l’uso di chew toys. 3,5,11,18 Dato che i tempi di formazione della placca e della sua mineralizzazione sono estremamente rapidi, l’attività preventiva deve essere eseguita giornalmente, in maniera continuativa. Per lo spazzolamento, che rappresenta in assoluto il mezzo preventivo più efficace, si consiglia l’uso di spazzolini da denti morbidi, e di dentifrici per uso veterinario. La clorexidina digluconato è un agente antiplacca estremamente efficace, e nella sua forma in gel può essere utilizzato al posto del dentifricio, soprattutto nei soggetti con recidive frequenti. Le caratteristiche fisiche della dieta sono indicate da numerosi studi come fattori importanti nel mantenimento della salute orale degli animali da compagnia. 3,11,18 In particolare, le diete di tipo secco sembrano essere preferibili rispetto a quelle di tipo morbido. Oltre ad avere un potenziale meccanismo abrasivo diretto, le diete che favoriscono una masticazione prolungata stimolano la produzione di saliva e massimizzano l’effetto fisiologico della masticazione (per es. la pulizia della faccia linguale/palatale dei denti da parte della lingua). La consistenza e le dimensioni dei croccantini in particolare sembrano influire sull’efficacia delle diete nel controllo della placca e del tartaro. Le diete della Hills Pet Nutrition Hill’s Prescription Diet® CANINE t/d (Original Bites and Small Bites), e Science Diet Oral Care Diet per cani sono tra le diete approvate dal Veterinary Oral Health Council (VOHC) come efficaci nel controllo meccanico della placca e del tartaro nel cane. Il VOHC è un ente indipendente fondato nel 1997 e istituito con l’approvazione dell’American Veterinry Dental College (AVDC), dell’American Veterinary Medical Association (AVMA), dell’American Animal Hospital Association (AAHA), e del Centre for Veterinary Medicine of the US Food and Drug Administration (CVM-FDA). Il VOHC ha stabilito un sistema di riconoscimento dell’efficacia di prodotti commerciali nel controllo meccanico o chimico della placca e del tartaro nel cane e nel gatto, che vengono identificati mediante un marchio. Anche alcuni prodotti con caratteristiche abrasive (i cosid-


94

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

detti chew toys) o attività chimica antimicrobica sono stati dimostrati essere benefici. 5 È bene ricordare, tuttavia, che l’uso di oggetti di consistenza troppo elevata (per es. ossa, sassi, giochi di plastica dura) possono essere causa di frattura o trauma dentale, e devono essere evitati. Le diete ed i chew toys vanno inoltre considerati come coadiuvanti nel piano di igiene, e non come dei sostituti dello spazzolamento, che rimane a tuttoggi il mezzo più efficace per il trattamento della gengivite e per il mantenimento della salute gengivale. Non esiste una dieta in grado da sola di curare i problemi parodontali. È inoltre importante ricordare che le abitudini alimentari, come l’attività masticatoria ridotta di alcuni soggetti, o fattori quali la presenza di malocclusione, possono influire notevolmente sull’efficacia delle diete e dei chew toys nel controllo dell’odontolitiasi. D’altro canto, è parere dell’autore che l’effetto coadiuvante di questi prodotti sia di grande importanza nella gestione delle parodontopatie, e che vada quindi incoraggiato.

6.

7. 8.

9.

10.

11.

12.

13.

Bibliografia 1.

2.

3. 4.

5.

Cohen, DW; Rose, LF: The periodontal-medical risk relationship. In: Periodontal aspects of systemic health. Comp Cont Ed Dent 19(1)Suppl: 11-24, 1998. DeBowes, L.J.; Mosier, D.; Logan, E.; Harvey, C.E.; Lowry, S.; Richardson, D.C. Association of periodontal disease and histologic lesions in multiple organs in 45 dogs. JVD 13(2) 57-60, 1996. DuPont, GA: Prevention of periodontal disease. In: Canine dentistry. Ed. Holmstrom, SE. Vet Cl North Am 28(5): 1129-1145, 1998. Garcia, RI; Krall, EA; Vokonas, PS: Periodontal disease and mortality from all causes in the VA Dental Longitudinal Study. Ann Periodontol. 3(1):339-349, 1998 Gorrel, C: Home care: products and techniques. Clinical Techniques in Small Animal Practice. 15(4): 226-231, 2000.

14. 15. 16.

17. 18. 19.

Greenstein, GS; Rethman, MP: Diagnosing destructive periodontal diseases. In: Periodontal therapy. Clinical approaches and evidence of success. Ed. Nevins, M; Mellonig, JT. Quintessence Publ. Co., Chicago, Vol I: 61-77, 1998. Grove, TK: Treatment of periodontal disease. In: Canine dentistry. Ed. Holmstrom, SE. Vet Cl North Am 28(5): 1147-1164, 1998. Harvey, CE; Shofer, FS; Laster, L: Association of age and body weight with periodontal disease in North American dogs. J Vet Dent 11:94-105, 1994. Harvey, CE; Shofer, FS; Laster, L: Correlation of diet, other chewing activities and periodontal disease in North American client-owned dogs. J Vet Dent 13: 101-105, 1996. Harvey, CE: Periodontal disease in dogs. Etiopathogenesis, prevalence, and significance. In: Canine dentistry. Ed. Holmstrom, SE. Vet Cl North Am 28(5): 1111-1128, 1998. Jensen, L; Logan, E; Finney, O; et al. Reduction in accumulation of plaque, stain, and calculus in dogs by dietary means. J Vet Dent 12(4): 161-163, 1995. Lund,E.M.; Armstrong, P.J.; Kirk, C.A.; Kolar, L.M.; Klausner, J.S.: Health status and population characteristics of dogs and cats examined at private veterinary practices in the United States. JAVMA 214(9): 1336-41, 1999. Rateitschak, KH; Rateitschak, E; Wolf, HF, Hassell, TM: Color Atlas of Dental Medicine: Periodontology. Vol 1. Georg Thieme Verlag Stuttgart, New York, 2nd Ed, 1989. Smith, MM: Exodontics. In: Canine dentistry. Ed. Holmstrom, SE. Vet Cl North Am 28(5): 1297-1319, 1998. The American Academy of Periodontology: Systemic antibiotics in periodontics. J Periodontol 67: 831-838, 1996. The American Academy of Periodontology: Periodontal disease as a potential risk factor for systemic diseases. J Periodontol 69: 841-850, 1998. Walker, C; Karpinia, K: Rationale for use of antibiotics in periodontics. J Periodontol 73:1188-1196, 2002. Watson, ADJ: Diet and periodontal disease in dogs and cats. Austr Vet J 71(10): 313-318, 1994. Wiggs, RB; Lobprise, H; Mitchell, PQ: Oral and periodontal tissue. Maintenance, augmentation, rejuvenation and regeneration. In: Canine dentistry. Ed. Holmstrom, SE. Vet Cl North Am 28(5): 1165-1188, 1998.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

95

Approccio diagnostico e terapeutico alla disfagia nel cane e nel gatto Massimo Gualtieri Med Vet - Università di Milano

Estratto breve La disfagia consiste in una difficoltà di deglutizione e può manifestarsi come sintomo di una malattia sistemica o come problema a se stante. I segni clinici più frequentemente associati a questa patologia sono rappresentati da ptialismo o pseudoptialismo, scolo nasale, odinofagia, alitosi, perdita di peso, rigurgito, appetito vorace ed, occasionalmente, anoressia. L’animale può compiere ripetuti ed esagerati tentativi di deglutizione e tenere la testa in posizione anomala (estensione, flessione, rotazione). La tosse e la dispnea causate da inspirazione nelle vie aeree di cibo ed acqua sono una frequente complicazione di disfagia e spesso vengono confuse con la patologia principale. Le condizioni cliniche degli animali variano a seconda della gravità del processo. La disfagia può avere cause di natura funzionale o morfologica. I difetti funzionali originano da disordini neuromuscolari e spesso coinvolgono contemporaneamente faringe, sfintere esofageo superiore (UES) ed esofago craniale, in quanto vengono coordinati collettivamente dal centro della deglutizione. La maggior parte dei disordini funzionali consistono in difetti dell’attività contrattile muscolare (incoordinazione, flaccidità o contrazione spastica) dovuti a disordini neurologici centrali o periferici, a patologie della giunzione neuromuscolare o a patologie muscolari. Essi possono essere di natura congenita o acquisita, primari o secondari. Le alterazioni morfologiche possono avere cause intrinseche od estrinseche al tratto digerente quali corpi estranei, neoplasie, lesioni traumatiche, stenosi e processi infiammatori. In base alla suddivisione del normale processo di deglutizione in fasi successive, la disfagia si può manifestare come: 1) disfagia orofaringea, a sua volta suddivisibile in disfagia orale, faringea, faringoesofagea e orofaringea mista; 2) disfagia esofagea e 3) disfagia gastroesofagea. Il pri-

mo passo per la diagnosi di disfagia consiste nella raccolta di un’anamnesi molto accurata, nell’osservazione diretta dell’assunzione di cibo ed acqua e in un esame fisico che deve comprendere un attento esame del cavo orale e della faringe. L’esame radiografico diretto o con mezzo di contrasto è una procedura essenziale per lo studio dei problemi della deglutizione e deve permettere di esaminare il cavo orale, la faringe e l’esofago per intero. È tuttavia necessario sottolineare che, sebbene queste tecniche diagnostiche si rivelino indubbiamente di grande utilità nell’individuazione di corpi estranei, masse intrinseche ed estrinseche o anomalie anatomiche, esse sono inadeguate per la valutazione dei disordini funzionali della deglutizione ed in particolar modo della fase orofaringea a causa della complessità dei movimenti e della velocità con la quale i vari stadi si succedono. Al contrario la cinefluorografia e la videofluorografia sono di incomparabile ausilio per lo studio dinamico della sequenza di eventi che caratterizzano il normale processo di deglutizione. La diagnosi si basa su una dettagliata osservazione del processo di formazione del bolo, del rilassamento del muscolo cricofarngeo e del passaggio del bolo attraverso le parti cervicale e toracica dell’esofago fino allo stomaco e dell’attività contrattile e dell’estensibilità dei vari muscoli. Lo studio dovrebbe includere l’osservazione di 3-6 atti deglutitori completi di sospensione liquida di bario seguiti da un numero simile di boli misti cibo-bario. L’endoscopia è molto utile per la valutazione di problemi faringei, esofagei e della giunzione gastroesofagea, per effettuare biopsie e per l’individuazione di segni di esofagite, ulcere o emorragie. La manometria esofagea e l’elettromiografia servono per valutare la pressione esofagea e la motilità la prima e la localizzazione e la causa la seconda. Naturalmente si dovrà ricorrere ad esami di laboratorio che possono dare utili indicazioni riguardo le diverse patologie sistemiche che possono essere la causa di disfagia.


96

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

La meningite-arterite sensibile agli steroidi e la meningoencefalite granulomatosa: stato dell’arte André Jaggy Doc Med Vet, Dipl ECVN - Università di Berna, Svizzera

Estratto breve La meningite-arterite sensibile agli steroidi (SRMA, steroidresponsive meningitis-arteritis) è una condizione immunopatologica del cane caratterizzata da frequenti recidive dei segni clinici. La malattia è contraddistinta istopatologicamente dall’invasione delle meningi ad opera di cellule infiammatorie e da lesioni flogistico-stenotiche delle arterie meningee. Si riconoscono due forme cliniche. La condizione acuta è caratterizzata da rigidità cervicale, dolore e febbre, nonché da significativo incremento degli elementi polimorfonucleati (PMN) nel liquido cefalorachidiano (liquor). Nella forma protratta si osservano altre manifestazioni neurologiche, quali atassia generalizzata, tetrao paraparesi ed anomalie dei conteggi cellulari con riscontro di popolazioni miste o elementi mononucleati (MN) nel liquor. I glucocorticoidi svolgono un ruolo primario nel trattamento della SRMA. I possibili meccanismi d’azione sono l’inibizione della produzione di citochine, prostaglandine e leucotrieni, l’inibizione dell’invasione delle cellule infiammatorie attraverso la barriera ematoencefalica e la riduzione del danno tissutale. I diversi autori hanno suggerito per il trattamento della SRMA l’impiego di vari steroidi secondo molteplici dosaggi e schemi terapeutici. Tuttavia, le modalità di applicazione e le concentrazioni da utilizzare sono ancora controverse. Inoltre, è stato ipotizzato che per ottenere un miglioramento significativo e la remissione della malattia sia necessaria una terapia a lungo termine con glucocorticoidi. In letteratura, l’uso di questi farmaci è stato associato ad effetti indesiderati di tipo cardiovascolare, cutaneo, endocrino/riproduttivo e gastroenterico ed alterazioni ematologiche, biochimiche ed istologiche. Tuttavia, queste osservazioni sono state effettuate soltanto in cani con iperadrenocorticismo ad insorgenza spontanea o sindrome di Cushing sperimentalmente indotta. In contrasto con le osservazioni pubblicate, noi abbiamo avuto l’opportunità di monitorare cani con SRMA sottoposti a terapia a lungo termine con prednisolone. Quindi, è stato applicato un protocollo di trattamento controllato a lungo termine secondo le modalità precedentemente descritte da Tipold e Jaggy. La maggior parte dei cani osservati nel corso dello studio controllato di follow-up non ha manifestato segni neurologici per parecchi mesi dopo la cessazione del trattamento. In tutti questi casi, i risultati degli esami condotti su campioni di sangue e di liquor erano tornati ai valori normali. I segni clinici più importanti al momento della presentazione alla visita e durante le recidive erano rappresentati da aumento della temperatura corporea, depressione, anoressia, dolore del collo, andatura rigida e/o riluttanza a muoversi o saltare. La maggior parte dei cani sottoposti a terapia a lungo termine con prednisolone manifestò i “classici” effetti colla-

terali, quali poliuria, polidipsia e polifagia ed obesità. L’analisi dell’urina confermò la presenza di un’infezione del tratto urinario che venne trattata con successo. In alcuni casi, si osservarono iperpigmentazione ed alopecia della regione del collo, segni gastroenterici quali vomito e diarrea con aumento dei livelli sierici di amilasi e lipasi ed epatomegalia di origine sconosciuta. Anche se abbiamo monitorato cani sottoposti a trattamento con prednisolone affetti da una malattia immunopatologica/ neurologica, abbiamo riscontrato dati clinici simili a quelli descritti in letteratura nei cani con iperadrenocorticismo iatrogeno o ad insorgenza spontanea. Le variazioni dell’esame emocromocitometrico completo e del profilo biochimico erano in accordo con le descrizioni precedentemente pubblicate. La leucocitosi osservata può essere considerata una parte della caratteristica modificazione del leucogramma indotta dai corticosteroidi. Tuttavia, è molto probabile che la leucocitosi nei nostri pazienti rifletta la natura infiammatoria della SRMA, poiché è stata osservata principalmente durante le recidive della malattia nonostante la continua applicazione del prednisolone. La meningoencefalomielite granulomatosa (GME) è una malattia infiammatoria del sistema nervoso centrale (SNC) che colpisce i cani di tutto il mondo. Istologicamente, le lesioni predominano nella sostanza bianca dell’encefalo, ma si trovano anche nel midollo spinale e nelle leptomeningi. Sono caratterizzate da proliferazione perivascolare dei macrofagi ed infiltrazione di linfociti e plasmacellule; possono essere presenti neutrofili e cellule giganti multinucleate in numero più limitato. Sono state descritte una forma disseminata ed una focale, nonché una meno comune forma oculare. Nella maggior parte dei casi sono colpite femmine giovani o di media età di razze pure di piccola taglia, ma la malattia si può sviluppare anche in animali di età, razza e sesso differenti. L’eziologia e la patogenesi della meningoencefalomielite granulomatosa sono sconosciute. Alcuni studi precedenti suggeriscono che si tratti di un processo infettivo o immunomediato. La lesione di base (la proliferazione dei macrofagi) è decisamente costante in tutti i casi di GME e le differenze morfologiche sono dovute soltanto a variazioni di intensità e dimensioni delle lesioni, ma alcuni animali presentano un decorso acuto della malattia, mentre altri mostrano un’evoluzione cronica tipicamente lenta. Il trattamento di solito si basa sull’impiego di steroidi a lungo termine. Nella maggior parte dei casi la prognosi è riservata.

Bibliografia Tipold A, Jaggy A: Steroid responsive meningitis-arteritis in dogs: long term study of 32 cases. Journal of Small Animal Practice 1994;311-316. Demierre S., Tipold A., Griot-Wenk M., Welle M., Vandevelde M., Jaggy A. Correlation between the clinical course of granulomatous meningoencephalo-myelitis in dogs and the extent of mast cell infiltration. Vet Rec 148(15): 467-472, 2001.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

97

Terapia dell’epilessia idiopatica: i farmaci convenzionali André Jaggy Doc Med Vet, Dipl ECVN - Università di Berna, Svizzera

Estratto breve Quando gli animali presentano frequenti crisi convulsive, si rende necessario un trattamento medico. Nel cane e nel gatto, il fenobarbital è probabilmente l’agente di prima scelta per la soppressione di queste crisi. È efficace, sicuro se utilizzato in modo responsabile, ed uno dei farmaci meno costosi fra tutti quelli utilizzati in ambito veterinario. Dal momento che questa terapia è generalmente destinata a protrarsi per tutta la vita dell’animale, si raccomanda di effettuare periodicamente il monitoraggio mediante esami su campioni di sangue. Il fenobarbital viene ben assorbito nell’organismo dopo la somministrazione per via orale e la sua attività raggiunge il picco 4-8 ore dopo l’assunzione. Quando si inizia la terapia, occorrono 2-4 settimane perché il farmaco raggiunga livelli ematici stabili e non si può quindi fare pieno affidamento sul trattamento per la prevenzione delle crisi convulsive prima che sia trascorso tale periodo. L’eccessivo aumento della sete e della minzione e dell’appetito sono effetti collaterali non rari del fenobarbital. Nei casi in cui insorgono, generalmente non scompaiono quando il trattamento si stabilizza. Se sono gravi, può essere necessario modificare la terapia. Non è insolito che alcuni pazienti mostrino depressione o sedazione quando si inizia la terapia con fenobarbital. Questo effetto è generalmente transitorio e si risolve quando l’animale si abitua al farmaco. Se il problema non scompare dopo due settimane, si può effettuare la determinazione dei livelli ematici di fenobarbital per stabilire se la dose è troppo elevata per il soggetto in questione. Una determinazione più precoce dei livelli ematici può essere inutile, perché occorrono un paio di settimane per raggiungere concentrazioni stabili e significative. In rari casi, l’esposizione al fenobarbital può essere causa di anemia (carenza di eritrociti). Qualora ciò dovesse avvenire, si deve optare per un trattamento differente delle crisi convulsive. L’esposizione cronica al fenobarbital può condurre a cicatrizzazioni a livello del fegato ed insufficienza epatica, che può essere irreversibile. Sono stati messi a punto adeguati test di monitoraggio per prevenire un simile evento in tempo per cambiare la terapia. Il fenobarbital è in grado di determinare l’ “induzione” degli enzimi metabolici, rendendoli più efficienti per la rimozione dei composti tossici. Questo fenomeno comporta in parte un aumento dei livelli di attività degli enzimi epatici nel profilo biochimico. Come già ricordato, il monitoraggio mediante esami ematochimici periodici

è importante per identificare gli eventuali problemi epatici incipienti quando questi sono ancora poco significativi, ma in questo caso risulta complicato perché gli aumenti degli enzimi epatici si verificano già in seguito al normale uso del fenobarbital. Esistono molti protocolli di monitoraggio. Il nostro ospedale raccomanda l’esecuzione di un prelievo di sangue per la determinazione dei livelli di fenobarbital nelle ore del giorno in cui tali livelli sono al minimo, 3-4 settimane dopo l’inizio delle somministrazioni del farmaco, seguita da una determinazione analoga ogni 6 mesi. Inoltre, effettuiamo un test di funzionalità epatica di determinazione degli acidi biliari ogni 6 mesi, in associazione con la misurazione del fenobarbital. Quest’ultimo viene eliminato dall’organismo principalmente attraverso il fegato (per il 75% a livello epatico e per il 25% attraverso il rene). Come già ricordato, nel fegato il fenobarbital ha la capacità esclusiva di “indurre” gli enzimi microsomiali, il che significa in termini più semplici che l’esposizione cronica a questo farmaco rende l’organo capace di eliminare in modo più efficiente altre sostanze tossiche. Altri farmaci che non svolgono altrettanto bene la loro funzione in presenza di fenobarbital sono rappresentati da mitotano, cloramfenicolo, corticosteroidi, beta-bloccanti, chinidina (farmaco che agisce sul ritmo cardiaco), teofillina (dilatatore delle vie aeree) e metronidazolo. Questi agenti non riescono a svolgere adeguatamente il loro compito perché vengono eliminati dall’organismo più rapidamente di quanto non avverrebbe normalmente da parte degli enzimi indotti dal fenobarbital. A causa dell’induzione degli enzimi microsomiali precedentemente citata, è normale osservare elevati livelli degli enzimi epatici (AST, ALP e ALT) in tutte le determinazioni del profilo biochimico effettuate. Ciò rende l’interpretazione di questi valori abbastanza difficile. Il livello ematico del fenobarbital raggiunto in un individuo non è completamente prevedibile sulla base della conoscenza della dose somministrata per os. Col tempo, il fegato del paziente sviluppa una particolare capacità di rimuovere il fenobarbital dal circolo sistemico e le concentrazioni possono diminuire. Può anche avvenire il contrario, per cui l’azione epatica risulta meno efficiente e le concentrazioni ematiche aumentano. Per queste ragioni, si effettua ad intervalli regolari la misurazione dei livelli del farmaco in circolo, in modo da regolare periodicamente la dose somministrata per os, secondo le modalità precedentemente indicate. Recentemente, per i casi refrattari è stata dimostrata l’efficacia di una terapia con bromuro di potassio, da solo o in


98

associazione. Resta ancora controverso il momento in cui iniziare il trattamento antiepilettico. In uno dei nostri studi abbiamo trattato in totale 37 Labrador retriever con un protocollo standardizzato, che veniva iniziato immediatamente dopo la diagnosi. A tutti gli animali è stato somministrato fenobarbital due volte al giorno fino al raggiungimento di un livello sierico compreso fra 15 e 40 ¾g/ml. La terapia farmacologica con questo farmaco consente di ottenere i migliori risultati quando viene iniziata precocemente nel decorso della malattia.

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Bibliografia Heynold Y., Faissler D., Steffen F., Jaggy A. Clinical, epidemiological and treatment results of idiopathic epilepsy in 54 Labrador Retrievers: A long-term study. J Small Anim Pract 38:7-14, 1997. Jaggy A., Bernardini M. Idiopathic Epilepsy in 125 Dogs: A Long-Term Study. Clinical and Electrophysiologic Findings. J Small Anim Pract 39:23-29, 1998. Jaggy A., Heynold Y. Idiopathic epilepsy in dogs: a review. Comp Animal Pract 51-57, 1998. Fatzer R, Gandini G, Jaggy A, Doherr M, Vandevelde M. Necrosis of hippocampus and piriform lobe in 38 domestic cats with seizures: a retrospective study on clinical and pathologic findings. J Vet Int Med 14:100-104, 2000.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

99

Epilessia idiopatica: elettroencefalografia ed esame del liquido cefalorachidiano André Jaggy Doc Med Vet, Dipl ECVN - Università di Berna, Svizzera

Estratto breve L’elettroencefalografia (EEG) è un mezzo di indagine utile e non invasivo da impiegare nei pazienti con affezioni neurologiche ed in particolare in quelli con epilessia. Inoltre, l’EEG quantitativa può risultare utile dal punto di vista clinico per la diagnosi di varie affezioni che influiscono sulla funzione cerebrale. Sfortunatamente, a causa della mancanza di collaborazione, del dolore, dell’ansia o anche del comportamento aggressivo che spesso impedisce l’esecuzione dell’esame negli animali, per ottenere un EEG affidabile è necessario ricorrere al contenimento farmacologico o all’anestesia. Qualunque sia l’agente utilizzato, di solito si nota un rallentamento dose-dipendente della frequenza dominante dell’EEG e la perdita della usuale variabilità individuale dell’attività elettroencefalografica. Inoltre, i vari farmaci possono produrre frequenze dominanti molto differenti e quadri EEG peculiari. Sfortunatamente, le informazioni disponibili sui quadri EEG del cane normale in anestesia sono controverse e poco chiare ed i dati sono stati raccolti in differenti condizioni di registrazione, utilizzando varie tecniche e da cani di razze ed età differenti e, spesso dall’anamnesi clinica sconosciuta. Il propofolo è un anestetico ampiamente utilizzato in ambito clinico per indurre e mantenere l’anestesia generale nel cane. Quella con propofolo è caratterizzata da rapidità di insorgenza e di metabolizzazione epatica, assenza di accumulo in seguito a somministrazioni ripetute, una certa depressione respiratoria ed un risveglio rapido e dolce, anche se sono state descritte sequele neurologiche. Gli effetti depressori del propofolo sul sistema cardiovascolare sono ben tollerati negli animali sani, ma è possibile che debbano essere considerati con cautela nei pazienti con cardiopatie intrinseche. È stato dimostrato che il propofolo sopprime le crisi convulsive e può avere proprietà anticonvulsivanti in modelli animali sperimentali di stato epilettico. Come conseguenza, questo agente è stato utilizzato in medicina veterinaria nel trattamento delle crisi convulsive e nelle registrazioni EEG diagnostiche (Jaggy e Bernardini, 1998). Nei tracciati rilevati sotto anestesia, l’uso del propofolo può consentire di evitare un marcato calo della registrazione dell’attività encefalica, nonché un’attività parossistica da artefatto (Jaggy e Heynold, 1998). Dal momento che è caratterizzato da effetti neurologici mediati, almeno in parte, dal complesso recettoriale GABAA e che, a differenza dei barbiturici, non innalza la soglia convulsiva, questo agente è stato utilizzato nelle registrazioni EEG dei pazienti neurologici senza che si avesse una soppressione dell’attività epilettiforme spontanea o un’induzione di scariche parossistiche. Nell’uomo, le relazioni fra concentrazione ed effetto del propofolo sono ben chiarite e prevedibili ed è stato segnalato che il farmaco determina un ana-

logo effetto dose-dipendente sull’attività EEG dei pazienti, indipendentemente dal fatto che l’anamnesi riferisca o meno la presenza di disordini convulsivi. Inoltre, il propofolo in concentrazioni a basso dosaggio è stato utilizzato per indurre il “sonno su richiesta” e per aumentare l’attività di spike in pazienti con epilessia del lobo temporale mediale. La presente indagine è stata messa a punto per studiare l’effetto dell’anestesia con propofolo sull’EEG quantitativo (qEEG) in cani sani, per determinare linee guida obiettive per la registrazione e l’interpretazione di EEG diagnostici. La diagnosi dell’epilessia idiopatica è basata principalmente su anamnesi, risultati di esame clinico e visita neurologica ed analisi del liquor. Pur essendo importanti ai fini della conferma dell’encefalite, i risultati delle determinazioni biochimiche e citologiche sul liquor spesso sono di difficile interpretazione. Pertanto, in questi casi può essere utile l’impiego dell’elettroencefalografia (EEG) come mezzo diagnostico aggiuntivo, specialmente se i segni clinici predominanti sono rappresentati dalle crisi convulsive. In uno studio sono state esaminate retrospettivamente le cartelle cliniche di 97 cani con affezioni infiammatorie/infettive del sistema nervoso centrale (SNC), che in 26 casi presentavano un’anamnesi di crisi convulsive. Gli scopi dello studio erano quelli di analizzare il tasso di incidenza delle crisi stesse, ricercare i criteri che consentono di riconoscere specifiche affezioni infiammatorie e determinare in che misura l’elettroencefalografia possa essere utile per l’iniziale conferma dell’encefalite e delle crisi convulsive ad essa associate. Il tasso di incidenza delle crisi in questa popolazione canina era del 26,8% e raggiungeva i valori più elevati nei cani con encefalite protozoaria. Segnalamento, anamnesi, segni extraneurologici e neurologici, compresa la localizzazione, contribuivano solo in scarsa misura alla diagnosi specifica. Sorprendentemente, sono state osservate manifestazioni cliniche focali in 2/3 dei cani. Sia i segni focali che quelli multifocali erano correlati principalmente al proencefalo nei cani con un’anamnesi di crisi convulsive ed al tronco encefalico in quelli in cui questi erano assenti. Le analisi del liquor sono risultate utili per distinguere l’encefalite da altre affezioni del SNC e differenziare certe condizioni da altre nella metà circa dei casi.

Bibliografia Tipold A (1995)”Diagnosis of inflammatory and infectious diseases of the central nervous system in dogs: a retrospective study”. J Vet Intern Med. 9, 304-314. Jaggy A., Bernardini M. Idiopathic Epilepsy in 125 Dogs: A Long-Term Study. Clinical and Electrophysiologic Findings. J Small Anim Pract 39:23-29, 1998. Jaggy A., Heynold Y. Idiopathic epilepsy in dogs: a review. Comp Animal Pract 51-57, 1998.


100

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

La rottura del legamento crociato anteriore (LCA). Opzioni terapeutiche Daniel Koch Dr Med Vet, Dipl ECVS - Università di Zurigo, Svizzera

Estratto breve

Osteotomia di livellamento del plateau tibiale modificata

Introduzione

La tecnica presentata è una modificazione di quella originale di Slocum. Invece di un’osteotomia curva e dell’impiego di una speciale placca per la fissazione, si utilizza un’osteotomia a cuneo di 10-15 gradi a livello del plateau tibiale e due viti per la fissazione. Al termine della procedura, per tenerla in posizione caudalmente si realizza cranialmente alla tibia una benda aponeurotica utilizzando la fascia lata ed il pes anserinus. La tecnica di osteotomia di livellamento del plateau tibiale modificata può essere utilizzata in cani di qualsiasi razza e taglia. È particolarmente indicata negli insuccessi o nelle revisioni di altre tecniche, nei cani pesanti, in quelli colpiti bilateralmente o in caso di grave artrosi del ginocchio.

Le indagini sulla biomeccanica del ginocchio negli ultimi anni hanno portato ad una revisione della conoscenza della sua fisiopatologia. La maggior parte delle filosofie di trattamento delle rotture del legamento crociato anteriore si basa sul riposizionamento anatomico o funzionale del tessuto leso. Ciò ha portato alla messa a punto delle due principali categorie tecniche di ricostruzione intra- ed extrarticolare. Tuttavia, quasi tutti i legamenti crociati che hanno subito una rottura mostrano i segni di una precedente degenerazione. Come conclusione, deve esistere una forza che danneggia in modo costante e non fisiologico il legamento e porta alla sua rottura parziale e, in una fase più avanzata del decorso della malattia, completa. Questa forza, detta spinta tibiale anteriore, è stata introdotta da Barclay Slocum. Lo scopo dell’osteotomia di livellamento del plateau tibiale o della tecnica appena sviluppata di avanzamento della cresta tibiale è quello di ridurre al minimo la spinta tibiale anteriore modificando la biomeccanica dell’articolazione del ginocchio. Queste terapie possono quindi essere dette eziologiche, mentre le tecniche di riposizionamento del legamento crociato craniale sono piuttosto sintomatiche.

Tecniche di sutura capsulare (Flo, in associazione con Harrison) Si applica una robusta sutura extracapsulare a forma di 8 in poliestere, passando intorno alla fabella laterale ed attraverso un tunnel praticato nella cresta tibiale vicino all’estremità prossimocraniale della tibia. Si esegue una sutura dello stesso tipo intorno alla fabella mediale ed in un tunnel tibiale distinto dal primo, che assicura un’ulteriore stabilità alla ricostruzione. Le proprietà del materiale da sutura utilizzato inducono un’infiammazione periarticolare ed una formazione di tessuto cicatriziale. In caso di cedimento del materiale da sutura, quest’ultimo dovrebbe mantenere stabile il ginocchio. La realizzazione di una benda aponeurotica contribuisce a proteggere la riparazione extracapsulare ed impedisce il danneggiamento del menisco nel primo periodo postoperatorio. È stata descritta la riparazione extrarticolare della rottura del legamento crociato anteriore per cani di qualsiasi taglia ed in circostanze di qualsiasi tipo. Tuttavia, ne abbiamo limitato l’impiego ai soggetti di peso inferiore ai 15 kg ed alle rotture monolaterali del legamento. Nei cani più pesanti ed in quelli interessati bilateralmente, il carico dell’arto nel periodo postoperatorio può portare ad un allentamento della protesi.

Avanzamento della cresta tibiale per il trattamento delle alterazioni del legamento crociato anteriore nel ginocchio del cane La procedura descritta consiste nell’avanzamento della cresta tibiale, al fine di posizionare il legamento rotuleo perpendicolarmente al plateau tibiale, riducendo così a zero la forza di taglio tibiofemorale e facilitando la funzione del legamento crociato anteriore deficitario. La minore invasività della tecnica riduce la durata dell’intervento e la morbilità perioperatoria. Il rispetto della normale escursione della flessione del ginocchio dovrebbe consentire di evitare la necessità di ricorrere alla liberazione chirurgica del menisco e, quindi, la perdita di supporto caudale intrarticolare. La riduzione della pressione retrorotulea potrebbe alleviare la condromalacia del solco presente nel 30% circa dei casi. Questi vantaggi dovrebbero migliorare i risultati a breve e lungo termine del trattamento chirurgico delle anomalie del legamento crociato anteriore del ginocchio.

Bibliografia Slocum B, Devine T (1983). Cranial tibial thrust: a primary force in the canine stifle. JAVMA,183:456-459. Slocum B, Devine Slocum T (1993). Tibial plateau leveling osteotomy for repair of cranial cruciate ligament rupture in the canine. Vet Clin North Am Small Anim Pract. 23:777-95. Henderson R, Milton J, (1978) J Am Anim Hosp Assoc, 14: 474-479. Slocum B, Devine T (1984). Cranial tibial wedge osteotomy: a technique for eliminating cranial tibialthrust in cranial cruciate ligament repair, JAVMA, 184:564-569. Morris E, Lipowitz AJ (2001), Comparison of tibial plateau angles in dogs with and without cranial cruciate ligament injuries, JAVMA, 218, 363-366.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

101

Condizioni patologiche rare del ginocchio Daniel Koch Dr Med Vet, Dipl ECVS - Università di Zurigo, Svizzera

Estratto breve Avulsione del muscolo lungo estensore delle dita Si tratta di una condizione molto rara, comunemente causata da un trauma accidentale o iatrogeno. Dopo la resezione del tendine, si osserva un’iperflessione della punta delle dita. La biomeccanica del ginocchio non risulta colpita. La terapia può consistere nella riparazione primaria del tendine attraverso una sutura ad ansa bloccante ed affrontamento esterno oppure mediante reinserzione del tendine nel solco estensorio con una vite ed una rondella. La prognosi è favorevole.

Danno del menisco laterale Il danno del menisco si osserva principalmente in corrispondenza del corno mediale ed in presenza di una concomitante rottura del legamento crociato. Nei casi di osteocondrite dissecante (OCD), si può vedere una lacerazione del menisco laterale. La fisiopatologia della condizione non è del tutto compresa. Il versamento non è particolarmente evidente e la zoppia non è grave. La terapia consiste nell’escissione della parte danneggiata del menisco e nel curettage delle lesioni da OCD.

realizzare un cerchiaggio di tensione con filo metallico per contrastare le forze di distrazione. Si possono utilizzare 1 o 2 chiodi. La rotulectomia è soltanto una procedura di salvataggio. Le alterazioni della meccanica del quadricipite richiedono una stabilizzazione aggiuntiva. La riparazione della rotula o del legamento rotuleo può essere accentuata dalla trasposizione della fascia e dall’impiego di un fissatore esterno temporaneo.

Osteocondrosi giovanile da trazione Nei cani di grossa taglia si osserva talvolta una malattia simile alla sindrome di Osgood-Schlatter dell’uomo. Le molteplici sollecitazioni esercitate sul tendine rotuleo dai salti o dalla rapida crescita provocano un allentamento incompleto della cresta tibiale in direzione della forza esercitata dal quadricipite. Di norma, sono colpiti entrambi gli arti posteriori. Le uniche terapie necessarie sono il riposo, gli analgesici e la riduzione della dieta. Nell’uomo è stato descritto un quadro simile a livello dell’estremità distale della rotula, detto sindrome di Sinding-Larssen-Johannsen. Questa condizione si può riscontrare anche in medicina veterinaria.

Bibliografia Frattura rotulea La frattura della rotula è piuttosto rara. Il quadro tipico è rappresentato da una lesione trasversale. È necessario

Stöcklin P. L’Eplattenier H., Montavon PM (1999). Avulsion der Urspungssehne des Musculus extensor digitalis lomgus bei einem Dobermann. Schweiz Arch Tierheilk 141, 53-47. Duri ZA, Patel DV, Aichroth PM (2002). The immature athlete. Clin Sports Med. 2:461-82.


102

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Artrodesi parziale del carpo mediante fili di Kirschner Daniel Koch Dr Med Vet, Dipl ECVS - Università di Zurigo, Svizzera

Estratto breve

Artrodesi carpale parziale - metodi di fissazione con chiodi endomidollari

Introduzione

1) Si effettua il prelievo combinato di un innesto osseo corticospongioso dall’ala dell’ileo 2) Si effettua un approccio al carpo lungo la linea mediana dorsale, praticando un’incisione che si estenda distalmente sino a livello delle articolazioni metacarpofalangee. Si aprono le articolazioni intercarpiche e carpometacarpiche. 3) La cartilagine articolare delle articolazioni carpali medie, intercarpiche e carpometacarpiche viene sottoposta a revisione chirurgica mediante curette o fresa ad alta velocità. È necessario stare attenti a preservare le inserzioni del tendine estensore radiale del carpo sulle estremità prossimali del secondo e terzo metacarpeo. 4) Nella corticale dorsale del secondo e terzo metacarpeo, a livello del terzo distale delle ossa, si praticano con la fresa delle scanalature (slot). In alternativa, è possibile utilizzare un chiodo di Steinmann e pinze ossivore. 5) Attraverso le scanalature si introducono nel canale midollare i fili di Kirschner (1,0-1,6 mm) secondo le modalità utilizzate per il chiodo di Rush, spingendoli in direzione prossimale fino alla base del metacarpeo. Le fessure corticali devono essere abbastanza lunghe da consentire al chiodo di piegarsi quando viene introdotto nel canale midollare. 6) Con il carpo tenuto in flessione estrema per ridurre la sublussazione del livello carpale medio o carpometacarpico, si spingono prossimalmente i chiodi nelle ossa radiocarpiche. I chiodi non devono penetrare nella cartilagine articolare prossimale di queste strutture. 7) Gli spazi articolari preventivamente preparati vengono colmati con l’innesto osseo corticospongioso. 8) I chiodi vengono incurvati, tagliati e ruotati in modo da risultare appiattiti a ridosso dell’osso. 9) Si esegue la chiusura della fascia profonda per assicurarsi che tendini e vasi siano saldamente tenuti in posizione. La cute viene chiusa con le procedure di routine.

L’iperestensione del carpo, che si verifica nei cani di media e grossa taglia in seguito a cadute e salti, è uno dei più gravi danni del carpo. Le strutture responsabili del mantenimento della normale inclinazione a 10-12° dell’estensione carpale sono i legamenti palmari e la fibrocartilagine carpale palmare. La loro rottura conduce a differenti gradi di iperestensione del carpo. Sorprendentemente, dopo pochi giorni le lesioni da iperestensione risultano associate a segni di dolore ed infiammazione di minima entità. Gli animali tentano comunemente di caricare l’arto entro 5-7 giorni. Risulta caratteristica la stazione da plantigrado, che però è di aspetto variabile. Alcuni animali possono arrivare a camminare sui cuscinetti carpali, ma altri possono mostrare solo un’estensione di 20-30°. Per scegliere il trattamento corretto, è importante sapere a quale livello dell’articolazione si è verificato il danno. Si esegue una radiografia in proiezione laterolaterale con l’arto in posizione forzata nella massima iperestensione carpale. Al fine di verificare la rottura dei legamenti collaterali, si effettua inoltre la ripresa di immagini radiografiche in valgismo e varismo forzati. Se alla lesione si accompagna un danno di questi legamenti, nella maggior parte dei casi a livello mediale, si deve eseguire anche una ricostruzione a tunnel o ricorrere all’artrodesi pancarpale. L’artrodesi parziale prevede la fusione chirurgica soltanto del livello medio e delle articolazioni carpometacarpiche. La funzione del carpo resta essenzialmente normale, perché in condizioni naturali il movimento presente a questi livelli articolari è scarso. L’articolazione antibrachiocarpica, responsabile praticamente della totalità della flessione del carpo, resta funzionale. I metodi di fissazione sono rappresentati da applicazione di placche dorsali, fissatori esterni o chiodi endomidollari. In questa sede verrà trattato quest’ultimo metodo, che presenta alcuni vantaggi rispetto all’impiego delle placche, come la minore interferenza con il radio ed una superiorità biomeccanica.

Si applica una stecca caudale fino a che non si notano i segni radiografici della fusione, tipicamente 6-8 settimane più tardi. Nel corso delle 4 settimane successive, si consente un graduale ritorno al normale esercizio fisico.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

103

La lussazione della rotula: biomeccanica e nuovo protocollo diagnostico Daniel Koch Dr Med Vet, Dipl ECVS - Università di Zurigo, Svizzera

Estratto breve Introduzione L’attuale valutazione del grado di lussazione rotulea è basata sui lavori pubblicati da Putman (1968) e Singleton (1969). Le loro definizioni erano utili per la pianificazione preoperatoria. Tuttavia, non consentivano una precisa classificazione nei quattro gradi, perché la posizione dell’animale non era chiara e le definizioni lasciavano spazio ad eccessive interpretazioni. Lo Swiss Toy Breed Breeders Club ha quindi chiesto regole più rigorose. Lo screening radiografico è parso non essere affidabile (Weber, 1992, Kaiser et al., 1997). Sono state fissate altre definizioni cliniche (Koch et al, 1998) successivamente sottoposte a verifica (Reichler et al., 1999). Dal 1997, i veterinari svizzeri devono aver seguito un corso pratico per conseguire la certificazione necessaria per la diagnosi della lussazione rotulea nel cane e nel gatto. La Germania (1999) e l’Austria (2000) hanno adottato i nuovi standard.

Definizioni aggiuntive Sono state stabilite le seguenti definizioni aggiuntive (Koch et al., 1998). (a) La rotula a cavallo del solco viene classificata come grado “0”. (b) L’esame deve essere eseguito in tutte le posizioni fisiologiche dell’animale. Si rileva il risultato peggiore. (c) In caso di interpretazione contrastante delle definizioni, si annota il risultato peggiore.

Esame L’animale viene sottoposto ad ispezione durante l’andatura. Quindi, viene posizionato su un tavolo. Si esaminano contemporaneamente, mediante palpazione, gli arti posteriori e le posizioni di entrambe le rotule. Si presta particolare attenzione ai casi che si lussano facilmente. Secondo la definizione di Putman e la nostra definizione aggiuntiva c), una rotula lussata viene classificata come “3”, anche quando è possibile una remissione mediante manipolazione dell’arto in un altro decubito. La lussazione rotulea di grado “4” è rara, ma facilmente sottovalutabile. Gli animali sono per lo più

liberi da dolore e non mostrano alcuna zoppia. Per definire chiaramente la posizione della rotula rispetto al tratto distale del femore, è indispensabile un’accurata palpazione del meccanismo del quadricipite. L’animale viene quindi posto in decubito laterale. Si esegue un approfondito esame dell’arto posteriore. Quest’ultimo viene poi esteso mediante delicata pressione sul femore, mentre con il pollice e l’indice si tiene fissa la rotula. Con l’altra mano, si tiene il tarso. Dapprima, si esegue la valutazione della lussazione rotulea mediale mediante endorotazione ed estensione dell’arto. Questa è la posizione anatomica che consente la lussazione rotulea nel modo più facile. La rotula viene lussata dalle dita dell’esaminatore. La remissione si osserva sia spontaneamente, mediante manipolazione del solo arto (flessione, estensione, endorotazione ed esorotazione), che in seguito a pressione digitale e manipolazione. Tutte le prove vengono effettuate in differenti angoli di flessione e di rotazione dell’arto posteriore. In secondo luogo, si valuta la lussazione rotulea laterale. Per iniziare, l’arto posteriore viene flesso in tutte le angolazioni e sottoposto ad esorotazione. Tutte le prove vengono ripetute come per la lussazione rotulea mediale. Sullo stesso ginocchio è possibile la lussazione rotulea sia mediale che laterale. La classificazione è la seguente: Grado 0 La rotula non può essere lussata nella sua piena estensione sopra il solco femorale in qualsiasi posizione dell’arto. Grado 1 La rotula può essere lussata. Il rilascio della pressione digitale porta ad un immediato ritorno nella sua posizione fisiologica. L’arto non viene mosso. Grado 2 La rotula può essere lussata. Può poi essere riportata nella sua posizione fisiologica mediante semplice manipolazione dell’arto posteriore (flessione, estensione, rotazione). Grado 3 La rotula può lussarsi spontaneamente. Il riposizionamento è possibile mediante manipolazione o pressione digitale. Grado 4 La rotula è lussata in modo permanente. Il riposizionamento è impossibile.

Discussione L’esperienza maturata con più di 400 veterinari svizzeri dimostra che durante la palpazione si sono incontrati i seguenti problemi:


104

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

- Rotula a cavallo del solco: si assegna il grado “1” solo quando è possibile apprezzare con la palpazione un solco libero vicino alla rotula. In tutte le altre posizioni si assegna il grado “0”. - Rotule che si lussano spontaneamente con la palpazione: in alcuni animali la rotula si lussa solo una volta ogni 10. Può essere utile ripetere l’esame o effettuarlo nuovamente in un giorno successivo. - Grado 4: solo l’accurata palpazione ed identificazione della rotula possono evitare un grave errore di diagnosi. L’interpretazione è associata ai seguenti problemi: - Risultati conflittuali nel caso del grado “3”: lussazione spontanea nella posizione in stazione (grado “3”) e possibile riposizionamento mediante manipolazione (grado “2”). Il risultato è “3” (vedi definizioni aggiuntive). - Le concomitanti lussazioni laterali e mediali vengono trascurate.

Bibliografia Koch D. A., Grundmann St., Savoldelli D., L’Eplattenier H., Montavon P.M. (1998): Die Diagnostik der Patellarluxation des Kleintieres. Schw Archiv Tierheilk 140, 371 - 374 Kaiser S.H., Waibl L., Brunnberg L. (1997). Der Quadriceps-Winkel in der radiologischen und der magnetresonanztomographischen Darstellung: Ein Paramter zur Objektivierung der mit der Luxatio patellae congenita assoziierten Weichteil- und Knochendeformitäten. Kleintierpraxis 42, 953 – 964. L’Eplattenier H., Montavon PM (2002). Patellar luxation in dogs and cats: pathogenesis and diagnosis. Comp Cont Educ pract Vet 24, 234 - 241 Putnam R.W. (1968): Patellar luxation in the dog. MS Thesis, University of Guelph, Ontario. Reichler I., Koch D. A., Grundmann St., L’Eplattenier H., Montavon P.M (1999): Die diagnostische Effizienz der Vorsorgeuntersuchung der Patellarluxation bei Zwerghunderassen. Kleintierpraxis 44, 825 – 829. Singleton W.B. (1969): The surgical correction of stifle deformities in the dog. J. Small Anim. Pract. 10, 59 - 69. Weber U. (1992): Morphologische Studie am Becken von Papillon-Hunden unter Berücksichtigung von Faktoren zur Aetiologie der nichttraumatischen Patellaluxation nach medial. Vet. - Med. Diss. Zürich.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

105

Il trattamento della lussazione della rotula. Solcoplastica e cranializzazione della cresta tibiale Daniel Koch Dr Med Vet, Dipl ECVS - Università di Zurigo, Svizzera

Estratto breve Introduzione L’indicazione del trattamento chirurgico della lussazione rotulea del cane e del gatto è basata sui segni clinici e sul grado della lussazione stessa. Per ristabilire la normale funzione del ginocchio è necessario effettuare un’osteotomia della cresta tibiale con solcoplastica femorale. Nei soggetti con meno di 5 mesi di vita, si esegue una solcoplastica subcondrale, mentre in quelli di età superiore si ricorre alla solcoplastica a cuneo. Il dolore postoperatorio può essere attenuato quando si riduce la forza retrorotulea. Questo risultato si ottiene mediante cranializzazione della cresta tibiale osteotomizzata. Si esegue un’osteotomia obliqua, che consente un’ampia correzione della lussazione rotulea ed anche un avanzamento craniale della cresta tibiale e del legamento rotuleo. Per le lussazioni rotulee mediali, i punti di repere caudali per l’osteotomia sono il margine craniale del menisco mediale ed il tendine del muscolo estensore delle dita. Oltre a queste correzioni ossee, nel periodo postoperatorio risultano utili le ricostruzioni dei tessuti molli, che però non devono essere impiegate come unico metodo di terapia.

7.

8.

9.

Tecnica (lussazione rotulea mediale) 1. Tosare l’arto posteriore compresa l’area tarsale e collocare l’animale in decubito dorsale. 2. Dopo l’incisione della cute, si esegue un’artrotomia sulla faccia laterale e mediale, rispettando le fibrocartilagini pararotulee. Si esegue la lussazione della rotula. 3. Si ispeziona il ginocchio (legamenti, menischi, condromalacia, deformità, sinovite). 4. Come punti di repere per l’osteotomia, si identificano la tuberosità di Gerdy lateralmente ed il bordo craniale del menisco mediale. 5. Con una sega, si pratica un’osteotomia obliqua cranialmente ai punti di repere e la si estende in direzione distale. La cresta tibiale osteotomizzata viene ribaltata prossimalmente. 6. Solcoplastica a cuneo: contrassegnare l’inizio della solcoplastica a cuneo con una lama da bisturi. Il punto più alto del solco deve rimanere intatto. Pianificare accuratamente lo spessore della porzione aggiuntiva da rimuovere. Servirsi di una sega X-ACTO per realizzare il cu-

10.

neo. Fare attenzione a non danneggiare l’origine del legamento crociato posteriore. Rimuovere una porzione aggiuntiva sul lato della lussazione rotulea. Scontinuare il margine acuto alla base del cuneo ed approfondire ulteriormente il taglio sul femore con una pinza ossivora. Riposizionare ed adattare il cuneo fino a che non si ottiene un solco soddisfacente ed una situazione stabile. Se risulta troppo stretto, l’ingresso sopratrocleare del solco può essere ingrandito con una raspa. Riposizionare la rotula e definire l’entità della trasposizione della cresta tibiale laterale senza torcere il legamento rotuleo. Fissare la cresta con un cerchiaggio di tensione in filo metallico utilizzando due chiodi endomidollari da 0,8 mm (gatti) o 1,6 mm (cani di grossa taglia) e un cerchiaggio ad 8 in filo metallico da 0,6 mm (gatti) o 1,2 mm (cani di grossa taglia). Ricostruzioni dei tessuti molli (possibili, secondo necessità): - rilascio del muscolo mediale: resecare il muscolo sartorio ed il vasto mediale separandoli dalla rotula e fissandoli in posizione più prossimale al retto femorale. - Embricatura laterale: la fascia lata viene chiusa con una sutura squamosa. - Le incisioni della capsula mediale e del retinaculum possono essere lasciate senza sutura. - Sutura di derotazione: applicare una sutura intorno alla fabella laterale e nel legamento rotuleo per accentuare la tensione laterale in caso di lussazione mediale della rotula con eccessiva rotazione verso l’interno della tibia. Cura postoperatoria: applicare sull’arto un bendaggio per 3-7 giorni e poi attuare una fisioterapia energica. Controllare la riparazione con esami radiografici immediatamente dopo l’intervento, dopo 6 settimane e dopo 3 mesi.

Bibliografia Schmökel H.G., Montavon P.M. (1993). Versetzung der Tuberositas tibiae mit einer Kranialisation bei der Patellarluxation beim Hund. Kleintierpraxis 38, 805-808. Koch D.A., Montavon P.M. (1997). Klinische Erfahrungen bei der Therapie der Patellarluxation des Kleintieres mittels Sulkoplastik und seitlicher und kranialer Verschiebung der Tuberositas tibiae. Schweiz Arch Tierheil 139, 259-264. Koch D.A., Grundmann S., Savoldelli D., L’Eplattenier H., Montavon P.M. (1998). Die Diagnostik der Patellarluxation des Kleintieres. Schweiz Arch Tierheil 140, 371-374. Slocum B., Slocum D., Devine T. (1982). Wedge recession for treatment of recurrent luxation of the patella. Clin Orthop 164, 48.


106

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Invecchiamento cerebrale del cane e del gatto: disturbi cognitivi e comportamentali correlati Gary Landsberg DVM, Dipl ACVB, Doncaster Animal Clinic - Thornhill, Ontario, CAN

Estratto completo Invecchiando, i piccoli animali spesso soffrono di un declino delle funzioni cognitive (memoria, apprendimento, percezione), che può manifestarsi sotto forma di a) disorientamento, b) dimenticanza di comportamenti precedentemente imparati (es. abitudine a non sporcare in casa), c) minor interazione con le persone, d) sviluppo di paure o ansie, e) minore capacità di riconoscere persone, luoghi, o altri animali, f) altri segni di deterioramento delle capacità mnemoniche e di apprendimento. Nell’animale anziano, la maggior parte di questi cambiamenti sono riconducibili alla “sindrome della disfunzione cognitiva” (Cognitive Dysfunction Syndrome, CDS).

CENNI CLINICI Il CDS è un disordine neurodegenerativo progressivo tipico dei cani anziani, caratterizzato da un graduale declino delle funzioni cognitive, ad esordio lento e prolungato (18-24 mesi o più). Accurate ricerche di laboratorio hanno dimostrato che i cani anziani possiedono una minore funzionalità cognitiva rispetto a quelli più giovani, con riduzione della memoria spaziale, dell’abilità a discriminare, della capacità di modificare il proprio comportamento in risposta a mutate condizioni esterne. Sebbene in genere il declino cognitivo del cane non si manifesti clinicamente prima degli 11 anni di età, test di laboratorio ne dimostrano l’esordio già a partire dai 7 anni. Ciò è analogo a quanto accade per le malattie neurodegenerative dell’uomo, come l’Alzheimer: nei pazienti sottoposti a regolari test cognitivi, le manifestazioni di declino mentale sono evidenziabili assai prima della comparsa dei segni clinici osservabili nella vita di tutti i giorni. È stato altresì dimostrato che, durante l’invecchiamento, i cani presentano una variabilità di declino cognitivo del tutto sovrapponibile a quanto riscontrato nell’uomo; si va, cioè, da un “invecchiamento di successo” ad un calo età-dipendente della memoria, fino al grave deterioramento cognitivo. Solo interrogando in maniera attenta ed oculata il proprietario è possibile identificare precocemente i primi segni di CDS. A questo scopo, sono stati redatti questionari ad hoc, atti a valutare le funzioni cognitive del cane. Si tratta di strumenti importanti, perché una volta che la sintomatologia si sia resa clinicamente manifesta, la neurodegenerazione è ormai avanzata. In Nord America i segni clinici del CDS vengono tradizionalmente descritti servendosi dell’acronimo DISHA (disorientamento; alterata inte-

razione con il proprietario e/o con gli altri animali - dall’iperattaccamento, all’insicurezza, fino al calo di interesse per le interazioni sociali –; modifiche del ciclo sonno-veglia; eliminazione inappropriata; cambiamenti nei livelli di attività, che possono comprendere sia un calo di attività globale che un aumento di attività apparentemente prive di senso). Di seguito si riporta una lista più completa di segni patognomonici del CDS, redatta anche tenendo conto delle regioni cerebrali affette da neurodegenerazione e delle manifestazioni di declino cognitivo descritte nell’uomo: 1. disorientamento spaziale / confusione; 2. alterazioni di apprendimento / memoria (dall’eliminazione inappropriata all’incapacità di ricordare comandi precedentemente imparati); 3. modifiche nei livelli di attività: dall’aumento di attività (generale; senza senso; ripetitiva) all’ipo-attività; 4. alterate interazioni sociali; 5. modifiche del ritmo sonno-veglia (es. risvegli notturni); 6. stato d’ansia o di irrequietezza; 7. alterazioni dell’appetito (sia in difetto che in eccesso); 8. diminuzione della pulizia personale; 9. ridotta percezione e/o risposta agli stimoli.

DIFFUSIONE DEI DISORDINI COMPORTAMENTALI ASSOCIATI A CDS Sebbene i cambiamenti comportamentali tipici del CDS siano piuttosto comuni nei cani anziani, solo raramente essi costituiscono motivo di consulto presso un ambulatorio veterinario. È, viceversa, assai più probabile che nella pratica veterinaria ci si trovi a che fare con i casi più complessi, quelli, cioè, che riguardano disordini comportamentali come l’aggressività, il comportamento stereotipato, l’ansia da separazione, le paure, le fobie. È però sempre bene tenere presente che malattie organiche, CDS compreso, possono contribuire o finanche causare tali disordini; essi, dunque, non sempre rappresentano disturbi comportamentali primari, tanto più che questi ultimi sono assai meno frequenti rispetto a quelli associati ai segni DISHA [cioè ai segni clinici del CDS, Ndt]. Lo dimostra anche un recente studio effettuato su 255 proprietari di cani dagli 8 anni in su: il 48% ammetteva che il proprio cane presentava almeno uno di questi segni [segni DISHA, cioè segni clinici di CDS, Ndt], ma solo il 17% ne aveva riferito l’esistenza al proprio Veterinario. Esiste anche un altro studio interessante, effettuato su 180 cani di età compresa tra gli 11 e i 16 anni, esenti da malattie organiche con possibili riper-


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

cussioni comportamentali. Il 28% dei cani di 11 - 12 anni ed il 68% di quelli di 15 - 16 anni mostravano almeno un segno tipico di disfunzione cognitiva. Il 10% dei cani della prima fascia di età ed il 36% di quelli più anziani presentavano due o più segni di CDS. Stando ad un altro studio nel quale venivano intervistati 250 Veterinari, solo il 7% dei proprietari di cani anziani riportava spontaneamente l’esistenza di un deficit cognitivo. Nonostante sia stato dimostrato che dal momento della comparsa dei primi segni, i casi di deficit cognitivo vanno incontro inevitabilmente ad un crescendo sintomatologico, la maggior parte dei proprietari omette di riferire al Veterinario le manifestazioni precoci dei disordini cognitivi, perché erroneamente ritiene che tali problemi non siano altro che un aspetto inevitabile dell’invecchiamento cui non sia possibile porre rimedio. Allo scopo di far emergere il problema, sono stati redatti sia questionari che il Veterinario può sottoporre al proprietario al fine di meglio identificare eventuali segni di CDS, sia pieghevoli che illustrano il significato ed il tipo di cure disponibili per il cane anziano affetto da CDS.

GLI EFFETTI CEREBRALI DELL’INVECCHIAMENTO Via via che il cane invecchia, viene a verificarsi una riduzione della massa cerebrale complessiva, che può comprendere atrofia del cervello e dei gangli basali, aumento dello spazio ventricolare, assottigliamento e restringimento delle circonvoluzioni corticali, allargamento dei solchi cerebrali, ispessimento delle leptomeningi (quelle del cervello, ma non quelle del cervelletto), calcificazione delle meningi, demielinizzazione, cambiamenti gliali (es. aumento del numero e dalla dimensione degli astrociti), riduzione del numero dei neuroni. È stato dimostrato che il cervello dei cani di età superiore ai 19 anni possiede il 18.5% di neuroni in meno rispetto ai cani giovani. I loro neuroni, inoltre, presentano un aumento nel contenuto di lipofucsina, e di corpi apoptotici, e segni di neurodegenerazione assonale. Infine, nel cervello del cane (ma anche del gatto e dell’uomo) affetto da CDS si osserva un anomalo accumulo di infiltrati perivascolari e di placche senili (depositi della proteina beta-amiloide). A differenza di quanto osservato nell’uomo, nel cane e nel gatto tali placche hanno un aspetto diffuso, mancano di un’anima centrale, non si trasformano in placche neuritiche né nel “groviglio” neurofibrillare tipico del cervello senile umano. Sebbene nel cane e nel gatto aterosclerosi, ischemia ed emorragia cerebrale siano piuttosto rare, nel cervello del cane anziano possono manifestarsi numerose alterazioni vascolari e perivascolari, comprese microemorragie ed infarti dei vasi periventricolari, nonché arteriosclerosi di tipo non-lipidico, dovuta a fibrosi delle pareti vasali, proliferazione endoteliale, ialinizzazione, mineralizzazione e deposizione di betaamiloide. Tale angiopatia può compromettere il flusso ematico e la disponibilità cerebrale di glucosio. Senza contare il fatto che all’ipossia cerebrale dell’animale anziano possono anche contribuire la diminuita gittata cardiaca, l’anemia, l’iper-viscosità ematica, l’iper-coagulabilità piastrinica, e le malattie che comportano ipertensione (es. diabete, ipertiroidismo, nefropatie, insufficienza cardiaca o respiratoria). Nel cervello senile possono altresì verificarsi alterazioni funzionali, tra cui riduzione dei livelli neurotrasmettitoriali

107

delle catecolamine (norepinefrina, serotonina, dopamina), aumento di attività dell’enzima monoamino-ossidasi B, che, però, non è ancora stato inequivocabilmente dimostrato nel cane anziano. Il calo di catecolamine ed il deficit di trasmissione nervosa possono rappresentare un fattore importante nell’eziopatogenesi del CDS. Lo stesso dicasi per un possibile deficit a carico del sistema colinergico, potenzialmente dovuto ad un aumento dell’acetilcolinoesterasi. Anche i recettori muscarinici possono essere ridotti. a) Il ruolo della beta-amiloide nel CDS Alcuni studi hanno dimostrato che, a differenza dei cani anziani, il cervello dei cani giovani contiene livelli di betaamiloide praticamente non rilevabili. Nel cane, è stato, inoltre, osservato che la quantità di beta-amiloide che si deposita nel cervello è direttamente correlata al deficit cognitivo rilevabile attraverso test di apprendimento. Sebbene il ruolo giocato dalla beta-amiloide nello sviluppo del CDS non sia ancora esattamente definito, è noto che questa proteina esercita effetti neurotossici (compromette la funzionalità neuronale, induce degenerazione sinaptica, riduce il numero di neuroni, abbassa il livello di neurotrasmettitori) ed è correlata alla gravità del deficit cognitivo: più elevato l’accumulo cerebrale di betaamiloide, maggiore il deterioramento delle funzioni cognitive. b) Il ruolo dei radicali liberi nel CDS Sebbene l’ossigeno sia elemento indispensabile alla sopravvivenza cellulare, una piccola quantità, utilizzata dai mitocondri per la normale produzione aerobica di energia, viene convertita in ROS (specie reattive dell’ossigeno, anche note come radicali liberi), tra cui si annoverano il perossido di idrogeno, l’anione superossido, il monossido di azoto. Col passare del tempo, anche i mitocondri “invecchiano”: essi divengono meno efficienti, producono una maggior quantità relativa di ROS ed esprimono una minor resa energetica rispetto ai mitocondri “giovani”. Lo stesso aumento di attività della monoamino-ossidasi può provocare un aumento di liberazione di ROS, che, a loro volta, danneggiano le membrane cellulari. Oltre che nei mitocondri, i ROS possono venire prodotti anche in altri organuli citoplasmatici, come i perossisomi. In risposta ad infezioni / infiammazioni, essi sono, inoltre, liberati anche dai macrofagi e dai neutrofili. Infine, la loro produzione cellulare aumenta anche in seguito a stimolazioni esterne, come, ad esempio, radiazioni ionizzanti, sostanze carcinogene, inquinanti ambientali. In ogni caso, l’incidenza di queste “noxae esogene” nella produzione di ROS è nettamente inferiore a quella dei processi metabolici endogeni. Di norma le difese antiossidanti dell’organismo (es. superossido dismutasi, catalasi, glutatione perossidasi, vitamina A, C ed E) eliminano i radicali liberi via che essi vengono prodotti, attraverso un equilibrio tra produzione e detossificazione che viene finemente regolato all’interno delle cellule. Ma quando questo equilibrio si sposta in favore di un’iper-produzione di ROS - come succede in caso di malattia, stress o invecchiamento - i radicali liberi in eccesso reagiscono con il DNA, i lipidi e le proteine, provocando danni cellulari, alterando la funzionalità delle cellule ed attivandone la morte. Il danno ossidativo può, dunque, rappresentare un fattore importante nello sviluppo di quelle malattie associate all’invecchiamento cerebrale, tanto è vero che, nell’uomo, gli antiossidanti


108

possono ritardare l’insorgenza dei deficit cognitivi dell’anziano. C’è, infine, da ricordare che il cervello è un organo particolarmente suscettibile agli effetti tossici dei radicali liberi, perché ha un elevato contenuto lipidico, una forte richiesta di ossigeno ed una capacità antiossidante relativamente limitata. c) Il ruolo dell’insufficienza cardiovascolare nel CDS Sebbene il ruolo dell’insufficienza cardiovascolare (diminuita gittata cardiaca, anemia, arteriosclerosi, modifiche della viscosità, vasospasmo) nell’amplificare i processi neurodegenerativi non sia affatto chiaro, è possibile che esista un legame tra ipossia e CDS.

DIAGNOSTICARE IL CDS Nel fare diagnosi di CDS, il Veterinario può essere aiutato dalle risposte del proprietario ad un semplice questionario, che ha per scopo quello di far emergere alcuni segni, importanti per la definizione del quadro clinico, ma spesso sottovalutati dal cliente. Dal momento che l’istopatologia cerebrale non può certo rappresentare un’opzione diagnostica, una diagnosi presuntiva di CDS viene effettuata in base a segni clinici compatibili con un deficit cognitivo, in assenza di qualsivoglia malattia organica. Cause mediche e disordini comportamentali primari devono, dunque, venire esclusi. Patrick Pageat, fondatore della scuola francese di comportamento animale, anziché utilizzare un’unica diagnosi di CDS, si rifà ad una serie di disordini comportamentali associati all’invecchiamento cerebrale degli animali da compagnia. Tali disordini vengono quantificati tramite un sistema standard di punteggio, definito scala ARCAD (Age Relative Cognitive and Affective Disorders), che valuta la presenza sia di segni cognitivi che di segni affettivi correlati all’età. Come per il CDS, il dottor Pageat ha, infatti, dimostrato l’esistenza di una correlazione diretta tra il punteggio ARCAD ed i livelli di beta-amiloide cerebrale.

Diagnosi differenziale a) Malattie organiche Qualunque malattia che interessi il sistema nervoso centrale, sia direttamente (es. tumori, deficit cognitivo) sia indirettamente (es. anemia) può ripercuotersi sulla sfera cognitiva o comportamentale. Inoltre, qualunque malattia che si associ a dolore o fastidio (es. artrosi, malattie odontoiatriche) può provocare aumento dell’irritabilità o della paura di essere toccato, oppure indurre una diminuita capacità di risposta a stimoli esterni. Anche un declino di funzionalità degli organi sensoriali può modificare la reattività allo stimolo. Infine, l’insufficienza di un organo, i tumori, le malattie degenerative o immunitarie e le endocrinopatie possono avere pesanti effetti sul comportamento. I cani con ipotiroidismo, ad esempio, a volte presentano comportamenti anomali, che possono andare dalla letargia all’aggressione; analogamente, i cani Cushingoidi possono soffrire di alterazioni del ciclo sonno-veglia, letargia, eliminazione inappropriata, respirazione ansimante, polifagia. C’è, infine, da considerare che anche nell’eventualità in cui la malattia organica non sia direttamente responsabile dei cambiamenti comportamentali, essa può in ogni caso alterare la so-

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

glia di responsività allo stimolo. In dermatologia - lì dove è stata applicata per la prima volta – per “teoria della soglia” si intende che uno stimolo pruritogeno scatenerà la sensazione di prurito solo quando, per intensità o per sommazione con altri stimoli, supererà la soglia di tolleranza dell’animale. Analogamente, è possibile che un animale manifesti clinicamente un problema comportamentale, solo in risposta ad una serie di stimoli multipli che, sommati tra loro, provochino il “superamento della soglia”. In questo senso, le malattie organiche possono abbassare la soglia, o livello di tolleranza che dir si voglia. Ad esempio, un cane che abbia paura dei bambini, ma non abbia mai dimostrato segni di aggressione, potrebbe iniziare a ringhiare o a mordere come conseguenza di malattie a componente algica (es. malattie odontoiatriche) o di patologie che ne limitino la capacità di movimento (es. artrosi). b) L’approccio della scuola francese Secondo il sistema diagnostico francese, il cane di età superiore ai 7 anni può soffrire di una varietà di disordini comportamentali ascrivibili all’invecchiamento cerebrale, tra cui si annoverano: - iper-aggressività del cane anziano: il cane manifesta questo tipo di aggressione nei più disparati contesti sociali, non si placa davanti ad atteggiamenti di sottomissione, e può rivoltarsi anche contro cuccioli o bambini. Viene anche detta aggressione “de-strutturata”, nel senso che il morso precede il ringhio e l’animale non è in grado di acquietarsi. Nella maggior parte dei casi si associa a bulimia; - sindrome confusionale del cane anziano: è un’entità simile al CDS, caratterizzata da segni di disorientamento spaziale e temporale, deficit di apprendimento e memoria, alterazione dei livelli di attività; - disordini timici del cane anziano: i) depressione da involuzione: il cane è in uno stato depressivo cronico ed è affetto da disordini del sonno, con risvegli improvvisi accompagnati da guaiti acuti e desolati, oppure da segni autonomici (rilascio di urine e/o feci, salivazione, vomito). Devono essere presenti almeno due dei segni di seguito riportati: aumentata esplorazione orale, con possibile ingestione; eliminazione inappropriata, che può avvenire sia in luoghi casuali che in posti dove l’animale in passato aveva imparato a non sporcare; difficoltà a ricordare comportamenti e giochi precedentemente appresi; abitudine a leccare, succhiare o mordicchiare ripetutamente la cute di altri cani o di persone. Devono essere presenti anche due dei seguenti segni: emissione di gemiti; dermatite acrale da leccamento; iper-attaccamento; distruzione della mobilia durante i periodi di separazione; vagabondaggio con trascinamento dei piedi o andatura stereotipata. ii) distimia del cane anziano: la distimia è un disordine unipolare che rapidamente progredisce in forma bipolare. Il segno più tipico è rappresentato dalla perdita della capacità di procedere lungo un percorso segnato (es. corridoio): il cane rimane perplesso, confuso, non riesce a terminare il test e può diventare aggressivo se il proprietario si offre di aiutarlo. L’iperadrenocorticismo o le terapie corticosteroidee


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

possono rappresentare fattori di predisposizione per la distimia del cane anziano. c) Problemi comportamentali primari I disordini comportamentali del cane possono manifestarsi clinicamente in seguito a cambiamenti che intervengono nel suo ambiente di vita. Le variazioni di orario, l’introduzione di un nuovo membro nel nucleo famigliare (es. bambino, moglie, altro animale), il trasloco possono avere un impatto drammatico sul comportamento del cane. C’è, inoltre, da tenere presente che malattie organiche o cambiamenti di natura degenerativa associati all’invecchiamento possono rendere il cane più sensibile o ridurre la sua capacità di adattamento. Le reazioni del proprietario a questi comportamenti anomali del cane possono aggravare ulteriormente il problema.

TRATTAMENTO DEL CDS Sebbene alcuni disordini comportamentali possano trovare beneficio dall’applicazione di specifici protocolli comportamentali e/o gestionali, il trattamento del CDS richiede anche una terapia di combinazione, basata sull’utilizzo congiunto di un approccio nutrizionale, farmacologico e di stimolazione cognitiva (basata sull’addestramento, l’esercizio, l’introduzione di nuovi giochi) volta a mantenere attivo il cervello dell’animale (use it or lose it, se non lo usi lo perdi).

Terapia nutrizionale Gli antiossidanti, che agiscono sia neutralizzando i radicali liberi che riducendone la produzione, possono esercitare anche effetti antinfiammatori. Sono in grado di rallentare il deficit cognitivo nell’uomo e di migliorare la performance nel ratto anziano. Uno studio in particolare ha dimostrato che la vitamina E ad alto dosaggio (2.000 UI/die) rallenta la progressione dell’Alzheimer. Studi eseguiti su altre specie indicano che l’assunzione di frutta e verdura in elevate quantità diminuiscono il rischio di un declino cognitivo età-dipendente. Gli acidi grassi essenziali proteggono le membrane cellulari e sembrano ridurre il rischio di demenza nell’uomo. Uno studio recente ha messo a confronto con una dieta tradizionale un nuovo alimento contenente antiossidanti, al fine di verificarne l’efficacia sulle capacità di memoria e di apprendimento in cani Beagle da laboratorio. La dieta oggetto dello studio era stata arricchita con una miscela di antiossidanti (vitamina E, vitamina C, beta carotene, selenio, flavonoidi, e carotenoidi contenuti in spinaci, pomodori, uva, limoni e carote), cofattori mitocondriali (l-carnitina), ed acidi grassi della serie omega 3, tutte sostanze potenzialmente attive sull’apprendimento e la memoria. Lo studio prevedeva anche la valutazione di cani alimentati con dieta di controllo, ma stimolati con esercizi, giochi e test. Nel corso dello studio (due anni), i cani del gruppo di controllo (dieta non arricchita e assenza di stimoli ambientali) mostrava un drammatico declino della funzionalità cognitiva, mentre quelli appartenenti agli altri due gruppi (dieta arricchita, oppure stimoli ambientali) presentavano capacità cognitive migliori del gruppo di controllo. I risultati migliori si ottenevano nei cani sottoposti sia a terapia nutrizionale che a terapia ambientale (stimolazione con giochi, esercizi, ecc...).

109

Farmaci attivi sulla neurotrasmissione Con l’invecchiamento, il cervello va incontro ad alterazioni del proprio corredo recettoriale, nonché a modifiche della produzione, ricaptazione, trasmissione e degradazione dei neurotrasmettitori. Farmaci in grado di stimolare la neurotrasmissione possono, conseguentemente, migliorare i segni clinici, almeno in via transitoria. Sostanze in grado di stimolare la trasmissione e diminuire la degradazione della dopamina (es. selegilina); antidepressivi che inibiscono la ricaptazione della serotonina e/o della noradrenalina; principi attivi in grado di stimolare la trasmissione noradrenergica, come il modafinil o l’adrefinil; sostanze capaci di stimolare la trasmissione serotoninergica (es. triptofano); farmaci che stimolano la trasmissione colinergica, come gli inibitori della colinesterasi, sono tutti composti potenzialmente utili. Possono essere utilizzate anche alcune sostanze naturali, come il gingko biloba, capaci di inibire la MAO e, conseguentemente stimolare le attività neurotrasmettitoriali. Alternativamente, possono essere utilizzate strategie farmacologie volte a calmare gli animali ansiosi e ripristinare i normali cicli sonno-veglia. In questo caso, si può ricorrere agli ansiolitici, come le benzodiazepine, la gabapentina, la carbamazepina o il buspirone; oppure a rimedi omeopatici o naturali, come i fiori di Bach, la melatonina o la valeriana.

Antiossidanti Farmaci come la selegilina possono agire anche sui radicali liberi, diminuendone la produzione, stimolandone l’eliminazione, o proteggendo dal danno ossidativo i neuroni serotoninergici, colinergici e dopaminergici. Anche il gingko biloba è in grado di ridurre la tossicità insita nei ROS.

Farmaci ad attività vasotonica cerebrale Alcuni farmaci utilizzati per trattare gli effetti dell’invecchiamento cerebrale si propongono di stimolare la circolazione e la perfusione della corteccia. Si tratta, ad esempio, della niecergolina – un antagonista alfa1 e alfa2 – o della propentofillina, che si ritiene migliori la circolazione inibendo l’aggregazione piastrinica e la formazione dei trombi, e rendendo più elastici gli eritrociti.

Miscellanea Al miglioramento del deficit cognitivo può senz’altro concorrere anche il controllo delle malattie organiche, soprattutto endocrinopatie e disordini che alterano la perfusione del sistema nervoso centrale. Sulla scorta del loro utilizzo e della loro efficacia in alcune forme di demenza umana, è possibile considerare anche il ricorso a farmaci antinfiammatori e a terapie ormonali sostitutive. In uno studio si è osservato che i cani maschi castrati possono essere maggiormente a rischio di CDS. Gli estrogeni possono esercitare effetti sia antinfiammatori che antiossidanti e stimolare la circolazione cerebrale. Femmine di cane trattate con estrogeni commettono molti meno errori nei test di apprendimento, ma un maggior numero di errori in quelli di memoria rispetto ai cani di controllo.


110

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Esperienze cliniche sulla diarrea cronica del piccolo intestino Ugo Lotti Med Vet - Monsummano Terme (PT)

Estratto breve I segni clinici più comuni delle malattie croniche del piccolo intestino sono la diarrea ed il dimagramento, che possono manifestarsi contemporaneamente oppure si può avere la presenza di dimagramento senza diarrea nel caso che il colon riesca ad assorbire tutti i fluidi prodotti in eccesso dal piccolo intestino ammalato. Altri segni clinici sono la melena, borborigmi e flatulenza e se si tratta di un cucciolo anche una crescita stentata. La patofisiologia di questi segni è un malassorbimento intestinale causata sia dalla mancata digestione di uno o più determinati nutrienti (maldigestione), come si verifica nell’insufficienza del pancreas esocrino (EPI) o nell’insufficienza degli acidi biliari nell’intestino (gravi mal. Epatiche o ostruzione biliare), sia dal mancato assorbimento dei nutrienti a causa di un danno a vari livelli della muscosa (malassorbimento p.d.), come si verifica nella malattia infiammatoria intestinale (IBD), nell’aumento del numero delle colonie batteriche del piccolo intestino (SIBO) o nella Linfangectasia. Le caratteristiche della diarrea del piccolo intestino sono note a tutti (frequenza normale, volume normale o aumentato, assenza di sangue vivo) ma, come detto, se il colon riesce ad assorbire i fluidi in eccesso prodotti in un piccolo intestino malato, potrei avere una forma e contenuto delle feci normali. Quindi in ogni caso di inspiegabile dimagramento con appetito mantenuto, dieta adeguata e condizioni cliniche buone, si dovrebbe sospettare una malattia del piccolo intestino. Una malattia del grosso intestino è difficile che dia perdita di peso. Una volta che, dall’anamnesi e dall’esame fisico, si è stabilito che è molto probabile che si tratti di una malattia del piccolo intestino, allora si dovrebbe procedere con esami di laboratorio: emogramma, profilo biochimico, esame delle urine, profilo coagulativo (PT,APTT, Fibrinogeno, ATIII; D-Dimeri) ed esami delle feci, parassitologico, chimico (ricerca dei grassi digeriti e indigeriti) e citologico. Da questi esami di laboratorio, dovrei essere in grado di valutare se il paziente ha una enteropatia proteino-disperdente (PLE) e quindi è anche in condizioni cliniche precarie oppure se il medesimo paziente non ha una PLE e quindi è anche in buone condizioni cliniche. La PLE è una situazione patologica caratterizzata da perdita cronica di plasma-proteine nel lume intestinale che oltrepassa la capacità di sintesi epatica delle albumine, con ipoalbuminemia e ipoglobulinemia (salvo in caso di patologia infiammatorie che provochino stimoli immunitari in cui le globuline rimangono elevate anche

in presenza di una perdita notevole nell’intestino), secondaria a gravi malattie intestinali, soprattutto del piccolo intestino come IBD, Linfangectasia, SIBO grave, neoplasie intestinali, enteriti virali, batteriche ecc. Se escludiamo una PLE, allora è giustificato sottoporre il nostro paziente anche a dei tentativi terapeutici e/o diagnostici che potrebbero allungare i tempi di una diagnosi definitiva ma evitano, al tempo stesso, l’esecuzione di costosi e/o invasivi test diagnostici. Per prima cosa si dovrebbe essere escludere la possibilità di una infestazione da Guardia spp. Eseguendo un esame parassitologico ripetuto sulle feci a fresco ed in caso di negatività anche una terapia “ex-iuvantibus”a base di Metronidazolo alla dose di 20mg/Kg BID per due settimane. Nel caso di esito negativo, allora si dovrebbero eseguire gli unici tests sulla funzionalità intestinale facilmente disponibili da noi che sono i dosaggi nel sangue della TLI, dei Folati e dalla vitamina B12. Nel caso che la TLI ci confermi la presenza di una EPI, allora la trattiamo con la somministrazione di enzimi pancreatici e ci fermiamo con ulteriori esami. Se la contemporanea presenza di Folati alti e B12 bassa ci fa sospettare la presenza di una SIBO allora anche in questo caso sottoporrò il cane ad un trattamento a base di antibiotici (Ossitetraciclina, tilosina, metronidazolo o amossicillina/ ac.clavulanico). Se si esclude l’EPI e i folati/B12 (test poco affidabile perché poco sensibile riferito alla SIBO) non ci fanno pensare ad una SIBO, allora si procede con una dieta ad eliminazione sia casalinga che commerciale, una volta che un’attenta anamnesi ci ha fatto capire cosa ha mangiato in precedenza il nostro paziente, la dieta deve essere continuata per almeno 4-8 settimane. In caso di mancata risposta alla dieta, allora si dovrebbe fare un tentativo con un trattamento antibiotico, ipotizzando che sia una SIBO o come secondo alcuni vogliono chiamarla: diarrea che risponde agli antibiotici (ARD), se non c’è nessuna risposta al trattamento antibiotico, allora si potrebbe ipotizzare un antibiotico resistenza che è molto improbabile oppure che si tratti di una IBD, di una neoplasia (linfoma alimentare) o di una Linfangectasia. In questo caso si procede con una diagnostica per immagini che all’inizio potrebbe essere una ecografia allo scopo di localizzare le lesioni, valutare lo stato del pacchetto linfonodale mesenterico e non ultimo, escludere o meno la presenza di masse neoplastiche. Dopo l’esame ecografico, se non abbiamo ancora la diagnosi, si procede con una gastroduodenoscopia oppure se la lesione è tumorale o se vediamo dall’ecografia che l’eventuale ispessimento delle pareti intestinali è a livello del digiuno-ileo, quindi irrag-


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

giungibili con un normale endoscopio, allora si procederà con una laparotomia. Ai fini diagnostici anche una citologia di un duodeno macroscopicamente infiammato, ha un’ottima correlazione con un esame bioptico. Quando ho la conferma citologica e istologica che si tratta di una IBD posso ripetere il tentativo dietetico magari enfatizzandolo maggiormente, utilizzando un’anamnesi più accurata o una eliminazione più drastica di fonti proteiche. Oppure è giustificato associare alla dieta degli antinfiammatori (prednisone 1-2 mg/Kg SID per 2-4 settimane associato al metronidazolo 10-15mg/Kg q 8-12h). Nel caso si tratti di Linfoma alimentare dovrò fare un’adeguata chemioterapia. Se ho la conferma che si tratta di una linfangectasia anche dall’aspetto macroscopico dei linfatici intestinali visibile con una laparoscopia o una laparotomia, allora si dovrà stabilire se è congenita o acquisita (secondaria a tutte le cause che provocano un aumento della pressione a livello dei linfatici intestinali come in caso di tumori mediastinici, insufficienza cardiaca congestizia ecc. In caso che, dopo gli esami di laboratorio, si diagnostica una PLE, allora la situazione clinica del paziente è grave e quindi non si possono fare tentativi che richiedano tempo eccessivo, quindi si esclude una EPI con il test dei TLI/B12/

111

Folati e quindi si procede con l’ecografia e l’endoscopia, cercando di evitare, se possibile una laparotomia (eventualmente si potrebbe eseguire una laparoscopia) dato l’alto rischio mancata guarigione delle ferite chirurgiche. Seguono le esperienze personali su alcuni casi clinici, seguendo l’iter diagnostico suddetto.

Bibliografia Guilford GW, Center SA, Strombeck DR, Williams DA, Meyer DJ, Strombeck’s Small Animal Gastroenterology 3° ed. 1996. Hall EJ, Simpson KW, Diseases of the small intestine in Textbook of Veterinary Internal Medicine, Ettinger and Feldmann 5° ed. 2000 - pag. 1182 - 1238. Jergens AE, Inflammatory bowel disease in the dog and cat, Atti WSAVA 2002. German AJ, Day MJ, Ruaux CG, Steiner JM, Williams DA, Hall EJ, Comparison of direct and indirect tests for small animal bacterial overgrowth and antibiotic responsive diarrhea in dogs. Journal of Veterinary Internal Medicine, Jan-Feb; 17(1):33-43. Steiner J, Chronic Diarrhea, atti WSAVA 2001. Jergens AE, Andreasen CB, Hagemoser WA etr al, Cytologic examinmation of exfoliative specimens obtained during endoscopy for diagnosis of gastrointestinal tract disease in dogs and cats. Journal of American Veterinary Medical Association 1998; 213:1755-1759.


112

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Patologie delle vie urinarie distali nel gatto (FLUTD): cosa c’è di nuovo Jody P. Lulich DVM, PhD, Dipl ACVIM - Università del Minnesota, USA

Estratto breve

Comportamento biologico

Nell’ultimo decennio, la conoscenza delle specifiche cause e del decorso naturale delle affezioni delle basse vie urinarie del gatto (FLUTD, feline lower urinary tract diseases) è aumentata, consentendo di indirizzare gli sforzi diagnostici e terapeutici verso l’identificazione e l’eliminazione delle specifiche cause sottostanti. Anche così, in un’elevata percentuale di casi l’esatta eziologia di ematuria, pollachiuria, stranguria e/o ostruzione uretrale nel gatto resta sconosciuta. Questi animali vengono classificati come affetti da FLUTD idiopatica. Poiché non esiste alcun test o procedura diagnostica di valore patognomonico, la diagnosi della condizione si fonda sull’esclusione delle altre cause conosciute. La FLUTD idiopatica è la causa più comunemente riconosciuta di ematuria è disuria associata o meno ad ostruzione uretrale nei gatti maschi e femmine.

Il comportamento biologico della FLUTD idiopatica non ostruttiva non è stato valutato mediante studi in prospettiva su elevate popolazioni di gatti maschi e femmine non trattati. Tuttavia, le nostre osservazioni e quelle di altri autori suggeriscono che in molti gatti maschi e femmine non trattati e non ostruiti con FLUTD idiopatica acuta i segni clinici di ematuria, disuria e pollachiuria recedono frequentemente entro 3-7 giorni. Queste manifestazioni possono recidivare dopo un periodo di tempo variabile per poi regredire di nuovo rapidamente senza alcuna terapia. Inoltre, è nostra impressione che gli episodi ricorrenti di FLUTD idiopatica acuta tendano a diminuire di frequenza e gravità col tempo. Si ritiene comunemente che i segni clinici ricorrenti nei pazienti con FLUTD idiopatica rappresentino una recidiva della malattia originale. Tuttavia, la FLUTD ricor-

Piani diagnostici per i gatti con ematuria disurica Test diagnostico

Risultati Senza ostruzione uretrale

Con ostruzione uretrale

Primo episodio o episodi infrequenti

Episodi frequenti o persistenti

Primo episodio o episodi infrequenti

Episodi frequenti o persistenti

Analisi dell’urina con esame del sedimento

++++

++++

++++

++++

Esame radiografico in bianco

++++

++++

++++

++++

Urocoltura

++

++++

++

++++

Uretrocistografia con mezzo di contrasto

+

++++

++

++++

Ecografia

+

++++

+

+++

Profilo biochimico

+

+

++++

++++

Esame emocromocitometrico completo

+

++

+

++

Biopsia vescicale

-

++

-

+


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

rente può anche essere la conseguenza di una manifestazione ritardata della malattia originale (ad es. stenosi spontanea o iatrogena), dell’insorgenza di una malattia differente associata a manifestazioni cliniche simili a quelle del disturbo di origine (ad es., urolitiasi) o di un’associazione di questi fattori. Occasionalmente, abbiamo osservato gatti in cui i segni clinici di ematuria, disuria e pollachiuria erano presenti in modo persistente da settimane o mesi senza che fosse stato possibile identificare una specifica causa. Si ignora se questa forma cronica di FLUTD idiopatica rappresenti l’estremo opposto nello spettro di manifestazioni cliniche associate ad una malattia idiopatica acuta autolimitante causata da fattori eziologici simili, o se rifletta un meccanismo patogenetico del tutto differente.

Il trattamento della FLUTD idiopatica Il trattamento sintomatico delle forme idiopatiche di FLUTD nei gatti maschi e femmine è oggetto di notevoli controversie. Ciò non deve sorprendere, dal momento che i segni clinici associati a questa forma della malattia sono spesso autolimitanti e di breve durata. In queste condizioni, qualsiasi forma di terapia potrebbe apparire utile, a condizione che non sia dannosa. La natura autolimitante dei segni clinici in molti gatti con FLUTD idiopatica sottolinea la necessità di studi clinici controllati in doppio cieco finalizzati a dimostrare l’efficacia delle varie forme di terapia. Fino a che non verranno effettuate queste indagini, il trattamento dei gatti con FLUTD idiopatica non ostruttiva deve prevedere 1) l’approfondita valutazione diagnostica per escludere altre cause di FLUTD, 2) l’adozione di strategie volte a minimizzare la frequenza delle sequele potenzialmente letali (ad es., ostruzione uretrale), 3) l’educazione del cliente, sottolineando la mancanza di studi definitivi e dimostrando l’efficacia delle terapie proposte, 4) la valutazione dei vari agenti farmacologici per il trattamento sintomatico dei segni clinici persistenti e 5) la prevenzione delle malattie iatrogene.

Estratto completo Over the past decade, knowledge of specific causes and the natural course of feline lower urinary tract diseases (FLUTD) has increased, allowing diagnostic and therapeutic efforts to be directed toward identification and elimination of specific underlying causes. Even so, in a large percentage of cases the exact cause for hematuria, pollakiuria, stranguria, and/or urethral obstruction in cats is still unknown. These cats are classified as having idiopathic FLUTD. Because there is no pathognomic test or diagnostic procedure, the diagnosis of idiopathic FLUTD is dependent on exclusion of other known causes. Idiopathic FLUTD is the most commonly recognized cause of hematuria, dysuria with and without urethral obstruction in male and female cats.

113

Diagnoses* of Lower Urinary Tract Diseases in Cats Diagnosis

1980 -97 Study (%)

Idiopathic

63

55

73

Bladder Stone

4

23

15

Urethral plug or stone

5

21

NA

Urethral Obstruction

19

36

NA

Congenital defect

0.3

0

11

Bacterial infection

3

2

1

0.3

0

2

22,908

144

109

Neoplasia Number of cases

1982-85 Study (%)

1993-95 Study (%)

NA = not applicable *More than 1 cause of FLUTD was identified in some cats.

Biological Behavior The biological behavior of nonobstructive idiopathic FLUTD has not been evaluated by prospective studies of large populations of untreated male and female cats. However, our observations and those of others suggest that clinical signs of hematuria, dysuria, and pollakiuria in many untreated nonobstructed male and female cats with acute idiopathic FLUTD frequently subside within 3 to 7 days. These signs may recur after variable periods of time and again rapidly subside without therapy. It is also our impression that recurrent episodes of acute idiopathic FLUTD tend to decrease with frequency and severity over time. It is commonly assumed that recurrent clinical signs in patients with idiopathic FLUTD is a recurrence of the original disease. However, recurrent FLUTD may also be the result of a delayed manifestation of the original disease (e.g. spontaneous or iatrogenic urethral stricture), onset of a different disease associated with clinical manifestations similar of the original disorder (e.g. urolithiasis), or combinations of these factors. Occasionally, we have encountered cats with signs of hematuria, dysuria, and pollakiuria which have persisted for weeks to months and for which a specific cause cannot be identified. It is unknown whether this chronic form of idiopathic FLUTD represents the opposite extreme in the spectrum of clinical manifestations associated with acute self-limiting idiopathic disease caused by similar etiologic factors, or whether it represents an entirely different mechanism of disease.

Managing Idiopathic FLUTD There is considerable controversy about symptomatic treatment of idiopathic forms of FLUTD in male and female cats. This is not surprising since clinical signs associated with this form of the disease are frequently self-limiting and of short duration. In this setting, any form of therapy might appear to be beneficial, as long as it is not harmful. The self-


114

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Diagnostic Plans for Cats with Dysuric Hematuria Diagnostic Yield Without Urethral Obstruction

With Urethral Obstruction

First or Infrequent episodes

Frequent or Persistent Episodes

First or Infrequent episodes

Frequent or Persistent Episodes

Urinalysis with sediment exam

++++

++++

++++

++++

Survey Radiography

++++

++++

++++

++++

Urine Culture

++

++++

++

++++

Contrast Urethrocystogram

+

++++

++

++++

Ultrasonography

+

++++

+

+++

Serum chemistry Profile

+

+

++++

++++

Complete Blood Cell Count

+

++

+

++

Bladder Biopsy

-

++

-

+

Diagnostic Test

limiting nature of clinical signs in many with idiopathic FLUTD underscores the need for controlled prospective double-blind clinical studies in order to prove the efficacy of various forms of therapy. Until then, management of cats with nonobstructive idiopathic FLUTD should encompass 1) a thorough diagnostic evaluation to exclude other causes of FLUTD’s, 2) strategies to minimize the frequency of lifethreatening sequela (e.g. urethral obstruction), 3) client education emphasizing the lack of definitive studies and demonstrating the efficacy of proposed therapies, 4) consideration of pharmacologic agents for symptomatic management of persistent clinical signs, and 5) prevention of iatrogenic disease.

Overview The following generalities concerning treatment of nonobstructive forms of idiopathic feline FLUTD have not all been substantiated by experimental and/or clinical investigations. Some of our recommendations are based on our uncontrolled clinical observations and personal opinion. We are the subjects of our own criticism. Therefore, they should be considered with appropriate caution.

Antibacterial Agents Antibiotics have commonly been used for decades as empirical therapy of idiopathic FLUTD. However, the infrequency (1 to 3%) with which bacteria have been identified at the onset of clinical signs of lower urinary tract disorders in young to middle aged cats has been well established. The uselessness of antimicrobial agents in the treatment of abacteriuric cats with lower urinary tract disease has been documented (Table 1). Indiscriminate use of antimicrobial agents has been responsible, at least in part, for the emergence of

the resistant strains of microbes that populate veterinary hospitals. We do not recommend routine use of antibiotics for management of cats that do not have bacterial UTI.

Urinary Tract Antiseptics Urinary tract antiseptics such as methenamine are sometimes used as adjunctive agents for treatment, control, and prevention of bacterial UTI in humans. Although their use is frequently acknowledged in the treatment of bacterial UTI in dogs, and is occasionally mentioned for treatment of FLUTDs in cats, there have been no studies to substantiate their effectiveness in these species. Methenamine hydrolyzes to form formaldehyde, an essential component of its antimicrobial activity, in an acid environment (pH less than 6.0). Because of the necessity of acid urine for formation of formaldehyde, methenamine is usually given in combination with acidifiers such as mandelic acid (methenamine mandelate) or hippuric acid (methenamine hippurate). Methenamine must remain in the urinary tract for a sufficient period to allow generation of effective concentrations of formaldehyde. However, once generated in sufficient concentration, formaldehyde is capable of killing bacteria, mycoplasma, and viruses at any urine pH. In light of the hypothesis that some forms of FLUTD in cats are caused by viruses, the unproved suggestion that methenamine may have viricidal action in urine is of interest. However, the intracellular location of viruses poses the problem of access of formaldehyde to this location. The lack of definitive proof that viruses are a cause of naturally occurring FLUTD in cats and the lack of studies of the efficacy of methenamine in such FLUTD patients are additional problems. At this time, the use of methenamine to treat cats with feline urinary tract disorders represents no more than an idea. We do not recommend methenamine to treat idiopathic FLUTD.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Methylene blue (tetramethylthionine chloride) is a weak antiseptic agent that at one time was popularly used in combination products designed to treat lower urinary tract symptoms. Medications containing methylene blue are contraindicated in cats because methylene blue has the potential to cause Heinz bodies and severe anemia.

Urinary Tract Analgesics

115

Table 1 Specific, supportive, and symptomatic therapy proved to be ineffective for management of nonobstructive idiopathic FLUTD Controlled Study?

Efficacy?a

Antibioticsb

Yes

not significant

Antispasmodicsc

Yes

not significant

Lactated Ringer’s solutiond

Yes

not significant

Yes

not significant

Therapy

Corticosteroids

Phenazopyridine, an azo dye that is commonly used as a urinary tract analgesic in humans, has recently become available as an over-the-counter preparation. Use of phenazopyridine, alone or in combination with sulfa drugs, is contraindicated in cats because they are very susceptible to dose-related methemoglobinemia and irreversible oxidative changes in hemoglobin, resulting in formation of Heinz bodies and anemia.

e

a

Degree of reduction in severity or duration of clinical signs in affected cats treated with a therapeutic agent compared to placebo treated or untreated controls. b Chloramphenicol 100mg PO q 8hrs for five days. c Propantheline bromide, 7.5mg PO once. d Lactated Ringer’s solution, 100 ml subcutaneously once. e Prednisolone 1.0 mg/kg PO q 12 hrs for 10 days.

Urine Acidifiers Acidification of urine is of value in helping to dissolve or prevent sterile struvite uroliths, but is of unlikely value in treatment of idiopathic FLUTD. Many commercially manufactured diets are designed to acidify urine. Systemic overacidification with acidifiers is most likely to occur in cats with pre-existing renal failure, cats consuming acidifying diets, and immature cats. Long term overacidification may contribute to hypokalemia, renal dysfunction, demineralization of bones, and calcium oxalate urolithiasis. In addition, high doses of methionine may result in Heinz body anemia and methemoglobinemia.

Smooth and Skeletal Muscle Antispasmodics Cats with inflammation of the lower urinary tract characteristically develop pollakiuria (frequent voiding of small volumes of urine) and /or urge incontinence (an uncontrollable desire to void that results in involuntary loss of urine). In both cases, inappropriate voiding of urine usually occurs at low volumes of bladder filling and may be associated with sensations of pain, bladder fullness, and urgency. Because the exact mechanisms of pollakiuria and urge incontinence are unknown, details about specific therapy are unavailable. Presumably, pollakiuria and urge incontinence are the result of inflammation induced stimulation of urinary bladder sacral sensory afferents. Sensations of pain and perceptions of fullness and urgency induce a premature micturition reflex and subsequent inappropriate or involuntary voiding of small quantities of urine. Since cholinergic parasympathetic efferents are largely responsible for detrusor contraction, it is logical to consider anticholinergic agents as symptomatic treatment of pollakiuria and urge incontinence. However, the efficacy of these agents in cats with nonobstructive idiopathic FLUTD has not been established by properly controlled clinical trials. The anticholinergic agent propantheline minimizes the force and frequency of uncontrolled detrusor contractions, but

has negligible effect on urethral sphincter pressure. In a controlled clinical study of the efficacy of propantheline (7.5 mg given orally on one occasion) in the treatment of naturally occurring hematuria and dysuria in nonobstructed male and female cats, no difference in rate of recovery was observed between cats treated with propantheline and control groups (Table 1). This is not an unexpected finding, because propantheline represents a symptomatic form of therapy. It is possible that therapy with propantheline of longer duration may have reduced the severity of dysuria. We consider propantheline to reduce the severity and frequency of urge incontinence in nonobstructed male and female cats. It has a rapid onset of action. However, care must be used to prevent urinary retention as a result of excessive dosages. Other potential adverse effects include tachycardia, vomiting, and constipation. Because the smallest tablet is 7.5 mg, an empirical dose of 0.25 to 0.5 mg/kg PO q12-24 hr has been suggested. Further studies utilizing appropriate dosages and maintenance intervals are required to substantiate a beneficial symptomatic effect of propantheline in cats with urge incontinence. Other smooth [oxybutin (0.5 to 1.25 mg/cat PO q8-12 hr), prazosin (0.03 mg/kg IV), phenoxybenzamine (2.5 to 7.5 mg/cat PO q12-24 hr), acepromazine] and skeletal [dantrolene (0.5 to 2.0 mg/kg PO q8 hr, diazapam (1.0 to 2.5 PO q8-12 hr) muscle antispasmodics have been recommended for symptomatic management of urethrospasm associated with FLUTD. Although some of these pharmacologic agents produce significant decreases in intraurethral pressure in normal male cats and cats with naturally occurring urethral obstruction, the role of urethral smooth or skeletal muscle spasm in producing clinical signs associated with idiopathic forms of feline FLUTD is unknown. In a limited study of 6 male cats with urethral obstruction due to unspecified causes, intraurethral pressures prior to administration of antispasmodics were not significantly different from those of normal nonobstructed male cats. Similar studies in cats with idiopathic forms of FLUTD have not been performed. On the basis of available data, we are unable to routinely recommend smooth and skeletal muscle antispasmodics to treat cats with idiopathic FLUTD.


116

Anti-inflammatory Agents It is reasonable to assume that most cats with idiopathic FLUTD have an inflammatory lesion of the lower urinary tract. Hematuria is indicative of (but not pathognomonic of) inflammation; dysuria indicates involvement of the lower urinary tract. The specific cause(s) of inflammation in cats with idiopathic disease is unknown. Lack of specific therapy for cats with idiopathic causes of hematuria and dysuria has stimulated many to question the value of anti-inflammatory agents to reduce the severity of clinical signs. Success in minimizing the frequency of voiding would not only be beneficial to affected cats, it would eliminate owner frustration associated with the socially unacceptable problem of frequent voiding on floors, carpets, and furniture. Unfortunately, there have been few controlled clinical trials to study the short- and long-term effectiveness of anti-inflammatory agents in the symptomatic treatment of dysuria and hematuria in cats. Recall that hematuria and dysuria in cats with idiopathic FLUTD is often self -limiting. Glucocorticoids- Use of glucocorticoids to minimize dysuria and hematuria associated with inflammation in cats with idiopathic FLUTD is logical. To test this logic, we conducted a double-blind, controlled therapeutic trial utilizing male and female adult cats with previously untreated idiopathic FLUTD. Briefly, 6 symptomatic cats selected randomly were given 1.0 mg/kg of prednisolone orally, twice each day; and six symptomatic cats were given a placebo. In both groups, clinical signs subsided in a mean of 1 to 2 days, and in both groups hematuria and pyuria subsided in approximately 2 to 5 days. In one cat with recurrent idiopathic FLUTD, one episode was treated with prednisolone. The other episode, which recurred 6 months later, was treated with a placebo. There was no detectable difference in lengths of time before clinical signs subsided following treatment with glucocorticoids or a placebo. Piroxicam- Piroxicam, a nonsteroidal anti-inflammatory drug, has been empirically suggested to reduce dysuria and pollakiuria in cats with idiopathic FLUTD. The empirical dose is 0.3 mg/kg PO q24 hr. Pending double-blind controlled clinical trials, it is not possible to make recommendations about the safety and efficacy of this drug. Dimethylsulfoxide (DMSO)- DMSO is an analgesic anti-inflammatory agent with weak antibacterial, antifungal, and antiviral activity. It has been reported effective in treatment of a variety of genitourinary disorders of man including interstitial cystitis, radiation cystitis, chronic prostatitis, and female chronic trigonitis. Retrograde infusion of 50 percent solutions of pyrogen-free DMSO into the bladder lumens of humans with interstitial cystitis has been reported to minimize associated clinical signs in some patients. DMSO has been used to treat FLUTD in cats, presumably on the basis of its reported efficacy in humans with interstitial cystitis. Dosages and frequency of administration of DMSO have been entirely empirical. In one uncontrolled study, intravesicular instillation of 10 to 20 ml of 10% DM-

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

SO was associated with amelioration of clinical signs in 3 cats with chronic FLUTD. However, appropriately controlled clinical trials designed to evaluate the effectiveness of local instillation of DMSO into the urinary bladder of cats with signs of lower urinary tract disease have not been reported. In one controlled study of cats with induced cystitis, intravesicular administration of 45 percent DMSO for 3 days was of no detectable benefit in minimizing bacterial infection or inflammation. Local instillation of varying quantities (up to 25 ml) of solutions containing 25 to 50 percent DMSO into the urinary bladders of dogs weighing 15 to 40 kg every other week for up to 6 months revealed no detectable side effects. Use of solutions containing 100 percent DMSO caused mucosal edema and hemorrhage. Licensed products available to veterinarians contain 90 percent DMSO and are not pyrogen-free; licensed products available to physicians contain 50 percent DMSO and are pyrogen-free. Side effects of DMSO in cats have apparently not been evaluated. Pending further studies, we discourage its use to treat idiopathic FLUTD.

Amitriptyline Amitriptyline (Elavil®), a tricyclic antidepressant and anxiolytic drug with anticholinergic, antihistaminic, antialpha-adrenergic, anti-inflammatory, and analgesic properties, has been used extensively for treatment of interstitial cystitis in humans. Despite amitriptyline’s popularity, its exact mechanism of action and its therapeutic value in managing patients with interstitial cystitis is unknown. In an uncontrolled study of 28 human patients with refractory interstitial cystitis, 18 (64%) patients experienced remission of clinical signs, 5 (18%) patients had unacceptable side effects, and 5 (18%) patients had no clinical benefit. Amitriptyline has been recently advocated for symptomatic therapy of idiopathic feline FLUTD. The empirical dose is 2.5 to 12.5 mg/cat PO q24 hr. Anecdotal reports and limited data suggest that administration of amitriptyline to some cats with chronic idiopathic forms of FLUTD was associated with amelioration of clinical signs. Consequently, amitriptyline has gained popularity as an agent for symptomatic therapy of idiopathic feline FLUTD. However, appropriately controlled clinical studies designed to evaluate the effectiveness of amitriptyline in controlling signs in cats with idiopathic forms of FLUTD have not been reported. Dose, frequency, and duration of amitriptyline therapy is entirely empirical. Adverse reactions reported in humans treated with antidepressant doses of amitriptyline include urinary retention, dry mucous membranes, blurred vision, hypotension, tachycardia, arrhythmias, sedation, weakness, lethargy, thrombocytopenia, agranulocytosis, elevations in liver enzyme activities, and hypersensitivity reactions. Sedation, urine retention, neutropenia, thrombocytopenia, weight gain, and an unkempt hair coat have been observed in cats treated with amitriptyline. Pending further safety and efficacy studies, we urge caution in the routine use of amitriptyline to treat idiopathic FLUTD.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

117

Table 2 Specific, supportive, and symptomatic therapy of uncertain value for management of nonobstructive idiopathic FLUTD Rationale

Route

Controlled Study?

Efficacya

Our Forecastb

Acepromazine

Anti-spasmodic

PO,IV,IM,SC

No

ND

unlikely

Amitriptyline

Anti-cholinergic Anti-inflamatory analgesic

PO

No

ND

probable in some chronic cases

Therapy

Ammonium chloride

Acidifier

PO

No

ND

effective for MAP

Butorphanol

Analgesic

PO,IV,IM,SC

No

ND

sometimes

Copper coils

Unknown

intra-vesicular

No

ND

contra-indicated

GAG

PO

No

ND

probable in some cases

Chelator

PO

No

ND

very unlikely

Cosequine

®c

Curcal-feline®d Dantrolene Debridement Diazapam

Anti-spasmodic

PO, IV

No

ND

unlikely

Unknown

intra-vesicular

No

ND

contra-indicated

Anti-spasmodic

PO, IV

No

ND

unlikely

Diet: acidifying low magnesium moist

Acidifier Reduce urine Mg Reduce USG

PO PO PO

No No No

ND ND ND

effective for MAP effective for MAP possibly

DMSO

Anti-inflamatory

intravesicular

No

ND

unlikely

Immunogen

SC

No

ND

unlikely

FCV vaccine Furosemide

Diuretic

PO,IV,IM,SC

No

ND

unlikely

Glucocorticoids

Anti-inflamatory

PO,IV,IM,SC

No

ND

unlikely

Hydrodistention

Analgesic

intra-vesicular

No

ND

unlikely

Anti-histamine

PO

No

ND

unlikely

enzyme

SC

No

ND

unlikely

Immuno-modulator Antifibrotic Antiviral

PO, intra-vesicular

No

ND

possibly

Hydroxyzine Hyaluronidase Interferon alpha-2a

Cautery

intra-vesicular

No

ND

contra-indicated

Megesterol acetate

Lugol’s solution

Hormone

PO

No

ND

unlikely

Methenamine

Antiseptic

PO

No

ND

unlikely

Methionine

Acidifier

PO

No

ND

effective for MAP

Methylene blue

Antiseptic

PO

No

ND

contra-indicated

Anti-spasmodic

PO

No

ND

may reduce pollakiuria

GAG

PO, intra-vesicular

No

ND

probable in some cases

Oxybutynin Pentosan polysulfate Phenazo-pyridine

Analgesic

PO

No

ND

contra-indicated

Cautery

intra-vesicular

No

ND

contra-indicated

Phenoxy-benzamine

Anti-spasmodic

PO

No

ND

unlikely

Piroxicam

Anti-inflamatory

PO

No

ND

unknown

Phenol

Potassium chloride

reduce USG

PO

No

ND

unlikely

Prazosin

Anti-spasmodic

PO

No

ND

unlikely

Propantheline

Anti-spasmodic

PO

No

ND

may reduce pollakiuria

Prostaglandin E1

Cyto-protective

intra-vesicular

No

ND

unlikely

Sodium chloride

Reduce USG

PO

No

ND

unlikely

Testosterone

Hormone

IM

No

ND

unlikely

Vitamin A

Vitamin

PO

No

ND

unlikely

DMSO=dimethyl sulfoxide; FCV= feline calicivirus; GAG=glycosaminoglycan; IV= intravenous; IM=intramuscular; MAP=magnesium ammonium phosphate; Mg=magnesium; ND= not determined; SC=subcutaneous; USG=urine specific gravity. a

Degree of reduction in severity or duration of signs in cats treated with a therapeutic agent compared to placebo treated or untreated controls.

b

Our prediction of efficacy if evaluated by a controlled clinical trial.

c

Glucosamine, chondroitin sulfate, and magnesium ascorbate

d

0.085% tetrasodium ethylenediamine tetraacetic acid (EDTA) and 0.06% sodium tripolyphosphate.


118

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Table 3 Drugs commonly used for feline lower urinary tract disorders Drug

Desired Action

Commonly Used Dose

Amitriptyline (ELAVIL)

Antidepressant, Anticholinergic, Anti-inflammatory, Analgesic

2.5-12.5 mg/cat PO q24 hr

Ammonium chloride (UROEZE)

Urine acidifier

150-300 mg/kg q24 hr- to effect

Bethanacol (URECHOLINE)

Cholinergic agonist

1.25-7.5 mg/cat PO q8 hr

Buspirone (BUSPAR)

Non-benzodiazepine anxiolytic

2.5-7.5 mg/cat PO q12 hr

Dantrolene (DANTRIUM)

Skeletal muscle relaxant

0.5-2 mg/kg q8 hr

Diazepam (VALIUM)

Skeletal muscle relaxant

1-2.5 mg/cat PO q8-12 hr

Dimethylsulfoxide (DMSO; RIMSO-50%)

Anti-inflammatory

10-20 ml 10% DMSO intravesicularly

Hydrochlorthiazide (HYDRODIURIL)

Diuretic-decreases urine calcium

2-4 mg/kg PO q12 hr

Methionine-dl (METHIOGEL; METHIOFORM)

Urine acidifier

1-1.25 g/cat PO q24 hr- to effect

2-MPG (THIOLA)

Anticystinuric

15 mg/kg PO q12 hr

Oxybutin (DITROPAN)

Anticholinergic, Antispasmodic

0.5-1.25 mg/cat PO q8-12 hr

Pentosan polysulfate (ELMIRON)

Glycosaminoglycan

2-10 mg/kg PO q12 hr

Phenoxybenzamine (DIBENZYLINE)

Alpha-adrenergic antagonist

2.5-7.5 mg/cat PO q12-24 hr

Phenylpropanolamine (PROPAGEST; DEXATRIM)

Alpha-adrenergic agonist

1.5-2.2 mg/kg PO q8-12 hr

Piroxicam (FELDINE)

Antiinflammatory

0.3 mg/kg PO q24 hr

Potassium citrate (Polycitra-K; Urocit-K)

Urine alkalinizing agent

40-75 mg/kg PO q12 hr

Prazosin (MINIPRESS)

Alpha-adrenergic antagonist

0.03 mg/kg IV

Prednisolone

Antiinflammatory

0.5-1.0 mg/kg q12 hr

Propantheline (PROBANTHINE)

Anticholinergic

Not established (0.25-0.5 mg/kg PO q12-24 hr)

Glycosaminoglycans Transitional epithelium of the urinary tract is covered by a thin layer of hydrated extracellular macromolecules called glycosaminoglycans (GAGs). Major classes of biologically important GAGs include hyaluronic acid, heparan sulfate, heparin, chondroitin 4-sulfate, chondroitin 6-sulfate, dermatan sulfate, and keratan sulfate. Urothelial GAGs: 1) prevent adherence of microorganisms and crystals to the bladder urothelium, and 2) limit transepithelial movement of urine proteins and other ionic and nonionic solutes. Quantitative or qualitative defects in surface GAGs and subsequent increased urothelial permeability have been hypothesized to be a causative factor in the pathogenesis of feline idiopathic FLUTD and human interstitial cystitis. Oral or intravesicular administration of pentosan polysulfate sodium (ElmironÂŽ), a semi-synthetic low molecular weight heparin GAG analogue, is often used to manage human interstitial cystitis. Pentosan polysulfate reinforced urothelial GAGs and reduced transitional cell injury. Remission of symptoms was observed in 28 to 40% of human interstitial cystitis patients treated with oral or intravesicular pentosan polysulfate compared to only 13 to 20% remission in patients treated with a placebo. Adverse events uncommonly recognized in humans treated with pentosan polysulfate include prolongation of pro-

thrombin time, epistaxis, gingival bleeding, alopecia, abdominal pain, diarrhea, and nausea. The empirical dose extrapolated from human studies is 2 to 10 mg/kg PO q12 hr. However, evaluation of the safety and efficacy of pentosan polysulfate, or other GAG preparations, for treatment of feline idiopathic FLUTD by controlled clinical trials have not yet been reported. Although treatment with drugs designed to restore the GAG lining of the urinary tract is logical, it is not possible to make recommendations at this time.

Urohydrodistention Approximately 30% of human interstitial cystitis patients experience substantial, although temporary, relief of signs following controlled distention of the urinary bladder during anesthesia (therapeutic urohydrodistention). Although exact mechanisms of action of urohydrodistention are unknown, possibilities include 1) increased urothelial glycosaminoglycan (GAG) production, 2) depletion of bladder sensory nerve neuropeptides, or 3) ischemic degeneration of sensory nerve endings within the bladder wall. Controlled distention of the urinary bladder during cystoscopy has been reported to alleviate clinical signs in some cats with idiopathic FLUTD. However, the efficacy of uro-


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

hydrodistention has not been evaluated by appropriately controlled clinical trials. If retrograde contrast radiography and/or cystoscopy are utilized to diagnose idiopathic FLUTD, caution must be used in interpreting response to any form of therapy since both techniques distend the urinary bladder. Until other, more specific markers of idiopathic FLUTD are identified, it will be difficult to differentiate the effects of bladder distention for diagnostic purposes versus those induced by any form of therapy.

Urothelial Debridement Cystotomy to lavage and debride the bladder mucosa has been recommended by some to treat patients with chronic cystitis, urethritis, and/or urethral obstruction. Although this procedure is still used by some veterinarians, there are no controlled experimental or clinical studies to indicate efficacy for the procedure. In fact, reports of clinical experiences suggest that the technique is of little benefit. This is not surprising since both the urethra and urinary bladder are affected. If one assumes (and we do not) that debridement of the urothelium is of some therapeutic benefit, removal of the bladder mucosa would have no obvious beneficial effect on the urethra. This form of therapy is contraindicated.

119

Other Agents A variety of other agents have been advocated by various authors to treat and prevent feline lower urinary tract disorders (Table 2). None has been evaluated by appropriate selection of patients for study or by controlled clinical trials. Recommendations for testosterone, castor oil, garlic, megesterol acetate, feline calicivirus/feline herpesvirus type 1 vaccines, Lugol’s solution, Curcal-felineŽ, vitamin A, hyaluronidase, and various homeopathic preparations appear to be based on supposition rather than fact. We do not recommend them.

Bibliografia Lekcharoensuk C, Osborne,C, Lulich J, Epidemiologic study of risk factors for lower urinary tract disease in cats. J Amer Vet Med Assoc 2001; 218: 1429-1435. Kruger J, Osborne, C, Goyal S. Clinical Evaluation of cats with lower urinary tract disease. J Amer Vet Med Assoc. 1991; 199: 221. Buffington C, Chew D, Kendall M, et al. Clinical evaluation of cats with nonobstructive urinary tract diseases. 1997; 210: 46-50. Osborne CA, Kruger JM, Lulich JP, Polzin DJ, Lekcharoensuk C. Feline lower urinary tract diseases. In Textbook of Veterinary Internal Medicine, ed by Ettinger S, and Feldman E. 2000; pp17101747.


120

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

La logica urologica: le soluzioni più appropriate ai problemi più complessi delle vie urinarie Ostruzione funzionale dell’uretra, rimozione non chirurgica dei calcoli, biopsia prostatica semplificata, quando eseguire una biopsia del rene Jody P. Lulich DVM, PhD, Dipl ACVIM - Università del Minnesota, USA

Estratto breve 1. OSTRUZIONE FUNZIONALE DELL’URETRA L’ostruzione uretrale funzionale è un’anomalia della fase di svuotamento della minzione. A differenza delle ostruzioni uretrali anatomiche (ad es., uroliti, neoplasie prostatiche ed uretrali, stenosi, ecc..) e dei disordini neurogeni (ad es., lesione da motoneurone superiore del midollo spinale), che sono più comuni, l’ostruzione uretrale funzionale non viene

frequentemente riconosciuta come causa di disfunzione dell’emissione di urina. La diagnosi della condizione viene formulata sulla base dell’esclusione delle lesioni anatomiche e neurologiche come cause di disfunzioni della minzione e di ritenzione di urina. Anche se la terapia medica sembra essere lo standard primario del trattamento degli animali colpiti, in genere i cani rispondono male alla maggior parte degli agenti simpaticolitici e parasimpaticomimetici prescritti. Il caso illustrato mostra l’impiego a lungo termine di un catetere uretrale per facilitare l’emissione di urina e ridurne al minimo la ritenzione.

Tabella 1 OPZIONI TERAPEUTICHE PER IL TRATTAMENTO DELL’OSTRUZIONE FUNZIONALE DELL’URETRA Agente

Meccanismo d’azione

Dosaggio nel cane

Potenziali effetti indesiderati

PER DIMINUIRE IL TONO URETRALE SIMPATICO-MEDIATO Fenossibenzamina Antagonista alfa- adrenergico

0,25 mg/kg ogni 12h

Ipotensione, Tachicardia

Prazocin

Antagonista alfa- adrenergico

1 mg/15 kg ogni 8-24 h

Ipotensione, Tachicardia

Doxazosin

Antagonista alfa- adrenergico

Da determinare

Da determinare

PER DIMINUIRE IL TONO URETRALE SOMATICO-MEDIATO Diazepam Miorilassante striato – mediato a livello centrale

0,2 mg/kg ogni 8 h

Sedazione

Dantrolene

Miorilassante striato-diretto

1 mg/kg ogni 8 h

Debolezza, Epatotossicità

Tossina Botulinica A Iniezioni transuretrali

Inibisce il rilascio di acetilcolina a livello della giunzione neuromuscolare

Sconosciuto (nell’uomo, 25 UI di tossina botulinica al mese e poi ogni 3-6 mesi)

Baclofen

Miorilassante scheletrico

1-2 mg/kg ogni 8 h

PER AUMENTARE LA CONTRAZIONE DEL MUSCOLO DETRUSORE Betanecolo Parasimpaticomimetico 5-15 mg ogni 8 h PER CONTRASTARE LO SFINTERE URINARIO Cateterizzazione urinaria Supera lo sfintere urinario intermittente

Svuotare la vescica ogni 8 h

Sonda da cistotomia

Diversione urinaria

Svuotare la vescica ogni 8 h

Catetere uretrale permanente

Superare lo sfintere urinario

Sedazione, debolezza

Nausea, salivazione, crampi addominali

Infezioni del tratto urinario Infezione del tratto urinario Infezione del tratto urinario Incontinenza urinaria


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

121

2. BIOPSIA FORZATA DELLE BASSE VIE URINARIE

Estratto completo

La differenziazione di una malattia potenzialmente reversibile da una progressiva ed irreversibile è il singolo fattore più importante nel trattamento delle manifestazioni cliniche persistenti e ricorrenti a carico delle basse vie urinarie. La biopsia della vescica e dell’uretra risulta utile per formulare questa distinzione nel paziente in vita. Sono disponibili molte opzioni per ottenere campioni di tessuto da destinare alla valutazione microscopica. Se le strutture da campionare possono essere apprezzate con la palpazione, è possibile ricorrere all’aspirazione con ago e siringa. Tuttavia, il rischio di trasferire il processo patologico in altre sedi è elevato. Una pratica alternativa all’aspirazione con ago sottile è la biopsia transuretrale mediante pinze endoscopiche flessibili per prelevare campioni di tessuto dalle basse vie urinarie.

1. FUNCTIONAL URETHRAL OBSTRUCTION

3. RIMOZIONE NON CHIRURGICA DI CALCOLI: UROIDROPROPULSIONE Sino a non molto tempo fa, la maggior parte degli uroliti nella vescica urinaria venivano dissolti con terapia medica o rimossi chirurgicamente. Tuttavia, alla University of Minnesota, abbiamo sviluppato una nuova tecnica per rimuovere i calcoli vescicali, detta uroidropropulsione (Tabella 2). Sfruttando il vantaggio dell’effetto della gravità sulla posizione degli uroliti nella vescica e la dilatazione del lume uretrale durante la fase di svuotamento nella minzione, questa semplice tecnica consente la rapida eliminazione dei calcoli dal tratto urinario. Nel corso degli ultimi cinque anni, l’uroidropropulsione durante la minzione è stata utilizzata per rimuovere gli uroliti in più di 100 cani. Abbiamo riscontrato come questa tecnica rappresenti un metodo efficace e sicuro per rimuovere calcoli vescicali piccoli o di dimensioni moderate di qualunque composizione minerale. Quelle che seguono sono le risposte alle domande che riteniamo più importanti per eseguire in modo efficace l’uroidropropulsione durante la minzione nei vostri pazienti.

Tabella 2 ESECUZIONE DELL’UROIDROPROPULSIONE DURANTE LA MINZIONE Fase 1 – Anestetizzare il paziente Fase 2 – Distendere la vescica con un’iniezione di soluzione fisiologica sterile attraverso un catetere transuretrale Fase 3 – Rimuovere il catetere. Se il fluido viene espulso prematuramente, è possibile chiudere la vulva e/o l’uretra pizzicandolo delicatamente con il pollice e l’indice Fase 4 – Posizionare il paziente in modo che la sua colonna vertebrale risulti approssimativamente verticale Fase 5 – Agitare delicatamente la vescica mediante palpazione per promuovere il movimento per gravità di tutti i calcoli verso il collo dell’organo Fase 6 – Esercitare una pressione digitale uniforme sulla vescica per indurre la minzione. Quando inizia lo svuotamento, l’organo viene compresso con maggiore vigore

Normal Micturition Normal micturition is divided into two phases; adequate urine storage (bladder filling) to prevent incontinence and appropriate urine evacuation (urine voiding) to prevent abnormal urine retention. During urine storage the muscles of the bladder wall relax allowing urine to accumulate at low intravesicular pressures. At the same time the urethra contracts to maintain sufficient pressure to prevent the escape of urine. During the voiding phase of micturition these pressure relationships are reversed, the urinary bladder contracts while the urethra simultaneously relaxes. Three separate but interrelated muscle groups assist normal micturition; detrusor muscles (smooth musculature of the urinary bladder), the internal sphincter (smooth muscle distal to the ureteral openings and down the urethra) and the external urethral sphincter (striated muscle of the urethra). Activation of sympathetic receptors facilitates urine storage by relaxing detrusor muscles (beta sympathetic activation) and contracting the internal sphincter (alpha sympathetic activation). Urine voiding is considered primarily a function of parasympathetic activation. Stimulation of parasympathetic receptors in the body of the bladder causes smooth muscle contraction that when coordinated with relaxation of the internal and external sphincters promotes bladder emptying. The external sphincter is under voluntary control. Functional urethral obstruction is an abnormality of the voiding phase of micturition. Unlike anatomical urethral obstruction (e.g. uroliths, prostatic and urethral neoplasia, strictures, etc.) and neurogenic disorders (e.g. upper motor lesions of the spine), which are more common, functional urethral obstruction is not frequently recognized as a cause for voiding dysfunction. A diagnosis of functional urethral obstruction is made by exclusion of anatomic and neurologic lesions as causes of dysfunctional voiding and urine retention. Ideally, videourodynamic studies and urethral pressure profiles during voiding are needed to confirm the diagnosis; however, these procedures are not easy to performed in conscious dogs and equipment is not readily available at most facilities. As a result some cases of detrusor-urethral dyssynergia may appear in this category. This is plausible since prolonged functional urethral obstruction is likely to lead to depressed detrusor contractility. Although medical therapy appears to be the primary standard of care, most dogs respond poorly to most sympatholytics and parasympathomimetics prescribed. The case discussed shows long-term use of a urethral stent to facilitate urine voiding and minimize urine retention.


122

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Table 1 TREATMENT OPTIONS FOR FUNCTIONAL URETHRAL OBSTRUCTION Agent

Mechanism of action

Dosage in dogs

Potential adverse effect

TO DECREASE SYMPATHETIC-MEDIATED URETHRAL TONE Phenoxybenzamine Alpha adrenergic antagonist

0.25 mg/kg q12hr

Hypotension, Tachycardia

Prazocin

Alpha adrenergic antagonist

1mg/15kg q8 to 24hr

Hypotension, Tachycardia

Doxazosin

Alpha adrenergic antagonist

To be determined

To be determined

TO DECREASE SOMATIC-MEDIATED URETHRAL TONE Diazepam Striated muscle relaxation-centrally mediated

0.2 mg/kg q 8hr

Sedation

Dantrolene

Striated muscle relaxation-directly

1mg/kg q 8 hr

Weakness, Hepatotoxicity

Botulinum Toxin A Transurethral injections

Inhibits acetylcholine release at neuromuscular junction

Unknown (25 IU Botox monthly then every 3 to 6 months in humans)

Baclofen

Skeletal muscle relaxant

1 –2 mg/kg q 8hr

Sedation, weakness

5 to 15 mg q 8 hr

Nausea, salivation, abdominal cramping

TO CIRCUMVENT THE URINARY SPHINCTER Intermittent urinary By pass urinary sphincter catheterization

Empty bladder q 8 hr

Urinary tract infection

Cystotomy tube

Urinary diversion

Empty bladder q 8 hr

Urinary tract infection

Retained urethral catheter stent

By pass urinary sphincter

TO INCREASE DETRUSOR CONTRACTION Bethanecol Parasympathomimetic

Gookin JL, Bunch SE. Detrusor-striated sphincter dyssynergia in a dog. J Vet Intern Med 1996; 10:339-344. Lane IF, Fisher JR, Miller E, et al. Functional urethral obstruction in 3 dogs: clinical and urethral pressure profile findings. J Vet Intern Med 2000; 14: 43-49. Mann FA, Henderson RA. Use of a retained urethral catheter in three dogs with prostatic neoplasia. Vet Surg 1992; 21:342-347. Schurch B, Hauri D, Rodic B, et al. Botulinum-A toxin as a treatment of detrusor-sphincter dyssynergia: a prospective study in 24 spinal cord injury patients. J of Urology 1996; 155:1023-1029.

2. FORCEPS BIOPSY OF THE LOWER URINARY TRACT Differentiation of potentially reversible disease from progressive irreversible disease is the single most important factor in the management of persistent or recurrent lower urinary tract signs. Biopsy of the urinary bladder and urethra is helpful to make this distinction in the living patient. Many options are available to obtain tissue for microscopic evaluation. If structures to be biopsied can be palpated, they are accessible for aspiration with a needle and syringe. However, the potential for transplanting to other locations is high. A practical alternative to fine needle aspiration is transurethral biopsy using flexible endoscopy forceps to retrieve tissue samples from the lower urinary tract.

Urinary tract infection Urinary incontinence

MATERIALS NEEDED FOR BIOPSY Flexible endoscope forceps (not the endoscope) is inserted into the urethra to obtain tissue samples. Several types of grasping units on the end of the forceps are available. We have had the best results using forceps with a fenestrated oval cup and central needle. The fenestrated cup minimizes tissue crushing and the central needle helps anchor the grasping unit to the mucosa that is to be sampled. No other special equipment is required. However, additional routine supplies would include those needed to assist catheterization in the female dog (e.g. otoscope) and the desired fixative for histologic processing of the sample (e.g. 10% buffered formalin).

PERFORMING FORCEPS BIOPSY Obtaining tissue samples using the endoscopy forceps is similar to methods used to obtain gastrointestinal mucosal with an endoscope. Since the endoscope is not inserted into the urethra, other methods, such as palpation or radiography, are needed to localize the lesion and direct the biopsy forceps. 1. Allow the patient to void urine prior to biopsy. If micturition is difficult due to partial of complete obstruction, urine can be removed by transurethral catheterization or decompressive cystocentesis. An empty bladder will facilitate patient comfort and cooperation.


46째 Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

2. Sedate or anesthetize the patient. For many dogs general anesthesia is not needed. However, mild tranquilization may facilitate urethral catheterization, palpation of the urethra and bladder, and will minimize patient discomfort and anxiety. In lieu of generalized sedation, local anesthesia can be achieved by applying water soluble lubricants containing lidocaine to the vaginal mucosa and/or urethra.a To anesthetize urethral mucosa, the same lubricant can be applied to the biopsy forceps prior to urethral insertion or it can be diluted and injected into the urethral lumen through a catheter. It has been our experience that most cats usually require general sedation to manipulate and catheterize their urethra. 3. Identify the site for biopsy by palpation, catheterization and/or radiography. 4. With the grasping unit at the end of the forceps closed, insert the flexible endoscopy forceps (not the endoscope) into the urethra. 5. Advance the forceps until the grasping unit is near the area to be biopsied. The tip of the grasping unit can be positioned by abdominal palpation, rectal palpation, radiography or ultrasonography. For most urethral lesions, the biopsy site is easily determined during insertion and advancement of the forceps through the urethral lumen; increased friction and force is often required to advance the forceps at the biopsy site. The biopsy site can also be located by using previous radiograms to determine how far the forceps must be inserted into the urethral lumen to reach the lesion. For diffuse urothelial lesions the apex of the bladder can be sampled by advancing the forceps to the most cranial portion of the bladder. Positioning the forceps fluoroscopically, immediately following contrast urethrocystography is also an effective method of positioning the biopsy instrument adjacent to the lesion. 6. After the biopsy forceps is properly positioned, open the grasping unit and slightly advance the forceps against the lesion. 7. Close the grasping unit. With the grasping unit closed, the forceps and tissue sample are retracted from the urinary tract. 8. The biopsy sample can be removed from the forceps by lifting the sample from the cup of the grasping unit with a 22 or 25 gauge needle. The sample should then be transferred to formalin for histologic processing. 9. Impression smears for immediate cytologic evaluation can be made prior to placing the sample in formalin. Tissue samples are first lightly blotted on filter paper or dry gauze pads to remove surface blood. Then impressions are be made on glass slides and stained prior to microscopic evaluation. 10. Several samples should be retrieved to insure complete representation of the area in question.

PATIENT CARE FOLLOWING BIOPSY Following bladder biopsy, hematuria and dysuria may be more pronounced. In most cases, bleeding quickly stabilizes (hours to a day) without treatment. Administration of antibiotics is indicated because the integrity of the mucosal surface of the lower urinary tract is

123

damaged by this procedure, further altering normal host defenses. Infections diagnosed during initial evaluation should be eradicated prior to biopsy. Eliminating infection prior to biopsy will minimize hematuria and dysuria associated with sampling of inflamed tissues and also the potential of extending the infection into the biopsy site and adjacent tissues. In the absence of prior infection, we routinely administer antibiotics orally for the next 3 to 5 days.

LIMITATIONS OF FORCEPS BIOPSY Standard flexible biopsy forceps are no larger in diameter than an 8 french catheter. As a general rule, you should be able to insert the biopsy forceps into the urethral lumen of most male dogs greater than 4 kilograms, and into the urethral lumen of most, if not all, female cats and dogs. The lumen of the penile urethra of male cats is usually too small to accommodate insertion of standard flexible biopsy forceps. However, the urethra of male cats following perineal urethrostomies usually is large enough to accommodate insertion of standard biopsy forceps. It is possible that a thin or weakened bladder wall could be perforated by this procedure. For this reason we do not recommend biopsy of the lower urinary tract at sites proximal to partial or complete obstruction because increases in intravesicular pressure may result in extravasation of urine into the abdominal cavity. If a tissue sample proximal to a urinary obstruction is desired, constant bladder evacuation by means of indwelling urethral catheterization or antepubic percutaneous catheterization (Stone 1992) of the urinary bladder should be considered. Minimizing intravesicular pressure should allow small perforations of the bladder wall to spontaneously heal. Although forceps biopsy is ideal for obtaining samples from the urethra, trigone, and apex of the urinary bladder, directing the flexible forceps to obtain samples from the lateral wall of the urinary bladder requires patience and skill. Use of biopsy forceps with a central needle may help secure samples from this location.

FOOTNOTES a

Anestacon, Polymedica Indeustries, Divison of Alcon Labs Inc., Woburn, MA 01801.

References Osborne CA, Lulich JP. Catheter and forceps biopsy of the urethra, urinary bladder, and prostate. In Osborne CA and Finco DR eds. Canine and Feline Nephrology and Urology. Williams and Wilkins, Baltimore, 1995, pp329-332. (Biopsy techniques of the urinary bladder) Senior DF, Sundstrom DA. Cystoscopy in female dogs. Comp Contin Education Pract Vet 1988;10:890-895. (Cystoscopic techniques) Stone EA, Barsanti SA. Urologic Surgery of the Dog and Cat. Lea and Febiger, 1992. (Methods of urinary diversion)

3. NONSURGICAL STONE REMOVAL: VOIDING UROHYDROPROPULSION Until recently, most uroliths in the urinary bladder were either medically dissolved or surgically removed. However, at the University of Minnesota, we developed a new technique to remove urocystoliths, called voiding urohy-


124

46째 Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Table 2 PERFORMING VOIDING UROHYDROPROPULSION Step 1 - Anesthetize the patient. Step 2 - Distend the bladder with a sterile physiologic solution injected through a transurethral catheter. Step 3 - Remove the catheter. If fluid is expelled prematurely, the vulva and/or urethra can be gently pinched closed using your thumb and first finger. Step 4 - Position the patient so that the vertebral column is approximately vertical. Step 5 - Gently agitate the urinary bladder by palpation to promote gravitational movement of all urocystoliths into the neck of the bladder. Step 6 - Apply steady digital pressure to the urinary bladder to induce micturition. Once voiding begins, the bladder is more vigorously compressed.

dropropulsion (table 2). By taking advantage of the effect of gravity on urolith position in the urinary bladder and dilation of the urethral lumen during the voiding phase of micturition, this simple technique allows uroliths to be rapidly flushed out of the urinary tract. Over the past 5 years, voiding urohydropropulsion has been used to remove uroliths in over 100 dogs. We have found voiding urohydropropulsion to be an effective and safe method to remove small to moderately sized urocystoliths of any mineral composition. What follows are answers to the questions that we believe are most important to effectively perform voiding urohydropropulsion in your patient. HOW CAN I DETERMINE WHAT SIZE OF UROLITH CAN BE VOIDED? Proper selection of patients for voiding urohydropropulsion will enhance removal of urocystoliths. The relationship of the size, shape, and surface contour of urocystoliths to the luminal diameter of the urethra are important factors. Uroliths that are larger than the smallest diameter of any portion of the distended urethral lumen are unlikely to be voided. In our clinical experience, diameters of the largest uroliths expelled from the urinary bladder were 7 mm from a 7.4 kg female dog, 5 mm from a 9 kg male dog, 5 mm from a 4.6 kg female cat, and 1 mm from a 6.6 kg male cat. It is logical to hypothesize that uroliths greater than 1 mm in diameter could be voided from a male cat with a perineal urethrostomy. As a guideline, we assume that smooth uroliths, less than 5 mm in diameter can be removed by voiding urohydropropulsion in any dog weighing more than 18 pounds. HOW MUCH FLUID OR URINE SHOULD BE IN THE BLADDER FOR VOIDING UROHYDROPROPULSION TO BE EFFECTIVE? Assuring successful voiding urohydropropulsion requires that urinary bladders be maximally distended with urine or sterile isotonic solutions (Ringers solution, normal saline, other isotonic intravenous solutions). Maximal bladder distention allows the urinary bladder to be rapidly and forcefully compressed, creating sufficient intravesicular

pressure to evacuate uroliths. For most dogs, we fill the urinary bladder with an 8 french, flexible rubber catheter inserted in the urethra. We achieve maximal distention by palpating the urinary bladder during filling. Sometimes we continue to fill the bladder until fluid begins to leak around the catheter. When this occurs, we often have to pinch the vulva or prepuce between our thumb and forefinger to occlude the distal urethra to maintain maximal bladder distention even after the catheter has been removed from the urethra. IF A UROLITH IS OBSTRUCTING THE URETHRA, IS VOIDING UROHYDROPROPULSION LIKELY TO BE EFFECTIVE? Voiding urohydropropulsion is NOT likely to be effective in patients with uroliths lodged in the urethra at the time of diagnosis. CAN VOIDING UROHYDROPROPULSION BE PERFORMED SUCCESSFULLY IN THE MALE DOG? The success of voiding urohydropropulsion is not dependent on whether patients are male or female, but whether uroliths are sufficiently size to pass through urethral lumens. Because the diameter of the urethra in male dogs is smaller than female dogs and because the os penis in male dogs restricts expansion of the urethral lumen, larger uroliths can be voided from female dogs when compared to male dogs of equal size. WHAT SHOULD I DO IF UROLITHS BECOME LODGED IN THE URETHRA DURING VOIDING UROHYDROPROPULSION? If uroliths are too large to easily pass through the urethral lumen, they may become lodged in the urethra during voiding urohydropropulsion. For most patients, when this occurs, uroliths are easily flushed back into the urinary bladder by retrograde urohydropropulsion. However, if the urinary bladder is still distended with the fluid, retrograde urohydropropulsion may be difficult. Excessive intravesicular pressure that is created as the bladder is filled with fluid to perform voiding urohydropropulsion, forces uroliths to move distally along the urethra. Therefore, successful retrograde urohydropropulsion of uroliths may first require that the bladder be emptied by decompressive cystocentesis. IF I HAVE NEVER PERFORMED VOIDING UROHYDROPROPULSION, HOW DO I GET STARTED? To help minimize the anxiety associated with a new technique, perform voiding urohydropropulsion on a dog that you have scheduled for cystotomy. For your first attempt, select a patient, that in all probability, is likely to result in a successful outcome. Inotherwords, choose a medium size, female dog with relatively smooth uroliths equal to or less than 5mm in diameter. The patient is sedated just as if a cystotomy is going to be performed. However, first try voiding urohydropropulsion. If you have difficulty catheterizing the urethra, feel uncomfortable maximally distending the urinary bladder with fluid or are unsuccessful at removing all uroliths, the patient is already prepared for surgery. In fact, even if you rupture the urinary bladder, which is not likely, you are prepared to surgically repair the tear.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

125

Riconoscere e trattare l’insufficienza renale reversibile Jody P. Lulich DVM, PhD, Dipl ACVIM - Università del Minnesota, USA

Estratto breve L’insufficienza renale primaria può essere causata da un numero elevato di processi patologici (anomalie ed alterazioni metaboliche, neoplastiche, nutrizionali, infettive, immunomediate, ischemiche, iatrogene, tossiche, traumatiche e ostruttive), che hanno in comune la distruzione di più di tre quarti circa del parenchima di entrambi i reni. Identificando le cause sottostanti (Tabella 1), è possibile formulare una terapia specifica per arrestare l’ulteriore sviluppo delle lesioni renali alterando i processi eziopatologici sottostanti. A seconda del comportamento biologico della malattia, alcune forme di insufficienza renale possono essere reversibili. Ad esempio, la somministrazione di antibiotici arresta il danno renale associato alle infezioni batteriche; alleviare un’uropatia ostruttiva mitiga il danno del parenchima che potrebbe esitare in idronefrosi e la correzione dell’ipercalcemia minimizza lo sviluppo della nefropatia calcio-indotta. Come minimo, è possibile rallentare o arrestare la progressione delle lesioni renali, e quindi quella dell’insufficienza, adottando una terapia finalizzata ad eliminare le cause sottostanti. Quindi, prima di formulare piani di trattamento medico conservativo si devono compiere tutti gli sforzi diagnostici diretti in particolar modo ad identificare le nefropatie reversibili.

MECCANISMI DEL DANNO RENALE Diversi meccanismi possono esitare in un danno renale acuto. Fra questi, sembrano essere particolarmente comuni l’ischemia e l’esposizione alle nefrotossine. I reni sono sensibili a queste due condizioni a causa delle loro esclusive caratteristiche anatomiche e fisiologiche. La loro elevata perfusione (pari al 20% circa della gittata cardiaca) esita in un aumento dell’apporto delle tossine circolanti. La corticale renale è particolarmente sensibile all’esposizione a queste sostanze, perché riceve il 90% del flusso ematico diretto all’organo ed è caratterizzata dall’ampia superficie endoteliale dei capillari glomerulari. Nel processo di riassorbimento dell’acqua e degli elettroliti dal filtrato glomerulare, anche le cellule epiteliali tubulari possono essere esposte a concentrazioni di sostanze tossiche particolarmente elevate. Analogamente, i composti dannosi secreti o riassorbiti a livello renale possono accumularsi in concentrazioni elevate all’interno delle cellule epiteliali dei tubuli. Infine, i reni svolgono anche un ruolo nella biotrasformazione di molti farmaci e sostanze tossiche. Questo processo di solito porta alla formazione di metaboliti che sono meno

tossici del composto di origine; tuttavia, in alcuni casi avviene il contrario. Si possono anche avere delle affezioni iatrogene dei reni, sotto forma di traumi imprevisti ed infezioni indotte. Sapere come eseguire una biopsia renale è importante quanto essere in grado di stabilire quando questo mezzo di indagine risulta indicato. Traumi renali indesiderati si possono anche verificare nel corso di interventi chirurgici per la rimozione di nefroliti ed ureteroliti clinicamente poco significativi. Le infezioni iatrogene del tratto urinario sono spesso associate all’impiego di cateteri.Infine, l’insufficienza renale indesiderata può derivare dal mancato riconoscimento di un’insufficienza renale reversibile o dall’attuazione di una terapia inappropriata per una nefropatia. Ad esempio, la mancata identificazione di un’ostruzione uretrale fino allo sviluppo di un’idronefrosi può portare ad una riduzione della durata della vita del paziente.

QUATTRO PRINCIPI GUIDA PER PREVENIRE O RIDURRE AL MINIMO LA PROGRESSIONE DELL’INSUFFICIENZA RENALE PRINCIPIO 1: UNA DIAGNOSI DI INSUFFICIENZA RENALE NON GIUSTIFICA L’INTERRUZIONE DEL PROCESSO DIAGNOSTICO Molte cause di iperazotemia sono potenzialmente reversibili. La reversibilità della nefropatia dipende dalla natura, dalla localizzazione e dall’estensione delle lesioni e dalla rapidità e dall’efficacia con cui viene eliminata la causa sottostante. Di conseguenza, per prevenire un danno renale progressivo ed irreversibile è necessario effettuare precocemente ulteriori test diagnostici finalizzati ad identificare la causa del problema (ampia valutazione di ingestione di tossine, urocoltura, radiografia). PRINCIPIO 2: NON IGNORARE I SEGNI PERSISTENTI DI AFFEZIONI DEL TRATTO URINARIO Il miglior metodo di prevedere le grandi malattie che si potrebbero sviluppare in futuro è identificare quelle piccole già esistenti. Quindi, raccomandiamo di non sottovalutare i risultati degli esami di laboratorio che indicano una nefropatia, anche in assenza di iperazotemia o segni clinici. PRINCIPIO 3: RICONOSCERE E MONITORARE I PAZIENTI MAGGIORMENTE A RISCHIO L’identificazione dell’insufficienza renale in assenza di dati di laboratorio è difficile, perché le forme lievi di questa


126

condizione restano tipicamente subcliniche. Inoltre, molti riscontri clinici associati all’insufficienza renale non sono specificamente riferibili al tratto urinario. Tuttavia, sono state identificate alcune tendenze che possono contribuire a selezionare i pazienti in cui è probabile che risulti utile procedere ulteriormente con la valutazione ed il monitoraggio. La disidratazione e la deplezione volumetrica sono i più comuni ed importanti fattori di rischio per il danno renale. Una nefropatia non riconosciuta e l’età avanzata possono aumentare la propensione alla nefrotossicità. PRINCIPIO 4: MEMORIZZARE LE CARATTERISTICHE DIAGNOSTICHE DEI COMUNI AGENTI NEFROTOSSICI I reni sono eccezionalmente vulnerabili alle sostanze tossiche a causa delle loro esclusive caratteristiche anatomiche e fisiologiche. Per prevenire un danno renale irreversibile ed una potenziale mortalità è necessario identificare ed eradicare rapidamente le cause del problema.

Estratto completo Primary renal failure may be caused by a large number of disease processes (i.e. anomalies, metabolic, neoplastic, nutritional, infectious, immune mediated, ischemic, iatrogenic, toxic, traumatic, and obstructive), which have in common the destruction of greater than approximately three quarters of the parenchyma of both kidneys. By identifying the underlying causes (Table 1), specific therapy can be formulated to stop further development of renal lesions by altering underlying etiopathologic processes. Depending on the biological behavior of disease, some forms of renal failure may be reversible. For example, administration of antibiotics halts renal damage associated with bacterial infection; alleviation of obstructive uropathy mitigates parenchymal damage that could result in hydronephrosis; and correction of hypercalcemia minimizes the development of calcium-induced nephropathy. At the least, progression of renal lesions, and thus progression of failure may be slowed or stopped by therapy designed to eliminate underlying causes. Therefore, diagnostic efforts directed especially at detecting reversible renal diseases should be performed prior to formulating plans for conservative medical management.

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

glomerular filtrate, tubular epithelial cells may also be exposed to increasingly high concentrations of toxins. Likewise, toxins that are either renaly secreted or reabsorbed may accumulate in high concentrations within tubular epithelial cells. Finally, the kidneys also play a role in the biotransformation of many drugs and toxins. Biotransformation usually results in the formation of metabolites that are less toxic than the parent compound; however, in some cases metabolites are more toxic. Iatrogenic disease to the kidneys may also occur with unexpected trauma and induced infection. Knowing how to biopsy the kidney is just as important as knowing when biopsy is indicated. Unwarranted renal trauma can also occur with surgery to remove clinically insignificant nephroliths and ureteroliths. Iatrogenic urinary tract infections are often associated with use of urinary catheters (Table 2). Lastly, unwarranted renal failure can result from unrecognized reversible renal failure or inappropriate therapy for renal disease. For example, failing to recognize ureteral obstruction until the development of hydronephrosis may result in a shorter lifespan for the patient. The same can be said for routine use of glucocorticoids for management of protein-losing glomerulonephropathy, which often accelerates the progression of renal failure and magnitude of proteinuria.

FOUR GUIDING PRINCIPLES TO PREVENT OR MINIMIZE THE PROGRESSION OF RENAL FAILURE PRINICPLE 1: A DIAGNOSIS OF RENAL FAILURE IS NOT AN INDICATION TO STOP THE DIAGNOSTIC PROCESS Many causes of azotemia are potentially reversible (Table 1). Reversibility of renal disease depends on the na-

Table 1 Potentially Reversible Causes of Azotemia and Renal Failure Prerenal

Dehydration Hypoalbuminemia Hypoadrenocorticism Cardiac Failure

Renal

Ischemia Prolonged hypovolemia Nonsteroidal anti-inflammatory drugs Thromboembolism Toxins

MECHANISMS OF RENAL DAMAGE Several mechanisms can result in acute renal damage. Of these ischemia and nephrotoxin exposure appear to be common. The kidneys are susceptible to ischemia and toxins because of their unique anatomic and physiologic features. The large renal blood flow (approximately 20% of the cardiac output) results in increased delivery of blood-borne toxins. The renal cortex is especially susceptible to toxin exposure because it receives 90% of the renal blood flow and contains the large endothelial surface area of the glomerular capillaries. In the process of reabsorbing water and electrolytes from

Aminoglycosides Amphotericin Ethylene Glycol Heavy metals Bacterial Pyelonephritis Leptospirosis Borreliosis Fungal pyelonephritis Glomerulonephropathy Postrenal

Urinary obstruction Urinary tract Rupture


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Table 2 Guidelines to Minimize Catheter Induced Urinary Infections 1. Avoid unnecessary catheterization 2. Consider intermittent instead of indwelling catheterization 3. For short brief catheterization, use periprocedural antimicrobics 4. With indwelling catheters, maintain a closed system 5. With indwelling catheters, use antimicrobics only with evidence of infection 6. Monitor for infection frequently.

ture, location, and extent of lesions and on the rapidity and efficacy with which the underlying cause is eliminated. Although estimation of the degree of renal dysfunction is initially of value in formulating supportive and symptomatic therapy, knowledge limited to early assessment of the functional state of kidneys provides no information about the underlying cause and no information about potential reversibility of morphologic and functional impairment. Therefore, further diagnostic tests to assess cause (extensive assessment of toxin ingestion, urine culture, radiography) are needed early to prevent progressive and irreversible renal damage. PRINICPLE 2: DON’T IGNOR PERSISTENT SIGNS OF URINARY TRACT DISEASE The best predictor of future major disease is detection of existing minor disease. Therefore, we recommend that laboratory signs of renal disease, even in the absence of azotemia or clinical signs, not be disregarded (Table 3).

127

PRINICPLE 3: RECOGNIZE AND MONITOR PATIENTS AT INCREASED RISK Detection of renal failure in the absence of laboratory data is difficult because mild forms of renal failure typically remain sub clinical. In addition, many clinical findings associated with renal failure are not specifically referable to the urinary tract. However, some trends that may help in the selection of patients likely to benefit from further evaluation and monitoring have been identified (Table 4). Dehydration and volume depletion are the most common and most important risk factors for renal damage. Hypovolemia decreases renal perfusion, and also decreases the volume of distribution of nephrotoxic drugs. The result is decreased tubular fluid flow rates and enhanced tubular absorption of toxicants. In addition to hypovolemia, decreased cardiac output, decreased plasma oncotic pressure, increased blood viscosity, systemic hypotension, and decreased renal prostaglandin synthesis can also result in renal hypoperfusion. Unrecognized renal disease and advanced age can increase the propensity for nephrotoxicity. Animals with renal insufficiency have reduced urine concentrating ability and, therefore, decreased ability to compensate for prerenal influences. Renal disease may also compromise production of prostaglandins that help maintain renal vasodilatation and blood flow. PRINICPLE 4: MEMORIZE DIAGNOSITC FEATURES OF COMMON NEPHROTXICANTS The kidneys are exceptionally vulnerable to toxins because of their unique anatomic and physiologic features. Rapid detection (Table 6) and eradication (Table 7) are essential to prevent irreversible renal damage and potential mortality.

Table 3 Understanding the Significance of Signs of Renal Disease PERSISTNENT SIGN

CLINICAL IMPLICATION

Glomerular proteinuria

Filtration dysfunction ultimately leads to perfusion failure (i.e. azotemia). Consider diagnostic intervention to identify underlying causes Consider therapeutic intervention to eliminate underlying causes and minimize proteinuria even if the patient is not azotemic.

Renal glucosuria

May indicate renal tubular damage associated with acute renal failure or chronic Fanconi syndrome.

Cylinduria (casts)

Dogs with acute renal failure usually require immediate medical intervention to maximally preserve renal function. Urinary casts indicate active renal tubular disease.

White blood cell casts

Casts containing WBCs indicate renal infection or inflammation

Renal hematuria

Renal trauma (e.g. uroliths, hypertension), renal inflammation/infection, renal cancer, or ischemia causes a disruption in the integrity of epithelial surfaces and renal vessels. Further diagnostics are needed to distinguish between these diseases.

Small Kidneys

Indicate a reduction in functional mass. Avoid unnecessary procedures or medications which may compromise renal function further. Preserve renal function by insuring adequate and consistent hydration, especially before and after anesthesia.

Cystine crystals

Indicate an inherited defect in function of proximal renal tubules. This clinical sign may be associated with aminoaciduria, renal tubular acidosis and Fanconi syndrome. Concomitant loss of the essential amino acid arginine has lead to urea cycle deficiencies and hyperammonemic encephalopathy in cats.


128

46째 Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Table 4 - Some Risk Factors Associated with Hospital Acquired Renal Failure RISK FACTOR

STATEGIES TO AVERT RENAL FAILURE

Hypoalbuminemia

Consider volume expansion with colloidal solutions (e.g. hetastarch, plasma) Monitor & maintain blood pressure during anesthesia

Postobstuction diuresis

Increase fluid rates following alleviation of obstruction The degree of diuresis is unpredictable. Therefore, monitor hydration status (body weight, skin turgor, urine volume, etc.) frequently (q 4 to 6 hr) to insure adequate fluid replacement.

Pre-existing renal disease

Increase intravascular volume prior to and immediately following intervention (table 5) Avoid potentially nephrotoxic medications and unnecessary anesthetic procedures. Monitor & maintain blood pressure during anesthesia Monitor urine output during anesthesia

Old age

Increase intravascular volume prior to and immediately following intervention (table 5) Monitor & maintain blood pressure during anesthesia Monitor urine output during anesthesia

Administration of drugs that affect renal perfusion (i.e. nonsteroidal anti-inflammatory agents)

If possible discontinue drugs prior to and immediately following intervention. Monitor urine output during anesthesia

Table 5 Maintaining Renal Perfusion During Hypovolemia, Sedation, or Anesthesia 1. Administer fluids sufficient to cause volume expansion and diuresis 2. Replace fluid deficits plus and additional 2 to 3%. 3. Administer fluids at 5 to10ml/kg/hr for 2 to 3 hours prior to and 1 to 2 hour after procedures. 4. As an alternative to crystalloids, In hydrated patients administer mannitol (1g/kg using a 5 to 25% solution)

Table 7 Insuring Survival from Ethylene Glycol Toxicity 1. Recognize historical associations with toxicity Young Large breed dogs Access to Ethylene Glycol Excessive thirst/paroxysmal vomiting Appear intoxicated (symmetrical ataxia) 2. Recognize clinical signs early Fluorescent mouth, vomitus, urine Vomiting Polyuria/polydipsia Ataxia 3. Recognize Laboratory Abnormalities Early Hyperosmolality Decreased TCO2 High Anion Gap Calcium oxalate Crystalluria 4. Confirm the diagnosis Ethylene Glycol Test Kit 5. Administer Treatment Early Specific Fomepizole or Ethanol with or without hemodialysis Supportive Fluid therapy Correct electrolyte and acid base balance Nutritional support

Table 6 - Potenteial Exogenous Nephrotoxicants Analgesics (Piroxicam, Ibuprophen, Aspirin, Naproxen, Rimadyl, Etogesic) Ethylene glycol Antimicrobics (aminoglycosides, nafcillin, sulfonamides) Antifungals (Amphotericin B) Plants (eater lilly) Diuretics Heavy Metals Calcipotriene ointment Pesticides Herbicides Chemotherapeutic agents

Table 8 - Insuring Survival Following Leptospiral Infection 1. Recognize historical associations of infection 86% present between July and November 2. Recognize clinical signs early Oculonasal discharge Abdominal pain Lymphadenopathy Fever Jaundice 3. Recognize Laboratory Abnormalities Early Azotemia Increased Serum ALT and ALP Anemia Hyperbilirubinemia Proteinuria Cylinduria Glucosuria Renomegaly Pyelectasia Perinephric effusion 4. Confirm the diagnosis Dark field microscopy Serology PCR 5. Administer Treatments Early Specific Penicillins Doxycycline Supportive Fluid therapy Correct electrolyte and acid base balance Nutritional support Symptomatic Antiemetics


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

129

Trattamento dei calcoli urinari nel cane Jody P. Lulich DVM, PhD, Dipl ACVIM - Università del Minnesota, USA

Estratto breve È davvero necessario trattare tutti gli uroliti? Alcuni di essi possono passare da soli attraverso varie parti del tratto urinario, dissolversi spontaneamente, continuare a crescere o diventare inattivi (per cui non si ha più alcuna crescita). Non tutti gli uroliti persistenti sono associati a segni clinici. Secondo la nostra esperienza, la maggior parte di quelli inattivi non si accompagna ad un’infezione del tratto urinario. Ciononostante, in caso di persistenza degli uroliti è da ritenere probabile la comparsa di sequele quali disuria, ematuria, infezione del tratto urinario od ostruzione parziale o totale delle vie di deflusso dell’urina.

Terapia medica Gli obiettivi della terapia medica dell’urolitiasi sono la promozione della dissoluzione, l’arresto dell’ulteriore crescita e la prevenzione delle recidive. Per essere efficace, la terapia deve indurre l’insaturazione dell’urina da parte dei cristalloidi calcologeni. Questo risultato si può ottenere (1) riducendo la quantità di cristalloidi calcologeni escreti attraverso l’urina, (2) aumentando la solubilità dei cristalloidi nell’urina e/o (3) aumentando il volume dell’urina in cui i cristalloidi sono contenuti. La modificazione della dieta è uno dei metodi disponibili per ridurre la quantità di cristalloidi calcologeni nell’urina. I tentativi di aumentare la solubilità di questi ultimi prevedono spesso la somministrazione di farmaci studiati per modificare il pH urinario. Come regola generale, i sali degli ioni basici (PO43-, CO3 2-) sono più solubili nell’urina acida perché gli ioni basici si dissociano e reagiscono con gli ioni idrogeno; per i sali degli ioni acidi vale il contrario. Aumentando il volume dell’urina si diminuisce la concentrazione delle sostanze calcologene. Somministrare agli animali alimenti umidi o aggiungere acqua a quelli secchi è un metodo sicuro per promuovere la diuresi ed incrementare il volume urinario.

Rimozione chirurgica Il riscontro degli uroliti non costituisce di per sé un’indicazione per la chirurgia. Tuttavia, in condizioni appropriate, quest’ultima rappresenta la terapia d’elezione. Sono candidati all’intervento i pazienti con ostruzioni del flusso urinario indotte dalla presenza degli uroliti che non possono essere corrette con tecniche non chirurgiche. Ciò vale in

particolare nei soggetti con infezione del tratto urinario. In questa situazione, è probabile che la rapida diffusione dell’infezione e del danno alle vie urinarie inducano pielonefrite, insufficienza renale e setticemia. Di conseguenza, è importante risolvere il più rapidamente possibile questa associazione di disordini. La chirurgia deve essere presa in considerazione anche nei cani con uroliti refrattari alla terapia medica (ossalato di calcio, silicio, fosfato di calcio) troppo grandi per essere eliminati attraverso l’uretra. In alcuni casi, la chirurgia è necessaria per il trattamento degli uroliti a causa della scarsa collaborazione dei clienti o dei pazienti, che non seguono le terapie prescritte per la dissoluzione medica. In rari casi, alcune prescrizioni non possono essere continuate a causa di un’intolleranza al farmaco o alla dieta da parte del paziente; ad esempio, abbiamo osservato linfoadenopatia generalizzata, trombocitopenia e leucopenia in cani trattati con N-(2-mercaptopropionil)-glicina per dissolvere l’urolitiasi da cistina. La chirurgia può rappresentare una valida alternativa. Nei cani con certi difetti anatomici dell’apparato (diverticolo o uraco persistente) che possono predisporre alle infezioni del tratto urinario ed alla formazione di uroliti, questi ultimi possono essere rimossi contemporaneamente alla riparazione chirurgica delle anomalie responsabili del problema. Anche la cistotomia o l’uretrotomia per rimuovere gli uroliti non sono tecnicamente difficili, ma si tratta di procedure chirurgiche che riconoscono parecchi limiti. Poiché la chirurgia non ha alcun effetto o quasi sulla formazione degli uroliti, la persistenza delle cause sottostanti spesso esita in un’elevata percentuale di recidive. L’incapacità di rimuovere tutti gli uroliti o i loro frammenti è un altro valido motivo di preoccupazione. In uno studio retrospettivo, è stato riscontrato che la rimozione totale degli uroliti mediante cistotomia non veniva raggiunta in un cane su sette ed in un gatto su cinque. Questi riscontri indicano che i metodi consolidati per verificare la rimozione degli uroliti (introduzione di un catetere attraverso l’uretra, lavaggio retrogrado della stessa ed ispezione visiva o tattile del lume della vescica urinaria) possono essere inaffidabili o eseguiti in modo non adeguato. Di conseguenza, nei cani con uroliti multipli si deve prendere in considerazione il ricorso alla radiografia postoperatoria, per una migliore valutazione della completa rimozione dei calcoli. Il rischio connesso alla chirurgia ed all’anestesia generale può essere maggiore nei pazienti con anomalie emostatiche, insufficienza cardiaca congestizia, insufficienza epatica o discrasie del collagene. Per queste ed altre ragioni, si possono ritenere più sicure la dissoluzione medica o altre forme di eliminazione degli uroliti.


130

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Rimozione degli uroliti con tecniche non chirurgiche Storicamente, la chirurgia è stata considerata l’unico metodo pratico per l’eliminazione degli uroliti dalle basse vie urinarie, specialmente nel caso di formazioni refrattarie alla dissoluzione per via medica. Presso la University of Minnesota, abbiamo sviluppato due pratiche alternative, la rimozione degli uroliti mediante catetere e l’uroidropropulsione durante la minzione. Queste procedure non chirurgiche consentono di rimuovere in modo rapido e sicuro calcoli vescicali di dimensioni piccole o moderate.

clinical signs (dysuria, hematuria, urinary tract infection, incontinence, obstruction, or azotemia) should be appropriately managed. WHEN SHOULD UROLITHIASIS BE INCLUDED IN YOUR LIST OF DIFFERENTIAL DIAGNOSES? Clinical signs associated with urolithiasis vary depending on location of uroliths in the urinary tract and the degree

INITIAL DIAGNOSTIC PLAN FOR DYSURIA Diagnostic Differentials

Diagnostic Plans

Estratto completo

1. Infection (bacterial, fungal)

UA, Culture for aerobic bacteria

Uroliths are solid concretions (stones) that form in any portion of the urinary tract. Urolith formation is abnormal because the urinary system is designed to dispose of wastes in liquid form. However, during urolith formation, sustained alterations in urine composition promote supersaturation of one or more substances eliminated in urine that results in their precipitation and subsequent growth. The degree of urine supersaturation is influenced by renal excretion of crystalloids, renal excretion of water, urine pH, and/or factors that inhibit crystal formation and crystal aggregation. Urolithiasis should not be viewed conceptually as a single disease with a single cause, but rather as a sequela of multiple interacting physiologic and pathologic processes that progressively increase the risk of precipitation of excreted metabolites in urine to form stones. Therefore, detection of urolithiasis is only the beginning of the diagnostic process. Essential to urolith eradication and prevention is identification of their composition and the diseases and risk factors underlying crystal formation (urolith embryo), retention, and growth. Regardless of the process of urolith formation, uroliths have the potential to disrupt normal urinary tract function. The mere presence of uroliths in the urinary system does not always necessitate their removal; however, those resulting in

2. Inflammation (FLUTD)

UA

3. Uroliths

UA, Urine Culture (CaOx, MAP, Urate) Abdominal radiography/ ultrasound

4. Neoplasia

UA, Abdominal radiography/ ultrasound

5. Trauma

UA, contrast cystourethrography

INITIAL DIAGNOSTIC PLAN FOR URETHRAL OBSTRUCTION Diagnostic Differentials 1. Structural lesions Intraluminal Uroliths

WHAT STONE TYPES ARE COMMON? Dog

Cat

Struvite Calcium Oxalate Urate Calcium Phosphate Cystine Silica Mixed Compound

48% 33% 8% 1% 1% 1% 2% 6%

40% 48% 6% 1% 0.1% 0.02% 1% 3%

Number

113,033

27,229

(Data from Minnesota Urolith Center 1981 to 1999)

Urethral Plug

Mural

Extramural

Diagnostic Plans

UA, Urine Culture, Abdominal radiography or ultrasound UA, Urine Culture, Abdominal radiography or ultrasound UA, Contrast urethrogram or (nepolasia, stricture) ultrasound Rectal palpation, abdominal radiography or ultrasound

2. Functional Lesions Inability to contract bladder Inability to relax urethra Reflex dyssynergia


46째 Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

131

HOW CAN URINALYSES ASSIST PREDICTION OF UROLITH COMPOSITION? Mineral

pH

Crystal Appearance

Bacteria/ U Culture

CAOX

acid to N

DH = octahedral MH = spindle or dumbbell

Negative

Sterile MAP

6.5 to 7.5

prism

Negative

Infectn MAP

N to alkaline

prism

Usually Staph

Urate

Acid to N

Spherical or thornapple Amorphous

Negative

CaP

N to alkaline

Amorphous or thin prisms

Negative

Cystine

Acid to N

hexagon

Negative

Silica

Acid to N

none seen

Negative

Brushite a type of CaP commonly forms in acidic urine CAOX = calcium oxalate, CaP=calcium phosphate, MAP = magnesium ammonium phosphate, DH = the dihydrate salt of CAOX, MH = the monohydrate salt of CAOX, N = neutral.

HOW CAN RADIOGRAPHY ASSIST PREDICTION OF UROLITH COMPOSITION? Mineral

Density

Surface Contour

Shape

Size

CaOx

++++

spiculated to smooth

faceted to round

<1 to 2cm

Sterile MAP

++to+++

smooth

round to disk

1 to 3cm

Infectn MAP

+ to +++

smooth

round to faceted

1 to 5cm

Urate

0 to ++

smooth

round to oval

<1 to 2cm

CaP

++ to ++++

smooth

round to faceted

1 cm

Cystine

+ to ++

smooth

round to faceted

<1 to 2cm

Silica

++ to ++++

radial projections

round

<1 to 3cm

Based on etiopathogenesis, MAP uroliths are classified as infection induced or sterile because uroliths form in the absence of bacterial urinary tract infection. Infection induced stones are the type of MAP common in dogs. In contrast, sterile MAP is the type of MAP uroliths common in cats. Most nephroliths are composed of CAOX; MAP nephroliths are rare. CAOX = calcium oxalate CaP=calcium phosphate, MAP = magnesium ammonium phosphate.


132

46째 Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

to which uroliths disrupt normal urinary tract function. Hematuria and pollakiuria are common signs of lower urinary tract disease associated with uroliths in the urinary bladder. However, some dogs and cats with urocystoliths are asymptotic. Uroliths lodged in the urethra may cause more severe and persistent dysuria. Urethroliths resulting in complete urethral obstruction may present with life threatening post-renal azotemia. Most patients with kidney stones are asymptotic or present for persistent hematuria. Complete unilateral ureteral obstruction can also be asymptotic if the contralateral kidney has sufficient function to maintain serum biochemical homeostasis. Nonspecific pain is inconsistently reported in patients with ureteroliths. WHAT TESTS ARE ESSENTIAL FOR DETECTION OF UROLITHIASIS? Abdominal palpation is not a reliable method of urolith detection. For example, in one study of 30 episodes of urocystolithiasis in cats, stones were detected by palpation in only 3 cats. Likewise, it is not possible to detect uroliths located in the renal pelvis by palpation through the abdominal wall. Therefore, radiographic or ultrasonographic evaluation of the urinary tract is required to detect uroliths consistently. The primary objective of radiographic or ultrasonographic evaluation of patients is to verify urolith presence, location, number, size, density and shape. Radiographs should include all portions of the urinary tract. As a reminder, imaging the urethra usually requires taking radiographic views more caudal than for routine abdominal evaluation.

The radiographic or ultrasonographic appearance of uroliths is influenced by urolith size, mineral composition, location, and number. Most uroliths greater than 3mm have varying degrees of radiodensity and therefore can be detected by survey abdominal radiography or ultrasonography. Uroliths less than 3mm in size may not be visualized by these techniques. Double contrast cystography can be used to enhance resolution of uroliths. Compared to radiographic density of soft tissue, uroliths composed of magnesium ammonium phosphate, calcium oxalate, calcium phosphate, silica, and cystine are often radiodense. Those composed of urate are usually radiolucent, and are often not detected by survey radiography. Some veterinarians have inappropriately used crystalluria as a method of urolith detection. However, crystalluria is not synonymous with urolith formation. Crystalluria can be observed in patients without uroliths, and absent in patients with uroliths. WHY IS DETERMINATION OF UROLITH COMPOSITION NECESSARY? Knowledge of urolith composition is important because contemporary methods of detection, treatment, and prevention of uroliths and their underlying causes are based primarily on knowledge of urolith composition. This poses a problem when uroliths are not available for quantitative mineral analysis. To overcome this problem we recommend predicting urolith composition on the basis of breed, gender, and age of the animal; radiographic appearance of uroliths; and urinalysis and serum chemistry profile results. As an alternative to prediction of mineral composition, small uroliths

WHICH UROLITHS ARE AMENABLE TO MEDICAL DISSOLUTION? Type

Dissolvable

Methods

Time span

CaOx

Not yet

Sterile MAP

Yes

s/d diet

Weeks

Infection MAP

Yes

Control infection s/d diet

1 to 3 months

Urate

Variable

u/d, k/d, or l/d diets Allopurinol Correct hepatic shunt

1 to 3 months

CaP

Not yet*

Cystine

Yes-dogs

u/d diet Thiola

1 to 3 months

Silica

Not yet

CaP carbonate is a type of CaP commonly mixed with infection induced MAP uroliths that usually dissolves with protocols for medical dissolution of MAP. CaOx = calcium oxalate, CaP = calcium phosphate, MAP = magnesium ammonium phosphate


46째 Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

133

in the urinary bladder can be retrieved using nonsurgical methods (collection via spontaneous passage, catheter retrieval, voiding urohydropropulsion). Once retrieved, uroliths should always be submitted for quantitative analysis. DO ALL UROLTIHS REQUIRE THERAPY? Uroliths may spontaneously pass through various parts of the urinary tract, spontaneously dissolve, continue to grow, or become inactive (no growth occurs). Not all persistent uroliths are associated with clinical signs. In our experience, most inactive uroliths are not associated with urinary tract infection. Nonetheless, if uroliths remain in the urinary tract, dysuria, hematuria, urinary tract infection, partial or total urinary obstruction, are probable sequelae.

crystalloids excreted in urine, (2) increasing the solubility of crystalloids in urine, and/or (3) increasing the volume of urine in which crystalloids are contained. Change in diet is one method available to reduce the quantity of calculogenic crystalloids in urine. Attempts to increase the solubility of crystalloids in urine often include administration of medications designed to change urine pH. As a general rule, salts of basic ions (PO43-, CO32-) are more soluble in acidic urine because the basic ions uncouple and react with hydrogen ions; the reverse is true for salts of acidic ions. Increasing urine volume decreases the concentration of calculogenic substances. Feeding canned foods or adding water to dry food is a safe method of promoting diuresis to increase urine volume.

Medical Management

Surgical Removal

The objectives for medical management of uroliths are to promote dissolution, arrest further growth and prevent recurrence. For therapy to be effective it must induce undersaturation of urine with calculogenic crystalloids. This can be achieved by (1) reducing the quantity of calculogenic

Detection of uroliths is not in itself an indication for surgery. However, under the appropriate condition surgery is the preferred therapy. Surgical candidates include patients with urolith-induced obstruction to urine outflow that cannot be corrected by nonsurgical techniques. This is especially

Table 1 Causes of antimicrobic failure and strategies for its correction Mechanism of antimicrobic failure

Management Strategies

Noninfectious disease mimicking bacterial infection

Identify and correct nonbacterial disorders contributing to clinical signs (table 1)

Infectious disease not caused by bacteria

Identify and correct nonbacterial disorders contributing to clinical signs

Persistence of underlying disorder following eradication of infection

Identify and correct other disorders contributing to clinical signs (table 1)

Anaerobic infection

Select antimicrobics on the basis of anearobic culture and susceptability tests

Reinfection due to persistent abnormality in host defenses

Identify and correct other underlying risk factors for infection. Select antimicrobics on the basis of culture and susceptability tests.

Iatrogenic reinfection

Avoid urinary tract instrumentation and catheterization. Select antimicrobics on the basis of culture and susceptability tests.

Inadequate antimicrobic dose

Select dose on the basis of clinical context. (e.g. consider maximal or higher dose in polyuric patients, poor circulation at site of infection, or poor antimicrobic penetration of infection site).

Inadequate antimicrobics administration

Improve client instruction for antimicrobic administration Provide pill gun for oral antimicrobic administration. Consider alternative route for antimicrobic administration

Inadequate antimicrobic duration

Continue antimicrobics 5 to 7 days beyond resolution of clinical signs, laboratory data and underlying cause

Inadequate intestinal absorption of antimicrobic

Avoid concomitant adminstration with gastrointestinal protectants (e.g. sulcralfate). Consider alternative routes with advanced GI disease

Inadequate antimicrobic tissue delivery

Select antibiotics with suitable physiochemical characteristics (e.g lipid solubility) at maximal concentrations to assist delivery

Inadequate antimicrobic tissue penetration

Select antibiotics with suitable physiochemical characteristics (e.g lipid solubility, reduced protein binding) at maximal concentrations to promote tissue penetration.

Walled off abcessess/cysts may require surgical exposure and drainage.

Consider removal of foreign material or implants (e.g. uroliths, catheters, or stents).

Inappriorate antimicrobic selection

Select antimicrobics on the basis of culture and susceptability tests

Antimicrobic resistence

Select new antimicrobic on the basis of culture and susceptability tests


134

46째 Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Table 2 Antimicrobic selection based on location of infection Location

Special considerations

Desired Antimicrobics Goals

Duration suggested for uncomplicated infections

Lower urinary tract

Polyuric states may reduce urine concentration of antimicrobic.

Chose antimicrobics that are excreted in high concentrations in urine Beta lactam antimicrobics are effective against most gram positive organisms; Trimethoprim/sulfas are effective against most gram negative organisms

7 to 14 days

Upper urinary tract

Serum and urine concentrations of antimicrobics are poor predictors of antimicrobics concentration in renal cortex, medulla and papilla. Renal infection modifies the renal concentration of antimicrobics. Decreased renal perfusion associated with infection or obstruction can reduce antimicrobic delivery.

Due to high risk of morbidity, antimicrobic selection should be based on culture and susceptability results. Infected kidneys accumulate higher concentrations of quinolones and aminoglycosides, and lower concentrations of beta-lactam antimicrobics than normal kidneys.

4 to 6 weeks

Prostatic Infection

Blood-prostate barrier inhibits drugs that are not lipid soluble from entering the prostate. The blood-prostate barrier is usaually disrupted during acute infection. pH of infected prostatic fluid is helpful in trapping and concentrating drugs in the prostate; when prostatic fluid is acidic, basic antimicrobics cross the blood-prostatic barrier more readily.

Lipid soluble antimicrobics (chloramphenicol, 6 weeks enrofloxacin, erythromycin, trimethoprim) effectively cross the blood-prostate barrier. Enrofloxacin concentrations in the prostate are higher than concentrations in the blood. Chloramphenicol, enrofloxacin and trimethoprim are r ecommneded to treat susceptible gram negative bacteria; while, erythromycin, chloramphenicol, clindamycin and trimethoprim are recommended to treat susceptible gram positive infections.

true in patients with urinary tract infection. In this situation rapid spread of infection and damage to the urinary tract are likely to induce pyelonephritis, renal failure, and septicemia. Therefore, it is important that this combination of disorders be resolved as soon as possible. Surgery should also be considered in dogs with uroliths refractory to medical therapy (calcium oxalate, silica, calcium phosphate) that are too large to be voided through the urethra. In some instances surgery is needed to manage uroliths because of poor client or poor patient compliance with therapeutic recommendations for medical dissolution. In rare instances some medical recommendations cannot be continued because of drug or diet intolerance by the patient. For example we have observed generalized lymphadenopathy, thrombocytopenia, and leukopenia in dogs receiving N-(2-mercaptopropionyl)glycine to dissolve cystine uroliths. Surgery may represent a convenient alternative. For dogs with certain anatomic defects of the urinary tract (persistent diverticulum or persistent urachus) that may predispose to urinary tract infection and uroliths, uroliths can be removed at the same time these abnormalities are surgically repaired. Although cystotomy or urethrotomy to remove uroliths is not technically difficult, these surgical procedures have several limitations. Because surgery has little to no effect on urolith formation, persistence of underlying causes often results in a high rate of urolith recurrence. Inability to remove

all uroliths or fragments of uroliths also is of great concern. In one retrospective study, all uroliths were not removed by cystotomy from 1 of every 7 dogs and from 1 of every 5 cats. These findings indicate that established methods of verifying urolith removal (catheter passage through the urethra, retrograde flushing of the urethra, and visual or tactile inspection of the lumen of the urinary bladder) may be unreliable or inadequately performed. Therefore, post surgical radiography should be considered in dogs with multiple uroliths to better assess complete urolith removal. The risk of surgery and general anesthesia may be increased in patients with hemostatic abnormalities, congestive heart failure, liver failure, or collagen dyscrasias. For these and other reasons, medical dissolution or other forms of urolith removal may be considered more safe.

Nonsurgical Urolith Removal Historically, surgery has been considered the only practical method of eliminating uroliths from the lower urinary tract, especially uroliths refractory to medical dissolution. At the University of Minnesota, we have developed two practical alternatives, catheter urolith retrieval and voiding urohydropropulsion. These nonsurgical procedures permit safe and rapid removal of small to moderately sized urocystoliths.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

135

Insuccessi diagnostici: cause di errata diagnosi dei segni clinici del tratto urinario Jody P. Lulich DVM, PhD, Dipl ACVIM - Università del Minnesota, USA

Estratto breve La diagnosi precoce e l’intervento appropriato possono esitare nella guarigione di molte malattie, o almeno ridurne al minimo la progressione. Ad esempio, l’insufficienza renale cronica lieve può passare inosservata nei pazienti che hanno il tempo di compensare la graduale riduzione della funzione renale. Analogamente, le malattie che colpiscono un solo rene possono restare clinicamente silenti. Se l’insufficienza renale è dovuta ad infezione, ostruzione del deflusso urinario o glomerulopatia, l’identificazione ed il trattamento precoci possono ripristinare una funzione renale adeguata e talvolta completa. Per evitare di sottovalutare un’insufficienza renale subclinica noi eseguiamo di routine i test diagnostici di screening negli animali a rischio. Sono considerati gruppi ad alto rischio le razze con un’anamnesi di insufficienza renale familiare, i cani di età pari o superiore a sette anni, i gatti di età pari o superiore a 10 anni ed i pazienti trattati con farmaci potenzialmente nefrotossici (ad es., gentamicina, antinfiammatori non steroidei, cisplatino ed amfotericina B). La diagnosi precoce migliora anche notevolmente l’esito di altre malattie, ed in particolare di urolitiasi, insufficienza renale acuta, infezione e neoplasia del tratto urinario.

Mancata identificazione di condizioni facilmente trattabili e potenzialmente letali La decisione del momento in cui un test diagnostico può essere ritenuto adeguato a fornire informazioni sufficienti per iniziare senza rischi un trattamento dipende dal grado di incertezza diagnostica che ciascun clinico è disposto ad accettare. Per ottimizzare la cura del paziente, le valutazioni devono comprendere routinariamente gli esami che consentono di identificare le condizioni facilmente trattabili e potenzialmente letali. Si consideri il seguente esempio. Un gatto maschio di tre anni viene ricoverato presso la vostra clinica perché i proprietari sono preoccupati dall’insorgenza acuta di vomito. Dopo la valutazione diagnostica, formulate una diagnosi di insufficienza renale acuta. Nonostante una fluidoterapia paraenterale intensiva, diuretici ed un adeguato controllo delle anomalie acidobasiche ed elettrolitiche, il gatto resta oligurico e muore tre giorni dopo. Alla necroscopia, scoprite che il rene destro dell’animale era ipoplasico. Invece, il sinistro si presentava normale, fatta eccezione per un urolita di

ossalato di calcio che ostruiva il deflusso di urina a livello della giunzione del bacinetto renale con il tratto prossimale dell’uretere. Se aveste effettuato una radiografia e rimosso chirurgicamente l’urolita continuando al tempo stesso la precedente terapia del paziente, probabilmente sareste riusciti a far regredire l’insufficienza renale acuta di questo gatto.

Un problema ben definito è già per metà risolto Una fase fondamentale nel processo diagnostico è la nostra capacità di definire i problemi medici del paziente senza esagerarli. Dobbiamo continuamente focalizzare questo punto cruciale, dal momento che è necessario essere in grado di definire i problemi prima di poter aiutare a risolverli. Anche se non disponiamo di soluzioni immediate, identificando correttamente i problemi del paziente saremo in grado di utilizzare altre risorse (quali trattati, riviste e colleghi a cui rivolgersi per un consulto) al fine di risolvere il problema. Nel processo di definizione dei problemi, bisogna fare attenzione a non confondere le osservazioni con le interpretazioni. Questi sono due aspetti nettamente separati della diagnosi. Anche quando le osservazioni sono corrette, le loro interpretazioni possono essere errate. Se le interpretazioni errate vengono accettate come fatti, il risultato può essere una diagnosi sbagliata e la formulazione di una terapia inappropriata o controindicata.

Errori di campionamento portano a risultati errati Il caos diagnostico può anche insorgere sulla base di informazioni derivante da campioni prelevati in modo non appropriato (Tabelle 5 e 6). Talvolta, le condizioni in cui è stato effettuato il prelievo o l’impazienza del cliente possono portare a situazioni non propriamente ideali. Ad esempio, il pH di un campione di urina prelevato dal tavolo da visita può riflettere il pH del disinfettante utilizzato per pulire il tavolo stesso piuttosto che quello dell’urina del paziente. Quando si riscontrano risultati discutibili in campioni prelevati in condizioni non del tutto ideali, la loro interpretazione deve tener conto della possibilità (o probabilità) che i valori riscontrati siano stati influenzati da fattori in vitro. Per chiarire le ambiguità, è necessario ripetere il test in condizioni più adatte.


136

Non lasciatevi ingannare per non fare affermazioni infondate Verificare una diagnosi di solito richiede l’interpretazione dei risultati dei test. Ma non tutti i test sono uguali. In effetti, i risultati di alcune prove diagnostiche sono del tutto inaffidabili (Tabella 3). Ad esempio, le strisce reattive vengono utilizzate routinariamente per l’analisi dell’urina del cane e del gatto; tuttavia, la maggior parte di questi prodotti è stata studiata per la valutazione dell’urina dell’uomo. Di conseguenza, alcuni dei risultati di questi test possono non essere validi negli animali da compagnia. Ad esempio, quando si valuta l’urina del gatto, il tampone del reagente per i leucociti dà in genere esito positivo, anche se nel campione non sono presenti leucociti. Non fatevi trarre in inganno da questa falsa positività quando valutate l’urina del gatto con il metodo delle strisce reattive. L’esame completo dell’urina deve sempre comprendere la valutazione microscopica del sedimento.

Estratto completo Optimal patient care depends on an accurate diagnostic assessment of clinical information and thoughtful analysis of the trade offs between the benefits and risks of further diagnostic testing and treatment. Because of limitations imposed by time, finances, and risks associated with diagnostic testing, diagnosis is often an unstructured and frenzied process of data collection followed by inference. As a result, clincians are compelled to make a diagnosis in the face of varying degrees of uncertainty. It is our hope, in the following sections, to provide a more structured approach to the diagnostic process by providing a few guiding principles, likelihoods of common diseases, and systematic approaches to data collection. We have also provided common diagnostic errors and solutions to some problems we have encountered.

MISSING THE OBVIOUS What’s Common and What’s Not Of 15,349 cats with lower urinary tract disease, the five most frequent diagnoses were feline urologic syndrome, cystitis, urethral obstruction, urethrolithiasis and urocystolithiasis.1 The most common diagnosis, feline urologic syndrome (FUS), does not represent a specifically treatable disease, but a syndrome caused by a variety of etiologies. In a prospective diagnostic study of 143 cats with hematuria and dysuria (FUS) using conventional diagnostic techniques, urethral plugs were diagnosed in 22.4% and uroliths in 22.4% of the cats.2 In 53.8% of the cases, however, a cause for lower urinary tract signs could not be further refined. Less frequent diagnoses for LUTD in cats included urinary incontinence, bacterial cystitis, urethral strictures, urachal diverticula, and neoplastic disorders.

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Of 24,087 dogs diagnosed with lower urinary tract disease using conventional diagnostic procedures, urinary incontinence, urolithiasis, urinary tract infection, and neoplasia were diagnosed most often.3 The majority of dogs with urinary incontinence were female (72%); the majority of female dogs with urinary incontinence were neutered (79%). In contrast, urolithiasis predominated in males; 63% were male and 37% were female. Renal failure is the most commonly recognized upper urinary tract disease of dogs and cats. The cause of most forms of renal failure remain an enigma; however, recognized causes include glomerulonephritis, toxins (e.g ethylene glycol), adverse drug reactions (e.g. gentamicin, nonsteroidal antiinflammatory agents), ischemia (e.g. hypoperfusion associated with traumatic shock, anesthesia or dehydration), urinary outflow obstruction, and bacterial infection.

A Stich In Time Saves Nine Early diagnosis and appropriate intervention may result in cure of many diseases or at least minimize their progression. For example, mild chronic renal failure may go unnoticed in patients that have time to compensate for gradual reduction in renal function. Likewise, disease that affects only one kidney may remain clinically silent. If renal failure is due to infection, urinary outflow obstruction, or glomerular disease, early detection and treatment may restore adequate and sometimes complete renal function. To avoid overlooking subclinical renal failure, we routinely perform diagnostic screening tests in animals at risk. High risk groups include breeds with a history of familial renal failure, dogs 7 years and older, cats 10 years and older, and patients receiving drugs with potential nephrotoxicity (e.g. gentamicin, nonsteroidal antiinflammatory agents, Cis platinum, and amphotericin B). Early diagnosis will also greatly improve patient outcomes for other diseases, especially urolithiasis, acute renal failure, urinary tract infection, and urinary tract neoplasia.

MISSING THE EASILY TREATABLE AND LIFE THREATENING Deciding when diagnostic testing is adequate to provide sufficient information to safely begin treatment is influenced by the degree of diagnostic uncertainty that each clincian will accept. To optimize patient care, evaluations should routinely include tests that identify easily treatable and life threatening conditions. Consider the following example. A 3 year old male cat is admitted to your clinic because the owners are concerned about acute onset of vomiting. Following diagnostic evaluation, you make a diagnosis of acute renal failure. Despite intensive parenteral fluid therapy, diuretics and adequate control of acid/base and electrolyte abnormalities, the cat remains oliguric and dies three days later. At necropsy, you discover that the cat’s right kidney was hypoplastic. However, the left kidney appeared normal except for a calcium oxalate urolith obstructing urine outflow at the junction of the renal pelvis with the proximal ureter. Had ra-


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

137

diography been performed, surgical urolith removal in combination with the patient’s previous therapy, likely would have reversed this cat’s acute renal failure.

8 year old female dog evaluated for hematuria and dysuria had a transitional cell carcinoma of the bladder. This scenario illustrates the necessity to reassess diagnostic conclusions when treatment outcomes differ from expected results.

DIAGNOSTIC INERTIA A Well Defined Problem Is Half Solved Sometimes we create our own diagnostic inertia, that is, we tend to move in the same direction despite warning signs that we may be moving in the wrong direction. By not listening to client’s observations and interpretations or by prematurely considering client’s comments unreliable when they are accurate, we often lose valuable diagnostic information. Sometimes, we diagnose by intuition (so called gut feelings) or premonition (the mystical 6th sense) without properly evaluating the patient or reasonable diagnostic tests. Even worse, when our therapy fails, we remain overconfident and steadfastly adhere to our original diagnosis rather than considering that our diagnostic observations and interpretations may have been partially or totally innaccurrate. Consider that following example. An 8 year old female spayed female Golden Retriever is evaluated for hematuria and dysuria. Routine physical examination reveals no abnormalities. It was not possible to obtain a urine sample at the time of initial examination. Based on the patient’s clinical signs and disease probabilities you diagnose a urinary tract infection and accordingly prescribe a broad spectrum antibiotic. After 7 days of therapy, the owner informs you that the dog is still urinating in the house. At that time you prescribe a different antibiotic. The owner again calls you 3 days later because she is concerned that the dog is still urinating in the house. You suggest that additional time is needed for the medication to work. The client stops calling you and you assume that all is well. A few weeks later while having lunch with a colleague, she informs you that one of your clients made an appointment to visit her hospital. You learn that the

A fundamental step in the diagnostic process is our capacity to define the patient’s medical problems without overstating them. We should continually focus on this crucial step, since we must be able to define problems before we can help solve them. Even if we do not have immediate solutions, by properly identifying the patient’s problems, we will be able to utilize other resources, such as textbooks, journals, and colleagues for consultation to help solve the problem. In the process of defining problems, one must use care not to mix observations with interpretations. Observations and interpretations represent distinctly separate facets of diagnosis. Even when observations are correct, interpretations of these observations may be erroneous. If misinterpretations are accepted as facts, the result may be misdiagnosis and formulation of inappropriate or contraindicated therapy.

Garbage In - Garbage Out Diagnostic chaos can also be created by relying on information from inappropriately collected samples (Tables 5 and 6). Sometimes conditions of sample collection or client impatience may result in less than ideal sampling conditions. For example, the pH of a urine sample collected from the examination table may reflect the pH of the disinfectant used to clean the table rather than that of the urine in the patient. When questionable results occur in samples collected under less than ideal conditions, interpretion of results should en-

Table 1 Test Conditions That Can Produce Worthless Results Test Condition

Confounding Principles

Solutions

Urine samples collected by owners

Owners may collect urine in improperly rinsed containers, allow samples to dehydrate, or store samples at improper temperatures. In addition, voided samples may become c ontaminated with substances from the urethra, genital tract, digestive tract, or bottom of the patient’s foot.

Discourage clients from allowing their pet to void urine 3 hours prior to evaluation. A moderately full bladder will facilitate urine collection by cystocentesis.

Uroliths or urethral plugs submitted in formalin for mineral analysis

Formalin can dissolve and alter the chemical makeup of some minerals, particularly struvite.

When submitting urethral plugs or uroliths for mineral analysis, submit them dry without perservative.

Refrigerated urine samples for assessing “in vivo” crystalluria

As urine cools solubility decreases and crystals precipitate out of solution

Evaluate urine sediment shortly after obtaining sample.

Localizing azotemia by These compounds will alter physiologic urine concentration often making it evaluating urine specific impossible to differentiate prerenal from primary renal azotemia. gravity following fluid, diuretic, or steroid administration for localization of azotemi

Obtain urine samples prior to administration of diagnostic or therapeutic agents.


138

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Table 2 Some Diagnostic Tests That Are Potentially Life Threatening If Performed Improperly Test

Inappropriate Condition

Rationale

Solution

Water Deprivation Test

Azotemic patients

Dehydration may precipitate renal failure in patients that are already azotemic

No need to test urine concentration capacity; renal failure is the probable diagnosis for polyuria

Water Deprivation Test

End point determined soley by urine concentration

Maximal urine concentration is usually achieved between 3 and 48 hours after initiation of water deprivation. Patients with central diabetes insipidus may dehydrate quickly, and if not promptly rehydrated may develop hypernatremia and coma.

Water deprivation tests should be terminated after patient loses 5% body weight. Leaving animals water deprived and unattended through the night may be fatal.

Cystotomy

Without first localizing hematuria

Hematuria without signs of dysuria or pollakiuria is Localize hematuria prior to exploratory cystotomy. probably not originating from the lower urinary tract. If cystotomy is performed in patients with a generalized coagulation disorder (e.g. Von Willeebrands disease), hemostasis may be difficult to manage, not to mention the unwarranted cost of surgery.

Renal biopsy

Without pre and post biopsy diuresis

Hematuria, clot formation, and urinary obstruction are potential adverse affects of renal biopsy.

Intravenous fluids maintain blood flow and urine flow sufficient to minimize clot formation within the excretory pathway.

Table 3 Practically Worthless Tests Test

Test Purpose

Rationale

Appropriate alternatives

“Dipstick” determination of leukocytes in cat urine

Assesment of bacterial urinary tract infection

Unspecified substances in cat urine activate the leukocyte reagent in urine dipsticks whether or not leukocytes are in urine.

Microscopic urine sediment evaluation is a more reliable method for assessing the magnitude of leukocyturia

Qualitative urolith analysis

Assess mineral composition of uroliths

Qualitative tests for mineral analysis are not very accurate (50% false negative rate and an 18% false positive rate). These test kits cannot detect silica or drugs in uroliths and cannot distinguish between minerals comprising different layers of the urolith.

Quantitative analysis (optical crystallography, Xray diffraction, Infrared spectroscopy, others)

Survey radiography

To assess Dalmatians and dogs with portovascular shunts for uroliths

Approximately 95% of uroliths in male Dalmatians are composed of purines with the radiographic density of soft tissue and therefore not discernible by survey radiography.

Double contrast cystography or ultrasonography

Abdominal palpation

Exclude uroliths as a cause of lower urinary tract signs

Bladder palpation is an insensitive method of urolith detection (3 to 20% diagnosed); and dependent on experience, urolith size, urolith number, and bladder fullness.

Radiography or ultrasonography

Visual test of cloudy urine

For diagnosis of urinary tract infection

Although bacteria, inflammatory cells and inflammatory proteins result Urine cultures should be in increased urine turbidity, other substances (i.e. crystals, fat droplets, performed to verify urinary neoplastic cells and genital secretions) also cause cloudy urine. tract infection

Water deprivation tests using time as an endpoint

Determine urine concentrating ability

Maximal secretion of antidiuretic hormone and concentration of urine are achieved when 5% of body weight (body water) is lost.

End water deprivation tests when animals have lost 5% body weight.

Urine concentrations, fractional excretions and mineral to creatinine ratios of calcium, phosphorus, magnesium, or urate from random urine samples

For evaluating dogs with uroliths

Concentrations of minerals in urine are affected by type of diet consumed and time of feeding in relation to sample collection. Urine mineral concentrations determined form “spot” urine samples do not correlate with daily mineral excretion.

24 hour urine samples using previously tested diets or rely on presence of crystalluria to indicate that conditions are favorable for urolith recurrence.


46째 Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

139

Table 4 Diagnostic Plans for a Variety of Disease Scenarios Scenerio

Likely rule outs

Initial diagnostic test

Additional Considerations

Screening for familial renal disease

Renal Failure Tubular disease Protein-losing glomerular disease

Serum creatinine, urea nitrogen, albumin Urine specific gravity, glucose, protein

Urine culture for bacteria Serum biochemical profile Urine protein to creatinine ratio Survey Radiology Blood pressure Ultrasonography

Screening for renal failure in geriatric patients

Renal Failure Tubular disease Protein-losing glomerular disease

Serum biochemical profile Urinalysis Urine culture for bacteria

Survey Radiology Blood Pressure Urine protein to creatinine ratio Ultrasonography

Hematuria and dysuria in cats

Idiopathic disease Uroliths Urine culture for bacteria

Urinalysis Survey radiography

Double contrast cystogram Ultrasonography

Hematuria and dysuria in dogs

Bacterial urinary tract infection Uroliths Neoplasia (older dog)

Urinalysis Urine culture for bacteria Survey radiography

Double contrast cystogram Ultrasonography

Hematuria without dysuria

Renal bleeding Coagulopathy Lower tract bleeding Hemaglobinemia Myoglobinemia Cystocentesis or catheter induced

Voided urinalysis Survey radiography Complete blood count Bleeding time Prothrombin time

Platelet count Intravenous urography

First urethral obstruction in cats

Urethral plug Urolith

Urinalysis Survey radiography Serum urea nitrogen, creatinine, potasium

Serum biochemical profile

Recurrent urethral obstruction in cats

Urethral plug Urolith Reflex dyssynergia Urethral stricture

Urinalysis Survey radiography Serum urea nitrogen, creatinine, potasium Urine culture for bacteria

Serum biochemical profile Urethrocystography Ultrasonography Urethral pressure profiles

Urethral obstruction in dogs

Uroliths Urethral neoplasia Reflex dyssynergia

Survey radiography Urinalysis Urine culture for bacteria

Serum biochemical profile Urethrocystography Ultrasonography Urethral pressure profiles

Urethral obstruction in Dalmatians, Bulldogs, and dogs with hepatic shunts

Urate uroliths Cystine uroltihs

Urethrocystography or ultrasonography Urinalysis

Urine culture for bacteria Serum biochemical profile

Incontinence (young dog)

Behavioral Anomaly (e.g. ectopic ureters) Urinary tract infection Polyuria Urethral incompetence

Observe voiding and incontinence Urinalysis Urine culture for bacteria Contrast radiography

Serum biochemical profile

Incontinence (older dog)

Urethral incompetence Polyuria Urinary tract infection

Observe voiding and incontinence Urinalysis Urine culture for bacteria Serum biochemical profile

Urethrocystography Urethral pressure profile


140

compass the possibility (or probability) that in vitro factors may have influenced the test result. To clarify ambiguities, repeat the test under more suitable conditions.

Don’t Be Fooled And Don’t Fool Around Verifying a diagnosis usually requires interpretations of test results. But not all tests are created equal. In fact, some diagnostic test results should not be relied upon at all (Table 3). For example, reagent strips are routinely used for analysis of canine and feline urine; however, most of these products are designed for evaluating human urine. Therefore, some of the results of these tests may not be valid for companion animals. For example, when evaluating urine from cats, the leukocyte reagent pad is routinely positive, even if there are no white blood cells in the sample. Don’t be fooled by this false positive result when evaluating cat urine by the reagent strip method. Microscopic evaluation of urine sediment should always be included in a complete urinalysis. Other diagnostic pitfalls to avoid: Diagnostic Pitfall: Hematuria is synonymous with lower urinary tract disease. Diagnostic Safeguard: Hematuria can originate from any portion of the urinary tract as well as from generalized coagulation disorders (e.g. Von Willebrand’s disease). Avoid diagnosis of lower urinary tract disease before localizing the origin of bleeding. Diagnostic Pitfall: Ease of transurethral catheterization during cystotomy indicates that uroliths are not in the urethral lumen. Diagnostic Safeguard: Some uroliths, especially those with an irregular contour (e.g. uroliths composed of calcium oxalate) may allow passage of catheters and flushing solutions. Comparing urolith numbers detected by radiography prior to surgery, to the number of uroliths removed will be helpful. As a safeguard, radiograph patients following cystotomy to insure complete urolith removal.

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Diagnostic Pitfall: Urethral obstruction in cats is synonymous with plug formation. Diagnostic Safeguard: Approximately 25% of cats with lower urinary tract disease have uroliths. Flushing and catheterization of the urethra may be sufficient to disrupt urethral plugs; however, they may be ineffective in preventing reobstruction caused by uroliths. A lateral survey radiograph prior to unobstructing the urethra will help differentiate most urethral plugs from uroliths. Diagnostic Pitfall: Hyperamylasemia in dogs is pathognomic with pancreatitis. Diagnostic Safeguard: In addition to pancreatitis, serum concentrations of amylase and lipase are also elevated 2 to 3 times greater than the normal value in azotemic dogs without pancreatitis. Radiography and ultrasonography of the cranial abdomen are helpful to differentiate pancreatitis from azotemia in patients with hyperamylasemia and hyperlipasemia.

PLAN YOUR WORK To maximize diagnostic efficiency and avoid the pitfalls of frenzied data collection, develop a diagnostic plan to search for the common causes, identify the treatable problems and rule out life threatening conditions (Table 4). Avoid diagnostic chaos and inertia by defining the problem first, collecting appropriate samples under proper conditions, and understanding the meaning of a positive test.

Bibliografia 1. 2. 3.

Lulich JP, Osborne CA: Overview of diagnosis of feline lower urinary tract disorders. Vet Clin N Amer(Small Anim Pract), 1996; 26:339-352. Kruger JM, et al. Clinical evaluation of cats with lower urinary tract disease. J Amer Vet Med Assoc. 1991; 211: 199. Lulich JP, Osborne CA, Bartges JW, Polzin DJ. Canine lower urinary tract diseases, In Textbook of veterinary internal medicine ed. Ettinger SJ and Feldman EC, W B Saunders, Philadelphia, 1995, pp 1833-1861.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

141

Management delle infezioni urinarie di difficile soluzione Jody P. Lulich DVM, PhD, Dipl ACVIM - Università del Minnesota, USA

Estratto breve I clinici si trovano comunemente ad affrontare il problema della mancata risposta ad una terapia antimicrobica apparentemente adeguata. Questa evenienza si manifesta di solito clinicamente con la mancanza totale o parziale di un miglioramento clinico o con un peggioramento. La risposta abitualmente adottata, cioè la scelta di un antibiotico differente, presume che l’opzione terapeutica iniziale fosse inadeguata. Ciò è possibile; tuttavia, una causa comune della persistenza dei segni clinici è rappresentata dai disordini non infettivi che simulano una malattia infettiva. Per evitare una diagnosi errata, è necessario per prima cosa effettuare un’urocoltura. L’urocoltura è lo standard aureo per la diagnosi delle infezioni del tratto urinario. Diagnosticare le infezioni batteriche di questo apparato unicamente sulla base dei segni clinici porta di solito ad errori diagnostici. La mancata esecuzione delle urocolture o l’incapacità di interpretarne correttamente i risultati può portare non solo ad errori diagnostici, ma anche ad insuccessi terapeutici. COSA SONO LE UROCOLTURE TERAPEUTICHE? Nelle urocolture diagnostiche il prelievo viene effettuato prima della terapia per verificare l’infezione del tratto urinario. A differenza delle urocolture diagnostiche, in quelle terapeutiche il prelievo viene effettuato durante la terapia ed i risultati ottenuti sono importanti per verificare l’eradicazione dell’infezione del tratto urinario. L’esecuzione di ripetute urocolture è essenziale per il monitoraggio dell’efficacia terapeutica perché in vivo la validità di un agente antimicrobico può

essere influenzata da fattori diversi dalla sensibilità in vitro. È necessario allestire una coltura con un campione di urina prelevato mediante cistocentesi a distanza di 3-5 giorni dall’inizio della terapia (il cosiddetto “test di verifica di avvenuta guarigione”). Si ritiene che la terapia abbia avuto successo soltanto se l’urina non contiene alcun microrganismo patogeno vitale. Il trattamento è inefficace se il conteggio delle colonie batteriche è stato soltanto ridotto. È probabile che a questo stadio siano presenti ematuria, piuria e proteinuria, anche se possono essere di minore entità. QUANDO SI DEVE PRENDERE IN CONSIDERAZIONE IL RICORSO ALLE UROCOLTURE TERAPEUTICHE? La necessità di ripetere le urocolture dipende dalla gravità della malattia, dalla causa che ha determinato l’impiego degli antimicrobici, dal rischio associato all’uso di questi farmaci e dalla salute del paziente. Nei soggetti con alto rischio di morbilità e mortalità (prostatite, pielonefrite, immunosoppressione, ostruzione del tratto urinario), si deve considerare la valutazione di un’urocoltura e l’analisi dell’urina 3-5 giorni (o prima se necessario) dopo l’inizio della terapia con antimicrobici e 3-5 giorni prima del momento in cui si prevede di interromperla, specialmente se si devono impiegare antibiotici a scopo profilattico per prevenire le infezioni del tratto urinario che recidivano frequentemente. L’urocoltura va ripetuta anche quando i segni clinici persistono oltre il limite previsto per la correzione delle alterazioni a carico dell’apparato. Ad esempio, durante la dissoluzione di uroliti di struvite indotti da cause infettive, la disuria clinicamente manifesta spesso viene mitigata entro 7-14 giorni di terapia. In caso di persistenza della disuria si deve prendere in considerazione l’urocoltura.

IMPIEGO DELLE UROCOLTURE TERAPEUTICHE PER LA DIAGNOSI ED IL TRATTAMENTO DELLE INFEZIONI RICORRENTI La ricomparsa dei segni clinici e/o di laboratorio dell’infezione del tratto urinario dopo la sospensione della terapia può essere distinta in recidive, reinfezioni o superinfezioni. Le recidive (infezioni persistenti) di definiscono come ricomparse della malattia causate dalla stessa specie e ceppo sierologico di microrganismo entro diverse settimane dalla data della cessazione della terapia. Questi episodi sono di solito associati ad insuccesso della terapia antimicrobica e persistenza del microrganismo d’origine. La terapia antimicrobica preventiva NON è appropriata per il trattamento dell’infezione del tratto urinario di origine batterica dovuta a recidive. Si deve prendere in considerazione l’eliminazione della causa primaria, l’estensione della durata della terapia antimicrobica, l’aumento del dosaggio e/o la scelta di agenti antimicrobici dotati di una migliore penetrazione (cioè, liposolubilità). Le reinfezioni vengono definite come infezioni ricorrenti causate da uno o più agenti patogeni diversi. A differenza delle recidive, nella maggior parte dei casi compaiono ad intervalli di tempo più prolungati dopo la cessazione della terapia. Le reinfezioni sono di solito associate a mancato riconoscimento o eliminazione delle cause sottostanti (infezioni complicate). In alcuni pazienti con infezione cronica del tratto urinario, può essere impossibile eliminare le cause predisponenti. In questi casi, può risultare utile somministrare una terapia antibatterica a basso dosaggio (preventiva) a tempo indefinito (6 mesi o più) utilizzando farmaci che vengano eliminati principalmente attraverso l’urina. È possibile impiegare dosaggi ridotti (circa 1/3-1/2 della dose terapeutica giornaliera) di farmaci escreti in elevate concentrazioni nell’urina, a condizione che si sia già ottenuta una completa eradicazione dei batteri patogeni con i dosaggi terapeutici (dose antimicrobica completa per 4-6 settimane) del farmaco appropriato. Questo protocollo preventivo non porta ad ottenere una MIC per tutta la durata della giornata, ma la presenza di basse concentrazioni di alcuni farmaci sembra interferire con la produzione di fimbrie da parte di certi agenti patogeni del tratto urinario. Ciò, a sua volta, interferisce con la loro capacità di aderire alle cellule uroepiteliali. È preferibile somministrare una dose preventiva giornaliera di antibiotico nel momento in cui si può presumere che il farmaco verrà trattenuto nelle vie urinarie per parecchie ore (cioè, prima di andare a dormire).


142

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Le micosi profonde di interesse oftalmologico Federica Maggio Med Vet - Nort Carolina, State University, USA

Estratto breve Lo scopo di questa breve relazione è di illustrare le varie e numerose patologie micotiche che possono coinvolgere l’occhio. Queste includono patologie profonde e superficiali e colpiscono generalmente sia il cane che il gatto, anche se in genere dimostrano una certa predilezione per l’una o l’altra specie. Per micosi superficiali si intendono quegli agenti responsabili di coinvolgimento delle strutture più esterne dell’occhio, quale la cornea, responsabili quindi di cheratiti infettive che possono esitare in patologie ulcerative perforanti. Si tratta di patologie di non comune riscontro, e gli agenti responsabili sono vari, tra cui A. fumigatus, C. albicans, Cladosporium sp. ed altri. Tra le micosi disseminate profonde, Blastomyces dermatidis è maggiormente segnalato nel cane, mentre Cryptococcus neoformans è più frequente nel gatto. Numerose altri agenti fungini responsabili di infezioni che coinvolgano l’occhio severamente sono riportati in entrambe le specie, tra cui Histoplasma capsulatum, Coccidioides immitis, Aspergillus fumigatus, Candida albicans, Acremonium sp.. La via d’ingresso è generalmente quella inalatoria, e, da qui, per via ematogena, l’agente si diffonde a tutto l’organismo, causando lesioni oculari soprattutto per alcune specie, meno per al-

tre, dove possono rappresentare un reperto occasionale. La metodologia diagnostica varia a seconda dell’organismo considerato ed include esame sierologico, diagnosi citologica da aspirati vitreali, orbitali o del liquido cefalo-rachidiano ed esame istopatologico dei tessuti interessati. La lesione oculare di più frequente riscontro è rappresentata dall’invasione della coroide da parte del microorganismo, con maggiore interessamento del settore posteriore dell’occhio, piuttosto che di quello anteriore, e stimolando in misura variabile il sistema immunitario dell’ospite che reagisce con reazioni granulomatose o piogranulomatose. Da qui, lesioni coroidali, distacchi retinici, uveite anteriore e glaucoma secondari costituiscono i classici segni oftalmologici, ma il quadro si può estendere fino a considerare gravi panoftalmiti e coinvolgimento periorbitale. La prognosi e la risposta alla terapia dipendono spesso dalla specie coinvolta, dal grado d’invasione dei tessuti, se ad esempio il sistema nervoso è coinvolto o meno, e dall’assetto immunitario dell’ospite. Diversi sono gli agenti anti-micotici adottati in passato ed al presente, dal ketoconazolo, alla flucitosina, amfotericina B, fino ai più recenti itraconazolo e fluconazolo. La terapia, indipendentemente dall’agente usato, si protrae generalmente per diversi mesi, con monitorizzazione dei parametri ematici, dei sintomi clinici e del titolo sierologico, quando questo è applicabile.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

143

L’occhio e le malattie da zecca Federica Maggio Med Vet - Nort Carolina, State University, USA

Estratto breve Riphicephalus sanguineous, Ixodes pacificus, Ixodes ricinus and Dermacentor sp. sono gli agenti vettori ritenuti responsabili della trasmissione di Ehrlichiosi e Rickettsiosi canine in Italia e nel resto del mondo. E. canis è associata con le manifestazioni oculari più gravi della malattia, ma E. chaffensis, E. equi ed E. platys possono causare lesioni uveitiche e corioretiniche. E. canis si replica a livello delle cellule mononucleari (fase acuta), stimolando secondariamente una reazione immunitaria dell’organismo (fase cronica), ritenuta la responsabile delle manifestazioni oculari. Queste non sono riportate in ogni soggetto colpito, ma variano da uveiti anteriori, con possibile glaucoma secondario, a lesioni del settore posteriore dell’occhio, con corioretinite, distacchi retinici, emorragie retiniche e neurite ottica. Rickettsia rickettsii è l’agente causale della Rocky Mountain Spotted Fever, diffusa negli Stati Uniti, anche se, sulla base di numerose segnalazioni e recentissime indagini genetiche, sembra essere stata segnalata anche in Europa ed in

Italia. R. rickettsii si replica all’interno delle cellule endoteliali, causando una grave vasculite ed attivazione del sistema coagulativo e piastrinico, con le conseguenti manifestazioni oculari di emorragie congiuntivali, iridiche, retiniche e uveite anteriore con ifema. Le lesioni posteriori sono meno gravi e frequenti di quelle riportate in corso di Ehrlichiosi, cionondimeno possono esitare in edema retinico ed infiltrati retinici infiammatori perivascolari. La terapia d’elezione per le forme di Rickettsiosi è ancora ritenuta la doxiciclina a dosaggi variabili tra 10 e 20 mg/kg BID, mentre topicamente la terapia dell’uveite anteriore prevede l’uso di corticosteroidi e cicloplegici/midriatici, od inibitori dell’anidrasi carbonica in associazione con timolo topici in caso di glaucoma secondario. Bartonella sp, da sempre associata alla pulce nel gatto, è stata recentemente identificata anche all’interno di numerose zecche del genere Ixodes e Riphicephalus. In medicina umana, le lesioni causate da Bartonella henselae sono note e possono coinvolgere il settore posteriore dell’occhio con gravi neuroretiniti, neuriti o corioretiniti. Di recente, è stato ipotizzata l’importanza di questo agente come responsabile di uveiti anteriori e posteriori nel cane e nel gatto.


144

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Anatomia funzionale dei pesci ornamentali: risvolti clinici e gestionali pratici Maurizio Manera Med Vet - Università di Teramo

Estratto completo Note introduttive I pesci sono i vertebrati più rappresentati, assommando il 60% delle specie conosciute1. Fra queste la stragrande maggioranza (circa il 96%) è rappresentata da pesci ossei. In virtù di questo il vertebrato “tipico” può essere considerato a tutti gli effetti un pesce osseo. Purtroppo nonostante queste evidenze scientifiche e l’importanza economica dei pesci, come specie edibili ed ornamentali, non si assiste, perlomeno in Italia, ad un proporzionale interessamento da parte della categoria veterinaria a tale affascinante raggruppamento tassonomico. Delle circa 20000 specie conosciute circa il 58% sono marine, e di queste il 69% vive in acque temperate o calde, con il picco di biodiversità in prossimità della formazioni coralline1. Nell’ambito dei pesci ornamentali, la parte del leone spetta, comunque, ai pesci di acqua dolce e questo per tutta una serie di motivazioni, fra le quali la possibilità di riprodurli in cattività e la notevole rusticità/adattabilità rispetto alle specie marine.

Conformazione esterna I pesci nel corso della loro evoluzione hanno di fatto modificato la primordiale struttura fusiforme per assumere forme quanto mai varie, comunque relazionate alla particolare nicchia ecologica occupata. Per quanto riguarda i pesci comunemente ospitati nell’acquario di comunità di acqua dolce prevale la forma più o meno compressa latero-lateralmente con alcune varianti parzialmente compresse dorso-ventralmente (pesci di fondo). Si riconosce un capo, delimitato caudalmente dal margine dell’opercolo branchiale; un corpo, dal margine caudale dell’opercolo fino al margine caudale dell’orifizio analegenitale-urinario; una coda, dal margine prima richiamato fino all’etremità della pinna caudale. I pesci dispongono inoltre di pinne, di cui alcune impari (dorsale, anale, caudale) ed alcune pari (pettorali e ventrali). Queste ultime possono trovarsi in posizione pelvica, pettorale o giugulare, rispettivamente caudalmente, in prossimità o cranialmente rispetto alle pinne pettorali. I raggi delle pinne, in particolare della pinna dorsale possono essere ossei o “molli”. La conformazione delle pinne, il numero di raggi ossei o non ossei, insieme ad altri elementi, varia da specie a specie ed assume valenza diagnostica in termini tassonomici. Inoltre il portamento delle pinne (ripiegate,

aderenti al corpo, invece che distese) può dare utili informazioni circa lo stato di salute generale del pesce. Altro elemento anatomico visibile all’esterno, quando presente, è la linea laterale, importante struttura sensoriale disposta lateralmente al tronco ed al capo del pesce con una conformazione, anch’essa specie-specifica. Essa consiste in una struttura tubulare sottocutanea, in collegamento con l’esterno, dotata di strutture recettoriali (neuromasti), atte a percepire variazioni pressorie nell’acqua circostante3. Tale struttura è alla base del riflesso di fuga evocato battendo sulla vasca dell’acquario con le nocche delle dita per saggiare la reattività dei pesci agli stimoli.

Apparato muscoloscheletrico Anche i pesci, al pari degli altri vertebrati, possiedono uno scheletro assile (cranio, colonna vertebrale) ed appendicolare (cinto scapolare e cinto pelvico). L’articolazione dei due cinti è fortemente influenzato dalla specie, fino ad arrivare a specie in grado di utilizzarli per una rudimentale deambulazione. I pesci possiedono due tipi fondamentali di tessuto osseo, di cui uno cellulare ed uno “acellulare”. I pesci presentano inoltre forme di ossificazione incompleta con persistenza della matrice cartilaginea ed ossificazione periferica3. È da notare come i pesci, vivendo in un ambiente che attenua gli effetti della forza di gravità, mediamente ricco in calcio, e potendo assorbire tale elemento, tramite le branchie, direttamente dall’acqua, possiedano uno scheletro mediamente poco mineralizzato se confrontato ai vertebrati terrestri. Per quanto riguarda il muscolo, nei pesci viene mantenuta la metameria tipica della fase embrionale dei vertebrati pur con delle modificazioni nella forma a “W”, invece che a “V”. Ogni miomero è separato da un altro a mezzo di un miosetto trasversale. Si riconoscono, comunque, 2 raggruppamenti muscolari dominanti: la muscolatura epiassiale (dorsalmente alla colonna vertebrale) e la muscolatura ipoassiale (ventralmente alla colonna vertebrale) separate da un miosetto longitudinale. L’insieme della muscolatura costituisce il muscolo laterale del pesce, che rappresenta gran parte della massa corporea totale (circa il 60%)2. Contrariamente ai mammiferi, ove i muscoli possono presentare diversi tipologie morfo-funzionali di fibrocellule, nei pesci si riconosce un muscolo rosso, ricco in grassi, particolarmente vascolarizzato, a metabolismo aerobico e contrazione lenta, utilizzato nel nuoto a velocità di crociera, ed un muscolo bianco, meno vascolarizzato, a metabolismo anaerobico e contrazione rapida, utilizzato nello scatto fulmineo2.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Tegumento Il tegumento dei pesci è assimilabile, a grandi linee, a quello degli altri vertebrati acquatici, distinguendosi da quelli terrestri, principalmente per la presenza di un epidermide mucinogenetica. L’epidermide consta da una rete di cellule malpighiane (così dette “cellule contenenti filamenti”), caratterizzate dall’essere attive mitoticamente ad ogni livello, all’interno della quale si rinvengono cellule mucipare, cellule clavate (con nomi e conformazioni variabili a seconda della specie), melanofori od altri cromatofori, leucociti, nonché complessi recettoriali gustativi, e sensoriali (neuromasti). L’epidermide è particolarmente plastica potendo modulare la popolazione cellulare in funzione degli stimoli ambientali od endogeni con tutta una serie di ripercussioni cliniche e gestionali pratiche. Tra derma ed epidermide e fra derma ed ipoderma si rinvengono numerosi cromatofori, classificabili in base al colore/natura del pigmento in melanofori (melanina), eritrofori (pteridine), iridofori, guaninofori (purine), xantofori (carotenoidi) responsabili, della livrea del pesce e delle repentine variazioni cromatiche riscontrabili in alcune specie ittiche. I pesci presentano inoltre un dermascheletro, formato da squame, embricate fra loro, accolte all’interno di tasche dermiche ed interamente ricoperte da epidermide3. Nei pesci ossei di interesse acquaristico si riscontra quasi esclusivamente la tipologia di squama cicloide, con la sua variante ctenoide (presenza di dentelli sulla superficie esterna). L’istogenesi della squama rappresenterebbe una forma particolare di ossificazione intramembranosa. Le squame possono contribuire, insieme allo scheletro, o preferenzialmente rispetto allo scheletro, allo stoccaggio e mobilizzazione del calcio. L’epidermide risulta coperta da uno strato mucoso (così detta cuticola), ricco in sostanze ad attività batteriostatica, l’integrità del quale è di primaria importanza per il mantenimento della corretta omeostasi del pesce. Al di sotto è presente un derma lasso, un derma compatto, con una struttura e funzione simil-legamentosa, ed un ipoderma più o meno sviluppato a seconda della specie e del metabolismo lipidico.

Apparato respiratorio-escretore Sebbene i pesci notoriamente ossigenino il proprio sangue per il tramite delle ventilazione branchiale vi sono metodiche alternative o complementari a tale strategia, adoperate da diversi raggruppamenti tassonomici più o meno comunemente ospitati in acquario4. Nell’ambito degli Anabantidi, si riscontra una vera e propria respirazione di aria atmosferica che viene forzata all’interno di diverticoli faringei particolarmente vascolarizzati (labirinto), all’interno dei quali avviene l’ematosi. Altre specie ittiche sono in grado di utilizzare alcuni tratti dell’apparato gastro-intestinale (esofago, stomaco, retto), l’opercolo, la vescica natatoria, la pelle stessa come strutture ausiliari o alternative alla ventilazione branchiale. Per quanto riguarda la classica ventilazione branchiale è normalmente garantita dalla pompa bucco-opercolare che garantisce un flusso di acqua in controcorrente rispetto alla direzione di scorrimento del sangue nel circolo branchiale. L’apparato branchiale consta di 4 archi branchiali, ognuno costituito da due emibranchie. Ogni emibranchia è costituita da numerosi filamen-

145

ti branchiali o lamelle primarie, ognuno dei quali supporta numerose lamelle secondarie (sede dell’ematosi) disposte perpendicolarmente a questi. L’epitelio respiratorio è costituito da cellule epiteliali pavimentose che poggiano a contatto dell’impalcatura vascolare costituita dalle “pillar cells”, cellule endoteliali modificate con spiccate proprietà contrattili che delimitano le lacune ematiche. Alla base della lamella secondaria, si trovano cellule mucipare e cellule a cloruri, quest’ultime deputate all’osmo-ionoregolazione3. Ogni lamella primaria è servita da una arteria afferente ed una arteria efferente, con delle lacune ematiche interposte. L’aumento dell’ematosi è garantito oltre che per il tramite dell’aumento della frequenza di ventilazione anche dal reclutamento di un numero maggiore di lamelle secondarie branchiali4. Infatti in condizioni di riposo solo una minima parte viene effettivamente perfusa, per ridurre al minimo le resistenze e ridurre il dispendio in termini osmoregolativi (compromesso osmo-respiratorio)5. A tal proposito è importante sottolineare come le branchie non rappresentino solo l’organo respiratorio per eccellenza dei pesci, ma anche la sede deputata appunto all’osmo-ionoregolazione, al mantenimento dell’equilibrio acido-base, all’escrezione azotata e di altri composti di natura endogena od esogena. In riferimento all’escrezione azotata (l’escreto principale è l’ammoniaca/ione ammonio) è importante notare come sia facilitata in acque dolci ed a pH acido, mentre sia rallentata in acqua dure ed a pH basici6.

Apparato cardiocircolatorio I pesci possiedono un sistema circolatorio singolo. Il cuore ha quattro cavità: seno venoso, atrio, ventricolo e bulbo arterioso. Questa ultima struttura ricca in fibre elastiche funge da depulsatore e da capacitore, attenuando i picchi pressori del sangue a livello branchiale (le branchie seguono immediatamente il cuore) e garantendo il mantenimento della pressione in diastole. Contrariamente ai mammiferi la pressione residua venosa in ingresso è prossima a zero, se non addirittura negativa, a seguito di una vera e propria azione “aspirante” svolta dal cuore, o meglio della cavità pericardica, aiutata da un pericardio poco estensibile od inestensibile in alcune specie4,7. La estrema ramificazione della rete mirabile branchiale, congiuntamente alla sua delicatezza, possono causare in concomitanza della cattura del pesce e quindi di movimenti respiratori a vuoto (con picchi di depressione in cavità branchiale), la rottura della trama vascolare con la comparsa di telangestasie od emorragie. Contrariamente ai mammiferi la portata cardiaca è maggiormente influenzata dal volume di eiezione piuttosto che dall’aumento della frequenza cardiaca ad eccezione dei grandi pelagici (tonni)4. Il bulbo arterioso si continua in una aorta ventrale che, tramite le arterie afferenti ed efferenti branchiali, vascolarizza le branchie. Segue una aorta dorsale dalla quale si diramano le arterie deputate alla vascolarizzazione dei visceri (ad es. arteria mesenterica, arterie renali) o della muscolatura e tegumento (arterie segmentali). Per quanto attiene al ritorno venoso è importante notare come i pesci dispongano oltre che di un circolo portale epatico, anche di un circolo portale renale, drenante parte del sangue refluo della regione caudale4, con tutte le eventuali riper-


146

cussioni patologiche e farmacologiche che questa caratteristica anatomica potrebbe comportare. Eventuali prelievi ematici possono essere effettuati tramite puntura cardiaca o della vena o arteria caudale.

Apparato digerente L’apparato digerente dei pesci è assimilabile per struttura e funzione a quello degli altri vertebrati, pur con alcune peculiarità. Per quanto riguarda la bocca, essa è strutturata in base alle abitudini alimentari del pesce. Diversamente dai mammiferi, non si assiste ad una masticazione propriamente detta nella cavità buccale. Può avvenire qualcosa di assimilabile a livello faringeo nei pesci dotati di denti faringei. A livello del palato alcuni pesci presentano denti molariformi, utilizzati per frantumare i gusci o gli esoscheletri delle proprie prede. Il faringe, comprendente gli archi branchiali, immette nell’esofago, cui segue lo stomaco, variamente conformato o, addirittura assente, a seconda della specie. Allo stomaco segue un intestino anteriore e, quindi, un intestino posteriore conformati differentemente a seconda delle abitudini alimentari, nonostante i pesci presentino notevoli capacità plastiche sia in termini strutturali che funzionali. A carico dell’intestino anteriore alcune specie presentano dei diverticoli di mucosa intestinale (cechi pilorici) in grado di aumentare enormemente la superficie di assorbimento8,9. Alcuni pesci presentano dei cechi a carico dell’intestino posteriore, entro i quali avverrebbero fermentazioni batteriche9. A tal proposito è interessante notare come le camere di fermentazione batterica nei pesci rappresentino un’eccezione rispetto ai mammiferi. L’intestino è parzialmente implicato nella osmo-ionoregolazione (assorbimento dell’acqua e dei cationi divalenti)10,11. Diverticolo del tratto gastro-intestinale, in particolare dell’esofago, è la vescica natatoria, struttura deputata al mantenimento dell’assetto nella colonna d’acqua. A seconda che il collegamento con l’esofago (dotto pneumatico) persista o meno i pesci vengono rispettivamente classificati in fisostomi o fisoclisti. La vescica natatoria viene più o meno insufflata principalmente da ossigeno (fino 80%), ma anche azoto ed anidride carbonica con un efficientissimo meccanismo di produzione di gas in controcorrente che sfrutta l’acidificazione ematica e la dissociazione dell’ossigeno dall’emoglobina per effetto “Root” a livello di ghiandola del gas (rete mirabile). Il gas può fuoriuscire tramite il dotto pneumatico, quando presente, od essere riassorbita attraverso una struttura anatomica apposita (ovale)12. Sono segnalati difetti anatomici e funzionali della vescica natatoria con ripercussioni sulla motilità dei pesci affetti13. Al tubo gastro-enterico sono associate la ghiandola epatica e pancreatica. Quest’ultima non è un organo discreto, consta di una porzione esocrina ed endocrina, e può essere inglobata nel fegato (impropriamente epatopancreas), tra i cechi pilorici, nello spessore della parete intestinale. Per quanto riguarda il fegato degna di nota è la differenziazione in base al metabolismo lipidico. I pesci così detti magri presentano un fisiologico accumulo di grassi di deposito a carico degli epatociti (il fegato appare di colorito chiaro, giallastro), mentre i pesci così detti grassi, presentano un organo di colorito simile a quanto riscontrabile nei mammiferi3. I pesci orna-

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

mentali per problematiche alimentari spesso vanno incontro a processi francamente steatosici, lipoidosici con gravi ripercussioni sul metabolismo.

Pronefro e mesonefro e note di osmoregolazione Il rene definitivo dei pesci ossei è il mesonefro. Nel corso dell’embriogenesi si forma un pronefro che persiste nella fase post-larvale con funzione emopoietica. Anche l’interstizio del mesonefro possiede tale peculiare funzione3. Il nefrone dei pesci è strutturato in relazione alla specie, soprattutto, all’ambiente in cui essa vive11. L’azione escretrice per eccellenza è svolta nei pesci dalle branchie; ciò non toglie che i reni possano contribuire all’escrezione azotata, in modo particolare nei pesci d’acqua dolce caratterizzati da urine abbondanti ed isotoniche in grado di diluire i piccoli quantitativi di ammoniaca escreta per tale via6. Un danno renale, nei pesci d’acqua dolce, più che esitare in ammoniemia, causerà quindi idropsia. Il rene, al pari degli altri vertebrati, svolge inoltre un ruolo nella osmo-ionoregolazione. I pesci d’acqua dolce, vivendo in un ambiente ipotonico rispetto ai fluidi corporei ittici, tendono a perdere sali per diffusione ed assorbire acqua per osmosi. I pesci recuperano quindi sali con le branchie ed eliminano l’eccesso d’acqua attraverso urine ipotoniche ed abbondanti. Viceversa i pesci di mare, vivendo in un ambiente ipertonico, tendono ad accumulare sali per diffusione e perdere acqua per osmosi. I pesci marini sono costretti a bere molto (o ad utilizzare l’acqua metabolica derivante dall’ossidazione dei grassi), a dissalare l’acqua bevuta all’interno del tratto gastro-enterico, smaltendo l’eccesso di sali attraverso le branchie e a recuperare acqua attraverso urine isotoniche10,11. Non disponendo di un’ansa di Henle i pesci non sono infatti in grado di concentrare le urine.

Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13.

Bone Q, Marshall NB, Blaxter JHS (1995) Biology of fishes, Chapman & Hall, London, 1-24. Bone Q, Marshall NB, Blaxter JHS (1995) Biology of fishes, Chapman & Hall, London, 44-78. Roberts RJ (1990) Patologia dei pesci (edizione italiana), Edizioni Agricole, Bologna, 12-46. Jobling M (1995) Environmental biology of fishes, Chapman & Hall, London, 93-136. Wedemeyer GA (1996) Physiology of fish in intensive culture systems, Chapman & Hall, London, 10-59. Wedemeyer GA (1996) Physiology of fish in intensive culture systems, Chapman & Hall, London, 60-110. Bone Q, Marshall NB, Blaxter JHS (1995) Biology of fishes, Chapman & Hall, London, 96-125. Bone Q, Marshall NB, Blaxter JHS (1995) Biology of fishes, Chapman & Hall, London, 152-169. Jobling M (1995) Environmental biology of fishes, Chapman & Hall, London, 175-210. Jobling M (1995) Environmental biology of fishes, Chapman & Hall, London, 211-249. Bone Q, Marshall NB, Blaxter JHS (1995) Biology of fishes, Chapman & Hall, London, 126-151. Jobling M (1995) Environmental biology of fishes, Chapman & Hall, London, 251-295. Manera M, Borreca C (2000) La vescica natatoria, Il mio acquario, 18: 50-53.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

147

Patologia generale dei pesci ornamentali: risvolti clinici e gestionali pratici Maurizio Manera Med Vet - Università di Teramo

Estratto completo Note introduttive I pesci condividono con il resto dei vertebrati il medesimo progetto corporeo di base, sia in termini strutturali che funzionali. Ne deriva che medesime saranno le modalità reattivo-difensive fondamentali, seppur influenzate, nella loro espressione, dalle peculiarità tipiche della vita acquatica1. I pesci, inoltre, essendo animali pecilotermi, risentono della temperatura anche per quanto attiene alle modalità reattive1,2. Sono diverse, infatti, le patologie ittiche riscontrabili in occasione di bruschi sbalzi di temperatura.

Modalità reattive I pesci sono in grado di esprimere le tipologie reattive riscontrabili negli altri vertebrati ed in essi sono stati riscontrati diversi mediatori della flogosi tipici dei mammiferi2,3. Tuttavia, per ragioni non del tutto chiarite, i tessuti dei pesci non manifestano la tipica flogosi acuta, improntata sulla risposta ed alterata permeabilità vasale, con la stessa frequenza con cui si riscontra nei mammiferi, esprimendo, più di frequente, modalità reattive, sub-acute, croniche di tipo infiltrativo/proliferativo4. I pesci dispongono di tipologie leucocitarie assimilabili strutturalmente e, probabilmente anche funzionalmente, a quelle dei mammiferi, anche se sono state individuate e studiate solo in un limitato numero di specie ittiche. Degno di nota è il differente comportamento dei granulociti neutrofili ittici, dotati di ridotte capacità fagocitarie e caratterizzati da una spiccata attività microbicida extracellulare con notevole danneggiamento dei tessuti circostanti (colliquazione piuttosto che trasformazione purulenta)4. Di interesse nei meccanismi flogistici ittici sono le cellule granulari eosinofiliche (EGC), che rappresenterebbero l’equivalente ittico dei mastociti dei mammiferi, pur distinguendosene per l’assenza di istamina3. Altre cellule verosimilmente implicate nella prima linea difensiva epiteliale nei confronti di parassiti, ma anche di insulti tossici, sono le rodlet cells, cellule enigmatiche, addirittura considerate in un recente passato protozoi5,6. Altre strutture tipicamente ittiche, implicate nei meccanismi reattivi sono gli aggregati dei macrofagi, rinvenibili a livello di rene, milza, fegato, ma anche di altri tessuti in condizioni parafisiologiche (ad esempio follicoli ovarici atresici) o nettamente patologiche (focolai di flogosi cronica granulomatosa)7.

Stress Lo stress venne originariamente definito da Selye nel 1926 come “la risposta non specifica dell’organismo nei confronti di ogni stimolazione diretta nei suoi confronti”. Da questa definizione si evince chiaramente che lo “stress” è una risposta fisiologica dell’organismo (eustress) e non si identifica, come si suole fare nel linguaggio colloquiale, con l’evento stressante (stressore). I pesci non differiscono dagli altri vertebrati per quanto attiene ai meccanismi fisopatologici dello stress, e possono manifestare le classiche tre fasi nelle quali esso si sviluppa: reazione di allarme, fase di resistenza, fase di esaurimento. Fra gli eventi/fattori particolarmente stressanti per i pesci di acquario si ricordano, gli sbalzi od eccessi nei due sensi della temperatura, l’ipossia (con conseguente ipercapnia ed acidosi) e l’iperammoniemia. Anche la cattura ed il trasporto in condizioni precarie costituisce un evento fortemente stressante e frequentemente mortale per i pesci ornamentali. I pesci stressati si manifestano apatici, spesso più scuri del normale (azione neuro-endocrina sui cromatofori), e soggetti all’attacco di patogeni opportunisti (Cytophagaceae, Saprolegnaceae, ecc.)1.

Note di immunologia I pesci al pari di ogni altro vertebrato possiedono meccanismi difensivi, immunitari in senso lato, aspecifici (naturali), e specifici (acquisiti). I meccanismi aspecifici, sia cellulari che umorali costituiscono una sorta di prima linea difensiva nei confronti degli agenti eziologici infettivi/infestivi e sono, per certi versi, preponderanti sui meccanismi specifici, anch’essi suddivisibili in umorali e cellulari, rispetto ai mammiferi2,3,8,9. L’attività immunitaria aspecifica cellulare è da imputarsi all’azione fagocitaria dei monociti/macrofagi, all’azione “patogenocida” extracellulare dei granulociti neutrofili e di altri granulociti, all’azione di cellule citotossiche non specifiche e delle cellule granulari eosinofiliche, nonché all’attività delle rodlet cell3,5,6. Per quanto riguarda il repertorio immunitario aspecifico umorale si considerano il lisozima (mucose), il complemento, l’interferone, la proteina Creattiva, la transferrina, le lectine e varie sostanze eterogenee (emolisine, chitinasi, proteinasi, precipitine, ecc.)8. In riferimento ai meccanismi immunitari specifici i pesci possiedono linfociti T e B, nonché il complesso maggiore di istocompatibilità tipo I e II, requisiti indispensabili per una adeguata espressione dell’immunità acquisita2. La struttura an-


148

ticorpale di base è assimilabile a quella degli altri vertebrati con un’unica classe simile alle IgM dei mammiferi seppur a struttura tetramerica. I meccanismi di azione degli anticorpi sono: neutralizzazione, precipitazione ed agglutinazione, opsonizzazione, funzioni mediate dal complemento (opsonizzazione, lisi batterica).

Note di patologia d’organo/apparato Di seguito vengono riportate alcune brevi note sulle modalità reattive di alcuni organi/apparati di particolare interesse pratico in campo acquaristico senza, peraltro, andare nei meriti sistematici.

Branchie1,10 Le branchie sono caratterizzate da una conformazione funzionale volta all’ottimizzazione della loro funzione ossigenatrice, escretrice ed iono- osmoregolatrice. Ogni alterazione dell’interfaccia sangue/acqua e del normale flusso ematico od idrico inciderà pesantemente sull’omeostasi ittica. Le branchie reagiscono in maniera monotona indipendentemente dalla natura dello stimolo con un edema lamellare acuto (in modo particolare nei pesci di acqua dolce), cui può seguire la necrosi dell’epitelio respiratorio e la disgregazione del sistema lacunare lamellare, e con una imponente ipersecrezione mucosa. Il pesce affetto aumenta abnormemente i movimenti respiratori ed è spesso possibile percepire la fuoriuscita dell’eccesso di muco dalla camera branchiale ed in casi gravi osservare una schiumosità sulla superficie della vasca. I pesci con irritazione branchiale possono inoltre “tossire”, invertendo il flusso dell’acqua che bagna le branchie nel tentativo di liberarsi dello stimolo irritante. Spesso è l’ipersecrezione mucosa ad essere implicata nell’alterazione della normale funzionalità branchiale ed è indispensabile agire prontamente con adeguati trattamenti detergenti, mucolitici (sali quaternari di ammonio, sale). Allorché lo stimolo dovesse persistere l’epitelio interlamellare tende a proliferare portando a fusione delle lamelle secondarie adiacenti e drastica riduzione conseguente dell’interfaccia sangue/acqua. Alcuni parassiti sono in grado di interferire col circolo branchiale occludendo i vasi afferenti e/o afferenti, con gravi ripercussioni emodinamiche. Una lesione branchiale coinvolgente il circolo di frequente riscontro a seguito di manipolazioni dei pesci e loro esposizione in aria è la telangectasia (aneurismi capillari) del sistema lacunare lamellare che può evolvere in fenomeni emorragici.

Tegumento1,11 Quanto detto in riferimento alle branchie vale anche per il tegumento caratterizzato da avere nei pesci una epidermide mucinogenetica e di essere implicato, in supporto, alle branchie nella iono-osmoregolazione. A tale proposito è interessante notare come spesso piccole ma diffuse lesioni epidermiche (ad esempio ictioftiriasi) possano avere gravi ripercussioni sulle capacità iono- osmoregolatrici che pos-

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

sono portare a morte il pesce colpito. I pesci di acqua dolce, inoltre, vivendo in un ambiente iposmotico rispetto ai propri fluidi corporei, tendono ad accumulare acqua nei tessuti del tegumento che abbia perso la propria barriera osmotica. Improprie manipolazioni dei pesci possono esitare in erosioni degli strati epidermici più superficiali, che congiunti con lo stress della cattura possono favorire l’attecchimento e proliferazione di patogeni opportunisti (Cytophagaceae, Saprolegnaceae, ecc.). Il tegumento può inoltre essere sede di lesioni emorragiche secondarie a forme batteriche sistemiche, che esitano spesso in vaste zone di ulcerazione con esposizione della muscolatura sottostante. I pesci con lesioni cutanee irritanti (in modo particolare protozoi ectoparassiti), manifestano irrequietezza e tentativi di liberarsi dello stimolo irritante, sfregando la superficie corporea sul fondo o sugli arredi della vasca con un caratteristico movimento di avvitamento.

Apparato digerente1,12 L’apparato digerente dei pesci è frequentemente affetto da diverse patologie ma, differentemente dai mammiferi, le forme specificatamente gastrointestinali sono meno frequenti o, perlomeno, poco studiate. Scarse sono inoltre le informazioni circa il risentimento organico generalizzato di tali forme dovuta ad una frammentaria e pionieristica conoscenza circa gli aspetti patogenetici. Infatti è stato fino ad oggi privilegiato un approccio perlopiù morfologico più che funzionale alle patologie di più frequente riscontro. Inoltre il tratto gastrointestinale ittico può subire fenomeni degenerativi ed involutivi fisiologici, perlopiù legati alle modificazioni endocrine nel periodo riproduttivo. Al pari delle altre mucose il tratto gastroenterico reagisce in maniera aspecifica ai patogeni di diversa natura con alterazioni della secrezione, nonché della motilità. In condizioni ottimali i pesci sono in grado di sopportare cospicue infestazioni parassitarie, causa di notevole danno locale (addirittura perforazione), senza apparente risentimento. Il tratto gastrointestinale rappresenta spesso la porta di ingresso per patogeni capaci poi di diffusione in altri organi e tessuti ed al suo interno di riscontrano frequentemente micro- e macroparassiti. Nei pesci d’acquario, per mancanza di eventuali ospiti intermedi, è possibile la diffusione solo delle parassitosi a ciclo diretto. Lo stress del confinamento fa sì che si rompa l’equilibrio ospite-parassita normalmente riscontrabile in natura, con risentimento clinicamente manifesto da parte dei pesci colpiti. La vescica natatoria è a tutti gli effetti un diverticolo del tubo gastroenterico ma presenta delle modificazioni strutturali legate alla particolare funzione svolta dalla stessa. La presenza di aria al suo interno modifica inoltre i quadri patologici ed il risultante risentimento per l’organismo. Sono infatti descritti risentimenti funzionali a carico della vescica che può risulta eccessivamente insufflata o scarsamente insufflata con intuibili ripercussioni sul mantenimento dell’assetto da parte del pesce. Per quanto riguarda le ghiandole annesse, di particolare interesse pratico è la ghiandola epatica, frequentemente sede di patologie su base nutrizionale, prima fra le quali la lipidosi. Eccessi lipidici, soprattutto costituiti da grassi con un profilo acidico non adeguato ai fabbisogni nu-


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

trizionali ittici (eccesso di grassi saturi o monoinsaturi, alterato rapporto n-3/n-6, grassi irranciditi), nonché carenza di fattori lipotropi (carnitina, vitamina H) causano il “ristagno” lipidico a livello epatico con sovvertimento della struttura e funzionalità epatica e grave risentimento sul pesce (disturbi riproduttivi, mortalità, ecc.). Anche un eccesso di carboidrati può ripercuotersi negativamente sul fegato promuovendovi un abnorme accumulo di glicogeno, meno mobilizzabile rispetto ai mammiferi.

149

e che possano presentare fisiologicamente granulazioni tubulari a seconda della stagione o del contesto fisiologico, possono complicare l’interpretazione dei principali quadri patologici ad occhi non avvezzi a questo tipo di organismi.

Bibliografia 1. 2.

1,13

Rene

3.

Il rene è organo frequentemente sede di patologie di varia natura. Purtroppo sono poco noti gli aspetti fisiopatologici per quanto attiene il possibile risentimento sull’omeostasi ittica di patologie primariamente o prevalentemente renali. Ciononostante è bene ricordare come nei pesci gran parte delle attività svolte dal rene in altri vertebrati (escrezione, iono-osmoregolazione) vengano o possano essere svolte anche a carico di altri distretti anatomici. Ne consegue che, generalizzando, il risentimento anche di gravi patologie renali sarà mediamente meno grave in un pesce rispetto un mammifero. Ad esempio in pesci di acqua dolce una delle più frequenti sequele di esteso danno renale è rappresentato dalla idropisia per incapacità da parte del rene di eliminare l’eccesso di acqua attraverso urine ipotoniche. Sconosciuto è comunque il risentimento di patologie croniche sul sistema renina-angiotensina e, quindi, sull’emodinamica. Fra le patologie di più frequente riscontro si annoverano forme parassitarie da mixosporidi a livello tubulare e forme batteriche nell’interstizio. Squilibri dietetici e dei parametri fisico-chimici dell’acqua possono essere causa di nefrocalcinosi. Il fatto che i pesci possiedano un interstizio emopoietico a livello di mesonefro

4. 5. 6.

7. 8.

9.

10. 11. 12. 13.

Roberts RJ (1990) Patologia dei pesci (edizione italiana), Edizioni Agricole, Bologna, 47-79. Manning MJ, Nakanishi T. (1996) The specific immune system: cellular defenses. In: The fish immune system (Iwama G, Nakanishi T, eds), Academic Press, San Diego, 159-205. Secombes CJ (1996) The nonspecific immune system: cellular defenses. In: The fish immune system (Iwama G, Nakanishi T, eds), Academic Press, San Diego, 63-103. Ferguson HW (1989) Systemic pathology of fish, Iowa State University Press, Ames, 3-10. Manera M, Dezfuli BS (2001) Le Rodlet Cells: queste sconosciute. Exotic files, 2(2): 20. Dezfuli BS, Simoni E, Rossi R, Manera M (2000) Rodlet cells and other inflammatory cells of Phoxinus phoxinus infected with Raphidascaris acus (nematoda). Dis Aquat Organ, 43: 61-69. Manera M (1997) Gli aggregati dei macrofagi dei pesci. Supplemento “Organismi acquatici e ambiente” a Laguna, 6: 24-33. Yano T (1996) The nonspecific immune system: humoral defense. In: The fish immune system (Iwama G, Nakanishi T, eds), Academic Press, San Diego, 105-157. Kaattari SL, Pignatelli J (1996) The specific immune system: humoral defense. In: The fish immune system (Iwama G, Nakanishi T, eds), Academic Press, San Diego, 207-254. Ferguson HW (1989) Systemic pathology of fish, Iowa State University Press, Ames, 11-40. Ferguson HW (1989) Systemic pathology of fish, Iowa State University Press, Ames, 41-63. Ferguson HW (1989) Systemic pathology of fish, Iowa State University Press, Ames, 125-145. Ferguson HW (1989) Systemic pathology of fish, Iowa State University Press, Ames, 64-89.


150

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Trattamento dell’acqua in acquario Le caratteristiche fisico-chimiche dell’acqua di acquario. I principali parametri di interesse acquariologico. Filtraggio meccanico, biologico e chimico. I biocondizionatori Maurizio Manera Med Vet - Università di Teramo

Estratto completo Note introduttive Un acquario è assimilabile ad un sistema fisico “aperto” che scambia energia e materia con l’ambiente circostante. Peraltro l’auto-sostenibilità di questo particolare sistema tecnologico è limitata nello spazio e nel tempo a discapito della sua integrità funzionale. Nell’impossibilità di ricreare le complesse reti trofiche e capacità autodepurative dei corpi d’acqua naturali, si è costretti ad introdurre energia e materia dall’esterno sottoforma di mangimi, fertilizzanti, luce artificiale, aerazione e movimentazione dell’acqua, per sostenere biomasse sproporzionate rispetto ai biotopi originari. Ne esitano proporzionalmente grandi quantità di sostanza organica che deve essere inevitabilmente processata pena lo scadimento funzionale del sistema. L’acqua d’acquario subisce quindi una serie di trattamenti necessari a mantenere nel tempo le caratteristiche fisico-chimiche più idonee alle specie ittiche ospitate. Vediamo di seguito quali sono i principali parametri fisico-chimici di interesse acquaristico e come monitorarli, i trattamenti cui l’acqua può essere sottoposta per mantenerli e cosa può accadere a seguito dell’allontanamento dai parametri di riferimento.

1. Parametri fisico-chimici dell’acqua1,2,5 Esemplificando i parametri fisico-chimici di maggior interesse acquaristico sono: temperatura, pH, conduttività, durezza carbonatica e totale, azoto ammoniacale, nitroso, nitrico, fosforo inorganico ed ossigeno disciolto. La temperatura, oltre ad influenzare il metabolismo ittico, è in grado di modificare alcuni parametri, quali l’ossigeno disciolto, il pH, la conduttività, e l’azoto ammoniacale. A parità di condizioni un aumento di 10 °C può causare una diminuzione fino al 23% dell’ossigeno disciolto ed un aumento fino al 75% della quota non ionizzata sul totale dell’azoto ammoniacale. Il parametro è facilmente monitorabile con termometri ad alcool, a termocoppia od a cristalli liquidi. Nel classico acquario di comunità la temperatura viene mantenuta attorno ai 25 °C utilizzando termoriscaldatori.

Il pH è notoriamente la misura dell’attività in idrogenioni di una soluzione ed è parametro chiave in acquaristica dal momento che esso influenza ed è influenzato da molti altri fattori. A parità di condizioni, ad esempio, una variazione di mezzo punto nella scala del pH è in grado di provocare un aumento fino al 215% (sic) della quota non ionizzata sul totale dell’azoto ammoniacale. È inoltre nota la relazione intercorrente tra pH, durezza carbonatica ed anidride carbonica disciolta. I pesci comunemente ospitati in acquario di comunità vivono a pH compresi tra 6.5 e 7.5. Variazioni estreme del pH nei due sensi possono essere causa di specifiche patologie ambientali (vedasi oltre). Il pH può essere agevolmente misurato utilizzando metodiche amperometriche (pHmetri) o colorimetriche (indicatori). La conduttività dell’acqua, misurata in microSiemens/cm (µS/cm), indica l’attitudine dell’acqua a condurre corrente elettrica ed è proporzionale al contenuto ionico dell’acqua stessa. Viene spesso utilizzata per una stima indiretta della durezza, partendo dal presupposto che nelle acque superficiali le sostanze ioniche più rappresentate sono i sali di Ca e Mg, ma anche dei solidi disciolti e quindi del potenziale “inquinamento” dell’acqua. La temperatura è in grado di influenzare la conduttività (aumenti di circa il 25% ogni 10 °C) pertanto è opportuno correggere il dato ottenuto tramite appositi fattori di correzione per portarlo a 25 °C (temperatura standard di riferimento). Sono comunque disponibili conduttivimetri con compensazione automatica della temperatura che agevolano la misurazione amperometrica di tale parametro. Indicativamente si considerano accettabili valori tra 300 e 500 µS/cm. La durezza totale rappresenta il contenuto in sali di Ca e Mg dell’acqua, mentre la durezza carbonatica o temporanea, il contenuto in bicarbonato e carbonati. Nonostante vi siano metodi più moderni di valutare la durezza (dosaggio diretto di Ca e Mg, misurazione dell’alcalinità) è invalso nell’uso, perlomeno in Italia, fare ancora riferimento a tale tipo di durezza misurandola in gradi tedeschi (°dGH – totale e °dKH). Valori orientativi sono GH tra 4 e 10 °d e KH tra 3 e 7 °d. L’azoto ammoniacale è il catabolita azotato principale dei pesci ossei ed è inoltre la forma più tossica dell’azoto in acquario. L’ammoniaca è un gas che si discioglie in acqua idratandosi e dissociando idrogenioni (reazione alcalina) e ione ammonio (NH3 + H2O → NH4OH; NH4OH ↔ NH4+ + OH-)


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

in ragione della temperatura, del pH. L’azoto ammoniacale viene misurato attraverso metodiche colorimetriche, ma per la determinazione della percentuale di ammoniaca non ionizzata è necessario fare riferimento ad apposite tabelle di conversione. È bene che questa non superi gli 0.01 mg/l. L’azoto nitroso si forma per ossidazione dell’azoto ammoniacale ad opera di batteri aerobi autotrofi. In un sistema acquario ben avviato i nitriti sono poco presenti (< 0.05 mg/l) essendo bio-ossidati rapidamente in azoto nitrico, poco tossico, ma in fase di avvio, in occasione di eventi stressanti la biocenosi del filtro biologico, in corso di ipossia, se ne possono accumulare quantitativi elevati (> 2 mg/l) con metaemoglobinemia per i pesci ospitati. Molto dipende comunque dalla specie ittica e dalla concentrazione in ioni Clnell’acqua di acquario che competerebbero con i meccanismi di assorbimento dei nitriti a livello branchiale. I nitriti vengono misurati tramite metodiche colorimetriche. L’azoto nitrico è il prodotto finale della bio-ossidazione batterica ed è la forma meno tossica dell’azoto in acquario (a parte l’azoto gassoso disciolto). Tende ad accumularsi in acquario quando la denitrificazione disassimilativa batterica (NO3 → N2 ↑) e l’assorbimento ad opera della vegetazione non sono sufficienti a controbilanciarne la produzione. L’acqua di rubinetto, seppur potabile, può contenere anche elevati valori di nitrati (zone agricole di pianura) e può contribuire all’accumulo in vasca. Si consiglia di non superare i 50 mg/l anche se alcuni pesci sopravvivono senza apparente sofferenza anche a concentrazioni di gran lunga più elevate. I nitrati vengono monitorati tramite metodiche colorimetriche. Il fosforo rappresenta il fattore limitante per eccellenza nelle acque superficiali ed è direttamente implicato nei fenomeni di proliferazione algale riscontrabili in acquario. La forma più importante e comunemente dosata in acquario è il fosforo ortofosforico (fosfato). La concentrazione di fosforo in acquario cresce proporzionalmente alla somministrazione di mangime. Anche l’acqua potabile può contribuire all’immissione in acquario di fosfati. Gli eccessi, più che essere direttamente tossici per i pesci, tendono a favorire eccessive proliferazioni algali, e contribuiscono a ridurre la biodisponibilità del ferro (formazione di fosfato di ferro) con risentimento per la vegetazione acquatica. Anche il fosforo ortofosforico viene misurato mediante metodiche colorimetriche. L’ossigeno è un elemento limitante per eccellenza. Tutte le funzioni degli organismi aerobi sono dipendenti dalla sua presenza. In acqua l’ossigeno si discioglie proporzionalmente alla sua pressione parziale, ed in modo inversamente proporzionale alla temperatura e salinità. Alla saturazione il massimo di ossigeno disciolto che può trovarsi in acqua distillata a 0 °C e 760 mmHg è pari a 14.6 mg/l. A 25 °C ed alle “salinità” tipiche delle acque dolci l’ossigeno disciolto non supera gli 8 mg/l alla saturazione. I pesci comunemente ospitati nell’acquario di comunità presentano esigenze molto differenti per quanto attiene alla concentrazione in ossigeno, fino ad arrivare a pesci in grado di utilizzare l’ossigeno atmosferico. Anche la componente batterica nitrificante è fortemente condizionata dalla presenza di ossigeno nella sua funzione: crisi ipossiche possono essere più pericolose per i pesci d’acquario per il blocco della nitrificazione e per la secondaria acidosi più che di per se stesse. L’ossigeno disciol-

151

to può essere misurato tramite metodiche colorimetriche o tramite metodiche amperometriche.

2. Trattamenti dell’acqua L’acqua può essere sottoposta a trattamenti prima dell’immissione in acquario, per far sì che più si avvicini alle caratteristiche fisico-chimiche ideali per le specie ospitate, o quando essa è già in acquario, estemporaneamente o permanentemente. Fra i trattamenti che frequentemente precedono l’immissione in acquario spiccano l’addizione di biocondizionatori, la miscelazione con acqua “deionizzata”, distillata od ottenuta per osmosi inversa. Fra i trattamenti in acquario permanenti si annovera la filtrazione meccanica, biologica e chimica, quest’ultima spesso estemporanea. In riferimento alle fluttuazioni dei parametri è bene ricordare come i pesci si dividano, rispetto alla tolleranza nei confronti delle precedenti, in specie euriecie (tolleranti) e specie stenoecie (poco tolleranti) e di come sia pressoché impossibile generalizzare, dal momento che le specie ittiche hanno occupato pressoché ogni habitat acquatico anche estremo. Vale comunque qui ricordare come le specie comunemente ospitate nell’acquario di comunità siano di fatto molto tolleranti e rustiche.

2. 1. Biocondizionatori In acquaristica vengono diffusamente utilizzati prodotti genericamente etichettati col termine di “biocondizionatori” la cui funzione consiste nel rendere l’acqua di rubinetto immediatamente compatibile con un impiego diretto in acquario. Tradizionalmente vengono riportate almeno tre azioni di cui due dirette all’acqua (azione neutralizzante il cloro e chelante i metalli pesanti) ed una diretta al pesce (protezione delle mucose per mezzo di polimeri filmogeni). L’azione “declorante” è imputabile al sodio tiosolfato, quella chelante normalmente al NaEDTA e quella filmogena al polivinilpirrolidone (povidone) e/o derivati della cellulosa (carbossimetilcellulosa). Spesso, in associazione a detti polimeri, vengono aggiunti nella formulazione estratti vegetali caratterizzati da spiccate azioni cicatrizzanti, lenitive e complessi vitaminici3. I predetti polimeri, oltre a svolgere la citata funzione filmogena, contribuirebbero alla flocculazione del particellato in sospensione, facilitando l’azione del filtro. Tra gli “additivi” per acqua d’acquario rientrano anche gli starter microbiologici, colture di batteri nitrificanti, ma anche eterotrofi degradatori, da soli od in associazione con enzimi, consigliati per una “maturazione” più rapida del filtro biologico dell’acquario, od in occasione di sovraccarichi del sistema di filtrazione. Dal momento che i batteri nitrificanti non sopporterebbero il processo di liofilizzazione4 sono da preferirsi i prodotti liquidi.

2. 2. La filtrazione L’acqua in acquario è naturalmente soggetta a degrado. Tale inevitabile degrado deve essere contrastato attraverso regolari cambi e sottoponendo l’acqua di acquario a filtra-


152

zione/depurazione. Ogni acquario possiede una stazione di filtrazione a più stadi6, di cui il primo stadio è rappresentato da un “filtro meccanico” di norma realizzato in lana od in spugna sintetiche regolarmente ispezionate, lavate o cambiate per evitare intasamenti. Segue uno stadio biologico, anche detto “filtro biologico”, costituito da materiale di varia natura (spugna sintetica, cannolicchi ceramici, vetrosi, supporti plastici) idoneo a permettere l’insediamento di una biocenosi batterica. Può seguire, ma non sempre è presente, uno stadio “chimico” di filtrazione, costituito da carbone attivo, zeoliti ed altre resine a scambio ionico5. Il principio su cui si basa la filtrazione/depurazione è il seguente. Per rimuovere dall’acqua ogni elemento estraneo per qualità e quantità è necessario operare una serie di processi. I solidi sospesi possono essere filtrati o sedimentati in ragione delle dimensioni e del peso specifico (rispettivamente ∅ > 100 µm e 100 µm > ∅ > 10 µm). Meno semplice è rimuovere ciò che si trova allo stato colloidale (10 µm > ∅ > 10-3 µm) od è disciolto in acqua (∅ < 10-3 µm)7. Di questo si occupano i batteri in grado di drenare i nutrienti e convertirli in biomassa batterica flocculabile, quindi sedimentabile o filtrabile, ed in prodotti terminali del proprio catabolismo (CO2, NH3, N2)7. Semplificando all’interno del comparto biologico convivono specie eterotrofe (mineralizzatori) e specie autotrofe chemiosintetiche nitrificanti (trasformano l’ammoniaca in nitriti – nitrosazione ad opera dei batteri Nitrosomonas spp. – e questi in nitrati – nitrificazione propriamente detta ad opera dei batteri Nitrobacter spp.) che contribuiscono a diminuire la tossicità dei cataboliti azotati. I nitrati ottenuti per denitrificazione possono essere assimilati dalle piante d’acquario od eliminati sottoforma di azoto gassoso ad opera di batteri anaerobi facoltativi quali, a titolo di esempio, Pseudomonas spp., Achromobacter spp.5. Attraverso la “filtrazione chimica” possono essere eliminate dall’acqua sostanze complesse, responsabili del colore e dell’odore dell’acqua “matura”, fra le quali si trovano acidi umici e fulvici, clorofille e prodotti di degradazione delle clorofilla, ma anche e purtroppo sostanze utili quali oligoelementi, fitormoni, feromoni5. I carboni attivi sono sicuramente i prodotti più conosciuti ed utilizzati e si ottengono a partire da materia prima carboniosa (legna, gusci di noce di cocco, torba, lignite, carbone, ecc.) attivata per via chimica o con vapore. Caratteristica saliente del carbone attivo è, dunque, quella di “adsorbire” molecole in relazione al diametro dei pori. Questi vengono classificati in micropori (r < 1 nm), mesopori (1 < r < 25 nm) e macropori (r > 25 nm) ed ogni carbone attivo è caratterizzato da una particolare distribuzione dei pori nelle tre classi e quindi da un particolare campo di applicazione7. Per quanto attiene alle zeoliti trattasi di allumino-silicati con caratteristica struttura cristallina regolare e porosa in grado di trattenere al proprio interno atomi a carica positiva (cationi). Questi cationi possono essere scambiati con altri a seconda della maggiore o minore affinità del reticolo per gli stessi. Fra le zeoliti naturali spicca la clinoptilolite per la spiccata attitudine a rimuovere lo ione ammonio (NH4+), scambiandolo con ioni sodio (Na+): 1 grammo di clinoptilolite rimuove fino a 9 mg di ammoniaca. Possono essere utilizzate, soprattutto per “deionizzare” l’acqua prima dell’immissione in acqua di acquario, resine a scambio ionico sintetiche cationiche ed anioniche (da usarsi in sequenza). Esistono, inoltre,

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

resine anioniche con particolare affinità per i fosfati. Quest’ultimi possono essere anche eliminati per flocculazione immettendo nell’acqua di acquario perlopiù FeCl37.

1. Patologie ambientali I pesci si sono evoluti in contesti ambientali caratterizzati da caratteristiche fisico-chimiche o stabili nel tempo o dalle fluttuazioni più o meno prevedibili o, comunque, che garantissero sul lungo periodo ed a livello di popolazione, di specie, la sopravvivenza. L’acquario, a motivo delle ridotte dimensioni e della inevitabile esemplificazione delle complessità degli ambienti naturali difficilmente garantisce una dinamica dei parametri fisico-chimici sovrapponibile a quella naturale e questo a discapito della salute dei pesci ospitati. Fra le patologie ambientali di più frequente occorrenza in acquario troviamo le forme da squilibri del pH (acidosi ed alcalosi) e quelle da sovrasaturazione (gas bubble disease).

1. 1. Acidosi ed alcalosi ambientale9 L’azione tamponante all’interno dell’organismo ittico viene svolta dalle proteine citoplamatiche all’interno della cellula, dai bicarbonati, dall’emoglobina nel sangue e dai fosfati, dall’ammoniaca nel rene e nelle branchie. L’organismo si oppone attraverso i sistemi tampone alle variazioni indotte dal pH ambientale, ma questo, oltre certi limiti quantitativi e temporali, può andare a discapito di altre importanti funzioni (es.: funzionalità branchiale e renale e capacità di carico di ossigeno del sangue). Questo fa sì che l’acidosi e l’alcalosi risultino sindromi complesse più facilmente sospettabili in base al rilievo strumentale sull’acqua piuttosto che dall’osservazione della sintomatologia. Inoltre le variazioni di pH, possono risultare più pericolose per l’aumentata mobilità e biodisponibilità di alcune specie chimiche (es.: metalli pesanti) che di per se stesse. A pH alcalini, ad esempio, l’azoto ammoniacale si trasforma, proporzionalmente all’aumento del pH e della temperatura, nella forma non ionizzata (ammoniaca) più tossica. Un aumento di mezzo punto nella scala del pH può triplicare la tossicità dell’azoto ammoniacale. Per quanto riguarda gli effetti tossici conseguenti a variazioni di pH di per se stesse, dobbiamo distinguere tra acidosi ed alcalosi ed ancora tra forme acute e forme croniche. L’acidosi in forma acuta si manifesta con tremori, ipereccitazione e dispnea dovuta all’ipersecrezione mucosa ed alla congestione branchiale. I pesci possono morire in apparenti perfette condizioni e con la livrea conservata, tanto da far sospettare qualche forma di avvelenamento. Nelle forme subacute-croniche, più frequenti, i pesci manifestano ipersecrezione mucosa ed emorragie branchiali e cutanee. In corso di alcalosi i pesci manifestano ipermucosità cutanea, nonché “sfilacciamenti” delle pinne. Le branchie tendono a divenire pallide e col tempo possono comparire erosioni cutanee. Nelle forme croniche di acidosi ed alcalosi i pesci, cronicamente stressati, si dimostrano maggiormente suscettibili ai patogeni opportunisti, manifestando malattie che possono mascherare la causa primaria.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

In riferimento alle cause di variazione del pH dell’acqua, riconosciamo cause primarie e cause secondarie. Le primarie riguardano le caratteristiche fisico-chimiche dell’acqua disponibile, le secondarie sono connesse alle modificazioni cui possono andare incontro i parametri a seguito del metabolismo respiratorio (acidificante) e fotosintetico (alcalinizzante) degli organismi ospitati, in relazione al potere tamponante dell’acqua stessa. I sistemi di erogazione di CO2 ed i filtri a percolazione possono contribuire a modificazioni del pH e del potenziale redox. Per quanto riguarda la prevenzione dell’acidosi e dell’alcalosi molto può essere fatto in sede di allestimento dell’acquario gestendo accuratamente la componente biotica (animale, vegetale e batterica) e valutando le caratteristiche dell’acqua a propria disposizione. L’uso indiscriminato dei prodotti per la correzione del pH può portare ad un inutile quanto pericoloso depauperamento del potere tamponante tipico di ogni acqua, rendendo il sistema acquario più suscettibile alle brusche variazioni di pH. Per contro l’utilizzazione di cambi d’acqua può risultare risolutivo in corso di acidosi secondaria, mentre diluizioni dell’acqua d’acquario con acqua distillata o l’aggiunta di torba possono aiutare a gestire i casi di pH eccessivamente alto.

1. 2. Gas bubble disease10 La malattia da gas (gas bubble disease), di frequente riscontro in acquario, può essere causa di morie improvvise ed in apparenza inspiegabili, conseguenti a brusche variazioni di alcuni parametri fisico-chimici dell’acqua. Ne è causa la “supersaturazione” di gas nell’acqua d’acquario che, per alcune particolarità anatomiche e funzionali dei pesci, porta alla formazione di emboli gassosi all’interno dell’ apparato cardiovascolare, causando bruschi e deleteri deficit nell’irrorazione di importanti distretti anatomici. Nella forma acuta i pesci manifestano nervosismo e, generalmente, vengono rapidamente a morte per compromissione dell’attività cardiaca, del circolo branchiale e renale. Spesso può coesistere una “iperinsufflazione” della vescica natatoria e, addirittura, un pneumoperitoneo. Verosimilmente molte delle morti improvvise di pesci immessi nell’acquario dopo il trasporto o conseguenti a maldestri cambi dell’acqua sono imputabili proprio a questa malattia. La forma cronica della malattia rappresenta una cronicizzazione degli episodi acuti o, più frequentemente, si riscontra con percentuali di “supersaturazione” inferiori. Il quadro clinico/necroscopico è caratterizzato dalla comparsa sulla cute del pesce, ma anche all’interno della bocca e nel resto dell’apparato gastroenterico, di vistose bollicine, spesso confluenti a formare grandi vescicole

153

ripiene di gas. Tali bolle possono, eventualmente, lacerarsi e venire infettate da batteri e funghi opportunisti. Frequentemente le bollicine possono comparire sulla cornea o nel connettivo retro-oculare, causando un esoftalmo bilaterale del bulbo causa, nei casi gravi, di perdita dell’occhio. Differentemente da quanto accade nell’analogo umano della malattia da gas, la “malattia del palombaro” o “malattia dei cassoni”, non c’è bisogno di una decompressione rapida per far sì che la malattia esordisca e questo poiché il circolo venoso dei pesci è fisiologicamente caratterizzato da pressioni estremamente basse ed addirittura negative che favoriscono la gassificazione dell’eccesso di gas eventualmente assorbito a livello branchiale dall’acqua. I gas maggiormente coinvolti nella patogenesi della patologia sono l’ossigeno e l’azoto. Per quanto attiene alle percentuali di “supersaturazione” si passa da un 300% (ossigeno, forme acute mortali) ad un 110% (aria, forme croniche, mortalità 5%). “Supersaturazioni” da ossigeno possono riscontrarsi negli acquari e nei laghetto ornamentali caratterizzati da una abbondante e lussureggiante vegetazione, in presenza di pompe di circolazione particolarmente potenti che aspirino accidentalmente aria (cavitazione), a causa di bruschi aumenti della temperatura (2% di supersaturazione/°C) ed a causa di brusche diminuzioni del pH dell’acqua (diminuzione della affinità per l’ossigeno dell’emoglobina). Eventuali “supersaturazioni” possono essere risolte aumentando la superficie di contatto acqua/aria all’uscita della pompa di circolazione.

Bibliografia 1.

2. 3. 4.

5. 6. 7. 8. 9. 10.

Stirling HP: Chemical and biological methods of water analysis for aquacolturists. Stirling, Institute of aquaculture – University of Stirling, 1985. De Jong H: La chimica dell’acqua in acquariofilia. Rozzano, Primaris, 1999. Manera M, Borreca C: È una questione di pelle. Il mio Acquario, 21: 43-46, 2000. Bower CE, Tuner DT: Accelerated nitrification in new seawater culture systems: effectiveness of commercial additives and seed media from established systems. Aquaculture 24: 1-9, 1981. Manera M, Borreca C: La depurazione biologica in acquario. Veterinaria 16(1): 91-96, 2002. Stoskopf MK: Hospitalization. In: Fish Medicine. Ed. by MK Stoskopf. Philadelphia, Saunders, 1993, pp. 98-112. Vismara R: Depurazione biologica. Milano, Editore Ulrico Hoepli, 1988. Eckenfelder WWJr: Industrial water pollution control. New York, McGraw-Hill Publishing Company, 1989. Manera M, Borreca C: Acidosi e alcalosi: che fare quando il pH “sballa”. Il mio Acquario, 23: 48-51, 2000. Manera M, Borreca C: Se l’acquario diventa una “camera a gas”. Il mio Acquario, 22: 46-49, 2000.


154

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Alimentazione dei pesci d’acquario I fabbisogni. Patologia nutrizionale. Immunità e alimentazione. Le tipologie di alimento. I mangimi commerciali. Valutazione empirica di un mangime commerciale Maurizio Manera Med Vet - Università di Teramo

Estratto completo Note introduttive L’alimentazione di qualsiasi organismo è primariamente indirizzata al soddisfacimento dei fabbisogni nutrizionali. Per quanto attiene all’alimentazione dei pesci di acquario è di fondamentale importanza comprendere come questa possa interferire, anche profondamente, con la dinamica dei flussi energetici e di nutrienti dell’intero sistema acquario. Infatti i pesci si nutrono in acqua ed in essa liberano i propri cataboliti e scorie indigerite1,2,3,4. Gli alimenti per pesci ornamentali devono quindi soddisfarne le esigenze nutrizionali ma devono altresì necessariamente rispettare le esigenze “ecologiche” dell’intero sistema acquario. Si parla in tal senso di “nutrizione integrata”5.

I fabbisogni nutrizionali dei pesci ornamentali Le informazioni inerenti i fabbisogni nutrizionali dei pesci sono frammentarie e limitate alle specie ittiche di interesse alimentare a fronte di un raggruppamento tassonomico che annovera un numero di specie pari quasi alla somma delle specie delle altre classi di vertebrati4,6,7,8! Fortunatamente ai fini pratici è possibile effettuare alcune generalizzazioni: la maggior parte delle specie ittiche è zoofaga8 (85%); i pesci comunemente ospitati nell’acquario di comunità sono opportunisti, adattabili a condizioni ambientali distanti da quelle d’origine4; molti pesci ornamentali sono soliti “completare” la propria razione di mangime, “piluccando” la patina batterico-algale (periphyton), e/o altri organismi vegetali ed animali che proliferano spontaneamente in acquario. Ne consegue che, esemplificando, è possibile definire fabbisogni generici e comuni alle specie più frequenti in acquario. Generalizzando, il metabolismo energetico dei pesci è mediamente improntato sulla preferenziale utilizzazione delle proteine e dei grassi a fini energetici, con una conseguente vivace attività gluconeogenetica9. In media i carboidrati sono meno utilizzati, per carenze nella fase enzimatica/digestiva, per una deficitaria capa-

cità di modulare il tasso glicemico post-prandiale, per una ridotta capacità gestionale del glicogeno epatico, di fatto conseguenti ad una diversa ripartizione dei nutrienti nelle reti trofiche acquatiche6,7,8. Per quanto detto, per l’elevata efficienza proteica (vedasi oltre) e per il favorevole indice di conversione alimento/carne nei mangimi per specie ittiche si riscontrano quote percentuali proteiche superiori rispetto quanto riscontrabile nei mangimi per mammiferi, carnivori compresi. Un’attenta formulazione del mangime, con fonti proteiche di qualità e dall’ottimale profilo amminoacidico, con fonti lipidiche digeribili e dal corretto profilo acidico, nonché con la rimanente quota glucidica a digeribilià controllata, per evitare deleteri picchi glicemici, consente di operare un risparmio sul consumo proteico ai fini energetici6,7,8. Di tanto si giova il sistema acquario nel suo insieme più che il singolo pesce. Infatti, diminuendo l’utilizzazione energetica delle proteine, diminuiscono le deaminazioni epatiche degli amminoacidi e l’escrezione branchiale di ammoniaca4. Per quanto riguarda il profilo acidico dei grassi, i pesci necessitano, in funzione della temperatura, della salinità dell’acqua, di elevati apporti in acidi grassi insaturi a lunga catena. Tendenzialmente la serie n-3 è più rappresentata rispetto ai vertebrati terrestri (rapporti n-6/n-3= 2-0.5), per la prevalenza di quest’ultima all’interno delle reti trofiche acquatiche dipendenti dalla produzione primaria algale6,7,8. In riferimento ai carboidrati è importante menzionare la ridotta capacità da parte dei pesci di digerire la cellulosa. Inoltre la presenza di batteri cellulosolitici nel tratto intestinale dei pesci non è strettamente correlato alle abitudini alimentari. Generalizzando i pesci si nutrono delle strutture protoplasmatiche vegetali, operando una lisi meccanica o chimica della parete cellulare, con trascurabile utilizzazione dei carboidrati strutturali (cellulosa)6.

Note di bioenergetica applicata Gli organismi animali conosciuti si nutrono per soddisfare primariamente i fabbisogni energetici. Conseguentemente ogni altro fabbisogno deve essere rapportato al primario fabbisogno energetico al fine di evitare limitazioni od eccessi. Purtroppo, come già accennato, i dati bibliografici riferiti al-


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

le specie ittiche sono frammentari e spesso contrastanti se non addirittura assenti6,7,8. In media il fabbisogno energetico di mantenimento per le specie ittiche è ricavabile attraverso l’equazione E=kPV0.80, (k varia con la specie la temperatura)6,7,8. I pesci, non spendendo energia per la termoregolazione, la postura, e la conversione dell’ammoniaca in urea, utilizzano efficientemente l’energia digeribile contenuta nel cibo. Fra le specie ornamentali sono noti unicamente i fabbisogni delle specie allevate anche a fini alimentari (carpa, 3200 kcal energia digeribile/kg mangime; tilapia, 3000 kcal/kg mangime)7. Il contenuto energetico di un mangime può essere ricavato indirettamente e con buona approssimazione utilizzando opportuni coefficienti moltiplicativi (fattori di Atwater modificati): proteine gregge, 4.0 kcal ED/g; grassi greggi, 8.0 kcal ED/g; estrattivi inazotati, 2.5 kcal ED/g6 (digeribilità media rispettivamente del 71%, 85%, 60%). I fabbisogni proteici, vengono espressi sottoforma di mg di proteina digeribile per kcaloria di energia digeribile. I valori noti (carpa, 95 mg/kcal; tilapia, 93 mg/kcal)7 testimoniano l’elevata efficienza proteica di tali organismi, nettamente superiore rispetto a quanto registrato nei vertebrati terrestri.

Note di patologia nutrizionale e di immunomodulazione alimentare Un’alimentazione squilibrata causa nel tempo, in qualsiasi specie animale, problemi di salute più o meno gravi. In acquario i pesci sono soggetti a patologie per difetto o per eccesso di uno o più nutrienti, ma più frequentemente per uno scorretto bilanciamento tra nutrienti. A tal proposito ed in riferimento alle carenze è stato proposto il termine di “sindrome carenziale multifattoriale” a sottolineare l’implicazione di più nutrienti, l’interazioni eventualmente presenti fra gli stessi e la mediazione di fattori ambientali1. Un’alimentazione monotona, con “mangimi semplici” o mal formulati/conservati può risolversi nella comparsa di deformazioni e stentato accrescimento negli stadi giovanili, sfilacciamenti ed erosioni cutanee nonché maggiore suscettibilità alle malattie. Fra i nutrienti particolare importanza ricoprono lo zinco, la vitamina C ed E. Lo zinco funge da coenzima in diversi sistemi enzimatici ed è particolarmente importante per ottimizzare le risposte specifiche ed apsecifiche dell’organismo. La vitamina C è importante per la sua nota funzione antiossidante e protettrice nei confronti delle mucose dagli insulti ambientali e dagli agenti infettivi (stimolatore cellulare) oltre che a svolgere un importante ruolo nell’ossificazione. A motivo della notevole instabilità di questa vitamina è importante che sia contenuta in forma protetta o stabilizzata all’interno del mangime al fine di garantirne elevati quantitativi nel tempo1,2. La vitamina E, invece, oltre a possedere elevate capacità antiossidanti, esercita funzioni stimolatrici sui linfociti B e T. Di notevole interesse è anche l’integrazione dei mangimi per pesci d’acquario con β-glucani, polisaccaridi complessi ottenuti da lieviti, in grado di aumentare le difese aspecifiche (attivazione macrofagi) dei pesci2. Non tutti i glucani sono egualmente efficaci, dipendendo molto dalla ramificazione del polimero (β-1,3-1,6). Tra le patologie da squilibri di nu-

155

trienti spicca la steatosi epatica conseguente, più che ad eccessi dietetici di grassi ad un imperfetto profilo acidico dei grassi dell’alimento con un eccesso di acidi grassi monoinsaturi o, peggio, saturi. Eccessi lipidici favoriscono la deposizione di ingenti quantità di grasso periviscerale con possibili inibizioni sulla maturazione delle gonadi (infertilità)2. Anche eccessi di glucidi si possono ripercuotere sul metabolismo epatico promovendo la deposizione di quantitativi eccessivi di glicogeno negli epatociti2.

Le tipologie di mangime In commercio esistono fondamentalmente due grandi tipologie di mangime: mangimi semplici, costituiti da un unico ingrediente e mangimi composti, costituiti da più ingredienti e formulati per soddisfare parzialmente o completamente i fabbisogni nutrizionali dei pesci. Per quanto riguarda l’origine vi sono mangimi a prevalente composizione animale e mangimi a prevalente composizione vegetale. Per quanto riguarda la tipologia vi sono mangimi essiccati o liofilizzati (Tubifex, larve di Chironomus, Daphnia, Gammarus, ecc.), congelati-surgelati (alghe, gamberetti, ecc.), laminati (così dette scaglie o fiocchi), in compresse ed estrusi (granuli, stick, ecc.). I mangimi sicuramente più utilizzati in acquaristica sono i mangimi completi di tipo laminato (leader indiscusso) e gli estrusi. La tecnica dell’estrusione ha permesso di ottimizzare la stabilità in acqua e la digeribilità.

“Ecocompatibilità” dei mangimi Un mangime per pesci d’acquario deve garantire che quanto in esso contenuto arrivi a destinazione, venga cioè mangiato dai pesci. A questo proposito molto dipende dalla stabilità e dalla attitudine alla lisciviazione del mangime stesso. Infatti in acqua vengono dispersi, in relazione alla stabilità ed attitudine alla lisciviazione, tutto ciò che nella matrice del mangime vi è di idrosolubile (vitamine idrosolubili, oligoelementi, azoto solubile, fosforo organico ed inorganico, ecc.) con un duplice danno. Quanto si disperde in acqua non è più disponibile per i pesci e, cosa ben più grave, contribuisce ad aumentare il carico trofico da processare da parte del biofiltro. Altro elemento importante per valutare un mangime da un punto di vista “ecologico” è la digeribilità e biodisponibilità dei nutrienti. Un mangime di qualità deve garantire elevati livelli di digeribilità sulla sostanza secca per minimizzare il quantitativo di feci emesse. Una corretta nutrizione integrata in acquario non può prescindere dalla conoscenza della dinamica dell’ossigeno e dell’anidride carbonica in acquario. L’acqua possiede una bassa capacitanza per l’ossigeno ed una più elevata capacitanza per l’anidride carbonica. A seguito dell’alimentazione e proporzionalmente alla digeribilità ed alla composizione in nutrienti dell’alimento, il consumo di ossigeno cresce vertiginosamente8, potendo portare, in condizioni critiche all’ipossia, all’ipercapnia, nonché all’acidosi con gravi conseguenze sia a breve che a lungo termine per tutti gli organismi (animali, vegetali e batterici) ospitati in acquario.


156

Valutazione comparativa di mangimi commerciali Non vi sono metodiche codificate per una valutazione “nutrizionale integrata” dei mangimi per pesci d’acquario. Recentemente sono state proposte 4 metodiche di valutazione comparativa di cui una “aprioristica”, due sperimentali, in vitro ed in vivo, ed una modellistica9. Le metodiche più alla portata del medico veterinario acquarista sono quella “aprioristica” e quella in vitro. La prima consiste nella stima indiretta delle potenzialità “inquinanti” dedotte dal procedimento tecnologico subito, dall’elenco delle materie prime e dai tenori analitici eventualmente dichiarati, con particolare riguardo al tenore in fosforo ed in azoto solubile. Si tratta ovviamente della metodica più indiretta e più affetta da possibili errori di valutazione in eccesso od in difetto. La metodica in vitro valuta il potenziale inquinante direttamente ed in condizioni ripetibili, ponendo mangimi diversi a contatto con quantità note di acqua distillata per tempi noti. Il lisciviato viene sottoposto ad analisi con metodiche amperometriche e colorimetriche per la valutazione di alcuni parametri chiave (conducibilità, azoto ammoniacale e fosforo inorganico). Questa metodica determina direttamente l’attitudine di ciascun mangime alla lisciviazione ed alla dispersione di eventuali nutrienti o sostanze potenzialmente tossiche in acqua, tuttavia sfugge la quota eventualmente escreta od espulsa sottoforma di feci da parte dei pesci. Si può ragio-

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

nevolmente supporre che tale metodica stimi il potenziale inquinante in difetto e, comunque, con solo valore comparativo. Aldilà della qualità del mangime, comunque essa venga definita o quantificata, è necessario dissuadere i clienti acquariofili da una diffusa, quanto cattiva abitudine: la sovralimentazione. Essa rappresenta, molto probabilmente, uno dei principali motivi di insuccesso in questo hobby a motivo delle deleterie ricadute sul sistema acquario.

Bibliografia 1. 2. 3. 4.

5. 6. 7. 8. 9.

Manera M, Borreca C: Non solo un problema di vitamine. Il mio Acquario 8: 18-21, 1999. Manera M, Borreca C: Che cosa diamo da mangiare ai nostri “ospiti”? Il mio Acquario 15: 52-55, 1999. Manera M, Borreca C: Un valido ausilio nell’alimentazione dei pesci. Il mio Acquario 20: 48-52, 2000. Manera M, Borreca C: Guida alla corretta alimentazione dei pesci d’acquario - L’arte di alimentare i pesci. Il mio Acquario Annual Speciale Pesci & Piante 2: 82-85, 2000. Manera M, Borreca C.: La “nutrizione integrata” dei pesci d’acquario. Veterinaria 15 (2): 63-66. Halver JE: Fish nutrition. San Diego, Academic Press, 1989. National Research Council: Nutrient requirements of fish 1993. Washington, National Academy Press, 1993. Goddard S.: Fish management in intensive aquaculture. New York, Chapman & Hall, 1996. Manera M. & Borreca C. (2003) Valutazione dell’impatto sul sistema acquario derivante dall’uso di mangimi per pesci ornamentali. Veterinaria. In stampa.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

157

Concordanza diagnostica fra citologia (“squash technique”) ed istologia da biopsie endoscopiche di stomaco, duodeno e colon nel cane e nel gatto: risultati su 30 casi Veronica Marchetti Med Vet - Università di Pisa

Estratto breve Gli studi condotti ad oggi in medicina veterinaria sulla citologia gastroenterica sono finalizzati essenzialmente a valutare l’accuratezza diagnostica dell’esame citologico di campioni ottenuti per brush o apposizione di campioni bioptici. Lo scopo di questo studio è stato quello di valutare l’accuratezza diagnostica dell’esame citologico su campioni bioptici di esofago, stomaco, duodeno e colon ottenuti per via endoscopica e preparati secondo la “squash technique”, la quale consente di esaminare non solo materiale secretorio, detritico ed esfoliativo, ma anche quello proveniente da mucosa e sottomucosa.

Materiali e Metodi Sono stati inclusi nello studio cani e gatti che presentavano segni di patologia gastroenterica cronica una volta esclusi disordini metabolici sottostanti, insufficienza pancreatica e parassitosi intestinali. Dopo un periodo di digiuno adeguato i soggetti venivano sottoposti a gastroduodenoscopia e/o colonscopia con endoscopio flessibile (Olympus GIFQ10, Olympus JF1T20); le biopsie, in numero di 10 rispettivamente per stomaco, duodeno e colon, venivano eseguite con pinza bioptica da 2,5 o 2,8 mm. Le biopsie venivano eseguite in zone che apparivano normali e non normali in corso di ispezione endoscopica. La metà dei campioni venivano destinati all’esame istologico e per questo prelevati dalla pinza con ago 25 gauge, immediatamente disposti sopra un quadratino di carta assorbente sul quale veniva scritta la zona di prelievo ed indicato con una freccia il lato luminale della biopsia, quindi posti in formalina tamponata al 10%. I restanti campioni venivano posti sopra un vetrino portaoggetto e, con un secondo vetrino, schiacciati energicamente fino a quando il materiale era ridotto ad un monostrato irregolare. A questo punto i due vetrini venivano distaccati e sottoposti a colorazione tipo Romanowsky (Diff Quik , May Grünwald-Giemsa). L’esame citologico non prendeva in considerazione l’intensità della flogosi individuata. Il patologo non era a conoscenza dei risultati dell’esame citopatologico. ®

Risultati Sono state inclusi nello studio 30 pazienti; 6 soggetti erano gatti, di razza comune europeo, di cui 3 femmine sterilizzate, 2 maschi castrati ed 1 femmina intera. I cani erano 24, appartenenti a razze diverse, la più rappresentata delle quali era boxer (8/24), con prevalenza dei maschi (15) sulle femmine (9). Le biopsie endoscopiche (50) provenivano da esofago (2), stomaco (27), duodeno (19) e colon (2), quindi il totale di biopsie esaminate citologicamente è stato di 250. In contrasto con un referto endoscopico di normalità, il 31.6% delle biopsie gastriche ed il 18.5% di quelle duodenali risultavano patologiche all’esame istologico. L’accuratezza diagnostica dell’esame citologico ovvero la proporzione complessiva di diagnosi corrette è 90%, la sensibilità è 90% e la specificità 87%. In tutti i casi è stato possibile differenziare citologicamente neoplasia da flogosi. Nel 70,4% del totale delle biopsie gastriche, nel 55.5% dei preparati citologici e nel 44.4% di quelli istologici, è stata rilevata la presenza di GHLO (Gastric Helicobacter Like Organisms).

Conclusioni Dall’analisi dei risultati emerge che l’esame citologico di preparati allestiti con la “squash technique” ha elevata accuratezza diagnostica, sensibilità e specificità, e pertanto può rappresentare un esame utile, economico e rapido che può consentire di iniziare una terapia in attesa dell’esame istologico, che deve comunque essere sempre eseguito e che si completa con quello citologico. È essenziale eseguire sempre numerose biopsie, almeno 10 per organo, per ottimizzare la probabilità di ottenere un campione diagnostico e rappresentativo. Infine è stata rilevata una percentuale molto alta di GHLO, associata o meno a reperti patologici; per quanto a tutt’oggi si discuta ancora sulla patogenicità di questi batteri negli animali, è a nostro avviso importante segnalarne la presenza nei referti cito-istologici. Bibliografia: a richiesta (v.marchetti@vet.unipi.it)


158

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Trattamento medico e nutrizionale delle patologie infiammatorie dell’intestino Stanley L. Marks BVSc, PhD, Dipl ACVIM (Internal Medicine, Oncology), Dipl ACVN - University of California, Davis, USA

Estratto breve Le infiammazioni intestinali (IBD, inflammatory bowel diseases) sono le cause più comuni di diarrea e vomito cronici nel cane e nel gatto e costituiscono un gruppo di disordini gastroenterici cronici idiopatici caratterizzati dall’infiltrazione della lamina propria da parte di elementi infiammatori. Secondo dati molto interessanti desunti da osservazioni cliniche e modelli animali, sarebbero i batteri luminali normali o i prodotti batterici a dare inizio all’IBD e perpetuarla. Inoltre, la risposta clinica alle diete “ipoallergiche” suggerisce che la patogenesi di questa sindrome possa essere influenzata da fattori legati all’alimentazione. Il caposaldo della terapia è costituito da un’associazione di trattamenti farmacologici e nutrizionali. La restrizione o la modificazione di singole componenti della dieta, ed in particolare del contenuto di grassi e della fonte proteica, possono essere i fattori più importanti nel trattamento dietetico dell’IBD del cane e del gatto. Attualmente, si stanno riconsiderando le preoccupazioni teoriche legate agli effetti “abrasivi” delle fibre della dieta sul tratto intestinale infiammato e della loro indigeribilità, perché le proprietà gelificanti e leganti degli acidi grassi e degli acidi biliari deconiugati nelle fibre solubili possono essere utili in certe affezioni gastroenteriche. Per il trattamento della colite cronica vengono frequentemente raccomandate diete ad elevato tenore di fibra contenenti fibra solubile, insolubile o di tipo misto. Talvolta si suggerisce l’impiego della fibra solubile (fermentabile) piuttosto che di quella insolubile (non fermentabile) perché la maggior parte delle fibre solubili genera butirrato, la principale fonte di energia dei colociti, ed altri acidi grassi a catena corta. Inoltre, il benefico effetto sulla modulazione del rapporto nella dieta fra acidi grassi omega-6 ed omega-3 e l’alterazione della flora intestinale attraverso l’apporto di prebiotici quali i fruttooligosaccaridi offre nuovi e sicuri mezzi per modificare in senso favorevole, rispettivamente, la risposta infiammatoria e la flora batterica. La maggior parte dei cani e dei gatti con IBD moderata o grave richiede una terapia farmacologica associata alla modificazione della dieta. I corticosteroidi restano il caposaldo del trattamento medico della IBD, nonostante la mancanza in letteratura di prove cliniche controllate che documentino la loro utilità nei cani e nei gatti colpiti dalla condizione. Il valore di questi farmaci è riferibile alle loro proprietà antinfiammatorie ed immunosoppressive, ma aumentano anche l’assorbimento intestinale di sodio ed acqua a li-

vello del piccolo e grosso intestino e regolano il trasporto basale degli elettroliti a livello del colon. La principale indicazione per la loro somministrazione sembra essere rappresentata dai casi di gastroenterite linfoplasmocitaria o eosinofilica nel cane e nel gatto e dalla colite del cane che risponde solo parzialmente alla sulfasalazina o al metronidazolo. Il corticosteroide utilizzato con maggiore frequenza per la terapia dell’IBD nel cane e nel gatto è il prednisone. Il dosaggio e la durata della terapia sono basati sulla gravità e sulla durata dei segni clinici, sulla gravità e sul tipo di infiammazione, sulla risposta clinica e sulla tolleranza al farmaco. La posologia iniziale del prednisone per il trattamento della IBD nei cani è di 1-2 mg/kg ogni 12 ore. Nel gatto, nella maggior parte dei casi si inizia con una dose di 5 mg totali ogni 12 ore. Una volta ottenuta la remissione clinica, il farmaco viene gradualmente ridotto nell’arco di 4-10 settimane. L’azatioprina è un antimetabolita che viene convertito in 6-mercatopurina a livello epatico e poi in acido tioinosinico. Quest’ultimo composto ostacola la biosintesi delle purine e questa reazione biochimica inibisce la proliferazione cellulare e riduce la citotossicità delle cellule natural killer. L’insorgenza di questi effetti immunologici è lenta, parallelamente ai dati clinici riscontrati nell’uomo, che dimostrano come i benefici di questi farmaci compaiano dopo 3-6 mesi o più di somministrazione. Nonostante la mancanza di prove cliniche che dimostrino l’efficacia dell’azatioprina nel trattamento della IBD del cane e del gatto, studi clinici e segnalazioni aneddotiche suggeriscono che il farmaco è utile, soprattutto nei cani, come terapia aggiuntiva in caso di IBD grave o refrattaria. L’azatioprina può anche essere utilizzata per la sua capacità di ridurre la dose necessaria di steroidi quando gli effetti indesiderati del prednisone sono tanto elevati da risultare inaccettabili. La dose nel cane è di 50 mg/m3 o 1-2 mg/kg una volta al giorno per due settimane, seguiti da una somministrazione a giorni alterni, mentre nel gatto si impiegano 0,3 mg/kg ogni 48 ore. L’effetto collaterale più significativo dell’azatioprina è la soppressione midollare, in particolare nel gatto. Il metronidazolo è caratterizzato da parecchie proprietà utili, come l’attività ad ampio spettro nei confronti dei batteri anaerobi, l’azione antiprotozoaria e la potente inibizione dell’immunità cellulomediata. Questo agente può essere utilizzato da solo nei casi lievi di IBD; invece, va associato al prednisone per il trattamento dei casi moderati o gravi o per consentire una riduzione del dosaggio dello steroide. La dose di metronidazolo è di 10-15 mg/kg ogni 8-12 ore. La sulfasalazina è costituita da sulfapiridina legata a mesalamina (precedentemente detta acido 5-amino-


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

salicilico) da un legame azotato è viene scarsamente assorbita nel tratto superiore dell’apparato gastroenterico. Questo agente non ha alcun valore nel trattamento dell’infiammazione del piccolo intestino, perché per il rilascio della frazione attiva è necessaria la metabolizzazione da parte dei batteri del colon. Viene commercializzata sotto forma di compresse da 500 mg o in formulazione liquida da 50 mg/ml. La dose iniziale abituale nel cane è di 20-40 mg/kg ogni 8 ore per 3 settimane, seguiti da 20-40 mg/kg ogni 12 ore per 3 settimane e 10-20 mg/kg ogni 12 ore per 3 settimane. L’autore preferisce trattare i gatti con colite cronica utilizzando il prednisone, sebbene si possa impiegare anche la sulfasalazina, anche se ad un dosaggio più basso (10-20 mg/kg ogni 24 ore) a causa della presenza della frazione di salicilato del farmaco. I più comuni effetti collaterali della sulfasalazina sono rappresentati da anoressia, vomito, ittero colestasico, dermatite allergica e cheratocongiuntivite secca (KCS). La relazione offrirà un’approfondita valutazione dei vari agenti farmacologici consigliati per il trattamento dell’IBD nel cane e nel gatto ed illustrerà parecchi dei prodotti più recenti attualmente in voga.

Estratto completo The inflammatory bowel diseases (IBD) are the most common causes of chronic vomiting and diarrhea in dogs and cats, and refer to a group of idiopathic, chronic gastrointestinal tract disorders, characterized by infiltration of the lamina propria by lymphocytes, plasma cells, eosinophils, macrophages, neutrophils, or combinations of these cells. Although the etiology of canine and feline IBD is poorly understood, most of the evidence for proposed causes in these animals has been extrapolated from humans with ulcerative colitis and Crohn’s disease. Caution should be heeded in making extrapolations across species, because human and canine or feline IBD are not synonymous. Proposed causes for human IBD include defective immunoregulation of the gut-associated lymphoid tissue that may be precipitated by permeability defects, infectious and parasitic agents, and dietary allergies. There is provocative evidence from clinical observations and animal models to incriminate normal luminal bacteria or bacterial products in the initiation and perpetuation of canine IBD. The clinical response to “hypoallergenic” diets suggests that dietary factors may influence the pathogenesis of canine and feline IBD.

PRINCIPLES OF NUTRITIONAL MANAGEMENT Currently, there is little conclusive evidence in human or veterinary medicine regarding the role of specific dietary components in the pathogenesis or management of IBD. Most of the dietary recommendations for dogs and cats with IBD are based on anecdotal reports, and there is a paucity of controlled randomized dietary trials in small animals.

159

ELIMINATION/NOVEL PROTEIN DIETS Several studies in the veterinary literature suggest that some patients may benefit from diets providing novel, highly digestible protein sources. Selecting a protein source not commonly found in the animal’s diet is recommended because it reduces the likelihood of feeding a protein to which the animal is allergic. One prospective study reported a resolution in clinical signs associated with idiopathic chronic colitis in 13 dogs fed rice and cottage cheese. Only 2 of the dogs in this study tolerated a challenge with the original commercial diet that had been fed at the time of the onset of signs of colitis. A second prospective study reported resolution of clinical signs associated with lymphocytic-plasmacytic colitis in 6 cats fed lamb and rice, or horsemeat. Four of those cats were successfully placed on a veterinary therapeutic food after two weeks on the elimination diet. Subsequent reintroduction of a feline commercial food resulted in recurrence of diarrhea in 3 cats, which resolved after the diet was removed. In a third prospective study, 20 dogs with a non-seasonal, pruritic skin disorder and gastrointestinal signs were placed on one of two novel protein diets; a homemade diet of fish and potato or a commercial diet containing fish and soy. Gastrointestinal signs were reduced or eliminated while the dogs were on their dietary treatments. Recurrence of gastrointestinal signs was seen concurrently with a recurrence of pruritus when the dogs were challenged with components of their original diets. The challenge results in these three studies strongly suggest a dietary role in the pathogenesis of this disorder and also illustrate the potential importance of dietary therapy. Highly digestible commercial diets, without novel protein sources, have also been shown to be effective in the management of large bowel diarrhea. In one prospective study, 11 dogs with idiopathic, chronic colitis were treated for 4 months with a commercial restricted antigen diet containing protein sources limited to chicken and rice. All dogs were simultaneously treated with sulfasalazine (20 to 40 mg/kg/day). Previous dietary management had been attempted in 9 of the 11 dogs, but diet histories were not provided. Within 1 month of consuming the limited antigen diet, 60% of the dogs required no sulfasalazine, or a reduced dosage than when originally presented. Within 2 months, 90% were stabilized with no drug therapy. In this study it was difficult to differentiate between the dietary and drugrelated effects of management because the two were administered simultaneously. The authors also suggest it was likely that both the digestibility (although not determined in the study) and the limited allergen content of the diet were important factors that may have contributed to the successful management of the dogs. A recent study investigated the prevalence of adverse reactions to foods in cats with chronic gastrointestinal problems. The diagnosis of food sensitivity was made by dietary elimination-challenge studies using commercial selectedprotein diets (chicken or venison-based). Sixteen (29%) of the 55 cats with chronic idiopathic gastrointestinal problems were diagnosed as food sensitive. The clinical signs of another 11 cats (20%) resolved on the elimination diet but did not recur after a challenge with their previous diet. The most


160

common allergens identified were beef, wheat and corn gluten. Weight loss occurred in 11 of the affected cats. Large bowel diarrhea was more common than small bowel diarrhea. The clinical feature most suggestive of food sensitivity was concurrent occurrence of gastrointestinal and dermatological signs. Collectively, 50% of the cats fed the selectedprotein diets had resolution of their clinical signs. This observation suggests that selected-protein diets should be considered an important part of the management of cats with idiopathic gastrointestinal problems.

Dietary Fiber The theoretic concerns with dietary fiber’s “abrasive” effects on the inflamed intestinal tract and fiber’s indigestibility are currently being reconsidered because the gelling and binding properties of fatty acids and deconjugated bile acids in soluble fibers may be beneficial in certain gastrointestinal diseases. High fiber diets containing soluble, insoluble or mixed fiber are frequently recommended for the treatment of chronic colitis. The use of soluble (fermentable) fiber in preference to insoluble (non-fermentable) fiber is sometimes advocated because most soluble fibers generate butyrate, the principle source of energy for the colonocyte, and other short-chain fatty acids. Short-chain fatty acids may lower the colonic luminal pH, impeding the growth of pathogens. Fructooligosaccharides (FOS) are carbohydrates that resist digestion by the enzymes in the gastrointestinal tract and can be metabolized by the microbial species that colonize the distal small intestine and colon. The addition of FOS to feline diets at 0.75% (DM) did not affect duodenal flora, but it did increase the numbers of lactobacilli and reduce the numbers of E. coli in the fecal flora of healthy cats. Fructooligosaccharides have also been demonstrated to alter the duodenal bacterial flora in healthy German shepherd dogs with bacterial overgrowth. Recently, treatment of chronic idiopathic large bowel diarrhoea with a highly digestible diet and soluble fiber was reviewed in a retrospective study of 37 dogs. Treatment with a soluble fiber source (Metamucil), added to a highly digestible diet, resulted in a very good to excellent response in 23 of the 27 dogs that received supplementation. Dogs classified as having a very good or excellent response to soluble fiber supplementation received no other additional therapy except for occasional loperamide or diphenoxylate. Fiber supplementation was later reduced or eliminated in 11 dogs; diarrhea returned in 6 of them.

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

ficacy of n-3 fatty acids in fish oil to sulfasalazine in the treatment of mild to moderate active ulcerative colitis in humans. Treatment with n-3 fatty acids resulted in greater disease activity as detected by a significant increase in platelet count, erythrocyte sedimentation rate, C-reactive protein, and total fecal nitrogen excretion. An often overlooked concern is the increase in lipid peroxidation after fish oil supplementation is instituted. Antioxidant supplementation may be able to counteract the potentially adverse effects of n-3 fatty acids. Most of the literature regarding n-3 fatty acid administration fails to address the amount of attendant antioxidant supplementation. There are no reports in the veterinary literature to date demonstrating the efficacy of n-3 fatty acid supplementation in managing canine or feline patients with IBD. Studies in healthy dogs fed diets with n-6 to n-3 ratios of 5:1 and 10:1 demonstrated a decreased production of LTB4 in plasma, neutrophils and skin. Increases in certain long chain n-3 fatty acids and decreases in arachidonic acid were identified in the small intestine and colonic mucosa of healthy Beagles fed the same ratios. Further research is necessary to determine the clinical benefits in dogs and cats with large bowel diseases.

Fat Avoiding excessive fat can be instrumental in the management of various gastrointestinal diseases because fat delays gastric emptying and high-fat foods may contribute to osmotic diarrhea. Malabsorbed fatty acids are hydroxylated by intestinal bacteria and stimulate colonic water secretion, exacerbating diarrhea as well as gastrointestinal protein and fluid losses.

Vitamins and Minerals Water-soluble vitamins are often depleted by the fluid losses associated with diarrhea and fat-soluble vitamin loss can be significant in animals with steatorrhea. Deficiencies of vitamins A, C, D, E and most of the water-soluble B vitamins, particularly folate and cobalamin, have been reported in the human literature. Common mineral deficiencies in patients with ulcerative colitis and Crohn’s disease include selenium, zinc and magnesium. Cats with severe IBD frequently have subnormal serum cobalamin concentrations. Published recommendations for vitamin B12, K and E supplementation in gastrointestinal disease are available but further investigation into vitamin and mineral status and requirements for dogs and cats with IBD is warranted.

POLYUNSATURATED FATTY ACIDS Fish oil has been reported to be beneficial in ulcerative colitis and Crohn’s disease patients, but the results are controversial. Only two of these studies found significant decreases in rectal LTB4 concentrations, the others simply reported clinical improvement. The differences between the reports regarding study design, supplement composition, dose and assessment of clinical improvement may in part explain the conflicting results. A recent study compared the ef-

Diet Selection and Feeding The best nutritional approach for the treatment of IBD remains to be determined and is most likely different from animal to animal. Three types of dietary approaches are frequently used in the management of IBD; 1) highly digestible, low-residue foods, 2) fiber-enhanced foods, and 3) elimination or novel foods. One common approach is to feed


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

a complete and balanced commercial diet containing moderate amounts of a highly digestible protein source to which the animal has not been previously exposed with moderate levels of dietary fat (12-15% or 15-20% DM for dogs and cats respectively). There are a number of commercial diets available that meet these specifications. The supplementation of fermentable fiber sources such as psyllium or oat bran may be necessary in animals showing partial resolution of their clinical signs. Failure to respond to these recommendations may necessitate selecting another novel protein source diet, adding insoluble fiber to the diet, or further restricting dietary fat. A complete and balanced computer-generated homemade diet that is prepared by a veterinary nutritionist is a viable alternative for dogs and cats that do not improve with conventional dietary recommendations. A small number of animals with severe IBD will fail to respond to commercial novel protein diets, hydrolyzed protein diets, or homemade formulations, despite aggressive pharmacologic therapy. These patients may benefit from human purified formulations in which the protein has been hydrolyzed to peptides or amino acids, carbohydrates are present as oligosaccharides, and lipid is present as essential fatty acids. Many of these formulations will need to be supplemented with protein and taurine for long-term use in cats. Parenteral nutrition should be reserved for use in anorexic or debilitated patients with persistent vomiting or severe malabsorption.

161

The drug is gradually tapered over a 4- to 10-week period once clinical remission is attained. Some dogs and cats will require higher dosages to maintain clinical remission; however, the deleterious side effects of prednisone in dogs (polyuria, polydipsia, polyphagia, weakness, and other clinical signs of iatrogenic hyperadrenocorticism) often preclude its prolonged administration. Combination therapy with a controlled diet, azathioprine, or metronidazole is undertaken with the goal of reducing the dose of prednisone. Poorly absorbed oral steroids have been developed for human patients to reduce the systemic side effects of oral glucocorticoids. Budesonide, an orally administered corticosteroid structurally related to 16-hydroxyprednisolone, has high topical anti-inflammatory activity and low systemic activity because of its high affinity to the steroid receptor and rapid hepatic conversion to metabolites with minimal or no steroid activity. Controlled prospective clinical trials comparing the efficacy of prednisone versus budesonide in dogs with IBD are warranted before the routine use of this drug can be recommended. Parenteral corticosteroid therapy is reserved for vomiting patients, or animals with severe nonresponsive disease. Depot preparations of glucocorticoid should be avoided because of their rapid and severe depression of the hypothalamo-pituitary axis and their inconsistent control of clinical signs in animals with moderate to severe IBD.

AZATHIOPRINE PHARMACOLOGIC MANAGEMENT Most dogs and cats with moderate to severe IBD will require adjuvant pharmacologic therapy in combination with dietary management. It is important to understand that the therapy of IBD must be tailored according to each patient’s response.

Oral Corticosteroids Corticosteroids remain the cornerstone of medical therapy for IBD, despite the lack of published controlled clinical trials documenting their benefit in dogs and cats with IBD. The value of corticosteroids relates to their anti-inflammatory and immunosuppressive properties, although they also increase intestinal sodium and water absorption in the small and large bowel, and regulate basal colonic electrolyte transport. Corticosteroids also inhibit the synthesis of cytokines including interferon, interleukin (IL) 1, IL-2, IL-3, tumor necrosis factor, bradykinin, and histamine. The main indication for corticosteroid administration appears to be in dogs and cats with lymphoplasmacytic or eosinophilic gastroenteritis, and in dogs with colitis that is only partially responsive to sulfasalazine or metronidazole. Prednisone is the corticosteroid most frequently used for the therapy of canine and feline IBD. The dosage and duration of therapy is based on the severity and duration of clinical signs, the severity and type of inflammation, the clinical response, and tolerance to the drug. The initial dosage of prednisone for therapy of IBD in dogs is 1 to 2 mg/kg q 12 hours. Most cats are started at a dose of 5 mg per cat q 12 hours.

Azathioprine is an antimetabolite that is converted to 6mercaptopurine in the liver and then to thioinosinic acid. The latter compound impairs purine biosynthesis and this biochemical reaction inhibits cellular proliferation and reduces natural killer cell cytotoxicity. The onset of these immunological effects is slow, paralleling the human clinical data which shows benefits for these drugs when given for 3 to 6 months or longer. Despite the lack of clinical trials showing efficacy of azathioprine in the treatment of canine and feline IBD, clinical and anecdotal experience suggests that the drug is most useful in dogs as adjunctive therapy in severe or refractory IBD. Azathioprine can also be used for its steroid-sparing effects when the adverse effects of prednisone are unacceptably high. The dose for dogs is 50 mg/m2 or 1-2 mg/kg once daily for 2 weeks, followed by alternateday administration, whereas cats should receive 0.3 mg/kg q 48 hours. The most significant side effect of azathioprine is bone marrow suppression, particularly in cats. Frequent hematologic monitoring is warranted with temporary discontinuation of the drug if thrombocytopenia or neutropenia develop. Other side effects include anorexia, pancreatitis, and hepatic dysfunction.

CHLORAMBUCIL AND CYCLOPHOSPHAMIDE Despite the lack of clinical trials in canine IBD, the alkylating agents chlorambucil and cyclophosphamide, appear beneficial for managing refractory cases of IBD or in patients intolerant to azathioprine. In dogs chlorambucil is administered at 1.5 mg/m2 every alternate day, whereas cy-


162

clophosphamide is administered at 50 mg/m2 every alternate day or once daily four times a week. Because of the myelosuppressive effects of the drugs, haematological monitoring is warranted every 2 weeks to ensure there are at least 3,000 neutrophils/µl before continuing drug administration. The drug(s) should be discontinued until the blood counts have recovered and subsequent dosing of these drugs should be reduced by 25% or the interval between dosages increased. Cyclophosphamide administration is also associated with a sterile hemorrhagic cystitis. Chlorambucil administered at 15 mg PO/m2 once per day for 4 days, repeated q 3 weeks (in combination with prednisone) appears highly effective for managing cats with severe IBD or intestinal lymphoma.

Sulfasalazine The drug consists of sulfapyridine linked to mesalamine (previously called 5-aminosalicylic acid) by an azo bond and is poorly absorbed in the upper gastrointestinal tract. In humans, approximately 75% of sulfasalazine passes unabsorbed to the colon, where bacterial azoreductases cleave the azo bond and release the active moiety of the drug, mesalamine. Sulfapyridine is almost completely absorbed in the colon, metabolized in the liver, and excreted in the urine. The mesalamine moiety is locally absorbed and acetylated in the cytosol of the colonic epithelial cell and inhibits the formation and degradation of inflammatory mediators, including leukotrienes, prostaglandins, thromboxane, platelet activating factor, histamine, and a number of cytokines, including interleukin 1 and interferon). Sulfasalazine is of no value in managing small bowel inflammation because colonic bacterial metabolism is needed to release the active moiety. Sulfasalazine is supplied as 500mg tablets or as a 50-mg/ml liquid formulation. The usual initial dose in dogs is 20 to 40 mg/kg q 8 hours for 3 weeks, followed by 20 to 40 mg/kg q 12 hours for 3 weeks, and 10 to 20 mg/kg q 12 hours for 3 weeks. The author prefers to manage cats with chronic colitis using prednisone, although sulfasalazine can be used, albeit at a lower dose (10-20 mg/kg q 24 hours) due to the salicylate portion of the drug. The most common side-effects of sulfasalazine include anorexia, vomiting, cholestatic jaundice, allergic dermatitis, and keratoconjunctivitis sicca (KCS). These side effects have been attributed to the sulfapyridine moiety; however, studies in beagles have documented the association of KCS with mesalamine administration. Newer salicylates have been developed to deliver mesalamine to the colon without the use of sulfapyridine as a carrier molecule to minimize these hypersensitivity reactions. Olsalazine (Dipentum) (two molecules of mesalamine linked by an azo bond), and balsalazide (mesalamine linked to a 4-aminobenzoyl-3-alanine) have similar pharmacodynamics to those of sulfasalazine. Olsalazine has enjoyed limited usage in dogs at a dosage of 10 to 20 mg/kg q 8 h without causing apparent side-effects. Asacol consists of mesalamine coated with a pH-sensitive polymer that is only degraded when the drug reaches the colon. Asacol has been used infrequently in dogs at the dose of 10 mg/kg q 8 hours without adverse effect.

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Metronidazole Metronidazole (Flagyl) has several beneficial properties, including broad spectrum activity against anaerobic bacteria, antiprotozoal activity, and potent inhibition of cell-mediated immunity. Metronidazole may be used as a single agent in mild cases of IBD; however, it should be combined with prednisone to manage moderate to severe cases or to allow a reduction in prednisone dosage. The dose of metronidazole is 10 to 15 mg/kg q 8 to 12 hours. Metronidazole is supplied as 250 and 500 mg tablets or as a 5 mg/ml oral suspension. Metronidazole tablets have a sharp, unpleasant, metallic taste when scored that can cause severe salivation. Scored tablets can be placed in empty gelatin capsules or compounded into a palatable suspension to minimize this problem from occurring. Side- effects are rare, although metronidazole has been associated with a peripheral neuropathy in both humans and dogs. Less common side effects include inappetence, nausea, vomiting, ataxia, seizures, and reversible neutropenia.

Tylosin Tylosin (Tylan) is a macrolide antibiotic that has been reported to be effective in managing canine IBD. Although the drug’s mechanism of action is unknown, it appears to be effective in some dogs refractory to other forms of therapy. Tylosin is supplied in a highly concentrated powdered form (approx. 3.5 g per teaspoon) marketed for poultry. The dose range is 20 to 40 mg/kg q 12 hours. Tylosin appears safe and no side effects have been reported.

Therapy for the Future Gastrointestinal motility is altered in dogs with experimentally-induced ileitis and colitis. Malabsorption may occur due to injury to the epithelial cells and due to ultra rapid propulsion of intestinal contents by giant migrating contractions (GMC’s) so that sufficient mucosal contact time is not allowed for digestion and absorption to occur. The accumulation and activation of intestinal immunocytes in IBD releases chemical messengers such as platelet activating factor (PAF) and serotonin that stimulate GMC’s and alter enteric neuromuscular function. The PAF receptor antagonist, BN 50727, inhibits the contractile response during ileal inflammation. In dogs, inflammation due to Trichinella spiralis infection occurs throughout the small intestine. Verapamil, an L-type Ca2+ channel blocker, significantly reduces the frequency of GMC’s and diarrhoea, suggesting that novel therapy directed at restoring abnormal motility patterns might improve clinical signs in dogs with IBD. Specific 5-lipoxygenase inhibitors such as Zileuton (Leutrol) and antagonists of the 5-lipoxygenase-activating protein are being developed in an effort to inhibit the potent lipid inflammatory mediator, LTB4. Zileuton reduces levels of LTB4 in rectal dialysates of human ulcerative colitis patients and induced remission in patients with ulcerative colitis. References available upon request


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

163

Novità sui disordini epatici nel gatto Stanley L. Marks BVSc, PhD, Dipl ACVIM (Internal Medicine, Oncology), Dipl ACVN - University of California, Davis, USA

Estratto breve Nel Nord America, le principali cause di epatopatia felina sono la lipidosi epatica (50%), l’epatopatia infiammatoria (25%), il linfoma maligno ed il carcinoma (4%). Disordini epatici meno comuni nel gatto sono le anomalie vascolari portali, la necrosi, l’ostruzione del dotto biliare e le cisti. La lipidosi epatica idiopatica (IHL, idiopatic hepatic lipidosis) del gatto è una sindrome ben riconosciuta e caratterizzata dall’accumulo di un eccesso di trigliceridi negli epatociti con conseguente colestasi e disfunzione epatica. L’apporto di un’adeguata assunzione energetica giornaliera è il caposaldo del successo del trattamento medico dei gatti colpiti da questa condizione. Un apporto adeguato di energia è indispensabile per: 1) prevenire il catabolismo degli aminoacidi a fini energetici, 2) inibire la lipolisi periferica e 3) evitare l’eccessivo consumo di energia, che promuove l’accumulo di trigliceridi a livello epatico. La maggior parte dei gatti con lipidosi epatica idiopatica può essere alimentata con le diete commerciali terapeutiche o di mantenimento che contengono il 25-40% di grassi (sulla sostanza secca) e sono caratterizzate da densità energetiche pari o superiori a 4,4 kcal/g (sulla sostanza secca). Il fabbisogno energetico giornaliero dei gatti con lipidosi epatica idiopatica deve inizialmente essere basato sul loro peso effettivo e gradualmente aumentato man mano che l’animale diviene più tollerante alla dieta. I gatti con lipidosi epatica idiopatica tollerano quantità moderate di proteine nella razione, a meno che non siano colpiti da una concomitante encefalopatia epatica. Le diete commerciali per uso veterinario che contengono il 30-45% di proteine sulla sostanza secca sono ben tollerate dai gatti colpiti. Le diete per i gatti con lipidosi epatica idiopatica devono essere caratterizzate da replezione potassica (0,8-1,0% di potassio sulla sostanza secca) oppure si deve prendere in considerazione un’integrazione con questo elemento (2-6 mEq di potassio gluconato al giorno). La carnitina trasporta gli acidi grassi a catena lunga attraverso la membrana mitocondriale interna nella matrice mitocondriale per la β-ossidazione. Inoltre, rimuove i gruppi acilici potenzialmente tossici dalle cellule ed assicura l’equilibrio dei rapporti di CoA libero/acetil-CoA fra i mitocondri ed il citoplasma. Center et al. hanno dimostrato che diete integrate con L-carnitina possono facilitare senza alcun rischio la rapida perdita di peso in gatti di proprietà obesi. Sulla base di questi riscontri, il Dr. Center suggerisce di effettuare nei gatti con lipidosi un’integrazione con una dose di 250-500 mg di L-carnitina/die. L’avversione al cibo sembra essere una componente importante dell’anoressia dei gatti con lipidosi epatica. I soggetti

che rifiutano di mangiare una dieta che associano alla nausea possono continuare ad evitarla anche dopo la completa guarigione a causa di questo abbinamento con una sensazione sgradevole. Questi animali devono quindi essere alimentati mediante sonda subito dopo la formulazione della diagnosi di lipidosi epatica piuttosto che offrire loro parecchie diete commerciali nei confronti delle quali potrebbero sviluppare un’avversione. La prognosi per questo disordine potenzialmente letale è migliorata drasticamente nell’arco degli ultimi anni per effetto dell’alimentazione enterale a lungo termine (per 3-8 settimane o più). Sulla base delle caratteristiche istologiche, sono stati descritti due tipi principali di epatopatia infiammatoria. La colangioepatite (acuta e cronica) e l’epatite portale linfocitaria. I segni clinici associati alle epatopatie infiammatorie sono variabili ed aspecifici e frequentemente simili a quelli che accompagnano la lipidosi epatica. Il più comune, e talvolta il solo, è l’anoressia parziale o completa. Altre manifestazioni osservate con minore frequenza sono rappresentate da perdita di peso, depressione, vomito, diarrea e febbre. Confrontando tutte le epatopatie infiammatorie con la lipidosi epatica, si rileva come quest’ultima tenda ad essere caratterizzata da concentrazioni più elevate di bilirubina totale e valori più elevati di ALT e SAP. Le caratteristiche distintive della lipidosi epatica sono rappresentate da ittero ed aumento di 10 volte o più dei valori di ALT e SAP, senza un corrispondente incremento di quelli di γ-glutamiltransferasi (GGT). In altre forme di epatopatia nel gatto, gli incrementi della GGT tendono ad avere un andamento parallelo ai valori della SAP. Anche se esistono quadri ematologici e biochimici che differenziano le epatopatie infiammatorie (colangioepatite acuta e cronica, epatite portale linfocitaria) dalla lipidosi epatica idiopatica e dalla neoplasia epatica, per stabilire una diagnosi definitiva è essenziale ricorrere all’esame citologico o istopatologico del fegato. La principale terapia specifica per la colangioepatite acuta e cronica è rappresentata dagli antibiotici. L’intervento chirurgico è stato raccomandato nei casi in cui viene identificato un colelita isolato o un’ostruzione biliare completa. Gli antibiotici scelti per il trattamento della colangioepatite devono essere escreti nella bile in forma attiva ed agire nei confronti dei coliformi intestinali aerobici ed anaerobici. Tetraciclina, ampicillina, amossicillina, eritromicina, cloramfenicolo e metronidazolo vengono escreti nella bile in forma attiva; tuttavia, parecchi di questi agenti sono caratterizzati da significativi effetti collaterali indesiderati. L’eritromicina non è efficace nei confronti dei batteri Gram negativi, la tetraciclina è epatotossica ed il cloramfenicolo può causare anoressia. Come conseguenza, si utilizzano frequentemente l’ampicillina o l’amos-


164

sicillina con acido clavulanico. Sono tutti antibiotici ad ampio spettro efficaci nei confronti di microrganismi Gram-negativi e Gram-positivi e ben tollerati nel gatto. Questi agenti possono essere associati al metronidazolo per ampliare lo spettro agli anaerobi ed ad un maggior numero di coliformi. Si raccomanda un trattamento con antibiotici per due mesi o più. Quando i gatti con colangioepatite cronica non rispondono alla terapia antibiotica da sola entro 2-3 settimane di solito si aggiunge su base empirica il prednisolone. Le proprietà antinfiammatorie ed immunosoppressive di questo agente possono risultare utili per limitare il danno epatocellulare. Inizialmente si deve utilizzare il farmaco a dosi immunosoppressive (2,2-4 mg/kg ogni 24 ore). La posologia viene lentamente ridotta passando ad una somministrazione a giorni alterni (1-2 mg/kg ogni 48 ore) per il trattamento a lungo termine. Studi limitati sulla risposta dei casi di colangioepatite al trattamento con antibiotici suggeriscono che la sopravvivenza dei gatti con colangioepatite acuta e cronica è simile. La metà circa degli animali muore o viene soppressa eutanasicamente entro un anno dalla diagnosi, il 40% sopravvive per un periodo compreso fra uno e cinque anni ed il resto può presumibilmente andare incontro ad una sopravvivenza prolungata, oltre i cinque anni. Ci si augura che l’inizio dei protocolli di trattamento standard associati, in caso di necessità, alla correzione chirurgica dell’ostruzione del dotto biliare aumenti il numero di gatti con sopravvivenza a lungo termine. Nei soggetti con epatite portale linfocitaria la prognosi sembra essere migliore rispetto a quelli con colangioepatite. Su 23 casi disponibili per il follow-up, il 30% è sopravvissuto meno di un anno, il 40% fra uno e cinque anni ed il 26% più di cinque anni. Il tempo medio di sopravvivenza per i gatti che hanno resistito più di un anno è stato di 51,8 mesi, con il 22% degli animali ancora vivi al momento del follow-up. La relazione sarà focalizzata sulla differenziazione di laboratorio fra disordini epatici infiammatori del gatto e lipidosi epatica idiopatica, sui riscontri di diagnostica per immagini epatica e sulle strategie terapeutiche da utilizzare per il trattamento dei gatti colpiti da questi disordini.

Estratto completo In North America, hepatic lipidosis (50%), inflammatory liver disease (25%), malignant lymphoma (5%), and carcinoma (4%) are the major causes of feline liver disease. Less common feline hepatic disorders include portal vascular anomalies, necrosis, bile duct obstruction, and cysts.

FELINE IDIOPATHIC HEPATIC LIPIDOSIS Feline idiopathic hepatic lipidosis (IHL) is a well-recognized syndrome characterized by accumulation of excess triglycerides in hepatocytes with resulting cholestasis and hepatic dysfunction. Many cats with IHL are obese and often present with a history of prolonged anorexia after a stressful event. The etiopathogenisis of this syndrome is poorly understood, but may relate to protein deficiency, ex-

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

cessive peripheral lipolysis, excessive lipogenesis, inhibition of lipid oxidation or inhibition of the synthesis and secretion of very low-density lipoproteins. The prognosis for this lifethreatening disorder has improved dramatically over the past several years as a result of long-term enteral feeding (i.e., three to eight weeks or longer). Initial management should be directed toward correcting complications such as dehydration, electrolyte abnormalities, hepatic encephalopathy, and infection.

Treatment of Hepatic Lipidosis Provision of adequate daily energy intake is the cornerstone of successful medical management of cats with IHL. An adequate supply of energy is needed to: 1) prevent catabolism of amino acids for energy, 2) inhibit peripheral lipolysis, and 3) avoid excessive energy consumption, which will promote hepatic triglyceride accumulation. Most cats with IHL can be fed commercially-available therapeutic or maintenance diets containing 25-40% fat (DM), and energy densities equal to or in excess of 4.4 kcal/g (DM). The daily energy requirement for cats with IHL should initially be based on the cat’s current body weight and gradually increased as the animal becomes more tolerant to the diet. Cats with IHL will tolerate moderate amounts of dietary protein unless they are suffering from concurrent hepatic encephalopathy. Commercial veterinary diets containing 30 to 45% protein on a DM basis are well tolerated by affected cats. Hypokalemia was present in 19 of 66 cats (29%) with severe hepatic lipidosis. Hypokalemia may develop due to inadequate potassium intake, vomiting, magnesium depletion, and concurrent renal failure. Hypokalemia was significantly related to nonsurvival in this group of cats. Hypokalemia is deleterious because it may prolong anorexia and exacerbate hepatic encephalopathy. Diets for cats with IHL should be potassium replete (0.8-1.0% potassium on a DM basis), or potassium supplementation (2-6 mEq potassium gluconate per day) should be considered. Carnitine transports long chain fatty acids across the inner mitochondrial membrane into the mitochondrial matrix for oxidation. Carnitine also removes potentially toxic acyl groups from cells and equilibrates ratios of free CoA/acetyl-CoA between the mitochondria and cytoplasm. Center and colleagues showed that diets supplemented with L-carnitine can safely facilitate rapid weight loss in privately owned obese cats. Based on these findings, Dr. Center recommends supplementing cats with lipidosis a dose of 250-500 mg L-carnitine/day. Food aversion appears to be an important component of the anorexia of cats with hepatic lipidosis. Cats that refuse to eat a diet that they associate with nausea may continue to avoid that diet even after full recovery due to their association with the unpleasant sensation. One should therefore tube-feed these cats as soon as the diagnosis of hepatic lipidosis has been made, rather than offer several commercial diets that the cat can develop an aversion to. Cats should not be offered any food by mouth for approximately 10 days following placement of a feeding tube. Cats expressing an interest to eat can then be presented with food. The prognosis


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

for IHL is influenced to a large degree by the ability of the clinician or owner to aggressively meet the cat’s caloric requirements via enteral feeding. The use of appetite stimulants can be attempted, but usually results in failure to meet the cat’s caloric requirement and frustration for the owner and cat. Caution should be exercised with the use of anabolic steroids and diazepam, particularly in patients with liver disease, due to the potential for hepatotoxicity. Two major types of inflammatory liver disease have been described based on histologic features; cholangiohepatitis (acute and chronic) and lymphocytic portal hepatitis. ACUTE CHOLANGIOHEPATITIS is characterized by infiltration of large numbers of neutrophils into portal areas of the liver and into bile ducts. Disruption of the periportal limiting plate results in necrosis of hepatocytes adjacent to portal areas and infiltration of neutrophils into hepatic lobules. Acute cholangiohepatitis may begin as an ascending bacterial infection within the biliary tract; however, bacteria are only isolated in a few cases. Organisms include Bacteroides, Actinomyces, E. coli, Clostridia, and alpha hemolytic Streptococcus. Congenital or acquired abnormalities of the biliary system, including anatomic abnormalities of the gall bladder or common bile duct and gallstones may predispose to cholangiohepatitis. Inspissation of bile which may cause partial or complete obstruction of the common bile duct, gall bladder, or intrahepatic bile ducts frequently accompany chalangiohepatitis and may require treatment before the cholangiohepatitis can be controlled or resolved. CHRONIC CHOLANGIOHEPATITIS is probably a later stage of acute cholangiohepatitis. It is characterized by a mixed inflammatory infiltrate in portal areas and bile ducts consisting of neutrophils, lymphocytes, and plasma cells. Unlike acute cholangiohepatitis, bile duct hypertrophy and portal fibrosis are prominent. In terminal stages, chronic cholangiohepatitis may progress to biliary cirrhosis (also termed sclerosing cholangitis). Diseases frequently associated with cholangiohepatitis include inflammatory bowel disease and pancreatitis. Eighty three percent of cats with cholangiohepatitis had concurrent inflammatory infiltrates in the duodenum and/or jejunum and 50% had pancreatic lesions. This association has lead to the use of the term “triaditis” to describe affected cats. Inflammatory bowel disease may give rise to retrograde bacterial invasion of the common bile duct with resultant pancreatitis and cholangiohepatitis. Despite the high incidence of inflammatory infiltrates in the small intestine, diarrhoea is not a frequent finding in cats with cholangiohepatitis. LYMPHOCYTIC PORTAL HEPATITIS appears to be distinct from acute and chronic cholangiohepatitis. It is characterized by infiltration of lymphocytes and plasma cells, but not neutrophils, into portal areas but not into bile ducts. Variable degrees of bile duct hypertrophy and fibrosis are present; however, lymphocytic portal hepatitis does not progress to biliary cirrhosis. Lymphocytic portal hepatitis is a frequent finding in old cats. This condition is felt to reflect an immune-mediated disease; however, this has not been substantiated to date.

165

Clinical signs Clinical signs associated with inflammatory liver diseases are variable and nonspecific and are frequently similar to those associated with hepatic lipidosis. Partial or complete anorexia is the most common, and sometimes the only, clinical sign. Other less frequently observed clinical signs include weight loss, depression, vomiting, diarrhoea, and fever. Cats with acute cholangiohepatitis tend to be younger (mean age 3.3 years) than cats with chronic cholangiohepatitis (mean age 9.0 years), lymphocytic portal hepatitis (8.2 years) or hepatic lipidosis (mean age 6.2 years). Male cats are more frequently affected with acute cholangiohepatitis. Cats with acute cholangiohepatitis are more acutely and severely ill than cats with most other types of liver disease. Prominent clinical signs in acute cholangiohepatitis include fever, depression, and dehydration. Jaundice and altered liver size are frequently the only findings that direct attention to liver disease. In severe cases, ecchymotic haemorrhages and/or prolonged bleeding from venipuncture sites may occur. Jaundice is most easily observed in the sclera but may also be observed in the soft palate or under the tongue. When liver size is evaluated radiographically, hepatomegaly is a frequent finding in feline liver disease but cannot be used to differentiate amongst the various causes.

Laboratory evaluation Haematologic and biochemical testing are essential to establish a diagnosis of liver disease. Although there are trends that differentiate inflammatory liver diseases from hepatic lipidosis and hepatic neoplasia, liver cytology or histopathology is essential to establish a definitive diagnosis. Fasting bile acids is the test that is most consistently abnormal in all types of inflammatory liver diseases and hepatic lipidosis. Laboratory changes typically seen with acute cholangiohepatitis include mild neutrophilia and left shift, normal to slight increase in serum bilirubin and serum alkaline phosphatase (SAP) and a substantial increase in alanine aminotransferase (ALT). This profile tends to differentiate acute cholangiohepatitis from chronic cholangiohepatitis, hepatic lipidosis, and hepatic neoplasia. Laboratory changes typical of chronic cholangiohepatitis include substantial increases in serum bilirubin, SAP, and ALT. Other associated changes may include mild nonregenerative anaemia, hyperglobulinemia, lymphocytosis, and hyperglycemia. Laboratory alterations associated with lymphocytic portal hepatitis include normal to variably increased serum bilirubin, ALT, and SAP. When all inflammatory liver diseases are compared to hepatic lipidosis, hepatic lipidosis cases tend to have higher total bilirubin concentrations, and higher ALT and SAP. The hallmarks of hepatic lipidosis include jaundice, 10-fold or greater increases in ALT and SAP, without a corresponding increase in gamma glutamyl transferase (GGT). In other forms of liver disease in cats, increases in GGT tend to parallel increases in SAP. When the clinical chemistry profile reveals evidence of liver disease, hyperthyroidism should be ruled out. Hyper-


166

thyroid cats frequently have changes in ALT and SAP that may be indistinguishable from those associated with inflammatory liver diseases. The increased enzyme concentrations normalize with treatment of hyperthyroidism. Pathologic changes in liver associated with hyperthyroidism have not been well characterized.

Liver imaging Abdominal ultrasonography is often helpful in evaluation of extrahepatic disorders associated with cholangiohepatitis. Most cats with acute or chronic cholangiohepatitis or with lymphocytic portal hepatitis have variable or no detectable alterations in the echogenicity of the hepatic parenchyma. Conversely, most cats with hepatic lipidosis have hyperechoic hepatic parenchyma. Bile duct abnormalities may be observed in cholangiohepatitis. These abnormalities include gall bladder and/or common bile duct distention, cholelithiasis, cholecystitis, and bile sludging. The normal gall bladder is anechoic and appears round in the transverse scan and pear-shaped in the longitudinal scan. It is important to remember that gallbladder filling occurs normally with fasting, therefore, caution must be exercised in interpreting gall bladder enlargement in an anorectic or fasting cat. The common bile duct can usually be seen as an anechoic, tortuous, tubular structure 2 to 4 mm in diameter with an echogenic wall. Distention of the gall bladder and common bile duct (i.e. greater than 5 mm in diameter) occurs as a result of cholecystitis, or biliary obstruction. The gall bladder wall may become thickened as a result of inflammation or edema. The thickened gall bladder wall has a layered or “double-walled� appearance. Bile sludge within the gall bladder or common bile duct appears echogenic.

Liver cytology/histopathology Liver cytology or tissue biopsy is essential in differentiating inflammatory liver diseases from hepatic lipidosis and neoplasia. The use of fine needle aspirates eliminates the need for anaesthesia and markedly reduces the chance of haemorrhage. The diagnostic utility of liver cytology is controversial. Several reports indicate that cytologic evaluation is highly efficient in identifying hepatic lipidosis and hepatic lymphoma; however, inflammatory liver diseases are more difficult to identify cytologically. Results of another retrospective study, however, indicate poor correlation between liver cytology and histopathology. Cytologically, hepatic lipidosis is characterized by clusters of hepatocytes in which the cytoplasm is distended with lipid-filled droplets. Malignant lymphoma cells readily exfoliate and can be diagnosed by cytologic evaluation. Cytologic diagnosis of inflammatory liver diseases is hampered by blood contamination, which introduces variable numbers of blood leukocytes into the samples. Therefore, the cytologist is left to determine whether leukocytes are of blood origin or represent inflammatory lesions within the liver. Ultrasound-guided aspiration and biopsy techniques more consistently produce diagnostic specimens than do

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

blind techniques. Ultrasound-guided fine needle aspiration can be used to sample bile as well as hepatic parenchyma. Such samples can be examined cytologically to look for inflammatory cells and bacteria and can be cultured to confirm bacterial infections. Optimal evaluation, in a relatively stable patient, would consist of 2 or 3 ultrasound-guided liver biopsies and collection of a bile sample under ultrasound guidance. Touch impressions of the liver biopsy specimen may be done to produce good quality slides for cytologic evaluation. In a clinically unstable patient, ultrasound-guided fine needle aspiration is recommended. Sonography can be used to monitor for excessive haemorrhage 5 to 10 minutes after aspiration or biopsy.

Treatment The major specific therapy for acute and chronic cholangiohepatitis is antibiotics. Surgical intervention has been recommended if discrete choleliths or complete biliary obstruction is identified. When complete extrahepatic bile duct obstruction is identified, surgical decompression and biliaryto-intestinal diversion (i.e. cholecystoduodenostomy or cholecstojejunostomy) is recommended. Bacterial culture and sensitivity testing of bile, liver aspirate or biopsy specimens, choleliths, or gall bladder specimens, should be used to select appropriate antimicrobial agents whenever possible. Antibiotics chosen for treatment of cholangiohepatitis should be excreted in the bile in active form, and should be active against aerobic and anaerobic intestinal coliforms. Tetracycline, ampicillin, amoxicillin, erythromycin, chloramphenicol, and metronidazole are excreted in the bile in active form; however, several of these have significant adverse side effects. Erythromycin is not effective against gram-negative bacteria, tetracycline is hepatotoxic, and chloramphenicol may cause anorexia. As a result, ampicillin or amoxicillin combined with clavulanic acid is frequently used. All are broad-spectrum antibiotics, effective against both gram-negative and gram-positive organisms, and are well tolerated by cats. These drugs may be combined with metronidazole to extend the spectrum to anaerobes and more coliforms. Treatment with antibiotics for 2 months or longer is recommended. When cats with chronic cholangiohepatitis fail to respond to antibiotic therapy alone within 2 to 3 weeks, prednisolone is usually added as an empirical treatment. The anti-inflammatory and immunosuppressive properties of prednisolone may be beneficial in limiting hepatocellular injury. Additionally, prednisolone may enhance appetite. An immunosuppressive dose of prednisolone (2.2-4 mg/kg q24h) should be used initially. The dosage is slowly tapered to an alternate day dose (1-2 mg/kg q48h) for long-term maintenance. Biochemical values should be monitored prior to each reduction in dosage. If the clinical and biochemical response is satisfactory, doses as low as 0.5 mg/kg q 48 hours may be sufficient for long-term maintenance. Long-term corticosteroid treatment is well tolerated by most cats and side effects are usually minimal. Ursodeoxycholic acid (Actigall) is recommended for cats with all types of inflammatory liver disease. It has anti-


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

inflammatory, immunomodulatory, and antifibrotic properties as well as increasing fluidity of biliary secretions. Ursodeoxycholic acid has safely been administered to cats at a dose of 10 to 15 mg/kg q24h PO. Efficacy has not been established for any type of feline liver disease, but clinical trials in human patients with hepatitis support improved quality of life. Adverse effects in cats are uncommon and usually limited to mild diarrhoea. Cats with acute cholangiohepatitis require aggressive supportive care. These cats are frequently acutely ill and have fluid and electrolyte derangements, which should be corrected. Treatment with injectable vitamin K1 (5 mg/cat q 1-2 days IM) can be given if bleeding diatheses develop. Hepatic encephalopathy appears to be relatively uncommon in cats with acquired liver diseases and is manifest most frequently by excessive salivation. Hepatic encephalopathy can be managed by giving lactulose orally (0.5-1.0 ml/kg q8h PO) with or without addition of enteric antibiotics (neomycin 20 mg/kg q8-12h PO). Response of cholangiohepatitis cats to therapy should be monitored through use of serial complete blood counts and chemistry profiles. Persistent increases in ALT activity and serum total bilirubin concentration and/or increasing SAP activity suggest that treatment has been inadequate. The approach to treatment of lymphocytic portal hepatitis is based on the hypothesis that the liver injury is immune-mediated. Immunosuppressive doses of corticosteroids are used as described above for chronic cholangiohepatitis. Anecdotal reports indicate prolonged improvement in clinical signs with prednisolone treatment. Others, however, report poor control of disease progression with corticosteroid treatment. Azathioprine (0.3 mg/kg PO q48-72 h) has been tried but side effects, including inappetance and leukopenia, limit its use. Low dose weekly methotrexate therapy has been used in a few affected cats. Response to treatment for lymphocytic portal hepatitis is difficult to assess because the disease is very slowly progressive. A persistent increase in ALT and/or increasing to-

167

tal serum bilirubin concentration during corticosteroid treatment indicate that the disease is inadequately controlled.

Prognosis Limited studies of the response of cholangiohepatitis cases to antibiotic treatment suggest that survival of cats with acute and chronic cholangiohepatitis is similar. Approximately half of the cats’ die or are euthanized within 1 year after diagnosis, 40% survive between 1 and 5 years, and the rest can be expected to have prolonged survivals beyond 5 years. Hopefully, initiation of standard treatment protocols combined, when needed, with surgical correction of bile duct obstruction will increase the number of cats with longterm survival. Cats with lymphocytic portal hepatitis appear to have a better prognosis compared to cholangiohepatitis. Of 23 cats that were available for follow-up, 30% survived less than 1 year, 44% survived between 1 and 5 years, and 26% survived longer than 5 years. Mean survival time for cats surviving longer than 1 year was 51.8 months, with 22% of cats still alive at the time of follow-up.

Suggested Reading 1. 2.

3.

4.

5.

Gagne J, Weiss DJ, Armstrong PJ: Histopathologic evaluation of feline inflammatory liver disease. Vet Pathol 33:521, 1996. Cole TL, Center SA, Flood SN, et al. Diagnostic comparison of needle and wedge biopsy specimens of the liver in dogs and cats. J Am Vet Med Assoc. 15;220(10):1483-90, 2002. Willard MD, Weeks BR, Johnson M. Fine-needle aspirate cytology suggesting hepatic lipidosis in four cats with infiltrative hepatic disease. J Feline Med Surg. 1(4):215-20, 1999. Weiss DJ, Armstrong PJ, and Gagne JM. Feline Cholangiohepatitis. In: Kirk’s Current Veterinary Therapy XIII (ed, Bonagura JD). W.B Saunders Company, Philadelphia. 672-674, 2000. Center SA. Diseases of the gallbladder and biliary tree. In: Strombeck’s Small Animal Gastroenterology, 3rd edition. (eds, Guilford WG, Center SA, Strombeck DR, Williams DA, and Meyer DJ). W.B. Saunders Company, Philadelphia. 860-888, 1996.


168

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Approccio diagnostico e terapeutico alla diarrea cronica nel cane e nel gatto Stanley L. Marks BVSc, PhD, Dipl ACVIM (Internal Medicine, Oncology), Dipl ACVN - University of California, Davis, USA

Estratto breve La diarrea viene generalmente considerata come il segno clinico più costante delle affezioni intestinali nel cane e nel gatto. L’anamnesi e l’esame clinico sono di capitale importanza per stabilire se il problema sia dovuto ad una malattia primaria del tratto gastroenterico o costituisca l’effetto secondario di malattie extraintestinali quali insufficienza renale cronica o ipertiroidismo. Nel gatto, la maggior parte delle diarree croniche interessa il tenue e la diarrea dovuta a maldigestione è relativamente poco comune. L’anamnesi può indicare la localizzazione, la gravità e la probabile causa del processo patologico. Uno scopo importante dell’indagine anamnestica è quello di distinguere la diarrea a seconda della sua origine a livello del tenue o del crasso, perché ciò determina un effetto diretto sull’approccio diagnostico e terapeutico al paziente. Un’anamnesi accurata deve anche indicare la presenza di malattie extraintestinali (insufficienza renale o ipertiroidismo) come causa sottostante della diarrea oppure identificare importanti fattori predisponenti quali la dieta, gli aspetti ambientali e l’esposizione a parassiti, agenti infettivi, farmaci o sostanze tossiche. L’anamnesi deve essere focalizzata sulla durata della diarrea, sulla dieta dei pazienti (e sulle sue modificazioni), sull’aspetto delle feci (colore, volume, muco, presenza di sangue fresco), sul riferimento anamnestico a trattamenti antielmintici e vaccinazioni, sulla frequenza della defecazione, sui fattori che aggravano o alleviano il problema e sull’urgenza. La diarrea del tenue è generalmente priva di muco o sangue macroscopicamente visibile, ma può essere caratterizzata da un’accentuata steatorrea che può rendere le feci di colore più chiaro. Feci acoliche o pallide si possono anche osservare in associazione con l’ostruzione del dotto biliare extraepatico che provoca una carenza di un pigmento biliare, la stercobilina, nelle feci. La rapidità del transito intestinale può essere associata alla comparsa di feci gialle o verdi a causa della non completa metabolizzazione della bilirubina. Le reazioni avverse al cibo sono una causa relativamente comune di diarrea cronica nel cane e nel gatto e l’anamnesi rappresenta un modo semplice per identificare le diete o le fonti proteiche responsabili del problema. In caso di diarrea cronica non diagnosticata, i dati minimi da raccogliere sono rappresentati da esame emocromocitometrico completo, profilo biochimico, analisi delle urine, esame coprologico per flottazione e ricerca di protozoi nelle feci fresche mediante striscio diretto di un campione misce-

lato a soluzione fisiologica. Le tecniche per flottazione sono eccellenti per accertare la presenza di comuni uova di nematodi, oocisti di coccidi (compreso Cryptosporidium spp.) e cisti di Giardia. I principali limiti di queste metodiche sono rappresentati dalla loro incapacità di far affiorare gli organismi caratterizzati da uno stadio diagnostico dotato di un peso specifico più elevato di quello del mezzo di flottazione. Larve e cisti fragili, anche se recuperate, possono essere troppo distorte per risultare identificabili. È sempre preferibile utilizzare una tecnica di flottazione con centrifugazione. Questa è probabilmente la più importante modificazione che si può instaurare per migliorare le metodiche di routine di identificazione mediante flottazione degli stadi dei parassiti. Se possibile, si deve passare all’impiego della soluzione di solfato di zinco (peso specifico di 1,18 o 1,20) per migliorare l’identificazione e la morfologia di Giardia spp. Non si sottolineerà mai abbastanza l’importanza della valutazione di due o tre campioni di feci prelevati in sequenza, dal momento che l’eliminazione di parassiti intestinali come Giardia e Cryptosporidium è spesso intermittente. Il riscontro di steatorrea e perdita di peso a fronte di un appetito normale o aumentato è compatibile con un disordine da malassimilazione come l’insufficienza del pancreas esocrino (EPI). Quest’ultima può essere confermata dall’esecuzione del test di immunoreattività tripsinosimile del siero. Gli animali che mostrano i segni clinici di una diarrea del crasso devono essere sottoposti ad un raschiato rettale ed a colorazione di uno striscio fecale per valutare la presenza di cellule infiammatorie o ife fungine. Nei gatti in cui è stata riscontrata una mancata risposta agli antiparassitari o alla terapia dietetica è consigliabile l’esecuzione dei test sierologici di screening per la diagnosi dell’infezione da FeLV e FIV. Nei gatti anziani si deve prendere in considerazione la misurazione dei livelli sierici di tiroxina, soprattutto se si osserva steatorrea. Gli esami radiografici dell’addome senza mezzo di contrasto forniscono risultati relativamente scarsi nella maggior parte dei pazienti con diarrea cronica, ma sono indicati nei cani e nei gatti con sospette ostruzioni parziali da corpo estraneo, intussuscezioni o masse patologiche. L’ecografia addominale è un’indagine complementare alla radiografia e risulta più sensibile per l’identificazione di masse, ispessimenti della parete intestinale, intussuscezione e linfoadenopatia mesenterica. La coprocoltura è tipicamente una procedura che fornisce scarsi risultati nei cani e nei gatti con diarrea, perché la valutazione clinica del riscontro dei batteri enteropatogeni responsabili di diarrea è complicata dalla pre-


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

senza di questi stessi microrganismi in animali apparentemente sani. Se si sospetta un’enterocolite o un’enterite batterica, si devono allestire colture fecali finalizzate all’identificazione di specifici agenti patogeni quali Salmonella, Campylobacter jejuni, Clostridium perfringens e Clostridium difficile. Le coprocolture devono essere riservate ai cani ed ai gatti che sviluppano una diarrea dopo il ricovero in un canile o la partecipazione ad un’esposizione, negli animali con un’insorgenza acuta di diarrea emorragica associata a segni di sepsi o nelle epizoozie di diarrea che colpiscono più di un animale del nucleo familiare. Si deve fare attenzione ad interpretare correttamente l’identificazione di endospore di C. perfringens negli strisci fecali ottenuti da cani e gatti con diarrea, perché queste possono essere presenti in numero elevato nelle feci anche in animali sani. Inoltre, l’opinione attualmente accettata secondo la quale l’osservazione di un numero pari o superiore a 2-3 endospore/campo microscopico ad immersione in olio sarebbe associato alla presenza dell’enterotossina sembra non confermata alla luce di recenti studi che dimostrano l’esistenza di una scarsa correlazione questi due eventi. I cani ed i gatti in cui non si rilevano segni di malattia potenzialmente letale e diarrea non viene diagnosticata dopo le prime indagini di laboratorio e di diagnostica per immagini devono essere sottoposti ad una nuova valutazione mediante alimentazione con diete controllate per 2-3 settimane. La dieta scelta deve essere priva di additivi e conservanti e contenere una fonte proteica altamente digeribile e nuova, cioè mai assunta in precedenza dall’animale. Le proteine devono essere altamente digeribili, perché quelle integre sono di gran lunga più antigeniche dei polipeptidi e degli aminoacidi. Se i segni clinici si risolvono dopo diverse settimane di modificazione dell’alimentazione, bisogna equilibrare la dieta utilizzata per la prova o, in alternativa, passare ad un prodotto commerciale completo e bilanciato che utilizzi la stessa fonte proteica nuova della dieta fatta in casa. Se le manifestazioni della malattia non scompaiono, è necessario adottare un approccio diagnostico più ampio. L’endoscopia e la biopsia rappresentano un’utile procedura per la diagnosi delle affezioni della mucosa intestinale associate ad alterazioni morfologiche. L’endoscopia, tuttavia, non consente di differenziare i disordini della motilità intestinale, le diarree secretorie o i difetti degli enzimi dell’orletto a spazzola e comporta probabilmente il mancato riconoscimento di lesioni della sottomucosa e della muscolare dell’intestino. Inoltre, questa tecnica è limitata dalla lunghezza operativa della sonda, che vincola l’esame endoscopico del digiuno. I test di screening per la malassimilazione sono rappresentati da analisi quantitativa indiretta del grasso fecale, determinazione dell’idrogeno nel fiato e colorazione diretta-indiretta con Sudan del grasso fecale. L’impiego del test di assorbimento del grasso non è consigliato a causa della frequenza di risultati fuorvianti. Anche se relativamente insensibile, la misurazione dei livelli sierici di vitamina B12 (cobalamina) e folati può fornire informazioni relative alla fun-

169

zione di assorbimento del piccolo intestino. È stato dimostrato che i gatti con grave infiammazione intestinale o linfoma enterico presentano spesso basse concentrazioni sieriche di vitamina B12. La somministrazione per via paraenterale di quest’ultima deve costituire una parte di routine dell’approccio terapeutico a questi pazienti. La valutazione dei livelli sierici di vitamina B12/folati viene anche utilizzata come mezzo diagnostico per stabilire la presenza della “proliferazione batterica” nel cane. La terapia sintomatica della diarrea consiste nel ripristinare e mantenere l’equilibrio idrico ed elettrolitico, modificare la dieta e, raramente, somministrare modificatori della motilità intestinale. Gli antibiotici ed i farmaci immunosoppressori vengono introdotti nel protocollo terapeutico sulla base del riscontro di infiammazione intestinale o enterite batterica. I modificatori della motilità sono indicati solo se la diarrea è intrattabile e non vanno utilizzati se è dovuta a microrganismi invasivi. L’uso di antibiotici come terapia empirica nel trattamento della diarrea non complicata o non infettiva non è consigliato a causa degli effetti indesiderati di questi farmaci sulla normale microflora intestinale e della loro tendenza a promuovere la selezione di ceppi batterici resistenti. Gli antibiotici sono indicati nei casi in cui vengono isolati dalle feci specifici enteropatogeni batterici o protozoari, quali Campylobacter, Clostridium o Giardia. Inoltre, gli antibiotici vanno presi in considerazione nelle condizioni associate a grave danno della mucosa e ad alto rischio di sepsi secondaria o endotossiemia. Gli immunosoppressori sono di solito indicati negli animali con infiammazione intestinale. Si utilizzano glucocorticoidi per os a dosi immunosoppressive (inizialmente 1-2 mg/kg BID) da ridurre poi gradualmente nell’arco di 2-3 mesi. Nei casi resistenti ai glucocorticoidi l’aggiunta di metronidazolo ed azatioprina o di clorambucile può portare alla remissione della malattia. La dieta ideale nei cani e nei gatti con diarrea cronica del tenue è basata sull’impiego di una singola proteina altamente digeribile e di una fonte di carboidrati priva di glutine e lattosio. Attualmente, in commercio si trova solo un numero limitato di diete “ipoallergiche” che soddisfano questi requisiti, il che impone l’uso di diete fatte in casa e formulate al computer nei pazienti che non rispondono a quelle commerciali. Le raccomandazioni dietetiche per il trattamento della diarrea del crasso sono controverse. La risposta alla modificazione dell’alimentazione può variare drasticamente da un paziente all’altro, con alcuni animali che mostrano un miglioramento con le diete “ipoallergiche” povere di residui ed altri che migliorano con formulazioni meno digeribili contenenti fonti di fibra solubile o insolubile. L’integrazione con fibra fermentabile come lo psillio o la crusca di avena può essere necessaria nei pazienti che mostrano una risoluzione parziale dei segni clinici. La mancata risposta a questi provvedimenti può imporre la scelta di una dieta “ipoallergica” con una diversa fonte proteica nuova o l’aggiunta di fibra insolubile alla dieta.


170

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Discussione interattiva di casi clinici di malattie gastrointestinali Stanley L. Marks BVSc, PhD, Dipl ACVIM (Internal Medicine, Oncology), Dipl ACVN - University of California, Davis, USA

“Patches”, gatto domestico a pelo corto maschio castrato di 10 anni MOTIVO DELLA VISITA: Patches è stato inviato al Veterinary Medical Teaching Hospital perché presentava come problema primario un vomito cronico intermittente che durava da tre mesi. L’animale appariva anche letargico ed aveva perso due chili di peso nell’arco dei due mesi precedenti prima dell’invio. La frequenza di questi episodi di vomito era aumentata da 2-3 volte al mese ad 1-2 volte al giorno. Il gatto era regolarmente sottoposto a tutte le vaccinazioni e viveva sia in casa che fuori. Non erano stati riscontrati precedenti problemi medici e non era stato trattato con alcun farmaco. La sua dieta era la Purina Cat Chow. ESAME CLINICO: Temperatura: 37,8°C; battiti al minuto: 168; atti respiratori al minuto: 42 Gatto depresso; peso corporeo 2,4 kg Emaciato (punteggio di condizione corporea 1/9) Turgore cutaneo ritardato, disidratazione del 5% circa Mucose itteriche All’auscultazione, ritmo di galoppo

“Hannibal”, pastore tedesco maschio di 5 anni MOTIVO DELLA VISITA: Hannibal è stato portato alla visita con un’anamnesi cronica di grave diarrea acquosa e notevole perdita di peso che durava da due anni. Prima di essere portato alla visita, l’animale era stato alimentato con una dieta a base di formaggio fresco e riso per un anno senza che ciò avesse alcun effetto sulla diarrea o sul calo di peso. Il veterinario curante aveva anche prescritto la somministrazione di estratti pancreatici (6 compresse per pasto) per 6 mesi, senza ottenere alcun miglioramento clinico. Erano state somministrate cimetidina e metronidazolo per 3 mesi, con scarsi vantaggi clinici rilevati dal proprietario. Hannibal era regolarmente vaccinato e sottoposto al trattamento per la profilassi della filariosi cardiopolmonare. ESAME CLINICO: Temperatura: 37,8°C; battiti al minuto: 90; atti respiratori al minuto: 32 peso corporeo 16 kg, grave emaciazione (punteggio di condizione corporea 1/9)


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

171

Approccio diagnostico e terapeutico al paziente che vomita Stanley L. Marks BVSc, PhD, Dipl ACVIM (Internal Medicine, Oncology), Dipl ACVN - University of California, Davis, USA

Estratto breve Il segno clinico primario associato alla disfunzione gastrica è il vomito. Questo si può accompagnare anche a malattie di altre parti dell’apparato digerente o di altri organi addominali. All’interno del tratto gastroenterico il vomito può essere dovuto ad infiammazione, infezione, ostruzione, disordini della motilità o neoplasie dello stomaco, del tenue, o meno comunemente, del colon. Le cause extragastroenteriche da prendere in considerazione in caso di vomito nel cane e nel gatto sono rappresentate da ipertiroidismo, insufficienza renale, chetoacidosi diabetica, filariosi cardiopolmonare (gatto), pancreatite, epatopatia e disordini del sistema nervoso centrale. La conoscenza delle vie neuroanatomiche e dei sistemi neurotrasmettitore-recettore facilita un approccio razionale alla terapia del vomito. Questo costituisce un complesso riflesso nervoso con vie neurologiche che prendono sinapsi a livello del centro del vomito nel midollo allungato. Le componenti essenziali del riflesso del vomito sono i recettori viscerali di faringe, stomaco, duodeno, digiuno, fegato, cistifellea ed altri organi addominali, i nervi afferenti vagali e simpatici; la zona chemiorecettoriale scatenante (CRTZ, chemorecettor trigger zone) localizzata all’interno dell’area

postrema e sensibile alle sostanze presenti nel sangue (tossine uremiche, morfina, chemioterapici) e il centro del vomito nella formazione reticolare del midollo allungato, che riceve gli impulsi dai neuroni vagali e simpatici, dalla CRTZ, dall’apparato vestibolare e dalla corteccia cerebrale. Indipendentemente dallo stimolo, il centro del vomito dà inizio al complesso atto dell’emesi. La stimolazione dei recettori sensoriali periferici può essere dovuta ad infiammazione, ulcerazione, irritazione o distensione degli organi addominali. Esistono numerose importanti differenze fra i sistemi neurotrasmettitore-recettore del cane e del gatto. Ad esempio, l’apomorfina, un agonista dei recettori della D2-dopamina, è un potente emetico nel cane, ma non nel gatto. Questo riscontro comporta un’importante implicazione, poiché i recettori della D2-dopamina della CRTZ non sono così importanti nella mediazione dell’emesi umorale nei felini e quindi è possibile che in questa specie animale gli antagonisti di questi recettori, come la metoclopramide, non siano utili quanto altri antiemetici. Nel gatto, gli alfa-2 antagonisti possono essere più utili degli antagonisti della D2-dopamina come antiemetici. Infine, la presenza di istamina e di recettori istaminergici H1 ed H2 è stata dimostrata nella CRTZ del cane, ma non in quella del gatto. L’istamina è un potente emetico nel cane, mentre i gatti sembrano essere resistenti ai suoi effetti emetici.

Agenti antiemetici nel cane e nel gatto Classificazione

Esempio

Sito d’azione

Dosaggio

Antagonisti α2-adrenergici

Proclorperazina

CRTZ, centro del vomito

0,5 mg/kg ogni 8 ore, SC, IM

Antagonisti D2-dopaminergici

Metoclopramide

CRTZ, muscolatura liscia gastroenterica

0,2-0,4 mg/kg ogni 6 ore PO, SC, IM oppure 12 mg/kg/24 ore a velocità di infusione costante

Antagonisti H1-istaminergici

Difenidramina

CRTZ

2-4 mg/kg ogni 8 ore PO, IM

Antagonisti 5-HT3 serotoninergici

Ondansetrone

CRTZ, neuroni afferenti vagali

0,5-1,0 mg/kg ogni 12-24 ore oppure 0,5-1,0 mg/kg 30 minuti prima della chemioterapia #

Antagonisti 5-HT4 serotoninergici

Cisapride

Neuroni mienterici

0,1-0,5 mg/kg ogni 8 ore

Agonisti della motilina

Eritromicina

Muscolatura liscia gastroenterica

0,5-1,0 mg/kg ogni 8 ore PO, IV

#

nota: il dosaggio dell’ondansetrone nel gatto è sconosciuto ed è stato basato sulla posologia utilizzata nel cane.


172

La fase più critica durante la valutazione iniziale nei piccoli animali portati alla visita perché presentano vomito è differenziare il vomito autentico dal rigurgito. Nei felini, la tosse associata all’asma del gatto o alla bronchite cronica viene spesso descritta come vomito da molti proprietari. Anche i conati e la disfagia vengono occasionalmente confusi con il vomito o il rigurgito. L’espulsione di un materiale di colore giallo suggerisce che si tratti di contenuto duodenale striato di bile e vomito. Il rigurgito è un processo passivo caratterizzato dall’evacuazione del cibo ingerito attraverso la faringe e/o l’esofago. In caso di rigurgito non si osservano i segni prodromici rappresentati da conati e contrazioni addominali. Il passo successivo importante è quello di stabilire se l’animale è affetto da un problema autolimitante o cronico e/o potenzialmente letale. Questa decisione viene basata sulla raccolta di un’anamnesi completa e su un approfondito esame clinico, sull’esperienza clinica e sulla conoscenza delle possibili diagnosi differenziali del vomito. Il segnalamento dell’animale risulta utile per classificare secondo un ordine di probabilità le possibili cause. I corpi estranei lineari sono particolarmente comuni nei gatti ed i gattini non vaccinati sono predisposti alla panleucopenia. Dopo aver preso in considerazione il segnalamento del paziente, l’indagine anamnestica va focalizzata sullo status vaccinale dell’animale, sui dati relativi ai viaggi che ha compiuto e sulle recenti modificazioni della dieta. L’aggravamento del vomito da parte di una certa dieta deve far pensare alla possibilità di intolleranza o allergia alimentare. Il vomito che compare nell’immediato periodo postprandiale è solitamente indicativo di eccessiva assunzione di cibo, eccitazione o disordini del corpo o dello iato esofageo. Al contrario, il vomito di cibo indigerito o parzialmente digerito a distanza di 8 o più ore dal pasto è compatibile con un disordine della motilità del tratto distale dello stomaco (corpo, antro e piloro). I dati minimi di base da rilevare nei cani e nei gatti con vomito autolimitante (che dura meno di una settimana e si manifesta in un paziente che risulta sano all’esame clinico) devono essere rappresentati da determinazione di ematocrito e solidi totali per la valutazione dello stato di idratazione ed esame coprologico per flottazione in solfato di zinco. I dati minimi iniziali negli animali con vomito acuto potenzialmente letale sono rappresentati da esame emocromocitometrico completo, profilo biochimico, analisi dell’urina, esame coprologico per flottazione in solfato di zinco e radiografie in bianco e/o ecografie dell’addome. La determinazione dei livelli sierici di amilasi e lipasi ha scarso valore diagnostico nel gatto. I casi di vomito cronico sono quelli più difficili dal punto di vista diagnostico. La scelta di ricorrere ad indagini più approfondite (misurazione dei livelli sierici degli acidi biliari, immunoreattività tripsinosimile del siero o determinazione dell’immunoreattività della lipasi pancreatica, ecografia addominale, ecc…) va basata sui segni clinici in atto, sulla risposta alla terapia e sui risultati dei primi test. La gastroduodenoscopia è considerevolmente più affidabile del pasto baritato per la diagnosi di erosioni gastriche, gastrite cronica, neoplasia gastrica e infiammazione intestinale (IBD). Bisogna sempre prelevare dei campioni di mucosa dallo stomaco e dal tenue, indipendentemente dall’aspetto macroscopico della superficie interna

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

di questi visceri. In alcuni casi, per formulare la diagnosi può essere necessario ricorrere alla laparotomia esplorativa ed alla biopsia a tutto spessore dello stomaco. Nel gatto, si può riscontrare una sindrome di “triadite”, caratterizzata dalla concomitante presenza di pancreatite, colangite/epatite e duodenite (IBD), che spesso è associata vomito cronico. Gli enzimi epatici sono generalmente aumentati, i valori sierici di amilasi e lipasi sono tipicamente normali e la diagnosi viene confermata mediante chirurgia esplorativa e biopsia di tutti e tre gli organi. La terapia della gastrite cronica si basa sul trattamento di ogni malattia sottostante e, forse, su tentativi terapeutici con una dieta rigorosamente ipoallergica. Nei pazienti con gastrite cronica valgono le stesse indicazioni dietetiche espresse per la gastrite acuta. La somministrazione di prednisone per os risulta utile nel trattamento di molti casi di gastrite eosinofilica e linfoplasmocitaria, in particolare quando nel processo patologico è coinvolto anche il piccolo intestino. Nel gatto si somministra una dose iniziale di 5 mg ogni 12 ore da ridurre gradualmente nell’arco di 10-12 settimane e poi sospendere quando i segni clinici recedono. Il prednisone viene solitamente impiegato alla dose di 1 o 2 mg/kg ogni 12 ore nel cane, con una graduale riduzione nell’arco di 10-12 settimane. Nei gatti con grave gastrite linfoplasmocitaria scarsamente sensibile alla terapia con prednisone può risultare utile il clorambucile alla dose di 2 mg (una compressa) per gatto ogni 4-5 giorni. I cani con grave gastrite linfoplasmocitaria sono spesso trattati con azatioprina e prednisone. Il dosaggio del primo farmaco in questa specie animale è di 1-2 mg/kg ogni 24 ore per due settimane, seguiti da 1-2 mg/kg ogni 48 ore. Per il trattamento della gastrite cronica sono indicati gli antagonisti dei recettori H2 (cimetidina, ranitidina, famotidina) allo scopo di ridurre la secrezione acida dello stomaco. Se la gastrite è associata al ritardato svuotamento del viscere, può essere necessario somministrare agenti procinetici quali metoclopramide e cisapride. Nei cani e nei gatti che mostrano una scarsa risposta alla terapia dietetica e medica si raccomanda il prelievo di biopsie gastrointestinali a tutto spessore, al fine di escludere la presenza di un linfoma dello stomaco o dell’intestino.

Estratto completo The primary clinical sign associated with gastric dysfunction is vomiting. Vomiting may also be associated with diseases of other parts of the gastrointestinal tract, or other abdominal organs. Within the gastrointestinal tract vomiting may occur due to inflammation, infection, obstruction, motility disorders, or neoplasia affecting the stomach, small intestine, or less commonly the colon. Extra-gastrointestinal considerations for vomiting in dogs and cats include hyperthyroidism, renal failure, diabetic ketoacidosis, heartworm disease (cats), pancreatitis, hepatic disease, and central nervous system disorders. Refer to Table 1 for a more complete list of differential diagnoses for vomiting in dogs and cats.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

173

PATHOPHYSIOLOGY Knowledge of the neuroanatomic pathways as well as the neurotransmitter-receptor systems will facilitate a rational approach to the therapy of vomiting. Vomiting is a complex neural reflex with neural pathways that synapse at the vomiting center in the medulla oblongata. The essential components of the vomiting reflex are visceral receptors in the pharynx, stomach, duodenum, jejunum, liver, gall bladder, and other abdominal organs; vagal and sympathetic afferent nerves; a chemoreceptor trigger zone (CRTZ) located within the area postrema that is sensitive to blood-borne substances (uremic toxins, morphine, chemotherapeutics); and a vomiting center within the reticular formation of the medulla oblongata, receiving input from vagal and sympathetic neurons, CRTZ, vestibular apparatus, and cerebral cortex. Regardless of the stimulus, the vomiting center initiates the complex act of vomiting. Stimulation of the peripheral sensory receptors results from inflammation, ulceration, irritation or distention of abdominal organs. Stimulation of the vomiting center results in efferent nerve impulses to the abdominal musculature, stomach, distal esophagus and diaphragm by the spinal, vagal parasympathetic, and phrenic nerves. Intact innervation to the abdominal muscles and diaphragm is necessary for the vomiting reflex to occur, but parasympathetic innervation to the esophagus and stomach is not necessary. Following efferent stimulation, the gastric antrum and cranial duodenum contract, forcing stomach contents into the body of the stomach. At the same time the longitudinal muscles of the distal esophagus contract, moving the abdominal segment of the esophagus and the gastroesophageal sphincter into the thoracic cavity. This allows stomach contents to enter the esophagus. Contraction of the abdominal muscles and diaphragm forces gastric contents orally through a flaccid esophagus. Vomiting is associated with antecedent events such as retching and salivation. Abdominal contractions are also observed. There are a number of important differences between the neurotransmitter-receptor systems of the dog and cat. For example, apomorphine, a D2-dopamine receptor agonist, is

a potent emetic agent in the dog but not the cat. This finding has an important implication, in that CRTZ D2-dopamine receptors are not so important in mediating humoral emesis in the cat, and that D2-dopamine receptor antagonists such as metoclopramide may not be as useful as other antiemetic agents in the cat. Alpha-2 antagonists might be more useful antiemetic agents than D2-dopamine antagonists in the cat. Finally, histamine and H1- and H2 histaminergic receptors have been demonstrated in the CRTZ of the dog, but not the cat. Histamine is a potent emetic agent in the dog, but cats seem resistant to its emetic effects.

DIAGNOSTIC PLAN The most critical step during initial evaluation of small animals presenting for vomiting is to differentiate between true vomiting and regurgitation. The coughing associated with feline asthma or chronic bronchitis will often be described as vomiting by many cat owners. Gagging and dysphagia are also occasionally confused with vomiting or regurgitation. Expulsion of yellow material suggests bilestained duodenal contents and vomiting. Regurgitation is a passive process characterized by the evacuation of ingested food from the pharynx and/or esophagus. The premonitory signs of retching and abdominal contractions are not observed with regurgitation. The next important step is to determine if the animal has either a self-limiting or chronic and/or life-threatening problem. This decision is based on a comprehensive history and thorough physical examination, clinical experience, and understanding of the differential diagnoses for the vomiting. The signalment of the animal helps rank the probability for possible causes. Linear foreign bodies are particularly common in cats, and unvaccinated kittens are predisposed to panleukopenia. Following consideration of the patient’s signalment, the history should focus on the animal’s vaccination status, travel history, and recent dietary changes. The sequence, frequency, and progression of clinical sign(s), help the veterinarian determine the severity of the problem and the need for pursuing further diag-

Antiemetic Agents for the Dog and Cat Classification

Example

Site of Action

Dosage

α2-Adrenergic antagonists

Prochlorperazine, (Compazine)

CRTZ, vomiting center

0.5mg/kg q 8h, SC, IM

D2-Dopaminergic antagonists

Metoclopramide, (Reglan)

CRTZ, GI smooth muscle

0.2-0.4 mg/kg q6h PO, SC, IM; or 1-2 mg/kg/24h as CRI

H1-Histaminergic antagonists

Diphenhydramine, (Benadryl)

CRTZ

2-4 mg/kg q8h PO, IM

5-HT3-Serotonergic antagonists

Ondansetron, (Zofran)

CRTZ, vagal affarent neurons

0.5-1.0 mg/kg q12-24h, or 0.5-1.0 mg/kg 30 min before chemo#

5-HT4-Serotonergic agonists

Cisapride, (Propulsid)

Myenteric neurons

0.1-0.5 mg/kg q8h

Motilin agonists

Erythromycin (Erythrocin)

GI smooth muscle

0.5-1.0 mg/kg q8h PO, IV

#

note: the dose for Ondansetron is unknown in the cat, and was based on the dog dose.


174

46째 Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

nostics. Previous medical problems, medication history, and the possible ingestion of toxic substances or foreign bodies should also be investigated. Aggravation of the vomiting by a certain diet raises the possibility of dietary intolerance or food allergy. Vomiting that occurs in the immediate postprandial period is usually suggestive of overeating, excitement, or disorders of the esophageal body or esophageal hiatus. Conversely, vomiting of undigested or partially digested food 8 or more hours postprandially is consistent with a distal gastric (corpus, antrum, and pylorus) motility disorder. The history may uncover the administration of drugs (aspirin, ibuprofen, acetaminophen) or exposure to chemicals (fertilizers, insecticides) that may be the cause of the acute vomiting. The presence of mild diarrhea may indicate

dietary indiscretion or gastrointestinal parasites (ascarids in puppies or kittens) or Giardia. Physical examination is often unremarkable in patients with self-limiting vomiting, although dogs and cats with acute vomiting may present with mild depression and mild to moderate dehydration. Examination of the mouth and pharyngeal structures often provides clues to the pathogenesis of vomiting (icteric mucous membranes, string foreign bodies, uremic breath or ulcers). The abdomen should be carefully palpated for effusions, kidney size and shape, liver size, urinary bladder size, and pain (peritonitis, pancreatitis, or nephritis). A digital rectal examination should always be performed in dogs and cats (if anesthetized) to evaluate fecal consistency and appearance.

Table 1 - CAUSES OF VOMITING Adverse reactions to food: Indiscretions Intolerances Allergies Encephalitis Vestibular disorders Gastrointestinal disorders: Gastritis Inflammatory bowel disease Infection (e.g., Campylobacter spp.) Hemorrhagic gastroenteritis Neoplasia, eg., lymphoma Gastrointestinal ulcers Lymphangiectasia Foreign body Pyloric hypertrophy Intussusception Delayed gastric emptying Intra/extraluminal compression Parasitism: Ollulanus tricuspis Ascarids Physaloptera Heartworm (cats)

Congestive heart failure Metastatic neoplasia Pancreatitis Peritonitis Pyometra Acidosis HypoK+, Hyper Ca++ Addisons disease (very rare in cats) Diabetic ketoacidosis Hyperthyroidism Gastrinoma (very rare in cats)

Neurologic disorders: Dysautonomia CNS tumors Meningitis

Drugs, toxins, chemicals: Apomorphine Thiacetarsamide Chemotherapeutics Narcotics Xylazine NSAIDS Lead Ethylene glycol Mycotoxins Household plants Digoxin Insecticides Antibiotics Systemic/Metabolic/Endocrine: Uremia Hepatic failure Sepsis and endotoxemia


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

DIAGNOSTIC WORKUP A minimum data base for dogs and cats with self-limiting vomiting (vomiting which is less than one week in duration, and a healthy patient on physical examination) should include determination of the packed cell volume (PCV) and total solids to assess hydration status, and zinc sulfate fecal flotation. Animals with a life-threatening cause of acute vomiting may have a history of profuse or persistent vomiting that is characterized by blood (hematemesis) or coffee grounds (partially digested blood), vomiting for more than one week, bloody diarrhea, or abdominal pain. Abdominal palpation in these animals frequently demonstrates moderate to severe pain and may identify abnormalities such as thickened intestinal loops, an intestinal foreign body, or an abdominal mass. The initial minimum data base for an animal with potentially life-threatening acute vomiting includes a complete blood count, serum biochemical profile, urinalysis, zinc sulfate fecal flotation, and survey abdominal radiographs and/or abdominal ultrasound. Serum amylase and lipase determinations are of low diagnostic value in the cat. The chronic vomiting animal is the most challenging diagnostically. The decision for performing more in-depth diagnostic tests (serum bile acid determination, serum trypsin-like immunoreactivity or pancreatic lipase immunoreactivity assays, abdominal ultrasound, etc.) is based on ongoing clinical signs, response to therapy, and initial test results. Gastroduodenoscopy is considerably more reliable than barium series for the diagnosis of gastric erosions, chronic gastritis, gastric neoplasia, and inflammatory bowel disease. Biopsy samples should always be obtained from the stomach and small intestine, regardless of the gross mucosal appearance. In some cases exploratory laparotomy and full thickness biopsy of the stomach may be required to make a diagnosis. A syndrome of “triaditis” characterized by concurrent pancreatitis, cholangitis/hepatitis, and duodenitis (IBD) can occur in cats and is often associated with chronic vomiting. Liver enzymes are generally increased, serum amylase and lipase values are typically normal, and the diagnosis is confirmed via surgical exploratory and biopsy of all three organs.

Acute gastritis The incidence of acute gastritis in the cat appears to be far less common than in dogs. The etiology is seldom determined, although the ingestion of rancid or spoiled foodstuffs is probably the most common cause of acute gastritis in cats. The ingestion of birds, rodents, or any carrion can cause gastritis with vomiting. Plants or grasses may also cause mechanical irritation to the gastric mucosa or be toxic to the gastrointestinal tract. The ingestion of foreign material such as aluminium foil, cellophane, bones, and needles, may damage the mucosal barrier mechanically. Cats are particularly sensitive to non-steroidal anti-inflammatory agents that are potently ulcerogenic. Parasites, particularly ascarids. Ollulanus tricuspis, Gnathostomia, and Physaloptera can cause gastric lesions and vomiting in cats. Gastric Helicobacter-like organisms are commonly found in the stomach

175

of dogs and cats, although further studies are required to define their pathogenicity. Acute gastritis may also result from dietary intolerances or an allergic reaction to a dietary antigen to which the animal has been previously sensitized. Acute gastritis is often caused by the ingestion of substances that disrupt the gastric-mucosal barrier. Decreased mucosal blood flow (hypovolemia, shock, trauma, DIC, drug therapy, increased sympathetic nerve activity) may cause mucosal ischemia and erosions, and impair submucosal removal of back diffusing hydrochloric acid (HCl). Hydrochloric acid accumulation may then cause further mucosal cell damage. Mucosal ischemia causes complete disgorgement of mucous secreting cells and impaired ability to continue mucus production. Once this mucus layer is lost, pepsin can contact and damage mucosal cells. Gastroduodenal reflux allows bile and pancreatic digestive enzymes to contact gastric mucosal cells. Bile acids increase mucosal permeability to HCl and damage mucosal cells. Gastroduodenal reflux occurs when antral motility is reduced due to duodenal inflammation, increased sympathetic stimulation, increased secretion of secretin and cholecystokinin, or the use of anticholinergics. Diagnosis of acute gastritis is made by the history, physical examination and response to treatment. With severe gastritis other clinical signs such as anorexia, depression and fever may develop. Treatment of acute gastritis in the absence of other systemic clinical signs is symptomatic. These animals are usually normal on physical examination, have vomited only a small number of times and may have a history of dietary indiscretion. Treatment involves withholding all food for 24 hours. Withhold water for 12 hours and if no vomiting is observed, offer the animal small amounts of water for the next 12 hours. This regime will minimize gastric motility, gastric distention, acid secretion, and gastric mucosal abrasion. Oral medication is contraindicated in the vomiting patient. Unlike dogs with gastroenteritis, the need for dietary fat restriction in cats with gastroenteritis does not appear to be an essential component of dietary therapy. Cats can be managed by offering small portions of cooked chicken or turkey alone for several days without adverse effect. Carbohydrates are usually deleted from the “bland” diet for cats, although baby rice cereal or tapioca can be used if desired. It is preferable to utilize a novel protein source that is not present in the cat’s usual diet to minimize the likelihood of an acquired food allergy from developing during this period. The abovementioned diets are not complete and balanced and should not be fed as the sole source of nutrition for more than 2 to 3 weeks. The author recommends the empiric deworming of vomiting dogs and cats with a broad spectrum dewormer such as fenbendazole (50 mg/kg q 24h for 4 consecutive days, repeat after 3 weeks), even if the fecal flotation results are negative. Animals with severe gastritis will usually require intravenous fluid support. Maintenance of hydration will facilitate gastric mucosal blood flow. Lactated Ringers solution is generally the fluid of choice. Potassium supplementation to replace that lost in vomitus is usually necessary since whole body depletion of potassium can cause hypomotility of the gastrointestinal tract. Metabolic acidosis is often present but will usually be corrected by appropriate fluid


176

therapy. Bicarbonate therapy is rarely necessary. Gastric outflow obstruction or profuse vomiting may result in a metabolic alkalosis with hypochloremia and hypokalemia. In this situation normal saline (with potassium supplementation) is the fluid of choice. Parenteral antibiotic therapy is indicated if fever, hematemesis, or bloody diarrhea is present, because breakdown of the gastrointestinal barrier may occur in these cases. Antiemetics may be necessary if vomiting is intractable. The most effective and useful antiemetics are those that act directly on the vomiting center. Antiemetics should be avoided if obstructive diseases are suspected. Phenothiazine antiemetics such as chlorpromazine act at both the vomiting center and the chemoreceptor trigger zone. Antihistamines and metoclopramide inhibit the chemoreceptor trigger zone and are effective antiemetics if vomiting is due to stimulation of this zone (e.g. uremic toxins). Anticholinergic agents are ineffective as antiemetics and are contraindicated in acute gastritis because they inhibit gastric motility and delay gastric emptying. H2 receptor therapy (e.g. cimetidine, ranitidine, famotidine) may be useful in severe cases of ulcerative gastritis. If an underlying cause for the gastritis (e.g. foreign body, caustic agents) can be identified, appropriate specific treatment such as removal of the foreign body or removing the source of caustic material is mandatory.

Chronic gastritis Chronic gastritis describes a number of different clinical entities with a large number of etiologies. Chronic gastritis is defined as the presence of chronic inflammatory changes within the gastric mucosa in conjunction with clinical signs of gastritis. The etiology of chronic gastritis is seldom identified, but there is increasing evidence incriminating infection with Helicobacter spp. in some patients. Helicobacter are spiral shaped gram-negative urease producing bacteria that appears to be resistant to the effects of low gastric pH. The author has identified Helicobacter spp. in many dogs and cats in low concentrations causing no evidence of disease. There are however some cases with gastric signs and higher numbers of the organism associated with lymphocytic gastritis (lymphoid aggregates and gastric lymphoid elements). The clinical diagnosis is based on identification of the organism on gastric biopsy using a silver or modified Giemsa stain. A provisional diagnosis involves either gastric mucosal brush cytology or showing many small spiral shaped organisms in the mucous or demonstrating presence of the organism in a gastric biopsy by incubating a small biopsy sample in a urea broth. The culture tube has a pH indicator that demonstrates bacterial urease production by means of a color change. Antibiotic therapy appears to eradicate the organism and resolve the clinical signs in some affected patients. “Triple” therapy comprising a combination

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

of metronidazole at 10-15 mg/kg q 12h, amoxicillin at 22 mg/kg q 8h, and ranitidine at 1-2 mg/kg q 12h or omeprazole at 0.7 mg/kg q 24h given for 2 weeks are usually successful in eliminating the organism. Chronic “nonspecific” gastritis is characterized by inflammatory infiltration of the gastric mucosa with lymphocytes, plasma cells, and lesser numbers of other inflammatory cells. Lymphocytic-plasmacytic gastritis is the most common type of chronic gastritis observed in dogs and cats. The physical examination is usually unremarkable. Laboratory test results are usually normal but eosinophilia, neutrophilia and panhypoproteinemia are seen in some cases. Eosinophilic gastritis is possibly associated with an allergic or parasitic condition. It is characterized by segmental or diffuse infiltration of eosinophils in the mucosa and submucosa. The hypereosinophilic syndrome is a separate condition characterized by a transmural eosinophilic infiltrate with fibrosis resulting in marked thickening of the gastrointestinal tract. These patients show a marked peripheral eosinophilia and generally have a poor prognosis. Diagnosis of chronic gastritis requires endoscopic examination and/or histologic evaluation of gastric biopsies obtained at laparotomy. Survey and positive contrast radiography is usually normal although in some cases abnormal gastric motility may be identified. Endoscopic visualization of the gastric mucosa most commonly shows erythema and retention of food in the stomach, while motility may appear increased or decreased. Therapy of chronic gastritis relies on treating any underlying disease and perhaps trial therapy with a strict hypoallergenic diet. The same dietary recommendations made for acute gastritis are suitable for use in patients with chronic gastritis. Oral prednisone is useful in treating many cases of eosinophilic and lymphocytic-plasmacytic gastritis, particularly when the small intestine is also involved in the disease process. An initial dose of 5 mg q 12 hrs for cats should be gradually tapered over 10-12 weeks and then discontinued as clinical signs subside. Prednisone is usually dosed at 1-2 mg/kg q 12 hrs for dogs, with a gradual taper over 10-12 weeks. Cats with severe lymphocytic-plasmacytic gastritis that is poorly responsive to prednisone therapy may benefit from chlorambucil at 2 mg (one tablet) per cat given every 4 to 5 days. Dogs with severe lymphocyticplasmacytic gastritis are often managed with azathioprine with prednisone. The azathioprine dose for dogs is 1-2 mg/kg q 24 hrs for 2 weeks, followed by 1-2 mg/kg q 48 hrs. H2 receptor antagonists (cimetidine, ranitidine, famotidine) to decrease gastric acid secretion are indicated for managing chronic gastritis. Prokinetic agents such as metoclopramide and cisapride may be indicated if the gastritis is associated with delayed gastric emptying. Full thickness gastrointestinal biopsies are recommended in dogs and cats showing a poor response to dietary and medical therapy to rule out gastric or intestinal lymphoma.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

177

Parassiti gastrointestinali: novità nelle opzioni diagnostiche e terapeutiche Stanley L. Marks BVSc, PhD, Dipl ACVIM (Internal Medicine, Oncology), Dipl ACVN - University of California, Davis, USA

Estratto breve Per rilevare la presenza di forme parassitarie nelle feci esistono molte tecniche consolidate, che vanno da quelle messe a punto per reperire specifici stadi diagnostici (la metodica di Baermann rileva solo le larve), alle metodiche di concentrazione finalizzate alla raccolta del maggior numero possibile di organismi (per flottazione e sedimentazione). Tuttavia, non esiste alcun metodo che risulti efficiente al 100% per tutti gli stadi parassitari ed i migliori risultati si ottengono combinando due o più procedure. Pochi miglioramenti relativamente semplici dei protocolli utilizzati per la ricerca di routine delle uova e dei parassiti possono consentire alla maggior parte delle strutture private (ed anche ai laboratori di riferimento) di raggiungere standard più accettabili.

sere difficile da trovare nei detriti fecali di un preparato per sedimentazione, per cui per queste uova il ricorso alla flottazione può rappresentare una scelta migliore; tuttavia, Aelurostrongylus spesso non è presente in numero sufficiente per essere individuato con la flottazione, oppure viene distorto, per cui il metodo d’elezione per l’identificazione di questo parassita è rappresentato dalla tecnica di Baermann e da quella di Walters. Queste metodiche eliminano la distorsione, che può interferire con l’identificazione delle larve, e consentono l’impiego di un campione fecale molto più grande, aumentando così la probabilità di rinvenire i parassiti. Tuttavia, le tecniche per sedimentazione portano anche ad un maggior numero di detriti fecali, rendendo difficile il riscontro di organismi molto piccoli quali le oocisti di coccidi e le cisti di Giardia, entrambe identificate con maggiore facilità ricorrendo ad una tecnica per flottazione.

3. Strisci diretti 1. Utilizzare sempre feci fresche Le feci vecchie possono contenere uova, oocisti e larve che hanno già raggiunto uno stadio di sviluppo successivo a quello diagnostico. Poiché le descrizioni e le fotografie degli stadi diagnostici dei parassiti fanno riferimento al loro aspetto nelle feci fresche, il confronto di questi quadri con quanto si osserva nelle feci vecchie può portare ad un’identificazione scorretta. È preferibile lasciare i campioni di feci in frigorifero anche per 24 ore se non è possibile valutarli a fresco entro un’ora dalla raccolta. Si raccomanda di utilizzare un microscopio dotato di un oculare micrometrico calibrato, perché le dimensioni e la morfologia sono i due elementi chiave per la corretta identificazione dei parassiti intestinali.

Gli strisci diretti sono indicati per il recupero dei parassiti il cui stadio diagnostico è un trofozoita. Devono essere effettuati con soluzione fisiologica (non acqua) e servendosi di feci fresche (a temperatura corporea, deposte da meno di un’ora). Nei campioni più vecchi i trofozoiti perdono la motilità e degenerano, diventando irriconoscibili. Il principale limite degli strisci diretti è rappresentato dalle dimensioni del campione, che fanno sì che non sia raro riscontrare esiti negativi in presenza di bassi livelli di infestazione parassitaria. I trofozoiti di Giardia ed i tricomonadi intestinali possono essere individuati soltanto mediante striscio diretto (i tricomonadi non possiedono uno stadio di cisti).

Procedura per la realizzazione di uno striscio diretto: 2. Conoscere le indicazioni ed i limiti dei test che si è scelto di utilizzare Se si sospetta un’infestazione da nematodi polmonari in un gatto, occorre ricordare che per alcuni di questi parassiti (ad es., Capillaria aerofila) lo stadio diagnostico è rappresentato dalle uova, mentre per altri (Aelurostrongylus abstrusus) è una larva di primo stadio. Se l’animale proviene dal Midwest, si deve tenere presente la possibilità di un’infestazione da Paragonimus, un distoma che elimina uova che risultano solitamente troppo pesanti per affiorare. L’impiego di una tecnica di sedimentazione consente di recuperare tutti questi stadi e rappresenta la soluzione d’elezione per rinvenire le uova dei distomi. Capillaria può es-

1. Porre una piccola goccia di soluzione fisiologica (l’acqua può determinare la rottura dei trofozoiti) su un vetrino da microscopia 2. Aggiungere una quantità molto piccola di feci fresche ben miscelate e mescolare accuratamente con la soluzione fisiologia sino a formare un sottile strato semiliquido. Il preparato finale deve essere abbastanza sottile da consentire la lettura di un giornale attraverso di esso. 3. Applicare un coprioggetto sulla goccia. 4. Regolare l’intensità luminosa del microscopio in modo da ottenere il massimo contrasto ed esaminare il preparato a 10 x. Per una valutazione più ravvicinata o per confermare una diagnosi, servirsi dell’obiettivo 40 x.


178

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

E possibile aggiungere una soluzione iodata di Lugol o di D’Antoni per favorire la visualizzazione delle strutture interne di trofozoiti e cisti. Poiché i coloranti determinano la morte dei trofozoiti mobili, si raccomanda di preparare separatamente uno striscio allestito con soluzione fisiologica ed uno colorato con iodio.

1. Esami coprologici per flottazione Le tecniche per flottazione sono eccellenti per recuperare le comuni uova di nematodi, le oocisti di coccidi (compreso Cryptosporidium spp.) e le cisti di Giardia. Il principale limite di queste metodiche è dato dall’incapacità di far affiorare gli organismi in cui lo stadio diagnostico ha un peso specifico superiore a quello del mezzo di flottazione. Nella maggior parte dei casi si tratta delle pesanti uova dei trematodi e degli acantocefali (elminti con la testa a forma di spina). Le fragili cisti e larve, anche quando vengono riscontrate, possono essere troppo distorte per poter essere identificate. È sempre preferibile impiegare una tecnica di flottazione per centrifugazione. Questa è probabilmente la più importante variazione che si possa introdurre per migliorare le tecniche di routine di ricerca degli stadi parassitari per flottazione. I metodi di questo tipo che non utilizzano una tecnica di centrifugazione (ad es., quelli per gravità) spesso non sono abbastanza sensibili da consentire il recupero di un limitato numero di organismi dalle feci. Utilizzare sempre un vetrino coprioggetto piuttosto che un’ansa o un bastoncino di vetro per trasferire il menisco su un vetrino. Se la centrifuga utilizzata è dotata di cestelli liberi di oscillare, servirsi di un coprioggetto nella parte finale della centrifugazione per recuperare i parassiti. Se invece si tratta di una centrifuga ad angolo fisso, bisogna aggiungere con cautela un’ulteriore quantità di liquido di flottazione dopo l’ultima centrifugazione per ottenere un menisco e poi appoggiarvi sopra il vetrino coprioggetto lasciandovelo per diversi minuti prima di sollevarlo ed esaminarlo. Nel caso in cui, nonostante quanto sinora esposto, si opti ancora per l’esecuzione dell’esame per flottazione su stativo occorre servirsi di un vetrino coprioggetto per trasferire il menisco. Questa soluzione migliora le prestazioni ottiche di qualsiasi microscopio. Verificare il peso specifico del mezzo di flottazione. Se possibile, si deve passare al solfato di zinco (peso specifico di 1,18 o 1,2) per migliorare l’identificazione e la morfologia di Giardia spp. Bisogna ricordare che non tutte le uova affiorano, indipendentemente dalla soluzione di flottazione. La scelta di quest’ultima è meno importante della tecnica effettivamente utilizzata. I preparati vanno esaminati nel più breve tempo possibile dopo l’allestimento. I ritardi comportano una distorsione di alcuni stadi parassitari e portano a diagnosi non corrette o non riuscite, specialmente in presenza di delicate cisti ed oocisti.

Procedura per la flottazione mediante centrifugazione: (La centrifuga deve essere dotata di cestelli oscillanti) 1. Preparare un’emulsione fecale utilizzando 2-5 g di feci e 30 ml di soluzione di flottazione. 2. Filtrare l’emulsione attraverso un colino da tè o una stamigna in una provetta da centrifuga conica da 15 ml. La sospensione di un imbuto sopra la provetta facilita lo riempimento di quest’ultima.

3. Riempire la provetta con il mezzo di flottazione in modo da ottenere un menisco positivo. 4. Appoggiare un vetrino coprioggetto sulla sommità della provetta. 5. Preparare una provetta di ugual peso, contenente un altro campione o acqua, per bilanciare lo strumento. 6. Porre le provette nei cestelli della centrifuga ed equilibrarne i pesi. Si può aggiungere acqua ai cestelli in modo da ottenere lo stesso peso. 7. Centrifugare le provette per 10 minuti a 400-600 g (circa 1500 rpm). 8. Rimuovere accuratamente i vetrini coprioggetto dalle provette sollevandoli verticalmente ed appoggiandoli su un vetrino portaoggetto. 9. Esaminare il vetrino entro 10 minuti. Effettuare la valutazione dell’intero coprioggetto a 10x. Servirsi dell’obiettivo da 40x per confermare l’identificazione attraverso la visualizzazione delle strutture interne e la misurazione dell’organismo.

Modificazione Se la vostra centrifuga è ad angolo fisso procedere nel modo sopradescritto, ma riempire la provetta fino a circa 2,5 cm dalla sommità e non aggiungere un vetrino coprioggetto per l’ultima centrifugazione. Quando quest’ultima è stata portata a termine, porre delicatamente la provetta diritta in uno stativo portaprovette. Servirsi di una pipetta per aggiungere delicatamente la soluzione di flottazione, facendola defluire lungo la superficie interna della provetta in modo da alterarne il meno possibile il contenuto. Ottenere un menisco positivo ed appoggiarvi il coprioggetto sulla sommità. Lasciar riposare per soli 5 minuti. Spostare il coprioggetto su un vetrino ed esaminare il preparato secondo le modalità descritte al punto 9.

1. Esperienza tecnica: È bene disporre di un tecnico molto esperto nell’identificazione dei parassiti. Ciò migliora il riscontro ed il riconoscimento dei vari agenti infestanti una volta completato il preparato. Il ricorso alle tecniche immunometriche migliora l’identificazione di Giardia spp. e Cryptosporidium spp. Entrambi questi organismi sfuggono frequentemente agli esami per flottazione o vengono erroneamente identificati.

Bibliografia 1. Alcaino H. A. and N. F. Baker. Comparison of two flotation methods for detection of parasite eggs in feces. J Am Vet Med Assoc 164 (6):620-622, 1974. 2. Aldeen W. E. and D. Hale. Use of Hemo-De to eliminate toxic agents used for concentration and trichrome staining of intestinal parasites. J Clin Microbiol 30 (7):1893-1895, 1992. 3. Casemore D.P. Laboratory methods for diagnosing cryptosporidiosis. J Clin Pathol 44 (6):445-451, 1991. 4. Faust E. C., J. D’Antoni, V. Odom, et al. A critical study of clinical laboratory techniques for the diagnosis of protozoan cysts and helminth eggs in feces. American J Trop Med 18:169-183, 1938. 5. Foreyt W. J. Diagnostic parasitology. Vet Clin North Am Small Anim Pract 19 (5):979-1000, 1989. 6. Mohr E and I. Mohr. Statistical analysis of the incidence of positives in the examination of parasitological specimens. J Clin Microbiol 30 (6):1572-1574, 1992. 7. Kroutz F. R. A comparison of flotation solutions in the detection of parasite ova in feces. Am J Vet Res 1:95-100, 1941.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

179

Diarrea infettiva nel cane e nel gatto: una revisione critica Stanley L. Marks BVSc, PhD, Dipl ACVIM (Internal Medicine, Oncology), Dipl ACVN - University of California, Davis, USA

Estratto breve In ambito clinico, la dimostrazione di Clostridium perfringens, Clostridium difficile, Campylobacter spp. e Salmonella spp. come cause di diarrea nel cane e nel gatto è complicata dalla presenza di questi microrganismi come componenti normali della microflora intestinale indigena. La diagnosi di diarrea da C. perfringens e C. difficile viene tradizionalmente formulata sulla base del riscontro delle tossine nelle feci in associazione con la presenza di segni clinici di enterite, colite o enterocolite. La diagnosi di diarrea da Campylobacter e Salmonella si fonda sulla positività delle coprocolture accompagnata da segni clinici di enterite. È possibile esaminare strisci fecali colorati alla ricerca di microrganismi Gram-negativi, incurvati o “ a forma di gabbiano” compatibili con Campylobacter spp., tuttavia questi riscontri vanno interpretati con cautela, dal momento che molti cani sani sono portatori asintomatici di questi microrganismi. Clostridium perfringens è un bacillo anaerobio sporigeno Gram-positivo che è stato associato ad episodi di diarrea acuta spesso grave nell’uomo, nel cavallo, nel cane e nel gatto. La sua enterotossina (CPE) è un fattore di virulenza ben caratterizzato la cui produzione è regolata di concerto con la sporulazione. Attualmente, la diagnosi di diarrea da C. perfringens nel cane e nel gatto viene formulata sulla base del riscontro di questa enterotossina nei campioni di feci in associazione con la presenza dei segni clinici della malattia. L’esito delle coprocolture quantitative e dei conteggi delle spore fecali si è dimostrato di scarso valore diagnostico, dal momento che il microrganismo viene isolato da più del 75% dei cani sani e non esiste alcuna correlazione fra il conteggio delle spore e il riscontro dell’enterotossina. Esiste un solo kit ELISA disponibile in commercio (Techlab Inc., Blacksburg, VA) per l’identificazione della CPE nei campioni fecali; tuttavia, le caratteristiche di rendimento di questo saggio non sono state validate sino ad oggi per il cane ed il gatto. È plausibile che, in alcuni animali, ceppi enterotossigeni di C. perfringens possano fare parte della flora normale. Nei cani e nei gatti asintomatici, la sporulazione può avvenire a velocità ridotta, per cui la quantità di enterotossina rilasciata da questi ceppi enterotossigeni commensali è troppo bassa per causare una malattia; in alternativa, è possibile che l’enterotossina rilasciata venga distrutta dalle proteasi prodotte dalla normale popolazione batterica commensale dell’intestino. La diarrea può quindi essere dovuta ad alcune modificazioni sco-

nosciute nell’ambiente intestinale (esposizione ad antibiotici, variazioni della dieta, mutamenti di pH) che inducono un aumento della sporulazione di C. perfringens commensale (ed il successivo rilascio di una gran quantità di enterotossina da parte dei ceppi enterotossigeni) e/o l’alterazione della flora intestinale in modo tale da causare una drastica riduzione della distruzione dell’enterotossina rilasciata. Una seconda indagine recentemente portata a termine presso il Companion Animal Gastrointestinal Laboratory della UC a Davis ha valutato i quadri enterici fecali di 260 cani con diarrea ed ha dimostrato una forte associazione fra il riscontro di CPE mediante test ELISA e la sindrome diarroica emorragica acuta (AHDS, acute hemorrhagic diarrheal syndrome). La CPE è stata riscontrata nelle feci di 8 cani su 12 (67%) che presentavano segni clinici compatibili con l’AHDS. Inoltre, nei quattro cani che mostravano segni iperacuti e morirono a causa della malattia, tutti i campioni fecali erano CPE-positivi. Clostridium difficile è un bacillo Gram-positivo, anaerobico, sporigeno, che nei pazienti umani costituisce la principale causa di colite pseudomembranosa associata ad antibiotici. C. difficile è stato anche abbinato alla diarrea ed all’enterocolite nel puledri e nei cavalli adulti, nonché alla diarrea nel cane. Si ritiene che la malattia che si accompagna alla presenza del microrganismo sia dovuta principalmente a due tossine, A e B, sebbene anche altre possano svolgere un ruolo in questo senso. Attualmente la diagnosi di diarrea associata a C. difficile viene formulata principalmente sulla base del riscontro della tossina A o B nei campioni di feci con il metodo ELISA. L’isolamento del microrganismo da solo non è sufficiente alla diagnosi per la presenza di ceppi non tossigeni. Inoltre, nel corso di studi precedenti non sono state riportate significative differenze nell’isolamento di C. difficile da cani diarroici e non diarroici, sebbene una recente ricerca abbia rivelato che il riscontro della tossina A con il metodo ELISA è significativamente associato alla presenza della diarrea. Analogamente a C. perfringens, è stata stabilita una forte associazione fra il riscontro della tossina A di C. difficile e la presenza di AHDS, mentre non è stata riscontrata alcuna associazione fra la prevalenza della stessa tossina e la somministrazione di antibiotici in nessuna delle due popolazioni. Sebbene la diarrea associata a C. difficile si accompagni principalmente all’ospedalizzazione ed alla somministrazione di antibiotici nell’uomo, in uno studio condotto presso la UC a Davis non è stata riscontrata alcuna significativa associazione fra la somministrazione di antibiotici ed i risultati colturali per C. difficile.


180

Clostridium difficile sembra avere una prevalenza minore nel gatto rispetto al cane. In un’indagine recentemente portata a termine su felini sani e diarroici presso la UC a Davis, in tutti i 51 gatti sani la ricerca di C. difficile è risultata negativa sia col metodo colturale che con il test ELISA, mentre in quelli diarroici queste due metodiche hanno avuto esito positivo, rispettivamente, in 3 su 61 (4,9%) e 4 su 63 gatti diarroici (6,3%). La diarrea causata da Campylobacter spp., un piccolo microrganismo bastoncellare Gram-negativo, curvo, mobile e microaerofilo, si osserva principalmente negli animali giovani, anche se è stata riscontrata in soggetti di tutte le età. Il microrganismo può essere isolato dalle feci di un’elevata percentuale (il 40% circa) di animali sani che siano stati ricoverati in canile, in particolare in strutture di controllo degli animali. Campylobacter può sopravvivere per giorni nell’acqua di superficie e fino a 4 settimane nelle feci. La durata dell’escrezione nei cani e nei gatti infetti può arrivare a 4 mesi e durante questo periodo i soggetti colpiti devono essere tenuti in quarantena e lontano dai bambini. Campylobacter jejuni può colonizzare il digiuno, l’ileo, il cieco ed il colon; tuttavia, le alterazioni istologiche sono in gran parte limitate a quest’ultimo tratto dell’intestino. Il microrganismo aderisce all’epitelio intestinale attraverso una proteina di superficie esterna e produce un’enterotossina che esita in una diarrea secretoria mediata dall’AMP ciclico. I microrganismi del genere Campylobacter inoltre elaborano un’enterotossina citotossica che probabilmente è responsabile del danno epiteliale. I segni clinici variano da una lieve diarrea transitoria alla produzione di feci emorragiche coperte di muco accompagnata da segni di colite. Le percentuali di isolamento di Campylobacter spp. da cani con diarrea riportate in letteratura variano dal 10,5% al 18,7%, mentre negli stessi studi i tassi di isolamento da cani con feci normali sono compresi fra lo 0% e l’11,1%. Sfortunatamente, i metodi colturali utilizzati in molti di questi studi erano finalizzati primariamente all’isolamento di C. jejuni, un noto agente patogeno enterico dell’uomo catalasi positivo. È possibile che, sulla base dell’esito negativo della reazione alla catalasi, siano state scartate alcune presunte specie patogene come C. upsaliensis. Diversi autori hanno ipotizzato che Campylobacter possa non essere un agente patogeno enterico primario del cane a causa della sua elevata percentuale di isolamento in esemplari non diarroici di questa specie animale. Per facilitare la differenziazione di Campylobacter spp. saranno necessari studi genotipici in cani sani e con diarrea. È altamente plausibile che certi ceppi di Campylobacter spp. siano più patogeni di altri. Presso la UC a Davis abbiamo recentemente valutato la prevalenza di Campylobacter in gatti sani e diarroici e siamo stati sorpresi dal fatto di riscontrare che in 10 gatti sani su 51 (19,6%) ed in 7 gatti diarroici su 63 (11,1%) le coprocolture risultavano positive per questo microrganismo. Questi riscontri rivelano che molte specie di Campylobacter sono non patogene e che è necessario condurre ulteriori studi genotipici per differenziare le specie patogene da quelle apatogene. Salmonella è stata isolata con scarsa frequenza (< 2,3%) da cani non diarroici portati alla visita alla UC Davis School of Veterinary Medicine, ed è risultata anche poco comune

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

nei gatti diarroici (3 cani su 260, pari all’1,2%). Questi risultati sono molto simili a quelli ottenuti nei gatti in cui la prevalenza di Salmonella in 51 soggetti sani ed in 63 diarroici presso la UC a Davis è risultata dello 0%. Riassumendo, l’isolamento di Clostridium spp., Campylobacter spp. e Salmonella nei cani e nei gatti con diarrea deve essere interpretato con cautela. La diagnosi di diarrea da clostridi è facilitata dall’impiego dei test ELISA per determinare la presenza dell’enterotossina di C. perfringens o della tossina A e/o B di C. difficile. La diarrea da Campylobacter è difficile da dimostrare dal momento che il microrganismo viene comunemente veicolato in modo asintomatico nei cani e nei gatti sani. Per contribuire ad identificare le specie microbiche e chiarirne la patogenicità saranno necessari ulteriori studi genotipici. Anche se Salmonella viene isolata con scarsa frequenza nei cani diarroici, la presenza di febbre, diarrea emorragica e leucocitosi con neutrofili tossici o neutropenia in un paziente impone la coprocoltura per Salmonella.

Estratto completo INTRODUCTION The clinical documentation of Clostridium perfringens, Clostridium difficile, Campylobacter spp. and Salmonella spp. as causes of diarrhea in dogs and cats is clouded by the presence of these organisms as a normal component of the indigenous intestinal microflora. Diagnosis of C. perfringens and C. difficile-associated diarrhea is traditionally made by detection of toxin(s) in the feces in association with clinical signs of enteritis, colitis, or enterocolitis. Diagnosis of Campylobacter and Salmonella-associated diarrhea is made on the basis of a positive fecal culture in association with clinical signs of enteritis. Stained fecal smears can be examined for the presence of gram-negative, curved, or “seagull-shaped” rods consistent with Campylobacter spp., however, caution should be exercised in interpreting these findings as many healthy dogs are asymptomatic carriers of Campylobacter spp.

Clostridium perfringens: Clostridium perfringens is an anaerobic, spore-forming, gram-positive bacillus that has been associated with outbreaks of acute, often severe diarrhea in humans, horses, dogs, and cats. The elaboration of four major toxins (α, β, ι, and ε) is the basis for typing the organism into five toxigenic phenotypes, A-E. Each type may also express a subset of at least 10 other established toxins, including C. perfringens enterotoxin (CPE), a well-characterized virulence factor whose production is co-regulated with sporulation. Clostridium perfringens enterotoxin has been shown to induce fluid accumulation and diarrhea in a dog model, and several recent studies have shown an association between detection of CPE in canine fecal specimens and the presence of diarrhea.


46째 Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Dogs with C. perfringens-associated diarrhea frequently exhibit large-bowel diarrhea characterized by increased frequency of bowel movements with tenesmus, fecal mucus and hematochezia; however, clinical signs of enteritis or enterocolitis are also commonly seen. Current diagnosis of C. perfringens-associated diarrhea in dogs and cats is made based on detection of CPE in fecal specimens in conjunction with clinical signs of disease. The value of quantitative fecal culture and fecal spore counts have been shown to be of poor diagnostic value, as the organism is isolated from more than 75% of healthy dogs and there is no correlation between spore counts and detection of enterotoxin. There is only one commercially available ELISA kit (Techlab Inc., Blacksburg, VA) for detection of CPE in fecal specimens; however, the performance characteristics of this assay have not been validated in the dog or cat to date. There is mounting evidence to support a causal relationship between elaboration of CPE and presence of diarrhea. In a recently completed study, we compared the detection of CPE in conjunction with the isolation of sporulated enterotoxigenic fecal isolates in 32 diarrheic and 100 non-diarrheic dogs. Clostridium perfringens enterotoxin was detected via ELISA in 12%, 14%, and 34% of fecal specimens collected from non-diarrheic outpatients, non-diarrheic inpatients, and diarrheic patients, respectively. Enterotoxigenic C. perfringens was isolated following heat shock of fecal specimens in 12% of non-diarrheic outpatients, 14% of nondiarrheic inpatients, and 41% of diarrheic dogs. Although there was a high incidence of CPE positive fecal specimens in the two non-diarrheic groups of dogs (12% and 14%, respectively), a very strong association was shown between the simultaneous detection of CPE and enterotoxigenic C. perfringens isolates and the presence of diarrhea. Furthermore, all but one diarrheic dog that had fecal specimens positive for enterotoxin or enterotoxigenic C. perfringens isolates had no other identifiable contributing causes for their diarrhea. We have documented similar findings in the cat, in which 51 healthy cats were all negative for CPE, whereas 9/63 (14.3%) diarrheic cats were positive for CPE. The fact that in the abovementioned study, toxigenic strains were more likely to be found in a diarrheic specimen provides further evidence that CPE is associated with diarrhea in the dog and cat. This could suggest either a causative role for C. perfringens enterotoxin, or that the intestinal milieu in diarrheic patients selects for enterotoxigenic strains. It is plausible that in some animals, enterotoxigenic C. perfringens may be a part of the normal flora. In asymptomatic dogs and cats, sporulation may be occurring at a low rate, so the amount of enterotoxin being released by these commensal enterotoxigenic strains is too low to cause disease, or released enterotoxin is destroyed by proteases produced by the normal commensal bacterial population in the intestine. Diarrhea may then result from some unknown change in the intestinal environment (antibiotic exposure, dietary change, pH changes) that either induces increased sporulation of commensal C. perfringens (and a subsequent release of a large amount of enterotoxin by enterotoxigenic strains), or alters intestinal flora in such a way that destruction of released enterotoxin is dramatically reduced, or both.

181

A second study recently completed in the Companion Animal Gastrointestinal Laboratory at UC Davis evaluated fecal enteric panels performed on 260 diarrheic dogs, and showed a strong association between detection of CPE via ELISA and acute hemorrhagic diarrheal syndrome (AHDS). CPE was detected in the feces of 8/12 dogs (67%) that had clinical signs consistent with AHDS. Cases were excluded from a diagnosis of AHDS if there was any potential concurrent disease or historical finding that could reasonably be expected to cause AHDS, or if there were signs of colitis only. In addition, of the four dogs that had peracute symptoms and died as a result of the disease, all had fecal specimens positive for CPE.

Clostridium difficile: Clostridium difficile is a gram-positive, anaerobic sporeforming bacillus, and is the major cause of antibiotic-associated pseudomembranous colitis in human patients. C. difficile has also been associated with diarrhea and enterocolitis in foals and adult horses, as well as diarrhea in dogs. Two toxins, toxin A and toxin B, are thought to be primarily responsible for disease associated with the organism, although other toxins may also play a role. Current diagnosis of C. difficile-associated diarrhea is primarily made based upon detection of toxin A or toxin B in fecal specimens via ELISA. Isolation of the organism alone is not sufficient for diagnosis due to the presence of nontoxigenic strains. In addition, previous studies have reported no significant difference in the isolation of C. difficile from diarrheic and nondiarrheic dogs, although a recent study revealed detection of toxin A via ELISA to be significantly associated with the presence of diarrhea. This finding is underscored by the findings of Weese et al., who found that 21% of diarrheic dogs were positive by ELISA for toxins A and B, in contrast to 7% in nondiarrheic dogs. Multiplex PCR performed on fecal isolates for C. difficile toxin A and B genes proved to be unreliable for determining an association between toxigenic strains and the presence of diarrhea. Similar to C. perfringens, a strong association was found between the detection of C. difficile toxin A and the presence of AHDS, although no association was found between the prevalence of C. difficile toxin A and antibiotic administration in any of the populations. Although C. difficile-associated diarrhea is predominantly associated with hospitalization and antibiotic administration in humans, no significant association was found between antibiotic administration and C. difficile culture in a study conducted at UC Davis. In summary, the strong correlation between the detection of toxin A produced by C difficile and clinical diarrhea, and the absence of the toxin in 103 dogs with normal feces supports the notion that C difficile is associated with diarrhea in dogs and may be a cause of it. Clostridium difficile seems to be less prevalent in cats compared to dogs. In a recently completed study in healthy and diarrheic cats at UC Davis, all 51 healthy cats were negative on both culture and ELISA for C. difficile, whereas 3/61 diarrheic cats (4.9%), and 4/63 diarrheic cats (6.3%) were positive for C. difficile on ELISA and culture, respectively..


182

46째 Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Campylobacter spp.

Salmonella spp.

Diarrhea produced by this small, curved, motile, microaerophilic, gram-negative rod is seen primarily in younger animals, although it has been seen in animals of all ages. It can be isolated from the feces of a high percentage (approximately 40%) of healthy animals that have been kenneled, particularly in animal control facilities. Poultry and poultry products are a major source for human beings, as well as unpasteurized milk (the organism can be shed in milk). Puppies and kittens are a source for humans, however, human beings may also be a source of infectious organisms for dogs and cats. Campylobacter can survive for days in surface water and as long as 4 weeks in feces. The duration of excretion in infected dogs and cats can be as long as 4 months and infected animals should be quarantined away from children during this period. Campylobacter jejuni can colonize the jejunum, ileum, cecum, and colon; however, histologic changes are largely restricted to the colon. The organism adheres to the intestinal epithelium via an outer surface protein and produces an enterotoxin that results in a secretory diarrhea mediated by cyclic AMP. Campylobacter organisms also elaborate a cytotoxic enterotoxin that is probably responsible for the epithelial damage. Clinical signs range from mild transient diarrhea to mucous laden bloody stools with associated signs of colitis. Reported rates of isolation of Campylobacter spp. from dogs with diarrhea range from 10.5% to 18.7%, whereas in these same studies the isolation rates from dogs with normal feces ranged from 0% to 11.1%. Unfortunately, the culture methods employed in many of these studies were aimed at primarily isolating C jejuni, a known enteric pathogen in humans that is catalase positive. Putative pathogenic species such as C upsaliensis could have been discarded on the basis of a negative catalase reaction. Several authors have suggested that Campylobacters may not be primary enteric pathogens in dogs because of the high isolation rates in nondiarrheic dogs. Genotypic studies are warranted in healthy and diarrheic dogs to facilitate differentiation of Campylobacter spp. It is highly plausible that certain Campylobacter spp. are more pathogenic than others. We recently evaluated the prevalence of Campylobacter in healthy and diarrheic cats at UC Davis, and were surprised to find that 10/51 healthy cats (19.6%), and 7/63 diarrheic cats (11.1%) were positive for Campylobacter on fecal culture. These findings underscore the fact that many Campylobacter spp. are non-pathogenic and further genotypic studies are warranted to differentiate pathogenic from non-pathogenic species.

Salmonella was infrequently isolated (< 2.3%) from non-diarrheic dogs presenting to the UC Davis School of Veterinary Medicine, and was also uncommon in diarrheic dogs (3 of 260 dogs or 1.2%). These results are very similar to those in cats in which the prevalence of Salmonella in 51 healthy and 63 diarrheic cats at UC Davis was 0%. In the dog study, one of the dogs was referred with a 1-year history of intermittent diarrhea that had recently become hemorrhagic, but the dog was healthy otherwise. Results of CBC were within reference ranges. Salmonella ser Anatum was cultured and the diarrhea resolved during a 3-week administration of trimethoprim-sulphadiazine and dietary management. The second dog was referred with a history of 3 episodes of vomiting and diarrhea during a 2-month period, the first 2 of which responded to conservative treatment. Bacteriologic culture of feces was performed at the time of the third episode and S Thompson was isolated. Results of CBC at that time were within reference ranges. No specific treatment was given and the vomiting and diarrhea resolved with dietary management. The third dog developed diarrhea within 12 hours of being discharged from the hospital after having been sedated for fine-needle aspiration of an area of pulmonary consolidation. Profuse, watery diarrhea developed in association with fever (rectal temperature, 40 C [104 F]), signs of depression, and a moderate leukocytosis with left shift and toxic changes. Salmonella Enteriditis was recovered from the feces in association with positive results for CPE via ELISA. The diarrhea became hemorrhagic, which coincided with clinical deterioration and decreased hematocrit and serum albumin concentration. After 48 hours of treatment including administration of enrofloxacin, ampicillin, metronidazole, and fresh frozen plasma, the dog was euthanatized because of continued deterioration. No necropsy was performed. Among the 72 control dogs with normal feces, no Salmonella spp were isolated from any sample. In summary, the isolation of Clostridial spp., Campylobacter spp. and Salmonella in diarrheic dogs and cats must be interpreted cautiously. The diagnosis of Clostridial-associated diarrhea is facilitated by use of ELISA tests to determine the presence of enterotoxin of C. perfringens or toxin A and/or B of C. difficile. Campylobacter-associated diarrhea is difficult to prove as the organism is commonly carried asymptomatically in healthy dogs and cats. Further genotypic studies are warranted to help speciate the organism and elucidate the pathogenicity of these species. Although Salmonella is infrequently isolated in diarrheic dogs, the presence of fever, hemorrhagic diarrhea, and leukocytosis with toxic neutrophils or neutropenia in a patient warrants fecal culture for Salmonella. References available on request.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

183

Novità sui disordini epatici nel cane Stanley L. Marks BVSc, PhD, Dipl ACVIM (Internal Medicine, Oncology), Dipl ACVN - University of California, Davis, USA

Estratto breve Il presente lavoro sarà incentrato su diversi disordini epatici relativamente comuni del cane, come l’epatotossicosi da rame, l’epatite cronica, la dermatite necrolitica superficiale secondaria ad epatite cronica e la displasia microvascolare epatoportale. L’anomalo accumulo di rame all’interno dei lisosomi epatici è stato associato a danno epatocellulare in parecchie razze, soprattutto bedlington terrier, west highland white terrier, skye terrier e dobermann. Gli studi sulla epatotossicità da rame nel bedlington terrier hanno dimostrato che la malattia è dovuta ad un carattere ereditario autosomico recessivo che esita nell’aberrante espressione di una proteina, la metallotioneina, che lega il rame. Quest’ultimo si accumula attraverso un processo correlato all’età all’interno dei lisosomi degli epatociti, spesso raggiungendo livelli di 10.000 parti per milione (ppm). Sono considerati normali livelli di rame nel fegato inferiori a 400 ppm. Nelle altre razze si può avere una certa confusione, perché il rame si può accumulare nel fegato anche secondariamente ad epatopatie colestatiche. La maggior parte degli alimenti commerciali per cani contiene un eccesso di rame, per cui le carenze sono poco comuni. L’assorbimento di questo elemento viene accentuato dagli aminoacidi e da elevati livelli di proteine nella dieta e ridotto da zinco, ascorbato e fibre. Il trattamento dei cani con epatotossicosi da rame è volto a ridurre i livelli dello stesso nella dieta, attuare un’integrazione con zinco per prevenire l’assorbimento del rame e somministrare degli agenti che chelino il rame come la D-penicillamina o la trientina (2,2,2-tetramina). L’epatite cronica con conseguente fibrosi e cirrosi nel cane è stata riconosciuta con frequenza progressivamente maggiore negli ultimi anni. Molti cani vengono portati alla visita con segni clinici di malattia acuta, anche se la biopsia epatica rivela un’epatopatia cronica o una cirrosi in stadio terminale. La maggior parte dei cani si presenta letargica e depressa. Spesso vengono riferite anoressia e perdita di peso, nonché polidipsia e poliuria. In molti cani, si possono riscontrare anche ascite ed ittero. Il dobermann (spesso femmine di media età) sviluppa solitamente un accumulo epatico di rame negli epatociti periportali, secondariamente alla natura colestatica dell’epatite cronica. I meccanismi eziopatogenetici coinvolti nello sviluppo e nella progressione della malattia epatobiliare cronica nel cane sono scarsamente conosciuti. Come conseguenza, la scelta del trattamento clinico più appropriato è spesso sintomatica o basata su alterazioni istologiche osservate nelle biopsie epatiche. Il tratta-

mento definitivo dell’epatite cronica va idealmente basato sui risultati della biopsia epatica. Le caratteristiche istologiche indicative di epatite cronica sono rappresentate da presenza di elementi infiammatori mononucleari e/o riscontro di fibrosi. Il valore della terapia con corticosteroidi (prednisolone) nell’epatopatia del cane è controverso. Il prednisolone è probabilmente indicato nelle affezioni epatiche immunomediate (epatite cronica attiva) ma queste malattie vanno preferibilmente confermate in anticipo mediante biopsia epatica. I corticosteroidi probabilmente riducono l’infiammazione e forse aumentano l’appetito e la sensazione di benessere. Inoltre, possono minimizzare la fibrosi durante la fase di guarigione in seguito ad un evento patologico acuto. Tuttavia, possono aumentare la gravità e la mortalità dell’epatite virale e della colangioepatite batterica e possono aggravare i segni clinici dell’encefalopatia epatica promuovendo il catabolismo proteico. Altri agenti terapeutici che verranno illustrati in maniera più dettagliata nel corso della relazione sono la famotidina, gli antibiotici come l’ampicillina ed il metronidazolo, l’azatioprina, gli agenti antifibrotici (colchicina) e quelli coleretici (acido ursodeossicolico). La dermatite necrolitica superficiale (SND) è un’affezione cutanea poco comune che è anche stata indicata con il nome di necrosi metabolica dell’epidermide, sindrome epatocutanea, dermatopatia diabetica ed eritema migrante necrolitico (NME). La malattia viene tipicamente diagnosticata nei cani anziani, anche se esistono rare segnalazioni del suo riscontro nel gatto e nel rinoceronte nero. Il segno clinico più comune della SND è lo sviluppo di lesioni cutanee visibili ad occhio nudo con una caratteristica distribuzione. Tali lesioni sono rappresentate da eritema, croste, essudazione, ulcerazione ed alopecia a carico di cuscinetti plantari, regioni perioculare e periorale, regione anogenitale e punti di pressione del tronco e degli arti. Alla SND sono anche associate zoppia da lesioni dei cuscinetti plantari, inappetenza e perdita di peso. In presenza di un concomitante diabete mellito, si possono osservare polidipsia e poliuria. I riscontri istopatologici di una marcata paracheratosi dell’epidermide con edema inter- ed intracellulare e degenerazione dei cheratociti nella parte superiore dell’epidermide unitamente ad iperplasia delle cellule basali sono responsabili delle caratteristiche lesioni istologiche “rosse, bianche e blu” che hanno valore diagnostico per questa malattia. A differenza di quanto avviene nei pazienti umani con NME, nella maggior parte dei cani con SND non è stata riscontrata un’associazione documentata con un glucagonoma, ma di norma è presente un’epatopatia. L’eziopatogenesi della patologia epatica osservata nella maggior parte dei cani con SND resta scono-


184

sciuta e ed è poco chiaro quali vie metaboliche possano costituire il legame fra l’affezione epatica o pancreatica e le lesioni cutanee osservate nella malattia. L’ecografia addominale nei cani colpiti può rivelare un quadro epatico “ad alveare” quasi patognomonico, costituito da regioni ipoecogene di dimensioni variabili circondate da margini iperecogeni. Il fegato dei cani con SND non accompagnata da neoplasia pancreatica si presenta irregolare con molteplici noduli caratterizzati da un aspetto macroscopico che ricorda la cirrosi. L’istopatologia epatica rivela di solito un’epatopatia vacuolare distintiva con collasso del parenchima. Non è ancora stato stabilito con certezza se le lesioni epatiche osservate nella SND riflettano un’autentica cirrosi, perché uno studio ha documentato istologicamente un incremento di minima entità del collage all’interno delle aree portali, mentre altre indagini hanno riferito che le lesioni epatiche sono compatibili con la cirrosi micronodulare. Queste alterazioni del fegato non sono state descritte nei cani con SND associata a neoplasia pancreatica. Sfortunatamente, la prognosi nei cani con SND è sfavorevole, con una sopravvivenza media di circa 6 mesi dopo la diagnosi. La prognosi nei cani trattati con un’aggressiva integrazione nutrizionale per via orale o paraenterale mediante aumento di apporti proteici o aminoacidici è di gran lunga migliore ed alcuni di questi cani possono sopravvivere per più di un anno. La displasia microvascolare epatoportale (MVD) è un disordine epatobiliare congenito e probabilmente ereditario ben caratterizzato nel cairn terrier, ma comune anche nello Yorkshire terrier ed anche in altri cani di razza toy. La caratteristica clinica distintiva della MVD è l’aumento dei livelli sierici degli acidi biliari. Alcuni di questi cani presentano pochi segni clinici e non mostrano alcuna anomalia costante dei parametri di laboratorio. A differenza di quanto avviene nei cani con shunt portosistemico, questi animali non sono microcitici o ipocolesterolemici, non presentano bassi valori di azotemia, raramente dimostrano un aumento delle attività degli enzimi epatici o di quella del biurato di ammonio. Tuttavia, questi soggetti mostrano un incremento dei livelli sierici totali di acidi biliari. Questi valori possono essere simili a quelli degli acidi biliari osservati nei cani con shunt portosistemico, in cui il livello a digiuno può essere compreso entro i limiti di riferimento normali, mentre quello postprandiale è marcatamente aumentato. Un secondo gruppo di cani con MVD può essere sintomatico e presentare manifestazioni cliniche caratterizzate da encefalopatia epatica, anomalie gastroenteriche e disuria da uroliti di biurato di ammonio. Questi cani presentano anche un’abnorme incremento dei livelli sierici totali di acidi biliari, ma possono sviluppare ipertensione portale, progressivo declino della funzione epatica, shunt portosistemico ed ascite nell’arco di diversi anni. La biopsia epatica è l’unico metodo per confermare in modo definitivo la diagnosi di MVD. Le lesioni possono essere poco evidenti e sfuggire se per formulare la diagnosi il prelievo dei campioni bioptici viene effettuato mediante ago piuttosto che per asportazione di un cuneo di tessuto. Inoltre, le lesioni istologiche sono simili a quelle osservate nei cani con shunt portovascolari. Le anomalie comprendono un aumento del numero di strutture portali di aspetto giovanile, il

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

riscontro di prominenti arteriole epatiche tortuose ed una notevole scarsità di sangue nei grandi rami delle vene portali con alcuni vasi che appaiono collassati. Le venule epatiche possono mostrare una prominenza di muscolatura liscia vascolare e segni di costrizione. I singoli epatociti sono atrofizzati, per cui le triadi portali appaiono più ravvicinate del normale. Per contribuire alla diagnosi in questi cani è possibile utilizzare l’ecografia epatica, anche se per riconoscere il “letto vascolare portale intraepatico ipovascolare” nei cani con MVD è necessario un operatore esperto. Inoltre, il fegato non è piccolo quanto quello che si osserva nei cani con shunt portosistemico palese. È anche possibile ricorrere alla scintigrafia colorettale o alla portografia con mezzo di contrasto per assicurarsi di non aver sottovalutato uno shunt portosistemico. Non esiste alcun trattamento per i cani con MVD. I soggetti colpiti che mostrano i segni clinici della malattia vengono trattati come qualsiasi cane con shunt portosistemico che mostri i segni di encefalopatia epatica. La prognosi per i cani asintomatici è eccellente e non è necessaria alcuna terapia. Al contrario, quella per gli animali che mostrano anomalie cliniche è variabile e dipende dalla loro risposta al trattamento finalizzato a far regredire le manifestazioni dell’encefalopatia.

Estratto completo COPPER-ASSOCIATED HEPATOTOXICOSIS: The abnormal accumulation of copper within hepatic lysosomes has been associated with hepatocellular damage in several breeds, most notably the Bedlington Terrier, West Highland White Terrier, Skye Terrier, and Doberman Pinscher. Studies of copper associated hepatotoxicity in the Bedlington Terrier have proven the disease to be an inherited autosomal recessive trait resulting in the aberrant expression of the copper binding protein metallothionein. Copper accumulates in an age related process within hepatocyte lysosomes, often reaching levels of 10,000 parts per million (ppm). Normal hepatic copper levels are considered to be less than 400 ppm. Confusion arises in other breeds since copper can also accumulate in the liver secondary to cholestatic liver diseases. Most commercial dog foods contain an excess of copper so deficiencies are uncommon. Absorption of copper is enhanced by amino acids and high dietary protein, and reduced by zinc, ascorbate, and fiber.

Dietary Copper Restriction The management of copper toxicosis is directed at reducing copper stores in the body. Dietary restriction of copper probably plays a minor role in reducing hepatic copper concentrations in diseased dogs. Dietary restriction has most potential for managing young dogs known to be affected with an inherited hepatic metabolism defect (Bedlington Terriers and West Highland White Terriers). A minimum di-


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

etary copper requirement has been established as 2.9 ppm available copper (DM basis) for growth. A minimum dietary copper allowance of 7.3 ppm for growth and adult maintenance has been established for typical dog foods. There are no proven nutritionally balanced commercial diets that are restricted in copper, although Prescription Diet® Canine u/d® may be a suitable diet for short-term management, since it does not contain organ meats and is restricted in protein. The low protein content (8% protein calories) of Prescription Diet® Canine u/d® precludes its use for the chronic management of dogs with liver disease. One can also prepare a homemade balanced diet (Table I) that is restricted in copper. Homemade diets should exclude liver, shell fish, and organ meats which are all high in copper content (Table II). Supplementation of the diet with ascorbic acid has been reported to reduce copper absorption and promote its urinary excretion in humans. The benefit of ascorbic acid treatment in dogs with copper-associated hepatitis is unknown. Since plasma ascorbic acid levels can be decreased in dogs with hepatic failure, it is recommended that vitamin C be supplemented at 25 mg/kg per day. Vitamin E may help protect against copper-induced lipid peroxidation and should be supplemented at levels of 500 mg/day.

Zinc Zinc salts are effective in preventing copper accumulation in the livers of humans with Wilson’s disease. Zinc ions induce the synthesis of metallothionein, which binds copper tightly, rendering it unabsorbable from the intestine and possibly detoxifying it in the liver. The copper is lost in the feces when the intestinal cell is sloughed. Zinc acetate or zinc gluconate is recommended, since the sulfate form is associated with gastric irritation and vomiting in humans. A loading dose of 100 mg elemental zinc per os twice daily is given for 3 months and the dose is then decreased to 50 mg twice daily. The zinc should be given separate from meals unless nausea and vomiting occur. In those cases, zinc can be given with a small amount of food. Reduced hepatic copper concentrations, decreased hepatic enzyme activity and improved hepatic histologic features were noted after 2 years of zinc therapy in a small number of affected dogs. Zinc is administered 1 hour before meals at 5 to 10 mg/kg twice daily. Excess zinc will interfere with the absorption and utilization of iron and copper, and can cause a chronic copper deficiency manifested by a microcytic-hypochromic anemia and neutropenia.

Copper Chelating Agents Copper chelators bind copper either in the blood or tissues and promote its urinary excretion. D-penicillamine, the most frequent copper chelator recommended for use in dogs, should be given at a dose of 10 to 15 mg/kg twice a day on an empty stomach. Vomiting is the most common side-effect in dogs and can be alleviated by reducing the dose and giving it more frequently. D-penicillamine therapy has also been associated with a pyridoxine deficiency in human pa-

185

tients. Although this problem has not been recognized to occur in dogs, the diet should be high in this B-vitamin, or supplemental amounts should be given daily. Trientine (2,2,2-tetramine) is another chelating agent with comparable effects to D-penicillamine, but with fewer adverse effects. Trientine is usually dosed orally at 10-15 mg/kg body weight twice daily. Modification of 2,2,2tetramine to 2,3,2-tetramine increases potency as a copper chelating agent. Use of 2,3,2-tetramine in affected Bedlington terriers reduced liver copper concentrations significantly after 200 days of treatment at a dose of 15 mg/kg body weight. This drug is not commercially available, but can be obtained from chemical supply companies in the form of N,N’-bis(2-aminoethyl)-1,3-propanediamine and prepared as a salt for oral administration. Periodic liver biopsies are suggested with the use of copper chelators to monitor hepatic copper levels and response to therapy. Anti-inflammatory agents such as prednisone may be of benefit in the management of chronic hepatitis in Bedlington Terriers and West Highland White Terriers.

CHRONIC HEPATITIS Chronic hepatitis with subsequent fibrosis and cirrhosis in dogs has been recognized with increased frequency in recent years. Toxic agents and drugs are known causes of chronic liver disease in the dog. Copper storage hepatitis is well known in the Bedlington terrier, and West Highland white terriers also develop a metabolic copper defect. Doberman pinschers, American and English cocker spaniels, West Highland white terriers, and Labrador retrievers have a high prevalence of chronic liver disease. Many dogs are presented with clinical signs of acute disease, although liver biopsy reveals a chronic liver disease or end-stage liver cirrhosis. Most dogs are lethargic and depressed. Anorexia and weight loss, as well as polydipsia and polyuria are often reported. Ascites and icterus can also be found in many dogs. Doberman pinschers (often middle-aged female Dobermans) usually develop hepatic copper accumulation in periportal hepatocytes secondary to the cholestatic nature of the chronic hepatitis. The etiopathogenic mechanisms involved in the development and progression of chronic hepatobiliary disease in the dog are poorly understood. As a result, selection of appropriate clinical management is often symptomatic or based on histologic changes observed on liver biopsy. Definitive treatment of chronic hepatitis should ideally be based on results of liver biopsy. Histologic features indicative of chronic hepatitis include the presence of mononuclear inflammatory cells and/or the presence of fibrosis.

Corticosteroid therapy The value of corticosteroid therapy (prednisolone) in canine and feline liver disease is controversial. Prednisolone is probably indicated in immune-mediated liver disease (chronic active hepatitis) but such diseases should preferably be confirmed via liver biopsy first. Prednisolone is con-


186

traindicated in some human hepatopathies. It is probably best given to dogs and cats when the pathologists opinion is that the histologic picture of a liver biopsy resembles immunemediated liver disease in human beings. Corticosteroids probably reduce inflammation and perhaps increase appetite and a feeling of well being. They may also minimize fibrosis during the healing phase following an acute insult. However they may increase severity and mortality in viral hepatitis and bacterial cholangiohepatitis, and may worsen signs of hepatic encephalopathy by promoting protein catabolism. Famotidine (or other H2-receptor antagonists) are probably indicated to minimize likelihood of gastrointestinal bleeding in those patients with gastrointestinal ulceration or coagulopathy, particularly when glucocorticoids are given (see below). Antibiotic therapy is specifically indicated in the case of bacterial cholangiohepatitis/cholangitis, and is of benefit in hepatic encephalopathy to reduce microbial production of ammonia from unabsorbed nitrogenous material. Ampicillin or metronidazole are reasonable choices for initial therapy; neomycin should be avoided since it can be toxic. Surgical correction of some portal systemic vascular anomalies is possible in some instances. Azathioprine is a more potent immunosuppressive agent than glucocorticoids, and may be of value in combination with steroids in some canine cases of chronic hepatitis that do not respond to steroid therapy alone. Anti-fibrotic agents used to treat human chronic liver disease include colchicine and zinc gluconate. Some specialists have reported apparent beneficial effects following administration of colchicine to dogs with chronic hepatitis/cirrhosis. Ascites, if present, can be treated by cautious diuretic therapy and/or paracentesis if the fluid accumulation is impairing the patient’s respiration. Dehydrocholic acid, a synthetic bile acid, may be helpful in preventing sludging of bile in cats with cholangiohepatitis, but should not be given if there is complete biliary obstruction. Ursodeoxycholic acid (Ursodiol) at a dose of 10 - 15 mg/kg q24hr is effective nonspecifically in reducing the rate of progression of chronic hepatitis in people. It probably works by replacing endogenous hepatotoxic bile acids in the enterohepatic circulation. It is expensive, but the only likely side effect is diarrhea if large doses are given. It is probably a very safe drug and may be very effective. Preliminary anecdotal reports of its use in dogs and cats are very favorable. The dose of ursodiol in dogs and cats is 10-15 mg/kk SID.

SUPERFICIAL NECROLYTIC DERMATITIS Superficial necrolytic dermatitis (SND) is an uncommon skin disease that has also been called metabolic epidermal necrosis, hepatocutaneous syndrome, diabetic dermatopathy, and necrolytic migratory erythema (NME). This disease was first described in 1986, in 4 dogs with diabetes mellitus and was thus first called diabetic dermatopathy. The disease is typically diagnosed in older dogs although there are rare reports of it occurring in cats and the black rhinoceros. The most common clinical sign in SND is the development of vi-

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

sually distinctive skin lesions with a characteristic distribution. Skin lesions include erythema, crusting, exudation, ulceration and alopecia involving footpads, peri-ocular or perioral regions, anal-genital regions, and pressure points on the trunk and limbs. Lameness secondary to footpad lesions, inappetance and weight loss are also associated with SND. Polydipsia and polyuria may be present when there is concurrent diabetes mellitus. Histopathologic findings of a marked parakeratotic epidermis with striking inter- and intracellular edema and keratinocyte degeneration in the upper epidermis along with hyperplastic basal cells are responsible for the characteristic “red, white and blue” histologic lesion that is diagnostic for this disease. Necrolytic migratory erythema (NME) is a histologically similar disease that is seen in people. Most often NME occurs in association with a glucagon secreting tumor. Glucagonoma syndrome in humans is characterized by the skin lesions of NME, hyperglycemia resulting from carbohydrate intolerance or diabetes mellitus, weight loss, hypoaminoacidemia and anemia. In human patients with NME, there is typically a profound hypoaminoacidemia, presumed to result from the catabolic gluconeogenic effects of glucagons. However, NME has been diagnosed in people with normal amino acid levels and these have often been patients with non-glucagonoma associated disease. Unlike in people with NME, a documented association with a glucagonoma has not been found in the majority of dogs with SND, instead most dogs have an associated hepatopathy. The etiopathogenesis of the hepatic pathology seen in the majority of dogs with SND remains unknown and it is unclear what metabolic pathway(s) may be linking liver or pancreatic disease with the skin lesions seen in SND. The majority of dogs with SND have non-glucagonomaassociated disease and often there is a documented association with characteristic hepatic changes. Abdominal ultrasound in affected dogs can reveal an almost pathognomonic “honeycomb” pattern to the liver, consisting of variablysized hypoechoic regions surrounded by hyperechoic borders. The livers from the dogs with SND without associated pancreatic neoplasia, appear irregular with multiple nodules that have a gross appearance that resembles cirrhosis. Hepatic histopathology usually reveals a distinctive vacuolar hepatopathy with parenchymal collapse. There is some debate as to whether or not the hepatic lesions seen in SND reflect true cirrhosis, as one study documented minimal increase in collagen within portal areas histologically, while other studies report that the hepatic lesions are consistent with micronodular cirrhosis. These hepatic changes have not been reported in those dogs with SND that had associated pancreatic neoplasia. An association between diabetes mellitus and SND has been reported previously, and we documented diabetes mellitus in 9/36 dogs with SND. Hyperglucagonemia, if it were present, could explain the risk for the development of diabetes mellitus seen in dogs with SND. The severe vacuolar liver disease seen in the majority of dogs with SND and the association in some dogs with diabetes mellitus, suggests that an underlying hormonal or metabolic disturbance is occurring in dogs with SND. The mean plasma amino acid concentrations for dogs with SND are significantly lower


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

than in dogs with acute and chronic hepatitis. A metabolic hepatopathy in which there is increased hepatic catabolism of amino acids is hypothesized to explain the hypoaminoacidemia seen in SND. Unfortunately, the prognosis for dogs with SND is poor, with a mean survival of approximately 6 months following diagnosis. The prognosis for dogs receiving aggressive oral or parenteral nutritional supplementation with increased protein or amino acids supplmenents is far better, and some of these dogs can survive for over 1 year.

HEPATOPORTAL MICROVASCULAR DYSPLASIA Hepatoportal microvascular dysplasia (MVD) is a congenital and probably inherited hepatobiliary disorder that is well characterized in Cairn terriers, but is also common in Yorkshire terriers and other toy-breed dogs. The clinical hallmark of MVD is increased serum bile acids. Some of these dogs have few clinical signs and have no consistent abnormalities on clinicopathologic parameters. In contrast to dogs with portosystemic shunts, these dogs are not microcytic or hypocholesterolemic, do not have low BUN values, rarely demonstrate increased liver enzyme values, or ammonium biurate activity. However, these dogs have increased serum total bile acids. These values can be similar to those bile acid values seen in dogs with portosytemic shunts, in which the fasting value may be within the normal reference range, and the postprandial value is markedly increased. A second group of dogs with MVD can be symptomatic with clinical signs characterized by hepatic encephalopathy, gastrointestinal abnormalities, and dysuria due to ammonium

187

biurate uroliths. These dogs also have abnormally increased serum total bile acids, but may develop portal hypertension, progressive decline in hepatic function, portosystemic shunting, and ascites over several years. Hepatic biopsy is the only means to definitively confirm a diagnosis of MVD. The lesions can be subtle and can be overlooked if needle biopsies rather than wedge biopsies are used to make the diagnosis. In addition, the histologic lesions are similar to those observed in dogs with portovascular shunts. Abnormalities include increased numbers of juvenile-appearing portal structures, prominent tortuous hepatic arterioles, and a notable paucity of blood in large branches of the portal veins with some vessels appearing collapsed. Hepatic venules may demonstrate a prominence of vascular smooth muscle and appear constricted. Individual hepatocytes are atrophied, giving the appearance of portal triads appearing closer together than normal. Hepatic ultrasound can be used to help diagnose these dogs, although an experienced operator is needed to recognize the “hypovascular intrahepatic portal vascular bed� in dogs with MVD. The liver is also not as small as that seen in dogs with overt portosystemic shunts. Colorectal scintigraphy or contrast portography can also be done to ensure that a portosystemic shunt has not been overlooked. There is no treatment for dogs with MVD. Clinically affected dogs with MVD are managed like any dog with portosystemic shunts that is exhibiting signs of hepatic encephalopathy. The prognosis for dogs lacking clinical signs is excellent, and no therapy is needed for these dogs. In contrast, the prognosis for dogs showing abnormal clinical signs is variable and depends on their response to treatments aimed at reversing the signs of encephalopathy.


188

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Trattamento delle lesioni condrali in chirurgia articolare Filippo Maria Martini Med Vet - Università di Parma

Estratto breve Nel 1743, Hunter affermò: “Da Ippocrate al momento attuale, è universalmente riconosciuto che la cartilagine ulcerata rappresenta un grave problema ed una volta distrutta, non si ripara”. Da allora, sono state eseguite numerosissime ricerche volte a comprendere i processi di guarigione della cartilagine articolare, con significativi progressi nella comprensione dei processi di riparazione biologica. La cartilagine articolare possiede capacità riparativa spontanea, ma questa risposta riparativa è limitata in termini di forma e funzione. Nonostante nelle quattro decadi passate siano state proposte varie tecniche chirurgiche volte ad una miglior risposta riparativa, nessuna di queste si è rivelata in grado di garantire una reale rigenerazione del tessuto cartilagineo. Con il termine “rigenerazione” si intende infatti una sostituzione del tessuto lesionato con un tessuto avente le stesse caratteristiche dal punto di vista strutturale e funzionale. Alla base dei processi di riparazione della cartilagine ialina vi sono tre meccanismi: la riparazione intrinseca, la riparazione estrinseca ed il flusso di matrice. La riparazione intrinseca (dall’interno della cartilagine) dipende dalle limitate capacità mitotiche dei condrociti e dalla loro possibilità di incrementare, seppur in maniera poco efficiente, la produzione di collagene e proteoglicani. La riparazione estrinseca dipende dagli elementi mesenchimali dell’osso subcondrali. Il terzo fenomeno, indicato come flusso di matrice può contribuire alla riparazione della cartilagine articolare attraverso la formazione di neocartilagine a partire dal perimetro della lesione, che si accresce verso il centro del difetto. La profondità della lesione (spessore parziale o totale), le dimensioni del difetto, la localizzazione e la relazione con aree di carico o di non carico, così come l’età dell’animale influenzano la riparazione ed il rimodellamento della superficie articolare lesionata. I processi riparativi dipendono da due principali caratteristiche della cartilagine articolare stessa, delle quali la più importante è la sua avascolarità. Il secondo limite è rappresentato dal fatto che i condrociti sono letteralmente imprigionati nella rete di collagene e proteoglicani, non essendo così in grado di migrare dalla cartilagine sana al sito lesionato. Queste condizioni risultano modificate se la lesione della cartilagine articolare penetra nel piano dell’osso subcondrale, fornendo una via aperta all’osso altamente vascolarizzato. Il tessuto riparativo è tuttavia prevalentemente composto da collagene di tipo I, rispetto al collagene di tipo II fisiologicamente presente nella cartilagine ialina. L’iden-

tificazione del collagene di tipo II è il fattore biochimico chiave per distinguere la cartilagine ialina dal tessuto riparativo fibroso e dalla fibrocartilagine. La riparazione fibrocartilaginea è purtroppo inadatta dal punto di vista biomeccanico ed è stato dimostrato che il tessuto va incontro ad una precoce degradazione meccanica. Il trattamento di aree condrali od osteocondrali lesionate rappresenta una sfida difficile in chirurgia ortopedica. Esistono varie opzioni terapeutiche che possono essere distinte in tecniche “tradizionali” e tecniche “moderne”. Le tecniche tradizionali fanno appello al potenziale di rigenerazione spontanea. Le cellule staminali mesenchimali si mobilizzano a partire dalla componente spongiosa subcondrale ed avanzano verso la superficie articolare, dove subiscono una metaplasia fibrosa producendo un tessuto fibrocartilagineo di riparazione. Questo rinnovamento “tradizionale” della superficie cartilaginea necessita di una comunicazione fra l’osso spongioso e la cavità articolare. Tali tecniche trovano tuttavia un loro limite nelle caratteristiche biomeccaniche sfavorevoli del tessuto riparativo fibrocartilagineo. La perforazione di Pridie prevede di praticare dei canali di 1,5-5 mm nell’osso subcondrale denudato od attraverso la cartilagine lesionata. Tali canali vengono colonizzati da cellule staminali e vanno incontro ad una neovascolarizzazione. Giocano inoltre un ruolo importante nella decompressione della struttura dell’osso spongioso subcondrale, riducendo l’elevata pressione intraossea sotto la zona del difetto. La tecnica della cosiddetta abrasione artroplastica prevede invece un curettage superficiale ma esteso dello strato osseo subcondrale fino a suo sanguinamento. L’analisi dei risultati ottenuti mediante abrasione artroplastica e perforazioni di Pridie ha mostrato come l’elemento chiave sia rappresentato dalla creazione di una comunicazione fra osso spongioso subcondrale e spazio articolare. È a partire da queste osservazioni che è stata sviluppata la tecnica delle microfratture. È stato infatti messo a punto uno specifico strumentario per eseguire piccole perforazioni ossee anche nel corso di una procedura artroscopica. Secondo questa tecnica è necessario che tutto lo strato superficiale dell’osso subcondrale sia “microfratturata” con cura. Lo strumento per eseguire le microfratture viene inserito nell’osso subcondrale ad una profondità di 3-4 mm e ad un intervallo di 3-5 mm. Secondo alcuni Autori questa tecnica può favorire la formazione di cartilagine ialina di buona qualità, mentre secondo altri, analogamente alle precedenti, non può produrre che una riparazione fibrocartilaginea. Nondimeno, questa procedura rappresenta un progresso in quanto il tessuto generato è in questo caso


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

più abbondante e meglio adeso ai piani sottostanti rispetto a quello ottenuto attraverso le tecniche precedenti. Attualmente, la tecnica delle microfratture è la più diffusa fra tutti i metodi cui si può ricorrere per stimolare il rinnovamento della superficie cartilaginea. Se la rigenerazione non è stata ottenuta attraverso le tecniche tradizionali di riparazione della cartilagine articolare, che per le loro caratteristiche mirano a “sollecitarne” i processi di guarigione spontanea, migliori risultati sembrano derivare dalla applicazione di tecniche più moderne quali il trapianto periostale, il trapianto di cartilagine (sia esso autotrapianto o allotrapianto) ed il trapianto di condrociti e cellule staminali (autotrapianto ed allotrapianto). Tali tecniche, individuabili genericamente come metodi biologici di rigenerazione della cartilagine articolare fanno uso di cellule della cartilagine o di tessuto osteo-cartilagineo in toto per la

189

rigenerazione della superficie articolare lesionata. Ampiamente sperimentati su modelli animali, questi metodi trovano oggi una discreta applicazione in campo umano, con gradi di successo ancora piuttosto variabili. Più in particolare, il trapianto di pericondrio o di periostio non trova una reale applicazione in quanto tale, ma tende ad essere utilizzato in concomitanza col trapianto condrocitario assumendo un ruolo di contenimento, riserva cellulare e produttore di fattori di crescita. Il trapianto osteocondrale è forse oggi la tecnica più standardizzata e sicura, applicata secondo i principi della mosaicoplastica, ma presenta alcuni svantaggi connessi fondamentalmente col reperimento del materiale da impiantare, che la rendono “superabile” da metodologie più avanzate quali il trapianto di condrociti su matrice. Quest’ultima è una tecnica che seppur più complessa ed articolata trova già applicazione in varie cliniche ed istituti in campo umano.


190

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Principi di anestesia e di chirurgia dei pesci ornamentali Massimo Millefanti Med Vet - Gaggiano (MI)

Estratto breve Negli ultimi anni anche in Italia sono aumentate le richieste al medico veterinario, da parte di proprietari e allevatori, di interventi chirurgici o di prestazioni dove è necessario mettere in anestesia o sedare i pesci ornamentali di specie, ambienti e taglie varie con differenti rapporti tra superficie branchiale e peso del pesce stesso. Mentre la sedazione riduce la percezione degli stimoli esterni e la conseguente reazione motoria, senza la presenza dell’analgesia, l’anestesia, propriamente detta, comporta la perdita di coscienza, il miorilassamento e l’analgesia dell’animale. In relazione al rapporto tra dose utilizzata e tempo di esposizione al farmaco si potrà ottenere: lieve sedazione, sedazione profonda, lieve anestesia, anestesia profonda, anestesia chirurgica, collasso midollare con conseguente arresto cardio-respiratorio e morte del pesce. L’anestesia potrà essere raggiunta con metodi inalatori, fisici (elettroanestesia, galvanonarcosi) e tramite l’inoculazione di farmaci anestetici. Tra i metodi anestetici inalatori comunemente utilizzati, di semplice realizzazione e che garantiscano un buon monitoraggio del paziente ricordiamo il FADS (Fish Anestesia Delivery System). Per realizzarlo sarà necessaria la presenza di una vasca, possibilmente in plexiglas, di dimensione adeguata alla taglia del pesce, che permetta al chirurgo di lavorare agevolmente, di un termoriscaldatore, di una pompa ad immersione con flusso regolabile con sistema Venturi che trasporta l’anestetico disciolto in acqua tramite un tubicino che, entrando direttamente nel cavo orale, ne garantisca il passaggio nelle branchie del pesce e di una struttura di supporto (ad esempio realizzata in poliuretano espanso) dove posizionare l’animale e che permetta il ritorno dell’acqua nella vasca.

Gli anestetici impiegabili con questo metodo sono la tricaina metilsulfonato in soluzione tamponata con bicarbonato di sodio (sedazione 15-20 mg/l, induzione 50-200 mg/l e mantenimento 20-80 mg/l), la benzocaina (etil-p-aminobenzoato) in soluzione con etanolo (induzione 50-100 mg/l, mantenimento 25-50 mg/l) oppure l’olio di chiodi di garofano (contenente l’eugenolo che ha effetto anestetico) in soluzione con etanolo (induzione 70-120 mg/l, mantenimento 40-70 mg/l). Con il FADS sarà possibile effettuare in sicurezza interventi chirurgici esterni (asportazione di noduli cutanei e delle pinne, currettage cutanei, enucleazione del globo oculare, ecc.) e interni (asportazione di neoplasie, stasi ovulatoria, rimozione di corpi estranei, ecc.). Il risveglio dovrà essere accuratamente monitorato ed effettuato in una vasca appositamente predisposta contenente acqua con caratteristiche chimico-fisiche identiche all’acqua utilizzata per l’induzione ed il mantenimento dell’anestesia.

Bibliografia essenziale Lewbart G.A., Harms C., Building a Fish Anesthesia Delivery System, pagg. 25-28 in vol.1.2 Exotic DVM, Zoological Education Network, USA, 1999. Lewbart G.A., Surgical Techniques in the koi patient, pagg. 43-47 in vol.3.3 Exotic DVM, Zoological Education Network, USA, 2001. Miller S., Surgical resolution of post-ovulatory egg stasis in a wobbegong shark, pagg. 29-33 in vol. 3.1 Exotic DVM, Zoological Education Network, 2001. Visigalli G., Introduzione all’anestesiologia dei pesci, pagg. 36-42 in Atti del Seminario “Gestione dell’Acquario – Patologie e terapie dei pesci ornamentali, SIVAE, Cremona, I, 2000. Weiss M. J., Modification of Fish Anesthesia Delivery System, pag. 20 in vol.4.5 Exotic DVM, Zoological Education Network, USA, 2002.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

191

L’approccio nutrizionale innovativo per affrontare i problemi di sovrappeso ed obesità nei gatti David Morgan BSc, MA, VetMB, CertVR, MRCVS - Regno Unito

Estratto breve Il sovrappeso e l’obesità nel gatto costituiscono un problema comune nella clinica dei piccoli animali e rappresentano il motivo più frequente di malnutrizione che i veterinari che si occupano di questi pazienti devono trattare. La causa principale è l’eccessiva alimentazione, che esita in un persistente surplus energetico che si rende visibile sotto forma di grasso. Un’indagine condotta nel Regno Unito ha dimostrato che il 48% dei gatti era sovrappeso e il 4% era obeso e che il problema aumentava con l’età. Gli scopi di una perdita di peso sicura ed efficace sono il calo del contenuto di grasso, il mantenimento della massa tissutale magra (muscolo) e l’opportuno o metabolismo dei carboidrati. Le condizioni patologiche associate all’obesità sono l’ipertensione (dimostrata nell’uomo), il diabete mellito, la lipidosi epatica e la distocia. Prima di iniziare un programma di dimagramento, i pazienti vengono sottoposti a valutazione per stimarne il peso corporeo ideale (IBW, ideal body weight). Questa valutazione associa esami clinici, punteggi di condizione corporea, anamnesi del paziente, standard di razza/tipo ed opinioni del proprietario e del veterinario. I potenziali problemi correlati al sovrappeso/obesità sono il diabete mellito, le affezioni delle basse vie urinarie e la lipidosi epatica. La sterilizzazione può avere un effetto impressionante sui fabbisogni energetici di mantenimento giornaliero, tanto da riuscire a rendere potenzialmente indispensabile dopo l’intervento l’impiego di una dieta Light (a basso tenore energetico/povera di grassi). Dal punto di vista nutrizionale, per gestire correttamente la perdita di peso occorre (1) offrire all’animale una dieta a ridotta densità calorica, basata sul 60% del fabbisogno energetico giornaliero (DER, Daily Energy Requirement) calcolato sul peso corporeo effettivo (DER dei gatti = 50-60 x [IBWkg]). È possibile (2) utilizzare livelli normali di fibre che assicurano una perdita di peso dell’1,5% a settimana ed una riduzione complessiva del grasso corporeo del 32% senza alcun segno di lipidosi epatica. Elevati livelli di (3) proteine di derivazione animale contribuiscono al mantenimento della massa muscolare magra ed evitano il rischio di lipidosi epatica. Una sostanza vitaminosimile, (4) la L-carnitina, facilita la degradazione degli acidi grassi e la loro trasformazione in energia. Gli studi condotti hanno dimostrato una maggiore riduzione del peso e del grasso corporeo nei gatti sovrappeso ali-

mentati con una dieta con L-carnitina in confronto ad una che ne era priva, anche quando la dieta dimagrante è stata offerta ad libitum. La L-carnitina contribuisce a preservare il tessuto magro (muscolo) ed altri studi hanno dimostrato che un’integrazione con questo aminoacido può attenuare le alterazioni metaboliche associate alla lipidosi epatica. È stato dimostrato che l’aumento dell’assunzione di (5) vitamina A nella dieta diminuisce le probabilità di incremento ponderale. Anche quando sono alimentati ad libitum con una dieta ad elevato tenore di grassi ed alta densità energetica, i gatti trattati con un integrazione extra di vitamina A mostrano un minor aumento di peso rispetto a quelli che consumano la stessa dieta senza il supplemento vitaminico. Sembra che l’aumento della vitamina A possa contribuire a normalizzare la leptina, un ormone associato all’obesità. (6) Nei gatti sovrappeso, può essere presente una compromissione del controllo del glucosio dovuta all’incremento dell’insulinoresistenza. L’amido è il principale componente della dieta responsabile di un innalzamento della glicemia immediatamente dopo un pasto. Differenti fonti di amido possono produrre risposte glicemiche diverse (rilascio di glucosio ed insulina). Nel gatto, la risposta insulinica è più elevata con il riso, che quindi risulta controindicato nei soggetti con scarso controllo del glucosio (ad es., diabete, obesità, invecchiamento). Mais e sorgo assicurano un miglioramento del controllo glicemico attraverso un rilascio postprandiale più controllato di glucosio ed insulina. Un miglioramento del metabolismo del glucosio, attraverso l’accentuazione dell’attività insulinica, è determinato dal (7) cromo. Durante il calo ponderale, l’integrazione può servire a mantenere la massa corporea magra a spese del grasso. Infine, negli animali ai quali viene permesso di accedere ad una dieta ad elevata densità calorica si può avere una maggiore prevalenza dell’incremento ponderale di ritorno (recidiva) dopo il raggiungimento del peso desiderato. Di conseguenza, dopo la perdita di peso può essere utile impiegare una dieta di mantenimento povera di grasso (Light) per contribuire a ridurre questo rischio. In conclusione, il miglior metodo per il trattamento dell’obesità è la prevenzione. Tuttavia, quando viene portato alla visita un animale obeso, occorre trattarlo con un protocollo che preveda una nutrizione ottimale che consenta al tempo stesso di perdere peso con efficacia e senza rischi per la salute. Se il cliente collabora adeguatamente alla sua attuazione, il programma di dimagramento avrà successo.


192

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Approccio clinico (segni ed atteggiamenti particolari, valutazione del muco cutaneo) ed esami collaterali Giuseppe Mosconi Med Vet - Bologna

Estratto breve SEGNI E ATTEGGIAMENTI PARTICOLARI Èdi fondamentale importanza conoscere come si atteggiano naturalmente le varie specie di pesci ornamentali, così come è necessario conoscere i cromatismi della loro livrea nelle diverse fasi biologiche e di crescita. Questo per cogliere ogni elemento che si discosti dalla norma e, procedendo per esclusione, risalire all’agente eziologico. Manifestazione di malessere dei pesci ornamentali: Difficoltà respiratoria, sfregamenti sul fondo e sull’arredamento, modificazioni dei colori della livrea, compromessa idrostaticità, alterazioni funzionali di pinne ed opercoli, sollevamento delle squame, presenza di macchie emorragiche, corrosione delle pinne, feci depigmentate, esoftalmia. I pesci ornamentali possono inoltre offrire all’osservatore un elemento di fondamentale importanza per la formulazione di una corretta diagnosi: la qualità del muco cutaneo.

IL MUCO COME ELEMENTO DIAGNOSTICO Il muco possiede parecchie importanti funzioni: favorisce il movimento del pesce nell’acqua riducendone l’attrito, contrasta l’attacco dei parassiti, dei batteri, precipita il materiale fangoso in sospensione nell’acqua, lubrifica le branchie, presiede agli scambi osmotici e possiede un’attività an-

ticorpale che svolge un importante ruolo immunitario nei confronti di virus, batteri e parassiti. La prima barriera di difesa è data dalla cute e dalle mucose, rinforzate dalla secrezione di muco. Le cellule che producono muco sono inserite non solo nella pelle, ma anche nelle branchie e nella mucosa del tratto gastrointestinale; queste secernono continuamente quantità fisiologiche di muco e, in casi di irritazione od infezione, la loro produzione aumenta anche notevolmente. Il muco dei pesci rappresenta, quindi, la manifestazione più importante ed apprezzabile senza ausilio di strumentazioni particolari, per porre una valida barriera tra il corpo dei nostri pazienti ed il mondo acquatico in cui essi vivono. Una secrezione normale di muco non è, di solito, visibile ad occhio nudo ed i colori dei pesci possono manifestarsi in tutto il loro splendore. In presenza, invece, di inadatte qualità chimico - fisiche dell’acqua o di agenti patogeni, questa barriera naturale si inspessisce, opacizzando notevolmente la lucentezza e l’intensità cromatica dei colori. L’ipersecrezione di muco può talvolta assumere caratteristiche tali da poter consentire una diagnosi immediata come nell’Ictioftiriasi, nell’Oodiniasi, nella Chilodoniasi e nella Girodattilosi.

ESAMI COLLATERALI Esame citologico a fresco: raschiato della pelle, delle pinne delle branchie; esame necroscopico, prelievo del sangue, analisi delle feci.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

193

Patologie dei pesci ornamentali: prevenzione e rimedi (1ª parte) Giuseppe Mosconi Med Vet - Bologna

Estratto breve I pesci ornamentali possono essere colpiti da malattie parassitarie (protozoi e metazoi), batteriche, micotiche e virali. Protozoi. Gli organismi unicellulari rappresentano una diffusa e frequente fonte di malattia per i pesci d’acquario, tra questi includiamo anche delle forme di vita vegetali (alghe unicellulari), che possiedono un ciclo vitale e parassitario molto simile ai protozoi ciliati olotrichi. Ictioftiriasi. Si tratta della malattia parassitaria dei pesci d’acquario più diffusa in assoluto, chiamata anche “malattia dei puntini bianchi” o più comunemente “ictio”. Questa parassitosi è sostenuta da un protozoo ciliato olotrico: Ichthyophtirius multifiliis, che colpisce i pesci d’acqua dolce. La malattia si manifesta con la comparsa di piccoli puntini bianchi su tutto il corpo e le pinne, che rappresentano non tanto il protozoo, ma la risposta proliferativa reattiva (epitelizzazione), che il pesce tenta di costruire per limitare i danni provocati dalla penetrazione cutanea del parassita. I pesci manifestano insofferenza, frequenti sfregamenti sull’arredamento e sul fondo, nuoto a scatti, dispnea e “colpi di branchie”. Il parassita incistato si stacca dalla cute e cade sul fondo, dove inizia una serie di duplicazioni binarie, che portano alla formazione di 600 - 800 tomiti dotati di nuoto proprio, che cercheranno un nuovo ospite da parassitare. È soltanto in questa fase libera di nuoto (durata circa 2-3 giorni), che il parassita può essere aggredito dai medicinali. Esistono forme quiescenti Il ciclo parassitario varia da 3 - 7 giorni a 25° C a oltre un mese al di sotto dei 15° C. Criptocarioniasi. È una parassitosi cutanea sostenuta da un protozoo olotrico, il Cryptocaryon irritans, che colpisce i pesci d’acqua marina. Possiede una grande affinità con l’ictioftiriasi d’acqua dolce, a proposito del ciclo parassitario e delle manifestazioni reattive del pesce La malattia si manifesta soltanto in condizioni particolari: confinamento, T° superiore ai 19° C e salinità attorno ai 31 °/00. Il ciclo del Cryptocaryon irritans, a seconda della temperatura, è di circa 10 - 28 giorni, la fase infettante dura circa 24 - 48 h.

Oodiniasi. È una parassitosi detta anche malattia del velluto o della ruggine ed è causata da un’alga unicellulare (alcuni lo classificano come protozoo dinoflagellato) appartenente a diverse specie: Oodinium (Piscinodinium) pillularis; O. limneticum e Amyloodinium ocellatum, i primi due parassitano i pesci d’acqua dolce, l’A. ocellatum quelli marini. Ciclo simile ad Ictioftiriasi. Tricodiniasi. Non è considerata una vera e propria malattia parassitaria poiché il pesce viene utilizzato soprattutto come supporto; ma l’agente patogeno: Cyclochaeta sp. (ex Trichodina), causa notevoli danni alla cute, alle branchie ed agli organi interni. Si tratta di un protozoo ciliato peritrico provvisto di una corona di uncini, che con i suoi continui movimenti ed ancoraggi disgrega i tessuti. Costiasi. Questa malattia parassitaria sostenuta da un flagellato di piccole dimensioni (6-10 micron) l’Ichtyobodo (ex Costia) necatrix, colpisce i pesci d’acqua dolce (parassita obbligato). Il parassita aderisce alla cute nutrendosi di cellule epiteliali, ma anche alle branchie, il pesce tenta di opporre un’abbondante secrezione mucosa, che risulta meno efficace con pH basso. Chilodoniasi. Questa protozoosi, così come la Costiasi, la Brooclinellosi e la Tricodiniasi fa parte delle dermatiti dei pesci deboli, poiché possiedono manifestazioni simili e la loro virulenza dipende dallo stato di salute dei pesci e dalle condizioni ambientali. L’agente eziologico: Chilodonella cyprini è un protozoo di 40 - 50 micron, a forma di cuore, che si riproduce per scissione semplice, ma sono noti processi paragamici e forme cistiche in grado di restare quiescenti per lungo tempo nell’acquario. Hexamitosi. Questa parassitosi, nota anche come Octomitiasi, è sostenuta da più generi di flagellati del genere Hexamita, Spironucleus e Protoopalina, che si localizzano in vari organi e possono causare la “malattia del buco”; tumefazioni della pelle con ulcere che lasciano fuoriuscire un essudato biancastro. Un’altra manifestazione è l’aspetto mucoso delle feci anch’esse infettanti, lo scurimento della livrea, la dispnea, l’inappetenza ed una tipica inclinazione del corpo.


194

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Sporozoosi. È sostenuta da diversi generi di organismi unicellulari: Mixobolus, Myxosoma, Henneguya, Glugea, Pleistophora, ecc., che colpiscono sia i pesci d’acqua dolce, che quelli marini. Gli sporozoi causano piccoli noduli sulla pelle, le pinne (in alcuni casi può essere confuso con l’Ictio), le branchie e gli organi interni. I danni sono notevoli: alla tumefazione globosa segue la degenerazione dei tessuti adiacenti.

Virus. Viremia primaverile (SEV da Rhabdovirus), Linfocistosi (Iridovirus), Infezione da Herpesvirus degli Scalari, NPI.

Metazoi. Trematodi: Gyrodactylus sp.,Dactylogyrus sp., Diplostomum sp.Nematodi: Camallanus sp Capillaria sp. Cestodi: Ligula intestinalis. Crostacei: Argulus sp., Ergasilus sp., Lernaea sp.

Batteri. Aeromonas salmonicida, A. hydrophila, Flexibacter columnaris, Mycobacterium fortuitum, M. marinum, M. piscium, Pseudomonas fluorescens, P. piscicida, Vibrio sp.

Funghi. Saprolegnia sp., Achlya sp., Aphanomyces sp., Ichtyophonus hoferi.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

195

Patologie dei pesci ornamentali: prevenzione e rimedi (2ª parte) Giuseppe Mosconi Med Vet - Bologna

Estratto breve Avvertenze generali da anteporre all’uso di medicinali. Quando possibile è sempre meglio effettuare un trattamento separato con poca acqua esattamente determinabile = dosaggio del farmaco più preciso + minori costi + rapidità del ripristino condizioni ottimali. Il livello di tossicità per i pesci di svariati medicinali è molto vicino alla dose terapeutica. Le caratteristiche chimico-fisiche dell’acqua influenzano l’efficacia e la tossicità del trattamento. È conveniente con le specie di pesci che tollerano più elevate temperature effettuare trattamenti termici. Acque con pH inferiore a 7 e durezza carbonatica inferiore a 4d° di KH, rendono più aggressivi i chemioterapici; in vasche con tali caratteristiche, utilizzare dosaggi leggermente inferiori. Quando si effettua una terapia in acquario si deve tenere presente che molti farmaci possiedono un’attività battericida, che può provocare la morte del filtro. È conveniente, quindi, “alleggerire” la carica biologica (attiva e passiva) del filtro. La presenza di eventuali lampade a luce ultravioletta può provocare una modifica alla struttura chimica di alcuni me-

dicinali disciolti, per questo motivo bisogna sempre spegnere le apparecchiature UV durante i trattamenti nell’acquario. I bagni brevi (solitamente effettuati con dosaggi più elevati), non devono essere praticati nell’acquario arredato: muoiono le piante, gli invertebrati e tutti i batteri del filtro. Negli acquari di comunità prestare particolare attenzione ai pesci di fondo (Siluriformi) e ai pesci di branco come i Caracidi, nonché ai Ciclidi nani. In presenza di due patologie concomitanti è sconsigliabile utilizzare più curativi contemporaneamente. Si curerà prima la patologia più pericolosa, dopodiché i soggetti verranno lasciati riposare per 3-4 giorni, effettuando più cambi parziali di acqua, la riattivazione del filtro e l’applicazione di carbone attivo, a questo punto si potrà procedere ad una seconda terapia. Alcuni medicinali contengono degli eccipienti (sostanze veicolanti) che provocano una moltiplicazione batterica abnorme con intorbidimento dell’acqua e consumo notevole di ossigeno. L’aggiunta di medicinale non dovrà mai avvenire di sera, per poter osservare eventuali manifestazioni di affaticamento organico e di intossicazione.Terminato il trattamento si provvede ad un cambio parziale dell’acqua (mai oltre il 20% per volta), all’inserimento del carbone attivo e all’integrazione di colture selezionate di batteri per il filtro.


196

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Diagnosi e trattamento artroscopico delle lesioni meniscali Massimo Olivieri Med Vet - Samarate (VA)

Estratto breve I menischi del ginocchio, laterale e mediale, sono importanti strutture fibro - cartilaginee a forma di semiluna, più sottili nella porzione concava e più spessi in quella convessa.Essi svolgono molteplici ed importanti funzioni: distribuiscono ed assorbono le forze di carico, aumentano la congruenza dell’articolazione del ginocchio e incrementano la stabilità articolare in presenza di stress meccanici. I menischi sono uniti tra di loro dal legamento intermeniscale. Ciascuno di essi è connesso alla tibia mediante i legamenti meniscali craniali e caudali, mentre solo il menisco laterale risulta connesso al femore mediante il legamento femorale. Il menisco mediale presenta anche una connessione fibrosa con il legamento collaterale mediale, mentre entrambi i menischi presentano connessioni con la capsula articolare. L’insieme di questi legamenti e connessioni fibrose conferiscono ai menischi una notevole stabilità, che risulta più marcata in quello mediale. In corso di rottura del legamento crociato anteriore l’instabilità che ne deriva determina, anche in carico parziale, una spinta craniale della tibia ed un aumento dell’intrarotazione. Pertanto, durante il movimento di flessione del ginocchio, si verifica un trauma compressivo soprattutto in corrispondenza del corno posteriore del menisco mediale, sede molto frequentemente interessata da lesioni. Inoltre la maggiore stabilità del menisco mediale ne limita gli spostamenti compensatori, rendendolo maggiormente predisposto all’insorgenza di lesioni secondarie. Anche se in misura meno frequente, è però possibile trovare delle lesioni anche a carico del menisco laterale, che deve quindi essere sempre ispezionato in presenza di rottura del legamento crociato anteriore. Contrariamente a quanto ritenuto in passato, benché buona parte delle lesioni meniscali nel cane siano associate a rotture parziali o totali del legamento crociato anteriore, è possibile repertare lesioni meniscali traumatiche primarie, in presenza di legamento crociato integro: tali lesioni risultano, nell’esperienza dell’autore, più frequenti a ca-

rico del menisco laterale e sono responsabili primariamente della zoppia. Le lesioni meniscali possono insorgere in cani di tutte le razze, solitamente nei soggetti adulti. L’anamnesi e la sintomatologia clinica sono spesso sovrapponibili a quelle che si hanno in corso di rottura del legamento crociato anteriore, caratterizzate da zoppia a decorso acuto, sub-acuto o cronico. In questi due ultimi casi una improvvisa riacutizzazione dei segni clinici è spesso correlata a un ulteriore aggravamento della lesione a carico del legamento crociato, nel caso questa fosse inizialmente parziale, o all’insorgenza di una lesione meniscale secondaria. Nei casi invece di rottura meniscale primaria, l’anamnesi spesso riferisce la presenza di un trauma acuto con zoppia di ginocchio in assenza dei segni clinici tipici della rottura parziale o totale del legamento crociato. Dal punto di vista diagnostico l’anamnesi e l’esame clinico possono solo far sospettare la presenza di una lesione meniscale. La diagnosi definitiva può essere raggiunta con indagini diagnostiche specifiche quali la Risonanza Magnetica e l’artroscopia. Quest’ultima presenta il notevole vantaggio di essere un metodo mini-invasivo non solo diagnostico ma, all’occorrenza, allo stesso tempo operativo. Le lesioni più frequenti sono quelle a “manico di secchio” del cornetto anteriore o posteriore, le lacerazioni parziali, le lesioni radiali parziali o totali, e il ripiegamento craniale del corno posteriore. L’ispezione completa dei menischi ottenuta mediante artroscopia permette di effettuare un’accurata valutazione della lesione al fine di decidere se è sufficiente una rimozione meniscale parziale, normalmente eseguita con vaporizzatore, una rimozione più significativa, con l’ausilio di strumenti artroscopici specifici per la chirurgia meniscale o, nei casi più gravi, di una rimozione completa del menisco. È importante cercare di preservare la maggior quantità possibile di menisco, poiché esiste una correlazione diretta tra l’entità del menisco rimosso e la conseguente artrosi secondaria. Risulta infine particolarmente importante anche la palpazione dell’intero menisco: in campo umano sono frequenti le lesioni della porzione inferiore del menisco in presenza della porzione superiore completamente normale.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

197

Asma felina: è come l’asma nell’uomo? Similitudini eziologiche e opzioni terapeutiche Philip Padrid DVM, Dipl ACVIM - University of Chicago, Midwest Regional Medical Director, USA

Estratto breve Nell’uomo, l’asma è una malattia cronica a carattere infiammatorio delle vie aeree profonde (bronchi e bronchioli) che causa tosse, sibili ed intolleranza all’esercizio fisico. Questi segni clinici sono la conseguenza della diminuzione del flusso dell’aria attraverso le vie aeree, che vengono ristrette da eccessiva secrezione di muco, edema parietale e broncocostrizione. L’“asma del gatto” è una condizione notevolmente simile che è stata riconosciuta in letteratura veterinaria a partire almeno dal 1906, quando Hill descrisse gatti con aumento di muco nelle vie aeree, infiammazione delle stesse e segni clinici di respirazione difficoltosa e sibili. In ambito veterinario, non esistono segni clinici o test di laboratorio utilizzabili di routine e dotati di valore patognomonico per l’asma del gatto. I test che si possono effettuare sono utili soprattutto per escludere altre cause comuni di dispnea acuta, sibili e tosse, quali bronchite cronica, insufficienza cardiaca, polmonite, neoplasie polmonari maligne, parassitosi respiratorie ed inalazione di corpi estranei. Fortunatamente, fatta eccezione per la bronchite cronica, questi altri disordini non provocano di routine la comparsa di segni clinici simile all’asma in un gatto per il resto sano. Di conseguenza, in genere è possibile formulare la diagnosi corret-

ta di asma felina solamente sulla base del riscontro di poche manifestazioni obiettive e quadri radiografici, quali 1) riferimento anamnestico di insorgenza improvvisa dei segni clinici, o 2) tosse cronica, 3) identificazione radiografica di ispessimenti bronchiali e 4) nei casi in cui sono disponibili, prove citologiche di infiammazione. Questi riscontri clinici e di laboratorio si trovano anche nell’asma dell’uomo. Sia nell’uomo che nel gatto, l’asma generalmente non è “curabile” in via definitiva, sebbene siano comuni le risoluzioni spontanee nei soggetti asmatici adulti che hanno sviluppato il problema nell’infanzia. Non è noto se ciò valga anche per i gatti con asma. Si sa che alcuni di questi animali possono apparire sintomatici soltanto in forma lieve ed intermittente, mentre altri possono essere colpiti da una forma potenzialmente letale. Un importante nuovo sviluppo nella nostra conoscenza di questa malattia è il fatto di sapere che l’infiammazione delle vie aeree è presente anche quando il paziente risulta asintomatico. È quindi di importanza cruciale dirigere l’attenzione terapeutica all’infiammazione cronica sottostante che provoca le manifestazioni cliniche acute di tosse, sibili e aumento dello sforzo respiratorio. Risulta anche di importanza critica informare correttamente i clienti, in modo che possano sviluppare delle aspettative realistiche sull’efficacia di questi trattamenti nei loro animali.


198

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Malattie della pleura: i più recenti test diagnostici e le novità nelle strategie terapeutiche Philip Padrid DVM, Dipl ACVIM - University of Chicago, Midwest Regional Medical Director, USA

Estratto breve Le malattie dello spazio pleurico quali pneumotorace, versamento pleurico e masse patologiche occupanti spazio (tumori, ernia diaframmatica) sono disordini relativamente comuni nella clinica dei piccoli animali. La presenza anormale di aria, fluidi e/o tessuti all’interno del cavo pleurico generalmente non riflette un’affezione della pleura di per sé, quanto piuttosto un disordine delle vie aeree e/o del parenchima polmonare o lo sviluppo di una malattia sistemica primaria. Indipendentemente dalle cause, una raccolta significativa di aria o fluidi all’interno del cavo pleurico può rappresentare una condizione potenzialmente letale e deve quindi essere l’immediata priorità del clinico. I segni clinici del versamento pleurico sono simili a quelli associati allo pneumotorace e sono rappresentati da respirazione rapida e superficiale. In assenza di affezioni del parenchima polmonare, i segni clinici di una grave compromissione respiratoria non sono evidenti fino a che non si verifica un accumulo di liquido pleurico di almeno 30-60 cc/kg di peso corporeo. La diagnosi del versamento pleurico spesso inizia dal riconoscimento del fatto che l’animale presenta difficoltà respiratorie associate ad una respirazione rapida e superficiale. L’auscultazione del cuore può rivelare un’attenuazione dei toni cardiaci. La conferma del versamento pleurico richiede idealmente l’aspirazione di liquido pleurico libero, che però in caso di raccolte fluide loculate può essere difficile da eseguire. Se la presenza di liquido pleurico libero è dubbia, l’ecografia costituisce un metodo particolarmente sensibile per confermare il versamento. In caso di esito positivo, per determinare la causa del problema di solito è necessario ricorrere all’analisi citologica e biochimica del fluido. Le descrizioni del liquido pleurico sono state tradizionalmente basate sulla distinzione tra trasudati (basso peso specifico, ridotto contenuto proteico, scarsa cellularità), essudati (elevato peso specifico, notevole contenuto proteico, alta cellularità) e trasudati modificati (moderata cellularità con una quantità di proteine superiore a quella dei trasudati). Noi abbiamo descritto uno schema di classificazione per l’analisi del liquido pleurico del gatto basata sul metodo im-

piegato per la classificazione del versamento pleurico nell’uomo. (Questo sistema non è applicabile al fluido pleurico del cane). Secondo questo metodo, il primo passo consiste nel determinare se il liquido pleurico è un trasudato o un essudato. I trasudati contengono ≤ 200 UI/l dell’enzima latticodeidrogenasi (LDH). È importante notare che, se si riscontra un trasudato, non è necessario effettuare ulteriori analisi quali il conteggio cellulare e l’identificazione degli elementi presenti, nonché la misurazione del peso specifico, le indagini colturali ecc… I trasudati nel gatto sono causati quasi esclusivamente da insufficienza cardiaca congestizia (destra o sinistra), ipoproteinemia o eccessiva infusione endovenosa di fluidi. Nel caso dell’ipoproteinemia, i trasudati generalmente non si formano a meno che l’albumina non scenda a valori inferiori ad 1,5 g/dl. In questi casi, si riscontra solitamente del fluido in altri spazi potenziali o in addome. Si definiscono come essudati i fluidi con un contenuto di LDH>200 UI/l. I fluidi essudativi con un pH pari o inferiore a 6,9 sono sempre dovuti a piotorace. Quindi, se, l’analisi del liquido pleurico conferma che si tratta di un essudato e che il pH è pari o inferiore a 6,9, è indicata una terapia antibiotica ad ampio spettro prima ancora che i risultati colturali confermino l’infezione. Inoltre, il liquido pleurico infetto contiene quasi sempre meno di 30 mg/dl di glucosio e più dell’85% di neutrofili. Al contrario, i versamenti pleurici associati alle neoplasie maligne, pur essendo anch’essi essudativi, sono caratterizzati da un pH normale o elevato (pari o superiore a 7,4), livelli di glucosio solitamente superiori a 10 mg/dl ed inferiori ad 80 mg/dl e più del 30% di neutrofili in media. Quindi, nella maggior parte dei casi il riscontro di un versamento pleurico essudativo con pH elevato, bassi valori di glucosio e numero limitato di neutrofili è associato ad una neoplasia maligna. In assenza di un trauma, la presenza di un numero di eritrociti > 50.000/µl è un ulteriore indicatore di versamento pleurico da neoplasia maligna. Nella relazione verranno illustrate le comuni cause dei disordini dello spazio pleurico osservati con maggiore frequenza, descrivendo i piani di trattamento generali che si possono utilizzare come linee guida per la terapia dei casi clinici.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

199

Bronchite cronica nel cane: diagnosi e trattamento Philip Padrid DVM, Dipl ACVIM - University of Chicago, Midwest Regional Medical Director, USA

Estratto breve La bronchite cronica è un’affezione infiammatoria delle vie aeree che in associazione con il collasso tracheobronchiale costituisce presumibilmente il più comune disordine cronico delle vie aeree del cane. Anche se l’eziologia della maggior parte dei casi di questa malattia nel cane rimane oscura, il risultato è un quadro caratterizzato da infiammazione cronica delle vie aeree, tosse cronica ed eccessiva produzione di muco. Quest’ultima può essere difficile da rilevare, perché nel cane non si osserva l’espettorazione,. Di conseguenza, la diagnosi della bronchite cronica si basa solitamente sul riferimento anamnestico della sola tosse cronica. Occorre sottolineare che, dal momento che può essere ragionevolmente basata su criteri clinici (tosse cronica in un cane altrimenti sano), la diagnosi della bronchite cronica

non va formulata prima di aver escluso le altre cause di tosse cronica quali insufficienza cardiaca, filariosi cardiopolmonare, polmonite, neoplasia polmonare ecc… Il fatto che i cani con bronchite cronica possano essere contemporaneamente affetti da uno qualsiasi di questi altri disordini, in grado di per sé di causare la tosse, costituisce un’ulteriore complicazione. Inoltre, certi farmaci utilizzati per il trattamento della bronchite cronica nel cane possono essere inappropriati e persino controindicati per i casi di tosse causata da disordini diversi. È quindi importante che la diagnosi della condizione venga formulata con un certo grado di certezza, per evitare potenziali complicazioni correlate alla terapia. Nella relazione verranno riassunte le principali caratteristiche cliniche della bronchite cronica del cane, evidenziando i test più importanti utilizzati per la conferma della diagnosi e sottolineando i principi pratici di trattamento e le specifiche strategie terapeutiche.


200

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Trattamento per via inalatoria dell’asma e della sinusite nel gatto Philip Padrid DVM, Dipl ACVIM - University of Chicago, Midwest Regional Medical Director, USA

Estratto breve I segni primari dell’asma sono rappresentati da tosse e sibili e sono frequentemente causa di contrazione della muscolatura liscia delle vie aeree. Si può essere tentati di trattare queste manifestazioni dell’asma utilizzando dei broncodilatatori per far regredire lo spasmo di questa muscolatura e, in effetti, questa è la logica terapia dei gatti con segni clinici intermittenti. Riveste importanza critica ricordare che le vie aeree dei pazienti umani e felini con asma mostrano segni di infiammazione cronica in atto indipendentemente dal fatto che il paziente sia o meno sintomatico. Come conseguenza, per i gatti con manifestazioni cliniche giornaliere le strategie di trattamento hanno più successo se sono volte a ridurre la componente infiammatoria sottostante della malattia. I corticosteroidi sono i più efficaci trattamenti a lungo termine dell’asma del gatto. L’impiego di questi farmaci è caratterizzato da numerosi effetti benefici, quali l’inibizione della sintesi dei geni della citochina, importanti per generare l’infiammazione delle vie aeree. Ciononostante, gli effetti collaterali della somministrazione cronica di alte dosi di steroidi per os nel gatto sono ben noti e rappresentati da pancreatite, insulinoresistenza e significative modificazioni comportamentali associate a poliuria, cistite e minzione inappropriata. Fortunatamente, sono oggi disponibili steroidi inalabili che non causano effetti collaterali sistemici; que-

sto trattamento ha notevolmente migliorato la nostra capacità di affrontare con successo l’asma del gatto. I corticosteroidi ed i broncodilatatori possono ora essere somministrati efficacemente per inalazione ai gatti con asma. Entrambe le classi di farmaci sono disponibili come inalatori dotati di erogatori a dose preventivamente misurata (MDI, metered dose inhalers). L’uso corretto degli MDI richiede che il paziente coordini l’inalazione con l’attivazione dell’erogatore, il che si è dimostrato sorprendentemente difficile per la maggior parte dei pazienti umani. Questa soluzione va considerata non realistica anche per i neonati ed i bambini molto piccoli. È stata sviluppata un’alternativa che consente a questi soggetti di utilizzare gli MDI senza bisogno di coordinare la respirazione. Quindi, l’MDI viene utilizzato in associazione con uno “spaziatore” studiato per l’impiego nel gatto (detto “aerokat”). Si tratta di una camera in plastica delle dimensioni del supporto interno di cartone di un rotolo di carta igienica. L’MDI viene fissato ad un’estremità dello spaziatore mentre l’altra termina con una maschera facciale realizzata per adattarsi alla struttura nasale del gatto. Il cliente fissa dapprima l’MDI e la maschera facciale allo spaziatore e poi attiva l’erogatore per riempirlo di farmaco. La maschera resta fissata sul naso del gatto, che viene lasciato respirare per un totale di 7-10 atti. Nella relazione verranno illustrati i protocolli specifici per questo trattamento ed i suoi risultati in più di 90 gatti negli ultimi tre anni.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

201

Patologie a carico del naso: una panoramica delle opzioni diagnostiche e terapeutiche Philip Padrid DVM, Dipl ACVIM - University of Chicago, Midwest Regional Medical Director, USA

Estratto breve I disordini della cavità nasale nel cane e nel gatto determinano la comparsa, in misura variabile, di rumori respiratori inspiratori, starnuti e scolo, variabile da limpido a purulento o emorragico. Queste manifestazioni cliniche si possono avere ogni giorno o solo occasionalmente e si possono risolvere spontaneamente o in risposta alla terapia. Come per qualsiasi altro apparato, è necessario determinare le condizioni sottostanti responsabili della comparsa dei segni clinici dell’affezione nasale, in modo da poter instaurare un trattamento ottimale e prendere le opportune decisioni prognostiche. Le affezioni nasali sono distinte in tre ampie categorie rappresentate da infezione, allergia e neoplasia. Le malattie infettive all’interno di questa cavità sono molto più comuni nel gatto e, spesso, sono la conseguenza di infezioni virali come quelle da herpesvirus e calicivirus. Nella maggior parte dei casi, i segni clinici dell’infezione virale si risolvono entro 1-3 settimane. L’herpesvirus non viene mai eradicato dall’organismo e può ricomparire a distanza di anni per causare gravi segni clinici nasali in animali per il resto sani. Le rinopatie di natura allergica sono più comuni nel cane e spesso vengono distinte sulla base di un’infiltrazione linfocitaria e plasmocitaria della sottomucosa della parte posteriore della cavità nasale. Le neoplasie di quest’ultima sono comuni sia nel cane che nel gatto. Nel cane, il tessuto anor-

male origina di solito dalla parte anteriore della cavità nasale, mentre nel gatto la localizzazione più comune è data dal tratto posteriore della faringe e dalle coane. Il trattamento delle infezioni nasali è spesso limitato ad una terapia sintomatica basata sull’impiego di umidificanti e decongestionanti, sebbene i batteri nasali commensali possano causare manifestazioni secondarie che rispondono in modo impressionante alla terapia antibiotica. La rinite allergica nel cane mostra una risposta variabile alla clemastina fumarato, mentre quadri analoghi nel gatto rispondono meglio all’idrossizina. Le neoplasie nasali, quali adenocarcinoma, carcinoma squamocellulare e condrosarcoma, generalmente non rispondono alla chirurgica citoriduttiva o alla chemioterapia (con la possibile eccezione del linfosarcoma). Invece, è stata più gratificante la radioterapia e molti animali rispondono a questo trattamento (effettuato sotto guida tomocomputerizzata) sopravvivendo per anni conducendo una vita di buona qualità e senza segni di malattia dopo essere stati sottoposti a radioterapia per diminuire le dimensioni di un tumore nasale. Altre cause di segni clinici di interessamento della cavità nasale sono rappresentati da ascessi delle radici dei denti che invadono il tratto posteriore della faringe, corpi estranei (quali ramoscelli, steli, foglie e semi) ed acari nasali. Un’eccellente indagine anamnestica associata ad un accurato esame clinico contribuiscono a definire ulteriormente le possibili cause di queste manifestazioni e costituiscono il caposaldo dell’approccio diagnostico.


202

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Impiego della trazione scheletrica in ortopedia veterinaria Bruno Peirone Med Vet - Università di Torino

Estratto breve Introduzione Lo scopo di questo lavoro è valutare la fattibilità tecnica di una metodica per la trazione dello scheletro appendicolare. Per l’esecuzione di questa tecnica è stato realizzato uno strumentario specifico.

Materiali e metodi La parte preliminare (P1) dello studio è stata condotta su 10 cadaveri di cane, per un totale di 80 segmenti scheletrici (SS). Per ciascun SS sono stati individuati i posizionamenti, i punti di opposizione (PO) e i punti di ancoraggio (PA) della trazione. Ogni SS è stato sottoposto a un carico massimo (Cmax) di 25 kg, con una progressione di 5 kg ogni due minuti. Questo carico è stato mantenuto per mezz’ora, verificando la perdita di tensione durante questo periodo. Ogni SS è stato quindi esposto chirurgicamente ed osteotomizzato mediante sega oscillante. Le dislocazioni dovute allo scorretto allineamento fra l’asse dell’osso e la direzione della trazione sono state corrette mediante manovre della barra di trazione. La tecnica è stata successivamente (P2) applicata a casi clinici con fratture o pseudoartrosi da trattare con placche, fissatori esterni lineari (FEL) o chiodi centromidollari (CC). I SS cui è stata applicata la trazione sono stati 20 in 18 pazienti (Gr1). Di ciascuno sono stati raccolti i dati relativi al segnalamento, alla circonferenza dei segmenti trattati, al tempo intercorso dalla frattura, e alle modalità di esecuzione della trazione. Le radiografie postoperatorie (PO) sono state valutate per l’affrontamento dei monconi e per il riallineamento assiale. Sono state successivamente esaminate le cartelle chirurgiche relative a 20 casi di fratture, trattate con placche, FEL o CC, in cui non è stata applicata la trazione (Gr2). Di queste chirurgie sono stati valutati i tempi chirurgici, il personale necessario, e il risultato PO.

Risultati P1: durante le prime fasi è stato necessario integrare la trazione applicata per mantenere costante il carico. Una volta raggiunto il Cmax di 25 kg, la perdita di tensione registrata durante la mezz’ora successiva non è mai stata superiore ai 3 kg. In seguito all’osteotomia del SS, si è avuta la dislocazione dei monconi > o = 100% del diametro dell’osso in 38 SS. Tutti sono stati riallineati. P2: il tempo medio intercorso fra il trauma e il trattamento chirurgico è di 16 giorni (range, da 1 a 200). Il Cmax medio è stato di 17,5 kg (range, da 8 a 25), e il tempo di applicazione della trazione è stato in media di 47 minuti (range, da 10 a 150). La valutazione PO di Gr1 è 17 ottimo e 3 buono, di Gr2 è 14 ottimo, 5 buono e 1 sufficiente.

Discussione Durante P1, il carico applicato non si è dimostrato correlato in maniera lineare con l’estensione della barra. Durante le prime fasi, il carico applicato è stato in gran parte assorbito dalla capacità elastica del sistema. Una volta superata questa, la correlazione fra l’estensione della barra di trazione e il carico applicato diventa lineare. L’applicazione delle cinghie è semplice, ma esse determinano una maggiore inerzia iniziale del sistema rispetto alla staffa, che invece ha un cedimento elastico trascurabile. Le deviazioni assiali intraoperatorie sono state risolte mediante i movimenti della barra di trazione. Dai dati ottenuti finora, il fattore che maggiormente influenza l’entità del carico applicato e la sua durata, per ottenere la riduzione della frattura, non é il diametro dell’arto, ma il tempo intercorso fra il trauma e la chirurgia. La differenza di valutazione PO é favorevole a Gr1; le differenze più significative si sono avute per il trattamento dei segmenti distali con FEL. La metodica di selezione di Gr2, cioè la scelta casuale, non consente però di confermare queste differenze.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

203

Il punto sulle ulcere corneali Claudio Peruccio Med Vet, Dipl ECVO - Università di Torino

Estratto breve

cellulare), altrimenti si verifica reazione stromale con fibroplasia e angiogenesi.

Introduzione: Per interpretare i diversi quadri clinici caratterizzati da presenza di ulcere corneali è indispensabile conoscere l’anatomia, la fisiologia e la fisiopatologia della cornea.

Ulcera profonda: Si verifica quando la lesione coinvolge gli strati più profondi dello stroma. La riparazione è più o meno rapida in rapporto alla presenza di eventuali complicazioni.

Cenni di anatomia: Dall’esterno all’interno la cornea è formata da: epitelio pluristratificato (2-3 strati di cellule squamose non cheratinizzate, 2-3 strati di cellule poliedriche (alate), 1 strato di cellule basali); membrana basale a cui aderisce l’epitelio; stroma (90% dello spessore della cornea, costituito da 200-250 lamelle formate da fibre collagene disposte su piani paralleli); membrana di Descemet formata dall’endotelio; monostrato di cellule endoteliali molto importante per mantenere lo stroma in uno stato di relativa disidratazione e consentire la trasparenza.

Descemetocele: Nei punti in cui manca lo stroma, si evidenzia la membrana di Descemet che è trasparente.

Erosione epiteliale: L’epitelio può subire soluzioni di continuo che tendono a guarire spontaneamente nell’arco di pochi giorni per migrazione e mitosi cellulare. Se è alterata anche la membrana basale, che si rigenera nell’arco di alcune settimane, possono verificarsi recidive e compare il quadro dell’erosione epiteliale recidivante. Ulcera superficiale: Si verifica quando è interessato anche lo stroma superficiale. In assenza di complicazioni tende a ripararsi con un tappo epiteliale (migrazione e mitosi

Ulcere complicate, perforazioni corneali: In presenza di complicazioni, in alcune ore o in pochi giorni un’ulcera corneale superficiale può diventare profonda con comparsa di descemetocele o perforazione. Il rischio principale è la digestione dei tessuti da parte di enzimi liberati da cellule necrotiche, batteri e polimorfonucleati che accorrono nell’area di lesione (colliquazione stromale). In caso di perforazione l’iride viene aspirata nell’area di lesione, fa da tappo e consente all’umore acqueo di riformare la camera anteriore. In tutti i casi occorre impostare una corretta terapia medica a base di antibiotici ed eventualmente inibitori delle collagenasi. In molti casi è indispensabile la terapia chirurgica per mantenere l’integrità del bulbo oculare e, se possibile, una parziale funzione visiva. Testo di riferimento Gelatt KN (1999) Veterinary Ophthalmology III ed., Lippincott Williams & Wilkins, Philadelphia, 45-60, 635-700.


204

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Il punto sull’interpretazione di alcune caratteristiche del fondo dell’occhio Claudio Peruccio Med Vet, Dipl ECVO - Università di Torino

Estratto breve Introduzione: Il fondo dell’occhio ha caratteristiche uniche per ogni singolo animale e le variazioni fisiologiche sono infinite. Per interpretare i quadri oftalmoscopici è essenziale conoscere i dettagli anatomici delle strutture che formano il fondo oculare e le modificazioni indotte dai processi patologici. Cenni di anatomia: Dall’interno all’esterno il fondo dell’occhio è costituito da: retina (formata da 10 strati), membrana di Bruch (5 strati), coroide (3 strati di vasi di diverso calibro), spazio sopracoroideale e sclera (il vero e proprio contenitore esterno). Quadri oftalmoscopici: Osservando un fondo oculare pigmentato si evidenziano la papilla, i vasi retinici, l’area tappetale e quella non tappetale; se privo di pigmento e di tappeto il fondo consente l’osservazione dei vasi della coroide e, in molti casi, anche della sclera. Disco ottico: La papilla o disco ottico è il punto in cui convergono gli assoni delle cellule gangliari (localizzate in uno degli strati più interni della retina). Nel cane ogni singola fibra inizia a mielinizzarsi quando penetra nel disco ottico ed assume un colore grigiastro che, per l’effetto dei vasi retinici contigui, tende al rosa. In base alla mielinizzazio-

ne più o meno precoce la forma della papilla varia da triangolare a trilobata a ovalare. Nel gatto è nettamente rotonda perché la mielinizzazione avviene al passaggio delle fibre attraverso la sclera (lamina cribrosa). In caso di mielinizzazione precoce in tutte le specie animali il disco ottico appare irregolare, sfrangiato, con propaggini grigiastre che si irradiano dai bordi. Vasi retinici: Fuoriescono dal disco ottico irradiandosi tutto attorno con decorso caratteristico per ogni singolo animale. Si osservano arteriole (10-12 nel cane e nel gatto) e venule (3 principali nel cane e nel gatto). Area tappetale: Il tappeto è costituito da strati di cellule disposte nella coroide che contengono cristalli rifrangenti; è localizzato nel settore dorsale del fondo e serve a riflettere la luce per amplificare lo stimolo al crepuscolo o di notte. Se manca, nei fondi oculari non pigmentati, si osservano i vasi della coroide e la sclera. Area non tappetale: Occupa la porzione ventrale del fondo e, di solito, è molto pigmentata. Se manca la pigmentazione si possono osservare i vasi coroideali e, in molti casi, anche la sclera. Testo di riferimento Gelatt KN (1999) Veterinary Ophthalmology III ed., Lippincott Williams & Wilkins, Philadelphia, 113-136, 869-933.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

205

Inquadramento diagnostico e trattamento della mancata unione del processo anconeo (U.A.P.) dell’ulna nel cane Guido Pisani Med Vet - La Spezia

Estratto breve La mancata unione del processo anconeo (U.A.P.) è una patologia cubitale mono o bilaterale che si presenta in cani in accrescimento, con insorgenza dal 4° al 5° mese di età e che provoca una degenerazione artrosica progressiva. Particolarmente predisposte a questa patologia sono diverse razze di taglia media, grande e gigante. La diagnosi di U.A.P. è radiografica e si ottiene mediante un esame del gomito in proiezione medio laterale flessa con angolo omero-radiale di circa 45°. L’indagine deve essere completata con proiezioni aggiuntive, medio- laterale neutra, con angolo omero-radiale di circa 120°, e antero-posteriore pronata di circa 15°, finalizzate a valutare l’entità dell’incongruenza articolare. La teoria eziopatogenetica più accreditata è quella che si basa sull’incongruenza articolare conseguente ad una crescita asincrona tra radio e ulna. La tecnica chirurgica utilizzata si basa sull’osteotomia dinamica prossimale dell’ulna (P.D.U.O.) e sulla fissazione del processo tramite vite. Lo scopo di questo intervento è innanzitutto di ripristinare la congruenza articolare con l’osteotomia dinamica, di favorire poi l’ossificazione del processo anconeo con la sua fissazione, ristabilendo quindi la normale anatomia e fisiologia articolare e infine di impedire la progressione dei fenomeni di degenerazione artrosica. Per un corretto approccio alla U.A.P. risultano di fondamentale importanza la diagnosi precoce e l’utilizzo di un protocollo diagnostico e terapeutico metodico e ben codificato, che permettano di formulare una diagnosi ed una prognosi accurate e tempestive.

Estratto completo La mancata unione del processo anconeo (U.A.P.) è una patologia cubitale mono o bilaterale che si presenta in cani in accrescimento, con insorgenza dal 4° al 5° mese di età e con un’incidenza doppia nei maschi rispetto alle femmine. Particolarmente predisposte a questa patologia sono diverse razze di taglia media, grande e gigante. In letteratura è descritta nelle razze: Pastore Tedesco, S. Bernardo, Irish Wolfhound, Basset Hound, Bulldog Francese, Blood Hound,

Pastore dei Pirenei, Weimaraner, Cane di Terranova, Cane Corso, Rottweiler, Schnauzer Gigante, Terrier Russo, Spinone, Bracco Italiano, Mastino Napoletano e Alano. La teoria eziopatogenetica più accreditata è quella che si basa sull’incongruenza articolare conseguente ad una crescita asincrona tra radio e ulna con uno sviluppo maggiore del radio. Nei cani colpiti il capitello radiale esercita una pressione sulla troclea omerale, trasmessa al nucleo di ossificazione del processo anconeo, che ne impedisce la fusione e ne provoca la separazione. La U.A.P. si manifesta clinicamente con una zoppia di 1° o 2° grado, sinovite ed ectasia dei fondi ciechi dell’articolazione omero-radio-ulnare, dolore al movimento passivo soprattutto in estensione e portamento dell’arto con il gomito extraruotato. L’incongruenza e la perdita della stabilizzazione articolare fornita dal processo anconeo determinano una degenerazione artrosica progressiva che può diventare invalidante nelle forme più gravi. Talvolta la U.A.P. può essere un riscontro casuale nel cane adulto “asintomatico”, qualora l’incongruenza articolare si fosse risolta spontaneamente con la crescita, limitando la degenerazione articolare. La diagnosi di U.A.P. si ottiene mediante un esame radiografico del gomito in proiezione medio laterale flessa con angolo omero-radiale di circa 45°, una proiezione medio-laterale estesa con un angolo omero-radiale di circa 120°e una proiezione anterolaterale-posteromediale pronata di circa 15°. Questo studio, oltre a permettere di formulare una diagnosi di U.A.P., ci permette di classificare quest’ultima in 3 distinti gradi di gravità confrontando tra loro la proiezione medio-laterale flessa ed estesa: grado 1, aspetto morfo-strutturale del processo anconeo conservato, fessura di separazione ben riconoscibile, con riduzione di densità, ma senza zone di radiotrasparenza e modica sclerosi delle limitanti, assenza di mobilità in flesso-estensione del processo anconeo; grado 2, iniziali alterazioni morfo-strutturali del processo anconeo, lieve rimodellamento iniziale delle limitanti scheletriche con zone di radiotrasparenza più o meno delimitate da colletti sclerotici, e ampliamento della fessura di separazione che appare irregolare e a margini mal riconoscibili, processo anconeo mobile in flesso-estensione; grado 3, processo anconeo con estese alterazioni morfo-strutturali, grave rimodellamento delle limitanti, in preda a fenomeni di osteoclasia disordinati, fessura di separazione allargata, fortemente irregolare e con ampie zone di radiotrasparenza ed elevata mobilità in flesso-estensione del processo anconeo.


206

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

L’approccio terapeutico della U.A.P. mira a correggere l’incongruenza articolare e a favorire la fusione del processo anconeo non unito. Nei pazienti classificati di grado 1, con incongruenza radio-ulnare e processo non ancora mobile, la terapia chirurgica consiste nell’osteotomia dinamica prossimale dell’ulna (P.D.U.O.). Nei soggetti di grado 2, con maggiore incongruenza radio-ulnare e processo anconeo mobile, oltre alla P.D.U.O. si esegue la fissazione del processo anconeo con una vite ad effetto compressivo. Nelle U.A.P. di terzo grado con gravi alterazioni a carico del processo anconeo o con completo distacco dello stesso è indicata l’asportazione chirurgica e l’esecuzione, in caso di persistente incongruenza radio-ulnare, della P.D.U.O. L’intervento chirurgico di accesso al processo anconeo viene eseguito attraveso una artrotomia secondo la tecnica di Chalman e Slocum modificata, riducendo la lunghezza dell’incisione (miniartrotomia). Successivamente si ispeziona l’articolazione per verificare l’eventuale instabilità del processo anconeo evidenziata sia con movimenti articolari passivi di flesso-estensione, sia con la palpazione mediante una piccola leva smussa. La riduzione e la fissazione del processo anconeo, nei casi opportuni, si ottengono tramite l’inserimento di una vite a compressione dalla corticale caudale dell’ulna alla sommità del processo anconeo, effettuando la trapanazione, guidata da un centratore apposito, in direzione caudo-craniale lievemente obliqua (10°) in direzione disto-prossimale. Per correggere l’incongruenza radio-ulnare si effettua l’osteotomia dinamica dell’ulna prossimale (P.D.U.O.) a circa 2-3 cm. distalmente all’articolazione omero-radiale, previa delicata scheletrizzazione dell’ulna fino al legamento interosseo e protezione delle strutture vascolo-nervose circostanti con garze inumidite. L’osteotomia, eseguita con sega oscillante di piccole dimensioni, segue una andamento obliquo alla diafisi ulnare, con direzione cau-

FIGURA 1 - Pre operatorio: gomito affetto da U.A.P.

do-craniale, prossimo-distale e con un angolo di circa 45° rispetto all’ulna. L’osteotomia svincola la parte prossimale dell’ulna che, sottoposta alla trazione esercitata dal muscolo tricipite, si sposta più prossimalmente ripristinando la congruenza articolare. L’osteotomia viene eseguita con direzione obliqua invece che trasversale per aumentare la superficie ossea di guarigione, ridurre la mobilità dei monconi, e quindi favorire la guarigione diminuendo anche la morbidità per il paziente. Nell’immediato post operatorio l’articolazione viene protetta con un bendaggio morbido in leggera compressione che limiti il movimento articolare e permetta di mantenere il carico. La fusione del processo anconeo ed il ripristino della congruenza articolare conseguente ad un corretto e tempestivo trattamento chirurgico favoriscono la risoluzione della sinovite e della anomala mobilità articolare, cause delle inevitabili evoluzioni degenerative riscontrabili in articolazioni non adeguatamente trattate. In conclusione possiamo affermare che, condividendo la patogenesi più accertata della U.A.P. e quindi condividendo il periodo della vita in cui questa si genera, la precocità di diagnosi è da considerarsi un aspetto indispensabile per permettere un approccio terapeutico efficace, duraturo e miniinvasivo. Risulta quindi necessario, per poter meglio definire il quadro prognostico ed il trattamento chirurgico più indicato, eseguire le indagini radiografiche precocemente; queste devono comunque essere estese anche all’articolazione controlaterale, indipendentemente dalla sintomatologia, vista l’incidenza bilaterale della patologia. Le nostre considerazioni cliniche sono il risultato di uno studio bibliografico associato ad una analisi della nostra casistica che conta 80 U.A.P. in 66 pazienti, trattati nel periodo 1996-2002.

FIGURA 2 - Post operatorio: P.D.U.O. e fissazione del processo anconeo.

FIGURA 3 - Follow-up: fusione del processo anconeo.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

207

Bibliografia 1. 2.

3. 4.

5.

6. 7.

8.

9. 10. 11.

Bardet J-F. Treatment of ununited anconeal process under arthroscopy in dogs. Proc 10th E.S.V.O.T. Congress, Munich 2000 Caplan E., Conzemius M., Riedesel E., Miles K. Long term radiographic follow up of elbow dysplasia treated surgically or nonsurgically. Proc. 27th Veterinary Orthopedic Society Annual Conference, Val d’ Isère 2000 Cross A., Chambers J. Ununited Anconeal Process of Canine Elbow. Comp. Cont. Ed. Pract. Vet. 1997, 19, 349-361 Fox S.M., Burbidge H.M., Bray J.C., Guerin S.R. Ununited Anconeal Process: Lag-Screw Fixation. J. Am. Anim. Hosp. Assoc. 1996, 32, 52-56 Fox S.M., Burbidge H.M., Bray J.C. Ununited Anconeal Process: Lag Screw Fixation. Proc. 23rd Veterinary Orthopedic Society Annual Conference, Telluride 1996 Guthrie S. Some Radiographic and Clinical Aspects of Ununited Anconeal Process. Vet. Record. 1989,124,661-662 Krotscheck U., Hulse D.A., Bahr A., Jerram R.M. Ununited anconeal process: lag-screw fixation with proximal ulnar osteotomy. Vet.Comp. Orthop. Traumatol. 2000, 13, 212-216 Lang J., Busato A., Baumgartner D., Fluckiger M. Comparison of 2 Classification Protocols in the Evaluation of Elbow Dysplasia in the Dog. J. Small Anim. Pract. 1998, 39, 167-174 Matis U., Bohmer E., Baumer K., Kostlin R. Treatment of ununited anconeal process. Proc. 6th E.S.V.O.T. meeting, Roma 1992 Matis U. Management of the UAP by internal fixation. Proc. 10th E.S.V.O.T. meeting, Monaco 2000 Meyer-Lindenberg A., Fehr M., Nolte I.. Short- and long-term results

12.

13. 14.

15.

16. 17.

18.

19. 20. 21.

after surgical treatment of ununited anconeal process in the dog. Vet. Comp. Orthop. Traumatol. 2001, 14, 101-110 Olsson S.E. Pathophysiology, morphology and clinical signs of osteochondrosis in the dog. In: Desease mechanisms in small animal surgery. Bojrab M.J. (ed) Febiger, Philadelphia 1993, 777-796 Piermattei D.L. Atlante delle vie di accesso alle ossa e alle articolazioni del cane e del gatto.(ed.3) EV, Cremona 1996, 150-157 Roy R., Wallance L. Johnston G. A Retrospective Long-Term Evaluation of Ununited Anconeal Process Excision on the Canine Elbow. Vet. Comp. Orthop. Traumatol. 1994, 7, 94-97 Sjostrom L., Kasstrom H., Kalberg M. Ununited Anconeal Process i the Dog. Pathogenesis and Treatment by Osteotomy of the Ulna. Vet. Comp. Orthop. Traumatol. 1995, 8, 170-176 Sjostrom L. Ununited Anconeal Process in the Dog. Veterinary Clinics of North America: Small Animal Practice 1998, 28, 75-86 Turner B.M., Abercromby R.H., Innes J., McKee W.M., Ness M.G. Dynamic Proximal Ulnar Osteotomy for the Treatment of Ununited Anconeal Process in 17 Dogs. Vet. Comp. Orthop. Traumatol. 1998, 11, 76-79 Vezzoni A., Ferretti A., Abbiati G. Results of proximal ulna osteotomy as a traetment for ununited anconeal process (UAP). Proc. I.E.W.G. meeting, Bologna 1998 Vezzoni A. Dynamic ulna osteotomies in treating canine elbow dysplasia. Proc. 10th E.S.V.O.T. meeting, Monaco 2000 Vezzoni A. dynamic ulna osteotomy in elbow dysplasia. Proc. W.S.A.V.A meeting Berlino. 2001 Vezzoni A. Possibilità terapeutiche in caso di UAP (mancata unione del processo anconeo). Proc. 40° Congresso Nazionale S.C.I.V.A.C., Montecatini 2000


208

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Malattie neuromuscolari nel cane e nel gatto: stato dell’arte Michael Podell BA, DVM, MSc, Dipl ACVIM (Neurology) - Animal Emergency and Critical Care Center, Northbrook, Illinois, USA

Estratto breve I disordini dell’apparato neuromuscolare sono spesso difficili da diagnosticare e poco noti in medicina veterinaria, ma è possibile trattarli ottenendo una risposta completa. I segni clinici possono variare da una perdita poco appariscente della massa muscolare alla drammatica e completa scomparsa di tutti i movimenti. La capacità di differenziare in modo accurato le malattie di questo tipo che derivano da problemi dei nervi, dei muscoli o delle giunzioni neuromuscolari consente ai veterinari di prescrivere una terapia medica appropriata. Lo scopo di questa relazione è quello di presentare una rassegna sulle malattie del sistema neuromuscolare che colpiscono il cane ed il gatto.

Terapia dell’epilessia idiopatica: esistono veramente altre possibilità? Fino all’inizio degli anni ’90, nel trattamento dell’epilessia sia nell’uomo che negli animali venivano utilizzati relativamente pochi farmaci antiepilettici. Dopo l’introduzione del felbamato nel 1992, più di una dozzina di nuovi agenti di questo tipo sono passati con successo dalle prove precliniche a quelle cliniche, con approvazione per l’impiego nella popolazione dei pazienti umani colpiti da epilessia. Parallelamente a questa proliferazione delle opzioni terapeutiche si è sviluppata l’opportunità di offrire ora un’ampia varietà di trattamenti nuovi ai proprietari con animali da compagnia affetti dalla medesima condizione. Lo scopo di questa relazione è triplice: (1) presentare una rassegna della potenziale applicabilità di parecchi dei più recenti farmaci antiepilettici per il trattamento dell’epilessia del cane, (2) illustrare un approccio terapeutico strategico alla combinazione ottimale dei farmaci antiepilettici convenzionali associati o meno al-

l’introduzione di una nuova terapia antiepilettica e (3) stimolare nuovi sforzi di ricerca clinica in collaborazione all’interno della comunità istituzionale e fra le strutture cliniche accademiche e private.

Epilessia idiopatica: stato epilettico e farmaci per il suo controllo Lo stato epilettico è un’emergenza neurologica potenzialmente letale caratterizzata da una prolungata attività convulsiva. È stato definito come una crisi epilettica o una sequenza di crisi ricorrenti che persistono per almeno 30 minuti durante i quali il paziente non recupera la normale conoscenza. Un criterio di giudizio più rigoroso prevede la presenza di attività convulsiva elettrica della durata di almeno 30 minuti anche se la coscienza non viene compromessa. Lo stato epilettico convulsivo (parziale o generalizzato) è il tipo più comunemente osservato in medicina veterinaria. Inoltre, molti cani epilettici mostrano crisi generalizzate ricorrenti entro un periodo di 24 ore, dette crisi a grappoli (cluster). Dal momento che sono disponibili solo scarse informazioni sull’attività elettrica dell’encefalo di questi cani durante questi eventi, unitamente al fatto che molte di queste crisi a grappolo sono inframmezzate da crisi parziali e comportamento anormale, è possibile che molti degli animali colpiti mostrino una forma di stato epilettico esclusivo della loro specie. Il mancato controllo di queste crisi convulsive conduce inizialmente ad una condizione di stato epilettico refrattario ed infine ad un cattivo controllo a lungo termine delle crisi. Lo scopo di questo lavoro è quello di aumentare la conoscenza dell’occorrenza e della pericolosità dello stato epilettico nella clinica dei piccoli animali e di offrire informazioni concomitanti sulle opzioni disponibili per il monitoraggio ed il trattamento attraverso un approccio basato su casi clinici.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

209

Terapia dell’epilessia idiopatica: esistono veramente altre possibilità? Michael Podell BA, DVM, MSc, Dipl ACVIM (Neurology) - Animal Emergency and Critical Care Center, Northbrook, Illinois, USA

Estratto breve Fino all’inizio degli anni ’90, nel trattamento dell’epilessia sia nell’uomo che negli animali venivano utilizzati relativamente pochi farmaci antiepilettici. Dopo l’introduzione del felbamato nel 1992, più di una dozzina di nuovi agenti di questo tipo sono passati con successo dalle prove precliniche a quelle cliniche, con approvazione per l’impiego nella popolazione dei pazienti umani colpiti da epilessia. Parallelamente a questa proliferazione delle opzioni terapeutiche si è sviluppata l’opportunità di offrire

ora un’ampia varietà di trattamenti nuovi ai proprietari con animali da compagnia affetti dalla medesima condizione. Lo scopo di questa relazione è triplice: (1) presentare una rassegna della potenziale applicabilità di parecchi dei più recenti farmaci antiepilettici per il trattamento dell’epilessia del cane, (2) illustrare un approccio terapeutico strategico alla combinazione ottimale dei farmaci antiepilettici convenzionali associati o meno all’introduzione di una nuova terapia antiepilettica e (3) stimolare nuovi sforzi di ricerca clinica in collaborazione all’interno della comunità istituzionale e fra le strutture cliniche accademiche e private.


210

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Epilessia idiopatica: stato epilettico e farmaci per il suo controllo Michael Podell BA, DVM, MSc, Dipl ACVIM (Neurology) - Animal Emergency and Critical Care Center, Northbrook, Illinois, USA

Estratto breve Lo stato epilettico è un’emergenza neurologica potenzialmente letale caratterizzata da una prolungata attività convulsiva. È stato definito come una crisi epilettica o una sequenza di crisi ricorrenti che persistono per almeno 30 minuti durante i quali il paziente non recupera la normale conoscenza. Un criterio di giudizio più rigoroso prevede la presenza di attività convulsiva elettrica della durata di almeno 30 minuti anche se la coscienza non viene compromessa. Lo stato epilettico convulsivo (parziale o generalizzato) è il tipo più comunemente osservato in medicina veterinaria. Inoltre, molti cani epilettici mostrano crisi generalizzate ricorrenti entro un periodo di 24 ore, dette crisi a grappoli (cluster).

Dal momento che sono disponibili solo scarse informazioni sull’attività elettrica dell’encefalo di questi cani durante questi eventi, unitamente al fatto che molte di queste crisi a grappolo sono inframmezzate da crisi parziali e comportamento anormale, è possibile che molti degli animali colpiti mostrino una forma di stato epilettico esclusivo della loro specie. Il mancato controllo di queste crisi convulsive conduce inizialmente ad una condizione di stato epilettico refrattario ed infine ad un cattivo controllo a lungo termine delle crisi. Lo scopo di questo lavoro è quello di aumentare la conoscenza dell’occorrenza e della pericolosità dello stato epilettico nella clinica dei piccoli animali e di offrire informazioni concomitanti sulle opzioni disponibili per il monitoraggio ed il trattamento attraverso un approccio basato su casi clinici.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

211

Diagnostica per immagini dell’apparato respiratorio: dal naso al diaframma Victor T. Rendano VMD, MSC, Dipl ACVR, Dipl ACVR-RO - Veterinary Multi-Imaging PLLC, Lansing, New York, USA

Estratto breve Considerazioni generali: L’apparato respiratorio si estende dalla punta del naso al diaframma. È necessario effettuare radiografie di buona qualità. Bisogna riprendere tutte le radiografie necessarie per formulare la diagnosi o stabilire la necessità di altri metodi diagnostici. Bisogna ricorrere alla ripresa di immagini radiografiche in serie per monitorare un processo patologico e valutare la risposta alla terapia. Può essere necessario intervenire chirurgicamente per giungere ad una diagnosi definitiva. Alcuni animali non guariscono mai completamente ed altri muoiono nonostante tutti gli sforzi compiuti. Se non si è sicuri di quanto sta accadendo, si deve chiedere la valutazione delle radiografie da parte di un radiologo. CATEGORIE PATOLOGICHE CONGENITE METABOLICHE NEOPLASTICHE INFIAMMATORIE TRAUMATICHE IMMUNOLOGICHE SCONOSCIUTE Le vie aeree ed i polmoni Il numero di proiezioni radiografiche necessarie a definire una lesione dipende dall’estensione e dalla localizzazione della stessa. Le proiezioni più comuni sono: A. B. C. D.

VENTRODORSALE DORSOVENTRALE LATEROLATERALE DESTRA LATERALE SINISTRA

Le radiografie del torace vengono solitamente riprese durante l’inspirazione, a meno che non si sospetti uno pneumotorace o la presenza di liquido pleurico libero. Gas o fluidi liberi risultano più facili da definire quando l’animale è in espirazione.

STRUTTURE ANATOMICHE: Durante l’esame del torace il fascio di raggi X attraversa molte strutture, tutte in grado di presentarsi con aspetti differenti a seconda della loro configurazione. Queste strutture sono: Peli Cute Vasi linfatici Muscoli Ossa Cartilagini Pleura Pericardio Dotto toracico

Legamenti Linfonodi Grasso Mediastino Trachea Timo Vena cava caudale Vena cava craniale Vena azigos

Vasi Polmoni Esofago Nervi Diaframma Fegato Aorta Cuore Pleure

LOBI POLMONARI: Destro: Craniale (apicale) Medio (cardiaco) Caudale (diaframmatico) Accessorio (intermedio) Sinistro: Craniale (apicale e cardiaco) Segmento craniale-apicale Segmento caudale-cardiaco Caudale (diaframmatico) CONDIZIONI CHE COLPISCONO COMUNEMENTE LA CAVITÀ ED I SENI NASALI: Infezione (batterica, virale, micotica) Corpo estraneo Trauma Neoplasia Parassitosi Affezioni congenite CONDIZIONI CHE COLPISCONO COMUNEMENTE LA TRACHEA: Malformazione congenita (ipoplasia) Trauma Neoplasia Corpo estraneo Parassitosi Condromalacia Infezione


212

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

CONDIZIONI CHE COLPISCONO COMUNEMENTE I BRONCHI: Bronchite Bronchiectasia

PATOLOGIA DEL POLMONE: Spazi aerei alveolari Tessuti interstiziali Vie aeree Vasi a) Riscontri radiografici quando il processo patologico coinvolge gli alveoli: Broncografie gassose Alveolografie gassose Infiltrati mal definiti Visualizzazione dei margini lobari b) Riscontri radiografici quando il processo patologico coinvolge i tessuti interstiziali: Trama interstiziale Radiopacità lineari brevi che si intersecano casualmente Radiopacità nodulari tondeggianti o irregolari con margini ben definiti, quadri misti lineari e densità nodulari c) Riscontri radiografici quando il processo patologico coinvolge i bronchi ed i vasi Trama broncovascolare Variazioni di aspetto dei vasi o delle vie aeree Aumento della prominenza Diminuzione della prominenza Margini mal definiti Vasi – I vasi (arteria o vena) del lobo polmonare craniale a livello del margine della silhouette cardiaca devono avere un diametro approssimativamente pari a 3/4 della terza o quarta costola nel punto situato circa a livello della trachea ed i diametri trasversali dei vasi devono essere uguali fra loro. Variazioni osservate nelle dimensioni dei vasi con malattia:

MODIFICAZIONI CHE SI OSSERVANO NORMALMENTE NEGLI ANIMALI CHE INVECCHIANO (“NORMALI PER L’ETÀ”) Ispessimento pleurico Aumento dei segni lineari – fibrosi interstiziale Radiopacità nodulari – occasionalmente calcificate – mineralizzazione metaplastica – microlitiasi alveolare, osteomi Aumento della radiopacità delle pareti tracheali e bronchiali – cartilagini mineralizzate Ipertrasparenza – enfisema – intrappolamento dell’aria

IL POLMONE – VALUTAZIONE RADIOGRAFICA: Come qualsiasi altro organo, il polmone può rispondere agli stimoli nocivi in un numero finito di modi. Si può cercare di memorizzare un aspetto radiografico caratteristico per ciascun tipo di lesioni polmonari; tuttavia, il risultato finale sarà probabilmente una totale frustrazione dal momento che le alterazioni polmonari iniziano tutte ad assomigliarsi. Di conseguenza, si suggerisce l’impiego di un approccio sistematico basato sulle caratteristiche morfologiche ed anatomiche. Il fondamento di questo sistema è il riconoscimento del quadro presente; una volta effettuata questa operazione, è possibile passare a stilare un elenco di diagnosi differenziali. Successivamente, si può passare all’esecuzione dei test necessari ad escludere o confermare una diagnosi.

AL MOMENTO DI VALUTARE I POLMONI, È NECESSARIO CONOSCERE: Il quadro dell’interessamento I lobi/regioni del polmone coinvolti L’anamnesi I TRE QUADRI RICONOSCIUTI A PARTIRE DALLE VARIE LESIONI SONO: QUADRO ALVEOLARE QUADRO INTERSTIZIALE QUADRO BRONCOVASCOLARE QUADRO MISTO

Malattia

Arteria

Vena

Dotto arterioso pervio

Aumentata

Aumentata

Difetti del setto

Aumentata

Aumentata

Stenosi polmonare

Diminuita

Diminuita

Insufficienza cardiaca sinistra (+/-)

Aumentata

Aumentata

Shock

Diminuita

Diminuita

Filariosi cardiopolmonare

Aumentata

Diminuita


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

LESIONI CAVITARIE: Nel parenchima polmonare anormale si possono osservare aree radiotrasparenti di maggiori dimensioni. Queste lesioni possono essere classificate come: CISTI PNEUMATOCELE BOLLE VESCICOLE BRONCHIECTASIE CISTICHE CISTI PARASSITARIE CAVITÀ POLMONARI ACQUISITE APPARATO CARDIOVASCOLARE INGROSSAMENTO DI CUORE/PERICARDIO Schema di riferimento del cuore visto come un “orologio” nelle proiezioni DV/VD: 12 Aorta e orecchietta destra 13 Tronco polmonare 2-3 Orecchietta sinistra 9-11 Ventricolo sinistro 9-12 Ventricolo destro 9-13 Corpo dell’atrio destro Schema di riferimento del cuore visto come un “orologio” in proiezione laterolaterale: 12 Orecchietta sinistra Vasi ilari 9-11 Corpo dell’atrio sinistro 9-12 Ventricolo sinistro 9-13 Ventricolo destro 9-14 Orecchietta destra Aorta ascendente Tronco polmonare Dimensioni di cuore/pericardio La larghezza del sacco pericardico sommata alla sua altezza deve essere pari o inferiore a: 10,5 vertebre toraciche in lunghezza nel cane 8,5 vertebre toraciche in lunghezza nel gatto

Vasi polmonari Le arterie polmonari destra e sinistra, le arterie lobari segmentali e le vene segmentali e lobari risultano visibili nella maggior parte delle radiografie del torace riprese in inspirazione. I vasi del lobo polmonare craniale possono essere utilizzati come riferimento per determinare la normalità delle dimensioni vasali. Il diametro dell’arteria o della vena a livello del margine della silhouette cardiaca deve essere approssimativamente pari a 3/4 di quello della terza o quarta costola nel suo punto più stretto. Anche l’arteria e la vena adiacenti devono avere dimensioni simili.

213

Estratto completo General comments: The respiratory system extends from the tip of the nose to the diaphragm. Take good quality radiographs. Take as many radiographs as needed to make the diagnosis or to determine that other diagnostic methods are needed. Take sequential radiographs to monitor a disease process and response to therapy. Intervention may be required to obtain a definitive diagnosis. Some animals never get completely better and others go on to die despite your best efforts. Have the radiographs reviewed by the radiologist if you are not sure what is happening. HEAD NASAL PASSAGES SINUSES NECK PHARYNX LARYNX TRACHEA THORAX LUNGSBRONCHI ALVEOLI INTERSTITIUM VESSELS HEART MEDIASTINUM LYMPH NODES ECTOPIC TISSUE THYMUS ESOPHAGUS PLEURA DIAPHRAGM SOFT TISSUES BODY WALL FAT OSSEOUS STRUCTURES HISTORY AGE BREED SEX WHAT THE OWNERS TELL YOU BRACHIOCEPHALIC DOGS STENOTIC NARES EVERTED SACCULES ELONGATED SOFT PALATE LARYNGEAL EDEMA LARYNGEAL COLLAPSE HYPOPLASTIC TRACHEA ALTERED TONSILS PROMINENT TONGUE SALIVA/MUCUS EVERYWHERE


214

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

COCKERS BRONCHIECTASIS OLDER LABS LARYNGEAL PARALYSIS PHYSICAL FINDINGS WHAT YOU SEE WHAT YOU HEAR WHAT YOU SMELL WHAT YOU FEEL WHAT HAPPENS WHEN YOU MANIPULATE DIAGNOSTIC TESTING VISUAL INSPECTION BLOOD WORK CYTOLOGY CULTURE NASAL FLUSH SEROLOGY OSCOPY EMG PULMONARY FUNCTION TESTS-TIDAL VOLUME BARIUM SWALLOW RADIOLOGY ULTRASOUND CT MRI NUCLEAR MEDICINE DISEASE CATEGORIES CONGENITAL METABOLIC NEOPLASTIC INFLAMMATORY TRAUMATIC IMMUNOLOGIC UNKNOWN

DISEASES: THE LIST Laryngeal paralysis Bronchitis Bronchiectasis Nasopharyngeal irritation Masses-neoplasia, granuloma, hematoma, abscess Fungal infection Tooth root abscess Parasitic infection Foreign body Fistula Ciliary dyskinesia Polyps IgA deficiency Nasal pharyngeal stenosis Heart failure Megaesophagus Diaphragmatic hernia

DISCHARGES SEROUS MUCOID PURULENT BLOODY TERMS DEPIGMENTATION/NASAL PHILTRUM DYSPHAGIA GAGGING RETCHING WHEEZING HONKING COUGHING STRIDOR STERTOR VOICE CHANGE SNEEZE REVERSE SNEEZE UNILATEAL BILATERAL ALL THE TIME AT NIGHT IN THE MORNING PAWING AT FACE OPEN MOUTH BREETHING EXERCISE INTOLERANCE HONKING INSPIRATION EXPIRATION CAN’T TELL SENSITIVE TO PALPATION SWELLING COLLAPSED WORKING HARD TO BREATH CHEST POUNDING ABDOMEN MOVING ABDOMINAL BREATHING ELONGATED COUGHS WHEN PRESSURE APPLIED INCREASED TRACHEAL SENSITIVITY FEELS SOFT LOOKS ELONGATED DOESN’T ABDUCT COLORS ABNORMAL CRACKLES SUBCUTANEOUS EMPHYSEMA SNAP CLICK ABDOMINAL PUSH WHEEZING HEART RATE CHANGED HEART RATE NORMAL MURMUR LACK OF SYSTEMIC SIGNS INSPIRATORY DISTRESS EXPIRATORY DISTRESS OBSTRUCTION COUGHING AFTER EATING COUGHING AFTER DRINKING TACHYPNEA HYPERPNEA


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

The Airways and The Lungs 1. The number of radiographic projections required to define a lesion will depend on the extent and location of the lesion. The common views are: A. VENTRODORSAL PROJECTIONSternum facing X-ray tube, vertebrae against cassette or on the table. Used to evaluate the cranial mediastinum, ventral contour of the heart and ventral lung region. B. DORSOVENTRAL PROJECTIONVertebrae facing X-ray tube, sternebrae against cassette or on the table. Used to evaluate the caudal mediastinum, overall contour of the heart, the aorta and the dorsal lung region. In both projections, the beam is centered on the fifth thoracic vertebra, the vertebrae and sternebrae are superimposed, the elbows are adducted and the skin folds are moved laterally. C. RIGHT LATERAL PROJECTIONLeft lateral surface of the torso is facing the X-ray tube, the right lateral surface of the torso is against the cassette. Used to evaluate the left lung field, mediastinal structures, left side of the diaphragm, esophagus and pericardial sac. D. LEFT LATERAL PROJECTIONRight lateral surface of the torso is facing the X-ray tube, the left lateral surface of the torso is against the cassette. Used to evaluate the right lung field, mediastinal structures, right side of the diaphragm and pericardial sac. Used to evaluate f or a hiatal hernia after barium administration. In both projections the beam is centered on the fifth intercostal space, the sternum is lifted slightly away from table, the forelimbs are pulled forward and the skin folds are moved dorsally and/or ventrally. 2. Radiographs of the thorax are usually obtained during inspiration unless you suspect pneumothorax or free pleural fluid. Free gas or fluid is easier to define when the animal is in expiration. The lung, when viewed in expiration, is often mistakenly diagnosed as being pathologic. When the animal is in expiration, there is less gas in the lung and the lung becomes more opaque. This physiologic change results in increased lung opacity that mimics many disease processes that also can cause the lung to become more opaque. Air/gas is the natural contrast agent of the lung: take advantage of this contrast agent by radiographing the animal in inspiration when you wish to evaluate lung parenchyma, the pericardial sac, mediastinal structures and the diaphragm. When the animal is in expiration, the pulmonary vessels are closer together, the diaphragm overlaps the heart, the cranial lung lobes do not extend to the thoracic inlet and the pericardial sac appears larger.

215

3. ANATOMICAL STRUCTURES: The x-rays pass through many structures when the thorax is radiographed and all of these can have different presentations depending on their configuration. These structures are: Hair Skin Lymphatics Muscle Bone Cartilage Pleura Pericardium Thoracic duct

Ligaments Lymph nodes Fat Mediastinum Trachea Thymus Caudal Vena Cava Cranial Vena Cava Azygos vein

Vessels Lung Esophagus Nerves Diaphragm Liver Aorta Heart Pleurae

4. LUNG LOBES: Right: Cranial (Apical) Middle (Cardiac) Caudal (Diaphragmatic) Accessory (Intermediate) Left:

Cranial (Apical & Cardiac) Cranial segment-Apical Caudal segment-Cardiac Caudal (Diaphragmatic)

5. OVERVIEW OF THE AIRWAY: Nostrils (Nares) Nasal Cavity Nasopharynx Hyoid bones: stylohyoid, basihyoid, thyrohyoid, epihyoid, ceratohyoid Larynx Trachea Bronchi Bronchioles Laryngeal ventricles Epiglottis Cricoid cartilage Thyroid cartilage Arytenold cartilage cuneiform process corniculate process Sesamoid cartilage Division of Airways – Trachea, Principal bronchi (primary, main stem) Lobar (secondary) Segmental (tertiary) Sub-segmental Respiratory Bronchioles Alveolar ducts Alveolar Sacs Alveoli. Cartilaginous elements no longer present when bronchioles less than 1mm in diameter.


216

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

6. COMMON CONDITIONS OF THE NASAL CAVITY AND SINUSES: Infection (Bacterial, viral, fungal) Foreign body Trauma Neoplasia Parasitism Congenital 7. COMMON CONDITIONS OF THE TRACHEA: Congenital Malformation (hypoplasia) Trauma Neoplasia Foreign body Parasitism Chondromalacia Infection 8. COMMON CONDITIONS OF THE BRONCHI: Bronchitis (the dog has been used as an animal model of this disease in humans). Bronchiectasis 9. PATHOLOGY OF THE LUNG: Alveolar air spaces Interstitial tissues Airways Vessels a) Radiographic findings when disease processes involve the alveolar: Air bronchograms Air Alveolograms Ill-defined infiltrates Lobar border visualization b) Radiographic findings when disease processes involve the interstitial tissues: Interstitial PatternShort linear opacities criss-cross randomly Nodular densities round or irregular in contour with well-defined borders, admixture linear and nodular densities. c) Radiographic findings when disease processes involve the bronchi and vessels Bronchovascular Pattern: Vessel or conducting airways change in appearance, Increased prominence Decreased prominence Ill-defined borders Vessels - Cranial lung lobe vessels (artery or vein) at edge of cardiac silhouette should be approximately 3/4 diameter of the 3rd or 4th rib at approximately the level of the trachea and the transverse diameter of the vessels should be equal to each other. Changes seen in vessel size with disease:

Disease

Artery

Vein

Patent Ductus Arteriosus

Increased

Increased

Septal Defect

Increased

Increased

Pulmonic Stenosis

Decreased

Decreased

Left Heart Failure (-/+)

Increased

Increased

Shock

Decreased

Decreased

Dirofilariasis

Increased

Decreased

10. CHANGES NORMALLY SEEN AS ANIMAL AGES (“NORMAL FOR AGE”) Pleural thickening Increased linear markings - interstitial fibrosis Nodular densities - occasionally calcified - metaplastic mineralization-alveolar microlithiasis, osteomata Increased density of tracheal and bronchial walls mineralized cartilages Hyperlucency -emphysema., air trapping 11. THE LUNG - RADIOGRAPHIC ASSESSMENT: Like any other organ, the lung can respond to noxious stimuli in a finite number of ways. One can try to memorize a distinctive radiographic appearance for each type of lung lesion; however, the final result will probably be utter frustration as the lung changes all begin to look alike. As such, a systematic approach based on morphoanatomic structures is suggested. The basis for this system is pattern recognition; once the pattern is recognized, then a list of differential diagnoses can be made. Subsequent tests can be performed to exclude or confirm a diagnosis. 12. WHEN EVALUATING THE LUNGS, YOU SHOULD KNOW: Pattern of involvement Lung lobes/regions involved History

THE THREE PATTERNS RECOGNIZED STEM FROM LESIONS INVOLVING: ALVEOLAR PATTERN The alveolar pattern develops as the air within the alveolar ducts and alveoli are replaced by a substance of soft tissue opacity. Often, we cannot tell whether it is blood, inflammatory or non-inflammatory exudate, aspirated material, neoplastic cells or a collapsed lung that has caused the change in lung density; however, we can say that the alveoli no longer contain air (no longer are radiolucent but are of a soft tissue density). Radiographically, the alveolar pattern may show one or more of the following signs: - Lobar involvement: as one lobe becomes opacified and the surrounding lobes remain aerated, the borders of the involved lung lobe become visible.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

- Air bronchograms: if the bronchi and bronchioles contain air while the surrounding alveoli are of a soft tissue density (radiopaque); then the air filled bronchi and bronchioles appear as branching radiolucencies surrounded by radiopaque alveoli. - Air alveolograms: occur when there is a patchy intermixing of opacified groups of alveoli and normal aerated radiolucent alveoli. The lung will then appear as a mottled admixture of radiolucencies and radiopacities. - Ill-defined fluffy or wispy margins of infiltrate: representing opacified alveoli that may either have an indistinct border with normal aerated lung or become confluent and coalesce with other regions of diseased lung. Recognition of any or all of the above alveolar changes indicates that alveolar air spaces are involved. WHICH LUNG LOBES ARE INVOLVED? One should determine which lung lobes are involved: Cranial, middle, caudal, accessory. The lung lobes involved is often a vital clue to the likely etiology i.e. cranioventral lung field—-often infection; hilar region—-often cardiogenic edema in dogs. WHICH SIDE IS INVOLVED? - A dorsoventral or ventrodorsal radiograph should be obtained so that right and left portions of the thoracic cavity can be compared. An animal traumatized by a car may have severe pulmonary contusion that involves only one side of the thorax. If only a lateral radiograph is obtained, this lesion may be missed if it is in the “down” side”. WHICH AREA IS INVOLVED? - The area of involvement is an important clue to the possible etiology of the lesion. The caudal lung lobes are often most severely involved in diseases resulting from inhalation of noxious agents or blood born parasitic, infectious or toxic agents. These results because the largest percentage of inhaled gases goes to the caudal lung lobes and the caudal lung lobes receive the largest percentage of blood pumped from the right ventricle. As such, the caudal lobes receive the largest insult when the noxious agent is carried in the air or by the blood stream. The dependent portions of the lung become involved in aspiration pneumonia and many bacterial pneumonias because the particles which are aspirated are relatively heavy and cannot be carried up into the caudal lung lobes so they settle in the ventral (dependent) portion of the lung lobes, especially the cranial and middle lobes. An exception to this distribution may occur if the animal aspirates material while being held upright - in this case the caudal lung lobes will be involved. The hilar area of the lungs are most commonly involved in cardiac edema while the periphery of the lungs are involved in neurogenic edema. WHICH REGION IS INVOLVED? - Finally, in the dorsoventral or ventrodorsal radiograph, the lung can be divided into three regions - central or hilar, middle and peripheral. The region involved often gives an important clue

217

as to the etiology. In pulmonary edema of cardiac origin, the central or hilar region located directly over the heart and caudal mediastinum is most severely involved while in pulmonary edema secondary to electrocution, the peripheral regions of the lung are most severely involved. COMMON CAUSES OF ALVEOLAR PATTERN: Pneumonia- bacterial, viral, parasitic, allergic. Edema- cardiogenic, neurogenic. Neoplasia- Alveolar and bronchiolar carcinoma, lymphoma Aspiration Hemorrhage- trauma, infection, poison, bleeding disorders. INTERSTITIAL PATTERN Interstitial tissues of the lung consist of the supporting collagenous and elastic tissues, smaller vessels, capillaries, lymphatics and an admixture of cell types located permanently in the supporting network or migrating into and out of it, basement membranes and body fluids. It is the tissues on which the alveolar lining cells reside and through which blood and gasses move. Although barely perceptible as an entity in a normal thoracic radiograph, their presence is attested to by the fact that normal aerated lung is still more radiopaque than if just air i.e. in a pneumothorax, the pleural space is more radiolucent than aerated lung, gas in bronchi is more radiolucent than aerated lung. In a disease process, the interstitial tissues may thicken because of an increase in the number of cell types and fluid normally present or because of a migration of new cell types into this tissue. Radiographically this thickening will appear as: A PROMINENCE OF SHORT LINEAR OPACITIES THAT CRISS-CROSS RANDOMLY, PROMINENT NODULAR SOFT TISSUE OR CALCIFIC OPACITIES WITH WELL DEFINED BORDERS OR AN ADMIXTURE OF LINEAR AND NODULAR STRUCTIRES. The short linear soft tissue opacities are seen with such disease processes as interstitial fibrosis of the aged lung, interstitial pneumonitis, lymphatic spread of cancer, hemic spread of infection or neoplasm and congestion. Nodular densities may be many or few in number, large and variable in size or miliary and multiple. They may be round or irregular in outline. The major differentials for nodular infiltrates are neoplasia, granuloma, abscesses/inflammatory foci and distended vessels seen on end. Infectious agents that spread by the hematogenous route and lodge in the pulmonary interstitium may create small foci of inflammation that appear radiographically as miliary nodules much like metastatic carcinoma. Almost all disease processes that have an alveolar pattern will have some interstitial involvement. This occurs because cells or fluid from the blood must pass through the interstitium to reach the alveolar air space. Likewise, an alveolar process in remission will have some interstitial pattern as debris is removed by the lymphatic and vascular systems. The residuum of an alveolar process may be a chronic interstitial thickening that remains years after the initial insult and attest to the fact that the lung has been insulted at one time.


218

BRONCHOVASCULAR PATTERN The bronchi and blood vascular supply are usually seen to a variable extent in the normal thoracic radiograph. When their presence becomes abnormally obvious or their size changes, then one can say there is a lesion occurring in the Bronchovascular component of the lung. If the vessels are altered, then the vascular component is abnormal and if the bronchi are altered, then the bronchial component is said to be abnormal. Normally, the walls of the larger bronchi can be seen as finelined soft tissue opacities within the lung that taper as they extend peripherally. An artery and vein are located next to each bronchus. In the lateral radiograph, the artery is dorsal and the vein is ventral to the bronchus. In the dorsoventral radiograph, the artery is located lateral and the vein medial to the bronchus. If the bronchus is seen in cross section, it will appear as a circular density with a lucent center. The density occurs because of the soft tissue components of the bronchial wall; whereas the radiolucent center represents the air within the bronchial lumen. The bronchial tree can become prominent if the alveoli are filled with soft tissue opacity material, if their walls thicken or if the cartilaginous components ossify or calcify. Any or all of these changes may occur with bronchitis, bronchiectasis, old age degeneration and calcification, bronchial neoplasm or any disease process affecting the air passages. Normal bronchi can appear prominent if the surrounding alveoli become opacified, the ability to see the bronchi in this situation is known as “air bronchograms�. Like the liver, the lung has a double blood supply: the pulmonary and bronchial blood supplies. The bronchial blood supply originates from the bronchoesophageal artery that in turn originates from the aorta. The bronchoesophageal artery is not usually seen radiographically. Bronchial arteries may also arise from the pericardial phrenic or internal thoracic arteries but these form a minor blood supply to the bronchi and are frequently absent. The pulmonary blood supply originates from the right ventricular outflow tract, and then divides into right and left pulmonary arteries that, in turn, send off branches to each lung lobe. The pulmonary veins return the blood to the left atrium. In the normal thorax, the main pulmonary artery (pulmonary trunk), right and left pulmonary arteries, lobar and segmental arteries and veins are seen. Radiographically, the cranial lung lobe vessels can be used as a guide to determine normal vascular size. The diameter of the artery or vein at the edge of the cardiac silhouette should be approximately 3/4 the diameter of the 3rd or 4th rib at its narrowest point. The artery and adjacent vein should also be similar in size. Vascular size may be altered it there is hyperperfusion as seen in congenital cardiac abnormalities such as patent ductus arteriosus and septal defects; hypertension as seen in dirofilariasis; congestion as seen in left heart failure, mitral insufficiency and obstruction to venous return, hvpoperfusion as seen in congenital heart abnormalities - pulmonic stenosis, tetralogy of Fallot - and in electrolyte or perfusion derangements, shock or adrenal cortical insufficiency. With heart failure, the vessels initially dilate but remain definable. The veins are usually larger than the arteries. As the disease process continues and fluid leaks out of the vessels, the bronchovascular segment begins to look blurred be-

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

cause the fluid is no longer confined completely to the vascular bed, but leaks into the interstitial tissues and alveolar spaces. The pulmonary arteries may enlarge subsequent to venous enlargement and prior to pulmonary edema if the heart failure is insidious in onset. When changes in the bronchovascular pattern are seen, the alteration should be noted and a systematic approach to differential diagnosis conducted. In part 9C of this paper, some vascular changes that occur with different disease entities have been outlined. MIXED PATTERN When a disease process involves more than one component of the lung i.e. if alveolar and interstitial patterns are seen, then the convention is to say that a MIXED PATTERN is present having alveolar and interstitial components. 13. CAVITATED LESIONS: Larger radiolucent areas may be seen in abnormal lung parenchyma. These lesions may be classified as: CYSTS - Pulmonary cysts, true cysts, and congenital cysts - these can be acquired or developmental (from embryologic maldevelopment of the lungs). Cavities are thinwalled and may be fluid filled spaces lined by epithelium. PNEUMATOCELE: Considered by definition to be a hernial protrusion of lung tissue; this term is classically used to describe a localized, consolidated area of pneumonia where necrotic tissue has been replaced with air leaving a cavitated lesion. BULLAE - Emphysematous bullae, traumatic bullae these nonepithelialized cavities are produced by the disruption of intra-alveolar septae and by confluence of the alveoli. Some authors feel that the traumatically induced bullae represent a resolution stage of pulmonary hematoma. BLEBS - Pulmonary blebs - localized collection of air within the confines of the visceral pleura. CYSTIC BRONCHIECTASIS - Cyst like dilatation of bronchi (congenital or secondary to chronic airway disease. PARASITIC CYSTS - Cavities formed by parasites encysted within the pulmonary parenchyma -paragonimiasis (lung flukes). ACQUIRED PULMONARY CAVITIES - includes cavitary neoplasms, abscesses. Destruction of parenchyma caused by infection (pyogens, fungi) or neoplasms that often undergoes some degree of central necrosis (e.g. bronchogenic, bronchiolar carcinoma). The formation of these cavities depends on: a developmental abnormality, destruction of pulmonary tissue by an inflammatory, traumatic or neoplastic process or hyperinflation of a small defect in pulmonary parenchyma. 14. OTHER DIAGNOSTICS: While a thoracic radiograph, CT, ultrasound can help you define an abnormality, a bronchial wash, fine needle lung biopsy or response to therapy along with clinical evaluation will often be required to reach a definitive diagnosis.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

15. THE TRACHEA TRACHEAL CHONDROMALACIA - This is a common disease entity in the mid and older age groups of overweight miniature breeds of dogs. The esophageal segment, intrathoracic segment or the entire trachea may be involved. Animals can also have involvement of just the terminal portion of the trachea or of a primary bronchus. Fluoroscopic and/or endoscopic evaluation of the trachea and bronchi with the animal breathing normally and with the animal coughing is the best method to diagnose this condition. Conventional radiography, if used, should be taken with the animal in inspiration and then with the animal in expiration. The longus capitis muscle located along the ventral surface of the neck should not be mistaken for a lesion of the trachea. Animals with collapsing trachea will show a marked narrowing of luminal diameter during some phases of respiration. Other lesions of the trachea such as infection, neoplasia and foreign bodies may be seen in survey radiographs; however, tracheoscopy is usually more informative. Some animals may be too severely compromised because of the tracheal lesion to risk anesthesia; then the survey radiographic study becomes paramount in diagnosis the lesion. . The endotracheal tube can be a devastating and lethal object if not used properly. If it bends, if the cuff is over inflated, if too small a tube is used, if the tube is advanced too far or it the tube is placed in the wrong hole, then problems occur.

219

ANATOMIC CONSIDERATIONS Pericardial sac Pericardial space Epicardium Myocardium Endocardium Chordae tendinea Papillary muscles Valve rings Inter-atrial septum Inter-ventricular septum Cranial vena cava Caudal vena cava Right Atrium/auricular appendage Right Atrioventricular valves-tricuspid valves Right Ventricle Pulmonary outflow tract Pulmonic valves Pulmonary trunk-main pulmonary artery Pulmonary Arteries Pulmonary Veins Left Atrium/auricular appendage Left Atrioventricular valves-mitral valves Left Ventricle Aortic outflow tract Aortic valves Ascending Aorta Descending Aorta

CARDIOVASCULAR SYSTEM 12 ENLARGED HEART/PERICARDIAL SAC PATHOLOGIC CONGENITAL ACQUIRED PHYSIOLOGIC BREED DIASTOLE/SYSTOLE INSPIRATION/EXPIRATION LEFT LATERAL/RIGHT LATERAL/VD/DV OTHER CONDITIONS MASSES/NEOPLASIA DIAPHRAGMATIC HERNIA FLUID OTHER SIGNS OF CARDIAC DISEASE DORSAL DEVIATION OF TRACHEA DISTENTION PULMONARY VEINS HILAR EDEMA SUBPLEURAL LYMPHATIC FLUID ACCUMULATION FREE PLEURAL FLUID DISTENTION OF THE CAUDAL VENA CAVA CRANIODORSAL ANGULATION OF THE CAUDAL VENA CAVA WIDENING OF THE MEDIASTINUM ENLARGEMENT OF THE LIVER FREE FLUID IN THE ABDOMEN EDEMA

9

3

6 Heart as a “clock” as viewed in the DV/VD projection: 12 Aorta and right auricular appendage 1 Pulmonary Trunk 2-3 Left auricular appendage 3-6 Left Ventricle 6-9 Right Ventricle 9-12 Body of right atrium Body of left atrium sits on top of the clock just caudal to the trachea and between the primary bronchi and bronchi to the caudal lung lobes. The descending aorta overlies the left side of the clock just lateral to the spine. The caudal venal cava is located caudal right lateral to the pericardial sac/heart Heart as a “clock as viewed in the lateral projection: 12 Left auricular appendage Hilar vessels 1-3 Body of left atrium 3-5 Left ventricle 6-8 Right ventricle 9-11 Right auricular appendage Ascending Aorta Pulmonary Trunk


220

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Heart/Pericardial Sac Size

The Chest Wall, Pleural Space and Mediastinum

Width of the pericardial sac plus height of the pericardial sac should be equal to or less than 10.5 thoracic vertebrae in length in the dog; 8.5 thoracic vertebrae in length in the cat.

1. BODY WALL ARTIFACTS SUCH AS DEBRIS ON THE SKIN, NIPPLES, WET HAIR AS WELL AS BENIGN LESIONS SUCH AS A LIPOMA CAN MIMIC LESIONS OF THE RIBS, LUNG OR MEDIASTINUM.

Other measurements used: 3 intercostal spaces as viewed in the lateral projection. 60-65% of the width of the thorax as viewed in the DV projection

2. SUBCUTANEOUS EMPHYSEMA (USUALLY DUE TO TRAUMA OR SUBCUTANEOUS FLUID ADMINISTRATION) CAN MIMIC PLEURAL A LESION.

The size of the pericardial sac is extremely variable in normal animals and amongst breeds of dogs; its size is fairly consistent in mature cats although its orientation may change in cats as they get older being more vertical in young cats and horizontal as they get older. The ascending aorta is also often very prominent in cats as an anatomic variation. Pulmonary Vessels The right and left pulmonary arteries, lobar and segmental arteries as well as segmental and lobar veins are seen in most thoracic radiographs if obtained in inspiration. The cranial lung lobe vessels can be used as a guide to determine normal vascular size. The diameter of the artery or vein at the edge of the cardiac silhouette should be approximately 3/4 the diameter of the 3rd or 4th rib at its narrowest point. The artery and adjacent vein should also be similar in size. The vascular component may be altered if there is hyperperfusion as seen in congenital cardiac abnormalities such as patent ductus arteriosus and septal defects; hypertension as seen in dirofilariasis; congestion as seen in left heart failure, mitral insufficiency and obstruction to venous return; hypoperfusion as seen in congenital heart abnormalities - pulmonic stenosis, tetralogy of Fallot - and in electrolyte or perfusion derangements as occurs with shock and adrenal cortical insufficiency. With left sided heart failure, the vessels initially dilate but remain definable. The veins are usually larger than the arteries. As the disease process continues and fluid leaks out of the vessels the bronchovascular segment begins to look blurred because the fluid is no longer confined completely to the vascular bed but leaks into the interstitial tissues and alveolar spaces. The pulmonary arteries may enlarge subsequent to venous enlargement and prior to pulmonary edema if the heart failure is insidious in onset.

Disease

Artery

Vein

Patent Ductus Art.

Increased

Increased

Septal Defect

Increased

Increased

Pulmonic Stenosis

Decreased

Decreased

Left Heart Failure +/-

Increased

Increased

Shock

Decreased

Decreased

Dirofilariasis

Increased

Decreased

3. PROPER POSITIONING AND RADIOGRAPHIC EXPOSURE REQUIRED FOR THE ANATOMICAL STRUCTURES YOU WISH TO VISUALIZE i.e. an oblique radiograph of the ribs may be required to define a lesion especially if the segment of the rib you are concerned with overlies the liver; horizontal beam radiography is very useful for determining the presence of fluid or gas in the pleural space; if an animal has a-pneumothorax you are likely to have a relatively overexposed radiograph if you use the technical factors considered appropriate for a normal chest whereas if the animal has fluid in the pleural space your exposure may be less than required (underexposed) to penetrate this diseased thorax; the sternum in the V.D. or D.V. projection is better visualized if the body is slightly rotated on its long axis and the spine is not superimposed over the sternum. 4. MOTION IS DETRIMENTAL - It is easy to miss a lesion if the animal was “running a race” when the radiograph was taken! 5. RIBS AND STERNUM - MANY ANATOMIC VARIATIONS OF NORMAL! a. RIBS - Usually 13 pair; the 13th pair may be absent (one or both) or there may be one or a pair of ribs on the first lumbar vertebra (called thoracization of LI). The first or second pair of ribs may be enlarged and articulate with each other. A rib may arise from the seventh cervical vertebra (thoracization of C7). The proximal part of the first few pairs of ribs adjacent to the thoracic vertebrae is normally very big and prominent. The cartilaginous portions of the ribs may or may not be mineralized. If mineralized, the pattern may be punctate and discontinuous which can mimic a pathologic process such as fracture or neoplastic destruction or the pattern may be continuous which is then easily recognized as a normal anatomic situation. Traumatic and neoplastic processes are commonly seen involving the ribs. Infection, changes associated with metabolic diseases (rickets, hypertrophic osteodystrophy, chondrodystrophy, osteodystrophy), changes associated with congenital situations (chondroplastic dwarfs”, mucopolysaccaridosis, multiple cartilaginous exostosis) and changes associated with a systemic disease (hypertrophic pulmonary osteoarthropathy) may also be seen. NEOPLASMS OF RIBS - The primary tumors are usually chondrosarcomas or osteosarcomas. The last eight pairs of ribs are most frequently involved. The neoplastic process results in rib destruction with a soft tissue mass lesion,


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

221

which may be calcified, and displacement of adjacent lung. The mass has a convex border where it encroaches on the lung. The size of the mass that is encroaching on the lung may be hugh compared to what can be seen externally (“ICEBERG EFFECT’).

fection of the sternum is more commonly seen than infection of the ribs possibly because the animal introduces a foreign body or traumatizes this region when it “flops down.” Bifid sternum periodically seen and it may be associated with hernias - abdominal, diaphragmatic.

TRAUMA TO RIBS - See discontinuity of bone as follow rib contour. Two projections may be required to identify all of the rib fractures as rib fractures which are located dorsally may not be dorsally may not be seen in the lateral radiograph. A discontinuity of a rib may not be appreciated if the animal is radiographed shortly after it has been traumatized but may only become apparent a few days later i.e. the fracture fragments may not have been displaced initially or the fragments would not have had a chance for the dead bone to be removed initially whereas in a few day, as the dead bone is removed, the fracture line becomes more obvious. When a rib fracture heals, the callus is usually fusiform in shape but can mimic an exostosis. It is harder to tell if there is a fracture of the cartilaginous portion of a rib from the radiograph unless the cartilage had been mineralized previously and there is displacement following the trauma. Fractured ribs are usually associated with a mild to moderate hemothorax if the intercostal vessels were disrupted. Secondary trauma to the visceral pleural usually results in a pneumothorax and subcutaneous emphysema.

6. PLEURA - Serous membrane covering lungs and lines wall of thoracic cavity. Covers the mediastinum and in places forms the mediastinum. Parietal pleura covers the thoracic wall, diaphragm and mediastinum. Pulmonary pleura (visceral pleura) covers the lung. Cupula of the lung refers to the apical (cranial) portion of each pleural sac which projects into the thoracic inlet. The pleural space is a potential space located between the parietal and visceral pleurae. In pathologic situations gas (pneumothorax) or fluid exudate, transudate, chyle, blood) may accumulate in this space. The type of fluid that has accumulated cannot be determined from the radiograph – a thoracentesis is required in order to make a differentiation such as hydrothorax, empyema, chylothorax, etc. The pleurae and mediastinum divide the thoracic cavity into right and left halves. Some segments of this tissue are very thin and can break easily leading to communication between the two sides of the thoracic cavity - this break usually occurs in the caudal mediastinal region. When a break occurs a bilateral accumulation of gas or fluid will be seen. Unilateral accumulation of gas or fluid may also occur and is most common with empyema of the cat. The pleura (pleural lines) are not usually seen in the normal dog and cat as they are in man because the pleura of these domestic animals is not as thick as it is in man. When pleural lines are visualized, that means one can see the interface between two adjacent lung lobes or lung lobes and body wall - diaphragm on the radiograph. Pleural lines may be seen with pleural fibrosis, fluid accumulation in the pleural space and fluid accumulation in the subpleural lymphatics.

INFECTION OF A RIB - Rare. Can mimic a neoplastic process - bone destruction, soft tissue mass with calcification. Clinical signs and biopsy may be required. Usually occurs secondary to trauma or extension from pleural - lung infection. METABOLIC DISEASES in young animals usually involved the costochondral junction making it enlarged and irregular. MULTIPLE CARTILAGINOUS EXOSTOSIS (DOMINANT INHERITANCE) - seen as an outgrowth from the rib dorsal to the costochondral junction; may appear as a smooth eccentric growth or a large mass lesion. Usually three to six ribs show changes. b. STERNUM - Usually 8 sternebrae, cartilaginous tip of first and last sternebrae may mineralize as separate entities. The sternum may be abnormally deviated dorsally (pectus excavatum, koilosternia, pectus recurvatum) or ventrally (pectus carinatum, pigeon breast, chicken breast, keeled chest). Sternal deformities may be associated with congenital cardiac lesions or vascular ring abnormalities. Pectus excavatum may be associated with recurrent pneumonia because of failure to fully distend lung. The heart is usually displaced from its normal anatomic position by the dorsally deviated sternum. Deformities of the sternum are frequently seen in pups that are unable to walk (swimmers) because the animal places more pressure on the sternum; a residual deformity may persist even though the animal eventually becomes able to walk. Fractures of the sternum are seen with trauma. Degenerative changes of the sternebrae are common especially in large dogs with “flop down” on their sternum when they lie down - these changes often look like vertebral spondyles and can be seen deviating the parietal pleura. In-

PNEUMOTHORAX - The lung is separated from the body wall (parietal and visceral pleurae separated) and the pleural space appears black while the lungs appear opaque. The lungs appear opaque because they are partially collapsed (atelectasis) so they do not contain as much gas in them and they are now surrounded by gas in the pleural space. This condition usually occurs secondary to trauma, dissection of gas along major vessels and bronchi, discontinuity of lung, bronchi, trachea, and esophagus, secondary to infection. Borders of lung can be seen since the collapsed lung will be more opaque than the gas in the pleural space. You must make sure you can distinguish hyperinflated lung from pneumothorax. When a pneumothorax is present, the lung is collapsed and is therefore more opaque, free gas is present in the pleural space so the edge of the collapsed lung can be seen, the vessels in the collapsed lung do not extend to the parietal pleural and the heart may be displaced away from the sternum; When hyperinflated lung is present, the lung is less opaque, free gas is not seen in the pleural space, vessels can be seen extending to the parietal pleura and the heart may be lifted away from the sternum. If you in-


222

sert a transthoracic needle into a chest that you believe is a pneumothorax and it is truly a hyperinflated lung, you may kill the animal!!! FLUID ACCUMULATION IN PLEURAL SPACE - The lung is separated from the body wall and the pleural space appears opaque while the lungs appear radiolucent. While the lungs are partially collapsed, they will still appear darker than the fluid in the pleural space if the lung continues to contain gas. The free fluid in the pleural space can be seen between the lung lobes and ribs as well as between adjacent lung lobes and lung lobes - mediastinum. The cardiac silhouette becomes difficult to visualize especially in the dorsoventral projection where fluid accumulates around the pericardium. WHEN EVALUATING THE PLEURAL SPACE FOR GAS OR FLUID, TAKE THE RADIOGRAPH IN EXPIRATION – OFTEN THE ABNORMALITY IS EASIER TO SEE WHEN THIS IS DONE. 7. MEDIASTINUM - Located between the right and left sides of the thorax. Contains many structures within it - blood vessels, lymphatics, lymph nodes, thymus, heart, esophagus, nerves, etc.; some of these structures are normally seen on a survey radiograph (pericardial sac, caudal vena cava, portion of the aorta) because they are in contact with gas containing lung or contain gas themselves (lumen of trachea). Other structures may be visualized if they contain gas (esophagus). The lymph nodes (tracheobronchial, bronchial, cranial and caudal mediastinal, retrosternal and cranial esophageal) are usually not seen unless they are enlarged. The mediastinum between the right and left cranial lung lobes and the accessory and left caudal lung lobes can be seen in normal animals the soft tissue density is composed of pleural and mediastinal tissue which combine to give a volume of tissue visible in the survey radiography. These lines are seen in the ventrodorsal radiograph while only the tissue between the right and left cranial lung lobes may be seen in the lateral radiograph. The mediastinum between the cranial lung lobes contains thoracic vessels and lymph nodes which accounts for our ability to see this structure in the lateral radiograph. The cardiophrenic ligament, located between the apex of the heart and the diaphragm, can be seen in the lateral radiograph especially if the animal is in inspiration. Fat in the mediastinum can be seen as being slightly less opaque than the heart and slightly more opaque than the aerated lung. This fat can displace the heart away from the sternum as well as mimic a mass lesion in the cranial mediastinum. Obese animals can have their trachea deviated by the fat in the cranial mediastinum. Enlargement of the pericardial silhouette, tracheobronchial and retrosternal lymph nodes can usually be determined in a survey radiograph. The enlarged tracheobronchial lymph nodes usually displace the terminal trachea ventrally and separate the primary bronchi. The ventral deviation is seen in the lateral radiograph while the separation is seen in the ventrodorsal radiograph. An enlarged left atrium will usually displace the trachea dorsally, separate the primary bronchi and push the left primary bronchus more dorsal than the right primary bronchus. An enlarged retrosternal lymph node may be seen dorsal to the second sternebra. Enlarged bronchial lymph nodes must be

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

distinguished from distended vessels especially the right main pulmonary artery that is not always possible in the survey radiograph. Enlargement of the esophagus may be appreciated if this structure contains gas, ingesta or if the esophagus is abnormal caudal to the heart base. The thymus may be seen in the DV (VD) radiograph as a soft tissue structure projecting caudally in the left cranial thorax from the mediastinum - this is a normal anatomic situation in young animals. Lesions of the trachea may be seen if they encroach on the tracheal lumen and are surrounded by the gas in this structure. Enlargement or decrease in size of the caudal vena cava can also be appreciated in the survey radiograph. Alterations in most of the other structures in the mediastinum will require additional studies to determine the structure involved; for example, increased soft tissue volume in the region of the heart base may be caused by an enlarged right atrium, enlarged pulmonary artery (pulmonary truncus), enlarged aorta, heart base tumor, enlarged esophagus or esophageal mass, thymus, ectopic thyroid mass, hemangiosarcoma (especially in German Shepherd), enlarged lymph nodes, tumor of other structures or just a benign accumulation of fat - as you can see a real diagnostic dilemma! Ultrasound, CT, angiography, angiocardiography, esophagoscopy, tracheoscopy, contrast studies of the esophagus, pleurography and other types of oscopies and ographies can be used to help differentiate tissues in the cranial mediastinum. Nuclear medicine is used to visualize ectopic thyroid tissue. When the heart is enlarged, the trachea is often displaced dorsally. A mass lesion in the cranial mediastinum usually displaces the trachea dorsally in the region of the first through fourth intercostal space; however, the trachea can be deviated normally in this location especially if the animal is radiographed while in expiration, if the head/neck are flexed or if there is a lot of fat in the mediastinum The trachea is frequently deviated dorsally and left laterally as an anatomic variation in fat animals and brachycephalic breeds especially bull dogs. Like the pleural space, the mediastinum has a potential space. Fluid or gas can collect within it creating a widened mediastinum or a pneumomediastinum. When gas is present, the ability to see structures such as the cranial vena cava and exterior wall of the trachea will occur. Hyperinflated lung can result in visualization of mediastinal structures and thus mimic a pneumomediastinum—-the left subclavian artery is frequently seen superimposed over the trachea in thin dogs with hyperinflated lungs. Fluid in the mediastinum can cause a localized or generalized distention of this structure and creates a diagnostic dilemma.

References: Textbook of Canine and Feline Cardiology: Principles and Clinical Practice by Fox, Sisson and Moise; W.B. Saunders Company ISBN 0-7216-4044-3 Textbook of Veterinary Internal Medicine by Ettinger and Feldman, W. B. Saunders Company ISBN 0-7216-7256-6 Thoracic Radiography: A text Atlas of Thoracic Diseases of the Dog and Cat by Suter and Lord; ISBN 3-908042-01-1 Canine Cardiology by Ettinger and Suter (1970) SBN 0-7216-3437-0 Current Veterinary Therapy


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

223

Diagnostica per immagini dell’apparato digerente: dal diaframma all’ano Victor T. Rendano VMD, MSC, Dipl ACVR, Dipl ACVR-RO - Veterinary Multi-Imaging PLLC, Lansing, New York, USA

Estratto breve

ESAMI CON MEZZO DI CONTRASTO: APPARATO DIGERENTE

1. Radiologia Esame radiografico in bianco Pasto baritato Clisma baritato Contrastografia con mezzo di contrasto negativo Colografia con mezzo di contrasto negativo Urografia endovenosa Cistografia Uretrografia Vaginografia Peritoneografia Portografia

1. SOLFATO DI BARIO L’autore usa per la valutazione di routine dell’apparato digerente il solfato di bario alla concentrazione del 60-75% peso/volume (P/V) con un agente sospensore. Questa concentrazione fa si che ogni 100 ml di sospensione contengano da 60 a 75 g di bario. Di norma, sull’etichetta di uno di questi prodotti si trovano le seguenti informazioni: solfato di bario USP, 60% P/V, agenti sospensori, simeticone, potassio sorbato, acido citrico, dolcificanti artificiali, aromatizzanti, coloranti, acqua.

2. Endoscopia a. Gastrica (gastroscopia) b. Del colon (coloscopia) 1. Ecografia INDICAZIONI PER ULTERIORI VALUTAZIONI DELL’APPARATO DIGERENTE: 1. Distensione/distorsione/dislocazione gastrointestinale 2. Vomito 3. Melena 4. Ematochezia 5. Dischezia 6. Anoressia 7. Dolore addominale 8. Pneumoperitoneo 9. Ingestione accertata di un corpo estraneo 10. Masse patologiche 11. Diarrea ENTITÀ PATOLOGICHE 1. Volvolo-torsione 2. Neoplasia 3. Trauma 4. Stenosi 5. Corpo estraneo 6. Infiammazione/Infiltrazione 7. Ulcerazione 8. Anomalie muscolari 9. Anomalie neuronali 10. Allergie 11. Linfangectasia 12. Ernie 13. Intussuscezione 14. Parassitosi

DOSAGGIO DEL BARIO LIQUIDO: 2,2 ml/kg per visualizzare l’esofago; somministrare per os 8,8 ml/kg per visualizzare l’apparato gastroenterico; somministrare per os o mediante sonda orogastrica. TEMPO DI TRANSITO NEL GATTO Nel 50% dei gatti, si riscontra una certa quantità di bario nel colon entro 30 minuti dalla somministrazione. Nel 90% dei gatti si riscontra una certa quantità di bario nel colon entro 45 minuti dalla somministrazione. Le radiografie vanno riprese immediatamente e poi 15, 30-45 e 120 minuti dopo la somministrazione del bario. TEMPO DI TRANSITO NEL CANE Il 50% dei cani mostra una certa quantità di bario nel colon entro due ore dalla somministrazione. Il 90% dei cani mostra una certa quantità di bario nel colon entro 4 ore dalla somministrazione. 2. SOLFATO DI BARIO IN PASTA Viene utilizzato principalmente negli esami radiografici per la valutazione della faringe e dell’esofago. Le radiografie vanno riprese poco dopo la somministrazione del mezzo di contrasto. Il mezzo di contrasto viene commercializzato sotto forma di tubo simile a quello del dentifricio: l’autore usa da 2,5 a 25 cm di mezzo di contrasto. 3. MEZZO DI CONTRASTO IDROSOLUBILE PER L’ESAME DEL TRATTO GASTROENTERICO Il gastrografin (meglumine diatrizoato) non è più commercializzato


224

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Altri agenti idrosolubili utilizzabili in mancanza del gastrografin: Renografin Conray Ipaco Omnipac Utilizzare nei seguenti casi esami dopo enterotomia sospetta perforazione dell’apparato digerente sospetta peritonite a fine giornata nei cani Il 6% circa del mezzo di contrasto viene assorbito attraverso l’intestino ed è successivamente filtrato dai reni ed opacizza il sistema urinario PNEUMOESOFAGOGRAFIA E PNEUMOGASTROGRAFIA Inserire una sonda orogastrica nell’esofago o nello stomaco. Infondere da 11 a 17,5 cc di aria per kg di peso corporeo. Effettuare la ripresa di immagini radiografiche dell’addome in proiezione laterolaterale sinistra e destra per la valutazione dello stomaco. Effettuare la ripresa di radiografie in proiezione laterolaterale del torace per esaminare l’esofago. QUANTO MEZZO DI CONTRASTO POSITIVO SI DEVE SOMMINISTRARE? 1. Bario in sospensione: somministrazione per os 2,2 ml/kg per l’esofago 8,8 ml/kg per il tratto gastroenterico 2.

3.

Mezzo di contrasto idrosolubile: somministrazione per os – 2,2 ml/kg. Questa dose può essere diluita con acqua secondo il rapporto di una parte di mezzo di contrasto per una o due parti di acqua, specialmente se è iperosmotico rispetto al siero. Clisma baritato: somministrato 4,4-8,8 ml/kg

PREPARAZIONE DELL’ANIMALE PER IL PASTO BARITATO Assicurarsi che l’animale non abbia ingerito un’abbondante quantità di cibo nelle 12 ore che precedono l’esame, se questo non viene effettuato in condizioni di urgenza. È possibile offrire acqua ed alimenti non voluminosi come un brodo o Jell-O fino a 2 o 3 ore prima dell’esame. Portare l’animale fuori ad urinare e defecare prima dell’esame. Nella maggior parte dei casi, si ottiene un’evacuazione sufficiente. Se il soggetto si rifiuta di defecare, gli si può somministrare una supposta mezz’ora prima dell’esame – ciò di solito consente di ottenere il risultato desiderato. L’autore non è un fervente promotore dei clismi per preparare i pazienti da sottoporre a pasto baritato. Quando decide di praticare un clisma ad un animale, utilizza il Fleets (fosfato sodico), acqua o soluzione salina isotonica somministrata lentamente ad una temperatura più bassa di quella del corpo dell’animale. La sacca da enteroclisma non viene sollevata per più di 45 cm rispetto al livello dell’ano. Il colon del cane e del gatto è un semplici tubi – privo di tasche e recessi – e può essere evacuato con facilità. Non c’è bisogno di eliminare anche l’ultimo frammento di feci dal lume del viscere se si sospetta un problema dello stomaco o del tenue. In questo modo esiste il ri-

schio di causare una tossiemia ed indurre gravi alterazioni elettrolitiche con un clisma. SOMMINISTRARE IL MEZZO DI CONTRASTO E POI EFFETTUARE LA RIPRESA DELLE RADIOGRAFIE NEL MODO SEGUENTE: CANE: TEMPO DOPO LA N. DI SOMMINISTRAZIONE RADIODEL MEZZO GRAFIE DI CONTRASTO

PROIEZIONE

2

15 MINUTI

LATEROLATERALE, DV/VD

1

30 MINUTI

LATEROLATERALE*

1

60 MINUTI

LATEROLATERALE*

1

120 MINUTI

LATEROLATERALE*

1

240 MINUTI

LATEROLATERALE*

* LA RIPRESA DELLE IMMAGINI IN PROIEZIONE DV o VD VIENE EFFETTUATA IN CASO DI NECESSITÀ – ANIMALI MAGRI – DI SOLITO SI EFFETTUANO SOLO LE RIPRESE LATEROLATERALI; ANIMALI TONDI – SPESSO SI EFFETTUANO RIPRESE LATEROLATERALI E VD.

(Una certa quantità del mezzo di contrasto deve giungere nel colon entro 4 ore. In caso contrario, si effettua una ripresa a distanza di 8 ore dalla somministrazione o il mattino successivo se il mezzo di contrasto è stato somministrato alla sera). GATTO: TEMPO DOPO LA N. DI SOMMINISTRAZIONE RADIODEL MEZZO GRAFIE DI CONTRASTO

PROIEZIONE

2

1 MINUTO

LATEROLATERALE, DV/VD

1

5 MINUTI

LATEROLATERALE*

1

15 MINUTI

LATEROLATERALE*

1

30 MINUTI

LATEROLATERALE*

1

45 MINUTI

LATEROLATERALE*

* LA RIPRESA DELLE IMMAGINI IN PROIEZIONE DV o VD VIENE EFFETTUATA IN CASO DI NECESSITÀ.

Il tempo di transito normale nel gatto è di circa 45 minuti. Se, trascorso tale periodo, il mezzo di contrasto non compare nel colon, effettuare la ripresa di un’altra radiografia a distanza di 2 ore dalla somministrazione CHE DIRE DELLE BIPS E DI ANALOGHI SISTEMI DI MONITORAGGIO GASTROENTERICO: L’autore preferisce utilizzare il bario piuttosto che le BIPS (barium impregnated polyethylene spheres, sfere di polietilene impregnate di bario), perché è più costante nell’attraversare l’intestino e definire le lesioni intestinali.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Estratto completo Survey Barium Series Barium Enema Negative Contrast Gastrogram Negative Contrast Colonogram Intravenous urogram Cystograms Urethrogram Vaginogram Peritoneogram Portogram

2. Endoscopy: a. Stomach (gastroscopy). b. Colon (colonoscopy). 3. Ultrasound: 4. Laporoscopy 5. CT/MRI/Nuclear medicine

INDICATIONS FOR FURTHER EVALUATIONS OF THE DIGESTIVE SYSTEM: 1. Gastrointestinal distention/distortion/displacement 2. Vomiting 3. Melena 4. Hematochezia 5. Dyschezia 6. Anorexia 7. Abdominal pain 8. Pneumoperitoneum 9. Observed consumption of a foreign body 10. Mass lesion 11. Diarrhea DISEASE ENTITIES: 1. Volvulus – torsion 3. Trauma 5. Foreign body 7. Ulceration 9. Neuronal abnormalities 11. Lymphangiectasia 13. Intussusception

2. Neoplasia 4. Stenosis 6. Inflammation/Infiltration 8. Muscular abnormalities 10. Allergies 12. Hernias 14. Parasitism

NORMAL ANATOMY: 1. Stomach: The stomach has four regions - cardia, fundus, body, and pylorus. In the dog, the body and pylorus are located at the level of the 10th to 12th intercostal spaces as viewed in the lateral projection. The cardia lies just caudal to the diaphragm in the region of the esophageal hiatus. The pylorus appears as a circular structure containing gas, if the animal

225

is in left lateral recumbency, or fluid if the animal is in right lateral recumbency (Often mistaken for a soft tissue opacity mass or foreign body) and is located at approximately the level of the costochondral junction. The long axis of the stomach courses approximately parallel to the ribs. In normal animals, its axis will vary depending on the stage of respiration, size of the liver, and the degree of gastric filling. In the ventrodorsal radiograph, the cardia, fundus, and body are located to the left of the midline and the pylorus is located to the right of the midline in the dog. The stomach is usually within the confines of the rib cage and perpendicular to the spine. Rugal folds can be seen in the stomach especially if the stomach is mildly distended with gas. The rugae are most prominent in the cardia and pyloric regions. Their prominence will decrease with gastric distention and increase with gastric emptying. In the cat, the pyloric region is more of a midline structure as viewed in the ventrodorsal projection. The cardia/body portions of the empty stomach will appear as a circular soft tissue opacity approximately 2-3 cm in diameter to the left of the midline and just caudal to the liver. 2. Small Intestines: The duodenum originates at the pylorus, courses cranially for one to two inches, then courses caudally along the right body wall to the level of L5-6. It then courses cranially as a midline structure as viewed in the ventrodorsal projection. The duodenum is described as having different regions which are: proximal duodenal flexor, descending duodenum, caudal duodenal flexor, and ascending duodenum. In the dog, depressions of mucosa are seen in the duodenum; these are normal structures called “pseudoulcers” as they can mimic an ulcer. The duodenum of the cat is often segmented because of muscular (peristaltic) activity. The jejunum is a mid-abdominal structure and is visualized most easily when there is fat in the mesentery/omentum, falciform ligament and gas in the bowel. The ileum is the terminal portion of the small bowel and enters the colon (ileocolic junction) to the right of the midline as viewed in the ventrodorsal projection and in the dorsal portion of the abdomen at the level of L4 as viewed in the lateral projection. 3. Large intestines: The cecum in the dog is located to the right of the midline in the ventrodorsal view adjacent to L2-4. It has a corkscrew or curved appearance in the dog but is a single ‘V’ shaped pouch entering into the colon in the cat. The colon has ascending, transverse and descending components. The ascending component is located to the right of the midline and is situated dorsally, the transverse colon courses from the right to the left side of the abdomen caudal to the liver, stomach, and head of the spleen(The transverse colon appears circular in configuration and lies just caudal to the stomach: this structure is frequently mistaken for a mass lesion as viewed in the lateral abdominal radiograph). The descending colon usually lies adjacent to the left body wall though it may swing to the midline or a right-


226

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

sided position in the mid- and distal regions especially in obese animals, when the colon is distended with fecal material, when the urinary bladder is distended or when the animal was in right lateral recumbency prior to being placed in dorsal recumbency. The colon has the appearance of a “question mark” as viewed in the ventrodorsal projection. Portions of the colon may be superimposed over the cardia of the stomach as viewed in the lateral projection and superimposed over the stomach just caudal to the left crus of the diaphragm in some animals. The ascending colon will frequently be indented along its medial wall adjacent to the cecum at the site where the ileum enters the ascending colon; this indentation represents the ileocolonic sphincter. The rectum is located in the pelvic canal.

CONTRAST STUDIES: DIGESTIVE SYSTEM 1. BARIUM SULFATE I use 60 to 75% weight per volume (w/v) concentration of barium sulfate with a suspending agent for routine evaluation of the digestive system. The 60-75% weight per volume means 60 to 75 grams of barium sulfate in each 100 ml of suspension. Typical information stated on a label of a barium container: 60% w/v barium sulfate USP, suspending agents, simethicone, potassium sorbate, citric acid, artificial sweeteners, flavoring, coloring, water DOSAGE OF LIQUID BARIUM: 1 ml/lb to visualize the esophagus; given per os. 4 ml/lb to visualize the gastrointestinal system; given per os or via orogastric tube. CAT TRANSIT TIME 50% of cats have some barium in colon within 30 minutes of administration. 90% of cats have some barium in the colon within 45 minutes of administration. Radiograph-immediate, 15, 30-45 and 120 minutes after barium administered. DOG TRANSIT TIME 50% of dogs have some barium in the colon within 2 hours of administration. 90% of dogs have some barium in the colon within 4 hours of administration. Radiograph- 15, 30, 60, 120, 240 minutes and 8 hours after barium administration. The contrast study of the GI tract is not completed until a lesion has been defined or contrast medium enters the colon; some cases require contrast medium to be almost completely out of stomach before you see a gastric lesion or a foreign body.

2. BARIUM SULFATE PASTE Used mostly in radiographic examinations to evaluate the pharynx and esophagus Radiograph shortly after administration of the medium. Contrast medium comes out of tube like tooth paste; I use 1 to 10 inches of the medium. 3. WATER SOLUBLE CONTRAST MEDIUM FOR Gl STUDY Gastrografin-no longer being sold. Other water-soluble agents that can be used if Gastrografin is not available: Renografin Conray Hypaque Omnipaque Used when: post-enterotomy study suspect perforation digestive system suspect peritonitis late in the day in dogs; Water soluble contrast medium is a clear liquid, not pleasant tasting and dries as a white crystalline material. The agent is hyperosmotic so it becomes diluted with body fluids as it traverses the bowel. It may dehydrate a small patient or initiate a shock crises in an already dehydrated patient. I usually administer 30 to 120 ml of this agent after diluting it with tap water at a ration of one part water soluble contrast medium in to one or two parts water. Approximately 6% of the medium is absorbed through the bowel which is subsequently filtered by the kidneys and opacifies the urinary system.

POSITIVE CONTRAST PERITONEOGRAM FOR HERNIA EVALUATION Place a needle or catheter into abdomen-inserted the needle/catheter to the right of midline just caudal to umbilicus. *Inject 1 ml water-soluble contrast medium (warmed to body temperature) per lb of body weight *Massage abdomen *Obtain lateral, DV or VD views

PNEUMOESOPHOGRAM & PNEUMOGASTROGRAM Place an orogastric tube into the esophagus or stomach Infuse 5 to 8 CC of air per pound body weight. Obtain left and right lateral radiographs of the abdomen to evaluate the stomach. Lateral radiograph of the chest to evaluate the esophagus.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

WHICH CONTRAST AGENT SHOULD I USE? I use a barium suspension in all studies unless I suspect a bowel perforation as evidenced by peritonitis or free abdominal gas in the survey radiographs or if biopsy or gastrotomy/enterotomy has recently been performed (within 7 days). If I suspect bowel perforation, I use water-soluble contrast medium. Barium sulphate is irritating to the peritoneum and will frequently result in the demise of the animal if peritoneal spoilage with a lot of barium occurs. If water soluble contrast medium enters the peritoneal cavity through a perforation, it is much less irritating. Barium can be used even if surgery is contemplated or highly probable. Hopefully, the gastrotomy or enterotomy site will not slip out of your hands and allow barium to soil the peritoneal cavity. A small amount of barium spillage is well tolerated. Contrast Material pros and cons: 1. Barium suspension. a. Advantage 1. Coats the gastrointestinal tract well. 2. Excellent opacity. 3. Usually does not become diluted since it does not draw fluid into the bowel unless there is disease with associated loss of fluids into the GI lumen. 4. Reasonable cost. 5. Usually taken by the animal without much difficulty. b. Disadvantage. 1. Very irritating to the peritoneum. 2. Slower transient time. 2. Water-soluble agent. a. Advantage. 1. Not as irritating to the peritoneum. 2. Rapid transient time. b. Disadvantage. 1. Some are hypertonic - if it is, it tends to dehydrate the patient. 2. Becomes diluted. Medium draws fluid into the bowel or mixes with fluid already in the bowel. 3. Unpleasant tasting. 4. Expensive relative to barium 5. Irritates the mucosa resulting in a pylorospasm in the cat. I do not use barium that does not contain a suspending agent. Plain barium sulphate does not coat the mucosal surface well, flocculates, and does not give a continuous column of barium when traversing the bowel. Flavored barium suspension can be purchased or mixed at home - the flavored suspensions are often taken by fastidious animals that refuse unflavored barium suspensions. Since undiluted water soluble contrast medium can have an osmolality approximately six times that of serum, it can dehydrate a small or debilitated animal. If I am going to use this medium, I dilute it with water at a ratio of: 1 part water soluble contrast medium:1 to 2 parts water if it is greater than 2X the osmolality of serum. In normal animals, some water soluble contrast medium will be absorbed from the bowel and excreted by the kidneys allowing for renal and bladder visualization.

227

Room air can be introduced into the stomach to help visualize a foreign body (especially good for hair balls in cats). I do the procedure by advancing a nasogastric or orogastric tube and administer 8 CC/pound of room air, I take left and right lateral recumbent radiographs. WAYS TO ADMINISTER THE CONTRAST MEDIUM: 1. Pour the contrast material into the buccal pouch created by pulling the lip away from the teeth. 2. Nasogastric intubation. 3. Orogastric intubation. HOW MUCH POSITIVE CONTRAST DO I GIVE? 1. Barium suspension: orally administered 1 ml/pound for esophagus 4 ml/pound for the gastrointestinal tract. 2. Water soluble contrast medium: orally administered 1 ml/pound. This can be diluted with water at a ratio of 1 part medium to 1 or 2 parts water especially if it is hyperosmotic to serum. 3. Barium enema: administered - 2 to 4 ml/pound. ANIMAL PREPARATION FOR UPPER GASTROINTESTINAL STUDY: Make sure the animal has not been fed a bulk food for 12 hours before radiographic examination if it is an elective procedure. You may give water and a non-bulk food such as a broth or Jell-O up to 2 to 3 hours before the study. Take the animal out to urinate and defecate before the study. Most of the time, the animal will evacuate sufficiently. If the animal refuses to defecate, you can give it a suppository one-half hour before performing the study - this usually does the job. I am not a big proponent of enemas for upper gastrointestinal series. If I want to give the animal an enema, I use a Fleets, water or isotonic saline enema administered slightly below the animal’s body temperature. I do not raise the enema bag greater than 18 inches higher than the anus. The dog colon and cat colon are simple tubes - no haustra - and can easily be evacuated. There is no need to remove every last bit of feces from the colon if you suspect a gastric or small intestinal problem. You can cause toxemia and create severe electrolyte changes with an enema. If it is not an elective procedure, I usually perform the study as the animal presents unless there is considerable ingesta in the stomach. Ingesta in the stomach can mimic a space occupying lesion. RESTRAINT OF ANIMALS SCHEDULED FOR STOMACH AND SMALL INTESTINAL STUDIES: If the animal will stay without chemical restraint, then do not use any. If the animal will not stay in position despite attempts to restrain it with various non-traumatic means, then try giving the animal some acepromazine (dogs), ketamine/valium, acepromazine/ketamine or acepromazine/valium (cats) to quiet the animal. Do not give atropine as it may affect gastrointestinal motility and sphincter function. General anesthesia usually results in failure of the contrast to be propelled through the gastrointestinal tract and is not used. If the animal does not stay despite tranquilization, you may have to hold it; then keep the number of radiographs to a


228

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

minimum. Cats and small dogs can be placed in a restraint bag. You can place a cloths pin on the scruff of the neck of cats and they will often stay where you put them. Many animals will stay in lateral recumbency with friendly reassurance so no one needs to hold them especially if they are made comfortable by using foam pads; however, there are some animals who will not stay even for the lateral radiograph. Remember to “keep your cool” you will probably have to hold these animals. If you must hold, wear a gown, gloves, film badge, and keep out of the primary beam. CONTRAST TRANSIT TIME: 1. Water-soluble contrast material. Traverses the intestines in approximately 30 to 90 minutes - time entered stomach to time reaches colon. 2. Barium suspension. It usually takes 30 to 45 minutes to traverse the intestines in the cat and 120-240 minutes in the dog. The colon is usually filled within six hours after oral administration in the dog and two hours in the cat and may contain barium for 2 to 3 days after oral administration. Barium in the colon which has arrived there via the oral route usually shows a cracked or “broken” contrast column mixed with feces. If I am looking for a colonic problem, I usually do not use the upper gastrointestinal study unless I suspect a mass lesion at the ileocolic area. If I suspect an ileocolic or cecocolic intussusception or colonic lesion, I use a contrast colonogram or colonoscopy. It is common to see some residual barium in the stomach six hours post-oral administration. WHAT RADIOGRAPHS DO I TAKE? Survey radiographs. Left or right lateral and ventrodorsal or dorsoventral are routinely obtained. If a diagnosis can be made from these (gastric volvulus, torsion, radiopaque foreign body, intussusception), I do not recommend that additional radiographs be obtained in most cases. If the survey radiographs are not contributory to the diagnosis or additional information is needed relative to a lesion that is already identified, I then administer the contrast agent and take the following radiographs. ADMINISTER THE CONTRAST MEDIUM THEN TAKE FILMS POST ADMINISTRATION AS FOLLOWS: CANINE: # OF RADIOGRAPHS

TIME AFTER CONTRAST GIVEB

VIEWS

2

15 MINUTES

LATERAL, VD/DV

1

30 MINUTES

LATERAL*

1

60 MINUTES

LATERAL*

1

120 MINUTES

LATERAL*

1

240 MINUTES

LATERAL*

*VD OR DV VIEW TAKEN AS NEEDED—THIN ANIMALS—USUALLY ONLY TAKE LATERALS; ROUND ANIMALS-OFTEN TAKE LATERAL AND VD PROJECTIONS.

(Some the contrast medium should be in the colon by four hours. If is not, then take an eight hour radiograph postadministration or radiograph the animal the next morning if it is late in the day)

THERE IS NEVER A NON-DIAGNOSTIC CONTRAST STUDY IF YOUR TECHNIQUE IS GOOD? CAT: # OF RADIOGRAPHS

TIME AFTER CONTRAST GIVEB

VIEWS

2

1 MINUTE

LATERAL, VD/DV

1

5 MINUTES

LATERAL*

1

15 MINUTES

LATERAL*

1

30 MINUTES

LATERAL*

1

45 MINUTES

LATERAL*

*VD OR DV VIEW TAKEN AS NEEDED

Normal transit time in the cat is approximately 45 minutes. If the contrast medium is not in the colon by 45 minutes, take another radiograph 2 hours post-administration. In most cases, additional radiographs are not taken after a lesion is visualized (i.e., if I can visualize a non-opaque foreign body on the 30 minute films, the animal is not radiographed further. Taking right or left lateral and ventrodorsal or dorsoventral radiographs will help delineate different regions of the gastrointestinal tract with the positive contrast agent. The right lateral view shows the pylorus of the stomach filled with barium whereas the left lateral view will show the cardiac and fundic region of the stomach filled with barium. The ventrodorsal view shows the cardia and fundus filled with barium and the dorsoventral view shows the body and pylorus filled with barium. One must be practical with the number of films which are taken during the course of a barium series. I will often take right or left lateral and ventrodorsal or dorsoventral radiographs five minutes post-administration of the contrast material, then I take just lateral radiographs, especially in thin, narrow dogs, unless I see something suspicious at which time I will take the ventrodorsal radiograph. To a certain extent, the fewer films taken, the more likely one is to miss a lesion but one must be practical! BARIUM ENEMA: Animal Preparation and Procedure: Most of the time, the colon should be evaluated endoscopically rather than radiographically. Most lesions are easier to detect by looking up the colon. If you want to do a barium enema then the colon must be thoroughly cleaned which means no solid food per os for 12 hours and an enema to remove feces from the colon. Feces in the colon can definitely mimic some lesions and hide others so the colon must be thoroughly cleaned. When I am giving the enema, I remem-


46째 Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

ber that I am doing the study because I suspect a diseased colon, I do not hold the enema bag above 18 inches over the anus and I gently perform the cleansing procedure. I use water or isotonic saline that is slightly below body temperature and I am conservative with the amount of water that I let flow into the colon and the rate with which I let it enter. After the enema is given, I radiograph the animal to make sure the colon is clean (only one view is needed to determine if the colon is clean). The animal is then anesthetized or sedated, I insert a tube or dosing syringe through the anus into the rectum and infuse barium slowly using a diluted barium suspension (15%W/V). I take radiographs after infused approximately two-thirds of calculated dose. If the colon is not completely filled, then I infuse the rest of the calculated dose and re-radiograph the animal. I review the radiographs that have been taken at this time to assess the shape of the colon and to determine if I have been able to visualize the proximal portion of the colon. Sometimes the cecum and terminal ileum will also be visualized. If the proximal portion of the colon has not been visualized and there is no obvious obstruction to retrograde barium flow, I will give more contrast medium until the ascending colon is visualized. After the ascending colon has been visualized, I allow the contrast material to flow out the anus from the colon and into a pan or bowl. The outflow can be assisted by raising the cranial part of the abdomen and pressing on the abdomen. I then infuse air into the colon at the rate of 6m1 per pound using a dosing syringe or a syringe attached to a catheter which has be advanced retrograde into the descending colon to produce a double contrast study of the colon - these are pleasant to look at radiographically - take the ventrodorsal and lateral radiographs and evaluate the study as you did with the straight barium study. A third alternative is to not infuse barium but to just infuse air. Much less messy, often gives a good diagnostic air colonogram. If you suspect a rectal lesion, it is best to evaluate this region by a rectal palpation or visualization/proctoscopically. It is always a dangerous procedure to administer barium per anus when you cannot visualize the entrance of the contrast material into the colon fluoroscopically. WHAT ABOUT BIPS AND SIMILAR GI MONITORING SYSTEM: I prefer to use barium rather than BIPS. The barium is more consistent in traversing the bowel and defining bowel lesions. GENERAL COMMENTS: A contrast study of the stomach and intestine often does not reveal the etiology for diarrhea especially if no history of anorexia or vomiting is present; however, periodically you will detect an unexpected lesion such as a chronic intussusception, radiolucent foreign body, or infiltrative neoplastic process. Barium can also be used therapeutically as I have noted improvement in animals with chronic diarrhea given barium. The barium may act as an absorbent of toxins or affect the myenteric plexus. The stomach and small intestine usually contain some gas. The large intestine has a transverse diameter larger than the small intestine. The duodenal diameter may be almost as large as the colon in a normal dog.

229

The transverse diameter of the small intestine should not be larger than 3.5 times the transverse diameter of the last rib, in the dog. If the small intestine has a transverse diameter larger than four times that of the last rib, consider this a pathological dilatation. The transverse diameter of the small intestine should not be larger than 1.5 times the transverse diameter of the femur in the cat. If the small intestine has a transverse diameter larger than 1.5 times that of the femur, consider this a pathological dilatation. Then the problem is to decide if the dilatation is secondary to an obstructive process (obstructive ileus, mechanical ileus such as a foreign body, or intussusception) or due to a non-obstructive process (non-obstructive ileus such as an electrolyte imbalance, neurological, or vascular problem). The contrast study helps in making the differentiation.

POSITIVE CONTRAST PERITONEOGRAPHY 1. Radiography is an effective way of diagnosing diaphragmatic discontinuities. The size of the animal and its clinical status dictate the radiographic projections that can be obtained and the types of contrast studies which can be performed. The radiographic examination should be performed with as little patient stress as possible. Survey radiography may not be conclusive in identifying the diaphragmatic hernia. The type of contrast study requested and its value in making a diagnosis will be influenced by the type of hernia and organ displacement. This presentation will demonstrate the value of positive contrast peritoneography in making the diagnosis of diaphragmatic hernia. 2. TECHNIQUE: a. Free fluid in the peritoneal or pleural spaces should be aspirated prior to intra-peritoneal injection of the contrast medium. b. Sedatives or anesthetics need only be given if the animal cannot be easily restrained and its clinical status would permit their utilization. c. The animal should be placed in left lateral recumbency. d. An area is prepared aseptically to the right of the midline near the umbilicus. e. A 5.0 cm IV catheter is used to make the injection. The catheter is inserted into the peritoneal cavity and a syringe attached to it. f. Aspiration is attempted to determine if a viscus or vessel has been entered; if all goes well, they should not have been. If a viscus or vessel was entered, remove the catheter and insert a new one. g. Positive contrast medium (Iohexol, Hypaque, Conray etc., is warmed to body temperature and injected into the peritoneal cavity at a dose of l.5m1/kg of body weight during a 10 to 30 second interval. h. The catheter is removed and the animal is rotated one complete turn on its longitudinal axis. During rotation, the abdomen is balloted to move the contrast medium cranially. i. Dorsoventral or ventrodorsal and lateral radiographs are made.


230

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

3. If a patent diaphragmatic rent is present, contrast medium will be seen in both the abdominal and thoracic cavities (pleural and/or pericardial). If a viscus is occluding the rent in the diaphragm, the normal diaphragmatic contour will be obscured but contrast will not enter the thoracic cavity.

7. Obtain your first radiograph 10 seconds after you finish the injection. This should be a VD radiograph. You should see the kidneys (nephrographic phase of the study). 8. Remove as much urine from the bladder as possible.

GENERAL COMMENTS A minimum amount of equipment is required to perform the procedure; the procedure is brief. Sodium iodine and water—soluble radiopaque contrast medium intended for oral administration and barium sulfate should not be used for peritoneography. Care should be taken not to spill contrast medium on the skin and hair coat during the procedure. This spilled material may appear over the thoracic cavity and may be misdiagnosed as medium in this cavity i.e. lead to a misdiagnosis of diaphragmatic hernia. Misdiagnosis may also result if the contrast medium is inadvertently injected into the thoracic cavity or in animals where a paracostal hernia and an intercostal tear allows contrast medium to enter the pleural space without passing through the diaphragm. This procedure can be used to diagnose other types of hernias—umbilical, post-surgical, inguinal, paracostal etc. INTRAVENOUS UROGRAM NEGATIVE CONTRAST CYSTOGRAM POSITIVE CONTRAST URETHROGRAM POSITIVE CONTRAST VAGINOGRAM 1. Assure there is no ingesta in the stomach or extensive fecal material in the colon. Do not dehydrate the animal. Only withhold water for 12 hours prior to anesthesia. You can feed the animal a non-bulk food (broth, Jell-O) the night before the study. Do not traumatize the colon with extensive enemas. 2. Anesthetize the animal and obtain good quality lateral and ventrodorsal abdominal radiographs. 3. Insert a catheter into the cephalic vein. 4. Insert a catheter into the urinary bladder. 5. Stabilize the animal in dorsal recumbency and have your radiographic unit ready to obtain your first radiograph. 6. Inject water-soluble contrast medium into the vein at a dosage of: 1 ml/lb for the first 50 lbs. 1 ml/each additional 2 lbs. 35 lb animal 35 ml contrast medium 100 lb animal 75 ml contrast medium I routinely use Hypaque, Conray or Renografin in stabilized animals; iohexol in small dogs and cats and very sick animals.

9. Inflate the bladder with air or CO2 at a dosage of 2-4 ml/lb of body weight. 10. Obtain a VD radiograph 5 minutes after injection of the positive contrast medium into the vein. You should see the collecting system of the kidneys and the ureters. 11. Obtain VD and lateral radiographs 15 minutes after injection of contrast medium into the vein. You should see the collecting system of the kidneys, the ureters and a double contrast cystogram. 12. You can perform a positive contrast urethrogram as you withdraw the catheter. Inject positive contrast medium as the catheter is being removed. Take the radiograph while you are injecting and just before the catheter exits from the urethra or when you see contrast medium leaking out of the urethra. 13. You can obtain VD oblique projections to further define the ureters and prostatic/intrapelvic urethra. 14. You can inflate the bladder further with gas after the 5minute post injection radiograph if the bladder is not distended when this radiograph is reviewed. 15. You can take lateral radiographs at 10 seconds and 5 minutes post-injection if you so desire. 16. You can distend the vagina with positive contrast medium to further evaluate this structure. A POSITIVE CONTRAST VAGINOGRAM IS RECOMMENDED FOR COMPLETENESS OF THE EVALUATION. PLACE CATHETER IN CAUDAL PART OF VAGINA. OCCUDE EXTERNAL ORIFICE WITH COTTOR OR USE A BALLOON CATHETER. INJECT POSITIVE CONTRAST MEDIUM (5-15 ML) TAKE LATERAL RADIOGRAPH. TAKE VD OBLIQUE RADIOGRAPH AS NEEDED. SOME RADIOLOGISTS PREFER TO HAVE THE ANIMAL IN LEFT LATERAL RECUMBENCY WHEN PLACING GAS INTO THE BLADDER SINCE THIS POSITION WILL HELP THE ANIMAL RECOVER IF AN AIR EMBOLUS DEVELOPS; OTHERS PREFER THE RIGHT LATERAL POSITION SINCE THIS HELPS DECREASE RENAL OVERLAP. IF YOU SUSPECT THE ANIMAL HAS DEVELOPED AN AIR EMBOLUS DURING THE PROCEDURE. IMMEDIATELY DEFLATE THE BLADDER AND PLACE THE ANIMAL IN LEFT LATERAL RECUMBENCY.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

DOUBLE CONTRAST CYSTOGRAM

231

URETHROGRAM ONLY: 1. Assure the colon is empty.

1. Assure the colon is empty. 2. Obtain survey lateral and VD 45 degree right lateral oblique (animal placed on back and rotated 45 degrees to the right) radiographs. 3. Catheterize urinary bladder and empty it completely. 4. Inject water-soluble iodinated contrast medium into the urinary bladder 2-6 CC TOTAL DOSE Examples: 5 LB DOG/CAT INJECT 2 CC 50-80 LB DOG INJECT 6 CC 5. Distend bladder with gas: carbon dioxide best to use but room air most frequently used 4 CC PER POUND Examples: 5 LB DOG/CAT INJECT 10-20 CC GAS 50 LB DOG INJECT 100-200 CC GAS 6. Repeat radiographic projections-lateral and oblique views. 7. Depending on findings and clinical situation may elect to do a positive contrast urethrogram and/or vaginogram. Some radiologists prefer to have the animal in the left lateral position when placing gas into the bladder since this position may help the animal recover if a gas embolus develops while others prefer the right lateral position since this helps decrease renal overlap. IF THE ANIMAL HAS DEVELOPED AN AIR EMBOLUS DURING THE PROCEDURE, IMMEDIATELY DEFLATE THE BLADDER AND PLACE THE ANIMAL IN LEFT LATERAL RECUMBENCY. If you need to do a trans-thoracic right ventricular needle aspirate to remove gas from the ventricle, prognosis is usually grave. CPR can be used as part of the supportive therapy.

POSITIVE CONTRAST URETHROGRAM Procedure varies depending on if cystogram performed just prior to urethrogram:

2. Obtain survey lateral and VD 45 degree right lateral oblique (animal placed on back and rotated 45 degrees to the right) radiographs. 3. Place catheter in the terminal portion of urethra; use a balloon catheter or place a regular catheter in the urethra and then occlude the terminal portion of the urethra with a clamp or tie in the male, cotton or gauze in the vestibule of vagina in the female. 4. Inject water-soluble iodinated contrast medium into the urethra 3-15 CC TOTAL DOSE Examples: 5 LB DOG/CAT INJECT 3 CC 20 LB DOG/CAT INJECT 5 CC 50-80 LB DOG INJECT 10 CC > 80 LB DOG INJECT 15 CC 6. Obtain lateral radiograph while completing the injection; best results obtained if the radiograph is taken while the injection is being made. 7. Obtain VD 45 degree right lateral oblique radiograph. You can repeat the injection of contrast medium as needed to defined the urethra. If the contrast medium enters the surrounding soft tissues or infiltrates the prostate, it usually does not create a problem independent of any underlying disease process. URETHROGRAM AFTER A CYSTOGRAM: 1. Catheter usually in bladder and cystogram completed. 2. Fill catheter with positive contrast medium. 3. As catheter is slowly withdrawn from bladder through urethra inject positive contrast medium—usually requires 5 to 15 ml of medium as a total dose. 4. As soon as you see the medium leaking out of the urethra, take a lateral radiograph. You should be injecting the medium when this radiograph is being obtained. 5. Take the VD oblique radiograph. If the urethra cannot be seen, you can place the catheter in the terminal portion of the urethra, re-inject the medium and repeat this view.


232

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Risonanza magnetica e tomografia computerizzata a confronto: come funzionano e cosa mi fanno vedere? Victor T. Rendano VMD, MSC, Dipl ACVR, Dipl ACVR-RO - Veterinary Multi-Imaging PLLC, Lansing, New York, USA

Estratto breve Radiologia, ecografia, tomografia computerizzata (TC), risonanza magnetica (MRI) e medicina nucleare sono le modalità diagnostiche attualmente utilizzate di routine in medicina veterinaria.

TOMOGRAFIA COMPUTERIZZATA (TC/TAC) La tomografia computerizzata si basa su molti degli stessi principi della radiografia convenzionale. Si utilizza un tubo radiogeno per produrre raggi X che vengono collimati e poi penetrano nel paziente, dove sono assorbiti o diffusi. Quelli che attraversano il corpo del paziente vengono rilevati e trasformati in un’immagine visibile. Nella tomografia computerizzata si utilizzano gli stessi mezzi di contrasto impiegati nella radiografia convenzionale. Le principali differenze fra radiografia convenzionale e tomografia computerizzata sono (1) la molteplicità degli angoli con cui il paziente viene attraversato dai raggi X durante la ripresa delle immagini, (2) il movimento del tubo radiogeno o del sistema di rilevamento dei raggi X durante la ripresa, (3) la composizione dei rilevatori utilizzati per registrare i raggi X che attraversano il paziente, (4) il movimento del tavolo e quindi del paziente nel campo dei raggi X durante le varie fasi dell’indagine tomografica e (5) i computer utilizzati per elaborare e modificare i segnali ottenuti dai rilevatori per “ricostruire” la regione del paziente che è stata visualizzata. La tecnica di tomografia computerizzata consente di ricostruire l’area esaminata in qualsiasi piano desiderato. Spesso, le immagini vengono paragonate a delle “fette di pane”. La radiologia convenzionale consente di visualizzare l’intera pagnotta, ma l’analisi dell’immagine così ottenuta è ostacolata dalla sovrapposizione delle strutture. La tomografia computerizzata consente di tagliare questa “pagnotta” in qualsiasi direzione, prelevare la fetta che interessa e valutarla senza la sovrapposizione delle altre aree. Si tratta di un enorme progresso nella diagnostica per immagini, perché consente una dissezione anatomica senza intervento chirurgico. Ci ricorda i nostri giorni nel laboratorio di anatomia durante il primo anno di frequenza alla Facoltà di Medicina Veterinaria, dove i campioni anatomici venivano presentati in sezioni trasversali poste su un tavolo e lasciate a nostra di-

sposizione perché ci meravigliassimo degli intricati dettagli e delle interfacce fra i differenti tessuti. Il principale vantaggio della tomografia computerizzata è il grado di dettaglio anatomico che consente di ottenere. I principali svantaggi della tomografia computerizzata sono (1) l’esposizione alla radiazione, (2) il costo di mantenimento dell’apparecchiatura e (3) la disponibilità. Il principale progresso della medicina veterinaria nel campo della tomografia computerizzata sarà dato dall’aumento della sua disponibilità. Ciò renderà più facile per noi ricorrere a questa tecnologia.

RISONANZA MAGNETICA La risonanza magnetica richiede tre componenti principali. Queste sono gli atomi di idrogeno nei tessuti da visualizzare, un potente magnete esterno ed un’onda radio intermittente. Gli atomi di idrogeno del nostro corpo possiedono ciascuno un campo magnetico. Di conseguenza, il loro orientamento può essere influenzato da un altro campo magnetico. Quando si pone vicino ad un tessuto un potente magnete esterno, gli atomi di idrogeno presenti nel tessuto stesso si orientano lungo il campo che questo genera. Quando nel tessuto viene indirizzata un’onda radio, l’orientamento degli atomi di idrogeno nel campo magnetico viene alterato. Quando l’onda radio viene interrotta, gli atomi di idrogeno liberano energia in quantità proporzionale a quella che hanno assunto dall’onda radio che inizialmente aveva provocato il cambiamento del loro orientamento. È questa energia liberata che viene rilevata e consente di determinare i tipi di tessuti e la ricostruzione anatomica. La risonanza magnetica è nota per la sua capacità di consentire la visualizzazione di strutture quali l’encefalo, il midollo spinale, la composizione dei tessuti molli delle articolazioni ed i visceri addominali. Attualmente viene utilizzata per la valutazione del flusso ematico e delle dinamiche del movimento dei fluidi. I principali svantaggi di questa tecnica sono (1) il costo di acquisto e mantenimento dell’apparecchiatura e (2) la disponibilità. Il principale progresso in medicina veterinaria per quanto riguarda la risonanza magnetica sarà l’aumento della sua disponibilità. Ciò renderà più facile per noi ricorrere a questa tecnologia.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Estratto completo The level of computer and physics knowledge required to build a CT or MRI unit would require a commitment of time beyond what I wish to give at this stage of my life. However, the ability to understand the basic principles of how the equipment works and to interpret the images, which are generated, is what I do for a living. The following few pages will summarize CT/MRI technology. The lecture will review this information. I will show you cases where this technology has greatly advanced our diagnostic abilities.

COMPUTED TOMOGRAPHY A computed tomography scan (CT), formerly known as computerized axial tomography scan (CAT scan), was developed in 1969 by Godfrey Woodsfield. While using many of the same physics principles (mA, kVp, X-ray tube, collimator) as conventional radiology, CT scanning enhanced our ability to see anatomic detail by removing superimposition of structures which occurs when a conventional radiograph is obtained and by improving the contrast between structures of different densities thus allowing us to visualized subtle lesions and to better appreciate their location within the animal. The four densities/opacities identified in conventional radiography (gas, fat, soft tissues and bone) and the contrast media used in conventional radiography (gas, barium, iodinated contrast medium) are also used in computerized tomography. With conventional radiography the images are recorded on film. With computerized tomography, the imaging information is stored in a computer, viewed on a computer screen, manipulated electronically and then printed on film as desired. In conventional radiography, the x-ray tube is mounted on a support structure and the cassette is on or under the xray table. The patient is placed on the table in an appropriate position to obtain the desired radiograph. With CT imaging, the x-ray tube and detectors are housed in a gantry that looks like a “donut” and the patient lies on a “couch” which slides into the opening of the gantry. While positioning is important in CT imaging, the information stored in the computer may be manipulated to allow for appreciation of the area of interest in multiple angles. During conventional radiography, every effort is made to keep the tube and cassette stationary. With the introduction of tomography using conventional radiographic equipment, the x-ray tube and cassette were moved around a pivot point during the exposure. This allowed all structures in the body above and below the pivot point to be “out of focus” while tissues of interest at the pivot point were “in focus” and thus enhancing visualization of the tissues in the region of interest. This technology was cumbersome and limited. With the advent of CT scanning, the x-ray tube moved around the patient during the exposure and the x-rays, which penetrated the patient, were detected by receptors on the opposite side of the patient and this information was “fed” into the computer. The couch, with the patient on it, moves into the gantry a finite distance for each part of the scan, which helps determines the “slice thickness” and region imaged.

233

CT scanning has undergone refinements that have decreased scanning time, decreased the thickness of the slice of tissue, that can be scanned and increased resolution. The initial scanners (first generation systems) used a thin x-ray beam and one or two detectors on the other side of the patient. The x-ray tube would be energized, the x-rays would go into the patient, the x-rays, that penetrated the patient, would be detected and the information would be stored in the computer. The x-ray tube would then move one or two degrees around the patient; stop and the process would be repeated. This process would be repeated multiple times until an arc of 180 degrees was covered. The patient would then be advanced a finite distance into the gantry and the process would be repeated. Because of these limitations, this type of unit often required scan times of 30 minutes or more. The current scanners have a tube or tubes, which move continuously around the patient and multiple detectors. The advent of connectors between the transformer and x-ray tube/tubes without the use of cables for these connections allows the scanner to run continuously, for images to be obtained in 1-5 seconds and for the torso to be imaged in less than 5 minutes.

MAGNETIC RESONANCE IMAGING MRI is the initials used to signify Magnetic Resonance Imaging. The physics principles and much of the equipment used to obtain an image using this technology is markedly different than conventional radiography and CT imaging. With MRI, the patient is placed in a magnetic field, a radiofrequency pulse is applied putting energy into the patient, then the pulse is terminated and the energy is released from the patient and detected. The magnet is either permanent, resistive or superconductive. The strength of the magnetic field is measured in either Tesla or Gauss. The strength of the magnet field from a permanent magnet is usually 0.03 to 0.4 Tesla. The strength of a superconducting magnet may range between 0.5 and 2.0 Tesla with most being between 1.0 and 1.5 Tesla. Superconductive magnets use a large electrical current to produce the magnetic field. Considerate heat is generated in this process by the resistance to the electricity flowing through an electrical coil at room temperature. The heat generated acts to reduce the magnetic field strength. To prevent this from happening, the system is cooled using the cryogens liquid helium and nitrogen. When the patient is placed in the magnetic field, the nuclei in the patient’s body are influenced by the magnetic field. The paramagnetic substances in the body (substances which are weakly influenced in a magnetic field) and which have an odd number of protons, neutrons or protons plus neutrons and, therefore, have a nuclear spin or angular momentum are of most importance in generating the image in MRI. Of the nuclei in our body which meet these requirements, the hydrogen nucleus contributes most to the generated signal. The spinning hydrogen nuclei produces a minute magnetic field which is called a magnetic dipole moment. This magnetic dipole moment or tiny magnetic field is processing, i.e., it is revolving like a spinning top and this process is influenced by the external magnet field into which the patient is placed.


234

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Once the hydrogen nuclei and their magnetic dipole moment are aligned in the applied magnetic field, a radiofrequency pulse is applied which tilts the magnetic dipole moment of the hydrogen nuclei. The radiofrequency pulse is an electromagnetic wave that results from an alternating electric current. The frequency of the pulse must match the processing frequency of the nuclei to have the great influence on tilting the nuclei. This process imparts energy to the nuclei at an angle to the magnetic field. It is this energy which will be imaged. Once the radiofrequency pulse is discontinued, the energy which was required to tilt the nuclei and their magnetic dipole moment is released from these nuclei. It is this released energy which is detected and forms the basis of the image signal. The period of energy release is called relaxation. The terms T1 and T2 refer to components of the relaxation process and are influenced by the composition of the tissues being imaged. T1 refers to the time it takes for the magnetic dipole moment to return to its lowest energy state. T2 refers to the time it takes for the energy to be released from its highest energy state. The terms TR (Time to Repeat) and TE (Time to Echo) are equipment parameters. TR refers to the time interval between two pulse cycles. TE is the time interval from completion of the pulse to the measurement of the MR signal. To produce T1 weighted images, short TE and short TR equipment parameters are chosen. The short TE eliminates the influence of T2 and the short TR does not eliminate the effect of T1. To produce T2 weighted images, long TE and long TR equipment parameters are chosen. The long TE does not eliminate the effect of T2 while the long TR eliminates the effect of T1. A “proton dense” or “spin density” scan is produced using a long TR and a short TE. The long TR removes the effects of T1 relaxation and the short TE removes the effects of the T2 relaxation, the density of the hydrogen nuclei per cubic mm determines the image signal.

Long Short

TR > 1500 ms < 500 ms

TE > 40 ms < 20 ms

T1 images usually have TR 500 ms or less and TE 20 ms. T2 images usually have TR 2000 ms and TE 80 ms. “Proton Dense images” usually have TR 2000 ms and TE 20 ms.

The contrast medium used in MRI imaging is a paramagnetic substance. Gadolinium chelated to DTPA is the commonest agent used. It is injected intravenously. The contrast medium influences the T1 and T2 components of the tissues where it concentrates thus creating an increased signal intensity in T1 images.

SUGGESTED IMAGING PRIORITIES* Neuroimaging Brain/spine Space occupying lesions Demyelinating diseases Acute infarcts and hematoma Herniated disk

Spinal cord tumor Epidural tumor Vertebral metastases

Chest Lungs Mediastinum Heart Abdomen

Musculoskeletal Joints – soft tissues Soft tissue masses

MRI better than CT MRI better than CT CT better than MRI MRI equal to or better than CT Post myelogram CT better than CT or MRI MRI better than CT MRI better than CT CT for bone MRI for epidural extension

CT better than MRI CT primary modality MRI, selected cases Cine CT; MRI CT procedure of choice MRI, selected cases

MRI better than CT MRI = CT

* Information courtesy of Jennifer Taylor, R.T.

TISSUE

T1 IMAGE

T2 IMAGE

PROTON DENSE

MUSCLE

INTERMEDIATE

DARK/GRAY

INTERMEDIATE

CORTICAL BONE

DARK

DARK

DARK

FAT

BRIGHT

GRAY

BRIGHT

LIGAMENT TENDON

DARK

DARK

DARK

EDEMA

DARK

BRIGHT

BRIGHT

CARTILAGE

BRIGHT

GRAY

BRIGHT

ORGANS

VARIABLE

VARIABLE

VARIABLE


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

235

Diagnostica per immagini del tratto gastrointestinale del gatto Victor T. Rendano VMD, MSC, Dipl ACVR, Dipl ACVR-RO - Veterinary Multi-Imaging PLLC, Lansing, New York, USA

Estratto breve ANATOMIA NORMALE: 1. Stomaco: Lo stomaco è distinto in quattro regioni – cardias, fondo, corpo e piloro. L’organo è localizzato appena caudalmente al fegato nelle immagini in proiezione laterolaterale. In quelle DV/VD è situato principalmente a sinistra della colonna vertebrale e sovrapposto ad essa. Solo una parte molto scarsa del viscere risulta situata a destra della colonna. La regione del piloro non è solo una struttura situata lungo la linea mediana. Le porzioni del cardias-corpo dello stomaco vuoto si presentano sotto forma di una radiopacità da tessuti molli di forma circolare di circa 3 cm di diametro a sinistra della linea mediana ed appena caudalmente al fegato. 2. Intestino tenue Il duodeno origina a livello del piloro, può decorrere cranialmente per qualche centimetro e poi caudalmente lungo la parete corporea destro sino a livello di L4-6. Quindi, nelle immagini in proiezione ventrodorsale procede cranialmente come una struttura della linea mediana. Nel duodeno si descrivono più regioni differenti, rappresentate da flessura prossimale, duodeno discendente, flessura caudale e duodeno ascendente. Il viscere appare spesso segmentato a causa dell’attività muscolare (peristaltica). Il digiuno è una struttura medioaddominale, costituisce il segmento più lungo del piccolo intestino e viene visualizzato più facilmente quando nel mesentere/omento e nel legamento falciforme è presente del grasso ed al suo interno si trova del gas. L’ileo è la porzione terminale del piccolo intestino e si immette nel colon (giunzione ileocolica) a destra della linea mediana nelle immagini in proiezione ventrodorsale e nella porzione dorsale dell’addome a livello di L4 in quelle laterolaterali. 3. Grosso intestino Il cieco è localizzato in posizione adiacente ad L2-4. Si tratta di una singola tasca a forma di “V” che si immette nel colon nel gatto. Fra cieco e colon ascendente, a differenza di quanto avviene nel cane, non si osserva alcuno sfintere distinto fra cieco e colon ascendente. Il colon è suddiviso in un tratto ascendente, uno trasverso ed uno discendente. Nelle immagini in proiezione ventrodorsale, ha l’aspetto di un “punto interrogativo”. Il tratto ascen-

dente si presenta frequentemente dentellato lungo la sua parete mediale in posizione adiacente al cieco, nel punto in cui l’ileo penetra nel colon ascendente. Questa conformazione riflette lo sfintere ileocolico. Il retto è situato nel canale pelvico.

MEZZI DI CONTRASTO: 1. SOLFATO DI BARIO L’autore usa per l’esame di routine dell’apparato digerente il solfato di bario alla concentrazione del 60-75% peso/volume (P/V) con un agente di sospensione. L’espressione 60-75% P/V indica 60-75 g di solfato di bario ogni 100 ml di sospensione. TEMPO DI TRANSITO NEL GATTO Nel 50% dei gatti si osserva una certa quantità di bario nel colon entro 30 minuti dalla somministrazione. Nel 90% dei gatti si osserva una certa quantità di bario nel colon entro 45 minuti dalla somministrazione. Le radiografie vengono riprese immediatamente e poi 15, 30-45 e 120 minuti dopo la somministrazione del bario. L’esame contrastografico del tratto digerente non si può considerare completo fino a che non sia stata definita una lesione o il mezzo di contrasto non sia penetrato nel colon. In alcuni casi è necessario che il contrasto sia quasi completamente fuoriuscito dallo stomaco prima di riuscire ad osservare un corpo estraneo o una lesione gastrica. 2. SOLFATO DI BARIO IN PASTA Utilizzato principalmente negli esami radiografici finalizzati alla valutazione della faringe e dell’esofago. L’esame radiografico viene effettuato poco dopo la somministrazione del mezzo di contrasto. Il prodotto di trova in commercio sotto forma di tubetti come quelli del dentifricio. L’autore utilizza da 2,5 a 25 cm di contrasto. 3. MEZZI DI CONTRASTO IDROSOLUBILI PER L’ESAME DEL TRATTO GASTROENTERICO Il gastrografin non è più in commercio. Se non si trova questo agente, si possono utilizzare altri composti idrosolubili. Utilizzare in caso di: esami radiografici dopo enterotomia sospetta perforazione dell’apparato digerente sospetta peritonite


236

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

PNEUMOESOFAGOGRAFIA E PNEUMOGASTROGRAFIA

QUALE QUANTITÀ DI MEZZO DI CONTRASTO POSITIVO UTILIZZARE?

Introdurre una sonda orogastrica nell’esofago o nello stomaco. Infondere da 11 a 17,6 cc di aria per kg di peso corporeo. Effettuare la ripresa delle radiografie in proiezione laterolaterale destra e sinistra dell’addome per valutare lo stomaco. Effettuare la radiografia in proiezione laterolaterale del torace per valutare l’esofago.

1. Sospensione di bario – somministrazione per os 2,2 ml/kg per l’esofago 8,8 ml/kg per il tratto gastroenterico

PRO E CONTRO DEI MEZZI DI CONTRASTO

3. Clisma baritato: somministrazione 4,4-8,8 ml/kg.

1. Sospensione di bario a. Vantaggi 1. Riveste bene il tratto gastroenterico 2. Possiede una radiopacità eccellente 3. Di solito non viene diluito fino a che non si ha il passaggio di fluidi nell’intestino, a meno che non sia presente un’affezione associata ad una perdita di liquidi nel lume gastroenterico 4. Ha un costo ragionevole 5. Di solito viene ingerito dall’animale senza grandi difficoltà. b. Svantaggi 1. Molto irritante per il peritoneo 2. Tempo di transito più lento 2. Agenti idrosolubili a. Vantaggi 1. Non altrettanto irritanti per il peritoneo 2. Rapido tempo di transito b. Svantaggi 1. Alcuni sono ipertonici - nel caso, tendono a disidratare il paziente 2. Vengono diluiti. Questi mezzi di contrasto attirano liquidi nell’intestino o si mescolano a quelli già presenti nel lume 3. Sapore sgradevole 4. Costosi rispetto al bario 5. Irritano la mucosa portando al pilorospasmo nel gatto. L’autore non utilizza il bario che non contiene un agente di sospensione. Il solfato di bario semplice non riveste bene la superficie della mucosa, va incontro a flocculazione e non forma una colonna baritata continua durante l’attraversamento dell’intestino. Dal momento che può avere un’osmolalità approssimativamente pari a 6 volte quella del siero, il mezzo di contrasto idrosolubile non diluito può disidratare un animale debilitato o di piccole dimensioni. Per utilizzare questo mezzo, l’autore lo diluisce con acqua nel rapporto di una parte di mezzo di contrasto idrosolubile ogni 1-2 parti di acqua se l’osmolalità è superiore a due volte quella del siero. Negli animali normali, una certa quantità di mezzo di contrasto idrosolubile viene assorbita dall’intestino ed escreta attraverso i reni, consentendo la visualizzazione di questi ultimi e della vescica.

2. Mezzo di contrasto idrosolubile: somministrazione per os – 2,2 ml/kg. Questo mezzo di contrasto può essere diluito con acqua nel rapporto di una parte per 1-2 parti di acqua, specialmente se risulta iperosmotico rispetto al siero.

Estratto completo INDICATIONS FOR EVALUATIONS OF THE DIGESTIVE SYSTEM: 1. Gastrointestinal distention/distortion/displacement 2. Vomiting 3. Melena 4. Hematochezia 5. Dyschezia 6. Anorexia 7. Abdominal pain 8. Pneumoperitoneum 9. Observed consumption of a foreign body 10. Mass lesion 11. Diarrhea 12. Weight loss

DISEASE ENTITIES: 1. Megacolon 3. Trauma 5. Foreign body 7. Ulceration 9. Neuronal abnormalities 11. Lymphangiectasia 13. Intussusception

2. Neoplasia 4. Stenosis 6. Inflammation/Infiltration 8. Muscular abnormalities 10. Allergies 12. Hernias 14. Parasitism

NORMAL ANATOMY: 1. Stomach: The stomach has four regions - cardia, fundus, body, and pylorus. The stomach is located just caudal to the liver as viewed in the lateral projection. The in DV/VD projection, the stomach lies primarily to the left of and superimposed over the spine. Very little of the stomach lies right of the spine. The pyloric region is more of a midline structure. The cardia/body portions of the empty stomach will appear as a circular soft tissue opacity approximately 3 cm in diameter to the left of the midline and just caudal to the liver.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

2. Small Intestines: The duodenum originates at the pylorus, may course cranially for a few centimeters, then caudally along the right body wall to the level of L4-6. It then courses cranially as a midline structure as viewed in the ventrodorsal projection. The duodenum is described as having different regions that are: proximal duodenal flexor, descending duodenum, caudal duodenal flexor, and ascending duodenum. The duodenum is often segmented because of muscular (peristaltic) activity. The jejunum is a mid-abdominal structure, it is the longest segment of the small bowel and it is visualized most easily when there is fat in the mesentery/omentum, falciform ligament and gas in the bowel. The position of the jejunum varies depending on the recumbency of the animal. Sometimes it will lie completely to the right or left of the midline as viewed in the DV/VD projection if the animal was in right or left lateral recumbency prior to being placed on his/her back or sternum. The jejunum may appear bunched in the mid-ventral portion of the abdomen as viewed in the lateral projection if the animal is obese since the surrounding fat does not permit the bowel to move cranially, caudally or dorsally in these fat animals. The ileum is the terminal portion of the small bowel and enters the colon (ileocolic junction) to the right of the midline as viewed in the ventrodorsal projection and in the dorsal portion of the abdomen at the level of L2-L4 as viewed in the lateral projection. 3. Large intestines: The cecum is located adjacent to L2-4. It is a single ‘V’ shaped pouch entering into the colon in the cat. There is no distinct sphincter between the cecum and ascending colon as is seen in the dog. The colon has ascending, transverse and descending components. The ascending component is located to the right of the midline and is situated dorsally, the transverse colon courses from the right to the left side of the abdomen caudal to the liver, stomach, and head of the spleen. The transverse colon appears circular in configuration and lies just caudal to the stomach: this structure is frequently mistaken for a mass lesion as viewed in the lateral abdominal radiograph. The descending colon usually lies adjacent to the left body wall though it may swing to the midline or a rightsided position in the mid- and distal regions especially in obese animals, when the colon is distended with fecal material, when the urinary bladder is distended or when the animal was in right lateral recumbency prior to being placed in dorsal recumbency. The colon has the appearance of a “question mark” as viewed in the ventrodorsal projection. The ascending colon will frequently be indented along its medial wall adjacent to the cecum at the site where the ileum enters the colon; this indentation represents the ileocolonic sphincter. The rectum is located in the pelvic canal.

CONTRAST STUDIES: DIGESTIVE SYSTEM 1. BARIUM SULFATE I use 60 to 75% weight per volume (w/v) concentration of barium sulfate with a suspending agent for routine evalu-

237

ation of the digestive system. The 60-75% weight per volume means 60 to 75 grams of barium sulfate in each 100 ml of suspension. Typical information stated on a label of a barium container: 60% w/v barium sulfate USP, suspending agents, simethicone, potassium sorbate, citric acid, artificial sweeteners, flavoring, coloring, water DOSAGE OF LIQUID BARIUM: 1 ml/0.5 kg to visualize the esophagus; given per os. 4 ml/0.5 kg to visualize the gastrointestinal system; given per os or via orogastric tube. CAT TRANSIT TIME 50% of cats have some barium in colon within 30 minutes of administration. 90% of cats have some barium in the colon within 45 minutes of administration. Radiograph-immediate, 15, 30-45 and 120 minutes after barium administered. The contrast study of the GI tract is not completed until a lesion has been defined or contrast medium enters the colon; some cases require contrast medium to be almost completely out of stomach before you see a gastric lesion or a foreign body. 2. BARIUM SULFATE PASTE Used mostly in radiographic examinations to evaluate the pharynx and esophagus Radiograph shortly after administration of the medium. Contrast medium comes out of tube like tooth paste; I use 2.5 to 7.5 cm of the medium. 3. WATER SOLUBLE CONTRAST MEDIUM FOR Gl STUDY Gastrografin-no longer being sold. Other water-soluble agents that can be used if Gastrografin is not available: Renografin Conray Hypaque Omnipaque Used when: post-enterotomy study suspect perforation digestive system suspect peritonitis Water soluble contrast medium is a clear liquid, not pleasant tasting and dries as a white crystalline material. The agent is hyperosmotic so it becomes diluted with body fluids as it traverses the bowel. It may dehydrate a small patient or initiate a shock crises in an already dehydrated patient. I usually administer 10 to 40 ml of this agent after diluting it with tap water at a ration of one part water soluble contrast medium in to one or two parts water. Approximately 6% of the medium is absorbed through the bowel which is subsequently filtered by the kidneys and opacifies the urinary system.


238

POSITIVE CONTRAST PERITONEOGRAM FOR HERNIA EVALUATION Place a needle or catheter into abdomen-inserted the needle/catheter to the right of midline just caudal to umbilicus. *Inject 1.0 ml water-soluble contrast medium (warmed to body temperature) per 0.5 kg of body weight *Massage abdomen *Obtain lateral, DV or VD views

PNEUMOESOPHOGRAM & PNEUMOGASTROGRAM Place an orogastric tube into the esophagus or stomachInfuse 5 to 8 cc of air per 0.5 kg body weight. Obtain left and right lateral radiographs of the abdomen to evaluate the stomach. Lateral radiograph of the chest to evaluate the esophagus.

WHICH CONTRAST AGENT SHOULD I USE? I use a barium suspension in all studies unless I suspect a bowel perforation as evidenced by peritonitis or free abdominal gas in the survey radiographs or if biopsy or gastrotomy/enterotomy has recently been performed (within 7 days). If I suspect bowel perforation, I use water-soluble contrast medium. Barium sulphate is irritating to the peritoneum and will frequently result in the demise of the animal if peritoneal spoilage with a lot of barium occurs. If water-soluble contrast medium enters the peritoneal cavity through a perforation, it is much less irritating. Barium can be used even if surgery is contemplated or highly probable. Hopefully, the gastrotomy or enterotomy site will not slip out of your hands and allow barium to soil the peritoneal cavity. A small amount of barium spillage is well tolerated. Contrast Material pros and cons: 1. Barium suspension. a. Advantage 1. Coats the gastrointestinal tract well. 2. Excellent opacity. 3. Usually does not become diluted since it does not draw fluid into the bowel unless there is disease with associated loss of fluids into the GI lumen. 4. Reasonable cost. 5. Usually taken by the animal without much difficulty. b. Disadvantage. 1. Very irritating to the peritoneum. 2. Slower transient time. 2. Water-soluble agent. a. Advantage. 1. Not as irritating to the peritoneum. 2. Rapid transient time. b. Disadvantage. 1. Some are hypertonic - if it is, it tends to dehydrate the patient.

46ツー Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

2. Becomes diluted. Medium draws fluid into the bowel or mixes with fluid already in the bowel. 3. Unpleasant tasting. 4. Expensive relative to barium 5. Irritates the mucosa resulting in a pylorospasm in the cat. I do not use barium that does not contain a suspending agent. Plain barium sulphate does not coat the mucosal surface well, flocculates, and does not give a continuous column of barium when traversing the bowel. Flavored barium suspension can be purchased or mixed at home - the flavored suspensions are often taken by fastidious animals that refuse unflavored barium suspensions. Since undiluted water soluble contrast medium can have an osmolality approximately six times that of serum, it can dehydrate a small or debilitated animal. If I am going to use this medium, I dilute it with water at a ratio of: 1 part water soluble contrast medium:1 to 2 parts water if it is greater than 2X the osmolality of serum. In normal animals, some water soluble contrast medium will be absorbed from the bowel and excreted by the kidneys allowing for renal and bladder visualization. Room air can be introduced into the stomach to help visualize a foreign body (especially good for hair balls). I do the procedure by advancing a nasogastric or orogastric tube and administer 8 cc/0.5 kg of room air, I take left and right lateral recumbent radiographs.

WAYS TO ADMINISTER THE CONTRAST MEDIUM: 1. Pour the contrast material into the buccal pouch created by pulling the lip away from the teeth. 2. Nasogastric intubation. 3. Orogastric intubation.

HOW MUCH POSITIVE CONTRAST DO I GIVE? 1. Barium suspension: orally administered 1 ml/0.5 kg for esophagus 4 ml/0.5 kg for the gastrointestinal tract. 2. Water soluble contrast medium: orally administered 窶電osing same as for barium. This can be diluted with water at a ratio of 1 part medium to 1 or 2 parts water especially if it is hyperosmotic to serum. 3. Barium enema: administered - 2 to 4 ml/0.5kg.

ANIMAL PREPARATION FOR UPPER GASTROINTESTINAL STUDY: Make sure the animal has not been fed a bulk food for 12 hours before radiographic examination if it is an elective procedure. You may give water and a non-bulk food such as a broth or Jell-O up to 2 to 3 hours before the study. Most of the time, the animal will evacuate sufficiently. If the animal refuses to defecate, you can give it a suppository one-half hour before performing the study - this


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

usually does the job. I am not a big proponent of enemas for upper gastrointestinal series. If I want to give the animal an enema, I use preparations that are approved for cats or water or isotonic saline enema administered slightly below the animal’s body temperature. I do not raise the enema bag greater than 45 cm higher than the anus. The colon is simple tube – no haustra - and can easily be evacuated. There is no need to remove every last bit of feces from the colon if you suspect a gastric or small intestinal problem. You can cause toxemia and create severe electrolyte changes with an enema. It is also advantageous to have the urinary bladder empty as this will allow the bowel to be distributed over a greater area in the abdomen and enhance visibility of the bowel If it is not an elective procedure, I usually perform the study as the animal presents unless there is considerable ingesta in the stomach. Ingesta in the stomach can mimic a space occupying lesion.

RESTRAINT OF ANIMALS SCHEDULED FOR STOMACH AND SMALL INTESTINAL STUDIES: If the animal will stay without chemical restraint, then do not use any. If the animal will not stay in position despite attempts to restrain it with various non-traumatic means, then try giving the animal ketamine/valium, to quiet the animal. Do not give atropine as it may affect gastrointestinal motility and sphincter function. General anesthesia usually results in failure of the contrast to be propelled through the gastrointestinal tract and is not used. If the animal does not stay despite tranquilization, you may have to hold it; then keep the number of radiographs to a minimum. Cats can be placed in a restraint bag. You can place a cloths pin on the scruff of the neck of cats and they will often stay where you put them. Many animals will stay in lateral recumbency with friendly reassurance so no one needs to hold them especially if they are made comfortable by using foam pads; however, there are some animals who will not stay even for the lateral radiograph. Remember to “keep your cool” you will probably have to hold these animals. If you must hold, wear a gown, gloves, film badge, and keep out of the primary beam.

CONTRAST TRANSIT TIME: 1. Water-soluble contrast material. Traverses the intestines in approximately 15 to 30 minutes - time entered stomach to time reaches colon. 2. Barium suspension. It usually takes 30 to 45 minutes to traverse the intestines in the cat. The colon is usually filled within two hours in the cat and may contain barium for 1 to 2 days after oral administration. Barium in the colon which has arrived there via the oral route usually shows a cracked or “broken” contrast column mixed with feces. If I am looking for a colonic problem, I usually do not use the upper gastrointestinal study unless I

239

suspect a mass lesion at the ileocolic area. If I suspect an ileocolic or cecocolic intussusception or colonic lesion, I use a contrast colonogram or colonoscopy. It is common to see some residual barium in the stomach six hours post-oral administration.

WHAT RADIOGRAPHS DO I TAKE? Survey radiographs. Left or right lateral and ventrodorsal or dorsoventral are routinely obtained. If a diagnosis can be made from the radiographs, I do not recommend that additional radiographs be obtained in most cases. If the survey radiographs are not contributory to the diagnosis or additional information is needed relative to a lesion that is already identified, I then administer the contrast agent and take the following radiographs. ADMINISTER THE CONTRAST MEDIUM THEN TAKE FILMS POST ADMINISTRATION AS FOLLOWS: CAT: # OF RADIOGRAPHS

TIME AFTER CONTRAST GIVEB

VIEWS

2

1 MINUTE

LATERAL, VD/DV

1

5 MINUTES

LATERAL*

1

15 MINUTES

LATERAL*

1

30 MINUTES

LATERAL*

1

45 MINUTES

LATERAL*

*VD OR DV VIEW TAKEN AS NEEDED

THERE IS NEVER A NON-DIAGNOSTIC CONTRAST STUDY IF YOUR TECHNIQUE IS GOOD? Normal transit time in the cat is approximately 45 minutes. If the contrast medium is not in the colon by 45 minutes, take another radiograph 2 hours post-administration. In most cases, additional radiographs are not taken after a lesion is visualized (i.e., if I can visualize a non-opaque foreign body on the 30 minute films, the animal is not radiographed further. Taking right or left lateral and ventrodorsal or dorsoventral radiographs will help delineate different regions of the gastrointestinal tract with the positive contrast agent. The right lateral view shows the pylorus of the stomach filled with barium whereas the left lateral view will show the cardiac and fundic region of the stomach filled with barium. The ventrodorsal view shows the cardia and fundus filled with barium and the dorsoventral view shows the body and pylorus filled with barium. One must be practical with the number of films which are taken during the course of a barium series. I will often take right or left lateral and ventrodorsal or dorsoventral radiographs five minutes post-ad-


240

ministration of the contrast material, then I take just lateral radiographs unless I see something suspicious at which time I will take the ventrodorsal radiograph. To a certain extent, the fewer films taken, the more likely one is to miss a lesion but one must be practical! BARIUM ENEMA: Animal Preparation and Procedure: Most of the time, the colon should be evaluated endoscopically rather than radiographically. Most lesions are easier to detect by looking up the colon. If you want to do a barium enema then the colon must be thoroughly cleaned which means no solid food per os for 12 hours and an enema to remove feces from the colon. Feces in the colon can mimic some lesions and hide others so the colon must be thoroughly cleaned. When I am giving the enema, I remember that I am doing the study because I suspect a diseased colon, I do not hold the enema bag above 45 cm above the anus and I gently perform the cleansing procedure. I use water or isotonic saline that is slightly below body temperature and I am conservative with the amount of water that I let flow into the colon and the rate with which I let it enter. After the enema is given, I radiograph the animal to make sure the colon is clean (only one view is needed to determine if the colon is clean). The animal is then anesthetized or sedated, I insert a tube or dosing syringe through the anus into the rectum and infuse barium slowly using a diluted barium suspension (15%W/V). I take radiographs after infused approximately two-thirds of calculated dose. If the colon is not completely filled, then I infuse the rest of the calculated dose and re-radiograph the animal. I review the radiographs that have been taken at this time to assess the shape of the colon and to determine if I have been able to visualize the proximal portion of the colon. Sometimes the ileum will also be visualized. If the proximal portion of the colon has not been visualized and there is no obvious obstruction to retrograde barium flow, I will give more contrast medium until the ascending colon is visualized. After the ascending colon has been visualized, I allow the contrast material to flow out the anus from the colon and into a pan or bowl. The outflow can be assisted by raising the cranial part of the abdomen and pressing on the abdomen. I then infuse air into the colon at the rate of 6m1 per 0.5 kg using a dosing syringe or a syringe attached to a catheter which

46째 Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

has be advanced retrograde into the descending colon to produce a double contrast study of the colon - these are pleasant to look at radiographically - take the ventrodorsal and lateral radiographs and evaluate the study as you did with the straight barium study. A third alternative is to not infuse barium but to just infuse air. Much less messy, often gives a good diagnostic air colonogram. If you suspect a rectal lesion, it is best to evaluate this region by a rectal palpation or visualization/proctoscopically. It is always a dangerous procedure to administer barium per anus when you cannot visualize the entrance of the contrast material into the colon fluoroscopically. WHAT ABOUT BIPS AND SIMILAR GI MONITORING SYSTEM: I prefer to use barium rather than BIPS. The barium is more consistent in traversing the bowel and defining bowel lesions. GENERAL COMMENTS: A contrast study of the stomach and intestine often does not reveal the etiology for diarrhea especially if no history of anorexia or vomiting is present; however, periodically you will detect an unexpected lesion such as a chronic intussusception, radiolucent foreign body, or infiltrative neoplastic process. Barium can also be used therapeutically as I have noted improvement in animals with chronic diarrhea given barium. The barium may act as an absorbent of toxins or affect the myenteric plexus. The stomach and small intestine usually contain some gas. The large intestine has a transverse diameter larger than the small intestine. The transverse diameter of the small intestine should not be larger than 1.5 times the transverse diameter of the femur in the cat. If the small intestine has a transverse diameter larger than 1.5 times that of the femur, consider this a pathological dilatation. Then the problem is to decide if the dilatation is secondary to an obstructive process (obstructive ileus, mechanical ileus such as a foreign body, or intussusception) or due to a non-obstructive process (non-obstructive ileus such as an electrolyte imbalance, neurological, or vascular problem). The contrast study helps in making the differentiation.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

241

Radiologia ed ecografia a confronto: come funzionano e cosa mi fanno vedere? Victor T. Rendano VMD, MSC, Dipl ACVR, Dipl ACVR-RO - Veterinary Multi-Imaging PLLC, Lansing, New York, USA

Estratto breve Radiologia, ecografia, tomografia computerizzata (TC), risonanza magnetica e medicina nucleare sono le modalità diagnostiche attualmente utilizzate di routine in medicina veterinaria.

RADIOLOGIA Storicamente, l’indagine radiografica è fra queste modalità diagnostiche quella utilizzata da più tempo in quasi tutti gli ospedali veterinari. Il principio di base di questa metodica di diagnostica per immagini dipende dalla differenza di assorbimento/penetrazione del fascio di raggi X. Quest’ultimo viene prodotto in un tubo radiogeno. Il fascio fuoriesce dal tubo dove è collimato e penetra nel corpo del paziente in corrispondenza dell’area in esame. Quindi, i raggi possono attraversare i tessuti dell’animale oppure venire assorbiti e diffusi. La porzione che penetra attraverso il paziente raggiunge una cassetta contenente gli schermi. I raggi X cedono energia ai cristalli degli schermi. Questi ultimi producono luce in quantità proporzionale a quella dell’energia che i raggi X hanno ceduto loro. La luce generata dagli schermi espone la pellicola radiografica. Questa viene sviluppata per ottenere l’immagine da valutare. Abbiamo la possibilità di scegliere la quantità di radiazioni e l’energia della radiazione prodotta attraverso la regolazione dei valori di mA, tempo e kVp. Possiamo determinare il grado di collimazione del fascio che ci permette di concentrare l’esame su una specifica struttura oppure visualizzare un’intera regione. Possiamo collocare il paziente direttamente sopra la cassetta oppure interporre fra questa ed il corpo dell’animale una griglia che contiene delle strisce di piombo, in modo da eliminare una certa quantità di radiazione diffusa. Possiamo decidere di non utilizzare uno schermo, ma di lasciare esporre la pellicola direttamente dai raggi X. Infine, possiamo scegliere il tipo di schermi e di pellicola da utilizzare, influenzando la quantità di radiazione necessaria per ottenere un’immagine e la qualità/dettaglio della stessa. I principali vantaggi della radiologia sono dovuti al fatto che è: (1) rapida, (2) relativamente facile da eseguire, (3) relativamente poco costosa e (4) in grado di fornire considerevoli informazioni se viene utilizzata in modo corretto. Le differenze di assorbimento del fascio di raggi

consentono di determinare facilmente la distinzione fra osso (bianco), tessuti molli (biancastro), grasso (grigio) e gas (nero). L’immagine radiografica permette di apprezzare le dimensioni, la forma, la localizzazione e la radiopacità di molte strutture, specialmente quando si tratta di formazioni caratterizzate da radiopacità differenti ed adiacenti le une alle altre. I principali svantaggi sono rappresentati dal fatto che: (1) viene prodotta una radiazione ionizzante, potenzialmente in grado di causare lesioni al paziente ed alle persone esposte ad essa, (2) il movimento dell’animale determina una riduzione della qualità dell’immagine, (3) spesso si ottiene un’immagine di qualità scadente se il soggetto esaminato è troppo grande o troppo piccolo, (4) nel processo di sviluppo delle pellicole vengono impiegati composti chimici tossici, (5) la qualità dell’immagine viene compromessa se fra i tessuti in esame non esiste una sufficiente differenza di radiopacità e (6) l’interpretazione può essere difficile. I progressi prevedibili nella radiologia avverranno nei settori del miglioramento della progettazione del collimatore, nei metodi per automatizzare le tecniche di esposizione alle radiazioni, nelle tecniche di visualizzazione senza pellicola e nel trasferimento elettronico delle immagini. Questi vantaggi limiteranno l’entità dell’esposizione del paziente ed accresceranno la nostra capacità di comunicare con i nostri colleghi. Nel complesso, questi vantaggi saranno anche meno dannosi per l’ambiente.

ECOGRAFIA Negli ultimi 15 anni, l’ecografia è stata di gran lunga il metodo di diagnostica per immagini che si è sviluppato più rapidamente in medicina veterinaria. In occasione di un recente convegno internazionale al quale l’autore ha partecipato, erano presenti 14 espositori di apparecchiature ecografiche e solo due di strumenti radiografici! Per ottenere un’immagine ecografica, è necessaria un’unità di elaborazione centrale (CPU) alla quale è collegato un trasduttore. La CPU fornisce energia ai cristalli del trasduttore; questa energia (sotto forma di ultrasuoni) penetra nel corpo del paziente, interagisce con i suoi tessuti e viene riflessa verso il trasduttore in quantità variabile in funzione della composizione dei tessuti stessi. Il suono di ritorno viene rilevato dal trasduttore, che solitamente è rappresentato dallo stesso cristallo che inizialmente lo ha prodotto. L’intensità del suono riflesso/di ritorno viene convertita in un


242

impulso elettrico di entità proporzionale. La forza dell’impulso elettrico determina l’intensità del segnale visualizzato sul monitor. I tessuti come il gas e l’osso riflettono molto energicamente gli ultrasuoni, per cui determinano la formazione di immagini di intenso colore bianco, mentre altri tessuti/sostanze come i fluidi hanno una capacità di riflessione scadente e portano alla formazione di immagini nere. Col termine di ecogenicità si descrive l’entità della riflessione e del suono rilevabile dai differenti tessuti. Dal momento che dai fluidi non viene riflesso alcun suono o quasi, questi vengono detti anecogeni. Si tratta di un termine non relativo. Altri tessuti riflettono il suono in misura variabile e vengono descritti in termini relativi. Questi sono (1) isoecogeno – di pari ecogenicità, (2) ipoecogeno – di minore ecogenicità (più scuro) o (3) iperecogeni – di maggiore ecogenicità (più chiaro). I principali vantaggi dell’ecografia sono dati dal fatto che: (1) non coinvolge le radiazioni ionizzanti, (2) consente di rilevare la composizione dei tessuti molli, cioè di distinguere fra i vari tipi differenziando fluidi, fegato, milza, rene, tessuto fibroso e grasso in modo non invasivo e (3) permette di ottenere informazioni dinamiche come quelle relative allo status funzionale del cuore e del flusso sanguigno senza ricorrere a metodi invasivi. I principali svantaggi dell’ecografia sono dati dal fatto che: (1) l’immagine può essere difficile da interpretare, (2) l’apparecchiatura può essere relativamente costosa da acquistare e mantenere e (3) la tecnologia si sta modificando rapidamente, per cui le apparecchiature vengono presto superate e si deprezzano in breve tempo. È prevedibile che i principali progressi si avranno nel settore del miglioramento della manipolazione computerizzata delle immagini, della progettazione dei cristalli e del trasferimento elettronico delle immagini in tempo reale. Fra quelli citati, l’ultimo avrà probabilmente il maggiore impatto positivo sull’impiego efficace dell’ecografia negli ospedali veterinari.

Estratto completo The radiographic image is a compilation of black areas where silver has been deposited during processing, subsequent to where the emulsion was exposed and clear areas where silver was removed during processing from areas where the emulsion was not exposed. When the radiograph is placed on a lighted view box, light penetrates the film/emulsion in the clear areas to varying degrees; the light strikes your eyes, impulses go to your brain and an image is formulated based on your prior knowledge/perception. 3. Image Perception: a. You tend to see what you have seen before b. The larger your data base, the greater your list of differentials c. The greater your experience, the more realistic is your most probable diagnosis

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

4. Radiographic Definition: If the radiographic image is of diagnostic quality, you are able to perceive objects/structures because of their atomic composition and state of matter. The radiographic jargons used to define the whiteness or darkness (black) of an object/structure are called Lucency and Opacity. The terms used to compare objects of different darkness or whiteness are radiolucent (dark, less opaque) and radiopaque (white, more opaque). These terms are misnomers when viewing a radiograph since the definition of each term is opposite to its usage. The terms are correct if we think about the object being radiographed such as bone and gas. Many of the X-rays do not penetrate bone so bone is opaque while most x-rays penetrate gas so gas is lucent: however, the radiographic image shows bone as being white and gas as being black, thus the occurrence of the misnomer when viewing the radiograph. Dictionary definitions: Opacity-shaded, dark, the capacity of matter to obstruct the transmission of forms of radiant energy in addition to light. Lucent-the quality or state of being lucent, to shine; glowing with light. The opacities commonly seen and the jargons used when viewing and describing a radiographic image are: Opacity

Color

Jargon

Gas Fat Soft Tissue Bone

Black Light gray Gray to White White

Radiolucent, least opaque

Radiopaque, most opaque

The opacities of these objects vary from black (gas) to white (bone) and this in turn is related to their density, atomic configuration and volume. An object can be seen as a distinct entity if it is surrounded or contains an object of a different opacity. 5. Straight Interpretation: a. Take as many radiographs as required to answer the questions you need to answer or to satisfy yourself that the lesion is not definable to the degree you desire b. View the radiographs in a consistent fashion; you can follow the international conventions or have your own convention but be consistent! c. During conventional radiographic studies, equipment and patient motion should be kept to a minimum. A wobbly tube head, a moving table or cassette, patient torso motion or excessive respiratory motion will all result in a loss of image detail. d. The most accurate anatomic information is usually obtained when the x-ray beam is centered on the area of interest. e. Proper radiographic exposure technique, film/screen combination and processing are required to perceive a lesion. The smaller the lesion, the better the technique required to define the lesion.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

f. Overhead lights should be off, the room should be darkened and only the viewers required to see the radiographs should be on. You can use “masks” to block off unwanted light from a viewer where the radiograph does not occupy the entire panel; this will improve your ability to see the image. g. The bulbs in the radiographic viewer should all be the same; the bulbs should not be flickering; the viewing panel should be clean. h. A hot light should be available. i. A ruler should be available. j. A marking pen should be available. k. All radiographs should be labeled with: Hospital/veterinarian name Date and time of day if sequential evaluations are performed on the same day Patient identification Side-left/right Position-VD or DV Right lateral/Left Lateral l. All cassettes should be numbered and color-coded. m. Technique charts should be color-coded. n. Be aware of artifacts that can be mistaken for lesions: Debris in or on cassette/table/grid Debris on patient Defects in table Pressure marks and water marks on the film o. There is variation in appearance and prominence of viscera as influenced by inspiration and expiration especially: Lung Heart Mediastinum Diaphragm Liver Vessels 6. Final Comments: a. The good interpreter looks in the area of the radiograph where they expect the lesion to be; the great interpreter looks at the entire radiograph. b. Look at the radiograph when you are not rushed, harassed or tired. c. Avoid constant interruptions when reviewing the radiograph. d. Try to review the radiographs before the client calls or comes back to discuss the case with you. e. Consider reviewing the radiograph a second time; sometimes the second look is more revealing. f. Ask an associate or contact a specialist for a consultation if you are not sure or want confirmation. g. When reviewing the radiographs do the following: List our radiographic findings List your differentials/diagnosis State your comments and methods for further evaluation h. Protect your body from radiation If you are pregnant or less than eighteen years of age do not be in the room when the animal is being radiographed.

243

Only manually restrain animals during the radiographic procedure when absolutely necessary. When you use manual restraint: Wear protective garb Monitor your exposure Never be in the primary beam Limit the beam to the area of interest Use the fastest film/screen combination that will allow you to obtain information you need Use leaded barriers Maximize your distance from the primary beam Stand on the anode side of the tube Cover the sides of the radiology table and the x-ray tube head and collimator with lead.

ULTRASOUND EQUIPMENT/KNOBOLOGY ECHOGENICITY ARTIFACTS ART OF IMAGING DISEASES Ultrasound-travels in longitudinal waves-areas of compression and areas of rarefaction. “ULTRA” frequency of sound greater than human hearing 20,000 Hertz (cycles per second) Diagnostic Ultrasound 1 to 10 Megahertz Propagation — transfer of energy; variation of acoustic variables in a mediumAcoustic variables-pressure, density, temperature, particle motion. Interface-occurs whenever two tissues of different acoustic impedance are in contact with each other. Acoustic impedance = density of tissue X speed of sound in the tissue. Speed of sound in soft tissue fairly constant — 1540 meters/second When the sound beam crosses an interface, only a small percentage is reflected. The amount of sound reflected at an interface determines how much amplitude the returning echo will have or how loud the echo will be. This amount depends on how great the difference is between the two acoustic impedances that make up the interface. Small impedance difference = small percentage sound reflected Large impedance difference = large portion reflected Soft tissue vs. gas — large difference in density and speed of sound- 99 percent of sound reflected. Soft tissue vs. bone — large difference in density and speed of sound -70 percent of sound reflected.


244

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

EXAMPLES OF SOME TISSUES WITH ASSOCIATED SOUND VELOCITIES AND ACOUSTIC IMPEDANCES TISSUE Blood Bone Brain Fat Kidney Liver Muscle Soft tissue (average) Water Air (N.T.P)

Velocity (M/S)

Acoustic Impedance (g/cm2 s)

1570 4080 1540 1450 1560 1550 580 1480 1480 330

1.61 x 10 to the 5th power 7.80 1.58 1.38 1.62 1.65 1.70 1.63 1.48 0.0004

ULTRASOUND EQUIPMENT 1. CENTRAL PROCESSING UNIT 2. TRANSDUCER/S 3. RECORDING MEDIUM 4 ADDITIONAL SUPPLIES 1. CENTRAL PROCESSING UNIT • POWER • GAIN—OVERALL AND TIME/DISTANCE GAIN COMPENSATION (TGC/TDC) • ALPHA/NUMERIC KEYBOARD • PATIENT ID INFORMATION • CALCULATION PACKAGE • TEXT • TRANSDUCER SELECTION • FOCAL ZONE SELECTION • IMAGE MANIPULATION-PROGRAMMED VS MANUAL PRE-PROCESSING FRAME RATE EDGE ENHANCEMENT CONTRAST WINDOW REJECT POST-PROCESSING • IMAGE POSITION • IMAGE MAGNIFICATION • FULL SCREEN • SPLIT SCREEN • PRINT/RECORD • MODE— REAL TIME VS STATIC ο B-BRIGHTNESS ο M-MOTION ο D-DOPPLER ο B/M-BRIGHTNESS AND MOTION ο B/D-BRIGHTNESS AND DOPPLER

2. TRANSDUCERS Transducers: Concerts bi-directionally electric energy into sound energy Piezoelectricity-PZT materials (ceramics, quartz) are deformed by applied voltage and causes changes in pressure that propagates as sound pulses Single element or array of elements such as a lineararray 2. PIEZOELECTRIC CRYSTAL AND TRANSDUCERS a) Piezo-Greek meaning pressure Piezoelectric = (Pressure-Electric) certain crystals emit electricity when pressed or deformed. Conversely when electricity is applied to the piezoelectric crystal it changes the shape of the crystal. When a piezoelectric crystal is deformed it can either generate sound or electricity. When the crystal is deformed with energy from the central processing unit, it produces sound that goes into the patient. When the crystal is deformed with sound returning from the patient, it produces electricity that is received by the central processing unit and displayed on the screen of this unit. Types of Transducers: MECHANICAL TRANSDUCER-SINGLE CRYSTAL Mechanical-rotating or oscillating single or array of elements in acoustic coupling liquid Sequenced and phased array Convex- linear, vector Electronic/non-mechanical ARRAY TRANSDUCER-MULTIPLE CRYSTALS The linear phased-array transducer is constructed from several small individual crystals lined up side by side like sticks of gum in a package. Each element


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

245

has its own circuits and can be fired independently or in combination with other crystals.

Resolution: Frequency of crystal Focal zone Size of lesion Echotexture

Frequency: Unit-Hertz (Hz): one cycle per second Megahertz (MHz): one million Hertz Infrasound: less than 20 Hz Ultrasound: above 20,000Hz Range commonly used in diagnostic imaging 3 to 12 MHz

Types of resolution: Lateral-objects side by side Axial resolution-front to back Resolution highest in focal zone of transducer No focal zone-poor lateral resolution Narrow focal zone-good lateral resolution

Propagation Speed: Speed of sound wave: meter per second (m/s) Different in air, liquid and solid Speed in soft tissue (average) 1540 m/s Why is this important: because ultrasound equipment assumes this speed in calculating depth location of structures Propagation speed x density = impedance High reflection occurs when large differences in tissue impedance and propagation speed. Pulse-echo: Ultrasound is sent into the tissue as a pulse from the transducer Each pulse contains a small number of waves—compressions The compressions interact with tissues and some of the energy returns to the transducer. The returning sound is called the echo and is detected by the transducer and displaced on the screen. Attenuation: Decrease in sound intensity as it travels in soft tissues: Absorption-conversion into heat Reflection Scattering

The higher the frequency, the better the resolution but the poorer the penetration. TRANSDUCER FREQUENCY/FREQUENCIES MAY BE: MONO 2.5, 3.5., 5.0, 7.5, 10.0 MHz DUAL 3.5/5.0, 3.5/6.0, 6.0/7.5 MHz TRI 3/5/5.0/7.5 MHz

TRANSDUCER FOCAL ZONES MAY BE: MONO DUAL MULTIPLE NEAR FIELD AND FAR FIELD: WHEN A SINGLE OR MONO FOCAL ZONE IS PRESENT THEN NEAR FIELD AND FAR FIELD REFER TO THE DISTANCE FROM THE TRANSDUCER TO THE FOCAL ZONE (NEAR FIELD) AND FROM THE FOCAL ZONE TO BOTTOM OF THE SCREEN (FAR FIELD) RESPECTFULLY. WHEN MULTIPLE FOCAL ZONES ARE PRESENT, THEN NEAR FIELD REFERS TO THE IMAGE CLOSE TO THE TRANSDUCER AND FAR FIELD REFERS TO THE IMAGE AWAY FROM THE TRANSDUCER.

TRANSDUCER FREQUENCY

APPLICATION

PERFORMANCE

3.5 Megahertz

CARDIAC ABDOMEN LARGE SIZE DOGS

GREAT PENETRATION POOR RESOLUTION

5.0 Megahertz

CARDIAC ABDOMEN MEDIUM SIZE DOGS

GOOD PENETRATION GOOD RESOLUTION

7.5-10 Megahertz

CARDIAC ADOMEN SMALL DOGS CATS PEDIATRICS POCKET PETS/FERRETS

POOR PENETRATION EXCELLENT RESOLUTION


246

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

• MASS SPLEEN-especially if mixed echogenic, hypo or hyperechoic to normal spleen • PREGNANCY-25 days or later • PYOMETRA • CALCULI KIDNEYS • CYSTS KIDNEYS-renal/perirenal • HYDRONEPHROSIS • MASS BOWEL • DISTENDED BOWEL • DIFFUSE/SEVERE PANCREATITIS • ABNORMAL LYMPH NODES-mesenteric, sublumbar • MASS OR ENLARGED LEFT ADRENAL GLAND • MASS URINARY BLADDER • CALCULI BLADDER • OBESITY

RESOLUTION DETERMINED BY: FREQUENTY OF TRANSDUCER LOCATION OF FOCAL ZONE SIZE OF LESION ECHOTEXTURE OF LESION CARE OF TRANSDUCER HANDLE WITH CARE DO NOT DROP DO NOT AUTOCLAVE DISINFECT IMMEDIATELY AFTER USE/KEEP HEAD CLEAN

IMPEDANCE MATCHING Density difference between face of transducer and soft tissues of body wall is very large. Impedance matching refers to the process that lesions or minimizes this initial reflection. • Coupling medium/gel and alcohol used to enhance entrance of sound into the body. • Acoustic window-sound able to enter body to visualize organs of interest • Acoustic wall-sound obstructed from entering into body or area of interest because of gas/bone between transducer and organ/region of interest. ADDITIONAL SUPPLIES THINGS TO MAKE IMAGING EASIER • POSITIONERS • TOWELS • GEL • ALCOHOL • CLIPPER • GARBAGE CAN • HELP • SEDATION • EXTRA SUPPLY OF PRINTER PAPER IF PAPER PRINTER USED • EXTRA TAPES IF TAPE RECORDER USED • EXTRA DISKS IF IMAGES STORED ON DISKS • BIOPSY TRAY ο #11 SCAPEL BLADE ο ALCOHOL ο COTTON ο GAUZE SPONGES ο SPINAL NEEDLES- 18, 20, 22 GAUGES ο CORE BIOPSY NEEDLES ο BIOPSY GUIDE ο SLIDES ο SMALL NON-CLOT TUBES ο FORMALIN ABDOMINAL CONDITIONS EASILY RECOGNIZED: • FREE FLUID IN ABDOMEN • MASS LIVER-especially if mixed echogenic, hypo or hyperechoic to normal liver • DISTENDED/ABNORMAL GALLBLADDER

DISEASES NOT AS EASILY RECOGNIZED: • MILDLY ENLARGED ADRENAL GLAND-especially the right • ECTOPIC URETER • U. BLADDER DIVERTICULUM • SMALL METS TO OMENTUM • ISOECHOIC MASS LESIONS • MILD PANCREATITIS • SMALL ISLET CELL TUMOR • SMALL RETAINED TESTICLE ULTRASOUND EVALUATION • SIZE • SHAPE • POSITION • CONTOUR • ECHOTEXTURE/ECHOGENICITY ULTRASOUND-Echogenicity ABSOLUTE ANECHOIC—black if screen originally black RELATIVE ISOECHOIC-same as HYPERECHOIC-whiter HYPOECHOIC-darker MIXED-mottled Relative echogenicity of abdominal structures 0= black/anechoic • • • • • • •

10= most echogenic

0 FLUID2 MEDULLA KIDNEY 4 CORTEX KIDNEY 5 LIVER 6 SPLEEN 8 FAT/FIBROUS TISSUE 10 BONE/GAS/METAL/BARIUM

ULTRASOUND RULE: FLUID—-FRIEND GAS/BONE—-FOE TOO MUCH FAT-NOT SO GOOD


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

ARTIFACTS • SHADOWING-reduction of the echo amplitude from reflectors that are located beyond a strongly reflecting or attenuating structure such as gas, bone, stone, metal, barium • REFRACTION-change in direction of sound when it encounters a round surface. • ENHANCEMENT-increased brightness (echo amplitude) of structures (reflectors) beyond a low-attenuating structure such as fluid. • REVERBERATIONS • MIRROR IMAGE • IMPROPER GAIN OR POWER • SECTION THICKNESS ULTRASOUND TECHNIQUES AND ORIENTATION VOCABULARY Sound exits from the transducer in the shape of a rectangle or pie. Every transducer has an indicator button, dot, line or depression on its head to assist the sonographer in determining the plane in which the sound is exiting from the transducer. Each central processing unit has a button, dial or switch that allows a display to be placed on the viewing screen that corresponds to the indicator on the transducer head. When evaluating the abdominal viscera the display on the screen should be to your left as you look at the screen (this is the convention that is most commonly used by most sonographers). When evaluating the heart, the display on the screen should be to your right as you look at the screen (this is the convention most commonly used by most veterinary cardiologists). When scanning the abdomen. Sagittal scan: The dot on the transducer is facing toward the head of the animalWith the transducer indicator in this location and the indicator on screen located to the left as you view the screen, the animal’s liver will be to the left and the urinary bladder will be to the right (Similar to looking at a lateral radiograph of the abdomen). Transverse/Axial Scan: The dot on the transducer is facing toward the right of the animal. With the transducer indicator in this location and the indicator on the screen located to the left as you view the screen, the animal’s right side of the liver and right kidney will be on the left side of the screen and the left side of the liver and the left kidney will be on the right side of the screen (Similar to looking at a VD or DV radiograph of the abdomen). PATIENT POSITIONING: The status of the patient, the organ system to be evaluated, the clinical situation and the desire of the sonographer all are involved in determining the position of the patient at the time the study is performed. Frequently, the patient will be evaluated while in one or more of the following positions. Lateral Recumbency Dorsal Recumbency Standing Sternal

247

Anatomy of Scanning: All veterinarians and veterinary technicians know the organ systems within the abdominal cavity. This knowledge of anatomy must now be combined with the appropriate ultrasound equipment, transducer manipulations and mental image reconstruction to define the organ systems and disease processes. The mental three-dimensional reconstructions required to be an excellent sonographer comes easier to some than others but with persistence and effort, it comes to all who wish to succeed. It is important that the abdomen be scanned in a systematic manner. Below is an outline of one method that may be used. The sound generated by the transducer can be used to visualize all the organs in the abdomen by slowly sliding the transducer along the surface of the abdomen, fanning the sound beam into the patient while keeping the head of the transducer in one spot or rotating the transducer in a clockwise or counterclockwise direction. It is important that the transducer and sound beam be moved slowly; often the novice wants to use the transducer as a sword rather than as a delicate diagnostic instrument. ULTRASOUND PROTOCOL FOR EXAMINING THE ABDOMN: • Place animal in dorsal recumbency if possible; consider sedation if animal will not stay and if sedation is possible. • Clip abdomen-be liberal if possible-Sternum to pubis and half way up each side. • Wet down area with alcohol • Apply coupling gel • Place appropriate frequency probe on abdomen to visualize the spleen-set power, gain, TGC settings. • Each organ system should be evaluated in sagittal and transverse planes. • Static images can be saved and organs/lesions measured as appropriate. • Start the recording and proceed as follows: • Place probe by last sternebra and then move it to— • Evaluate left side of liver • Evaluate right side of liver • Evaluate gal1 bladder • Evaluate portal vein and porta hepatis • Evaluate spleen • Evaluate left kidney-measure left kidney • Evaluate left adrenal gland • Evaluate urinary bladder • Evaluate reproductive organ/s • Evaluate sublumbar lymph nodes • Evaluate right kidney-measure right kidney • Evaluate right adrenal gland • Evaluate stomach • Evaluate bowel • Evaluate mesenteric lymph nodes • Evaluate pancreas • Place animal in right lateral recumbency • Evaluate pancreas • Evaluate left adrenal gland if not previously seen • Place animal in left lateral recumbency • Evaluate right adrenal gland if not previously seen • Make concluding statements after you evaluate each organ system. If there is a mass lesion define, freeze it, label and measure it. References: Nyland & Mattoon:Veterinary Diagnostic Ultrasound; W.B. Saunders Co. Publisher Green, R.W.: Small Animal Ultrasound; Lippincott-Raven Publisher.


248

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Sindrome respiratoria del brachicefalo: linee guida per diagnosi e trattamento Stefano Romussi Med Vet - Università di Milano

Estratto breve DEFINIZIONE E PATOGENESI Il termine sindrome respiratoria dei cani brachichefali (BAOS) viene impiegato nella pratica clinica per indicare un insieme di disturbi respiratori delle prime vie aeree epidemiologicamente di rilievo nelle razze brachicefale. Le alterazioni anatomiche dalle quali i disturbi traggono origine riguardano: le narici, le strutture faringee ed il laringe. Per i soggetti di razza Bulldog alle lesioni proprie della BAOS bisogna aggiungere anche alterazioni disontogeniche tracheali (ipoplasia tracheale) che possono costituire una ulteriore complicanza del quadro clinico. La patogenesi dei disturbi è strettamente correlata alle alterazioni anatomiche che derivano fondamentalmente dalla disproporzione nel rapporto tra tessuti duri e tessuti molli del cranio risultato ultimo delle selezione genetica. La esuberanza dei tessuti molli condiziona la riduzione dello spazio aereo delle prime vie che è la causa prima del disturbo respiratorio.

DIANOSI Iter diagnostico prevede il ricorso ad un algoritmo assai semplice per la verifica semeiologica e strumentale delle singole alterazioni che danno origine al sintomo. L’anamnesi speciale deve evidenziare la modalità di insorgenza della sintomatologia, la tipologia del rumore respiratorio facendo estrema attenzione alla differenza tra stridore, stertore, russamento e reverse sneezing. Lo stertore, tipoco rumore misto, di tipo umido a genesi faringolaringea è reperto tipico in tutti questi pazienti. L’esame particolare dell’apparato respiratorio origina dalla valutazione delle narici avendo particolare cura nell’osservare la disposizione delle cartilagini alari nonchè il loro eventuale movimento di adduzione in fase inspiratoria considerato patognomonico per la presenza della stenosi delle nari. L’esame ispettivo della regione faringea comprendente palato molle, pliche faringee laterali, tonsille e sacculi laringei necessita, per la corretta esecuzione, soprattutto nelle razze di piccola taglia, del ricorso alla narcosi ed eventualmente all’ausilio dell’endoscopia.

TRATTAMENTO Il trattamento della BAOS è squisitamente chirurgico e prevede il ricorso a tecniche che possono presentare variazioni operative in relazione alla taglia e alla morfologia del soggetto affetto.

Stenosi delle narici La correzione prevede l’esecuzione di una plastica bilaterale consistente nell’asportazione di un lembo tissutale triangolare con base ventrale della porzione vestibolare laterale in modo che la successiva sutura di avvicinamento degli estremi della base porti alla abduzione della cartilagine alare con conseguente aumento di dimensioni dell’adito respiratorio.

Palato molle lungo Anche in questo caso la tecnica operatoria prevede l’esecuzione di una plastica consistente in una resezione della porzione rostrale del palato secondo una linea curva congiungente i due reperi di sezione rappresentati dalla porzione caudale della cripta tonsillare. Indipendentemenmte dalla tecnica di resezione impiegata (l’autore impiega quella standard) la sutura dei lembi deve considerare la giustapposizione della mucosa orale e di quella faringea per evitare prolassi adiposi con disturbo secondario della cicatrizzazione.

Eversione dei sacculi La correzione del disturbo prevede la resezione del sacculo, specializzazione mucosale del ventricolo laringeolaterale. La resezione, di per sè è pratica assai semplice, prevede la localizzazione esatta del sacculo, la sua esteriorizzazione mediante trazione e la dieresi completa alla base evitando di interessare le corde vocali. La procedura nei soggetti di razze toy può essere assolutamente agevolata ricorrendo a tecnica perendoscopica videoassistita.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

249

Valutazione ecocardiografica del rigurgito mitralico Roberto A. Santilli Med Vet, Dipl ECVIM-CA (Cardiology) - Samarate (Varese)

Estratto breve Il rigurgito mitralico (RM) è una delle patologie valvolari più frequenti nel cane. Nelle razze di taglia medio-piccola, il RM è secondario ad endocardiosi mitralica, nelle razze giganti, invece, a cardiomiopatia dilatativa, prolasso valvolare e displasia mitralica congenita. Gli stadi dell’analisi del rigurgito mitralico includono: 1) studio morfo-funzionale della valvola; 2) valutazione dell’entità del rigurgito; 3) valutazione della funzione ventricolare sinistra. Lo studio del RM inizia con l’analisi dell’anatomia valvolare al fine di evidenziare la presenza di proliferazioni endocardiosiche, del prolasso di uno o entrambi i lembi, di anomalie del movimento e del collabimento degli stessi e di eventuali rotture delle corde tendinee. Questo esame è effettuato principalmente dalla proiezione parasternale destra asse lungo due camere, dove è possibile studiare l’anatomia valvolare senza sovrastimare l’entità del prolasso valvolare. Esistono diverse metodiche ecocardiografiche per quantificare la gravità del rigurgito mitralico anche se risulta difficile testarle, per l’assenza di una tecnica di riferimento affidabile. Con il Doppler pulsato si può effettuare il mappaggio del jet rigurgitante spostando il cursore nell’atrio sinistro, e valutando l’entità dello stesso a seconda del suo arrivo al tetto dell’atrio. Questo metodo è considerato da molti autori indaginoso ed impreciso. Il Color Doppler permette di valutare l’area di turbolenza causata dal rigurgito. La metodica Doppler fornisce informazioni riguardo alla velocità e non al volume dei flussi; la dispersione spaziale del jet rigurgitante è proporzionale all’energia cinetica del flusso che è prodotto di massa e velocità, la velocità dipende invece dal gradiente pressorio. Attraverso l’analisi del jet rigurgitante con il Doppler a codice di colore è possibile valutare la direzione dello stesso che, in caso di prolasso del lembo anteriore, assume una direzione verso la parete atriale in proiezione parasternale destra asse lungo e caudale in parasternale sinistra quattro camere, in caso, invece, di prolasso del lembo posteriore, si dirige verso il setto interatriale nella prima proiezione e cranialmente nella seconda. Il criterio più comune di analisi del volume rigurgitante è area del jet rigurgitante in rapporto all’area dell’atrio sinistro. L’area misurata su immagini statiche trascura il tempo, più affidabile risulta la stima visuale semi-

quantitativa analoga a quell’angiografica, valutata su piani multipli. Un altro metodo di analisi quantitativa del volume rigurgitante si basa sulle differenze dei volumi di flusso: Il flusso rigurgitante (RVM) = flusso anterogrado mitralico (SVM ) - la gittata cardiaca (SV); dove SVM = area dell’anello mitralico (calcolata dal diametri apicale 4C alla base dei lembi in massima apertura) X integrale velocità tempo flusso mitralico.ottenuto con il pulsato ed il cursore al centro della misurazione dell’anello mitralico. La frazione rigurgitante: RF= RV-SV. La gittata totale si può ottenere dal calcolo in 2D dall’apicale quattro camere. Questa tecnica è soggetta a grossi errori, è difficile una valutazione di riferimento risonanza magnetica, angiocardiografia, od anche valori prossimi allo zero in assenza di rigurgito. Altre possibili fonti di errore includono la geometria non circolare dell’anello, e le difficoltà di campionamento dato il movimento dell’anello. L’ultimo metodo è quello della regione di convergenza (PISA). La regione di convergenza del flusso(FCR) e quella zona di flusso laminare identificabile con il color Doppler, localizzata in prossimità di un orifizio stenotico la cui velocità aumenta in modo esponenziale avvicinandosi all’orifizio.In presenza di un orifizio circolare tale zona è costituita superfici emisferiche concentriche di isovelocità. In accordo con il principio di continuità, nella FCR il flusso attraverso ogni superficie di isovelocità è costante ed è uguale al flusso che attraversa l’orifizio.Il calcolo con il color -Doppler del flusso: Q= 2 x r2 Vr (area dell’emisfera per la velocità che la caratterizza). Il limite primo di aliasing è facilmente identificabile come improvviso cambio della codifica a colori e, poiché la corrispondente velocità è nota, in quanto fornita dall’apparecchio, potrà essere utilizzato per la misura della distanza radiale r ed ovviamente per la velocità corrispondente. La gravità del rigurgito risulta anche correlata allo stato della funzionalità ventricolare sinistra. In corso di RM grave il sovraccarico i volume può causare compromissione della funzione ventricolare anche in assenza di sintomi manifesti, in pazienti con scompenso ventricolare sinistro da RM grave, anche modeste riduzioni degli indici della fase eiettiva, come la frazione di eiezione o di accorciamento, indicano una grave riduzione della funzione contrattile.

Bibliografia: Disponibile su richiesta


250

Estratto completo Il rigurgito mitralico (RM) è una delle patologie valvolari più frequenti nel cane. Nelle razze di taglia medio-piccola, il RM è secondario ad endocardiosi mitralica, nelle razze giganti, invece, a cardiomiopatia dilatativa, prolasso valvolare e displasia mitralica congenita. Gli stadi dell’analisi del rigurgito mitralico includono: 1) studio morfo-funzionale della valvola; 2) valutazione dell’entità del rigurgito; 3) valutazione della funzione ventricolare sinistra.

1) Studio morfo-funzionale della valvola L’apparato mitralico è costituito da quattro componenti: l’anello, i lembi, le corde, i mm papillari. I due lembi non sono completamente separati fra di loro, la distanza base d’impianto margine libero del lembo anteriore, è maggiore di quella del lembo posteriore il quale presenta però una maggior lunghezza della base d’impianto; benché di morfologie differenti le superfici sono pressoché identiche. Il lembo posteriore possiede un vero e proprio cercine di tessuto fibroso, l’anello che separa il miocardio atriale da quello ventricolare, il lembo anteriore condivide l’inserzione allo scheletro fibroso con la cuspide aortica coronarica sinistra e metà della non coronarica. La superficie dei lembi è circa 2,5 volte quella dell’orifizio a livello dell’anello.Il terzo distale dei lembi è rugoso, mentre i primi due terzi sono lisci. L’area rugosa, nella faccia ventricolare, dà inserzione alle corde tendinee; sulla corrispondente faccia atriale si osserva un cercine che demarca la linea di coaptazione dei lembi in chiusura. Vista in asse corto, la linea di chiusura non è rettilinea grossolanamente divisibile in terzi che corrispondono alle 3 suddivisioni del lembo posteriore. Da ognuno dei muscoli papillari si dipartono 12 corde tendinee che si suddividono, procedendo verso l’inserzione dei lembi, in 120 corde, suddivise in I, II e III ordine. Le corde del muscoli papillare postero-mediale forniscono l’inserzione alla metà mediale di ambedue i lembi, mentre il mm antero-laterale alla metà laterale. Ambedue i papillari originano dalla parete libera del VS alla giunzione tra il terzo medio ed il terzo apicale dell’asse lungo ventricolare. Rispetto ad una sezione trasversa a questo livello, giacciono ambedue nella semicirconferenza posteriore e la loro linea ideale d’unione decorre parallela alla linea di chiusura della valvola. La morfologia dei papillari è molto variabile, di solito il papillare antero-laterale è più sottile e formato da un unico capo che protunde maggiormente nella cavità ventricolare. Il papillare postero-mediale è più con base ampia. L’integrità funzionale della valvola può essere compromessa non solo da alterazioni delle componenti descritte ma anche da disfunzione del ventricolo sinistro, sia essa globale o regionale, tanto che dal punto di vista fisiopatologico il ventricolo sinistro può essere considerato a tutti gli effetti una componente essenziale dell’apparato mitralico. Lo studio del RM inizia con l’analisi dell’anatomia valvolare al fine di evidenziare la presenza di proliferazioni endocardiosiche, del prolasso di uno o entrambi i lembi, di

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

anomalie del movimento e del collabimento degli stessi e di eventuali rotture delle corde tendinee. Questo esame deve essere compiuto attraverso varie scansioni ecografiche che ricostruisco in modo tridimensionale la valvola posta in posizione centrale all’interno del cuore. Con l’esame transtoracico la scansione parasternale asse lungo, asse corto e la posizione apicale 4 camere. La valutazione funzionale può essere effettuata attraverso l’uso della classificazione di Carpentier Tipo I: valvole insufficienti con normale movimento valvolare (dilatazione dell’anello) Tipo II: valvole insufficienti con aumentato movimento valvolare (rottura od allungamento corde tendinee, rottura di un papillare) Tipo III: valvole insufficienti con ridotto movimento valvolare (retrazione e/o fusione delle corde, dilatazione e/o disfunzione ventricolo sinistro) Altre possibilità od associazioni tra le cause sopra citate. Modalità di apposizione dei lembi in sistole lungo tutta la linea di chiusura Si valuta la localizzazione di eventuali perdite ed anomalie di collabimento, in assenza delle quali il rigurgito può essere dovuto solo a fissurazione acquisita o congenita dei lembi o perforazione degli stessi. In condizioni di normalità, durante la sistole, i due lembi collabiscono fino a livello della zona rugosa, distante 2-3 mm dal margine libero, aderendo un altro lungo questo spessore. Se l’apposizione avviene solo tra i margine libero o il margine libero di uno e la faccia atriale dell’altro, non vi è contenenza della valvola. Tra le cause di mancato collabimento sono incluse: I) Lembi normalmente mobili: dilatazione o calcificazione dell’anello valvolare causa la mancanza di contrazione (dell’anello) durante la sistole, può spostare il punto di collabimento verso il margine libero fino alla perdita dello stesso; II) Lembi esageratamente mobili: allungamento o rottura corde tendinee o raramente rottura di muscolo papillare; III) Riduzione di movimento dei lembi: 1) retrazione dei lembi o fusione e/o retrazione delle corde; 2) dilatazione e disfunzione del ventricolo sinistro (aumento di dimensioni, distorsione geometrica, discinesia: mancato avvicinamento o allontanamento sistolico dei papillari verso l’esterno. Attraverso la scansione parasternale destra asse lungo è possibile valutare il diametro dell’anello antero- posteriore e la linea di chiusura. Con la scansione apicale quattro camere il collabimento dei lembi, in più sezioni contigue (rapporti anatomici con aorta, seno coronarico, atri) ed i rapporti tra il piano di coaptazione dei lembi e l’anello

2) Valutazione dell’entità del rigurgito Esistono diverse metodiche ecocardiografiche per quantificare la gravità del rigurgito mitralico anche se risulta difficile testarle, per l’assenza di una tecnica di riferimento affidabile.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Con il Doppler pulsato si può effettuare il mappaggio del jet rigurgitante spostando il cursore nell’atrio sinistro, e valutando l’entità dello stesso secondo il suo arrivo al tetto dell’atrio. Questo metodo è considerato da molti autori indaginoso ed impreciso. Il Color Doppler permette di valutare l’area di turbolenza causata dal rigurgito. La metodica Doppler fornisce informazioni riguardo alla velocità e non al volume dei flussi; la dispersione spaziale del jet rigurgitante è proporzionale all’energia cinetica del flusso che è prodotto di massa e velocità, la velocità dipende invece dal gradiente pressorio. Il volume rigurgitante dipende dall’impedenza allo svuotamento del ventricolo sinistro e quindi da una combinazione tra le dimensioni istantanee dell’orifizio rigurgitante e dal gradiente pressorio tra il ventricolo e l’atrio. La pressione sistolica ventricolare sinistra, dipende, dalle resistenze sistemiche e dalla gittata anterograda mentre l’area di sezione dell’orifizio rigurgitante può essere modificata da numerosi fattori aumentando le dimensioni dell’anello mitralico per aumenti di volume e quindi per aumenti di post-carico, pre-carico e contrattilità. Attraverso l’analisi del jet rigurgitante con il Doppler a codice di colore è possibile valutare la direzione dello stesso che, in caso di prolasso del lembo anteriore, assume una direzione verso la parete atriale in proiezione parasternale destra asse lungo e caudale in parasternale sinistra quattro camere, in caso, invece, di prolasso del lembo posteriore, si dirige verso il setto interatriale nella prima proiezione e cranialmente nella seconda. In caso di prolasso di entrambe i lembi o di disfunzione ventricolare assume una posizione centrale. Il criterio più comune di analisi del volume rigurgitante è area del jet rigurgitante in rapporto all’area dell’atrio sinistro. L’area misurata su immagini statiche trascura il tempo, più affidabile risulta la stima visuale semiquantitativa analoga a quell’angiografica, valutata su piani multipli: 1) asse lungo parasternale con scansione anterolaterale-posteromediale di tutta la commisura; 2) asse lungo 4 camere con scansione antero-posteriore; 3) apicale 2 camere e valutazione temporale immagine per immagine o Q-mode dall’apicale 4 c per valutare la variazione nel tempo. Un altro metodo di analisi quantitativa del volume rigurgitante si basa sulle differenze dei volumi di flusso: Il flusso rigurgitante (RVM) = flusso anterogrado mitralico (SVM ) - la gittata cardiaca (SV); dove SVM = area dell’anello mitralico (calcolata dal diametri apicale 4C alla base dei lembi in massima apertura) X integrale velocità tempo flusso mitralico.ottenuto con il pulsato ed il cursore al centro della misurazione dell’anello mitralico. La frazione rigurgitante: RF= RV-SV. La gittata totale si può ottenere dal calcolo in 2D dall’apicale quattro camere. Questa tecnica è soggetta a grossi errori, è difficile una valutazione di riferimento risonanza magnetica, angiocardiografia, od anche valori prossimi allo zero in assenza di rigurgito. Altre possibili fonti di errore includono la geometria non circolare dell’anello, e le difficoltà di campionamento dato il movimento dell’anello.

251

L’ultimo metodo è quello della regione di convergenza (PISA). La regione di convergenza del flusso(FCR) e quella zona di flusso laminare identificabile con il color Doppler, localizzata in prossimità di un orifizio stenotico la cui velocità aumenta in modo esponenziale avvicinandosi all’orifizio.In presenza di un orifizio circolare tale zona è costituita superfici emisferiche concentriche di isovelocità. In accordo con il principio di continuità, nella FCR il flusso attraverso ogni superficie di isovelocità è costante ed è uguale al flusso che attraversa l’orifizio.Il calcolo con il color Doppler del flusso: Q= 2 x r2 Vr (area dell’emisfera per la velocità che la caratterizza). Il limite primo di aliasing è facilmente identificabile come improvviso cambio della codifica a colori e, poiché la corrispondente velocità è nota, in quanto fornita dall’apparecchio, potrà essere utilizzato per la misura della distanza radiale r ed ovviamente per la velocità corrispondente. Lo studio del flusso diastolico transmitralico e venoso polmonare consente di ottenere importanti informazioni sulle pressioni di riempimento e sulla funzionalità atriale. In caso di rigurgito mitralico grave il flusso rigurgitante invade le vene polmonari con una riduzione del flusso anterogrado sistolico ed aumento del diastolico. Il flusso può essere differente tra le vene di destra e di sinistra essendo influenzato dalla direzione del jet rigurgitante. Questa potrebbe essere una possibile spiegazione della differente distribuzione dell’edema polmonare cardiogeno nel cane. Il comportamento del flusso venoso polmonare è influenzato anche da dimensioni e compliance dell’atrio sinistro, gittata cardiaca e pressione atriale in telediastole. Il flusso diastolico transmitralico ed in particolare la velocità dell’onda E ed il rapporto E/A forniscono informazioni utili sulle pressioni di riempimento. Rapporti E/A maggiori di 1,2 ed onde E con velocità maggiori di 0,9 m/s suggeriscono un aumento della pressione atriale con possibilità di edema polmonare.

c) Valutazione della funzione ventricolare sinistra La gravità del rigurgito risulta anche correlata allo stato della funzionalità ventricolare sinistra. L’aorta e l’orificio rigurgitante mitralico sono posti funzionalmente in parallelo, per cui l’impedenza allo svuotamento è ridotta. Il ventricolo sinistro perciò si decomprime in atrio sinistro sia durante la sistole isovolumetrica sia nella fase espulsiva. Oltre IL 50% del volume rigurgitante è espulso in atrio prima dell’apertura aortica. Nel RM rispetto a quello aortico, l’aumento dei volumi e della pressione telediastolica, sono significativamente inferiori. Esistono delle differenze emodinamiche in corso d’insufficienza mitralica (IM) acuta e cronica. IM acuta: la tensione parietale sistolica del ventricolo sinistro non aumenta o diminuisce (Laplace), aumenta la velocità di accorciamento delle fibre ed aumenta la portata totale, il ventricolo sinistro compensa il rigurgito vuotandosi di più con una progressiva riduzione del volume telesistolico. All’inizio in caso di IM acuta grave (rottura


252

di corde, endocardite etc), in conseguenza alla riduzione del postcarico, aumentano gli indici di funzione eiettiva (FE, FA, VCF). Nell’IM acuta, la clinica è influenzata dalla compliance atriale: un atrio sinistro di dimensioni normali con un aumento improvviso della pressione in rapporto al volume, comporta un aumento della pressione delle vene polmonari, delle arterie polmonari con ipertensione polmonare e scompenso destro. Se è superata questa fase, l’aumento di dimensione dell’atrio sinistro riduce le pressioni nel piccolo circolo. IM cronica: l’aumento del volume telediastolico causa incremento della tensione a livelli normali od aumentati. Ciò comporta un aumento delle dimensioni dell’anello valvolare che peggiora il grado di IM.

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Si ritrovano valori di FE, FA normali quando la bassa impedenza e la velocità di accorciamento delle fibre sono controbilanciati dalla disfunzione contrattile dei sovraccarichi diastolici cronici nei quali il rimodellamento del ventricolo sinistro causa dilatazione, aumento dello stress parietale e scivolamento delle fibre. Da un lato, in corso di IM grave il sovraccarico i volume può causare compromissione della funzione ventricolare anche in assenza di sintomi manifesti, dall’altro pazienti con scompenso ventricolare sinistro da IM grave possono presentare solo una modesta riduzione degli indici della fase eiettiva che indicano però una grave riduzione della funzione contrattile.

Bibliografia: Disponibile su richiesta.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

253

Prurito nel cane e nel gatto: trabocchetti diagnostici ed errori terapeutici Fabia Scarampella Med Vet, Dipl ECVD - Milano

Estratto breve Il prurito è considerato il segno clinico patognomonico delle dermatiti allergiche nel cane e nel gatto, tuttavia non dobbiamo dimenticare che tutti i processi infiammatori cutanei di natura infettiva, parassitaria o immunomediata, così come alcune malattie sistemiche quali il diabete mellito o l’insufficienza renale possono causare prurito. Poiché molte malattie dermatologiche nel cane possono manifestarsi con quadri clinici simili è un errore fondamentale pensare di poter diagnosticare una dermatite allergica consultando un atlante di dermatologia. Solo un’accurata visita del soggetto che comprenda il segnalamento completo, l’anamnesi e l’esame clinico dell’animale nonché l’esecuzione degli esami collaterali può fornire tutti gli elementi che ci permetteranno di formulare una diagnosi corretta e prescrivere una terapia adeguata. Una buona anamnesi generale e dermatologica, remota e recente, compresa la lista dei farmaci già somministrati probabilmente costituisce il 70% della diagnosi. L’esecuzione di raschiati cutanei ci permette di confermare la presenza di una malattia parassitaria. Limitarsi nel numero e nell’estensione delle aree cutanee da raschiare è un comune errore mentre la falsa negatività di questo esame in cani con rogna sarcoptica spesso dipende da errori di manualità o di scelta della sede da campionare. L’esame microscopico di preparati citologici è un mezzo molto utile che ci permette di diagnosticare facilmente infezioni batteriche e da Malassezia. Un errore da non commettere è scegliere le lesioni da campionare “a caso” rischiando di perdere le lesioni primarie intatte, quali papule e pustole. L’abuso dei test allergologici per la diagnosi eziologica del prurito nel cane e nel gatto è un errore molto comune. È importante ricordare che questi esami non hanno un’utilità diagnostica, ma hanno come unico scopo quello di individuare gli aeroallergeni da includere nell’immunoterapia specifica per i cani con dermatite atopica. La fretta di eliminare il prurito può spingerci a commettere l’errore di prescrivere una terapia sintomatica prima di avere identificato la causa del problema. In particolare l’impiego della terapia cortisonica può ridurre sensibilmente l’intensità del prurito e di parte dei segni clinici anche in cani e gatti affetti da malattie parassitarie o infettive rendendo così più difficile l’identificazione dell’agente eziologico e la sua eliminazione con la terapia specifica.

Il ruolo delle infezioni secondarie come fattori esacerbanti il prurito nei animali atopici è spesso sottovalutato. Un errore comune è trattare tutte le esacerbazioni del prurito con il cortisone senza avere valutato attentamente la presenza di infezioni secondarie. Spesso, in queste situazioni, la terapia antimicrobica da sola è in grado di risolvere efficacemente la crisi. Infine è importante dedicare tempo all’informazione del cliente e programmare una serie di appuntamenti per controllare l’evoluzione clinica del paziente. Questa condotta ridurrà al minimo i motivi di fallimento dovuti ad errori nella somministrazione dei farmaci.

Estratto completo Il prurito è considerato il segno clinico patognomonico delle dermatiti allergiche nel cane e nel gatto, tuttavia non dobbiamo dimenticare che tutti i processi infiammatori cutanei di natura infettiva, parassitaria o immunomediata, così come alcune malattie sistemiche quali il diabete mellito o l’insufficienza renale possono causare prurito.

I CINQUE PIÙ COMUNI ERRORI CHE POSSONO CONDURRE AD UNA DIAGNOSI SBAGLIATA Dimenticare l’anamnesi Quando viene portato in ambulatorio un animale con prurito un grave errore è iniziare l’esame clinico senza avere prima interrogato il proprietario. Una buona anamnesi generale e dermatologica, remota e recente, compresa la lista dei farmaci già somministrati probabilmente costituisce il 70% della diagnosi. È importante accertare la provenienza dell’animale. Malattie parassitarie quali la rogna sarcoptica, la rogna notoedrica e la cheyletiellosi sono molto contagiose e sono più facilmente riscontrabili in soggetti giovani che provengono da canili, gattili negozi o pensioni. L’eventuale presenza di segni clinici analoghi in cani o gatti conviventi e/o la presenza di papule eritematose sugli avambracci dei proprietari sono ulteriori elementi utili alla diagnosi. L’età in cui si è manifestato il prurito è un altro dato importante. Le allergie si manifestano con prurito cronico men-


254

tre la comparsa improvvisa di prurito in soggetti anziani è suggestiva di una malattia autoimmune o di una neoplasia. La localizzazione del prurito ci può dare suggerimenti utili: nel cane un prurito localizzato alla base della coda e al perineo deve fare sospettare un’infestazione o un’allergia alle pulci, mentre la stessa ipersensibilità può manifestarsi nella specie felina con un prurito facciale e del collo e/o con lesioni del complesso del granuloma eosininofilico. Inoltre nel cane la localizzazione del prurito rappresenta uno dei criteri diagnostici maggiori nella diagnosi di dermatite atopica. Infine è importante informarsi sulla risposta a terapie precedenti. Un prurito che cessa con la somministrazione di antibiotici, è probabile che sia dovuto ad un infezione batterica, mentre una parziale o scarsa risposta ai cortisonici è suggestiva di allergia alimentare o di una infestazione parassitaria.

Errori nell’esecuzione dei raschiati cutanei L’esecuzione di raschiati cutanei ci permette di confermare la presenza di una malattia parassitaria. La falsa negatività di questo esame in cani con rogna sarcoptica spesso dipende da errori di manualità o di scelta della sede da campionare. È importante evitate le aree di autotraumatismo, dove sono scarse le probabilità di ritrovare gli acari. Devono essere individuate le lesioni primarie (papule e croste) in aree cutanee dove il soggetto non arriva a mordersi, ad esempio, sui padiglioni auricolari. L’esecuzione di raschiati troppo superficiali può essere invece la causa di falsa negatività in caso di rogna demodettica. Questo parassita vive infatti in profondità nei follicoli piliferi e per raggiungerlo la cute deve essere raschiata sino ad apprezzare la comparsa di emorragia capillare. Limitarsi nel numero e nell’estensione delle aree cutanee da raschiare è un altro comune errore, così come tralasciare di tagliare il pelo nelle sedi da campionare. Più raschiati e più superficie cutanea campioniamo e maggiori saranno le possibilità di trovare i parassiti. Inoltre è importante stemperare in abbondante olio di vaselina il materiale raccolto. Preparati troppo ricchi in detriti cutanei e peli precludono una buona osservazione del campione.

Errori nell’esecuzione dell’esame citologico L’esame microscopico di preparati citologici è un mezzo molto utile, rapido, poco costoso, che ci permette di ottenere informazioni importanti sulla lesione in meno di 5 minuti. La sua esecuzione ci permette di diagnosticare facilmente infezioni batteriche e da Malassezia o può suggerirci la presenza di una malattia autoimmune come il penfigo foliaceo o di una dermatite eosinofilica felina. Per ottenere i migliori risultati con questo test bisogna che il materiale raccolto sia il più rappresentativo possibile della condizione in esame. Un errore da non commettere è scegliere le lesioni da campionare “a caso” rischiando di perdere le lesioni primarie intatte, quali papule e pustole. Se commettiamo l’errore di scegliere lesioni secondarie, in aree traumatizzate, potremo solo diagnosticare la presenza di problemi secondari!!!!!

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Impiego errato dei test allergologici L’abuso dei test allergologici per la diagnosi eziologica del prurito nel cane e nel gatto è un errore molto comune. È importante ricordare che questi esami non hanno un’utilità diagnostica, ma hanno come unico scopo quello di individuare gli aeroallergeni da includere nell’immunoterapia specifica per i cani con dermatite atopica.

Prescrivere una dieta ad eliminazione senza prima aver eliminato le infezioni secondarie La dieta ad eliminazione, è ad oggi, l’unico test attendibile per la diagnosi delle reazioni avverse al cibo. Questo test si considera positivo in caso che il prurito e le lesioni dell’animale regrediscano sensibilmente durante la dieta. Un errore fondamentale è iniziare la prova senza prima aver individuato e trattato eventuali infezioni batteriche e da Malassezia secondarie. Queste infezioni infatti possono aumentare notevolmente il prurito dei soggetti affetti ed essere responsabili di risposte falsamente negative al test. Inoltre, poiché la dieta ha una durata variabile da 6 a 8 settimane è importante ricontrollare periodicamente il cane o il gatto nel corso della prova, per valutare la comparsa di recidive.

I CINQUE PIÙ COMUNI ERRORI TERAPEUTICI La fretta di eliminare il prurito Il prurito è uno dei motivi più frequenti di consulto veterinario, ed è in assoluto il segno clinico che un proprietario è più ansioso di vedere sparire dal proprio animale. La fretta di eliminare il motivo d’ansia del cliente può spingerci a commettere l’errore di prescrivere una terapia sintomatica prima di avere identificato la causa del problema. In particolare l’impiego della terapia cortisonica, può ridurre sensibilmente l’intensità del prurito e di parte dei segni clinici anche in cani e gatti affetti da malattie parassitarie o infettive rendendo così più difficile l’identificazione dell’agente eziologico e la sua eliminazione con la terapia specifica.

Mancato controllo delle infezioni secondarie Il ruolo delle infezioni secondarie come fattori esacerbanti il prurito nei animali atopici è spesso sottovalutato. Le dermatiti allergiche sono malattie croniche e in particolare i cani affetti sono predisposti a contrarre infezioni secondarie per il frequente autotraumatismo e per la terapia corticosteroidea cui sono spesso sottoposti. Essi infatti presentano comunemente un aumento della popolazione di Staphylococcus intermedius e di Malassezia pachydermatis sulla superficie cutanea e le tossine prodotte da questi microrganismi sono responsabili delle improvvise crisi di prurito.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Un errore comune è trattare tutte le esacerbazioni del prurito con la terapia antinfiammatoria (cortisonica) senza avere valutato attentamente la presenza di infezioni secondarie. Spesso, in queste situazioni, la terapia antimicrobica da sola è in grado di risolvere efficacemente la crisi.

Carente monitoraggio dell’evoluzione clinica È importante dedicare tempo all’informazione del cliente e programmare una serie di appuntamenti per controllare l’evoluzione clinica del paziente. Questa condotta ridurrà al minimo i motivi di fallimento dovuti ad errori nella somministrazione dei farmaci. Un proprietario ben informato infatti, che incontreremo regolarmente ai controlli ogni 3-4 settimane, difficilmente sbaglierà ad interpretare la nostra prescrizione o deciderà arbitrariamente di sospendere la terapia perché il proprio animale gli sembra guarito. Rivalutare il soggetto al termine della terapia è inoltre importante al fine di valutare la presenza di segni clinici che possono suggerirci la presenza di una malattia primaria sottostante. La persistenza di eritema interdigitale e sui padiglioni auricolari in un soggetto che abbiamo curato per una dermatite da Malassezia deve, ad esempio, farci sospettare la presenza di una dermatite atopica sottostante.

Profilassi antipulci inadeguata L’incidenza dell’allergia al morso delle pulci nei cani atopici è significativamente maggiore, se confrontata con l’incidenza nella popolazione generale e questo suggerisce che l’atopia sia un importante fattore predisponente per questa malattia. Per questo motivo una profilassi antipulci rigorosa è essenziale negli animali affetti da dermatite atopica. I più comuni errori nello svolgimento del controllo alle pulci, consistono nell’impiego di antiparassitari a dosi insufficienti o applicati solo ad uno degli animali di casa. Altre comuni cause di fallimento sono da ricercarsi nell’uso di adulticidi senza regolatori della crescita o viceversa oppure in intervalli troppo lunghi fra le applicazioni dei prodotti. Per ridurre al minimo i rischi di fallimento è senz’altro preferibile consigliare prodotti in formulazioni che siano semplici da somministrare per i proprietari.

255

taggi terapeutici e aumenta gli effetti collaterali, così come l’impiego dei cortisonici iniettabili a deposito è sconsigliabile per l’aumento potenziale degli effetti collaterali e per la capacità di indurre atrofia cutanea nelle sedi di inoculo. Alcuni soggetti apparentemente ben controllati con prednisolone a giorni alterni possono manifestare improvvisi aumenti del prurito, dando l’impressione di essere diventati resistenti alla terapia. Un grave errore in questi casi è aumentare il dosaggio o sostituire il prednisone con un altro cortisonico senza aver prima indagato la presenza di altre cause responsabili. Le infezioni secondarie batteriche e da Malassezia, l’esposizione improvvisa all’infestazione da pulci o una reazione da ipersensibilità a farmaci topici, quali shampoo o preparazioni otologiche sono spesso responsabili di queste false tachifilassi. Nel gatto il dosaggio del cortisone può essere da due a quattro volte superiore a quella del cane e gli effetti collaterali in questa specie sono meno preoccupanti. Un errore comune pertanto è quello di prescrivere un cortisonico ad un dosaggio insufficiente per ottenere un efficace effetto antinfiammatorio.

CONCLUSIONI Poiché molte malattie dermatologiche nel cane possono manifestarsi con quadri clinici simili è un errore fondamentale pensare di poter diagnosticare una dermatite allergica consultando un atlante di dermatologia. Solo un’accurata visita del soggetto che comprenda il segnalamento completo, l’anamnesi e l’esame clinico dell’animale nonché l’esecuzione degli esami collaterali può fornire tutti gli elementi che ci permetteranno di formulare una diagnosi corretta e prescrivere una terapia adeguata.

Bibliografia 1.

2.

3.

Errori nell’impiego della terapia cortisonica Al momento il prednisone a basso dosaggio somministrato per via orale è considerato la terapia di elezione per il controllo della dermatite atopica del cane. In generale si impiega la dose giornaliera di 0,25-0,5 mg/ kg per circa una settimana per poi passare al regime di mantenimento a giorni alterni. Gli errori più comuni nell’impiego della terapia cortisonica sono l’improvvisazione del protocollo terapeutico e la scelta errata del cortisonico o della sua formulazione. Nel cane, prescrivere un cortisonico più potente del prednisone tutti i giorni per lunghi periodi, non offre van-

4. 5.

6.

7.

8.

Bond R. et al.: Factors associated with elevated cutaneous Malassezia pachydermatis populations in dogs with pruritic skin disease. J. Small Anim.Pract.,37 (1996), 103-107. De Boer D.J., Marsella R.: The ACVD task force on canine atopic dermatitis (XII): the relationship of cutaneous infections to the pathogenesis and clinical course of canine atopic dermatitis. Veterinary Immunology and Immunopathology, 81 (2001) 239-249. Harvey, R.G., Noble W.C: A temporal study comparing the carriage og Staphylococcus intermedius on normal dogs with atopic dogs in clinical remission. Veterinary Dermatology (1994), 5, 21-26. Noli C., Scarampella F.: Prurito nel cane. In Dermatologia del cane e del gatto. Poletto Editore, Gaggiano (MI), 2002. Olivry T., Sousa C.A.: The ACVD task force on canine atopic dermatitis (XIX): general principles of therapy. Veterinary Immunology and Immunopathology, 81 (2001) 311-316. Scott D.W., Miller w.H., Griffin C.E.: Diagnosti methods. In Muller and Kirk’s Small Animal Dermatology. Saunders, Philadelphia, 6th edition, 2001. Sousa C.A., Halliwell R.E.W.: The ACVD task force on canine atopic dermatitis (XI): the relationship between arthropod hypersensitivity and atopic dermatitis in the dog. Veterinary Immunology and Immunopathology, 81 (2001) 233-237. Willemse T.: Diagnostic approach to pruritus in dog and cat. Waltham International Focus, 2 (2)(1992) 2026.


256

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Ciclo vitale delle pulci e strategie di controllo: impiego di Nitenpyram e Lufenuron nel management delle infestazioni Rudolf Schenker Dr Med Vet - Basilea, Svizzera

Estratto breve Ctenocephalides felis (pulce del gatto) è la specie di pulce infestante cani e gatti a maggior prevalenza in tutto il mondo. Pertanto la biologia di Ctenocephalides felis deve essere tenuta in considerazione nella scelta di appropriate strategie di controllo per l’eliminazione delle infestazioni da pulci negli animali da compagnia e nell’ambiente domestico. L’interazione con l’ospite, l’infestazione e le modalità di alimentazione, il potenziale riproduttivo e la sopravvivenza, come pure le condizioni ambientali determinano il successo delle misure di controllo delle pulci. L’obiettivo di un buon protocollo di controllo delle pulci deve includere l’eliminazione delle pulci dall’animale, l’eliminazione di qualunque forma d’infestazione da pulci dall’ambiente e la prevenzione di una successiva reinfestazione. Un approccio integrato al controllo delle pulci è consigliato per migliorare l’esecuzione ed evitare l’applicazione scorretta delle misure di controllo. Tale approccio comprende l’educazione del proprietario, un’accurata valutazione dell’infestazione e l’applicazione di differenti misure di controllo, tra le quali l’impiego di prodotti con diverse modalità d’azione. Il controllo integrato delle pulci porterà a una maggiore efficacia e a una riduzione della pressione selettiva per forme resistenti. Oggi i veterinari hanno a disposizione numerose sostanze efficaci da utilizzare nei programmi di controllo delle pulci, tra le quali le molecole ad attività sistemica nitenpyram e lufenuron. Il nitenpyram, un nuovo adulticida per le pulci, abbatte e rimuove rapidamente le pulci dall’ospite. L’effetto abbattente inizia a manifestarsi entro 15 minuti e raggiunge il 100% di efficacia entro 3-6 ore. L’insorgenza veloce dell’effetto comporta negli animali affetti da dermatite allergica da pulci un rapido sollievo. L’efficacia del nitenpyram nell’eliminazione delle pulci adulte dall’animale è molto elevata anche all’inizio di una terapia di controllo a lungo termine e/o in ogni altra situazione che richieda una rapida eliminazione delle pulci. Il lufenuron, un inibitore dello sviluppo degli insetti (IDI), interferisce con la sintesi della chitina e interrompe il ciclo vitale delle pulci. Nessun adulto si sviluppa da uova deposte dalle pulci di animali trattati con lufenuron, assicurando così il controllo ambientale dell’infestazione e la prevenzione di reinfestazioni.

L’impiego mirato dell’associazione di nitenpyram e lufenuron assicura la flessibilità necessaria a definire strategie terapeutiche, nell’ambito di un programma di controllo integrato, mediante l’interruzione del ciclo vitale della pulce a livello di ospite.

Estratto completo INTRODUZIONE La pulce è il più importante ectoparassita di gatti e cani nel mondo. Oltre a essere un semplice fastidio, le pulci sono causa di dermatiti allergiche da morso di pulce, il più comune problema dermatologico che affligge cani e gatti di ogni età. Le pulci sono anche l’ospite intermedio primario della tenia del cane, Dipylidium caninum, e, se presenti in numero elevato, possono causare anemia nei cuccioli di cane e gatto. Inoltre, è stato dimostrato che le pulci sono coinvolte nella trasmissione del batterio Bartonella henselae, agente eziologico della malattia da graffio del gatto. Le misure di controllo della pulce e le aspettative dei proprietari di animali da compagnia sono cambiate negli ultimi anni. La comprensione della biologia della pulce e delle caratteristiche dei prodotti impiegati per il controllo delle pulci è essenziale per ottenere un controllo efficace delle infestazioni e la soddisfazione del cliente in diverse situazioni.

BIOLOGIA DELLA PULCE Ctenocephalides felis (pulce del gatto) è la specie di pulce infestante cani e gatti a maggior prevalenza in tutto il mondo. Ctenocephalides canis (pulce del cane) si trova a volte nei cani che vivono all’aperto, è più frequente ad altitudini elevate (Franc et al. 1998). Pulex irritans e altre specie di pulci si possono trovare occasionalmente su cani e gatti. Considerata la sua prevalenza, la biologia di C. felis deve essere tenuta in considerazione nella scelta di appropriate strategie di controllo per l’eliminazione delle infestazioni di pulci negli animali da compagnia e nell’ambiente domestico. L’interazione con l’ospite, l’infestazione e le modalità di alimentazione, il potenziale riproduttivo e la sopravviven-


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

za, come pure le condizioni ambientali determinano il successo delle misure di controllo delle pulci. Le pulci sono insetti che attraversano gli stadi di vita di uovo, larva, pupa, e adulto. Le abitudini e l’ambiente degli adulti e delle forme immature di C. felis sono completamente diverse. Le pulci adulte vivono permanentemente sull’ospite, mentre gli stadi immaturi, da uovo a larva e pupa, si sviluppano nell’ambiente (soprattutto al chiuso) frequentato dall’animale. Le pulci adulte si nutrono di sangue dell’ospite, mentre le larve si nutrono di materiale organico presente nell’ambiente, comprese le feci secche (sangue secco) delle pulci adulte. A temperature ottimali lo sviluppo della pulce adulta a partire dall’uovo può richiedere solo 14 giorni a 32° C. In condizioni sfavorevoli questa durata può estendersi fino a 140 giorni a 13°C. Livelli di umidità relativa superiori al 50% sono necessari per il completamento dello sviluppo. Le pulci adulte emergono dal loro bozzolo quando è disponibile un ospite appropriato. Una volta sull’animale cominciano ad alimentarsi entro pochi minuti. Le pulci adulte rimangono permanentemente sull’animale e se rimosse dall’ospite generalmente muoiono entro 24-48 ore. La durata media della vita delle pulci sul gatto è di circa 8 giorni. Durante il periodo di picco riproduttivo una femmina è in grado di deporre da 40 a 50 uova al giorno. Le uova non adesive e le feci degli adulti cadono dall’ospite infestato nell’ambiente. Il passaggio diretto di pulci adulte da un ospite all’altro è raro. La più probabile modalità di infestazione per un animale è raccogliere giovani adulti da un ambiente infestato. In una infestazione da pulci solamente il 5% della popolazione è rappresentanto da adulti presenti sull’ospite. Gli stadi immaturi uova, larve e pupe, rappresentano il 95% dell’infestazione e vivono nell’ambiente dell’animale.

STRATEGIE DI CONTROLLO L’obiettivo di un buon protocollo di controllo deve includere l’eliminazione delle pulci dall’animale, l’eliminazione di qualunque forma di infestazione da pulci dall’ambiente e la prevenzione di una successiva reinfestazione, interferendo con la riproduzione e sopravvivenza delle pulci. In particolare negli animali che soffrono di dermatite allergica da pulci la rapida eliminazione degli adulti è importante per ridurre velocemente la carica infestante e con essa l’esposizione agli allergeni. I regolatori di crescita degli insetti (IGR)/ inibitori dello sviluppo degli insetti (IDI) interrompono la riproduzione della pulce, controllano l’infestazione ambientale e prevengono la reinfestazione. L’uso di diverse misure di controllo che tengano conto di situazioni specifiche porta a una strategia di controllo integrato delle pulci. Tale approccio integrato al controllo delle pulci deve essere usato per migliorare l’esecuzione ed evitare l’applicazione scorretta delle misure di controllo. Questo approccio comprende l’educazione del proprietario dell’animale, un’accurata valutazione dell’infestazione e l’uso di differenti misure di controllo, tra le quali l’impiego di prodotti con diverse modalità di azione. Il controllo integrato delle pulci porterà a maggiore efficacia e a una riduzione della pressione selettiva per forme resistenti.

257

Oggi i veterinari hanno a disposizione numerose sostanze efficaci da utilizzare nei programmi di controllo delle pulci, tra le quali le molecole ad attività sistemica nitenpyram e lufenuron.

NITENPYRAM Il nitenpyram (CAPSTAR®) è un nuovo adulticida per le pulci della classe chimica dei neonicotinoidi, che abbatte e rimuove rapidamente le pulci dall’ospite. Il nitenpyram agisce come agonista dei recettori nicotinici dell’acetilcolina specifici dell’insetto a livello di membrane post sinaptiche e non inibisce l’acetilcolinesterasi. Il nitenpyram ha una bassa tossicità acuta e gli studi sulla sicurezza in cani e gatti hanno dimostrato che è ben tollerato, per somministrazione giornaliera orale, in cuccioli di cane e gatto, in cani e gatti adulti, compresi gli animali in riproduzione (Witte et al. 2000 a,b). Dopo la somministrazione, il nitenpyram è rapidamente assorbito dall’apparato gastro-intestinale e raggiunge livelli ematici efficaci entro pochi minuti. Il nitenpyram in compresse, somministrate alla dose minima raccomandata di 1 mg/kg p.c. inizia ad abbattere le pulci entro 15 minuti e raggiunge il 100% di efficacia entro tre-sei ore nel cane e nel gatto (Schenker & Strehlau, 2002). L’insorgenza veloce dell’effetto comporta un rapido sollievo per gli animali che soffrono di dermatite allergica da pulci. L’efficacia del nitenpyram nell’eliminazione delle pulci adulte dall’animale è molto elevata anche all’inizio di una terapia di controllo a lungo termine e/o in ogni altra situazione che richieda una rapida eliminazione delle pulci. L’efficacia del nitenpyram è stata dimostrata in vari studi di laboratorio e di campo. Studi clinici di campo hanno confermato la rapida e completa eliminazione delle pulci da gatti e cani trattati con nitenpyram. In uno studio effettuato in undici cliniche veterinarie situate in zone diverse degli Stati Uniti l’efficacia ha raggiunto il 96% entro 4-6 ore dalla somministrazione sia nel cane che nel gatto (Schenker et al., 2000). In uno studio analogo in nove cliniche veterinarie nel Regno Unito l’efficacia è risultata del 96,7% nel cane e del 95,2% nel gatto (Dobson et al., 2000). Entrambi gli studi hanno anche dimostrato che oltre l’80% delle pulci è stato trovato lontano dagli animali, ossia le pulci erano efficacemente abbattute e rimosse con nitenpyram.

LUFENURON Il lufenuron (PROGRAM®), un inibitore dello sviluppo degli insetti (IDI), interferisce con la sintesi della chitina e interrompe il ciclo vitale delle pulci. Nessun adulto si sviluppa da uova deposte dalle pulci di animali trattati con lufenuron, assicurando il controllo ambientale a lungo termine dell’infestazione e la prevenzione di reinfestazioni. Dopo la somministrazione orale nel cane e nel gatto, il lufenuron è assorbito e raggiunge velocemente il torrente circolatorio dell’ospite. Il lufenuron si accumula temporaneamente nei tessuti adiposi dell’ospite, da dove è lentamente rilasciato di nuovo nel torrente circolatorio. Una sin-


258

gola somministrazione orale di lufenuron alla dose di 10 mg/kg nel cane e 30 mg/kg nel gatto è sufficiente per mantenere livelli ematici efficaci per interrompere lo sviluppo delle pulci per 30 giorni. Per i gatti esiste una formulazione iniettabile di lufenuron che garantisce 6 mesi di efficacia. Le pulci adulte ingeriscono il lufenuron con il pasto di sangue. Nella pulce il lufenuron è difficilmente metabolizzato. Nelle femmine raggiunge le ovaie attraverso l’emolinfa. Nelle ovaie il lufenuron viene depositato nelle uova, unitamente ai nutrienti di riserva dell’uovo. Il lufenuron interferisce con il processo di sintesi e deposizione della chitina nella cuticola dell’insetto. Di conseguenza la cuticola degli stadi immaturi della pulce è indebolita. Nelle larve non schiuse la pressione impiegata per uscire dall’uovo porta alla rottura della cuticola, le pulci sono incapaci di emergere dall’uovo. Durante la muta, la sintesi della chitina da parte delle cellule epidermiche alterate generalmente non è inibita, ma la deposizione e l’organizzazione in fibrille e microfibrille nella cuticola è fortemente alterata. Le larve non possono mutare e muoiono, e il ciclo vitale delle pulci si interrompe. Una serie di studi ultrastrutturali ha dimostrato gli effetti del lufenuron su uova, larve e adulti della pulce del gatto e i meccanismi specifici che ne causano il mancato sviluppo (Dean et al., 1998, Meola et al., 1999; Dean et al., 1999).

GESTIONE A LUNGO TERMINE DELL’INFESTAZIONE DA PULCI Numerosi studi confermano il successo dell’uso associato di nitenpyram e lufenuron nel controllo a lungo termine dell’infestazione da pulci, sia in termini di efficacia che di tollerabilità. In ambiente domestico simulato infestato da pulci, somministrando nitenpyram una volta alla settimana per 6 settimane in associazione con lufenuron in compresse una volta al mese, il controllo delle pulci sia sugli animali che nell’ambiente è risultato del 99% a partire dalla quarta settimana di trattamento (Cardiergues et al., 1999). Il nitenpyram è stato impiegato con successo nel controllo integrato delle pulci; quando usato in associazione con lufenuron, la riduzione della carica infestante è risultata supe-

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

riore rispetto al trattamento con soli insetticidi topici. (Miller et al., 2001). È stato inoltre dimostrato che l’associazione di nitenpyram e lufenuron è efficace e affidabile nel trattamento e controllo a lungo termine della DAP (Fischer & Wagner, 2002). L’impiego mirato dell’associazione di nitenpyram e lufenuron assicura la flessibilità necessaria a definire strategie terapeutiche nell’ambito di un programma di controllo integrato e porta rapido sollievo dagli adulti, controllo continuo a lungo termine dell’infestazione e prevenzione della reinfestazione.

Bibliografia Cadiergues M.C., Steffan J., Tinembart O., Franc M.: Efficacy of an adulticide used alone or in combination with an insect growth regulator for flea infestations of dogs housed in simulated home environments. Am. J. Vet. Res., 1999, 60: 1122-1125. Dean S. R., Meola R. W., Meola S. M., Sittertz-Bhatkar H. & Schenker R.: Mode of action of lufenuron in adult Ctenocephalides felis (Siphonaptera: Pulicidae). J. Med. Entomol., 1999, 36 (4): 486-492. Dean S. R., Meola R. W., Meola S. M., Sittertz-Bhatkar H. & Schenker R.: Mode of action of lufenuron on larval cat fleas (Siphonaptera: Pulicidae). J. Med. Entomol., 1998, 35 (5): 720-724. Dobson P, Tinembart O, Fisch RD, Junquera P: Efficacy of nitenpyram as a systemic flea adulticide in dogs and cats. Veterinary Record (2000) 147: 709-713. Meola R.W., Dean S. R., Meola S. M., Sittertz-Bhatkar H. & Schenker R.: Effect of lufenuron on chorionic and cuticular structure of unhatched larval Ctenocephalides felis (Siphonaptera: Pulicidae). J. Med. Entomol., 1999, 36 (1): 92-100. Miller P.F., Peters B.A., Hort C.A.: A field study to evaluate Integrated Flea Control using lufenuron and nitenpyram compared to imidacloprid used alone. Aust Vet Pract 31(2) June 2001: 60-65. Franc M., Choquart P., Cadiergues M.C.: Répartition des espèces de puces rencontrées chez le chien en France. Rev. Méd. Vét., 1998, 149, 2: 135-140. Schenker R., Strehlau G.: Efficacy of nitenpyram (CAPSTAR®) against Ctenocephalides felis over the first three hours following treatment of cats and dogs. Proceedings 47th Annual Meeting AAVP 2002: 35. Schenker R., Luempert L.G., Barnett S.H.: Efficacy of nitenpyram against fleas on dogs and cats in a clinical field study. In: Proceedings of AAVP 45th Annual Meeting 2000: 91. Witte S.T., Luempert L.G. III, Goldenthal E.I., Schardein J.L., Johnson B.E.: Safety of nitenpyram in dogs. In: Proceedings of AAVP 45th Annual Meeting 2000 (a): 92. Witte S.T., Luempert L.G.III, Johnson B.E., Grossi I.M., Goldenthal E.I.: Safety of nitenpyram in cats. In: Proceedings of AAVP 45th Annual Meeting 2000 (b): 93.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

259

Emobartonellosi e bartonellosi: due malattie molto differenti Susan E. Shaw BVSc (Hons), MSc, MRCVS, Dipl ACVIM, Dipl ECVIM, FACVSc, Cert Arts (Arch), Università di Bristol, Regno Unito

Estratto breve Anche se i nomi sono simili, queste infezioni del gatto sono caratterizzate da differenti quadri epidemiologici, patogenetici e patologici. I microrganismi di Haemobartonella felis sono stati riconosciuti da lungo tempo come microparassiti del gatto e sono rappresentati da batteri Gram-negativi, emotrofi e privi di parete cellulare. Si fissano alla superficie degli eritrociti dell’ospite e sono, al momento, impossibili da coltivare. L’analisi della sequenza del DNA ha dimostrato che questi microrganismi presentano la più stretta correlazione con il genere Mycoplasma, e di recente sono stati riclassificati di conseguenza. Sono state identificate due specie, Mycoplasma haemofelis ed M. haemominutum; il primo è un parassita più grande ed associato ad una malattia clinicamente manifesta nel gatto, mentre il secondo è un microrganismo più piccolo, anche se comune, che sembra essere non patogeno. La modalità di trasmissione degli emoplasmi felini non è stata determinata, sebbene sia stata ipotizzata una trasmissione da artropodi. I segni clinici sono ben noti e riferibili ad anemia emolitica che può essere Coombs-positiva. La diagnosi mediante identificazione al microscopio dei microrganismi negli strisci di sangue è ora complicata dal riconoscimento dell’esistenza della specie apparentemente apatogena M. haemominutum. Anche se un esame morfologico accurato può consentire di differenziare la specie più grande di emoplasmi da quella più piccola, la natura ciclica della parassitemia rende poco sensibile questo metodo di identificazione. La diagnosi molecolare mediante reazione a catena della polimerasi (PCR) è definitiva e consigliata. Nei gatti con anemia clinicamente manifesta si raccomanda la somministrazione di doxiciclina (5-10 mg/kg) o enrofloxacin (5-10 mg/kg) per os per 3-4 settimane, da associare a trasfusioni di sangue e prednisolone nei casi Coombs-positivi gravemente colpiti. Benché spesso si ottenga una risposta clinica, la guarigione parassitologica può essere meno sicura ed i gatti trattati con successo possono diventare portatori asintomatici. Anche se non esiste alcuna prova definitiva della trasmissione mediante artropodi, spesso si raccomanda un aggressivo controllo delle pulci. Al contrario, l’infezione nel gatto da parte di Bartonella spp. è stata riconosciuta solo in tempi relativamente recenti. Si tratta di batteri Gram-negativi, emotrofi e, a differenza delle specie di emoplasma del gatto, intraeritrocitari e, anche se con particolari accorgimenti, coltivabili. Il gatto può essere infettato da diverse specie, ma predomina Bartonella henselae. La presenza dei portatori asintomatici è ampiamente diffusa nei vari territori geografici e la prevalenza della batteriemia è elevata (9-90%). Tuttavia, vengono raramente descritti segni clinici definitivamente associati all’infezione da Bartonella. Questa viene trasmessa da

un gatto all’altro mediante inoculazione transdermica di feci di pulci e la sua importanza si fonda sul fatto che i gatti infetti sono considerati i principali serbatoi per l’infezione nell’uomo. Le implicazioni zoonosiche sono gravi e la malattia umana varia dalla semplice malattia da graffio di gatto, solitamente autolimitante, a disordini vasculoproliferativi, endocarditi, batteriemia prolungata e vari disturbi neurooculari. I microrganismi del genere Bartonella non sono dimostrabili negli strisci ematici felini e la coltura, pur avendo valore definitivo, presenta speciali esigenze e richiede parecchie settimane di incubazione. I gatti batteriemici possono essere identificati mediante PCR su campioni di sangue, ma l’associazione dell’infezione con la patologia riscontrata richiede la specifica identificazione dei microrganismi del genere Bartonella o del DNA nei campioni di tessuto mediante metodi immunoistochimici o molecolari. Dal momento che i gatti batteriemici sono raramente ammalati, il trattamento della bartonellosi può essere richiesto soltanto nei casi in cui esiste il rischio di infezione umana. Tuttavia, l’eliminazione della batteriemia è problematica. Doxiciclina e amossicillina, da sola o con acido clavulanico, utilizzate a dosi più elevate di quelle consigliate sono riuscite a sopprimere la batteriemia in infezioni sperimentali. È stata anche descritta l’efficacia di rifampicina ed enrofloxacin. Tuttavia, l’eliminazione totale dell’infezione può essere impossibile da ottenere nonostante l’impiego di una terapia combinata come quella a base di rifampicina e doxiciclina e di durata prolungata (4-6 settimane). Inoltre, il rischio di riesposizione attraverso le pulci infette può essere elevato. La prevalenza della batteriemia da Bartonella nel gatto ed il rischio di malattia associata a questo microrganismo nei proprietari degli animali da compagnia viene ridotto da un energico programma di controllo integrato delle pulci. Quando gatti non infetti vengono ricoverati con gatti SPF (specific pathogen-free) con batteriemia da B. henselae in un ambiente libero da ectoparassiti, non si riscontra alcun segno di trasmissione di Bartonella tra animali. Attualmente non è disponibile alcuna vaccinazione per nessuno dei due gruppi di microrganismi. L’occorrenza di molteplici ceppi con mancanza di reattività crociata nel caso di Bartonella suggerisce che ogni eventuale vaccino necessiterebbe di molteplici epitopi. È anche necessario che i vaccini eventualmente adottati inducano un’immunità sia cellulare che anticorpo-mediata.

Bibliografia 1. 2. 3.

Breitschwerdt, EB; Kordick, DL. Bartonella Infection in Animals: Carriership, Reservoir Potential, Pathogenicity, and Zoonotic Potential for Human Infection. Clin Micro Rev. (2000); 13: 428-438. Glaus, TR; Hofmann-Lehmann, R; Greene, C; et al Seroprevalence of Bartonella henselae infection and correlation with disease status in cats in Switzerland. J. Clin Microbiol. 1997; 35: 2883-2885. Chomel, BB; Kasten, RW; Floyd-Hawkins, K et al. Experimental transmission of Bartonella henselae by the cat flea. J. Clin Microbiol. 1996; 34: 1952- 1956.


260

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Malattie infettive e funzionalità renale Susan E. Shaw BVSc (Hons), MSc, MRCVS, Dipl ACVIM, Dipl ECVIM, FACVSc, Cert Arts (Arch), Università di Bristol, Regno Unito

Estratto breve

GLOMERULOPATIA DA IMMUNOCOMPLESSI

Gli agenti infettivi che colpiscono direttamente il rene sono poco comuni nel cane e nel gatto. Nella maggior parte dei casi, l’infezione renale può derivare da un processo patologico ascendente (pielonefrite) o una glomerulopatia da immunocomplessi. Nei piccoli animali è anche relativamente comune la diffusione per embolia di un’infezione sistemica.

Il glomerulo renale, che è una regione caratterizzata da elevata pressione sanguigna ed ultrafiltrazione, rappresenta una sede preferenziale di deposito di immunocomplessi. Questi ultimi possono essere preformati in circolo nelle situazioni di eccesso di antigene o all’interno della regione sottoepiteliale del glomerulo dove siano stati intrappolati degli antigeni microbici/parassitari (ad es., Dirofilaria immitis). Gli immunocomplessi circolanti si formano in un’ampia gamma di malattie infettive e gli antigeni microbici possono essere batterici (ad es., Ehrlichia canis, Borrelia burgdorferi), virali (ad es., coronavirus felino, virus della leucemia felina) e protozoari (ad es., Leishmania infantum). Una volta intrappolati nel glomerulo renale, si ha l’innesco delle reazioni a cascata infiammatorie, che esitano in una glomerulite seguita da danno tubulare secondario ed infine perdita di nefroni con fibrosi e glomerulosclerosi. È ancora oggetto di discussione quale sia l’importanza relativa dell’infiammazione innescata direttamente dalla componente microbica del complesso e di quella che si ha invece come conseguenza dell’attivazione del complemento e di una reazione di ipersensibilità di tipo III. La glomerulonefrite attiva progredisce infine sino all’insufficienza renale anche se nel frattempo la malattia si manifesta clinicamente come nefropatia proteinodisperdente e sindrome nefrosica. La funzione di filtro selettivo va perduta in una fase relativamente precoce, con conseguente insorgenza di proteinuria. Man mano che la malattia progredisce, l’ipoproteinemia (soprattutto ipoalbuminemia), l’ipercolesterolemia e la perdita della pressione oncotica plasmatica conducono ad ascite, versamento pleurico e, nel gatto compaiono edemi sottocutanei, che sono poco comuni nel cane. Si possono avere ipertensione e tromboembolismo come conseguenza della diminuzione della sintesi dell’antitrombina III.

INFEZIONE EMATOGENA ED INFEZIONI RENALI PRIMARIE Si tratta di una causa poco comune di nefropatia, che può riflettere la relativa resistenza delle corticali renali all’infezione. È stato stimato che nel rene si localizzino meno dello 0,1% dei batteri veicolati dal sangue. Parecchi microrganismi sono in grado di causare un’infezione primaria dell’interstizio e dei tubuli renali. La nefrite interstiziale è stata associata ad infezioni batteriche (ad es., Leptospira spp.), virali (ad es., herpesvirus canino, coronavirus felino), protozoarie (ad es., Encephalitozoon), e micotiche (ad es., Aspergillus terreus). La nefrite interstiziale acuta, in particolare se sono presenti emboli settici, può essere associata ad insufficienza renale acuta. Tuttavia, in molti casi, l’infezione e la nefrite interstiziale restano subcliniche fino a che non si sviluppano le manifestazioni croniche dell’insufficienza renale. A questo stadio, si può avere una grave fibrosi degli organi, che risultano più piccoli del normale.

INFEZIONE UROGENA E PIELONEFRITE Le infezioni ascendenti del tratto urinario sono associate nella maggior parte dei casi a batteri che derivano dalla normale microflora rettale/fecale, perineale e dei genitali esterni. La colonizzazione del tratto urinario richiede la presenza di certi fattori di virulenza batterica e la compromissione delle difese innate. L’estensione a partire dalla cistite cronica è poco comune, mentre sono frequenti cause predisponenti le anomalie anatomiche preesistenti, come gli ureteri ectopici, e la cateterizzazione urinaria. La prima funzione renale ad essere compromessa nella pielonefrite è la capacità di concentrazione tubulare, che si manifesta come un graduale declino del peso specifico dell’urina verso l’isostenuria. L’associazione di basso peso specifico urinario, piressia, dolore addominale e leucocitosi con un’anamnesi di segni clinici riferibili all’interessamento delle basse vie urinarie è compatibile con l’estensione del processo infettivo al rene.

Letture consigliate Tennant B. The urinary system. In BSAVA Manual of Canine and Feline Infectious Diseases. Ramsay and Tennant Editors. BSAVA publishers, (2001), 175-184 Grant DC and Forrester SD. Glomerulonephritis in dogs and cats: glomerular function, pathophysiology and clinical signs. Compendium Continuing Education, (2001) 23,(8), 739-747 Dunning M and Stonehewer J. Urinary tract infections in small animals: pathophysiology and diagnosis. In Practice (2002),9, 418-432


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Discussione interattiva di casi clinici di malattie infettive nel gatto Susan E. Shaw BVSc (Hons), MSc, MRCVS, Dipl ACVIM, Dipl ECVIM, FACVSc, Cert Arts (Arch), Università di Bristol, Regno Unito

CASO 1: “GT” gatto domestico a pelo corto, maschio castrato di 3 anni di età Anamnesi: da 6 mesi sono presenti: • Riscontro intermittente di tragitti fistolosi, ulcerazione, noduli sull’area ventrale dell’addome • Dolore quando l’animale viene sollevato • Scolo intermittente dalle lesioni • Periodi di malattia sistemica; piressia, letargia, anoressia Terapia precedente • Amossicillina/acido clavulanico per 7 giorni, con una certa risposta, poi seguita da recidiva Esame clinico • Frequenza cardiaca e respiratoria elevate • Febbre • Ingrossamento dei linfonodi inguinali

CASO 2: “Belle” gatta persiana ovariectomizzata di 2 anni Anamnesi • Da 2 giorni letargia, febbre, anoressia • Somministrazione di amossicillina e carprofen per due giorni, seguita da risposta • Recidiva con piressia, letargia, linfoadenopatia sottomandibolare • Due giorni dopo l’animale ha sviluppato una linfoadenopatia generalizzata Esame clinico • Depressione • Linfoadenopatia • Splenomegalia

CASO 3: “Boxer” gatto domestico a pelo corto maschio castrato di 6 anni Anamnesi • Da 4 giorni letargia ed anoressia Terapia precedente NIL Esame clinico • febbre • debolezza • pallore delle mucose • ittero?

261


262

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Malattie trasmesse da artropodi: una sfida diagnostica Susan E. Shaw BVSc (Hons), MSc, MRCVS, Dipl ACVIM, Dipl ECVIM, FACVSc, Cert Arts (Arch), Università di Bristol, Regno Unito

Estratto breve L’emergere di nuove malattie microparassitarie trasmesse da artropodi ed il riemergere di altre in precedenza controllate costituisce un sfida tanto in medicina umana quanto in veterinaria. Sia gli artropodi che le infezioni da essi trasmesse stanno aumentando la propria distribuzione zoogeografica a causa delle modificazioni climatiche e dell’incremento negli ambienti di nicchia. Inoltre, la relativa assenza di impedimenti allo spostamento degli animali da compagnia da e verso le aree con un’elevata prevalenza di malattie da zecche ha determinato l’introduzione sia degli artropodi che delle affezioni da questi veicolate in aree precedentemente non endemiche. Anche le variazioni nella gestione dei terreni e delle acque stanno favorendo l’aumento della popolazione degli artropodi e l’estensione della loro distribuzione. L’espansione dell’urbanizzazione e degli animali da compagnia in ambienti in precedenza disabitati ha portato ad un incremento dell’interazione degli animali selvatici con funzioni di serbatoio e delle specie vettrici con l’uomo e gli animali da compagnia. Infine, le malattie trasmesse da zecche vengono riconosciute con frequenza sempre maggiore grazie all’impiego di tecniche molecolari, in particolare la reazione a catena della polimerasi (PCR), per la diagnosi e l’identificazione degli agenti patogeni. Ciò ha portato a numerose difficoltà diagnostiche. Gli animali che vivono nelle aree endemiche possono essere colpiti da una coinfezione sostenuta da differenti agenti patogeni trasmessi da artropodi, in particolare se questi condividono lo stesso vettore. In queste situazioni, è necessario tenere opportunamente in considerazione l’interazione di agenti patogeni differenti e gli effetti che questi hanno sulla patogenesi e sull’espressione della malattia clinicamente manifesta. Borrelia burgdorferi ed Anaplasma phagocytophilum sono entrambi trasmessi da zecche del genere Ixodes. Inoltre, in questi vettori vengono anche identificate specie di Bartonella e Rickettsia. Analogamente, la zecca Rhipicephalus sanguineus trasmette sia Ehrlichia canis che Anaplasma (Ehrlichia) platys. Il quadro clinico può riflettere una o più sindromi a seconda degli agenti patogeni presenti. Ci si trova sempre più di fronte alla possibilità di diagnosi “sindromiche” di malattia infettiva e di screening di agenti patogeni multipli piuttosto che alla situazione proposta dal vecchio paradigma secondo cui “un’infezione” corrisponde ad “una malattia”. Ciascuna area geografica può essere caratterizzata da un proprio

spettro di infezione e può richiedere uno screening su misura. Oggi si trovano in commercio alcuni kit per test sierologici che contengono molteplici antigeni, ma anche questi prodotti possono non essere adatti a tutte le aree geografiche. Allo stesso modo, è possibile reperire sul mercato anche la PCR multiplex automatizzata e in futuro lo sviluppo di microsaggi potrà consentire uno screening economico e su misura per queste infezioni. L’uso della sierologia e della PCR nei casi clinici di malattie da artropodi ha evidenziato due punti importanti. L’esposizione non significa necessariamente l’infezione; diventa sempre più essenziale, per l’esecuzione delle indagini sierologiche, l’esame di due distinti campioni di siero. In secondo luogo, è possibile che l’“infezione” non corrisponda esattamente alla “malattia”. L’uso di tecniche diagnostiche molecolari ha consentito di identificare i microrganismi anche quando sono presenti in numero estremamente ridotto. Ciò ha portato pure a riconoscere sempre più che animali apparentemente sani presentano microrganismi circolanti. Nel gatto, a seconda della popolazione studiata, nel 9-90% dei casi si riscontra una batteriemia da Bartonella e in molti altri soggetti è presente Mycoplasma (Haemobartonella) haemominutum. Oggi è anche noto che molti cani che vivono nelle aree endemiche per Leishmania infantum sono colpiti da un’infezione persistente, ma asintomatica. Alcune specie di Borrelia possono causare una positività sierologica ed essere completamente apatogene. L’equilibrio fra il sistema immunitario di ogni singolo individuo ed i fattori di virulenza dei microrganismi presenti determina se l’infezione evolverà o meno nella malattia. In futuro, potrà essere importante misurare le modificazioni della carica microbica utilizzando la PCR quantitativa per monitorare questo parametro. L’avvento della diagnosi molecolare ha portato all’identificazione di specie e/o ceppi di agenti patogeni veicolati da artropodi precedentemente non individuati. I limiti delle tecniche tradizionali di identificazione microscopica e sierologica sono oggi evidenti. La reattività crociata fra specie e ceppi di agenti patogeni limita la specificità delle indagini sierologiche, tranne che nei casi in cui siano stati incorporati nel test degli antigeni di elevata qualità, spesso di derivazione monoclonale. Il test diagnostico per l’identificazione della babesiosi è un buon esempio di questo dilemma. È oggi noto che numerose babesie infestano i cani dell’Europa. Babesia canis presenta tre sottospecie, due delle quali si riscontrano in Europa, B. canis canis e B. canis vogeli. Non è possibile effettuare fra le due una diffe-


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

renziazione microscopica, né una distinzione mediante immunofluorescenza indiretta o test ELISA. Inoltre, è ormai riconosciuto che esistono numerosi “piccoli” microrganismi babesiali che causano la babesiosi nei cani europei. Babesia gibsoni viene sempre più riscontrata al di fuori dei suoi tradizionali limiti geografici e, recentemente, nella Spagna Nord occidentale è stato descritto un microrganismo B. microti-simile. Anche se un parassitologo esperto nella morfologia dei piroplasmi può distinguere le babesie “piccole” da quelle “grandi”, le parassitemie possono essere limitate e le dimensioni dei parassiti si possono sovrapporre. La sierologia non può distinguere fra B. canis e B. gibsoni a causa della reattività crociata antigenica. Inoltre, gli anticorpi anti-B. gibsoni possono dare origine a reazioni crociate con Toxoplasma e Neospora. Dal punto di vista clinico, è importante migliorare la specificità della diagnosi di Babesia. B. canis vogeli possiede una bassa patogenicità ed i cani infetti possono essere asintomatici. Se un cane si ammala per questa infezione, è probabile che esista una causa predisponente o una coinfezione. Le piccole babesie del cane sino ad oggi riconosciute sono patogene, ma, a differenza di B. canis, mostrano una relativa mancanza di risposta all’imidocarb-dipropionato. Il riscontro di recidive o di una scarsa risposta al trattamento di routine della babesiosi può suggerire che il microrganismo coinvolto sia una delle piccole babesie. La specificità del test è stata migliorata. Recentemente, è stato prodotto un antigene ricombinante di B. gibsoni utilizzato per discriminare i sieri ottenuti da cani con differenti infezioni da babesie. L’identificazione del DNA microbico mediante PCR su campioni di sangue con EDTA è altamente sensibile e può caratterizzare le specie di Babesia oltre ad identificare le coinfezioni.

263

Bibliografia Attar ZJ, Chance ML, el-Safi S, Carney J, Azazy A, El-Hadi M, Dourado C, Hommel M. Latex agglutination test for the detection of urinary antigens in visceral leishmaniasis. Acta Tropica. 2001 15;78:11-16 Brown SL, Hansen SL, Langone JJ. Role of serology in the diagnosis of Lyme disease. Journal of the American Medical Association 1999 7;282:62-66. Dumler, S and Aguero-Rosenfild, M.E.Microbiology and Laboratory Diagnosis of Tickborne disease pp15-54 in Tickborne Infectious Diseases, Diagnosis and Management. Ed Cunha, B.A. Pub Marcel Dekker, Inc New York 2000 Gurtler RE, Cecere MC, Castanera MB, Canale D, Lauricella MA, Chuit R, Cohen JE, Segura EL. Probability of infection with Trypanosoma cruzi of the vector Triatoma infestans fed on infected humans and dogs in northwest Argentina. American Journal of Hygiene and Tropical Medicine 1996 55:24-31 Iqbal J, Hira PR, Saroj G, Philip R, Al-Ali F, Madda PJ, Sher A. Imported visceral leishmaniasis: diagnostic dilemmas and comparative analysis of three assays. Journal of Clinical Microbiology 2002 40:475-9 La Scola B, Raoult D. Culture of Bartonella quintana and Bartonella henselae from human samples: a 5-year experience (1993 to 1998). Journal of Clinical Microbiology 1999, 37:1899-905 Paek SH, Lee SH, Cho JH, Kim YS. Development of rapid one-step immunochromatographic assay. Methods. 2000 22:53-60. Smits HL, Chee HD, Eapen CK, Kuriakose M, Sugathan S, Gasem MH, Yersin C, Sakasi D, Lai-A-Fat RF, Hartskeerl RA, Liesdek B, Abdoel TH, Goris MG, Gussenhoven GC. Latex-based, rapid and easy assay for human leptospirosis in a single test format. Tropical Medicine and International Health 2001 6:114-118 Zarlenga DS, Higgins J. PCR as a diagnostic and quantitative technique in veterinary parasitology. Veterinary Parasitology. 2001 22; 101: 215-30. Houpikian P, Raoult D. Diagnostic methods current best practices and guidelines for identification of difficult-to-culture pathogens in infective endocarditis. Infectious Disease Clinics of North America 2002 Jun; 16(2):377-92 PCR protocols for emerging infectious diseases. Edited by David Persing. Published by The American Society for Microbiology Press


264

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

L’erlichiosi in Europa Susan E. Shaw BVSc (Hons), MSc, MRCVS, Dipl ACVIM, Dipl ECVIM, FACVSc, Cert Arts (Arch), Università di Bristol, Regno Unito

Estratto breve Sino a non molto tempo fa, in Europa venivano riconosciuti come patogeni per gli animali due genogruppi di batteri intracellulari classificati come “Erlichiae”. L’analisi filogenetica utilizzando le sequenze di geni compreso quello del 16S rRNA ha ora permesso di identificare questi gruppi distinguendo due generi separati: il genere Ehrlichia che comprende E. canis, responsabile dell’erlichiosi monocitaria nel cane e nel gatto, e quello Anaplasma, in cui sono classificati ora Anaplasma phagocytophila, agente eziologico della “erlichiosi” granulocitaria del cane e del gatto, ed A. platys, responsabile della trombocitopenia infettiva del cane. L’erlichiosi monocitaria del cane causata da E. canis è un’importante malattia dell’Europa meridionale, anche se la sua distribuzione si va diffondendo verso Nord. Viene trasmessa principalmente dalla zecca Rhipicephalus sanguineus. La fase acuta è caratterizzata da segni aspecifici di malattia quali febbre, anoressia e linfoadenomegalia associati a trombocitopenia immunomediata e disfunzione piastrinica che provocano la comparsa di petecchie ed epistassi. Questo quadro è seguito da una remissione clinica variabile, anche se è comune la persistenza, ed esita in ripetuti episodi di sanguinamento, ipergammaglobulinemia e sindrome di iperviscosità. L’infezione cronica da E. canis causa pancitopenia da distruzione midollare fatale nelle razze predisposte come il pastore tedesco. L’insorgenza dei segni clinici può essere scatenata da una malattia concomitante. In gatti con sieropositività per Ehrlichia canis è stata descritta l’erlichiosi felina associata ad inclusioni negli elementi mononucleati e, recentemente, prove di natura molecolare hanno confermato l’occorrenza dell’infezione da parte di questo microrganismo. Si presume che venga trasmessa dalle zecche. I segni clinici sono rappresentati da febbre intermittente, anoressia, perdita di peso, scolo oculare, uveite, poliartrite e dolore muscolare, anemia, trombocitopenia, leucopenia ed iperglobulinemia. Non sono state segnalate associazioni con altre infezioni. La trombocitopenia ciclica del cane, causata da Anaplasma (E.) platys e presumibilmente trasmessa da Rhipicephalus sanguineus, è distribuita in tutta l’Europa meridionale e presenta un tropismo per le piastrine. La patogenicità è generalmente bassa, ma l’infezione da A. (E.) platys può svolgere un ruolo nella coinfezione con altre malattie da Rhipicephalus quali Babesia o Ehrlichia spp.

Ad intervalli di 2-3 settimane si osserva una trombocitopenia lieve o moderata. Si tratta principalmente di un’infezione asintomatica, a meno che il cane non venga sottoposto ad un intervento chirurgico o non sia colpito da un disordine emorragico concomitante, anche se in Grecia ed in Medio Oriente sembra essere stato descritto un ceppo più patogeno. L’erlichiosi granulocitaria (anaplasmosi) da Anaplasma phagocytophilum è una malattia endemica emergente del cane e del gatto nell’Europa settentrionale. È causata dall’infezione da parte di un batterio intragranulocitario, A. (E.) phagocytophilum, e viene trasmessa da alcune specie di zecche del genere Ixodes. I segni clinici sono rappresentati dall’insorgenza acuta di febbre, debolezza, linfoadenopatia, rigidità e dolore muscolari, poliartrite, trombocitopenia subclinica e segni neurologici quali meningite, uveite e vasculite, ma non è stata descritta la grave malattia cronica che si osserva nei cani suscettibili con infezione da E. canis. Dal momento che l’erlichiosi granulocitaria viene trasmessa da zecche del genere Ixodes, nel cane è probabile la coinfezione da Borrelia e Bartonella spp. La diagnosi si basa su riscontri clinici appropriati e sull’identificazione delle morule delle erlichie nei leucociti o nelle piastrine degli strisci allestiti con il buffy coat o nel sangue dei vasi capillari. Nel caso di E. canis si possono anche impiegare gli aspirati tissutali da milza, polmone o linfonodi. La diagnosi sierologica è basata principalmente sull’immunofluorescenza, anche se sono disponibili parecchi altri test. Oggi esistono saggi di PCR su sangue con EDTA sia genere- che specie-specifici, sensibili e specifici, che permettono di distinguere fra l’infezione e l’esposizione e di identificare precocemente i casi durante la progressione della malattia. La coltura di E. canis ed A. phagocytophilum è estremamente difficile e non risulta pratica ai fini diagnostici. A. platys non è coltivabile. La somministrazione di doxiciclina od ossitetraciclina alla dose di 5-10 mg/kg per 3-4 settimane costituisce il trattamento d’elezione dell’erlichiosi. Se sono presenti anemia e trombocitopenia potenzialmente letali, è possibile ricorrere alle trasfusioni di sangue ed ai glucocorticoidi. Questi ultimi possono anche essere utili nell’artrite immunomediata, nella meningite e nella vasculite da erlichiosi granulocitaria. Non è disponibile una vaccinazione. È possibile somministrare a scopo profilattico tetraciclina per os alla dose di 6,6 mg/kg/die, ma la prevenzione si fonda principalmente sull’energico controllo delle zecche.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Bibliografia

265

Walker, D.H. and Dumler, J.S. (1996) Emergence of the ehrlichioses as human health problems. Emerg. Infect. Dis. 2, 18-29 Harrus, S. et al. (1997) Canine monocytic ehrlichiosis: A retrospective study of 100 cases, and an epidemiological investigation of prognostic factors for the disease. Vet. Rec. 141, 360 -363 Stubbs CJ, Holland CJ, Reif JS et al. (2000) Feline Ehrlichiosis. Compendium of Continuing Education for the Practising Veterinarian 22, 307-317 Harrus, S. et al. (1997) Clinical manifestations of infectious canine cyclic thrombocytopaenia. Vet. Rec. 141,247-250 Dumler JS and Walker DH. Tick-borne ehrlichiosis. Lancet Infectious Diseases 2001; April: 21-28

telet dysfunction causing petechiation and epistaxis is marked in E. canis infection. Chronic E. canis infection causes pancytopaenia due to bone marrow destruction. Varying degrees of non-regenerative anaemia, thrombocytopaenia and leucopaenia occur which if left untreated, leads to death through haemorrhage and/or infection. Markedly increased serum gammaglobulins are also a feature as with leishmaniasis. Chronic ehrlichiosis is more severe in certain breeds (German shepherd dog) and in younger animals. The onset of clinical signs may be triggered by concurrent disease such as leishmaniasis, babesiosis or other tick transmitted infections. This may produce a complex multisystemic disease picture.

Estratto completo

Diagnosis

Introduction Until recently, three genogroups of intracellular bacterial organisms classified as “ehrlichiae” were recognised as pathogenic in animals and humans. Phylogenetic analysis using gene sequences including the 16S rRNA gene, have now identified these groups as separate genera: • Genus Ehrlichia which includes the “type” species, E. canis, the cause of monocytic ehrlichiosis in dogs and cats. • Genus Anaplasma which now includes the “type” species, Anaplasma phagocytophila, the cause of granulocytic “ehrlichiosis” in dogs and cats and A. platys the cause of canine infectious thrombocytopenia. • Genus Neorickettsia which includes the “type” species, N. risticii, the cause of Potomac horse fever in the USA. There are also species which cause canine infection and disease in the USA which of relatively minor significance to Europe at present. Cats are susceptible to experimental infection with N. risticii and serological evidence of naturally occurring infection has been reported.

The diagnosis is based on appropriate clinical findings and identification of ehrlichial morulae in monocytes in buffy coat smears or blood from a capillary vessel. Tissue aspirates of spleen, lung or lymph nodes may also be used. Serological diagnosis is mainly based on IFA testing but other serological methods are available. PCR tests on EDTA blood are now available. They are sensitive and specific and as for babesiosis distinguish between infection and exposure and will identify cases early in disease progression.

Treatment (Table 1) Doxycycline or oxytetracycline therapy is the treatment of choice for ehrlichiosis. In addition, imidocarb can be given for resistant infections. Supportive therapy with fluids and/or blood transfusions may be required. If life threatening thrombocytopaenia is present, glucocorticoid therapy has some rationale as part of the pathogenesis for the immune-mediated phase of thrombocytopaenia. They may also be useful in the immune-mediated arthritis, meningitis and vasculitis of granulocytic ehrlichiosis.

CANINE MONOCYTIC EHRLICHIOSIS Control This is an important disease of dogs in southern Europe and other areas of the Mediterranean basin although its distribution is spreading north. In Europe, the canine disease is primarily caused by E. canis and transmitted by the tick Rhipicephalus sanguineus. Acute, subclinical and chronic syndromes have been described for canine monocytic ehrlichiosis. The acute phase has an incubation period of 8-20 days and is followed by clinical remission. However, subclinical infection is common and may persist for years. If an ineffective immune response is mounted, chronic ehrlichiosis develops and is associated with severe bone marrow damage. Co-infection with Babesia sp. and Leishmania infantum is common.

Vaccination is not available. For travelling dogs, oral tetracycline may be prophylactic at 6.6 mg/kg daily in combination with tick control. Prevention is dependent on vector control. However, the time required for transmission from ticks is not known but may be 1-2 days. If so, current means of tick control may not completely eliminate the risk of contracting disease.

FELINE MONOCYTIC EHRLICHIOSIS Introduction

Clinical signs In acute monocytic ehrlichiosis, non-specific signs of illness such as fever, anorexia and lymphadenomegaly in combination with immune-mediated thrombocytopaenia and pla-

Feline ehrlichiosis associated with inclusions in mononuclear cells has been reported in cats with seropositivity to Ehrlichia canis. Recently molecular evidence has confirmed the occurrence of E. canis infection in North American cats with clinical signs compatible with monocytic ehrlichiosis.


266

46째 Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Pathogenesis As in other species, monocytic ehrlichiosis in cats is presumed to be tick-transmitted. However, definitive evidence for the route of transmission is lacking. Risk factors associated with positive serology for E. canis and /or E. risticii have been studied. Cats with outdoor exposure were more likely to have positive E. canis and/or E. risticii serology and cats with positive E. canis serology were more likely to be female. There was no association with breed or age.

Clinical signs Clinical signs reported in cats with naturally occurring ehrlichiosis are extremely varied. For monocytic ehrlichiosis, these include intermittent fever, anorexia, weight loss, vomiting, diarrhoea, upper respiratory signs and muscle pain. Clinico-pathological findings include anaemia, thrombocytopenia, leucopenia and hyperglobulinaemia. However, in a study by Stubbs et al (2000), statistically significant associations between clinical signs and positive serology for E. canis and/or E. risticii, were more limited. Ocular discharge, uveitis and polyarthritis were significantly more common in cats with positive E. canis and/or E. risticii serology; vomiting and hyperglobulinaemia were more common in cats with positive E. risticii and E. canis serology respectively. There was a negative association between thrombocytopaenia and E. canis and/or E. risticii positive serology. However, as some cats may be sero-negative for E. canis but positive by PCR for ehrlichial DNA, disease associations suggested by serological data alone may be inadequate. Whether cats become persistently infected or develop immune-mediated sequelae as a result of chronic infection

as occurs in dogs is unknown. However, prolonged elevation of antibody levels in cats seropositive for E. canis is reported. No association with FIV or FeLV has been reported, and although one case had concurrent Haemobartonella felis infection, the presence of co-infection with other arthropodborne pathogens has not been investigated.

Diagnosis Definite diagnosis of feline ehrlichiosis is made by demonstration of intra-monocytic inclusions in, or PCR of, a peripheral blood sample. However, the presence of inclusions in infected cats is variable. Serological (IFA) testing is available for both E. risticii and E. canis infections in cats but considerable cross-reaction occurs between species and a rising titre is required to confirm active infection. Genus and species specific PCR for ehrlichia is available and may be the diagnostic test of choice.

Treatment (Table 1) Although controlled therapeutic trials are lacking, administration of doxycycline or tetracycline (Table 1) is the treatment of choice for feline ehrlichiosis and clinical response is reported to be excellent. Antibiotic therapy should be administered for a minimum period of 2128 days.

Prevention Control of vectors

SUMMARY TABLE 1: TREATMENT OF EHRLICHIOSIS

Uses Tetracyclines Doxycycline

Oxytetracycline

Imidocarb diproprionate

Drug (Trade name)

Dose rates recommended (mg/kg)

Interval and duration therapy

(Ronaxan, Merial, 20 mg, 100 mg tablets)

Dogs: 5-10 po Cats: 5 po

12-24 for 14-21 days

Oxycare, Animalcare Ltd, 50 mg, 100 mg, 250 mg tablets)

Dogs: 25 po

8 for 14-21 days

Alamycin, Norbrook Labs (GB) Ltd, 50 mg/ml solution)

Dogs and cats: 7-11 im,sc

8 for 14-21 days

Duphacycline 50, Fort Dodge Health, 50 mg/ml solution

As above

As above

Forray-65, Hoeschst Marion Roussel, 120 mg/ml solution

Dogs and cats: 5-6.6 sc, im

Once. Repeat in 2-3 weeks

Imizol, Schering-Plough Animal Health, 120 mg/ml solution

Notes/Toxicity

? Stain teeth in first month of life and in last trimester pregnancy. Anorexia esp in cats, vomiting, diarrhoea

Hepatotoxicity, vomiting post treatment, pain and swelling at injection site


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

CANINE INFECTIOUS THROMBOCYTOPENIA Introduction Canine cyclic thrombocytopenia, caused by Anaplasma (E.) platys, was first reported in the USA and appears to be an emerging problem in several southern European countries, Israel, Taiwan, Venezuela and most recently Australia. This species of Anaplasma has tropism for platelets. Although it is assumed to be transmitted by Rhipicephalus sanguineus, its natural mode of transmission is uncertain.

Clinical signs Pathogenicity is generally low but A. (E.) platys infection may play a role in coinfection with other arthropod borne diseases such as Babesia or Ehrlichia species which are also Rhipicephalus transmitted. There are reports of a more pathogenic strain from Greece and the Middle East. Mild to moderate thrombocytopenia occurs at 2-3 weekly intervals. It is primarily an asymptomatic infection unless the dog undergoes surgery or has a concurrent bleeding disorder. However, A. platys infection has been suggested to play a role in the epistaxis (adults), severe thrombocytopenia with anaemia and increased mortality rate (puppies) in northern Australian dogs.

Diagnosis Platelet inclusions are a useful means of diagnosis although species-specific PCR tests have now been developed. Considering the cyclic nature and low levels of the parasitaemia, molecular diagnosis is a useful adjunct. IFA tests have been developed but are not commercially available.

267

particular, I. ricinus. The reservoir species appear to be rodents but may also include sheep and deer. The appearance of granulocytic ehrlichiosis in dogs restricted to peri-urban areas during the UK foot and mouth outbreak in 2001, suggests there may also be reservoirs of infection and transmitting ticks much closer to both human and companion animal populations.

Clinical signs There is no information on the prevalence of exposure or infection in many European countries although seropositivity in Sweden is high. Consequently, it is not known if or how many normal animals have asymptomatic carriage and it is difficult to interpret disease association with positivity. In addition, the pathogenesis of the disease in companion animals has not yet been studied in detail. Clinical signs include acute onset of fever, weakness, lymphadenopathy, muscle stiffness and pain, polyarthritis, subclinical thrombocytopenia and neurological signs including meningitis. A mild to moderate thrombocytopenia is common, but clinical signs referable to bleeding are less frequent compared to E. canis infection. Uveitis, vasculitis, meningitis and central nervous signs (seizures, stupor) have been reported with granulocytic ehrlichiosis. There may be variation in virulence as evidenced by severe disease and fatalities reported in infected dogs from Slovenia. However, the severe chronic disease seen with E. canis in susceptible dogs has not been reported. Persistent sub-clinical infection has been identified with experimental A. phagocytophilum infection in Swedish dogs although the situation is less clear in natural infection. As granulocytic ehrlichiosis is transmitted by Ixodes species ticks, coinfection with Borrelia and Bartonella species in dogs is probable, as reported in humans.

Diagnosis Treatment This may not be necessary although infection appears responsive to tetracycline group.

Prevention Vector control

ANAPLASMOSIS (GRANULOCYTIC EHRLICHIOSIS) Introduction Granulocytic ehrlichiosis (anaplasmosis) due to Anaplama phagocytophilum is an emerging, endemic disease of both dogs and cats in northern Europe. It is caused by infection with intra-granulocytic bacterium, A. (E.) phagocytophilum, and is transmitted by species of Ixodes ticks in

Clinical signs are not pathognomonic. Neutrophil inclusions can provide strong supportive evidence if the morphology is compatible. However, the numbers of neutrophils with inclusions is extremely variable and may alter with the progression of infection. Granulocytic ehrlichiosis should be considered in the differential of polyarthritis and meningitis in the UK particularly in the group referred to as “steroid-responsive”. Serological tests are not readily available although those developed using Ehrlichia equi antigen are appropriate if validated for dogs. Recently a monoclonal-based ELISA has been developed in the USA for human use. However this only provides a measure of exposure rather than infection. PCR testing for A. phagocytophilumis now commercially available using species specific primers. Culture is extremely difficult and is not practical for diagnosis.

Treatment (Table 1) Although controlled therapeutic trials are lacking, administration of doxycycline or tetracycline is the treatment of


268

choice for granulocytic ehrlichiosis and clinical response is reported to be excellent. Antibiotic therapy should be administered for a minimum period of 21-28 days.

Prevention There is no vaccination available. Tick control should be vigorous.

FELINE ANAPLASMOSIS (GRANULOCYTIC EHRLICHIOSIS)

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Diagnosis Diagnosis is made by demonstration of intra-leucocytic inclusions in, or PCR of, a peripheral blood sample. However, the presence of inclusions in infected cats is variable. Serological (IFA) testing is available for both E. risticii and E. canis infections in cats but considerable cross-reaction occurs between species and a rising titre is required to confirm active infection.

Treatment and prevention As for dogs.

Cats are susceptible to experimental infection with Anaplasma (Ehrlichia) phagocytophilum genogroup. Granulocytic ehrlichiosis caused by A. phagocytophilum infection has been identified and characterised in a cat from Sweden, and illness in cats associated with molecular evidence of A. phagocytophilum infection has recently been identified in Denmark, UK and the USA. As in other species, granulocytic ehrlichiosis in cats is presumed to be tick-transmitted. Infestation with Ixodes species ticks (Sweden) has been found on infected cats. However, definitive evidence for the route of transmission is lacking.

Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5.

Clinical signs

6.

As in dogs, at present it is difficult to determine disease association with infection. Clinical signs reported in cats with naturally occurring infection are varied and difficult to interpret due to the small numbers of cases identified. Cats with A. phagocytophilum infection on PCR analysis presented with fever, lethargy, weight loss and joint pain. Further investigation of species and strain variation of Anaplasma infecting cats as well as co-infection, may well explain the wide spectrum of clinical presentation. Whether cats become persistently infected or develop immune-mediated sequellae as a result of chronic infection is unknown. However, prolonged elevation of antibody levels in cats with A. phagocytophilum is reported. No association with FIV or FeLV has been reported, and although one case had concurrent Mycoplasma (Haemobartonella) felis infection, the presence of co-infection with other arthropod-borne pathogens has not been investigated.

7. 8. 9.

10. 11. 12. 13. 14. 15.

Walker, D.H. and Dumler, J.S. (1996) Emergence of the ehrlichioses as human health problems. Emerg. Infect. Dis. 2, 18-29 Frank, J.R. and Breitschwerdt, E.B. (1999) A retrospective study of ehrlichiosis in 62 dogs from North Carolina and Virginia. J. Vet. Intern. Med. 13, 194-201 Harrus, S. et al. (1997) Canine monocytic ehrlichiosis: A retrospective study of 100 cases, and an epidemiological investigation of prognostic factors for the disease. Vet. Rec. 141, 360 -363 Harrus, S. et al. (1999) Recent advances in determining the pathogenesis of canine monocytic ehrlichiosis. J. Clin. Microbiol. 37, 27452749 Stubbs CJ, Lappin MR, Holland CJ et al (1998) Feline ehrlichiosis. Journal of Veterinary Internal Medicine 12, 230 Beaufils, J.P. et al. (1999) Probable ehrlichiosis in cats. A retrospective study of 21 cases. Pratique Medicale et Chirurgicale de L’Animal de Compagnie 34, 587-596 Stubbs CJ, Holland CJ, Reif JS et al. (2000) Feline Ehrlichiosis. Compendium of Continuing Education for the Practising Veterinarian 22, 307-317 Harrus, S. et al. (1997) Clinical manifestations of infectious canine cyclic thrombocytopaenia. Vet. Rec. 141,247-250 deAlvarado, C.M.A. et al. (1997) Ehrlichia platys: Antigen processing and use of the indirect fluorescent antibody test (IFA) in canines and humans. Revista Cientifica-Facultad de Ciencias Veterinarias 2, 99-109 Chang, A.C.H. et al. (1996) Canine infectious cyclic thrombocytopenia found in Taiwan. J. Vet. Med. Sci. 58, 473-476 Brown GK Martin AR Roberts TK Aitkin RJ. Detection of Ehrlichia platys in dogs in Australia. Australian Veterinary Journal 2001, 79 (8); 554-558. Dumler JS and Walker DH. Tick-borne ehrlichiosis. Lancet Infectious Diseases 2001; April: 21-28 Egenvall, A. et al. (1994) Tickborne infections in dogs in Sweden. Svensk. Veterinaer. Tidning 46, 321-329 Greig, B. et al. (1996) Geographic, clinical, serologic and molecular evidence of granulocytic ehrlichiosis, a likely zoonotic disease in Minnesota and Wisconsin dogs. J. Clin. Microbiol. 34, 44-48 Bjoersdorff A, Svendenius L, Owens JH, et al Feline granulocytic ehrlichiosis - a report of a new clinical entity and characterisation of the infectious agent. Journal of Small Animal Practice 1999; 40: 20-24


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

269

Le rickettsiosi nei cani e nei gatti europei Susan E. Shaw BVSc (Hons), MSc, MRCVS, Dipl ACVIM, Dipl ECVIM, FACVSc, Cert Arts (Arch), Università di Bristol, Regno Unito

Estratto breve Fatta eccezione per Rickettsia rickettsii, agente eziologico della febbre maculosa delle Montagne Rocciose negli USA, questi batteri intracellulari trasmessi da artropodi del genere Rickettsia vengono raramente segnalati come causa di malattia clinicamente manifesta nel cane e nel gatto domestici. Tuttavia, il riscontro sierologico dell’infezione da Rickettsia spp. non è insolito nei cani e nei gatti dell’Europa meridionale, che possono svolgere un ruolo importante nell’epidemiologia della malattia nell’uomo attraverso l’interazione con i serbatoi selvatici dell’infezione e gli artropodi vettori. Rickettsia conorii, trasmessa dalla zecca Rhipicephalus sanguineus, è l’agente della febbre bottonosa da zecche nell’uomo in Europa meridionale, medio oriente e sud Africa. È stata segnalata l’infezione del cane e del gatto, ma non sono stati riferiti segni clinici della malattia. Tuttavia, altre specie di Rickettsia che possono essere trasmesse da zecche ixodidi come R. helvetica ed R. slovaca e le specie recentemente descritte isolate in Ixodes ricinus sia in Italia che in Germania possono essere patogene nel cane, in particolare se vengono coinvolte in coinfezione. Oggi sono note due cause di tifo umano trasmesso da pulci; Rickettsia typhi, veicolata dalle pulci dei roditori con distribuzione mondiale, ed R. felis, recentemente segnalata, che è stata identificata nel gatto, nel cane e nelle pulci del gatto (Ctenocephalides felis) nelle Americhe e nell’Europa meridionale. Nelle aree endemiche degli USA, gli opossum periurbani sono i principali ospiti serbatoio di R. felis, ma non sono stati accertati i serbatoi potenziali del cane e del gatto. In Nord America, le infezioni da R. typhi sono state riscontrate nelle pulci e nell’uomo nelle stesse aree geografiche in cui è presente R. felis, anche se la coinfezione non è comune. L’infezione sperimentale dei gatti da parte di R. felis è stata dimostrata, così come la sieropositività ad R. typhi. I gatti infettati con R. felis mediante ripetute esposizioni a morsi di pulci sviluppano una malattia subclinica con un periodo di incubazione di 2-4 mesi. Tuttavia, il potenziale patogeno dell’infezione naturale determinata da entrambe le specie di Rickettsie nel cane e nel gatto è sconosciuta. Ciò che è indubbio è il fatto che i cani ed i gatti veicolano Ct. felis negli ambienti domestici e che, dal momento che è stata dimostrata la trasmissione transovarica e transtadiale di R. felis, è possibile che si instauri un focolaio domestico di infezione per l’uomo. Rickettsia rickettsii resta la specie di Rickettsia trasmessa da zecche meglio studiata nei piccoli animali e quella nota per causare una malattia clinicamente manifesta. Può essere utilizzata come modello per riconoscere i casi probabili dovuti

ad altre specie. Si osservano febbre, letargia, ottundimento del sensorio, anoressia, andatura rigida con dolore articolare e muscolare. È comune il riscontro di linfoadenopatia generalizzata e, man mano che il danno endoteliale peggiora, si può avere un edema sottocutaneo ed occasionalmente una necrosi del derma. A differenza di quanto avviene nell’uomo, i cani sviluppano raramente emorragie petecchiali cutanee (“febbre maculosa”), mentre sono più frequenti le microemorragie delle mucose e, in particolare, della retina. Può essere presente sia il coinvolgimento miocardico che quello polmonare. In una fase più avanzata dello sviluppo della malattia, si possono osservare segni clinici di meningite quali iperestesia, dolore spinale, crisi convulsive e disfunzioni vestibolari. L’iniziale leucopenia è seguita da leucocitosi ed è comune la trombocitopenia, mentre è improbabile un’emorragia palese. Sino a non molto tempo fa la diagnosi si fondava sull’identificazione di metodi sierologici quali la microimmunofluorescenza per le IgM o l’aumento dei titoli delle IgG ad intervalli di 2-3 settimane. Tuttavia, fra le diverse specie di Rickettsia si può avere una reattività crociata. Per la diagnosi clinica o necroscopica di R. Rickettsii è stata utilizzata la colorazione immunoistochimica diretta dei tessuti. Per identificare in campioni di sangue e di tessuto il DNA delle rickettsie, che può persistere per un certo periodo di tempo dopo l’avvio della terapia antimicrobica, sono stati impiegati metodi basati sulla PCR. La coltura delle rickettsie comporta dei rischi e può essere effettuata soltanto in strutture che assicurino un’elevata biosicurezza. La febbre maculosa delle Montagne Rocciose clinicamente manifesta e non trattata è una malattia altamente fatale. Se viene trattata precocemente, la risposta è rapida, ma se l’intervento è ritardato si può avere un prolungamento della guarigione e deficit neurologici permanenti. Gli antibiotici d’elezione sono le tetracicline come la doxiciclina (5-10 mg/kg) e il trattamento deve continuare per 3-4 settimane. Sono efficaci anche i fluorochinoloni ed il cloramfenicolo. Nei cani con ipotensione, coagulopatia o segni di disfunzione organica è necessaria una terapia di supporto, ma l’infusione di fluidi deve essere strettamente monitorata per prevenire l’esacerbazione dell’edema.

Bibliografia Gasser AM, Birkenheuer AJ, Breitschwerdt EB (2001) Canine Rocky Mountain spotted fever: A retrospective study of 30 cases. J Am Anim Hosp Assoc 37, 41-48. Breitschwerdt EB, Walker DH, Levy MG, et al. (1988) Clinical, hematologic, and humoral immune response in female dogs inoculated with Rickettsia rickettsii and Rickettsia montana. Am J Vet Res 49, 70-76. Beninati, Lo N, Noda H et al. (2002) First detection of spotted fever group Rickettsiae in Ixodes ricinus from Italy. Emerging Infectious Diseases, 8 (9), 983-986 Marquez FJ, Muniain MA, Perez JM, Pachon J. (2002) Presence of Ricketssia felis in the cat flea from southwestern Europe. Emerging Infectious Diseases, 8 (1), 89-91


270

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

La borreliosi europea: una malattia multisistemica Susan E. Shaw BVSc (Hons), MSc, MRCVS, Dipl ACVIM, Dipl ECVIM, FACVSc, Cert Arts (Arch), Università di Bristol, Regno Unito

Estratto breve BORRELIOSI CANINA La borreliosi è causata da una spirocheta extracellulare trasmessa da zecche, Borrelia burgdorferi sensu lato, che viene veicolata dalle zecche del genere Ixodes (I. ricinus ed I. hexagonus). Parecchie specie di animali selvatici possono fungere da serbatoi, a seconda delle genospecie di Borrelia coinvolte. Piccoli mammiferi, uccelli ed eventualmente ovini sembrano costituire i principali serbatoi dell’infezione. Quest’ultima ha fatto riscontrare un’espansione della distribuzione nell’emisfero settentrionale ed oggi viene comunemente segnalata in aree urbane. Sono ormai stati identificate 16 genospecie di Borrelia e, in Europa, B. garinii (neuroborreliosi), B. afzelli (segni cutanei) e B. burgdorferi sensu stricto (segni muscoloscheletrici) sono causa di borreliosi nell’uomo. La maggioranza delle informazioni sui genotipi che infettano il cane fa riferimento a B. burgdorferi sensu stricto ed attualmente si ignora in che misura altre genospecie, ed in particolare B. garinii e B. afzelli, contribuiscano all’infezione ed alla malattia nel cane. Negli ultimi due anni, sono state segnalate infezioni dei cani europei da parte di B. garinii, B. afzelli e B. valaisiana e coinfezioni di queste con B. burgdorferi sensu stricto, ma non sono state determinate le relative associazioni patologiche. La borreliosi canina associata all’infezione da B. b. senso stricto è una causa riconosciuta di febbre ricorrente, linfoadenopatia, debolezza ed artropatia meno erosiva. Vengono comunemente segnalati dolore, tumefazione articolare e zoppia che si sposta da un arto all’altro e nella patogenesi sono stati ipotizzati parecchi meccanismi quali l’ipersensibilizzazione dei mediatori proinfiammatori come l’ossido nitrico e la IL-8. Tuttavia, il quadro in Europa è più complesso a causa della variazione della patogenicità e del tropismo tissutale fra le differenti genospecie. Alcune delle specie possono essere apatogene. Sia la meningoencefalite che la poliradiculoneurite sono state descritte in associazione con la borreliosi canina in Europa. Le reazioni crociate immunologiche nei confronti di antigeni batterici e “self” condivisi sono importanti nella borreliosi umana ed è stato dimostrato che gli anticorpi anti-flagellina, uno degli antigeni più immunogeni di Borrelia, danno origine a interazioni crociate con proteine neuroassonali. Nelle razze predisposte, è stata descritta una nefropatia che comprende una malattia progressiva acuta ed una glomerulopatia; sono colpiti Labrador e golden retriever in USA e razze di cani da montagna in Europa. Le sindromi patologiche cutanee e cardiache osservate nell’uomo non sono state identificate in modo definitivo nel cane. Poiché diverse delle infezioni endemiche trasmesse da zecche in Europa

condividono la medesima zecca vettrice (Ixodes ricinus), è possibile che gli animali da compagnia siano colpiti da una coinfezione sostenuta da diversi agenti patogeni come Borrelia ed Anaplasma. In USA, nei cani infetti sono state segnalate comunemente infezioni persistenti dopo terapia antibiotica. Il microrganismo viene sequestrato a livello di cute, tessuto connettivo, articolazioni ed SNC e, negli individui immunocompromessi o colpiti da una coinfezione, si può avere la riattivazione dell’infezione con una recrudescenza della malattia. Per giungere alla diagnosi definitiva può essere necessario eseguire una serie di test. Sono disponibili parecchie indagini sierologiche, che però possono essere basate sugli antigeni di B. burgdorferi sensu stricto derivati dagli USA. La diagnosi definitiva si ottiene attraverso gli esami colturali, solitamente allestiti a partire da campioni tissutali, specialmente cutanei. Non si tratta di una procedura di routine. Tuttavia, in commercio è disponibile la PCR per l’identificazione del DNA batterico, che probabilmente verrà ulteriormente raffinata in futuro. Nei casi di malattia riscontrati nell’uomo e nel cane si utilizzano doxiciclina, amossicillina, azitromicina, penicillina, ceftriaxone e cefotaxime, per terapie di durata superiore a 30 giorni. Tuttavia, le infezioni persistenti che non scompaiono in seguito alla somministrazione di antibiotici rappresentano un notevole problema. Il controllo delle zecche costituisce il principale metodo di prevenzione. In commercio si trovano batterine inattivate ed un vaccino ricombinante basato sulla proteina della superficie esterna, la OspA, per la prevenzione della borreliosi canina. In alcune aree dell’Europa, si può trovare un vaccino inattivato, ma la maggior parte dei vaccini anti-Borrelia è stata sviluppata negli USA ed è basata su Borrelia burgdorferi sensu stricto. I vaccini vengono consigliati per l’impiego nelle aree endemiche, ma, dal momento che sono basati su B. burgdorferi sensu stricto, è possibile che non conferiscano necessariamente una protezione crociata nei confronti di altre specie di Borrelia.

BORRELIOSI FELINA Anche se nei gatti del Regno Unito, degli USA e della Germania è stata segnalata una sieropositività del 4,8-36% nei confronti di B. burgdorferi, la malattia clinicamente manifesta e ad insorgenza spontanea non è ancora stata descritta. I risultati dell’infezione sperimentale dei gatti con ceppi di B. burgdorferi degli USA sono stati contraddittori dal punto di vista della capacità di indurre la comparsa di segni clinici. Tracce di DNA di Borrelia sono state rinvenute nei gatti del Regno Unito e della Danimarca, ma la loro caratterizzazione non è stata completata.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Estratto completo Introduction Borreliosis is caused by a tick-borne extracellular spirochete, Borrelia burgdorferi sensu lato which is transmitted by ticks of the genus Ixodes (I. ricinus and I. hexagonus). Several species of wildlife can be reservoirs depending on the genospecies of Borrelia involved. Small mammals (not deer!!), birds and possibly sheep appear to be the major reservoir for infection in the UK. It has an expanding distribution in the Northern Hemisphere and is now commonly reported from urban areas. Sixteen Borrelia genospecies have now been identified and in Europe, B. garinii (neuroborreliosis), B. afzelli (cutaneous signs) and B. burgdorferi sensu stricto (musculoskeletal signs) are causes of human borreliosis. The majority of information on the genotypes infecting dogs relates to B. burgdorferi sensu stricto and the degree to which other genospecies especially B. garinii and B. afzelli contribute to infection and disease in dogs is currently unknown. In the past two years, infection of European dogs with B. garinii, B. afzelli, B. valaisiana and co-infections of these with B. burgdorferi sensu stricto have been reported but relative disease associations have not been determined.

271

roaxonal proteins. Renal disease including acute progressive disease and glomerulopathy have been reported in predisposed breeds; Labradors and Golden retrievers in the USA and the Mountain dog breeds in Europe. In particular, anecdotal evidence suggests the Bernese mountain dog is susceptible to “immune-mediated” consequences of Borrelia infection. The cutaneous and cardiac disease syndromes seen in humans have not been definitely identified in dogs. However, in the UK, despite a seropositivity prevalence of 4.5-11%, relatively few animals are reported to develop clinical signs. Because several of the endemic tick borne infections in the Europe share the same tick vector (Ixodes ricinus), it is possible for companion animals to be co-infected with several pathogens such as Borrelia and Anaplasma. It is also possible for an individual to be infected concurrently by several genospecies of Borrelia. Co-infection with Ixodes-transmitted pathogens has not yet been identified in dogs in Europe but it has been identified in both ticks and humans. Persistent infection after antibiotic therapy has been reported commonly in infected dogs in the USA. The organism is sequestered in the skin, connective tissue, joints and CNS and re-activation of infection with recrudescence of disease can occur in immunocompromised individuals or in association with coinfection.

Diagnosis Prevalence Seroprevalence in dogs and cats in Europe varies depending on the area studied. Unfortunately most of these have used serological tests designed for one genospecies only, Borrelia burgdorferi sensu stricto. Borrelia organisms are difficult to culture and there have been no definitive studies of infection rates. However, in a PCR based survey of dogs and cats in the UK/Ireland in 2000, blood samples from 180 systemically ill animals (120 dogs and 60 cats) from 41 practices were tested for Borrelia burgdorferi DNA using ospA gene target. Borrelia burgdorferi sensu lato DNA was detected in 6 sick dogs and in 2 sick cats; the latter being the first molecular evidence of naturally Borrelia burgdorferi infection in cats.

Unfortunately, the variation in clinical signs makes recognition difficult. As with many of the arthropod borne diseases, a panel of tests may be required for definitive diagnosis. Several serological tests are available but it may be based on B. burgdorferi sensu stricto antigens derived from the USA. As with all serological methods, differentiation of exposure from infection is extremely difficult without using rising titres. Definitive diagnosis is by culture usually from tissue specimens especially the skin. It is not a routine procedure. However, PCR to identify bacterial DNA is available commercially and is likely to become more refined in the future. At present, most PCRs are aimed at identification of Borrelia at the genus level but species identification will be soon available.

Pathogenesis and clinical signs

Treatment (Table 1)

Canine borreliosis is a recognised cause of recurrent fever, lymphadenopathy, weakness and non-erosive arthropathy in the USA. Pain, joint swelling and shifting lameness are commonly reported and several mechanisms including upregulation of pro-inflammatory mediators such as nitric oxide and IL8 have been incriminated in the pathogenesis. However, the picture is Europe is more complex due to variation in the pathogenicity and tissue tropism between the different genospecies. Some of the species may be nonpathogenic. Both meningoencephalitis and polyradiculoneuritis have been reported in association with canine borreliosis in Europe. Immunological cross-reactions to shared bacterial and “self” antigens are important in human borreliosis and antibodies to flagellin one of the most immunogenic Borrelia antigens, have been shown to cross-react with neu-

Doxycycline, amoxicillin, azithromycin, penicillin, ceftriaxone and cefotaxime are used in human and canine cases and duration should extend to 30 days. However, persistent infection despite antibiotic use is a major issue.

Prevention Tick control should be vigorous. Inactivated bacterins and a recombinant vaccine based on the outer surface protein, OspA, are commercially available for canine borreliosis. In some areas of Europe, a killed vaccine is available but most of the development of Borrelia vaccines has taken place in the US and is based on Borrelia burgdorferi sensu stricto. The OspA molecule is expressed by Borrelia in unfed ticks, and following transmission to the


272

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

TABLE 1: DRUGS RECOMMENDED FOR TREATMENT OF ARTHROPOD-BORNE INFECTIOUS DISEASES DRUG

INFECTION

DOSE RATE (mg/kg)

DOSE FREQUENCY (hr)

ROUTE

ANTIBIOTIC amoxicillin amoxicillin/clavulanate

bartonellosis, borreliosis(?) bartonellosis

10-20 10-20

12 12

IV, SC, PO IV, SC, PO

doxycycline

ehrlichiosis, yersiniosis, borreliosis(?)

5-10

12 decrease to 24

PO, IV

oxytetracycline

ehrlichiosis, tularemia, borreliosis(?)

10-25

8

PO, IV

erythromycin azithromycin†

coxiellosis coxiellosis, borreliosis(?)

10-22 7-15

8 12

PO, IV PO

chloramphenicol

yersiniosis, tularemia

25-50

12

IV, IM, SC, PO

fluoroquinolones* e.g. enrofloxacin

bartonellosis, coxiellosis, yersiniosis, tularemia

5-15

8-12

IV, IM, SC, PO

aminoglycosides e.g. gentamycin

yersiniosis, tularemia

2-4

12-24

IM

rifampicin*†

bartonellosis, coxiellosis

5-10

24

PO

trimethoprim/ sulphonamide/ pyrimethamine

coxiellosis

15-60

24

PO

* Used in combination with other antibiotics. † Not licensed for cats

host, is replaced by expression of OspC. OspA antibody induced by vaccination and ingested by feeding ticks, halts the growth of Borrelia and its migration to salivary gland. A combined OspA and OspB subunit vaccine has also been evaluated experimentally in the dog. In experimental challenge studies, these vaccines appear to protect from spirochetemia and clinical signs (polyarthritis) relative to unvaccinated control dogs. The vaccines are recommended for use in endemic areas, but as they are based on B. burgdorferi sensu stricto, they may not necessarily cross-protect against other Borrelia species.

longitudinal post-infection culture and PCR analyses remain to be published. As clinical borreliosis has not been fully characterised, therapeutic protocols are not described.

Bibliography 1. 2. 3. 4.

FELINE BORRELIOSIS 5.

Although B. burgdorferi seropositivity of 4.8-36% has been reported in cats in the UK, USA and Germany, naturally occurring clinical disease has not been reported. The results of experimental infection of cats with US strains of B. burgdorferi are contradictory with respect to inducing clinical signs. Burgess reported no apparent disease following infection while others reported some cats with non-specific signs including fever, lethargy, stiffness and arthritis. Clinical and pathological signs referable to hepatic, gastrointestinal, neurological and cardiac disease are also reported. There is some evidence that persistent infection without disease may occur. Cyclical increases in both B. burgdorferi -specific IgM and IgG levels with associated neutropenia have been reported in experimentally infected cats. However, studies using

6. 7.

8.

9. 10.

Shaw SE, Day MJ, Birtles RJ, Breitschwerdt E Tick transmitted infectious diseases of dogs. Trends in Parasitology 2001;17 (2): 74-80 May C, Carter SD, Barnes A, et al Serodiagnosis of Lyme disease in UK dogs. Journal of Small Animal Practice 1991;32:170-174 May C, Carter SD, Barnes A, et al Borrelia burgdorferi infection in cats in the UK. Journal of Small Animal Practice 1994;35, 517-520 Kurtenbach K, Peacey M, Rijpkema SGT, et al Differential transmission of the genospecies of Borrelia burgdorferi sensu lato by game birds and small rodents in England. Applied and Environmental Microbiology1998; 64 (4): 1169-1174 Ogden, N.H., Nuttall, P.A. and Randolph, S.E. (1997) Natural Lyme disease cycles maintained via sheep by co-feeding ticks. Parasitology 115, 533-599 Lorvich, S.D. et al. (1994) Seroprotective groups of Lyme borreliosis spirochaetes from North America and Europe. J. Infect. Dis. 170, 115-121 Levy, S.A. and Magnarelli, L.A. (1992) Relationship between development of antibodies to Borrelia burgdorferi in dogs and the subsequent development of limb/joint borreliosis. J. Am. Vet. Med. Assoc. 200, 344-347 Straubinger, R.K. et al. (1997) Borrelia burgdorferi migrates into joint capsules and causes up-regulation of interleukin-8 in synovial membranes of dogs experimentally infected with ticks. Infect. Immun. 65, 1273-1285 Straubinger, R.K. et al. (1997) Persistence of Borrelia burgdorferi in experimentally infected dogs after antibiotic treatment. J. Clin. Microiol. 35, 111-116 Leutenegger, C.M. et al. (1999) Molecular evidence of coinfection of ticks with Borrelia burgdorferi and the human granulocytic ehrlichiosis agent in Switzerland. J. Clin. Microbiol. 37, 3390-3391


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

273

Piroplasmi recentemente individuati come patogeni nel cane e nel gatto Susan E. Shaw BVSc (Hons), MSc, MRCVS, Dipl ACVIM, Dipl ECVIM, FACVSc, Cert Arts (Arch), Università di Bristol, Regno Unito

Estratto breve La Babesiosi è causata da protozoi parassiti del genere Babesia che vengono trasmessi da zecche ixodidi il cui genere e specie variano in funzione della localizzazione geografica. I due grandi gruppi che infestano il cane sono B. canis e B. gibsoni, che erano tradizionalmente differenziati in gran parte sulla base delle loro dimensioni all’interno degli eritrociti parassitati. Quelli della specie B. canis sono microrganismi più grandi (2 x 5 µ) che si riscontrano singolarmente o appaiati negli eritrociti, mentre a B. gibsoni appartengono le “piccole” babesie (1 x 3 µ), che di solito si presentano singolarmente negli eritrociti parassitati. Le due specie sono nettamente distinte sulla base di caratteristiche molecolari. B. gibsoni è un agente altamente patogeno e viene trasmesso da R. sanguineus, Haemaphysalis bispinosa ed Haemaphysalis longicornis. Babesia gibsoni è tradizionalmente distribuita in tutta l’Asia meridionale, ma ne è stata segnalata l’estensione all’Asia occidentale ed all’Africa settentrionale. Casi di infestazione sono stati descritti per la prima volta negli USA negli anni ‘80 ed oggi è stato dimostrato che ceppi isolati in Oklahoma ed in North Carolina presentano un’identità genetica del 100% con quelli asiatici. È stato ipotizzato che B. gibsoni sia stata introdotta nella popolazione canina degli USA da cani infestati di ritorno dal sud est asiatico. Un ulteriore aspetto interessante dell’infestazione da B. gibsoni è dato dal fatto che negli USA e più recentemente in Australia è stata descritta una predisposizione del pit bull terrier, dello Staffordshire bullterrier e dei loro incroci. Sono possibili importazioni illegali di cani da combattimento e/o trasmissioni transplacentari. La difficoltà diagnostica e la persistenza dell’infestazione rendono possibile anche la diffusione attraverso trasfusioni di sangue. Gli studi molecolari hanno portato all’identificazione di altre piccole babesie patogene nel cane. Un ulteriore ceppo responsabile di malattia negli animali di questa specie in California è nettamente distinto dal gruppo delle babesie e sembra più strettamente correlato a Theileria spp. In Europa, infestazioni da piccole babesie nel cane sono state segnalate nella Spagna nord occidentale. Questo microrganismo è distinto da B. canis e B. gibsoni ed è più strettamente correlato a B. microti. Anche se la sindrome prodotta è simile a quella di Babesia gibsoni, la sua epidemiologia è probabilmente differente. Il vettore è sconosciuto, sebbene sia stato ipotizzato che, analogamente a B. microti, il microrganismo venga trasmesso da zecche del genere Ixodes. Il potenziale zoonosico dell’infestazione deve ancora essere determinato. Babesia microti, che risulta strettamente correlata al parassita in esame (99% di identità genetica) è ben adattata ai roditori, ma causa gravi malattie nell’uomo negli USA. La più comune presentazione clinica della babesiosi da B. gibsoni è un’anemia emolitica ad insorgenza acuta che risulta in-

distinguibile dall’infestazione da B. canis canis. Tuttavia, la patogenesi è più complessa e può coinvolgere il danno parassitario degli eritrociti, le alterazioni metaboliche delle membrane eritrocitarie e la fragilità osmotica, l’eritrofagocitosi anticorpomediata e gli anticorpi antipiastrinici. I segni clinici sono rappresentati da ematuria, pallore delle mucose, splenomegalia, linfoadenomegalia, anoressia, vomito, piressia e letargia. Inoltre, si ha l’induzione di anticorpi antipiastrinici che esitano in trombocitopenia. L’infestazione persistente è un problema primario nella parassitosi da Babesia gibsoni e sono comuni forme croniche di malattia caratterizzate da ripetuti episodi caratterizzati da quadri febbrili ed emolisi. Le sequele immunologiche a lungo termine sono il prezzo biologico delle infestazioni di lieve entità. La più comune coinfezione è quella da Ehrlichia canis. La prima linea di test diagnostici è rappresentata dalle indagini ematologiche, che possono rivelare anemia rigenerativa, trombocitopenia e leucocitosi. I campioni di sangue possono andare incontro ad autoagglutinazione in soluzione fisiologica e, fino all’85% dei cani esaminati può essere Coombs-positivo. Il profilo biochimico generalmente non evidenzia anomalie rilevanti, ma si può riscontrare iperglobulinemia, in particolare nei cani con coinfezione da Ehrlichia. È possibile osservare bilirubinuria, emoglobinuria o proteinuria. L’esame di uno striscio di sangue può consentire l’identificazione di Babesia, ma la parassitemia è spesso bassa. Si può disporre di test sierologici basati sull’immunofluorescenza indiretta (IFA) o, meno comunemente, sul metodo ELISA, ma generalmente queste prove non sono in grado di distinguere fra B. canis e B. gibsoni a causa della reattività antigenica crociata. Inoltre, gli anticorpi anti-B. gibsoni possono dare origine a reazioni crociate con Toxoplasma e Neospora. Recentemente è stato prodotto un antigene ricombinante di B. gibsoni. L’identificazione del DNA microbico mediante PCR su un campione di sangue con EDTA è altamente sensibile e può caratterizzare le specie di Babesia oltre a caratterizzare le coinfezioni. Il trattamento d’elezione per Babesia canis (imidocarb dipropionato) non è altrettanto efficace nei confronti di B. gibsoni. Secondo quanto segnalato, altri farmaci efficaci nei confronti di quest’ultima sono il diminazene aceturato, la pentamidina isetionato e la fenamidina isetionato. Può essere necessaria una terapia di supporto e, per quanto controversa, nella maggior parte dei casi quella utilizzata è rappresentata da un breve ciclo di glucocorticoidi per contrastare la componente immunomediata della malattia. Il controllo si fonda principalmente sulla lotta alle zecche vettrici; non esiste alcun vaccino disponibile per le infestazioni da piccole babesie.

Bibliografia Kjemtrup, AM; Kocan, AA; Whitworth, L et al. There are at least three genetically distinct small piroplasms from dogs. Int J Parasitol. 2000; 30: 1501-1505.


274

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

La leishmaniosi come una zoonosi globale Susan E. Shaw BVSc (Hons), MSc, MRCVS, Dipl ACVIM, Dipl ECVIM, FACVSc, Cert Arts (Arch), Università di Bristol, Regno Unito

Estratto breve La leishmaniosi è un’importante malattia del cane, endemica nelle aree mediterranee dell’Europa, nel Medio Oriente ed in molte zone tropicali e subtropicali del mondo. In Europa, l’agente eziologico della leishmaniosi canina è un protozoo parassita intracellulare, Leishmania infantum, che viene trasmesso da un flebotomo (Phlebotomus spp.). A differenza di quanto avviene nel cane, nel gatto domestico l’infestazione naturale e la malattia clinica causata da Leishmania spp. sembrano essere rare. I problemi di salute pubblica relativi all’infestazione da Leishmania sono ben noti. La malattia è una delle prime dieci nella scala di attenzione dell’OIE e si va diffondendo rapidamente, spesso in associazione con l’infezione da HIV, nell’Africa sud sahariana ed in sud America. La leishmaniosi viscerale è caratterizzata da perdita di peso cronica, linfoadenomegalia, splenomegalia e manifestazioni cutanee e se non viene trattata risulta fatale. I soggetti maggiormente a rischio sono i bambini e gli immunodepressi. Nelle aree endemiche, i cani vengono esposti quasi immediatamente. Alcuni sviluppano un’immunità protettiva, altri restano colpiti in forma subclinica e possono andare in seguito incontro a recidive, mentre altri ancora presentano la classica sindrome clinica in giovane età. Il parassita stimola una risposta iperattiva ed inefficace delle cellule B e contemporaneamente sopprime l’attivazione dei macrofagi, il che consente la diffusione dei parassiti stessi a dispetto di un’imponente produzione di immunoglobuline ed immunocomplessi. Nella leishmaniosi canina, sono comuni perdita di peso e linfoadenomegalia generalizzata. Le manifestazioni sistemiche riflettono un diffuso danneggiamento organico da immunocomplessi con anemia, zoppia da poliartrite immunomediata, panoftalmite e nefropatia proteinodisperdente. Le manifestazioni cutanee sono rappresentate da dermatite esfoliativa, dermatite ulcerativa e nodulare, alopecia perioculare, ipercheratosi dei cuscinetti plantari ed onicodistrofia. Si può osservare un’ipergammaglobulinemia con gammopatia mono- o biclonale. Nella aree endemiche è comune una concomitante erlichiosi. Il quadro clinico nel gatto è simile a quello descritto nel cane, anche se il numero limitato di casi rende difficile da interpretare l’associazione fra infestazione e segni clinici. La malattia cutanea sembra essere più comune, benché sia stata segnalata una leishmaniosi disse-

minata. Nel gatto, l’infestazione asintomatica può essere più comune di quanto non si credesse in precedenza. La diagnosi si basa sulla dimostrazione del parassita negli aspirati linfonodali e midollari colorati con le tecniche di Giemsa o di Leishman, in associazione con i tipici segni clinici. I parassiti si possono trovare anche in campioni bioptici cutanei colorati con i metodi Giemsa o Leishman ed il ricorso alle tecniche immunoistochimiche aumenta la sensibilità. I test sierologici mediante immunofluorescenza indiretta, ELISA, dot-ELISA ed agglutinazione confortano una diagnosi di malattia nelle aree non endemiche. A causa della relativa lunghezza del periodo di incubazione, i casi clinicamente manifesti sono probabilmente anticorpo-positivi. Sono disponibili test di ricerca della leishmaniosi mediante PCR. Su campioni di sangue periferico, questi hanno una sensibilità del 60-70%, che sale al 100% nei campioni midollari. Il potenziale zoonosico di questa malattia è basso, ma deve sempre essere tenuto presente, in particolare se nel nucleo familiare vive un soggetto immunocompromesso. Prima di iniziare la terapia, è necessario valutare completamente l’entità della malattia sistemica. Per ogni apparato colpito si deve attuare un appropriato trattamento di supporto. La base della terapia è la somministrazione di un farmaco antimoniale pentavalente in associazione con l’allopurinolo. Il farmaco antimoniale più comunemente utilizzato nel cane in Europa è il meglumine antimoniato. Il trattamento con allopurinolo viene continuato a lungo termine per mantenere la remissione. Il farmaco è poco costoso e non sono stati segnalati effetti collaterali riferibili a somministrazioni prolungate. Può essere necessario trattare l’erlichiosi concomitante. La prognosi dipende in definitiva dalla gravità della disfunzione organica al momento della diagnosi. Se il cane è candidato alla terapia, la prognosi relativa alla guarigione è riservata, anche se quella per il controllo dell’espressione clinica della malattia è buono. Non esistono agenti terapeutici registrati per il trattamento della leishmaniosi nel gatto. Attualmente non è disponibile alcun vaccino, ma per il suo sviluppo si stanno compiendo considerevoli sforzi. Nel cane, è possibile ridurre il numero dei flebotomi utilizzando un collare alla deltametrina e ricoverando gli animali in casa durante il periodo notturno. Tuttavia, l’efficacia di quest’ultimo metodo di controllo dipende dalle specie di flebotomi presenti nell’area. Alcune si sono adattate a mordere durante il giorno.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Estratto completo Leishmaniosis is an important disease of dogs, which is endemic in the Mediterranean areas of Europe, the Middle East and many tropical and subtropical areas of the world. In Europe, the aetiological agent of canine leishmaniosis is an intracellular protozoan parasite, Leishmania infantum which is transmitted by the sand fly (Phlebotomus spp). In contrast to dogs, natural infection and clinical disease in domestic cats caused by Leishmania species appear to be rare. Whether the low prevalence of infection/disease in endemic areas is due to under-reporting or to the fact that cats have a high degree of natural resistance is unknown. The public health issues surrounding Leishmania infection are well recognised. It is in the top 10 diseases of concern to the OIE and is spreading rapidly often in association with HIV infection, in sub-Saharan Africa and South America. Visceral leishmaniasis is characterised by chronic weight loss, lymphadenomegaly, splenomegaly and cutaneous disease which is fatal if untreated. Children and immunosuppressed individuals are at most risk. Further warning should be taken from the recent emergence of canine leishmaniosis in the eastern states of the USA in the absence of the traditional biological vector. Alternative vectors have been incriminated but the concentration of infection within the English Foxhound over such a wide geographic area suggests other factors may be involved and vertical transmission has been suggested. Transmission through blood transfusions has also been confirmed in the USA outbreak. In human drug users, an alternative cycle of transmission has been established where syringes have replaced the necessity for arthropods. In addition, concurrent immunosuppression often from HIV, facilitates transmission and has driven the evolution of specific strains of L. infantum in this population. Finally, the role of alternative reservoirs needs to be evaluated. Of interest is the recent work from Italy, which suggests a very high prevalence of asymptomatic infection in stray cats. It has been shown that cats experimentally infected with L. chagasi and L. donovani appear to be resistant. However, cases of systemic clinical disease and asymptomatic infection due to L. infantum and other species are reported and wild cats have been incriminated as reservoirs for leishmaniosis in endemic Mediterranean countries. Feline leishmaniosis is presumed to be sandfly-transmitted, however, the vector is unknown and the epidemiology of the disease in cats has not been investigated in detail

Clinical signs in dogs In endemic areas, dogs become exposed almost immediately. Some will develop protective immunity, some remain sub-clinically affected and may relapse later and others develop the classic clinical syndrome at a young age. The parasite stimulates an overactive and ineffective B cell response at the same time as suppressing macrophage activation, which allows spread of the parasites in the face of massive production of immunoglobulins and immune com-

275

plexes. Both Leishmania specific and non-specific antibodies including autoantibodies are produced. The disease has a waxing and waning course. There is a history of non-specific lethargy, polydipsia, anorexia, and fever. Weight loss and generalised lymphadenomegaly are common. Systemic signs reflect widespread immune-complex mediated organ damage. Anaemia is common and is often Coombs’ positive. Shifting lameness due to immune mediated polyarthritis, panophthalmitis and protein-losing nephropathy are common. Cutaneous signs are of major importance in this disease and include exfoliative dermatitis producing a characteristic silvery scale which is prominent on the dorsum of the nose, periocular region and pinnae, periocular alopecia, hyperkeratosis of the foot-pads and excessive growth of claws. Ulcerative and nodular dermatitis may occur secondary to vasculitis and granulomatous inflammation. A remarkable clinico-pathological finding is markedly high globulin levels. The increase is due to massive gammaglobulin production and a monoclonal or biclonal gammopathy may be seen. Affected dogs are often ANA positive. Concurrent ehrlichiosis is common in endemic areas and care should be taken to eliminate co-infection particularly in dogs which have bleeding tendencies

Clinical signs in cats The pathogenesis of the disease in cats has not been investigated. The clinical presentation is similar to that seen in dogs although the small number of cases makes the association of infection and clinical signs difficult to interpret. Cutaneous lesions include diffuse areas of alopecia and granulomatous dermatitis of the head, scaling and pinnal dermatitis, ulceration and nodules. Systemic involvement with L. infantum has been reported in association with jaundice, vomiting, hepatomegaly, splenomegaly, lymphadenomegaly, membranous glomerulonephritis and granulomatous gastroenteritis. Co-infection with other arthropod-borne agents remains to be investigated but in the small number of cases tested, co-infection with the immunosuppressive viruses (FIV or FeLV) has not been confirmed despite the strong association with human leishmaniosis and HIV infection.

DIAGNOSIS The same procedures can be applied to the dog and the cat. Diagnosis is based on demonstration of the parasite in Giemsa or Leishman’s stained lymph node and bone marrow aspirates in association with typical clinical signs. Parasites may also be found in Giemsa or Leishman’s stained skin biopsy samples and the use of immunohistochemistry increases sensitivity. Serology using IFAT, ELISA, dot-ELISA and agglutination tests supports a diagnosis of disease in non-endemic areas. Because of the relatively long disease incubation period, clinical cases are likely to be antibody positive. PCR testing for leishmaniosis are available. On peripheral blood samples they have 60-70% sensitivity which rises to 100% on bone marrow samples. They are specific, distinguish between infection and exposure, and will identify infection early in its progression.


276

TREATMENT AND PREVENTION The zoonotic potential of this disease is low but should always be considered particularly if there is an immunocompromised individual in the household. Prior to therapy, the extent of systemic disease should be fully evaluated. Appropriate supportive treatment must be given for each organ system affected. The basis of treatment is a pentavalent antimonial drug in combination with allopurinol. (Summary Table). The antimonial drug, which is most commonly used in dogs in Europe, is meglumine antimonate. If this drug is used alone, clinical relapse is common and multiple courses are required to maintain remission. This problem has been greatly improved by the concurrent use of daily allopurinol during induction therapy and its continued use after the antimonial therapy has finished. Allopurinol treatment is continued on a long-term basis to maintain remission. Allopurinol has also been used “prophylactically” in young dogs, which have been exposed. In this situation it may prevent the onset of clinical leishmaniosis. The drug is inexpensive and side effects with long term therapy have not been reported. Concurrent treatment for ehrlichiosis may be necessary as co-infection is common in Italy, southern France and the Iberian Peninsula. The prognosis is ultimately dependent on the severity of organ dysfunction at the time of diagnosis. If the dog is a treatment candidate, the prognosis for cure is guarded although the prognosis for control of the clinical expression of disease is good. Vaccination is not available for leishmaniosis. There are no therapeutic agents licensed for leishmaniosis in cats although there is a single report of successful treatment of one cat with cutaneous disease using meglumine antimonate.

Prevention There is no vaccine currently available although there is considerable effort being expended in its development. In dogs, the number of sandfly bites may be reduced by using the deltamethrin collar (Scalibor) and animals should be housed during the dusk period. However, the efficacy of the latter control method is dependent on the species of Phlebotomine sandfly present in the area. Some have adapted to bite during the day.

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Bibliografia Baneth G. and Shaw SE. Chemotherapy of canine leishmaniasis. Veterinary Parasitology, 2002. 106 (4) 315-324. Hervas J, Chacon-M De Lara F, Sanchez-Isarria MA et al (1999). Two cases of feline visceral and cutaneous leishmaniasis in Spain. Journal of Feline Medicine and Surgery 1, 101-105 Ozon C, Marty P, Pratlong F et al (1998). Disseminated feline leishmaniasis due to L. infantum in southern France. Veterinary Parasitology 75, 273-277 Ferrer, L., Aisa, M. J., Roura, X., and Portus, M. (1995). Serological diagnosis and treatment of canine leishmaniasis. Veterinary Record 136, 514-516.. Ciaramella P, Oliva G, Luna R de, Gradoni L, Ambrosio R, Cortese L, Scalone A, Persechino A, and De Luna R. A retrospective clinical study of canine leishmaniasis in 150 dogs naturally infected by Leishmania infantum. Veterinary-Record 141(21), 539-543; 49 ref. 97. Solano-Gallego, L., Llull, J., Ramos, G., Riera, C., Arboix, M., Alberola, J., and Ferrer, L. (2000). The Ibizian hound presents a predominantly cellular immune response against natural Leishmania infection. Veterinary-Parasitology 90, 37-45. Bourdoiseau G, Marchal T, and Magnol JP. Immunohistochemical detection of Leishmania infantum in formalin-fixed, paraffin-embedded sections of canine skin and lymph nodes. Journal-of-Veterinary-Diagnostic-Investigation 9(4), 439-440 Koutinas, A. F., Polizopoulou, Z. S., Saridomichelakis, M. N., Argyriadis, D., Fytianou, A., and Plevraki, K. G. (1999). Clinical considerations on canine visceral leishmaniasis in Greece: a retrospective study of 158 cases (1989-1996). J Am Anim Hosp Assoc 35, 376-83. Berrahal, F., Mary, C., Roze, M., Berenger, A., Escoffier, K., Lamouroux, D., and Dunan, S. (1996). Canine Leishmaniasis: Identification of Asymptomatic Carriers by Polymerase Chain Reaction and Immunoblotting. Am. J. Trop. Med. Hyg. 55, 273-277. Koutinas AF, Scott DW, Kantos V, and Lekkas S. Skin lesions in canine leishmaniasis (Kala-azar): a clinical and histopathological study on 22 spontaneous cases in Greece. VeterinaryDermatology 3(3), 121-130 Reale S, Maxia L, Vitale F, Glorioso NS, Caracappa S, and Vesco G. Detection of Leishmania infantum in dogs by PCR with lymph node aspirates and blood. J. Clin.-Micro 37(9), 2931-2935 Roura X, Sanchez A, and Ferrer L. Diagnosis of canine leishmaniasis by a polymerase chain reaction technique. VeterinaryRecord 144(10), 262-264 Hervas J, Chacon-M De Lara F, Sanchez-Isarria MA et al (1999). Two cases of feline visceral and cutaneous leishmaniasis in Spain. Journal of Feline Medicine and Surgery 1, 101-105 Ozon C, Marty P, Pratlong F et al (1998). Disseminated feline leishmaniasis due to L. infantum in southern France. Veterinary Parasitology 75, 273-277 Passos VMA, Lasma EB, Gontijo CMF et al (1996). Natural infection of a domestic cats (Felis domesticus) with Leishmania (Viannia) in the metropolitan region of Belo Horizonte, State of Minas Cerais, Brazil. Memorias do Instituto Oswaldo Cruz 91, 19-20


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

277

Fisiopatologia dell’insufficienza mitralica nel cane David Sisson DVM, Dipl ACVIM-Cardiology - Università dell’Illinois, Urbana, Illinois, USA

Estratto breve Anatomia funzionale. Come unità funzionale, l’apparato della valvola mitralica è costituito dalle seguenti sei strutture: lembi valvolari, anello fibroso, corde tendinee, muscoli papillari, atrio sinistro (specialmente la parete posteriore) e muscolatura del ventricolo sinistro. Le alterazioni della struttura o della funzione di uno qualsiasi di queste componenti possono esitare nell’incompetenza della valvola, cioè nel rigurgito mitralico. La valvola atrioventricolare destra può essere descritta in modo analogo. Istologicamente, il tipico lembo valvolare è costituito da quattro strati: (1) l’endocardio atriale, (2) la spongiosa, una struttura lassa composta da collagene, fibre elastiche ed alcuni fibroblasti in una matrice mucopolisaccaridica, (3) la fibrosa, costituita da collagene denso ed organizzato e (4) l’endocardio ventricolare. Corde tendinee collagene di primo, secondo e terzo ordine si dipartono, rispettivamente, dalle estremità, dalla regione intermedia e dalla base della valvola e si fissano al muscolo papillare ventrale (anteriore) o dorsale (posteriore). Patogenesi. Il rigurgito mitralico si sviluppa nella maggior parte dei casi nei cani con degenerazione mixomatose dei lembi valvolari e delle corde tendinee. L’aumento della prevalenza della malattia in certe razze suggerisce una degenerazione su base genetica del tessuto connettivo. Le caratteristiche più evidenti della valvulopatia cronica nel cane si riscontrano a livello di spongiosa e fibrosa. L’ispessimento della spongiosa è dovuto all’accumulo di mucopolisaccaridi acidi, acido ialuronico e condroitinsolfato. La proliferazione fibroblastica esita in vortici e noduli all’interno della matrice polisaccaridica. Nella fibrosa, i fascetti di collagene si rigonfiano, ialinizzano, degenerano e disintegrano. Il contenuto totale di collagene della valvola non viene aumentato ed il miglior modo per definire il processo è descriverlo come una degenerazione o trasformazione mixomatosa. È presente una simultanea dissoluzione delle fibre elastiche della valvola. Le lesioni macroscopiche diventano progressivamente più gravi col tempo. Gli eventi si sviluppano con il seguente ordine. A livello del margine di apposizione della linea di chiusura valvolare compaiono piccoli noduli isolati. A questo punto, la valvola è funzionalmente competente. In seguito, questi noduli si ingrossano e le lesioni adiacenti tendono a confluire. Nelle parti distali della cuspide valvolare (l’apice) si osservano aree irregolari di opacità. L’ulteriore con-

fluenza dei noduli esita in deformazioni simili a placche nell’area di contatto valvolare. Queste lesioni tendono a fare procidenza verso l’alto sulla superficie atriale della valvola. Nel corpo di quest’ultima si possono osservare calcificazioni ed emorragie. Le corde tendinee iniziano ad ispessirsi, in particolare in prossimità degli apici della valvola (corde di primo ordine). Con il progredire della malattia, le corde tendinee possono essere stirate o lacerate. La valvola risulta ora funzionalmente incompetente. Infine, le valvole sviluppano una distorsione macroscopica dovuta alla presenza di noduli e placche di colore bianco grigiastro che tendono a confluire. I margini valvolari sono contratti ed appaiono arrotolati. Le corde tendinee sono ispessite, irregolari ed infine vanno incontro a rottura. L’anello valvolare è ingrossato e possono comparire delle jet-lesions a livello di atrio sinistro. Sono colpite anche altre strutture che costituiscono l’apparato della valvola mitrale. Secondariamente alla dilatazione atriale e ventricolare si ha quella dell’anello fibroso, che può contribuire alla gravità del rigurgito. L’atrio sinistro si dilata via via che la pressione al suo interno ed il volume aumentano. Il lembo posteriore della valvola mitrale viene spostato dorsalmente e caudalmente quando l’atrio si ingrossa, accentuando la gravità del rigurgito. Si possono avere jet-lesions, degenerazione miocardica atriale, lacerazioni atriali e rottura, in particolare nella parete posteriore dell’atrio sinistro. L’incompetenza cronica della valvola mitrale ed il sovraccarico volumetrico ad essa associato esitano in un’ipertrofia eccentrica del ventricolo sinistro. Istologicamente, si possono osservare arteriosclerosi coronarica dei piccoli vasi intraparietali unitamente ad aree focali di necrosi miocardica. La rottura delle corde tendinee di prim’ordine, in particolare del lembo settale, esita nell’eversione del lembo stesso nell’atrio, con grave insufficienza mitralica e probabile insorgenza di rapido scompenso e grave edema polmonare acuto. Alterazioni emodinamiche. Il volume del flusso mitralico rigurgitante dipende dalle dimensioni dell’ostio rigurgitante, dal gradiente pressorio tra ventricolo ed atrio di sinistra e dalla durata della sistole. L’equazione idraulica di Gorlins indica che il fattore più importante per determinare il volume rigurgitante è la dimensione dell’ostio. Quest’ultima, a sua volta, dipende dalla gravità delle alterazioni mixomatose nella valvola e dal grado di dilatazione e distorsione dell’anello derivante dall’ingrossamento dell’atrio e del ventricolo di sinistra. Si instaura un circolo vizioso per cui il rigurgito mitrale esita in dila-


278

tazione ventricolare che successivamente accentua ulteriormente il rigurgito stesso. Quando la pressione nell’atrio sinistro aumenta a sufficienza, si sviluppa una congestione polmonare accompagnata dai segni abituali dell’insufficienza cardiaca congestizia sinistra. La pressione media nell’atrio sinistro dipende da (1) volume del flusso rigurgitante, (2) gittata del cuore destro, (3) pressione diastolica del ventricolo sinistro e (4) compliance dell’atrio sinistro. Le probabilità di sviluppo di una grave congestione polmonare sono maggiori quando la compliance dell’atrio sinistro è bassa e l’orifizio rigurgitante è grande, come avviene quando un paziente che in precedenza era colpito da una forma compensata della malattia va incontro ad una rottura improvvisa di una corda tendinea. Quando si sviluppa un grave rigurgito mitralico nell’arco di un lungo periodo di tempo, la camera dell’atrio sinistro dilatata presenta una maggiore compliance, tamponando l’aumento pressorio nell’atrio man mano che sviluppa una compensazione finalizzata ad assicurare un adeguato volume di riempimento ventricolare. Come conseguenza, la pressione nell’atrio sinistro può essere solo leggermente elevata anche in presenza di imponenti volumi rigurgitati. La pressione nell’atrio sinistro dipende anche dalla contrattilità miocardica e dalla compliance del ventricolo dello stesso lato. Quando la contrattilità diminuisce nei pazienti con CDVD, come avviene invariabilmente, di solito sono già evidenti i segni della congestione polmonare. La riduzione della contrattilità miocardica è in genere maggiormente rilevabile nei cani delle razze di grossa taglia, come il pastore tedesco, piuttosto che in quelli di mole minore. Inoltre, il rendimento cardiaco nei cani con rigurgito mitralico dipende in misura estrema dal precarico ottimizzato assicurato da uno “riempimento atriale” al momento appropriato. Durante il rigurgito mitralico cronico, l’atrio sinistro aumenta di dimensioni e di massa man mano che si sviluppa una più potente azione di richiamo. La perdita di questa aumentata azione di pompa di richiamo può essere catastrofica nei cani con grave rigurgito mitrale. Negli animali di questa specie con grave rigurgito mitrale la fibrillazione atriale è di solito annunciata da un improvviso scompenso cardiaco e dallo sviluppo di congestione polmonare e segni di bassa gittata cardiaca. Il mantenimento del ritmo sinusale è una delle principali priorità nel trattamento dei cani con rigurgito mitralico. Risposte neurormonali. La più precoce risposta neuroendocrina misurabile al rigurgito mitralico in via di sviluppo è l’innalzamento del peptide natriuretico atriale (ANP). Le concentrazioni del peptide natriuretico cerebrale (BNP, brain natriuretic peptide) tendono ad aumentare un po’ più tardi durante i primi stadi dell’insufficienza cardiaca scompensata. L’insufficienza cardiaca moderata o grave nei cani con rigurgito mitralico sperimentalmente indotto o ad insorgenza spontanea è accompagnata da un incremento dell’attività del sistema nervoso simpatico e dall’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone (R-A-A). Il trattamento con diuretici, avviato per alleviare la congestione polmonare, intensifica ulteriormente l’attività di questo sistema. È importante riconoscere

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

che l’attivazione del RAAS non è pronunciata nei primi stadi di questo disordine. Viene sostanzialmente innescata nel momento in cui si sviluppa l’insufficienza cardiaca congestizia ed è fortemente attivata in seguito all’avvio della terapia con diuretici. È anche importante riconoscere che l’incremento delle concentrazioni di aldosterone nei cani con insufficienza cardiaca non è semplicemente dovuto al meccanismo di renina ed angiotensina. Esistono anche altri stimoli importanti. Nei cani con grave rigurgito mitralico cronico sono presenti elevate concentrazioni di endotelina, nonché alti livelli di arginina vasopressina circolante. Entrambe queste sostanze agiscono di concerto con la noradrenalina e l’angiotensina-2 per aumentare il postcarico e ridurre la capacitanza venosa. Come conseguenza dei meccanismi renali, dell’aumento dei livelli di aldosterone circolanti, dell’incremento della sete e della ridotta capacità di risposta renale ad ANP e BNP si ha una ritenzione di sodio ed acqua. In una fase successiva del decorso dell’insufficienza cardiaca, l’arginina vasopressina provoca la ritenzione di acqua senza sodio, un problema particolarmente difficile da trattare clinicamente. Sequele e complicazioni. La maggior parte dei primi segni del rigurgito mitrale deriva da congestione polmonare e di norma i proprietari portano alla visita il loro cane perché hanno rilevato un certo grado di difficoltà respiratoria. La tosse è una manifestazione comune, ma aspecifica dell’insufficienza cardiaca in via di sviluppo nel cane. Molti cani anziani appartenenti a razze di piccola taglia tossiscono a causa di una bronchite cronica o di un collasso tracheale. Quando è dovuta all’insufficienza cardiaca, la tosse è solitamente accompagnata da un aumento della frequenza respiratoria (tachipnea) e dello sforzo respiratorio (dispnea). Tuttavia, si può avere la tosse senza dispnea in seguito alla compressione del bronco principale sinistro da parte di un atrio sinistro ingrossato. Alcuni cani con CDVD sviluppano segni di insufficienza cardiaca destra dovuta a degenerazione mixomatosa della valvola tricuspide, come conseguenza di ipertensione polmonare o un’associazione di questi disordini. Una grave ipertensione polmonare si ha in una ristretta minoranza di pazienti con rigurgito mitralico cronico e la maggior parte di questi cani mostra i segni di una grave pneumopatia sottostante. In rare occasioni, si sviluppano le manifestazioni dell’insufficienza cardiaca destra, dovuta ad un tamponamento cardiaco causato da una lacerazione dell’atrio sinistro. Indipendentemente dalla causa sottostante, lo sviluppo della distensione addominale e dell’ascite è solitamente accompagnato da segni di insufficienza cardiaca con bassa gittata e da un declino della gravità della congestione polmonare. Debolezza muscolare generalizzata e progressiva intolleranza all’esercizio fisico si rendono evidenti quando la gittata anterograda viene compromessa da grave rigurgito valvolare, ipertensione polmonare e/o declino della contrattilità miocardica. La sincope tende a comparire primariamente quando la gittata cardiaca diminuisce in modo precipitoso. Si tratta di una manifestazione poco comune nei cani con CDVD e di solito è associata ad una grave aritmia cardiaca o a parossismi di tosse.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

La rottura delle corde tendinee di prim’ordine, ed in particolare del lembo settale, esita nell’eversione del lembo valvolare nell’atrio, con grave insufficienza mitralica e probabilità di rapido scompenso e grave edema polmonare acuto. I segni clinici sono quelli dell’insufficienza cardiaca sinistra acuta e dell’imponente edema polmonare. Il trattamento è spesso difficile ed infruttuoso e la condizione viene dimostrata attraverso l’esame necroscopico. Il piano terapeutico deve comprendere una terapia energica con un vasodilatatore endovenoso, come il nitroprussiato, diuretici ed ossigeno. La fessurazione endocardica della parete dell’atrio sinistro può complicare l’insufficienza mitrale cronica, in particolare nei cani anziani (da 8 a 15 anni), ma-

279

schi (86%) di razza bassotto e cocker spaniel. Nella maggior parte dei casi, la perforazione della fenditura miocardica determina un emopericardio o, più raramente, la formazione di difetti del setto interatriale. L’improvviso sviluppo di tamponamento cardiaco o di segni di insufficienza cardiaca destra in un paziente in precedenza compensato deve far sospettare al clinico accorto questa possibilità. La fibrillazione atriale è poco comune, ma costituisce emodinamicamente uno dei più gravi disturbi del ritmo osservati. Come conseguenza della perdita del trasporto atriale, i segni clinici di solito vanno incontro ad un drastico peggioramento con l’insorgenza di questo disturbo del ritmo. La morte di solito sopravviene entro 6 mesi.


280

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Aggiornamenti sulla terapia medica e chirurgica dell’insufficienza mitralica nel cane David Sisson DVM, Dipl ACVIM-Cardiology - Università dell’Illinois, Urbana, Illinois, USA

Estratto completo Diuretici, vasodilatatori, inibitori dell’enzima angiotensina-convertente e farmaci inotropi positivi hanno tutti dimostrato la capacità di diminuire la gravità del rigurgito mitralico in determinate condizioni. I meriti relativi di questi specifici agenti variano con le circostanze cliniche di ciascun paziente. Tutti i suggerimenti terapeutici vanno basati su una completa valutazione cardiovascolare per identificare gli specifici fabbisogni di ciascun cane. In tutti i pazienti con insufficienza cardiaca è necessario condurre un esame clinico meticoloso. Molti cani con segni ricorrenti di insufficienza cardiaca congestizia presentano un disordine sistemico identificabile che scatena lo scompenso dell’insufficienza stessa. Esempi rilevanti di questo tipo sono rappresentati da ipertensione sistemica, infiammazione sistemica, neoplasia, ipotiroidismo, anemia, polmonite, iperadrenocorticismo, tromboembolismo polmonare ed insufficienza renale. I segni dell’insufficienza cardiaca congestizia sono spesso alleviati quando questi disordini complicanti vengono identificati e risolti o sottoposti ad un efficace trattamento palliativo. In questo senso, è sempre consigliabile misurare la pressione sanguigna, effettuare il conteggio degli eritrociti e dei leucociti, determinare i livelli degli elettroliti sierici e dei parametri di routine del profilo biochimico ed effettuare i test per l’identificazione di ogni sospetta malattia endocrina. Si devono esaminare le radiografie del torace alla ricerca di segni di affezioni della vascolarizzazione o del parenchima polmonare. Spesso è utile determinare se tutti farmaci in uso al momento sono prescritti alle dosi appropriate e se vengono somministrati di routine secondo le indicazioni impartite. È anche importante stabilire che la dieta sia adeguatamente povera di sodio. Una semplice analisi dell’urina contribuisce a determinare se il proprietario rispetta le restrizioni dietetiche e le somministrazioni di diuretici prescritte. La misurazione delle concentrazioni plasmatiche di certi farmaci somministrati, come ad es. la digossina ed alcuni antiaritmici, può confermare tale collaborazione ed escludere al tempo stesso la possibilità di un’intossicazione da farmaci. È necessario identificare i disordini protratti e parossistici del ritmo cardiaco, perché spesso scatenano manifestazioni congestizie o da bassa gittata. Il trattamento appropriato dell’aritmia è spesso sufficiente ad alleviare i segni dell’insufficienza cardiaca. La fibrillazione atriale, la più comune causa aritmica di scompenso improvviso nei cani con insufficienza cardiaca cronica, di solito risulta evidente alla visita, ma molto problematica da trattare in modo efficace.

Insufficienza cardiaca acuta. L’insufficienza cardiaca sinistra acuta è un quadro comune nei cani con rigurgito mitralico, dal momento che la maggior parte dei proprietari non è particolarmente attenta ai primi segni di scompenso cardiaco. Inoltre, anche il repentino deterioramento dei cani precedentemente trattati per un’insufficienza cardiaca cronica è un evento comune, dato che la scarsa collaborazione da parte del proprietario nel somministrare i trattamenti prescritti esita spesso nella ricomparsa dell’insufficienza cardiaca sinistra acuta. Fibrillazione atriale di nuova insorgenza e rottura delle corde tendinee sono altre comuni sequele che complicano il decorso della cardiopatia acquisita nel cane. Talvolta, l’evento scatenante è semplicemente l’eccesso di sforzo o di stress o di ansia causato da alcune modificazioni ambientali. Indipendentemente dalla causa, le esacerbazioni acute del grave edema polmonare vanno trattate preferibilmente mediante somministrazione di ossigeno e infusione endovenosa di furosemide a dosi elevate (2,2-4,4 mg/kg), ripetute ad intervalli di un’ora sino alla risoluzione dell’edema polmonare. Nella maggior parte dei casi, questi interventi di facile attuazione sono tutto ciò che occorre per risolvere un edema polmonare potenzialmente letale. Nei pazienti che non rispondono alla terapia o in quelli in condizioni più critiche, sono necessarie misure più aggressive. L’infusione endovenosa continua di nitroprussiato (2,0-10 µg/kg/min) è particolarmente efficace per la riduzione della pressione nell’atrio sinistro nei cani con rigurgito mitralico. Attenuando drasticamente il postcarico, il gradiente di pressione fra ventricolo ed atrio di sinistra viene diminuito, con conseguente calo della gravità del rigurgito mitralico. Inoltre, la riduzione del postcarico consente al ventricolo sinistro di contrarsi più rapidamente. Ciò a sua volta causa una diminuzione dell’area dell’orifizio rigurgitante nell’arco della durata della sistole, riducendo marcatamente il volume rigurgitato. Per stabilizzare i cani con grave insufficienza cardiaca è talvolta necessario la concomitante somministrazione mediante infusione continua di dobutamina (5-15 mg/kg/min), ma secondo l’esperienza dell’autore questa misura risulta raramente necessaria nei cani con rigurgito mitralico. Insufficienza cardiaca cronica. La terapia standard dell’insufficienza cardiaca congestizia cronica nei cani con valvulopatia degenerativa negli USA prevede la somministrazione di un diuretico (tipicamente rappresentato dalla furosemide), un inibitore dell’enzima angiotensina-convertente (ACE) (come l’enalapril, il benazepril, il lisinopril, il quina-


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

pril o il ramipril) e la digossina (1). Questo protocollo terapeutico viene spesso indicato come terapia con tre farmaci. È in atto un continuo dibattito per stabilire se tale triplice terapia rappresenti davvero il miglior approccio medico al trattamento. Il pimobendan non è approvato per l’impiego negli USA, ma sulla base di indagini condotte in Europa esistono prove sostanziali della sua efficacia nei cani con rigurgito mitralico. Questo composto è un inibitore della fosfodiesterasi ed un debole agente calcio-sensibilizzante che funge da potente farmaco inotropo positivo con significative proprietà vasodilatatrici, per cui spesso è indicato come un inodilatatore. Questi due effetti sono ben modulati per ridurre il volume del flusso mitralico rigurgitante. Le domande che necessitano di una risposta più completa riguardano le preoccupazioni relative alla sicurezza nell’impiego a lungo termine, il momento in cui si deve iniziare la terapia e quali associazioni di farmaci assicurano l’efficacia ottimale. Per rispondere in modo esauriente a questi quesiti saranno necessarie ulteriori indagini cliniche. Tuttavia, sul trattamento del rigurgito mitralico cronico nel cane è possibile esprimere diverse considerazioni generali. In primo luogo, nessun farmaco o strategia terapeutica si è dimostrato efficace per ritardare l’insorgenza dell’insufficienza cardiaca congestizia. Non esiste alcuna giustificazione scientifica per suggerire il trattamento semplicemente perché un cane presenta un soffio da rigurgito mitralico. In secondo luogo, è ugualmente illogico attendere fino a che un cane non manifesti un’insufficienza cardiaca acuta per dare inizio al trattamento. L’ovvia scelta pragmatica è quella di iniziare la terapia prima dell’insorgenza dell’insufficienza cardiaca, quando esistono prove dimostrabili di ingrossamento cardiaco sostanziale ed una ragionevole convinzione del fatto che il cane svilupperebbe altrimenti un’insufficienza cardiaca nell’arco dei successivi 6 mesi. In terzo luogo, i diuretici sono essenziali per il trattamento dell’insufficienza cardiaca congestizia da rigurgito mitralico cronico. Come corollario, dal momento che questi farmaci sono potenti stimolatori del meccanismo renina-angiotensina-aldosterone, si deve somministrare un ACE-inibitore a tutti i cani che richiedono una terapia con diuretici per alleviare o prevenire l’insufficienza cardiaca congestizia. Inoltre, la sicurezza e l’utilità degli ACE-inibitori sono ben note. L’uso della digossina è più controverso e caratterizzato da minori vantaggi certi, in particolare alla luce del fatto che un farmaco inotropo positivo alternativo, come il pimobendan, si è dimostrato sicuro. Esistono altri approcci alla terapia ben consolidati nei pazienti umani con insufficienza cardiaca. In questi soggetti, il trattamento con beta-bloccanti è ampiamente raccomandato nelle forme lievi, moderate o gravi che risultano clinicamente stabili con la triplice terapia (diuretici, un ACE-I e digossina). I benefici segnalati sono rappresentati da diminuzione della mortalità, riduzione delle ospedalizzazioni ed incremento della frazione di eiezione, con effetti più variabili sulla tolleranza all’esercizio fisico. Il metoprololo ha diminuito del 34% la mortalità da qualsiasi causa nell’indagine MERIT-HF (3991 pazienti, classe II e III). Nello studio CIBIS II, il bisoprololo ha diminuito del 34% la mortalità da qualsiasi causa (2647 pazienti, principalmente di classe III). Il carvedilolo è un antagonista dei beta-adrenocettori ed un vasodilatatore, con un’attività vasodilatatrice derivan-

281

te dal blocco degli alfa-1 adrenocettori ed eventualmente anche da quello dei canali del calcio. Nello studio MOCHA, questo agente ha ridotto del 73% la mortalità da qualsiasi causa. Le indagini COPERNICUS e CIBIS II (subanalisi) hanno dimostrato che il trattamento con beta-bloccanti (carvedilolo o bisoprololo) può essere utilizzato senza rischi ed efficacemente nei pazienti umani con insufficienza cardiaca avanzata, anche se da queste prove sono stati esclusi i pazienti instabili che necessitavano di cure intensive, quelli con marcata ritenzione idrica o quelli trattati con vasodilatatori endovenosi o farmaci inotropi positivi. L’incapacità del bucindololo di migliorare la mortalità da qualsiasi causa nell’indagine BEST (2708 pazienti, insufficienza cardiaca di classe III-IV) rafforza la nozione secondo cui esistono dei limiti a questo approccio terapeutico e può darsi che non tutti i beta-bloccanti siano ugualmente efficaci. La terapia con beta-bloccanti in ambito veterinario non è ancora stata ampiamente adottata. Nonostante il fatto che questi farmaci sembrino efficaci nei cani con rigurgito mitralico sperimentalmente indotto, non esistono indagini organizzate che abbiano valutato criticamente questo trattamento in cani colpiti dalla malattia spontanea. Progressione dell’insufficienza cardiaca congestizia cronica nel cane. Con la progressione della malattia sottostante ed il procedere di certe risposte fisiologiche deleterie, i segni clinici dell’insufficienza cardiaca finiscono col recidivare, a meno che l’animale non muoia prima a causa di qualche altro processo patologico. Le manifestazioni congestizie spesso predominano, ma l’affaticamento progressivo e la disfunzione di organi ed apparati, come l’insufficienza renale, sono conseguenze comuni del declino della gittata anterograda. In queste circostanze, il veterinario pratico deve spesso scegliere una strategia non sottoposta ad adeguata verifica per alleviare i segni clinici dell’insufficienza cardiaca refrattaria del cane. Inibizione del Sistema Renina-Angiotensina-Aldosterone (RAAS). I cani con insufficienza cardiaca congestizia ricorrente cronica possono spesso essere trattati semplicemente modificando la componente della terapia costituita dall’ACE inibitore o dal diuretico, con lo scopo immediato di ridurre la pressione venosa. L’autore preferisce aumentare sino ai massimi livelli il dosaggio dell’ACE-I e ridurre il sodio della dieta prima di impiegare un trattamento diuretico più aggressivo. L’aggiunta iniziale di spironolattone (2,0 mg/kg bid) alla terapia standard va presa in considerazione in tutti i cani con insufficienza cardiaca refrattaria, anche se, sinora, non state pubblicate in letteratura veterinaria indagini cliniche che documentino l’efficacia di questo approccio. Le concentrazioni plasmatiche di aldosterone sono spesso elevate nei cani già trattati con dosaggi terapeutici di un ACE inibitore nell’ambito del protocollo con tre farmaci. Inoltre, le conseguenze indesiderate dell’iperaldosteronismo come l’attivazione simpatica, la ritenzione di sodio, la deplezione di potassio e magnesio, la disfunzione dei barocettori, il rimodellamento vascolare e cardiaco sono ben documentate. Nell’indagine RALES lo spironolattone ha ridotto del 30% il rischio di morte e del 35% la frequenza di ospedalizzazione in pazienti umani con insufficienza cardiaca di classe IV.


282

Resistenza ai diuretici. L’efficacia clinica dei diuretici negli stadi finali dell’insufficienza cardiaca dipende dal rispetto di una dieta povera di sodio. Nella maggior parte dei cani con insufficienza cardiaca, risulta adeguata una moderata restrizione dell’assunzione di questo elemento (16-20 mg/kg/die). Nei cani con grave insufficienza cardiaca congestizia refrattaria, può essere utile una restrizione più drastica (6-8 mg/kg/die). L’apparente resistenza alla furosemide può essere dovuta ad indiscrezioni alimentari, scarsa collaborazione da parte del proprietario, compromissione della biodisponibilità o della secrezione (trasporto) della furosemide nei tubuli renali, interferenza farmacologica, aggravamento dell’insufficienza cardiaca, iponatremia e resistenza dell’organo bersaglio. La perfusione renale e la velocità di filtrazione glomerulare diminuiscono con le progressive riduzioni della gittata cardiaca e l’apporto della furosemide al suo sito di azione cala con l’aggravarsi dell’insufficienza cardiaca. Questo limite fondamentale della terapia con diuretici è ulteriormente complicato nel corso del trattamento cronico dall’ipertrofia del tratto distale dei tubuli renali. Questa modificazione di adattamento incrementa la velocità del riassorbimento del sodio, diminuendo l’effetto natriuretico della furosemide. La contrazione del volume del fluido extracellulare dopo la somministrazione di un bolo di furosemide stimola ulteriormente i tubuli renali a ritenere il cloruro di sodio fino a che non viene somministrata la dose successiva. Aumentare la frequenza delle somministrazioni della furosemide può spesso risolvere la resistenza ai diuretici.

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

zione per via orale di isosorbide dinitrato o isosorbide mononitrato (0,25-2,0 mg/kg ogni 6-12 ore) alla nitroglicerina in pasta o sotto forma di cerotti. Questa terapia è solitamente ben tollerata, ma l’efficacia di questa classe di farmaci nei cani con insufficienza renale resta poco chiara. I vasodilatatori arteriosi possono venire impiegati per aumentare la gittata cardiaca in cani normotesi con insufficienza cardiaca refrattaria. Fra le alternative disponibili, solo l’idralazina e l’amlodipina sono state utilizzate per questo scopo nel cane. Nei cani con rigurgito mitralico, l’idralazina incrementa la gittata sistolica anterograda e diminuisce il flusso rigurgitante, esitando in un calo della pressione atriale sinistra ed una riduzione dell’edema polmonare. L’amlodipina ed altri calciobloccanti di terza generazione possono anche risultare di una certa utilità per il trattamento dell’insufficienza cardiaca refrattaria nel cane. Il farmaco riduce il postcarico più gradualmente dell’idralazina e, di conseguenza, ha minore probabilità di incrementare la frequenza cardiaca. L’emivita di 30 ore dell’amlodipina consente di effettuare una sola somministrazione giornaliera (0,1-0,2 mg/kg), ma è possibile che non si raggiunga l’effetto di picco del farmaco per 4-7 giorni. Recentemente, abbiamo dimostrato che l’amlodipina riduce il volume rigurgitante mitralico nei cani con malattia ad insorgenza spontanea senza causare tachicardia. Il trattamento con vasodilatatore arterioso/ACE-I comporta un rischio sostanziale di ipotensione, tachicardia, insufficienza renale e morte nei cani con grave insufficienza cardiaca congestizia.

Terapia diuretica associata. L’aggiunta di un diuretico di classe differente blocca le risposte di adattamento che limitano la terapia con un singolo agente, esitando in un effetto diuretico sinergico. La risoluzione dell’edema polmonare refrattario può richiedere l’impiego combinato di furosemide, spironolattone e clorotiazide (20-40 mg/kg) o idroclorotiazide (2,0-4,0 mg/kg). Il trattamento combinato giornaliero con furosemide o un diuretico tiazidico è caratterizzato dagli stessi inconvenienti della terapia con furosemide ad alte dosi, in particolare la disidratazione e la deplezione elettrolitica. Limitare il trattamento con il diuretico tiazidico ad una somministrazione ogni due o tre giorni di solito consente di risolvere la congestione polmonare refrattaria senza queste conseguenze indesiderate. Quando si attuano strategie diuretiche aggressive è necessario monitorare il peso corporeo, il consumo di sodio ed acqua, gli elettroliti sierici, la funzione renale e la produzione di urina. Sostanziali volumi di raccolte di fluidi in torace, addome o sacco pericardico devono essere sottoposte a drenaggio normale, e la terapia farmacologica deve essere modulata in modo da prevenire il riaccumulo. La misurazione della pressione venosa centrale assicura una determinazione obiettiva del successo del trattamento. Alcuni pazienti con insufficienza cardiaca refrattaria richiedono una centesi periodica per restare in buone condizioni. La procedura è di facile attuazione e ben tollerata dalla maggior parte dei cani, molti dei quali sopravvivono per mesi o anni con questa condizione.

Tendenze future nella terapia dell’insufficienza cardiaca congestizia nel cane. Il trattamento dell’insufficienza cardiaca sta andando incontro ad una rapida evoluzione e la nostra conoscenza della fisiopatologia di questa sindrome clinica è in continua espansione. La ricerca nel campo del trattamento ottimale dell’insufficienza cardiaca continua ad essere focalizzata principalmente sulla modulazione delle alterazioni neurormonali che si verificano in questa condizione. L’elenco delle possibili terapie è lungo e sono state recentemente condotte o sono tuttora in atto indagini sul ruolo dei farmaci che bloccano i recettori di aldosterone, angiotensina, endotelina ed ADH (vasopressina). Sono in fase di sviluppo gli inibitori per os della renina e l’elenco di nuovi agenti che inibiscono varie associazioni di ACE, NEP ed ECE è in continua crescita. Anche il ruolo delle citochine nell’insufficienza cardiaca è oggetto di crescenti attenzioni, focalizzate in gran parte sull’attenuazione del ruolo del fattore di necrosi tumorale alfa (TNF-α) negli stadi finali dell’insufficienza cardiaca. Il concetto di miglioramento del rendimento della pompa nell’insufficienza cardiaca non è stato trascurato ed attualmente sono in corso studi sulla risincronizzazione ventricolare, su mezzi più affidabili e meno costosi per favorire l’attività ventricolare sinistra e, in minor misura, sulla continua ricerca di un farmaco inotropo positivo sicuro e potente. Sono allo studio nuove strategie per il trattamento della fibrillazione atriale e vengono valutati nuovi approcci per la prevenzione della morte improvvisa da aritmia ventricolare.

Vasodilatatori. I vasodilatatori azotati sono spesso consigliati per contribuire a risolvere l’edema polmonare refrattario nel cane. L’autore preferisce ricorrere alla somministra-

Antagonisti dei recettori dell’aldosterone. Le conseguenze negative dell’iperaldosteronismo sono rappresentate da attivazione simpatica, ritenzione di sodio, deplezione di


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

potassio e magnesio, disfunzione dei barocettori e rimodellamento vascolare e cardiaco. Le concentrazioni plasmatiche di aldosterone sono elevate nei pazienti umani e nei cani anche quando si utilizzano dosi terapeutiche di un ACE inibitore nell’ambito del protocollo di trattamento con tre farmaci dell’insufficienza cardiaca. Lo spironolattone, un farmaco somministrato per os e metabolizzato a livello epatico nella sua forma attiva, il canrenone, antagonizza direttamente le azioni dell’aldosterone. Nell’indagine RALES, questo agente ha ridotto del 30% il rischio di morte e del 35% la frequenza di ospedalizzazione in pazienti umani con insufficienza cardiaca di classe IV. Il trattamento negli stadi iniziali dell’insufficienza cardiaca non è stato studiato. Gli effetti indesiderati della terapia con spironolattone sono rappresentati da iperkalemia, disfunzione renale, ginecomastia e diminuzione della libido nei maschi ed irregolarità mestruali nelle femmine. Nei pazienti umani con insufficienza cardiaca cronica è attualmente in corso di valutazione l’eplerenone, un antagonista selettivo dei recettori dell’aldosterone di recente sviluppo e dotato di una ridotta affinità per i recettori androgeni e progestinici. Antagonisti dei recettori dell’endotelina ed inibitori dell’enzima endotelina-convertente (ECE). L’endotelina (ET-1) è un potente peptide vasocostrittore composto da 21 aminoacidi prodotto dall’endotelio vascolare e dal cuore dove viene prodotto a partire da un peptide a 38-39 aminoacidi (grande ET-1) dall’azione dell’enzima endotelina-convertente (ECE). Le azioni dell’ET-1 sono mediate da due speci-

283

fici sottotipi di recettori, l’ETA-R e l’ETB-R. I recettori di tipo A (ETA-R) mediano la proliferazione e vasocostrizione della muscolatura liscia, mentre i più complessi recettori di tipo B (ETB-R) sembrano antagonizzare questi effetti. Innalzamenti cronici di ET-1 nei pazienti con insufficienza cardiaca aumentano la resistenza vascolare sistemica, inducono l’ipertrofia della muscolatura liscia vasale e stimolano l’ipertrofia miocardica. Gli antagonisti selettivi ETA-R e non selettivi ETB-R aumentano la sopravvivenza nei modelli di insufficienza cardiaca negli animali da laboratorio. Gli antagonisti dei recettori ET-1 e gli inibitori dell’enzima endotelina convertente di recente sviluppo sono oggetto di valutazione in indagini cliniche (21). Approcci chirurgici al trattamento del rigurgito mitralico. In medicina umana, la cardiopatia valvolare è in gran parte considerata una malattia chirurgica. La sostituzione e la riparazione delle valvole sono procedure effettuate comunemente e quest’ultimo approccio nell’ultimo decennio è stato oggetto di maggiore considerazione. Esistono diversi centri negli USA che hanno tentato la sostituzione delle valvole nel cane. La spesa è risultata al di fuori dei mezzi della maggior parte dei proprietari ed i risultati sono stati nel complesso insoddisfacenti. In genere le valvole artificiali non vengono ben tollerate nel cane ed i fabbisogni di anticoagulanti superano la capacità di collaborazione della maggior parte dei proprietari. Oggi vi sono parecchi centri che offrono la riparazione delle valvole, ma il numero dei cani operati è troppo scarso per poter trarre conclusioni significative.


284

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Stato dell’arte sulle patologie cardiache congenite nel cane David Sisson DVM, Dipl ACVIM-Cardiology - Università dell’Illinois, Urbana, Illinois, USA

Claudio Bussadori Med Vet, Med Chir, Dipl ECVIM-CA (Card) - Milano

Estratto completo La diagnosi della cardiopatia congenita è un esercizio impegnativo di logica clinica basata sulla conoscenza dell’anatomia cardiaca normale, delle caratteristiche anatomiche dei difetti più comuni, delle alterazioni fisiopatologiche previste per ciascun difetto e delle conseguenti manifestazioni e segni clinici. L’obiettivo primario della valutazione cardiovascolare è la definizione della natura e della gravità dei difetti anatomici presenti. Le informazioni necessarie a formulare una diagnosi clinica vengono tipicamente tratte da 5 fonti diverse: l’anamnesi, l’esame clinico, l’elettrocardiogramma, le radiografie del torace e l’ecocardiogramma. Altri studi speciali – scintigrafia, cateterizzazione cardiaca ed angiocardiografia – vengono impiegati meno frequentemente. La diagnosi clinica è sempre basata su una sintesi di riscontri ottenuti attraverso tutte le fonti disponibili. Un’accurata auscultazione spesso suggerisce una diagnosi o consente di eliminare alcune delle numerose possibilità. Le radiografie del torace permettono di valutare la circolazione polmonare, le dimensioni complessive del cuore e i quadri di ingrossamento delle camere cardiache o dei grossi vasi. Un ECG mostra i segni che suggeriscono un ingrossamento delle camere. Tuttavia, nessun test clinico fornisce informazioni infallibili. Le manifestazioni della malattia sono spesso assenti o non vengono rilevati dal proprietario. I riscontri obiettivi sono spesso variabili o fuorvianti, in particolare se l’esaminatore non è sufficientemente esperto. Elettrocardiografia o radiografia sono indicatori poco sensibili di ingrossamento cardiaco e non permettono di valutare lo spessore della parete del cuore rispetto alle dimensioni delle camere. Nessuno di questi metodi fornisce misure accurate della gravità della lesione. L’ecocardiografia viene solitamente richiesta per la conferma di una diagnosi di cardiopatia congenita e di norma consente di ottenere una valutazione quantitativa della gravità delle lesioni. Anamnesi. Le predisposizioni di razza forniscono utili indizi sulla probabilità di una diagnosi, ma i dati relativi al-

le probabilità sono di scarsa utilità per il singolo animale. Fatta eccezione per i soggetti con difetti gravi, la maggior parte dei cani e dei gatti con cardiopatia congenita è asintomatica quando l’anomalia viene rilevata per la prima volta. Gli animali sintomatici spesso mostrano i segni di affaticamento da sforzo, scadimento delle condizioni corporee, ed infine, insufficienza cardiaca sinistra o destra. Nelle gravi lesioni ostruttive (stenosi aortica, stenosi polmonare, ostruzioni dell’afflusso) o in presenza di difetti cianogeni (tetralogia di Fallot, dotto arterioso pervio da destra a sinistra) si osserva la sincope. La compromissione della crescita è di norma limitata ad animali con gravi difetti, come ad es., la tetralogia di Fallot. Crisi convulsive si osservano occasionalmente in animali con difetti cianotici, come ad es. la tetralogia di Fallot. Nei cani con dotto arterioso pervio da destra a sinistra si osserva spesso debolezza degli arti posteriori. Esame clinico. L’auscultazione cardiaca ha un’importanza innegabile nella diagnosi della cardiopatia congenita. La maggior parte dei comuni difetti cardiaci genera soffi sistolici. La localizzazione ed i caratteri dei soffi spesso contribuiscono a differenziarli l’uno dall’altro. Risulta particolarmente utile la distinzione fra soffi di eiezione e di rigurgito. I soffi a forma di plateau (da rigurgito) sono caratteristici dell’insufficienza mitralica e tricuspidale o di un difetto del setto interventricolare. Un soffio in crescendo-decrescendo (eiezione) a livello della base del cuore suggerisce una stenosi aortica o polmonare. Un utile indizio per l’identificazione della stenosi aortica è l’irradiazione del soffio verso le arterie carotidi del collo. Il soffio dei difetti del setto interatriale è praticamente identico a quello della stenosi polmonare, tranne che per il fatto che solitamente termina prima del secondo tono cardiaco, che in genere è sdoppiato. In molte occasioni, si identifica un soffio sistolico di incerta origine. In questi casi, l’ECG e le radiografie del torace permettono di solito di differenziare ulteriormente la causa del problema. Soffi innocenti lievi (di grado 1-3/6), brevi, iniziali o mediosistolici, che possono variare con la posizione, la frequenza cardiaca o la data dell’esame sono comuni negli animali giovani in buona salute e vanno distinti dai soffi da lieve ostruzione del cono arterioso. Il soffio continuo di


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

un dotto arterioso pervio è più forte nell’area aortica a livello della base del cuore di sinistra. Occasionalmente, gravi cardiopatie congenite si osservano in assenza di un soffio. Il dotto arterioso pervio con grave ipertensione polmonare esita nell’accentuazione e nello sdoppiamento del secondo tono cardiaco, spesso senza soffio. La grave tetralogia di Fallot, con ipoplasia dell’arteria polmonare, può essere accompagnata da un soffio sistolico scarso o del tutto assente dovuto ad una drastica riduzione del flusso dell’arteria polmonare. Per rilevare deformità toraciche, dislocazione cardiaca ed aritmie è utile la palpazione precordiale (toracica). Un fremito palpabile indica un soffio di grado 5/6 o più forte. La maggior parte dei difetti cardiaci congeniti non induce la comparsa di cianosi. Quando è simmetrica, quest’ultima suggerisce la presenza di uno shunt da destra a sinistra a livello di atri, ventricoli, grossi vasi. Più raramente, una lesione che provoca la miscelazione del sangue arterioso e di quello venoso (ventricolo unico, trasposizione) è responsabile di una cianosi centrale. La cianosi asimmetrica (differenziale), definita come la cianosi nella metà caudale del corpo, suggerisce uno shunt da destra a sinistra a livello dell’aorta discendente (dotto arterioso pervio con ipertensione polmonare). La palpazione dei polsi arteriosi consente il riconoscimento del polso veloce e saltellante (scoccante) nel dotto arterioso pervio. Simili anomalie di polso si osservano in animali con rigurgito aortico (isolato o secondario ad un difetto del setto interventricolare in sede elevata). Il polso di solito resta normale nei difetti del cuore destro, a meno che non insorga un’insufficienza cardiaca. Si può avere una diminuzione della sua ampiezza nella stenosi aortica sottovalvolare moderata o grave. È possibile osservare una distensione venosa con polso giugulare quando la pressione dell’atrio destro aumenta in caso di malformazioni del cuore destro (stenosi polmonare, displasia della tricuspide, difetto del setto interventricolare, difetto del setto interatriale, tetralogia di Fallot). Le vene sistemiche sono normali negli animali colpiti dalla maggior parte delle malformazioni del cuore sinistro (dotto arterioso pervio, stenosi aortica sottovalvolare, displasia mitralica). Elettrocardiogramma. In presenza di lievi difetti cardiaci congeniti l’ECG è spesso normale. L’utilità del tracciato è massima quando vengono registrate tutte le derivazioni, comprese quelle toraciche. Le onde P anomale non sono sensibili né specifiche come indicatori di ingrossamento atriale. Nei cani con tetralogia di Fallot o dotto arterioso pervio da destra a sinistra è praticamente sempre presente un quadro di ipertrofia del ventricolo destro. Questo quadro è di solito riscontrabile, ma leggermente più variabile nei cani con stenosi polmonare (in particolare nei bulldog) o displasia della tricuspide (le derivazioni toraciche migliorano il riconoscimento elettrocardiografico dell’ingrossamento del ventricolo destro). Un quadro indicativo di aumento di dimensioni del ventricolo destro o blocco di branca destra si osserva anche nella maggior parte dei cani con difetto del setto interatriale (con foro grande). Negli animali con dotto arterioso pervio e displasia mitralica risulta solitamente discernibile un ingrossamento del ventricolo sinistro. Questo riscontro spesso non è evidente nei soggetti con stenosi aortica o difetto del setto interventricolare. È possibile visualiz-

285

zare marcati spostamenti del segmento S-T in caso di grave stenosi aortica sottovalvolare. Il riscontro di un ECG normale in presenza di un forte soffio sistolico è compatibile con un difetto del setto interventricolare di piccole dimensioni o una stenosi aortica sottovalvolare. Radiografie del torace. È necessario prestare attenzione (1) alle dimensioni complessive del cuore, (2) ai segni di ingrossamento delle specifiche camere e (3) alle anomalie della vascolarizzazione polmonare (arterie e vene). Gli shunt vengono riconosciuti sulla base di un aumento (da sinistra a destra) o diminuzione (da destra a sinistra) delle dimensioni dei vasi polmonari e della radiopacità complessiva dell’organo. Le lesioni anastomotiche da sinistra a destra (dotto arterioso pervio, difetto del setto interventricolare, difetto del setto interatriale) provocano l’ingrossamento delle camere e dei vasi che devono gestire il sangue in eccesso. Le lesioni ostruttive (stenosi aortica o polmonare, tetralogia di Fallot) causano l’ingrossamento del ventricolo colpito ed una dilatazione poststenotica di grado variabile dell’arteria, distalmente all’ostruzione. L’insufficienza mitralica e tricuspidale provocano l’ingrossamento dell’atrio e del ventricolo colpiti. Il riscontro di quadri radiografici normali in un cane con un soffio sistolico è compatibile in particolare con una stenosi aortica o un difetto del setto interventricolare di piccole dimensioni. Ecocardiografia. I comuni impieghi dell’ecocardiografia nei pazienti con sospetta cardiopatia congenita sono rappresentati da: (1) verifica dell’esistenza delle previste lesioni anatomiche ed alterazioni cardiache secondarie nei pazienti con un singolo difetto cardiaco, (2) identificazione di difetti cardiaci aggiuntivi o multipli in pazienti con presentazioni atipiche, in particolare quando altri metodi di esame portano a risultati apparentemente contraddittori, (3) identificazioni delle sedi di shunt da destra a sinistra o di mescolanza venosa in tutti i pazienti con difetti cardiaci congeniti che inducono cianosi, (4) stima della gravità dei difetti cardiaci, (5) valutazione dell’adeguatezza della funzione cardiaca e delle risposte compensatorie del cuore al proprio difetto e (6) valutazione degli animali con soffi di incerta eziologia quando i metodi tradizionali non riescono a rilevare un’anomalia cardiaca. Il modo migliore per stilare un elenco di possibili diagnosi differenziali è quello di porre le domande giuste nella sequenza corretta. Il metodo di approccio alla diagnosi della cardiopatia congenita descritto in questa sede inizia col porsi le seguenti domande. È presente un soffio cardiaco, e le sue caratteristiche suggeriscono una specifica lesione anatomica? Identificare la localizzazione in cui il soffio risulta più forte (emitorace sinistro o destro, base o apice del cuore), il momento della sua comparsa (sistolica, diastolica, continua) e le caratteristiche della sua qualità (se è di eiezione o rigurgitante). È presente o meno la cianosi, sia a riposo che durante l’esercizio fisico? I difetti congeniti possono essere suddivisi in due gruppi – quelli che inducono cianosi e quelli che non lo fanno. La cia-


286

nosi viene spesso rilevata all’esame clinico e può essere verificata attraverso l’analisi dei gas ematici arteriosi. La perfusione polmonare è aumentata, diminuita o normale? Ci sono segni di ipertensione polmonare? Un’accurata interpretazione delle radiografie del torace consente ad un clinico avveduto di trovare le prove che erano state sottovalutate, come la cianosi differenziale. Il difetto origina nella parte sinistra o destra del cuore? O in entrambe? I riscontri radiografici ed elettrocardiografici, quando vengono interpretati nell’ambito dell’esame clinico, possono avere valore diagnostico, fornire utili indicazioni o risultare del tutto inutili. La presenza di un polso arterioso anomalo suggerisce una lesione del lato sinistro. Distensione e polso giugulare indicano una cardiopatia destra. Per confermare i sospetti basati sui riscontri dell’esame clinico, delle radiografie del torace e dell’ECG si impiega l’ecocardiografia. Quali camere del cuore sono ingrossate? Il ventricolo coinvolto presenta un’ipertrofia concentrica o eccentrica? Il sovraccarico volumetrico indotto dall’insufficienza valvolare o uno shunt sinistra-destra provocano un’ipertrofia eccentrica del ventricolo coinvolto ed una dilatazione degli atri colpiti. Il quadro di ingrossamento della camera cardiaca negli animali con shunt sinistra-destra o valvole rigurgitanti può essere previsto seguendo il percorso del sangue deviato attraverso lo shunt (o rigurgitato). Il sovraccarico pressorio causato dall’ostruzione del deflusso esita in un’ipertrofia concentrica del ventricolo colpito. Gli esami ecocardiografici devono conciliare i quadri di ingrandimento camerale osservati e l’ipertrofia ventricolare con i difetti primari identificati. È presente più di un difetto cardiaco? Negli animali con cardiopatia congenita spesso è presente più di un’anomalia anatomica. I difetti concomitanti inducono frequentemente una significativa alterazione della prognosi relativa alla correzione di quello più evidente; ad es., le ostruzioni del cono arterioso sono spesso associate a malformazioni valvolari atrioventricolari. La comune occorrenza di difetti cardiaci multipli è una ragione importante per cui tutti gli animali con cardiopatia congenita devono essere sottoposti ad indagine ecocardiografica.

DIFETTI DI SHUNT DA SINISTRA A DESTRA Dotto arterioso pervio (PDA) Il dotto arterioso pervio è uno dei difetti congeniti più comunemente diagnosticati nel cane. È molto meno diffuso nel gatto. Le femmine sono colpite con maggiore frequenza dei maschi. Le predisposizioni di razza sono rappresentate da barbone nano e toy, cocker spaniel, maltese, bichon frise, cane di Pomerania, Keeshond, Yorkshire terrier, pastore delle Shetland ed english springer spaniel. Riscontri anamnestici e clinici. (1) Soffio continuo (“di macchina”), che si ode preferibilmente a livello della base

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

del cuore sopra le aree aortiche e polmonari, che spesso si irradia ampiamente. Un fremito palpabile accompagna i soffi più intensi. È importante auscultare l’intero torace, dal momento che il soffio continuo è anche spesso localizzato a livello della base di sinistra. A livello dell’apice di sinistra si può talvolta auscultare un soffio sistolico da insufficienza mitralica secondaria. (2) Polso arterioso saltellante, dovuto alla notevole quantità di sangue che passa dall’aorta all’arteria polmonare. (3) Riscontri obiettivi dell’insufficienza cardiaca sinistra (dispnea, intolleranza all’esercizio). Associazioni elettrocardiografiche. (1) Quadro variabile, ma spesso marcato, di ipertrofia del ventricolo sinistro nei difetti di shunt da sinistra a destra. Asse elettrico solitamente normale. Possono essere presenti alterazioni secondarie ST-T. (2) I casi avanzati possono mostrare aritmie sopraventricolari (extrasistoli atriali, fibrillazione atriale) o ventricolari. Radiografia toracica. (1) Ingrossamento di atrio sinistro, ventricolo sinistro, arco aortico, arteria polmonare principale (meglio visibile nelle proiezioni dorsoventrali), unitamente ad ipervascolarità polmonare (arterie e vene). (2) Segni di insufficienza cardiaca sinistra sono comuni nei casi avanzati ed in rare occasioni sono presenti manifestazioni di insufficienza biventricolare. Ecocardiografia. L’ecocardiografia in M-mode e quella bidimensionale sono utili per documentare la gravità del sovraccarico volumetrico che si riflette nelle modificazioni delle camere del cuore sinistro, per individuare altri difetti cardiaci congeniti coesistenti e per valutare la funzione miocardica. La visualizzazione del flusso con la tecnica a codice di colore consente l’identificazione del dotto arterioso pervio nella maggior parte dei casi, anche in presenza di shunt di piccole dimensioni. Gli studi Doppler consentono di identificare i quadri anomali di flusso ematico nell’arteria polmonare e di riconoscere il rigurgito mitrale quando è presente. Trattamento. In presenza di segni di insufficienza cardiaca è indicata la stabilizzazione medica con digossina, diuretici e vasodilatatori arteriosi per ridurre il volume dello shunt. Il trattamento definitivo consiste nella chiusura mediante transcateterizzazione (spirali da embolectomia o altri mezzi occlusivi) o legatura chirurgica del dotto arterioso pervio. I cani con insufficienza miocardica grave richiedono la somministrazione endovenosa di dobutamina prima dell’induzione dell’anestesia. La percentuale di successo chirurgico dovrebbe essere prossima al 95% dei casi operati.

Difetti del setto interventricolare (VSD) I difetto del setto interventricolare sono comuni difetti congeniti del cane e del gatto, ma nella maggior parte dei casi sono di piccole dimensioni e non necessitano di terapia. Sono predisposti a queste anomalie english springer spaniel, Lakeland terrier, West highland, bassett hound, Shiba inu e bulldog inglese. Anamnesi e riscontri clinici. (1) Il soffio tipico è olosistolico di frequenza mista e di qualità rigurgitante, solitamente più forte a livello del secondo e terzo spazio intercostale di destra. La localizzazione è variabile e spesso risulta ben udibile a sinistra. Soffi diastolici sono presenti quando i


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

difetti del setto interventricolare sono accompagnati da insufficienza aortica. (2) Il polso arterioso, solitamente normale, può essere “brusco” o scoccante in caso di difetti di grandi dimensioni. (3) La maggior parte dei pazienti è asintomatica (difetti di dimensioni ridotte), ma in presenza di lesioni più grandi si possono osservare affaticamento e dispnea. Elettrocardiografia. L’ECG è solitamente normale, si possono osservare ipertrofia del ventricolo sinistro o ingrossamento biventricolare. Radiografia toracica. L’esame radiografico del torace negli animali di piccole dimensioni non evidenzia nulla di particolare. In caso di anomalie più grandi si ha un ingrossamento dell’atrio sinistro e del ventricolo di sinistra e di destra (variabile), un incremento del segmento PA associato ad iperperfusione polmonare (aumento dei segni vascolari, sia arteriosi che venosi). Ecocardiografia. Per la visualizzazione del difetto, l’ecocardiografia bidimensionale risulta superiore a quella Mmode. Entrambe le tecniche consentono la documentazione dell’ingrossamento della camera e della contrattilità miocardica. La metodica a codice di colore permette di visualizzare il passaggio del sangue attraverso il difetto. Con il Doppler spettrale o la scintigrafia con radionuclidi di primo passaggio è possibile quantificare lo shunt. Trattamento. In caso di difetti di piccole dimensioni, non è indicata alcuna terapia. La correzione chirurgica di lesioni più grandi richiede un by-pass cardiaco. Gli interventi chirurgici palliativi mediante legatura dell’arteria polmonare riducono lo shunt da sinistra a destra aumentando le pressioni sistoliche ventricolari di destra. È possibile ritardare l’insorgenza dell’insufficienza cardiaca congestizia utilizzando ACE-inibitori o vasodilatatori arteriosi quali idralazina o amlodipina.

Difetti del setto interatriale (ASD) Sono stati riconosciuti diversi tipi di difetti del setto interatriale, classificati sulla base della loro localizzazione (primum, secundum, del seno venoso). Un forame ovale pervio di solito non è associato ad uno shunt significativo (funzionalmente chiuso), a meno che le pressioni atriali non siano elevate da altri processi patologici. I difetti del setto interatriale sono poco comuni nel cane. Possono essere predisposti boxer, samoiedo ed altre razze. Anamnesi e segni clinici. Tipicamente, i soffi di eiezione sistolici di intensità lieve o media si odono meglio a livello della base del cuore sul lato sinistro. Il secondo tono cardiaco è solitamente più ampio e persistentemente sdoppiato. (3) I segni clinici sono in genere assenti, ma può essere evidente un’insufficienza cardiaca destra (distensione giugulare, ascite). Elettrocardiografia. L’ECG può mostrare i segni di ingrossamento del ventricolo destro, prolungamento dell’intervallo PR e, in alcuni casi, anomalie di conduzione di branca destra. Radiografie del torace. Le radiografie del torace mostrano una cardiomegalia destra con ipervascolarità polmonare. Ecocardiografia. Per la visualizzazione del difetto, l’ecocardiografia bidimensionale è superiore all’M-mode. L’ecocardiografia con mezzo di contrasto, eseguita mediante inie-

287

zione di soluzione fisiologica agitata con aria, permette di documentare la maggior parte dei difetti del setto interatriale di grandi dimensioni. L’indagine a codice di colore consente di rilevare gli shunt da sinistra a destra e il Doppler spettrale mostra un aumento delle velocità di perfusione ematica transpolmonare. Trattamento. Per i difetti molto grandi è indicata la riparazione chirurgica, che di solito richiede un by-pass cardiaco.

OSTRUZIONE DEL CONO ARTERIOSO Stenosi polmonare (PS) La stenosi polmonare è al secondo posto in ordine di frequenza fra i difetti cardiaci congeniti diagnosticati nel cane. Nel gatto è poco comune. Le razze predisposte sono bulldog inglese, Chihuahua, fox terrier, schnauzer nano, samoiedo e parecchi tipi di terrier (scottish, wirehaired, west highland). Anamnesi ed esame clinico. (1) Soffio di eiezione sistolico, meglio udibile a livello della base del cuore, specialmente al di sopra dell’area polmonare. Si può anche percepire anteriormente, lungo il margine sternale, bilateralmente. Un secondo tono sdoppiato è di solito occultato dal soffio. (2) Il polso arterioso non fornisce indicazioni rilevanti, a meno che non sia presente una grave insufficienza cardiaca. I suoni polmonari sono normali. (3) Il cane può essere asintomatico, manifestare un’intolleranza all’esercizio fisico o, nei casi gravi apparire dispnoico o con evidente cianosi. Nei gravi casi scompensati sono evidenti segni di insufficienza cardiaca destra (congestione venosa, epatomegalia, ascite). Elettrocardiografia. (1) Spesso sono evidenti ipertrofia del ventricolo destro, deviazione dell’asse a destra, SI-II-III e profonda S in CV6LU, CV6LL. Radiografia del torace. I riscontri caratteristici sono rappresentati da ingrossamento del ventricolo destro e dilatazione del segmento principale dell’arteria polmonare. La vascolarizzazione polmonare è solitamente normale; tuttavia, nei casi gravi i polmoni possono apparire ipoperfusi. Un ingrossamento dell’atrio destro suggerisce la possibilità di un concomitante rigurgito della tricuspide. Ecocardiografia. L’ecocardiografia M-mode e quella bidimensionale dimostrano in modo affidabile l’ipertrofia compensatoria concentrica del ventricolo destro. L’entità di tale ipertrofia consente una stima grezza della gravità del difetto. La sede dell’ostruzione viene dimostrata preferibilmente con l’ecocardiografia bidimensionale. Il movimento sistolico del cono arterioso del ventricolo destro e l’interferenza da parte del polmone adiacente ostacolano la visualizzazione della sede esatta dell’ostruzione in molti cani. Quindi, spesso è difficile dire se la valvola polmonare è semplicemente fusa e a cupola oppure displasica. L’area della valvola polmonare viene meglio visualizzata nelle immagini parasternali destre ad asse corto o utilizzando la posizione parasternale craniale sinistra. La stima del picco della velocità del flusso ematico attraverso l’area stenotica, mediante indagine Doppler, consente il calcolo del gradiente di pressione utilizzando l’equazione di Bernoulli modificata, per cui il gradiente pressorio = 4 X V2. È necessario effettuare un’accurata indagine per rilevare l’eventuale concomitante


288

presenza di insufficienza della tricuspide, difetto del setto interventricolare e difetto del setto interatriale. Trattamento. La valvuloplastica con palloncino risulta efficace in più del 70% dei casi. Questo intervento può essere inefficace per la stenosi sottovalvolare muscolare e nei cani con ipoplasia dell’anello. Se la dilatazione con palloncino non è possibile, si deve prendere in considerazione il ricorso alla chirurgia (valvulotomia o innesto di lembo). I casi lievi di PS devono essere trattati in modo conservativo, dal momento che molti cani colpiti vivono a lungo. Nel boxer e nel bulldog si può osservare un’origine aberrante dell’arteria coronaria sinistra. Questa malformazione preclude il ricorso all’innesto di lembo ed è una controindicazione relativa per la valvuloplastica con palloncino. Molti cani con stenosi polmonare sopravvivono sino ad un’età media o avanzata.

Stenosi aortica (SAS) La stenosi aortica sottovalvolare è un comune difetto del cane, che si osserva con scarsa frequenza nel gatto. Le razze predisposte sono rappresentate da Terranova, boxer, pastore tedesco, rottweiler, golden retriever e levrieri. Nel gatto, ed in alcuni cani, come ad es. il bull terrier, si osserva la stenosi aortica valvolare. Anamnesi e riscontri clinici. (1) I cani giovani sono di solito asintomatici, ma possono venire riferiti affaticamento, dispnea, sincope o morte improvvisa. (2) A livello della base del cuore, sulla sinistra, è presente un soffio sistolico di eiezione, che spesso si irradia sino alla arterie carotidi a livello dell’ingresso del torace e/o sulla parte craniale del torace di destra. (3) Il polso può essere piccolo e tardivo a causa della ritardata eiezione ventricolare. (4) Il battito cardiaco può essere irregolare con deficit di polso (aritmia). Elettrocardiografia. L’ECG può essere normale anche nei casi gravi o può essere evidente un’ipertrofia del ventricolo sinistro. La deviazione del segmento ST (in particolare dopo l’esercizio) indica un’ischemia miocardica. Sono molto comuni le aritmie (specialmente extrasistoli ventricolari ed occasionalmente extrasistoli atriali o fibrillazione atriale). Radiografia del torace. Gli esami radiografici del torace spesso non forniscono indicazioni rilevanti. I riscontri caratteristici sono rappresentati da ingrossamento del ventricolo sinistro, perdita dell’incisura craniale a causa della dilatazione poststenotica dell’aorta ed ingrossamento variabile dell’atrio sinistro. A meno che non sia presente un’insufficienza cardiaca sinistra, la vascolarizzazione polmonare è normale. Ecocardiografia. L’ecocardiografia in M-mode dimostra un’ipertrofia concentrica del ventricolo sinistro, ma l’effettiva area di stenosi non si identifica con facilità. Nella maggior parte dei cani con stenosi aortica sottovalvolare, l’area di ostruzione può essere visualizzata direttamente attraverso l’esame bidimensionale. La sede di ostruzione si osserva spesso sotto forma di una distinta proiezione ecodensa subito sotto il punto di inserzione delle valvole aortiche oppure localizzata più in basso nel cono arterioso, a partire dal quale si proietta dal setto e dal lembo anteriore della valvola mitrale. In alcuni casi le lesioni ostruttive sono più diffuse, suggerendo un’ostruzione fibromuscolare a tunnel. Spesso la

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

visualizzazione ottimale di questo difetto si ottiene meglio nelle immagini parasternali destre ad asse lungo ed in quelle del cono arterioso parasternale sinistro. La lesione si può anche osservare dall’immagine parasternale caudale sinistra a quattro camere e la sua gravità può essere grossolanamente stimata con l’indagine Doppler effettuata da questa localizzazione. La valutazione Doppler permette di quantificare la gravità della stenosi ed è anche utile per rilevare l’insufficienza aortica coesistente e/o la displasia della valvola mitrale. I cani con gradiente pressorio superiore ad 80 mm Hg sono esposti ad un sostanziale rischio di morte improvvisa. La fibrosi miocardica, presumibilmente da ischemia, si presenta sotto forma di aree iperecogene nei muscoli papillari o in altre regioni. Trattamento. Di norma, la chirurgia non è praticabile e la valvuloplastica con palloncino è di valore limitato. La maggior parte dei cani con gravi ostruzioni viene trattata con beta-bloccanti (propranololo, atenololo) nel tentativo di limitare l’esercizio fisico e prevenire la morte improvvisa. L’efficacia di questa terapia è sconosciuta. Le aritmie vengono solitamente trattate se presenti, indipendentemente dalla loro frequenza, a causa dell’elevata prevalenza di morte improvvisa. Non è stato possibile identificare un agente antiaritmico ottimale, ma il sotalolo costituisce una possibilità interessante.

INSUFFICIENZA VALVOLARE Displasia della valvola mitrale e tricuspide La malformazione della valvola mitrale è costituita tipicamente da dislocazione dorsale dei muscoli papillari, ispessimento ed allungamento delle corde tendinee, inserzione diretta del tessuto del lembo valvolare sui muscoli papillari ed ispessimento e malformazione dei lembi valvolari. Il risultato è di solito l’insufficienza della valvola mitrale. La stenosi mitralica è stata descritta nel gatto ed in un piccolo numero di cani, principalmente bull terrier. La displasia di questa valvola può anche causare un’ostruzione dinamica del cono arterioso del ventricolo sinistro. La malformazione della valvola tricuspide è caratterizzata da una sua estensione simile ad una tenda, con brevi corde tendinee che si inseriscono direttamente sui muscoli papillari fusi. Il sovraccarico volumetrico del cuore destro o sinistro esita nell’ipertrofia eccentrica del ventricolo ipsilaterale e nell’ingrossamento dell’atrio corrispondente. La displasia mitralica è uno dei più comuni difetti congeniti del gatto. La displasia della mitrale e della tricuspide si osserva nella maggior parte dei casi nei cani appartenenti alle razze di grossa taglia. La displasia mitralica è descritta in bull terrier, alano, pastore tedesco e levriero afgano. Quella della tricuspide si ha in alano, golden retriever, Labrador retriever e bobtail. La displasia della tricuspide, comune nei cani con stenosi polmonare e displasia mitralica, si apprezza spesso in associazione con la stenosi aortica. Anamnesi e riscontri clinici. In caso di displasia mitralica si osservano segni di insufficienza cardiaca sinistra (intolleranza all’esercizio, tosse, dispnea) mentre nella displasia della tricuspide si sviluppano manifestazioni riferibili ad


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

insufficienza cardiaca destra (intolleranza all’esercizio, ascite). Un soffio olosistolico a forma di plateau risulta meglio udibile a livello dell’apice di sinistra (mitrale) o destra (tricuspide) a seconda dell’insufficienza valvolare. Nei cani e nei gatti con stenosi mitralica o tricuspidale si verifica un soffio diastolico. Nei cani con displasia della tricuspide è possibile osservare polso giugulare (onde c-v) unitamente a distensione giugulare, epatomegalia ed ascite nei casi avanzati. Nei cani con insufficienza cardiaca congestizia da displasia mitralica è possibile riscontrare tachipnea e rantoli umidi. Elettrocardiografia. L’ECG può essere normale oppure riflettere i previsti quadri di ingrossamento delle camere. L’aumento di dimensione dell’atrio destro, così come quello dell’atrio sinistro, si manifesta spesso sotto forma di onde P, alte ed ampie. Sono presenti in modo variabile segni di ingrossamento del ventricolo di sinistra o di destra. Radiografia del torace. In caso di stenosi valvolare atrioventricolare l’atrio è grande, mentre il ventricolo è piccolo. Nell’insufficienza valvolare, l’atrio ed il ventricolo del lato colpito sono ingrossati. Ecocardiografia. L’ecocardiografia bidimensionale consente spesso la visualizzazione di una struttura valvolare anonima. Il sovraccarico volumetrico del lato colpito del cuore risulta facilmente evidente se la valvola è insufficiente. L’atrio è dilatato (spesso gigante) ed il ventricolo mostra un’ipertrofia eccentrica. L’indagine Doppler può evidenziare insufficienza valvolare e stenosi. Trattamento. La prognosi nei cani e nei gatti con displasia della valvola atrioventricolare è estremamente variabile. Molti di questi soggetti sviluppano segni di insufficienza cardiaca congestizia durante il primo anno di vita, mentre altri restano asintomatici per anni. La terapia medica consiste nella somministrazione di digossina, diuretici e vasodilatatori per l’insufficienza valvolare. Il trattamento della stenosi valvolare è simile a quello utilizzato per la miocardiopatia ipertrofica o restrittiva; diuretici per il controllo dell’edema e beta-bloccanti e calcio-bloccanti per il controllo della frequenza cardiaca.

Insufficienza delle valvole semilunari L’insufficienza congenita isolata delle valvole semilunari, sia aortiche che polmonari, è poco comune negli animali. Si può avere un rigurgito polmonare derivante da una dilatazione idiopatica dell’arteria polmonare (basset hound) come conseguenza dell’ipertensione polmonare o della displasia della valvola polmonare, con o senza stenosi polmonare coesistente. In molti cani con dotto arterioso pervio si ha un rigurgito polmonare insignificante. Il rigurgito aortico è dovuto a malformazione della valvola (ipoplasia o lembi quadricuspidali), in associazione con stenosi aortica o come sequela di un ampio difetto del setto interventricolare situato appena al di sotto della valvola aortica. L’auscultazione rivela un soffio diastolico in decrescendo a livello della base del cuore sul lato di sinistra, in corrispondenza delle specifiche aree valvolari. Il soffio diastolico è solitamente accompagnato da un soffio di eiezione sistolico. Tali soffi sono occasionalmente confusi con il soffio con-

289

tinuo di un dotto arterioso pervio, ma raramente occupano l’intero ciclo cardiaco ed hanno una caratteristica qualità “a va e vieni”. Le alterazioni delle radiografie toraciche e dell’ECG riflettono l’ingrossamento del ventricolo colpito, che spesso è molto marcato. Di solito, nelle radiografie del torace risulta evidente l’aumento di dimensione del tratto prossimale dell’aorta (AI) e delle arterie polmonari (PI). La diagnosi definitiva dell’insufficienza delle valvole semilunari richiede una valutazione ecocardiografica (con immagini a codice di colore e Doppler spettrale). L’insufficienza polmonare isolata sembra essere ben tollerata anche nei casi gravi, mentre il rigurgito aortico moderato o grave spesso comporta conseguenze molto gravi. Il trattamento si fonda in gran parte sulla terapia medica utilizzando rimedi tradizionali. I vasodilatatori arteriosi possono essere abbastanza efficaci negli animali con rigurgito aortico quando non è presente una stenosi aortica.

DIFETTI CARDIACI CONGENITI CIANOGENI Le malformazioni che determinano la comparsa di cianosi consentono al flusso del sangue venoso sistemico (con una bassa saturazione di ossigeno) di aggirare il circolo polmonare e passare direttamente in quello sistemico. Le conseguenze di questa anastomosi da destra a sinistra sono rappresentate da cianosi, intolleranza all’esercizio fisico, crescita stentata da ipossia tissutale cronica e policitemia con aumento del rischio di trombosi. Gli unici difetti di shunt destra-sinistra clinicamente importanti nel cane sono la tetralogia di Fallot, i difetti del setto interatriale con comunicazione da destra a sinistra in associazione con stenosi polmonare ed il dotto arterioso pervio da destra a sinistra.

Tetralogia di Fallot La tetralogia di Fallot è il più comune difetto congenito accompagnato da cianosi dovuto a shunt da destra a sinistra (in TUTTE le specie). La condizione è meglio documentata nel keeshond, ma sono colpite molte razze. Esiste una gamma di difetti correlati che variano dagli aneurismi settali ai difetti del setto interventricolare isolati o stenosi polmonare ed alla completa tetralogia di Fallot. Anamnesi e riscontri clinici. (1) Animali piccoli, dalla crescita stentata, con un’anamnesi di intolleranza all’esercizio e/o dispnea. Il motivo della visita può essere la sincope. (2) Risulta evidente una cianosi simmetrica che diviene progressivamente più grave con l’esercizio. (3) Di solito è presente un soffio sistolico a livello dell’area polmonare (da stenosi polmonare); con l’ipoplasia dell’arteria polmonare, il soffio può essere assente. Elettrocardiografia. Si riscontra un quadro di ingrossamento del ventricolo destro; il ritmo cardiaco è solitamente normale. Radiografia del torace. (1) Le dimensioni complessive del cuore sono spesso normali, si può notare un ingrossamento del ventricolo destro. (2) Il segmento dell’arteria polmonare principale è variabile – può essere assente in caso di


290

ipoplasia dell’arteria polmonare, ingrossato da dilatazione poststenotica dell’arteria polmonare. (3) Ipoperfusione polmonare con grandi polmoni iperinsufflati radiotrasparenti che riflettono una dispnea cronica. (4) L’arco aortico può essere insolitamente prominente a causa dell’ampio shunt destra-sinistra. Ecocardiografia. L’ecocardiografia in M-mode e bidimensionale dimostra l’ipertrofia concentrica del ventricolo destro e la diminuzione delle dimensioni dell’atrio del ventricolo di sinistra. La presenza dello shunt da destra a sinistra può essere confermata con l’iniezione endovenosa di soluzione fisiologica agitata con aria o mediante codice di colore. Si può anche utilizzare la valutazione Doppler spettrale per quantificare la gravità della stenosi polmonare. Trattamento. La terapia medica consiste nella flebotomia periodica per il controllo delle conseguenze negative della policitemia e nella somministrazione di beta-bloccanti adrenergici per ridurre l’entità dello shunt (efficacia variabile). Gli interventi chirurgici comprendono una varietà di procedure finalizzate ad aumentare la perfusione ematica polmonare attraverso un’anastomosi fra sistema arterioso sistemico ed arteria polmonare. La correzione totale richiede un bypass cardiaco.

Dotto arterioso pervio con ipertensione polmonare La direzione dello shunt è di solito determinata entro le primissime settimane di età. Occasionalmente, tale direzione si inverte in una fase più avanzata della vita dell’animale. In questi casi, il soffio continuo gradualmente scompare man mano che le pressioni polmonari aumentano. Anamnesi e riscontri clinici. (1) La maggior parte degli animali colpiti viene portata alla visita prima del terzo anno

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

di età perché presenta una zoppia degli arti posteriori o una debolezza che viene esacerbata dall’esercizio fisico. Animali gravemente colpiti possono dare segni di profonda intolleranza all’esercizio e dispnea. (2) Risulta evidente una cianosi asimmetrica, che diviene progressivamente più grave con l’esercizio. (3) Nella maggior parte dei cani, con l’auscultazione non si apprezza alcun soffio, ma il secondo tono cardiaco è sdoppiato. (4) Il polso arterioso è normale, senza segni di insufficienza cardiaca. Elettrocardiografia: di solito è presente un evidente quadro di ingrossamento ventricolare destro; il ritmo cardiaco in genere è normale. Radiografia toracica. (1) Le dimensioni complessive del cuore sono spesso normali, si può notare un ingrossamento del ventricolo destro. (2) Di solito è visibile un rigonfiamento patognomonico nella sede di origine del dotto sull’aorta prossimale. (3) Ipoperfusione polmonare, ma i polmoni possono non apparire iper-radiotrasparenti se esiste un circolo collaterale broncoesofageo ben sviluppato. Ecocardiografia. L’ecocardiografia in M-mode e quella bidimensionale dimostrano l’ipertrofia concentrica del ventricolo destro. La presenza di uno shunt da destra a sinistra può essere confermata con l’iniezione endovenosa di soluzione fisiologica agitata con aria e con la valutazione dell’aorta discendente (addominale) o con la tecnica a codice di colore. Gli studi con radionuclidi condotti utilizzando albume macroaggregato sono particolarmente utili per quantificare l’entità dello shunt. Trattamento. Non esiste alcun rimedio efficace per questo difetto. I segni clinici sono aggravati dalla policitemia. La flebotomia spesso risulta efficace per ridurre la gravità delle manifestazioni cliniche. Molti cani colpiti sopravvivono sino alla media età o alla vecchiaia se i proprietari sono disposti ad accettare lo stile di vita obbligatoriamente sedentario dei loro compagni.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

291

Revisione e aggiornamenti sulla miocardiopatia felina David Sisson DVM, Dipl ACVIM-Cardiology - Università dell’Illinois, Urbana, Illinois, USA

Roberto Santilli Med Vet, Dipl ECVIM-CA (Cardiology) - Samarate (Varese)

Estratto completo Miocardiopatia ipertrofica Considerazioni diagnostiche. La miocardiopatia ipertrofica viene spesso definita come un’affezione miocardica caratterizzata da ipertrofia regionale o diffusa del ventricolo sinistro che si verifica in assenza di cause scatenanti note di ipertrofia ventricolare, escludendo disordini come la stenosi aortica fissa, l’ipertensione sistemica e l’ipertiroidismo. Sono colpiti gatti di tutte le età ed esiste una notevole predisposizione per i maschi. All’interno di questa popolazione di pazienti, sono state identificate due sottoclassi: quelli (la maggioranza) che presentano un’ostruzione dinamica del cono arterioso del ventricolo sinistro e quelli in cui tale alterazione è assente. Esistono alcuni problemi intrinseci di questa definizione/approccio alla diagnosi. La comune nozione secondo la quale tutti i gatti con ipertrofia del ventricolo sinistro ed ostruzione dinamica del relativo cono arterioso sono colpiti da una miocardiopatia ereditaria è probabilmente scorretta. L’ostruzione dinamica del cono arterioso del ventricolo sinistro è un fenomeno ben documentato che si riscontra nell’uomo, nel cane e nel gatto in una varietà di circostanze cliniche e può essere la causa piuttosto che la conseguenza dell’ipertrofia ventricolare sinistra osservata in questi pazienti. Esiste un’ampia documentazione del fatto che l’ostruzione dinamica del cono arterioso del ventricolo sinistro può derivare tanto da malformazioni della valvola mitrale quanto da numerosi difetti cardiaci congeniti ed acquisiti differenti che causano l’ipertrofia del setto interventricolare. È prevedibile che alcuni gatti giovani con ipertrofia concentrica del ventricolo sinistro ed ostruzione dinamica dello stesso siano affetti da una displasia primaria della valvola mitrale e che l’ipertrofia ventricolare sinistra che si osserva sia semplicemente una conseguenza dell’ostruzione. Se questa ipotesi è vera, nell’eventualità che sia possibile eliminare l’ostruzione con appropriati interventi medici o chirurgici si dovrebbe avere la risoluzione dell’ipertrofia ventricolare sinistra. È convinzione dell’autore che i gatti con ostruzione moderata o grave del cono arterioso debbano essere trattati in modo aggressivo con beta-bloccanti per abolire o dimi-

nuire l’ostruzione. Una sostanziale regressione dell’ipertrofia del ventricolo sinistro nell’arco dei 6 mesi successivi suggerisce una prognosi a lungo termine favorevole (ed inoltre mette in dubbio il ruolo primario di un disordine miocardico). Le ostruzioni dinamiche si verificano nei gatti con miocardiopatia primaria; quest’ultima condizione è suggerita dal riscontro di una sostanziale ipertrofia ventricolare sinistra accompagnata soltanto da una modesta ostruzione del cono arterioso. In queste circostanze, l’eliminazione dell’ostruzione con beta-bloccanti ha soltanto un modesto effetto sul grado di ipertrofia ventricolare sinistra. Il rimodellamento senile del cuore nei gatti anziani spesso determina un rigonfiamento muscolare a livello della base del setto interventricolare, che, a sua volta, genera le condizioni che favoriscono lo sviluppo dell’ostruzione dinamica del cono arterioso. Nei gatti anziani l’aorta è caratterizzata da una minore compliance e via via che il vaso così irrigidito perde la capacità di espandersi circonferenzialmente si ha un’attenuazione dell’“effetto mantice”. Col tempo, l’aorta si allunga gradualmente al fine di accogliere la gittata sistolica eiettata e ciò fa sì che il cuore si sposti in una posizione più orizzontale nel torace. L’aorta spesso fuoriesce dal cuore formando un angolo più acuto del normale e la base del setto interventricolare inizia a protrudere nel cono arterioso, predisponendo il gatto anziano all’ostruzione dinamica. La gravità di quest’ultima in questi animali è solitamente modesta. In genere, i soggetti che mostrano questo fenomeno non presentano un sostanziale ingrossamento dell’atrio sinistro e non sono molti i casi che sembrano sviluppare un’insufficienza cardiaca congestizia palese. Probabilmente, in queste circostanze non è appropriato né attuare una terapia aggressiva né formulare una prognosi catastrofica. Inoltre, il riscontro isolato di un lieve aumento dello spessore della parete del setto a livello della base del cuore in un gatto anziano, non accompagnato da dilatazione dell’atrio sinistro o da altri segni di malattia clinica, probabilmente non è sufficiente a formulare una diagnosi convincente di miocardiopatia ipertrofica. I riscontri ecocardiografici nella miocardiopatia ipertrofica sono rappresentati da ingrossamento dell’atrio sinistro, incremento dello spessore della parete ventricolare sinistra e di quella del setto durante la diastole, riduzione delle dimensioni telesistoliche del ventricolo sinistro, valore norma-


292

le o aumentato degli indici di contrattilità (accorciamento frazionale) e, nei casi con ostruzione dinamica del cono arterioso del ventricolo sinistro, movimento anteriore sistolico della valvola mitrale e chiusura mediosistolica di quella aortica. Le misurazioni ecocardiografiche in M-mode nei gatti con miocardiopatia ipertrofica sono utili, ma per dimostrare la reale estensione dei diversi quadri di ipertrofia ventricolare osservati nei soggetti colpiti è necessaria un’accurata valutazione dell’intero cuore, sia nei piani ad asse lungo che ad asse breve mediante ecocardiografia bidimensionale. L’aumento dello spessore della parete (solitamente definito come > 6 mm) si osserva globalmente per tutta l’estensione del setto interventricolare e della parete del ventricolo sinistro di alcuni gatti, ma in altri l’ipertrofia è limitata ad un segmento del setto interventricolare o della parete del ventricolo sinistro. Gli studi Doppler e le indagini a codice di colore sono utili per dimostrare la presenza e la gravità dell’ostruzione del deflusso del ventricolo sinistro, del rigurgito mitrale e delle anomalie di riempimento dello stesso ventricolo. La dimostrazione di una compromissione del rilassamento ventricolare o di una dilatazione dell’atrio sinistro in presenza di ipertrofia idiopatica del ventricolo ipsilaterale costituisce un quadro convincente su cui basare la diagnosi di miocardiopatia ipertrofica. Il tempo di rilassamento isovolumetrico (IVRT) può essere aumentato; le ampiezze dell’onda A transmitralica possono essere incrementate, mentre quelle dell’onda E transmitralica ed il tempo di decelerazione possono essere diminuite. L’elevata pressione dell’atrio sinistro può determinare una (pseudo)normalizzazione di queste misure. In molti gatti colpiti, un aumento della frequenza cardiaca provoca la fusione delle onde E ed A transmitraliche, impedendo l’osservazione di una riduzione del rapporto E/A. La visualizzazione Doppler dei tessuti può dimostrare una riduzione delle velocità anulari È (È è l’equivalente Doppler tissutale dell’ampiezza dell’onda E transmitralica) ed un aumento del rapporto E/E’ via via che la pressione dell’atrio sinistro aumenta. Con la valutazione Doppler del flusso venoso polmonare è anche possibile identificare una prominente onda “A” inversa. Test biochimici. Le prove del fatto che i gatti con miocardiopatia ipertrofica presentano un incremento delle concentrazioni circolanti di peptidi natriuretici atriali ed encefalici sono in continuo aumento. Nei gatti con miocardiopatia ipertrofica sono spesso elevate anche le concentrazioni sieriche di troponina, ed in particolare della troponina I, un marker che può anche essere utile per identificare i gatti colpiti. I test per la misurazione dei livelli di peptidi natriuretici e/o di troponina I sierica possono essere utili mezzi di screening per l’identificazione dei soggetti malati. Questi saggi sarebbero senza dubbio economicamente più convenienti dell’ecocardiografia come strumento di screening. Trattamento dei gatti con miocardiopatia ipertrofica semplice od ostruttiva. La terapia medica dei gatti con miocardiopatia ipertrofica semplice od ostruttiva ed insufficienza cardiaca congestizia impone l’uso della furosemide per il controllo dell’edema. Il valore dell’inibizione del RAAS (sistema renina-angiotensina-aldosterone) è meno certo, ma esistono convincenti prove del fatto che tale sistema viene

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

attivato nei gatti con insufficienza cardiaca congestizia palese dovuta a miocardiopatia ipertrofica. Per contrastare queste alterazioni si possono utilizzare l’enalapril o il benazepril alla dose di 0,5 mg/kg ogni 24 ore e lo spironolattone alla dose di 1,0-2,0 mg/kg ogni 12 ore, ma l’efficacia clinica di questi interventi è incerta. Prima dell’insorgenza dell’insufficienza cardiaca palese, l’attività della renina plasmatica e le concentrazioni sieriche di aldosterone sono entro i limiti della norma. Non ci sono prove dell’utilità degli ACE-inibitori in queste circostanze. Poiché è noto che la miocardiopatia ipertrofica compromette lo riempimento diastolico, il trattamento dei gatti sintomatici deve essere volto a controllare la tachicardia esistente (per aumentare il periodo di riempimento diastolico) ed incrementare la capacità di rilassamento del cuore (lusitropia). Nei pazienti con ostruzione dinamica, l’uso di un farmaco inotropo negativo di solito diminuisce il grado di ostruzione (mentre gli inotropi positivi possono aggravarla). L’atenololo, alla dose di 6,25-12,5 mg/gatto una o due volte al giorno, viene comunemente utilizzato per rallentare la frequenza cardiaca e ridurre o eliminare l’ostruzione dinamica. Per migliorare lo riempimento e diminuire la frequenza cardiaca è stato suggerito l’impiego del diltiazem alla dose di 1,0-1,5 mg/kg ogni 8 ore. In alternativa, per rallentare la frequenza cardiaca è possibile utilizzare il diltiazem long-acting, come il cardizem CD (10 mg/kg ogni 24 ore) o il dilacor XR® (60 mg/gatto ogni 1224 ore). Il diltiazem non è efficace per ridurre o eliminare le ostruzioni dinamiche del cono arterioso del ventricolo sinistro. Nei gatti con miocardiopatia ipertrofica i vasodilatatori arteriosi sono da evitare. Quelli venosi, come la pomata alla nitroglicerina, possono essere utilizzati per contribuire ad alleviare i segni congestizi, ma la loro efficacia nel gatto resta da dimostrare. Acido acetilsalicilico, eparina o warfarin vengono somministrati ai gatti considerati esposti ad un sostanziale rischio di tromboembolismo, ma le loro specifiche indicazioni restano vaghe. Prognosi dei gatti con miocardiopatia ipertrofica. La prognosi dei gatti con miocardiopatia semplice od ostruttiva è riservata ed il decorso della malattia spesso è imprevedibile. L’insufficienza cardiaca è più comune dell’embolismo arterioso come causa di morte ed il decesso improvviso è il meno comune fra gli esiti indesiderati. I gatti con ostruzioni dinamiche sembrano presentare un decorso migliore di quelli che non mostrano questa anormalità. Atkins et al. hanno riferito che la sopravvivenza dei gatti con miocardiopatia ipertrofica non era influenzata da età al momento della diagnosi, razza, peso corporeo o sesso. Tuttavia, i soggetti che all’esame iniziale presentavano frequenze cardiache inferiori a 200 battiti/minuto sono sopravvissuti più a lungo di quelli in cui tale parametro era superiore a 200 battiti/minuto ed i gatti che non presentavano segni clinici al momento della diagnosi iniziale hanno vissuto più a lungo di quelli con segni di insufficienza cardiaca o di embolismo arterioso sistemico. Il tempo di sopravvivenza mediano di tutti i gatti con miocardiopatia ipertrofica è stato di 732 giorni. Rush et al. hanno riferito un tempo di sopravvivenza complessivo di durata analoga (709 giorni) ed hanno identificato l’età dei soggetti esaminati, riscontrando che la sopravvivenza era correlata negativamente con essa e con le dimensioni dell’a-


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

trio sinistro. Secondo l’esperienza dell’autore, queste ultime e la frequenza cardiaca sono utili elementi di previsione del decorso clinico. I gatti con grave congestione e frequenza cardiaca rallentata o normale sono molto difficili da trattare. In questi casi, l’ulteriore riduzione della frequenza cardiaca risulta di scarsa utilità. Inoltre, nei gatti con atrio sinistro di piccole dimensioni, ed in particolare in quelli con lieve ipertrofia ventricolare sinistra o ipertrofia limitata alla base del setto interventricolare, la prognosi è buona. Spesso è possibile attenuare o risolvere l’ipertrofia ventricolare sinistra nei gatti con un’ostruzione dinamica del cono arterioso ed un’ipertrofia lieve o moderata del ventricolo sinistro ricorrendo al trattamento con un farmaco beta-bloccante adrenergico (atenololo). Il riscontro di un atrio sinistro ingrossato e di una marcata ipertrofia generalizzata del ventricolo sinistro indica tipicamente una prognosi a lungo termine riservata o sfavorevole. La prognosi è peggiore in presenza di una trombosi sistemica ed è da considerare grave in caso di identificazione di una grande trombosi intratriale.

Miocardiopatia restrittiva Questa classe di disordini miocardici è caratterizzata da una compromissione dello riempimento diastolico del ventricolo sinistro con mantenimento o solo modesta riduzione della funzione sistolica, con assente o solo modesta ipertrofia compensatoria del ventricolo sinistro. I gatti anziani sono colpiti con maggiore frequenza di quelli giovani ed i maschi più spesso delle femmine. Gli animali malati possono essere portati alla visita perché presentano un’insufficienza cardiaca acuta con congestione polmonare oppure una forma più cronica, frequentemente accompagnata da versamento pleurico. Il riconoscimento clinico si effettua generalmente attraverso l’ecocardiografia e viene infine confermato alla necroscopia. Il riscontro ecocardiografico più costante è la dilatazione dell’atrio sinistro. Le dimensioni diastoliche del ventricolo sinistro sono di solito normali, ma possono essere leggermente aumentate o diminuite. Nel setto o nel ventricolo sinistro di alcuni gatti si osservano vari quadri di ipertrofia miocardica regionale, che generano una certa confusione con la miocardiopatia ipertrofica felina. Alcuni gatti colpiti da quest’ultima condizione possono sviluppare un’estesa ischemia miocardica e fibrosi, con conseguente fisiologia restrittiva. In alcuni gatti si osserva un ispessimento diffuso dell’endocardio, mentre altri sviluppano una cicatrice a ponte nella metà medioinferiore del ventricolo sinistro. L’ingrossamento del cuore destro è variabile, ma in alcuni casi può essere marcato. Gli indici contrattili sistolici possono essere normali o leggermente depressi. A meno che non sia presente una distorsione della camera ventricolare sinistra o non si osservino ampie aree di endocardio o miocardio iperecogeni, la diagnosi spesso è incerta. Le indagini Doppler ed a codice di colore sono utili per dimostrare la presenza e la gravità dell’insufficienza della valvola mitrale e tricuspide e le anomalie dello riempimento del ventricolo sinistro. Il “classico” quadro di riempimento transmitrale del ventricolo sinistro nella miocardiopatia restrittiva, pure essendo aspecifico, è costituito da una grande onda T, un’onda A minuscola ed un’abbreviazione del tempo di decelerazione del-

293

l’onda E. La valutazione Doppler del flusso venoso polmonare può contribuire a chiarire la specificità di questo riscontro. Le indagini Doppler tissutali sono utili per dimostrare la tipiche riduzioni delle onde E’ ed A’ anulari. Il rapporto E/E’ è spesso notevolmente aumentato. Trattamento e prognosi dei gatti con miocardiopatia restrittiva/miocardiopatia non classificata. Nei gatti con miocardiopatia restrittiva/miocardiopatia non classificata le probabilità di insorgenza di un versamento pleurico sono molto maggiori che in quelli con miocardiopatia ipertrofica semplice od ostruttiva. Nei soggetti del primo gruppo, rispetto a quelli del secondo, è anche molto più probabile la comparsa di fibrillazione atriale e complicazioni tromboemboliche. Per mettere in atto un trattamento clinico efficace spesso è necessario ricorrere alla toracentesi per rimuovere la maggior quantità possibile di liquido pleurico. Le recidive del versamento vengono ridotte al minimo con una terapia combinata a base di furosemide, ACE-inibitori e spironolattone. Il trattamento con nitrato è di utilità incerta. La necessità di effettuare il controllo della frequenza cardiaca ed il mantenimento del ritmo sinusale è simile a quella della miocardiopatia ipertrofica felina. La qualità della vita è scadente e la prognosi è sfavorevole. I gatti colpiti di solito necessitano di toracentesi periodiche e meticolose cure infermieristiche. In questa popolazione è molto comune il tromboembolismo sistemico.

Disordini miocardici non comuni e non classificati Un buon numero di gatti con segni clinici di cardiopatia o insufficienza cardiaca non può essere fatta rientrare agevolmente in una delle classiche forme di miocardiopatia sinora descritte. Alcuni sono colpiti da endomiocardite attiva di origine incerta. Altri sono affetti da qualche altro disordine poco comune come la miocardiopatia aritmogena del ventricolo destro o la miopatia atrioventricolare.

Miocardiopatia associata ad ipertensione sistemica L’incidenza complessiva dell’ipertensione sistemica nel gatto è sconosciuta, ma è molto meno comune di quella della miocardiopatia semplice/ostruttiva. Le malattie dei gatti associate ad ipertensione sistemica comprendono ipertiroidismo, nefropatia cronica, diabete mellito, acromegalia ed aldosteronismo primario. Le caratteristiche patologiche della miocardiopatia ipertensiva non sono state ben descritte nel gatto e possono essere indistinguibili da quelle osservate nella miocardiopatia ipertrofica felina. La cardiopatia è comune nei gatti con ipertensione sistemica, ma la prevalenza dell’insufficienza cardiaca è molto bassa. Molti animali colpiti mostrano segni di ipertrofia concentrica del ventricolo sinistro. Si può anche osservare un modesto ingrossamento dell’atrio sinistro. È comune una lieve ostruzione dinamica del cono arterioso del ventricolo destro, che offre una valida spiegazione dei soffi lievi comunemente auscultati a livello


294

dello sterno dei gatti colpiti. La pressione sanguigna di questi animali va preferibilmente misurata con la tecnica Doppler. Aumenti transitori di questo parametro in associazione con “lo stress da misurazione” sono comuni nel gatto. Pertanto, negli animali di questa specie le misurazioni pressorie devono essere confermate attraverso molteplici determinazioni ed i modesti aumenti della pressione sanguigna devono essere considerati con un certo scetticismo. È stato dimostrato che un calcio-bloccante, l’amlodipina (0,625 mg per os 24 ore) abbassa la pressione sanguigna nella maggior parte dei gatti ipertesi. Si deve anche prendere in considerazione l’impiego concomitante di un ACE-inibitore, lo spironolattone, o di un beta-bloccante.

Bibliografia Fox PR. Feline Cardiomyopathies. In Fox PR, Sisson D, and Moise NS. Eds. Textbook of Canine and Feline Cardiology: Principals and Clinical Practice (second edition). Philadelphia: WB Saunders, 1999; 621-78. Stalis IH, Bossbaly MJ, Van Winkle TJ. Feline endomyocarditis and left ventricular endocardial fibrosis. Vet Pathol 1995; 32(2):122-6. Rush JE, Freeman LM, Fenollosa NK, Brown DJ.Population and survival characteristics of cats with hypertrophic cardiomyopathy: 260

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

cases (1990-1999). J Am Vet Med Assoc 2002; 220(2):202-7. Taugner FM. Stimulation of the renin-angiotensin system in cats with hypertrophic cardiomyopathy. J Comp Pathol 2001; 125(2-3):122-9 Fox PR, Maron BJ, Basso C, et al. Spontaneously occurring arrhythmogenic right ventricular cardiomyopathy in the domestic cat: A new animal model similar to the human disease. Circulation 2000; 10;102(15):1863-70. Gavaghan BJ, Kittleson MD, Fisher KJ, et al. Quantification of left ventricular diastolic wall motion by Doppler tissue imaging in healthy cats and cats with cardiomyopathy. Am J Vet Res 1999; 60(12): 1478-86. Bright JM, Herrtage ME, Schneider JF. Pulsed Doppler assessment of left ventricular diastolic function in normal and cardiomyopathic cats. J Am Anim Hosp Assoc 1999; 35(4):285-9. Rush JE, Freeman LM, Brown DJ, et al. The use of enalapril in the treatment of feline hypertrophic cardiomyopathy. J Am Anim Hosp Assoc 1998; 34(1):38-4. Fox PR, Liu SK, Maron BJ. Echocardiographic assessment of spontaneously occurring feline hypertrophic cardiomyopathy. An animal model of human disease. Circulation 1995; 92(9):2645-51. Atkins CE, Gallo AM, Kurzman ID, et al. Risk factors, clinical signs, and survival in cats with a clinical diagnosis of idiopathic hypertrophic cardiomyopathy: 74 cases (1985-1989). J Am Vet Med Assoc 1992; 201(4):613-8. Stalis IH, Bossbaly MJ, Van Winkle TJ. Feline endomyocarditis and left ventricular endocardial fibrosis. Vet Pathol 1995; 32(2):122-6.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

295

Trattamento dell’osteomielite acuta e cronica Thomas M. Turner DVM, Dipl ACVS - VCA Berwin, Animal Hospital, Berwyn, Illinois, USA

Estratto breve L’osteomielite è nota da migliaia di anni, risalendo sino ai tempi degli egizi. Le infezioni dell’osso possono derivare da un’origine endogena, situata all’interno dell’organismo, che si diffonde all’osso secondariamente, o più comunemente, da un’infezione primaria proveniente da una fonte esogena, sia traumatica che iatrogena. L’osteomielite interessa tutte le superfici ossee, il periostio, gli spazi di Havers, e l’endostio. Infine, si ha un’estensione del processo ai tessuti molli circostanti. I classici segni radiografici dell’osteomielite sono rappresentati da lisi dell’osso, sclerosi adiacente all’area infetta, reazione periostale evidente e, occasionalmente, un’area di sequestro osseo. La sclerosi generalmente delinea l’area precedentemente infetta e riflette il tentativo dell’osso di isolarla. La classica reazione indicativa di osteomielite è caratterizzata dalla presenza di un margine periostale rilevato, di aspetto cotonoso e mal definito. Questo quadro di solito presenta un’ampia gamma di radiopacità. In alcuni casi, un’area di osso necrotico risulta isolata e separata dal tessuto osseo circostante visibile sotto forma di una radiotrasparenza progressiva ai margini dell’osso fra il tessuto normale e quello infetto. In presenza di impianti, si nota un’evidente radiotrasparenza lungo l’interfaccia fra questi e l’osso. Col tempo, tale radiotrasparenza si estende intorno l’impianto ed aumenta di ampiezza. Questo processo esita nell’allentamento dell’impianto e nella perdita di stabilità della frattura. L’osteomielite può essere distinta in base allo stadio dell’infezione, che può essere acuta o cronica. Nei casi di osteomielite acuta, è possibile destare facilmente una risposta algica con la palpazione dell’osso colpito ed osservare macroscopicamente una concomitante reazione periostale molto prominente che si estende ampiamente nei tessuti molli adiacenti. L’osteomielite acuta va trattata immediatamente. La terapia consiste, come per qualsiasi altra infezione, nell’instaurare un drenaggio ed attuare una revisione chirurgica della ferita. Nel trattamento dell’osteomielite è necessario compiere in sequenza diversi passi. Il primo è l’esplorazione della ferita, aprendo il precedente campo operatorio al fine di consentire il drenaggio di tutti gli eventuali fluidi in eccesso ed effettuare un abbondante lavaggio dell’area. Dalla profondità della cavità ossea si devono prelevare campioni da destinare alle colture aerobiche ed anaerobiche. Successivamente, si passa ad un’ocu-

lata revisione chirurgica, rimuovendo tutti i tessuti necrotici o devitalizzati. Una volta che la ferita sia stata aperta, irrigata e ripulita è necessario compiere un’accurata valutazione delle strutture formate da tessuti molli sottostanti ed adiacenti. Dopo aver adottato le misure sinora descritte, si effettua un abbondante lavaggio del campo operatorio. La stabilità della frattura si basa sulla riduzione anatomica della stessa e sulla sua successiva stabilizzazione, preferibilmente con una placca o un fissatore esterno. La soluzione di continuo può essere lasciata completamente aperta a guarire per seconda intenzione, oppure parzialmente chiusa in modo da consentire comunque l’irrigazione ed il drenaggio. Si avvia una terapia endovenosa con antibiotici appropriati, appositamente scelti. Se risulta stabile, il precedente sistema di fissazione può essere lasciato in situ durante la risoluzione dell’infezione. Per ottenere l’unione dell’osso in presenza di un’infezione è di importanza critica che la frattura rimanga stabile e che l’area interessata venga sottoposta ad accurati interventi di revisione chirurgica e drenaggio. A seconda dell’entità dell’infezione e della salute dei tessuti molli, si può prendere in considerazione o meno la possibilità di ricorrere ad una fissazione supplementare, una volta accertata la presenza di un tessuto vitale, con innesti di osso spongioso, che possono facilitare il processo di guarigione. Gli innesti corticali sono da evitare, perché possono portare ad un sequestro. La chiave per ottenere il successo dell’unione ossea è quella di evitare l’ulteriore danneggiamento della vascolarizzazione dell’osso e, cosa di estrema importanza nell’osteomielite, mantenere la stabilità dell’impianto. L’osteomielite cronica è di solito un processo insidioso ad insorgenza molto lenta. Anche per trattare questo tipo di infezione è necessario rispettare alcuni degli stessi principi già ricordati. Dopo l’incisione e l’esplorazione della ferita, il prelievo di campioni da destinare alle colture e la revisione ed irrigazione della parte, è possibile applicare primariamente o con tecnica ritardata un innesto di osso spongioso. Successivamente, a differenza di quanto accade nell’osteomielite acuta, può essere necessario eseguire una sequestrectomia e poi un ampio curettage dell’osso adiacente. Un processo differente che si può trovare nel trattamento delle fratture esposte è quello descritto da Papineau. Il metodo di questo autore per il trattamento dell’osteomielite si articola in tre stadi. Nel primo, si attua la fissazione, preferibilmente esterna, e si rimuovono i precedenti im-


296

pianti. Fatto ciò, si esegue un’oculata revisione chirurgica seguita da un abbondante lavaggio. Lo stadio due consiste nel curettage del canale midollare per rimuovere tutti i tessuti devitalizzati ed ogni traccia di tessuto fibroso infetto. Si valuta la stabilità della sede dell’impianto e, se necessario, si esegue una stabilizzazione aggiuntiva. Nel secondo stadio di Papineau l’area viene sottoposta ad abbondante lavaggio e revisione chirurgica sino a raggiungere il tessuto sano e sanguinante, sia osseo che molle. Si asporta anche l’eccesso di tessuto di granulazione e, se necessario, si può applicare al focolaio di frattura un innesto di osso spongioso e si copre l’area con un bendaggio sterile. Lo stadio tre di Papineau consiste in una revisione chirurgica aggiuntiva seguita dalla chiusura della ferita. Se il sistema

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

di fissazione non ha garantito il mantenimento di una rigida stabilità, bisogna ridurre la frattura ed ottenere il corretto allineamento per assicurare l’immobilizzazione della frattura. Nella maggior parte dei casi di osteomielite, le ferite vengono lasciate aperte a guarire per seconda intenzione. Per ottenere una revisione completa può essere necessario giungere sino all’escissione dell’osso. Questi interventi vengono effettuati preferibilmente rispettando la corretta sequenza delle seguenti operazioni: fistulectomia, sequestrectomia, detersione della cavità osteomielitica e trapanazione del canale midollare. Se si assicura un drenaggio e si mantiene una rigida fissazione, si può ottenere persino una guarigione dell’osso per prima intenzione anche in presenza di un’infezione.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

297

Trattamento delle fratture esposte Thomas M. Turner DVM, Dipl ACVS - VCA Berwin, Animal Hospital, Berwyn, Illinois, USA

Estratto breve Le fratture esposte, a differenza di quelle chiuse, richiedono un trattamento immediato. Per definizione, col termine di fratture esposte si indicano i casi in cui si instaura una comunicazione fra l’osso e l’ambiente esterno. Di conseguenza, tutte queste fratture sono contaminate e potenzialmente infette. Necessitano pertanto di un trattamento immediato della ferita e della pronta stabilizzazione della soluzione di continuo dell’osso. Le fratture esposte vengono comunemente distinte in tre gradi: Grado I – fratture esposte che derivano da frammenti ossei traumatizzanti che protrudono all’esterno attraversando la cute. In generale, si tratta di lesioni con pochi frammenti che esitano nella contusione e nella ferita penetrante della cute. Grado II – fratture esposte derivanti dalla penetrazione di un oggetto esterno attraverso la cute ed i tessuti molli sino a causare la soluzione di continuo dell’osso. Generalmente, il danno dei tessuti molli ed il trauma osseo sono maggiori di quelli che si osservano nelle fratture di grado I. Grado III – fratture esposte che derivano da gravi traumi esterni con ampia avulsione di tessuti molli dall’osso e perdita di parte delle strutture. Di solito è presente un elevato grado di frammentazione dell’osso, che spesso è andato in parte perduto. La stabilizzazione delle condizioni del paziente ha la precedenza sul trattamento definitivo della frattura. Non appena viene presentato alla visita un caso di questo tipo, è indicata l’applicazione di un bendaggio sterile temporaneo per prevenire l’ulteriore contaminazione della lesione da parte della flora batterica nosocomiale e per assicurare un temporaneo sostegno alla frattura ed all’arto. Una volta stabilizzate le condizioni del paziente, si può passare alla riparazione definitiva della lesione ossea. Il trattamento della frattura esposta deve procedere per gradi. L’intervento iniziale è di capitale importanza per ottenere il successo della guarigione della ferita e dell’osso. Con l’animale in anestesia generale, si rimuove il bendaggio sterile e si prelevano campioni da destinare alle op-

portune colture, aerobiche ed anaerobiche. La ferita viene protetta con pomata lubrificante sterile idrosolubile (K-Y Gel) o con un tampone di garza sterile inumidito, mentre l’arto viene tosato per evitare ulteriori contaminazioni della parte. La ferita e l’arto vengono quindi ripulite in modo da rimuovere i detriti macroscopici e preparati chirurgicamente. Dopo aver effettuato la delimitazione del campo operatorio con teli sterili, si esegue un’oculata revisione chirurgica della zona lesa, seguita da un lavaggio approfondito ed abbondante. La ferita deve essere ampliata in modo da esporre ulteriormente il tessuto devitalizzato e contaminato. I tessuti dalla vitalità dubbia possono essere preservati ed eventualmente escissi nel corso di successive revisioni. Quelli palesemente devitalizzati, ed in particolare cute, sottocute, muscolatura e fascia, vengono asportati. Si effettua un abbondante lavaggio della ferita con soluzione fisiologica utilizzando una siringa, una sacca da infusione pressurizzata oppure un sistema di lavaggio pulsante per allontanare i materiali estranei. Bisogna evitare di raggiungere pressioni elevate, perché ciò potrebbe spingere detriti ed agenti contaminanti ancor più in profondità nei piani tissutali. Una volta che la ferita contaminata sia stata trasformata in una pulita, è possibile cambiare lo strumentario chirurgico ed i teli sterili di delimitazione del campo operatorio e passare alla riparazione definitiva della frattura. I due metodi di fissazione che vengono generalmente preferiti nel trattamento delle fratture esposte sono i fissatori esterni e la stabilizzazione interna con placche da osteosintesi. In alcuni casi le ossa possono essere facilmente posizionate anatomicamente e fissate con viti a compressione, ma la manipolazione dei frammenti della frattura deve essere solo di minima entità. In caso contrario, la frattura viene ridotta sino ad ottenere l’allineamento anatomico, dopo di che si applica il sistema di fissazione senza immobilizzare i singoli frammenti. Evidenti difetti tissutali dovuti alla comminuzione o alla perdita di osso vengono colmati con innesti di osso spongioso. Rittman e Burri, nel corso di studi sulle fratture, hanno dimostrato che anche in presenza di infezioni si può ottenere una guarigione primaria dell’osso con la fissazione interna. Nei casi in cui è possibile, è auspicabile coprire l’osso con i tessuti molli per favorirne la rivascolarizzazione. La chiusura primaria di una frattura esposta è controversa. Spesso, si parla di un “periodo d’oro” di 6 ore, intendendo con questo termine l’intervallo di tempo entro il


298

quale una ferita contaminata, trasformata in una pulita con le cure appropriate, può essere chiusa; le ferite infette, invece, non vanno chiuse. In ortopedia veterinaria, la capacità di definire questo intervallo di tempo e l’entità della contaminazione con cui i nostri pazienti vengono portati alla visita rende spesso difficile l’applicazione di questa regola. Di conseguenza, nei casi dubbi, la ferita va lasciata aperta e trattata con ulteriori interventi di revisione chirurgica, se necessario, e con frequenti sostituzioni dei bendaggi sterili, ritardando la chiusura di parecchi giorni o lasciando guarire la soluzione di continuo per seconda intenzione.

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Ulteriori procedure di ricostruzione, come l’aggiunta di innesti ossei o cutanei, in caso di necessità, potranno essere effettuati più tardi. I principi di base del trattamento delle fratture esposte sono: (1) immediata attenzione alla ferita con meticolosa revisione chirurgica ed abbondante lavaggio, fissazione rigida della frattura mediante mezzi esterni o interni per favorire il rapido ritorno della funzione delle articolazioni e dell’arto mantenendo al tempo stesso la stabilità della frattura e (3) frequenti valutazioni cliniche e radiografiche, necessarie fino alla completa guarigione della ferita e della frattura.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

299

Errori e complicazioni nel trattamento delle fratture Thomas M. Turner DVM, Dipl ACVS - VCA Berwin, Animal Hospital, Berwyn, Illinois, USA

Estratto breve La valutazione critica dei casi di interesse ortopedico che coinvolgono la fissazione delle fratture è importante per determinare il successo o il fallimento di un particolare principio e tecnica di fissazione. I cedimenti sono in realtà dovuti nella maggior parte dei casi ad errori nella tecnica di applicazione del sistema di fissazione; ciò inevitabilmente conduce alla perdita di tenuta sull’osso del mezzo di stabilizzazione e, successivamente, alla perdita di stabilità dell’impianto. È possibile suddividere gli errori tecnici in mancata applicazione dei principi di fissazione interna o esterna, cedimento dell’impianto, cedimento dell’osso o problemi legati al paziente. Indipendentemente dal fatto che si usino viti, placche, chiodi, fili metallici o fissatori esterni, è necessario attenersi ai corretti principi di applicazione di ognuno di essi. Per il successo della fissazione delle fratture è fondamentale conoscere e saper mettere in atto l’applicazione clinica del mezzo di fissazione utilizzato. Il cedimento delle viti può essere dovuto a: non corretta preparazione del foro per la vite, mancato allineamento anatomico dei frammenti di frattura al momento dell’applicazione, non corrette dimensioni della vite, cattivo allineamento del suo asse rispetto al piano di frattura, inserimento della vite troppo vicino al focolaio di frattura, eccessivo o insufficiente serraggio della vite, mancato ingaggio dell’osso da parte del filetto della vite o infezione dell’osso intorno alla vite. Fattori simili sono responsabili del cedimento della fissazione con chiodi o con fissatori esterni. Analogamente, il mancato rispetto dei principi relativi alla corretta scelta delle dimensioni, posizionamento e serraggio dei fili di cerchiaggio o emicerchiaggio conduce al cedimento della fissazione quando si utilizza questo metodo. Le opzioni che si possono impiegare nei casi in cui non si riesce ad ottenere l’ingaggio di una vite sono: (1) reindirizzare l’asse di inserimento della vite, (2) utilizzare una vite di diametro maggiore, (3) utilizzare un differente punto dell’osso per ottenere se possibile una fissazione simile o, (4) in rari casi, applicare un cemento osseo nel foro e reinserire la vite. Il cedimento della fissazione con placca può essere correlato a non corretta riduzione della frattura, impiego di placche di dimensioni, robustezza e lunghezza inadeguate, scelta errata della placca, cattiva sagomatura del profilo della stessa rispetto alla superficie ossea ed applicazione della placca alla su-

perficie ossea non in tensione. Cause analoghe, con riferimento alle barre di connessione ed ai morsetti, possono contribuire al cedimento della fissazione quando si utilizza un fissatore esterno. In particolare, la perdita della fissazione può essere dovuta all’impiego di barre di diametro, lunghezza o robustezza inadeguate e di morsetti non sufficientemente serrati e non distribuiti lungo l’intera lunghezza delle barre. Nel complesso, la scelta di una impropria configurazione (tipo 1, 2 o 3) del fissatore esterno per una specifica frattura e la cattiva realizzazione o assemblaggio dello stesso possono portare al cedimento della fissazione della frattura quando si utilizza questo metodo. È importante notare che è possibile prevenire o correggere tutti questi fattori. La maggior parte dei cedimenti del metallo è dovuta principalmente a cattiva applicazione, scelta di dimensioni non corrette dell’impianto o danno iatrogeno dello stesso durante l’applicazione, come nel caso di ripetute curvature nello stesso punto di una placca durante la sua sagomatura. I difetti di fabbricazione o di materiale responsabili di rottura dell’impianto sono rari. Attualmente, i processi e gli standard di produzione degli impianti sono elevati e rigorosamente controllati. L’autentico cedimento del metallo di solito può essere identificato e fatto risalire all’impiego concomitante di metalli dissimili o all’alterazione di una superficie di impianto durante l’applicazione del mezzo di fissazione, che può portare a corrosione e, nei casi estremi, alla rottura del metallo. Il cedimento della fissazione può anche essere dovuto a problemi di carattere qualitativo e quantitativo riferibili all’osso. Possono essere presenti stati patologici sottostanti locali o sistemici, come una nefropatia, in grado di esitare in una riduzione della mineralizzazione dell’osso che conduce a scarso ingaggio dell’impianto. I problemi locali che possono influire sulla qualità dell’osso sono rappresentati da infezione, trauma ed osteoporosi da mancato uso. Per integrare questi stati deficitari può essere necessario ricorrere ad ulteriori metodi o tecnologie di fissazione o all’innesto osseo. Il cedimento dell’osso può essere dovuto a fessurazioni non rilevate, frammentazione e riassorbimento che porta ad un cattivo ingaggio dell’impianto. Le unioni ritardate sono attribuibili a scarsa vascolarizzazione, cattiva stabilità o mancanza di tessuto osseo. Ognuno di questi processi richiede un trattamento differente. Per la compromissione vascolare può essere necessaria la revisione chirurgica, l’esposizione del canale midollare o la copertura con tessuti molli. La scadente


300

stabilizzazione impone la revisione dell’impianto o l’aggiunta di altri mezzi di fissazione. La riduzione del tessuto osseo disponibile comporta l’attuazione di interventi di innesto osseo. Il cedimento della fissazione può anche essere riferibile al paziente. In generale, questi casi sono dovuti ad eccessivo impiego dell’arto prima della guarigione della frattura ed ad autotraumatismo. Bisogna spiegare in modo dettagliato e specifico al proprietario entro quali spazi confinare l’animale e quale livello e frequenza di attività gli vengono concessi. La rivalutazione periodica, clinica

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

e radiografica, dell’animale, dell’arto colpito e della frattura può contribuire a rilevare i segni iniziali di cedimento e permettere l’attuazione del trattamento necessario, al fine di prevenire un insuccesso completo. Questi interventi concorrono a diminuire questa potenziale causa di cedimento. Nel complesso, prestando attenzione ai dettagli tecnici, alla metodologia di fissazione dell’impianto, alla scelta dello stesso, alle decisioni chirurgiche ed alla gestione postoperatoria è possibile prevenire la maggior parte degli insuccessi delle osteosintesi.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

301

Accessi chirurgici e trattamento nelle fratture del gomito Thomas M. Turner DVM, Dipl ACVS - VCA Berwin, Animal Hospital, Berwyn, Illinois, USA

Estratto breve Il gomito è un’articolazione composita, costituita da quelle radioomerale, ulno-omerale e radioulnare. Le fratture della regione possono coinvolgere una o più di queste tre articolazioni che compongono il gomito. Queste fratture possono riconoscere componenti intra- o periarticolari. Lo scopo del loro trattamento è quello di ottenere la riduzione anatomica della soluzione di continuo dell’osso, ed in particolare della superficie articolare, ripristinare la congruenza articolare ed infine assicurare una rigida stabilizzazione alla frattura in modo da facilitare il processo di guarigione. Dopo l’intervento, la possibilità di ottenere una funzionalità normale dipende dalla capacità di riuscire a stabilizzare la riparazione della frattura ed anche dalla riabilitazione dell’arto instaurata per ripristinare la piena motilità articolare. Le fratture del gomito possono essere distinte in: (1) fratture distali dell’omero, sia sopracondilari che condilari, (2) fratture del tratto prossimale dell’ulna, (3) fratture della testa del radio intra- e periarticolari e (4) fratture-lussazioni del gomito, anche dette “frattura di Monteggia”. Le fratture del tratto distale dell’omero possono essere associate a deficit neurologici dovuti al concomitante danneggiamento dei nervi radiale, mediano o ulnare. Di conseguenza, prima di effettuare la riparazione mediante fissazione è necessario eseguire l’esame neurologico. Le più comuni fratture del gomito sono quelle dell’area sopracondilare o condilare. Per queste lesioni è possibile adottare un approccio craniolaterale, laterale, transolecranico, caudomediale o mediale. Quello craniolaterale è potenzialmente in grado di consentire l’esposizione dell’intera lunghezza dell’omero e della superficie di carico craniale del condilo omerale rispetto agli altri approcci chirurgici. Con qualsiasi approccio, è necessario identificare le appropriate strutture nervose, ispezionarle e proteggerle per tutta la durata dell’intervento. I metodi di fissazione più comunemente utilizzati sono le placche da osteosintesi, le viti compressive o i chiodi endomidollari, ed alcune fratture selezionate possono anche essere trattate con fissatori esterni. In particolare, la ricostruzione con placca è molto utile nella stabilizzazione delle fratture del tratto distale dell’omero. Le lesioni condilari possono coinvolgere sia la faccia laterale che quella mediale del condilo distale dell’omero o un’associazione di una frattura sopra- ed intercondilare, la frattura “T-Y”. Queste possono essere alcune delle più complesse fratture a carico del gomito. Due fratture comuni nei cani giovani sono la frattura di Salter dell’area sopracondilare, che può essere stabilizzata con varie configurazioni di chiodi endomidollari lisci incrociati, e la frattura dell’area condilare laterale, in cui la fissazione si ottiene

utilizzando una vite compressiva transcondilare e un chiodo metafisario. Le fratture del tratto prossimale dell’ulna possono essere extra- o intrarticolari. Fra le prime, quelle che coinvolgono l’olecrano possono essere stabilizzate con la tecnica del cerchiaggio di tensione in filo metallico. Le fratture intrarticolari dell’ulna possono essere stabilizzate con un cerchiaggio di tensione in filo metallico o, più preferibilmente, con la fissazione mediante placca, di solito applicata caudalmente. Una fratturalussazione dell’articolazione ulno-omerale può essere dovuta all’avulsione dei legamenti collaterali dall’epicondilo laterale o mediale dell’omero o dall’ulna o dall’inserzione della testa del radio. Queste lesioni possono essere stabilizzate con tecniche di sutura primaria o fissazione mediante vite a compressione per assicurare il legamento collaterale nella sua posizione anatomica. Le fratture della testa del radio sono molto rare, ma, quando sono presenti, di solito vengono trattate più facilmente con chiodi incrociati o placca. Spesso, per assicurare la fissazione dei piccoli frammenti della testa del radio risulta utile una placca a T. Quella di Monteggia è una frattura dell’ulna, tecnicamente del suo tratto prossimale, accompagnata da una concomitante lussazione della testa del radio. Questa condizione può essere ulteriormente classificata in base alla direzione del dislocamento della testa del radio. Questi quadri vengono trattati mediante riduzione anatomica della frattura della testa del radio e dell’ulna e stabilizzazione di quest’ultima con chiodo endomidollare, filo metallico o placca. Il tratto prossimale del radio viene stabilizzato unendolo all’ulna, di solito con un chiodo trapassante. In casi selezionati, si può ottenere una riparazione primaria del legamento anulare con tecniche di sutura. Tuttavia, se si utilizza un chiodo trapassante, bisogna rimuoverlo entro 2-4 settimane. Nella maggior parte delle fratture del gomito è possibile ottenere la fissazione ed il ripristino del movimento e della funzione articolari, che quindi è lecito attendersi. Tuttavia, ciò necessita di una rigorosa attenzione alle tecniche chirurgiche e di fissazione. Per il successo del ripristino della funzione del gomito, un fattore di importanza critica è la precisa riduzione della superficie articolare e lo sviluppo di una fissazione rigida in grado di mantenere tale allineamento durante il processo di guarigione. È necessario valutare l’articolazione del gomito e la riparazione della frattura prima e dopo la chiusura, in modo da assicurarsi che non vi siano compromissioni alle possibilità di movimento. Dopo la riparazione chirurgica bisogna evitare l’impiego di un bendaggio rigido a sostegno dell’arto colpito, per consentire l’immediata e completa mobilità articolare, senza restrizioni. Per il trattamento delle fratture del gomito, al fine di evitare l’anchilosi a cui questa articolazione è predisposta, è fondamentale il rapido ritorno al movimento ed all’integrità funzionale.


302

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Malattie delle palpebre Samuel Vainisi DVM - Wisconsin, USA

Estratto breve In questa relazione, il Dr. Samuel Vainisi esporrà i frutti dei suoi 45 anni di esperienza professionale nella valutazione e nel trattamento dello strabismo e della lacrimazione causati da entropion, distichiasi e ciglia ectopiche. Inoltre, illustrerà alcune nuove procedure di rimozione e trattamenti di masse e tumefazioni palpebrali nel cane anziano.

I.

Segno clinico: EPIFORA Patologia del dotto lacrimale Atresia dei punti lacrimali Occlusione dei punti lacrimali Ascessi dei punti lacrimali Dacriocistite

II.

Segno clinico: BLEFAROSPASMO Malformazione palpebrale Entropion Entropion nasale Distichiasi Cilia ectopiche Agenesia palpebrale dei gattini Affezioni corneali Ulcera corneale Corpo estraneo corneale

III. Segno clinico: SCOLO OCULARE Infezione Ascesso delle ghiandole di Meibomio Calazion Dermatite Blefarite allergica Blefarite tossica Cheratocongiuntivite secca IV.

Segno clinico: Massa patologica Tumore palpebrale


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

303

Problemi dell’iride Samuel Vainisi DVM - Wisconsin, USA

Estratto breve In questa relazione, il Dr. Samuel Vainisi esporrà i frutti dei suoi 45 anni di esperienza professionale nella oftalmologia veterinaria per condividere il suo approccio diagnostico e terapeutico alle affezioni dell’uvea anteriore. Verranno illustrate le anomalie osservabili nel cucciolo neonato discutendo la prognosi relativa alla futura visione. L’esame dell’iride e del riflesso pupillare può essere utile sia nei casi neurologici che in quelli oftalmologici. Il Dr. Vainisi aiuterà a trovare risposte semplici. Masse e tumefazioni dell’iride non sono affatto pericolose per la visione e non devono essere necessariamente enucleate. Si apprenderà come possono essere trattate.

I. Il COLORE dell’iride è correlato a quello del mantello dell’animale A. Normale Eterocromia Albinotico/sub-albinotico B. Anormale Uveite Uveite immunomediata Uveite VKH-simile Uveite facoindotta Uveite pigmentosa del golden retriever Neoplasia Melanoma diffuso dell’iride nel gatto Melanocitoma dell’iride Emangiosarcoma Melanoma Affezioni del segmento posteriore Ipertensione Iperviscosità Metastasi Ialite

II. FORMA A. Midriasi Atrofia dell’iride Ereditaria Post-infiammatoria Invecchiamento Affezioni retiniche Neurite ottica Sinechie Ganglio ciliare B. Miosi Sindrome di Horner Sinechie Neoplasie Cisti iridee Traumi C. Coloboma - congenito D. Persistenza della membrana pupillare III. NEOPLASIE A. Melanoma nel cane B. Melanocitoma


304

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Diagnosi differenziale della cecità improvvisa Samuel Vainisi DVM - Wisconsin, USA

Estratto breve Il Dr. Samuel Vainisi presenterà il suo approccio diagnostico alla cecità improvvisa sotto forma di algoritmo. Si apprenderà a differenziare le neuropatie ottiche dalla cecità centrale, la SARD dalle affezioni retiniche ed il glaucoma dalla neurite ottica senza aver bisogno di una gran quantità di costose apparecchiature.

I. Test di valutazione della visione Risposta della minaccia Risposta dell’abbagliamento Riflesso palpebrale Anamnesi riferita dal proprietario Perdita improvvisa o graduale della visione II. Fornire le opportune indicazioni ai proprietari con animali da compagnia ciechi III. Algoritmo: cecità acquisita improvvisa

Riflesso del fondo

1. Assente

Riflesso pupillare

A. Umore acqueo opaco B. Corpo vitreo opaco C. Edema opaco della cornea D. Distacco ed opacizzazione della lente E. No pupil retinitis Tossica

Presente

Iporeflessia

Posizione dell’iride

Dilatata

Esame del fondo

2. Normale

3. Miosi

4. Normale

5. Anormale

A. SNC

A. Irite B. Cerebrale

A. Nervo ottico A. Nervo ottico B. Sard (retinopatia B. Glaucoma improvvisa acquisita) C. Retina C. SNC


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

305

Rotture traumatiche e non traumatiche del legamento crociato anteriore (LCA) del ginocchio nel cane Aldo Vezzoni Med Vet, Dipl ECVS - Cremona

Estratto breve Introduzione: La lesione del legamento crociato anteriore del ginocchio (LCA) è un’evenienza frequente in cani di qualunque razza, età e peso. La rottura del legamento può avvenire in modo traumatico in seguito ad un’iperestensione del ginocchio con rotazione interna della tibia; in certi casi la spinta craniale della tibia provocata dal carico ponderale sul piatto tibiale inclinato si è dimostrata essere un fattore di stress continuo per il legamento che può portare alla sua rottura parziale ed in seguito completa. Materiali e metodi: È stato condotto uno studio prospettico su 251 cani che presentavano una lesione del LCA. I dati raccolti per ciascun soggetto riguardavano: segnalamento, anamnesi, esame clinico e radiografico di entrambe le ginocchia e reperto intraoperatorio. Di ogni cane sono stati misurati l’inclinazione del piatto tibiale e l’angolo femoro-tibiale in stazione. I cani presentati con un coinvolgimento bilaterale del LCA sono stati classificati come affetti da lesione non traumatica, a meno che l’anamnesi non riferisse un chiaro evento traumatico. I cani con lesione monolaterale del LCA sono stati classificati come affetti da rottura traumatica. Seguendo le indicazioni fornite dal test di compressione tibiale e dal reperto intraoperatorio sono state distinte le rotture complete da quelle parziali. Risultati: Dei 251 cani presi in esame, 178 (70.9%) sono stati classificati come affetti da lesione non traumatica, mentre i restanti 73 (29.1%) da lesione traumatica. Dei 178 cani (11.2%) con lesione non traumatica, in 20 si è riscontrata una rottura parziale del LCA e in 158 (88.8%) una rottura completa; la mediana dell’inclinazione del piatto tibiale era di 22°, la mediana dell’angolo femoro-tibiale in stazione era di 138°. Dei 73 cani con lesione di origine traumatica, 12 (16.4%) presentavano una rottura parziale e 61 (83.6%) una rottura completa; la mediana dell’inclinazione del piatto tibiale era di 22,5° e la mediana dell’angolo femoro-tibiale in stazione era di 128°. Discussione: Questo studio dimostra come in molti cani la rottura del LCA possa avere un’origine non traumatica, soprattutto in alcune razze come Boxer, Bulldog Inglese, Dogue de Bordeaux, Terranova, Alano, Dobermann, Cane Corso e Rottweiler. Nei cani appartenenti a

queste razze l’inclinazione del piatto tibiale non differisce significativamente da quella di altri cani affetti da rottura traumatica. Ciò che invece appare essere un fattore predisponente in queste razze è l’aumento dell’ampiezza dell’angolo femoro-tibiale in stazione che amplifica l’effetto di inclinazione del piatto tibiale portando ad un’eccessiva spinta craniale della tibia con conseguente stress continuo sul LCA. L’incidenza di rotture non traumatica in razze aventi un angolo femoro-tibiale nella norma è associata ad età avanzata e sovrappeso. In queste condizioni il cane è portato ad aumentare il proprio angolo femoro-tibiale tenendo l’arto posteriore più eretto in modo da alleggerire lo sforzo muscolare.

Estratto completo INTRODUZIONE La lesione del legamento crociato anteriore (LCA) del ginocchio è una patologia di frequente riscontro in cani di ogni razza, età e peso. La rottura del LCA può essere sia parziale che completa. La rottura parziale determina una zoppia ad insorgenza acuta di secondo o terzo grado, di breve durata che evolve in una zoppia cronica lieve, di primo grado, che, se sottovalutata come spesso accade, esita in una rottura completa dopo un periodo di tempo variabile. La spinta craniale della tibia determinata dal carico ponderale sul piatto tibiale inclinato si è dimostrata responsabile di un continuo stress del legamento lesionato che conduce inesorabilmente ad una rottura completa dello stesso. La rottura completa del LCA si manifesta clinicamente con una zoppia di terzo grado ad insorgenza improvvisa, e può conseguire ad una rottura parziale cronica del legamento o derivare da un trauma acuto che determina un movimento d’iperestensione dell’articolazione con rotazione interna della tibia. Quando la rottura completa del LCA è conseguenza di una pregressa lesione parziale l’aspetto radiografico del ginocchio, al momento della diagnosi, mostra la presenza di segni cronici di sofferenza articolare come la formazione di osteofiti sui bordi della troclea femorale, sul polo distale della rotula e sul piatto tibiale, edema dei tessuti molli periarticolari e aumento della densità nella regio-


306

ne infrapatellare. Quando la rottura completa del LCA è conseguente ad un trauma acuto l’immediato esame radiografico dell’articolazione colpita evidenzierà solo un edema dei tessuti molli periarticolari associato ad aumento della densità nel triangolo infrapatellare in assenza di formazioni osteofitiche. Non è infrequente osservare cani che presentano una rottura parziale del LCA in entrambe le articolazioni del ginocchio, anche se di diversa entità, ed altri che presentano una rottura completa del LCA accompagnata da una rottura parziale del legamento nel ginocchio controlaterale. Questa osservazione induce a supporre che le lesioni del LCA non sempre sono dovute ad un evento traumatico, ma che, in soggetti predisposti, possono essere conseguenza di uno squilibrio biomeccanico delle forze che si esercitano sull’articolazione del ginocchio e che conducono ad uno stress continuo sul LCA. La comparazione, attraverso esame fisico e radiografico, di entrambe le ginocchia ogni volta che viene diagnosticata una rottura del LCA può permettere di differenziare le rotture traumatiche da quelle non traumatiche. Nei casi di lesione traumatica il ginocchio controlaterale appare normale, mentre nei casi di lesione non traumatica si osservano nell’articolazione controlaterale segni di infiammazione cronica e di degenerazione artrosica.

MATERIALI E METODI È stato effettuato uno studio prospettico su 251 cani trattati per la rottura del LCA. Sono stati raccolti i dati per ogni singolo cane riguardanti il segnalamento, l’anamnesi, gli aspetti radiografici di entrambe le ginocchia al momento della diagnosi ed è stato inoltre registrato l’aspetto intraoperatorio della lesione. Per quanto riguarda la valutazione radiografica, effettuata utilizzando basse dosi di esposizione per una migliore visualizzazione dei tessuti molli periarticolari, sono stati registrati i segni di infiammazione acuta o cronica ed è stato valutato e misurato il test di compressione tibiale attraverso l’apposita proiezione con simulazione di carico. L’inclinazione del piatto tibiale è stata misurata seguendo la metodica descritta da Slocum. Ogni cane è stato fotografato in stazione con dei markers adesivi in corrispondenza del trocantere, del codilo femorale laterale e del malleolo laterale; in questo modo è stato possibile misurare l’angolo femoro-tibiale in stazione. I cani che presentavano una lesione del LCA in entrambe le ginocchia, anche se di diversa entità, sono stati classificati come affetti da rottura non traumatica del legamento, a meno che dall’anamnesi non risultasse un chiaro evento traumatico. I cani con lesione monolaterale e con ginocchio controlaterale normale sono stati classificati come affetti da rottura traumatica del LCA. È stata quindi effettuata una comparazione tra i due gruppi in base a razza, sesso, età, peso, grado di inclinazione del piatto tibiale ed angolo femoro-tibiale. Seguendo le indicazioni del test di compressione tibiale e dell’aspetto intraoperatorio del legamento lesionato sono state differenziate le rotture parziali da quelle complete.

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

FIGURA 1 - A sinistra, esempio di un ginocchio controlaterale con segni di infiammazione riferibili a lesione del LCA; a destra esempio di un ginocchio normale.

RISULTATI Dei 251 cani esaminati con lesione del LCA, 178 (70,9%) sono stati classificati come affetti da rottura non traumatica e 73 (29,1%) come affetti da rottura traumatica. Dei 178 cani con rottura non traumatica, 95 (53,4%) erano maschi e 83 (46,6%) femmine; in 20 cani (11,2)% l’aspetto intraoperatorio ha evidenziato la rottura parziale del lagamento, mentre in 158 (88,8%) la rottura completa; la mediana del peso era 45,3 Kg (intervallo da 11 a 103 Kg); la mediana dell’età era 3,2 anni (intervallo da 8 mesi a 10,5 anni); la mediana dell’inclinazione del piatto tibiale era 22° (intervallo da 18°a 30°); la mediana dell’angolo femoro-tibiale in stazione era 138° (intervallo da 130° a 150°). Dei 73 cani con rottura traumatica, 44 (60,3%) erano maschi e 29 (39,7%) femmine; in 12 cani (16,4)% l’aspetto intraoperatorio ha evidenziato la rottura parziale del legamento, mentre in 61 (83,6%) la rottura era completa; la mediana del peso era 33,2 Kg (intervallo da 4,5 a 70 Kg); la mediana dell’età era 5 anni (intervallo da 1 a 11 anni); la mediana dell’inclinazione del piatto tibiale era 22,5° (intervallo da 16°a 28°); la mediana dell’angolo femoro-tibiale in stazione era 128° (intervallo da 116° a 136°). Per quanto riguarda la distribuzione delle razze, nel gruppo di 178 cani con rottura non traumatica le razze più rappresentate, comprendenti un minimo di 10 cani ciascuna, erano: Rottweiler (27 cani, 15,2%), Boxer (19 cani, 10,7%), Terranova (16 cani, 8,9%), Dogue de Bordeaux (15 cani, 8,4%), Alano (15 cani, 8,4%), Bulldog inglese (13 cani, 7,3%), Cane Corso (12 cani, 6,7%), Dobermann (10 cani, 5,6%). I cani appartenenti a queste razze rappresentavano il 73% dell’intero gruppo (130 cani). Nel gruppo di 73 cani con rottura traumatica erano rappresentate molte razze senza un’incidenza significativa (intervallo da 1,7% a 5,5%), ad eccezione delle seguenti razze con 5 o più cani appartenenti a ciascuna: Rottweiler (15 cani, 20,1%), Labrador (10 cani, 13,7%), Pastore Tedesco (7 cani, 9,6%) e razze da caccia comprendenti Pointer, Setter inglese, Drahathar (10 cani, 13,7%).


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

307

L’incidenza di rotture traumatiche e non traumatiche in ciascuna razza, con un minimo di 10 cani ciascuna, è indicata nella seguente tabella: Razza

Boxer Dobermann Cane Corso Dogue de Bordeaux Bulldog inglese Past. Tedesco Alano Labrador Terranova Rottweiler Razze da caccia

Cani Num.

Rotture non traumatiche (cani, num. e %)

20 13 14 15 13 16 16 14 21 42 10

19 - 95.0% 10 - 76.9% 12 - 85.7% 15 - 100% 13 - 100% 9 - 56.2% 15 - 93.7% 4 - 28.6% 16 - 76.2% 27 - 64.3% 0

Rotture traumatiche (cani, num. e %) 1 - 5.0% 3 - 23.1% 2 - 14.3% 0 0 7 - 43.8% 1 - 6.3% 10 - 71.4% 5 - 23.8% 15 - 35.7% 10 - 100%

La mediana dell’inclinazione del piatto tibiale in ciascuna razza, con un minimo di 10 cani ciascuna, è indicata nella tabella seguente: Razza

Inclinazione piatto tibiale (valore mediano ed intervallo) Rotture non traumatiche

Boxer Dobermann Cane Corso Dogue de Bordeaux Bulldog inglese Pastore Tedesco Alano Labrador Terranova Rottweiler Razze da caccia

Rotture traumatiche

N. cani

mediana

intervallo

N. cani

mediana

intervallo

19 13 12 15 13 9 15 4 16 27 0

21° 22° 23° 25° 25° 19° 22° 20° 20° 21° -

19° - 30° 18° - 27° 18° - 27° 19° - 29° 20° - 28° 16° - 22° 17° - 28° 18° - 26° 16° - 30° 16° - 27° -

1 3 2 0 0 7 1 10 5 15 10

21° 22° 19° 22° 18° 22° 21° 22° 22°

20° - 22° 16° - 21° 18° - 28° 18° - 25° 18° - 25° 18° - 27° 18° - 26°

La mediana dell’angolo femoro-tibiale in stazione in ciascuna razza, con un minimo di 10 cani ciascuna, è indicata nella tabella seguente: Razza

Angolo femoro-tibiale in stazione (valore mediano ed intervallo) Rotture non traumatiche

Boxer Dobermann Cane Corso Dogue de Bordeaux Bulldog inglese Pastore Tedesco Alano Labrador Terranova Rottweiler Razze da caccia

Rotture traumatiche

N. cani

mediana

intervallo

N. cani

mediana

intervallo

19 10 12 15 13 9 15 4 16 27 0

138° 138° 148° 150° 150° 130° 146° 132° 138° 140° -

134° - 145° 136° - 142° 138° - 154° 147° - 154° 134° - 155° 124° - 135° 142° - 152° 130° - 140° 132° - 142° 135° - 142° -

1 3 2 0 0 7 1 10 5 15 10

128° 136° 134° 120° 132° 122° 132° 130° 118°

132° - 138° 132° - 136° 110° - 128° 115° - 130° 128° - 132° 126° - 136° 108° - 126°


308

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

FIGURA 2 - A sinistra, Alano maschio di 3 anni, con angolo del ginocchio in stazione di 144°; a destra, Pastore tedesco femmina di 4 anni di età, con angolo del ginocchio in stazione di 125°.

Discussione Questo studio dimostra come in molti cani di diverse razze le lesioni del legamento crociato anteriore possano avere un’origine non traumatica sviluppandosi lentamente e contemporaneamente in entrambe le ginocchia, anche se con diversi gradi di gravità. L’età dei cani con rottura non traumatica si è rivelata essere significativamente minore rispetto a quella dei cani con rottura traumatica dimostrando una predisposizione individuale e di razza verso la lesione precoce del LCA. Diversi cani di razze come Boxer, Bulldog Inglese, Dogue de Bordeaux, Terranova, Dobermann, Cane Corso e Rottweiler mostrano un’elevata incidenza di rotture non traumatica rispetto ad altre razze; in queste razze l’inclinazione del piatto tibiale non indica una particolare predisposizione anatomica in quanto non differisce statisticamente da quella di altre razze. Quello che appare essere un fattore predisponente nelle razze con una maggiore incidenza di lesioni non traumatiche è l’angolo femoro-tibiale misurato con l’animale in stazione il cui valore si è rivelato essere significativamente più alto rispetto a quello valutato negli altri cani. L’aumento dell’ampiezza dell’angolo femoro-tibiale amplifica l’effetto dell’inclinazione del piatto tibiale rispetto al piano di appoggio e, allo stesso tempo, diminuisce l’azione delle forze muscolari posteriori che agiscono sul ginocchio contrastando la spinta craniale della tibia provocata dal carico femorale sul piano inclinato del piatto tibiale, determinando quindi un continuo stress sul LCA. Come conseguenza di un angolo femoro-tibiale più ampio e pertanto di un portamento più eretto dell’arto posteriore, si ha uno squilibrio biomeccanico dell’articolazione in grado di determinare una rottura spontanea del LCA, specialmente quando associato ad un’attività fisica intensa od a sovrappeso. Al contrario, nelle razze senza una particolare predisposizione per la rottura non traumatica del LCA, l’angolo femoro tibiale è risultato essere più acuto con conseguente diminuizione dell’inclinazione del piatto tibiale rispetto al piano di appoggio ed aumento dell’azione delle forze muscolari posteriori che agiscono sul ginochio. Questa situazione di corretta flessione del ginocchio durante il carico comporta una biomeccanica articolare più adeguata.

L’incidenza di rotture non traumtiche in razze con angolo femoro-tibiale più acuto, come Labrador e Pastore Tedesco, è associata ad aumento di età e peso corporeo. Gli animali in sovrappeso tendono a portare gli arti posteriori più eretti e quindi ad avere un angolo femoro tibiale più ampio rispetto alla media di razza. Probabilmente il portamento eretto dell’arto comporta un minore sforzo muscolare essendo gran parte del peso corporeo sorretto da una struttura scheletrica più perpendicolare al piano di appoggio. La conseguenza di questa variazione biomeccanica è un aumento della spinta craniale della tibia con relativo stress continuo sul LCA. La posizione del ginocchio assunta da questi cani durante il carico sia in stazione che in movimento è simile a quella assunta dall’uomo, con un carico trasmesso verticalmente lungo i segmenti ossei; nell’uomo però l’inclinazione del piatto tibiale è solo di 5°-7° e svolge un effetto di spinta craniale della tibia trascurabile, mentre nel cane l’inclinazione maggiore del piatto tibiale forma un piano inclinato che esalta le forze di spinta craniale della tibia, particolarmente con la postura eretta del ginocchio. L’aumento di peso, associato ad una struttura muscolare non adeguata, è quindi un fattore predisponente per la rottura non traumatica del LCA in cani di tutte le razze. Altro fattore che sembra predisporre la rottura del LCA è la conformazione ad arco degli arti posteriori (ginocchio varo) che si osserva spesso in alcune razze come Rottweiler o Labrador; nel nostro studio abbiamo osservato questo tipo di conformazione sia in cani con rottura traumatica del LCA sia in cani con rottura non traumatica. In queste razze, come in altre di grossa taglia, abbiamo riscontrato delle rotture traumatice in cani molto attivi e con buona massa muscolare, accentuata dalla conformazione ad arco degli arti posteriori, e rotture non traumatiche in soggetti sovrappeso, poco attivi e con scarsa massa muscolare. Questa ossezrvazione suggerisce che il tono muscolare è essenziale per bilanciare le forze che agiscono sul ginocchio, in particolar modo nei soggetti con un portamento eretto degli arti posteriori. Per riuscire a comprendere in modo più approfondito tutte le alterazioni biomeccaniche che si verificano a livello dell’articolazione femoro-tibio-rotulea a seconda delle diverse conformazioni presenti nelle varie razze saranno ne-


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

cessari degli studi supplementari; allo stesso modo potrebbe essere estremamente utile compiere un analisi morfologica nelle razze predisposte alla rottura non traumatica del LCA in modo da poter valutare l’opportunità di influenzare gli standard di razza favorendo un angolazione più fisiologica dell’arto posteriore. Secondo gli studi di Reiser, ogni intervento di selezione che allontana una razza dalle caratteristiche del cane ancestrale è causa di problemi ortopedici; questo perché l’anatomia del cane non si può adattare alle notevoli differenze che osserviamo nelle diverse razze senza che si verifichino degli squilibri fisiologici e biomeccanici. Dal momento che le rotture non traumatiche del LCA hanno come causa lo squilibrio biomeccanico dell’articolazione del ginocchio con conseguente aumento della spinta tibiale craniale e dal momento che questa predisposizione non si può eliminare, il trattamento più adeguato in questi soggetti è la modificazione della biomeccanica articolare che si può ottenere attraverso la tecnica di osteotomia livellante del piatto tibiale (TPLO) descritta da Slocum, che ha come effetto la neutralizzazione della spinta tibiale craniale.

CONCLUSIONI In questo studio si è dimostrato che diversi cani subiscono lesioni del legamento crociato anteriore in assenza di un evento traumatico, evidenziando quale fattore predisponente

309

la conformazione del cane con un aumento dell’ampiezza dell’angolo femoro-tibiale in stazione e con conseguente portamento più eretto dell’arto posteriore, osservata in alcune razze e nei soggetti sovrappeso di di tutte le razze. Sembra chiaro che l’aumento di ampiezza del suddetto angolo ed il sovrappeso compiano un ruolo più importante nello sviluppo della spinta tibiale craniale e nello stress cronico del LCA rispetto alla sola inclinazione del piatto tibiale nei soggetti che presentano la rottura non traumatica del LCA. Studi supplementari, con l’ausilio dell’analisi cinematica dell’andatura, sono tuttora in corso per definire con precisione l’esatta angolazione dell’articolazione del ginocchio durante l’andatura ed il carico ponderale.

Bibliografia Henderson R, Milton J: The tibial compression mechanism: A diagnostic aid in stifle injuries. J Am Anim Hosp Assoc 14:474, 1978 Riser W.H., The dog as a model for the study of hip dysplasia: some aspects of growth, form and development of the normal and dysplastic hip joint. J. Vet. Pathol. 1975; 12: 234-334. Slocum B Devine T: Cranial tibial thrust: A primary force in the canine stifle. J Am Vet Med Ass 183:456, 1983 Slocum B, Devine T: Tibial Plateau Leveling Osteotomy for Repair od Cranial Cruciate Ligament Rupture in the Canine. Vet Clin North Am, Small Anim, vol 23, n. 4777-795, 1993 Vezzoni A, Demaria M, Corbari A, Cirla A: Non.traumatic cranial cruciate ligament injuries. Proceedings of the 1st World Veterinary Orthopaedic Congress ESVOT-VOS, Munich Sept. 5-8, 2002


310

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

La sinfisiodesi pubica nel trattamento precoce della displasia dell’anca nel cane Aldo Vezzoni Med Vet, Dipl ECVS - Cremona

Estratto breve Introduzione: La Sinfisiodesi Pubica (PS) è una tecnica chirurgica volta a provocare la ventroversione degli acetaboli durante la crescita, in cuccioli con segni precoci di displasia dell’anca. Le indicazioni per la PS sono la presenza del segno di Ortolani, una lassità articolare eccessiva e un’inclinazione aumentata del bordo acetabolare dorsale (DAR) in cuccioli di età compresa tra le12 e le 24 settimane. Materiali e metodi: È stato condotto uno studio prospettico che ha preso in esame cuccioli di proprietà di età compresa tra le 12 e le 24 settimane nel periodo da gennaio 2001 a dicembre 2001. Lo scopo dello studio era quello di selezionare un gruppo di candidati per la PS sulla base della presenza di segni di displasia incipiente, trattare chirurgicamente una parte di essi, trattare in modo conservativo i restanti e seguire il decorso di entrambi i gruppi di soggetti. La visita clinica di ogni cucciolo consisteva nella valutazione del test di Ortolani con misurazione dell’angolo di riduzione (AR) e dell’angolo di sublussazione(AS), e in un esame radiografico con proiezioni ventrodorsale standard, proiezione ventrodorsale con distrazione e calcolo dell’indice di distrazione (DI) e proiezione DAR.

Discussione: La PS si è dimostrata essere una tecnica efficace nell’arrestare o limitare lo sviluppo della displasia dell’anca in cuccioli con segni precoci da lievi a moderati. Dallo studio si evince che l’età da sola non è un fattore determinante per il successo dell’intervento. Gli elementi per la selezione del candidato alla PS in vista del successo dell’intervento sono risultati essere il grado di lassità, sprattutto il valore di AS, ed il grado di inclinazione del DAR. Nei cuccioli trattati in modo conservativo abbiamo riscontrato un costante peggioramento della patologia. Un fattore determinante per il buon esito della procedura è risultato essere la buona gestione postoperatoria; un’attività eccessiva del cucciolo può peggiorare la patologia prima che la PS possa portare qualche miglioramento della copertura acetabolare. Gli aspetti etici correlati a questo intervento devono essere discussi approfonditamente con il proprietario del cucciolo per ottenere un pieno consenso informato sulla modificazione fenotipica indotta dall’intervento e sulla controindicazione per un futuro impiego del cane per scopi riproduttivi.

Estratto completo INTRODUZIONE

Risultati: Sono stati inseriti nello studio 65 cuccioli di cui 54 hanno completato l’iter dei controlli dopo 2 e 6 mesi; di questi, 28 sono stati trattati con PS e 26 in modo conservativo. Dopo i due follow-up i cuccioli tattati chirurgicamente sono stati divisi in tre ulteriori gruppi in base ai risultati. Nel primo gruppo, 8 cuccioli (28,6%) hanno avuto un netto miglioramento; nel secondo gruppo 11 cuccioli (39,3%) hanno avuto un lieve miglioramento e nel terzo gruppo 9 cuccioli (32,1%) sono peggiorati. I cuccioli che hanno subito un peggioramento avevano dei valori preoperatori di AS >15°, indice di distrazione (DI) tra 0,6 e 1 e DAR >12°. Tutti i cuccioli nettamente migliorati avevano valori preoperatori di AS non > 5°, DI tra 0,4 e 0,6 e DAR tra 5° e 10°. I cuccioli lievemente peggiorati avevano valori intermedi tra i due altri gruppi. Non si é riscontrata alcuna differenza di età nei soggetti appartenenti ai tre gruppi. I 26 cuccioli trattati in modo conservativo, sulla base della rivalutazione dopo 2 e 6 mesi sono stati divisi in due ulteriori gruppi, uno composto da soggetti lievemente peggiorati e l’altro da quelli gravemente peggiorati. Nessun di questi cuccioli ha avuto un miglioramento od è rimasto stazionario.

La sinfisiodesi pubica (PS) è una procedura volta a ridurre l’inclinazione del tetto acetabolare durante la crescita scheletrica in cuccioli con segni clinici che indicano una predisposizione per lo sviluppo della displasia dell’anca. Arrestando la sinfisi pubica durante lo sviluppo scheletrico si ottiene una limitazione della crescita circonferenziale del canale pelvico a livello ventrale ed una libera crescita a livello dorsale con rotazione ventrale bilaterale degli acetaboli e con conseguente miglioramento della copertura coxofemorale. La sinfisiodesi pubica, dopo uno studio sperimentale condotto da Mathews su Guinea pigs, è stata applicata nel cane da Swainson, Dueland e colleghi. La tecnica consiste nell’elettrocauterizzazione della cartilagine di accrescimento della sinfisi pubica in modo che questa venga danneggiata permanentemente. Come effetto secondario la PS determina una diminuzione del diametro del canale pelvico, che rappresenta una controindicazione per future gravidanze nei soggetti di sesso femminile. Un’implicazione di ordine etico, inoltre, ci impone di impedire la trasmissione di patologie con compo-


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

nente ereditaria quali la displasia dell’anca, escludendo comunque dalla riproduzione i cani trattati con PS. Secondo Swainson e Duedland i risultati migliori si ottengono se la PS viene effettuata in un’età compresa tra le 12 e le 18 settimane di vita. Le indicazioni per l’intervento sono la presenza, in cuccioli di età molto giovane, di segni che indicano una predisposizione per lo sviluppo della displasia dell’anca come il segno di Ortolani positivo, una lassità articolare eccessiva ed un’aumentata inclinazione del bordo acetabolare dorsale (DAR). Un segno di Ortolani positivo in un cucciolo di pochi mesi di vita, soprattutto se associato a segni radiografici di incongruenza articolare e di aumentata inclinazione del tetto acetabolare, è sempre indice di un futuro sviluppo di displasia dell’anca.

SELEZIONE DEL PAZIENTE Per verificare l’efficacia clinica della tecnica di sinfisiodesi pubica e per identificarne i limiti di applicabilità è stato condotto uno studio prospettico che ha preso in esame cuccioli di età compresa tra le 12 e le 24 settimane valutati per una diagnosi precoce di displasia dell’anca nel periodo compreso da gennaio 2001 a dicembre 2001. Gli animali presi in esame sono stati suddivisi in due gruppi: il primo composto da cani sottoposti poi ad intervento ed il secodo da cuccioli trattati in modo conservativo. Ogni singolo paziente è stato rivalutato dopo due e sei mesi dall’intervento o dalla prima visita ortopedica in modo da poter essere rivalutato clinicamente ed eventualmente sottoposto ad interventi correttivi aggiuntivi (TPO, Acetaboloplastica, protesi) in caso di eventuale peggioramento. Ogni cucciolo è stato premedicato con acepromazina (0.01 mg/Kg IM) e atropina (0.03 mg/Kg IM) seguiti da fentanyl (0.005 mg/Kg), successivamente è stato posizionato in decubito dorsale con il torace inserito nell’apposito supporto a V. Per ogni singolo soggetto è stato valutato il segno di Ortolani e misurati gli angoli di riduzione (AR) e di sublussazione (AS) con elettrogoniometro di Slocum, è stato eseguito uno studio radiografico con proiezioni ventrodorsale standard, con distrazione e DAR (bordo dorsale dell’acetabolo). Gli aspetti radiografici valutati sono stati: posizione del centro delle teste femorali in relazione al bordo dorsale dell’acetabolo e forma del bordo acetabololare craniale nella proiezione VD, indice di distrazione nella proiezione con distrazione delle anche, inclinazione e forma del bordo acetabolare dorsale nella proiezione DAR. Nei soggetti normali il centro delle teste femorali deve essere mediale rispetto al DAR, il bordo acetabolare craniale arrotondato e l’inclinazione del DAR non superiore ai 7,5 gradi. I cuccioli con segni avanzati di HD, come sublussazione grave delle teste femorali, deformazione delle stesse o coxa plana non sono stati inseriti nello studio. I soggetti con lieve o moderata sublussazione delle teste femorali (centro laterale o sovrapposto al DAR) accompagnata da segno di Ortolani positivo sono stati inseriti nello studio e trattati chirurgicamente o in modo conservativo secondo il consenso informato del proprietario. La procedura chirurgica è stata eseguita con il paziente in anestesia generale gassosa mantenuta con Isofluorano dopo

311

premedicazione con acepromazina (0.01 mg/Kg IM), induzione con propofol (6mg/Kg IV) e profilassi antibiotica perioperatoria con cefazolina (20 mg/Kg IV). Dopo la preparazione antisettica della regione caudale dell’addome, è stata eseguita un’incisione cutanea di 3-4 cm in corrispondenza della parte prossimale del pube, identificata mediante la palpazione del tubercolo pubico; l’incisione cutanea era seguita da una dissezione dei tessuti sottocutanei sulla linea mediana che permettesse l’accesso all’inserzione del tendine prepubico sul tubercolo pubico mediano; attraverso una breve incisione del tendine è stata inserita una spatola di legno sotto la sinfisi in modo che gli organi sottostanti, soprattutto uretra e retto, non venissero danneggiati dalla successiva elettrocauterizzazione. L’elettrocauterizzazione delle strutture cartilaginee della sinfisi pubica è stata eseguita partendo dal margine craniale per una lunghezza di 12-20 mm; il puntale dello strumento è stato inserito a tutto spessore in diversi punti della cartilagine fino a toccare la spatola sottostante; ogni singola cauterizzazione è stata effettuata ad una distanza di circa 2 mm dalla precedente per una durata di 58 secondi ed è stata seguita da un lavaggio con soluzione salina per raffreddare i tessuti circostanti. La porzione del tendine prepubico scontinuata è stata suturata al periostio con materiale riassorbibile con punti nodosi staccati; i piani sottocutanei sono stati suturati con lo stesso materiale con due suture continue, una profonda ed una superficiale, seguiti dalla sutura della cute con filo di nylon con punti nodosi staccati. L’intera procedura impegnava un tempo di 20-30 minuti e i cuccioli venivano dimessi il giorno stesso. I punti di sutura cutanea venivano rimossi in decima giornata e veniva consigliato un confinamento in box o in casa per i due mesi successivi consentendo solo passeggiate al guinzaglio ed evitando giochi, salti e corse in libertà. Anche per i cuccioli trattati in modo conservativo sono state osservate le stesse raccomandazioni. Al momento dei controlli a due e sei mesi ogni cucciolo è stato premedicato con acepromazina (0,01 mg/Kg IM) e atropina (0,03 mg/Kg IM) seguiti da fentanyl (0,005 mg/Kg); è stato rivalutato il segno di Ortolani e, se positivo, misurati gli angoli di riduzione (AR) e di sublussazione (AS); è stato inoltre eseguito uno studio radiografico con proiezione VD standard per valutare la congruenza delle teste femorali rispetto ai bordi acetabolari e con proiezione DAR per misurare l’inclinazione del bordo acetabolare dorsale.

RISULTATI Sono stati inseriti nello studio 65 cuccioli, 34 dei quali sono stati sottoposti ad intervento di sinfisiodesi pubica; i restanti 31 sono stati trattati in modo conservativo. Solo 54 soggetti hanno completato l’iter dei controlli successivi e quindi completato lo studio, di questi 28 erano stati trattati con PS e 26 in modo conservativo. Nei 28 cani trattati chirurgicamente la mediana dell’età era di 18 settimane (intervallo 12-24 settimane); 16 erano maschi e 12 femmine con la seguente distribuzione di razza: 8 Cani Corso, 8 Labrador, 5 Pastori Tedeschi, 4 Golden Retrievers, 1 Rottweiler, 1 Terranova, 1 Lagotto. Non si è verificata alcuna complicazione durante l’intervento chirurgico ed ogni proprietario ha riferi-


312

to una completa ripresa del cucciolo entro le 24 ore successive alla dimissione. Dopo i controlli postoperatori a due e sei mesi è stato possibile dividere i cuccioli, sulla base dei risultati osservati, in tre ulteriori gruppi: il primo comprendente i cuccioli che presentavano un netto miglioramento, il secondo composto dai cuccioli con lieve miglioramento ed il terzo da quelli che presentavano un peggioramento riscontrato sia con l’esame clinico che radiografico. Nel primo gruppo sono rientrati 8 cuccioli (28,6%) che mostravano un notevole miglioramento con segno di Ortolani negativo, congruenza articolare corretta con centro delle teste femorali mediale al DAR ed inclinazione del bordo acetabolare dorsale ridotta a 4°-5°. Gli 11 cani (39,3%) rientrati nel secondo gruppo mostravano un lieve miglioramento con segno di Ortolani leggermente positivo, un minimo grado di incongruenza articolare ed un angolo di DAR diminuito (4°-5°) rispetto ai valori preoperatori. Nel terzo gruppo sono rientrati 9 cani (32,1%) nei quali si è verificato un peggioramento dimostrato dall’aumento del segno di Ortolani, dalla sublussazione delle teste femorali e dall’eccessivo consumo del bordo dorsale dell’acetabolo nella proiezione DAR. Dei 9 cani appartenenti a quest’ultimo gruppo 3 sono stati poi sottoposti ad intervento di triplice osteotomia pelvica (TPO) bilaterale dopo il primo controllo postoperatorio, uno è stato sottoposto ad intervento di acetaboloplastica bilaterale e due sono stati trattati con protesi totale d’anca dopo il secondo controllo postoperatorio. Tutti i cuccioli appartenenti al terzo gruppo presentavano alla prima visita un angolo di sublussazione (AS) maggiore di 15 gradi, un indice di distrazione (DI) compreso tra 0,6 e 1,0 ed un’inclinazione del DAR superiore ai 12°, eccetto due soggetti con 5° di AS, DI pari a 0,5 ed inclinazione del DAR di 8 gradi che però non hanno seguito una corretta gestione postoperatoria, non essendo stata controllata, su ammissione degli stessi proprietari, la loro attività fisica. Tutti i cuccioli appartenenti al primo gruppo presentavano alla prima visita valori di AS pari o inferiori ai 5°, DI compreso tra 0,4 e 0,6 ed inclinazione del DAR compresa tra 5° e 10°. I soggetti del secondo gruppo presentavano valori o intermedi rispetto agli altri due o simili a quelli del primo gruppo, in quest’ultimo caso i proprietari hanno ammesso di non aver provveduto ad una corretta gestione postoperatoria del cucciolo. Non si sono riscontrate differenze tra i tre gruppi riguardo all’età al momento dell’intervento. Dei 26 cuccioli trattati in modo conservativo la mediana dell’età era di 16 settimane (intervallo 12- 24 settimane), 14 erano maschi e 12 femmine; la distribuzione di razza era la seguente: 6 Cani Corso, 6 Labrador, 6 Pastori Tedeschi, 4 Golden Retrievers, 2 Rottweiler e 2 Terranova. Dopo i controlli postoperatori a due e sei mesi è stato possibile dividere i cuccioli, sulla base dello sviluppo della displasia, in due gruppi compendenti cani che presentavano un lieve peggioramento e cani con un peggioramento marcato; nessun cucciolo ha avuto un miglioramento o è rimasto stazionario. Nel primo gruppo di cuccioli con lieve peggioramento sono rientrati 14 soggetti (53,8%) che mostravano un peggioramento contenuto del segno di Ortolani, soprattutto del valore di AS, una sublussazione delle teste femorali con centro delle stesse laterale al DAR, un aumento dell’inclinazione del DAR e la comparsa di leggeri segni di artropatia degenerativa. I re-

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

stanti 12 cani mostravano un netto peggioramento dimostrato dal sensibile aumento sia di AR sia di AS, dalla scarsa copertura acetabolare delle teste femorali, dal notevole consumo del DAR e dai marcati segni di artropatia degenerativa. Di questi ultimi 12 cani, 2 sono stati sottoposti ad intervento di triplice osteotomia pelvica (TPO) bilaterale dopo il primo controllo postoperatorio, 3 ad intervento di acetaboloplastica bilaterale ed uno ad intervento di protesi totale d’anca dopo il secondo controllo postoperatorio.

DISCUSSIONE La selezione dei soggetti inseriti in questo studio è stata ambientata in ambito clinico e non in ambito sperimentale e pertanto riflette le situazioni diversificate che si riscontrano in campo clinico, con razze ed età diverse, gradi diversi di sviluppo della displasia e diversi proprietari con relative condizioni ambientali. Se dal punto di vista strettamente speculativo queste situazioni diversificate possono costituire un difetto, dal punto di vista della riproducibilità clinica rappresentano invece un pregio, riflettendo una maggior aderenza alla realtà operativa pratica. Nei cuccioli con segni precoci lievi di displasia dell’anca, la PS si è dimostrata essere una tecnica efficace per arrestare lo sviluppo della patologia e per invertirne la tendenza al peggioramento, mentre nei cuccioli con segni precoci marcati di displasia la tecnica si è rivelata del tutto inefficace. Questo studio ha dimostrato come l’età da sola non sia un fattore determinante per l’esito dell’intervento, essendo questo influenzato in modo determinante dal grado delle alterazioni displasiche presenti. È necessario che ci sia ancora un buon margine di crescita scheletrica per permettere un’adeguata rotazione degli acetaboli e nello studio è stato osservato un’età limite utile di 24 settimane. È utile sottolineare come l’età sia un fattore relativo alla razza del cane; animali di taglia gigante, avendo uno sviluppo scheletrico più lento, potrebbero essere sottoposti a PS con successo anche più tardivamente di cuccioli appartenenti a razze di taglia inferiore. I motivi per eseguire il più precocemente possibile la procedura sono quello di sfruttare per un maggiore periodo di tempo la crescita residua e quindi permettere una rotazione maggiore della pelvi e quello di intervenire prima che si sia ingenerata una tendenza potenzialmente irreversibile alla sublussazione delle teste femorali. Un intervento precoce, inoltre, ci consentirà di eseguire ulteriori interventi correttivi qualora la PS non sortisse dei buoni risultati. Come precedentemente accennato, risulta chiaro che in presenza di segni avanzati di displasia ad un’età di 12-16 settimane, la PS non è una tecnica efficace per impedire lo sviluppo della malattia; questo perché probabilmente il lento processo di rotazione pelvica non è in grado di ridurre la sublussazione delle teste femorali con conseguente continuo consumo del bordo laterale del DAR nei primi mesi successivi alla procedura in cuccioli che vivono in ambiente domestico. Risultati più incoraggianti potrebbero derivare in soggetti confinati in gabbia per i 2 mesi postoperatori. I fattori che hanno influenzato in modo più determinante l’esito finale della procedura di PS si sono rivelati essere il


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

313

grado di lassità articolare, soprattutto il valore di AS, e l’inclinazione del DAR associati alla gestione postoperatoria del cucciolo. L’AS è direttamente correlato all’inclinazione del DAR; l’aumento di questi valori indica che la testa femorale subisce una sublussazione dorso-laterale durante il carico ponderale. L’indice di distrazione (DI) non si è dimostrato essere un valore altrettanto determinante al fine dell’esito dell’intervento, probabilmente perché riflette la lassità articolare passiva senza alcuna correlazione con le forze che agiscono sull’articolazione, che sono invece correlate all’inclinazione del tetto acetabolare. La stessa considerazione riguarda il valore di AR, direttamente proporzionale al grado di lassità articolare; tuttavia valori di AR superiori a 40° associati a DI maggiore di 0,6 sono stati frequentemente associati a scarsi risultati, in quanto una lassità articolare così marcata comporta spesso un danno al margine laterale del tetto acetabolare aumentandone poi di fatto l’inclinazione stessa. L’esito dell’intervento si è rivelato positivo in presenza di valori di AS non superiori a 15° e inclinazione del DAR non superiore a 12°, mentre in presenza di valori superiori non si sono ottenuti risultati soddisfacenti. Abbiamo considerato come risultato molto positivo il riscontro di un segno di Ortolani negativo, una congruenza normale delle teste femorali con centro mediale al bordo acetabolare dorsale, un bordo acetabolare craniale arrotondato e un’inclinazione del DAR non superiore ai 5°. Abbiamo considerato positivamente anche solo dei lievi miglioramenti alla luce del fatto che nel gruppo di controllo la tendenza al peggioramento era una costante. Il fatto di limitare la procedura di PS solo a soggetti con segni premonitori di displasia lievi o moderati può essere criticabile perché un futuro grado leggero o medio di HD può essere ben tollerato dal cane; tuttavia cani adulti con articolazioni delle anche normali o quasi normali possono condurre una vita più attiva senza il rischio di sviluppare una coxartrosi grave e debilitante in età adulta dovuta all’eccessivo esercizio fisico. Questo aspetto di benessere del cane può giustificare, pertanto, l’esecuzione della PS anche in cuccioli destinati a sviluppare una displasia moderata. La PS non può garantire invece dei buoni risultati in presenza di marcati segni premonitori di displasia, e se effettuata in

questi casi diventa molto importante la rivalutazione del cucciolo 2 mesi dopo l’intervento per valutare la necessità di intervenire con ulteriori tecniche correttive più invasive come la TPO, l’acetaboloplastica o la protesi totale d’anca (THR). Per selezionare dei buoni candidati per la PS occorre valutare molto precocemente i cuccioli appartenenti a razze a rischio, tra la 12° e la 16° settimana, sensibilizzando i proprietari già al momento dei primi interventi vaccinali. Più tardi, all’età di 20-24 settimane, solo i casi più lievi possono essere ancora trattati perché molti dei potenziali candidati a 12-16 settimane nel frattempo possono aver subito un peggioramento tale da precludere la possibilità di una PS. Nel gruppo di cuccioli trattati conservativamente abbiamo osservato come dei lievi segni di displasia all’età di 12-16 settimane possano frequentemente evolvere verso la gravità all’età di 24 settimane, indicando una costante progressione della patologia. La seguente tabella mostra i risultati che ci si potrebbe attendere dopo un intervento di PS in cuccioli di 12-16 settimane di vita in base ai criteri di selezione considerati (Tab. 1). Alcuni fattori ambientali quali l’alimentazione e l’attività fisica giocano un ruolo determinante nella prognosi; ipernutrizione e attività motoria eccessiva possono favorire il peggioramento della patologia prima che la PS possa produrre i suoi benefici sulla biomeccanica articolare. Nel nostro studio non abbiamo osservato alcuna complicanza legata all’intervento chirurgico; danni iatrogeni agli organi addominali, soprattutto uretra e retto, sono stati descritti come possibili complicanze chirurgiche e quindi devono essere sempre considerati nella loro potenzialità ed evitati accuratamente proteggendo gli organi addominali con il dito o con una spatola in materiale non conduttivo. Per ogni soggetto trattato in questo studio sono state sempre usate le medesime modalità di elettrocauterizzazione; per cui, anche nei casi con esito negativo, l’insuccesso non può essere attribuito ad una tecnica chirurgica inadeguata, anche se questa potenzialità esiste nel caso in cui la tecnica di elettrocauterizzazione fosse inadeguata. La Sinfisiodesi Pubica è una procedura chirurgica volta a modificare il fenotipo del cane e non lascia dei segni radio-

Tabella Prognosi della PS in relazione ai riscontri clinici e radiografici preoperatori in cuccioli di età di 12-24 settimane Ortolani

AR

AS

Centro TF

DI

Incl. DAR

Eccellente

Positivo

20° - 30°

0° - 5°

Laterale 0-1 mm

0,4 – 0,6

<10°

Buona

Positivo

30° - 40°

5° - 15°

Laterale 1,5-2 mm

0,4 – 0,6

10° - 12°

Scarsa

Positivo

> 40°

>15°

Laterale >3 mm

>0,6

>12°

PS: Sinfisiodesi pubica, AR: angolo di riduzione, AS: angolo di sublussazione, TF: teste femorali, DI: Indice di distrazione, DAR: bordo acetabolare dorsale


314

grafici che ne possano far sospettare l’esecuzione, al contrario di altre tecniche come TPO, aceteboloplastica o THR; questo pone un’importante implicazione di ordine etico: cuccioli trattati con successo con PS in età adulta possono apparire assolutamente normali se testati per la displasia dell’anca e quindi potrebbero essere adibiti alla selezione riproduttiva nonostante il loro genotipo affetto; inoltre femmine sottoposte a PS possono subire un restringimento del canale pelvico tale da impedire un parto eutocico. Questi aspetti devono essere discussi approfonditamente con i proprietari dei cuccioli per sensibilizzarli al problema e per ottenere un pieno consenso informato sulla controindicazione al futuro utilizzo di questi soggetti per scopi riproduttivi; in questo studio diversi cani (9) sono stati sterilizzati durante la stesse seduta chirurgica della PS, con il consenso del proprietario.

CONCLUSIONE La PS è una tecnica in grado di fermare o ridurre lo sviluppo della displasia dell’anca in cuccioli che presentano dei segni precoci di malattia come il segno di Ortolani, la sublussazione delle teste femorali e l’aumento di inclinazione del DAR. Perché sia efficace la procedura è indicata solo nei cuccioli con segni premonitori di displasia lievi o moderati, riscontrati durante un esame clinico e radiografico all’età di 12-16 settimane, e dopo aver ottenuto il consenso informato

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

del proprietario sulla corretta gestione postoperatoria e sugli aspetti etici di tale intervento. La PS non è invece indicata nei cuccioli che presentano segni premonitori di displasia gravi o che già presentano la malattia conclamata.

Bibliografia Dueland RT, Adams WM, Fialkowski JP et al.: Effect of pubic symphysiodesis in dysplastic puppies. Vet Surg 30:201-217, 2001 Slocum B, Devine TM: Dorsal acetabular rim radiographic view for the evaluation of the canine hip. J Am An Hosp Assoc 26: 289, 1990 Slocum B & Devine Slocum T: Hip: Diagnostic Tests. In Bojrab MJ, Ellison GW, Slocum B, editors: Current Techniques in Small Animal Surgery, Philadelphia, 1998, WB Saunders, pp 1127-1145 Slocum B & Devine Slocum T: Radiographic Characteristics of Hip Dysplasia. In Bojrab MJ, Ellison GW, Slocum B, editors: Current Techniques in Small Animal Surgery, Philadelphia, 1998, WB Saunders, pp 1145-1151 Slocum B & Devine Slocum T: Femoral Neck Lengthening. In Bojrab MJ, Ellison GW, Slocum B, editors: Current Techniques in Small Animal Surgery, Philadelphia, 1998, WB Saunders, pp 1154-1159 Slocum B & Devine Slocum T: Pelvic Osteotomy. In Bojrab MJ, Ellison GW, Slocum B, editors: Current Techniques in Small Animal Surgery, Philadelphia, 1998, WB Saunders, pp 1159-1165 Slocum B & Devine Slocum T: DARthroplasty. In Bojrab MJ, Ellison GW, Slocum B, editors: Current Techniques in Small Animal Surgery, Philadelphia, 1998, WB Saunders, pp 1168-1170 Vezzoni A, Magni G, De Lorenzi M, Pisani G: Pubic symphysiodesis – clinical experiences. Proceedings of the 1st World Veterinary Orthopaedic Congress ESVOT-VOS, Munich Sept. 5-8, 2002


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

315

Malattie dell’esofago: quelle semplici, quelle complesse e quelle molto difficili M.D. Willard DVM, Dipl ACVIM - Texas A&M University, USA

Estratto breve Il rigurgito si ha quando è presente un’ostruzione anatomica o una debolezza fisiologica dell’esofago. Il cibo viene ritenuto e, se migra passivamente in direzione retrograda fino nell’orofaringe, può essere rigurgitato. Il problema deve essere diagnosticato rapidamente nel tentativo di risolverlo prima che l’esofago subisca una dilatazione irreversibile o il paziente vada incontro ad una polmonite ab ingestis. In primo luogo, bisogna assicurarsi di cercare di distinguere il vomito dal rigurgito sulla base dell’anamnesi e dell’esame clinico. Ciò può risultare difficile e quanto segue costituisce soltanto una linea guida – alcuni animali che sembrano affetti da vomito in realtà rigurgitano e viceversa. Tuttavia, questi parametri sono ancora utili e spesso possono servire ad orientarsi nella giusta direzione. La nausea prodromica si riscontra comunemente nel vomito. Dal momento che quest’ultimo costituisce una risposta mediata a livello centrale, spesso si osservano prima altri segni quali salivazione, disagio e “gorgoglii” dello stomaco. Molti animali che stanno per vomitare camminano avanti e indietro, uggiolano o mostrano una sorta di ansia o disagio. Con il rigurgito, l’animale può essere seduto ed improvvisamente espellere una certa quantità di materiale. In generale, questi soggetti sono coscienti del fatto che stanno per vomitare, mentre spesso non sono consapevoli di essere prossimi al rigurgito fino a che questo non inizia davvero. Talvolta il rigurgito costituisce una sorpresa tanto per loro quanto per il cliente. Queste affermazioni non hanno valore assoluto – gli animali non sempre leggono i libri. I conati seguono la nausea prodromica e sono caratterizzati da contrazioni addominali forzate. Si tratta di un fenomeno che si osserva nel vomito. (si può riscontrare un certo grado di contrazioni addominali anche nel rigurgito, dove però non sono così intense o così forzate e non tendono ad essere ripetitive). Se non siete sicuri di che cosa siano i conati, provate semplicemente a ricordare l’ultima volta che avete vomitato. Non limitatevi a chiedere ai proprietari: “l’animale ha i conati?” perché costoro possono considerare come tali qualsiasi contrazione dell’addome. Descrivete chiaramente e precisamente che cosa intendete con questo termine, in modo che possano fornirvi una risposta accurata. Il materiale che l’animale espelle può talvolta essere utile per differenziare un fenomeno dall’altro. Se possibile, lasciate che il cliente sia il primo a fornirne la descrizione, in modo che non cerchi di attenersi alla vostra per cercare di

soddisfarvi. Il cosiddetto materiale “indigerito” può essere sia vomitato che rigurgitato. Se è digerito, ciò indica che il cibo è passato attraverso lo stomaco o l’intestino; tuttavia, limitandosi alla valutazione dell’aspetto visivo, può essere molto difficile o impossibile differenziare da quello digerito il materiale indigerito che è stato masticato, miscelato a muco o saliva e poi tenuto nell’esofago per un lungo periodo di tempo. Il muco può provenire sia dalle ghiandole salivari che dallo stomaco. Sia nel vomito che nel rigurgito si può osservare sangue rosso, mentre la presenza di sangue semidigerito e simile a fondi di caffè si riscontra soltanto nel vomito. Incidentalmente, va detto che ciò non costituisce una garanzia del fatto che il sanguinamento abbia avuto origine a livello gastrico. La presenza di bile, che si può presentare sotto forma un’alterazione di colore o un fluido verde, giallo o bruno scuro, indica che il materiale proviene dallo stomaco o dall’intestino. Non si deve chiedere solo se l’animale vomita bile, perché molti clienti partono dal presupposto che questa sia presente nel vomito (cioè: il mio animale “ha vomitato”, per cui deve aver vomitato della bile). Descrivete chiaramente che cosa intendete per “bile”. Occasionalmente (raramente), il materiale rigurgitato assume la forma dell’esofago e si presenta come una massa tubulare. Tuttavia, lo stesso fenomeno si può talvolta verificare con il materiale vomitato. Di conseguenza, questo riscontro non è troppo utile. La quantità di materiale espulso dalla bocca può essere grande o piccola sia nel vomito che nel rigurgito. Analogamente, il momento dell’episodio rispetto all’assunzione del pasto può variare da subito dopo l’ultimo pasto ad 1-2 giorni dopo, indipendentemente dal fatto che si tratti di vomito o rigurgito. Non dimenticate che si può rigurgitare muco anche senza aver mangiato per giorni. Se non siete ancora sicuri, il metodo più definitivo per differenziare il vomito dal rigurgito consiste nell’eseguire un esame radiografico del torace senza mezzo di contrasto, possibilmente seguito da un’esofagografia baritata. Esistono alcune cause di rigurgito che possono facilmente sfuggire a queste indagini, ma sono rare. Diagnosi iniziale: la prima considerazione da chiarire è se il rigurgito sia dovuto ad ostruzione anatomica dell’esofago o a debolezza esofagea. Il modo migliore per stabilire di che cosa si tratta è l’esofagografia baritata, che è quasi sempre indicata nei pazienti con sospetta esofagopatia. Bisogna riprendere per prime le radiografie del torace senza mezzo di contrasto, che spesso rivelano la presenza di corpi estranei esofagei, pneumotorace e/o versamento pleurico; il riscontro di questi quadri indica che probabilmente non è necessario


316

ricorrere alle tecniche di ripresa con mezzo di contrasto. Questo risulta invece utile in caso contrario, anche se le radiografie in bianco sono fortemente indicative di un megaesofago (perché presentano un evidente esofago dilatato e pieno di aria). In alcuni animali con aerofagia le radiografie in bianco suggeriscono debolezza esofagea, mentre le tecniche con mezzo di contrasto evidenziano una funzione esofagea normale. L’autore cerca in ogni modo di evitare di utilizzare il bario in pasta perché può apparentemente causare un peggioramento dei problemi se viene aspirato. L’esofagite non è così rara come alcuni sostengono. Il problema può essere dovuto a procedure anestetiche, riflusso gastroesofageo, ernie iatali, ingestione di sostanze caustiche e vomito protratto.

Estratto completo Regurgitation occurs when there is either an anatomic obstruction or a physiologic weakness in the esophagus. Food is retained and, if it passively migrates back into the oropharynx, can be regurgitated. The problem should be diagnosed quickly in an attempt to solve it before the esophagus from becoming irreversibly-dilated or the patient experiences an aspiration pneumonia. First, be sure to try to distinguish vomiting from regurgitation based upon history and physical examination. This can be hard to do and the following are guidelines only — some animals that appear to be vomiting are regurgitating and vice-verse. However, they are still useful and often point us in the correct direction. Prodromal nausea is commonly found with vomiting. Since vomiting is a centrally-mediated response, other signs such as salivating, discomfort and “gurgling” stomach are often seen beforehand. Many animals that are about to vomit will pace, whine or show some sort of anxiety or discomfort. With regurgitation the animal may be sitting and suddenly “gag” up some material. In general, animals know that they are going to vomit, but they are often unaware that they are going to regurgitate until they actually start doing it. Sometimes the regurgitation is as much a surprise to them as it is to the client. These are not absolutes - animals don’t always read the book. Retching follows prodromal nausea and is characterized by forceful, abdominal contractions. This is seen with vomiting. (You will see some abdominal contractions with regurgitation but they are not severe or forceful and they do not tend to be repetitive.) If you’re not sure what retching is like, just think back to the last time you had to vomit. Don’t just ask owners “Did the animal retch?” because they may consider any contractions of the abdomen to be retching. Clearly describe precisely what you mean so that they can give you an accurate answer. The material the animal expels sometimes help us distinguish what is going on. If possible, let the client describe the material first so they’re not just agreeing with you to make you happy. So called “undigested” material can be either vomited or regurgitated. If it is digested, then this would in-

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

dicate that the material came from either the stomach or intestines; however, it can be very difficult or impossible to visibly differentiate undigested material that was chewed up, mixed with mucus and saliva and has been sitting in the esophagus for a long time from digested material. Mucus can come from either the salivary glands or the stomach. Red blood can be seen with either, but semi-digested blood that looks like coffee grounds is only seen with vomiting. By the way, this does not ensure that the bleeding originated in the stomach. Bile indicates that the material is from the stomach or intestines. Bile is a green, yellow or dark brown discoloration or fluid. Don’t just ask if the animal is vomiting bile, many clients assume that vomitus contains bile (i.e., my animal “vomited”, therefore it must have vomited bile). Clearly describe what you mean by “bile”. Occasionally (rarely), regurgitated material will take on the shape of the esophagus and come out as a tubular mass. However, the same can occasionally happen with material that is vomited. Therefore, this is not too helpful. The amount of material ejected from the mouth varies from large to small with both vomiting and regurgitation. Likewise, the timing of the episode relative to eating can vary from immediately after eating to 1 2 days after the last meal, regardless of whether the animal is vomiting or regurgitating. Don’t forget that you can regurgitate mucus even though you have not eaten for days. If you are still confused, the most definite method of distinguishing vomiting from regurgitation is to perform plain thoracic radiographs, possibly followed by a barium contrast esophagram. There are some causes of regurgitation that are easy to miss on such studies, but they are far and few between. Initial diagnosis: The first consideration to clarify is whether the regurgitation is due to anatomic obstruction of the esophagus or due to esophageal weakness. A bariumcontrast esophagram is the best way to determine which is occurring, and it is almost always indicated in patients with suspected esophageal disease. Plain thoracic films should be done first because they will often reveal esophageal foreign objects, pneumothorax, and/or pleural effusion; signals that a contrast procedure is probably not needed. However, a contrast procedure is otherwise useful, even if plain films strongly suggest megaesophagus (i.e., an obvious air-filled, dilated esophagus). Some animals with aerophagia have plain radiographic findings suggesting esophageal weakness, but the contrast procedure will demonstrate normal esophageal function. I absolutely try to avoid using barium paste because it can seemingly cause worse problems if aspirated. Esophageal obstruction, when present, must next be distinguished as either being congenital or acquired. Congenital esophageal obstructions are usually vascular ring anomalies, the most common probably being the persistent right fourth aortic arch (PRAA). The PRAA is typically seen as a dilated esophagus immediately cranial to the base of the heart, while there is no evidence of retention of contrast caudal to the heart. This radiographic pattern in a young patient or one which has had signs of regurgitation since it was young is almost pathognomonic. However, this congenital problem has been found in older animals and esophageal weakness may mimic this if the esophagus dilates near the thoracic inlet.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Major point to remember: older animals may have a PRAA and only have intermittent signs. You need to radiograph all regurgitating dogs. Acquired esophageal obstructions may be due to foreign objects (especially bones), esophageal parasites, esophageal or periesophageal tumors, cicatrix formation secondary to esophagitis, and rarely achalasia. Esophageal foreign objects usually consist of bones but may be toys, balls, rocks, wood, etc. They usually lodge at the thoracic inlet, base of the heart, or lower esophageal sphincter. The history can be suggestive [e.g., an animal has been fed (usually table scraps) and suddenly refuses to eat any more and/or starts to “vomit”]. They may continue to drink water but refuse solid food if a food bolus cannot pass by a partial esophageal obstruction and causes pain when it tries to. Water usually passes around such foreign object without discomfort. Although the dog may seem to have acute gastritis, the realization that the patient is regurgitating (as opposed to vomiting) should be a “red flag”. Too often, a pet which has ingested a foreign object is treated conservatively while we wait and see if the supposed gastritis spontaneously resolves. Major point to remember: if an animal starts to vomit acutely, it could have any number of diseases. But, if an animal starts to regurgitate acutely, then esophageal foreign object is your number 1 rule out. Plain radiographs should be performed first. Bones are a common cause of obstruction and plain films that are made with proper technique and then carefully evaluated are diagnostic in most cases. (Remember that we are often looking for poultry bones which are not as radio-dense as the patient’s bones.) If plain films are not diagnostic, then contrast films are needed. However, an ill-defined fluid density in the region of the esophagus, pleural effusion, or pneumothorax suggest esophageal perforation and mediastinitis. If none of these findings are present, barium is the preferred contrast agent. Esophageal perforation may occur at variable times after ingestion of a foreign object. Even a blunt object, if tightly lodged in the esophagus, can cause ischemia and perforation in 2-3 days. The prognosis for animals with esophageal perforation and severe mediastinitis is guarded to poor, depending upon their condition at the time of diagnosis. Major points to remember: Good quality plain radiographs are usually diagnostic and endoscopy is almost always the preferred method of therapy. Foreign objects, even fish hooks, can often be removed endoscopically. It is preferable to use a rigid alligator forceps to pull the object into a rigid endoscope and then withdraw it and the scope as a unit. If a large object or a bone cannot be easily dislodged, do not force it lest you perforate a previously intact esophagus. Fish hooks have usually penetrated the mucosa (and sometimes the muscular tunics); you will have to use the rigid equipment to carefully force the tip of the hook back out of the mucosa. A small hole is left, but there are very seldom any complications. Do not push large objects or bones into the stomach unless you are sure that it is smooth on the aborad side and will not further damage the mucosa. Finally, be careful if you insufflate the esophagus lest you rupture a weak-

317

ened area in the mucosa and/or cause a fatal tension pneumothorax. After removing the foreign object, retake plain chest radiographs to be sure that pneumothorax (which would indicate a perforation) is not present. Antibiotics are indicated if there is esophageal mucosal ulceration (and especially if you remove a fish hook which was embedded). Depending upon the amount of damage, corticosteroids may be used to try to prevent cicatrix formation; however, it is not clear that they are effective. Major point to remember: the vast majority of esophageal foreign objects can safely be removed endoscopically. Primary esophageal carcinomas occur rarely although gastric carcinomas may spread into the lower esophagus. Most primary esophageal tumors are asymptomatic until they become very large. We have diagnosed a few primary esophageal tumors fortuitously when routine chest radiographs revealed a previously unsuspected density in the diaphragmatic lung fields. Esophageal sarcomas are usually due to Spirocerca lupi, which is discussed below. Most esophageal tumors are secondary to mediastinal or thyroid tissues and they cause esophageal obstruction by extramural pressure. Thyroid carcinomas may also invade the esophagus. The prognosis is usually poor. Major point to remember: esophageal carcinomas have an extremely poor prognosis. Rarely they will have a nonmalignant, polypoid growth above them, protruding into the esophageal lumen. Leiomyomas of the lower esophageal sphincter are occasionally seen. Endoscopy is the best tool to find them. They are best seen when one looks at the lower esophageal sphincter from the stomach using a retroflexed view. It is worth looking for these tumors as they are potentially curable with timely surgery. Major points to remember: this is one esophageal tumor that is potentially curable in most patients. However, you will probably not find it unless you do a careful and thorough gastroscopy. Cicatrix (i.e., scarring) may occur after an episode of severe esophagitis from any cause (including foreign objects). It is particularly easy to miss this problem on a barium swallow if only liquid barium is used. If radiographs using liquid barium are nonrevealing, repeat the study using barium mixed with food, which is more likely to stop at a partial obstruction. Endoscopy is very good at finding these lesions; however, you must keep in mind the size of the patient as you evaluate the esophageal lumen. A partial stricture will be very obvious in a 10 lb dog or cat but may not be apparent in a 85 lb animal. If a partial obstruction due to cicatrix is found, balloon-dilatation or bouginage is easy and usually effective; it is also more likely to be successful than surgery and resection of the affected area. In general, surgical resection should be a last ditch resort and only used if esophageal ballooning or bouginage has completely failed. However, you must use proper esophageal balloons because Foley catheters and endotracheal tubes with inflatable cuffs will not allow you to dilate such a stricture. This problem is not as rare as we once thought. Major point to remember: if an animal starts to have problems days to weeks after anesthesia, consider strongly


318

the possibility that an esophageal stricture has developed secondary to esophagitis. If you are treating an esophageal stricture, remember that you may need to do 1-12 dilatations. If esophagitis is present, you need to treat it aggressively in order to help prevent the stricture from recurring quickly. Acquired esophageal weakness is usually (but not always) easy to distinguish from obstruction when a barium contrast radiograph is performed. However, the severity of the radiographic lesion (i.e., the degree of dilatation) does not always correlate well with the clinical severity. Acquired esophageal weakness is typically difficult to resolve because it is hard to find the underlying cause. Myopathy, neuropathy, myasthenia gravis, dermatomyositis, dysautonomia, esophagitis, Addison’s disease, Spirocerca lupi, central nervous system disease, or infiltrative non-obstructive esophageal tumors are possible causes. Canine myopathies and neuropathies, when generalized, often affect the esophagus because it is composed of striated muscle. Typical signs of lower motor neuron disease in these patients include loss of muscle mass, weakness, an inability to bark, or a change in the quality of the bark. Some clients report that their animal has laryngitis (which may seen likely as these pets typically have repeated respiratory infections due to aspiration pneumonia). Treatment of the myopathy or neuropathy should resolve the problem, but symptomatic therapy for the esophageal dilatation is indicated to prevent irreversible esophageal dilatation as well as death from aspiration pneumonia. Generalized myasthenia gravis usually presents as weakness during exertion which resolves after resting. Electromyography and assay for circulating antibodies to acetylcholine receptors are the most definitive tests. Myasthenia gravis will sometimes spontaneously resolve. Treatment for myasthenia gravis that does not spontaneously resolve may include anti-acetylcholinesterase drugs, corticosteroids and/or cytotoxic agents. Major points to remember: it is crucial that you look carefully for underlying causes. Even though they are relatively uncommon, finding one gives you a chance of significantly helping the animal and preventing aspiration. Symptomatic therapy is usually a temporary benefit at best; you need to look for underlying causes. Localized myasthenia in the dog is a syndrome in which the esophagus is the only muscle which is obviously weak. This is diagnosed in dogs with esophageal weakness by detecting serum antibodies to acetylcholine receptors. The assay requires serum. The antibodies are relatively stable and require little special handling other than refrigeration. Up to 25-30% of dogs with acquired esophageal weakness have this syndrome. Some dogs with localized myasthenia will also have hypothyroidism, and a few of these will have resolution of their myasthenic syndrome and regurgitation when the hypothyroidism is treated with thyroxine. Third degree heart block may also be seen in some patients with megaesophagus due to myasthenia. You cannot perform an edrophonium response test to make this diagnosis. It is very important to correctly diagnose this problem because the treatment is corticosteroids and/or azathioprine. You can use pyridostigmine, but this appears to be much less effective than the steroids and immunosuppressive therapy. That is

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

where the problem comes in. If you have a dog with myasthenia, then suppressing the immune system can resolve the problem and prevent aspiration. However, if the dog does not have myasthenia causing megaesophagus, then suppressing the immune system will only make it that much more susceptible to aspiration pneumonia, plus worsen the prognosis if it does develop myasthenia. Major points to remember: this is probably the most common cause of acquired esophageal weakness that you can diagnose and it is worth diagnosing it because one can often treat these patients successfully. Azathioprine seems to be useful in treating localized myasthenia; we seldom use mestinon long term. Occasionally, we see EMG changes (i.e., sharp waves, fibrillation potentials) instead of decrementation upon repetitive stimulation. Hypoadrenocorticism may be responsible for causing esophageal weakness, even when the serum electrolytes are normal. This is especially true in standard sized black poodles, but may be true in any breed. Because of the bleak outlook for acquired esophageal weakness, it is cost-effective to perform this test even though the likelihood of diagnosing it is small. Again, the treatment for hypoadrenocorticism is steroids, which can make the esophagus start functioning again. However, if your diagnosis is wrong and you give steroids because you suspect the dog may have hypoadrenocorticism, all you are doing is making aspiration pneumonia and subsequent death that much more likely. Major points to remember: you will only diagnose this if you perform an ACTH-stimulation test. You cannot rely on finding hyponatremia or hyperkalemia. Typically, the diagnosis is a complete surprise because people just do the ACTH-stimulation test out of desperation and not because the patient has signs suggesting the disease. In return, they are able to literally cure the patient and give it an excellent prognosis. True achalasia of the lower esophageal sphincter (i.e., failure of the sphincter to open), although distinctly rare, should be considered. At first everybody thought that megaesophagus in the dog was due to achalasia. Then we found out that dogs were different than people and we all forgot about achalasia. Now we find out that it does occur, but very rarely. This is one reason why it is useful to perform a barium contrast esophagram in an animal with an obvious acquired megaesophagus. Failure of barium to pass from the esophagus to the stomach despite vertical positioning is suggestive of this rare, but potentially curable disease. Fluoroscopy and esophagoscopy are very useful in diagnosing this problem and eliminating other causes of esophageal retention. Even though achalasia is an obstructive disease, its distal location causes it to mimic generalized esophageal weakness on static image barium contrast esophagrams. This disease can be cured by lower esophageal cardiomyotomy. However, if this surgery is done incorrectly, it can cause gastroesophageal reflux with severe esophagitis and subsequent regurgitation. Therefore, this surgery should only be done by individuals well acquainted with it. Major point to remember: if you do not see barium entering the stomach (even when the patient is held in a vertical position after administering the barium), you need to consider the possibility of achalasia.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Idiopathic megaesophagus can only be treated with symptomatic therapy, which usually consists of feeding the animal 3-4 meals of gruel from an elevated platform and making the pet remain in the near vertical position from 510 mins after eating. Near-vertical means just that. It is useless for the dog to just lift its head up; it should be standing on its back legs. If necessary, use a portable ladder or put the dog in a large trash can to help it remain vertical during this time. This approach is a time-honored treatment, but it does not always work. Some animals with congenital or acquired esophageal weakness are controlled as well (or better) if they are fed free-choice dry food from an elevated platform. Some can even be fed from the floor. Free-choice feeding encourages the pet to eat small amounts of food throughout the day, thus avoiding intermittent large meals which are more likely to be retained and further dilate the esophagus. If there is any esophageal motility remaining, the dry food may be easier for the esophagus to propel then gruel. It is difficult to predict which feeding regime will work best for a particular patient and both of these feeding regimes may need to be tried. While most of these dogs die from aspiration pneumonia, making the prognosis very guarded, there are enough of them that respond well that it is worth trying. You cannot predict response until you have tried it. Some individuals have tried using cisapride in selected patients with idiopathic esophageal weakness that do not respond well to nutritional modification. Theoretically, cisapride would not be expected to work in these animals because cisapride primarily works on smooth muscle and canine esophagus is striated muscle. Furthermore, cisapride is expected to tighten up the lower esophageal sphincter, thus making it harder for food to pass out of the esophagus and into the stomach. However, some people have reported notable success in a few patients when using this drug. Nonethe-less, these same people will state that favorable results are infrequent and the drug sometimes makes the situation worse. Perhaps cisapride helps patients when gastroesophageal reflux is part of the problem. Some owners elect to have a permanent gastrostomy tube placed in the patient. This will not eliminate all regurgitation or aspiration, because the patient is still swallowing saliva which will remain in the esophagus until it is regurgitated. However, gastrostomy tubes will help eliminate most of the regurgitation and can markedly prolong such a patient’s quality, comfortable life. Aspiration pneumonia is a major problem and cause of death in dogs and cats with esophageal weakness causing regurgitation. If the respiratory disease cannot be stopped by alleviating the regurgitation by dietary therapy, then it must be controlled by antibiotics. A transtracheal wash with cytology and culture will help identify optimal antibiotics. Until culture results are known, use of broad-spectrum, bactericidal drugs (i.e., amikacin plus either cephalothin or amoxicillin; enrofloxacin plus amoxicillin) are used. In severe cases of aspiration pneumonia, one may have to bypass the esophagus with a gastrostomy tube to prevent further aspiration. These tubes can be place with the aid of a flexible endoscope and be used for days to months. Esophagitis causes muscular weakness by interrupting the reflexes between the esophagus and the brain. Severe

319

esophagitis is typically caused by anesthetic procedures in which animals are placed in dorsal recumbency and then have gastric acid pool in their esophagus for relatively long periods of time. However, gastroesophageal reflux from any cause can be responsible. Hiatal hernias occasionally are responsible for such reflux. Rare animals ingest caustic substances (e.g., lye). Esophagitis may be secondary to any cause of protracted vomiting. In particular, parvovirus enteritis may cause such intense vomiting that esophagitis results. If a vomiting animal has the character of its vomitus change, which seems to suggest regurgitation, consider the possibility that esophagitis has occurred secondary to the persistent vomiting. Gastrinoma (a tumor which secretes gastrin and results in massive gastric acid secretion) also causes esophagitis because of the vast and unending amounts of acid the esophagus is exposed to as the dog continually vomits. Gastroesophageal reflux may be potentiated by or even caused by esophagitis (which may be caused by reflux in the first place). Thus, there may be a positive feedback loop which can be hard to break (i.e., esophagitis causes more reflux which causes more esophagitis which causes more reflux which causes...). Barium esophagrams do not always reflect the severity of the esophagitis while esophagoscopy typically shows an edematous, reddened, bleeding esophageal mucosa, + structure formation. Esophagoscopy is the diagnostic method of choice to find esophagitis. Major point to remember: esophagitis is not a rare as we once thought, and the history can give us clues as to when to look for it. You should seek to prevent further gastroesophageal reflux by keeping the stomach as empty as possible by using prokinetics such as metoclopramide or, preferably, cisapride. Studies in people show that cisapride is clearly more effective than metoclopramide. The only real advantage of metoclopramide is that it can be given by injection; a useful fact in animals that are regurgitating profusely. In addition, gastric acid secretion should be minimized and preferably abolished. H-2 antagonists (e.g., cimetidine, ranitidine, famotidine) suppress gastric acid secretion, but they do not eliminate it. This is because they are competitive inhibitors. That means that there is constantly some degree of competition between the H-2 antagonists and the stimuli for acid secretion. Omeprazole on the other hand is a non-competitive inhibitor of gastric acid secretion. Therefore, omeprazole is often noticeably more effective and can cause near gastric anacidity. You can try to achieve greater efficacy with the H2 antagonists by doubling or tripling their dose. Major points to remember: the more expensive therapy can be cheaper in the long run for patients with severe disease. Severe esophagitis needs to be treated aggressively. A combination of omeprazole and cisapride seems to be the most effective medical treatment regime. Antibiotics are used to treat secondary infections, but nobody really knows if they do anything in this regard. Glucocorticoids have been thought to help retard fibrous connective tissue proliferation and cicatrix, but their effectiveness is uncertain (and they might predispose to infection). Placing a PEG tube seems to have some real advantages. First, we KNOW that the cisapride and omeprazole tablets will reach the stomach. Sec-


320

ond, we KNOW that the animal will receive its caloric and protein needs, and hopefully with much less irritation to the esophagus than would have occurred otherwise. If there is severe esophagitis, cicatrix may form and obstruction develop subsequently. Diagnosis of stricture is best accomplished by esophagoscopy IF the operator is familiar with such obstructions. It is surprisingly easy to pass a slender endoscope through a stricture and never recognize the stricture. It is also surprisingly easy to miss a partial obstruction due to a stricture with a barium esophagram. If you suspect a stricture and must use a barium esophagram to make the diagnosis, use barium mixed with solid food. Balloon-dilatation or bouginage is recommended if this occurs. Many animals need to have 2-6 dilatation procedures (all the while being treated for esophagitis), although some only need one procedure and some need more than 10. Do not try to resect the stricture unless you have had prior dilatation procedures fail. Hiatal hernias may be more common than suspected. They can be difficult to diagnose and one may need to put pressure on the abdomen during film exposure to try to push the stomach through the hernia and into the chest so that it can be diagnosed radiographically. Shar Pei’s seem to have a relatively high incidence of hiatal hernias. Major points to remember: hiatal hernias may be very difficult to diagnose and, even when found, may or may not be responsible for the animal’s clinical signs. Gastrinoma is another cause of esophagitis. Dogs with this tumor usually vomit profusely and thus burn the esophagus by the large volumes of gastric acid which pass through it. Most affected dogs have vomiting, diarrhea, and weight

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

loss. Increased serum gastrin concentrations are necessary for diagnosis. Aggressive H-2 blocker therapy can be used, but omeprazole is preferred. Major point to remember: if you find esophagitis in a dog with duodenal ulceration/erosion, you should consider measuring serum gastrin concentrations. Breed predispositions are important. English bulldogs and Shar Pei’s commonly have a redundant esophagus in front of the heart. It is important that diagnosticians recognize this as a dramatic, but usually insignificant finding. Esophageal parasites and non-obstructing tumors can cause megaesophagus by infiltrating the esophagus and disrupting motility. Thyroid carcinomas often do this because they are invasive and in close proximity to the esophagus. Interestingly, small Spirocerca lupi lesions may do likewise with the degree of dilatation appearing excessive in view of the relatively small parasitic granuloma(s) present. Major point to remember: spirocercosis is more than just a national board examination phenomenon. If an adult animal has recent-onset regurgitation due to esophageal dysfunction and a cause for the weakness cannot be found, it is termed “megaesophagus”. All of the animals with esophageal weakness causing dilatation have “megaesophagus”, but I prefer to restrict the term “megaesophagus” to those cases in which we find no specific cause for the muscular weakness (i.e., idiopathic esophageal weakness causing dilatation). Treat these patients symptomatically and try to find an underlying cause. It is important to continue to seek an underlying disease because an occult disease (e.g., myositis, neuropathy) may be as detrimental to the pet as the regurgitation or its associated aspiration.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

321

Malattie dell’intestino tenue e altre malattie che vi possono assomigliare (e farvi confondere) M.D. Willard DVM, Dipl ACVIM - Texas A&M University, USA

Estratto breve La diarrea cronica (cioè che persiste per più di 2-3 settimane) di solito necessita di un approccio diagnostico sistematico, anche se i mezzi diagnostici impiegati sono le diete di prova. La prima domanda nel paziente con diarrea cronica è se questi presenti un problema evidente come una parassitosi o una dieta palesemente scorretta. Bisogna rilevare che a questo punto non stiamo parlando di allergia o intolleranza alimentare. Tutto quello di cui ci preoccupiamo in questa fase è una dieta di qualità così scadente da far sì che sarebbe preferibile una suola di scarpa. Dopo tutto, esiste una ragione per cui alcuni alimenti per cani costano 12$ ogni 9 kg mentre altri costano 32$ per 9 kg, e non si tratta solo di marketing. Può darsi che le parassitosi siano improbabili nell’area in cui vivete, ma è sempre bene effettuarne la ricerca; forse il cane o il gatto ha viaggiato o è stato ricoverato in una pensione con un’animale che aveva viaggiato in aree in cui i parassiti sono comuni. La domanda successiva è se il paziente sia affetto da un problema del grosso o piccolo intestino. Si noti che la diarrea è dovuta ad un aumento del contenuto di acqua delle feci. Le affezioni del tenue possono determinare una diarrea minima o del tutto assente se il colon è in grado di assorbire una quantità di acqua sufficiente a far sì che le feci risultino solide. È solo quando la capacità di assorbimento idrico del colon viene superata che si instaura la diarrea. Anche quando quest’ultima è causata dalle enteropatie del tenue la perdita di peso da malassorbimento dei principi nutritivi può precederla di mesi. Servitevi dell’anamnesi per contribuire a differenziare la diarrea del crasso da quella del tenue. Il sangue rosso (ematochezia) deriva dal crasso o dall’ileo. Il muco nelle feci proviene dal grosso intestino o dall’ileo. La perdita di peso, specialmente a fronte di un appetito ragionevole, suggerisce una dispersione di principi nutritivi attraverso il piccolo intestino. Questo è probabilmente il settore più importante da considerare nella differenziazione delle affezioni del crasso da quelle del tenue. Qualsiasi animale con una malattia significativa del piccolo intestino deve presentare una perdita di peso o uno scadimento delle condizioni corporee. Qualunque soggetto con diarrea cronica che non presenti perdita di peso o scadimento delle condizioni generali è colpito da una patologia del crasso. Tuttavia, alcuni animali con gravi enteropatie del crasso mostrano perdita di peso, ma in questi

casi di solito si osservano anche ematochezia, muco e/o marcato tenesmo. Tenesmo e dischezia suggeriscono un’affezione del grosso intestino; tuttavia, qualsiasi animale con diarrea cronica può essere interessato da un’irritazione anale che provoca tenesmo. Il vomito si può osservare sia nelle affezioni del crasso che in quelle del tenue. Se coesiste un interessamento di entrambi i tratti intestinali, la diagnosi della patologia del colon può essere meno dispendiosa di quella del tenue, semplicemente perché è più facile effettuare il prelievo di campioni bioptici della mucosa del grosso intestino piuttosto che di quella del piccolo intestino. Una volta diagnosticata la malattia del tenue, la domanda successiva è se esista un’enteropatia proteinodisperdente (PLE) oppure no. Per effettuare questa distinzione è necessario determinare il livello sierico di albumine (NON di proteine totali). A questo punto, l’approccio alla diarrea cronica nel cane e nel gatto tende a divergere, perché questi animali in genere sono colpiti da malattie differenti. Se il paziente non presenta un’enteropatia proteinodisperdente, il passo successivo consiste nell’escludere la maldigestione. Una volta fatto ciò, si devono prendere in considerazione le malattie da malassorbimento. Il malassorbimento a livello del tenue è una causa comune di diarrea. Tuttavia, in un numero sostanziale di cani (e di gatti) con enteropatie del tenue da malassorbimento le feci risultano normali nonostante una grave patologia intestinale. Ciò vale in particolare nel gatto, perché gli animali di questa specie conservano l’acqua meglio dei cani. Le affezioni del tenue costituiscono uno dei principali motivi di preoccupazione in qualsiasi animale con perdita di peso a fronte di un appetito normale (e ancor più se aumentato). Se l’appetito è diminuito, si deve ancora accertare la possibilità che sia presente un’affezione del tenue. In particolare, bisogna valutare l’anamnesi per stabilire se l’appetito era normale quanto il problema si era presentato per la prima volta (una caratteristica fortemente indicativa di enteropatia del tenue o ipertiroidismo). I principali punti da ricordare sono che molti animali con perdita di peso grave e potenzialmente letale dovuta ad enteropatia del tenue non presentano diarrea. Le cause più comuni di malattia da malassorbimento nel cane sono probabilmente le parassitosi (ad es., giardiasi), l’enteropatia antibiotico-sensibile e l’intolleranza/allergia alimentare. L’infiammazione intestinale (IBD), il linfoma e le infezioni micotiche sono importanti, ma non sono la causa più comune (almeno, non nelle aree dove l’autore esercita la professione). Una volta escluse le parassitosi, l’enteropatia proteinodisperdente e la maldigestione (cioè, una volta accertato che


322

il paziente non è affetto da una malattia da malassorbimento proteinodisperdente), la domanda è se passare a tentativi terapeutici o ad un’indagine diagnostica più approfondita. Se il paziente è in grado di tollerare un possibile ritardo di 4-8 settimane senza particolari rischi, i tentativi terapeutici costituiscono una scelta ragionevole. In questo caso, devono essere studiati in modo tale che, anche se falliscono, consentono di ottenere informazioni utili e far sì che il clinico abbia comunque compiuto dei passi avanti. Chiedetevi sempre “se la terapia fallisce, saprò davvero qualcosa di più su ciò che il paziente probabilmente ha, o sarò confuso esattamente come prima di iniziare il trattamento?”. Le possibili diagnosi differenziali nel gatto sono diverse da quelle del cane. L’enteropatia antibiotico-sensibile non è così comune come nella specie canina. I problemi legati alla dieta sono frequenti, ma l’infiammazione intestinale (IBD) e il linfoma sono molto più diffusi nel gatto che nel cane.

Estratto completo DOGS WITH CHRONIC SMALL BOWEL DIARRHEA If the patient has PLE, then you need to skip down to that section. If the patient does not have PLE, the next step is to eliminate maldigestion. Maldigestion principally means exocrine pancreatic insufficiency (EPI). Cats rarely develop exocrine pancreatic insufficiency, and they are often obviously steatorrhic with a greasy hair coat. I have yet to see classic steatorrhea in a dog with EPI. You need to use the TLI test to establish the diagnosis; all the other tests (including fat absorption test and therapeutic trials with pancreatic enzymes) have so many false positive and false negative results that they are essentially untrustworthy. Major points to remember: enzyme replacement therapy for EPI will not work in all patients; therefore, you need to establish a diagnosis of EPI with certainty using the TLI test (especially in almost any German shepherd). Failure to use the TLI may mean that you wrongly decide that EPI is not present and go on to unnecessary, costly tests (e.g., intestinal biopsy). Most of the cases of EPI I have seen have been referred for endoscopy and biopsy because EPI was “eliminated” after the animal did not respond to enzymatic supplementation. Conversely, incorrectly diagnosing exocrine pancreatic insufficiency in a dog that does not have that disorder results in prescribing expensive enzyme supplements that are not needed. Dogs may have EPI and not respond to pancreatic enzyme replacement because a) the enzyme product is poorly effective, b) the diet is too high in fat, and c) the dog also has antibiotic responsive enteropathy. Sometimes you need to address all of these issue before the dog with EPI will respond to enzyme supplementation. Once maldigestion is eliminated, then malabsorptive diseases must be considered. Malabsorptive small intestinal disease is a common cause of diarrhea. However, a substantial number of dogs (and cats) with malabsorptive small intestinal disease have normal stools despite severe intestinal pathology.

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

This is especially true in cats because they conserve water better than dogs. Small intestinal disease is a major concern in any animal with weight loss despite a normal (and especially an increased) appetite. If the appetite is decreased, one should still explore the possibility of small intestinal disease. In particular, explore the history to find out if the appetite was normal when the problem first began (a strong indication of small intestinal disease or hyperthyroidism). Major points to remember: many animals with severe, life-threatening weight loss due to small intestinal disease do not have diarrhea. The most common causes of malabsorptive disease in dogs are probably parasites (e.g., giardiasis), antibiotic responsive enteropathy, and dietary intolerance/allergy. Inflammatory bowel disease, lymphoma, and fungal infections are important, but are not the most common causes (at least not in the authors practice areas). Once parasites, protein-losing enteropathy, and maldigestion are eliminated (i.e., you have determined that the patient has a non-PLE malabsorptive disease), the question is whether to recommend therapeutic trials or a major diagnostic work up. If the patient can tolerate a possible delay of 48 weeks without undue risk, then therapeutic trials are reasonable. If therapeutic trials are performed, they must be designed such that even if they fail, useful information is obtained and the clinician is further ahead than previously. Always ask yourself: “If this therapy fails, will I really know more about what the patient probably has, or will I be as confused as I was before treating it?”. An elimination diet is often useful for non-protein-losing malabsorptive disease. There is no such thing as a commercial diet which is an appropriate elimination diet (i.e., is hypoallergenic and appropriate to look for non-allergic intolerance) for all dogs. We often see cases in which the right thing was done (i.e., an elimination diet was used); but, it was done in such a poorly planned or implemented fashion that the effort was wasted. One must carefully investigate the history and see what the patient has eaten in the past. However, even when you have determined what dietary ingredients the patient has previously been exposed to, it is sometimes difficult to find a diet that works for that particular patient. In some cases, all of our well-planned hypoallergenic diets fail but a chance try at some commercial brand works. When starting the patient on an elimination diet, a homemade diet strongly recommends itself over commercial diets. Although there are excellent commercial diets, home-made elimination diets may be superior when one is first trying to determine if the diarrhea will respond to a diet. If feeding a home-made elimination diet resolves the problem, then one can switch to a completely balanced, more convenient, commercially prepared diet. An elimination diet must be used for an absolute minimum of 3-4 weeks (and possibly 6-8) before its efficacy can be accurately determined. If the diet seems to be effective (i.e., weight gain plus resolution of diarrhea) then continue it for at least another 3-4 weeks to be sure that it was the diet that made a difference and the patient is not having a transient improvement due to whatever. Major point to remember: poorly constructed dietary trials are a major cause of therapeutic failure. Many chronic small intestinal problems can be resolved with a well-designed therapeutic trial.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Antibiotics are reasonable therapy for chronic small intestinal malabsorptive disease, because antibiotic-responsive enteropathy (ARE) is a relatively common problem in dogs. This is a syndrome in which there are excessive numbers of bacteria in the upper small intestine AND the host responds to them in such a manner as to cause intestinal dysfunction. These bacteria are not usually obligate pathogens, but rather contaminants which are not eliminated from the upper small intestines. The signs they produce, if any, depend upon which bacteria are present and how the host responds to them. Anaerobic bacteria are often more pathogenic than aerobic bacteria. The relationship of this syndrome to inflammatory bowel disease, if any, is uncertain. Antibiotic-responsive enteropathy (previously called small intestinal bacterial overgrowth can be hard to diagnose. Because of the potential difficulty in diagnosing this disease, empirical therapy is often chosen instead of diagnostic tests. The obvious drawback to this approach is that the patient may have another disease which predisposed it to the bacterial overgrowth. Oral aminoglycosides are poor choices of antibiotics to treat ARE because anaerobic bacteria (which are often the more important type present) are resistant to aminoglycosides. Tetracycline is often effective, and tylosin powder has also been useful. Some clinicians like metronidazole; however, I have not been impressed with the efficacy of this drug for ARE. Regardless of which drug is used, such a trial should be performed for at least 2 weeks before a decision is made as to its efficacy. Not only do you need to eliminate the infection, but you must also allow the intestines to heal. Major point to remember: it may be a good idea to routinely treat all dogs with chronic small intestinal disease for ARE, even if you have histologic evidence of IBD or other disease. At this time, there is no easy, readily available “gold standard” for the diagnosis of ARE. Cobalamin and folate concentrations are often used to look for ARE; however, they are uncertain sensitivity and specificity. The bottom line is that I will treat for ARE in almost every dog with non-PLE malabsorptive disease; there is nothing I will see on the cobalamin and folate determinations that will change that. If a therapeutic trial will be done, it is usually a good idea to use a hypoallergenic diet and antibiotic therapy initially. If the patient responds, you can later stop one or the other and figure out which is the important aspect of therapy. If the patient is so sick that you cannot chance a 2-6 week therapeutic trial that may fail; or if the owners insist upon obtaining a diagnosis, then tests are the next step. If, based upon history, physical examination, laboratory data and/or radiographs, you are sure that the small intestine is involved, then the best next step is usually intestinal biopsy. Intestinal biopsy may be accomplished two ways: endoscopy and surgery. CBC, serum chemistry profile, and urinalysis are useful and may point out systemic manifestations of the disease which will aid in correctly diagnosing and prognosing the problem (e.g., hypoalbuminemia due to histoplasmosis), but are also useful as a preanesthetic work up before endoscopy. Ultrasound is useful to look for enlarged mesenteric lymph nodes or focal intestinal/gastric lesions, which may suggest a tumor (e.g., alimentary lymphoma or carcinoma) is present. However, animals with severe IBD may also have mesenteric lymphadenopathy. If the nodes are clearly en-

323

larged, it may be helpful to aspirate them percutaneously with ultrasound guidance. It may also help you decide whether to perform endoscopy or laparotomy when biopsying intestines (i.e., if there is an obvious lesion where an endoscope cannot reach, it is best to perform laparotomy instead of endoscopy). In contrast, abdominal radiographs (plain or contrast) are rarely helpful and are seldom cost-effective.

SELECT SPECIFIC SMALL INTESTINAL DISORDERS Eosinophilic gastroenteritis is usually easy to diagnose via biopsy but does not have consistent CBC changes. Many cases respond better to a strict elimination diet than to corticosteroids. If dietary therapy is ineffective, 2.2-4.4 mg prednisolone/kg body weight/day are used initially for 7-10 days. If these drugs are effective, the dose may be slowly decreased (over several weeks) to the lowest effective dose to avoid iatrogenic hyperadrenocorticism. Major point to remember: if you perform a good dietary trial first, you will seldom need to diagnose this by biopsy because you will have cured the dog before needing to biopsy it. Lymphocytic plasmacytic enteritis (LPE) is primarily a disease of middle-aged to older dogs. It is rarely seen in young dogs. If you receive a diagnosis of IBD in a 1 or 2 year old dog, I recommend a second opinion on the biopsy samples. When severe LPE is present, it can be more difficult to treat than eosinophilic enteritis. Some canine LPE patients respond well to elimination diets and you should always use such a diet when treating this disorder. However, high dosages of corticosteroids (i.e., 2.2-4.4 mg/kg/day) may be necessary. Metronidazole (10-15 mg/kg, q12hr) should also be used because it may be as or more useful than steroids and it usually has fewer side-effects. Azathioprine may also be needed for animals with severe disease. Occasionally oral tylosin therapy will be effective if there is IBO. Even when you are using effective therapy, you may have to wait for 2-4 weeks before seeing results. Major point to remember: always remember to use an excellent elimination diet in addition to all the drugs the books talk about. Lymphoma of the small intestine can obliterate the mucosa and cause malabsorption and protein-losing enteropathy. There may be peripheral involvement (e.g., lymphadenopathy), but the lesion is often limited to the abdomen and does not cause palpable masses. The prognosis is poor, but rare patients live for years after therapy (e.g., surgery and/or chemotherapy). Major point to remember: it can be very difficult to differentiate a well-differentiated lymphoma from lymphocytic enteritis, even when you have full thickness biopsies. Some animals with “lymphoma” have been cured with dietary therapy alone, which is to say that it was never lymphoma in the first place (regardless of what the biopsy report said). Granulomatous enteritis is a very difficult entity to treat (especially in dogs) and has a poor prognosis. Anti-inflammatory therapy is often ineffective. Be sure that special stains were done so that histoplasmosis and other organisms are truly ruled out.


324

CATS WITH CHRONIC SMALL BOWEL DIARRHEA The differentials for cats with chronic small intestinal disease tend to be different than what is found in dogs. Parasites are possible, but are generally not as common as in dogs. Exocrine pancreatic insufficiency is quite rare in cats. Antibiotic-responsive enteropathy does not appear to be as common in cats as it is in dogs. Dietary problems are seen and should be kept on the list of differentials. However, infiltrative bowel diseases, specifically inflammatory bowel disease and lymphoma, are much more common in cats than in dogs. These differences affect the order that things are done in cats with chronic small bowel diarrhea, compared to dogs with chronic small bowel diarrhea. Of all the chronic intestinal problems recognized in cats, inflammatory bowel disease (IBD) has probably had the most press. In general, clinical signs of small bowel IBD are usually considered to be vomiting and diarrhea while large bowel disease primarily causes hematochezia with or without diarrhea. However, the clinical signs of IBD can be vague and nondescript. IBD can cause anorexia (with or without diarrhea), weight loss, or icterus secondary to a suppurative cholangitis caused by bacteria that probably originate from the intestines. Therefore, one needs to be diagnostically aggressive, which means being willing to sometimes biopsy intestines even when the clinical signs do not clearly point to that organ. If a non-hyperthyroid patient is losing weight despite a reasonable appetite, of if other common causes of weight loss have been eliminated in a patient with a poor appetite, endoscopy of the small intestines should be considered. If the cat has hematochezia, one should biopsy the large intestines even if there is no diarrhea. One should never feel bad about biopsying intestines only to find that they are normal. Biopsying intestines is somewhat similar to performing FeLV tests. If 98% of all the FeLV tests you perform are positive, you are certainly missing some positive animals. Unless you are finding some substantial percentage of FeLV negative cats, you are not requesting the test often enough and are missing some positive cats. In the same manner, unless some of the cats that you biopsy have normal intestines, you are probably not biopsying enough cats; you are missing animals that have occult IBD but are only evidencing anorexia or other non-localizing signs. In some cats, hepatic disease (specifically suppurative cholangitis-cholangiohepatitis) may be directly due to an underlying IBD that has not been suspected. When the intestines are diseased, it may be easier for bacteria to translocate across the mucosa and enter the portal vein, being taken next to the liver where they may be filtered out. In such patients, the signs of hepatic disease (e.g., anorexia, lethargy, vomiting, weight loss) may mimic and obscure signs referable to the intestinal disease. We have also seen cases in which animals that initially did not appear to have hepatic disease developed cholangitis-cholangiohepatitis after we started treatment of the IBD with immunosuppressive drugs. We believe that we caused the hepatic disease in this situation by immunosuppressing a patient which already had its liver being exposed to more bacteria than normal because of the intestinal disease. Therefore, one needs to consider the

46째 Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

relationship of IBD and suppurative cholangitis-cholangiohepatitis from two standpoints. First, anytime suppurative cholangitis-cholangiohepatitis is found, one should consider biopsying the intestines to see if IBD can also be found. Second, anytime IBD is diagnosed and treated, one needs to watch the cat closely to see if it develops signs suggestive of hepatic disease. Antibiotics may reasonable be used if the damage to the intestinal mucosa is considerable and one is very worried about subsequent infection. Inflammatory bowel disease is defined by finding inflammatory infiltrates in the intestine but being unable to attribute them to a specific cause. Said another way, IBD is idiopathic intestinal inflammation. For example, if there are inflammatory infiltrates in the intestines and they subside when the patient is fed an elimination diet, then that cat had dietary intolerance or allergy, not IBD. Since IBD is a diagnosis of exclusion, it is crucial to be sure that all known causes have been eliminated. If we have eliminated all known causes of the intestinal inflammation, then by definition we only have symptomatic therapy available. This is the case when we diagnose IBD. If we can find an underlying cause for the intestinal inflammation, the chances of successfully treating the disease are substantially improved because we can then directly address the problem instead of just trying to deal with the signs. Furthermore, if we can treat the underlying disease, we may avoid using anti-inflammatory drugs that may have substantial side-effects, or at least be able to use smaller doses than usual. The cause of feline IBD is unknown, but can reasonably be hypothesized to be due to exposure of the intestine to antigens which results in an influx of inflammatory cells such as lymphocytes. These cells (primarily lymphocytes and plasma cells) appear to be a generic inflammatory response of the feline intestines to chronic exposure to a variety of substances. Conceivably these substances may be different for different cats. Cats seem to have a somewhat exaggerated inflammatory response (at least when compared to dogs), which may be why IBD seems more common in cats than in dogs (at least in our practice) and also seems to occur in younger cats than is usually found in dogs. The main antigens that the intestines are normally exposed to seem to be dietary, bacterial, and parasitic. Dietary antigens are clearly important in some cats with inflammatory intestinal infiltrates which may be indistinguishable from those seen in cats diagnosed with IBD. If dietary intolerance or allergy is present but never identified (either because it did not respond to a poorly constructed elimination diet, or because more time was needed to respond to an elimination diet than was allotted by the clinician), then IBD will be erroneously diagnosed. The length of a dietary trial is very important. In general, most clinicians believe that if a patient is going to respond to an elimination diet, it will do so within 3-4 weeks. While this appears to often be true, some dogs with cutaneous manifestations of dietary allergy require weeks or months to have their clinical disease resolve once the offending allergen is eliminated. The same might be true of some cats with exaggerated intestinal inflammatory responses to allergens. Therefore, it seems reasonable that any cat suspected of having IBD or any cat that has been diagnosed as having


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

IBD should receive, in addition to the typical symptomatic anti-inflammatory drugs, a carefully designed elimination diet which will hopefully treat any here-to-fore unidentified dietary intolerances. We recommend use of elimination diets even when they were previously unsuccessful in the hope that they may at least allow use of lower doses of the anti-inflammatory drugs.. Another source of stimulation of the intestinal immune system might be bacteria. Recent data suggest that clinically normal cats may routinely harbor large numbers of bacteria (i.e., > 105 bacteria/ml of fasting intestinal fluid) in the upper small intestine. This may be yet another source of antigens that make the intestines respond with inflammation and produce IBD. There is precedence for this connection between IBD and small intestinal bacterial overgrowth as seen in one dog whose small intestinal IBD disappeared when the small intestinal bacterial overgrowth was eliminated by antibiotic therapy. We do not routinely use antibiotics in cats with IBD, although the apparent connection of IBD with cholangitis-cholangiohepatitis may require rethinking this approach. There are several types of IBD in cats and they are named for the predominant type of cell infiltrating the mucosa. Lymphocytes and plasma cells are the cells most commonly found infiltrating the intestines; hence, lymphocytic-plasmacytic enteritis (LPE) is the most common form of feline small intestinal IBD. Occasionally, eosinophils, neutrophils, and/or macrophages are also found in greater or lesser numbers. If many macrophages are seen (i.e., granulomatous disease) one should consider the possibility that there might be an underlying neoplasia (e.g., lymphoma). This is not always the case, but occasionally occurs. In two studies of cats with LPE, the average age of affected cats was 6.8 to 9.5 years old, but cats ≤ 1 year old were affected in each case. Vomiting and weight loss were the primary signs in both studies. In general, severe weight loss tends to correlate with more severe inflammatory infiltrates in the intestines. Anorexia and/or diarrhea were seen in almost half of the cats. Emaciation and/or thickened intestinal loops were seen about half the time on physical examination. Hypoalbuminemia tends to be much less common in cats with LPE than in dogs with LPE. However, increased serum activities of hepatic enzymes was found relatively commonly. There is one report of bleeding due to apparent vitamin K malabsorption in two cats with LPE. We have seen this once; it appears to be relatively rare. All cases required intestinal biopsy for diagnosis. In one study which examined 60 cases, there were 6 instances in which an initial diagnosis of LPE was later changed to lymphosarcoma. This appeared to be due to an initial misdiagnosis rather than transformation of the IBD into lymphoma. In two clinical studies of cats with LPE, dietary manipulation alone rarely controlled clinical signs. However, use of prednisolone was often successful (i.e., 50-86%) at resolving or significantly controlling the disease. There are no good data examining the value of metronidazole in the treatment of LPE. However, this drug subjectively seems to be useful in many patients and may allow one to control clinical signs without prednisolone.

325

Eosinophilic enteritis has primarily been reported in association with the hypereosinophilic syndrome in mature cats. Vomiting, diarrhea, weight loss, and/or anorexia were the principle signs in a review of 13 affected cats. All cats with hypereosinophilic syndrome had substantial peripheral eosinophilias (i.e., approximately 3,000 to >100,000/ul). These cats usually have infiltration of various other organs with eosinophils. The only organ that appears to be infiltrated with eosinophils more consistently than the intestinal tract is the bone marrow. The spleen, liver, and mesenteric lymph nodes are also commonly infiltrated in this syndrome. Long-term therapy of feline hypereosinophilic syndrome with high-dose prednisolone is usually unrewarding and most animals die despite therapy. Finding a few eosinophils in the intestinal tract is not the same as diagnosing hypereosinophilic syndrome. Some cats without hypereosinophilic syndrome will have gastrointestinal disease characterized by moderate eosinophilic infiltrates into the small intestine, stomach, and/or colon and will respond to dietary manipulation and prednisolone administration. Lymphocytic-plasmacytic enteritis (LPE) is the most common form of feline IBD. When treating feline IBD, it makes sense to treat potential causes of the inflammatory infiltrates in addition to using symptomatic anti-inflammatory therapy. This generally means using steroids. Prednisolone is the most commonly used drug for feline IBD. In cats with IBD, prednisolone is usually administered at a high dose (1 mg/lb/day) although a cat with very severe disease might be started at 2 mg/lb/day. Splitting the dose into a b.i.d. administration schedule might be more effective. Dexamethasone (e.g., 0.1 mg/lb/day) is sometimes more effective than prednisolone, perhaps because dexamethasone has more anti-inflammatory activity than prednisolone. If high doses of dexamethasone are used too long, it can cause iatrogenic hyperadrenocorticism. However, since IBD might ultimately be related to dietary antigens, one should consider using hypoallergenic diets as well as steroids. I often start treating cats with LPE with an elimination diet, metronidazole, and prednisolone. Metronidazole seems to have immunomodulatory properties that help treat some forms of IBD. Metronidazole is sometimes as or more effective than prednisolone, especially with LPC. Using prednisolone in conjunction with metronidazole seems to improve results. The dose of metronidazole used for IBD is usually 10-15 mg/kg bid. Cats that are infected with FeLV or FIV can be at increased risk for infection; these can often be treated successfully with metronidazole alone. Likewise, cats with diabetes mellitus should not receive steroids as these drugs may cause insulin resistance. In both of these cases, one should initially use metronidazole without prednisolone, to see if it will be adequate. Adverse reactions to metronidazole are rare when used at this dose and we do not hesitate to use it for weeks or even months. If CNS toxicity (e.g., seizures, convulsions, disorientation, weakness) occurs due to metronidazole, withdrawal of the drug will usually be associated with clinical remission within 24-48 hours. Vomiting may occur as a minor side effect of metronidazole; if it occurs, it can usually be dealt with quickly by stopping the drug for a day or two and then administering it with food.


326

Budesonide is a new steroid that has been used in people for some time. It administered orally and is eliminated by first pass metabolism in the liver. It have been used in some cats with IBD that did not seem to respond well to more traditional therapy. It is worth noting that we have seen iatrogenic hyperadrenocorticism due to this drug (i.e., the first pass metabolism is not the silver bullet that people hoped it would be), and that if a cat does not respond to traditional medication for IBD, one should strongly consider the possibility that a food allergy/intolerance is responsible instead of IBD. Cytotoxic drugs may be used in patients with severe inflammatory infiltrates or those which seem resistant to elimination diets, metronidazole, and corticosteroids. Azathioprine is often recommended, but I am cautious of it because it is a very potent immunosuppressive agent to which many cats are very sensitive. A dose of 0.3 mg/kg every other day is recommended. It may take 3-5 weeks before any beneficial effects are seen. The best way to administer this drug to cats is to crush a 50 mg tablet of azathioprine and suspend it in 15 ml of syrup. This results in a suspension with 3.3 mg/ml. This suspension must be shaken well each time you use it, lest it settle out and the cat receive too much or too little. Myelotoxicity with severe neutropenia is possible. Anytime a cat receives this medication and becomes ill, its rectal temperature and WBC count should be determined immediately. Chlorambucil (Leukeran) is another cytotoxic drug that can be used. This alkylating agent is much less dangerous than cyclophosphamide and may be safer than azathioprine. It is sometimes useful for the cat with LPE that does not respond to diet, prednisolone, and metronidazole. There is limited experience with this drug in cats with IBD, but it seems that it should be administered with prednisolone. There are at least two methods of administering chlorambucil to cats. In the first method, the initial dose is 2 mg of chlorambucil/M2 of body surface area given daily for 4-7 days. The dose is then decreased to 1 mg/M2 daily for 7 days. If the clinical signs are lessening, one then starts to administer the drug daily, but only every other week. It is common for these patients to develop anemia (PCV = 18-22%). The second method is to give large cats (i.e., > 7 lbs) 2 mg twice weekly and smaller cats (i.e., < 7 lbs) 1 mg twice weekly. If a clinical response will occur, it should be seen in 4-6 weeks, after which time the drug may be slowly tapered to the lowest effective dose. CBC’s should be monitored periodically or anytime the cat seems to feel bad. Neither chlorambucil or azathioprine should be used unless you have a histologic diagnosis. In patients with severe disease, we often start these drugs with the diet and other anti-inflammatory therapy. If the patient responds within the first 2 weeks, we stop these drugs because they have not had time to be effective yet and the clinical response is due to the other drugs. If there is no response after 2-3 weeks, then we wait until 4-6 weeks because both of these drugs usually require that long to help animals with intestinal disease. Lymphoma is usually the most common form of gastrointestinal malignancy found in the cat. Furthermore, the alimentary form of lymphoma is often the most common form identified, although this finding varies from location to

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

location. Most alimentary lymphomas are FeLV negative which is not surprising when you consider that most alimentary lymphomas are believed to be of B-cell origin. The most common signs of intestinal lymphoma are similar to that found for IBD while gastric lymphoma may present with anorexia as the sole complaint. Thickened intestinal loops may be found, but are not invariable. There are no CBC or serum chemistry profile findings that are diagnostic for or strongly suggestive of alimentary lymphoma. Chylous abdomen is rarely found in cats, but when present may be associated with various neoplasms, including lymphoma. Abdominal radiographs rarely show a solitary mass. Abdominal ultrasound may reveal thickened intestines and/or enlarged mesenteric lymph nodes. Neither of these findings diagnose lymphoma or eliminate IBD; however, marked mesenteric lymphadenopathy seems to be more common in lymphoma than in IBD. Alimentary lymphoma may be solitary or diffuse. The former may or may not have enlarged mesenteric lymph nodes while the latter usually does. Renal involvement is common in cats with diffuse alimentary lymphoma. Lymphoma involving large granular lymphocytes has been reported in cats. These animals typically have intestinal masses, usually jejunal, and are FeLV negative. However, cats with large granular lymphocytes usually are hypoproteinemic, a finding that is seems to be less consistent in cats with other forms of alimentary lymphoma. There are some instances in which an apparently correct diagnosis of IBD is latter followed by a diagnosis of intestinal lymphoma. It is suspected that in some patients, LPE may be a preneoplastic disorder. The frequency of this occurrence is unknown; the point is that one should not hesitate to rebiopsy a patient if the disease (e.g., IBD) does not respond to apparently appropriate therapy. This concept works in “reverse” also. We have documented a cat in which lymphoma was diagnosed twice over 9 months, and the patient was ultimately found to only have dietary responsive enteropathy. The prognosis for cats with alimentary lymphoma is often poor; however, some cats with well differentiated lymphoma will respond for months or years to combination chemotherapy. Solitary lymphomas may have a better prognosis than diffuse ones. Surgical resection of solitary masses may allow for several months of survival in some cases. Solitary gastric lymphoma may have an even better prognosis, if surgery is combined with chemotherapy. Diffuse, poorly differentiated alimentary lymphoma is often disappointing to treat because of the poor response that many animals have.

HYPOALBUMINEMIA Severe hypoalbuminemia (i.e., < 2 gm/dl) in an animal with diarrhea suggests a protein-losing enteropathy (PLE). If severe, exudative cutaneous disease, protein-losing nephropathy, and hepatic insufficiency are eliminated, then PLE is a reasonable tentative diagnosis. Contrary to what the textbooks say, PLE may be associated with a low, normal or increased serum globulin concentration. In general, animals


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

with PLE tend to have severe alimentary tract disease that needs to be diagnosed promptly to maximize the chance for successful therapy. Although therapeutic trials can appropriately be chosen in place of classic diagnostic tests in many common alimentary tract diseases (e.g., dietary allergy, dietary intolerance, antibiotic-responsive enteropathy, parasites), such an approach is generally ill-advised if the serum albumin concentration is less than or equal to 2.0 g/dl. This is true because it may be necessary to perform a dietary therapeutic trial for 3-6 weeks in order to ascertain if it is being effective, and a patient with severe PLE can become markedly worse in the time period. The major causes of PLE in adult dogs are inflammatory bowel disease (IBD), alimentary tract lymphosarcoma, and intestinal lymphangiectasia. Other causes include colonic histoplasmosis, alimentary pythiosis, alimentary tract ulceration/erosion, severe disease of intestinal crypts, and parasites. The major causes of PLE in juvenile dogs are parasites and chronic intussusception. Inflammatory bowel disease is a very rare cause of PLE in juvenile dogs (or for any disease in juvenile dogs, for that matter). Cats with PLE usually have IBD or alimentary tract lymphosarcoma. Cats almost never develop intestinal lymphangiectasia, and seldom have parasite infestations severe enough to cause problems. The general diagnostic approach is to measure serum albumin concentrations and find out if it is decreased. If it is, then examining the skin for obvious lesions which can be responsible for protein loss is next. Then, hepatic function testing (e.g., resting and post-prandial serum bile acid concentrations are typical) and a urinalysis are generally the next steps. If there is any doubt on the urinalysis, then a urine protein:creatinine ratio may be requested to quantify the magnitude of urinary protein loss. Many dogs with PLE have hypocholesterolemia. Pets with protein-losing nephrophaties usually have hypercholesterolemia, while those with hepatic insufficiency often have hypocholesterolemia. Fecal examinations for parasites are appropriate. Although a very uncommon cause in adult animals, pets which are kept in confined areas can end up reinfecting themselves and thereby incurring substantial parasitic loads, despite their maturity. Once PLE has been diagnosed, then intestinal biopsy is usually the ultimate means of establishing a diagnosis. Biopsy can be done via laparotomy, laparoscopy, or endoscopy. Regardless of which technique will be employed, I recommend feeding a fatty meal the night before the procedure in hopes of making it easier to diagnose lymphangiectasia. Flexible endoscopy, when done by someone who is trained not only in manipulating the endoscope but also in how to take diagnostic tissue samples and submit them, is usually more than adequate to obtain diagnostic samples. However, if endoscopy will be used to biopsy the small intestines, then it is preferable to first ultrasound the abdomen to make sure that there are no focal infiltrates that are out of reach of the endoscope, or which might be more easily diagnosed by ultrasound-guided fine needle aspiration. Radiographs and barium series are seldom as sensitive as ultrasound, and certainly require as much or more work than ultrasound. If flexible endoscopy will be done, I recommend biopsying both the duodenum and the ileum. We have had cases in which lymphangiectasia was obvious in the ileum but not in the

327

duodenum. It is generally not necessary to enter the ileum in order to obtain a good tissue sample of the ileal mucosa. Laparotomy and laparoscopy are good means of obtaining diagnostic samples, but one must realize that it is surprisingly easy to procure non-diagnostic samples with these techniques (i.e., Afull-thickness sample@ is not synonymous with Adiagnostic sample@). Endoscopy does have the advantage of allowing one to visualize mucosal lesions that are Ainvisible@ when looking at the serosa. In some cases, the diagnosis can only be obtained by biopsying these focal lesions. Full-thickness intestinal biopsy performed on a patient with a serum albumin concentration less than 2.0 gm/dl, and especially less than 1.5 gm/dl carries with it some increased risk of dehiscence of the intestinal incisions. If such full thickness biopsies are obtained in severely hypoalbuminemic animals, then serosal patch grafting will minimize the risk of suture line leakage. A nonabsorbable or a poorly absorbable suture (PDS) should also be used. Major points to remember: a substantial number of dogs and cats with PLE do not have vomiting or diarrhea, just like a substantial number of dogs and cats with severe hepatic disease do not have an increased ALT or SAP. Fecal concentrations of alpha-1 protease inhibitor can be used as a means of confirming PLE. The major use for this test seems to be the hypoalbuminemic patient in which you suspect PLE, but which also has PLN and/or hepatic disease. Intestinal lymphangiectasia is most common in Yorkshire terriers and Soft-Coated Wheaten terriers, but may occur in any breed. Therapy for intestinal lymphangiectasia revolves around an ultra-low fat diet. We used to recommend supplementation with medium chain triglyceride oil (MCT). MCT oil supposedly bypasses intestinal lymphatics thus preventing further rupturing of the lacteals. Pancreatic enzymes was often added to the diet to ensure digestion of the medium chain triglyceride oil. In fact, we seldom use MCT oil anymore, probably because using a highly digestible, ultralow fat diet is usually more than sufficient. Using homemade diets that are highly digestible and ultra low in fat (e.g., white turkey meat plus potato or rice) is often very helpful in these patients. Sometimes corticosteroids are also useful as lipogranulomas may form in the intestines, further impeding lymphatic flow. However, be aware that some of the causes of PLE are made much worse by corticosteroids (e.g., histoplasmosis). Major point to remember: lymphangiectasia is not as common as IBD and lymphoma as a cause of PLE. Also, young dogs with PLE usually have parasites or chronic intussusception. If the serum albumin is very low (e.g., ≤ 1.3 gm/dl), a plasma transfusion may be needed while waiting to see what effect the diet will have. However, it is difficult to increase serum albumin concentrations by transfusing PLE patients. This is because approximately half of the albumin you administer will end up going into the interstitial compartment and only about half will remain in the vascular compartment. You would probably have to give at least two units of plasma to a 15 lb dog in order to raise the serum albumin from 1.0 gm/dl to 1.8 gm/dl, and sometimes you would have to give 3 or 4 units. If it is critical


328

to raise the plasma oncotic pressure, then administering hetastarch may be preferred due to the facts that it costs less than plasma, and it stays in the intravascular compartment longer than albumin. The most important question is, “What do you do when you do all of these things and the dog or cat still has diarrhea?” “Intractable” large bowel diarrhea is usually due to a common, treatable cause that can be controlled with appropriate therapy, but that has been misdiagnosed and/or mismanaged. In most cases you do not need some newer, more powerful, drug. Careful consideration of the patient’s prior drug administrations, previous diets, the client’s compliance, and a careful review of prior diagnostic procedures will usually reveal that other less aggressive and less dangerous therapies are effective once the problem has been bet-

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

ter defined. It is common to ultimately find that diet will partially or completely resolve the problem, once the correct diet is found. If you are convinced that your therapies have been excellent and carried out correctly, you should not hesitate to repeat your diagnostic work up. Look again for giardia and do not hesitate to rebiopsy the colon, being sure that you examine the entire colon and probably the ileum as well. Such a work up may reveal another, previously unsuspected problem or a second disease that has occurred since you diagnosed the first disease. Major point to remember: you should not hesitate to consider the possibility that you have the wrong diagnosis in patients who are not responding to apparently appropriate therapy, even if you have previously obtained multiple colonic biopsies.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

329

Anoressia e dimagramento nel cane e nel gatto M.D. Willard DVM, Dipl ACVIM - Texas A&M University, USA

Estratto breve La perdita di peso cronica nel cane e nel gatto può essere dovuta a: 1) anoressia (sia da malattia che da sospensione dell’offerta di cibo), 2) dieta di qualità scadente, 3) incapacità di mangiare, 4) rigurgito, 5) vomito, 6) maldigestione (insufficienza del pancreas esocrino), 7) malassorbimento, 8) malassimilazione (insufficienza organica), 9) eccessivo impiego di calorie (ad es., ipertiroidismo, lavoro, ambiente freddo), 10) eccessiva perdita di calorie (ad es., diabete mellito), 11) affezioni neuromuscolari e 12) cachessia neoplastica (che comprende alcuni aspetti di numerose di queste categorie). L’anoressia è un segno clinico comune a molte malattie e quindi risulta difficile da spiegare se costituisce il solo motivo della visita o il solo riscontro clinico. Le sue principali cause sono anomalie psicologiche, incapacità di percepire l’odore del cibo (specialmente nel gatto), disfagia (specialmente quando causa dolore), infiammazioni, malattie alimentari ed addominali (specialmente quelle che causano nausea o dolore), neoplasie, tossine (endogene ed esogene), malattie endocrine ed affezioni del sistema nervoso centrale. Principali punti da ricordare: gli animali con malattie infiammatorie che causano anoressia possono presentare febbre e leucocitosi, solo la febbre, solo la leucocitosi e talvolta nessuna delle due (solo un’abnorme distribuzione dei leucociti). Le affezioni gastriche possono causare il vomito oppure provocare una completa anoressia (dovuta alla nausea) senza che a questa si accompagni alcun episodio di vomito. L’anoressia si può osservare con qualsiasi gastropatia, ma in particolare con le neoplasie maligne e/o i processi infiammatori. Questa situazione può essere molto difficile da diagnosticare, perché è tipica l’assenza di alterazioni di emogramma, profilo biochimico, analisi dell’urina o quadri radiografici che indichino che il problema è localizzato a livello dello stomaco. Si possono riscontrare anomalie ecografiche indicative di una patologia gastrica. La biopsia è l’unico mezzo per formulare una diagnosi di questo genere. Si deve sempre effettuare il prelievo di un campione bioptico di mucosa gastrica; non si può mai escludere la presenza di una gastrite o di un’enterite basandosi sul riscontro di una mucosa gastrica o duodenale di aspetto normale. Allo stesso modo, l’infiammazione gastrica è relativamente poco comune ed è necessario assicurarsi di aver ispezionato e prelevato campioni bioptici anche di mucosa duodenale, perché

questa viene colpita con frequenza di gran lunga maggiore dello stomaco. Principali punti da ricordare: l’anoressia (non il vomito) è spesso il primo segno di una malattia gastrica cronica come un tumore o una gastrite. Quest’ultima può causare iperlipasemia che può essere falsamente indicativa di pancreatite acuta. Nella presente relazione, il termine di malassimilazione è riferito all’insufficienza organica. Le cause più comuni sono l’insufficienza cardiaca, epatica, surrenalica e renale. Quest’ultima viene diagnosticata facilmente, ma occorre ricordare che l’ipoadrenocorticismo può simularla perfettamente e costituisce una malattia molto meno grave (cioè trattabile). Bisogna sempre ricercare queste malattie “buone” (cioè, qualcosa che si possa trattare), anche quando può sembrare che il paziente sia affetto da una malattia “cattiva” (cioè qualcosa che non si può trattare). L’insufficienza cardiaca è quasi sempre rilevabile attraverso l’esame clinico (soffi, aritmia, deficit di polso, polso giugulare), benché per la conferma della diagnosi possa essere necessario ricorrere a radiografia del torace, ECG e/o ecocardiografia. Gli animali con insufficienza surrenalica presentano tipicamente un’anamnesi poco chiara. In effetti, l’ipoadrenocorticismo (anche detto morbo di Addison) può essere uno dei disturbi più vaghi che il veterinario si possa trovare ad affrontare. Ipoadrenocorticismo del cane: classicamente, l’ipoadrenocorticismo spontaneo si riscontra in cagne giovani o di media età con un’anamnesi di vaga depressione altalenante, anoressia, vomito e perdita di peso. La vaghezza è il riscontro più costante in questi pazienti. Gli animali gravemente colpiti possono essere così deboli da far sospettare la protrusione di un disco lombare. L’iperkalemia può causare bradicardia ma si tratta di un evento raro. L’ipoadrenocorticismo iatrogeno è comune nel cane, ma causa raramente la comparsa di segni clinici di entità pari a quella osservata nella malattia spontanea. Molti cani presentano un ipoadrenocorticismo non “classico”. Possono essere colpiti animali di appena 16 settimane o anche di 12 anni di età. Di solito predominano le manifestazioni gastroenteriche (specialmente vomito ed anoressia), ma l’emesi tende ad essere sporadica. In rari casi, la diarrea costituisce un fenomeno accentuato. Il 15-20% circa dei cani presenta poliuria e polidipsia. Occasionalmente, si osserva un rigurgito da megaesofago in assenza di qualsiasi altro segno clinico di insufficienza surrenalica. Le affezioni del sistema nervoso centrale possono essere causa di anoressia, ma non è possibile riscontrare alcun de-


330

ficit dei nervi cranici. Talvolta, il solo indizio di questa malattia è un commento da parte del cliente che riferisce che l’animale ha cambiato comportamento. Se il proprietario afferma che il comportamento del proprio animale è chiaramente fuori dalla norma, si deve prendere seriamente in considerazione l’esistenza di un’affezione del SNC (compreso un tumore) anche se a voi le azioni del soggetto non sembrano affatto strane. Se decidete di verificare l’esistenza di una malattia del SNC, ricordate che è possibile che siano presenti gravi affezioni di questo genere, responsabili della comparsa di segni clinici, anche senza evidenti alterazioni di liquor, EEG o persino TC.

Estratto completo Chronic weight loss in the dog and cat may be due to: 1) anorexia (either due to disease or withholding of food, 2) poor quality diet, 3) inability to eat, 4) regurgitation, 5) vomiting, 6) maldigestion (i.e., exocrine pancreatic insufficiency), 7) malabsorption, 8) malassimilation (i.e., organ failure), 9) excessive usage of calories (e.g., hyperthyroidism, work, cold environment), 10) excessive loss of calories (e.g., diabetes mellitus), 11) neuromuscular disease, and 12) cancer cachexia (which includes aspects of several of these categories). Anorexia is a common sign of many diseases and hence is difficult to track down if it is the sole presenting sign or finding. The major causes of anorexia are: psychologic, inability to smell food (especially cats), dysphagia (especially when it causes pain), inflammation, alimentary and abdominal disease (especially that causing nausea or pain), neoplasia, toxins (endogenous and exogenous), endocrine disease, and central nervous system disease. Major point to remember: animals with inflammatory disease causing anorexia may have fever + leukocytosis; just fever, just leukocytosis, and sometimes neither (just an abnormal distribution of leukocytes). In patients with difficult to diagnose disease, the best place to start is at the beginning. Do not hesitate to repeat the history and physical examination as well as other tests that were previously performed because the results may change as the disease progresses. Major points to remember: most mistakes in the work up of a difficult case occur because 1) we incorrectly assume something on the history, 2) we miss something on the physical examination, or 3) we get in a hurry and overlook something obvious during the work up. When the case becomes confusing, always go back to the history and physical examination, and do not hesitate to do your own laboratory work, even though someone else just finished doing it somewhere else. Also remember that thoracic radiographs may be extremely revealing in animals which have absolutely no historic or physical evidence of thoracic disease. Gastric disease may cause vomiting, or can cause complete anorexia (due to nausea) without any associated vomiting. Anorexia may be seen with any gastric disease, but especially malignancy and/or inflammatory disease. This situation can be very difficult to diagnose because there are typ-

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

ically no CBC, profile, U/A or radiographic changes that would suggest the problem is in the stomach. You might find ultrasonographic changes suggestive of gastric pathology. Biopsy is the only means of making such a diagnosis. Always biopsy the gastric mucosa; you can never eliminate gastritis or enteritis based on finding a normal-appearing gastric or duodenal mucosa. By the same token, gastric inflammatory disease is relatively uncommon and you must be sure that you also inspect and biopsy the duodenal mucosa as it is diseased far more often than is the stomach. Major points to remember: anorexia (not vomiting) is often the first sign of chronic gastric disease such as tumor or gastritis. Gastritis can cause hyperlipasemia which may falsely suggest acute pancreatitis. Maldigestion principally involves exocrine pancreatic insufficiency (EPI). The best test for canine EPI is the serum trypsin-like immunoreactivity (TLI). This is determined from a fasting blood sample which is sent to Dr. David Williams at Texas A&M University. TLI can detect EPI before gross or histologic examination can. Do not treat patients with suspected EPI in order to diagnose it, because there are reasons why a dog with EPI may not respond to enzyme therapy. Enzyme replacement is most effective if a powder (versus tablets or capsules) is used with a low-fat diet that is given in 2-4 small feedings per day. SIBO may prevent enzyme therapy from being efficacious unless an appropriate antibiotic (e.g., oxytetracycline, tylosin) is used concurrently. Some patients with EPI never respond well to appropriate therapy. Ostensibly, such patients have mucosal changes secondary to chronic SIBO. Finally, gross over dosage of the enzyme replacement rarely causes diarrhea and/or stomatitis. Some do not have obvious weight loss when first presented. Therefore, I usually determine TLI in any dog (especially German Shepherds) with vague, difficult-to-diagnose gastrointestinal disease. Cats rarely develop exocrine pancreatic insufficiency, so don’t go looking for it very often. Major points to remember: use the TLI, not response to enzyme replacement Malabsorption (i.e., small intestinal disease) usually causes diarrhea; however, there are a lot of dogs and cats that have normal stools despite severe intestinal pathology causing weight loss. Small intestinal disease is a major concern in any animal with weight loss despite a normal appetite. Even if the appetite is decreased, one should still explore the possibility of small intestinal disease. Major point to remember: many animals with severe, life-threatening weight loss due to small intestinal disease do not have diarrhea Giardiasis in particular can be occult and responsible for chronic, severe enteritis, even in geriatric dogs. It is cost-effective to perform at least 3 fecal flotation and direct exams at 48-hour intervals because many patients that have been properly treated are still infested with parasites. Zinc sulfate is a particularly good flotation media to use to look for giardia. I prefer to treat with metronidazole (50 mg/kg/day) for 10-12 days and bath the dogs 1 or 2 times during this time to help remove giardia cysts form their hair coat to minimize the chance of reinfection. Albendazole (25 mg/kg bid for 2 days) and fenbendazole (regular dose as used for helminths)


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

is also effective. Furazolidone is useful in cats and kittens because it comes as a liquid suspension which makes administration easier. Neomycin (i.e., biosol) has recently found effective against human giardiasis. Remember, failure of the diarrhea to respond to metronidazole therapy does not eliminate giardiasis. Major points to remember: If giardia persists after treatment, look for a) reinfection, b) noncompliance by the owner, c) immunosuppressive diseases (e.g., IgA deficiency), and finally d) drug resistant giardia. If you are still having difficulty in eliminating giardia, check to be sure that what you are seeing under the microscope is actually giardia; I have worked on two cases in which incurable giardia was incurable because it was not due to giardia. Hypoproteinemia is a useful clue when looking for the cause of weight loss. There are 3 main causes: protein-losing nephropathy, hepatic insufficiency, and protein-losing enteropathy. The first is eliminated by urinalysis (protein:creatinine ratio is useful) and the second by post-prandial bile acids. After these two are no longer concerns, loss into the alimentary tract must be responsible, even if there are no GI signs. Major point to remember: anorexia and/or emaciation by themselves will not decrease the serum albumin to < 2.0 gm/dl. Protein-losing enteropathy (PLE) is discussed under the Clinical Update on Diarrhea. Malassimilation in this presentation refers to organ failure. Cardiac, hepatic, adrenal, and renal failure are the most common causes. Renal failure is easily diagnosed, but remember that hypoadrenocorticism can perfectly mimic renal failure. The latter is a much better disease (i.e., it is treatable). Always look for such “good” diseases (i.e., something that I can treat), even though it may look at though the patient has a “bad” disease (i.e., something I cannot treat). Cardiac failure is almost always detectable on physical examination (i.e., murmur, arrhythmia, pulse deficits, jugular pulse), although chest radiographs, ECG, and/or echocardiography may be needed to confirm the diagnosis. Animals with adrenal failure typically have vague histories. In fact, hypoadrenocorticism (also called Addison’s disease) can be one of the most vague, disorders that the veterinarian will be forced to contend with. Canine hypoadrenocorticism: Classically, spontaneous hypoadrenocorticism is classically found in young to middle-aged female dogs with a history of vague, waxing and waning depression, anorexia, vomiting, and weight loss. Vagueness is the most constant finding in these patients. Severely, affected animals may be so weak that one suspects a lumbar disc protrusion. Bradycardia due to hyperkalemia may produce bradycardia, but that is rare. Iatrogenic hypoadrenocorticism is common in dogs, but rarely causes clinical signs of the magnitude seen with spontaneous disease. Many dogs have hypoadrenocorticism that is not “classic”. Animals as young as 16 weeks and as old as 12 years may be affected. Gastrointestinal signs (especially vomiting and anorexia) usually predominate, but vomiting tends to be sporadic. Rarely, diarrhea will be a prominent finding. Approximately 15-20% of dogs present with polyuria and polydipsia. Occasionally, regurgitation due to megaesophagus is seen in the absence of any other clinical signs of adrenal failure.

331

Clinical pathology usually alerts the clinician to the possibility of hypoadrenocorticism. Hyponatremia plus hyperkalemia is expected; however, if only one of these is present, then one still must consider hypoadrenocorticism. Most affected dogs have prerenal azotemia (i.e., high BUN and creatinine plus urine > 1.030); however, some Addisonian dogs have BUN > 100 mg/dl and a urine specific gravity of 1.0141.018. These findings are “classic” for primary kidney disease, but once the patients are treated for their steroid deficiency, the BUN decreases and the urine specific gravity increases. Therefore, it is crucial to evaluate serum electrolytes in animals with suspected primary renal failure. Serum calcium may also cause confusion. Most hypercalcemic dogs have either hypercalcemia of malignancy (i.e., pseudohyperparathyroidism), parathyroid adenoma (i.e., primary hyperparathyroidism), or chronic renal failure with tertiary hyperparathyroidism. However, about 35% of dogs with hypoadrenocorticism have hypercalcemia. Hypoglycemia is sometimes seen; hypoadrenal dogs may present with a blood glucose < 40 mg/dl. However, you must also consider liver failure and insulinoma in these animals. Serum electrolytes must be evaluated before the patient is treated with fluids or steroids. A common mistake is to have a hypoadrenal dog present in a state of collapse and immediately start fluids (and sometimes give a “shock” dose of steroids), only to draw the blood sample after the dog is past the crisis. You need to obtain the blood before fluids are administered because even moderate amounts of IV fluids containing sodium can make the serum electrolytes normal for one or more days, even if steroids were not administered. There are some changes that may be seen on CBC, but these tend are inconsistent. Severe hemoconcentration (dehydration) or anemia (gastrointestinal ulcers and bleeding) may be seen. Much has been made of find a dog that is obviously ill and “stressed”, yet does not have the expected stress leukogram (i.e., lymphopenia, eosinopenia). However, this is a nonspecific and insensitive finding. Dogs with severe hypoadrenocorticism may have classic stress leukograms (which they theoretically should not) while some stressed dogs that do not have stress leukograms do not have hypoadrenocorticism. If hypoadrenocorticism is suspected, you need to perform an ACTH-stimulation test. This is the most definitive test, and it is necessary because 1) not all dogs with hyponatremia and/or hyperkalemia have hypoadrenocorticism and 2) not all dogs with hypoadrenocorticism have electrolyte changes. Other non-adrenal diseases that may give electrolyte changes suggestive of hypoadrenocorticism include chylothorax, ascites, whipworm infestations of the large bowel, various intestinal disorders (including salmonellosis and colitis), and renal failure. If can be very hard to differentiate these diseases from hypoadrenocorticism without the ACTH-stimulation test. Note that renal failure and diseases of the large intestine can especially mimic hypoadrenocorticism (i.e., they can also cause vomiting, diarrhea, and/or poor appetite). Some dogs with hypoadrenocorticism have normal serum electrolyte concentrations. Some patients lose the ability to produce cortisol but can still produce aldosterone. In this case, diagnosis becomes difficult and often becomes a diagnosis of exclusion. Therefore, it is reasonable to per-


332

form an ACTH-stimulation test on a dog, simply because everything else that might cause anorexia, lethargy, vomiting, weight loss, and/or diarrhea has seemingly been eliminated. Dogs with apparently idiopathic acquired megaesophagus should also be checked for hypoadrenocorticism for the same reason. Megaesophagus may occur in a dog with hypoadrenocorticism even if it has a normal serum potassium concentration. If the animal is in a crisis, one should administer physiologic saline solution intravenously at 20-40 ml/lb for the first hour and then at a slower rate designed to replace deficit and give the dog maintenance amounts. If the dog is hypoglycemic, one should add glucose to these fluids until they contain 2.5-5% dextrose. I usually administer dexamethasone IV at 0.25-0.5 mg/lb. Dexamethasone does not cross-react with cortisol, which means that you can start treating the patient while you are still performing the ACTH-stimulation test, if that is necessary. It is exceedingly rare that sodium bicarbonate needs to be added to the fluids to correct the acidosis that is invariably present or that calcium gluconate needs to be given to protect the patient from hyperkalemia. In all but the most severely affected patients, aggressive administration of physiologic saline solution ± dextrose, and dexamethasone is be adequate for crisis management. Once the animal is out of a crisis, one should administer drugs depending upon the initial findings. If the patient had abnormal electrolytes, then a mineralocorticoid in indicated. Fludrocortisone acetate (0.1 mg/10 lbs once daily) is commonly available, but is not as effective as desoxycorticosterone pivalate (1 mg/lb, SQ, every 25 days). The first goal is to maintain the serum potassium in the normal range. The second goal is to maintain the serum sodium in the normal range. You may need to adjust the dosages of these drugs to achieve this goal. Administering salt in the food may also help prevent relapses. In some animals, prednisolone (0.10.2 mg/lb once daily) will need to supplemented. However, if the patient had hypoadrenocorticism that was not associated with abnormal electrolytes, then prednisolone will usually be the primary treatment. Remember that these patients do not have normal adrenal function: if they ever experience severe stress (e.g., surgery, severe illness), they may need additional steroid supplementation. Feline hypoadrenocorticism: Hypoadrenocorticism in the cat is much more difficult to diagnose because it is less common and has greater variability in its clinical presentation. The most common signs are anorexia, lethargy, depression, weight loss, and weakness. About 1/3 have vomiting or polyuria-polydipsia. Cats may have less dramatic electrolyte changes than dogs and hypercalcemia is seen less frequently. There are two major differences between the dog and the cat regarding diagnosis and treatment of hypoadrenocorticism. First, when performing an ACTH-stimulation test, it is crucial that blood be collected at 30 min and 1 hour after administration of aqueous ACTH. Second, whereas dogs properly treated for hypoadrenocorticism are usually clinically normal within 36 hours of starting therapy, many cats must be treated for 3-5 days before responding. Major points to remember: always measure serum electrolytes before giving the animals fluids or steroids. An

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

ACTH-stimulation test will sometimes diagnose hypoadrenocorticism even when serum electrolytes are normal. Hepatic failure is usually associated with fairly obvious clinical pathologic findings, but some animals will have normal ALT and SAP and at other times it can be difficult to distinguish primary hepatic disease from secondary hepatic disease. Major point to remember: many animals with life-threatening hepatic disease (e.g., cirrhosis, hepatic malignancy) will have normal ALT and SAP and serum bilirubin. Hyperthyroidism: Polyphagia, tachycardia, polyuria and polydipsia, vomiting, murmur/gallop rhythm, and diarrhea may be presenting complaints. Some cats have apathetic hyperthyroidism and are anoretic and depressed. Over half have increased ALT and/or SAP, some being relatively high. Not all hyperthyroid cats have increased serum T4 concentrations. This seems to be especially true of animals with early hyperthyroidism or concurrent disease (e.g., renal failure, intestinal disease). Free T4 seems to be a bit more diagnostic than regular T4. This points out why it is so critical to palpate for a thyroid nodule; if you feel one you will continue to pursue the diagnosis even if the T4 and free T4 are normal. In such a case, a T3 suppression test (i.e., measure serum T4, administer 7 doses of 25 ug of T3, one dose every 8 hours, measure serum T4 after the last dose) may be diagnostic. Nuclear scintigraphy seems to be very sensitive in picking up hyperthyroidism, if one has access to such facilities. If hyperthyroidism is found, therapy may consist of surgery, methimazole, or radioactive iodine. Major point to remember: a normal serum T4 measurement does not eliminate hyperthyroidism. Excessive loss of calories may be due to diabetes mellitus. Most protein-losing nephropathies and enteropathies do not cause weight loss due to the loss of proteins; however, this is possible. Neuromuscular disease, especially that due to peripheral neuropathies and peripheral myopathies, can be difficult to identify. The primary clinical findings are usually lower motor neuron weakness as seen by inability to hold up the head (primarily in cats), weakness in the rear quarters (primarily in dogs), a change in the character of the dogs “voice”, difficulty in making the patient stand for any length of time, and/or constant shifting of weight when the animal is made to stand. Sometimes it is difficult to distinguish weakness from lethargy or depression. An EMG and muscle biopsy is often needed to definitively diagnose these problems, especially in dogs. Cats with hypokalemic myopathy often do not display severe muscle wasting. Central nervous system disease may cause anorexia, but yet no cranial nerve deficits can be found. Sometimes the only hint of such a disease is the comment from the clients that the animal has had a behavioral change. If the client’s say that their pet’s behavior is clearly out of the norm, you should strongly consider CNS disease (including tumor) even if the animal’s actions don’t seem all that strange to you. If you decide to pursue CNS disease, remember that severe CNS disease may be present and responsible for clinical signs even though it is not obvious on CSF tap or EEG or even CT scan. Contrast-enhance CT scans (or, better yet, MRI) are sometimes needed to detect surprisingly large


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

CNS lesions. Retinal lesions may be seen and should be sought, but most dogs and cats with severe CNS disease do not have demonstrable changes in their retinas. Major point to remember: not all animals with severe CNS disease have seizures or obvious cranial nerve deficits. Cancer cachexia is a multi-faceted syndrome which may include malabsorption, anorexia associated with loss of taste and/or smell, increased catabolism, and/or loss of nutrients. The key is to find the occult neoplasm. If one waits long enough, it will eventually become obvious. However, it is preferable to find it early versus late. Abdominal and thoracic radiographs as well as abdominal ultrasonography is often used to screen patients for otherwise occult neoplasia. Abdominal radiographs are much more sensitive (and therefore cost-effective) if an enema is given to remove feces prior to the procedure. Likewise, obtaining right and left lateral thoracic radiographs plus a ventro-dorsal projection significantly

333

increases the likelihood of finding a mass lesion. If neoplasia is still suspected but cannot be found by these procedures, reasonable next steps include abdominal ultrasound of all parenchymal organs and/or aspiration/biopsy of the bone marrow, liver, and lymph nodes. While most animals with neoplastic infiltration of the bone marrow have cytopenias and/or increased numbers of circulating NRBC’s, some do not. Also be aware that some animals with bone marrow neoplasia can only be diagnosed if you perform a bone marrow biopsy as opposed to an aspirate. Sometimes neoplastic cells become “packed” into the bone marrow such that they cannot be aspirated; however, a core biopsy will reveal them. Many animals with significant hepatic disease do not have increased ALT or SAP. This is particularly true of animals with metastatic neoplasia and cirrhosis. In the same manner, you can also dogs and cats that have neoplasia in their peripheral lymph nodes but do not have gross lymphadenopathy.


334

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

La diarrea da interessamento dell’intestino crasso nel cane e nel gatto M.D. Willard DVM, Dipl ACVIM - Texas A&M University, USA

Estratto breve Il primo passo dell’indagine diagnostica è rappresentato dall’esame clinico, che deve comprendere l’esplorazione rettale digitale. I polipi rettali, i disordini micotici a carattere infiltrante ed i tumori maligni del colon (che spesso si localizzano in prossimità del retto, per cui l’esame digitale rivela una massa o un ispessimento della mucosa o della sottomucosa) non possono essere migliorati in modo sostanziale con le terapie empiriche di routine. Punti principali da ricordare: se il cane o il gatto “vi dice” che probabilmente è presente una lesione in prossimità del retto, fate tutto ciò che occorre per effettuare un esame adeguato dell’intera area (compresa l’anestesia) e continuate a cercare fino a che non avrete trovato l’anomalia. Le malattie croniche del crasso più comunemente diagnosticate come causa di diarrea presso la nostra struttura sono la sindrome del colon irritabile, la disfunzione del colon che risponde alla fibra (che probabilmente costituisce un sottogruppo della sindrome del colon irritabile), l’intolleranza alimentare (che comprende l’intolleranza allergica e quella non allergica), la colite da clostridi, le parassitosi e le infezioni micotiche (istoplasmosi e pitiosi). Le malattie del crasso più comunemente diagnosticate nel gatto presso la nostra struttura sono i problemi che rispondono alla fibra, l’intolleranza alimentare e l’infiammazione intestinale (IBD, in particolare gli infiltrati linfoplasmocitari). Fortunatamente, l’istoplasmosi del colon è molto meno comune nel gatto che nel cane. La prima causa da prendere in considerazione è rappresentata dai parassiti. I tricocefali possono essere molto difficili da dimostrare negli esami coprologici per flottazione, ma devono comunque essere diagnosticati, mediante esame endoscopico del tratto superiore del colon e del cieco se non si riesce con altri mezzi. Tuttavia, Giardia merita una particolare attenzione, perché può sfuggire facilmente e portare ad eseguire dei test inutili e dei trattamenti infruttuosi perché ritenete di averlo escluso dell’elenco delle possibili diagnosi differenziali. La giardiasi viene discussa a proposito delle affezioni del tenue. Punti principali da ricordare: i tricocefali possono sfuggire molto facilmente all’esame delle feci per flottazione; è appropriato trattare qualsiasi cane con malattia cronica del grosso intestino con fenbendazolo. Se la diarrea persiste dopo aver escluso i parassiti dall’elenco delle possibili diagnosi differenziali, la domanda suc-

cessiva è se ricorrere ad un tentativo terapeutico o eseguire dei test. Se il paziente è ipoalbuminemico, sono indicate le procedure diagnostiche volte ad identificare le malattie a carattere infiltrante ed in particolar modo l’istoplasmosi, la pitiosi e la neoplasia. Altrimenti, può risultare particolarmente utile un tentativo terapeutico (ad es., terapia dietetica o somministrazione empirica di antibiotici). Vale la pena di sottolineare che molte di queste malattie più comuni vengono diagnosticate meglio con un tentativo terapeutico che con un’estesa indagine diagnostica comprendente esami ematochimici e prove endoscopiche/bioptiche. I principali tentativi terapeutici sono di solito rappresentati dalla somministrazione di una dieta integrata con fibra, una dieta ipoallergica (elimination diet), antielmintici e/o antibiotici (ad es., tilosina o amossicillina). Punti principali da ricordare: ai fini della diagnosi dei più comuni disordini del crasso del cane, i buoni tentativi terapeutici sono migliori degli esami endoscopici e delle biopsie. Se si decide di ricorrere alle indagini diagnostiche, quelle fondamentali sono l’endoscopia e la biopsia. Tuttavia, come già ricordato, i tentativi terapeutici, quando sono buoni, spesso forniscono più risultati nei pazienti che, fatta eccezione per la diarrea, si presentano normali. La coloscopia e la proctoscopia sono più facili da eseguire dell’endoscopia del tenue. Per utilizzare i coloscopi rigidi l’anestesia generale non è necessaria, ma rende la procedura più semplice e più facile. La proctoscopia risulta più rapida e più semplice della coloscopia, ma non consente la visualizzazione di un tratto di colon altrettanto esteso e ciò può portare l’operatore e non rilevare una lesione isolata che sarebbe stata individuata con la coloscopia. Se si utilizza un endoscopio flessibile, è bene posizionare il paziente in decubito laterale sinistro, in modo da poter esaminare accuratamente il colon ascendente, la valvola ileocolica ed il cieco. Noi cerchiamo di routine di penetrare nell’ileo e prelevare campioni bioptici di questo tratto intestinale. È raro che diagnostichiamo una malattia dell’ileo che non individuiamo nel colon; tuttavia, questo evento si verifica con una frequenza sufficiente a spingerci ad eseguire di routine la biopsia dell’ileo. Le radiografie forniscono raramente informazioni utili nei pazienti con affezioni croniche del crasso. Punti principali da ricordare: il riscontro dell’ipoalbuminemia in un cane con enteropatia del crasso è fortemente indicativo di infezione micotica; tuttavia, l’assenza di questa alterazione non riduce in alcun modo la possibilità che l’animale sia colpito da un’infezione micotica.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

La colite da clostridi è una malattia molto importante del cane, ma non siamo sicuri di quanto sia significativa o comune nel gatto. È causata da ceppi tossigeni di Clostridium perfringens. Tuttavia, anche quando uno di questi si stabilisce nel colon, generalmente non determina una malattia a meno che i batteri non vadano incontro a sporulazione. I ceppi tossigeni aumentano la quantità di enterotossina prodotta quando sporulano ed è questa tossina (l’enterotossina A) che danneggia l’epitelio del colon e determina la diarrea. L’intolleranza alimentare è più comune di quanto molti ritengano, specialmente nei gatti con enteropatia cronica del crasso. Quando si utilizzano le diete ipoallergiche, è facile fare un cattivo lavoro, tanto da far sì che il cliente risulti così scoraggiato dalla terapia dietetica da finire per richiedere costose indagini diagnostiche quando una buona prova di modificazione dell’alimentazione effettuata all’inizio avrebbe funzionato bene.

Estratto completo SELECT SPECIFIC LARGE BOWEL DISEASES OF DOGS AND CATS Clostridial colitis is a very important disease in the dog, but we are not sure how important or common it is in the cat. It is caused by toxigenic strains of Clostridium perfringens. However, even when a toxigenic strain of Clostridium perfringens is established in the colon, it does not generally produce disease unless the bacteria are sporulating. Toxigenic strains upregulate the amount of enterotoxin produced when they sporulate, and it is this toxin (i.e., enterotoxin A) which damages the colonic epithelium and produces diarrhea. Diagnosing clostridial colitis is not as Aeasy@ as it was a few years ago. One cannot reliably diagnose clostridial colitis by finding spores in the feces on fecal cytology, performing quantitative cultures for Clostridium perfringens, or assaying for clostridial enterotoxin. Looking for fecal spores is an especially easy screening procedure, and the spores can be detected with a variety of stains. However, just as the disease can wax and wane unexpectedly, the presence and number of spores may likewise change. Biopsy is not that helpful; there may or may not be histologic changes in the colonic mucosa in animals with clostridial colitis. Besides, the histologic lesions seen with clostridial colitis are nonspecific, and cannot be reliably differentiated from IBD or dietary allergy/intolerance. We used to think that the most definitive method of diagnosing clostridial colitis was to assay the feces for the presence of toxin, using a reversed passive latex agglutination test. However, this last method is relatively expensive and is no more sensitive or specific than other tests. Therefore, we now treat for the disease and observe the clinical response. While this approach can cause a problem when there are two things happening concurrently (e.g., clostridial colitis PLUS dietary intolerance), it seems to be one of the best ways to diagnose clostridial colitis. Major point to remember: response to amoxicillin or tylosin may be one of the best ways to presumptively diagnose

335

clostridial colitis. Many patients with clostridial colitis do not respond to metronidazole. However, clostridial colitis may occur concurrently with dietary intolerance or allergy in some patients and you may need to treat both. There is an acute form of clostridial colitis (usually nosocomial) in which previously normal hospitalized patients suddenly have a “blow out” of acute, bloody diarrhea but are otherwise essentially normal. There also seems to be a chronic form in which the patients have relentless, mucoid stools (± hematochezia). The latter patients may have inflammatory colonic disease, but often have histologically normal colonic mucosa. In general, all tests (except those directed at finding the bacteria or its toxin) are essentially normal. Rarely, there is historic evidence of contagion between dogs, or even between dogs and people. Unless one is aware of this disease, these patients will usually be diagnosed as having idiopathic large bowel diarrhea (i.e., “irritable bowel syndrome”). There is a very rare form of intestinal clostridial disease that seems similar to the “Pig-Bel” described in people. If there is overgrowth of Clostridium perfringens and the patient is eating a diet which has substantial antiprotease activity, there may be systemic signs or even death from the bacterial enterotoxins. This disease is not currently definitively described in dogs, but something like it probably exists. Tylosin is an antibiotic that seems to be consistently effective against Clostridium perfringens which a major cause of large bowel disease in dogs, at least in Michigan and Texas. This is a wettable powder that is used to treat poultry. Tylosin should be used for at least one week and preferably two before any judgment is made as to its usefulness. The dose is 10-40 mg/kg bid, but approximately 1/16th of a teaspoon two times per day in the food for cats and small dogs (i.e., less than 7 kg), 1/8th teaspoon two to three times per day for medium dogs (i.e., 7 to 15 kg), and 1/4 teaspoon two to three times per day for larger dogs (i.e., > 15 kg) is safe, effective, and easier to remember. Some patients will need treatment for the rest of their lives while others can be slowly weaned off the drug. Tylosin tends to have an unpleasant taste and needs to be mixed into the food. Amoxicillin and clavamox are also effective in animals with clostridial colitis. Many animals with chronic clostridial colitis that require antimicrobial therapy can be well controlled with one treatment of amoxicillin every 2-3 days. Metronidazole is very effective against anaerobic bacteria in general, but metronidazole is inconsistently effective in animals with clostridial colitis, possibly because metronidazole does not reliably achieve therapeutic levels throughout the feces. Some dogs with clostridial colitis respond to fiber supplementation, which makes sense because fiber will usually remain relatively intact until it reaches the colon where it may have profound effects on the microenvironment of the colonic bacterial flora. Such an impact on the fecal microenvironment may make Clostridium perfringens quit sporulating, which causes the diarrhea to stop. See below under “Irritable bowel disease” for more discussion on fiber supplementation. While some patients with clostridial colitis will respond adequately to a high fiber diet, others may seemingly require indefinite tylosin therapy. However, in


336

these latter patients, one may be able to control the disease by administering the drug once every two to three days. The goal is not necessarily to eradicate Clostridium perfringens from the animal; rather, it is to prevent the bacteria from elaborating and releasing the enterotoxin. The preferred long term therapy of clostridial colitis is to maintain the animal on a high fiber diet which controls signs. Ostensibly, the high fiber component alters the microflora and/or environment such that spore are not produced and the bacteria, even if present, do not cause disease. Irritable bowel syndrome (IBS) is the name given to the situation in which a patient has chronic diarrhea (usually large bowel) but no organic lesions can be found despite an appropriate diagnostic work up (i.e., idiopathic diarrhea). In people, IBS means much more, including have abdominal discomfort. Therefore, you must understand that we are using this term differently than physicians. Saying that the dog or cat has idiopathic large bowel diarrhea is simply to say that we have not yet recognized the cause. There is bound to be some cause, and until we identify it, we will continue to use the term IBS. Major point to remember: IBS is a diagnosis of exclusion and you must be certain that you have in fact excluded everything else. However, it is far preferable to determine that the patient responds to fiber supplementation early in the work up rather than do everything and then try adding fiber. Many patients diagnosed as having IBS seem to respond to dietary fiber supplementation. In these patients, it is uncertain whether the fiber is aiding the animal’s fight against the disease process or if the fiber is simply “soaking” up excessive water and making the stool appear more normal. The dose of fiber or bulking agent to add to the diet is empirical, but approximately one tablespoon of metamucil or coarse wheat bran per can of food is a useful starting point. If this amount is tolerated, the dosage can be gradually increased or decreased as needed. Not all types of fiber have similar effects. The old distinction between soluble and insoluble is overly simplistic. If fiber will be used, you must remember that some animals respond best to one type of fiber while others respond best to another type. In fact, we have seen some animals become markedly worse when one type of fiber was used, only to respond well when that type was replaced with a second type. For example, in some cases, addition of metamucil to a diet will make the problem worse while a commercial diet supplemented with another form of fiber will be beneficial. There is some thought that using both soluble and insoluble types simultaneously may be the most physiologic manner to supplement fiber. Two weeks is usually adequate to see if the patient will respond to a fibersupplemented diet, although 4-8 may be necessary before a patient responds beneficially to a hypoallergenic or elimination diet. It is important to realize that fiber will not help all types of chronic large bowel disease. A few patients clearly do better on a low residue diet, especially if the problem is due to dietary intolerance and/or food allergy. Major point to remember: too much metamucil may cause excessive amounts of feces which is interpreted by the client as more diarrhea. Dietary intolerance is more common than many suspect, especially in cats with chronic large bowel disease. You can-

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

not count on finding eosinophils in the colonic mucosa; most patients with dietary intolerance have minimal histologic changes or have nonspecific lymphocytic and/or plasmacytic and/or eosinophilic infiltrates. Because the histologic findings are nonspecific, it is often preferable to try elimination diets prior to performing colonoscopy, as you can rarely definitively diagnose dietary intolerance from the biopsy. The biggest problem in these patients is finding an effective diet. In this area in particular, we often see cases in which the right thing was done (i.e., an elimination diet was used), but was done in such a poorly planned or implemented fashion that the effort was wasted. Most of the time, all that is needed is to carefully investigate the history and see what the patient has eaten in the past. However, sometimes it is difficult to find a diet that is “right” for a particular patient. This might be because you do not know if the problem is an allergy or an non-allergic intolerance. The former can be guessed at by looking at former diets while the latter is impossible to predict. In some cases, all of our well-planned hypoallergenic diets failed but a chance try at some commercial brand worked. Major point to remember: it is easy to do a poor job of trying a hypoallergenic diet and make the client so discouraged with dietary therapy that they end up requesting costly work ups when a good dietary trial done at the beginning would have worked. Also, if you do a thorough work up and do not find a reasonable cause of the diarrhea, it is probably a dietary intolerance or allergy and you will have to simply try diet after diet until you finally find the right one. Ceco-colic intussusception may cause persistent hematochezia, usually without tenesmus or diarrhea. In some cases, blood loss will cause anemia. The intussuscepted cecum can be difficult to palpate. This disease can be very difficult to diagnose unless the typical “spring” pattern is seen on plain radiographs, or the clinician has a high index of suspicion. The best means of diagnosis are flexible endoscopy of the ileo-ceco-colic valve area or abdominal ultrasound. If these are not available, then one may use a barium enema. Therapy is surgical resection of the inverted cecum. Major point to remember: sometimes flexible colonoileoscopy reveals abnormalities that rigid endoscopy cannot. Colonic inflammatory bowel disease is commonly diagnosed. However, although it is reasonably common in cats, it is a very rare diagnosis in dogs in our practice. Don’t automatically assume that a patient with a difficult to control large bowel disease has inflammatory bowel disease. Major point to remember: colonic IBD is very infrequent in dogs but rather common in cats (at least, this is the case in our practice). Lymphocytic-plasmacytic colitis is much more common in cats than in dogs (true, lymphoplasmacytic colitis is commonly diagnosed in dogs, but that does not mean that it exists C more on this in the following sessions). Affected dogs and cats may respond well to an elimination diet, although some will also require steroids and metronidazole. If this therapy is inadequate, then addition of azulfidine is recommended. Ulcerative colitis typically needs aggressive antiinflammatory therapy, usually azulfidine with or without steroid retention enemas. If a case is very severely affected, then systemic prednisolone may also be used. Histiocytic ulcerative colitis of Boxer dogs is included in this category.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Azulfidine is the classic local anti-inflammatory therapy. The 5-aminosalicylic acid portion is an anti-prostaglandin, anti-inflammatory drug. The usual dose is 50-60 mg of azulfidine/kg divided tid with a maximum of 3 gm administered/24 hours. Cats can be treated with azulfidine; however, since they are sensitive to aspirin, caution must be exercised. A reasonable feline dose is 125 mg azulfidine/cat, tid; however, monitoring is still necessary. Similar drugs which lack the sulfa moiety have become available. Olsalazine (Dipentum) has two 5-aminosalicylic acid molecules joined together. The dose is unknown, but 5-10 mg/lb bid has been used. Mesalamine (Asacol, Pentasa) is 5-aminosalicylic acid coated by a pH sensitive polymer. The major advantage of these drugs is the absence of the sulfa and the decreased incidence of side-effects in people. They are not necessarily more effective than azulfidine, just better tolerated. However, keratoconjunctivitis can still occur in dogs treated with Olsalazine. In general, I have little need for azulfidine in our practice, and even less for Olsalazine and Mesalamine, because appropriate attention to diet and bacteria is so effective in most of our patients with chronic large bowel disease. However, for animals with substantial inflammatory colonic disease that do not respond to diet and antibiotics, azulfidine is often a useful drug. Major point to remember: these drugs are used when there is inflammation (e.g., IBD); they are not useful when there is little or no inflammation or when there is a treatable cause for inflammation (e.g., clostridial colitis). If you administer azulfidine to a patient, it must be used for 10-14 days before any evaluation of efficacy can be made. Using it for a shorter period may cause one to believe it to be ineffective and to therefore stop using the drug when it would work if used for a longer time. If azulfidine is effective, some patients will required the drug indefinitely while others will only need it for days to weeks, after which time it may be tapered off. Side effects such as vomiting, anorexia, blood dyscrasia, hepatopathy, diarrhea, and infertility may rarely occur. These side effects are principally reported in people but sometimes occur in the dog. Doberman pinchers and Rottweilers seem to be at increased risk for side effects from such sulfa drugs. However, keratoconjunctivitis sicca is common in dogs, particularly those which have been on high dosages of azulfidine for long periods of time. This ocular condition is occasionally reversible after drug withdrawal, but not always. Stomatitis may also be seen in the dog. In general, I am unwilling to use long-term azulfidine in a dog or cat unless I have a definitive diagnosis. Major point to remember: these drugs can cause KCS and other bad side effects. Metronidazole is useful to modulate the immune system in some patients. It is used at a dose of 10-15 mg/kg bid for

337

these patients. It may, but does not have to be combined with prednisolone in patients with IBD because it is often effective as a sole agent, especially some cats with IBD and concurrent FIV or FeLV infection. I have seen at least one dog with a chronic purulent colitis that responded better to metronidazole than to azulfidine. I do not know how to predict which dogs and cats will respond to metronidazole and which will not. Therefore, it often must be used and the results evaluated. In some patients (especially cats), CNS signs may occur due to accumulation of metronidazole levels. If seizures occur, support the patient and withdraw the drug. Generally, the patient’s signs will disappear quickly as the serum drug levels diminish. Major point to remember: when used at the 15-20 mg/kg bid dose, metronidazole can usually be used for extremely long periods of time with little or no risk of CNS disease. Retention enemas can be used to apply anti-inflammatory drugs directly on inflamed colonic mucosa. While 5aminosalicylic acid (Mesalamine; Rowasa) has occasionally been administered in this way, corticosteroids are the drugs most commonly used in this fashion. However, there can be significant drug absorption through the damaged colonic mucosa, and some patients will display signs of iatrogenic hyperadrenocorticism. Major point to remember: This therapy is usually reserved for severely ill patients when other therapies have been unsuccessful. Systemically administered steroids (i.e., prednisolone and prednisone) are useful if the patient has IBD and not clostridial colitis or histoplasmosis. Typically administered at 2-3 mg/kg sid, it is important to note that they will make some colitis patients worse, particularly if used as the sole therapy in individuals with ulcerative disease. While steroids are often useful for cats with lymphocytic-plasmacytic colitis, I rarely use steroids for canine colitis. In the first place, true canine lymphocytic-plasmacytic colitis is distinctly uncommon in the areas where I have practiced and consulted. Second, dogs with IBD do not necessarily respond to steroid therapy nearly as well as do cats with similar diseases do. Finally, histoplasmosis is relatively common in dogs and administration of steroids can be the death knell for such a patient. Major points to remember: because of their side-effects and the efficacy of other therapies, steroids should not be routinely used unless the patient has a colitis which specifically responds to steroids (such as an eosinophilic colitis) or if other appropriate therapies have been ineffective. Chlorambucil and azathioprine may be used to decrease inflammation when diet, steroids, and azulfidine (and similar drugs) fail. In the cat, chlorambucil seems to be safer than azathioprine and just about as effective. These drugs are discussed under small intestinal disease.


338

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

La pancreatite: una sfida diagnostica e terapeutica M.D. Willard DVM, Dipl ACVIM - Texas A&M University, USA

Estratto breve La pancreatite del cane di solito si presenta con i segni clinici di vomito e anoressia. È frequente il dolore addominale, che però può facilmente sfuggire durante l’esame clinico. La febbre è una delle manifestazioni meno comuni. Se la pancreatite acuta è associata ad un carcinoma pancreatico (raro) o è dovuta ad esso, si possono anche osservare cani con una diffusa necrosi del grasso sottocutaneo che provoca ascessi sterili che risultano tipicamente dolenti e causano un’alterazione di colore della cute. La maggior parte dei casi di pancreatite in questa specie animale è correlata all’ingestione di grasso o alla lipemia associata alla chetoacidosi diabetica. Anche i traumi ed i farmaci possono causare la pancreatite nel cane. I principi attivi sospettati di provocare la pancreatite nell’uomo e negli animali sono l’acetaminofene, l’acido aminosalicilico, l’asparaginasi, l’azatioprina, la cimetidina, i corticosteroidi, il danazolo, gli estrogeni, la furosemide, il metronidazolo, la nitrofurantoina, il piroxicam, la ranitidina, la sulfasalazina, i sulfamidici, la tetraciclina ed i tiazidici. Principali punti da ricordare. Mentre il vomito è il più comune segno clinico della pancreatite nel cane, alcuni di questi animali, soprattutto quelli con ascessi epatici, possono presentare un’emesi intermittente relativamente lieve e continuare a mangiare una quantità ragionevole di cibo. Non esistono test biochimici facilmente disponibili caratterizzati da un buon valore predittivo positivo o negativo. La TLI nel cane è migliore della determinazione dei livelli di amilasi e lipasi (che non dice molto), ma non è ancora sensibile o specifica quanto si vorrebbe. Abbiamo osservato cani con pancreatite che presentavano normali livelli di TLI. Le attività sieriche di lipasi ed amilasi sono insensibili ed aspecifiche per la pancreatite. In cani con pancreatite acuta e persino con ascessi pancreatici sono state riscontrate normali attività sieriche di lipasi. Abbiamo anche identificato cani che presentavano drastici incrementi dell’attività sierica di lipasi ed erano colpiti da corpi estranei intestinali o gastrite, ma non mostravano segni macroscopici di pancreatite acuta. Nella specie canina la lipasi viene prodotta dalla mucosa gastrica e ciò spiega perché l’infiammazione o il danneggiamento dello stomaco possano esitare in eccessiva attività sierica di questo enzima. Tuttavia, il Dr. Joerg Steiner della Texas A&M ha sviluppato un saggio di immunoreattività per la lipasi pancreatica del cane che sembra essere sensibile e specifico. Se diventerà disponibile su vasta scala, questo test potrebbe rappresentare la risposta ad uno dei principali problemi in medicina veterinaria.

Il blocco del dotto pancreatico principale dovuto ad una tumefazione di origine infiammatoria, un granuloma intrapancreatico o un ascesso che in seguito ostruisce il dotto può causare un’occlusione del tratto biliare extraepatico con un notevole incremento dei livelli sierici di fosfatasi alcalina e di bilirubina. In effetti, la pancreatite è probabilmente la causa più comune di ostruzione del tratto biliare extraepatico nel cane. Tuttavia, mentre la triade costituita da vomito, dolore addominale e ittero è compatibile con la pancreatite acuta (nonché con molte altre malattie), relativamente pochi cani con pancreatite acuta mostrano queste alterazioni. Inoltre, esistono delle ragioni diverse dalla pancreatite acuta per questa triade di segni clinici (ad es., colangite, colangioepatite). In questi pazienti risulta particolarmente utile l’esame ecografico dell’addome (discusso più oltre). Principali punti da ricordare: i livelli sierici di amilasi e lipasi sono del tutto inaffidabili per l’identificazione della pancreatite nel cane; danno origine a risultati falsi positivi e falsi negativi troppo frequentemente per poter essere utilizzati a fini diagnostici. L’esame emocromocitometrico completo mostra un leucogramma infiammatorio, ma 1) si tratta di un riscontro relativamente aspecifico che può essere dovuto ad uno qualsiasi di numerosi problemi e 2) non tutti gli animali con pancreatite acuta mostrano una leucocitosi rilevabile. Principali punti da ricordare: non esiste alcun riscontro dell’esame emocromocitometrico, del profilo biochimico o dell’analisi dell’urina che consenta di diagnosticare o escludere in modo definitivo la pancreatite. Le radiografie addominali senza mezzo di contrasto risultano utili per escludere l’esistenza di altre malattie che possono simulare la pancreatite acuta. Il mancato riscontro di altre affezioni dell’addome (come un corpo estraneo) risultano utili per escludere l’ostruzione e restringere l’elenco delle possibili diagnosi differenziali. Occasionalmente, si possono riscontrare segni radiografici che suggeriscono in modo specifico una pancreatite acuta: un’ansa sentinella (segmento dilatato e pieno di gas) nel duodeno discendente, mancanza di dettagli sierosi nel quadrante addominale superiore destro, dislocazione laterale del duodeno discendente nelle proiezioni ventrodorsali, presenza di una massa mediale al duodeno discendente (nelle proiezioni ventrodorsali) e/o subito dietro al fegato ed appena sotto al piloro (in quelle laterolaterali) sono indicative di pancreatite. Questi riscontri sono significativi soltanto quando sono presenti; molti cani e gatti con pancreatite acuta non mostrano questi quadri radiografici.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

L’ecografia addominale spesso permette di riscontrare anomalie che suggeriscono una pancreatite o risultano compatibili con la sua presenza. Talvolta si può osservare un’ipoecogenicità nella regione del pancreas dovuta ad infiammazione. Altre volte, può essere presente un ispessimento pancreatico. Uno dei riscontri di maggior valore diagnostico è rappresentato da una massa pancreatica. Quadri riferibili ad ostruzione del tratto biliare extraepatico (che richiedono la visualizzazione della dilatazione dei dotti biliari, e non solo di una cistifellea di grandi dimensioni) sono fortemente indicativi di pancreatite.

Estratto completo CANINE PANCREATITIS Canine pancreatitis usually presents with signs of vomiting and anorexia. Abdominal pain is frequently present, but it is easy to miss during physical examination. Fever is one of the least common signs. If acute pancreatitis is associated with or due to pancreatic carcinoma (rare), you may also see a dog that has widespread subcutaneous fat necrosis causing sterile abscesses that are typically painful and cause cutaneous discoloration. Most cases of canine pancreatitis are related to either ingestion of fat or lipemia associated with diabetic ketoacidosis. Trauma and drugs can also cause canine pancreatitis. Drugs that are suspected of causing pancreatitis in people and animals include acetaminophen, aminosalicylic acid, asparaginase, azathioprine, cimetidine, corticosteroids, danazol, estrogens, furosemide, metronidazole, nitrofurantoin, piroxicam, ranitidine, sulfasalazine, sulfonamides, tetracycline, and thiazides. Major point to remember: while vomiting is the most common sign of pancreatitis in the dog, some dogs (especially those with hepatic abscesses) may have relatively mild, intermittent vomiting and continue to eat a reasonable amount of food. There is no readily available biochemical test that has good positive or negative predictive value. Canine TLI is better than amylase and lipase (which is not saying much), but is still not as sensitive or specific as desired. We have seen dogs with pancreatitis that had normal serum TLI’s. Serum lipase and amylase activities are insensitive and nonspecific for pancreatitis. Dogs with acute pancreatitis and even pancreatic abscesses have had normal serum lipase activities. We have also identified dogs with drastically increased serum lipase activities that have intestinal foreign objects or gastritis, but no gross evidence of acute pancreatitis. Lipase is produced by the canine gastric mucosa which explains why inflammation or damage to the stomach can result in excessive serum lipase activity. However, Dr. Joerg Steiner at Texas A&M has developed an immunoreactive canine pancreatic lipase assay that appears to be sensitive and specific. If this test becomes widely available, it could be the answer to a major problem in veterinary medicine. Blockage of the main pancreatic duct due to swelling due to inflammation, an intrapancreatic granuloma, or an abscess

339

that subsequently blocks the pancreatic duct may cause extrahepatic biliary tract obstruction with a notable increase in serum alkaline phosphatase and serum bilirubin. In fact, pancreatitis is probably the most common cause of extrahepatic biliary tract obstruction in the dog. However, while the triad of vomiting, abdominal pain, and icterus is consistent with acute pancreatitis (as well as many other diseases), relatively few dogs with acute pancreatitis evidence these changes. Furthermore, there are reasons besides acute pancreatitis for this triad of signs (e.g., cholangitis-cholangiohepatitis). Ultrasonographic evaluation of the abdomen (discussed below) is particularly helpful in these patients. Major point to remember: serum amylase and lipase are absolutely unreliable in looking for canine pancreatitis; they have false positive and false negative results too frequently to be of use in diagnosing pancreatitis. CBC’s often show an inflammatory leukogram, but 1) this is a relatively nonspecific finding and may be due to any number of problems and 2) not all animals with acute pancreatitis have a notable leukocytosis. Major point to remember: there are no findings on CBC, profile, or urinalysis that definitively diagnose or definitively eliminate pancreatitis. Plain abdominal radiographs help eliminate other diseases which may mimic acute pancreatitis. Not finding evidence of other abdominal disease (such as a foreign object) is helpful in eliminating obstruction and narrowing the list of differential diagnoses. Occasionally, one will find radiographic signs which specifically suggest acute pancreatitis: A sentinel loop (i.e., a dilated, air-filled segment) in the descending duodenum, lack of serosal detail in the upper right abdominal quadrant, lateral displacement of the descending duodenum on the ventro-dorsal projection, a mass medial to the descending duodenum (on the ventro-dorsal projection) and/or a mass just behind the liver and just below the pylorus (on the lateral projection) are suggestive of pancreatitis. These findings are only meaningful if present; many dogs and cats with acute pancreatitis do not have these radiographic findings. Major point to remember: radiographs may tell you that there are changes consistent with pancreatitis and also eliminate other diseases (e.g., foreign object, obstruction) that can mimic pancreatitis. Abdominal ultrasonography often finds abnormalities that suggest or are consistent with pancreatitis. One may sometimes detect hypoechogenicity in the region of the pancreas that is due to inflammation. At other times, a thickened pancreas may be found. One of the most diagnostic findings is a pancreatic mass. Evidence of extrahepatic biliary tract obstruction (which requires seeing dilated bile ducts, not just a big gall bladder) is very suggestive of pancreatitis. Major point to remember: ultrasonography (performed by an accomplished operator) is probably the best (i.e., the most sensitive and most specific) and the fastest test for pancreatitis in the dog (but not necessarily the cat). Surgical diagnosis of pancreatitis is, fortunately, uncommon in the dog. However, if surgery is performed on a dog with possible pancreatitis, one should note the following points: A pancreas may look normal and still have inflammatory infiltrates. You need to biopsy it to know for sure


340

what is happening. Never simply look at what appears to be an obviously neoplastic mass in the pancreas and make a diagnosis without biopsying it. In the dog, pancreatitis is much more common than pancreatic carcinoma. It is important that you obtain a deep biopsy (you must get deeper than the superficial necrotic surface). Cytology is a useful procedure for making a presumptive diagnosis; however, I have seen at least one case in which cytology of a pancreatic mass was read out as carcinoma by two accomplished cytologists and yet multiple biopsies all came back as necrotic pancreatitis. Major points to remember: there appears to be more risk of causing iatrogenic pancreatitis with surgery in the dog than in the cat. Maintaining excellent mesenteric perfusion and performing the surgery with reasonable care and good technique minimizes the risks. However, it seems that biopsy is seldom needed to diagnose pancreatitis in the dog, which is perhaps different than what happens in the cat. Chronic, recurrent pancreatitis (i.e., chronic pancreatitis with intermittent, relatively mild recurrences) can be very challenging to diagnose. Dogs with episodic vomiting due to recurrent bouts of pancreatitis may not have any other signs of disease, and they invariably are admitted to your clinic for a work up after the last bout has run its course or is on the mend. Episodes of vomiting and anorexia due to recurrent pancreatitis can be random and unpredictable. In such patients, the previously mentioned diagnostics may be attempted, especially when acute exacerbations occur. Upper gastrointestinal barium contrast radiographs may rarely reveal duodenal abnormalities (e.g., dilatation, stricture) which suggest that recurrent bouts of acute pancreatitis have caused scarring of the pancreas which in turn have compromised the maximum size of the duodenal lumen. Major points to remember: strict adherence to an ultra-low fat diet and observation of the animal’s response may be the only way to presumptively prove that recurrent pancreatitis is responsible for clinical signs. Abdominal ultrasonography is another excellent method to try to diagnose this smoldering disease process. If these two approaches fail, surgical biopsy of the pancreas may be necessary for diagnosis. Therapy for acute pancreatitis principally consists of nothing per os plus aggressive IV fluid therapy. Subcutaneous administration of fluids is clearly inferior for all but the mildly affected animals. This symptomatic management is often sufficient, even in dogs in which a pancreatic granuloma has temporarily blocked the main bile duct. Adequate pancreatic circulation is probably necessary for healing of the damaged tissue; therefore, unless the patient has congestive heart failure or oliguric renal failure, it is far better to provide a little too much fluid rather than a little too little fluid. Remember that the abdominal viscera is not “first in line” to receive circulation when the patient is dehydrated, as most dogs with pancreatitis are when they come to your office. Remember that obese and fat dogs (which describes a lot of dogs with pancreatitis) do not have skin tenting when they are dehydrated. Likewise, although you might expect dry, tacky oral mucus membranes, a nauseated animal may be salivating enough to make the mucus membranes moist even though it is dehydrated. If the dog is not eating or drinking and is vomiting, it is dehydrated regardless of how it looks on physical examination.

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Major point to remember: the most common therapeutic errors are to start feeding the dog too soon, to underestimate dehydration, and to underestimate ongoing losses via vomiting. One should monitor the serum albumin concentration during fluid therapy in these patients. If the serum albumin concentration decreases significantly, then the plasma oncotic pressure likewise decreases which diminishes the effective perfusion of cells at the capillary level. Since perfusion is so critical to treating dogs with pancreatitis, one should become concerned whenever the serum albumin concentration falls below 2.0 gm/dl. The most common error in administering plasma is to administer too little to significantly raise the plasma albumin concentration. Remember that half of the albumin that you administer will end up in the interstitial compartment instead of the intravascular compartment. Hetastarch is probably helpful since it will improve plasma oncotic pressure and help microcirculation in patients that are becoming hypoproteinemic. Administration of plasma might also restore circulating protease inhibitors. Although this intuitively makes sense, this approach has also not been proven to be efficacious, although anecdotal reports suggest that it is valuable (and expensive). Major point to remember: do not wait too long to administer plasma or hetastarch and be sure to check the serum albumin concentration after administering plasma to be sure that you have accomplished your goal. Total parenteral nutrition seems to be very useful in our patients with severe disease. We have not performed a double-blinded trial, but we seem to lose very, very few of the animals that we treat with this modality. However, it is expensive and labor-intensive. Alternatively, one might try using an enterostomy tube that is placed well below the level of the duodenum. We do not know if such therapy is effective, but it would be a reasonable approach in a patient that seems to need special nutritional therapy. Beyond withholding food and fluid therapy, almost everything else imaginable has been tried (even radiation), but nothing else has been found that is consistently effective. Antibiotics have been used to prevent infection of the inflamed pancreas which is supposed to be “fertile ground” for infection. Drugs designed to decrease pancreatic secretion have been disappointing, which is not surprising when one considers that acute pancreatitis may be associated with pancreatic hyposecretion instead of hypersecretion. Corticosteroids probably should not be used unless the patient is in severe shock due to the pancreatitis and you are desperate to reduce inflammation. Even then, the usefulness of steroids in these patients is unproven. Steroids are probably best used as a one-time or twice only therapy in these patients, but future work remains to confirm or deny this. Although it would seem to be helpful to treat early DIC (which can probably make acute pancreatitis worse), heparin therapy has not been shown to be useful in treating acute pancreatitis. Major points to remember: you cannot substitute antibiotic, parasympatholytics, steroids, and antiemetics for good fluid therapy and withholding all oral intake. Watch the serum albumin concentration and consider total parenteral nutrition. Analgesics can be very useful in animals with substantial abdominal pain. This does not mean that every patient with


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

pancreatitis needs analgesics; the simplest way to determine if analgesics are needed is to ask yourself if you would want them if you were the patient. Whether or not to perform surgery on a dog with pancreatitis is probably one of the hardest therapeutic decisions in small animal internal medicine. Strict guidelines cannot be given, but some basic principals may be suggested. In general, one must realize that unless an abscess, pseudocyst, and/or an obstructed gall bladder with a bacterial infection are found, surgery will probably not benefit the patient (and may even be detrimental — anesthesia is usually associated with some decrease in visceral perfusion unless great care is taken to maintain circulation). Ultrasonography should find most lesions that would be benefitted by surgery, except perhaps for widespread necrosis. If one is uncertain whether or not a cyst or abscess might be present and might be responsible for appropriate medical therapy being ineffective, one may reasonably decide to explore the area surgically. However, this decision should be based on the finding that 5-7 days of excellent, supportive medical management has been unsuccessful. That is why it is important to provide the best possible medical management when first confronted with the patient with suspected acute pancreatitis. I will usually try aggressive medical therapy for 5-8 days, depending upon how quickly the patient is decompensating. If I have not indication that optimal medical therapy is helping after 7-9 days, then I will seriously consider surgery. If a pseudocyst or abscess is not found, lavaging the area and resecting obviously necrotic tissue might help the patient, but this is uncertain. In people, there are conflicting data as to whether daily lavage of the pancreas and surrounding area is helpful or not. One might also consider putting in an enterostomy tube that enters the jejunum well below the level of the duodenum. Major point to remember: excellent medical therapy performed initially may seem to be more expensive, but will ultimately save money when the patient has severe disease and these difficult decisions must be made. Prognosis is difficult to predict. Hyperbilirubinemia is not necessarily a poor prognostic sign; pancreatic granulomas causing icterus due to obstruction of the bile duct often resolve if the patient receives appropriate supportive therapy. Hypocalcemia (used to prognosticate in people) is infrequently found in dogs and cannot be used to predict the outcome. In general, a patient with a pancreatic abscess has a guarded to poor prognosis, although some patients survive. Finding a degenerative left shift and/or a marked thrombocytopenia (probably due to DIC) are not known to be prognosticators, but one intuitively fears that a poor outcome is more likely.

FELINE PANCREATITIS Feline pancreatitis tends to have different causes, clinical signs, means of diagnosis, and treatments than what is found in canine pancreatitis. While dietary fat, trauma, and drugs (e.g., azathioprine) appear to be the principle causes of canine pancreatitis, feline pancreatitis can be caused by herpes virus infection, feline infectious peritonitis, toxoplasmosis, organophosphate intoxication, trauma, hepatobiliary infec-

341

tions, drugs (e.g., acemannan) and certain flukes (e.g., Eurytrema procyonis and Amphimerus pseudofelineus). It may seemingly occur after anesthesia or sedation in some cats. In other cases it appears to be idiopathic. There is no the clear association with dietary fat, as is seen in dogs. The preliminary observation has been made that Siamese cats may be at increased risk for pancreatitis. There is no evidence of a correlation of a diagnosis of feline pancreatitis with obesity. In fact, many cats diagnosed with pancreatitis have been underweight. Finally, there is no obvious age or sex predilection. It seems that some cats have a triad of IBD, hepatitis, and pancreatitis. In such cases, the question is whether the pancreas is the cause of the problem or the effect of the problem. Major point to remember: cats have different causes of pancreatitis than dogs have. The clinical signs of pancreatitis in cats are much more varied than in dogs. While most dogs demonstrate anorexia and vomiting, affected cats may evidence just anorexia and/or just weight loss, both with or without vomiting. Icterus may or may not occur. In one experimental study, cats with pancreatitis induced by infusion of oleic acid into the pancreatic duct evidenced depression, transient fever, rare or no vomiting, and abdominal discomfort during abdominal palpation. In a retrospective study of 40 cats with naturally occurring pancreatitis, the three most common signs in 32 cats with pancreatic necrosis were lethargy to the point of being moribund (100%), partial to complete anorexia (84-97%), and dehydration (92%). Hypothermia, not fever, was the next most common sign (68%) and only 35% were found to be vomiting. Other clinical signs included abdominal pain (25%), abdominal mass (23%), diarrhea (15%), and dyspnea(15%). When acute pancreatitis occurs in cats with hepatic lipidosis, abdominal effusion (which may only be detected with ultrasonography) seems to be relatively common. However, personal experience has shown that this is not necessarily a sensitive or specific finding. Approximately 1/3 of cats with pancreatitis also have intestinal pathology and 42% have interstitial nephritis. Occasionally, thrombosis and/or petechiation will also be seen. Finally, affected cats that are depressed and dehydrated may become constipated. In one report, feline pancreatitis seemed to follow a two-stage course. First there was a chronic illness composed of weight loss, anorexia, and lethargy, with or without vomiting. Next, there was a sudden decompensation which was noted by finding the animal going into shock. However, this state of shock was not necessarily associated with a classic acute abdomen evidencing abdominal pain. Major point to remember: pancreatitis in cats may have extremely vague clinical signs and vomiting is often absent. At times is seems to present with clinical signs that are strongly suggestive of primary hepatic disease. Feline pancreatitis can be relatively difficult to diagnose, not only because the clinical signs can be so vague, but because there is little or no consistency in clinical pathology findings. Although elevated serum lipase activities have been shown to be relatively consistent and diagnostic in cats with experimental pancreatitis, this has not been the case in cats with spontaneous pancreatitis. In general, serum amylase and lipase activities in sera from cats with spontaneous pancreatitis are usually normal. In one study of 32 cats with


342

naturally-occurring pancreatic necrosis, the most common laboratory findings were hypocalcemia (45%), hypokalemia (56%), increased BUN (57%), hyperglycemia (64%), hypercholesterolemia (64%), increased ALT (68%), increased SAP (50%), and hyperbilirubinemia (64%). It is noteworthy that only 30% had a leukocytosis while 15% had leukopenia. Major point to remember: cats with pancreatitis may have clinical pathology findings suggestive of hepatic disease. Feline TLI might be helpful if it is substantially increased over normal (i.e., > 300); however, some cats with pancreatitis have normal values. Likewise, some cats without any histologic evidence of pancreatitis have had very increased values (e.g., 200). Be sure that the TLI you request is designed for use in the cat as opposed to the dog. Dr. David Williams at Texas A&M University (409-8459053) is the only investigator currently able to offer this test in the cat. Abdominal radiographs and ultrasonography are useful if they reveal suggestive abnormalities. Ultrasonographic abnormalities may include masses, hypoechoic areas in the pancreas, and/or dilated bile ducts. However, although the specificity of these findings for pancreatitis is believed to be high, the sensitivity of radiography and ultrasonography for detecting feline pancreatitis appears to be poorer than what is seen in the dog. In general, ultrasound appears to probably be more useful at finding pancreatitis in dogs which have a relatively large organ compared to cats. Biopsy of the pancreas appears to be a sensitive and specific means of diagnosing feline pancreatitis. Biopsy may be performed during exploratory laparotomy or laparoscopy. Many times, obvious gross findings suggestive of pancreatitis may be seen (e.g., hyperemia, saponification of fat, diffusely firm, adhesions, hemorrhage). However, we do not know how reliably one can detect pancreatitis by the gross appearance of the pancreas. I have a friend who has twice diagnosed pancreatic carcinoma after biopsying a grossly normal pancreas in a cat. In general, it appears that if the cat is well-perfused and reasonable care is taken to prevent the pancreas from drying out or from being excessively manipulated, the chance of iatrogenic pancreatitis is relatively minimal. If there are numerous adhesions, take care so that the pancreatic biopsy is deep enough to ensure that underlying pancreatic tissue is obtained, and not just overlying saponification and adhesions. A pancreatic carcinoma may have attendant inflammation which is superficial to the malignant cells. Major point to remember: pancreatic biopsy should be considered in cats with vague disorders that might be consistent with pancreatitis (which is almost any sick cat). Therapy for feline pancreatitis is aided by finding and treating the underlying cause, whenever possible. However, a substantial number of affected cats seemingly have idiopathic pancreatitis. Coincident diseases, such as diabetes

46째 Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

mellitus, should be treated when they are present. One needs to replace fluid and electrolyte deficits as well as maintain them. Healing of a damaged pancreas is probably dependent upon there being adequate perfusion; therefore, one should be relatively aggressive in administering fluids. If the patient is becoming hypoproteinemic, either plasma or a colloid (e.g., hetastarch) should be considered to maintain normal fluid mechanics at the level of the capillary. Administration of plasma may also replace protease inhibitors that are used up by binding to proteases that escape into the blood. Release of such proteases is thought to be one mechanism which can result in acute death in some patients. Plasma may also replace clotting factors that are consumed if disseminated intravascular coagulation is occurring. Antibiotics have been used in cats with pancreatitis. The majority of cases of feline pancreatitis are sterile. However, occasional cats have septic pancreatitis; therefore, administration of antibiotics is reasonable. There is some evidence that acute pancreatitis renders the pancreas more susceptible to infection from bacteria that enter the blood as well as those that translocate through the colonic wall. One study found that cefotaxime (a third generation cephalosporin) significantly reduced the incidence of pancreatic infection in cats that had experimentally-induced pancreatitis and infusion of E. coli into the pancreatic duct. Major point to remember: as in dogs, it is doubtful that antibiotics will cure the pancreatitis, but they may still be useful to prevent a secondary infection. Corticosteroids have also been used in these patients, ostensibly to decrease inflammation. Although steroids can cause hyperlipasemia and/or hyperamylasemia, it is doubtful that they often cause overt pancreatitis. There is the concern that steroids might allow pancreatitis to persist or worsen, but there are no data that strongly support that suspicion. A clinical observation by some clinicians is that selected patients seem to be benefitted be steroids, especially if the steroids are used for a limited time early in the course of the disease. In contrast to the dog, it is not clear that feeding low fat foods is beneficial during or after the acute episodes. However, IF the cat is vomiting, food should probably be withheld until vomiting ceases. I will feed the cat as soon as it will hold down food. Starving a cat seemingly does little or no good, and may cause major problems. It seems reasonable to feed low fat foods on the chance that fat is important in some cats with pancreatitis, but I would not delay feeding in order to use a low fat diet (e.g., if you can start NE feeding with a liquid diet, do so instead of waiting a day or two to have an E-tube or G-tube placed). In animals with protracted vomiting, parenteral nutrition is advantageous, albeit expensive. Antiemetics may be used if vomiting is severe; chlorpromazine is usually the most effective one although metoclopramide may be helpful in some patients.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

343

Shunt portosistemici: una malattia incerta con sintomi poco chiari M.D. Willard DVM, Dipl ACVIM - Texas A&M University, USA

Estratto breve Una delle domande più frequenti che si pongono i clinici è se il fegato sia o meno colpito da un processo patologico in un particolare paziente. Sfortunatamente, le più comuni manifestazioni cliniche dell’epatopatia (anoressia, letargia, depressione, vomito intermittente, perdita di peso) si riscontrano comunemente anche in altre malattie. La presenza di normali livelli di ALT e SAP non consente di escludere un’affezione epatica e l’entità dell’incremento dell’attività di questi enzimi non ha implicazioni prognostiche o diagnostiche. Di solito, non c’è ragione di effettuare la misurazione degli acidi biliari quando il siero è itterico perché sapete già che è presente un loro significativo incremento. Anche considerare la forma e le dimensioni del fegato può contribuire a dare una risposta a questa domanda. I due principali fattori da prendere in considerazione sono a) la presenza di segni di epatopatia focale (cioè, di una massa) e b) il riscontro di un fegato più grande o più piccolo del normale. Se si rileva una di queste alterazioni, devono esistere prove di un’affezione epatica. Infine, l’ecografia può rivelare anomalie del parenchima epatico che mostrano l’esistenza di qualcosa di alterato nell’organo. Una volta documentata l’epatopatia, la domanda successiva è se questa sembri essere clinicamente significativa oppure no. Il riscontro di un fegato di dimensioni marcatamente ridotte (microepatia) è spesso indicativo di un’importante affezione epatica, anche se non tutti i cani con microepatia marcata sono colpiti da un’insufficienza dell’organo. La microepatia è tipicamente causata da un’atrofia secondaria a shunt ematico o cicatrizzazione. Occasionalmente, si verifica un’atrofia epatica idiopatica, apparentemente dovuta ad esposizione cronica ad alcune sostanze tossiche. Tuttavia, si tratta di un’entità patologica scarsamente definita e noi non sappiamo cosa fare in questi casi, tranne che eliminare la “sostanza tossica”. Le masse focali o gli aumenti di dimensione del fegato sono particolarmente preoccupanti e devono sempre essere considerati come potenzialmente importanti. Gli shunt portosistemici congeniti sono relativamente comuni e spesso (ma non sempre) si presentano in modo relativamente facile da identificare. Il quadro classico non è rappresentato tanto dall’encefalopatia epatica dopo il pasto, quanto da un cane giovane (< 8 mesi) che “cresce male” e non è grande e robusto come i suoi fratelli. Di solito, presenta un accenno di vomito e può essere colpito o meno dal-

l’encefalopatia. Quest’ultima si può manifestare sotto forma di crisi convulsive, coma, sonnolenza, cecità, aggressività e/o semplice tendenza a rimanere a lungo sdraiato (atteggiamento annoiato). Questi segni possono essere associati o meno al pasto. L’ascite è eccezionalmente rara negli animali con shunt portosistemico (al contrario di quanto avviene nella fistola AV epatica congenita, che è un’altra anomalia vascolare congenita, ma del tutto differente dal punto di vista di segni clinici, diagnosi e trattamento). Nei gatti con shunt portosistemico di solito il motivo principale della visita è rappresentato da colìo di saliva. Talvolta, si osserva primariamente un’ematuria dovuta ad urolitiasi di biurato di ammonio. Negli animali con sospetto shunt portosistemico è importante escludere dall’elenco delle possibili diagnosi differenziali le parassitosi intestinali e l’ipoglicemia. È anche importante rendersi conto che, sebbene nella maggior parte dei cani lo shunt portosistemico venga diagnosticato in un periodo relativamente precoce della vita, ne abbiamo osservati molti in cui la diagnosi non è stata formulata fino all’età di 5-10 anni. È possibile osservare o meno degli aumenti dei valori di ALT e ASP. Si riscontrano comunemente, ma non invariabilmente, ipoalbuminemia e diminuzione dell’azotemia. Se sono presenti, ai fini della diagnosi risultano utili i cristalli di biurato di ammonio nell’urina. I principali criteri di formulazione del sospetto diagnostico di shunt portosistemico congenito sono la microepatia e il notevole aumento dei livelli sierici postprandiali degli acidi biliari (di solito > 90 mmol/l). Un buon ecografista è in grado di individuare lo shunt nel 50% circa dei casi, se si prende tutto il tempo necessario a cercarlo. Se tutto questo fallisce, è possibile effettuare un intervento di chirurgia addominale esplorativa, possibilmente seguito da una venoportografia mesenterica. La correzione chirurgica rappresenta la soluzione d’elezione, ma non è priva di rischi. Attualmente stiamo utilizzando il costrittore anaeroide che rende l’intervento molto più facile di prima. Tuttavia, stiamo osservando che alcuni di questi cani sviluppano un’ascite successiva dovuta all’eccessiva chiusura dello shunt. Di solito, ciò non costituisce un problema primario, ma il proprietario deve essere avvisato preventivamente. Principali punti da ricordare. Gli shunt portosistemici si possono presentare in una gran varietà di modi. Alcuni animali sono molto giovani e mostrano un’anamnesi classica, mentre altri sono più anziani e caratterizzati da riferimenti anamnestici molto vaghi. Anche se la misurazione delle concentrazioni sieriche postprandiali degli acidi biliari rappresenta un test eccellente, non è infallibile (io ho


344

osservato un cane con uno shunt portosistemico che presentava una concentrazione normale di acidi biliari postprandiali). È necessario verificare se la presenza di elevate concentrazioni ematiche di ammoniaca sia dovuta ad artefatti; è molto facile alterare questo test se il campione non viene manipolato correttamente. La displasia microvascolare epatica è un’entità patologica recentemente descritta e scarsamente sconosciuta. Gli animali colpiti spesso si presentano clinicamente in modo molto simile ai cani con shunt vascolare portosistemico congenito. Tuttavia, non esiste alcuno shunt macroscopica-

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

mente identificabile. Di fronte ad un animale in cui ritenete fortemente che sia presente uno shunt congenito, ma non riuscite a trovarlo, effettuate un prelievo bioptico di fegato e chiedete all’istopatologo se ritiene probabile una displasia microvascolare. La diagnosi viene formulata istologicamente. Il trattamento è di supporto perché la causa è sconosciuta. Principali punti da ricordare: ricordatevi di dire ai proprietari dei cani con shunt portosistemici “classici” che esiste la possibilità che i loro animali siano colpiti da una condizione diversa, che non può essere trattata facilmente.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

345

Diagnostica di laboratorio delle malattie epatiche M.D. Willard DVM, Dipl ACVIM - Texas A&M University, USA

Estratto breve Il riscontro di elevati livelli di ALT e/o SAP dimostra l’esistenza di un’epatopatia, ma la presenza di valori normali non consente di escludere la medesima condizione. I test di funzionalità epatica (albumina sierica, azotemia, acidi biliari) sono semplicemente un altro modo per cercare di stabilire se il fegato è colpito o meno da un processo patologico. Talvolta può essere presente un’epatopatia significativa non accompagnata da un incremento delle concentrazioni degli acidi biliari sierici (ad es. caratterizzata da variazioni di minore entità quando il processo è appena iniziato e non si è ancora avuta una marcata perdita della funzionalità epatica), mentre in altri casi gli animali mostrano notevoli innalzamenti dei valori di questo parametro, ma sono affetti da epatopatie clinicamente non significative (ad es., epatopatia vacuolare). Se gli altri test di laboratorio indicano la presenza di quella che sembra essere un’epatopatia clinicamente significativa (ad es., l’animale è affetto da un ittero epatobiliare), di solito la misurazione dei livelli sierici degli acidi biliari non è di alcuna utilità. Principali punti da ricordare. Il riscontro di valori normali di ALT e SAP non esclude l’epatopatia e l’entità dell’incremento delle attività di questi due enzimi non ha implicazioni prognostiche o diagnostiche. Di solito, non c’è ragione di misurare i livelli sierici degli acidi biliari quando il siero è itterico, perché è già noto il fatto che è presente un incremento significativo. Si ritiene che il riscontro di una cronicità (ad es., aumento degli enzimi epatici per settimane) denoti un’epatopatia potenzialmente significativa. Se il paziente è asintomatico o lievemente sintomatico fatta eccezione per le anomalie biochimiche, di solito è bene attendere e vedere se tali anomalie persistono o peggiorano. Tuttavia, se i livelli di ALT restano aumentati (anche in caso di un incrementi di minore entità) per settimane, si deve ritenere fino a prova contraria che il paziente sia affetto da una malattia significativa. Se un animale di una razza notoriamente a rischio di epatopatia (ad es., cocker spaniel) presenta delle alterazioni che potrebbero essere dovute ad un problema epatico, l’indagine va effettuata subito piuttosto che rimandata a più tardi. Infine, se non esistono altre spiegazioni per i problemi dell’animale, è bene ritenere il fegato la causa più probabile.

Gli incrementi persistenti degli enzimi epatici costituiscono un’indicazione più che ragionevole per il ricorso alla biopsia epatica. Anche se il cane o il gatto è clinicamente normale, innalzamenti persistenti di ALT o SAP devono essere adeguatamente studiati, il che di solito significa effettuare il prelievo di un campione bioptico dal fegato. È preferibile diagnosticare una grave epatopatia prima che provochi gravi segni clinici (cioè quando di solito si hanno maggiori possibilità di intervenire per trattarla e controllarla) piuttosto che dopo che la malattia del paziente sia giunta ad un punto tale da impedire la compensazione del danno subito dal fegato (cioè quando, di solito, non è possibile ottenere con la terapia tutti i risultati che si vorrebbero raggiungere). Non bisogna lasciarsi ingannare dall’idea che sia possibile prevedere se l’epatopatia sia o meno significativa basandosi sugli enzimi epatici. La maggior parte dei veterinari ha visto moltissimi cani in cui gli esami ematologici di screening effettuati nel corso di valutazioni di routine evidenziavano aumenti della SAP associati a livelli di ALT, GGT e bilirubina normali (così come il resto del profilo, fatta eccezione forse per un incremento del colesterolo). Si tratta tipicamente di cani anziani che per il resto non presentano alterazioni. Dopo aver effettuato i test di funzionalità surrenalica per escludere l’iperadrenocorticismo, si tende a voler ignorare l’incremento della SAP perché questi cani, quasi invariabilmente, sono affetti da una sorta di epatopatia vacuolare clinicamente non significativa. Tuttavia, la parola importante è quasi. Cani come questi possono anche essere affetti da malattie clinicamente importanti che devono essere diagnosticate. Esistono fondamentalmente quattro tecniche per ottenere le biopsie epatiche: a) aspirazione con ago sottile per esami citologici, b) prelievo mediante ago a core (ad es., con Tru-Cut utilizzato sotto controllo ecografico o durante una laparoscopia, c) utilizzo di pinze bivalvi (solitamente durante una laparoscopia) e d) asportazione di un cuneo di tessuto (chirurgicamente). L’aspirazione con ago sottile può essere effettuata nel cane e nel gatto. Si introduce alla cieca un ago da 25-23 G facendolo avanzare sino nel fegato attraverso una puntura addominale. I principali svantaggi di questa tecnica sono: a) il fatto che non consente di rilevare l’architettura del fegato (cioè, non rivela se sono presenti noduli di rigenerazione o atrofia) e b) la possibilità di farsi sfuggire facilmente processi patologici di importanza vitale (ad es., mancato riscontro di fibrosi e di molte affezioni a carattere infiltrante, anche


346

quando sono estese). La biopsia a core viene di solito effettuata con un Tru-Cut. I principali svantaggi sono a) l’impossibilità di monitorare facilmente l’emorragia successiva all’operazione se si utilizza il controllo ecografico e b) l’estrema facilità di ottenere campioni troppo piccoli, troppo frammentati o troppo scarsi per avere valore diagnostico. Le pinze da biopsia bivalvi possono essere utilizzate in associazione con la laparoscopia. Il vantaggio di questa tecnica è che consente di visualizzare la lesione o l’area da sottoporre a biopsia (il che può essere utile in presenza di alterazioni miliari che non si possono rilevare ecograficamente). Se effettuato correttamente, questo è un

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

metodo eccellente per ottenere campioni di tessuto epatico da destinare agli esami istopatologici. I prelievi di biopsie mediante asportazione di un cuneo di tessuto nel corso di un intervento chirurgico sono quelli di maggiori dimensioni. I principali svantaggi di questa tecnica sono: a) il fatto che raramente è necessario effettuare un intervento chirurgico per prelevare campioni bioptici di valore diagnostico, b) il rischio di farsi sfuggire lesioni situate in profondità nel parenchima epatico e c) la possibile presenza di neutrofili sotto la capsula quando il prelievo di campioni chirurgici viene effettuato dopo che il paziente è stato anestetizzato per un lungo periodo di tempo.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

347

Insufficienza mitralica cronica del cane: incidenza, diagnosi clinica e strumentale Alessandro Zani Med Vet - Livorno

Estratto breve È uno studio retrospettivo su 219 cani affetti da insufficienza mitralica cronica, da noi osservati allo scopo di valutare l’incidenza della patologia, la distribuzione di razza, le caratteristiche cliniche e strumentali utili per un corretto inquadramento diagnostico, per la gestione terapeutica a lungo termine e delle complicanze possibili. Tutti i cani sono stati sottoposti ad una valutazione clinica e strumentale. L’insufficienza mitralica cronica è di frequente riscontro nel cane, come conseguenza di una patologia degenerativa dell’apparato valvolare mitralico. Nella nostra casistica l’insufficienza mitralica da Malattia Valvolare Cronica (MVC) rappresenta il 60% delle cardiopatie, l’analisi della distribuzione di razza evidenzia una grande prevalenza di Meticci (45%), seguiti dalle razze classicamente considerate per questa patologia, quali Yorkshire T. (10,3%), Barboni nano e toy (8,25%), Volpino, Bolognese, West Highland White Terrier, Pechinese, ShiTzu, Bassotto, Pincher, ma anche una buona incidenza di razze di taglia medio grande come Epagneul Breton (7,22%), Dalmata (5,1%), e la presenza di razze non comunemente considerate come Setter Inglese (2,1%), Pastore Maremmano Abruzzese (2,1%). Dividendo i 219 cani in due categorie di peso ci accorgiamo che il 58,9% ha un peso inferiore ai 15 Kg, ed il 41,1% risulta invece superiore ai 15 Kg. Al momento della prima presentazione i cani sono stati classificati secondo le tre classi di insufficienza cardiaca in accordo con i criteri dell’International Small Animal Cardiac Health Council (ISACHC), risultando in classe I il 26,9% dei cani, in classe II il 53,4%, ed in classe III il 19,6%. Scorporando però la distribuzione per le due categorie di peso ci accorgiamo che per i cani di peso inferiore ai 15 Kg il 19,3% si localizza in classe I, il 66,6% in classe II, il 14,1% in classe III, mentre per i cani di peso superiore ai 15 Kg abbiamo il 37,5% in classe I, solo il 27,5% in classe II, e ben il 35% in classe III. L’età media alla prima presentazione è risultata essere di 11,1 anni per tutti i cani insieme (range 5 – 18 anni), di 11,5 per quelli di peso inferiore ai 15 Kg e di 10,8 per quelli di peso superiore ai 15 Kg. Possiamo riscontrare nel corso della MVC tre principali categorie cliniche: i soggetti completamente asintomatici, i sintomatici, e i sintomatici molto gravi. Nella nostra esperienza i sintomi più comunemente riferiti dal Proprietario erano: la tosse (83%), vari gradi di dispnea (21,5%), lipotimie/sincopi (20%), la di-

stensione addominale (1,5%). I segni clinici comunemente rilevati alla prima visita: soffio cardiaco, polso piccolo e/o aritmico, prolungamento del tempo di riempimento capillare (TRC), pallore e/o cianosi delle mucose nei casi di edema polmonare acuto (EPA), rantoli nei campi polmonari (EPA). Il soffio sistolico spesso copre entrambi i toni cardiaci, di tonalità elevata, intensità variabile dai II ai VI/VI, a plateau, con punto di massima intensità apicale sx e vari gradi di irradiazione alla base sx, parasternale dx fino a tutto l’emitorace sx e dx. Non esiste una stretta correlazione tra gravità del rigurgito e intensità del soffio, anche se nella nostra esperienza cani con soffi di piccola intensità difficilmente presentano frazioni di rigurgito elevate. Nel lungo decorso della MVC è possibile che lo stesso soggetto anche se in terapia manifesti più episodi di edema polmonare acuto. Nella valutazione strumentale dei cani affetti da MVC la radiologia toracica risulta molto utile permettendo la valutazione dell’ingrandimento atriale sx, l’eventuale compressione del bronco principale sx, l’ingrandimento ventricolare sx, le dimensioni dei vasi polmonari, i campi polmonari. Con l’esame radiografico è possibile confermare un sospetto clinico di edema polmonare, valutarne l’entità, l’estensione e la risposta alla terapia. Attraverso l’esame elettrocardiografico (ECG) è possibile rilevare i segni di ingrandimento ventricolare sx e atriale sx (bassa sensibilità). Maggiore importanza assume l’ECG per la valutazione del ritmo cardiaco. Nella nostra esperienza l’incidenza delle aritmie in questa patologia risulta bassa (13,2% su 159 cani con MVC sintomatica). Le alterazioni del ritmo più frequentemente riscontrate sono i complessi atriali prematuri (APC 38,1%), i complessi ventricolari prematuri (VPC 33,3%), la fibrillazione atriale (14,2%), la tachicardia ventricolare parossistica (4,8%), in alcuni casi lo stesso soggetto presentava sia APC che VPC mono e multifocali. L’esame ecocardiografico assume un ruolo rilevante per la diagnosi, la stadiazione e il management della MVC, offrendo la possibilità di valutare: la morfologia dell’apparato valvolare, la direzione del jet rigurgitante, lo shape e la cinetica globale del ventricolo sx, le dimensioni dell’atrio sx, la funzione sistolica e diastolica del ventricolo sx, la pressione atriale sx, la frazione rigurgitante, e l’importanza emodinamica delle aritmie. In corso di MVC dovremo considerare tre aspetti terapeutici, la gestione a lungo termine dell’insufficienza cardiaca, le complicanze acute, le patologie associate e complicanti. Il nostro obiettivo terapeutico sarà quello di controllare il quadro di insufficienza cardiaca e ritardarne il più possibi-


348

le la progressione. Ci dovremo preoccupare quindi di: ridurre il precarico, ridurre il postcarico, sostenere la funzione sistolica e controllare il ritmo. A questo scopo utilizzeremo vari classi di farmaci quali: gli ace inibitori, i diuretici, i vasodilatatori, gli inotropi positivi, gli antiaritmici. Concludendo, in accordo a quanto segnalato in bibliografia, viene evidenziata la notevole prevalenza che la malattia valvolare cronica ha su le altre cardiopatie del cane. Un dato interessante è l’incidenza non trascurabile della MVC in cani di peso superiore ai 15 Kg, e la diversità del loro decorso clinico rispetto a quello dei cani di piccola taglia. L’ecocardiografia Doppler e la radiologia toracica assumono un ruolo determinante, per la diagnosi e stadiazione della MVC, per il controllo a lungo termine e per la gestione corretta delle complicanze acute.

Estratto completo INTRODUZIONE L’insufficienza mitralica cronica è di frequente riscontro nel cane, come conseguenza di una patologia degenerativa dell’apparato valvolare mitralico definita nel corso degli anni con i termini: endocardiosi mitralica, malattia valvolare cronica, degenerazione valvolare mucoide, trasformazione valvolare mixoide (Lombard C.W.: XVII WSAVA World Congress 1992; Haggstrom J.: Vet. Rec. 1992; Sisson D.:in Bonaugura J.W.: ed. Contemporay issues in small animal practice 1987; Keene B.W.: in Fox P.R. ed. Canine and Feline cardiology 1998). Sebbene la malattia sia stata diagnosticata clinicamente da molti anni e sia stato prodotto un considerevole numero di studi patologici descrittivi e comparati, l’eziologia della malattia valvolare cronica (MVC) rimane ancora sconosciuta. La normale funzione della valvola mitrale dipende dall’azione combinata di un certo numero di strutture anatomiche conosciute come “complesso della valvola mitrale”. Queste includono: i due lembi valvolari, l’annulus, le corde tendinee, i due muscoli papillari, la parete atriale e ventricolare sx. La MVC può dare alterazioni involutive di una o diverse di queste strutture. Macroscopicamente le valvole e le corde tendinee appaiono ispessite, nodose, distorte. Le lesioni macroscopiche sono classificate in base alla gravità delle alterazioni presenti; che possono variare da pochi noduli piccoli distinti a livello della commissura della valvola, a grosse deformità coalescenti simili a placche, che determinano l’accorciamento e l’arrotondamento dei foglietti valvolari e delle corde tendinee con indebolimento e possibilità di rottura negli stadi avanzati (Calvert C.A, J. Am. Vet. Assoc. 1982). Le modificazioni secondarie al sovraccarico volumetrico determinato dal rigurgito mitralico cronico includono vari gradi di dilatazione dell’atrio sx e del ventricolo sx. L’alterazione fisiopatologica di base nella MVC consiste nell’impropria coaptazione dei lembi valvolari mitralici durante la sistole ventricolare. Ciò provoca un rigurgito di sangue dal ventricolo sx (camera a più alta pressione)

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

all’atrio sx (camera a bassa pressione). L’entità del rigurgito (volume rigurgitante) dipende da diversi fattori, quali: il grado di deformità dei lembi valvolari, il grado di dilatazione dell’annulus valvolare (in definitiva l’area rigurgitante effettiva), l’impedenza sistemica all’eiezione (post-carico anterogrado), la funzione contrattile ventricolare sx, e la durata della sistole ventricolare. La comparsa dei segni clinici, la velocità e l’entità di progressione dell’insufficienza cardiaca dipendono da quattro fattori fondamentali, quali: l’entità del rigurgito (volume), la compliance atriale sx, la compliance ventricolare sx, e la comparsa di aritmie. Nelle fasi iniziali l’instaurarsi del rigurgito mitralico determina subito il cambiamento delle condizioni di carico ventricolare sx, con un aumento del precarico come conseguenza di un maggior volume di riempimento diastolico (ritorno venoso più quota rigurgitante) e attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone (SRAA), ed una aumento del postcarico interno nella fase iniziale della sistole, con una sua riduzione nella fase sistolica successiva all’inizio del rigurgito mitralico (fuga di sangue in atrio a bassa pressione) (Michael R. Zile, Masaaki Tomita, et al, Circulation 1993). Già in questa fase il ventricolo sx risponde con un’ipertrofia eccentrica, normalizzando lo stress parietale in accordo alla Legge di Laplace. La pressione atriale è ancora normale sfruttando progressivamente la capacità di distensione della parete atriale sx (compliance). Clinicamente risulta come fase asintomatica (di compenso) che può durare anche a lungo. Con il progredire della patologia, e con il progressivo aumento della quota rigurgitante la dilatazione ed il moderato aumento pressorio atriale fanno si che inizi la fase sintomatica, caratterizzata come vedremo prevalentemente dalla tosse per compressione diretta del bronco principale sx da parte della volta atriale. In questa fase tutto ciò che può determinare un aumento improvviso del volume rigurgitante (interruzioni della terapia, rottura di corde tendinee o bruschi cambiamenti della morfologia valvolare, l’instaurasi di ipertensione arteriosa sistemica), crea un aumento improvviso della pressione atriale sx a cui la compliance atriale non a modo di far fronte, che può evolvere in edema polmonare acuto (Kihara Y., Sasayama S., et al, Circ. Res. 1988). Quasi esclusivamente nei cani di taglia medio-grande (secondo la nostra esperienza) è possibile osservare quadri di perdita di funzione sistolica (per riduzione della capacità contrattile), caratterizzati da ipocinesia, dilatazione ventricolare sx e ridotti spessori parietali. Ciò avviene per incapacità del ventricolo sx a rispondere al progressivo aumento dello stress parietale (afterload mismatch) determinato dall’enorme sovraccarico volumetrico raggiunto in soggetti con elevati volumi rigurgitanti. (Calabrò R. et al: Fisiopatologia e funzione ventricolare…. ed. Piccin 1997; Selzer A, et al: Medicine 1972). Possiamo riscontrare nel corso della MVC tre principali categorie cliniche: i soggetti completamente asintomatici, i sintomatici, e i sintomatici molto gravi. Nei primi generalmente vi è un riscontro occasionale del soffio cardiaco nell’ambito di una visita routinaria o per problemi non riferibili all’apparato cardiovascolare, i cani sintomatici in genere vengono portati alla visita per la compar-


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

sa di uno o più sintomi (generalmente la tosse è sempre presente), ed i gravemente sintomatici vengono presentati in emergenza per gravi difficoltà respiratorie, debolezza estrema e/o sincopi. Il soffio sistolico spesso copre entrambi i toni cardiaci, di tonalità elevata, intensità variabile dai II ai VI/VI, a plateau, con punto di massima intensità apicale sx e vari gradi di irradiazione alla base sx, parasternale dx fino a tutto l’emitorace sx e dx (Pedersen HD, Haggstrom J, et al: J. Vet. Intern. Med. 1999). Dai radiogrammi del torace eseguiti in proiezione laterolaterale (LL) e ventrodorsale (VD), è possibile valutare: la presenza o meno di ingrandimento atriale sx, l’eventuale compressione del bronco principale sx, l’ingrandimento ventricolare sx, le dimensioni dei vasi polmonari, i campi polmonari. L’esame radiografico in proiezione LL risulta molto utile per una prima valutazione delle dimensioni atriali sx, con elevata sensibilità (Lombard CW, et al, Vet Radiol 1985; Suter PF, et al, Text Atlas of Thoracic Disease of Dog and Cat, Wettswil Switzerland). Particolarmente utile risulta l’esame radiografico che ci permette l’osservazione dei vasi polmonari, arterie e vene lobari craniali (in proiezione LL) e lobari caudali (in proiezione VD), per la valutazione di eventuali segni di congestione venosa polmonare, o di ipoperfusione per eccesso di terapia diuretica. Dall’esame radiografico è possibile confermare un sospetto clinico di edema polmonare, valutarne l’entità, l’estensione e la risposta alla terapia. Ultima e non meno importante è la possibilità di valutazione del parenchima polmonare che la radiologia toracica ci offre, considerando che i cani affetti da MVC sono spesso molto anziani e portatori di patologie respiratorie croniche come bronchite cronica, broncoectasie, fibrosi broncopolmonare, collasso tracheale, etc, che possono essere anch’esse responsabili della tosse e della ridotta tolleranza allo sforzo. Dal tracciato elettrocardiografico (ECG) registrato nelle derivazioni standard bipolari (DI, DII, DIII) e unipolari (aVR, aVL, aVF) agli arti, e nelle precordiali, destra V1 (CV5RL) e sinistre V3 (CV6LL) e V5 (CV6LU) è possibile valutare l’eventuale ingrandimento atriale sx, ventricolare sx, ed il ritmo (Lombard CW, et al, Vet. Radiol. 1985) La valutazione dell’ingrandimento atriale sx in base alla durata ed al voltaggio dell’onda P (“P mitralica”, durata > 0,04 sec) è un segno di scarso valore diagnostico soprattutto per la sua bassa sensibilità. In caso di ipertrofia ventricolare sx eccentrica (sovraccarico volumetrico) troveremo onde R alte (R > 2,5 mV) in DII, DIII, aVF, V3, V5, ed una prevalenza sinistra in V1 (Indice di Cabrera). Maggiore importanza assume il tracciato ECG per la valutazione del ritmo. Le aritmie che si possono riscontrare in corso di MVC sono: i complessi atriali e ventricolari prematuri (APC e VPC) isolati ed a salve, la tachicardia sopraventricolare (SVT), la tachicardia ventricolare parossistica (TVP), la fibrillazione atriale (FA). La metodica ecocardiografica assume un ruolo rilevante per la diagnosi, la stadiazione e il controllo della MVC. Attraverso l’esame ecocardiografico è possibile valutare: la morfologia dell’apparato valvolare, la direzione del jet ri-

349

gurgitante, la morfologia e la cinetica globale del ventricolo sx, le dimensioni dell’atrio sx, la funzione sistolica e diastolica del ventricolo sx, la pressione atriale sx, la frazione rigurgitante, e l’importanza emodinamica delle aritmie. Per la valutazione morfologica dell’apparato valvolare mitralico è importante l’osservazione in varie proiezioni (parasternale dx asse lungo e asse corto, apicale sx quattro camere), dei lembi valvolari, delle corde tendinee, che si presenteranno ispessiti a superficie irregolare con bozzellature e nodularità. Dall’osservazione del movimento valvolare e del punto di coaptazione è possibile predire in quale direzione andrà il jet rigurgitante. È importante sottolineare che il lembo mitralico anteriore copre il 70% della superficie valvolare per cui un suo maggiore interessamento darà origine ad aree rigurgitanti più vaste, con un prognostico peggiore. Utile risulta l’osservazione della morfologia e del movimento valvolare in quei casi in cui un repentino peggioramento della sintomatologia è provocato dalla rottura di una o più corde tendinee, in tali casi sarà possibile osservare il rovesciamento della porzione di lembo interessata in atrio sx in fase sistolica (flail leaflet), ed in alcuni casi visualizzare direttamente la o le corde tendinee disinserite e “svolazzanti”. Di notevole interesse prognostico risulta la valutazione della morfologia ventricolare. È possibile, già all’esame bidimensionale in proiezione parasternale dx asse lungo ed in apicale sx quattro camere, avere una impressione della sfericità del ventricolo. Per una valutazione più attenta è possibile calcolare l’indice di sfericità misurando i diametri trasversali sistolici e diastolici in parasternale dx asse corto con la scansione monodimensionale, e in parasternale dx asse lungo ottimizzata o in apicale sx quattro camere per i diametri base-apice (Calabrò R., et al: Fisiopatologia e funzione ventricolare… ed Piccin 1997). Dal rapporto tra di essi si ottiene l’indice di sfericità del ventricolo sx che normalmente è compreso tra 1,7 e 2 (con variabilità di razza). La perdita della normale forma a tronco di cono del ventricolo sx (quando cioè l’ipertrofia eccentrica non riesce più a normalizzare lo stress parietale), anche se in presenza di apparente normocinesia, stà ad indicare il deterioramento della funzione sistolica. In corso di MVC le modificate condizioni di carico ventricolare dovuto alla presenza del rigurgito mitralico, come la distensione delle fibre in protosistole (dovuta al sovraccarico volumetrico) e la successiva caduta del postcarico ventricolare in fase sistolica (durante il verificarsi del rigurgito mitralico) sono responsabili dello stato ipercinetico, ben riconoscibile all’esame bidimensionale e monodimensionale in tempo reale come spiccata escursione sisto-diastolica settoparietale. Una situazione di apparente normocinesia potrà indicare quindi una perdita di funzione sistolica in caso di rigurgiti mitralici moderati o massivi, e una non rilevanza emodinamica di rigurgiti mitralici minimi. Ruolo determinante nella gestione dei pazienti con MVC assume la valutazione dell’ingrandimento atriale sx. Il rapporto tra il diametro dell’atrio sx e quello aortico (rapp. Asx/Ao), in proiezione parasternale dx asse corto sulla base cardiaca, è un indice preciso e ripetibile sul quale fare affidamento per il controllo a lungo termine. È necessario considerare però che attraverso il rapp. Asx/Ao


350

stiamo valutando l’atrio in una sua sola dimensione trasversale, tralasciando il diametro volta-annulus (altezza atriale). Ciò può essere ovviato in casi particolari integrando la valutazione con le misure effettuate in parasternale dx asse lungo (diametro antero-posteriore, diametro volta-annulus). La valutazione della funzione sistolica ventricolare sx assume particolare importanza in corso di MVC, soprattutto nei cani di taglia medio grande, che più frequentemente vanno incontro a perdita di contrattilità. Nel valutare i comuni indici ecocardiografici di funzione sistolica, frazione di accorciamento (FA%), frazione di eiezione (FE%), velocità di accorciamento circonferenziale (VCFc), indice di volume telesistolico (ESVI), dobbiamo considerare come essi vengono influenzati dalle mutate condizioni di carico ventricolare. In particolare, la FA% e la FE% vengono influenzate in modo rilevante dalle variate condizioni di carico ventricolare, pertanto il loro valore tenderà ad essere sovrastimato. Risulta normale in corso di MVC in assenza di disfunzione sistolica misurare FA% del 40-50% e FE% del 80-90%. Al contrario l’ESVI risulterà con valore più basso come conseguenza della riduzione del diametro telesistolico dovuto alla riduzione del postcarico interno. Con l’ausilio del color Doppler è possibile identificare la direzione del jet rigurgitante in atrio sx, questo ci sarà utile nel guidare successivamente il campione del Doppler continuo (CW) per la misurazione della velocità massima del jet. Il jet rigurgitante potrà assumere direzioni variabili in relazione alla alterazione anatomica valvolare presente e come precedentemente descritto in base alla predominante alterazione del lembo anteriore o posteriore. Scolasticamente vengono differenziati rigurgiti diretti anteriormente (verso il lembo settale mitralico ed il setto interatriale), centralmente (al centro dell’atrio sx), e posteriormente (verso il lembo posteriore mitralico e la parete latero-posteriore dell’atrio). La direzione del jet rigurgitante può cambiare durante la sistole, essere unico o separarsi in varie direzioni; risulta quindi importante mappare con il Doppler CW tutte le colonne di color aliaising per determinare la velocità massima del rigurgito. La valutazione “quantitativa” del rigurgito mitralico assume un ruolo fondamentale sia al momento della diagnosi e stadiazione, che per la gestione terapeutica. Esistono vari metodi ecocardiografici utilizzabili per stimare il volume rigurgitante e la relativa frazione di rigurgito: grandezza del jet rigurgitante al color doppler, differenza dei volumi fra Doppler FTM e Doppler del tratto di efflusso ventricolare sx (LVOT), differenza dei volumi area-lunghezza monoplano e Doppler LVOT, Proximal Isovelocity Surface Area (PISA) e Proximal Jet Size. Questi ultimi si basano sul principio dell’equazione di continuità, secondo il quale il flusso prossimale all’orifizio rigurgitante deve essere uguale al flusso che lo attraversa. Utilizzando il Doppler a codice di colore è possibile calcolare l’area prossimale di isovelocità (che si assume come una emisfera il cui raggio si estende dal centro dell’orifizio alla prima curva di isovelocità). Il flusso rigurgitante si ottiene dal prodotto fra l’area di isovelocità e la velocità di aliaising utilizzata nella registrazione color Doppler (Ehud Schwammenthal, et al, J Am. Coll Cardiol. 1996; Doiguchi O. Takahashi T., J Vet Med Sci 2000). In

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

uno studio (Donato Mele e coll., Circulation 1995) sono state confrontate tra loro tre metodiche (proximal jet size, metodo dei volumi con doppler mitralico e aortico, angiocardiografico), dimostrando una ottima correlazione tra le misure del jet prossimale al color doppler (altezza, larghezza, area) e le altre due metodiche nel valutare l’entità del rigurgito mitralico. Essendo i cani affetti da MVC sintomatica prevalentemente anziani, è facile il riscontro di patologie associate. Fra esse, quelle che più frequentemente interferiscono con il delicato “equilibrio” emodinamico sono, l’iperadrenocorticismo, e la tromboembolia polmonare e l’ipertensione arteriosa sistemica. Il riconoscimento e il controllo di tali patologie condiziona notevolmente il decorso e la prognosi della malattia valvolare cronica. Particolare attenzione deve essere posta alla comparsa dei sintomi clinici da iperadrenocorticismo (PU/PD, polifagia, alterazioni del pelo, infezioni ricorrenti, ipertensione arteriosa, etc), essendo una patologia di frequente riscontro in cani di piccola taglia in età medio avanzata. L’aumentata produzione di cortisolo in cani affetti da iperadrenocorticismo (sia ipofisario che da neoplasia surrenalica secernente), interferisce con l’apparato cardio-respiratorio a vari livelli, quali: alterazione della meccanica respiratoria (maggiore deposizione di grasso toracico, maggiore infiltrazione adiposa muscolare, aumento della pressione diaframmatici, fibrosi e calcificazioni bronchiali), ipertensione arteriosa sistemica (ritenzione renale di sodio ed aumento del volume circolante, sintesi dei precursori della renina con conseguente aumento dell’angiotensina, maggiore sensibilità vascolare alle catecolamine, secrezione di mineralcorticoidi), ipertensione arteriosa polmonare, maggiore predisposizione ad episodi di tromboembolia polmonare.

SCOPO DELLO STUDIO È uno studio retrospettivo su 219 cani affetti da insufficienza mitralica cronica, da noi osservati nel periodo 2000-2002, svolto allo scopo di valutare l’incidenza della patologia, la distribuzione di razza, le caratteristiche cliniche e strumentali utili per un corretto inquadramento diagnostico, per la gestione terapeutica a lungo termine e delle complicanze possibili.

MATERIALI E METODI I cani sono stati sottoposti ad una valutazione clinica e strumentale (ECG, RX, ECOCARDIOGRAFIA DOPPLER). Al momento della prima presentazione i cani sono stati classificati secondo le tre classi di insufficienza cardiaca in accordo con i criteri dell’International Small Animal Cardiac Health Council (ISACHC: Raccomandazioni per la diagnosi delle malattie cardiovascolari etc, Ed. Italiana a cura di Bussadori C. e Santilli RA.). Le indagini strumentali sono state eseguite con i cani in normale stato di veglia. I radiogrammi del torace eseguiti in proiezione laterolaterale (decubito laterale destro) e ventrodorsale (decubito dorsale), sono stati valutati per


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

la presenza o meno dell’ingrandimento atriale sx, l’eventuale compressione del bronco principale sx, l’ingrandimento ventricolare sx, le dimensioni dei vasi polmonari. Il tracciato elettrocardiografico è stato registrato in decubito laterale destro nelle derivazioni standard bipolari e unipolari agli arti e nelle precordiali. L’esame ecocardiografico è stato eseguito in decubito laterale dx e sx con l’ausilio di un apposito tavolo da ecocardiografia, utilizzando sonde settoriali di frequenza variabile da 2,5 – 3,5 MHz per la valutazione doppler e 7,5 MHz per la valutazione morfologica. La valutazione morfologica dell’apparato valvolare mitralico è stata effettuata utilizzando più proiezioni (parasternale dx asse lungo e asse corto, apicale sx quattro camere), analizzando le caratteristiche e la distribuzione delle lesioni. Attraverso l’esame bidimensionale (b-mode) e monodimensionale (m-mode) sono stati calcolati: il rapporto atrio sinistro aorta (Asx/Ao), l’indice di sfericità del ventricolo sx, gli indici sistolici frazione di accorciamento (FA%) e indice di volume telesistolico (ESVI). Per il calcolo dell’indice di sfericità sono stati misurati i diametri trasversali sistolici e diastolici in parasternale dx asse corto (m-mode) e i diametri base-apice in parasternale dx asse lungo o in apicale sx quattro camere (b-mode). La FA% e l’ESVI sono stati calcolati dalle misure ventricolari ottenute in parasternale dx asse corto (m-mode). L’esame ecodoppler è stato utilizzato per la determinazione della direzione del jet rigurgitante, per la misurazione della sua velocità massima (Vmax rig.) e per la quantificazione dell’entità del rigurgito (frazione rigurgitante). Con l’ausilio del color doppler è stata evidenziata la direzione del jet rigurgitante utilizzando le proiezioni parasternale dx asse lungo e apicale sx quattro camere. La Vmax rig. è stata misurata utilizzando il doppler continuo e con l’ausilio del color per ottenere l’allineamento migliore, in proiezione apicale sx quattro camere e parasternale dx asse lungo per i rigurgiti diretti molto posterolateralmente. La quantificazione del rigurgito è stata effettuata utilizzando due metodiche: metodo della differenza dei volumi, e Proximal Jet Size (PJS) al color doppler. Per il calcolo del volume ventricolare eiettivo totale è stato utilizzato il metodo bidimensionale (area-lunghezza monoplano), in parasternale dx asse lungo e apicale sx quattro camere. Il volume ventricolare eiettivo effettivo è stato calcolato come gittata aortica (metodo doppler) in retrosternale. La misurazione del jet prossimale al color doppler è stata effettuata in proiezione apicale sx quattro camere utilizzando un limite di Nyquist di 0,86 m/sec e calcolando la media di tre misurazioni.

351

darie, endocarditi, ipertensione polmonare, aritmie, filariosi cardiopolmonare) 12,05%. L’analisi della distribuzione di razza evidenzia una grande prevalenza di Meticci che rappresentano più del 45% dei casi, seguiti dalle razze classicamente considerate per questa patologia, quali Yorkshire T. (10,3%), Barboni nano e toy (8,25%), Volpino, Bolognese, West Highland White Terrier, Pechinese, Shih Tzu, Bassotto, Pincher, ma anche una buona incidenza di razze di taglia medio grande come Epagneul Breton (7,22%), Dalmata (5,1%), e la presenza di razze non comunemente considerate come Setter Inglese (2,1%), Pastore Maremmano-Abruzzese (2,1%), Pastore Tedesco (1%), Pointer (1%). Dividendo i 219 cani in due categorie di peso ci accorgiamo che il 58,9% ha un peso inferiore ai 15 Kg, ed il 41,1% risulta invece superiore ai 15 Kg. Al momento della prima presentazione i cani sono stati classificati secondo le tre classi di insufficienza cardiaca in accordo con i criteri dell’International Small Animal Cardiac Health Council (ISACHC), risultando in classe I il 26,8% dei cani, in classe II il 53,61%, ed in classe III il 19,59%. Scorporando però la distribuzione per le due categorie di peso ci accorgiamo che per i cani di peso inferiore ai 15 Kg il 19,3% si localizza in classe I, il 66,6% in classe II, il 14,1% in classe III, mentre per i cani di peso superiore ai 15 Kg abbiamo il 37,5% in classe I, solo il 27,5% in classe II, e ben il 35% in classe III. L’età media alla prima presentazione è risultata essere di 11,1 anni per tutti i cani insieme (range 5 – 18 anni), di 11,5 per quelli di peso inferiore ai 15 Kg (range 5 – 18anni) e di 10,8 per quelli di peso superiore ai 15 Kg (range 6 – 14 anni).

Aspetti clinici Nella nostra esperienza i sintomi più comunemente riferiti dal Proprietario erano: la tosse (83%), vari gradi di dispnea (21,5%), lipotimie/sincopi (20%), la distensione addominale (1,5%). I segni clinici comunemente rilevati alla prima visita: soffio cardiaco, polso piccolo e/o aritmico, prolungamento del tempo di riempimento capillare (TRC), pallore e/o cianosi delle mucose nei casi di edema polmonare acuto (EPA), rantoli nei campi polmonari (EPA). Nel lungo decorso della MVC è possibile che lo stesso soggetto anche se in terapia manifesti più episodi di edema polmonare acuto (12 cani della casistica hanno presentato più di un episodio di edema polmonare).

RISULTATI

Radiologia toracica

Incidenza

Nella nostra esperienza su un totale di 95 cani radiografati (31 in classe I, 42 in classe II, 22 in classe III), era evidenziabile un ingrandimento atriale sx nel19,3% di quelli in classe I, nel 71,4% di quelli in classe II, e nel 100% di quelli in classe III. I segni di ingrandimento ventricolare sx erano presenti nel 16,1% dei cani in classe I, nel 64,3% di quelli in classe II, e dell’ 86,4% della classe III. I segni di congestione venosa polmonare erano assen-

Nella nostra casistica l’insufficienza mitralica da MVC rappresenta il 60% delle cardiopatie, seguita dalla stenosi subaortica 9,59%, cardiomiopatia dilatativa primitiva 7,67%, stenosi polmonare 6,30%, dotto arterioso persistente 1,37%, displasia della tricuspide 1,10%, neoplasie cardiache 1,92%, ed altre insieme (cardiomiopatie secon-


352

ti nei cani in classe I, presenti nel 26,2% di quelli in classe II, e nel68,2% di quelli in classe III. Infine l’edema polmonare era evidente solo nel 2,4% dei cani in classe II, e nel 36,4% di quelli in classe III.

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

II, e 37,6 ± 9,26 per la classe III; l’ESVI medio è risultato di 26,18 ± per la classe I, 39,20 ± 19,42 per la classe II, e di 51,74 ± 21,84 per la classe III.

Ecocardiografia doppler Elettrocardiografia Nella nostra esperienza l’incidenza delle aritmie in questa patologia risulta bassa (13,2% su 159 cani con MVC sintomatica). Le alterazioni del ritmo più frequentemente riscontrate sono i complessi atriali prematuri (38,1%), i complessi ventricolari prematuri (33,3%), la fibrillazione atriale (14,2%), la tachicardia ventricolare parossistica (4,8%), in alcuni casi lo stesso soggetto presentava sia APC che VPC mono e multifocali (3 casi). La fibrillazione atriale è stata riscontrata solo in cani di taglia medio grande di peso corporeo superiore ai 20 Kg. Nella nostra esperienza le aritmie riscontrate in corso di MVC raramente assumevano un significato emodinamico tale da rendere necessario l’uso di un antiaritmico, fatta eccezione per le tachicardie ventricolari (1 caso) e per la fibrillazione atriale (3 casi).

Ecocardiografia M-B-mode Nella nostra esperienza dalla valutazione morfologica dell’apparato valvolare mitralico di 98 cani (di cui 64 di peso inferiore a 15 Kg e 34 di peso superiore a 15 Kg) risulta che le lesioni nodulari descritte in introduzione sono presenti in tutti i cani di peso inferiore a 15 Kg e nell’85,3% dei cani di peso maggiore di 15 Kg, mentre nel rimanente 14,7% l’apparato valvolare appare ispessito, iperecogeno e con movimento anomalo (ondulante) ma non si rilevano lesioni nodulari. L’analisi della distribuzione delle lesioni evidenzia cinque categorie diverse: entrambi i lembi ugualmente colpiti 45,9% dei cani, entrambi lembi colpiti ma con maggiore compromissione del lembo anteriore 42,9%, entrambi lembi colpiti ma con maggiore coinvolgimento del lembo posteriore 3,1%, coinvolgimento del solo lembo anteriore 7,1%, e del solo lembo posteriore 1%. L’evidenza ecografica della rottura di una o più corde tendinee è stata riscontrata nel 9,2% dei 98 cani presi in esame. Su 78 cani in cui è stato determinato l’indice di sfericità (25 in classe I, 30 in classe II, 23 in classe III), risulta per i cani in classe I un indice di sfericità medio sistolico di 1,80 ± 0,16 e diastolico di 1,69 ± 0,18, per i cani un classe II un indice medio sistolico di 1,68 ± 0,23 e diastolico di 1,51 ± 0,21, per quelli in classe III un indice sistolico di 1,52 ± 0,22 e diastolico di 1,33± 0,26. Nel gruppo di cani da noi esaminati il rapporto Asx/Ao medio nei cani in classe I (n 38) è risultato di 1,86 ± 0,33, in quelli in classe II (n 54) di 2,51 ± 0,59, e per la classe III (n 24) di 3 ± 0,52. Su un totale di 116 cani da noi esaminati (38 in classe I, 54 in classe II, 24 in classe III), la FA% media è risultata di 38,55 ± 7,85 per la classe I, 42,5 ± 6,85 per la classe

Abbiamo osservato che i rigurgiti diretti centralmente spesso sono accompagnati a lievi alterazioni morfologiche valvolari. Nella nostra esperienza i cani con rigurgito mitralico diretto anteriormente si localizzano tutti in classe I, l’81,8% ha un rigurgito quantitativamente minimo, il 18,2% ha un rigurgito moderato e nessuno ha un rigurgito massivo. I cani con rigurgito diretto centralmente si localizzano per il 50% in classe I, il 35,7% in classe II ed il 14,3% in classe III, il 35,7% ha un rigurgito quantitativamente minimo, il 50% moderato ed il 14,3% massivo. I cani con rigurgito diretto posteriormente si localizzano per il 13,8% in classe I, il 58,6% in classe II ed il 27,6% in classe III, il 13,8% ha un rigurgito minimo, il 38% moderato e ben il 48,2% massivo. La velocità massima del jet rigurgitante è stata misurata in 203 cani della casistica, risultando superiore a 5 m/sec nel 87,7% (n° 178) dei cani, compresa tra 4,5 e 5 m/sec nel 6,9% (n° 14) ed inferiore a 4,5 m/sec nel 5,4% (n° 11). Nel gruppo di 25 cani con Vmax rig. inferiore a 5 m/sec l’ESVI medio è risultato 52,86 ± 20,54. La stima della frazione rigurgitante attraverso il metodo dei volumi è stata da noi applicata ad un gruppo di 58 cani (21 in classe I, 19 in classe II, 18 in classe III), estrapolando per ciascun cane la media di 3 misurazioni risulta per i cani in classe I una frazione di rigurgito media del 23,57% ± 9,1, per i cani in classe II del 41,9% ± 13,2, e per i cani in classe III del 52,8% ± 11,3. Su un gruppo di 57 cani (19 per ogni classe) abbiamo applicato la metodica del proximal jet size (PJS) misurando l’altezza dell’area di isovelocità in proiezione apicale 4 camere utilizzando un limite di Nyquist di 0,86 m/sec, estrapolando la media di tre misurazioni, risulta per il gruppo in classe I un PJS di 0,27 mm ± 0,11, per la classe II 0,59mm ± 0,20, per la classe III 0,74mm ± 0,12.

Patologie complicanti Dei 219 cani con malattia valvolare cronica da noi esaminati 16 (7,3%) erano affetti da iperadrenocorticismo, e 11 cani (5%) presentavano la pressione sistolica stabilmente superiore a 200 mmHg (metodo doppler sopracarpale)

CONCLUSIONI In accordo a quanto segnalato in bibliografia, viene evidenziata la notevole prevalenza che la malattia valvolare cronica ha su le altre cardiopatie del cane. Un dato interessante è la prevalenza non trascurabile della MVC in cani di peso superiore ai 15 Kg, e la diversità del loro decorso clinico rispetto a quello dei cani di piccola taglia. Infatti dalla distribuzione delle classi di insufficienza cardia-


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

ca nelle due categorie di peso, si evidenzia nei cani di media e grande taglia una notevole minor prevalenza nella classe II e una maggiore nelle classi I e III, dovuta ad un più rapido passaggio dalla fase asintomatica alla fase gravemente sintomatica rispetto ai cani di taglia piccola. L’ecocardiografia Doppler e la radiologia toracica assumono un ruolo determinante, per la diagnosi e stadiazione della MVC, per il controllo a lungo termine e per la gestione corretta delle complicanze acute. In particolare l’ecocardiografia ci permette di ottenere informazioni sullo stato del ventricolo sx (sovraccarico volumetrico, funzione sistolica) e sul grado di dilatazione atriale sx (rapporto Asx/Ao ben correlato alla gravità della malattia). La metodica doppler attraverso l’analisi del flusso transmitralico e del flusso ve-

353

noso polmonare ci fornisce informazioni sullo stato diastolico e sulle pressioni di riempimento del ventricolo sx, utili per guidare la terapia. La possibilità offerta dall’esame doppler di stimare quantitativamente il rigurgito mitralico, aiuta il clinico nella decisione su quando e come iniziare una terapia e nella gestione a lungo termine. Sono necessari però ulteriori studi condotti nel cane per valutare l’affidabilità e la ripetibilità delle varie metodiche. È importante sottolineare che la terapia medica della MVC non è chiaramente risolutiva ma mira ad ottenere un “equilibrio emodinamico” e a mantenerlo il più a lungo possibile. Perciò saranno necessari frequenti controlli clinici e strumentali e modifiche della terapia in relazione alla risposta individuale di ogni soggetto.


354

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

Gestione del paziente nefropatico: limiti e possibilità di scelta Andrea Zatelli Med Vet - Reggio Emilia

Estratto breve Nella pratica veterinaria i pazienti nefropatici rappresentano una percentuale significativa e crescente nell’ambito della casistica clinica. Molti pazienti nefropatici vengono purtroppo riconosciuti tardivamente, nel momento in cui il danno d’organo è evoluto fino a determinare l’insorgenza di un danno funzionale “laboratoristicamente” identificabile con quello che viene definito “stadio di insufficienza”. È ovvia l’importanza del riconoscimento precoce di un danno d’organo che offra al clinico la possibilità di gestire o bloccare l’evoluzione della patologia ritardando od impedendo il raggiungimento dello stadio di danno funzionale coincidente con l’insufficienza. L’introduzione di nuove tecniche diagnostiche rende possibile il riconoscimento precoce di nefropatia scavalcando un approccio clinico che fino a poco tempo fa vedeva spesso l’attività del clinico limitata al riconoscimento di pazienti nefropatici affetti da patologie avanzate e quindi difficilmente trattabili. L’avvento dell’ecotomografia ha determinato una svolta nella storia della nefrologia veterinaria consentendo di affrontare l’iter diagnostico con la certezza di un imaging in bianco e nero importante nel riconoscimento di patologie acute (idronefrosi, pionefrosi, pielonefrite, nefriti interstiziali) e croniche (“end stage kidney”, masse neoplastiche, infarti renali) ed ha consentito l’applicazione di tecniche eco-assistite od eco-guidate fondamentali nell’iter diagnostico e terapeutico nefrologico. Il limite di lettura offerto dall’ecotomografia in B mode è rappresentato dalla staticità dello studio e le tecniche di studio contrastografico spesso offrono limitazioni applicative in funzione della condizione clinica del paziente e della funzionalità d’organo; l’ecotomografia e la contrastografia sono

state superate dalla possibilità di approccio funzionale offerta dalla scintigrafia e tale tecnica è da ritenere ad oggi insostituibile in modo particolare nella valutazione pre-chirurgica di pazienti destinati ad interventi di nefrectomia. La successiva applicazione delle metodiche ecografiche Doppler, Color Doppler e Power Doppler in modo particolare abbinate all’utilizzo di mezzi per ecocrontasto ha permesso di affrontare l’ecotomografia renale secondo una chiave di lettura dinamica. Nell’ultimo periodo l’avvento dei biomarkers stà consentendo in molti casi di superare il limite di una diagnosi tardiva offrendo la possibilità di riconoscere l’insorgere di un danno d’organo quando ancora non si è instaurata una alterazione funzionale identificabile con le normali tecniche laboratoristiche; la possibilità di monitorare l’insorgere di un danno d’organo e riconoscerlo precocemente permette di gestire al meglio i pazienti che per motivi incidentali e non sono soggetti ad eventi potenzialmente nefrotossici. In molti casi la possibilità di ricorrere all’utilizzo dei biomarkers attraverso un semplice esame delle urine permette di superare i limiti strutturali ed organizzativi che spesso venivano identificati quale causa primaria del tardivo riconoscimento delle nefropatie. Se è vero che la diagnostica nefrologica stà evolvendo offrendo la possibilità di una diagnosi precoce di nefropatia i limiti terapeutici rimangono legati a condizioni strutturali ed organizzative in modo particolare nel caso di pazienti affetti da Insufficienza Renale Acuta od “end stage”. Il paziente acuto in modo particolare se anurico od oligurico richiede con elevata frequenza un approccio emodialitico che consenta il raggiungimento di una diagnosi e la conseguente impostazione di un protocollo terapeutico mentre il paziente “terminale” dovrebbe ricorrere ad una terapia dialitica o ad un intervento di trapianto d’organo, scelta ad oggi ancora impossibile nel nostro paese.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

355

Il sovrappeso nel cane e nel gatto: aggiornamento scientifico ed approccio pratico ad un problema comune Jürgen Zentek Med Vet, Clinical nutrition Professor - Veterinary University of Vienna, Austria

Estratto breve Il sovrappeso è un problema comune in medicina veterinaria. Nella maggior parte dei casi è causato da ipernutrizione e da una mancata corrispondenza fra assunzione e fabbisogno di energia, ma può anche costituire un problema se-

condario dovuto a concomitanti affezioni interne. Prima di avviare un trattamento adeguato è necessario condurre un’accurata indagine clinica. Questa deve comprendere la valutazione della dieta associata a regolari visite di followup e, se possibile, ad un supporto fisioterapico controllato. La terapia intensiva migliora la collaborazione da parte del proprietario ed assicura un’efficace riduzione del peso.


COMUNICAZIONI LIBERE

Le comunicazioni sono elencate in ordine alfabetico secondo il cognome dell’autore presentatore.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

359

OSSIFICAZIONE DI TENDINI E MUSCOLI FLESSORI (OTMF) IN ORIGINE DALL’EPICONDILO OMERALE MEDIALE: DESCRIZIONE DI UN CASO CLINICO IN UN GATTO Allevi Giovanni* Med Vet; Mortellaro Carlo Maria$ Med Vet; Bevere Nicoletta° Med Vet; Di Giancamillo Mauro§ Med Vet * Dottorando di Ricerca in Ortopedia degli Animali Domestici; $ Professore Ordinario di Patologia Chirurgica Veterinaria; ° Dottorando di Ricerca in Scienze Cliniche Veterinarie; § Ricercatore; Istituto di Clinica Chirurgica e Radiologia Veterinaria, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Milano Introduzione: La presenza di aree a densità calcifica nel contesto dei tessuti molli adiacenti all’epicondilo omerale mediale rappresenta un raro riscontro radiografico in cani portati a visita a causa di zoppia. Nonostante siano state proposte varie teorie a spiegare l’esatta natura di tali reperti, a tutt’oggi non è ancora ben chiaro il meccanismo eziopatogenetico all’origine della lesione. Nel presente lavoro viene segnalato un caso di sospetta ossificazione di tendini e muscoli flessori (OTMF) del gomito in un gatto; vengono inoltre rivalutati, alla luce delle conoscenze maturate con la casistica già a nostra disposizione nel cane, le ipotesi eziopatogenetiche più accreditate. Caso clinico: Un gatto c.e., maschio castrato, 14 anni, del peso di 6,8 kg, viene presentato alla visita a causa di una saltuaria zoppia a carico dell’arto anteriore sinistro. Non vengono evidenziati episodi traumatici nell’anamnesi. All’esame obiettivo generale non si rilevano alterazioni rispetto al normale stato di salute, anche se il gatto appare obeso. Alla visita ortopedica, non si rileva zoppia e l’unica anomalia evidenziabile è la presenza di una tumefazione di consistenza dura sulla faccia mediale dei gomiti. Viene quindi eseguito uno studio radiografico in narcosi. Le proiezioni medio-laterali dei gomiti evidenziano la presenza di due aree a densità calcifica, di forma grossolanamente ovoidale, poste caudo-distalmente all’epitroclea, il cui contorno appare irregolare; tali neoformazioni, solo parzialmente rilevabili nella proiezione antero-posteriore per la sovrapposizione con l’epitroclea e il condilo omerale mediale, risultano invece ben osservabili nella proiezione anteromediale-posterolaterale (oblique esterna) come due aree a densità calcifica poste caudo-distalmente all’epicondilo omerale mediale. Viene quindi emessa, in base all’esame clinico ed allo studio radiografico, la diagnosi di OTMF. In considerazione dell’età del soggetto si depone, in accordo con il proprietario, per una terapia medica a base di antinfiammatori non steroidei da eseguire in caso di recrudescenza della zoppia. A distanza di 3 mesi dalla visita il paziente non mostra zoppia, nonostante il proprietario riferisca di episodi ricorrenti di claudicazione. Discussione: La teoria eziopatogenetica secondo la quale aree a densità calcifica localizzate a livello del comparto mediale del gomito sarebbero da ricondurre, nel cane, alla “mancata unione dell’epicondilo” trova ormai pochi sostenitori nella letteratura contemporanea; al contrario, l’ipotesi per la quale tali reperti sarebbero da attribuire ad una manifestazione osteocondrosica è accreditata da taluni Autori. Il riscontro anche nel gatto della lesione, specie notoriamente non propensa a sviluppare malattie osteocondrosiche, lascia supporre che a tali reperti possano comunque sottendere anche altri meccanismi eziologici (frattura d’avulsione, disinserzioni/rotture/avulsione tendinee, ecc.), seppur non sempre identificabili con certezza. Va inoltre sottolineato che nel gatto, a differenza del cane, la concomitante presenza a livello del gomito di due o più affezioni ortopediche non è un’evenienza comune; è infatti ben noto come tale condizione possa rendere difficile la diagnosi causale di zoppia.


360

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

INDIVIDUAZIONE DELLA SOGLIA UDITIVA DEL CANE NORMOUDENTE MEDIANTE L’IMPIEGO DEI POTENZIALI UDITIVI TRONCO ENCEFALICI Arcelli R., Bufalari A., Angeli G., Bellezza E., Molini E. Dipartimento patologia, clinica e diagnostica veterinaria. Università di Perugia Introduzione: L’obiettivo principale di questo lavoro è individuare la soglia uditiva del cane normoudente mediante l’impiego dei potenziali uditivi evocati tronco-encefalici allo scopo di ottenere dati di riferimento nella diagnosi di sordità. Vengono inoltre confrontati i dati ottenuti utilizzando due apparecchiature differenti. Materiali e metodi: Le apparecchiature utilizzate sono Amplaid Mk 15 a cuffia esterna ed Epich Ch-2 dotato di inserto endoauricolare. Sono stati esaminati dieci cani di età compresa tra 1 e 8 anni, senza distinzione di razza e sesso, di peso compreso tra 10 e 40 kg, considerati normoudenti in base ai dati anamnestici e alla visita clinica. Tutti gli animali sono stati sottoposti a sedazione mediante la somministrazione di medetomidina cloridrato alla dose di 10 µg\kg i.m. Ciascun cane veniva sottoposto ad esame con entrambe le apparecchiature. L’indagine aveva inizio sottoponendo il soggetto ad una serie di mille stimoli acustici impulsivi (clik a polarità alternata). L’intensità dello stimolo del primo esame era di 110 dB SPL, successivamente venivano effettuate registrazioni ad intensità decrescenti di 10 dB ogni volta fino a quando non si evidenziava più un tracciato utile. La significatività di un tracciato era comprovata dalla ripetizione immediata dell’esame per ciascun valore di intensità di stimolo. Sono stati confrontati i valori di latenza dei singoli picchi alle varie intensità di stimolazione acustica impiegate, i valori di latenza interpicco ed i valori di ampiezza delle singole onde. Risultati e discussione: Con l’eccezione della IV onda, difficilmente identificabile a tutte le intensità di stimolazione acustica impiegate, a partire dall’intensità di 80 dB SPL, nel caso dello stimolo trasmesso mediante la cuffia e di 70 dB SPL in caso di impiego dell’inserto endomeatale, le componenti precoci del tracciato sono andate riducendosi in frequenza rivelando una maggiore stabilità della V onda. Mediante l’impiego della cuffia esterna, il picco meno stabile è risultato il II rispetto al I e al III all’intensità di 80 e 70 dB SPL, mentre all’intensità di 60 dB SPL si registrava in tutti i casi la scomparsa del I e II picco con conservazione in quattro casi del III ed in dodici del V. Negli stessi soggetti l’impiego dell’inserto endoauricolare ha fornito una maggiore stabilità dei picchi che, se si esclude anche in questo caso la IV onda, sono risultati presenti in tutti i casi fino all’intensità di 80 dB SPL, manifestando una maggiore labilità della II onda alle intensità inferiori di stimolazione acustica ed una persistenza delle componenti precoci del tracciato in alcuni soggetti anche ad intensità inferiori (50 dB SPL) rispetto a quelle osservate con l’impiego della cuffia. In conclusione, vista la progressiva scomparsa della I, II, III e VI onda, il valore soglia è identificabile con la scomparsa della V, cosa che si è verificata a 60 dB SPL nel caso della cuffia esterna ed a 50 dB SPL con la cuffia ad inserto. La conversione dei valori ottenuti in dB HL può essere effettuata applicando un fattore di correzione di -30, 35. In un cane normoudente il primo tracciato valido si è avuto (con le nostre apparecchiature) a 15/20 dB HL.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

361

TUMORE MALIGNO DELLE GUAINE NERVOSE CAUSA DI PARAPARESI ACUTA IN UN PASTORE TEDESCO Belforti Filippo* Med Vet; Cantile Carlo# Med Vet *Libero professionista, Pavia # Dipartimento di Patologia Animale, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università di Pisa Un cane di razza Pastore Tedesco di nome Adua, femmina di 11 anni di età, è condotto d’urgenza in visita per una paraparesi acuta. In anamnesi recente i proprietari riferiscono di una grossa neoformazione alle mammelle sviluppatasi velocemente e risolta chirurgicamente tramite mastectomia senza però referto istologico. L’esame neurologico evidenzia deficit propriocettivi agli arti posteriori, paraplegia, sensibilità dolorifica profonda mantenuta, riflesso flessore normale agli arti posteriori, riflesso perianale normale, assenza di dolore alla palpazione della colonna vertebrale a livello toraco-lombare. La lesione è localizzata come sindrome toraco-lombare (T3-L3) e la diagnosi differenziale comprende cause vascolari, traumatiche, degenerative e neoplastiche. Si attua terapia medica antiossidante con metilprednisolone sodio succinato secondo protocollo. Gli esami emocromo, biochimico, coagulativo e le due proiezioni radiologiche laterali del torace risultano nella norma. L’indagine radiologica del rachide toraco-lombare evidenzia soltanto spondilosi deformante dei corpi vertebrali di T13-L1 e T4-T5. L’indagine mielografia evidenzia in proiezione laterale l’assenza di entrambe le linee mielografiche a livello di T8-T9 e una lieve compressione extradurale a livello T3-T4; in proiezione ventro-dorsale è presente un’importante compressione extradurale sinistra a livello di T8-T9. La lesione è compatibile con cause degenerative discali o neoplastiche. La risonanza magnetica evidenzia una neoformazione comprimente il midollo spinale sul lato sinistro che interessa anche la radice nervosa ed in grado di captare il mezzo di contrasto, inoculato per via endovenosa, in modo quasi uniforme. La neoformazione è compatibile con un tumore delle guaine nervose o con un meningioma. Il grado di sofferenza midollare in sede di compressione sembra modesto. Nonostante la prognosi riservata i proprietari decidono di tentare un intervento per alleviare la pressione sul midollo. Viene effettuata l’emilaminectomia dorso-laterale sinistra comprendente lo spazio intervertebrale T8-T9, viene asportata con discreta facilità la neoformazione extradurale insieme alla radice nervosa dopo dissezione di quest’ultima prima del suo ingresso in cavità toracica. Alla fine dell’intervento si nota un elevato grado di atrofia del parenchima midollare. L’esame istologico rivela un tumore maligno delle guaine nervose periferiche (MPNST: malignant peripheral nerve sheath tumor). I proprietari per motivi economici rifiutano il ricovero presso centri riabilitativi specializzati. Dopo circa 10 giorni Adua ha un lieve miglioramento clinico poiché, da paraplegica, diviene paraparetica non deambulante, riesce ad urinare con piccole compressioni manuali della vescica e muove volontariamente la coda. Adua è ricoverata su un materassino ad acqua, le vengono praticati massaggi muscolari e fisioterapia ogni otto ore e viene mantenuta in stazione due volte al giorno. Dopo 30 giorni Adua non ha variazioni cliniche ma aumenta l’atrofia muscolare. Dopo circa 60 giorni, in assenza di ulteriori miglioramenti clinici, i proprietari decidono di effettuare l’eutanasia. Inusuali per una lesione extradurale e neoplastica sono stati l’assenza di dolore e la comparsa acuta dei sintomi clinici. La prognosi molto riservata o infausta ha confermato i dati presenti in letteratura.


362

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

IL RUOLO DELL’ULTRASONOGRAFA NELLA DIAGNOSI DELL’IPERPLASIA CISTICA ENDOMETRIALE DELLA CAGNA Bigliardi E., Parmigiani E*, Cavirani S.$; Luppi A.°, Bonati L.§, Corradi A.° Dipartimento di Salute Animale, Università degli Studi di Parma * Sezione di Clinica ostetrica e riproduzione animale $ Sezione di Malattie Infettive ° Sezione di Patologia generale e anatomia patologica § Sezione di Clinica Medica veterinaria Il complesso iperplasia cistica endometriale-piometra (cystic endometrial hyperplasia –CEH) è una patologia di frequente riscontro nella cagna che si manifesta prevalentemente nella fase luteinica del ciclo estrale. L’eziologia non è ancora completamente chiarita, anche se il ruolo svolto dal progesterone e dall’espressione recettoriale dell’endometrio per gli ormoni sessuali steroidei sono stati chiaramente documentati3. La somministrazione esogena di progestinici per il controllo del ciclo estrale può determinare un aumento dell’incidenza dell’iperplasia cistica endometriale anche se la patologia si può manifestare in soggetti giovani che non hanno mai ricevuto somministrazioni di ormoni sessuali steroidei. La successiva colonizzazione batterica determina l’insorgenza di quella patologia che comunemente viene definita piometra. Secondo alcune recenti ricerche il ruolo del progesterone è in relazione alla produzione di IGF-I (insulin-like growth factor) che possiede un importante effetto citotossico a carico dell’utero17. Inoltre il GH (growth hormon) è probabilmente il fattore di regolazione più importante nei confronti di IGFI. Le lesioni anatomo-patologiche dell’utero sono state classificate prima da Dow6 e più recentemente da De Bosschere10. Lo scopo del presente studio è stato quello di valutare, in un campione di 250 cagne con manifestazioni cliniche di piometra, la sensibilità dell’ultrasonografia nell’evidenziare la presenza di iperplasia cistica endometriale e la corrispondenza delle lesioni rilevate ecograficamente con la classificazione anatomo-patologica proposta da Dow e De Bosschere. Inoltre sono stati valutati i parametri ematologici, le colture batteriche con la tipizzazione e la rilevazione della presenza del CNF (fattore citotossico necrotizzante), le biopsie uterine e i tassi ormonali. Nessuno dei soggetti esaminati aveva ricevuto trattamenti con progestinici esogeni. I risultati hanno confermato il ruolo fondamentale della metodica ultrasonografica nell’evidenziare il complesso iperplasia cistica endometriale-piometra. L’ultrasonografia ha consentito anche di valutare il grado delle alterazioni a carico dell’utero che hanno trovato corrispondenza con la classificazione istologica di Dow e De Bosschere per i soggetti nel III e IV gruppo (grado medio ed elevato della patologia). Nei soggetti appartenenti ai gruppi I e II (grado modesto della patologia) l’esame ultrasonografico non è sempre stato attendibile nell’attribuire le lesioni alla corrispondente classificazione istologica. L’esame ultrasonografico si è rivelato pertanto un ausilio diagnostico particolarmente sensibile per l’identificazione e il grado di evoluzione dell’iperplasia cistica endometriale. Parole chiave: Utero, iperplasia cistica endometriale, ultrasonografia, cagna.

Bibliografia 1. Feldman E.C., Nelson R.W.: Canine and feline endocrinology and reproduction 2nd edn. Philadelphia, W.B. Saunders 1996, 605. 2. Hardy RM., Osborne CA: Canine pyometra: phatophysiology, diagnosis and treatment of uterine and extra-uterine lesion. J Am Anim Hosp Ass 1994,10, 245-268. 3. De Cock H., Vermeirsch H., Ducatelle R., De Schepper J.: Immunohistochemical analysis of estrogen receptors in cystic-endometritis-pyometra complex in the bitch. Theriogenology 1997, 48, 1035-1047. 4. Nelson LW, Kelly WA: Progesteron related gross and microscopic changes in female beagles. Veterinary Phatology 1976, 13,143-156. 5. Niskanem M., Thrusfield M.V.: Association between, parity, Hormonal therapy and breed, and pyometra in Finnish dogs. Veterinary Record, 1988, 143, 493-498. 6. Dow C.: The cystic hyperplasia –pyometra complex in the bitch. Veterinary Record 1958, 70, 1102-1108. 7. Shille V., Caldrewood-Mays MB., Thatcher M.: Infertility in a bitch associated with short interestrous intervals and cyst follicles: a case report. J Am Anim Hosp Ass, 1984,20,171-176. 8. Orskov I., Orskov F., Jann K.: Serology, chemistry, and genetics of O and K antigens of Escherichia coli. Bacteriol. Rev, 1977, 41, 667-710. 9. Caprioli A., Falbo V., Roda L.G., Ruggeri F.M., Zona C.: Partial purification and characterization of Escherichia coli toxic factor that induces morphological cell alterations. Infect. Immun. 1983, 39, 1300-1306. 10. De Bosschere H., Ducatelle R., Vermeirsch H., Broeck W. Van Den., Coryn M.: Cystic endometrial hyperplasia-piometra complex in the bitch: Should the two entities disconnected? Theriogenology 2001,55, 1509-1519. 11. Allen W.E.: Fertility and obstetrics in the dog. Oxford Blackwell Scientific Publications.1992, 84. 12. Johnson C.A.: Textbook of Veterinary internal medicine 4th edn. Eds Ettinger S.J., Feldman E.C. Vol 2 Philadelphia & London, W.B. Sauders 1995, 1636. 13. Blendinger K., Bostedt H., Hoffman B.: Proceedings of the 3rd International Symposium on Canine and Feline Reproduction. Journal of Reproduction and Fertility suppl. 1997, 51,317. 14. Kooistra H.S., Okkens A.C., Mol J.A:, Van Garderen E., Kirpensteijn J. &Runberk A.: Proceedings of 3rd International Symposium on Canine and Feline Reproduction, Journal of Reproduction and Fertility suppl. 1997, 51,355. 15. Dhaliwal G.K., Wray C., Noakes D.E.: Uterine bacterial flora and uterine lesion in bitches with cystic endometrial hyperplasia (pyometra). Veterinay Record 1998, 143,659-661. 16. De Schepper J., J. Van Der Stock., E. Capiau: The characteristic pattern of aspartate aminotrasferase and alanine aminotrasferase in the bitch with the cystic hyperplasia pyometra complex. Effect of medical or surgical treatment. Veterinary Research Communications, 1987, 11,65-75. 17. H. De Cock, R. Ducatelle, K. Tilmant, J.De Schepper: Possible role for insulin-like growth factor-I in the pathogenesis of cystic endometrial hyperplasia pyometra complex in the bitch. Theriogenology 57, 2271-2287, 2002.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

363

RILIEVI ISTOPATOLOGICI IN 27 CASI DI GENGIVOSTOMATITE CRONICA DEL GATTO (FCGS) Bonello D.°, Capelletto C.*, Castagnaro M.* Peirone B.° ° Dipartimento di Patologia Animale, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università di Torino * Dipartimento di Sanità Pubblica, Patologia Comparata ed Igiene Veterinaria, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università di Padova Introduzione: La gengivostomatite cronica (FCGS) è una delle patologie del cavo orale del gatto di più frequente riscontro. Nonostante diverse cause siano state via via citate dalla letteratura, dagli stati di immunodepressione ad infezioni virali e batteriche1,2,3,4, il meccanismo patogenetico di questa malattia rimane tuttora poco conosciuto. I gatti affetti da FCGS solitamente presentano sintomi tipici, quali disfagia, difficoltà nella prensione del cibo e nella masticazione, alitosi, ptialismo e perdita di peso8. Alla visita clinica si osservano lesioni eritematose, ulcerative e/o proliferative della gengiva, della lingua, della mucosa vestibolare, delle labbra, del palato duro, del faringe6,8. Solitamente è presente anche linfoadenopatia regionale ed accumulo di placca e tartaro sui denti. Si pensa che anche alcuni meccanismi immuno-mediati e diversi fattori immunodepressivi possano avere un ruolo chiave nella patogenesi della FCGS9. È stata riportata una correlazione positiva tra FIV, infezioni da calicivirus e FCGS3,5,7. Si è anche osservato un aumento significativo dei livelli di IL-2, IL-4, IL-5, IL-6, IL-10, IL-12 (p35 &p40), e IFN-gamma in campioni di tessuto ottenuti dal cavo orale di gatti affetti da FCGS, ma non è stato possibile dimostrare alcuna correlazione tra questi valori e la gravità dei sintomi clinici e/o delle lesioni10. Lo scopo di questo studio è di descrivere i rilievi istopatologici tipici della FCGS del gatto, sia della mucosa del cavo orale, sia, quando presenti, dell’osso alveolare mascellare e/o mandibolare. Materiali e metodi: Ventisette gatti (20 maschi e 7 femmine) affetti da FCGS sono stati inclusi nello studio. L’età dei soggetti variava da 6 mesi a 15 anni. Nessuno dei gatti era FIV o FeLV positivo. Le biopsie della mucosa orale e dell’osso alveolare mandibolare e/o mascellare sono state fissate in formalina ed incluse in paraffina. Le diverse sezioni ottenute, dello spessore di quattro micron, sono state poi colorate con ematossilina-eosina e osservate al microscopio. Risultati e discussione: In tutti i campioni osservati era presente il classico, diffuso, intenso infiltrato (LPI). Le plasmacellule frequentemente esibivano corpi di Russell nel loro citoplasma. In 13 casi LPI era l’unica risposta infiammatoria presente. Tuttavia, in presenza di lesioni ulcerative, in associazione a LPI si reperivano anche un infiltrato neutrofilico da focale a diffuso, esocitosi ed una marcata spongiosi epiteliale. In 10 campioni sono stati anche osservati numerosi eosinofili sparsi. L’interessamento dell’osso alveolare, caratterizzato da un infiltrato infiammatorio misto e da alterazioni litiche della struttura ossea, era presente in 6 casi. I rilievi istopatologici descritti indicano che la FCGS è sempre associata ad una intensa, persistente stimolazione immunitaria. In associazione, è frequente osservare ulcerazione dei tessuti con conseguente infiltrazione diffusa di neutrofili (lesione cronica attiva). La presenza di eosinofili, non infrequente (37%), suggerisce invece la concomitanza di un fenomeno di ipersensibilità o di una reazione iperergica. Possiamo inoltre affermare che in una certa percentuale di casi di FCGS (22%) sono presenti anche lesioni infiammatorie profonde a carico delle ossa mascellari e/o mandibolari, che verosimilmente complicano il decorso clinico della malattia e ne peggiorano la prognosi. Ringraziamenti: Si ringrazia il Prof. Frank JM Vestraete per i preziosi suggerimenti e per l’opera di revisione. Questa ricerca è stata svolta grazie al contributo di Pfizer Animal Health, ICF e Istituto Candioli - Italia.

Bibliografia 1. Sims TJ, Moncla BJ, Page RC. Serum antibody response to antigens of oral Gram-negative bacteria in cats with plasma cell gingivitis-stomatitis, J Dent Res 1990; 69:877-882. 2. Pedersen NC. Inflammatory oral cavity diseases of the cat, Vet Clin North Am Small Anim Pract 1992; 22:1323-1345. 3. Harbour DA et al. Isolation of FCV and FHV from domestic cats 1980 to 1989. Vet Rec 1991;128:77-80. 4. Hargis AM, Ginn PE. Feline herpesvirus 1-associated facial and nasal dermatitis and stomatitis in domestic cats. Vet Clin North Am Small Anim Pract. 1999;29:1281-90. 5. Knowles JO, Gaskell RM, Gaskell CJ, Harvey CE, Lutz H. The prevalence of feline calicivirus, feline leukemia virus and antibodies to FIV in cats with chronic stomatitis, Vet Rec 1989;124:336. 6. Johnesse JS, Hurvitz A. Feline plasma cell gingivitis/pharyngitis. J Am Anim Hosp Assoc 1983;19:179. 7. Thompson RR, Wilcox GE, Clark WT, Jansen KL. Association of calicivirus with chronic gengivitis and pharyngitis. J Small Anim Pract 1984;25:207. 8. White SD, Rosychuk RAW, Janik TA, Denerolle P, Schultheiss P. Plasma cell stomatitis-pharyngitis in cats: 40 cases (1973-1991). J Am Vet Med Assoc 1992;200:1377-1380. 9. Williams CA, Aller MS. Gingivitis/stomatitis in cats. Vet Clin North Am Small Anim Pract. 1992;22:1361-83. 10. Harley R et al. Cytokine mRNA expression in lesions in cats with chronic gingivostomatitis. Clin Diagn Lab Immunol 1999;6:471-478. 11. Zetner K, Steurer I, Kampfer PH, Maier H. Melatonin and chronic inflammatory disease in the feline oral cavity. Praktische Tierartzt 1998; 79:410-416.


364

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

SENSIBILITÀ DEL RAPPORTO PU/CU NELLA INDIVIDUAZIONE DELLE PATOLOGIE PARENCHIMALI RENALI DEL CANE Bonfanti Ugo° DMV; Zatelli Andrea* DMV; Zini Eric DMV§ Libero professionista, Milano Libero professionista, Reggio Emilia § Fac. Med. Vet. Torino Nel presente lavoro retrospettivo sono stati messi in relazione i valori di Proteine Urinarie/Creatinina Urinaria (PU/CU) con le lesioni istopatologiche parenchimali renali al fine di determinare la sensibilità del PU/CU nella individuazione delle patologie d’organo nella specie canina. Il rapporto PU/CU nel cane consente, utilizzando un campione raccolto in modo estemporaneo, di ottenere una determinazione accurata ed adeguata del grado di proteinuria del paziente. La proteinuria è influenzata dalle patologie del tratto genito-urinario e dalle metodiche di raccolta del campione. Tutti i cani del presente studio sono stati sottoposti ad esame ecografico dell’addome dal medesimo operatore con sonda da 7,5 MHz e a determinazione della pressione sistolica con metodica doppler. Tutti i cani sono stati sottoposti a biopsia renale eco-assistita con Tru-cut semiautomatico da 18 Gauge. I campioni bioptici sono stati analizzati in microscopia ottica convenzionale dopo colorazione con Ematossilina Eosina, Tricromica di Goldner, Metenamina, PAS e, su richiesta dell’istopatologo, Rosso Congo; sono stati considerati adeguati solo i campioni bioptici con almeno 5 glomeruli per sezione istologica. Tutti i campioni di urina sono stati raccolti per cistocentesi ecoassistita, volume di 5 ml e conservati in contenitore sterile alla temperatura di +4°C/+8°C dopo aggiunta di Sodio Azide all’1% in ragione di 1 µl per ml di urina. I campioni di urine sono stati sottoposti ad esame chimico fisico e del sedimento entro 4 ore dalla raccolta ed entro sette giorni dalla raccolta a determinazione della proteinuria mediante determinazione colorimetrica con Pirogallolo e successiva determinazione del PU/CU. Sono stati considerati criteri di esclusione l’individuazione ecografica e/o strumentale di patologie ureterali, vescicali, uretrali e prostatiche, l’ipercorticossurenalismo, il diabete in ogni sua forma, le condizioni ipertensive con pressione sistolica superiore a 200 mm Hg; i pazienti non dovevano avere assunto farmaci corticosteroidei nei 60 giorni precedenti la raccolta delle urine per la determinazione del PU/CU. Sono stati inclusi 93 cani di varie razze ed età, equamente suddivisi tra i due sessi. 21 cani erano affetti da Glomerulonefrite Mesangiale, 18 da Glomerulonefrite Membranosa, 6 da Glomerulonefrite Membranoproliferativa, 2 da Nefrocalcinosi, 17 da Glomerulosclerosi Focale e Segmentale, 7 da Amiloidosi, 4 da pielonefrite, 5 da sclerosi glomerulare, 5 da Nefrite interstiziale acuta, 4 da Glomerulonefrite Essudativa e 4 da Necrosi Tubulare Acuta. Il 9,68% (9/93) dei pazienti aveva un PU/CU<0,5, il 37,63% (35/93) aveva PU/CU compreso tra 0,51 ed 1, il 30,10% (28/93) aveva un PU/CU compreso tra 1,01 e 3,0 ed il 22,59% (21/93) aveva un PU/CU uguale o superiore a 3,01. Media PU/CU = 2,12, Deviazione Standard = 2,32 e Mediana = 1,17, Minimo PU/CU = 0,25, Massimo PU/CU = 12,27. Nessuna delle patologie istopatologicamente diagnosticate ha evidenziato una associazione con intervalli di PU/CU particolari. Il PU/CU, con valore limite pari a 1 è risultato essere una metodica ad elevata specificità mentre la sensibilità varia considerevolmente in base al tipo di lesione riscontrata (glomerulare, tubulo-interstiziale e mista). La sensibilità nell’individuare le differenti patologie, aumenta progressivamente portando il valore di PU/CU da 1 a 0,5 riducendosi peraltro parzialmente la specificità. Rispettando i criteri di inclusione sopra riportati proponiamo di sottoporre ad approfondimenti diagnostici tutti i pazienti con valore di PU/CU superiori a 0,5.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

365

DISPLASIA GLOMERULARE CISTICA IN UN CANE Bovero Andrea* Med Vet; Borgarelli Michele§ Med Vet, Dipl. ECVIM-CA [Cardiology]; Zini Eric§ Med Vet * Libero professionista, Torino § Università degli studi di Torino, Dipartimento di Clinica Medica Le displasie renali rappresentano un gruppo di patologie congenite non comuni, sia nell’uomo che nella specie canina. La patogenesi delle malattie displasiche renali è riferibile ad uno squilibrio ontogenetico interessante le fasi precoci dello sviluppo del blastema metanefrico e/o della gemma ureterale. Le alterazioni microscopiche del parenchima renale più frequenti sono rappresentate dalla presenza di aree tissutali aventi i caratteri morfostrutturali del tessuto osseo e/o cartilagineo, dallo sviluppo di dotti metanefrici circondati da una quantità variabile di mesenchima primitivo, dalla formazione di glomeruli e tubuli aventi un aspetto fetale o immaturo, e dalla deposizione di tessuto fibroso in sede interstiziale. L’eziologia non è del tutto nota, tuttavia si ipotizza che i fattori genetici svolgano un ruolo fondamentale nello sviluppo di questi disordini. Sia nell’uomo che nel cane è stato infatti dimostrato che alcune forme di displasia renale sono trasmesse per via ereditaria, o sono maggiormente espresse in alcune linee famigliari. Riportiamo il caso di un cane di razza Pastore Tedesco, femmina, di 1 anno di età, affetto da displasia glomerulare cistica. Il cane è stato esaminato in seguito al riscontro di un innalzamento della creatininemia [5,96 mg/dl (valori normali: 0,5-1,5 mg/dl)] rilevato durante un controllo preoperatorio (neoformazione cutanea). L’esame clinico evidenziava un aumento dell’intensità del secondo tono cardiaco ed un aumento della pressione arteriosa sistolica [250 mmHg (valori normali: 90-160 mmHg)]. Il quadro ecotomografico renale era di reni di dimensioni normali e con margini irregolari. L’ecostruttura del rene sinistro si presentava parzialmente conservata, mentre si evidenziava dilatazione della pelvi e ad una piccola struttura cistica corticale. Il rene destro appariva con ecostruttura alterata, non riconoscibile e con numerosi spot iperecogeni corticali. L’esame chimico-fisico di un campione di urine prelevato per cistocentesi rivelava proteinuria significativa [stick urinario: +++++(500 mg/dl)] ed un peso specifico di 1014. In seguito alla riduzione della ipertensione arteriosa sistolica (160 mmHg) ottenuta mediante la somministrazione di amlodipina (0,25 mg/kgSID) venne eseguito un prelievo bioptico per via transcutanea, eco-assistita. L’esame istologico compiuto in microscopia ottica effettuato mediante le colorazioni PAS, metenamina, tricromica di Goldner e PTAH consentiva di diagnosticare una patologia glomerulare cistica. Delle 27 strutture glomerulari prelevate, 10 presentano dilatazione cistica degli spazi di Bowman in assenza dei flocculi glomerulari, altre 15 presentano flocculi di dimensioni ridotte, coartati, con sclerosi del mesangio e pareti dei capillari ispessite e le 2 restanti sono di dimensioni regolari con assi mesangiali lievemente espansi e lume dei capillari pervi con pareti per lo più sottili. L’interstizio mostrava ampie aree di fibrosi, in corrispondenza delle quali i tubuli sono atrofici. Le strutture vascolari presentavano fibrosi della tonaca media. La terapia prescritta comprendeva amlodipina (0,25 mg/kgSID) per il controllo dell’ipertensione, acido acetilsalicilico (5 mg/kgSID) avente funzione antiaggregante piastrinica ed antitrombotica, benazepril (0,25 mg/kgSID) per migliorare le pressioni glomerulari e la filtrazione glomerulare e la sostituzione della dieta con una specifica per problemi renali (Renal Phase II Eukanuba). Ad un mese di distanza dalla diagnosi il cane si presentava asintomatico ed in buona salute, con PAS di 165 mmHg e con un aumento dell’appetito rispetto ai precedenti accertamenti. Nei controlli futuri si intende monitorare la proteinuria dal punto di vista quantitativo con il rapporto proteine/creatinina urinaria e dal punto di vista qualitativo con l’SDS-PAGE.


366

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

CATETERI CON PORTE PER ACCESSO VASCOLARE (PAV) IMPIANTATI COMPLETAMENTE IN SEDE SOTTOCUTANEA NEL CANE Bufalari Antonello, Med Vet, PhD; Arcelli Rolando Med Vet; Di Meo Antonio Med Vet; Pepe Marco Med Vet; Gialletti Rodolfo Med Vet; Moriconi Franco Med Vet Dipartimento di Pat. Diagn. e Clin Vet; Sezione di Chirurgia e Radiodiagnostica Introduzione: L’utilizzo di cateteri vascolari impiantati completamente in sede sottocutanea e dotati di porte con accesso vascolare (PAV) diretto, può essere utile in campo clinico quando è necessario eseguire prelievi ematici frequenti e ripetuti nel tempo, oppure in quei pazienti che necessitano di prolungate terapie farmacologiche spesso con agenti chemioterapici irritanti. Anche nella pratica sperimentale si è spesso obbligati a effettuare frequenti prelievi ematici ai fini di ricerca. L’impiego di tali sistemi evita al veterinario di praticare iniezioni vascolari che, se ripetute e protratte nel tempo, possono portare a graduale trombosi, sclerosi e distruzione del compartimento vascolare periferico. Continue iniezioni vascolari, inoltre, creano dolore al paziente che tenderà a reagire sottraendosi alle manipolazioni, determinando così una difficile gestione del caso clinico, con possibilità di dover interrompere la terapia farmacologica o la ricerca. Dal momento che questo catetere è impiantato completamente in sede sottocutanea, nessuna parte del PAV fuoriesce dalla cute e l’incidenza d’infezioni legate a contaminazioni da parte dell’ambiente esterno è ridotta al minimo, rispetto a quanto avviene per i normali cateteri endovenosi per i quali infezioni locali, flebiti e trombosi sono spesso causa di perdita dell’impianto. In questo studio sperimentale sono stati impiegati PAV solo in sede arteriosa per eseguire ripetuti prelievi per indagini ematochimiche, emocromocitometriche ed emogasanalitiche e per rilevazioni continue della pressione arteriosa in anestesia e non. Scopo di questa comunicazione è quello di descrivere la tecnica d’impianto dei PAV e i risultati ottenuti dall’impiego a lungo termine di tali dispositivi. Materiali e metodi: Sono stati utilizzati 20 cani di razza, età e peso variabili. A tutti i soggetti sono stati somministrati carprofen (4 mg/kg, im), acepromazina (0,05 mg/kg im) e ossimorfone (0,1 mg/kg, im), l’induzione è avvenuta con tiopentone (6-8 mg/kg, ev) e il mantenimento tramite una miscela di alotano e ossigeno in un sistema semichiuso. Le linee d’incisione sono state una a livello della doccia giugulare (2/3 della lunghezza del collo) per il posizionamento del catetere a livello della carotide comune, mentre l’altra è stata praticata latero-dorsalmente al collo a metà strada tra il cranio e la scapola per il posizionamento della porta d’accesso del catetere. In terza giornata sono state eseguite le medicazioni locali e il lavaggio del catetere con soluzione eparinizzata. Risultati e discussione: La tecnica di posizionamento dei PAV è risultata di semplice esecuzione. La porta d’accesso del catetere è stata posta in una tasca lontano dalla linea d’incisione usata per il posizionamento del catetere al fine di ridurne al minimo il versamento sieroso, il dolore o l’infiammazione locale durante i ripetuti accessi portali. In 2 casi sono state evidenziate temperature febbrili risolte con terapia antibiotica. In 5 cani, è stata notata la formazione di seroma che si è risolto spontaneamente in 3 gg. L’impossibilità di aspirare sangue si è verificata in un solo caso, ma l’impiego di un agente fibrinolitico (urokinasi 5000 unità/ml) ha reso di nuovo efficiente il catetere. L’impiego a lungo termine dei cateteri non ha dato luogo a particolari effetti collaterali e tutti i cani hanno dimostrato un’ottima tolleranza ai sistemi impiantati in sede sottocutanea. Conclusioni: La nostra esperienza con questi cateteri PAV si è dimostrata del tutto positiva, consentendo la somministrazione di farmaci, l’aspirazione di sangue e le rilevazioni pressorie in tutti i soggetti anche 6 mesi dopo l’impianto. Il rispetto di alcune linee guida per la gestione del catetere sono alla base del successo ottenuto con questi sistemi.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

367

ASPETTI CLINICI, DIAGNOSTICI, PATOLOGICI, IMMUNOISTOCHIMICI, TERAPEUTICI E PROGNOSTICI DI UN TUMORE EPITELIALE ODONTOGENICO MALIGNO (CARCINOMA ODONTOGENICO) PRODUCENTE AMILOIDE IN UN CANE SHI-TZU Carrani Francesco* MedVet, Spec mal picc anim; Maugeri Salvatore* MedVet, Spec mal picc anim; Torriani Laura# MedVet, Spec mal picc anim; Del Piero Fabio§ DVM, Dipl ACVP, Prof. * Liberi professionisti, Pisa # Libero professionista, Milano § Department of Pathobiology, Department of Clinical Studies NBC, School of Veterinary Medicine, University of Pennsylvania, Philadelphia- Kennett Square, USA Introduzione: I tumori odontogenici dei mammiferi sono rari. Qui descriviamo in un cane shi-tzu gli aspetti clinici, morfologici, immunoistochmici, terapeutici e prognostici di un tumore odontogenico maligno epiteliale (carcinoma) producente amiloide con caratteristiche complesse, probabilmente all’interno di una preesistente cisti odontogenica residuale o primordiale. Segnalamento, segni clinici, citologia: Un cane shi-tzu femmina intera di 6 anni presentò una tumefazione deformante di circa 10 cm a livello della parte craniale della emimandibola sinistra a rapida crescita con notevole aumento di volume della parte. La tumefazione si estendeva dalla sinfisi mandibolare fino a livello del secondo dente premolare. Due radiografie in proiezione latero-laterale e ventro-dorsale del cranio e del torace rivelarono una quasi totale scomparsa del supporto osseo del terzo anteriore dell’emimandibola di sinistra. I primi premolari apparivano “sospesi” in una massa di tessuto molle non calcificato di probabile origine neoplastica. L’esame citologico rivelò poche cellule fusate con scarso citoplasma debolmente basofilo disperse in una matrice eosinofilica, moderata atipia con anisocariosi ed anisocitosi, indicanti una possibile neoplasia mesenchimale o epiteliale fusata maligna. Terapia: Dopo gli accertamenti preoperatori di routine (esame emocromocitometrico, profilo biochimico e pannello coagulativo nella norma) il cane venne sottoposto ad emimandibulectomia rostrale monolaterale senza stabilizzazione dei rami mandibolari. La ricostruzione dei tessuti molli venne effettuata con materiale riassorbibile (Vicryl® 3/0 e4/0). Il giorno seguente il cane iniziò ad alimentarsi con alimenti liquidi ed passò all’alimentazione solida in sesta giornata; le suture vennero rimosse in decima giornata. A 8 mesi dall’intervento il cane non presenta segni clinici di recidiva. Esami istopatologici ed immunoistochimici: La massa neoplastica era rotondeggiante, ma anche tendente all’irregolare, talvolta cistica, non capsulata, multifocalmente infiltrante e composta da cellule epiteliali che verso la superficie cutanea si organizzavano a formare una struttura piuttosto differenziata quasi a riprodurre delle gemme dentarie mentre, verso l’osso mandibolare, ormai fortemente infiltrato e scompaginato, formavano delle corde epiteliali confluenti in isole di cellule poligonali, squamose e stellate, spesso separate da amiloide omogenea o globulare e poche piccole aree di calcificazione. Lo stroma fibrovascolare era minimo o assente, le figure mitotiche numerose e talvolta inusuali. Le cellule neoplastiche erano fortemente positive alle citocheratine LU5, AE1/AE3 e negative alla vimentina V9. Discussione e conclusione: La morfologia e l’espressione citocheratinica indicano che si tratta di tumore epiteliale odontogenico maligno con caratteristiche complesse riferibili ad un ameloblastoma maligno (celule similameloblastiche), ad un carcinoma ameloblastico (cellule epiteliali squamose con cellule stellate similameloblastiche), il tutto all’interno di una preesistente cisti odontogenica residuale o primordiale. Per la produzione di amiloide (associata agli aspetti morfologici odontogenici) andrebbe classificato come un tumore odontogenico producente amiloide (amyloid producing odontogenic tumor). Le lievi calcificazioni e gli aspetti morfologici lo rendono anche simile ai CEOT umani. Comunque, secondo alcuni esperti, i tumori odontogenici dei carnivori domestici sembrano discostarsi morfologicamente dai CEOT umani. Pertanto, sebbene in passato Veterinary Pathology, la più autorevole rivista di patologia veterinaria, abbia riportato eleganti lavori scientifici sui CEOT animali, questi specialisti non usano più il termine CEOT per le neoplasie odontogeniche tuttora descritte in medicina veterinaria. Non ci risulta che i tumori odontogenici maligni producenti amiloide (malignant amyloid producing odontogenic tumors) siano stati descritti negli animali domestici. Se dovessimo usare una definizione in grado di abbracciare le caratteristiche principali di questa neoplasia lo chiameremmo tumore odontogenico epiteliale maligno (carcinoma odontogenico) producente amiloide. Questo tumore possiede degli aspetti complessi unici ed una crescita sorprendentemente rapida. La rimozione tramite emimandibulectomia sembra fornire una soluzione adeguata con prognosi favorevole. La bibliografia è disponibile a richiesta presso gli autori.


368

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

ROTTURA COMPLETA DEL TENDINE BICIPITE IN UN ROTTWEILER: DIAGNOSI E TRATTAMENTO CHIRURGICO Ciliberto Emanuela Med Vet, PhD; Olivieri Massimo Med Vet; Morello Emanuela Med Vet, PhD; Peirone Bruno Med Vet, PhD Dipartimento di Patologia Animale, Università di Torino Introduzione: Nell’ambito delle patologie della spalla del cane, la rottura del tendine del muscolo bicipite brachiale risulta scarsamente descritta in letteratura1. In questo lavoro si riporta l’esame clinico e radiografico, l’esame artroscopico, l’intervento chirurgico ed il follow-up relativi ad un Rottweiler affetto da rottura completa del tendine del muscolo bicipite brachiale sinistro. Materiali e metodi: È stato selezionato un caso relativo ad un cane Rottweiler femmina di 4 anni affetto da zoppia anteriore sinistra causata dalla rottura completa del tendine del muscolo bicipite brachiale. Il paziente è stato sottoposto a visita ortopedica, esame radiografico ed esame artroscopico utilizzando la via d’accesso laterale. Successivamente è stata effettuata la tenodesi del tendine bicipite mediante fissazione con vite da spongiosa (4.5 mm di diametro e 36 mm di lunghezza) e rondella. Il tendine è stato raggiunto mediante un accesso cranio-mediale alla regione della spalla. Risultati: Il soggetto preso in considerazione era affetto da zoppia anteriore sinistra ad insorgenza subacuta da circa 4 mesi. Alla visita clinica il paziente presentava zoppia anteriore sinistra di I grado, dolore alla flesso-estensione della spalla e alla palpazione del solco bicipitale sinistro (test del bicipite positivo). Si evidenziava anche ipotrofia dei muscoli sopraspinato ed infraspinato. L’esame radiografico in proiezione medio-laterale e cranio-prossimale/cranio-distale della spalla rivelava la presenza di una calcificazione a livello del solco bicipitale dell’omero sinistro. L’esame artroscopico evidenziava la presenza di sinovite e l’assenza del tendine bicipite dalla sua normale sede anatomica. Durante una successiva seduta di chirurgia tradizionale, mediante un accesso cranio-mediale alla regione della spalla il tendine bicipite veniva reperito a livello della porzione distale della doccia bicipitale dell’omero. Il tendine in oggetto presentava delle solide connessioni fibrose con la superficie omerale sottostante. Per favorire il processo di tenodesi che si stava spontaneamente verificando, il tendine è stato fissato alla superficie omerale utilizzando una vite da spongiosa da 4.5 mm di diametro e 36 mm di lunghezza munita di rondella. I piani scontinuati sono stati suturati come di routine. L’esame radiografico postoperatorio in proiezione medio-laterale della spalla ha evidenziato il corretto posizionamento degli impianti. Alla visita clinica eseguita ad 1 mese di distanza dall’intervento, il soggetto mostrava un eccellente recupero funzionale. Discussione: La rottura del tendine del muscolo bicipite brachiale risulta scarsamente descritta in Letteratura veterinaria1. Per il trattamento di tale patologia, sono state proposte differenti tecniche chirurgiche che promuovono la fissazione del tendine alla superficie omerale o all’inserzione del muscolo sopraspinato2. Recentemente, Gill et al.3 e Martini e Gnudi4 hanno proposto la tenotomia (release) artroscopica del tendine bicipite per il trattamento delle tendinopatie bicipitali (rottura parziale/totale, lussazione, ecc) rispettivamente nell’uomo e nel cane. Le osservazioni relative al caso preso in considerazione, rivelano che il tendine bicipitale, successivamente a rottura, tende spontaneamente a fondersi alla superficie ossea omerale. Sulla base di tali osservazioni, possiamo concludere che, dato che l’artroscopia rappresenta uno step diagnostico fondamentale per le patologie del tendine bicipitale, il semplice release artroscopico potrebbe effettivamente costituire una valida alternativa alla tenodesi, evitando il ricorso ad una seconda (più invasiva) seduta chirurgica.

Bibliografia 1. Bardet JF: Lesions of the biceps tendon. Diagnosis and classification. A retrospective study of 25 cases in 23 dogs and one cat. VCOT 1999, 12:4, 188-195. 2. Piermattei DL, Flo GL: Rottura del tendine del muscolo bicipite brachiale In Piermattei DL, Flo GL “Ortopedia e trattamento delle fratture dei piccoli animali”, EV 1999, 259-261. 3. Gill TJ, McIrvin E, Mair SD, Hawkins RJ: Results of biceps tenotomy for treatment of pathology of the long head of the biceps brachii. J Shoulder Elbow Surg 2001, 10:3, 247-249. 4. Martini FM, Gnudi G: La tenotomia artroscopica del tendine bicipite brachiale per il trattamento delle tendinopatie del bicipite nel cane. Atti IX Congresso Nazionale SICV, Agripolis Legnaro, Italia 20-22/06/02.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

369

PROLASSO DEL GRASSO RETROBULBARE NEL GATTO: DUE CASI CLINICI Crotti Alberto Med.Vet. Libero professionista, Genova Introduzione: Il prolasso del grasso orbitale, una patologia di raro riscontro nelle differenti specie animali, consiste nello spostamento del grasso intraorbitale dalla sua sede fisiologica all’interno della periorbita, rostralmente per protundere a livello della zona sottocongiuntivale. Caso clinico: Il primo caso clinico, una gatta femmina, sterilizzata, di razza persiana, di anni 7 è riferito da un collega il quale durante una visita di controllo evidenzia una anomala tumefazione a carico del fornice congiuntivale dorsale dell’occhio destro. Il secondo caso,un gatto maschio, intero, di anni 3, viene portato alla visita dal cliente che aveva notato una massa a carico della zona congiuntivale dorsale dell’occhio sinistro. Entrambi i proprietari riferiscono di non aver mai evidenziato tale lesione in precedenza e che gli animali non manifestano alcun sintomo generale né alcun disturbo visivo. Alla visita clinica generale i soggetti non presentano alcun sintomo di malattia sistemica. L’esame oftalmologico non evidenzia alcuna alterazione a livello del fornice congiuntivale dorsale ma la compressione digitale esercitata in zona temporale mette in evidenza una tumefazione che ha la tendenza a procidere maggiormente allorquando viene aumentata la pressione digitale sulla zona stessa. Le lesioni appaiono estremamente simili e alla palpazione si presentano non dolenti, di consistenza molle e relativamente poco mobili rispetto al piano sottostante. La visita delle altre strutture oculari eseguita con oftalmoscopia diretta, indiretta e lampada a fessura mette in evidenza nel primo caso, a carico dell’occhio interessato, la presenza di cataratta corticale matura che rende impossibile la visualizzazione del segmento posteriore dell’occhio. In entrambi i soggetti nessuna alterazione è presente a carico dell’occhio controlaterale e la pressione intraoculare e lo Schirmer test risultano nella norma. L’esame ecografico non mostra alcuna lesione evidente a carico oculare e dello spazio retro e peribulbare. I reperti ematologici sono nella norma. Nel caso due si è proceduto ad eseguire prelievo bioptico della lesione. All’esame istologico si evidenzia presenza di normale tessuto adiposo e la diagnosi formulata è di prolasso del grasso orbitale. Data la evidente benignità della lesione e la mancanza assoluta di sintomatologia clinica a livello oculare si decide di non eseguire alcuna terapia chirurgica e medica in entrambi i casi. Discussione: Le patologie che necessitano di diagnostica differenziale nei confronti del prolasso del grasso retrobulbare possono essere distinte in patologie orbitali spazio occupanti e patologie infiammatorie a carico dei tessuti retro e peribulbari. Tra le patologie spazio occupanti ricordiamo le neoplasie nella regione retro-perioculare e le lesioni cistiche della regione orbitale. Nelle patologie di natura infiammatoria ricordiamo l’ascesso e cellulite retrobulbare, lo sialocele della ghiandola zigomatica. In letteratura sono riportate anche forme granulomatose della congiuntiva per iniezioni di cortisonici deposito a scopo terapeutico. La chemosi congiuntivale e l’enfisema congiuntivale sono altre due manifestazioni cliniche da porsi nel diagnostico differenziale. Conclusione: Dal momento che la benignità della lesione non fa ritenere necessario alcun trattamento, assume notevole importanza la effettuazione di una diagnosi accurata e precisa soprattutto facendo riferimento alla possibile diagnostica differenziale.


370

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

ESPERIENZE PERSONALI SULL’UTILIZZO DELLA SCINTIGRAFIA OSSEA COME AUSILIO DIAGNOSTICO NELLE ZOPPIE DEL CANE D’Urso Pasquale Italo Med Vet; Olivieri Massimo Med Vet Samarate (Va) Introduzione: La scintigrafia ossea è una metodica diagnostica utilizzata da molti anni in medicina umana e solo di recente applicazione in medicina veterinaria. Essa fornisce, a differenza dell’esame radiografico, maggiori indicazioni sullo stato funzionale dello scheletro rispetto a quello strutturale. Poiché le alterazioni funzionali dell’osso risultano essere molto più precoci rispetto a quelle strutturali, l’utilizzo di questa metodica permette di individuare l’area colpita da un processo patologico molto prima rispetto non solo all’esame radiografico, ma anche alla TAC ed alla risonanza magnetica. Nel presente lavoro sono proposte le esperienze degli autori sull’utilizzo della scintigrafia ossea come metodo diagnostico in un gruppo di cani che presentavano zoppie di difficile o dubbia localizzazione. Materiali e metodi: L’isotopo utilizzato in questa metodica è il 99 m Tc-difosfonato. Questo si lega ai cristalli di idrossiapatite ed il suo accumulo nell’area indagata è proporzionale sia all’attività osteoblastica sia all’apporto vascolare dell’area esaminata. Dopo pochi minuti (1-10) dall’iniezione del 99 m Tc-difosfonato per via endovenosa, si inizia la lettura delle immagini della “fase dei tessuti molli” mentre per la “fase ossea” si attendono due ore. Sono stati sottoposti a scintigrafia ossea 26 cani di cui: 4 meticci, 4 Terranova, 4 Pastori Tedeschi, 3 Boxer, 2 Rottweiler, 2 Labrador, 1 Golden Retriever, 1 Bovaro del Bernese, 1 Leonberger, 1 Schnautzer Gigante, 1 Dogue de Bordeaux, 1 Alano, 1 American Staffordshire Terrier. Tutti presentavano zoppie di vario grado ed erano stati sottoposti ad una o più visite ortopediche e ad esami radiografici specifici dell’arto coinvolto dalla zoppia. In nessuno di questi casi era stato, tuttavia, possibile emettere una diagnosi sicura sulla sede anatomica all’origine della zoppia. Risultati: L’esame dei 26 cani ha evidenziato in 7 casi positività di gomito, in 6 casi positività di spalla, in 4 di anca, in 2 di ginocchio, in 2 positività di carpo, in uno di metafisi distale di omero, in uno di tarso. Nei 3 rimanenti casi sono state evidenziate positività multiple riferibili, in prima istanza, a metastasi tumorali per le quali sono stati consigliati ulteriori approfondimenti diagnostici (biopsia ossea). Una volta localizzata la sede di lesione, uno studio scintigrafico approfondito di ciascuno di questi casi permetteva di localizzare in modo più preciso l’area di maggior captazione del radioisotopo. Discussione e conclusioni: La scintigrafia ossea ha permesso agli autori di individuare con precisione le specifiche aree responsabili di zoppie, di natura ossea, articolare, legamentosa o muscolare, nei casi in cui la visita clinica ed i comuni metodi diagnostici non avevano permesso di localizzare l’origine del problema. Spesso i soggetti risultavano alla visita ortopedica o particolarmente stoici e quindi con scarse risposte alle specifiche manovre, o agitati e/o ipereccitabili con risposte alle manualità ortopediche di dubbia interpretazione. In questi pazienti la scintigrafia rappresenta per gli autori un ottimo ausilio diagnostico per la localizzazione dell’origine della zoppia. È necessario comunque puntualizzare che questa indagine permette di fare diagnosi sulla sede della lesione, ma non sulla sua natura. Saranno poi i successivi esami collaterali (esame radiografico, TAC, RM, artroscopia) ad effettuare una diagnosi finale specifica.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

371

L’IMPIEGO DELL’ESAME CITOLOGICO NELLA DIAGNOSI DI ASPERGILLOSI NASALE NEL CANE: QUATTRO TECNICHE DI PRELIEVO A CONFRONTO De Lorenzi Davide*; Bonfanti Ugo**; Carlo Masserdotti*** *Libero professionista, Forlì **Libero professionista, Milano ***Libero professionista, Brescia Introduzione: Numerose tecniche diagnostiche (radiologia, rinoscopia, citologia, istologia, sierologia, esami colturali) sono state applicate nel tempo per confermare un sospetto clinico di infestazione micotica delle cavità rino-sinusali del cane ma nessun test permette, da solo, di emettere una diagnosi di certezza; una accurata valutazione rinoscopica eseguita con adeguata strumentazione associata a prelievi bioptici da eseguirsi su lesioni significative individuate nel corso dell’ispezione sino-rinoscopica rappresenta probabilmente la migliore (e forse l’unica) tecnica per ottenere una indicazione certa in relazione all’eziologia micotica della patologia in corso. Obbiettivi: Confrontare 4 tecniche differenti di prelievo in cani con sospetta rinite o rinosinusite micotica per valutare, con esame citologico, l’efficacia nell’individuare l’agente eziologico (ife, spore o corpi fruttiferi). Materiali e metodi: 11 cani con sospetta rinite o rinosinusite micotica (scolo nasale cronico uni- o bilaterale, quadro radiologico con evidenza di distruzione dei turbinati ed aumento della radiotrasparenza, refrattarietà a terapie antibiotiche) sono stati eseguiti prelievi per la valutazione citologica con 4 distinte tecniche: raccolta e spatolamento diretto dell’essudato da scolo nasale, tampone endonasale eseguito “alla cieca”, spazzolato da lesioni significative individuate con rinoscopio a fibre ottiche (ottica rigida Storz : lung. 18 cm, diametro 2.7 mm, angolo di visione frontale 30°, camicia con canale di lavoro), schiacciamento di biopsie da lesioni significative individuate con rinoscopio a fibre ottiche. I campioni sono stati tutti colorati con MayGruenwald-Giemsa in coloratrice automatica (Aerospray Slide Stainer 7100 Wiescor) e sono stati valutati almeno due vetrini significativi per ogni tecnica da ogni paziente. Risultati: In tutti i campioni da tutti i pazienti con tutte le tecniche di prelievo si sono rilevati batteri liberi a morfologia mista (cocchi, bastoncelli, germi filamentosi), batteri fagocitati e neutrofili; con lo spatolamento diretto da scolo nasale si sono identificate ife nel 9.09% (1/11 casi), spore e corpi fruttiferi nello 0% dei casi (0/11 casi); con prelievo “alla cieca” tramite tampone endonasale si sono identificate ife nel 18.18% dei casi (2/11 casi), spore e corpi fruttiferi nello 0% dei casi (0/11 casi); con lo spazzolato in corso di rinoscopia si sono identificate ife nel 100% dei casi (11/11), spore nel 45.45% dei casi (5/11 casi) e corpi fruttiferi in 1/11 casi; con lo schiacciamento da biopsia in corso di rinoscopia si sono identificate ife nel 100% dei casi (11/11 casi), spore nel 36.36% dei casi (4/11) e corpi fruttiferi in 1/11 casi; la valutazione combinata di spazzolato e biopsia ha permesso di individuare spore nel 63.63% dei casi (7/11); in aggiunta, in due casi si sono individuati ed estratti corpi estranei vegetali ed in un caso si è individuata una lesione sospetta neoplastica diagnosticata citologicamente come condrosarcoma. Conclusioni: Le tecniche di prelievo per spazzolamento e per biopsia, entrambe in corso di rinoscopia con adeguata strumentazione, hanno permesso di identificare l’agente eziologico sotto forma di ifa nel 100% dei casi; inoltre l’uso combinato delle due tecniche di prelievo ha permesso di identificare spore micotiche nel 63.63% dei casi, aumentando così l’affidabilità dell’osservazione citologica; sulla base dei risultati sopra riportati il prelievo eseguito direttamente dallo scolo nasale ed il tampone eseguito “alla cieca” non devono essere considerate metodiche adeguate di prelievo se si sospetta una patologia micotica endonasale.


372

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

ANESTESIA LOCALE IN CHIRURGIA ORALE De Simoi Alessandro Med Vet Libero professionista, Feltre Gli anestetici locali a valori fisiologici di pH esistono sia come catione carico che come base non ionizzata. La proporzione tra le due forme dipende dal pH della soluzione anestetica, dal pH tissutale e dal pKa dello specifico anestetico locale. Dopo la penetrazione del rivestimento lipidico dei nervi da parte degli ioni RN avviene una ridistribuzione delle due forme ioniche, all’interno e all’esterno della fibra nervosa. Nel nervo la forma ionica RNH+ si lega ai siti recettoriali all’interno dei canali del sodio, il legame delle molecole anestetiche a questi siti recettoriali è responsabile della soppressione degli effetti elettrofisiologici che avvengono durante la propagazione dell’impulso nervoso e della durata d’azione del farmaco. L’anestesia durerà fino a quando la concentrazione dell’anestetico locale all’interno del nervo sarà a livelli tali da prevenire la conduzione nervosa. In chirurgia orale sono disponibili diverse tecniche di anestesia locale. Infiltrazione sopraperiostale: l’anestetico locale è iniettato direttamente nell’area oggetto del trattamento. Questo tipo di anestesia viene più comunemente usato sui denti dell’arcata mascellare, dove diffonde rapidamente attraverso il periostio e il relativamente sottile osso corticale mascellare. L’infiltrazione sopraperiostale a livello mandibolare non è invece così efficace a causa del notevole spessore della piastra ossea corticale. Nell’anestesia per infiltrazione sopraperiostale il punto di repere è rappresentato dall’apice del dente oggetto del trattamento. I Blocchi nervosi regionali rivestono un particolare interesse in medicina veterinaria, le fibre nervose sensitive che innervano ossa, denti e tessuti molli di mascella e mandibola originano dalle branche mascellari e mandibolari del nervo trigemino. Blocco Mascellare, l’ago si posiziona nella fossa pterigopalatina utilizzando come punto di repere l’ultimo molare mascellare. I rami dei nervi alveolari superiori medi e craniali possono essere bloccati con la tecnica dell’infiltrazione nel canale infraorbitale. Per questa iniezione si può utilizzare sia l’approccio endorale che extraorale. Anestesia mandibolare: blocco del nervo alveolare inferiore (IANB). Il blocco del nervo alveolare inferiore produce anestesia di tutti i denti dell’emi mandibola, del tessuto osseo e delle mucose, il forame di entrata del nervo alveolare inferiore si trova sulla faccia linguale della mandibola alla base del processo coronide e può essere generalmente apprezzato alla palpazione. Il blocco del nervo mentale viene effettuato attraverso il forame mentale medio, il maggiore dei tre, il forame viene palpato apicalmente alla radice mesiale del secondo premolare. Tramite questo blocco si desensibilizzano gli incisivi, il canino e i primi premolari insieme ai tessuti molli e duri di quel lato. Infiltrazione del legamento paradontale, questa tecnica può essere usata virtualmente su tutti i denti, ma viene più comunemente utilizzata per desensibilizzare uno o due denti per procedure endodontiche oppure per estrazioni. Usando aghi corti di 27 o 30 G si depositano piccole dosi di anestetico locale direttamente nel legamento paradontale sulla superficie distale di ogni radice del dente interessato prestando attenzione che la bietta dell’ago sia rivolta verso la superficie del dente. Infiltrazione intrasettale, è una variante dell’anestesia intraossea e per la minore densità ossea viene più comunemente utilizzata nei soggetti giovani. Viene utilizzato un ago corto da 27 G che viene infisso nell’osso corticale dopo aver adeguatamente anestetizzato la mucosa alveolare. Anestesia intraossea: L’anestesia intraossea necessita di un particolare strumentario che consiste di un perforatore che deve esser montato su di un contrangolo convenzionale e di un ago lungo 8 mm di 27 G che deve essere inserito nel foro creato dal perforatore. Questa tecnica permette di anestetizzare uno a più denti in dipendenza del sito di iniezione e del volume di anestetico iniettato, solitamente 0,4-0,6 ml. Anestesia intrapulpare: In una cavità pulpare esposta o per una frattura dentale oppure in seguito ad un accesso endodontico, l’anestetico locale può direttamente essere depositato a contatto con la polpa dentaria. Idealmente il calibro dell’ago dovrebbe essere quello che si avvicina il più possibile al diametro del canale pulpare e l’anestetico dovrebbe essere iniettato sotto pressione. L’utilizzo delle tecniche di anestesia locale permette di controllare il dolore perioperatorio e postoperatorio e consente di ridurre la concentrazione dei gas anestetici con un indubbio vantaggio che si traduce in un migliore e più rapido risveglio. I blocchi nervosi regionali sono tecnicamente facili da effettuare, sono poco dispendiosi e richiedono una strumentazione che è già a disposizione del medico veterinario nella pratica quotidiana.

La bibliografia è fornibile su richiesta a: vetcvf@tiscalinet.it


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

373

IMMUNODEFICIENZA CONGENITA IN GATTINI DI RAZZA CERTOSINA Del Piero Fabio1, DVM, Dipl. ACVP, Prof.; Torriani Laura2 MedVet Spec Mal Picc Anim; Rinaldi Angelo3 Med Vet; Carrani Francesco4 Med Vet Spec Mal Picc Anim. 1 Department of Pathobiology, Department of Clinical Studies NBC, PA Animal Diagnostic Laboratories, School of Veterinary Medicine, University of Pennsylvania Philadelphia - Kennett Square, 19348, USA 2 Libero professionista, Milano 3 Libero professionista, Pavia 4 Libero professionista, Pisa Introduzione: Le immunodeficienze congenite acquisite gravi (severe combined immunodeficiencies, SCID) sono gravi malattie del sistema immunitario ben descritte nei topi e nei puledri, specie che sono importanti modelli di studio per le forme che colpiscono l’uomo. Qui descriviamo una SCID che ha colpito un gattino e molto probabilmente i suoi fratelli, provenienti da un allevamento caratterizzato da stretta consanguineità. Presentazione clinica, sierologia, patologia, istochimica, immunoistochimica: Tre gattini certosini, provenienti da un allevamento composto da soggetti caratterizzati da stretta consanguineità ed originati dall’accoppiamento di un maschio con una delle sue figlie, iniziarono a presentare verso i 3-4 mesi di vita vomito, diarrea, dispnea, dimagramento progressivo e linfoadenomegalia multisistemica. Due animali vennero esaminati e sottoposti ad eutanasia da altri veterinari. Il paziente da noi studiato venne supportato tramite terapia sintomatica per contrastare diarrea, vomito, dispnea. Ripetuti esami sierologici risultarono negativi per Toxoplasma, FIV e FeLV. Il quadro ematologico, a parte una lieve e moderata anemia, era nella norma. L’esame citologico dei linfonodi mise in evidenza un tappeto di istiociti con pochi linfociti, escludendo il linfoma. Visto lo scarso risultato della terapia e l’aggravarsi dell’emaciazione e della linfoadenopatia anche questo paziente fu sottoposto ad eutanasia. L’esame necroscopico confermò l’atrofia del tessuto adiposo e il raddoppiamento del volume dei linfonodi. Al microscopio i linfonodi erano affetti da grave istiocitosi diffusa con eritrofagocitosi, atrofia follicolare e popolati da pochi piccoli linfociti e plasmacellule. Il timo era gravemente atrofico, quasi irriconoscibile, mentre era completamente assente il tessuto linfoide intestinale. La milza presentava pure atrofia della polpa bianca con macrofagi periarteriolari. Era inoltre evidente edema polmonare. La grave atrofia coinvolgente i linfociti T e B venne confermata utilizzando tecniche immunoistochimiche indirette perossidasiche per l’identificazione di epitopi specifici per linfociti T (CD3) e linfociti B (CD79a, BLA36). I tessuti risultarono negativi per batteri, miceti e protozoi usando le metodiche istochimiche Ziehl-Neelsen, Giemsa, GMS, PAS, Whartin-Starry e Gram. Anche i tentativi per l’identificazione di Chlamydia spp., Toxoplasma gondii, Neospora spp, Mycobacterium spp, FIP coronavirus tramite metodiche immunoistochimiche indirette risultarono negativi. Discussione e conclusioni: Le lesioni osservate sono molto gravi e suggeriscono la presenza di una SCID autosomica recessiva con atrofia dei linfociti B e T e proliferazione compensatoria ed anomala dei macrofagi. Riteniamo che i fratelli di questa gattina fossero anche egualmente affetti e che la stretta consanguineità forzata in allevamento abbia selezionato l’espressione genetica e fenotipica di questa malattia. Le nostre indagini morfologiche ed immunoistochimiche ci portano a speculare che il difetto principale potrebbe essere una mancanza di recettori sui linfociti B anche con una mancata attivazione dei linfociti T, come nella “bare cell” SCID umana.

Informazioni bibliografiche sono disponibili presso gli autori.


374

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

INDAGINI ISTOPATOLOGICHE ED IMMUNOISTOCHIMICHE SULL’INFEZIONE OCULARE DA CORONAVIRUS DELLA PERITONITE INFETTIVA FELINA Del Piero Fabio, DVM, Dipl. ACVP, Prof. Department of Pathobiology, Department of Clinical Studies NBC, PA Animal Diagnostic Laboratories, School of Veterinary Medicine, University of Pennsylvania, Philadelphia, USA Introduzione: La peritonite infettiva felina è una malattia virale ad esito fatale che può coinvolgere gravemente anche i tessuti oculari. Lo scopo di questo studio è stato quello di verificare la presenza di un antigene strutturale del coronavirus FIP (FIPcv) negli occhi dei felini con infezione naturale da FIPcv, correlare i reperti immunoistochimici e morfologici, contribuire allo studio della patogenesi della FIP e stabilire la sensibilità e specificità di questa metodica immunoistochimica indiretta. Materiali e metodi: Sono stati selezionati ed esaminati 20 gatti deceduti in seguito a FIP diagnosticata sulla base delle lesioni patognomoniche macroscopiche ed istologiche multisistemiche. FIPcv era stato precedentemente identificato nei tessuti cavitari dei pazienti con una metodica di immunofluorescenza diretta. Tutti i pazienti presentavano segni clinici che suggerivano FIP e presentavano lesioni oculari lievi, moderate o gravi. I tessuti oculari sono stati fissati in formalina tamponata al 10%, disidratati con alcolizzazione progressiva, inclusi in paraffina e sezionati. Sezioni seriate di 5 micron su vetrino sono state colorate con ematossillina ed eosina per la valutazione morfologica istopatologica e con una nuova metodica immunoistochimica indiretta. In breve le sezioni sono state trattate con H2O2, proteasi, messe a contatto con un anticorpo murino monoclonale che riconosce un epitopo strutturale a basso peso molecolare specifico per il FIPcv. Tale reazione di legame è stata poi identificata da un anticorpo caprino antimurino e i siti di reazione sono stati evidenziati usando un polimero coniugato con i coloranti 3,3-diaminobenzidine-4HCl [DAB] (marrone) e, in alternativa, la fosfatasi alcalina (rosso). Come controlli positivi sono stati usati tessuti felini contenenti FIPcv mentre come controlli negativi tessuti felini senza FIPcv e tessuti felini contenenti altri agenti eziologici virali e batterici sia felini che interspecifici. Risultati: Tutti i pazienti erano affetti da lesioni infiammatorie oculari FIP caratteristiche, lievi, moderate e gravi, linfocitiche, linfocitiche e plasmacitiche, istiocitiche, neutrofiliche, granulomatose e piogranulomatose, con coinvolgimento in ordine decrescente di corpo ciliare (18/20), iride (18/20), coroide (8/20), meningi ottiche (6/20), cornea (4/20), retina (4/20), nervo ottico (2/20), sclera (2/20). Le lesioni erano bilaterali e caratterizzate da vasculite. L’antigene specifico FIPcv è stato rilevato in quantità lievi e moderate, sempre diagnostiche, nel citoplasma degli istiociti (macrofagi attivati modificati) dei granulomi, in istiociti singoli e talvolta libero in focolai con istiociti necrotici. Discussione e conclusioni: Questa tecnica avanzata immunoistochimica indiretta perossidasica polimerica è una metodica sensibile, specifica e poco costosa per l’identificazione del FIPcv nei tessuti, permette di differenziare la FIP oculare da lesioni granulomatose causate da batteri, miceti e protisti, rivela che piccole quantità di antigene virale possono essere associate anche a lesioni moderate e gravi, permette di maneggiare tessuti infetti a virus inattivato. I risultati sono permanenti e possono essere conservati inalterati per anni. Vista la necessità di una contemporanea valutazione anatomica, patologica macroscopica e microscopica, infettivistica e immunopatologica, è necessaria la partecipazione di un patologo veterinario qualificato per l’interpretazione dei risultati. Sono in corso ulteriori studi su un maggior numero di pazienti affetti da FIP.

La bibliografia è disponibile presso l’autore.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

375

MIOCARDIOPATIA/DISPLASIA VENTRICOLARE DESTRA ARITMOGENICA E COR TRIATRIATUM DEXTER IN UN CANE Della Santa Daniele* Med Vet; Sanders Robert A.# DVM; Eyster George E.# VMD MS Dipl. ACVS * Dipartimento di Clinica Veterinaria, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università di Pisa # Department of Small Animal Clinical Sciences, College of Veterinary Medicine, Michigan State University, USA Introduction: Arrhytmogenic right ventricular cardiomyopathy/dysplasia and Cor Triatriatum Dexter (CTD) are rare cardiac defects in dogs and have yet to be described occurring together. Aim: The aim of the present paper is to describe the clinical, electrocardiographic, echocardiographic and histopathological findings detected in a dog affected by this complex heart disease. Clinical case: A 2-month-old female Springer spaniel was evaluated for acute onset and rapidly progressive abdominal distension, lethargy and respiratory failure. Physical examination revealed severe abdominal distension, tachycardia (heart rate ranged between 250 and 280 beats per minute) and weakness of femoral pulses. No murmur was detected. A standard transthoracic electrocardiogram demonstrated a very fast ventricular tachycardia with left bundle branch block morphology. Echocardiography demonstrated dilation and hypocontractility of both ventricles. Severe dilation of the right atrium was detected together with moderate dilation of the left atrium. Further abnormal findings include: increased size of the moderator band and trabeculation of the right ventricle, presence of a right-sided atrial membrane consistent with a CTD. On doppler exam a small jet of tricuspid regurgitation was noted, but no mitral regurgitation jets were detected. Furthermore, turbulence in the caudal right atrium was imaged. Tentative diagnosis was cor triatriatum dexter and cardiomyopathy of unknown origin. Due to the poor prognosis the owner elected euthanasia. Post-mortem examination revealed that the outflow portion of the right ventricle was severely abnormal with what appeared to be a non-muscular aneurysm. This aneurysm was found to be composed of non-specific not inflammatory fibrous replacement tissue by histopathology. No histological abnormalities were noted in the preparations of left ventricular tissue. In addition to the anomalous right ventricular outflow tract, the presence of a cor triatriatum dexter was confirmed. Discussion: Dogs affected by either arrhytmogenic right ventricular cardiomyopathy/dysplasia and CTD are usually evaluated because of ascites. In the present case the absence of histologic changes in the left ventricular myocardium and other causes of left ventricular failure, supports the hypothesis that left-sided heart failure was induced by the fast ventricular tachycardia. To our knowledge this is the first reported canine arrhytmogenic right ventricular cardiomyopathy/dysplasia case that was characterized by biventricular failure. Consequently the disease should be suspected in young dogs with unexplained ventricular tachycardia with left bundle branch block morphology presented with signs of right-sided or generalized congestive heart failure. In haemodinamically significant CTD cases, surgical or percutaneous balloon dilation of the lesion have provided good results. On the other side, long-term treatment of right ventricular dysplasia in veterinary medicine has not been reported and may not be rewarding. Currently drug therapy to control arrhythmias has had limited success. Use of radiofrequency ablation has been used in some human patients with ventricular arrhythmias while surgical disarticulation of the right ventricle or heart transplant has been used in the most extreme human cases of arrhytmogenic right ventricular dysplasia. Consequently prognosis for this complex heart disease in canines is poor at this time.


376

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

L’IMPIEGO DELLA TC SPIRALE NELLO STUDIO DEL SARCOMA INDOTTO DA INIEZIONE NEL GATTO (20 CASI): SEMEIOTICA TOMOGRAFICA E RADIODIAGNOSTICA Di Giancamillo Mauro* Med Vet; Secchiero Barbara* Med Vet; Fonda Diego* Med Vet Prof ECVA; Stefanello Damiano* Med Vet; Grieco Valeria# Med Vet PhD; Finazzi Mario# Med Vet Prof * Istituto di Clinica Chirurgica e Radiologia Veterinaria # Dipartimento di Patologia Animale, Igiene e Sanità Pubblica, Sezione di Anatomia Patologica Veterinaria e Patologia Aviare, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Milano Il sarcoma iniezione indotto (SII) è una neoplasia felina emergente per la quale non esiste ancora una teoria eziopatogenetica definitiva e che si distingue da altri sarcomi sottocutanei per la complicata gestione clinica e la frequente recidiva in loco anche dopo terapie multimodali. Tipicamente unicentrico e a rapida crescita, è un tumore particolarmente aggressivo nei confronti dei tessuti limitrofi e facilmente recidivante dopo exeresi chirurgica, anche se sembra possedere un basso potenziale metastastico. Gli aspetti clinici raramente coincidono con il grado di infiltrazione della neoplasia. Pertanto nell’iter diagnostico si sono rivelate indispensabili le tecniche tomografiche a raggi x e/o a risonanza magnetica. Esse consentono di definire con precisione le caratteristiche morfostrutturali della neoformazione, i rapporti con le strutture limitrofe e l’eventuale presenza di diffusioni metastatiche, permettendo quindi la pianificazione del protocollo prognostico-terapeutico più adeguato. Lo scopo del presente lavoro consiste nella descrizione della semeiotica-TC del SII in condizioni basali e dopo somministrazione di mezzo di contrasto (m.d.c.). Venti gatti, di sesso differente e di età compresa tra i 2 ed i 17, anni affetti da SII sono stati sottoposti a tomografia computerizzata a raggi x in modalità spirale. I pazienti, sottoposti ad anestesia generale inalatoria, sono stati posizionati in decubito sternale con gli arti anteriori e posteriori estesi rispettivamente in senso craniale e caudale. I protocolli di ripresa tomografica sono stati scelti, di volta in volta, in funzione delle dimensioni e della sede della neoplasia: quando localizzata in regione addominale, sono state sempre eseguite acquisizioni total body; per le sedi in regione toracica, il campo di scansione si estendeva dalla prima costa all’addome superiore. In ogni soggetto sono state ottenute scansioni spirali in condizioni basali e rispettivamente a 1 e a 10 minuti dopo l’iniezione e.v. a bolo di un m.d.c. organo iodato idrosolubile non ionico, alla posologia di 600 mgI/kg. La durata complessiva di ogni acquisizione era compresa tra i 30 ed i 46 secondi. Di ogni tumore sono stati presi in considerazione la sede, il numero, l’aspetto, i margini, i rapporti con i tessuti viciniori, il grado di vascolarizzazione periferico, la densità pre e post-contrasto, l’eventuale presenza di aree solide lungo i piani fasciali limitrofi (skip metastasi) o di metastasi a distanza o di linfoadenomegalia loco-regionale. Lo studio ha mostrato una prevalenza delle sedi interscapolare (8 casi) e costale destra (5 casi). Le immagini tomografiche più dimostrative sono state ottenute nella fase tardiva ed hanno per lo più palesato la presenza di neoformazioni ipodense, di forma sferica-ovalare e di dimensioni variabili, caratterizzate da un enhancement del m.d.c. disomogeneo e prevalentemente periferico. Nella maggior parte dei casi osservati sono stati riscontrati elevati gradi di infiltrazione dei piani tissutali più profondi e stretti rapporti di contiguità con il tessuto scheletrico adiacente. In due casi sono state identificate aree di mineralizzazione. In due soggetti è stata rilevata linfoadenomegalia loco-regionale, in uno la presenza di metastasi polmonari ed in tre di skip metastasi, tutti rilievi non riportati alla visita clinica. La TC spirale si è rivelata uno strumento prezioso sia per lo studio della neoplasia in sé che per la valutazione delle grandi cavità corporee, consentendo di stabilire, di volta in volta, l’approccio terapeutico più appropriato. In considerazione poi dell’estrema rapidità di esecuzione dell’indagine la si ritiene attualmente uno strumento indispensabile nel protocollo diagnostico del SII.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

377

RELAZIONE E CONFRONTO TRA STATO DI SALUTE ED ENDOPARASSITOSI NEI RETTILI NATI IN CATTIVITÀ E SELVATICI Di Ianni Francesco* Med Vet; Dodi Pier Luigi* Med Vet; Bonati Luca* Med Vet; Parmigiani Enrico*DVM, MS; Bigliardi Enrico*, Med Vet *Dipartimento di Salute Animale, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli studi di Parma L’allevamento dei rettili a scopo amatoriale ha assunto negli ultimi anni un incremento considerevole. L’allevamento a scopo commerciale comincia, anche in Italia, ad assumere consistenze di rilievo e discreta professionalità. Tra le patologie che possono compromettere la redditività dell’allevamento le parassitosi in genere sono tra le più importanti in quanto possono determinare gravi perdite tra i soggetti allevati. Lo scopo del nostro studio è stato quello di verificare l’incidenza delle endoparassitosi nei soggetti nati in cattività e in quelli selvatici importati. Materiali e metodi: Nel nostro studio abbiamo considerato 25 rettili nati in cattività di cui: 7 pitoni delle rocce indiane, 10 boa imperatore, 5 pitoni reali, 3 pitoni verdi. I rettili selvatici erano rappresentati da: 10 boa imperatore, 12 pitoni reali, 3 pitoni verdi. La ripartizione tra maschi e femmine era equivalente e tutti i soggetti erano stabulati nelle stesse condizioni in terrari singoli, con temperatura compresa tra 28° e 32° C con umidità relativa del 70%. L’alimentazione era costituita da topi e ratti vivi s.p.f.. L’EOG è stato eseguito su tutti i soggetti valutando i seguenti parametri: stato di nutrizione, tono muscolare, cute e mucose apparenti (cloacale ed orale). Per ogni soggetto sono stati eseguiti due prelievi di materiale fecale in corrispondenza di due pasti consecutivi (circa ad un mese di distanza). I campioni sono stati raccolti in appositi contenitori e inviati immediatamente al laboratorio per essere processati. La valutazione ha preso in esame l’aspetto macroscopico delle feci (colore e consistenza) e la ricerca per flottazione dei parassiti presenti con microscopio ottico a 100 X. Risultati: Tra i soggetti nati in cattività l’esame coprologico ha messo in evidenza nel 40% (10 soggetti) la presenza di parassiti intestinali di cui tre mostravano uova di ossiuri e coccidi, sei uova di elminti e uno tutte e tre le specie. Sei rettili presentavano una sintomatologia riferibile alla parassitosi individuata. Nel gruppo degli animali selvatici importati 18 esemplari (72%) sono risultati infestati, tredici da elminti e ossiuri tre da elminti e coccidi e due da ossiuri e coccidi. La compromissione dello stato generale di salute era notevolmente più grave rispetto ai rettili nati in cattività. Abbiamo potuto osservare in 15 soggetti uno stato di nutrizione carente ed in cinque soggetti la cloaca arrossata e beante in seguito all’enterite. Cinque soggetti sono deceduti dopo 60 giorni dall’inizio dello studio. Conclusioni: Le parassitosi dei rettili rappresentano una percentuale significativa delle patologie che si manifestano nell’allevamento in cattività. I soggetti selvatici importati sono maggiormente predisposti a sviluppare endoparassitosi che solitamente assumono una gravità superiore a quelle riscontrate nei soggetti nati in cattività. Lo stress e le condizioni di trasporto, spesso non ottimali, probabilmente favoriscono la compromissione dello stato di salute generale dei rettili selvatici. Tra le specie di parassiti maggiormente rappresentate abbiano riscontrato uova di elminti, ossiuri e coccidi. Non abbiamo notato differenze significative tra le specie di parassiti dei rettili selvatici e quelli nati in cattività.


378

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

ALLESTIMENTO DI UNA MULTIPLEX RT-PCR PER LA DIAGNOSI DELLE INFEZIONI RESPIRATORIE DEL GATTO Di Martino Barbara Med Vet; Di Francesco Cristina E. Med Vet; Marsilio Fulvio Med Vet Dipartimento di Scienze Biomediche Comparate Università degli Studi di Teramo Il complesso delle infezioni respiratorie (U.R.T.D: Upper Respiratory Tract Disease), continua ad essere una delle principali cause di malattia nel gatto, in particolare per quelli che vivono in colonie. I patogeni più comunemente associati alla U.R.T.D. sono rappresentati dal Calicivirus Felino (FCV), dall’Herpesvirus Felino di tipo 1 (FHV-1) e dalla Chlamydophila spp. Altri agenti infettivi si comportano nella maggior parte dei casi, da patogeni secondari. La comparsa di sintomi respiratori soprattutto se osservati in soggetti giovani, permette di emettere un sospetto di infezione delle vie aeree superiori, ma non è sufficiente per giungere alla diagnosi di certezza. Ne consegue la necessità di ricorrere all’ausilio di esami specifici di laboratorio atti ad identificare ciascuno dei tre agenti infettivi; tuttavia, in qualche caso le tecniche tradizionali, presentano alcuni inconvenienti quali ad esempio tempi molto lunghi, bassa sensibilità, difficoltà nell’evidenziazione di alcuni patogeni. Lo scopo del presente lavoro è stato, quindi, l’allestimento di una metodica capace di superare quest’ultime problematiche e in particolare è stata allestita una Multiplex RT-PCR in grado di amplificare simultaneamente frammenti genomici appartenenti a FCV, FHV-1 e Chlamydophila spp. Per la messa a punto della metodica, per ciascun patogeno sono state identificate le sequenze nucleotidiche bersaglio da sottoporre ad amplificazione, rappresentate da una sequenza di 2345 bp del gene ORF2 della proteina capsidica di FCV, una sequenza di 321 bp del gene TK (Timidino-chinasi) di FHV-1 ed infine una sequenza di 587 bp del gene OMP2 (Proteina della membrana esterna) di Chlamydophila spp. Il DNA e RNA virali sono stati estratti con il Dneasy Tissue kit (Qiagen) e l’Rneasy Mini kit (Qiagen), a partire da linee cellulari CrFK infettate con FHV-1 e FCV. L’estratto genomico di Chlamydophila felis è stato gentilmente fornito dal Dott. C. Helps (Università di Bristol, UK). Dapprima sono stati identificati i tre agenti patogeni attraverso singole PCR e quindi si è passati all’aggiunta sequenziale di ogni set di primers fino ad unire nella stessa reazione le tre coppie. Per ridurre l’amplificazione non-specifica è stato necessario modificare alcuni parametri, quali: concentrazione di MgCl2, hot-start, tempi di estensione, aumento della temperatura di annealing dei primers, riselezione delle sequenze dei primers, variazione delle concentrazioni relative delle coppie di primers e degli estratti genomici. Il protocollo definitivo è il seguente: RT: il DNA viene sintetizzato in un volume di reazione totale di 20 µl contenente 2 µl di RNA virale, PCR buffer 10x, 3,5 mM MgCl2, 200 µM di ciascun dNTP, 1 U/µl Rnasi inhibitor, 5 U/µl RT (MuLV) e 0,5 µM di primer Cali 2. Il DNA viene sintetizzato a 42°C per 45’ con una fase di inattivazione del RT (MuLV) a 94°C per 5’. Multiplex-PCR: l’amplificazione dei tre frammenti bersaglio viene eseguita in un volume di reazione totale di 50 ul, contenente 5 µl del prodotto della retrotrascrizione, PCR buffer 10X, 200 µM di ciascun dNTP, 0,02 U/µl HOT Master TAQ DNA Polymerase (Eppendorf) e 0,2 µM di primer Cali 1, 0.02 µM di primers Chla AF e Chla AR, 0,004 µM di primers Fhv-F e Fhv-R. La reazione di amplificazione avviene nel DNA Thermal Cycler per 35 cicli, con denaturazione a 94°C per 1’, annealing a 60C per 1’ ed estensione a 72°C per 1’. Il risultato è l’amplificazione dei tre frammenti genomici appartenenti a ciascuno dei principali patogeni associati alla U.R.T.D. La tecnica è stata quindi provata su n.12 tamponi congiuntivali provenienti da gatti con sintomatologia respiratoria in atto. I risultati riportati nella tab. n.1, dimostrano in via preliminare l’idoneità della Multiplex RT-PCR nella diagnosi della U.R.T.D.

Tabella 1 Risultati dell’applicazione della Multiplex RT-PCR su tamponi congiuntivali Identificativo campione 5/P 8/P 7/P 4/P 3/P 6/P 12/P 10/P 11/P 9/P 13/P 14/P

PCR Chlam.

PCR FHV-1

PCR FCV

+ + + + + + -

+ + + + + + + + + + + +

N.E. N.E. -

Multiplex RT-PCR Chlam. FHV-1 FCV + + + + + + -

+ + + + + + + + + + + +

-

Legenda: - risultato negativo; + risultato positivo PCR Chlam.: Polymerase Chain Reaction Chlamydophila spp. PCR FHV-1: Polymerase Chain Reaction Feline Herpesvirus-1 PCR FCV: Polymerase Chain Reaction Feline Calicivirus Multiplex RT-PCR: RT- Polymerase Chain Reaction Chlamydophila spp., Feline Herpesvirus-1, Feline Calicivirus N.E.: non eseguita


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

379

SIEROPREVALENZA DI ALCUNE INFEZIONI TRASMESSE DA ARTROPODI VETTORI IN CANI RESIDENTI IN TOSCANA E LIGURIA Sacchini Federico* MVB MRCVS; Ebani Valentina V.# Med Vet PhD; Lubas George## Med Vet Dipl ECVIM; Mancianti Francesca# Med Vet, Roberts Larry* BVM&S PhD MRCVS, Shaw Susan Elizabeth+ BVSc (Hons) MSc DACVIM DECVIM FACVSc MRCVS * Specialista in patologia e clinica degli animali d’affezione, IDEXX Laboratories Ltd, Wetherby UK # Dip. Patologia Animale, Profilassi e Igiene degli Alimenti, Università di Pisa ## Dipartimento di Clinica Veterinaria, Laboratorio di Ematologia, Università di Pisa + Dept Clinical veterinary Science, University of Bristol, UK Aim: Assessment of the seroreactivity toward some arthropod-borne diseases by indirect immunofluorescent test (IFAT) in hunting dogs living in Tuscany and Liguria. Introduction: Epidemiological data regarding the arthropod-borne diseases in dogs are lacking and often extrapolated from studies performed in different geographical areas. The distribution of these diseases depends primarily on the presence of the vector itself. The hunting dog, because of its working environment (forest) and housing conditions (open shelters, density), has high levels of arthropod exposure and assessment of their infection prevalence may help in evaluating the risk of infection for both humans and other animals. Materials and methods: 101 hunting dogs selected by 4 veterinary clinics were examined between June and October 2002. All the dogs underwent physical examination and blood sampling. A full blood count, biochemistry profile, serum protein electrophoresis and IFAT for Leishmania infantum, Ehrlichia canis, Anaplasma phagocytophila, Rickettsia rickettsii, Rickettsia conorii and Borrelia burgdorferi were performed on each sample. The cut-off titre for positivity was established at ≥1:40 for L. infantum, E. canis, A. phagocytophila and ≥1:64 for R. rickettsii, R. conorii and B. burgdorferi. Results: Clinical examination revealed skin problems 66%, external parasites 49% and poor body condition 31% of dogs examined. The laboratory abnormalities more frequently detected were: anaemia 7%, eosinophilia 35%, hypoproteinaemia 28%, low urea 9%, elevated bile acids 18%, hypocholesterolaemia 16% and hyponatraemia 12%. A total of 35 dogs did not present any clinical and/or laboratory abnormalities. 148/606 tests were positive on IFAT; E. canis 52; R. rickettsii 43; R. conorii 31; A. phagocytophila 11; L. infantum 9; B. burgdorferi 2. A total of 21 dogs were negative for all the tested pathogens; 31 dogs were positive for 1 pathogen; 35 positive for 2 pathogens; 10 positive for 3; 3 positive for 4 and 1 positive for 5 pathogens. Statistical analysis revealed no significant differences in the proportion of positive results between apparently healthy animals and those with clinical and/or laboratory abnormalities or between animals housed in high density (≥4 dogs/kennel) compared to those housed in smaller kennels (H0:π1-π2=0; α=0.05). Conclusions: This study confirms a high seroprevalence by IFA testing for E. canis, R. conorii and R. rickettsii, and a high prevalence of coinfections within the dog population studied. The coinfections between E. canis and R. conorii are likely to be associated with the vector Rhipicephalus sanguineus, while A. phagocytophila positives suggest the involvement of ticks of the Ixodes group. However, possible antibody cross-reactions should be considered, particularly between E. canis and A. phagocytophila and within the spotted fever group. Moreover, seroreactivity to R. rickettsii appears widespread in this population. However, as the presence of this micro-organism has not been confirmed in Italy, cross-reactions with other members of the spotted fever, such as Rickettsia helvetica recently isolated from ticks in Tuscany1, must be considered. Further investigations (western blotting, PCR, DNA sequencing) are required to evaluate the possible antibody cross-reactions and the IFAT sensitivity/specificity.

Bibliografia 1. Benianati T, Lo N, Noda H, Esposito F, Rizzoli A, Favia G, Genchi C (2002): First detection of Spotted Fever Group Rickettsiae in Ixodes Ricinus from Italy, Emerging Infectious Diseases, 8:9, pp 983-986.


380

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

ALTERAZIONI COAGULATIVE IN CORSO DI BABESIOSI CANINA INDOTTA DA BABESIA CANIS SPP. Caldin Marco* Med Vet; Furlanello Tommaso*# Med Vet; Patron Carlo# Med Vet; Giordano Antonella Dott Biolog#; Lubas George@ Med Vet * Clinica Veterinaria Privata “San Marco”, Padova, #Laboratorio Privato d’Analisi Veterinarie “San Marco”, Padova, @ Dipartimento di Clinica Veterinaria, Università di Pisa Introduzione ed obiettivi: La babesiosi canina è una patologia infiammatoria sistemica che nell’Europa meridionale è causata Babesia canis canis, morfologicamente indistinguibile dalle altre sottospecie di Babesia. I segni clinici più frequenti sono legati ad una risposta infiammatoria sistemica acuta, indotta dalla moltiplicazione del parassita negli eritrociti, a cui si associano anemia e splenomegalia. Nei cani affetti da babesiosi è riferita anche la presenza di alterazioni coagulative ed in particolare di una coagulazione intravascolare disseminata (DIC). Tali informazioni però sono connesse all’infezione da B. canis subsp. rossi, presente in Africa e dotata di maggiore patogenicità. Questo studio retrospettivo segnala le alterazioni dell’emostasi in cani affetti da babesiosi e compara i risultati con quanto riportato in letteratura. Materiali, metodi e risultati: Nel periodo compreso tra il 11-10-00 e il 22-09-02 sono stati identificati 15 casi di babesiosi. La diagnosi è stata realizzata con l’osservazione microscopica dell’agente infettivo in uno striscio ematico. I casi considerati erano completati con i seguenti dati di laboratorio: esame emocromocitometrico, profilo biochimico esteso, profilo coagulativo, esame delle urine e sieroelettroforesi. Il profilo coagulativo comprendeva la conta piastrinica sia strumentale che stimata grazie all’osservazione microscopica dello striscio ematico, gli indici piastrinici MPV (Mean Platelet Volume) e PDW (Platelet Dimension Width), il PT, l’aPTT, i prodotti di degradazione della fibrina/fibrinogeno (FDPs), i D-dimeri (D-D), il fibrinogeno (FI) e l’antitrombina III (ATIII). Per valutare complessivamente gli scostamenti dei risultati ottenuti rispetto agli intervalli di riferimento del profilo coagulativo, è stata calcolata la media (Χ) sulla percentuale dello scarto osservato nei valori patologici. Se i parametri considerati erano diminuiti rispetto al valore minimo dell’intervallo di riferimento lo scarto era negativo, se viceversa erano aumentati rispetto al valore massimo dell’intervallo di riferimento lo scarto era positivo. La conta piastrinica sia numerica (Χ= -78%) che stimata era inadeguata in 15/15 cani, come erano aumentati in tutti i soggetti sia l’MPV (Χ= +84,5%) che il PDW (Χ= +45,2%). Si osservava un aumento del PT in 2/15 cani (Χ= +10,9%) come dell’aPTT in 8/15 (Χ= +7,9%), gli FDP erano superiori a 2,5 mcg/ml in 4/15 cani (26,7%), i D-D ed il FI erano incrementati rispettivamente per 3/15 (Χ= +113,1%) e per 15/15 (Χ= +100,7%) soggetti, mentre per l’AT III era diminuito in 7/15 (Χ= -5,6%). Commenti e conclusione: Per la prima volta è stato analizzato un profilo coagulativo esteso, integrato anche da alcuni parametri piastrinici, in cani affetti da babesiosi. I rilievi clinico-patologici riscontrati in tutti i casi sono la piastrinopenia moderata e l’iperfibrinogenemia elevata, che possono essere considerati dei marker di babesiosi. La DIC, peraltro ben compensata, può essere sospettata dai dati di laboratorio solo in 3/15 cani. La piastrinopenia quindi non sembra legata ad un consumo, ma piuttosto ad un sequestro periferico (splenomegalia) oppure ad una distruzione periferica, in quanto i parametri volumetrici piastrinici suggeriscono una conservata ed efficiente attività midollare. L’uso di anticoagulanti, come è consigliato da alcuni autori, non è razionale. Ringraziamenti: Alla Sig.na Francesca Fiorio per l’assistenza nell’elaborazione dei dati.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

381

NEUTROPENIA NEL CANE: STUDIO RETROSPETTIVO SU 115 CASI Caldin Marco* Med Vet; Furlanello Tommaso* Med Vet; Patron Carlo* Med Vet; Giordano Antonella* Dott Biolog; Lubas George# MedVet * Liberi professionisti, Padova # Dipartimento di Clinica Veterinaria, Università di Pisa Introduzione ed obiettivi: I granulociti neutrofili rappresentano uno dei principali mezzi di difesa dell’organismo contro i patogeni, in quanto possono uccidere o inattivare funghi, lieviti, alghe, batteri, parassiti e virus. In caso di neutropenia aumenta la suscettibilità verso le infezioni, in modo proporzionale rispetto al grado di riduzione di tale classe di leucociti. Riferendosi al meccanismo eziopatogenetico d’insorgenza, la neutropenia può essere causata da a) malattie infettive non piogeniche, b) aumentata domanda per marcata infiammazione, anche purulenta, batterica o non, c) uso di farmaci, d) patologie primarie del midollo emopoietico, e) malattie immunomediate ed infine f) cause non diagnosticabili. Lo scopo del lavoro è di descrivere nel cane un numero rappresentativo di casi di neutropenia grave e di confrontare tali dati con la letteratura (Brown et al., JAAHA 2001; 37: 131-139). Materiali, metodi e risultati: Nel periodo compreso tra il 01-06-01 e il 20-09-02 sono stati realizzati 2.441 esami emocromocitometrici, ottenuti da 2.098 cani, provenienti da una singola Clinica Veterinaria. L’esame emocromocitometrico è stato realizzato su contaglobuli laser ADVIA 120 Bayer. Alla lettura strumentale è associata la valutazione citomorfologica dello striscio ematico eseguito con sangue fresco. Per ogni paziente erano disponibili dati clinici/clinico-patologici estesi. Definendo arbitrariamente come neutropenia significativa una conta dei granulociti neutrofili circolanti ≤ 3.000/mcL (VN – valori normali = 3.900-8.000/mcL), sono stati raccolti 115 casi, pari al 4,7% degli esami emocromocitometrici eseguiti. In 70/115 casi (60,9%), vi era anche leucopenia (VN 5.200-13.900/mcL), mentre in 45 casi la conta leucocitaria era normale od aumentata. Utilizzando lo schema classificativo presente in letteratura, sono stati riscontrati: 29 casi di malattie infettive non piogeniche (25,2%) [parvovirosi 15, rickettsiosi 7, piroplasmosi 5, ehrlichiosi granulocitaria 2], 23 casi di flogosi gravi/endotossiemie (20,0%) [risposta infiammatoria sistemica 10, diarrea emorragica 4, piotorace/polmonite settica 3, piometra 2, ascesso prostatico 2, rottura di organi cavi addominali 2], uso di farmaci 7 (6,1%) [chemioterapia per linfoma 3, azatioprina per malattie immunom. 1, fenobarbitale 1, estrogeni 1] e patologie emopoietiche 39 (33,9%) [linfoma stadio V 14, altre leucemie 12, leucemia linfoide 9, sindrome mielodisplastica primaria 3, istiocitosi maligna 1]. Infine sono stati osservati 17 casi (14.8%) affetti da una miscellanea di altre cause (insuff. epatica cronica 6, periodontite 3, neuropatia grave 2, insuff. renale cronica grave 1, avvelenamento da glicole-etilene 1 e carcinoma mammario 1). In quest’ultimo gruppo sono stati inseriti anche 3 casi di neutropenia riscontrata incidentalmente, in animali clinicamente sani. Non sono stati osservati casi suggestivi di neutropenie immunomediate. Commenti e conclusione: La neutropenia grave non è un evento raro nella pratica clinica. Questo importante segno clinico può essere presente anche in caso di conta leucocitaria normale o aumentata e ciò enfatizza la necessità di eseguire routinariamente la conta differenziale dei leucociti. Solo in 3 casi su 115 il rilievo è stato incidentale; negli altri casi la neutropenia era associata ad eventi patologici gravi, quasi sempre diagnosticabili. Rispetto alla letteratura (op. cit.), prevalgono le patologie midollari primarie (33,9% vs. 3,0%), mentre molto più rare sono le patologie infettive non purulente (parvovirosi: 13,0% vs. 53,0%). L’esame citopatologico del midollo rappresenta un indispensabile ausilio diagnostico in caso di neutropenie non altrimenti spiegabili. Ringraziamenti: Alla Sig.na Francesca Fiorio per l’assistenza nell’elaborazione dei dati.


382

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

DIAGNOSI ECOGRAFICA DELLE COMUNICAZIONI PORTO-SISTEMICHE NEL CANE E NEL GATTO. STUDIO RETROSPETTIVO SU 51 CASI Santilli Roberto A. Dr Med.Vet. D.E.C.V.I.M.-C.A. (Cardiology); Gerboni GianMarco Dr Med.Vet. Liberi professionisti, Samarate, Varese Lo scopo del lavoro è stato quello di descrivere in modo retrospettivo i rilievi strumentali in 51 casi (45 cani e 6 gatti) di comunicazioni porto-sistemiche (CPS) confermate da portografia mesenterica operativa e/o angiografia nucleare transrettale. L’esame ecografico ha permesso di stabilire la presenza di un vaso anomalo nel 100% delle CPS intra-epatiche, nell’80% delle extra-epatiche nel cane e nell’83,3% delle CPS extra-epatiche del gatto. Lo studio ha anche focalizzato l’attenzione sui rilievi ecografici indiretti: microepatia e riduzione della trama portale, alterazioni del flusso portale, rapporto area vena cava caudale/aorta, renomegalia con banda iperecogena midollare e presenza di uroliti e/o nefroliti (Tab. 1). L’esame ecografico addominale è stato eseguito in decubito dorsale. Le dimensioni epatiche e la visualizzazione della trama portale sono state definite in modo soggettivo; l’ecogenicità in rapporto alla corticale renale destra ed alla milza; il rapporto tra l’area vena cava caudale in sezione trasversale con quella dell’aorta; la velocità e pulsatilità del flusso portale ottenuto attraverso il Doppler pulsato con metodo dell’insonazione; la presenza ed anatomia delle CPS; dimensioni renali e presenza della banda iperecogena midollare e/o di nefroliti; la presenza di uroliti o sabbia urolitica vescicale. Con la portografia operativa si sono suddivisi i cani in due gruppi in base alla localizzazione della CPS: I° gruppo 10 cani (22,22%) con CPS intra-epatiche ed eterogenea distribuzione di razza, età media al momento della diagnosi di 2,27 ± 2,72 anni e peso medio di 25,75 ± 8,91 kg. II° gruppo 35 cani (77,78%) con CPS extra-epatiche e differente distribuzione di razza, età media al momento della diagnosi di 2,6 ± 2,14 anni e peso medio di 7 ± 9,25. Tutti i gatti hanno presentato CPS extra-epatiche con eterogenea distribuzione di razza, età media di 1,33 ± 0,96 anni e peso di 2,36 ± 1,14 kg. Il 100% dei cani di gruppo I° ha presentato microepatia con riduzione della trama portale, flusso portale pulsatile con velocità aumentata e rapporto area vena cava caudale/aorta > di 1,2. Nel 100% è stato identificato il vaso anomalo e l’anatomia con la seguente distribuzione: 60% sinistro- poste, 30% destro- poste, 10% centro poste. Il 90% ha mostrato renomegalia con banda iperecogena midollare ed il 50% litiasi renale e/o vescicale. Il 100% dei cani di gruppo II° ha presentato microepatia con riduzione della trama portale nel 94,28% dei casi e rapporto area vena cava caudale/aorta > di 1,2 nel 88,57% dei casi. Il vaso anomalo e la sua esatta anatomia è stato identificato nell’80% dei cani con distribuzione: 82,15% gastrici sinistri-cavali, 3,57% gastro epiploici sinistri-cavali, 3,57% gastro-splenico-cavale e 14,28% porta-azygos. Il 65,71% dei cani ha mostrato renomegalia bilaterale con banda iperecogena ed il 45,71 nefroliti e/o uroliti. Il gruppo di gatti con CPS extra-epatiche ha mostrato microepatia nel 50% dei casi, mentre nel 100% il rapporto tra area vena cava caudale ed area dell’aorta era maggiore di 1,2 ed il flusso portale nel 83,3% dei casi era pulsatile ed aumentato di velocità. Nell’83,3% si è stabilita la presenza e la posizione anatomica del vaso anomalo: 80% CPS attraverso la vena gastrica sinistra e 20% attraverso la pancreatico-duodenale craniale. I gatti hanno mostrato nel 50% dei casi renomegalia con banda midollare iperecogena e nessuno aveva uroliti e/o nefroliti. In conclusione gli autori ritengono l’esame ecografico il primo passo per la conferma diagnostica di una CPS e l’esperienza dell’operatore un fattore determinante nella valutazione dei segni indiretti e della posizione anatomica dell’anomalia vascolare.

Tabella 1 Rilievi ecografici in 45 cani ed in 6 gatti con comunicazioni porto-sistemiche (CPS) Rilievo ecografico

CPS – Intra-epatiche cane (n = 10)

CPS – Extra – epatiche cane (n = 35)

CPS – Extra-epatiche gatto (n = 6)

Microepatia

100%

100%

50%

Riduzione trama portale

100%

94,28%

50%

Alterazione flusso portale

100%

94,28%

83,3

Area V.C.C./AO. > 1,2

100%

88,57%

100%

Presenza vaso anomalo Tipo

100%

80%

83,3%

Sinistro-posto 60% Destro-posto 30% Centro-posto 10%

Gastrico Sin. 78,58% Gastro-epiploico sin 3,57% Gastro-splenico 3,57% Porta-azygos 14,28%

Gastrico Sin. 80% Pancreatico- Duod. 20%

Renomegalia con banda midollare iperecogena

90%

65,71%

50%

Nefroliti/uroliti

50%

45,71%

0%


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

383

APPROCCIO ALL’ANSIA DA LUOGO CHIUSO: ASPETTI CLINICI E TERAPEUTICI Giussani Sabrina, Medico Veterinario Comportamentalista E.N.V.F. Libero professionista, Gallarate Eziologia: L’affezione nasce dalla profonda differenza esistente tra l’ambiente di sviluppo (iperstimolante) e l’ambiente di vita successivo (ipostimolante). L’adozione di un gattino che ha avuto la possibilità di “giocare” con prede vive portate nel nido dalla madre e/o di cacciare, ed il successivo trasferimento in un appartamento privo d’accesso all’ambiente esterno costituisce il principale fattore predisponente. Inoltre più del 60% dei proprietari pone al centro della relazione col proprio animale la somministrazione del cibo e ciò, spesso, costituisce l’unica relazione esistente nella coppia uomo – gatto. Aspetti clinici: Il motivo della visita consiste nella comparsa di aggressioni predatorie e per irritazione a carico dei proprietari. Il gatto compie un agguato ponendosi dietro ad una porta o sulle scale: con un balzo afferra la “preda” e, trattenendola con le unghie, infligge uno o più morsi alle caviglie, ai polpacci, alle mani ed a volte anche al viso dei proprietari. Inoltre, a partire dai 4 -5 mesi d’età, compaiono, soprattutto all’alba ed al tramonto, fasi d’iperattività motoria: corse ad alta velocità in ogni direzione dell’appartamento con salti sui mobili, sui divani, sulle finestre. Più volte il gatto si arresta all’improvviso: si manifesta la Rolling Skin Syndrom e subito dopo l’animale inizia a leccare furiosamente una parte del corpo (soprattutto la coda) per alcuni minuti. In risposta ad ogni tentativo dei proprietari di interrompere la sequenza motoria ed il leccamento, compare un comportamento di aggressione per irritazione. L’ipostimolazione ambientale, il mancato rispetto dei fabbisogni etologici ed il degrado delle relazioni sociali con i proprietari contribuiscono alla nascita di uno stato ansioso di tipo “ansia intermittente”. La prognosi è da buona a riservata: dipende dalla fase di evoluzione della patologia e dalla possibilità di mettere in atto un adeguato arricchimento ambientale. Aspetti terapeutici: La chiave di volta nella realizzazione del trattamento consiste nella messa in atto di un corretto rinquadramento etologico. È fondamentale modificare l’arredamento dell’appartamento per consentire al gatto di esplorare, procurarsi il cibo, osservare, giocare e così via: nascondere alcuni croccantini sotto un angolo di un tappeto, dietro ad un mobile, dentro ad una scatola in cui sono stati aperti dei pertugi (riproduzione del comportamento di caccia di una preda nascosta in una tana), sotto ad una ciotola capovolta. I luoghi dovranno essere cambiati frequentemente in modo da permettere al gatto di reperire la “preda”. Per quanto riguarda i giochi da inserire nell’appartamento è possibile utilizzare elementi di maxi-puzzle per bambini, tappetini con oggetti in movimento, elementi ricoperti da corde che si elevano in altezza, scatole di cartone di differenti dimensioni, tende–gioco per bambini e così via. È utile, inoltre, collocare nell’abitazione due o più punti cibo costituiti da dispensers contenenti cibo secco di buona qualità, creare un corretto campo d’eliminazione (utilizzando almeno due cassette poste in un luogo tranquillo dell’abitazione) e numerosi campi d’isolamento (soprattutto in alto). La relazione uomo – animale dovrà essere modificata ed incentrata soprattutto sul gioco, sui contatti fisici e sulla collaborazione coinvolgendo il gatto nelle attività quotidiane. L’utilizzo della feromono – terapia è molto utile: è possibile avvalersi delle frazioni feromonali F3 e F4. Quando è presente uno stato patologico, è necessario ricorrere alla terapia farmacologica. Le molecole consigliate sono la clomipramina, oppure la fluoxetina. Nei casi in cui il comportamento di aggressione predatoria fosse meno imponente o la cute della coda del gatto presentasse severe lesioni dermatologiche, è possibile utilizzare la selegilina. Secondo la mia esperienza l’orchiectomia o l’ovariectomia sono indispensabili al fine di raggiungere un risultato stabile al seguito del trattamento. Conclusioni: L’ansia da luogo chiuso è descritta, in uno studio effettuato in Belgio, nel 90% circa dei gatti che vivono in appartamento. Il ruolo svolto dal Medico Veterinario in occasione delle prime visite vaccinali è fondamentale per quanto riguarda la prevenzione di questa patologia. Sarebbe opportuno creare un album fotografico contenente immagini concernenti l’arricchimento ambientale, ai campi d’alimentazione, d’eliminazione e d’isolamento da mostrare ai proprietari. Secondo la mia esperienza, non tutti gli individui riescono però a adattarsi alla vita in appartamento. L’adozione presso una colonia felina od un’abitazione con giardino costituirà allora l’unica terapia possibile.

Bibliografia “Cours de Base du GECAF”, Strasburgo 2001. “L’apprendimento del cane e del gatto”, J. M. Giffroy, Scuola di Specializzazione in Patologia del Comportamento del cane e del gatto, Tolosa 2000. “L’educazione del gatto”, J. Dehasse, Alberto Perdisa Editore, Bologna 2001. Module prévention et éducation”, Ecole Vétérinaire de Lyon, 19 – 20 maggio 2001. “Texte de conferences”, C. Arpaillange e C. Mège, Scuola di Specializzazione in Patologia del Comportamento del cane e del gatto, Tolosa 2000.


384

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

PERDITA DELLA VISTA E MODIFICAZIONI COMPORTAMENTALI NEI CARNIVORI DOMESTICI Giussani Sabrina, Medico Veterinario Comportamentalista E.N.V.F.; Mazzucchelli Maurizio Med. Vet. Libero professionista, Gallarate Scopo del lavoro: Identificare, attraverso le modificazioni comportamentali precoci, la presenza di un’alterazione della funzione visiva e ricorrere all’utilizzo di terapie comportamentali e/o farmacologiche per aiutare il paziente a adattarsi alla perdita della vista. Materiali e metodi: Ho considerato nello studio, iniziato nell’anno 2000 e terminato nel 2002, i cani ed i gatti che hanno effettuato una visita oculistica nel mio ambulatorio e negli ambulatori di Medicina Veterinaria della mia zona. Tra questi ho scelto gli animali che da pochi giorni avevano perso la vista o la stavano perdendo. Il Dr. Maurizio Mazzucchelli ha effettuato una visita oculistica preliminare. Ho incluso nella ricerca quindici animali: dieci cani e cinque gatti. Ho inoltre suddiviso ciascuna popolazione, considerando se la perdita della vista è avvenuta in modo improvviso oppure progressivo, in due sottogruppi distinti. Dopo aver raccolto tutti i dati, ho deciso di studiare le modificazioni del comportamento durante un periodo di quattro mesi in funzione della variazione della funzione visiva. Sono state effettuate mediamente quattro visite oculistiche e comportamentali gratuite, una ogni mese, successivamente al primo incontro. La visita oculistica è stata effettuata seguendo il metodo standard adottato dalla SOVI per la diagnosi delle Oculopatie Ereditarie. Sono stati considerati il PLR diretto e consensuale, il DRT, il test della minaccia ed il comportamento esploratorio nell’ambulatorio. Nelle visite comportamentali ho scelto di osservare sia per il gruppo dei cani sia per quello dei gatti: le manifestazioni organiche dirette, l’ipervigilanza, la variazione delle quantità di cibo e di acqua ingerite, il comportamento eliminatorio, il sonno, il comportamento di aggressione, il comportamento esploratorio, il gioco, la ricerca del contatto con i proprietari, il comportamento di seguire i proprietari dovunque. Inoltre, per i cani, le deiezioni sociali ed i valori della griglia ETEC e per i gatti la Rolling Skin Sindrome, il comportamento somestesico e il cambiamento del luogo di riposo. Risultati: Ho messo in evidenza l’importanza di ciascuna modificazione (esprimendola in %). Queste le variazioni più rilevanti: nei cani, nel 70% dei casi diminuisce e scompare l’aggressione predatoria, nel 60% scompare il comportamento del gioco, nel 60% diminuisce il comportamento esploratorio e nel 50% scompaiono l’aggressione per irritazione e gerarchica e si osserva un aumento inferiore ai 10 punti dei valori della griglia ETEC. Nei gatti, nell’80% dei casi, scompaiono l’aggressione predatoria ed il comportamento di marcatura facciale sugli esseri viventi. Sempre nell’80% dei casi si manifesta l’ipervigilanza ed aumentano le manifestazioni organiche dirette. Nel 60% scompare il gioco e scompaiono anche le marcature e le aggressioni per irritazione e territoriale. Nel 60% dei casi aumentano: il sonno, la ricerca del contatto fisico ed il comportamento di seguire i proprietari. Tutti gli altri comportamenti considerati hanno avuto modificazioni, ma meno rilevanti. Conclusioni: La ricerca mette in evidenza che le popolazioni sia dei cani sia dei gatti non sono in grado di ben gestire l’ambiente nei quattro mesi successivi alla perdita della vista. Inoltre cambia anche il rapporto con il proprietario. Diminuiscono notevolmente i comportamenti esploratorio e di aggressione, si manifesta l’ipervigilanza, il comportamento del gioco scompare, aumenta la ricerca del contatto fisico, aumenta il sonno. Le due popolazioni riescono comunque a costruire una mappa dell’ambiente sufficiente ad orientare le deiezioni. Gli animali mettono in atto dei meccanismi di adattamento che permettono di recuperare l’handicap. Sembra che gli animali che all’inizio hanno le più forti manifestazioni emozionali abbiano maggiori difficoltà di adattamento, mentre si adattano meglio quegli animali che hanno, all’inizio, manifestazioni emozionali più attenuate. Può essere quindi opportuno per il Medico Veterinario valutare la prescrizione di un farmaco ansiolitico per aiutare l’animale a diminuire lo stress dovuto alla perdita della vista. Bibliografia B. CLERC, 1997. Ophtalmologie Vétérinaire, 2 éditions, Edition du Point Vétérinaire. C. ARPAILLANGE, Mai 2000. Le développement du chat et ses troubles, Ethologie des animaux domestiques et Pathologie du comportement des animaux familiers, Ecole Vétérinaire de Toulouse. C. PERUCCIO, F. MONTI, A. SOLARINO, 1985. Atlante di oftalmologia veterinaria, C. G. Edizioni Medico Scientifiche s.r.l., Torino. DANCHIN, 1983. Les gauchers, la testostérone et la dyssimétrie du cerveau, La Recherche n° 140, pp 110 – 111. D. HOFFMAN, 1984. L’interprétation de ce qui est vu, Pour la Science, pp 12- 18. D. SCHMIDT – MORAND, 1992. La vision dans le règne animal, Veterinary International, n° 1, pp 1 – 32. E. C. FELDMAN, R. W. NELSON, 1998. Endocrinologia e riproduzione del cane e del gatto, seconda edizione, UTET. E. GUAGUERE, P. PRELAUD, 1999. Guida pratica di dermatologia felina, MERIAL. E. H. LAND, La théorie rétinex de la vision des couleurs. G. GAINOTTI, 1987. L’héminégligence, La Recherche n° 187, pp 476 – 482. GECAF, 2001. Cours de base de GECAF. ISRAEL, 1995. La mémoire du déplacement, Pour la Science n° 216, pp 35. J. CASTON, 1993. Psycho – physiologie, Tome 1, pp 83 - 119; Editions Ellipses. J. DEHASSE, Mai 2000. Sémiologie comportementale du chat, Ethologie des animaux domestiques et Pathologie du comportement des animaux familiers, Ecole Vétérinaire de Toulouse. M. ANDOLFI, 1977. La terapia con la famiglia, Casa Editrice Astrolabio, Ubaldini Editore, Bologna. M. BERGER, 1995. Le travail thérapeutique avec la famille, DUNOD, Paris. M. JEANNEROC, 1981. Le contrôle de l’œil sur le geste, La Recherche n° 120, pp 376 – 378. O. CHAMBON, M. MARIE – CARDINE, 1999. Les bases de la psycho – thérapie. DUNOD, Paris. P. PAGEAT, 1998. Pathologie du comportement du chien, 2 éditions, Edition du Point Vétérinaire. P. WATZLAWICK, J. H. BEAVIN, DON D. JACKSON, 1971. Pragmatica della comunicazione umana, Casa Editrice Astrolabio, Ubaldini Editore, Bologna. ROSENZWEIG, LEIMAN, BREEDLOVE, 1998. Psychobiologie, Neurosciences & cognition, chapitre 8; De Boeck Université. ROSENZWEIG, LEIMAN, BREEDLOVE, 1998. Psychobiologie, Neurosciences & cognition, chapitre 10; De Boeck Université. T. POGGIO, 1984. Vision humaine te vision par ordinateur, Pour la Science, pp 48 - 58 KIRK, N. GELATT & all, 2001. Enrofloxacin-associated retinal degeneration in cats, Veterinary Ophthalmology, pp 4,2,99 – 106.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

385

CLASSIFICAZIONE, ASPETTO CLINICO E RADIOGRAFICO, E TRATTAMENTO DELLE CISTI E DEI TUMORI ODONTOGENICI PIÙ COMUNI DEL CANE E DEL GATTO Gracis Margherita, Med Vet, Dipl AVDC, Dipl EVDC Libero professionista, Milano I tumori e le cisti odontogeniche sono lesioni che derivano da un’aberrazione dei processi embriologici di formazione delle strutture dentali. Nella classificazione della World Health Organization basata sui tessuti di origine delle lesioni, i tumori vengono suddivisi in benigni e maligni. I tumori maligni sembrano essere estremamente rari nel cane e nel gatto, ed includono i carcinomi, i sarcomi e i carcinosarcomi. I tumori benigni sono invece più frequenti, e comprendono le neoplasie ad origine dall’epitelio odontogenico, senza componente mesenchimale (per es. l’ameloblastoma e l’Amiloyd-Producing Odontogenic Tumor o APOT); le neoplasie ad origine mista (dall’epitelio e dall’ectomesenchima odontogenico), con o senza la formazione di tessuti dentali duri (per es. l’odontoma complesso e composto, e il Feline Inductive Odontogenic Tumor o FIOT); e le neoplasie ad origine mesenchimale, con o senza tessuto epiteliale odontogenico (per es. il fibroma odontogenico periferico). La diagnosi è basata sull’aspetto clinico e radiografico, oltre che sull’esame istopatologico. Tra i tumori più frequenti nel cane annoveriamo l’ameloblastoma acantomatoso canino (AAC) (precedentemente denominato “epulide acantomatosa”) e il POF (comprendente i tumori chiamati in passato “epulidi fibromatose e ossificanti”). L’AAC è caratterizzato da una superficie irregolare, di colore rosato, facilmente sanguinante, ed è localmente invasivo e spesso localizzato nelle zone mandibolari rostrali. Radiograficamente aree di radiotrasparenza si alternano a zone ad opacità mista, i margini sono poco definiti e a volte presenta un aspetto multiloculare. Chemio e radioterapia sono state riportate come possibilità terapeutiche, ma l’escissione chirurgica ampia rimane la terapia d’elezione. Il POF origina dalle cellule del legamento parodontale. Ha solitamente un aspetto peduncolato, a livello del margine gengivale, ed ha superficie liscia. Non essendo localmente invasivo causa solo segni radiografici lievi, dati dalla dislocazione dei denti adiacenti e da una certa radiopacità della massa se vi è un aumento del contenuto minerale. Il trattamento prevede l’escissione chirurgica della massa accompagnata dall’estrazione del dente interessato e dalla rimozione delle fibre parodontali dalle pareti alveolari. L’odontoma non è mai stato riportato nel gatto. È considerato un amartoma e non un tumore. È caratterizzato dalla formazione di tutti i tessuti dentali. Radiograficamente possono essere visibili denticoli radiopachi all’interno della massa. L’APOT colpisce sia cani che gatti, ma in maniera estremamente rara. Si può presentare clinicamente come una massa gengivale. Non è localmente invasivo ma può causare lisi ossea per espansione. Il FIOT è un tumore che colpisce esclusivamente i gatti giovani, nelle zone mascellari rostrali. Può essere invasivo e causare osteolisi. L’escissione chirurgica è il trattamento d’elezione per l’odontoma, l’APOT e il FIOT. Quest’ultimo richiede un margine di almeno 1 cm. Tra le cisti odontogeniche riconosciute dalla classificazione della WHO, solo le cheratocisti, le cisti dentigere e un caso di cisti radicolare sono state riportate nel cane. Le cisti dentigere si sviluppano intorno alla corona di un dente permanente non erotto. Possono essere dolorose e causano lisi ossea per compressione. Le cheratocisti contengono cheratina e possono avere un comportamento aggressivo. Le cisti radicolari originano a livello periapicale in seguito a stimoli infiammatori generalmente causati dall’estensione di processi patologici endodontici. Le cisti sono radiograficamente radiotrasparenti, a margini ben definiti, uniloculari e vanno rimosse chirurgicamente poiché possono dare origine a tumori maligni.

Bibliografia Anderson JG, Harvey CE: Odontogenic cysts. J Vet Dent 10: 5-9, 1993. Colgin LMA, Schulman FY, Dubielzig RR: Multiple epulides in 13 cats. Vet Pathol 38: 227-229,2001 Gardner DG: An orderly approach to the study of odontogenic tumors in animals. J Comp Pathol 107: 427-438, 1992. Gardner DG, Baker DC: The relationship of the canine acanthomatous epulis to ameloblastoma. J Comp Pathol 108: 47-55, 1993. Gardner DG, Dubielzig RR McGee EV: The so-called calcifying epithelial odontogenic tumour in dogs and cats:(amyloid-producing odontogenic tumour). J Comp Pathol 111:221-230,1994. Gardner DG: Ameloblastomas in cats: a critical evaluation of the literature and the addition of one example. J Oral Pathol Med 27: 39-42,1998. Gardner DG, Baker DC: Fibromatous epulis in dogs and peripheral odontogenic fibroma in human beings; two equivalent lesions. Oral Surg, Oral Med, Oral Pathol 71: 317-21,1991. Gardner DG, Dubielzig, RR: Feline inductive odontogenic tumor (inductive fibro-ameloblastoma): a tumor unique to cats. J Oral Pathol Med 24: 185-190,1995. Kramer IRH, Pindborg JJ; Shear M: Histological typing of odontogenic tumours. 2nd ed. Springer Verlag, Berlin, 1992. Poulet FM, Valentine BA, Summers BA: A survey of epithelial odontogenic tumors and cysts in dogs and cats. Vet Pathol 29: 369-380, 1992. Verstraete FJM, Ligthelm AJ, Weber A: The histological nature of epulides in dogs. J Comp Path 106: 169-182, 1992.


386

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

SINOVITE STENOSANTE DEL MUSCOLO ABDUTTORE LUNGO DEL POLLICE Grundmann Stefan Dr. Med. Vet. ECVS; Muntavon Pierre M., Prof. Dr. Med. Vet.; Koch Daniel, Dr. Med. Vet. ECVS Small Animal Surgery Clinic, University of Zurich, Svizzera Introduzione: La zoppia cronica dell’arto anteriore in cani con una tumefazione dura sulla faccia mediale dell’articolazione antibrachiocarpica può essere causata da una tenosinovite del muscolo abduttore lungo del pollice (APL). L’estesa frizione provoca un ispessimento fibrotico della guaina tendinea, associato a dolore e compromissione funzionale. Noi ipotizziamo che la causa primaria della malattia sia l’eccessiva tensione del tendine, che conduce successivamente all’infiammazione. In tutti i casi cronici sono poi presenti delle proliferazioni delle strutture ossee che compromettono ulteriormente il libero movimento di scorrimento del tendine. Fra il 1995 ed il 2000, presso l’Università di Zurigo questa condizione è stata diagnosticata e trattata in 10 pazienti. In altri 12 casi la malattia è stata sospettata in base a radiografie inviate all’Università che presentavano i caratteristici segni clinici. In nessuno dei nostri pazienti la malattia era correlata ad un danno diretto, nonostante la localizzazione esposta del tendine al di sopra del processo stiloideo del radio. Diagnosi: I cani colpiti sono principalmente rappresentati da soggetti di grossa taglia di varie età. Tutti questi animali mostrano zoppia di grado differente, che raggiunge la massima gravità dopo il riposo e viene esacerbata dall’esercizio fisico intenso. Gli arti colpiti mostrano costantemente una tumefazione dura situata medialmente all’articolazione antibrachiocarpica. Il carpo mostra vari gradi di restrizione della mobilità e risulta dolente alla flessione passiva in tutti i casi. Con il cronicizzare della malattia si osservano alterazioni radiografiche. A livello della faccia dorsomediale del processo stiloideo del radio, nell’area del canale fibroosseo del muscolo abduttore lungo del pollice, sono presenti proliferazioni ossee. La gravità di questi riscontri non è correlata ai segni clinici. A causa dello scarso accumulo di fluidi, la paracentesi e le indagini ecografiche non sono risultate sinora utili. Terapia: Inizialmente, si pratica un’iniezione di corticosteroidi nella guaina tendinea del muscolo abduttore lungo del pollice. La parte mediodistale del radio al di sopra della tumefazione viene tosata e preparata asetticamente. Si fa avanzare un ago da 24 G in direzione prossimale, al di sotto del solco tendineo palpabile lungo la guaina tendinea. Mentre si retrae l’ago seguendo il percorso della guaina stessa, si iniettano 0,5 ml di metilprednisolone acetato (40 mg/ml) e si pratica il massaggio dell’area di infiltrazione per distribuire il farmaco. Il carpo viene immobilizzato con una stecca per tre settimane. Se si osserva un miglioramento clinico, il trattamento viene ripetuto. Se invece non si ha alcun progresso durante le prime tre settimane, o se i risultati sono ancora insoddisfacenti dopo un secondo trattamento, si raccomanda la liberazione chirurgica del tendine. Per l’intervento, il paziente viene posto in decubito laterale. L’abduttore lungo del pollice origina sotto forma di un robusto muscolo triangolare sulla superficie laterale di radio, ulna e membrana interossea. Il suo tendine terminale è racchiuso in una guaina sinoviale, che attraversa il tendine del muscolo estensore radiale del carpo e supera il solco mediale del radio sotto il legamento collaterale mediale. Il tendine del muscolo abduttore lungo del pollice viene esposto attraverso un’incisione cutanea longitudinale lungo il processo stiloideo del radio. Dopo una dissezione per via smussa, si identifica il tratto terminale del tendine. La guaina sinoviale ispessita viene incisa longitudinalmente per visualizzare il tendine. Le reazioni tissutali fibrose ed ossee vengono sottoposte ad un’estesa escissione fino a consentire al tendine di scorrere liberamente. Nel periodo postoperatorio si applica un bendaggio di Robert Jones modificato e si limita l’attività alle passeggiate al guinzaglio per tre settimane. Prognosi: Secondo la nostra esperienza, i cani con segni clinici acuti possono essere trattati con successo mediante iniezione locale di steroidi ed immobilizzazione. Nei casi cronici si può ottenere una completa risoluzione delle manifestazioni cliniche mediante estesa resezione della guaina tendinea colpita e del tessuto connettivo fibroso circostante. In alcuni casi, la zoppia non è scomparsa completamente.

Bibliografia S. Grundmann, P.M. Montavon (2001): Stenosing tenosynovitis of the abductor pollicis longus muscle in dogs. Vet. Comp. Orthop. Traumatol. 14, 95-100.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

387

LA QUERCETINA PROTEGGE I CONDROCITI ARTICOLARI DI CANE DAL DANNO OSSIDATIVO Fabris Michele, Dalle Carbonare Maurizio, Leon Alberta Research & Innovation - Laboratori di ricerca e sviluppo in ambito biomedico e farmaceutico Introduzione: I radicali liberi dell’ossigeno (ROS) sono da tempo considerati veri e propri mediatori di danno tissutale in numerose patologie, compresa l’artrosi, un disordine caratterizzato da una lenta e progressiva degenerazione della cartilagine articolare. I condrociti, essendo immersi in una matrice non vascolarizzata, sono esposti ad una pressione parziale di ossigeno assai ridotta e possiedono un metabolismo prevalentemente anaerobico. Conseguentemente, queste cellule sono particolarmente sensibili al danno indotto dai radicali liberi dell’ossigeno (ROS). È, inoltre, noto che la produzione di ROS da parte dei condrociti contribuisce alla degradazione della matrice cartilaginea. I flavonoidi (come ad esempio quercetina, rutina, ecc.) rappresentano un gruppo di fito-polifenoli, cioè polifenoli di origine vegetale, cui vengono attribuiti numerosi effetti terapeutico-preventivi, compreso quello antinfiammatorio. I flavonoidi, inoltre, possiedono attività antiossidante e per questo vengono ritenuti utili nel trattamento medico dell’artrosi. Ciononostante, l’efficacia antiossidante dei flavonoidi è stata studiata prevalentemente servendosi di test “cell-free”, cioè mediante esperimenti di natura biochimica, condotti in assenza di cellule. Sono pochi gli studi sui flavonoidi eseguiti utilizzando sistemi cellulari. In questo studio, abbiamo valutato la capacità della quercetina di ridurre il danno ossidativo in colture di condrociti articolari di cane. Materiali e metodi: Le colture cellulari sono state ottenute a partire da campioni autoptici di cartilagine articolare prelevati da cani adulti sani. Il danno ossidativo è stato indotto esponendo le cellule a perossido di idrogeno (acqua ossigenata H2O2, 500 microM) in presenza o assenza di quercetina (10-100 microM) per 2 ore. La vitalità cellulare è stata valutata 24 ore dopo mediante il metodo del MTT. Risultati: Mentre l’esposizione dei condrociti alla sola H2O2 uccideva circa il 70% delle cellule, l’esposizione congiunta ad H2O2 e quercetina riduceva significativamente ed in modo dose-dipendente la percentuale di morte cellulare. La quercetina da sola (senza H2O2) non aveva alcun effetto. Conclusioni: Nell’insieme questi risultati non solo confermano l’efficacia antiossidante della quercetina, ma forniscono ulteriore sostegno alla validità dei flavonoidi nell’artrosi del cane. Ringraziamenti: Si ringrazia IOVA (Innovet Osteoarthritis Veterinary Association) per aver fornito il contributo indispensabile alla realizzazione di questo studio.

Bibliografia essenziale Burkhardt H., Schwingel M., Menninger H., Macartney H.W., Tschesche H., 1986, Oxygen radicals as effectors of cartilage destruction, Arthritis and Rheumatism, 29: 379-387 Tiku M.I., Yan P.Y., Chen K.Y., 1998, Hydroxyl radical formation in chondrocytes and cartilage as detected by electron paramagnetic resonance spectroscopy using spin trapping reagents, Free Radical Research, 29: 177-187 Spreng D., Sigrist N., Jungi T., Busato A., Lang J., Pfister H., Schawalder P., 2000, Nitric oxide metabolite production in the cranial cruciate ligament, synovial membrane, and articular cartilage of dogs with cranial cruciate ligament rupture, American Journal of Veterinary Research, 61(5): 530-536 Tiku M.L., Gupta S., Deshmukh D.R., 1999, Aggrecan degradation in chondrocytes is mediated by reactive oxygen species and protected by antioxidants, Free Radical Research, 30: 395-405 Catapano A.L., 1997, Antioxidant effect of flavonoids, Angiology, 48(1): 39-44 Ng T.B., Liu F., Wang Z.T., 2000, Antioxidative activity of natural products from plants, Life Sciences, 66(8): 709-723 Middleton E., 1998, Effect of plant flavonoids on immune and inflammatory cell function, Advances in Experimental Medicine and Biology, 439: 175-182 Skaper SD, Fabris M, Ferrari V, Dalle Carbonare M, Leon A., 1997, Quercetin protects cutaneous tissue-associated cell types including sensory neurons from oxidative stress induced by glutathione depletion, Free Radic Biol Med, 22(4):669-78


388

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

INDAGINE EZIOLOGICA SUL PIOTORACE DEL CANE IN ITALIA Ugo Lotti Med Vet Monsummano Terme (PT) In questo lavoro vengono descritti 77 casi di piotorace, visitati e curati presso la Clinica Veterinaria Valdinievole nel periodo di tempo che va dall’anno 1993, all’anno 2002, valutandone gli aspetti anamnestici, clinici, terapeutici e quindi estrapolandone l’eziologia. La maggioranza di questi casi furono gestiti da fine luglio a fine ottobre di ciascun anno e solo una minoranza si sono verificati in altri periodi dell’anno. Trattasi di quasi tutti (72 su 77) cani da caccia o da gare di caccia (field trailers) e comunque tutti (77 su 77) hanno corso o sono stati su campi di erba durante il periodo estivo, precedente alla visita effettuata da noi o dai colleghi che ci hanno riferito i casi. L’età media dei pazienti era di 3-4 anni con estremi da 1 a 8 anni.L’anamnesi riferisce che i segni clinici più comuni nel periodo precedente alla visita sono stati: 1) Tosse acuta, cioè che dopo pochi giorni è scomparsa (25 su 77) – 2) Tosse cronica quindi che è rimasta per più di tre settimane (35 su 77) – 3) Febbre di origine sconosciuta, sensibile agli antibiotici, che precede di 4-5 settimana la comparsa del piotorace (25 su 77) – 4) Leucocitosi in corrispondenza della febbre di origine sconosciuta, (20 su 20 leucogrammi eseguiti). All’esame fisico furono rilevati i seguenti segni: 1) Febbre (70 su 77) – 2) Disidratazione da moderata a grave (70 su 77) – 3) Dispnea a riposo (73 su 77). Gli esami di laboratorio eseguiti su tutti i 77 pazienti affetti da piotorace hanno mostrato esiti che vanno da un’anemia da infiammazione cronica (74 su 77), leucogramma infiammatorio con grave leucocitosi (35 su 77), iperfibrinogenemia marcata (≥ 500 mg/dl) (42 su 45 eseguiti), in 35 casi è stata eseguita una emogasanalisi arteriosa che ha rilevato una costante diminuzione della pO2 (35 su 35). A tutti i cani è stato fatto un esame radiografico del torace che ha permesso di fare la diagnosi di versamento toracico, l’evidenza radiografica di versamento bilaterale si è verificata in 52 su 55 casi cui è stata eseguita la radiografia in due proiezioni.. La citologia del fluido raccolto mediante toracentesi, è stata eseguita su tutti i campioni a conferma della diagnosi di piotorace (aumento delle proteine totali, della conta cellulare e della presenza quasi esclusiva di neutrofili, alcuni anche con batteri nel citoplasma. Le colture batteriche aerobie, eseguite in 30 casi, hanno dato esito negativo. In 10 casi su 77, con la colorazione di Gram positiva è stato possibile trovare Nocardia spp.o Actinomyces spp. differenziandoli con la colorazione di Ziel-Nielsen (Nocardia spp. positiva, Actinomyces spp. Negativo). Sono stati trattati con solo terapia antibiotica, 15 su 77 casi, perché i proprietari non sono stati disponibili a fare altro, di questi 15, 11 cani sono morti a varie distanze temporali dall’inizio della terapia, dei 4 rimasti si è perso il “follow-up”. 56 cani su 77 hanno subito, come terapia iniziale, un drenaggio mono o bilaterale del torace, associato a terapia di supporto con fluidi ed antibiotici. I rimanenti 6 cani, dato che erano stabili e c’era un’anamnesi di pleurite essudativa si è deciso di procedere con una toracotomia senza prima drenare il torace come nei casi precedenti. Dei 56 cani drenati, 28 sono stai sottoposti a toracotomia, quindi il totale dei cani operati al torace è stato di 34 (28 + 6), mentre il totale dei cani solo drenati è stato di 28. Dei 34 cani toracotomizzati, 8 sono deceduti, 4 durante la chirurgia e 4 dopo e dei 26 rimasti 21 stanno bene ad almeno due anni dall’intervento e di cinque non abbiamo il “follow-up” ed in 19 cani (su 34) è stato trovato un corpo estraneo vegetale all’interno della cavità pleurica. Dei 28 cani solo drenati (senza toracotomia), in 7 è stato eseguita una toracoscopia ed in 3 casi (su 7) è stato estratto il corpo estraneo, quindi su 77 casi di piotorace nel cane è stato possibile dimostrare l’eziologia da corpo estraneo vegetale migrante in 22 casi. Di questi 22 casi in cui è stato trovato il corpo estraneo, 2 sono morti durante o dopo la chirurgia, di due si è perso il “follow-up” e i rimanenti 18 sono guariti definitivamente (follow-up di almeno 1 anno) In conclusione si può affermare, basandosi sui 77 casi descritti, che la causa più comune del piotorace del cane in Italia, sia la migrazione di un corpo estraneo vegetale, mentre il trattamento più affidabile sia il drenaggio del torace associato alla toracotomia. Bibliografia Lotti U, Lubas G, Sacchini F, Furlanello T, Occurence of pyothorax in dogs living in Italy. Clinical experience in 55 cases. Atti ESVIM 2001, Dublino. Lotti U, Niebauer G, Tracheobronchial foreign bodies of plant origin in 153 hunting dogs. Compendium of Continuing Education 14:900, 1992. Turner, Breznock, Continuous suction drainage for management of canine pyothorax. A retrospective study. Journal of American Animal Hospital Association, 1987. Frendin J, Gresko e coll., Thoracic and abdominal wall swelling in dogs caused by foreign body. Journal of Small Animal Practice, 1983. Brenna KE, Ihrke PJ, Grass awn migration in dogs and cats: a retrospective study of 182 cases. Journal of American Veterinary Medical Association, 1983. Frendin J, Pyogranulomatous pleuritis with empyema in huntinjg dogs. Zentralbl Veterinarmed A. 1997, May, 44(3); 167-78. Frendin J, Obel N Catheter drainage of pleural collections and pneumothorax. Journal of Small Animal Practice, 1997 June; 38(6);237-42. Piek C J, Robben J H, Pyothorax in nine dogs. Vet Quarterly, 2000; April; 22(2); 107-111.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

389

LA DARTROPLSATICA DI SLOCUM NEL TRATTAMENTO DELLA DISPLASIA DELL’ANCA DEL CANE: ESPERIENZA CLINICA Gianluca Magni Med Vet Libero professionista, Reggio Emilia Introduzione: La displasia dell’anca è una patologia dell’accrescimento che affligge cani di molte razze di taglia media, grande e gigante. La patologia inizia il suo sviluppo nei primi mesi di vita e con la crescita si verifica un peggioramento in funzione della sua gravità e del tempo trascorso. La diagnosi precoce della displasia permette di poter arrestarne lo sviluppo con adeguati trattamenti chirurgici quando la degenerazione artrosica non è ancora iniziata e quando è caratterizzata da un’aumentata inclinazione del bordo acetabolare dorsale con sublussazione delle teste femorali (DAR, dorsal acetabular rim): in tali condizioni la triplice osteotomia pelvica (TPO) si è dimostrata in grado di arrestare l’evoluzione della malattia e della conseguente artrosi. Quando invece la malattia nel cane in accrescimento è già progredita e sono comparse le tipiche alterazioni artrosiche, quali la deformazione dei bordi acetabolari craniale e dorsale, il riempimento acetabolare, l’appiattimento delle teste femorali e formazione di osteofiti, la TPO non è più indicata in quanto il processo degenerativo ha ormai danneggiato irrimediabilmente il bordo acetabolare dorsale. In tali condizioni, dove la testa femorale si articola in buona misura fuori dall’acetabolo, sulla capsula articolare ispessita da un processo di fibrosi cronica, e dove, nonostante la degenerazione artrosica in atto, permane ancora un buon rivestimento cartilagineo dei capi articolari, trova indicazione la tecnica di acetaboloplastica descritta da Slocum e definita DARtroplastica. Essa consiste in un trapianto osseo autologo sul bordo acetabolare dorsale al fine di aumentarne la capienza e poter meglio contenere la testa femorale sublussata. L’intervento non è in grado di impedire l’evoluzione artrosica ormai iniziata, ma conferisce un supporto osseo alla testa femorale eliminando il continuo stiramento capsulare e permettendo un miglior carico ponderale. Tecnica chirurgica: Sul cane in decubito laterale si esegue un accesso caudale all’articolazione dell’anca; si scontinua il legamento sacrotuberoso al fine di evitare che il nervo sciatico, sollevato dal trapianto osseo, possa trovarsi intrappolato sotto questo legamento e si scolla la capsula articolare dal muscolo gluteo profondo e dai muscoli gemelli ed otturatore interno; identificato il margine laterale del bordo acetabolare dorsale lo si scheletrizza dorsalmente all’inserzione capsulare e si esegue una osteostissi di tutto l’arco acetabolare dorsale per favorire poi l’attecchimento del trapianto osseo. Si esegue quindi un accesso all’ala dell’ileo da cui, con un’apposita sgorbia, si prelevano dei lembi ossei cortico-spongiosi e spongiosi, senza penetrare nella corticale mediale dell’ala. Confezionati alcuni lembi ossei cortico-spongiosi in modo da formare una piastra curva che si adatti alla forma del bordo acetabolare dorsale, essa viene inserita sopra la capsula articolare e sotto il muscolo gluteo profondo, i gemelli e l’otturatore interno, fissata con una sutura alla capsula stessa; altri lembi ossei cortico-spongiosi e spongiosi vengono inseriti a strati e trattenuti in sede da una sutura tra il muscolo gluteo e il muscolo otturatore interno. La chiusura delle brecce operatorie conclude l’intervento. Esperienza clinica: Da gennaio 1999 a dicembre 2002 sono stati trattati 94 cani affetti da displasia d’anca e sottoposti a trattamento chirurgico mono o bilaterale con tecnica di DARtroplastica originale secondo Slocum, per un totale di 168 interventi. L’età dei soggetti era compresa tra i 6 ed i 13 mesi e di ogni cane sono stati raccolti i dati relativi agli aspetti radiografici nelle proiezioni ventro-dorsale con arti estesi, ventro-dorsale con arti a rana e DAR, al segno di Ortolani ed agli angoli di riduzione e di sublussazione. I cani operati sono stati seguiti dopo 3 e 6 mesi con una valutazione clinica e radiografica. I dati preliminari indicano che ai controlli dopo 3 e 6 mesi, nonostante il riscontro di un quadro artrosico, si evidenziava costantemente un aumento delle masse muscolari degli arti pelvici, un’attività motoria aumentata e una piena soddisfazione dei proprietari.


390

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

FINESTRA AORTICOPOLMONARE IN UN CANE Margiocco Marco L.* Med Vet; Domenech Oriol# Med Vet; Bussadori Claudio# MD, Med Vet, Dipl. ECVIM-CA (Cardiology) * Libero professionista, Genova; #Libero professionista, Milano La Finestra Aorticopolmonare (APW) consiste in una comunicazione anomala fra Aorta ed Arteria Polmonare. Rappresenta una rara patologia congenita che coinvolge l’origine dei grandi vasi arteriosi al disopra delle rispettive valvole semilunari, le quali risultano normali e distinte, e questo permette di differenziarla dal Truncus Arteriosus. In medicina umana sono stati descritti circa 300 casi (0,15% di tutte le cardiopatie congenite); in medicina veterinaria esistono 4 casi descritti nel cane (Eyster, 1975; Lombard, 1978; Nelson, 1986; Guglielmini, 2001) ed 1 nel gatto (Will, 1969). Nell’uomo compare in forma isolata nel 50% dei casi. Nelle forme associate è segnalata assieme ad Interruzione dell’Arco Aortico, Tetralogia di Fallot, difetti settali atriali o ventricolari, Coartazione dell’Aorta, origine anomala aa. coronarie, PDA, SSA, Atresia della Tricuspide, ed altre. Il caratteristico soffio continuo è auscultabile in meno del 50% dei pazienti umani, mentre più frequentemente si rileva soffio sistolico basale sx. Tipicamente il difetto è di dimensioni notevoli, causa uno shunt sinistro-destro grave che determina insufficienza cardiaca congestizia e/o ipertensione polmonare. Caso clinico: Un cane pastore tedesco maschio di 9 mesi, 32 kg, asintomatico, viene riferito dopo il riscontro radiografico di cardiomegalia (VHS 13,5). All’esame fisico erano evidenti precordio e polso iperdinamici, murmure vescicolare rinforzato e soffio continuo basale sinistro con componente diastolica scarsamente udibile. L’esame radiografico del torace mostrava aumento dei diametri longitudinale e trasversale della silhouette cardiaca, ingrandimento moderato dell’area di proiezione dell’atrio sx, aumento delle dimensioni dei vasi venosi ed arteriosi polmonari (pattern da “overcirculation”) e un pattern polmonare interstiziale ed alveolare. L’esame ecocardiografico metteva in evidenza un notevole aumento delle dimensioni del ventricolo sinistro (EDV-I: 329 ml/mq) in assenza di insufficienza mitralica ed aortica significative o difetti settali. In arteria polmonare era presente un flusso retrogrado continuo. In scansione parasternale dx asse corto leggermente obliqua, al disopra dei seni di Valsava, appariva una interruzione della parete aortica attraversata da un flusso turbolento anterogrado. I dati dell’ecocardiografia transtoracica permettono di ipotizzare la presenza di uno shunt sx-dx localizzato alla base cardiaca (Qp/Qs: 3,13). Veniva eseguita una angiografia selettiva che mostrava come il mezzo di contrasto iniettato nel ventricolo sinistro, passasse dall’Aorta Ascendente all’Arteria Polmonare, attraverso una comunicazione ampia, portando alla diagnosi di Finestra Aorticopolmonare. Il proprietario richiese l’eutanasia. La necroscopia confermò la diagnosi. Discussione: si descrive una rara cardiopatia congenita che presenta notevoli analogie cliniche ed emodinamiche con la persistente Pervietà del Dotto Arterioso, dalla quale deve essere differenziata in quanto le possibilità di correzione chirurgica sono assai diverse fra le due patologie. Come in medicina veterinaria, anche in medicina umana l’ecocardiografia transtoracica non permette la diagnosi di APW nel 100% dei casi. In quasi tutti i casi clinici riportati nell’uomo sono stati effettuati studi angiografici, che permettono di giungere ad una diagnosi anatomica e funzionale precisa e di ottenere informazioni emodinamiche utili, quali ad esempio le pressioni polmonari, per la scelta dell’approccio chirurgico opportuno.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

391

IL RIEQUILIBRIO DELL’IPER-REATTIVITÀ MUCOSALE NELLE PARODONTOPATIE DEL GATTO Miolo Alda CeDIS (Centro di Documentazione e Informazione Scientifica) Innovet Italia srl Le malattie infiammatorie della mucosa oro-gengivale o parodontopatie (gengiviti, stomatiti, periodontiti) sono tra i problemi di maggior riscontro nella pratica ambulatoriale quotidiana, potendo colpire più dell’85% di cani e gatti oltre i tre-quattro anni di età. Scatenate da fattori locali - placca e tartaro in particolare - e sistemici (es. FIV/FELV), le parodontopatie si accompagnano a svariati sintomi (es. alitosi, ptialismo, disfagia, dolore, incapacità ad alimentarsi, caduta dei denti) ed ai classici segni dell’infiammazione mucosale, con arrossamento gengivale, edema ed erosioni/ulcerazioni per disepitelizzazione focale e/o diffusa. Nel gatto, in particolare, le parodontopatie assumono specifiche caratteristiche cliniche, potendo configurarsi come: a) gengivite-stomatite linfocitica-plasmacitica o stomatite cronica felina, molto probabilmente scatenata da un’ipersensibilità alla placca; e b) lesioni da riassorbimento osteoclastico (FORL, feline odontoclastic resorptive lesions), solitamente a carico della giunzione cemento-smalto (neck lesions) o del legamento periodontale. Ad oggi, la terapia delle parodontopatie nel gatto rappresenta un problema molto serio, sia perché l’estrazione completa di tutti i denti è, molto spesso, l’unica opzione risolutiva, sia per l’inefficacia di misure mediche e chirurgiche nel contrastare la comparsa di recidive. Scopo della presente comunicazione è quello di valutare il possibile utilizzo nelle parodontopatie del gatto di un particolare Nacil-lipide, noto con la Denominazione Comune Internazionale (DCI) di Adelmidrol ed appartenente a quella classe di sostanze collettivamente definite ALIAmidi, il cui capostipite è il Palmidrol, già utilizzato con successo nel trattamento delle allergie feline. Il presupposto su cui si basa l’utilizzo dell’Adelmidrol in corso di parodontopatia è che, come ampiamente confermato dalla letteratura, l’infiammazione del cavo orale è da considerarsi una condizione di franca iper-reattività distrettuale, sostenuta principalmente da un eccessivo tono degranulatorio dei mastociti locali. Capaci di superficializzare nell’epitelio mucosale e di venire attivati da un eccesso di stimoli disreattivi, i mastociti vanno incontro ad un’incontrollata e massiva degranulazione, liberando una pletora di mediatori responsabili dell’innesco e della perpetuazione della risposta infiammatoria locale. Adelmidrol, grazie ad uno specifico meccanismo di modulazione biologica identificato con l’acronimo ALIA (Autacoid Local Injury Antagonism), si è dimostrato in grado di ridurre l’eccessivo rilascio di mediatori infiammatori da parte dei mastociti e di altre cellule del sistema immunitario (es. macrofagi, basofili), riportando la soglia di degranulazione entro valori compatibili con l’omeostasi distrettuale. Sulla base di queste considerazioni, la modulazione del tono degranulatorio mastocitario messa in atto dall’Adelmidrol può configurarsi come strategia disease-oriented, mirata cioè a controllare il principale meccanismo – l’iper-reattività mucosale – responsabile delle parodontopatie del gatto e dei segni/sintomi ad esse associati. Il razionale di utilizzo dell’Adelmidrol è, dunque, tale da suggerirne l’impiego, quale complemento alle terapie mediche e chirurgiche tradizionalmente adottate per le parodontopatie del gatto.

Bibliografia essenziale Aloe L, Leon A, Levi-Montalcini R, 1993, A proposed autacoid mechanism controlling mastocyte behaviour, Agents and Actions, 39 (Special issue): C145C147 Harley R, Helps CR, Harbour DA, Gruffydd-Jones TJ, Day MJ, 1999, Cytokine mRNA expression in lesions in cats with chornic gingivostomatitis, Clinical and Diagnostic Laboratory Immunology, 6(4): 471-478 Hawkins J, 2000, Feline gingivostomatitis: when the treatment fails, Proceedings NAVC, Orlando, January 15-19, pp.183-185 Mascres C, 1986, Mastocytes et cavité buccale. Anatomie et fonction, Revue Stomatologique de Chirurgie maxillofaciale, 87(2): 108-114 Pedersen NC, 1992, Inflammatory oral cavity diseases in the cat, Veterinary Clinics of North America: Small Animal Practice, 22(6): 1323-1345 Scarampella F, Abramo F, Noli C, 2001, Clinical and histological evaluation of an analogue of palmitoylethanolamide, PLR 120 (comicronized Palmidrol INN) in cats with eosinophilic granuloma and eosinophilic plaque: a pilot study, Veterinary Dermatology, 12: 29-39 Sonis ST, Peterson RL, Edwards LJ, Lucey CA et al., 2000, Defining mechanisms of action of interleukin-11 on the progression of radiation-induced oral mucositis in hamsters, Oral Oncology, 36(4): 373-381 Walsh LJ, Davis MF, Xu LJ, Savane NW, 1995, Relationship between mast cell degranulation and inflammation in the oral cavity, Journal of Oral Pathology & Medicine, 24: 266-272 Zhao ZZ, Sugerman PB, Walsh LJ, Savane NW, 2001, A fluorometric microassay for istamine release from human gingival mast cells, Journal of Periodontal Research, 36(4): 233-236


392

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

FOSFATIDILSERINA: UN NUOVO APPROCCIO NUTRACEUTICO AL CDS (SINDROME DELLA DISFUNZIONE COGNITIVA) DEL CANE Landsberg Gary* BSc DVM Dipl ACVB; Miolo Alda§ *Libero professionista, Thornhill, Ontario, Canada § CeDIS (Centro di Documentazione e Informazione Scientifica) Innovet Italia srl Il CDS (Cognitive Dysfunction Syndrome), o sindrome della disfunzione cognitiva, è un disordine neurodegenerativo recentemente riconosciuto, che colpisce il cervello del cane anziano e si manifesta con una varietà di segni comportamentali, che vanno dal disorientamento spaziale, alle alterazioni di apprendimento / memoria, dalle modifiche del ritmo sonno-veglia, alle alterate interazioni sociali con le persone o con gli animali. Secondo statistiche americane, negli ultimi 30 anni l’aspettativa di vita media dei cani è quasi raddoppiata: dai 7-8 anni del 1970, ai 10-15 anni di oggi. In funzione di tale allungamento, attualmente negli USA si contano 20 milioni di cani di età superiore ai 7 anni e oltre 1 milione di cani con più di 15 anni. Studi recenti suggeriscono che il 30% dei cani di età compresa tra gli 11 e i 12 anni e quasi il 70% di quelli tra i 15 e i 16 mostrano almeno un segno indicativo di CDS. Per similitudini patogenetiche e cliniche, il CDS è spesso paragonato al morbo di Alzheimer dell’uomo. Analogamente a quanto accade nell’Alzheimer, anche nel CDS si assiste al deposito intracerebrale di placche senili, costituite da proteina beta-amiloide. Recenti evidenze attribuiscono un ruolo patogenetico importante anche a specifici deficit neurotrasmettitoriali (es. calo delle catecolamine, dopamina in particolare; riduzione dei livelli di acetilcolina, minore densità dei recettori muscarinici). Attualmente in Italia nessun farmaco registrato reca il CDS tra le indicazioni autorizzate. La fosfatidilserina (PS) è un’ortomolecola (cioè una sostanza naturalmente presente nell’organismo) di natura fosfolipidica, che costituisce uno dei principali “mattoni da costruzione” delle membrane cellulari. Tra tutte le cellule, i neuroni sono quelle che maggiormente dipendono dalle proprie membrane plasmatiche: tutte le attività neuronali specializzate (generazione e trasmissione degli impulsi, comunicazione sinaptica, ecc...) transitano attraverso questo sofisticato e dinamico doppio strato lipidico che circonda la cellula ed i suoi prolungamenti (assoni e dendriti). 30 anni di studi in vitro e in vivo hanno dimostrato che la PS non solo facilita quelle attività neuronali che dipendono dalla membrana cellulare (mantenimento dell’ambiente interno, trasduzione del segnale, rilascio di vescicole secretorie, ecc...), ma è anche in grado di ripristinare i corretti livelli di neurotrasmettitori (es. acetilcolina, dopamina), normalizzare la densità dei recettori neuronali (es. recettori muscarinici, recettori dell’NGF), ed intervenire, da un punto di vista macroscopico, sui segni tipici del deficit cognitivo, con miglioramento delle capacità mnemoniche, di orientamento, di apprendimento e di comportamento sociale. All’efficacia come nootropo (sostanza dotata di effetti positivi sulle funzioni cerebrali), la PS associa un’ottima biodisponibilità dopo somministrazione orale (confermata da un recente studio sulla cinetica di assorbimento della PS derivata da lecitina di soia in capsule di gelatina molle), ed un elevato profilo di sicurezza (come dimostrato in studi di tossicologia nel cane). L’aumento esponenziale di cani con più di 11 anni d’età, l’esordio subdolo ed insidioso del CDS, la sua intrinseca natura progressiva e la sua pesante interferenza con la qualità di vita dell’animale, mettono in luce l’importanza di un intervento il più precoce possibile, sia in termini di diagnosi accurata sia in termini di adeguata terapia. In questo senso, la PS, in funzione delle proprie attività nootropiche, potrebbe rappresentare un opportuno intervento nutraceutico per il CDS del cane anziano.

Bibliografia essenziale Cenacchi T et al. Cognitive decline in the elderly: a double-blind, placebo-controlled multicenter study on efficacy of phosphatidylserine administration. Aging. 1993;5:123-33 Crook TH, et al. Effects of phosphatidylserine in age-associated memory impairment. Neurol. 1991;4: 644-9 Landsberg G, Ruehl W. Geriatric behavioral problems. Vet Clin North Am Small Anim Pract. 1997;27:1537-59 Leveque NW. Cognitive dysfunction in dogs, cats an Alzheimer’s-like disease. J Am Vet Med Assoc. 1998;212:1351 Nielson JC et al. Prevalence of behavioral changes associated with age-related cognitive impairment in dogs. J Am Vet Med Assoc. 2001;218: 1787-91 Pepeu G, Spignoli G., Nootropic drugs and brain cholinergic mechanisms, Prog Neuropsychopharmacol Biol Psychiatry. 1989;13 Suppl:S77-88 Pepeu G, Pepeu IM, Amaducci L, A review of phosphatidylserine pharmacological and clinical effects. Is phosphatidylserine a drug for the aging brain? Pharmacol Res. 1996;33(2),73-80 Shinitsky M Ph.D. Kinetics and Safety of Soy Lecithin Phosphatidylserine (PS) Absorption, Weizmann, Institute of Science Rohovot, Israel, 1999 Toffano G. The therapeutic value of phosphatidylserine effect in the aging brain. In: Lecithin, ed. Hanin I Ansell GB, New York: Plenum Press, 1987 Tsakiris S, Deliconstantinos G. Influence of phosphatidylserine on (Na+ + K+)-stimulated ATPase and acetylcholinesterase activities of dog brain synaptosomal plasma membranes. Biochem J. 1984;220:301-7 Tsakiris S, Deliconstantinos G. Phosphatidylserine and calmodulin effects on Ca2+-stimulated ATPase activity of dog brain synaptosomal plasma membranes. Int J Biochem. 1985;17:1117-9


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

393

ESISTE UN BUON USO DELLA CONDROPROTEZIONE NEL TRATTAMENTO DELL’ARTROSI DEL CANE? UN’INDAGINE TRA I MEDICI VETERINARI ITALIANI Miolo Alda CeDIS (Centro di Documentazione e Informazione Scientifica), Innovet Italia srl Introduzione: Le attuali conoscenze sulla complessa eziopatogenesi dell’artrosi del cane hanno avuto significative ripercussioni di ordine terapeutico. In particolare, si è andata delineando l’importanza del “trattamento combinato”, in quanto strategia capace contemporaneamente di: 1) ridurre i sintomi manifesti (dolore); 2) rimuovere – quando possibile – le cause primarie; 3) agire sui meccanismi patogenetici responsabili dell’innesco e della propagazione della malattia artrosica. Tra le misure conservative più utilizzate nell’ambito di questo trattamento, figura negli ultimi anni la “condroprotezione”, un approccio complementare cosiddetto disease-oriented, in quanto basato sull’utilizzo di sostanze (condroprotettori), in grado di contrastare i meccanismi fondamentali del danno artrosico (condrodegenerazione, stress ossidativo, infiammazione). Scopo: L’inappropriato utilizzo delle diverse opzioni terapeutiche rappresenta un fondato rischio di insuccesso nella cura dell’artrosi del cane. Sulla scorta di questa considerazione, la presente indagine si propone di valutare il profilo di utilizzo della condroprotezione da parte dei medici veterinari italiani, dando particolare risalto al quadro clinico di artrosi in cui viene più di frequente utilizzata e, soprattutto, alla sua collocazione nell’ambito del trattamento combinato. Materiali e metodi: L’indagine è stata condotta in Italia nel periodo compreso tra Maggio e Novembre 2002, tramite la distribuzione su scala nazionale (postale, on line o durante eventi congressuali) di un questionario, diviso in due sezioni con domande a scelta multipla. La prima sezione si articolava in 6 domande, inerenti la percentuale di riscontro dell’artrosi nel cane nella pratica clinica, le cause ed i mezzi diagnostici più frequentemente individuati. La seconda sezione di 10 domande riguardava specificatamente l’utilizzo clinico e la sicurezza d’impiego di due noti condroprotettori orali1, comunemente prescritti dai Medici Veterinari italiani per l’artrosi del cane. Risultati: Degli 850 Medici Veterinari che hanno risposto al questionario, il 96% dichiara di aver effettuato diagnosi di artrosi. Di questi: a) il 40% afferma di aver identificato la displasia come causa più frequente di artropatia degenerativa secondaria; b) il 51% utilizza il mezzo radiografico per fare diagnosi di artrosi, seguito dal 42% che si avvale prevalentemente della visita clinica. Relativamente alla condroprotezione, il 90% di coloro che hanno risposto al questionario dichiara di aver prescritto i condroprotettori succitati. Di questi, il 96% li usa in combinazione con terapie chirurgiche e conservative, farmacologiche e non. L’approccio condroprotettivo viene utilizzato con maggior frequenza nella prevenzione (27%) e nelle forme lievi (32%) e moderate (28%) di artrosi, in cani di tutte le età, prevalentemente di taglia grande/gigante (68%) e con particolare predilezione per l’artrosi dell’anca (42%). Il 90% dei rispondenti non riporta alcun effetto collaterale connesso all’uso dei condroprotettori. Conclusioni: Si tratta della prima indagine che fornisce chiare indicazioni circa l’impiego che attualmente viene fatto della condroprotezione nella pratica clinica. Sicuramente, il dato più interessante è l’altissima percentuale con cui i condroprotettori sono, di norma, utilizzati nella terapia dell’artrosi, pressoché costantemente in associazione ad altre misure chirurgiche e/o conservative. Ciò in linea con quanto ormai ampiamente comprovato circa la necessità di inserire la scelta condroprotettiva nell’ambito di un adeguato trattamento combinato, al fine di massimizzarne i benefici, ridurne gli insuccessi e, in ultima analisi, aumentare la qualità e le aspettative di vita del paziente artrosico.

Bibliografia essenziale Anderson M, 1999a, Oral chondroprotective agents. Part I: common drugs used today, Compendium on Continuing Education for Practicing Veterinarian, 21(7): 601-609 Anderson M, 1999b, Oral chondroprotective agents. Part II: evaluation of products, Compendium on Continuing Education for Practicing Veterinarian, 21(9): 861-865 Anderson MA, Slater MR, Hammad TA, 1999, Results of a survey of small-animal practitiones on the perceived clinical efficacy and safety of an oral nutraceutical, Preventive Veterinary Medicine, 38: 65-73 Boothe DM, 2001, Anti-inflammatory drugs, in: Small Animal Clinical Pharmacology and Therapeutics, WB Saunders Company, Philadelphia, pp. 281-311 Dobenecker B, Beetz Y, Kienzle E, 2002, A placebo-controlled double-blind study on the effect of nutraceuticals (chondroitin sulfate and mussel extract) in dogs with joint diseases as perceived by their onwers, Journal of Nutrition, 132(6, Suppl. 2): 1690S-1691S Hungerford D, Navarro R, Hammad T, 2000, Use of nutraceuticals in the management of osteoarthritis, Journal of the American Nutraceutical Association, 3(1): 23-27 Kavanagh K, Gelderman D, 1999, Oral glycosaminoglycans: a survey of responses, Australian Veterinary Journal, 77(4): 220-221 Mandelker L, 2002, Experimental applications with nutraceuticals in osteoarthritis, Proceedings The North American Veterinary Conference, Orlando, Florida, 12-16 January, pp.654-657 Martinez SA, 2002, Balanced non surgical management of osteoarthritis in dogs, Proceedings 45th Annual Congress BSAVA, Birmingham, 4th-7th April 2002


394

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

STUDIO EPIDEMIOLOGICO SULL’ARTROSI DEL CANE: DATI PRELIMINARI Maurizio Del Bue# Prof Med Vet; Aldo Giovanella° Med Vet; Carlo Maria Mortellaro* Prof Med Vet; Bruno Peirone† Prof Med Vet; Massimo Petazzoni‡ Med Vet; Gian Luca Rovestiª Med Vet Dipl ECVS; David Bennett§ BSc BvetMed PhD DSAO MRCVS § Division of Small Animal Clinical Studies, Department of Veterinary Clinical Studies, University of Glasgow Veterinary School # Dipartimento di Salute Animale, Sezione di Clinica Chirurgica Veterinaria e Medicina d’Urgenza, Università degli Studi di Parma °Libero Professionista, Mogliano Veneto, Treviso *Istituto di Clinica Chirurgica e Radiologia, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Milano † Dipartimento di Patologia Animale, Settore Chirurgia, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Torino ‡ Libero Professionista, Lodi ªLibero Professionista, Cavriago, Reggio Emilia Introduzione: L’artrosi del cane è una patologia ortopedica di natura degenerativa che può colpire una o più articolazioni, sia di animali giovani che di animali adulti/anziani. Generalmente si manifesta come patologia secondaria ad una malattia ortopedica primaria (es. displasie, osteocondrosi, rotture legamentose); presenta un decorso progressivo; ha andamento cronico e spesso incide pesantemente sulla qualità di vita del paziente. Di recente, la ricerca scientifica sta facendo progressi sia nel definire i meccanismi patogenetici che sostengono l’artrosi, sia nello sviluppare nuovi protocolli terapeutici combinati per il controllo sintomatico ed eziologico della malattia. Tali ricerche non hanno finora affrontato gli aspetti epidemiologici dell’artrosi, che pertanto viene considerata una malattia ortopedica “assai frequente”, della quale, però, non si è in grado di definire la reale dimensione. A nostra conoscenza, il presente studio costituisce la prima indagine epidemiologica sull’artrosi del cane condotta nel nostro Paese. Scopo: Scopo del presente lavoro, è quello di rilevare il dato di prevalenza dell’artrosi del cane in Italia. Materiali e metodi: Tra settembre e novembre del 2001, venivano selezionati 28 ambulatori veterinari uniformemente distribuiti su tutto il territorio nazionale. Ad ognuno di essi veniva attribuita la funzione di “Centro Rilevamento Dati” (CRD), da espletarsi tramite la compilazione di schede di rilevamento dati numerate, una per ciascuno dei primi 100 cani malati visitati presso il proprio ambulatorio dall’inizio dello studio. La scheda rilevamento dati, organizzata come una sorta di algoritmo diagnostico con una serie di tappe procedurali a progressiva eliminazione, consentiva di raccogliere, per i casi diagnosticati come artropatie, informazioni di natura clinica e radiografica. Al termine dello studio, tutte le schede sono state collegialmente esaminate da parte dei membri del comitato scientifico di Innovet Osteoarthritis Veterinary Association (IOVA) al fine di pervenire ad eventuale diagnosi di artrosi. Risultati: Delle 2141 schede raccolte, 322 riferivano casi di malattia ortopedica. Di queste, 172 (53%) erano artropatie. A seguito della disamina delle 322 schede relative a malattia ortopedica e delle radiografie ad esse allegate, i casi diagnosticati con patologie artrosiche erano 91 (28%). La prevalenza dell’artrosi sul totale delle malattie analizzate (2141 schede) era del 4%. Conclusioni: In base ai criteri di inclusione degli animali, ed in ragione dell’omogenea distribuzione nazionale dei CRD selezionati, i risultati ottenuti forniscono una stima della prevalenza dell’artrosi nei cani visitati per qualsiasi malattia in Italia. Tra questi, quelli affetti da malattie di pertinenza ortopedica risultano essere il 15%, e quasi un terzo di loro è portatore di artrosi, sintomatologicamente e radiograficamente manifesta. La reale prevalenza di questa malattia degenerativa è con tutta probabilità più elevata di quanto emerso dallo studio. L’assenza di sintomi clinici eclatanti nelle fasi iniziali del problema, frequente caratteristica dell’artrosi, nonché il periodo di rilevamento dei dati (gennaio-marzo, mesi di ridotta attività fisica dell’animale) potrebbero aver generato una sottostima del reale dato di prevalenza delle malattie ortopediche e, conseguentemente, anche dell’artrosi del cane nel nostro Paese. Ringraziamento: Gli Autori desiderano ringraziare Innovet Osteoarthritis Veterinary Association (IOVA) per aver sostenuto lo studio oggetto del presente abstract.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

395

TRATTAMENTO ARTROSCOPICO DELL’OCD DI GINOCCHIO NEL CANE Olivieri Massimo Med. Vet.; Pavanelli Massimo Med. Vet. Libero professionista, Samarate (Va) Introduzione: L’osteocondrite dissecante (OCD) è una lesione osteocondrale a carico della cartilagine articolare, causata da molti fattori: genetici, alimentari (quantità e qualità), ischemici, ambientali. Il ginocchio è, come sede di localizzazione anatomica, la terza articolazione coinvolta dopo spalla e gomito. Il trattamento chirurgico artrotomico prevede la rimozione del flap e il courettage della lesione. Nel presente lavoro viene descritto l’impiego dell’artroscopia come metodo di trattamento mini-invasivo dell’OCD di ginocchio in otto casi. Materiali e metodi: I pazienti inclusi nel presente lavoro sono 4 Labrador (2 maschi e 2 femmine) e 2 Cani Corsi (2 femmine) con un’età compresa tra i 4 e gli 8 mesi. Questi soggetti sono stati presentati alla visita ortopedica per un problema di zoppia di 1° grado bilaterale in 2 casi e di 2° grado monolaterale in 4 casi. La zoppia era insorta in 5 casi improvvisamente, mentre nei rimanenti 3 in modo subacuto. In un unico cane c’era, all’origine della zoppia, una storia certa di trauma. All’ispezione dell’arto interessato si evidenziava tumefazione del ginocchio ed alla visita i cani manifestavano algia, soprattutto ai movimenti di iperflessione ed iperestensione. La prova del cassetto ed il test di compressione tibiale erano negativi, così come la prova per valutare l’integrità dell’EDPL. Lo studio radiografico permetteva, inoltre, di evidenziare segni radiografici certi di OCD a carico del condilo femorale laterale in 6 casi e sospetti nei restanti 2. È stata quindi effettuata un’artroscopia di ginocchio con accesso standard. Una volta confermato il reperto radiografico, dopo accurata ispezione di tutte le componenti articolari, si è proceduto alla rimozione di un “classico” flap di dimensioni variabili tra 0,5 e 2 cm di diametro in 6 casi, mentre in 2 casi è stato possibile evidenziare solo il difetto subcondrale e non il frammento osteocondrale. La lesione è stata successivamente trattata seguendo gli standard artroscopici, con rimozione del flap e attivazione del letto subcondrale nei casi in cui la sua valutazione ingrandita non evidenziava la presenza di rigenerazione fibrocartilaginea già in atto. In tutti i casi è stata effettuata sinoviectomia. In un caso era associata una rottura parziale del legamento crociato anteriore (circa 20% delle fibre). Nel post-operatorio è stato prescritto un periodo di riposo, seguito da un programma di fisioterapia riabilitativa specifico caso per caso. Risultati: Ai controlli postoperatori i pazienti hanno evidenziato una rapida ripresa nell’utilizzo dell’arto: già dopo 15 giorni il recupero si è dimostrato essere quasi completo in tutti i soggetti con zoppia di 1° grado e in 2 casi con zoppia di 2° grado e totale dopo 30 giorni. Nei rimanenti 2 soggetti con zoppia di 2° grado, in un caso il recupero è stato di circa il 50% dopo 15 giorni e totale dopo 45 giorni, mentre nel caso con associata rottura parziale del crociato anteriore, il cane presentava una zoppia occasionale di 1° grado al controllo dopo 60 e 90 giorni. Conclusioni: L’artroscopia permette di effettuare un trattamento mini-invasivo, associato ad abbondanti lavaggi ed alla rimozione della sinovia, produttrice di molti mediatori dell’infiammazione. Questo permette di iniziare il programma di riabilitazione dal giorno dopo l’esecuzione dell’artroscopia, abbreviando i tempi di recupero. La valutazione ingrandita del letto subcondrale fornisce informazioni più complete rispetto alla valutazione diretta della lesione, potendo in questo modo prendere delle decisioni mirate sul trattamento dell’osso subcondrale. Infine, nei casi in cui il flap era stato già riassorbito, è stato possibile evitare l’artrotomia, sfruttando i vantaggi più sopra ricordati dell’artroscopia.


396

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

TPLO NEL CANE DI PICCOLA TAGLIA: STUDIO RETROSPETTIVO SU 13 CASI Petazzoni Massimo, Med Vet Libero professionista, Milano Introduzione: La rottura del legamento crociato craniale è la prima causa non traumatica di zoppia del cane adulto di ogni taglia. Numerose tecniche chirurgiche sono state impiegate per la ricostruzione del legamento crociato craniale. La TPLO (Tibial Plateau Leveling Osteotomy) ossia l’osteotomia livellante del piatto tibiale secondo Barclay Slocum consente di eliminare la spinta tibiale craniale secondaria all’incompetenza del legamento crociato che ha subito una rottura parziale o totale; inoltre, è possibile, attraverso la medesima osteotomia effettuare la correzione della eventuale deviazione tibiale prossimale, generalmente in valgo. Scopo dello studio: Indagine retrospettiva sulla tecnica TPLO nel cane di piccola taglia con rottura del legamento crociato craniale, parziale o totale, con o senza deviazioni angolari a carico dell’arto posteriore. Materiali e metodi: Sono state esaminate le cartelle cliniche di 11 cani di piccola taglia affetti da rottura del legamento crociato craniale del ginocchio e trattati con TPLO. Tutti i pazienti sono stati presentati alla visita clinica per una zoppia monolaterale o bilaterale a carico dell’arto posteriore secondaria a rottura parziale o totale del legamento crociato craniale. La diagnosi è stata posta basandosi sui segni clinici e sulla valutazione radiografica. L’inclinazione del piatto tibiale è stata misurata sulla proiezione medio-laterale della tibia secondo le indicazioni di Barclay Slocum. Le proiezioni anteroposteriori di femore e di tibia hanno consentito la misurazione di eventuali deviazioni (varo, valgo e torsioni). Risultati: Undici soggetti di piccola taglia appartenenti a 5 diverse razze con peso compreso fra 4 e 12 kg (media 7,5 kg) sono stati inclusi nel presente studio: sette incroci, un Barbone toy, uno Yorkshire toy, uno Shitzu ed un Maltese. Su 11 cani, 6 erano maschi e 5 femmine con età compresa fra 2 e 10 anni (media 5,8). Due pazienti sono stati operati bilateralmente. Delle 13 ginocchia prese in considerazione l’angolo medio dell’inclinazione del piatto tibiale risultava essere di 28,5° con range compreso fra 26° e 34°. Cinque soggetti su undici risultavano allineati mentre sei soggetti presentavano una o più deviazioni angolari a carico dell’arto posteriore. L’angolo del piatto tibiale postoperatorio risultava essere compreso fra 5 e 14° (media 8,5°). In due soggetti è stata eseguita anche la correzione della deviazione angolare riscontrata. Tredici TPLO su tredici sono state eseguite senza difficoltà o complicazioni intraoperatorie. Dodici pazienti su tredici hanno avuto la remissione totale dei sintomi entro 8 settimane dall’intervento. Un paziente ha presentato una complicazione postoperatoria causata dalla frattura con avulsione della cresta tibiale. Conclusioni: La TPLO è risultata essere una tecnica chirurgica efficace per la terapia della rottura del legamento crociato craniale anche nel cane di piccola taglia. La stessa tecnica chirurgica consente anche la correzione di eventuali deviazioni ossee a carico della tibia. Di contro risulta essere una tecnica più impegnativa e che richiede uno strumentario dedicato rispetto alle diverse tecniche tradizionali.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

397

DUE CASI DI TPLO + CCWO PER IL LIVELLAMENTO DEL PIATTO TIBIALE SUPERIORE A 30° Petazzoni Massimo, Med Vet Libero professionista, Milano Introduzione: La rottura del legamento crociato craniale è la prima causa non traumatica di zoppia nel cane adulto. L’eccessiva inclinazione del piatto tibiale predispone alla rottura del legamento crociato craniale. La tecnica TPLO (Tibial Plateau Leveling Osteotomy) risulta efficace nella terapia chirurgica di questa lesione. La sola TPLO, quando il piatto tibiale ha una inclinazione > 30°, isola in modo eccessivo la cresta tibiale sottoponendola a rischio di frattura. La tecnica CCWO (Cranial Closing Wedge Osteotomy) anch’essa descritta da Barclay Slocum, ossia l’ostectomia cuneiforme craniale prossimale della tibia, associata alla TPLO consente di livellare il piatto tibiale senza sottoporre la cresta tibiale a rischio di frattura. Scopo del lavoro: Valutazione retrospettiva di due casi clinici di rottura del legamento crociato craniale con eccessiva inclinazione del piatto tibiale in due cani di piccola taglia trattati con TPLO + CCWO. Caso clinico 1: Incrocio femmina di 7 kg di peso e 5 anni d’età presentato alla visita per una zoppia posteriore sinistra di III grado. I proprietari riportavano nell’anamnesi remota una frattura prossimale della tibia sinistra. Alla visita il paziente presentava sit-test positivo, algia alla estensione del ginocchio, test di compressione tibiale positivo e segno del cassetto positivo. Lo studio radiografico evidenziava: segno del grasso infrapatellare positivo, tumefazione dei tessuti molli del comparto posteriore del ginocchio, test di compressione tibiale radiografico positivo, angolo del piatto tibiale = 40°. L’arto controlaterale, sano, presentava un angolo del piatto tibiale pari a 22°. Veniva posta la diagnosi di rottura del legamento crociato craniale. La tecnica TPLO associata alla CCWO consentiva la correzione del piatto tibiale a 8°. Il paziente, al controllo clinico e radiografico in sessantunesima giornata, otteneva la remissione completa dei sintomi e la guarigione delle osteotomie. Caso clinico 2: Yorkshire toy (3,3 kg) femmina di 4 anni presentato alla visita clinica per una zoppia posteriore sinistra di IV grado. Il paziente aveva subito una frattura a carico della metafisi prossimale della tibia sinistra all’età di circa 4,5 mesi. Alla visita clinica il soggetto presentava sit-test positivo, algia alla estensione del ginocchio, test di compressione tibiale positivo e segno del cassetto positivo. Lo studio radiografico evidenziava: segno del grasso infrapatellare positivo, tumefazione dei tessuti molli del comparto posteriore del ginocchio, test di compressione tibiale radiografico positivo, angolo del piatto tibiale 63°. L’arto controlaterale, sano, evidenziava una inclinazione del piatto tibiale pari a 22°. Veniva posta la diagnosi di rottura del legamento crociato craniale. La tecnica TPLO associata alla CCWO consentiva la correzione del piatto tibiale a 14°. Il paziente, al controllo clinico in ottava settimana otteneva la remissione completa dei sintomi mentre la guarigione radiografica delle osteotomie avveniva in 12 settimane. Conclusioni: L’eccessiva inclinazione del piatto tibiale può condurre alla rottura del legamento crociato craniale nel cane. La TPLO in associazione alla CCWO consente di annullare la spinta craniale della tibia prossimale sul femore restituendo funzionalità al ginocchio dal punto di vista biomeccanico senza sottoporre la cresta tibiale a rischio di frattura. La tecnica, che richiede l’impiego di uno strumentario dedicato, è risultata efficace anche se di non semplice esecuzione date le piccole dimensioni dei pazienti.


398

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

TRE CASI DI CARDIOPATIE RARE NEL GATTO Pirovini Luca*, Med Vet.; Riccaboni Pietro**, Med Vet, Dott Ric.; Paltrinieri Saverio**, Med Vet, Prof. *Libero professionista, Milano; ** Dipartimento di Patologia Animale, Igiene e Sanità Pubblica Veterinaria, Milano Introduzione: Scopo di questo lavoro è segnalare tre cardiopatie feline relativamente rare quali stenosi polmonare in assenza di altre alterazioni cardiache, stenosi subaortica clinicamente poco sintomatica, tumore della base del cuore. Materiali e metodi: Caso 1: gatto maschio di 2 mesi presentante cianosi, dispnea, fame d’aria, distensione delle giugulari, succussione dell’addome positiva, soffio sistolico (5/6), fremito precordiale. Caso 2: gatto comune europeo femmina di 11 anni di età, obeso, anoressico, itterico, disidratato, modicamente dispnoico e presentante soffio sistolico (2/6). Caso 3: gatto comune europeo femmina di 10 anni con grave dispnea inspiratoria, cianosi, ipofonesi ventrale e iperfonesi dorsale alla percussione. In tutti i casi sono stati eseguiti esame radiografico, elettrocardiografico, ecografia dell’addome e del torace, esami ematologici ed ematochimici, analisi dei versamenti, se presenti, e necroscopia. Risultati: Caso 1: i radiogrammi evidenziavano ascite e versamento pleurico, poi risultato un trasudato. L’ECG evidenziava segni di ingrandimento atriale destro e spostamento a destra dell’asse cardiaco. L’ecografia mostrava grave ipertrofia ventricolare destra, fenomeni ischemici endocardici, dilatazione atriale e grave stenosi a livello di valvola polmonare con dilatazione post-stenotica della arteria comune; l’esame doppler mostrava un aumento della velocità di flusso in arteria polmonare. L’esame necroscopico confermava la grave ipertrofia infundibolare destra sub stenotica in assenza di alterazioni a tricuspide e/o aorta. Caso 2: gli esami di laboratorio evidenziavano una grave epatopatia. I radiogrammi rivelavano un modico aumento della silhouette cardiaca e lieve edema polmonare. L’esame ecografico confermava la presenza di colangioepatite ed evidenziava stenosi subaortica con probabile alterazione di un lembo semilunare, modica ipertrofia ventricolare sinistra, dilatazione atriale sinistra secondaria a rigurgito mitralico, aumentata velocità di picco aortico. L’osservazione macroscopica del cuore confermava la stenosi sub aortica dovuta ad un cercine fibrotico posto circa 3 mm sotto la valvola e ad una struttura fibrotica allungata che si estendeva dal setto interventricolare all’ostio valvolare libero, attraversando la zona di afflusso ventricolare. Caso 3: il versamento è risultato un trasudato modificato. I radiogrammi evidenziavano un’area di radiopacità toracica che mascherava la silhouette cardiaca e riduceva l’espansione dei lobi polmonari. Ecograficamente era visibile una neoformazione di circa 25 mm localizzata alla base del cuore, avvolgente l’aorta e l’atrio di sinistra. L’esame istologico evidenziava la presenza di una neoplasia linfoide indifferenziata. Conclusioni: I tre casi presentati risultano interessanti per la loro rarità nella specie felina e per alcuni aspetti clinico-patologici: nel primo caso la presenza di ascite, dovuta a ipertensione portale secondaria alla stenosi polmonare congenita; nel secondo caso il reperto cardiologico è risultato pressoché occasionale: gli imponenti sintomi da affaticamento, così comuni nel cane, possono passare inosservati ai proprietari date le abitudini tipiche del felino in appartamento, salvo manifestarsi quando compare insufficienza cardiaca sinistra; nel terzo caso la presenza di versamento pleurico dovuto alla compressione atriale esercitata dal tumore.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

399

VALORI ECOCARDIOGRAFICI IN E. BRETON NORMALI Poggi Marco* Med Vet.; Borgarelli Michele° Med. Vet; D’Agnolo Gino§ Med Vet * Libero professionista, Imperia; ° Istituto di patologia medica Facoltà Medicina Veterinaria, Torino; § Libero professionista, Trieste Introduzione: L’esame ecocardiografico ha acquisito in questi ultimi anni sempre maggior importanza nella diagnostica cardiologica. I primi studi hanno stabilito valori normali delle dimensioni telediastoliche e telesistoliche e gli spessori parietali nel cane e nel gatto rapportati al peso (Lombard C. 1984). Ulteriori osservazioni hanno dimostrato l’importanza del morfotipo (razza) anche dopo che le differenze di peso sono state prese in considerazione (Morrison S.A., 1992 – Snyder P.S., 1995). Scopo di questo lavoro è quello di determinare i valori ecocardiografici ed eco Doppler normali in cani di razza E. breton, valutando inoltre le differenze tra un gruppo di soggetti da gara (atleti) e un gruppo con normale attività fisica. Materiali e metodi: 20 E. breton (13 maschi e 7 femmine) muniti di certificato di origine, adulti da 1 a 9 anni (media + SD 3,2±2,2), peso compreso tra 11 e 23 kg (15,1±3,1), sono stati sottoposti a esame ecocardiografico completo. Tutti i soggetti sono risultati normali alla visita clinica, all’esame elettrocardiografico (9 derivazioni) e all’esame radiografico del torace eseguito in due proiezioni (l/l dx e sagittale d/v). Per l’esecuzione dell’esame è stato utilizzato ecografo Esaote Biomedica Caris, munito di due sonde settoriali da 3,5-5 e 7,5-10 Mhz. Tutti gli esami sono stati eseguiti da un solo operatore (MP) in accordo alle raccomandazioni per l’esame ecocardiografico nel cane (Thomas W.P., 1984). La misurazione del rapporto A.sin/Aorta è stata eseguita nella proiezione parasternale destra (asse corto base del cuore). Mediante l’esame eco-Doppler sono stati misurati il flusso polmonare (parasternale dx), aortico (apicale 5 camere) e mitralico (apicale 4 camere). La misurazione della pressione arteriosa sistolica (metodo Doppler) è stata eseguita al termine dell’esame ecocardiografico in decubito dx. La misura è stata effettuata sull’arteria metacarpea dell’arto anteriore destro. Tutti i parametri sono i risultati della media di tre misurazioni effettuate in tre differenti cicli cardiaci; le misurazioni sono state eseguite seguendo le linee guida dell’American Society of Echocardiography (leading edge to leading edge). Risultati e discussione: Nella tabella sono riassunti i risultati ecocardiografici ed eco-Doppler per i due gruppi d’animali presi in considerazione. Le misurazioni del setto IV in diastole e sistole, il diametro telediastolico del ventricolo sinistro, lo spessore della parete posteriore in sistole e il rapporto aorta atrio sinistro, presentano delle differenze statisticamente significative (p=<0,05) tra i due gruppi, in accordo a quanto già descritto nell’uomo (Maron B.J. 1986) e nel cane (Rippe J.M. 1982, Volmar A. 2001). Inoltre l’influenza delle seguenti variabili: attività, sesso, età, peso, superficie corporea (BSA), frequenza cardiaca (FC) e pressione arteriosa sistolica (BPs) è stata studiata attraverso un’analisi di regressione multipla. Tale studio ha evidenziato per setto IV-d un’influenza significativa nei seguenti parametri: sesso, BPs, FC con rispettivi valori (p=0,002 - 0,0033 - < 0,0001); per il diametro telediastolico ventricolo sinistro: attività, età, peso (p= 0,0009 – 0,04 – 0,0039); per il rapporto aorta atrio sinistro: attività (p=0,0199); flusso transmitralico rapporto E/A: attività (p= 0,0081); per il tempo di decelerazione onda E: attività e FC (p=0,001 – 0,04). Ringraziamenti: Si ringrazia per l’elaborazione statistica dei dati raccolti il Dr. Maurizio Rainisio - Imperia.

Bibliografia disponibile presso gli autori.

Soggetti atleti (n°7) Media + Std dev Min max Età FC Peso BSA BP s. ======== Setto-IV d Setto-IV s Ventr.sn d Ventr.sn s Par.pos d Par.pos s FA% MVS EDVI ESVI Ao/as V-max aorta V-max polm V E mitrale V A mitrale E/A mitrale Dec time E NS = non significativo

3,64+2,17 118+37 15,6+0,9 0,62+0,02 149+6,4 ====== 0,96+0,1 1,49+0,36 3,86+0,17 2,69+0,32 0,89+0,09 1,22+0,14 30+6,3 130+52 104+10 44+13 1,48+0,08 1,09+0,24 0,96+0,13 0,65+0,16 0,71+0,13 0,96+0,36 128+50

1-7 74-164 14-17 0,58-0,66 138-160 ====== 0,77-1,20 0,85-1,9 3,55-4,08 2,28-3,35 0,78-1,05 0,99-1,41 18-37 94-244 83-115 28-69 1,3-1,6 0,59-1,33 0,80-1,14 0,41-0,83 0,55-0,87 0,6-1,50 61-207

Soggetti attività normale (n°13) Media + Std dev Min max 2,96+2,29 109+19 14,9+3,8 0,60+0,10 151+10 ======= 0,74+0,1 1,13+0,23 3,47+0,26 2,42+0,24 0,83+0,13 1,05+0,17 30+6,9 77+22 85+13 36+8,7 1,32+0,13 1,07+0,14 0,97+0,17 0,78+0,13 0,59+0,10 1,34+0,20 77+16

1-9 72-154 11-23 0,49-0,81 136-166 ===== 0,56-0,92 0,74-1,64 3,08-3,97 2,02-2,75 0,60-1,04 0,73-1,4 19-41 45-110 56-105 18-47 1,1-1,5 0,89-1,32 0,66-1,2 0,51-0,91 0,44-0,76 1,12-1,72 58-119

T-Tests NS NS NS NS NS ===== 0.0065 0.0434 0.0010 NS NS 0.0386 NS 0.0365 0.0022 NS 0.0053 NS NS NS NS 0.0474 0.0536


400

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

UN CASO DI AMARTOMA IPOTALAMICO NEL CANE Ruggiero Piero Med Vet; Colaceci Marco Med Vet; Muhle Anne Med Vet Liberi professionisti, Roma Un cane, pastore tedesco, femmina intera, di nove anni di età, veniva presentato alla visita clinica perché affetto da problemi nell’alzarsi da seduta e da cambiamenti comportamentali aspecifici. All’esame fisico, il soggetto mostrava depressione del sensorio, bradicardia (60 bpm), dolore all’estensione delle anche ed alla manipolazione della colonna vertebrale, nel tratto lombosacrale. Gli esami ematochimici indicavano lieve anemia normocitica normocromica e lieve ipercolesterolemia; il successivo dosaggio degli ormoni tiroidei era compatibile con un ipotiroidismo primario. Lo studio radiografico della regione lombosacrale rivelava una spondiloartrosi L7-S1, collasso dello spazio intervertebrale ed irregolarità della superficie articolare del sacro. L’integrazione ormonale, tuttavia, non risolveva lo stato di depressione evidenziando invece ipertermia (39,5°C) come ulteriore sintomo, nonostante la normalità dei markers infiammatori eseguiti (VES, fibrinogenemia, sideremia, elettroforesi proteica). L’esame ecografico dell’addome e i radiogrammi del torace risultavano nella norma; l’ipertermia inoltre non rispondeva alla terapia con doxiciclina, né alla somministrazione di prednisolone a dosi immunosoppressive per sette giorni. A questo punto, il proprietario rifiutava ulteriori approfondimenti per meglio caratterizzare la patologia lombosacrale. Dopo circa un mese, il cane veniva riportato alla visita per ipertermia persistente, depressione marcata e vomito occasionale; i proprietari riferivano anche di aver sospeso l’integrazione ormonale. All’esame fisico erano presenti palesi alterazioni neurologiche: frequenti episodi di sonnolenza con incapacità di mantenere la stazione, deficit propiocettivi lateralizzati a destra e diminuzione della reazione della minaccia a destra. Le alterazioni erano indicative di una lesione prosencefalica focale sinistra e, pertanto, il soggetto veniva riferito per un esame TAC. L’indagine tomografica del cranio evidenziava la presenza di una massa rotondeggiante, ben definita, localizzata nella regione ipotalamica e, a seguito della prognosi riservata, i proprietari optavano per l’eutanasia del soggetto. In sede di necroscopia, si asportava l’intera massa cerebrale. L’esame istopatologico risultava compatibile con amartoma ipotalamico. Conclusioni: L’amartoma ipotalamico è un’evenienza piuttosto rara nel cane e viene considerata più una malformazione della struttura vascolare ipotalamica, che non una vera e propria neoplasia. La patologia infatti riguarda i vasi sanguigni che, per anomalie strutturali, tendono a dilatarsi (fino a forme cavernose) e, spesso, si accompagna a raccolte emorragiche localizzate. In letteratura, i pochi casi riportati (5) sono stati rinvenuti nella regione telencefalica; la classificazione istopatologica strutturale è attualmente in fase di definizione, attraverso metodiche immunoistochimiche.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

401

PRINCIPALI RISCONTRI CLINICI E DI LABORATORIO OSSERVATI IN UNA POPOLAZIONE DI CANI ADIBITI ALLA CACCIA AL CINGHIALE Sacchini Federico* MVB MRCVS specialista in patologia e clinica degli animali d’affezione; Lubas George# Med Vet Dipl ECVIM; Gavazza Alessandra# Med Vet PhD; Chiocca Luca† Med Vet; Carli Andrea§ Med Vet specialista in clinica dei piccoli animali; Vaira Fabrizioφ Med Vet; Gugliucci Biancaurora# ScBiol. * IDEXX Laboratories Ltd, Wetherby UK # Dipartimento di Clinica Veterinaria, Laboratorio di Ematologia, Università di Pisa † Libero professionista, Brugnato (SP) § Libero professionista, Sarzana (SP) f Libero professionista, Carrara (MS) Obiettivo: Valutare lo stato di salute e la gestione dell’allevamento di una popolazione di cani adibiti alla caccia al cinghiale nelle provincie di Massa Carrara e la Spezia. Introduzione: Sebbene non esistano stime ufficiali, i cani da cinghiale rappresentano una parte importante dei pazienti delle strutture veterinarie nel territorio considerato. L’attività venatoria si concentra tra ottobre e dicembre, periodo nel quale i cani sono sottoposti ad elevati regimi di attività e spesso sono soggetti a patologie traumatiche. A causa dell’ambiente di lavoro boschivo e delle condizioni di allevamento, le malattie infettive e parassitarie rappresentano un importante fattore di rischio per questi animali. Materiali e metodi: Sono stati selezionati 69 cani da cinghiale [38 femmine e 31 maschi; 35 di razza segugio e 34 meticci; età media = 4.3 anni (8 mesi – 15 anni); peso medio = 18.0 kg (8-30); allevamenti coinvolti = 5] in preparazione per la stagione venatoria nelle provincie di Massa Carrara e La Spezia. Tutti i soggetti sono stati sottoposti a visita clinica e prelievo di sangue per l’esecuzione di esame emocromocitometrico, profilo biochimico ed elettroforesi delle sieroproteine. Per ogni allevamento è stato redatto un questionario riguardante gli interventi di profilassi effettuati e la dieta somministrata. Risultati: Le anormalità riscontrate alla visita clinica includono: cattivo stato di nutrizione 32%; alterazioni a carico del tegumentario 82%; infestazione da parassiti esterni 62%; periodontite da tartaro 19%. Le alterazioni di laboratorio comprendono: anemia non rigenerativa 9%; eosinofilia 39%; ipoalbuminemia 30%; ipoproteinemia non selettiva 26%; diminuzione dell’urea 9%; aumento di ALT e ALP 23%; aumento di CK 26%; aumento degli acidi biliari 23%; ipocolesterolemia 16%; iponatriemia 9%. La profilassi nei confronti di ectoparassiti/endoparassiti è apparsa diffusa ma inadeguata per prodotto utilizzato ed irregolarità dei trattamenti. Tra i vari allevamenti si sono riscontrate differenze notevoli nel tipo di alimento somministrato, quantità e qualità degli ingredienti. L’energia metabolizzabile di una razione giornaliera stimata per un cane di 18 kg nel periodo di caccia è risultata tra 1750 e 1400 Kcal, con contenuti proteici e lipidici cha variano rispettivamente dal 40 al 18% e dal 35 al 23% dell’energia metabolizzabile. L’analisi dei risultati effettuata per singolo allevamento evidenzia importanti differenze: patologie dermatologiche, parassitosi esterne ed eosinofilia risultano uniformemente distribuite nella popolazione, mentre il cattivo stato di nutrizione e le alterazioni del profilo biochimico appaiono confinate a specifici allevamenti. In un allevamento si è evidenziato un cattivo stato di nutrizione ed alterazioni marcate del profilo biochimico in 14 soggetti su 15; in 2 allevamenti è stato riscontato un cattivo stato di nutrizione nel 30-40% dei soggetti, con alterazioni di laboratorio nel 40-60% dei casi; 2 allevamenti sono risultati praticamente esenti da alterazioni del profilo biochimico con soggetti in buono stato di nutrizione. Questi dati si correlano bene con la dieta somministrata, che appare a basso contenuto proteico/lipidico negli allevamenti con maggiore prevalenza di alterazioni. Conclusioni: Questo studio ha evidenziato notevoli carenze nella gestione dell’allevamento, con evidenti ripercussioni sullo stato di salute degli animali. L’inadeguata profilassi nei confronti delle parassitosi dà spesso luogo a patologie dermatologiche ed aumenta il rischio di malattie trasmesse da artropodi vettori. La dieta somministrata è spesso povera di proteine e grassi per il livello di attività svolto, al punto tale da risultare in alterazioni del profilo biochimico.


402

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

MISURAZIONE PRESSIONE ARTERIOSA NEL CANE: STUDIO EPIDEMIOLOGICO SU 680 CASI Santilli Roberto A.* Dr Med.Vet. D.E.C.V.I.M.-C.A. (Cardiology); Gerboni GianMarco* Dr Med.Vet., Paolo Galavotti§ *Libero professionista, Samarate (VA) § Imola, Bologna Lo scopo del lavoro comprendeva la descrizione dei limiti della pressione arteriosa in un’ampia popolazione di cani (273 sani, 227 con patologie non ipertensive e 180 con patologie potenzialmente ipertensive, quali diabete mellito, ipotiroidismo, insufficienza renale cronica, glomerulonefriti, malattie epatiche e feocromocitoma); lo studio degli effetti delle differenti variabili sulle misurazioni della pressione arteriosa e la valutazione di diverse strumentazioni per la misurazione della pressione arteriosa nei cani di piccola taglia. Sono stati selezionati 697 cani per ognuno dei quali sono state effettuate cinque misurazioni consecutive dopo quindici minuti di acclimatazione in decubito laterale destro con la cuffia posta a livello di arto prossimale sinistro sopra il carpo. 680 sono entrati nello studio per la ripetibilità dei dati (coefficiente di variabilità intra-osservatore minore del 10%) ottenuta con il metodo Doppler, oscillometrico, od entrambi. La pressione sistolica e media sono apparse normalmente distribuite in accordo con il test di Skewness e Kurtosis. Nei cani con peso corporeo < 8 kg (n=145) sono stati utilizzati sia il Doppler sia il metodo oscillometrico; il secondo metodo è stato ripetibile nel 54,48% dei cani. La tabella 1 mostra la media, la deviazione standard e gli intervalli di confidenza della pressione sistolica, diastolica e media ottenute nei cani sani. Il test statistico oneway Anova è stato usato per valutare la varianza dei dati. Non sono state evidenziate differenze significative della pressione arteriosa con variazioni del temperamento dell’animale. I cani con peso tra i 20 ed i 35 kg hanno presentato la pressione sistolica oscillometrica più alta (p = 0,03), mentre i cani con peso tra i 5 ed i 20 kg hanno presentato una pressione sistolica, diastolica e media più alta (p = 0,009; p = 0,02, p=0,01). Cani con iperadrenocorticismo, insufficienza renale cronica, glomerulonefriti e feocromocitoma hanno presentato più alte pressioni oscillometriche sistoliche (p=0,0004), diastoliche (p=0,0002) e medie (p=<0,0001) quando confrontate con quelle dei cani sani. I cani con diabete mellito hanno presentato pressioni diastoliche (p=0,0002) e medie (p=<0,0001) più alte dei cani sani. Una correlazione lineare negativa è stata dimostrata tra la pressione oscillometrica diastolica ed il peso (p = 0,03; r2 =0,007), tale correlazione è risultata invece positiva tra l’età e la pressione sistolica Doppler (p=0,003;r2 = 0,05), oscillometrica sistolica (p=0,001;r2 = 0,01), oscillometrica diastolica (p=<0,0001;r2 = 0,06) ed oscillometrica media (p= <0,0001;r2 = 0,03). In conclusione come dimostrato da altri lavori l’età ed il peso hanno i maggiori effetti sulla pressione arteriosa nel cane. Il metodo oscillometrico con la cuffia posta a livello prossimale dell’arto anteriore ha premesso di ottenere dati ripetibili nella maggior parte dei cani di grossa taglia ma solo nel 54,48% dei cani di piccola taglia dove è preferita la metodica Doppler. Come dimostrato da altri lavori i cani con malattie potenzialmente ipertensive hanno valori pressori più elevati della popolazione normale.

Tabella 1 Pressione

Media

Dev. Std

Std Errore Media

Minimo 95%

Massimo 9 5%

Doppler Sistolica Oscillometrico Sistolica Oscillometrico Diastolica Oscillometrico Media

48 225 225 225

153,125 138,501 87,173 104,514

33,48 16,72 17,83 14,33

4,83 1,229 1,189 0,95

143,56 136,09 84,84 102,64

162,69 140,92 89,51 106,39


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

403

SEMINOMA MALIGNO IN UN CANE Sebastiao Marina* Med Vet; Rossetti Carlos* Med Vet Spec mal picc anim; Del Piero Fabio§ DVM, Dipl ACVP, Prof. *Liberi professionisti, Savona § Departments of Pathobiology, Department of Clinical Studies NBC, PADLS School of Veterinary Medicine, University of Pennsylvania Philadelphia, USA Introduzione: I seminomi sono neoplasie delle cellule germinali testicolari descritte in molte specie animali. I seminomi benigni sono frequenti, specialmente nei testicoli ectopici, mentre quelli maligni sono rari nei mammiferi domestici e descrizioni dettagliate sono ancor più rare. Qui descriviamo la presentazione clinica, la morfologia e gli aspetti terapeutici e prognostici di un seminoma maligno in un cane. Segnalamento, segni clinici, patologia, terapia: Un cane meticcio, maschio intero di 15,5 anni, fu portato alla nostra attenzione per una visita particolare all’apparato riproduttore in quanto il testicolo sinistro era contenuto nello scroto, mentre quello destro era localizzato dorsalmente nel canale inguinale. La gonade ectopica era aumentata di volume (cm 5) e di consistenza. L’esame ecografico rivelò un aumento omogeneo del parenchima testicolare che appariva leggermente più ecogeno. Sospettando una neoplasia testicolare primaria, entrambi i testicoli e lo scroto vennero rimossi chirurgicamente. La superficie di taglio del parenchima, dove non si distinguevano più i dettagli anatomici era biancastra, protundente e soffice. All’esame citolgico evidenziammo una densa popolazione di cellule rotonde di varia grandezza a nucleo eucromatico, talvolta picnotico, nucleolo centrale prominente, e citoplasma omogeneo azzurro con razio nucleo/citoplasma anomale e variabile. Frequenti erano cellule atipiche binucleate, raramente polinucleate, con mitosi anche bizzarre. L’esame istologico permise di evidenziare le cellule sopra descritte che scompaginavano la morfologia testicolare con scomparsa della maggior parte dei tubuli seminiferi. Quelli rimanenti erano ripieni di queste cellule rotonde neoplastiche che talvolta riproducevano la morfologia tubulare cavitaria ma molto più spesso formavano delle isole solide. Le cellule del Sertoli erano scomparse, mentre vi erano in poche aree qualche residua cellula interstiziale di Leydig. Nei vasi linfatici subtunicali dilatati erano penetrate cellule neoplastiche singole e a gruppi. Discussione e conclusione: La morfologia di questa neoplasia unilaterale chiaramente permetteva di escludere la presenza di una neoplasia maligna delle cellule di sostegno del Sertoli come pure di quelle interstiziali del Leydig e qualsiasi altra neoplasia secondaria. Altri tumori considerati, ma chiaramente non rappresentati sono il carcinoma embrionale, il tumore del sacco vitellino, i teratomi ed i coriocarcinomi. Questo seminoma maligno aveva alterato completamente il parenchima testicolare e penetrato i linfatici. Ciononostante ad un anno dall’intervento, sebbene l’opzione di un possibile addizionale trattamento preventivo (chemioterapia con sali di platino e/o radiazione) fosse stata offerta ai proprietari, il paziente non presenta alterazioni sistemiche che suggeriscono un evento metastatico. Pertanto si trattava di un seminoma allo stadio I. Dai pochissimi dati disponibili in letteratura e da opinioni personali di alcuni colleghi oncologi, sembra che il seminoma maligno canino abbia le stesse caratteristiche di labilità alla terapia dei seminomi dell’uomo. Sono in corso studi immunoistochimici per valutare l’espressione antigenica ed ormonale di questa neoplasia dal momento che non sono riportati in letteratura studi dettagliati di questo tipo sui seminomi maligni del cane e degli altri mammiferi domestici.

La bibliografia è disponibile presso gli autori.


404

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

SIGNIFICATO PROGNOSTICO DELLA BIOPSIA ECOGUIDATA CON AGO SOTTILE DI MILZA E FEGATO NELLA STADIAZIONE CLINICA DEL MASTOCITOMA DEL CANE Stefanello Damiano Med Vet*; Romussi Stefano Med Vet PhD*; Caniatti Mario Med Vet dipl. ECVP#; Faverzani Stefano Med Vet PhD§ *Istituto di Clinica Chirurgica e Radiologia Veterinaria, Facoltà di Medicina Veterinaria, Milano # Dipartimento di Patologia Animale, Igiene e Sanità Pubblica, Sezione di Anatomia Patologica Veterinaria e Patologia Aviare, Facoltà di Medicina Veterinaria, Milano § Istituto di Patologia Speciale e di Clinica Medica Veterinaria, Facoltà di Medicina Veterinaria, Milano Il mastocitoma (MCT) è un tumore maligno frequente nel cane e il suo comportamento clinico è imprevedibile e indipendente dalla stadiazione clinica e dalla classificazione istologica. Le metastasi sono un’evenienza rara nel cane ma suggeriscono una prognosi infausta. Scopo di questo studio è di valutare l’attendibilità della biopsia ad ago sottile ecoguidata di milza e fegato (UFNB=Ultrasonographic Fine Needle Biopsy) nella stadiazione clinica, dei cani affetti da MCT e di stimarne il suo significato prognostico. Diciannove cani affetti da MCT sono stati ammessi a questo studio sulla base dei seguenti criteri di ammissione: segnalamento, numero e localizzazione della neoplasia, grado citologico e istologico, ecografia dell’addome, UFNB di milza e fegato e per ogni sede di prelievo sono stati allestiti ed esaminati almeno tre vetrini. Sono stati inoltre presi in considerazione: radiografia del torace, esame emocromocitometrico ed ematochimico, citologia dei linfonodi regionali, buffy coat, presentazione clinica, valutazione istologica dei margini di escissione, numero di chirurgie eseguite, presenza di metastasi, terapie adiuvanti e cause del decesso. La valutazione del follow-up dei pazienti è avvenuta sia mediante visita clinica sia, mediante contatto telefonico con il proprietario o con il medico referente. Il campione contava 14 maschi e 5 femmine con età media di 8,6 anni. La razza boxer era la più rappresentata (6 su 19). Su 31 MCT totali osservati 11 erano localizzati al tronco, 9 all’arto posteriore, 7 alla testa, 3 allo scroto, 1 all’arto anteriore. Dei 19 pazienti 8 presentavano mastocitomi multipli (in quattro casi due MCT, in due casi tre, in un caso quattro MCT e in uno cinque). La mastocitosi epatica e splenica era diagnosticata in 6 casi su 19 e in tre di questi con 5, 4 e 2 MCT si trattava di MCT multipli. In 3 su 6 casi con mastocitosi le condizioni cliniche erano scadenti con vomito, disoressia, ed episodi di lipotimie. Il buffy coat era positivo in quattro su sei. In uno dei pazienti affetti da mastocitosi epatica e splenica il radiogramma del torace evidenziava metastasi polmonare confermata in sede autoptica. Dei sei casi con mastocitosi epatica e splenica il MCT primitivo era stato classificato citologicamente in 4 casi (moderatamente differenziato in tre e ben differenziato in uno) e istologicamente in cinque casi (tre mastocitomi di secondo grado e due di terzo grado). Tutti i pazienti con mastocitosi splenica ed epatica sono deceduti; in tre casi l’eutanasia è stata eseguita al momento della diagnosi per le scadenti condizioni cliniche e per la prognosi indicata, in due casi dopo 4 e 2 mesi rispettivamente di terapia con lomustina ed in un caso 2 mesi dopo terapia con corticosteroidi. Tra i pazienti non affetti da mastocitosi epatica e splenica l’eutanasia è stata eseguita dopo 18 mesi dalla diagnosi in un solo caso per assenza di risposta alla chemioterapia in un paziente affetto da MCT multiplo. I rimanenti casi sono attualmente in vita con un follow-up medio di 180 giorni senza notifica di recidive, di metastasi o comparsa di nuovi MCT. In conclusione, per quanto l’impiego della UFNB sia raramente riportata in letteratura per la stadiazione del MCT, si è dimostrata utile per valutare citologicamente la presenza quali-quantitativa dei mastociti nella milza e nel fegato. Tale condizione si è dimostrata seppure solo clinicamente sempre correlata a prognosi infausta. Sebbene il campione esaminato non sia statisticamente significativo non sembra esistere alcuna correlazione clinica tra sede, numero dei MCT, classificazione citologica, istologica e mastocitosi epatica e splenica. Sulla base delle considerazioni esposte la metodica sembra essere utile nel definire la prognosi dei MCT cutanei del cane.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

405

VALUTAZIONE DELL’ATTIVITÀ TELOMERASICA IN LINFONODI CANINI NORMALI E LINFOMATOSI Valentini Fabio*, DVM, MS; Kitchell Barbara*, DVM, PhD, DACVIM *Dept. of Veterinary Clinical Medicine, Cancer Care Clinic and Comparative Oncology Research Laboratory, College of Veterinary Medicine, University of Illinois, USA Introduction: One of the several differences between a normal and a neoplastic cell is that there is a phisiological limit to the number of possible cell replications in the former, whereas it appears to be unlimited in the latter. For this reason, cancer cells are thought to undergo a phenomenon of immortalization. The chromosome extremities contain structurally defined elements called telomeres. In normal somatic cells, each mitotic cycle leads to a reduction of telomere lenght until a critical point is reached. Telomere erosion to this critical lenght presents a signal for the cell to arrest further divisions and to undergo cellular senescence or to activate apoptosis. Telomeres that avoid critical shortening could, theoretically, replicate endlessly, thereby immortalizing the cell. One mechanism to restore telomere lenght is the activation of a specific reverse transcriptase called telomerase. The telomerase is a ribonucleoprotein that contains a 9-base-pair RNA template to rapidly construct telomeric repeats. Upregulation of the telomerase enzyme provides immortalizing capacity to neoplastic cells. Based on the hypothesis that telomerase is a specific marker of neoplastic tissues, the development of methods to detect its activity may represent an accurate, non-invasive diagnostic and prognostic tool. Objectives: The purpose of this study was to detect telomerase activity in normal, hyperplastic and neoplastic canine lymphoid tissue by mean of the TRAP assay with particular concern to its relative sensitivity and specificity. Materials and methods: The study population consisted of client-owned dogs who underwent surgical biopsy or exploratory procedure during their hospitalization. Informed consent was given by the owner for collection of samples used for this study. This study population included dogs with normal, hyperplastic and neoplastic lymphoid tissues. The TRAP assay is a PCR based protocol which measure telomerase activity by detecting and amplifying extension products of the enzyme. These products are then visualized using polyacrilamide gel analysis. Results: Of twelve histopathologically confirmed lymphomas, eleven were telomerase positive on TRAP assay whereas eleven of twelve normal lymphoid tissues and two of two hyperplastic lymphoid tissues were telomerase negative. Analysis of these results indicated an estimated sensitivity of 91% and specificty of 92% of this method. Conclusion: Based on this method we obtained a very strong correlation between the histopathological diagnosis and the telomerase outcome in the sense that most of lymphomas came up strongly telomerase positive whereas normal and even reactive lymphnodes were generally telomerase negative. The TRAP assay can be used to measure telomerase activity in canine lymphomatous tissues. So far we don’t recommend its use as a single method because of some issue related to the reliability of some positivity. Therefore, the TRAP can be used as a further confirmation after clinical, cytological and histopathological examination.


406

46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

CORRELAZIONE TRA ECOGENICITÀ PARENCHIMALE ED ISTOPATOLOGIA NELLA SPECIE CANINA: STUDIO RETROSPETTIVO DI 293 CASI Zatelli Andrea* DMV; Roberto Santilli° DMV dipl. ECVIM-CA; Borgarelli Michele^ DMV dipl. ECVIM-CA; Bonfanti Ugo§ DMV *Libero professionista, Reggio Emilia; °Libero professionista, Samarate (VA); ^Fac. Med. Vet. Torino; § Libero professionista, Milano Il presente lavoro retrospettivo ha lo scopo di verificare la possibile correlazione tra ecogencità renale ed istopatologia d’organo nella specie canina. Sono stati raccolti 293 casi dal dicembre 1997 al settembre 2002; 275 pazienti sono stati sottoposti ad intervento bioptico percutaneo eco-assistito, 8 pazienti sono stati sottoposti a nefrectomia e 10 campioni bioptici sono stati ottenuti in sede autoptica. Tutti i pazienti sottoposti a biopsia renale eco-assistita evidenziavano iperazotemia e/o proteinuria (con sedimento urinario inerte) e/o ematuria (micro- o macroematuria di origine ignota) o proteinuria non selettiva o mista determinata mediante Sodio Dodecil Solfato-Agar Gel Elettroforesi (SDS-AGE). I pazienti con proteinuria moderata e/o microematuria sono stati sottoposti a biopsia se ematuria o proteinuria persistevano a due controlli consecutivi effettuati a distanza di 4 settimane ed in assenza di attività fisica svolta nelle 96 ore precedenti la raccolta delle urine. Tutti i campioni urinari sono stati prelevati per cistocentesi eco-assistita ed i campioni raccolti sono stati esaminati entro 2 ore per l’esecuzione del sedimento urinario o conservati a temperatura compresa tra +4°C e +8°C dopo aggiunta di Sodio Azide all’1% ed esaminati entro 14 giorni mediante SDS-AGE. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a studio quantitativo della proteinuria con Pirogallolo ad alta linearità e successiva determinazione del rapporto Proteine/Creatinina Urinaria (P/CU); in 64 pazienti è stato effettuato anche lo studio qualitativo della proteinuria mediante SDS-AGE. Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad iniziale esame ecografico addominale e l’ecogenicità parenchimale (corticale, midollare o globale) è stata riportata prima dell’esecuzione della biopsia od al momento dell’esecuzione dell’intervento bioptico. L’ecogenicità parenchimale renale è stata valutata accettando una arbitraria suddivisione in 5 classi: 1. ipoecogenicità parenchimale corticale, midollare o globale; 2. normoecogenicità corticale e midollare; 3. iperecogenicità corticale diffusa (>rispetto al fegato, <rispetto alla milza) e normoecogenicità midollare con una differenziazione cortico-midollare mantenuta; 4. iperecogencità parenchimale globale corticale e midollare (>rispetto al fegato, < rispetto alla milza); 5. iperecogenicità corticale o globale > alla milza con distinzione cortico-midollare mantenuta o assente. Non sono stati sottoposti a biopsia i pazienti che presentavano caratteristiche ecografiche riconducibili ad “end stage kidney”, idronefrosi, a malattia policistica renale e quelli che avevano un indirizzo diagnostico dopo esame ecotomografico e/o clinicostrumentale riconducibile ad un processo settico in atto. Ogni campione bioptico è stato valutato in microscopia ottica convenzionale dopo colorazione con Ematossilina Eosina, Tricromica di Goldner, Metenamina, PAS e, su richiesta dell’istopatologo, Rosso Congo. Sono stati considerati significativi solo i campioni istologici nei quali erano evidenziabili almeno cinque glomeruli per sezione istologica con l’eccezione dei campioni positivi per la ricerca di sostanza amiloide per i quali è stata considerata sufficiente l’individuazione di un solo glomerulo. 81 pazienti sono risultati affetti da glomerulonefrite (GN) mesangiale, 23 da GN membranosa, 29 da GN membrano-proliferativa, 17 da GN proliferativa essudativa, 18 da GN ischemica, 11 da glomerulosclerosi focale e segmentaria (GSFS), 8 da immaturità glomerulare, 19 da amiloidosi, 8 da glomerulopatia diabetica, 4 da pielonefrite acuta, 17 da nefrite interstiziale acuta, 21 da nefrite interstiziale cronica, 19 da necrosi tubulare, 11 da neoplasia, 13 da “end stage kidney”, 13 campioni sono stati esclusi perché presenti meno di 5 glomeruli per sezione e negativi al Rosso Congo e 11 campioni bioptici hanno evidenziato un quadro istopatologico normale. L’ecogenicità parenchimale è risultata essere correlata al grado di infiltrazione cellulare interstiziale, all’atrofia tubulare ed alla sclerosi globale d’organo; le patologie tubulo-interstiziali hanno evidenziato una incidenza maggiore nella determinazione delle variazioni di ecogenicità parenchimale rispetto alle patologie glomerulari. L’introduzione di un esame ad elevata sensibilità nei confronti delle patologie glomerulari e tubulo-interstiziali quale l’SDS-AGE si è rivelata utile nello screening in fase precoce di soggetti a rischio di patologia d’organo ed ha ridotto la sensibilità dell’esame ecografico nell’individuazione delle patologie renali in fase iniziale.


46° Congresso Nazionale Multisala SCIVAC

407

CORRELAZIONE TRA PROTEINURIA QUALITATIVA ED ISTOPATOLOGIA RENALE: RUOLO DIAGNOSTICO DELLE PROTEINE A BASSO E AD ALTO PESO MOLECOLARE NELLA DEFINIZIONE DEL DANNO TUBULOINTERSTIZIALE E GLOMERULARE Zini Eric§ DMV; Bonfanti Ugo° DMV; Zatelli Andrea* DMV Cdip di Patologia Animale, Facoltà di Medicina Veterinaria, Torino; °Libero professionista, Milano; *Libero professionista, Reggio Emilia

§

Introduzione: L’esame qualitativo della proteinuria mediante la tecnica SDS-AGE (Sodium Dodecyl Sulphate-Agarose Gel Electophoresis) permette l’identificazione delle proteine urinarie con peso molecolare compreso tra 12 kDa e 900 kDa con una sensibilità pari a 15 mg/L per ogni banda proteica. La distinzione delle proteine urinarie si è dimostrata utile nel riconoscimento precoce dei danni glomerulari e tubulari sia nell’uomo che negli animali da laboratorio. Materiali e metodi: Quarantanove cani affetti da nefropatie sono stati sottoposti a cistocentesi eco-assistita per il prelievo di un campione di urina sterile. I campioni sono stati sottoposti ad esame chimico/fisico, del sedimento e ad esame qualitativo della proteinuria mediante metodica SDS-AGE. Tutti i cani sono stati sottoposti ad esame bioptico renale eco-assistito per l’identificazione delle lesioni istopatologiche primarie. Le lesioni tubulointerstiziali sono state suddivise secondo la seguente classificazione di danno morfologico: (0) assenza di lesioni; (1) infiltrati linfoplasmocitari focali; (2) infiltrati linfoplasmocitari focali ed ectasia o atrofia tubulare; (3) infiltrati linfoplasmocitari focali ed ectasia o atrofia tubulare e fibrosi focale; (4) lesioni vascolari e/o necrosi tubulare acuta e/o lesioni osservate in (2) o (3) ma aventi distribuzione diffusa. Per i confronti statistici le suddette classi sono state così raggruppate: classe 0 corrisponde ad “a”, classe 1-2 a “b” e classe 3-4 a “c”. Risultati: L’esame istopatologico ha identificato la presenza di glomerulopatie in 8/49 cani (16.3%), tubulointerstiziopatie in 5/49 cani (10.2%) e disordini misti nei restanti 36/49 cani (73.5%). La sensibilità dell’esame SDS-AGE per l’identificazione delle lesioni glomerulari e tubulointerstiziali è risultata del 100% e del 92.6% rispettivamente, mentre la specificità del 40% e del 62.5% rispettivamente. Nell’ambito delle lesioni TI in classe “b” la sensibilità è stata dell’89.3%, mentre in classe “c” del 100%. Il profilo proteinurico si è dimostrato sovrapponibile in tutti i cani nei quali la lesione glomerulare è stata documentata istologicamente. I profili proteinurici nei soggetti con patologia tubulo-interstiziale sono invece apparsi ampiamente diversificati. Si è osservata l’esistenza di una correlazione positiva tra la gravità del danno tubulointerstiziale e la graduale comparsa di proteine a peso molecolare inferiore. Inoltre, il riconoscimento di una o entrambe le proteine urinarie aventi peso molecolare pari a 12 e 15 kDa ha consentito di identificare cani con danno tubulointerstiziale di classe “c” con una sensibilità e specificità del 100%. Discussione: La metodica SDS-AGE si è rivelata un metodo di indagine non-invasiva estremamente valido nello studio dei cani affetti da patologie interessanti sia il comparto glomerulare che quello tubulointerstiziale. L’indagine qualitativa della proteinuria si è dimostrata altrettanto sensibile all’esame bioptico per l’identificazione dei danni glomerulari ma scarsamente specifica. Le lesioni tubulointerstiziali appaiono invece identificabili con la medesima sensibilità dell’esame bioptico solo quando il grado di danno istologico è più grave, mentre danni di minore entità appaiono più difficilmente individuabili. Mentre l’SDSAGE non consente la distinzione dei processi patologici glomerulari in atto, le lesioni tubulointerstiziali appaiono invece ampiamente caratterizzabili. La comparsa di proteine aventi peso molecolare più basso consente di identificare con attendibilità lesioni gravi a carico del comparto tubulointerstiziale.


La SCIVAC ringrazia le Aziende sponsor

Hill’s* Animal Health


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.