56a edizione Scivac Rimini - parte1

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in collaborazione con

SOCIETÀ CULTURALE ITALIANA VETERINARI PER ANIMALI DA COMPAGNIA

SOCIETÀ FEDERATA ANMVI

Estratti relazioni Comunicazioni brevi Poster Workshop specialistici

organizzato da

certificata ISO 9001:2000


SOCIETÀ CULTURALE ITALIANA VETERINARI PER ANIMALI DA COMPAGNIA SOCIETÀ FEDERATA ANMVI

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scivac 56° CONGRESSO INTERNAZIONALE MULTISALA

Estratti relazioni Comunicazioni brevi Poster Workshop specialistici

RIMINI 1-3 GIUGNO 2007 PALACONGRESSI DELLA RIVIERA DI RIMINI

Traduzione dei testi inglesi: Dr. Maurizio Garetto e Dott.ssa Tiziana Binelli

organizzato da

Eventi Veterinari

certificata ISO 9001:2000


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li atti del Congresso Internazionale Multisala SCIVAC 2007, oltre che di tutti i Congressi Multisala SCIVAC dal 1998 al 2006, sono presentati in formato PDF. Oltre a consentire la fedele riproduzione digitale della versione cartacea, questo formato offre la possibilità di inserire ipertesti in modo da rendere i documenti ricercabili e navigabili. La consultazione del CD richiede Acrobat Reader 3.0 o superiore installato sul computer. Nel CD è contenuto il file di installazione del programma per gli utenti che ne fossero sprovvisti (aprire la cartella ACROBAT e quindi quella MAC o WIN in base al proprio sistema operativo. Cliccare sul file di installazione e seguire le istruzioni fornite). Per iniziare la consultazione aprire il file menu.pdf. Si può accedere agli abstracts a partire dai segnalibri (a sinistra della finestra di Acrobat reader). Le frecce gialle consentono di visualizzare in sequenza i lavori di ciascun autore. È possibile eseguire una ricerca per parole chiave (TROVA) e stampare ogni sezione degli atti.

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R Macintosh PowerPC 160 MHz MacOS 8.1 64 Mb RAM CD-ROM 8x monitor 800x600 migliaia di colori

E Q U I S I T I

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S I S T E M A

PC Pentium 150 MHZ WIN 95/98 32 Mb Ram CD-ROM 8x monitor 800x600 migliaia di colori

Ideazione e realizzazione Enrico Febbo, Med Vet

© SCIVAC 2007. Tutti i diritti riservati.

La SCIVAC ringrazia le Aziende sponsor

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LABORATORIO PER MEDICI VETERINARI


CONSIGLIO DIRETTIVO SCIVAC MASSIMO BARONI GILDO BARONI DEA BONELLO FABIA SCARAMPELLA UGO BONFANTI DAVIDE DE LORENZI GUIDO PISANI

Presidente Presidente Senior Vice Presidente Segretario Tesoriere Consigliere Consigliere

COMITATO SCIENTIFICO DEA BONELLO MICHELE BORGARELLI LORENZO CROSTA DAVIDE DE LORENZI MANUELA FARABOLINI ADRIANO LACHIN UGO LOTTI ANDREA ZATELLI BARBARA RIGAMONTI MASSIMO MARISCOLI BRUNO PEIRONE GUIDO PISANI GIORGIO ROMANELLI FEDERICA ROSSI FABIA SCARAMPELLA FABIO VIGANÒ

Odontostomatologia Cardiologia Animali Esotici Citologia Riproduzione Anestesia Medicina Interna Nefrologia Medicina non convenzionale Neurologia Ortopedia Chirurgia Oncologia Diagnostica per Immagini Dermatologia Medicina d’Urgenza

COORDINATORE SCIENTIFICO CONGRESSUALE FULVIO STANGA, Med Vet, Cremona

SEGRETERIA CONGRESSUALE MONICA VILLA Tel: +39 0372 403504 - E-mail: commscientifica@scivac.it

SEGRETERIA MARKETING FRANCESCA MANFREDI Tel: +39 0372 403538 - E-mail: marketing@evsrl.it

SEGRETERIA ISCRIZIONI PAOLA GAMBAROTTI Tel: +39 0372 403508 - Fax: +39 0372 403512 - E-mail: info@scivac.it

ORGANIZZAZIONE CONGRESSUALE EV - Eventi Veterinari Via Trecchi 20 - 26100 CREMONA (I)


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CURRICULA VITAE DEI RELATORI CAROLINE BACK Bvet Med, MRCVS, Stoccolma (S) Nel 1983 si è laureata in Medicina Veterinaria presso il Royal Veterinary College di Londra e da allora ha sempre lavorato in clinica, nel campo della ricerca e dell’industria nel Regno Unito, in Kenia e in Svezia. È stata titolare di un ufficio di consulenza e gestione aziendale veterinaria, la Nordic Connection Consulting e ha tenuto numerosi incontri e conferenze sulla gestione del business veterinario in tutta Europa, Stati Uniti e Australia, sia nelle cliniche veterinarie che nei maggiori congressi di medicina veterinaria. Caroline ha anche pubblicato numerosi articoli sulla gestione del business veterinario, incluso diversi libri: Managing a Veterinary Practice, 2nd Edn (2006) Elsevier Ltd; Healthcare for the well pet (Saunders, 1997) (with Tom Catanzaro); e l’imminente ‘Communication, Compliance and Leadership: making healthcare work in veterinary practice’ (Elsevier Ltd) che uscirà a primavera 2007. Dopo un periodo passato ancora in clinica come veterinario internista, Caroline è stata Direttrice di due dei più grandi ospedali svedesi per animali da compagnia a Stoccolma con uno staff di circa 120 persone e con un fatturato annuo che supera i 7 milioni di Euro. Attualmente ricopre l’incarico di Nordic Vet Affair Manager in Hill’s Pet Nutrition con la responsabilità di sviluppare l’insegnamento e la gestione del business veterinario in Svezia, Danimarca, Norvegia e Finlandia. MARC BAER DVM, Dipl SVHA, Zurigo, (CH) Il dr. Baer si laurea in Medicina Veterinaria nel 1982 presso l’Università di Zurigo. Trascorre 4 anni facendo studi di Omeopatia classica sotto la direzione del prof. Jost Kuenzli. Nel 1987 riceve il Diploma in omeopatia classica dalla Swiss Association of Homeopathic Physicians (SVHA = socio dell’ECH European Council di Omeopatia). Dal 1987 ha seguito i corsi di A. Zaren, M. Mangialvori, R. Sankaran e altri. Dal 1990 è stato relatore ed Esaminatore per l’IAVH (Associazione Veterinaria di Omeopatia Veterinaria), per la SVHA e la STVAH. Presidente del Comitato di Certificazione della Veterinaria Omeopatica. Numerose le sue pubblicazioni. Lettore all’Università di Zurigo e professore in corsi post laurea in diversi paesi. Ha collaborato alla stesura e pubblicazione del prontuario veterinario svizzero. RODNEY BAGLEY DVM, Professor, Dipl ACVIM, Washington, USA Bagley si laurea nel 1986 al Virginia-Maryland Regional College of Veterinary Medicine. Completa l’intership in piccoli animali e il residency in Medicina Interna alla Cornell University. Alla North Carolina State University termina il residency in neurologia e neurochirurgia. Bagley è diplomato ACVIM con doppia specializzazione in neurologia e medicina interna. Autore di oltre 175 articoli scientifici, abstracts e capitoli di libri inerenti la neurologia le neurochirurgia e la medicina interna. È curatore di una edizione del Veterinary Clinics of North America sulle malattie intracraniche. Il suo libro “Fundamentals of Veterinary Clinical Neurology” è stato pubblicato nel Settembre 2006. Ha presentato più di 250 relazioni scientifiche in congressi nazionali ed internazionali tra cui l’ACVIM e l’ACVS Forum. È stato riconosciuto anche un esperto di Risonanza Magnetica delle malattie neurologiche. Attualmente è professore di neurologia alla Washington State University, College of Veterinary Medicine e Direttore della Continuing Education presso il College of Veterinary Medicine.

MASSIMO BARONI Med Vet, Dipl ECVN, Monsummano Terme, Pistoia Si laurea con lode a Pisa. Ha compiuto un Non Conforming Residency Programme in Neurologia presso l’Istituto di Neurologia, a Berna. Diplomato ECVN. Attualmente svolge la propria attività specialistica presso la Clinica Veterinaria “Val di Nievole”, Monsummano Terme, Pistoia. È stato membro dell’Education Commitee del College Europeo di Neurologia (ECVN) dal 1996 al 1999 ed è attualmente Vicepresidente dell’ESVN. È componente del Consiglio Direttivo della Società Italiana di Neurologia Veterinaria (SINVET) e Presidente SCIVAC dal Maggio 2004. È autore di pubblicazioni riguardanti l’ortopedia e la neurologia e ha presentato oltre 90 relazioni ad incontri a carattere nazionale ed internazionale, in Italia ed all’estero. Attuali aree di interesse: neurodiagnostica per immagini, neurochirurgia intracranica. CLAUDE BEATÀ Dr Med Vet, Le Rieu Neuf, St Saturnin les Aptes, Francia Laureato nel giugno del 1983 all’Università di Lione, Francia. Inizia la sua carriera da libero professionista nel 1985 quando crea e sviluppa una clinica veterinaria per piccoli animali a Tolone. Nel 1997 ha conseguito il Diploma in Etologia e nel giugno 1998 il Diploma di Veterinario Comportamentale dalla Scuola Veterinaria Francese. Dal 1989 è membro del Gruppo di Studio (GECAF) di terapia comportamentale ed è membro dal 1995 della European Society on Veterinary Clinical Ethology (ESVCE) di cui fa parte del Consiglio Direttivo dal 1998. È membro del corpo docente dei corsi propedeutici delle Scuole Nazionali Veterinarie e dei corsi di base ai tirocinanti. È fondatore, insieme ad altri colleghi, e Presidente dell’associazione Zoopsy che raggruppa i Diplomati della scuola veterinaria Francese con l’intento di espandere in tutto il mondo la metodologia latina di trattare i problemi comportamentali nei piccoli animali. È stato relatore a numerosi congressi sia nazionali che internazionali in Francia, Inghilterra e Spagna. ROBERTO BELLENTANI Med Vet, Modena Laureato nel 1982 presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Parma. Inizia la professione prima in un Ambulatorio a Modena, poi dal 1992 al 1998 fa parte dello staff della Casa di cura veterinaria San Geminiano, struttura dotata di pronto soccorso e degenza. In questo periodo si occupa di chirurgia generale, diagnostica per immagini ed anestesiologia. Dal 1999 lavora in un Ambulatorio Veterinario a Formigine, di cui è Direttore Sanitario, e collabora con l’Ambulatorio Veterinario San Prospero di Reggio Emilia dove si occupa esclusivamente di anestesia; saltuariamente svolge inoltre attività di consulenza anestesiologica in altre strutture. È membro della Società europea di Anestesia Veterinaria (AVA) e della SIARMUV, alla quale ha collaborato attivamente con la presentazione di relazioni e casi clinici. Ha portato comunicazioni libere e relazioni al 44°, al 48°, al 50° ed al 53° congresso nazionale SCIVAC su vari argomenti: sulle tecniche locoregionali (in particolare epidurale e blocco del plesso brachiale con elettroneurostimolatore), sull’anestesia nella chirurgia del parto cesareo (sulla stessa materia ha curato una pubblicazione per una ditta farmaceutica), sulla valutazione dell’uso in veterinaria della maschera laringea. Ha collaborato con la SVIDI e nell’incontro svoltosi nell’ottobre 2004 ha relazionato sull’anestesia nella diagnostica per immagini delle prime vie respiratorie. Da alcuni anni è ospite frequentatore del reparto di chirurgia in una Casa di Cura di Modena ed ha svolto diversi stage di aggiornamento presso l’Ambulatorio “Città di Tortona” del Dott. Emilio Feltri.


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MARCO BERNARDINI Med Vet, Dipl ECVN, Bologna Laureato in Medicina Veterinaria presso l’Università di Bologna nel 1988. Dal 1994 al 1995 residency in Neurologia Veterinaria presso l’Università di Berna (Svizzera). Diplomato all’European College of Veterinary Neurology (ECVN) nel 1995. Dal 1997 al 2001 Profesor Asociado di Neurologia Veterinaria e Responsabile del Servizio di Neurologia del Hospital Clínico Veterinario dell’Università Autonoma di Barcellona (Spagna). Dal 2002 al 2003 Oberassistent in Neurologia Veterinaria presso l’Università di Berna. Attualmente è Professore Associato nel Dipartimento Clinico Veterinario dell’Università di Padova e lavora a Bologna come libero professionista referente di casi neurologici. Relatore a corsi e congressi in Italia e all’estero, è autore e coautore di articoli e libri di neurologia veterinaria. WALTER BERTAZZOLO Med Vet Dipl ECVCP, Pavia Laureato nel 1995 presso l’Università degli Studi di Milano, Istituto di Patologia Generale (Prof. C. Genchi) con una tesi sulla biologia molecolare di Borrelia burgdorferi con votazione 110/110 lode. Ha effettuato un periodo di training continuo presso il Dipartimento di Patologia dell’Università di Milano sotto la guida del Prof. Mario Caniatti, DVM, DECVP, del Prof. Saverio Paltrinieri, DVM, DECVCP e del Dr. Stefano Comazzi, DVM, DECVCP. Autore di una ventina di pubblicazioni su riviste indexate internazionali inerenti la patologia clinica e l’oncologia. Nell’ottobre 2005 ha ottenuto il riconoscimento come membro defacto dello European College of Veterinary Clinical Pathology. Si occupa a tempo pieno di patologia clinica veterinaria. KONRAD BLENDINGER Med Vet, Hofheim, Germany Nel 1983 intraprende la scuola di Medicina Veterinaria all’Università di Monaco in Germania. Nell’86 termina un treining speciale sulla podologia bovina ad Achselschwang e nell’87 diventa Student Assistant nella Clinica di Riproduzione dell’Università di Monaco. Nell’89 si laurea in medicina veterinaria completando la sua preparazione con una intership presso la Clinica di Riproduzione della Justus-Liebig-Universität a Gießen. Dal ’90 al ’94 è Scientific Assistant a Giessen e dal 95 cresce professionalmente facendo esperienza pratica in cliniche private. Attualmente lavora come libero professionista e dal 2005 è Board Member della EVSSAR (European Veterinari Society of Small Animal Reproduction). ENRICO BOTTERO Med Vet, Cuneo Si laurea in Medicina veterinaria presso l’università di Torino nel 1997 con una tesi sulle periodontopatie nel cane. Esperienze professionali presso numerosi ambulatori e cliniche nell’ambito della clinica dei piccoli animali. Relatore dal 2003 al corso Scivac di citologia. Istruttore e relatore a corsi di endoscopia flessibile nel 2004 e nel 2005. Istruttore e relatore a corsi di gastroenterologia nel 2006. Relatore al congresso nazionale Scivac del 2006. È autore e coautore di articoli su riviste nazionali ed internazionali. Attualmente lavora come libero professionista nell’ambito dell’endoscopia flessibile presso numerosi ambulatori e cliniche in Piemonte, Liguria e Lombardia. KENNETH A. BRUECKER DVM, MS, Dipl ACVS, California, USA Il dr Bruecker è il Direttore Medico e Capo Chirurgo del Veterinary Medical and Surgical Group, centro di referenza veterinaria aperto 24 ore e multi specialistico a Ventura in California. Si è diplomato in chirurgia all’American College e specializzato in chirurgia ortopedica e spinale. Autore di oltre 100 capitoli di libri di testo, articoli, manoscritti scientifici, materiale educativo per veterinari e proprietari di piccoli animali. È stato un innovatore nel campo delle nuove tecniche chirurgiche e degli

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impianti ortopedici. Grazie alla sua esperienza nella chirurgia spinale, ortopedica e artroscopica è stato invitato a parlare e a fare training a veterinari di tutto il mondo. La sua competenza e preparazione è stata premiata nel 2004 con il prestigioso titolo di Veterinario Californiano dell’anno. ANTONELLO BUFALARI Med Vet, PhD, Perugia Laureato in Medicina Veterinaria (1989). Professore Associato dal 2006 presso l’Università di Perugia, con incarichi di insegnamento in Anestesiologia e Clinica Chirurgica. Visiting Fellowship e Post-doctoral Associate presso la Cornell University, per 2 anni. Titolo di PhD presso Faculty of Veterinary Medicine, Helsinki. Co-investigator di una ricerca sperimentale su analgesici presso la Cornell. Dal 1991 è membro SISVet e SCIVAC, dal 1993 è membro AVA, dal 1994 è membro SICV. Dal 2003, docente ai corsi SCIVAC di anestesiologia e dal 2004 è membro del consiglio direttivo SIARMUV. Autore/co-autore di 100 pubblicazioni di cui una decina su riviste internazionali. Relatore a numerosi congressi e seminari nazionali e internazionali. Co-autore di un capitolo su Veterinary Clinics of North America. Autore del manuale: “Concetti di base per l’artroscopia diagnostica e operativa nel cane”. CLAUDIO BUSSADORI Med Vet, Dipl ECVIM-CA (Card), Med Chir, Milano Laureato in Medicina Veterinaria, il 23/3/82 108/110. Diplomato ECVIM (cardiology) il 21/3/93. Laureato in Medicina e Chirurgia il 29/10/2001, 110 e Lode. Dal 1991 ad oggi professore a contratto in varie facoltà Italiane e straniere. Docente a seminari di cardiologia interventistica ed ecocardiografia presso varie facoltà Mediche e Veterinarie Italiane e Straniere. Direttore sanitario della Clinica Veterinaria G. Sasso a Milano, Direttore di un programma residenziale triennale di cardiologia dell’ECVIM. Coordinatore dei programmi di ricerca del centro di Cardiologia Pediatrica e Cardiopatie Congenite dell’Adulto dell’Istituto Policlinico di San Donato Milanese diretto dal Dr. Mario Carminati. Autore di 190 Pubblicazioni Scientifiche Veterinarie e Mediche. MARCO CALDIN Med Vet, Dipl ECVCP, Padova Laureato alla Facoltà di Medicina Veterinaria di Bologna nell’anno 1987-88, ha coordinato il gruppo di studio SCIVAC di “diagnostica per immagini” dal 1988 al 1990. Professore a contratto presso la scuola di specializzazione della facoltà di medicina veterinaria di Pisa nell’anno 1994-1995 e di patologia medica dei piccoli animali presso la facoltà di medicina veterinaria dell’Università di Padova dall’anno 1996, incarico tuttora in corso. Ha partecipato come relatore a numerosi congressi, seminari e corsi con tematiche inerenti la medicina interna (Approccio Orientato al Problema, Ematologia clinica di base e avanzata, Coagulopatie, Biochimica clinica, Endocrinologia e Pronto Soccorso). È stato coordinatore del Gruppo di Studio SCIVAC di “Medicina Interna” dal 1992 al 2001. Svolge la libera professione a Padova presso la Clinica Veterinaria Privata San Marco della quale è direttore sanitario. MARIO CANIATTI Med Vet, Dipl ECVP, Milano Laureato nel 1985 presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Milano dove ha conseguito il Dottorato di Ricerca (Patologia Comparata degli Animali Domestici) e dove oggi svolge attività di insegnamento e ricerca presso il Dipartimento di Patologia di cui è responsabile del Servizio di Citologia Diagnostica. Ha compiuto periodi di ricerca e studio presso le scuole di veterinaria di Davis (California) e Barcellona. La sua attività di ricerca è focalizzata sulle neoplasie cutanee e linfoproliferative, nonché sulle patologie croniche del cavo nasale. Relatore invitato a congressi e corsi, è autore o coautore di varie pubblicazioni tra cui una trentina su riviste internazionali. Dal 1998 è membro del College europeo dei patologi veterinari (ECVP).


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ROSARIO CERUNDOLO Med Vet, Dipl ECVD, Pennsylvania, USA Laureato presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Napoli nel 1987. Dopo aver trascorso circa tre anni in un ambulatorio per animali da compagnia, è entrato nel 1990 a far parte dell’Istituto di Clinica Medica Veterinaria della Facoltà di Medicina Veterinaria di Napoli. Nel 1990 ha conseguito il titolo di Specialista in “Malattie Infettive, Profilassi e Polizia Veterinaria”. Nel marzo del 1995 si è trasferito al Royal Veterinary College di Londra per effettuare un Residency in Dermatologia. Nel 1997 ha ottenuto il “Certificate in Veterinary Dermatology” dal Royal College of Veterinary Surgeons (UK) e nel 1998 il Diploma dell’European College of Veterinary Dermatology. Nel 2000 ha ottenuto il titolo del Royal College of Veterinary Surgeons di “Specialist in Veterinary Dermatology”. Nel 1999 è ritornato alla sezione di Clinica Medica della Facoltà di Medicina Veterinaria di Napoli dove è rimasto fino a gennaio del 2002. Dal febbraio 2002 si è trasferito negli Stati Uniti all’Università di Pennsylvania, Facoltà di Medicina Veterinaria dove ricopre il ruolo di Assistant Professor of Veterinary Dermatology. MARIO CIPONE Med Vet, Bologna Il Prof. Mario Cipone ha conseguito la Laurea con lode in Medicina Veterinaria presso l’Università degli Studi di Bologna nel 1979. Ha svolto un periodo di studio presso il centro di radiologia e diagnostica per immagini della Facoltà di Medicina Veterinaria di Philadelphia. È responsabile dei settori di Radiologia, Tomografia computerizzata, Ecotomografia ed ecoDoppler del reparto di Diagnostica per immagini del Dipartimento Clinico Veterinario di Bologna. È professore ordinario e docente di Radiologia Veterinaria e Diagnostica per Immagini presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Bologna. È Docente guida del Dottorato di ricerca interdipartimentale di Ultrasonologia in Medicina umana e veterinaria. È autore di più di 40 pubblicazioni in extenso su riviste recensite su repertori bibliografici internazionali con impact factor cumulativo superiore a 15 su argomenti di radiologia, tomografia computerizzata, ecografia ed ecoDoppler cardiovascolare. RAMI COBB Med Vet, BVSc (Hons), MACVSc, New Jersey, USA Rami Cobb si laurea con lode all’Università di Sidney nel 1969 e ammessa come membro dell’Australian College of Veterinary Scientists nel 1992. Ha lavorato nella pratica clinica degli animali da reddito e negli ultimi 17 anni nella ricerca e sviluppo di nuovi prodotti veterinari. Autore di numerose pubblicazioni su riviste scientifiche nel settore della parassitologia. Inventore di brevetti. Ha scritto articoli veterinari a carattere divulgativo e ha tenuto numerose relazioni in Congressi nazionali ed internazionali. In Australia è stata membro attivo dell’AVA (Australian Veterinary Association), membro del Therapeutics Advisory Committee, del Anthelmintic Resistance Working Party dell’AVA e del Prescription Drugs Working Party e dell’Animal Welfare Subcommittee dell’Australian Veterinary Poultry Association (AVPA) di cui è stata anche Presidente. Nel 1996 si trasferisce negli USA e continua la sua attività nell’ambito scientifico veterinario e dirige un team di ricercatori di diverse discipline a Princeton nel New Jersey. EITHNE J. COMERFORD MVB PhD, Cert VR Cert SAS MRCVS, Liverpool (UK) Eithne si laurea presso la Facoltà di Medicina Veterinaria UCD in Irlanda nel 1995. Da allora sino al 2006 Eithne ha lavorato presso l’Università di Bristol ottenendo l’attestato in radiologia e chirurgia dei piccoli animali e il suo PhD. Dall’Ottobre 2006 ricopre il ruolo di Senior Lecturer in ortopedia dei piccoli animali presso l’Università di Liverpool. I suoi maggiori interessi riguardano la gestione del paziente traumatizzato e le malattie dei legamenti del crociato anteriore. Quando non lavora ama cantare musica rock e giocare ad hockey.

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DANIELE SEBASTIAN CORLAZZOLI Med Vet, Roma Si laurea nel 1991 a Milano con lode, discutendo una tesi sulla discospondilite nel cane, relatore il Prof Mortellaro. Dopo un periodo di studio in Francia, Inghilterra e negli Stati Uniti, lavora nell’area milanese occupandosi esclusivamente di neurologia e chirurgia dei piccoli animali. Dal 1995 si trasferisce a Roma dove collabora inizialmente con il Centro Veterinario Gregorio VII, quindi con lo Zoospedale Flaminio. Dal 2001 ha aperto un centro di referenza in neurologia, ortopedia e diagnostica per immagini a Roma. FEDERICO CORLETTO DVM, CertVA, Dipl ECVA, MRCVS, Cambridge, UK Laureato con lode in medicina Veterinaria presso la Facoltà di Padova nel 1997. Ha compiuto un residency in Anestesia Veterinaria presso l’Animal Health Trust (Newmarket, UK). Nel 2002 ha conseguito il Certificate in Anestesia veterinaria, rilasciato dal Royal College of veterinary Surgeons e nel 2003 il Diploma di specializzazione rilasciato dal College Europeo di Anestesia Veterinaria (Dipl. ECVA). È stato ricercatore presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Padova, Clinical Anaesthetist presso l’Animal Health Trust e, attualmente, è Research Fellow presso la divisione di anestesia dell’ospedale di Addenbrooke’s, finanziato dal Wellcome Trust. Autore di pubblicazioni su riviste nazionali ed internazionali, ha partecipato a congressi e corsi in qualità di relatore ed è autore del “Manuale di anestesia del cane e del gatto”, pubblicato da Poletto Editore. FELICE COSENTINO Med Chir, Spec Chir Gen, Spec Chir App Dig e Endoscopia Digest, Milano Laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Padova nel 1974. Nel 1979 ottiene con il massimo dei voti il Diploma di Specializzazione in Chirurgia generale e nel 1984 consegue presso l’Università di Milano, con il massimo dei voti, il Diploma di Specializzazione in Chirurgia dell’Apparato Digerente ed Endoscopia Digestiva. Nella sessione 1986 ha conseguito l’idoneità a Primario di Chirurgia generale. Dall’anno accademico 95/96 è stato docente presso la Scuola di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva. Attualmente opera Presso l’Ospedale S. Paolo in qualità di Dirigente Medico di I livello con responsabilità dell’Unità Operativa di Endoscopia Digestiva. È stato Presidente Società Italiana di Endoscopia Digestiva – Sez. Lombardia (1993-1995), Segretario Nazionale della Società Italiana di Endoscopia Digestiva (S.I.E.D) dal dicembre 1995 al dicembre 2001, Direttore editoriale del sito Internet della S.I.E.D. (in carica dal 1997), Presidente del Nord Italian Endoscopic Club (N.I.E.C.) (biennio 2002/2004), Presidente eletto SIED 2004/5 e Presidente 2006/7. Felice Cosentino è autore di 180 lavori scientifici; 150 relazioni; 70 comunicazioni e ha prodotto 25 audiovisivi didattici. GUILLERMO COUTO DVM, Dipl ACVIM, Ohio, USA Laureato all’Università di Buenos Aires nel 1976 dove rimane fino al 1981 come Assistant Professor. Si trasferisce all’Università di Davis in California per un Clinical Oncology Residency che completa nel 1983, anno in cui ottiene il Diploma ACVIM e in cui assume l’incarico di Assistant Professor presso il Department of Veterinary Clinical Sciences, College of Veterinary Medicine, della Ohio State University. Attualmente presso la stessa Università ha l’incarico di Full Professor oltre che Chief, Oncology/Hematology Service del Veterinary Teaching Hospital, Director del Transfusion Medicine Service and Animal Blood Bank e Director del Greyhound Health and Wellness Program. È Charter Diplomate dell’American College of Veterinary Internal Medicine, specialty of Oncology ed è stato Presidente della Veterinary Cancer Society dal 1990 al 1992. Ha conseguito il Norden Distinguished Teaching Award nel 1986 e l’OSU Clinical Teaching Award nel


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1987 e nel 1990. È Co-Editor dello Small Animal Internal Medicine, 3rd Edition. Mosby, 2003. È stato Editor-In-Chief del Journal of Veterinary Internal Medicine dal 1993 al 1998. È autore di oltre 300 pubblicazioni scientifiche e articoli di testi scientifici nelle aree dell’oncologia, ematologia, immunologia e clinica dei levrieri. PAOLA DALL’ARA Med Vet, Milano Laurea in Medicina Veterinaria nel 1989 presso l’Università di Milano. Nel 1993 consegue il titolo di Dottore di Ricerca in “Biotecnologie applicate alle scienze veterinarie e zootecniche”. Dal 2001 è Professore Associato presso il Dipartimento di Patologia Animale, Igiene e Sanità Pubblica Veterinaria, Sezione di Microbiologia e Immunologia Veterinaria e titolare dei corsi di studio di immunologia veterinaria, immunologia comparata, vaccini e vaccinazioni e metodologie applicate all’immunologia. È inoltre Autore di oltre 120 pubblicazioni e relatrice di oltre 80 tesi di laurea o specialità. DAVIDE DE LORENZI Med Vet, SMPA, Dipl ECVCP, Forlì Laureato con lode presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Bologna, si specializza in Clinica e Patologia degli Animali da Affezione alla Facoltà di Medicina Veterinaria di Pisa quattro anni più tardi. È stato l’ideatore ed il responsabile per i primi 5 anni di vita del Gruppo di Studio di Citologia della SCIVAC (oggi Società Italiana di Citologia Veterinaria – SICIV). Autore e coautore di oltre quaranta fra articoli e relazioni su riviste ed a congressi nazionali ed internazionali, sia veterinari che di medicina umana, ha lavorato tre anni nella commissione scientifica della SCIVAC ed attualmente è membro del Consiglio Direttivo della medesima società. Nel 2005 ha conseguito il Diploma del College Europeo di Patologia Clinica e svolge attualmente un Dottorato di Ricerca presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Perugia. Lavora a Forlì ed a Padova presso la Clinica Veterinaria S. Marco occupandosi prevalentemente di citologia diagnostica ed endoscopia. ORIOL DOMENECH Med Vet, Dipl ECVIM-CA, Milano Laureato in Medicina Veterinaria nel 1996 presso l’Università Autonoma di Barcellona. Dal 1996 al 1997 ha lavorato come veterinario generico nella clinica veterinaria “Mediterrani Veterinaris” di Reus (Tarragona). Dal 1997 al 1999 ha frequentato tre corsi di cardiologia veterinaria dell’ESAVS (European Advanced Veterinary Studies). Dal 1998 al 2000 ha lavorato nel centro di “Urgencias Veterinarias y Referencia” di Barcellona come responsabile dell’area di Cardiologia. Dal 2000 al 2001 ha svolto l’internship con il Dr. Claudio Bussadori Dipl. ECVIM-CA (Cardiology) nella “Clinica Veterinaria Gran Sasso” di Milano. Dal 2001 al 2004 ha completato il programma di residence dell’ECVIM-CA per la specialità di Cardiologia. Ha ottenuto il Diploma del ECVIM-CA per la sub-specialità di cardiologia nel 2006. Autore di diversi articoli e studi presentati in sede nazionale ed internazionale. Attualmente sta lavorando come referente di medicina interna e cardiologia nella “Clinica Veterinaria Gran Sasso” di Milano e nella clinica “Servei d’Urgencies Veterinaries y Referencia (Survet) ” di Barcellona. GILLE DUPRÉ Dr Vet, Dipl ECVS, Vienne (A) Laureato nel 1980 alla Maison-Alfort, è stato assistente per due anni nel reparto di chirurgia; successivamente, ha completato un residency in chirurgia dei piccoli animali all’Università dell’Ohio State. È diplomato ECVS dal 1993 e diplomato in pneumologia chirurgica umana e in chirurgia toracica dal 1999. Per 17 anni è stato co-responsabile del reparto di chirurgia della Clinique Frégis (referral e pronto soccorso). Dal Settembre 2005 è Direttore del Dipartimento di Chirurgia dell’Università di Vienna. Auto-

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re di numerose pubblicazioni, di 14 libri e capitoli di libri. Ha preso parte a diversi congressi internazionali in qualità di relatore. I suoi principali interessi di ricerca riguardano la chirurgia dei tessuti molli e oncologica, il pronto intervento e la chirurgia mini-invasiva. MANUELA FARABOLINI Med Vet, Roma Si laurea nel 1992 con una tesi sperimentale sull’esame colpocitologico nel cane e nel gatto. È stata allieva interna e poi laureata frequentatrice dal 1988 al 1993, presso l’istituto di Ginecologia ed Ostetricia Veterinaria dell’Università di Bologna. Nel 1992, ha frequentato il “Corso di perfezionamento di Ginecologia Veterinaria” dell’Università di Bologna. Nel 1993 avendo ottenuto una borsa di studio COMIT, ha trascorso un periodo di quattro mesi in Svezia ed in tale occasione ha frequentato il Dip. di Riproduzione dei piccoli Animali della facoltà di Veterinaria di Uppsala, e l’ospedale privato per piccoli e grandi animali di Helsinborg. Nel 1994 ha trascorso un anno a New York presso l’Animal Medical Center, dove ha concluso il Post-Graduate Course, dedicandosi in particolare all’ecografia, alla chirurgia addominale ed alla radiologia. Nel 1995 ha concluso un corso di endoscopia e chirurgia mini invasiva dei piccoli animali presso l’università di Caceres in Spagna. Attualmente svolge la professione di medico Veterinario a Roma, presso la Clinica Veterinaria Parioli. EMILIO FELTRI Med Vet, Tortona (AL) Laureato presso l’Università degli Studi di Parma nel 1996. Dal 1999 segue un programma di aggiornamento continuo in anestesiologia presso l’Unviersità di Gent e l’Università di Berna sotto la supervisione del Prof. Yves Moens. È membro della Società Scivac di Anestesiologia, della Società europea di Anestesia Veterinaria (AVA), della Società di Anestesia a Bassi Flussi (ALFA). È, inoltre, docente e istruttore ai Corsi Professionali Scivac di anestesia e ai Seminari professionali di livello base e avanzato in collaborazione con lo staff dell’Università di Berna. Nel triennio 2003-2005 ricoprirà l’incarico della Siamurv (Società di Anestesia e Medicina di Urgenza Scivac). Direttore dell’itinerario in anestesia Scivac. Autore di un capitolo sui monitoraggi del testo Medicina di Urgenza e Terapia Intensiva nel cane e nel gatto. Dal 2005 segue il corso di terapia del dolore in continua educazione presso l’asl 20 sotto la supervisione del prof. Guido Orlandini (primario del centro di terapia del dolore Ospedale di Tortona). Nel marzo 2007 viene eletto Consigliere dell’AVA (Associacion Veterinary Anaesthesia) per il triennio 2007-2009. I suoi principali ambiti di interesse riguardano le tecniche avanzate di basso flusso nell’anestesia gassosa il monitoraggio degli scambi gassosi e soprattutto il controllo del dolore. ALESSANDRA FONDATI Med Vet, PhD, Dipl ECVD, Roma Alessandra Fondati si è laureata in Medicina Veterinaria presso l’Università degli Studi di Pisa nel 1981. Si è occupata di dermatologia veterinaria come libero professionista dal 1984 al 1997, prima a Firenze quindi a Roma. Nel 1998 ha ottenuto il Diploma del College Europeo di Dermatologia Veterinaria (ECVD) e dal 1998 al 2003 ha lavorato come Professore Associato di Dermatologia presso l’Università Autonoma di Barcellona (Spagna). Nel 2003 ha completato un PhD sulla patogenesi del complesso del granuloma eosinofilico felino presso l’Università Autonoma di Barcellona. Attualmente si occupa di dermatologia veterinaria, come libero professionista, a Roma. LUCA FORMAGGINI Med Vet, Dormelletto (NO) Si laurea a Milano nel Febbraio 1991. Dopo vari periodi di tirocinio in Italia e all’estero, dal 1996 lavora presso la Clinica Veterinaria “Lago Maggiore” di cui è socio fondatore. È relatore in diversi corsi SCIVAC di chirurgia, ortopedia e medici-


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na/chirurgia d’urgenza. È stato relatore a diversi congressi e seminari a livello nazionale. Membro SCIVAC, BSAVA, VECCS e EVECCS, è Resident in training per accedere all’esame dell’European College of Veterinary Surgery (ECVS). Dal 2004 è vice-Presidente della Società di Chirurgia Veterinaria Italiana (SCVI). I principali campi di interesse sono rivolti a tutti gli aspetti della traumatologia e alla chirurgia mini-invasiva. VIRGINIA LUIS FUENTES MA, Vet MB, PhD, CertVR, DVC, Dipl ACVIM, Dipl ECVIM-CA (Cardiology), MRCVS, Londra (UK) Dopo essersi laureata a Cambridge, Virginia Luis Fuentes trascorre 5 anni nella pratica veterinaria dei piccoli animali prima di diventare Lecturer in Cardiologia Veterinaria presso l’Università di Edinburgo. È stata Assistant Professor alla MissouriColumbia dal 1997 al 2001 e Clinical Assistant Professor alla Ohio State University dal 2001 al 2003. Attualmente è Senior Lecturer al Royal Veterinary College. Diplomata all’American e all’European Colleges of Veterinary Internal Medicine (cardiologia) è stata curatore dello BSAVA Manual of Small Animal Cardiorespiratory Medicine and Surgery. GUALTIERO GANDINI Med Vet, Dipl ECVN, Bologna Il Prof. Gualtiero Gandini si è laureato con lode presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Bologna nel dicembre 1990. Dal luglio 1995 al marzo 2005 ha ricoperto il ruolo di ricercatore presso il Dipartimento Clinico Veterinario dell’Università degli Studi di Bologna. Dal marzo 2005 è professore associato presso la suddetta struttura. Nel 1996 ha conseguito il titolo di Dottore di ricerca in Medicina Interna Veterinaria. Dal 1998 al 2002 è stato impegnato in un “non-conforming residency programme” in neurologia veterinaria sotto la guida del Prof. André Jaggy. Dal 2000 al 2004 è stato membro dell’Executive Committee della European Society of Veterinary Neurology (ESVN). Nel marzo 2003 ha acquisito il titolo di “Diplomate of the European College of Veterinary Neurology (DECVN)”. Dal settembre 2004 è segretario dell’Executive Committee della European Society of Veterinary Neurology (ESVN). È iscritto alla Società Italiana di Neurologia Veterinaria (SINVet) dal 1998 e dal novembre 2004 è membro del Consiglio Direttivo con le funzioni di segretario. È direttore e coordinatore del Percorso di Neurologia e Neurochirurgia del cane e del gatto (2004-2007) frutto della convenzione tra la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Bologna e la società Performat. È autore e coautore di circa 60 pubblicazioni scientifiche, di cui 19 su riviste internazionali peer-reviewed. CLAUDIO GENCHI Med Vet, Milano Nato a Luino (VA) il 9 Maggio 1944, nel 1967 consegue la laurea in Medicina Veterinaria presso l’Università degli Studi di Milano con pieni voti e lode. Nel 1968-69 frequenta la Cattedra di Fisiopatologia comparata degli Animali domestici in qualità di borsista del Ministero della Pubblica Istruzione. Nel 1970 vince un concorso per Assistente ordinario alla Cattedra di Patologia generale veterinaria dell’Università degli Studi di Milano. Nel 1983 è nominato Professore associato di Parassitologia veterinaria e nel 1986 è chiamato quale ordinario sul medesimo insegnamento. Nel 1994 è trasferito alla cattedra di Malattie parassitarie, ruolo che ricopre a tutt’oggi. Dal 1993 al 2000 è Direttore dell’Istituto di Patologia Generale Veterinaria. Dal 1997 al 2005 è stato Presidente del Corso di Laurea in Biotecnologie veterinarie e dal 2001 al 2006 è stato vicepresidente del Dipartimento di Patologia animale, Igiene e Sanità pubblica veterinaria. Il Prof. Genchi è presidente della Società Italiana di Parassitologia (SoIPA), membro fondatore e Presidente dell’European Veterinary Parasitology College (ECPC), Honorary member of the America Heartworm Society (AHS) e membro dell’ESCCAP (European Scientific Counsel Companion Animal Parasites). È Co-Editor in Chief di Veterinary Parasitology e membro del-

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l’Editorial Board Small Ruminant Reasearch e Parassitologia e referee di Parasitology Research, Journal of Veterinary Medicine e Research in Veterinary Science e di numerose riviste scientifiche italiane. Ha ricoperto numerosi incarichi didattici e di ricerca nell’ambito di atenei nazionali e internazionali (UGA University, GE, USA; Università di Salamanca, Spagna; Università di Xining, R.P. Cina) e ha fatto parte del Collegio dei Docenti di numerose scuole di specializzazione dell’Ateneo milanese di corsi di Dottorato di ricerca nel cui ambito è stato docente guida di numerosi studenti. Il Prof. Genchi è stato presidente del Comitato scientifico del VII European Multicolloquium of Parasitology (Parma, September 1996) del Workshop of Wildlife Diseases (Viote del Monte Bondone, July 1998) e del 8th World Conference of World Association for the Advancement of Veterinary Parasitology (Stresa, 26-30 August, 2001) oltre che del 12°h Congresso Nazionale della Società Italiana di Parassitologia (Como-Bormio 28-30 Giugno1983). GIOVANNI GHIBAUDO Med Vet, Samarate (VA) Laureato presso l’Università di Milano nel 1994, dal 1996 si occupa di dermatologia veterinaria. Lavora come referente per la dermatologia e la citologia diagnostica presso la Clinica Veterinaria Malpensa (Samarate) e diverse strutture in Emilia Romagna e Marche. Ha svolto il corso di Dermatologia dell’ESAVS (European School for Advanced Veterinary Studies) 199698. Full member dell’ESVD (European Society of Veterinary Dermatology). È stato istruttore al Corso base di Dermatologia della SCIVAC (Società Culturale Italiana Veterinari Animali da Compagnia) (2001-2003). È stato relatore al Congresso Nazionale della SCIVAC nel 1999, 2002, 2004. Ha inoltre presentato relazioni in occasione di riunioni di dermatologia della SIDEV (Società Italiana di Dermatologia Veterinaria) e di citologia (SICIV-Società Italiana di Citologia Veterinaria). Autore di oltre 30 articoli su riviste veterinarie nazionali ed estere. STEFANIA GIANNI Med Vet, Milano Laureata nel Luglio 1991 a pieni voti all’Università di Milano. Dal 1992 lavora presso la Clinica S Siro piccoli animali di Milano occupandosi di chirurgia d’urgenza ed ortopedia e dal 1997 con attività specialistica in neurologia clinica e neurochirurgia. Dal 1996 al 1998 ha effettuato un periodo di tirocinio presso il dott. Massimo Baroni a Genova e successivamente numerosi corsi e periodi di aggiornamento in neurologia clinica e neurochirurgia in particolare presso l’Università di Berna e quella di Madison. Dal Novembre 2004 lavora anche presso la Clinica Veterinaria Tibaldi di Milano come responsabile del settore neurologico. Collabora con diverse strutture veterinarie dell’area lombarda come referente per la neurologia e la neurochirurgia. Relatrice a diversi corsi, congressi e seminari nazionali. Dal 1997 membro della SINVet e dell’ESVN. Dal Novembre 2004 membro del consiglio direttivo SINVet. SABRINA GIUSSANI Med Vet, Dipl Comportamentalista ENVF, Busto Arsizio (VA) Si laurea cum laude presso la facoltà di Medicina Veterinaria di Milano. Dal 1998 si occupa di Medicina Comportamentale. È consigliere SISCA (Società Italiana di Scienze Comportamentali Applicate) dal febbraio 2002. Ha partecipato a seminari, corsi di base, corsi avanzati di Medicina Comportamentale sia in Italia sia in Francia. Si è diplomata Medico Veterinario Comportamentalista presso l’Ecole Nationale Française nel novembre 2002. È stata relatore a giornate regionali, seminari, corsi di base e avanzati in Italia. Ha pubblicato articoli inerenti la Medicina Comportamentale su riviste del settore scientifico ed è autore, insieme al Dott. Colangeli, del libro “Medicina comportamentale del cane e del gatto” edito da Poletto nel 2004. Consegue nel dicembre 2004 il Master di specializzazione di 2° livello organizzato dall’Università di Medicina


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Veterinaria di Padova in “Etologia applicata al benessere animale”. È professore a contratto nel 2005 nel Master inerente alla Medicina Comportamentale organizzato dall’Università di Medicina Veterinaria di Torino. È socio di Zoopsy e di ESVCE. MICHAEL HERBERT GOLDSCHMIDT DVM, Dipl ACVP, Pennsylvania, USA Michael Herbert Goldschmidt, Professore di Patologia Veterinaria presso la School of Veterinary Medicine, University of Pennsylvania, si è laureato in Medicina Veterinaria presso la Facoltà di Glasgow ed ha conseguito il diploma ACVP (1977) dopo un programma di residency in Patologia presso la School of Veterinary Medicine, University of Pennsylvania. Ha fatto parte del registro di patologia veterinaria e della Commissione Esaminatrice del ACVP ed ha redatto, in qualità di chairmain, la “W.H.O. Standardized Nomenclature of Tumours of Domestic Animals - Epithelial and Melanocytic Tumours of the Skin e quella relativa a “Reproductive System Tumours”. È nell’editorial board di numerose riviste internazionali quali Veterinary Pathology, Journal of the American Veterinary Medical Association, Journal of the American Veterinary Radiologic Society, The Compendium of Continuing Education e Journal of Veterinary Medicine. La sua attività di ricerca si svolge prevalentemente su temi di oncologia veterinaria e comparata e di dermatopatologia. È autore di circa 200 pubblicazioni su riviste internazionali e capitoli di libri. Il Prof. Goldschmidt è il responsabile del servizio di surgical pathology presso la University of Pennsylvania. Per tutto il 2007 è Visiting Professor presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Padova. OSCAR GRAZIOLI Med Vet, Reggio Emilia Oscar Grazioli, conseguita la maturità classica, si è laureato in Medicina Veterinaria presso l’Università degli studi di Parma nel 1978. I suoi principali campi di interesse sono l’anestesiologia, la medicina interna e la patologia degli animali esotici, con particolare riferimento ai rettili. Autore di diverse pubblicazioni scientifiche è stato relatore a numerosi congressi e seminari. Dal 1992 è ordinary member dell’Association of Veterinary Anaesthetists (AVA) inglese. Nel triennio 1996 - 1998 è stato coordinatore del gruppo SCIVAC di Anestesia, Rianimazione, Medicina d’emergenza e terapia del dolore di cui è tuttora collaboratore. Oscar Grazioli è anche giornalista pubblicista e recentemente scrittore, avendo esordito nel campo letterario con un libro intitolato “Quello che gli animali non dicono”, che ha ottenuto unanime consenso di pubblico e di critica. Vive e lavora a Reggio Emilia. CRAIG E. GRIFFIN DVM, Dipl ACVD, California, USA Il Dr. Griffin ha conseguito il titolo di Doctor of Veterinary Medicine nel 1977 presso la Cornell University, College of Veterinary Medicine, e poi ha portato a termine un periodo di internato in medicina e chirurgia dei piccoli animali alla University of Missouri, ed uno di residenza in dermatologia ed allergia alla University of California, Davis, Veterinary Medicine. Nel 1981 ha ottenuto il diploma dall’American College di dermatologia veterinaria. È stato anche insignito dello Stanford University School of Medicine Outstanding Veterinary Dermatologist Award nel 1995 e dell’American College of Veterinary Dermatology Award of Excellence nel 2001. Dal 1981 il Dr. Griffin ha esercitato la libera professione nella California meridionale ed è stato il fondatore delle cliniche di dermatologia veterinaria, ospedali specializzati che si dedicano esclusivamente ai settori della dermatologia, allergia e otologia. Queste cliniche oggi servono quattro sedi a tempo pieno della California meridionale e parecchie cliniche satellite negli Stati Uniti occidentali. Presso queste strutture operano 8 diplomati dell’American College of Veterinary Dermatology, 3 associati e 2 residenti. Il Dr. Griffin ha più di 45 pubblicazioni come autore principale o coautore. Fra i libri, è stato co-editor di Current Veterinary Dermatology the Science and Art of Therapeutics e coautore di Muller & Kirk’s Small Animal Dermatology, V e VI edizione.

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MASSIMO GUALTIERI Med Vet, SCMPA, Milano Massimo Gualtieri si è laureato presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Milano nel 1983. Dal 1995 è docente presso la Scuola di Specializzazione in Patologia e Clinica degli Animali d’affezione della Facoltà di Milano. Dal 1996 è docente del Corso di Medicina Operatoria e del corso di Chirurgia Endoscopica. Dal 1992 è docente al “Centro de Chirurgia de Minima Invasion” presso la Facoltà di Caceres (Spagna) per il “Corso Internazionale Teorico-Pratico di Endoscopia nei Piccoli Animali”. Dal 2000 è Past President della European Society of Compartative Gastroenterology (ESCG) della quale è inoltre membro fondatore (1993). Attualmente è Presidente e membro fondatore della Società Italiana di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva (SIGEDV). Massimo Gualtieri è autore e coautore di più di 80 pubblicazioni su riviste italiane ed estere comprese le comunicazioni congressuali, cd-rom e videocassette. REBECCA KIRBY DVM, Dipl ACVIM, Dipl ACVECC, Wisconsin, USA Rebecca Kirby si laurea in Medicina Veterinaria presso l’Università del Missouri per poi specializzarsi in medicina e chirurgia dei piccoli animali alla Purdue University nell’Indiana. Il suo primo Residency in Medicina Interna lo svolge all’Università della Florida facendo pratica privata a San Diego nei due anni successivi. Dall’82 al ’91 dirige il Servizio di Pronto Soccorso presso la scuola di medicina veterinaria dell’Università di Pennsylvania nella quale è anche Professore Associato in Medicina d’Urgenza. Da qui una lunga carriera costellata di premi, riconoscimenti e soddisfazioni. Rebecca Kirby si è anche diplomata all’American College of Internal Medicine (internal medicine division) e all’American College of Veterinary Emergency and Critical Care Medicine. È stata Vice Presidente dell’American College of Veterinary Emergency and Critical Care dal ’93 al ’95 e Presidente dal ’95 al ’97. Attualmente è azionista di un centro di medicina d’urgenza a Milwaukee negli Stati Uniti e membro della Società di medicina d’urgenza in Umana. ADRIANO LACHIN Med Vet, Venezia Nato a Venezia nel 1959; laureato presso l’Università degli Studi di nel Parma 1996. Nel 1997 ha intrapreso un periodo di tirocinio della durata di tre anni nel reparto di Chirurgia Generale dell’Ospedale “Villa Salus” di Mestre (Ve) frequentando attivamente la sala operatoria, successivamente, con le medesime modalità, ha frequentato per due anni il reparto di Chirurgia Generale dell’Ospedale di Dolo (Ve). Relatore ed istruttore al Corso base di Anestesia SCIVAC per gli anni 2003, 2004 e 2005. Relatore al Congresso Nazionale Multisala SCIVAC di Rimini nel 2004, 2005 e 2006, nonché relatore a numerosi seminari e corsi di livello base ed avanzato sull’argomento. Ha collaborato alla stesura di un capitolo del libro “Medicina d’urgenza e terapia intensiva del cane e del gatto” (Masson-2004); nel 2005 ha curato l’edizione Italiana dell’opera in lingua tedesca (J. Henke e W. Erhardt) di “Terapia del dolore negli animali da compagnia” (Masson 2006). Membro SIARMUV (Società Italiana di Anestesia, Rianimazione e Medicina d’Urgenza Veterinaria) di cui fa parte del consiglio direttivo per il triennio 2005-2007; membro della società europea di anestesia veterinaria (Association of Veterinary Anaesthesist). Collabora con la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli studi di Perugia mediante attività di consulenza scientifico-didattica. Docente nell’Itinerario Didattico di Anestesia (biennio 2006-2007) della Scuola di formazione Veterinaria post-universitaria della SCIVAC. Dal Gennaio 2006 ha iniziato un periodo di tirocinio presso la divisione di Anestesia e Rianimazione dell’Ospedale di Padova frequentando il reparto di Chirurgia Pediatrica. Attualmente svolge l’attività libero professionale nel suo ambulatorio in provincia di Venezia e in due Cliniche Veterinarie a Padova e a Vicenza, dove si occupa esclusivamente di Anestesia.


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JOHANN LANG Dr Med Vet, PD, Dipl ECVDI, Berna, CH Si laurea in Medicina Veterinaria a Berna nel 1977 dove si specializza in radiologia dei grandi animali prima e chirurgia sempre dei grandi animali poi presso l’Università di Berna. Prosegue facendo un residency in radiologia nei piccoli animali nell’Ospedale Veterinario dell’Università della Pennsylvania a Philadelphia presso la quale nel 1986 diventa visiting assist. Prof e nel 1994 Capo della divisione di radiologia dei piccoli animali del dr Habil. Nel 1996 è visiting Prof. presso la Facoltà di Veterinaria dell’Università di Sydney in Australia. Rientrato in Svizzera diventa nel 2003 Direttore della Divisione della Clinica di Radiologia nella Facoltà Vetsuisse di Berna e nel 2004 Professore per la stessa Facoltà in Radiologia Clinica. Diplomato ECVDI e Past President dell’Europ. College of Veterinary Diagnostic Imaging, membro dell’EAVDI (Europ. Ass. of Vet. Diagnost. Imaging) dell’IVRA (Director), dell’ESVN, GST e SVK. Il suo interesse è rivolto alla Neuroradiologia, MRI. MARLA LICHTENBERGER DVM, Dipl AVECCS, Wisconsin, USA Si è specializzata in Medicina d’urgenza facendo un Internship presso l’Animal Medical Centre di New York City e un Residency in medicina d’urgenza a Milwaukee. Per 10 anni ha operato come specialista in Medicina d’urgenza al Milwaukee Animal Emergency Centre. Attualmente lavora come specialista in un Ospedale della California e contemporaneamente sta organizzando la sua clinica nel Wisconsin. Relatore a numerosi Congressi Internazionali sui piccoli animali e su quelli esotici, ha anche scritto numerosi articoli e research papers sulla Medicina d’uregnza nei piccoli animali e negli esotici. Attualmente è curatore della rivista Veterinary Clinics of North America-Critical Care in Exotics. FRANCESCO LONGO Med Vet, Firenze Laureato in Medicina Veterinaria. Specializzato in Fisiopatologia della Riproduzione. Esperto in Medicina Veterinaria Cinese ed in Agopuntura Veterinaria. Ha conseguito gli attestati di Agopuntura Veterinaria e di Agopuntura Scientifica Veterinaria. Ha conseguito il diploma della International Veterinary Acupuncture Society (I.V.A.S.). È socio fondatore della Società Italiana Agopuntura Veterinaria (S.I.A.V.). È stato docente nel Master Universitario di ‘Medicine Energetiche in Veterinaria’ presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Udine. È stato docente nel Master Universitario di ‘Introduzione all’Agopuntura Veterinaria’ presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Barcellona (E). Attualmente ricopre le cariche di Vicepresidente della S.I.A.V., di Vicepresidente della Società Italiana Medicina Veterinaria Non Convenzionale (S.I.M.Ve.N.Co.) e di Direttore del Dipartimento di Agopuntura Veterinaria della Fondazione Ricci. È docente e direttore dei corsi di Agopuntura Veterinaria S.I.A.V. È delegato della Unione Medicina Non Convenzionale Veterinaria (U.M.N.C.V.). È delegato per le MNC dell’Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani (A.N.M.V.I.). È delegato per la Medicina Veterinaria nel Comitato Permanente di Consenso e Coordinamento per le MNC in Italia. Svolge la propria attività professionale di Medico Veterinario Agopuntore sui cavalli in giro per l’Italia. Ha pubblicato diversi contributi sull’Agopuntura Veterinaria e sulla Medicina Veterinaria Tradizionale Cinese. GIOVANNI MAJOLINO Med Vet, Parma Laureato a Parma nel 1991 con tesi sperimentale dal titolo: “L’eiaculazione retrograda nella specie canina” e Specializzato nel 1995 presso l’Università di Pisa in “Malattie dei Piccoli Animali” con tesi dal tema: “L’inseminazione artificiale con seme congelato nella specie canina con particolare riferimento alla tecnica chirurgica”. Relatore e co-autore a congressi e seminari di

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carattere nazionale e internazionale sul tema della riproduzione del cane. È presidente della SIRVAC - Società di Riproduzione Veterinaria e membro della Società Europea di Riproduzione delle Piccole Specie. Esercita la libera professione in Collecchio (Pr) dedicandosi con particolare interesse alla riproduzione dei piccoli animali e all’allevamento canino essendo egli stesso allevatore. LAURA MARCONATO Med Vet, Napoli, I Nata a Milano il 5/04/1974. Laureata a Milano in Medicina Veterinaria il 4/10/1999 con 110 e lode. Dopo la laurea si trasferisce per tre anni negli Stati Uniti, a Philadelphia dove frequenta dal 2000 al 2003 il Veterinary Oncology Service and Research Center, il centro di referenza per l’oncologia della Pennsylvania, occupandosi di oncologia clinica dei piccoli animali. Dal 2001 fino al 2003 è anche fellow visitor all’università della Pennsylvania presso il Dipartimento di Patologia Veterinaria. Attualmente vive e lavora a Napoli, dove si occupa esclusivamente di oncologia dei piccoli animali. Nel 2004 è professore a contratto presso la scuola di specializzazione di fisiopatologia della riproduzione dell’Università di Napoli Federico II. È impegnata nella stesura di un manuale di oncologia clinica del cane e del gatto per la Poletto editore. È membro della SCIVAC, della European Society of Veterinary Oncology (ESVONC) e della Veterinary Cancer Society (VCS). FILIPPO MARIA MARTINI Med Vet, Parma Laureato a Parma nel 1993, nel 1997 ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in “Ortopedia degli animali domestici”. Ricercatore Confermato presso il Dipartimento di Salute Animale dell’Università di Parma e docente dei corsi di “Medicina operatoria”, “Chirurgia piccoli e grandi animali” e del corso di “Medicina sperimentale, ingegneria tissutale e bioprotesi” nel Corso di Laurea in Biotecnologie per la Salute. Ha effettuato alcuni periodi di aggiornamento all’estero presso le Università di Monaco (Germania) e di Ghent (Belgio). I principali campi di interesse sono rappresentati dall’ortopedia del cane e del gatto. Svolge attività di ricerca sull’impiego sperimentale dei biomateriali in chirurgia ortopedica collaborando con diversi gruppi di ricerca. CARLO MASSERDOTTI Med Vet, Brescia Laureato col massimo dei voti presso l’Università di Milano nel 1990. Dal 1993 si occupa di citopatologia diagnostica, curando l’aggiornamento permanente con corsi di approfondimento e frequentando centri di referenza in Italia ed all’estero. È autore di alcune pubblicazioni inerenti la citopatologia ed è relatore a meeting nazionali ed internazionali. Dal 1988 è istruttore e relatore al corso di Citologia organizzato dalla SCIVAC. Dal 2001 ricopre la carica di presidente della SICIV (Società Italiana di Citologia Veterinaria). EMANUELA MORELLO Med Vet, Torino Laurea (1994) in Medicina Veterinaria presso l’Università degli Studi di Torino. Dottorato di ricerca ed assegno di ricerca in “oncologia veterinaria e comparata” presso la stessa Facoltà dove è attualmente ricercatrice nel settore di chirurgia. Ha frequentato per un anno la Colorado State University interessandosi principalmente di oncologia e chirurgia dei tessuti molli. Ha svolto successivi periodi di aggiornamento all’estero. Lavora presso l’Ospedale didattico della Facoltà di Veterinaria di Torino occupandosi principalmente di oncologia medica e chirurgica e chirurgia dei tessuti molli. È autrice di pubblicazioni nazionali ed internazionali. È incaricata del modulo “Metodi diagnostici chirurgici” del Corso Integrato di Patologia, Semeiotica Chirurgica e Radiologia Veterinaria (IV anno) e del modulo “Oncologia clinica sperimentale” del Corso Integrato Professionalizzante in Medicina Veterinaria Sperimentale (V anno).


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CHIARA NOLI Med Vet, Dipl ECVD, Cuneo Laureata all’Università di Milano nel 1990, è specialista in Malattie dei Piccoli Animali dal 1995. Ha frequentato un periodo di specializzazione di tre anni in dermatologia veterinaria presso l’Università di Utrecht, Paesi Bassi, e nel 1996 ha conseguito il Diploma del College Europeo di Dermatologia Veterinaria (Dip ECVD). Dal 1996 lavora in Italia eseguendo esclusivamente consulenze dermatologiche e letture dermatopatologiche. È stata Presidente della Società Italiana di Dermatologia Veterinaria (SIDEV), membro del Consiglio Direttivo della Società Internazionale di Dermatopatologia Veterinaria (ISVD) ed è attualmente Presidente della ESVD (Società Europea di Dermatologia Veterinaria). La Dr.ssa Noli è relatrice in congressi italiani ed internazionali, autrice di numerosi articoli su riviste italiane e straniere e di sei capitoli di libri. Con la Dr.ssa Fabia Scarampella è co-autrice del volume “Dermatologia del Cane e del Gatto”, Poletto Editore, 2002, tradotto anche in tedesco. ROBERTO ORSI Med Vet, SMPA, Pistoia Laureato con lode in Medicina Veterinaria presso la Facoltà di Veterinaria di Pisa nel 1982. Specialista in Malattie dei Piccoli Animali nel 1987 presso la stessa Facoltà. Libero professionista nel settore degli animali di affezione in Pescia (Pistoia). Si occupa di Medicina Non Convenzionale Veterinaria, prevalentemente Omeopatia Unicista. Diplomato alla Scuola Italiana di Omotossicologia nel 1989 e alla Scuola Superiore Internazionale di Omeopatia Veterinaria “dr.ssa R. Zanchi” di Cortona (direttore dr. Franco Del Francia) nel 1992. Dallo stesso anno fa parte del corpo docente di questa Scuola. Ha tenuto lezioni al Corso di Perfezionamento in Terapie Omeopatiche presso il Dipartimento di Medicina e Farmacologia Veterinaria della Facoltà di Veterinaria di Messina nel 1993 e al Corso di Clinica Medica della Facoltà di Veterinaria di Pisa nel 2001. Ha seguito corsi sulla Didattica dell’Omeopatia Veterinaria all’estero (Torremolinos, 1995; Karlsruhe 1998). Ha partecipato con relazioni sull’Omeopatia Veterinaria a vari congressi e seminari, nazionali ed internazionali (Cortona, 1996 e 1997; Versmold, 1997; Atene, 1999; Glasgow, 1999; Roma, 1999; Montecatini, 2000; Budapest, 2000). Autore di vari articoli sull’Omeopatia Veterinaria. È stato Coordinatore del Gruppo di Studio S.C.I.V.A.C. di Medicina non Convenzionale ed attuale Presidente della SIMVeNCO (Società Italiana di Medicina Veterinaria Non Convenzionale) “National representative” per l’Italia della International Association for Veterinary Homeopathy. “Teacher” presso la stessa associazione. Membro della Federazione Italiana delle Associazioni dei Medici Omeopati. MARIA CRISTINA OSELLA Med Vet, Comportamentalista Dipl ECVBM-CA, Torino La dott.ssa Osella si dedica attivamente al settore della diagnosi e del trattamento dei disturbi comportamentali negli animali da compagnia; è impegnata nell’aggiornamento culturale dei colleghi e d varie figure professionali della cinofilia; segue linee di ricerca scientifica nella clinica comportamentale degli animali domestici; organizza e partecipa a progetti di riabilitazione e rieducazione cinofila in collaborazione con istruttori cinofili, collabora a progetti di pet-facilitated-therapy; è relatore a Corsi, Congressi e Seminari, sia in Italia sia all’estero; autore di pubblicazioni su riviste referenziate; collabora con la Facoltà di Medicina Veterinaria di Torino. Socio SCIVAC, Socio fondatore SISCA, Socio e Tesoriere dell’ESVCE, Membro dell’ECVBM-CA. DOMENICO OTRANTO Med Vet, Dipl EVPC, Bari Professore Ordinario di Parassitologia e Malattie Parassitarie presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Bari. De facto Diplomato all’European Veterinary Parasitology College (EVPC). Fellow Royal Entomological Society, Lon-

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don (FRES). Nel Giugno 2006 ha ricevuto il premio internazionale dell’Accademia Nazionale dei Lincei per le ricerche svolte nel campo della Zoologia ad indirizzo evoluzionistico. Ha svolto la sua attività di ricerca nell’ambito della parassitologia e dell’entomologia medico veterinaria in Italia e all’estero (Francia e Germania). Ha ricoperto numerosi incarichi d’insegnamento presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia e di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Bari nell’ambito della parassitologia e delle malattie parassitarie. È responsabile di progetti bilaterali del Ministero degli Esteri Italiano con la Cina, l’Albania e il Belgio ed è stato consulente dell’European Food Safety Agency (EU). È referee per riviste mediche del settore e componente dell’Editorial Board di Medical and Veterinary Entomology. I campi di ricerca hanno riguardato: Siero-diagnosi di numerose miasi. Studio dell’infezione oculare degli animali e dell’uomo da Thelazia spp. Differenziazione molecolare e la definizione dei rapporti filogenetici di larve di Oestridae causa di miasi obbligatorie degli animali domestici. Studi di campo per l’efficacia di prodotti farmacologici per il controllo degli ectoparassiti. È coautore di circa 250 pubblicazioni scientifiche (di cui circa 90 su riviste internazionali con IF). È autore di capitoli di libri del settore sia in lingua sia in italiano. KAREN L. OVERALL MA, VMD, PhD, Dipl ACVB, ABS, Pennsylvania, USA La Dr.ssa Karen Overall ha ottenuto i titoli di BA, MA e VMD dalla University of Pennsylvania ed il PhD dalla University of Wisconsin a Madison. Ha portato a termine un Residency in medicina comportamentale alla University of Pennsylvania, è Diplomate of the American College of Veterinary Behavior (ACVB) ed ha ottenuto dalla Animal Behavior Society (ABS) il titolo di Applied Animal Behaviorist. La Dr.ssa Overall ha tenuto centinaia di relazioni e corsi brevi di livello nazionale ed internazionale ed è autrice di oltre 100 pubblicazioni accademiche sulla medicina comportamentale e sull’ecologia comportamentale delle lucertole, nonché di dozzine di capitoli di libri. Il suo primo libro, Clinical Behavioral Medicine for Small Animals, è stato pubblicato nel 1997. La sua nuova opera, Manual of Small Animal clinical Behavioral Medicine è stato pubblicato da Elsevier nel 2007 insieme al video Humane behavioral care for dogs: techniques for the treatment and prevention of canine behavior problems. Un altro testo, Behavioral Medicine for Old Dogs, seguirà alla fine del 2007. La Dr.ssa Overall è editor-in-chief della nuova rivista Elsevier, Journal of Veterinary Behavior: Clinical Applications and Research. La Dr.ssa Overall ha condotto per più di 12 anni la clinica di medicina comportamentale alla Penn Vet ed attualmente fa parte, in qualità di Research Associate, dello Psychiatry Department della stessa Penn Vet. Le sue ricerche sono foclizzate sulla genetica neurocomportamentale del cane e sullo sviluppo dei comportamenti normali ed anormali. Inoltre, ha svolto frequentemente un’attività di consulenza con i legislatori impegnati nella stesura di norme che riguardano i cani. La Dr.ssa Overall attualmente è CoChair dell’US government SWGDOG (the Scientific Working Group on Dogs and Orthogonal detector Guidelines). Nel 2005, è stata votata come Small Animal Speaker of the year alla North American Veterinary Conference. BRUNO PEIRONE Med Vet, PhD, Torino, I Nato a Torino il 23/7/1958, laureato in Medicina Veterinaria nel 1983, Dottore in Ricerca in Patologia Comparata degli Animali Domestici. Nel 1988, Professore Associato presso il Dipartimento di Patologia Animale dell’Università di Torino ed è titolare dei corsi di “Patologia Chirurgica”, “Metodologie Chirurgiche” e “Clinica Ortopedica e traumatologica”. È Presidente della SIOVET, Presidente dell’Education Committee della AO VET International, membro del Comitato Scientifico IOVA. Ha partecipato in qualità di relatore a congressi scientifici internazionali a nazionali e ai Corsi pratici Scivac. Ha effettuato alcuni periodi di soggiorno all’estero presso: Clinica Chirurgica dell’Universi-


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tà di Berna; Clinica del dr. J. F. Bardet, Parigi; Clinica Chirurgica dell’Università di Cambridge (UK); Clinica Chirurgica dell’Università di Zurigo (CH). È autore di circa 90 lavori a stampa, apparsi su riviste nazionali e Internazionali, ha curato la traduzione italiana di alcuni libri di argomento chirurgico. IGOR PELIZZONE Med Vet, Reggio Emila Si laurea a Parma nell’anno 2000. Nello stesso anno effettua un tirocinio pratico presso la clinica di fauna selvatica dell’ècole nationale vetèrinaire di Tolosa (Francia). Dal 2000 al 2002 frequenta la clinica veterinaria Città di Pavia dove si occupa di animali non convenzionali. Dal 2002 al 2005 frequenta l’Ambulatorio Veterinario Belvedere di Reggio Emilia dove si occupa, assieme al Dr. Oscar Grazioli, di animali non convenzionali. È socio fondatore dell’allevamento di rettili Herptop di Noceto (Parma). Dal 2003 al 2005 è chiamato all’Università di Parma per alcune lezioni sul management dei rettli. Dal 2004 scrive articoli su rettili, furetti, lagomorfi e roditori. Nel 2004 è relatore per l’APVAC di Parma sull’argomento “anestesia bilanciata dei rettili” assieme al Dr. Oscar Grazioli. Ha tenuto relazioni riguardanti l’anestesia degli animali esotici a Seminari e corsi pratici. Ha frequentato il corso avanzato di medicina e chirurgia degli animali esotici organizzato dalla ESAVS presso l’università di Brno in Repubblica Ceca.

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mento di Patologia Animale della Facoltà di Medicina Veterinaria di Torino. Dal 1994 al 1998 Supplente di Chemioterapia Veterinaria e di Elementi di Farmacologia e Tossicologia Veterinaria, dal 1998 Professore Associato di Farmacologia e Tossicologia Veterinaria e dal 2005 Professore Straordinario di Farmacologia e Tossicologia Veterinaria presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Torino. Dal 2002 Presidente del Consiglio di Corso di Studi della Laurea Specialistica in Medicina Veterinaria della Facoltà di Torino. Membro del Comitato Scientifico del Master in Cardiologia del Cane e del Gatto ed in Clinica delle Malattie Comportamentali del Cane e del Gatto dell’Università di Torino. Diplomato all’European College of Veterinary Pharmacology & Toxicology nel 1999. Dal 1997 al 2004 membro dell’Efficacy Working Party del CVMP dell’EMEA. Membro dell’Advisory Board del Veterinary Journal, del Referee Board di Food & Chemical Toxicology e del Comitato di Redazione di Veterinaria. Nel 2001-2002 consulente della Medication Sub-Committee della FEI. Autore o coautore di oltre 130 pubblicazioni su riviste nazionali ed internazionali.

GUIDO PISANI Med Vet, Castelnuovo Magra (SP) Laureato presso l’Università di Pisa nel 1987. Ha partecipato alle attività dei gruppi di studio SCIVAC di Ortopedia e Chirurgia Generale nei cui ambiti ha presentato numerose relazioni, è attualmente presidente della Società di Chirurgia Veterinaria Italiana. Ha partecipato a corsi e congressi in ambito Europeo ed è stato relatore ed istruttore in numerosi congressi e corsi di argomento chirurgico ed ortopedico. Ha completato l’iter didattico per l’European College Veterinary Surgeon tramite un percorso formativo supervisionato inizialmente dal Dr. Stefano Pizzirani e successivamente dal Dr. Aldo Vezzoni. È attualmente membro del consiglio direttivo della SCIVAC. Esercita la libera professione a Castelnuovo Magra (SP).

BARBARA RIGAMONTI Med Vet, Vet MFHomi, Genova Medico veterinario libero professionista, pratica la terapia omeopatica dal 1986 dopo essersi diplomata con il Dott. Franco Del Francia in Omeopatia veterinaria. Dal 1991 è docente presso la Scuola di Omeopatia classica Dulcamara di Genova, ora centro accreditato dalla Facoltà di Omeopatia del Regno Unito. Ha svolto inoltre attività didattica presso la Scuola di Omeopatia di Verona, la Scuola Internazionale di Omeopatia veterinaria Rita Zanchi di Cortona, la Scuola Lycopodium di Firenze, la Scuola CSOA di Milano. Dal 1996 al 1998 partecipa ad un progetto di cooperazione medica internazionale per lo sviluppo dell’omeopatia in Cuba, in veste di responsabile dell’insegnamento veterinario, impartendo seminari presso la Facoltà di Scienze mediche dell’Avana e presso il Consiglio veterinario nazionale. Nel 2001 e nel 2002 è docente del master in omeopatia veterinaria presso l’Università Statale spagnola, Facoltà di San Sebastian e di Saragozza. Attualmente è Presidente della SIMVENCO. Direttore del Dipartimento per la Medicina veterinaria della FIAMO, fondatrice della UMNCV, ha pubblicato vari articoli su “Obiettivi e documenti veterinari” e “Il medico omeopata”.

DAVID POLZIN Med Vet, PhD, Dipl ACVIM, California, USA Il Dr. Polzin si è laureato alla University of Illinois, College of Veterinary Medicine, nel 1975. In seguito ha portato a termine un internato sui piccoli animali presso la University of Georgia ed un periodo di residenza in medicina interna presso la University of Minnesota. È Diplomate of the American College of Veterinary Internal Medicine nella specialità di Medicina Interna. Ha conseguito un PhD presso la University of Minnesota nel 1981. La sua tesi di diploma è stata relativa agli effetti della dieta nell’insufficienza renale del cane. Nel 1981 è entrato a far parte della facoltà della University of Minnesota come ricercatore associato ed attualmente è Professor presso il Department of Small Animal Clinical Sciences della stessa Università e visiting Professor alla University of California, Davis. È autore o coautore di oltre 250 articoli o capitoli di libri ed ha presentato più di 130 relazioni di aggiornamento permanente in oltre una dozzina di Paesi. I suoi interessi di ricerca sono relativi al settore della nefrologia, dei disturbi idrici, elettrolitici ed acidobasici, delle prove cliniche e dell’urologia. È segretario-tesoriere della Society of Veterinary Nephrology/Urology (SVNU) e rappresentante della stessa presso l’IRIS Board.

ATTILIO ROCCHI Med Vet, Firenze Laureato presso l’Università di Pisa nel 1999, ha iniziato la sua attività lavorando come Medico Veterinario ed assistent manager presso la Marula Estate LTD a Naivasha, Kenya. Ha completato la sua formazione attraverso la partecipazione a diversi corsi e congressi nazionali ed internazionali. Nel 2001 ha svolto un periodo di formazione intensiva teorico-pratica sull’anestesia nei piccoli animali presso l’Università di Berna sotto la supervisone del Prof. Yves Moens. Ha esercitato in diverse strutture in Italia ed è, dal 2003, socio della “Clinica Veterinaria 24 Ore”, Firenze. Dal 2001 è socio SCIVAC. Dal 2002 è membro della Società Italiana di Anestesia Rianimazione e Medicina d’Urgenza Veterinaria (SIARMUV), all’interno della quale ha rivestito prima il ruolo di Consigliere e dal 2004 di Vice Presidente. Dal 2003 ha partecipato ai corsi SCIVAC di anestesiologia in qualità di relatore ed istruttore; è inoltre relatore in diversi congressi nazionali e seminari. Dal 2004 è Ordinary Member dell’Association of Veterinary Anesthetist (AVA). Da Giugno 2006 è Resident dell'ECVA presso la Clinica per l'Anestesia e Terapia Intensiva perioperatoria della Facoltà di Vienna.

GIOVANNI RE Med Vet, PhD, Dipl ECVPT, Torino Laureato in Medicina Veterinaria presso la Facoltà di Torino, abilitato alla professione Medico-Veterinaria nel 1986, Dottore di Ricerca in Farmacologia e Tossicologia nel 1990. Ricercatore in Farmacologia e Tossicologia Veterinaria, Diparti-

GIORGIO ROMANELLI Med Vet, Dipl ECVS, Milano Nato a Milano il 25/7/1956. Laureato in Medicina Veterinaria il 14/7/1981 presso l’Istituto di Clinica Chirurgica della Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Milano, relatore il Prof. Renato Cheli. Subito dopo la laurea partecipa ad un


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programma di chirurgia sperimentale sul trapianto di cuore e di pancreas. Libero professionista, lavora a Milano occupandosi totalmente di casi di riferimento. I suoi interessi sono la chirurgia dei tessuti molli e l’oncologia chirurgica e medica. Charter Member e, dal luglio 1993, diplomato all’European College of Veterinary Surgeons. Presidente SCIVAC nel periodo 1993-1995. Ha presentato relazioni ad oltre 60 congressi e meeting nazionali ed internazionali. Ha soggiornato per periodi di studio presso le università di Cambridge (UK), North Carolina (USA) e Purdue-Indiana (USA). I suoi hobbies sono la pesca a mosca e la coltivazione di alberi bonsai. FEDERICA ROSSI Med Vet, Dipl ECVDI, Sasso Marconi (BO) Si è laureata nel novembre 1993. Ha ricevuto dall’Istituto Rotary International il “Premio Rotary Corsi di Laurea” per il miglior Curriculum di Laurea in Medicina Veterinaria nell’Anno Accademico 1992/1993. Dal 1993 lavora come Libero Professionista, svolgendo attività di referenza in Diagnostica per Immagini nella propria Clinica a Sasso Marconi (BO) ed in altre Cliniche in Emilia-Romagna. Dal 1995 al 1997 ha frequentato la Scuola di Specializzazione in Radiologia Veterinaria presso l’Università degli Studi di Torino. Dal 1997 al 1999 ha trascorso diversi periodi di formazione all’estero. Dal 2000 al 2003 ha terminato il programma di training per il College Europeo di Diagnostica per Immagini presso l’Università di Berna (Svizzera) e conseguito il Diploma ECVDI nel settembre 2003. Ha curato la traduzione in lingua italiana del testo-atlante di ecografia del cane e del gatto “Atlas und Lehrbuch der Ultraschalldiagnostik bei Hund und Katze”, (Edizioni UTET). È vice-presidente del Gruppo di Studio in Diagnostica per Immagini SCIVAC (SVIDI) e responsabile del Percorso di formazione in Diagnostica per Immagini, inoltre coordina in qualità di Direttore il Corso di Ecografia Clinica SCIVAC. FABIO SANGION Med Vet, Treviso Consegue la laurea presso la Facoltà di Veterinaria dell’Università degli Studi di Bologna nel 1985, dedicandosi da allora alla cura degli animali d’affezione, con particolare attenzione a chirurgia e ortopedia nel cane e gatto. Dal 1988 al 1991 ha frequentato per vari periodi il Centro Veterinario Gregorio VII di Roma. Nel 1992 ha svolto un programma di continuing education presso l’Istituto di Clinica Chirurgica della Colorado State University. Dal 1993 ricopre l’incarico di Direttore Sanitario della Clinica Veterinaria Strada Ovest. Coordinatore del Gruppo di Studio di Chirurgia dei Tessuti Molli dal ’94 al ’98. Relatore presso vari corsi SCIVAC e convegni nazionali e regionali. GIUSEPPE SARLI Med Vet, Bologna Si laurea in Medicina Veterinaria a Bologna nel 1989. Dal 1991 al 2004 è ricercatore universitario e dal 2005 professore associato presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Bologna, per entrambi i ruoli nel settore della patologia generale ed anatomia patologica. L’attività di ricerca è prevalentemente orientata verso indagini su aspetti di biologia generale delle neoplasie mammarie della cagna e della gatta, concentrando l’attenzione sulla relazione esistente con l’invasività e la prognosi. Indagini recenti riguardano l’espressione di molecole di adesione del gruppo delle caderine e molecole loro correlate come le catenine nelle neoplasie mammarie della cagna, indagini sulla linfangiogenesi dei tumori mammari della gatta, valutazione dell’espressione telomerasica in neoplasie mammarie sia della gatta che della cagna. GIGLIOLA SPATTINI Med Vet, Reggio Emilia Si laurea in Medicina Veterinaria con Lode a Parma nel 1998. Nel 1999 vince una borsa di studio di specializzazione per l’estero e si reca al Royal Veterinary College di Londra dove nel 2000, intraprende l’alternate training del College

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Europeo di diagnostica per immagini (ECVDI) sotto la supervisione di Christopher R. Lamb. Dal 2001 è relatrice di diagnostica per immagini in congressi internazionali e dal 2002 nazionali. Ha integrato il piano di studi con stage semestrali presso le università di Utrecht, Tufts e Pennsylvania. È autrice di pubblicazioni nazionali ed internazionali. Nel 2004 e 2005 ha ricoperto la carica di Junior Docent presso i dipartimenti di diagnostica per immagini delle università di Uppsala ed Utrecht. Dal 2005 è uno dei relatori dell’itinerario didattico di diagnostica per immagini della SCIVAC. Nel 2006 ha frequentato per diversi mesi l’Università di Berna. Quando non impegnata all’estero lavora come libera professionista nella Clinica Veterinaria Castellarano, a Castellarano, in provincia di Reggio Emilia. MAURIZIO TOMASSINI Med Vet, Milano Laureato a Milano nel 1980, libero professionista, si occupa esclusivamente di animali d’affezione; vive e lavora a Desio (Mi) dove è Direttore Sanitario di una Clinica per piccoli animali. Ha partecipato a numerosi Corsi, Congressi e Seminari sia Nazionali che Internazionali. Diplomato S.I.A.V. nel 2001, ha partecipato a numerosi Seminari e Congressi riguardanti l’Agopuntura con i maggiori esponenti mondiali dell’Agopuntura Veterinaria. Partecipazione in qualità di relatore a Seminari Scivac e Simvenco dal 2004. Docente SIAV di Agopuntura Veterinaria dal 2004. Dal 2002 membro del Consiglio direttivo e dal 2005 segretario SIAV. Partecipazione in qualità di relatore al Congresso internazionale V.A.M. (Veterinari Agopuntori del Mediterraneo) di Barcellona a ottobre 2007. VANESSA TURINELLI Med Vet, Bologna Laureata in medicina veterinaria a Pisa nel 2001, ha cominciato subito dopo l’esame di abilitazione alla professione un residence training di 4 anni in patologia clinica all’Ecole Nationale Vétérinaire di Lione, sotto la guida della Prof.ssa Corinne Fournel-Fleury. In contemporanea ha effettuato un dottorato di ricerca sulla patologia delle cellule linfoidi, con l’Università di Pisa e sotto la guida del Prof. Lubas che si è concluso con la discussione della tesi il 26 maggio 2006. Ha sostenuto l’esame per il College Europeo di Patologia Clinica, superando le sessioni di ematologia e citologia. Ha pubblicato vari articoli inerenti l’ematologia e la citologia veterinaria in riviste nazionali ed internazionali ed ha partecipato come relatore a vari seminari, congressi e corsi di specializzazione, italiani ed esteri. Attualmente lavora come patologo clinico per il Vet Med Lab Divisione di IDEXX Laboratories. FRANK J.M. VERSTRAETE Dr Med Vet, BVSc (Hons), Med Vet, Dipl AVDC, Dipl ECVS, Dipl EVDC, California, USA Si è laureato in medicina veterinaria presso l’Università di Gent (in Belgio) nel 1980. Ha condotto gli studi post-lauream presso la University of Pretoria (South Africa) dove ha portato a termine un periodo di residenza in chirurgia dei piccoli animali ed ha conseguito il board-certified in surgery nel 1985. Presso la Pretoria University è entrato a far parte del personale della facoltà, avviando una Dental Clinic nel 1982 e diventando Head of the Small Animal Surgery Section nel 1988. Nel 1987, quando negli USA venne fondata la Academy of Veterinary Dentistry, il Professor Verstraete era l’unico Charter Fellow non proveniente dal Nord America. È anche Charter Diplomate of the European Veterinary Dental College, nonché Diplomate of the American Veterinary Dental College and of the European College of Veterinary Surgeons. Dalla fine del 1994, il Professor Verstraete è affiliato alla University of California a Davis, dove attualmente è Professor of Dentistry and Oral Surgery, e Chief of the Dentistry & Oral Surgery Service. È anche Adjunct Professor presso il Department of Orofacial Sciences, Division of Oral Medicine, Oral Pathology and Oral Radiology, alla School of Dentistry della University of California, San Francisco. I suoi principali interessi nel campo della ricerca sono la radiologia e la patologia orale comparata.


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ALDO VEZZONI Med Vet, SCMPA, Dipl ECVS, Cremona Laureato e Specializzato in Clinica delle Malattie dei Piccoli Animali a Milano. Consegue il diploma all’ECVS a Cambridge nel ’93. Segretario ESVOT dal 1995 e Presidente dal 2006. Presidente della Fondazione Salute Animale dal 1996 e Chairman della relativa Commissione di lettura per la displasia dell’anca e del gomito, accreditata dall’ENCI nel 2002. VicePresidente della SIOVET. Membro della Commissione Tecnica Centrale dell’ENCI. Dal 1976 opera come libero professionista a Cremona, svolgendo attività di riferimento dei Colleghi nell’ambito della diagnostica e della chirurgia ortopedica dei piccoli animali. Socio Fondatore e Past Presidente SCIVAC, Socio Fondatore e Consigliere dell’ANMVI; dal 1996 al 2006 ha rivestito le cariche di segretario FNOVI e di Presidente dell’Ordine dei Veterinari di Cremona. FABIO VIGANÒ Med Vet, SCMPA, Milano Laureato nel 1987 e specializzato nel 1995 in malattie dei piccoli animali presso l’università di Milano. Dal 1987 ad oggi svolge soggiorni di studio presso Università e cliniche private negli Stati Uniti. Membro Veccs (Veterinary Emergency and Critical Care Society) dal 1993, socio fondatore e tesoriere onorario della Eveccs (European Veterinary Emergency and Critical are Society). Relatore a numerosi congressi Italiani ed internazionali. Presidente Siarmuv dal 2005. Attualmente impegnato nella direzione di una Clinica veterinaria con pronto soccorso 24 ore e nella ricerca di nuove terapie in medicina d’urgenza e terapia intensiva. 2005-2006 Professore a contratto in Medicina d’Urgenza e terapia intensiva presso l’Università di Milano. Autore di pubblicazioni in medicina d’urgenza e terapia intensiva dei piccoli animali, direttore e relatore di numerosi corsi di pronto soccorso e terapia intensiva. MASSIMO VIGNOLI Med Vet, Spec Rad Vet, Bologna Si laurea a Bologna e diventa specialista in radiologia veterinaria. Completato il training per il College europeo di diagnostica per immagini con un programma svolto a Torino, Zurigo e in altri paesi d’Europa e negli USA. Premiato per la migliore relazione dal college di diagnostica per immagini (ECVDI) a Murcia 2002. Autore o coautore di 42 lavori scientifici, di cui 23 internazionali. In corso progetti di ricerca sulla vascolarizzazione dei tumori con mezzo di contrasto ecografico, con tomografia computerizzata e sulla terapia mini-invasiva delle neoplasie. Libero professionista nella propria clinica a Sasso Marconi (BO), dove si occupa principalmente di radiologia, ecografia, tomografia computerizzata e radiologia interventistica diagnostica e terapeutica (chirurgia mini-invasiva). MARCO VIOTTI Med Vet, Torino Laureato a Torino nel 1994 a pieni voti con una tesi sperimentale presso il dipartimento di morfofisiologia veterinaria sull’embriogenesi del tubo cardiaco, approfondisce lo studio della dermatologia e dell’oculistica nell’anno successivo presso il dipartimento di clinica medica come laureato frequentatore. Esercita la professione sui piccoli animali da 13 anni nella propria struttura, a Torino, insieme ad una socia e altri 4 collaboratori occupandosi esclusivamente di medicina interna e practice management. Frequenta dal 1994 i principali congressi nazionali inerenti la medicina interna, i corsi di chemioterapia ed ecografia presso palazzo Trecchi a Cremona, nonché i principali seminari di practice management con relatori stranieri in Italia. Dal 2003 è fondatore e co-coordinatore del gruppo di studio SCIVAC di Practice management insieme ad altri 2 colleghi, frequenta nel 2005 il corso avanzato di practice management organizzato da Hill’s con relatori stranieri.

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Autore di 3 relazioni originali a tema all’interno del gruppo stesso e di 2 articoli inerenti il practice management pubblicati sulla rivista “Zootecnia”, è chiamato come relatore per il practice management ai congressi nazionali SCIVAC 2004, 2005 e 2006 con lavori originali su argomenti architettonici ed economici; relatore all’interno di un seminario di practice management per l’Università di Pisa nel novembre 2006, organizzatore e relatore insieme ad altro collega di un corso di practice management per l’Ordine dei Veterinari di Genova e relatore in dicembre 2006 presso l’Ordine dei Veterinari di Venezia sempre per il practice management. GIUSEPPE VISIGALLI Med Vet, Milano Si è laureato a Milano nel febbraio del 1989. Da sempre si occupa con grande passione di animali esotici, in particolare di rettili, senza tuttavia mai trascurare la medicina degli uccelli, dei mammiferi e di molte altre specie esotiche da compagnia e da Zoo. Iscritto alla ARAV (Association of Reptilian and Amphibian Veterinarians) ed alla AAV (Association of Avian Veterinarians) dal 1994 ha partecipato in qualità di relatore a numerosi seminari a tema italiani ed europei dei quali i più importanti sono stati i seguenti: “Medicina delle tartarughe” nel 1997, il “Seminario di base ed avanzato di Medicina e Chirurgia dei Rettili” nel 1999, il “Corso di Medicina e chirurgia aviare” nel 2000 e nel 2005, il “Seminario di gestione e patologia dei pesci d’acquario” del 2001. Negli ultimi anni è stato inoltre relatore rispettivamente al “Corso di medicina e chirurgia del Coniglio e dei piccoli roditori da compagnia” (2000), al “Corso di medicina e chirurgia dei Cheloni” (2003) ed al “Corso di Medicina e Chirurgia del Coniglio” (2004). È inoltre autore di numerose pubblicazioni ed articoli su riviste italiane ed internazionali (Exotic DVM magazine) legati alla medicina ed alla chirurgia degli animali esotici. È socio-fondatore della SIVAE (Società Italiana di Veterinari per Animali Esotici) di cui ha ricoperto fino alla primavera del 2005 la carica di consigliere mentre attualmente ne riveste quella di vicepresidente. Il dr Visigalli è stato inoltre autore e relatore della sessione regionale Scivac-Sivae “Approccio alla Medicina d’urgenza degli animali esotici da compagnia” nell’anno 2005. Nella sua attività quotidiana il dr Visigalli è direttore sanitario di una clinica veterinaria che si occupa quasi esclusivamente di “exotic pets”. Tra le sue passioni professionali l’oftalmologia, l’anestesiologia e la microchirurgia e tra quelle extraprofessionali la composizione di poesie e l’amore per la moglie e collega Danila e per i figli Giulio e Diego. KAREN YOUNG VMD, PhD, Wisconsin, USA La Dr.ssa Young ha conseguito un BA in lingua e storia della Russia nel 1973, un VMD nel 1978 e un PhD in emopatologia nel 1985 presso la University of Pennsylvania, dove è stata anche Intern in Small Animal Medicine and Surgery nel 1978-79 e Resident in Medical Oncology nel 1979-81. La Dr.ssa Young ha fatto parte del Department of Pathobiological Sciences della University of Wisconsin-Madison dal 1985 ed attualmente è Clinical Professor of Clinical Pathology e Section Head of Pathology. Insignita del Norden Distinguished Teacher Award e del Chancellor’s Hilldale Award for Excellence in Teaching, è stata anche presidente fondatore dell’Education Committee of the American Society for Veterinary Clinical Pathology. Nel 1993 ha diretto un workshop nazionale dal titolo “Celebrate Diversity: Enhancing the Learning Environment in Veterinary Medical Education” finanziato dalla Pew Health Professions Commission ed ha ricevuto il 1993 Creative and Innovative Award dalla North American Association of Summer Sessions. La Dr.ssa Young attualmente è Associate Editor di Veterinary Clinical Pathology. Le sue pubblicazioni comprendono più di 25 articoli in riviste referee e 25 capitoli di libri.


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DANIELE ZAMBELLI Med Vet, Dipl ECAR, Bologna Si è laureato in Medicina Veterinaria all’Università degli Studi di Bologna nel 1991. Presso tale Università, nel 1995, ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Ostetricia e Ginecologia Veterinaria e nel biennio successivo, 19961998, ha ricevuto una borsa di studio Post Dottorato. Nella stessa Università ha ottenuto nel 1998 l’incarico di ricercatore presso la Sezione Ostetrico-Ginecologica del Dipartimento Clinico Veterinario. Attualmente presta servizio come professore associato nel medesimo Dipartimento. È diplomato ECAR (European College of Animal Reproduction) dal 2002. Le sue ricerche e pubblicazioni riguardano prevalentemente la riproduzione canina, felina e degli animali esotici con particolare riferimento all’andrologia e alla fecondazione artificiale. Ha partecipato, come relatore, a numerosi seminari e congressi nazionali ed internazionali; è revisore per riviste internazionali di riproduzione. ANDREA ZATELLI Med Vet, Reggio Emilia Laureato con lode presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Parma nel 1990. Dal 1991 al 1998 trascorre periodi di aggiornamento in Europa e negli Stati Uniti finalizzandoli all’esclusivo approfondimento di argomenti di medicina interna e diagnostica per immagini del cane e del gatto. Professore a contratto presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Torino dall’A.A. 2000-2001 all’A.A. 20032004. È socio SCIVAC dal 1991, relatore SCIVAC dal 1998 e consulente scientifico della stessa società dal 2001. Relatore a congressi nazionali ed internazionali ha tenuto numerosi seminari scientifici e corsi di perfezionamento su argomenti riguardanti la nefrologia, la ecografia addominale e la terapia intensiva/medicina d’urgenza. È autore di numerose pubblicazioni su riviste nazionali ed internazionali inerenti la nefrologia, l’ecografia addominale e l’ecografia interventistica. Nel 2005 ha ricevuto l’IRIS (International Renal Interest Society) AWARD “in recognition of outstanding fundamental and clinical research performed by an individual in the field of nephrology”. I suoi principali settori di interesse sono lo studio qualitativo della proteinuria nel paziente nefropatico, i biomarkers di nefropatia e le tecniche innovative nel settore dell’ecografia interventistica e dell’ecocontrastografia. Attualmente svolge la libera professione a Reggio Emilia dove dal 2002 è Direttore Sanitario di una referral practice.

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ERIC ZINI Med Vet, Dipl ECVIM, Berna (CH) Laureato nel 1999 a Torino, dove ha seguito un programma di internship con tutor il Dr Michele Borgarelli fino a Settembre 2002. Da Dicembre 2000 a Giugno 2002 svolge brevi soggiorni presso le Facoltà di Medicina Veterinaria di Berlino (Germania), Edinburgo (UK), e Pretoria (Sud Africa). Le sue aree di ricerca sono le correlazioni cliniche ed istologiche in nefrologia, l’eziologia delle pericarditi idiopatiche canine e l’epatologia. Attualmente è Resident in Medicina Interna dei Piccoli Animali presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Zurigo (Svizzera) e di Torino, e dottorando in Scienze Cliniche presso la Facoltà di Torino. Ha pubblicato una decina di articoli su riviste internazionali del settore medicina interna e presentato lavori ai più recenti congressi ESVIM ed ACVIM. SANDRO ZUCCHETTA Med Vet, San Donà di Piave (Ve) Laureato con tesi sperimentale in teratologia e abilitato alla professione nel 1982 presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Bologna. Ha frequentato corsi di perfezionamento presso l’Università di Parma in “Farmaci ed igiene veterinaria”, “Ambiente ed igiene veterinaria” e “Zoonosi”. Dal 1982 esercita la libera professione nel settore degli animali da compagnia. Dal 1991 è Direttore Sanitario della Clinica Veterinaria “San Francesco” di San Donà di Piave e di quattro ambulatori veterinari ubicati nella zona orientale della provincia di Venezia. Ha frequentato numerosi corsi di aggiornamento e ha partecipato a più di 150 seminari e congressi nazionali e all’estero, per alcuni dei quali è stato anche organizzatore e relatore. È stato membro dei gruppi di studio SCIVAC di Patologia della riproduzione, Medicina interna, Dermatologia, Ortopedia, Chirurgia generale, Patologia felina. Attualmente è iscritto al gruppo di studio di Veterinary Practice Management, argomento sul quale ha tenuto seminari per gli studenti della Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Padova. Presso l’Ordine dei Veterinari della Provincia di Venezia ha ricoperto l’incarico di Consigliere e di Segretario. È stato inoltre Segretario provinciale e regionale SIVELP. Dal 1998 è membro della Commissione per gli Esami di Stato per l’esercizio della professione veterinaria presso l’Università di Padova. È stato relatore unico al Pre-Congress Day AIVPAFE 2002. Attualmente, oltre ad espletare l’attività clinica, si interessa di gestione della professione veterinaria nell’ambito del territorio e delle dinamiche delle relazioni nel rapporto uomo-pet-veterinario. Ha approfondito le conoscenze del Veterinary Practice Management ai corsi di Martin J. Becker, Charles J. Wayner, Fabrice Clerfouille e Yannick Poubanne.


ESTRATTI DELLE RELAZIONI

Gli estratti sono elencati in ordine alfabetico secondo il cognome del relatore. Le relazioni di uno stesso autore sono elencate secondo l’ordine cronologico di presentazione.


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Improving client communication Caroline Jevring-Bäck BVetMed, MRCVS, Stoccolma (S)

COMMUNICATION is something that everyone does every day on many different levels and yet communication problems are the greatest cause of stress, job dissatisfaction, and disappointed clients in veterinary practice. Good communication is critically important because it is the foundation of a healthy business. The following series of lectures looks at how the principles of effective communication can be applied in daily practice to improve client relations, increase pet care, and grow practice profits. Improving client service 40mins Think about the last time you sought a professional service provider – perhaps a lawyer, doctor, estate agent, or hairdresser. What level of service did they provide for you technically? What level of service did they provide for you personally? They probably gave good technical service – sound legal advice, a good haircut or whatever – but the chances are high that you were not satisfied with the personal care you received. What, exactly, is client service and how can we improve this in our practices? Questions: 1. Client service is: a. meeting client needs at all costs b. always offering discounted services and products c. the ability to meet client requirements d. always answering the phone within three rings 2. Client service contains an element of quality. Quality is: a. situational – different situations require different standards of quality b. relative – it depends on the person’s needs c. dynamic – it requires constant reassessment and change d. all of the above Answers: 1.c, 2.d The Art and Science of effective selling 40mins Vets sell services and products on a daily basis but what it is that vets are really selling and what is it that clients are really buying? This presentation looks at selling from both the seller’s and the buyer’s point of view – and will help you better understand what influences your clients to buy from you. Questions: 1. Which statement below best describes selling services and products to clients: a. it is important to always make the greatest possible profit b. it is important to understand the purchasing process from the client’s point of view c. always try to add on extra services or products d. Selling is unethical and vets should not do it. 2. Why do people buy products and services? a. to be better off afterwards than before b. to gain the consequences of purchase or ownership c. because they are there and people like buying things d. a and b Answers: 1.b, 2.d

Improving compliance in your practice, part 1: Setting the scene and identifying key compliance factors 40mins Compliance amongst human patients towards doctors’ recommendations is shockingly low. Compliance amongst veterinary patients as also low, as shown in the recent AAHA study from 2003 and supported by the AVEPA/ Hill’s study in Spain from 2006. Simply put, this means your patients may not be getting the level of care you recommend for them. What are the key factors that influence compliance and what can you do to positively influence them in your practice? Questions: 1. Compliance is: a. ensuring the animals in your practice receive the care you believe is best for them b. making owners do what you tell them c. difficult to do anything about, so better ignored d. b and c 2. Which one statement below best describes compliance. Compliance is a combination of the following elements: a. vet’s recommendation, purchase by client of additional products, telephone follow up b. vet’s recommendation, healthcare team support and endorsement of the recommendation, owner’s acceptance of the recommendation, healthcare team follow up c. cooperation by owner and pet to medical treatment d. booking vaccination appointments and sending reminder cards Answers: 1.a, 2.b Improving compliance in your practice, part 2: Beastly behaviour: breaking the habits that limit us 40mins Without realising it, people are slaves to their behaviours and habits, but, as the old adage says, ‘If you keep on doing what you’ve always done, you’ll get what you’ve always got’. How can you break the habits of a lifetime to increase compliance in your practice? How can you help your clients change their habits to better care for their pets? Questions: 1. Habits are: a. a way of managing uncertainty b. necessary to the smooth flow of everyday life c. sometimes a hinder to our progress d. all of the above 2. To change old habits and establish new you need: a. motivation and a clear goal b. support and help during the change process c. to go through a period of chaos d. all of the above Answers: 1.d, 2.d


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Migliorare la comunicazione con il cliente Caroline Jevring-Bäck BVetMed, MRCVS, Stoccolma (S)

La COMUNICAZIONE è qualcosa che tutti mettono in atto ogni giorno a molti livelli differenti, ma nonostante ciò i problemi di comunicazione sono la principale causa di stress, insoddisfazione lavorativa e delusione dei clienti nelle strutture veterinarie. La buona comunicazione ha un’importanza critica, perché è il fondamento di una valida attività imprenditoriale. La seguente serie di relazioni prende in considerazione il modo in cui i principi della comunicazione efficace possono essere applicati nella pratica professionale quotidiana per migliorare le relazioni con i clienti, aumentare le cure prestate agli animali e far crescere i profitti della struttura.

MIGLIORARE IL SERVIZIO AL CLIENTE Pensate all’ultima volta in cui vi siete recati da qualcuno che offriva servizi professionali – un avvocato, un medico, un promotore finanziario o un parrucchiere. Che livello di servizio vi ha offerto dal punto di vista tecnico? Che livello di servizio vi ha offerto a livello personale? Probabilmente questi operatori vi hanno garantito valide prestazioni tecniche – un buon consiglio legale, un buon taglio di capelli o che altro – ma ci sono elevate probabilità che non siate soddisfatti dalle cure personali che avete ricevuto. Cos’è esattamente il servizio al cliente e come possiamo migliorarlo nelle nostre strutture? Domande: 1. Il servizio al cliente consiste nel: a. soddisfare a qualsiasi costo le esigenze del cliente b. offrire sempre servizi e prodotti scontati c. avere la capacità di soddisfare le esigenze del cliente d. rispondere sempre al telefono entro il terzo squillo 2. Il servizio al cliente contiene un elemento di qualità. Quest’ultima è: a. situazionale – situazioni differenti richiedono differenti standard di qualità b. relativa – dipende dalle esigenze della persona c. dinamica – richiede una costante rivalutazione e modificazione d. tutti i precedenti Risposte: 1.c, 2.d

L’ARTE E LA SCIENZA DELLA VENDITA EFFICACE I veterinari vendono servizi e prodotti su base quotidiana, ma cos’è che questi professionisti stanno davvero vendendo e cos’è che i clienti stanno davvero comprando? Questa pre-

sentazione prende in esame la vendita sia dal punto di vista del venditore che dell’acquirente – e vi aiuta a comprendere meglio che cosa spinge i vostri clienti ad acquistare da voi. Domande: 1. Quale affermazione descrive meglio la vendita di servizi e prodotti ai clienti? a. è importante ottenere sempre il massimo profitto possibile b. è importante comprendere il processo di acquisto dal punto di vista del cliente c. bisogna cercare sempre di aggiungere servizi o prodotti extra d. la vendita non è etica ed i veterinari non devono praticarla 2. Perché i veterinari acquistano prodotti e servizi? a. per stare meglio dopo piuttosto che prima b. per fruire delle conseguenze dell’acquisto o del possesso c. perché sono lì e la gente ama comprare delle cose d. a e b Risposte: 1.b, 2.d

MIGLIORARE L’OSSERVANZA NELLA VOSTRA STRUTTURA, PARTE 1 Stabilire le premesse e migliorare l’osservanza L’osservanza delle raccomandazioni dei medici da parte dei pazienti umani è incredibilmente bassa. Anche in ambito veterinario l’osservanza è bassa, come dimostra il recente studio del 2003 dell’AAHA, supportato da quello condotto in Spagna nel 2006 dall’AVEPA/Hill’s. Ciò significa semplicemente che può darsi che i vostri pazienti non raggiungano il livello di cure che voi avete raccomandato per loro. Quali sono i fattori chiave che influiscono sull’osservanza e cosa potete fare per modificarli positivamente nella vostra attività professionale? Domande: 1. L’osservanza è: a. assicurarsi che gli animali nella vostra struttura ricevano le cure che voi ritenete migliori per loro b. far sì che i proprietari facciano quello che voi dite loro c. difficile da realizzare a qualunque livello, quindi è meglio ignorarla d. b e c 2. Quale affermazione descrive meglio l’osservanza L’osservanza è una combinazione dei seguenti elementi:


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a. raccomandazione del veterinario, acquisto da parte del cliente di prodotti aggiuntivi, follow-up telefonico b. raccomandazione del veterinario, supporto e rafforzamento della raccomandazione da parte del team sanitario, accettazione della raccomandazione da parte del proprietario, follow-up da parte del team sanitario c. collaborazione al trattamento medico da parte del proprietario e dell’animale d. prendere appuntamenti per le vaccinazioni e spedire cartoline promemoria Risposte: 1.a, 2.b

MIGLIORARE L’OSSERVANZA NELLA VOSTRA STRUTTURA, PARTE 2 Comportamenti poco intelligenti: smetterla con le abitudini che ci limitano Senza rendersene conto, le persone sono schiave dei loro comportamenti ed abitudini, ma, come dice un vecchio ada-

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gio, “se continuate a fare quello che avete sempre fatto, otterrete quello che avete sempre avuto”. Come si possono spezzare le abitudini di una vita per aumentare l’osservanza nella vostra struttura? Come potete aiutare i vostri clienti a cambiare le loro abitudini per prendersi meglio cura dei loro animali? Domande: 1. Le abitudini sono: a. Un modo per gestire l’incertezza b. Necessarie per fluire senza asperità la vita quotidiana c. Qualcosa che ostacola il nostro progresso d. Tutti i precedenti 2. Per cambiare le vecchie abitudini e stabilirne di nuove, avete bisogno di: a. una motivazione e una meta chiara b. supporto ed aiuto durante il processo di cambiamento c. passare attraverso un periodo di caos d. tutti i precedenti Risposte: 1.d, 2.d


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Compliance: is it really a question of choice? Caroline Jevring-Bäck BVetMed, MRCVS, Stoccolma (S)

INTRODUCTION In 2003, the American Animal Hospital Association, using a generous grant from Hills Pet Nutrition Ltd., conducted a comprehensive survey into the importance of compliance for the veterinary profession (see Box 1). The result is the ground-breaking publication The Path to High Quality Care – Practical Tips for Improving Compliance. The contents are disturbing (see Box 2).

Box 1: Compliance definition Compliance: the pets in your practice receiving the care you believe is best for them.

Box 2: Noncompliance rates in the USA Feline therapeutic diets ..........................................82% Canine therapeutic diets.........................................81% Canine senior screening.........................................68% Dental prophylaxis.................................................65% Feline senor screening ...........................................65% Canine heartworm prevention................................52% Canine heartworm testing ......................................17% Core vaccines .........................................................13%

And the cause of these low levels of compliance? There are several factors involved, but the most important were found to be that the veterinarian was not making the initial recommendation and the healthcare team was not following up the recommendation. Veterinarians also consistently underestimated compliance levels in their practices. Further studies into different aspects of veterinary compliance, including ease of use of medication by pet owners and the challenges associated with identifying which pet owners will or will not be compliant, simply confirm AAHA results: poor compliance creates the potential for an unacceptable level of suffering for animal patients, frustration for practice members that they are not doing a good job, and considerable loss of income to the practice. So, is managing client compliance still a question of choice? Let’s look at the story behind compliance to answer this question.

COMPLIANCE AND THE MEDICAL PROFESSION Compliance – or, rather, lack of compliance – is an age-old problem in the human medical world. Despite the ability of medicines to prevent, relieve and even cure many forms of ill health, people often do not take them as prescribed. A study by the World Health Organisation in 2003 showed that in developed countries, compliance amongst patients suffering chronic diseases such as asthma, advanced renal disease, diabetes mellitus and cancer averages only 50%. A clear example of this is the problem of obesity. Overweight – in many cases extreme overweight - is one of the most important causes of disease and morbidity of our time, yet despite knowing that to lose weight requires eating fewer calories and exercising more, few obese people are willing to make the sacrifices in life style necessary to achieve improved health and life quality. The costs of non-compliance are high – not only in the debilitating effects of chronic ill health on the individual, but also the actual cost for the medical services in treating the original disease and the consequences of the patient-created medical neglect. Non-compliance is a complex issue (see Box 3). It is often a considered decision by people making their own choices about the benefits and disadvantages of medicines. However, compliance appears to be highest amongst patients who manage chronic illness with the help of a dedicated healthcare team with whom they have regular and frequent contact. This team provides a three-pronged approach of interventions to the patient using a combination of educational, behavioural and affective communications which educates patients about their illness and treatment, teaches behavioural strategies to enable people to cope better with symptoms and medication taking, and addresses emotional needs (see Box 4). These interventions are designed to help the patient make an informed choice about their medicine taking – and to create confidence in their ability to help themselves. Achieving improved patient compliance will only happen through changing behaviours, that is, moving away from a doctor issuing instructions that a patient is meekly expected to obey, to a more holistic, patient-centred approach by a dedicated healthcare team where the autonomy of the patient is recognised and respected.

What has this to do with veterinary practice? The AAHA study is the first to quantify the level of non-compliance that exists amongst veterinary patients.


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Box 3: Factors affecting compliance amongst human patients 1. Social and economic factors • Poverty, illiteracy, cultural factors, family dysfunction 2. Health care team and system-related factors can negatively affect patient compliance through: • management systems that may directly influence patient behaviour including appointment length and fee structure, • resource allocation that creates stressed personnel who are unable to perform well • poor management of patient education and follow-up • lack of knowledge about compliance and the effective interventions required to improve it 3. Disease-related factors such as severity and rate of progression of symptoms which may affect the patient’s ability to take medication or make life-style changes. 4. Therapy related factors including complexity of medical regime, duration of treatments, immediacy of beneficial effects and severity of side effects. 5. Patient-related factors including: • Knowledge and beliefs about illness, and about recommended medicines and treatment protocols • Motivation to manage the disease • Confidence (self-efficacy) in their ability to engage in illness-management behaviour • Expectations regarding the outcome of treatment and the consequences of poor compliance.

Box 4: Improving compliance amongst human patients The aim is to provide information in such a way that the patient can make an informed and empowered decision about their medicine taking, and then act on it. This is achieved through concordance: a patient-professional relationship in prescribing and managing medicines. Education: Does the patient have enough knowledge to accept the recommended treatment? This requires education and training not only of the patient about their illness and its management, but also of the doctor and health care team about the importance of achieving compliance. Written and/or verbal instructions alone are often not adequate. Patients need to develop confidence in their ability to manage their own care and to cope with the challenges they face in life as a result of their illness. Psychology Is the patient ready and motivated to follow the recommendation? Patients may be depressed and even suicidal about their illness, resulting lifestyle and prospects for recovery or improvement. What additional help might such patients need? How can the healthcare team most effectively support the motivated patient to continue treatment? Behaviour Medication and treatment protocols – especially for chronic illness – often require considerable changes in patient lifestyle. How do the doctor and healthcare team make it practical and easy to follow recommendations? Considerations include questions such as what is the patient physically and mentally capable of, and what practical tools might help them?

During the study period, 1400 patient records were audited from 240 veterinary hospitals across the country, hundreds of veterinarians and hospital managers were interviewed, and over 1600 clients were surveyed to determine their feelings and perceptions about compliance issues for their pets. The study looked at six areas of compliance (see Box 5) and relates only to pets seen by a veterinarian in the last 12 months.

Box 5: Compliance quantified in six areas • • • • • •

Heartworm testing and preventive Dental prophylaxis Therapeutic diets Senior screenings Canine and Feline core vaccines (DHLPP and FVRCP) Pre-anaesthetic testing


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The AAHA survey showed that the primary reasons clients do not comply with veterinary recommendations are: • they do not receive the recommendation from the veterinarian or do not understand the significance of the recommendation • there is no follow-up of the recommendation with the client by the healthcare team • recommendations are made without understanding the client’s viewpoint and how they are going to make them work at home • compliance is not routinely measured in clinics This complexity is neatly summarised in the formula:

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generally staff members are already quite busy in practice, and there are often distractions around that prevent staff making recommendations. In addition, it is quite common to assume that clients either won’t pay for or can’t afford the best possible care for their pet. However, every scientifically conducted study of pet owners the world over has demonstrated that the vast majority of pet owners think of their pet as a family member and are willing to incur the expenses of keeping them healthy. Recommendation can also be reinforced by using written support materials, taking time to explain medical conditions to pet owners using pictures and models, and demonstrating practical techniques such as giving medicines to a cat or using a support harness for an orthopaedic patient.

C = R + A + FT Where: C= compliance R= veterinary recommendation and reinforcement by healthcare team A= acceptance by client FT= follow through by healthcare team How does this work in practice?

A= Acceptance by client Clients are not the primary barrier to compliance. The vast majority want to help their pet as much as possible and are willing to pay for this too. In most cases where client compliance is an issue, it is because they simply have not understand the seriousness of the problem and the consequences to their pet’s health of non-compliance such as not completing a medication programme, or not following advice about exercise and motion.

R= Recommendation by veterinarian and reinforced by healthcare team In many cases clients receive neither a clear recommendation from the veterinarian nor reinforcement of this recommendation by the healthcare team. For example, the overweight dog with an acute ear problem is treated for the ear problem but no one says anything to the owner about the pet being overweight. There are always excuses: ‘Oh, there wasn’t time’, ‘They wouldn’t be interested anyway’, ‘Well, the owners are overweight too – there’s not a chance of dieting the dog.’ Some of these excuses are more valid than others –

FT= Follow through by veterinary healthcare team The veterinary healthcare team supports compliance efforts by helping educate and encourage clients. In the consulting room, the nurse not only assists the veterinarian but also actively listens for recommendations that she can then follow up with the client. If necessary, the nurse can also talk further to the client about the recommendation and why it is so important.

Box 6: Making an effective recommendation Making an effective recommendation starts with everyone in the practice agreeing that the aim is to have as many healthy, well-cared for pets as possible. Important areas where problems are likely include weight management, routine vaccination, dental care, and optimal nutrition. This means that protocols are developed so that everyone is alert to these problems when they see them and empowered to talk to clients about them, and that the results of these interventions can be measured – by the number of pets in the whole client base who are vaccinated, the number on weight management programmes, and so on. For example, Benny, the Bulldog, comes in for a veterinary visit because of a mild conjunctivitis. The receptionist checks her records and notes Benny is overdue on his vaccinations. She also weighs him, and notes he is overweight. Both these facts are highlighted in his journal. In addition to diagnosing and treating the conjunctivitis, the veterinarian explains the need for booster vaccinations – explaining the seriousness of the diseases that the vaccination protects against, and asks if she may vaccinate Benny today. She also talks about the detrimental effects of Benny’s overweight and suggests the owner speak to nurse Sue, who is a trained Nutritional Adviser and who can work with her to manage Benny´s weight problem. After the owner has met Sue and agreed for Benny to go in a weight reducing plan, the receptionist books in Benny for a re-examination of his eyes in 10 days. This coincides with the first reweighing session with Sue. In this way, the whole practice team works together with Benny’s owner to improve his health and well being. The outcome? A healthier Benny a more satisfied owner, a more fulfilled healthcare team – and better practice profits through increased sales of services and profits.


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One of the simplest ways to drive the compliance message is to proactively follow up with client one they have left the clinic. Four fifths of pet owners want to discuss their pet’s care with other members of the practice team, not just veterinarians, so nurses can handle a lot of the client telephone calls. These can include answering questions about recent procedures or recovery, reporting laboratory results, and checking on animals starting new medications. Although giving clients advice on getting pets to accept medication or eat therapeutic foods is very important, following up with clients is about more than instruction; it’s a great opportunity to reassure clients and congratulate them for providing such good care for their pets.

The importance of measuring compliance There is an old adage which is particularly true of compliance: If you can’t measure it, you can’t manage it. Veterinarians consistently underestimate compliance levels in their practices by as much as 25%. Relying on ’gut feel’ to measure compliance is no longer adequate: hard figures are required. Developing systems that can monitor compliance figures will quickly show where improvements are needed, and active interventions soon produce results.

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SUMMARY Is managing client compliance still a question of choice? The answer is a ringing, ‘No!’ Patients receive the best care when owners comply with veterinary recommendations. From proper nutrition and core vaccinations to dental prophylaxis and senior diagnostic screenings, clients rely on veterinary professionals to tell them what, when and how to do what’s best for their pets. As spokespeople for the health and welfare of animals, it is our responsibility to do as much as we can to enable clients to care properly for their pets. While research shows that compliance in many key areas falls short, there is good news: practices that monitor compliance and implement new strategies see their compliance numbers rise. The secret to success is teamwork. When every member of the veterinary health care team plays a role in communicating, reinforcing, and following through with recommendations, both compliance and quality of care improve.

References The Path to High Quality Care: Practical tips for improving compliance (2003)American Animal Hospital Association, Colorado. Adherence to long-term therapies: Evidence for action (2003) World Health Organisation.


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Migliorare l’osservanza nella vostra struttura Caroline Jevring-Bäck BVetMed, MRCVS, Stoccolma (S)

INTRODUZIONE Nel 2003, l’American Animal Hospital Association, utilizzando un generoso finanziamento della Hill’s Pet Nutrition Ltd, ha condotto un’indagine completa ed approfondita sull’importanza dell’osservanza per la professione veterinaria (vedi Riquadro 1). Il risultato è stato una pubblicazione assolutamente innovativa, The Path to High Quality Care – Practical Tips form Improving compliance. I contenuti sono allarmanti (vedi Riquadro 2).

Riquadro 1: Definizione di osservanza Osservanza: Gli animali nella vostra struttura ricevono le cure che voi ritenete migliori per loro

Riquadro 2: Percentuali di non osservanza negli USA Diete terapeutiche per gatti....................................82% Diete terapeutiche per cani ....................................81% Screening per cani anziani.....................................68% Profilassi dentale....................................................65% Screening per gatti anziani ....................................65% Prevenzione per la filariosi cardiopolmonare nel cane..............................................................52% Test per la filariosi cardiopolmonare nel cane.......17% Vaccinazioni di base ..............................................13% E la causa di questi bassi livelli di osservanza? Sono coinvolti parecchi fattori, ma i più importanti sono risultati essere che il veterinario non forniva una raccomandazione iniziale e che il team sanitario non la seguiva. Inoltre i veterinari sottostimano costantemente i livelli di osservanza nelle strutture in cui operano. Ulteriori studi sui differenti aspetti della osservanza in ambito veterinario, come facilità di uso dei farmaci da parte dei proprietari e le difficoltà associate all’identificazione di ciò che i proprietari stessi sono o non sono disposti ad eseguire, confermano semplicemente i risultati dell’AAHA: la cattiva osservanza determina il potenziale rischio di un livello inaccettabile di sofferenza per gli animali e di frustrazione per i membri della struttura, che non stanno facendo un buon lavoro, ed una considerevole perdita di entrate. Quindi, gestire l’osservanza da parte dei clienti è ancora una questione di scelta? Diamo un’occhiata alla storia che sta dietro all’osservanza per dare una risposta a questa domanda.

L’OSSERVANZA E LA PROFESSIONE MEDICA L’osservanza o, piuttosto, la sua mancanza è un problema di vecchia data in ambito medico umano. Nonostante la capacità dei farmaci di prevenire, alleviare e persino guarire molte forme di malattia, le persone spesso non li assumono nel modo prescritto. Uno studio dell’organizzazione mondiale della sanità del 2003 ha dimostrato che nei Paesi sviluppati l’osservanza fra i pazienti colpiti da malattie croniche quali asma, nefropatia avanzata, diabete mellito e neoplasia è in media del 50% soltanto. Un chiaro esempio di questo fatto è il problema dell’obesità. Il sovrappeso – in molti casi di grado estremo – è una delle cause più importanti di malattia e morbilità del nostro tempo, ma, benché si sappia che per perdere peso è necessario mangiare meno calorie e fare più esercizio, poche persone obese sono disposte a modificare il proprio stile di vita per fare i sacrifici necessari a raggiungere un miglioramento della salute e della qualità della vita. I costi della mancata osservanza sono elevati – non solo per gli effetti debilitanti della malattia cronica sull’individuo, ma anche per il costo reale dei servizi medici necessari per trattare la malattia originaria e le conseguenze derivanti dal fatto che il paziente l’ha trascurata. La non osservanza è un argomento complesso (vedi Riquadro 3). Spesso è una decisione presa in considerazione da persone che fanno le proprie scelte circa i benefici e gli svantaggi dei farmaci. Tuttavia, l’osservanza sembra essere più elevata fra i pazienti che affrontano malattie croniche con l’aiuto di un team sanitario dedicato con il quale hanno contatti frequenti e regolari. Questo team offre un triplice approccio di intervento al paziente, utilizzando un’associazione di comunicazioni formative, comportamentali ed affettive che tengono aggiornati i pazienti sulla loro malattia e sul relativo trattamento, insegnando strategie comportamentali che consentono alle persone di fare meglio fronte ai sintomi ed all’assunzione dei farmaci e soddisfano le esigenze emotive (vedi Riquadro 4). Questi interventi sono studiati per aiutare i pazienti ad effettuare una scelta informata circa l’assunzione dei medicinali ed a generare fiducia nella propria capacità di autoaiutarsi. Il raggiungimento di un miglioramento dell’osservanza da parte del paziente si ha soltanto attraverso il cambiamento dei comportamenti, cioè allontanandosi da uno schema in cui il medico impartisce istruzioni alle quali ci si attende che il paziente ubbidisca, passando ad un approccio più olistico, incentrato sul paziente, da parte di un team sanitario dedicato in cui l’autonomia del soggetto malato viene riconosciuta e rispettata.


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Riquadro 3: Fattori che influiscono sull’osservanza nei pazienti umani

Riquadro 4: Migliorare l’osservanza fra i pazienti umani

1. Fattori sociali ed economici • Povertà, analfabetismo, fattori culturali, disfunzioni familiari 2. Il team delle cure sanitarie ed i fattori correlati al sistema possono influire negativamente sull’osservanza dei pazienti attraverso • Sistemi di gestione che possono influire direttamente sul comportamento del paziente, come la durata delle liste di attesa e gli onorari delle strutture • Distribuzione delle risorse, che porta ad ottenere personale stressato e non in grado di fornire il massimo rendimento • Cattiva gestione dell’educazione del paziente e del follow-up • Mancanza di conoscenze sull’osservanza e sugli interventi efficaci necessari per migliorarla 3. Fattori correlati alla malattia, come la gravità e la velocità di progressione dei sintomi che possono influire sulla capacità del paziente di assumere i farmaci o imporre delle modificazioni dello stile di vita 4. Fattori correlati alla terapia, come la complessità del protocollo terapeutico, la durata dei trattamenti, l’immediatezza degli effetti benefici e la gravità di quelli collaterali 5. Fattori correlati al paziente, come: • Conoscenze e credenze circa la malattia e sui farmaci ed i protocolli terapeutici raccomandati • Motivazione ad affrontare la malattia • Fiducia (autoefficacia) nella propria capacità di impegnarsi in un comportamento finalizzato alla gestione della malattia • Aspettative relative all’esito del trattamento ed alle conseguenze di una cattiva osservanza

Lo scopo è quello di fornire informazioni in modo tale che il paziente possa prendere una decisione informata e autorizzata sulla propria assunzione di farmaci e poi agire di conseguenza. Questo risultato si ottiene attraverso la concordia: una relazione fra paziente ed operatori professionali nella prescrizione e nella gestione dei farmaci. Educazione Il paziente ha sufficienti conoscenze per accettare il trattamento che gli viene raccomandato? Ciò richiede educazione e formazione non solo del paziente nei confronti della sua malattia e del suo trattamento, ma anche del medico e del team sanitario sull’importanza di riuscire ad ottenre l’osservanza. Le istruzioni scritte e/o verbali da sole spesso non sono adeguate. I pazienti hanno bisogno di sviluppare fiducia nella propria capacità di prendersi cura di se stessi e di affrontare le difficoltà che incontreranno nella vita come conseguenza della loro malattia. Psicologia Il paziente è pronto e motivato a seguire le raccomandazioni? I pazienti possono entrare in depressione e persino suicidarsi per la loro malattia, lo stile di vita che ne deriva e le prospettive di guarigione o miglioramento. Di quale aiuto aggiuntivo possono aver bisogno queste persone? In che modo il team sanitario può sostenere efficacemente un paziente motivato perché continui il trattamento? Comportamento I protocolli farmacologici e terapeutici – il particolare per le malattie croniche – richiedono una considerevole modificazione dello stile di vita del paziente. In che modo il medico ed il team sanitario possono rendere facile e pratico seguire queste raccomandazioni? Ci si è chiesti cosa il paziente sia fisicamente e mentalmente in grado di fare e quali strumenti pratici possano aiutarlo?

Cosa ha a che fare tutto questo con la professione veterinaria? Lo studio della AAHA è il primo a quantificare il livello di non osservanza esistente fra i pazienti veterinari. Durante il periodo dello studio, sono stati sottoposti ad audit le registrazioni relative a 1400 pazienti ottenute da 240 ospedali veterinari in tutto il Paese, sono stati intervistati centinaia di veterinari e gestori di ospedali ed è stata condotta un’indagine presso più di 1600 clienti per determinare le loro sensazioni e percezioni circa i problemi di osservanza per i loro animali da compagnia. Lo studio ha preso in considerazione 6 aree di osservanza (vedi Riquadro 5) e ha fatto riferimento soltanto ad animali che erano stati visti da un veterinario negli ultimi 12 mesi. L’indagine della AAHA ha dimostrato che le ragioni primarie per cui i clienti non osservano le raccomandazioni del veterinario sono: • non hanno ricevuto le raccomandazioni del veterinario o non ne hanno capito il significato

Riquadro 5: Quantificazione dell’osservanza in 6 aree • • • • •

Test e prevenzione della filariosi cardiopolmonare Profilassi dentale Diete terapeutiche Screening per soggetti anziani Vaccini di base per il cane e per il gatto (DHLPP e FVRCP)

• il team sanitario non ha attuato alcun follow-up per verificare l’osservanza delle raccomandazioni da parte del cliente • le raccomandazioni vengono fornite senza aver compreso il punto di vista dei clienti ed il modo in cui questi dovranno metterle in pratica a casa • l’osservanza non viene misurata di routine nelle cliniche


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Questa complessità viene chiaramente riassunta dalla formula:

C = R + A + FT Dove: C = osservanza (compliance) R = raccomandazione veterinaria e rafforzamento da parte del team sanitario A = accettazione da parte cliente FT = follow-up da parte del team sanitario

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ogni studio scientificamente condotto sui proprietari degli animali del mondo ha dimostrato che la grande maggioranza di essi pensa ai propri compagni come ad un membro della famiglia ed è disposta ad andare incontro alle spese necessarie per mantenerlo in salute. Le raccomandazioni possono anche essere rafforzate mediante materiali di supporto scritti, prendendosi il tempo per spiegare ai proprietari le condizioni mediche utilizzando immagini e modelli e fornendo dimostrazioni di tecniche pratiche come la somministrazione di farmaci ad un gatto o l’uso di una pettorina di sostegno per un paziente con problemi ortopedici.

Come funziona tutto ciò in pratica?

R = raccomandazione da parte del veterinario e rafforzamento da parte del team sanitario In molti casi i clienti non ricevono una chiara raccomandazione dal veterinario né un rafforzamento di questa raccomandazione da parte del team sanitario. Ad esempio, un cane sovrappeso con un problema auricolare acuto viene trattato per quest’ultimo, ma nessuno dice nulla al proprietario sul fatto che il suo compagno è sovrappeso. Ci sono sempre delle scuse: “Oh, non c’era tempo”, “Non sarebbero stati affatto interessati”, “Si, anche i proprietari erano sovrappeso – non c’era nessuna possibilità di mettere a dieta il cane”. Alcune di queste scuse sono più valide di altre – generalmente, i membri dello staff sono già molto impegnati nella struttura in cui operano e spesso sono circondati da distrazioni che impediscono loro di fornire le raccomandazioni. Inoltre, è molto comune partire dal presupposto che i clienti non sarebbero disposti a pagare o a sostenere l’impegno per offrire ai loro animali le migliori cure possibili. Tuttavia,

A = Accettazione da parte del cliente I clienti non sono la barriera primaria all’osservanza. La grande maggioranza di essi vuole aiutare il più possibile i propri animali ed è disposta a pagare per questo. Nella maggior parte dei casi in cui l’osservanza del cliente è un problema, ciò è dovuto al fatto che, semplicemente, queste persone non hanno capito la gravità del problema e le conseguenze per la salute del loro animale che possono derivare dalla non osservanza, come ad esempio il mancato completamento di un programma terapeutico o il non seguire le indicazioni relative all’esercizio ed al movimento.

FT = Follow through da parte del team sanitario veterinario Il team sanitario veterinario sostiene gli sforzi di osservanza contribuendo ad educare i clienti ed incoraggiandoli. Nella sala da visita, l’infermiere non si limita ad assistere il

Riquadro 6: Fornire una raccomandazione efficace Per fornire una raccomandazione efficace, è necessario in primo luogo che tutti coloro che operano nella struttura concordino nel ritenere che lo scopo sia quello di avere degli animali il più possibile in salute e ben curati. Aree importanti dove è probabile la presenza di problemi sono la gestione del peso, le vaccinazioni di routine, le cure dentarie e la nutrizione ottimale. Ciò significa che devono venire sviluppati dei protocolli in modo che ognuno sia ben consapevole di questo problema e gli presti attenzione ogni volta che ha occasione di vederlo in un animale, che inoltre sia in grado di parlarne con i clienti e che i risultati di questi interventi possono essere misurati – in base al numero di animali da compagnia vaccinati sul totale di quelli registrati nel data base della struttura veterinaria, al numero di programmi di controllo del peso, e così via. Ad esempio, Benny, un bulldog, è stato portato ad una visita veterinaria a causa di una lieve congiuntivite. L’addetto alla reception ha controllato la sua cartella ed ha notato che Benny era in ritardo con le vaccinazioni. Inoltre lo ha pesato, rilevando che era sovrappeso. Entrambi questi fatti sono stati evidenziati nella sua scheda. Oltre alla diagnosi ed al trattamento della congiuntivite, il veterinario spiega la necessità delle vaccinazioni di richiamo – illustrando la gravità delle malattie dalle quali la vaccinazione protegge –, e chiede se può vaccinare Benny oggi. Inoltre, parla degli effetti dannosi del sovrappeso e suggerisce al proprietario un colloquio con l’infermiera Sue, che è specificamente preparata come consulente nutrizionale e può offrire la propria collaborazione per trattare il problema di peso di Benny. Dopo che il proprietario ha incontrato Sue ed è stato d’accordo sulle necessità di inserire Benny in un programma di dimagramento, l’addetto alla reception prenota per il cane una visita di controllo agli occhi dopo 10 giorni. Questa coinciderà con la prima sessione di ricontrollo del peso insieme a Sue. In questo modo, l’intero team della struttura collabora con il proprietario di Benny per migliorare la sua salute ed il suo benessere. Il risultato? Un cane più sano, un proprietario più soddisfatto, un team sanitario più gratificato – ed un miglior profitto per la struttura grazie ad un aumento delle vendite di servizi e beni.


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veterinario, ma ascolta anche con attenzione le raccomandazioni impartite al cliente, che potrà poi seguire con il followup. Se necessario, l’infermiere può anche parlare ulteriormente con il cliente a proposito di tali raccomandazioni e spiegare perché siano così importanti. Uno dei modi più semplici per trasmettere il messaggio dell’osservanza è quello di seguire in modo attivo i clienti una volta che abbiano lasciato la clinica. Quattro quinti dei proprietari di animali da compagnia sono disposti a discutere della salute del loro compagno con altri membri del team della struttura veterinaria, e non solo con i veterinari, per cui gli infermiere possono gestire un gran numero di chiamate telefoniche dei clienti. Queste possono consistere nel dare una risposta a domande relative a procedure recenti o guarigioni, riferire risultati di esami di laboratorio e controllare gli animali che hanno appena iniziato ad assumere nuove terapie. Benché dare dei consigli ai clienti sul modo di gestire gli animali perché questi accettino i farmaci o siano disposti a consumare le diete terapeutiche sia molto importante, il follow-up dei clienti va oltre la verifica del rispetto delle istruzioni; è una grande opportunità per rassicurare i clienti e congratularsi con loro per aver prestato delle cure così buone ai loro animali.

L’importanza della misurazione dell’osservanza Esiste un vecchio adagio che risulta particolarmente vero nel caso dell’osservanza: se non puoi misurarlo, non puoi gestirlo. I veterinari tendono costantemente a sottostimare i livelli di osservanza nelle loro strutture, in misura pari al 25%. Basarsi sull’ “intuito” per misurare l’osservanza non è più un metodo adeguato: sono necessari dati validi. Sviluppare dei sistemi che consentano di monitorare i dati relativi

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all’osservanza permette di dimostrare rapidamente i casi in cui sono necessari dei miglioramenti e gli interventi attivi producono in breve tempo dei risultati.

RIASSUNTO Il trattamento dell’osservanza da parte dei clienti è ancora una questione di scelta? La risposta è un sonante “No!”. I pazienti ricevono le cure migliori quando i proprietari osservano le raccomandazioni del veterinario. Dalla nutrizione appropriata alle vaccinazioni di base, alla profilassi dentale ed agli screening diagnostici per animali anziani, i clienti si basano su professionisti veterinari che dicano loro cosa, quando e come fare per il meglio per i loro compagni. In qualità di portavoce degli argomenti relativi alla salute ed al benessere degli animali, è nostra responsabilità fare tutto il possibile per consentire ai clienti di prendersi cura in modo appropriato dei loro animali. La ricerca dimostra che l’osservanza in molte aree chiave è ancora scarsa, ma ci sono buone notizie: le strutture che effettuano il monitoraggio dell’osservanza e mettono in atto nuove strategie ottengono un aumento dell’osservanza. Il segreto del successo è il lavoro di squadra. Quando ogni membro del team di cure sanitarie veterinarie svolge un ruolo per comunicare, rafforzare e seguire le raccomandazioni, sia l’osservanza che la qualità delle cure migliorano

Bibliografia The Path to High Quality Care: Practical tips for improving compliance (2003)American Animal Hospital Association, Colorado. Adherence to long-term therapies: Evidence for action (2003) World Health Organisation.


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Achieving excellence in client service Caroline Jevring-Bäck BVetMed, MRCVS, Stoccolma (S)

The importance of client service, that is serving the needs of clients, is appreciated by most professionals and most professional firms. Banks, legal firms, publishing houses, fast-food firms, travel agencies, hairdressers, hospitals, dental practices, and so on are examples of businesses that exist only to perform services to their customers or clients. Veterinary practice is also a professional service firm. Animal owners cannot easily judge the level of medical and surgical care you give, but they can and do judge the level of service they receive. As this may be, in the client’s eyes, the only major factor that distinguishes you and makes you unique from other practices, striving for excellence in client service is essential.

What is client service? Client service is the ability to meet client requirements. Client requirements are identified by being attentive to what clients say and do. Client service is not about following slick formulas such as ‘answer the phone within three rings,’ ‘a toothpaste smile for every client,’ and saying ‘Have a nice day’, but is a genuine commitment to caring for the client (in our case, the animal owner and their animal).

Valuing the client Client service can only begin when the practice accepts that it is a client-driven business; that clients, and their animals, are essential to its survival. Veterinarians, however, are often more interested in developing the intellectual and technical aspects of their craft than in being responsive to clients. All too often clients are regarded as rather annoying – and ignorant – interruptions to the day.

Achieving excellence in client service Excellent client service is measured in terms of client satisfaction. Satisfied clients are more likely to come back again and to recommend you to others. Client recommendations are very powerful; whereas satisfied clients will recommend you to four or five other people, dissatisfied clients tell nine to ten people. And for every dissatisfied client that does complain, twenty say nothing – they just don’t return. Regularly measuring levels of client satisfaction in your practice not only helps you fine tune your level of service but also helps your practice reduce those ‘silent’ losses, and maintain a more stable, satisfied client base. The following equation powerfully describes where satisfaction comes from: Satisfaction = Perception - Expectation

If the client perceives better than expected service then satisfaction is high; but if the service received did not meet expectations then satisfaction is low. Satisfaction also includes a perception of quality. The highly satisfied client will feel they have received a high quality service, whereas the dissatisfied client will be disappointed by the quality of service.

Understanding quality Quality is about caring. To do quality work, provide quality service, or produce a quality product requires caring, which comes from enthusiasm, engagement and personal motivation to do an even better job. It also requires meticulous follow-ups. Quality is complex as it is: • situational – different situations require different standards of quality; • relative - what one person perceives as quality may not be as important to another; • made of symbols such as the friendly smile, the spotless white coat, the pet sent home washed and dried after surgery; • and dynamic requiring constant reassessment and change: what was accepted as quality ten years ago may no longer be acceptable now.

How do clients define quality when purchasing veterinary services? Research in the USA has produced a widely accepted set of 10 client quality evaluation criteria. Although they are for non-professional services, they still help to highlight the importance of identifying quality criteria issues which are actually important to clients and that clients really do use which are often different from the criteria professionals such as veterinarians think are important to clients, and which they use to evaluate quality. ■ Reliability which involves being consistent, dependable and keeping promises. ■ Responsiveness meaning how quickly and willingly the service is provided. ■ Competence shown by the contact staff. ■ Accessibility in terms of both physical accessibility to the service provider, and the friendliness and ease of contact on a personal confrontation basis. ■ Courtesy including the consideration, politeness and friendliness of the contact staff. ■ Communication both through making contact with clients and taking time to explain things to them; and through being a good listener to their particular problems. ■ Credibility which involves honesty, integrity, trustworthiness and reputation.


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■ Security meaning freedom from risk, doubt and even danger. ■ Knowing/understanding the client: the level of effort made to fully satisfy the individual’s needs. ■ Tangibles: quality is also reflected in tangible elements such as the physical facilities and equipment, personal appearance and attitude of contact staff, and level of fee set.

And quality of healthcare? Quality of care is consistently delivering the standard of care that the patient needs and deserves. Quality healthcare is: • Doing the right thing (getting the healthcare services needed). • At the right time (when needed). • In the right way (using the appropriate tests or procedures). • To achieve the best possible results.

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CONCLUSION Achieving excellence in client service is like people’s desire to stop smoking, or to lose weight. They know and want the goal, they know how to do it, and they know it’s worth doing – but they don’t like putting up with the temporary discomfort to achieve a long-term goal. Client service is not a ‘frill’, nor is it merely problem-solving, so education and training of staff alone is not adequate. Providing quality healthcare involves commitment to consistently delivering the standard of care that the patient needs and deserves.

Adapted from: Achieving excellence in client service, Chapter 12 in Managing a Veterinary Practice, 2nd edition (2007), Caroline Jevring-Bäck with Erik Bäck, Elsevier, Oxford.


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Raggiungere l’eccellenza nel servizio al cliente Caroline Jevring-Bäck BvetMed, MRCVS, Stoccolma (S)

L’importanza del servizio al cliente, che consiste nel soddisfare le sue esigenze, viene riconosciuta dalla maggior parte dei professionisti e dalle aziende più professionali. Banche, studi legali case editrici, catene di fast-food, agenzie di viaggi, parrucchieri, ospedali, dentisti e così via sono esempi di attività imprenditoriali che esistono unicamente per fornire servizi ai loro clienti. Anche la professione veterinaria è un’attività di servizio. I proprietari degli animali non possono giudicare facilmente il livello delle cure mediche e chirurgiche che prestate, ma possono giudicare, ed in effetti giudicano, i livelli dei servizi che ricevono. Dato che questo può essere, agli occhi del cliente, l’unico fattore importante che vi distingue e vi rende unici rispetto alle altre strutture veterinarie, è essenziale cercare di raggiungere un livello di eccellenza in questo settore.

Cos’è il servizio al cliente? Il servizio al cliente è la capacità di soddisfare le sue necessità. Queste vengono identificate prestando attenzione a ciò che i clienti dicono e fanno. Non si tratta semplicemente di rispettare delle formule superficiali come “rispondere al telefono entro il terzo squillo”, “un sorriso da pubblicità per ogni cliente” e dire “buona giornata”, ma è un autentico impegno a prendersi cura del cliente (nel nostro caso, il proprietario ed il suo animale).

Valutazione del cliente Il servizio al cliente può iniziare soltanto quando la struttura veterinaria riconosce di essere un’attività imprenditoriale client-driven; cioè che i clienti ed i loro animali sono essenziali alla sua sopravvivenza. I veterinari, tuttavia, sono spesso più interessati a sviluppare gli aspetti intellettuali e tecnici della loro professione che a fornire risposte ai clienti. Troppo spesso questi ultimi vengono considerati come delle interruzioni piuttosto noiose – e ignoranti – nella propria giornata.

Raggiungere l’eccellenza nel servizio al cliente L’eccellenza nel servizio al cliente viene misurata in termini di soddisfazione dello stesso. I clienti soddisfatti hanno maggiori probabilità di ritornare e di raccomandarvi ad altri. Le loro raccomandazioni sono molto potenti: mentre i clienti soddisfatti vi consiglieranno a 4 o 5 altre persone, quelli insoddisfatti lo diranno a 9 o 10. E per ogni cliente insoddi-

sfatto che si lamenta, 20 non diranno nulla – semplicemente non torneranno. Misurare regolarmente i livelli di soddisfazione dei clienti all’interno della vostra struttura contribuisce non solo a mettere a punto con precisione il livello dei servizi che prestate, ma anche a ridurre queste perdite “silenziose” subite dalla vostra struttura ed a mantenere una base clienti più stabile e soddisfatta. La seguente equazione descrive vigorosamente da dove viene la soddisfazione: Soddisfazione = percezione – meno aspettativa Se un cliente ha una percezione dei servizi migliore dell’aspettativa, la soddisfazione è elevata; ma se il servizio ricevuto non soddisfa le aspettative, la soddisfazione è bassa. La soddisfazione comprende anche la percezione della qualità. Il cliente altamente soddisfatto avrà la sensazione di aver ricevuto un servizio di qualità elevata, mentre quello insoddisfatto sarà deluso dalla qualità del servizio.

Capire la qualità La qualità riguarda le cure prestate. Per fare un lavoro di qualità, fornire un servizio di qualità, o produrre un bene di qualità è necessaria la cura, che deriva dall’entusiasmo, dall’impegno e dalla motivazione personale a fare un lavoro sempre migliore. Inoltre, sono necessari meticolosi interventi di follow-up. La qualità è complessa perché è: • situazionale – differenti situazioni richiedono differenti standard di qualità • relativa – ciò che una persona differisce come qualità può non essere importante per un’altra • costituita da simboli – come il sorriso amichevole, il camice bianco immacolato, l’animale rimandato a casa lavato ed asciugato dopo l’intervento chirurgico • e dinamica perché richiede una costante rivalutazione e continue modificazioni: ciò che era considerato come qualità 10 anni fa potrebbe non essere più considerato accettabile oggi.

In che modo i clienti definiscono la qualità quando acquistano servizi veterinari? La ricerca condotta negli USA ha portato ad una serie, ampiamente accettata, di 10 criteri di valutazione della qualità da parte dei clienti. Benché siano stati messi a punto per


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servizi non professionali, contribuiscono comunque ad evidenziare l’importanza di identificare i problemi connessi ai criteri di qualità che sono davvero importanti per i clienti e che i clienti usano realmente e che, spesso, sono differenti dai criteri professionali come quelli che i veterinari pensano che siano importanti per i clienti e che essi utilizzano per valutare la qualità. • Affidabilità, che consiste nell’essere costanti e attendibili e nel mantenere le promesse • Reattività, che denota la rapidità e la disponibilità con cui viene fornito il servizio • Competenza, dimostrata dallo staff con cui il cliente viene in contatto • Accessibilità, in termini di accessibilità fisica a chi offre il servizio e di cordialità e facilità di contatto sulla base del confronto fra persone • Cortesia, che consiste in considerazione, educazione e cordialità mostrate dal personale dello staff con cui il cliente viene a contatto • Comunicazione, che riguarda il modo di prendere contatto con i clienti, la disponibilità di prendersi il tempo necessario per spiegare loro le cose e la capacità di essere un buon ascoltatore dei loro particolari problemi • Credibilità, che consiste in onestà, integrità, attendibilità e reputazione • Sicurezza, che significa assenza di rischi, dubbi o pericoli • Conoscenza/comprensione del cliente, che dipende dal livello di sforzo compiuto per soddisfare completamente le esigenze individuali • Fattori tangibili: la qualità si riflette anche in elementi tangibili, come le strutture fisiche e le apparecchiature, l’aspetto del personale e l’atteggiamento dello staff con cui il cliente viene in contatto, nonché il livello stabilito per gli onorari

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E la qualità delle cure sanitarie? La qualità della cura consiste nell’assicurare costantemente lo standard di trattamento di cui il paziente ha bisogno e che si merita. La qualità delle cure sanitarie consiste nel: • Fare la cosa giusta (offrire i servizi sanitari necessari) • Al momento giusto (quando è necessario) • Nel modo giusto (utilizzando i test e le procedure appropriati) • Per ottenere i migliori risultati possibili

Conclusione Raggiungere l’eccellenza nel servizio al cliente è come desiderare di smettere di fumare o dimagrire. Le persone sanno qual è la meta e vogliono raggiungerla, sanno come farlo, e sanno che vale la pena di farlo – ma non vogliono sopportare il temporaneo disagio necessario per ottenere un risultato a lungo termine. Il servizio al cliente non è un “fronzolo”, né consiste puramente nella risoluzione di determinati problemi, per cui l’aggiornamento e la formazione dello staff, da soli, non sono adeguati. Fornire cure sanitarie di qualità consiste nell’impegnarsi a offrire costantemente lo standard di cura di cui il paziente ha bisogno e che si merita.

Adattato da: Achieving excellence in client service, Chapter 12 in Managing a Veterinary Practice, 2nd edition (2007), Caroline Jevring-Bäck with Erik Bäck, Elsevier, Oxford CJ-B, March 2007


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Carcinosinum Marc Baer DVM, Dipl SVHA, Zurigo (CH)

1. THE CASES 1.1. Intense Itching in a cat - case taking in March 1995 Minka is a four year old spayed lady-cat. In January 1995 for the first time on the lateral side of the external throat a skin lesion of a diameter of about 1/3 inch appeared. In spite of a topical therapy with steroids and antibiotics the lesion enlarged through itching until March so badly, that the whole cat was more or less without any fur coat and covered with crusts and open eczema. Minka is very affectionate and tender. She can go out into the gardens, but she only goes outside when the owner goes with her. In her own house she is afraid of other cats and gives in, whenever a stranger cat comes for a visit. Outside, in the garden she suceeds in defending her realm, but as mentionned before only if she goes out together with her owner. She has no acquaintancies with other cats, her social interchange (purring, playing, hissing, body-contact) happens solely with the family of her owner, inclusive the family dog. She likes dogs in general and doesn’t run away when a dog comes towards her and she has never been attacked by a dog. Minka never gets angry, ecept when one takes her prey away, such as mice or dragon-flies. Minka’s appetite is changeable: in winter she usually eats more then in summer and since her eczema (allergy-atopic?) she began to constantly beg for food, but only eats a little bit at a time. Minka’s desire are twofold: chocolate and fish. She runs for these two items and eats them at once. She doesn’t particularly like meat, usually she plays with meat carrying it through the house without eating it. Other things she craves are butter, cream or vegetable cooking fats. Other noteworthy things: Since the eczema she doesn’t play anymore (before she was very playful), she is afraid of the hoover and loud steps. No other fears and no other symptoms could be evaluated.

1.2. Feline Asthma - case taking in February 2002 Mitzli is a ten year old spayed lady-cat. Since a while she coughs in irregular intervals, but since half a year it definitively got worse. Mitzli now is dyspnoeic and coughs more frequently. The current therapy involves antibiotics, steroids and a spray which contains a “homeopathic” complex. Except for the steroids the therapy has no effect and upon auscultation one can easily hear a intesified vesicular respi-

ratory nose and whistling (L > R). Upon slight touch on the larynx Mitzli begins coughing. The coughing is worst in the early morning, i.e. between 05.00 and 10.00 am. Mitzli leads a regular life: she gets her food between 06.00 and 06.30, then she goes outside for a short while and upon her return she gets some food again. She then sleeps until 10.30 and after that leaves the house again. 18.30 she has dinner and then has to stay indoors until the next morning. She likes this time-table and mews noticeably if the owner feeds Mitzli a bit later then 06.30. Except for fleas, a flea colar allergy and a gastro-intestinal disturbance Mitzli has never been physically sick. The first few years she lived together with her brother but he died four years ago (Mitzli coughed by that time already). When her brother was sick she didn’t care for him at all. Since he died she became a bit anxious. Her brother was domineering in every aspect and after he was gone she had problems for a few months in defending the garden against other cats. For a while she renounced going outside and was generally anxious. After a few months she took her walks up again and now defends the flat against other cats, but is not territorial at all in respect of the garden. Mitzli is afraid of cars, thunderstorm and the 1st of August. Otherwise she isn’t afraid of anything particular. There was another time when Mitzli was more fearful then usually. This was when the owners where reshaping their grounds. On the site where Mitzli sharpened her claws the owners positioned a barbecue. Mitzli wasn’t pleased with the new architecture at all and hardly left the house for several months. Since this time she urinates and defecates mostly inside. She urinates standing with the front limbs outside the litter box and positionning the urine stream vertically against the wall of the litter box. She scrapes afterwards outside the box. The defecation is normal like other cats. Mitzli loves the heat and sun. During the daytime she lies on the bed of the daughter and during the night time she lies with the owner, especially if she has a hot-water bottle. Another place she likes is the wardrobe. Mitzli likes company – more with women then men and loves being patted on the head, but not on the abdomen. She is tender but not overly affectionate. If the owner doesn’t feel well, be it physically or emotionally, Mitzli is very respective of her situation and tries not to annoy her. Mitzli can be combed, but not over the back and her left rear side. She cannot be caressed by strangers. Her rear legs are slightly x-shaped and she might have a slight hip joint disease on the left side (painful when stretching the left hip joint). Maybe that’s why she dislikes touch there.


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Mitzli eats while standing and the owner thinks she is stressed and hurried. She prefers tins to dry food and eats a little bit at a time. The only thing she steals is butter. She drinks little, but she would take milk if it was given to her. When purring she salivates a little bit, she is a quiet cat that rather lies alone than on people’s laps, but from time to time she positiones herself there for hours. During holidays she stays at home and when the owners return she is happy.

1.3. Atopy in a Dog - case taking in May 2002 Chiaro is a four year old unspayed Golden Retriever male. Since a year he suffers from atopy or food allergy, but a change in diet didn’t help much. Axillae, the inguinal region, the back and legs are itchy. He scratches and tears out all hair, even if one cannot observe any erythema or other alterations in the skin. Only after a while one observes the effects of scratching. During winter, when it becomes really cold the itching is better, but begins again in early spring. Chiaro is a very lively dog, livelier then the average Golden Retriever, and he could be characterized as impulsive. During the case taking he either wants to be patted or scratches. He is a delicate and dark dog and has remarkably many hair-whirls. Because of his gray mouth he seems older then he actually is. Chiaro is very affectionate and pushes constantly with his nose for hugs and kisses. The owners visited him before they could take him home and Chiaro was the liveliest and naughtiest of the puppies in the litter. He was the first to carry the food-bowl and other things around the house of the breeder. The owners chose him because he was so clever. Taking him home, the growth and teething were normal. Chiaro soon went into the water, he swims the whole year round and loves dirty pools. He had two episodes of diarrhoea, twice his anal sacs had to be emptied and several time the prepuce was cleaned. No other diseases. Chiaro either sleeps on the cool kitchen floor or in cool weather on a blanket in the kitchen. Mouth and eyes are closed during sleep. After exertion he salivates a little bit. The appetite is good, but he dislikes to always get the same food. He eats quickly, bowl and the surrounding floor are clean after eating, only after drinking some drops of water can be found. The whole family can takes his food away; thirst is normal. He likes to eat grass, but sometimes vomits it afterwards and eats it again. He eats vegetable flakes but dislikes raw carrots and salad. In winter he eats snow and then has to urinate for a long time. The digestion is normal and Chiaro scrapes strongly after defecation. Little flatulence can be observed and sometimes one can hear a rumbling in the abdomen. Chiaro likes visiting dogs, even male dogs. Very rarely he growled towards other dogs when they approached his bowl. He is a social, playful and tolerant dog. He began with urine marking with eight months of age. Today he is known as a sex maniac, even if his sexual deisre is not very marked the owners say. Only in the kennel this is above average. When the owners come back from a holiday Chiaro is very happy

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to see them. In the dog school he was very interested to play with other dogs and therfore difficult to teach. His vivaciousness which was already observed as a puppy is still a characteristic trait. He is afraid of scarecrows and because he had an electric shock also of cow-wires. Since a few months he is afraid of thunderstorm and fireworks. Chiaro can easily be left alone at home. On the walk he is a bit scared of bridges where he can see the ground beneath, but the absolute height is no problem, as in the mountains he can look vertically down for 1000 meters. But bridges of already 15 inches height scare him. He only gets angry when one tries to tease him for a long time. He loves all people and all visitors which he greets impulsively. Children can perform anything on him – he is very tolerant with them. He dislikes the heat and walks extremly slowly during hot summer days. He tries to avoid the sun and prefers the cold. Rain, change of weather and wind don’t matter and he lies down in the snow. The owners say again how nice Chiaro is. One can easily pat other dogs in his presence or give them something small to eat. Chiaro neither tries to come between these dogs and the owners nor growls or gets angry.

1.4. Conclusions • Upon repertorisation the differential diagnosis remedies are the big polychrests (Lyc, Phos etc.) • We have very few good symptoms that could be considered as a key note of Carc. • For the repertorisation we have to use newer repertories (e.g. Synthesis, Complete Repertory). The older repertories (Kent‘s revised Repertory, Boger-Boenniunghausen and others) are insufficient. In our cases repertorising with Kent’s revised repertory gives the following results: 1. case Carc in 6. position (or not at all) 2. case Carc in 37. position (or not at all) 3. case Carc in 26. position (or not at all)

2. MATERIA MEDICA OF CARCINOSINUM – A SIMPLE PREPARATION? The nosode that is taked about today and that is in wide use (Carcinosinum in the Repertory = Carc.) is usually a blend of different carcinomas, the exact composition differing considerabely from one manufacturer to the next. It was first used towards the end of the 19th century by William Boericke, J.H. Clarke and J.H. Compton Burnett. But only much later, in the 1950ies Dr. Foubister from the UK gave this remedy it’s actual importance. Foubister examined this remedy by clinical observations and not by a homeopathic proving. Hahnemann speaks in the footnote to § 56 about isopathy, differing from homeopathy as it tries to heal the same with the same. He doesn’t hold this way of treatment as a wise one, and we do have quite a number of documented cases, where the health state of patients with cancer that were treat-


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ed with Carc. deteriorated considerably. Therefore I want to state right at the beginning: Carc. should not be used in patients with manifestations of cancerous disease! This is different if we have family history of cancer. Here Carc. can be used such as any other remedy if the symptoms agree with the symptoms of the patient. Today Carc. can be named a polychrest, even if we don’t have a good proving, as the symptoms of this remedy have been verified clinically over many years and in many patients.

2.1. Important Traits Carcinosinum doesn’t have such a central idea as other remedies (Phosphorus, Lycopodium, Sulphur etc.). In spite of it, or because of this, it can be easily be confounded with many polychrests. A special trait of this remedy is it’s tendency for bipolar symptoms (Opium, Anacardium, Pulsatilla, Ignatia). This can be shown in the desire or aversion for certain types of food, amelioration or aggravation on the sea, children that have a quick development or such ones that are mentally slow, openness and falling in love quickly or very controlled emotions, irritability alternating with cheerfulness, music agg. or amel. Generals – alternating states Generals – Contradictory and alternating states Mind – Music – amel. / agg. Generals - Air - seaside; air at the - agg. / amel. Mind - Development of children arrested Generals - Development - arrested Face - Expression - old looking Male genitalia/sex – Masturbation; disposition to - children; in In Carcinosium patients the development of it’s own identity has been hindered. The patient’s creativity was suppressed early, which results in a kind and natural way of sacrifice in order to create harmony between individuals. The suppression in childhood is usually a soft one. It’s source can be the parents, the school or friends and results in suppression of emotions, dreams and the own individuality. This again is the reason why Carcinosinum is very much affected by reproaches and criticism and tries to avoid all conflicts. Mind – Ailments - domination - children; in - parental control; long history of excessive - harsh upbringing Mind – Ailments from - domination - children; in Mind – Ailments from - quarrelling Mind – Mildness Mind – Sympathetic Mind – Affectionate Mind – Anxiety – Mistakes; making Mind – Cares; full of – others; about Mind – Duty – too much sense of duty (aber auch: no sense of duty) Mind – Harmony – desire; for Mind – Offended; easily Mind - Responsibility - taking responsibility too seriously Mind – Selflessness

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2.2. Good Symptoms Carc.-patients are usually extroverted individuals. They are open, easily impressionable und very sensitive. They are very idealistic and want peace and harmony on earth. At the same time they can be passionate and have strong wishes. They can fall in love in a daily base and cry easily. It’s therefore a highly emotional remedy that makes one think on Phosphorus. The general anxiety of Carcinosinum, e.g. fear of darkness or high places, also reminds us of Phosphorus. Mind - Communicative Mind - Sensitive - sensual impressions, to Mind - Affectionate Mind - Harmony - desire for Mind - Fear - dark, of Mind - Fear - high places, of Other symptoms are absolutely untypical of Phosphorus though and show us, that this remedy can easily be confounded with other polychrests as well. Because of the pressure of parents Carc. wants to be better and perfect in everything (Ars., Puls.). Carc. is the remedy with the biggest sense of duty of the whole materia medica. They are burdened with more responsability than they can carry and therefore cannot achieve their personal goals. This perfectionism can be really fastidious: “cannot rest until things are on proper place”. In spite of their emotional side they neglect their feelings, which begins, through the pressure of the partents, already in early childhood. The development of the individuality is inadequate, no wonder that consolation aggravates (Nat-m., Sep.). Also the silent grief fits to this and shows how difficult the differential diagnosis to other polychrests can be. Mind - Fastidious Mind - Duty - too much sense of duty Mind - Grief - silent Mind - Consolation - agg. A result of this is restlessness, dissatisfaction and a desire to travel (Tub., Calc-p.). Two other important symptoms are dancing amel. and cheerfulness during thunderstorm (Sep.). Mind - Travelling - desire for Mind - Dancing - amel. mental symptoms Mind - Cheerful - thunders and lightens; when it There aren’t many good somatic symptoms of Carcinosinum. It is a warmblooded remedy and in general tries to avoid the sun (the Natrium’s). In food the desire for fatty food and for sweets, especially chocolate (white chocolate) are important. The sleeping position can be genupectoral (Med.), abdominal (all nosodes) or on the right side (Phos., Lyc.). Kids show sleeplessness and have to be rocked into sleep. Important is the amelioration after a short sleep, putting the thumb into the mouth and nailbiting. In animals these symptoms have to be adapted: e.g. cats that make excessive milking movements on the owner’s lap.


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Generals - Sun - exposure to the sun Generals - Food and Drinks - fat - desire Generals - Food and Drinks - sweets - desire Generals - Food and Drinks - chocolate - desire Sleep - Position - genupectoral Sleep - Position - side; on - right side; on Sleep - Sleeplessness - children, in Sleep - Sleeplessness - children, in - rocked, child must be Generals - Sleep - short sleep amel. Mind - Biting – nails

2.3. Good signs Good signs are twitching and fads such as frequent winking with the eyes. Blue scleras and hordeola are also good signs in the region of the eyes. The most important and most known sign are “café-au-lait” spots on the skin. The complexion in humans is brownish. This is also the symptom that Foubister initially observed in Carcinosinum patients. Mind - Gestures, makes - tics; nervous Eye - Winking Eye - Discoloration - blue - Sclera or conjunctiva Eye - Discoloration - blue - Sclera or conjunctiva - children Generals - Complexion - brown hair Generals - Complexion - dark Skin - Discoloration - brown - spots Skin - Discoloration - brown - spots - coffee with milk

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3. MATERIA MEDICA IN ANIMALS • Responsible and emotionally controlled animals • Dislike for new things and change – they love everyday life and a regular timetable • Fear of trifles that are unusual (scarecrows) • Darker complexion then the average animal of the same breed • Fear of thunderstorm and fireworks • affectionate and tender • Prefer tins to dry food • Often dangerous or grave pathologies • Frequently an allergic disposition • Dogs that obeye too easily • Cats that do not defend their territory

4. REFERENCES Baer, M.; Arzneimittellehre in der Tierhomöopathie II, Aude Sapere, Karlsbad, 2006. Fischer, H.-R.; Carcinosinum; Skript der Zürcher Vorlesung, 2000. Schroyens, F.; Synthesis; Archibel, 2001. Seyfried, A.; Carcinosinum; Homöopathie für Tierärzte; Aude Sapere, Karlsbad, 2003. Sherr, J.Y.; Some Ideas on Carcinosin: Suppression of Individuality; The New England Journal of Homeopathy - Volume 5, Number 4, Fall 1996. Smits, T.; Cancer, a deeper understanding; Homeopathic Links, 1, 1998.


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Carcinosinum Marc Baer DVM, Dipl SVHA, Zurigo (CH)

1. CASI CLINICI 1.1 Prurito intenso in un gatto – raccolta del caso Marzo 1995 Minka è una gatta ovariectomizzata di 4 anni. Nel gennaio 1995, per la prima volta, è comparsa sulla parte laterale dell’esterno della gola una lesione cutanea del diametro di circa 0,8 cm. Nonostante una terapia topica con steroidi ed antibiotici, la lesione si è ingrossata continuando con il prurito fino a marzo, in un modo così grave, che tutta la gatta era più o meno priva di mantello e coperta di croste e di un eczema esposto. Minka è molto affettuosa e tenera. Può uscire in giardino, ma va fuori soltanto quando il proprietario esce con lei. Nella sua stessa casa, ha paura degli altri gatti e si arrende ogni volta che un gatto estraneo viene in visita. All’esterno, in giardino, difende con successo il proprio regno, ma, come è già stato ricordato prima, esce soltanto insieme alla proprietaria. Non ha alcun rapporto con altri gatti, il suo interscambio sociale (fusa, gioco, soffiare, contatto corporeo) avviene unicamente con la famiglia della proprietaria, compreso il cane di casa. Ama i cani in generale e non scappa via quando uno di loro viene verso di lei, né è mai stata attaccata da uno di essi. Minka non si arrabbia mai, tranne che quando le si porta via una preda, come un topo o una libellula. L’appetito di Minka è mutevole: in inverno di solito mangia più che in estate e dopo la comparsa del suo eczema (allergia-atopia?) ha iniziato ad accattonare costantemente il cibo, ma mangia solo poco alla volta. Il desiderio di Minka è rivolto principalmente a due alimenti: cioccolato e pesce. Corre per questi due cibi e li mangia all’istante. Non ama particolarmente la carne, con la quale di solito gioca portandola in giro per la casa senza mangiarla. Inoltre, manifesta un forte desiderio per il burro, la panna o i grassi vegetali da cottura. Altre cose notevoli: a partire dalla comparsa dell’eczema non gioca più (prima era molto giocherellona), ha paura dell’aspirapolvere e dei passi rumorosi. Non è stato possibile valutare altri timori o altri sintomi.

1.2 Asma felina – raccolta del caso Febbraio 2002 Mitzli è una gatta ovariectomizzata di 10 anni. Da un po’ tossisce ad intervalli irregolari, ma da sei mesi è definitivamente peggiorata. Ora è dispnoica e tossisce più frequentemente. La terapia in atto è costituita da antibiotici, steroidi

ed uno spray contenente un complesso “omeopatico”. Fatta eccezione per gli steroidi, la terapia non ha alcun effetto ed all’auscultazione del respiro è possibile udire facilmente un’intensificazione del murmure vescicolare e sibili (a sinistra più che a destra). In risposta ad un tocco lieve sulla laringe Mitzli inizia a tossire. La tosse è peggiore al mattino presto, fra le 05.00 e le 10.00. Mitzli conduce una vita regolare. Riceve il cibo fra le 06.00 e le 06.30, poi esce per un breve periodo di tempo ed al suo ritorno riceve altro cibo. Poi va a dormire fino alle 10.30, dopo di che lascia nuovamente la casa. Alle 18.30 riceve la cena e poi rimane in casa fino al mattino successivo. Ama questa tabella di marcia e miagola in modo evidente se il proprietario le offre il cibo un po’ più tardi delle 06.30. Tranne che per un’infestazione da pulci, un’allergia al collare antipulci ed un disturbo gastroenterico, Mitzli non è mai stata fisicamente malata. Nei primissimi anni ha vissuto insieme a suo fratello, ma questi è morto 4 anni fa (Mitzli a quel tempo tossiva già). Quando suo fratello era malato, lei non se ne curava affatto. Da quando è morto, è diventata un po’ ansiosa. Suo fratello era dominante in tutti gli aspetti e dopo la sua scomparsa lei ha avuto dei problemi per qualche mese a difendere il giardino dagli altri gatti. Per un po’ ha rinunciato ad uscire all’esterno ed è stata generalmente ansiosa. Dopo alcuni mesi, ha ripreso le sue passeggiate ed ora difende la casa dagli altri gatti, ma non è affatto territoriale per quanto riguarda il giardino. Mitzli ha paura delle auto, dei tuoni e del primo di agosto (festa nazionale svizzera, N.d.T.). Per il resto, non ha alcun timore particolare. C’è stato un altro momento in cui la gatta era più paurosa del solito. È stato quando i proprietari stavano rinnovando il giardino. Nel punto in cui Mitzli era solita affilarsi le unghie, è stato posto un barbecue. Mitzli non ha apprezzato affatto la nuova architettura ad ha lasciato a malapena la casa per parecchi mesi. Da quel periodo, urina e defeca principalmente all’interno. Durante la minzione rimane in stazione con gli arti anteriori fuori dalla cassetta delle deiezioni e dirigendo il getto di urina verticalmente contro la parete della cassetta stessa. Poi raschia il suolo fuori dalla cassetta. La defecazione è normale come negli altri gatti. Mitzli ama il calore ed il sole. Durante la giornata, rimane coricata sul letto della figlia e durante le ore notturne si corica con la proprietaria, in particolare se questa ha una borsa dell’acqua calda. Un altro posto che le piace è il guardaroba. Mitzli ama la compagnia – più delle donne che degli uomini –, ed apprezza le carezze sulla testa, ma non sull’addome. È sensibile, ma non palesemente affettuosa.


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Se la proprietaria non si sente bene, sia fisicamente che emotivamente, Mitzli si dimostra molto rispettosa della sua situazione e cerca di non infastidirla. Si lascia pettinare, ma non sul dorso e sulla parte posteriore del fianco sinistro. Non si lascia accarezzare dagli estranei. I suoi arti posteriori sono leggermente a forma di x e può darsi che sia colpita da una lieve artropatia dell’anca sul lato sinistro (presenza di dolore allo stiramento dell’articolazione coxofemorale sinistra). Forse è questo il motivo per cui non ama essere toccata in questa zona. Mitzli mangia rimanendo in stazione e il proprietario pensa che sia stressata e abbia fretta. Preferisce gli alimenti umidi a quelli secchi e mangia un po’ alla volta. L’unica cosa che ruba è il burro. Beve poco, ma accetterebbe il latte se le venisse offerto. Quando fa le fusa saliva un po’, è una gatta tranquilla che si sdraia da sola piuttosto che sulle ginocchia della gente, ma di tanto in tanto vi rimane per ore. Durante le vacanze resta a casa e quando i proprietari ritornano è felice.

1.3 Atopia in un cane – raccolta del caso Maggio 2002 Chiaro è un Golden retriever maschio non sterilizzato di 4 anni. Da un anno soffre di atopia o allergia alimentare, ma una modificazione della dieta non è servita a molto. Le ascelle, la regione inguinale, il dorso e gli arti presentano prurito. Si gratta e si strappa via tutti peli, anche se non si riesce ad osservare alcuna traccia di eritema o di altre alterazioni sulla cute. Solo dopo un po’ si osservano gli effetti del grattamento. Durante l’inverno, quando fa davvero freddo, il prurito migliora, ma ricomincia all’inizio della primavera. Chiaro è un cane molto vivace, più della media dei Golden retriever, e potrebbe essere definito impulsivo. Durante la raccolta del caso, ha voluto essere carezzato o grattato. È un cane delicato e scuro e presenta un numero notevolmente elevato di rosette nel mantello. A causa della bocca grigia, sembra più vecchio di quanto non sia in realtà. Chiaro è molto affettuoso e spinge costantemente con il naso per chiedere le coccole. I proprietari lo hanno visitato prima di poterlo portare a casa e Chiaro era il più vivace e il più birbante dei componenti della cucciolata. È stato il primo a portare la ciotola del cibo ed altre cose in giro per la casa dell’allevatore. I proprietari lo hanno scelto proprio perché era così furbo. Portandolo a casa, la crescita e lo sviluppo della dentizione sono stati normali. Chiaro ben presto è entrato in acqua, nuota tutto l’anno ed ama le pozze sporche. Ha avuto due episodi di diarrea, è stato necessario sottoporlo due volte allo svuotamento dei sacchi anali e più volte alla pulizia del prepuzio. Non sono segnalate altre malattie. Chiaro dorme sul pavimento freddo della cucina o negli ambienti freddi oppure su una coperta in cucina. Durante il sonno, la bocca e gli occhi sono chiusi. Dopo l’esercizio, saliva un po’. L’appetito è buono, ma non ama ricevere sempre lo stesso cibo. Mangia rapidamente, dopo il pasto la ciotola ed il pavimento sottostante sono puliti, solo quando beve è possibile trovare alcune gocce di acqua. Tutta la famiglia può

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portargli via il cibo; la sete è normale. Gli piace mangiare l’erba, ma talvolta la vomita e poi la ingerisce di nuovo. Mangia fiocchi vegetali, ma non apprezza l’insalata e le carote crude. In inverno mangia la neve e poi deve urinare per lungo tempo. La digestione è normale; Chiaro gratta energicamente il terreno dopo la defecazione. È possibile osservare un po’ di flatulenza e talvolta si può udire un brontolio in addome. Chiaro ama le visite dei cani, anche maschi. Molto raramente ha ringhiato ad altri animali della sua specie quando si avvicinavano alla sua ciotola. È un cane sociale, giocherellone e tollerante. Ha iniziato ad effettuare la marcatura con urina a partire dagli 8 mesi di vita. Oggi è noto come un maniaco sessuale, anche se a detta dei proprietari il suo desiderio in questo senso non è molto marcato. Solo nel canile risulta superiore alla media. Quando i proprietari ritornano da una vacanza Chiaro è molto felice di vederli. Nella scuola per cani era molto interessato a giocare con altri animali della sua specie e quindi era difficile insegnargli qualcosa. La sua vivacità, che era già stata osservata da cucciolo, era ancora un tratto caratteristico. Ha paura degli spaventapasseri e, poiché ha ricevuto una scossa elettrica, anche dei recinti elettrificati. Da qualche mese ha paura dei temporali e dei fuochi artificiali. Chiaro può facilmente essere lasciato da solo a casa. A passeggio è un po’ spaventato dai ponti dai quali può vedere il suolo sottostante, ma l’altezza in sé non è un problema, dato che in montagna riesce a guardare in basso da un’altezza di 1000 metri. Tuttavia, ponti alti appena una quarantina di centimetri cm lo spaventano. Si arrabbia soltanto quando si cerca di stuzzicarlo a lungo. Ama tutte le persone e tutti i visitatori, che accoglie impulsivamente. I bambini possono fargli qualunque cosa – è molto tollerante con loro. Non ama il calore e cammina con estrema lentezza durante i caldi giorni estivi. Cerca di evitare il sole e preferisce il freddo. Pioggia, cambiamenti di clima e vento lo lasciano indifferente e si corica nella neve. I proprietari ripetono ancora una volta quanto Chiaro sia buono. Si possono facilmente accarezzare altri cani in sua presenza o dare loro qualche cosa da mangiare. Chiaro non cerca di intromettersi fra questi animali ed i proprietari, né ringhia e si mostra arrabbiato.

1.4 Conclusioni • In base alla repertorizzazione del la diagnosi differenziale, i rimedi sono i grandi policresti (Lyc, Phos, ecc…) • Abbiamo pochissimi sintomi buoni che possono essere considerati come una nota chiave di Carc. • Per la repertorizzazione dobbiamo utilizzare i repertori più recenti (ad es., Synthesis, Complete Repertory). Quelli più vecchi (Kent’s revised Repertory, Boger-Boenniunghausen ed altri) sono insufficienti. Nei nostri casi, la repertorizzazione con il repertorio rivisto di Kent fornisce i seguenti risultati: 1. caso Carc in posizione 6 (o no affatto) 2. caso Carc in posizione 37 (o no affatto) 3. caso Carc in posizione 26 (o no affatto)


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2. MATERIA MEDICA DI CARCINOSINUM – UNA PREPARAZIONE SEMPLICE? Il nosode di cui si fa uso oggi e che è ampiamente utilizzato (Carcinosinum nel repertorio = Carc.) è di solito una miscela di differenti carcinomi, la cui esatta composizione differisce considerevolmente da un produttore all’altro. È stato utilizzato per la prima volta verso la fine del XIX secolo da William Boericke, J.H. Clarke e J.H. Compton Burnett. Tuttavia, solo molto più tardi, negli anni ’50 del XX secolo, il Dr. Foubister del Regno Unito diede a questo rimedio la sua attuale importanza. Foubister esaminò questo rimedio in base alle osservazioni cliniche e non attraverso una prova omeopatica. Hahnemann parla alla nota a piè di pagina al § 56 dell’isopatia, che differisce dall’omeopatia in quanto cerca di guarire l’uguale con l’uguale. Egli non ritiene saggia questa via di trattamento e noi abbiamo un notevole numero di casi documentati in cui lo stato di salute dei pazienti con neoplasia che sono stati trattati con Carc è deteriorato considerevolmente. Di conseguenza, voglio affermare in modo chiaro sin dall’inizio: Carc non deve essere utilizzato in pazienti con manifestazioni di malattia neoplastica! La situazione è differente se abbiamo un’anamnesi familiare di cancro. In questo caso, Carc può essere utilizzato come qualsiasi altro rimedio se i sintomi concordano con quelli del paziente. Oggi, Carc può essere chiamato un policresto, anche se non abbiamo un valido proving, dato che i sintomi di questo rimedio sono stati verificati clinicamente nell’arco di molti anni ed in molti pazienti.

2.1 Tratti importanti Carcinosinum non ha un’idea centrale come quella di altri rimedi (Phosphorus, Lycopodium, Sulphur, ecc…). Nonostante ciò, o a causa di ciò, può venire facilmente confuso con molti policresti. Un carattere speciale di questo rimedio è la sua tendenza ai sintomi bipolari (Opium, Anacardium, Pulsatilla, Ignatia). Ciò si può dimostrare nel desiderio o avversione per certi tipi di cibo, nel miglioramento o nell’aggravamento sul mare, in bambini che hanno un rapido sviluppo o quelli che sono mentalmente lenti, franchezza e tendenza ad innamorarsi rapidamente a fronte di emozioni molto controllate, irritabilità che si alterna ad allegria, aggravamenti o miglioramenti con la musica, … Generali – stati alternanti Generali – stati contraddittori ed alternanti Mente – musica – miglioramento/aggravamento Generali – aria – lungomare; aria al – aggravamento/ miglioramento Mente – sviluppo dei bambini arrestato Generali – sviluppo – arrestato Faccia – espressione – aspetto vecchio Genitali maschili/sesso – masturbazione; disposizione alla – bambini; nei Nei pazienti Carcinosinum, lo sviluppo della propria identità è stato ostacolato. La creatività del paziente è stata soppressa precocemente, il che porta ad una via di sacrificio

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gentile e naturale per portare l’armonia fra gli individui. La soppressione nell’infanzia è di solito di tipo moderato. Può avere origine dai genitori, dalla scuola o dagli amici, ed esita nella soppressione delle emozioni, dei sogni e della propria individualità. Questa è anche la ragione per cui il Carcinosinum è influenzato moltissimo da rimproveri e critiche e cerca di evitare tutti i conflitti. Mente – Disturbi – dominazione – bambini; nei – controllo parentale; lunga anamnesi di eccessivo – educazione severa Mente – Disturbi da – dominazione – bambini; nei Mente – Disturbi da – litigi Mente – Mitezza Mente – Simpatia Mente – Affettuosità Mente – Ansia – errori; commettere Mente – Cure; pieno di – Altri; verso gli Mente – Dovere – eccessivo senso del dovere (inoltre: nessuno senso del dovere) Mente – Armonia – desiderio; di Mente – Offendersi; facilmente Mente – Responsabilità – assumere le responsabilità troppo seriamente Mente – Altruismo

2.2 Sintomi buoni I pazienti Carc sono di solito individui estroversi. Sono aperti, facilmente impressionabili e molto sensibili. Sono fortemente idealistici e desiderano la pace e l’armonia sulla terra. Allo stesso tempo, possono essere appassionati ed avere desideri forti. Possono innamorarsi ogni giorno e piangere con facilità. È quindi un rimedio altamente emozionale che spinge a pensare a Phosphorus. Anche l’ansia generale del Carcinosinum, ad es., la paura del buio o dei luoghi elevati, ci ricorda il Phosphorus. Mente – Comunicativo Mente – Sensibile – impressioni sensuali, a Mente – Affettuoso Mente – Armonia – desiderio di Mente – Paura – buio, del Mente – Paura – luoghi elevati, dei Altri sintomi sono però assolutamente atipici di phosphorus, e ci dimostrano che questo rimedio può essere facilmente confuso anche con altri policresti. A causa della pressione esercitata dai genitori, il Carc desidera essere migliore e perfetto in qualunque cosa (Ars, Puls.). Carc è il rimedio con il massimo senso del dovere dell’intera materia medica. Sono caricati da più responsabilità di quante possano sopportare e quindi non riescono a raggiungere le proprie mete personali. Questo perfezionismo può essere fastidioso: “non può riposare finché tutto non è al proprio posto”. Nonostante il proprio aspetto emozionale, trascurano i propri sentimenti, che iniziano, nonostante la pressione dei genitori, già nell’infanzia precoce. Lo sviluppo dell’individualità è inadeguato, per cui non ci si deve meravigliare del fatto che la consolazione peggiori (Nat-m., Sep.). Anche il soffrire in


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silenzio si adatta a questi soggetti e dimostra quanto possa essere difficile la diagnosi differenziale con altri policresti Mente – Meticoloso Mente – Dovere – troppo senso del dovere Mente – Soffrire – in silenzio Mente – Consolazione – aggravamento Sono conseguenze di ciò l’irrequietezza, l’insoddisfazione e il desiderio di viaggiare (Tub, Calc-p.). Altri due sintomi importanti sono il miglioramento con il ballo e l’allegria durante i temporali (Sep.) Mente – Viaggiare – desiderio di Mente – Ballare – miglioramento sintomi mentali Mente – Allegria – tuoni e lampi; quando ci sono Non ci sono molti buoni sintomi somatici del Carcinosinum. È un rimedio a sangue caldo e in generale cerca di evitare il sole (il Natrium). Nel cibo, sono importanti il desiderio di alimenti grassi e quello di dolci, in particolare cioccolato (cioccolato bianco). La posizione del sonno può essere genupettorale (Med.), addominale (tutti i nosodi) o sul lato destro (Phos., Lyc.). I bambini mostrano insonniae devono essere cullati per farli addormentare. Sono importanti il miglioramento dopo un sonno breve, la suzione del pollice e il mangiarsi le unghie. Negli animali questi sintomi devono essere adattati; ad es., gatti che effettuano eccessivi movimenti di massaggio con le zampe anteriori sulle ginocchia del proprietario. Generali – Sole – esposizione al sole Generali – Cibo e Bevande – grasso – desiderio Generali – Cibo e Bevande – dolci – desiderio Generali – Cibo e Bevande – cioccolato – desiderio Sonno – Posizione – genupettorale Sonno – Posizione – fianco; sul – lato destro; sul Sonno – Insonnia – bambini, nei Sonno – Insonnia – bambini, nei – cullati, i bambini devono essere Generali – Sonno – miglioramento con un sonno breve Mente – Mangiarsi – le unghie

2.3 Segni buoni I segni buoni sono rappresentati da tic e manie, come il frequente ammiccamento degli occhi. Anche le sclere blu e

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gli orzaioli sono segni buoni nella regione oculare. La manifestazione più importante e più conosciuta è rappresentata dalle macchie “di caffelatte” sulla cute. Il complesso nell’uomo è brunastro. Questo è anche il sintomo che Foubister osservò inizialmente nei pazienti Carcinosinum. Mente – Gesti, fare – tic; nervoso Occhio – Ammiccamento Occhio – Alterazione di colore – blu – Sclera o congiuntiva Occhio – Alterazione di colore – blu – Sclera o congiuntiva – bambini Generali – Complessione – pelo bruno Generali – Complessione – scuro Cute – Alterazione di colore – bruna – macchie Cute – Alterazione di colore – bruna – macchie – a caffelatte

3. Materia medica negli animali • Animali responsabili ed emotivamente controllati • Non amano le novità ed i cambiamenti – apprezzano la vita quotidiana e gli orari regolari • Paura di inezie inusuali (spaventapasseri) • Complessione più scura della media degli animali della stessa razza • Paura di temporali e fuochi artificiali • Affettuosi e sensibili • Preferiscono gli alimenti umidi a quelli secchi • Spesso patologie pericolose o gravi • È frequente una predisposizione allergica • Cani che obbediscono troppo facilmente • Gatti che non difendono il territorio

4. Bibliografia Baer, M.; Arzneimittellehre in der Tierhomöopathie II, Aude Sapere, Karlsbad, 2006. Fischer, H.-R.; Carcinosinum; Skript der Zürcher Vorlesung, 2000. Schroyens, F.; Synthesis; Archibel, 2001. Seyfried, A.; Carcinosinum; Homöopathie für Tierärzte; Aude Sapere, Karlsbad, 2003. Sherr, J.Y.; Some Ideas on Carcinosin: Suppression of Individuality; The New England Journal of Homeopathy - Volume 5, Number 4, Fall 1996. Smits, T.; Cancer, a deeper understanding; Homeopathic Links, 1, 1998.


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Hierarchisation, repertorisation and their limitations the theory Marc Baer DVM, Dipl SVHA, Zurigo (CH)

PECULIAR SYMPTOMS Paragraphs to read: • • • •

Organon §§ 153, 154, 209 Organon § 153 Organon § 154 Organon § 209

1.1 Hahnemann’s Classification (§ 153) Striking Symptoms = attracts attention (mentionned spontaneously) Singular Symptoms = rare symptoms Uncommon Symptoms = not pathognomonic Peculiar Symptoms = inner nature of the patient Characteristic Symptoms = key note

1.2 Classification by Kent 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13.

per se by modalities by localisation peculiar feeling extension development expected symp-toms are missing combination of contrary symp. concomitants periodicity alternating conditions sequence of symptoms vicarisation

1.3 Remarks to the Classification Hahnemann‘s classification has only few categories. It is sometimes difficult to assess wether a symptom is peculiar or not and there is little space for other important symptoms (e.g. food-symptoms). If one tries to work with a good toolbox, then Hahnemanns classification has drawbacks: it’s not as clear a scheme as Kent’s classification. Kent‘s classification is therefore aproved as the most useful one by most homeopaths. The drawback of Kent’s classification is the advantage of the one by Hahnemann: individual freedom to choose from.

BUT MOST IMPORTANT TO REMEMBER: ALL CLASSIFICATIONS ARE SCHEMATIC AND MOSTLY A LEARNING TOOL.

MIND SYMPTOMS Paragraphs to read: • • • •

Organon § 210 Organon § 210, Annotation Organon §§ 211 / 212 / 213 Organon § 217

1.4 Classification by Künzli Alteration of the Will-Power (species- and selfpreservation) Alteration of the Common Sense inappropriate reactions Alteration in Temper Alteration of the Intellect Nature of the Individual1

1.5 Classification According to Reliability Symptoms that the veterinarian observes Clearly describable fears Other objective psychic symptoms

GENERAL SYMPTOMS 1.6 Classification of the General Symptoms Symptoms that affect the whole animal Appetite, Feeding Behaviour, Aversions, Desires, Aggravations Secretions, Excretions, Blood, Prespiration, Odour Sexuality Sleep, Dreams Sensorial Perceptions

Causae Causae: Only clear ones; Predispositions = General (or even peculiar) Symptoms


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LOCAL SYMPTOMS pathological-anatomical symptoms diagnostic symptoms explainable symptoms with no further specification

Repertorisation: The Limitations • Wrong choice of symptoms (Hierarchisation) • Not enough good symptoms (bad case taking!) • Wrong repertory (some cases cannot be solved with all existing repertories) • Too few symptoms • Too many symptoms • Use of inadequate rubrics • Incorrect meaning of rubrics (incorrect “translation” from the animal world into the language of the repertory) • Too large rubrics • Too small rubrics

Repertorisation: The Pros • The Repertory is a better memory then our mind • We know too little Materia Medica to consider working without a repertory • It tends to give a more objective view then our knowledge

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TOTALITY OF THE SYMPTOMS • What is the totality of symptoms? • Can we always work with the totality of the symptoms? • Does the totality of symptoms lead to a simile? to the constitutional remedy? into a cul-de-sac? • When can we use the totality of symptoms? • When do we have to choose another approach?

Literature Geissler, H., Hierarchisation, Dt. J. Hom., 14, 4, (1995), 259 - 265. Hahnemann, S., Organon letzte und 6. Auflage, O. Verlag, Berg am Starnberger See, 1985. Kent, J. T.,Zur Theorie der Homöopathie,3. Aufl.,Verlag Grundlagen und Praxis, Leer, 1985. Kent, J.T., The Homoeopathician, 8, 1912. Zit.: Dt. J. Hom., 4, 1984 Künzli, J., Theorie der Homöopathie, unveröffentlichtes Typoskript, St. Gallen, 1988. Schroyens, F., Synthesis, Homoeopathic Book Publishers, London, 1993. Wright-Hubbard, E., Kurzlehrgang der Homöopathie, O. Verlag, Berg am Starnb. See, 1983.

Dr. Marc Baer, Zurich 1

The last class is not by Künzli, but by the author


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La gerarchizzazione dei sintomi Marc Baer DVM, Dipl SVHA, Zurigo (CH)

1. SINTOMI PECULIARI Paragrafi da leggere: • Organon §§ 153, 154, 209 • Organon § 153 • Organon § 154 • Organon § 209

gio della classificazione di Kent è il vantaggio di quella di Hahnemann: libertà individuale di scegliere. TUTTAVIA, LA COSA PIÙ IMPORTANTE DA RICORDARE È CHE TUTTE LE CLASSIFICAZIONI SONO SCHEMATICHE E COSTITUISCONO PRINCIPALMENTE UNO STRUMENTO DI APPRENDIMENTO

2. SINTOMI MENTALI 1.1 Classificazione di Hahemann (§ 153) Sintomi che fanno colpo = attirano l’attenzione (citati spontaneamente) Sintomi singolari = sintomi rari Sintomi non comuni = non patognomonici Sintomi peculiari = natura interna del paziente Sintomi caratteristici = nota chiave

Paragrafi da leggere: • Organon § 210 • Organon § 210, Annotazione • Organon §§ 211/212/213 • Organon § 217

2.1 Classificazione di Künzli 1.2 Classificazione di Kent 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13.

per sé per modalità per localizzazione sensazioni peculiari estensioni sviluppo sintomi attesi mancanti combinazione di sintomi contrari concomitanti periodicità condizioni alternanti sequenza di sintomi vicarizzazione

Alterazione del Potere della Volontà (specie- e autopreservazione) Alterazione del Senso Comune reazioni inappropriate Alterazione dell’Umore Alterazione dell’Intelletto Natura dell’individuo1

2.2 Classificazione in funzione della affidabilità Sintomi che il veterinario osserva Timori chiaramente descrivibili Altri sintomi psichici obiettivi

3. SINTOMI GENERALI 1.3 Note alla classificazione 3.1 Classificazione dei sintomi generali La classificazione di Hahnemann riconosce soltanto poche categorie. È talvolta difficile stabilire se un sintomo sia peculiare oppure no e vi è scarso spazio per altri sintomi importanti (ad es., quelli legati al cibo). Se si cerca di lavorare con una serie di strumenti validi, la classificazione di Hahnemann ha degli svantaggi: non è uno schema chiaro come quella di Kent. Quest’ultima è quindi approvata come la più utile dalla maggior parte degli omeopati. Lo svantag-

Sintomi che colpiscono l’intero animale Appetito, Comportamento Alimentare, Avversione, Desideri, Aggravanti Secrezioni, Escrezioni, Sangue, Perspirazione, Odore Sessualità Sonno, Sogni Percezioni sensoriali


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4. CAUSE

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• Tende a fornire un punto di vista più obiettivo della nostra conoscenza

Cause: solo quelle chiare; Predisposizioni = Sintomi generali (o persino peculiari)

8. TOTALITÀ DEI SINTOMI 5. SINTOMI LOCALI sintomi patologici-anatomici sintomi diagnostici sintomi spiegabili senza ulteriore specificazione

• Cos’è la totalità dei sintomi? • Possiamo sempre lavorare con la totalità dei sintomi? • La totalità dei sintomi porta a un simile?Al rimedio costituzionale? Ad un cul-de-sac? • Quando possiamo utilizzare la totalità dei sintomi? • Quando dobbiamo scegliere un altro approccio?

6. REPERTORIZZAZIONE: LE LIMITAZIONI • Scelta sbagliata dei sintomi (Gerarchizzazione) • Sintomi non abbastanza buoni (cattiva raccolta del caso!) • Repertorio sbagliato (alcuni casi non possono essere risolti con tutti i repertori esistenti) • Troppo pochi sintomi • Troppi sintomi • Uso di rubriche inadeguate • Significato non corretto delle rubriche (errata “traduzione” dal mondo animale nel linguaggio del repertorio) • Rubriche troppo grandi • Rubriche troppo piccole

Bibliografia Geissler, H., Hierarchisation, Dt. J. Hom., 14, 4, (1995), 259 - 265. Hahnemann, S., Organon letzte und 6. Auflage, O. Verlag, Berg am Starnberger See, 1985. Kent, J. T.,Zur Theorie der Homöopathie,3. Aufl.,Verlag Grundlagen und Praxis, Leer, 1985. Kent, J.T., The Homoeopathician, 8, 1912. Zit.: Dt. J. Hom., 4, 1984 Künzli, J., Theorie der Homöopathie, unveröffentlichtes Typoskript, St. Gallen, 1988. Schroyens, F., Synthesis, Homoeopathic Book Publishers, London, 1993. Wright-Hubbard, E., Kurzlehrgang der Homöopathie, O. Verlag, Berg am Starnb. See, 1983.

7. REPERTORIZZAZIONE: I PRO Dr. Marc Baer, Zurich • Il repertorio è una memoria migliore della nostra mente • Sappiamo troppo poco di Materia Medica per poter considerare di lavorare senza un repertorio

1

Quest’ultima classe non è di Künzli, ma dell’autore


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Neurologic diagnosis: what clues can be found from the animal’s appearance and posture Rodney S. Bagley DVM, Dipl ACVIM (Neurology and Internal Medicine), Washington State, USA

Animals with neurologic disease may have numerous postural, behavioral, involuntary, and seizure disorders that result in them having abnormal appearances and actions. Animals may have abnormalities of voluntary movement, and those will be covered in the session on dogs and cats that can’t walk.

ABNORMALITIES OF HEAD POSTURE A head tilt is an abnormal posture wherein one ear is deviated more ventrally than the opposite. For reference, when the animal is viewed from the front, an imaginary line can be drawn from one side of the head to the other along the horizon. A second imaginary line can be drawn perpendicular to this horizontal line that transects through the philtrum of the nose. In normal animals, these imaginary lines will form a 90o angle. In animals with a head tilt, the imaginary line drawn through the philtrum will form an acute angle less than 90o. When severe, the animal may be rolled on the dorsal aspect of its body. In some cases, the animal may continually fall and roll. Head tilting is most often associated with disease of the vestibular or cerebellar systems. The head tilt is usually directed toward the side of the lesion in the nervous system especially if the lesion involves the peripheral vestibular apparatus. Occasionally, with lesions involving the caudal cerebellar peduncle between the brain stem and cerebellum or flocculonodular lobe of the cerebellum, the head tilt is directed away from the side of the lesion, the so-called paradoxical vestibular syndrome. A head turn is where the nose remains parallel to the horizon, however, the nose is directed toward the flank or caudal aspect of the body. This has sometimes been referred to as a “yaw”. This posture may be a component of the adversive syndrome, which consists of a head turn (sagittal axis of head perpendicular to the ground) and circling. The animal may also intermittently orient the head laterally or toward the caudal aspect of the body. A head turn occurs most often with supratentorial lesions. The head turn and circling are usually toward the side of the lesion. A similar abnormality, termed “hemi-inattention” or “hemi-neglect,” may be seen wherein the animal will only eat from one side of its food bowl. In some situations of lesions of the (caudal) brain stem or cervical region, the head may be turned to be positioned tightly against the neck or trunk.

ABNORMALITIES OF LIMB POSTURE Animals with neurologic dysfunction may stand with their limbs more laterally positioned than normal. This is often referred to as a wide-based stance. This appearance is most often associated with an abnormality of proprioceptive function. Lesions of the nervous system commonly associated with a wide-based stance include the vestibular system, cerebellum, and spinal cord. This posture may be an attempt by the animal to prevent itself from falling to one side. Conversely, animals that stand with the limbs very close together and directly under the trunk may have abnormalities of muscle strength, such as with disease of the peripheral nerves, neuromuscular junction, or muscles themselves. Spasticity is increased tone of the muscles of the limbs. Opisthotonus is a body posture where the neck is held in extension with the top of the head directed toward the midback region. In a recumbent animal, spasticity and/or opisthotonus can be seen in numerous situations. These include decerebrate rigidity, decerebellate rigidity, and Schiff-Sherrington syndrome. Decerebrate rigidity is characterized by opisthotonus and extension of all limbs. Usually the animal is stuporous or comatose. This is due to loss of descending input (from the supratentorial structures) to the brain stem structure responsible for flexion and extension of the limbs. Lesions of the cerebellum may result in a similar posture. Decerebellate rigidity, is characterized by opisthotonus with thoracic limb extension, flexion of the pelvic limbs up under the body due to contraction of the sublumbar muscles. If the lesion involves the ventral aspects of the cerebellum, extensor rigidity of all limbs is seen. Importantly, as the lesion associated with this posture does not affect consciousness, the animal with decerebellate rigidity has normal mental awareness and consciousness. This clinical feature serves to differentiate decerebellate from decerebrate rigidity. Affected animals can assume decerebellate posture episodically resulting in some referring to this as a “cerebellar seizure.” This is not a true seizure disorder but rather an episodic postural abnormality. Schiff-Sherrington posture is characterized by thoracic limb extension and inability to move the pelvic limbs normally. Spinal reflexes in the pelvic limb are usually normal. This results from a lesion in the thoracolumbar spinal segments that interrupts the ascending inhibitory impulses originating in the lumbar grey matter and terminating on cells responsible for extension of the thoracic limbs. Border cells


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located in the dorsal aspect of the ventral grey matter in the lumbar spinal segments between (L1 and L7 concentrated between L1 and L4) send ascending, cranial projections to terminate on the extensor muscles of the thoracic limbs. This influence is normally inhibitory to these extensor muscles. Spinal lesions that interrupt this ascending inhibitory influence result in unopposed function of the thoracic limb extensor muscles and the rigidly extended appearance. The thoracic limbs, except for the rigid extension, are otherwise neurologically normal. Schiff-Sherrington posture is usually associated with severe spinal cord injuries, but this posture alone does not indicate that the spinal lesion is irreversible as has been suggested. Severe extensor rigidity of the limbs and other muscles is characteristic of tetanus. Classically, the rigid extension of the limbs results in a “sawhorse” appearance when the animal is standing. Facial muscle contraction may result in an abnormal facial expression termed risus sardonicus. Often the lips are contracted causing the commissures of the lips to be directed more caudally. The ears may be contracted caudally as well. In animals with erect ears, the ears may be positioned closer together on the dorsal aspect of the head. In other instances, there is prolapse of the nictitating membranes and possibly miotic pupils. Affected animals may also salivate, possibly due to contraction of the pharyngeal muscles and ineffective swallowing. While tetanus usually affects the entire body, localized tetanus involving one limb is occasionally noted. Episodic extensor rigidity of the limbs may be associated with a variety of abnormalities of the central or peripheral nervous systems and muscles. Episodic muscle contraction resulting in a stiff appearance, albeit intermittently, can result in disorders such as myotonia (failure of muscle relaxation), reflex myoclonus, seizure, and metabolic abnormalities such as hypoglycemia, electrolyte abnormalities, and muscle cramping syndromes (“Scotty cramp”). In some instances of chronic lower motor neuron disease with muscle atrophy and fibrosis, one or both pelvic limbs may be held in chronic rigid extension. This posture is often seen with toxoplasmosis or neosporosis infection in young dogs. Spasticity can be seen at rest or at gait and is usually associated with upper motor neuron (UMN) disease. A consistent flexion of a limb may be associated with soft tissue injury of the limb, muscle fibrosis, and skeletal and joint abnormalities. When walking, this is commonly referred to as a (non-weight bearing) lameness. If the limb is not anatomically fused in this position, this posture most often is the result of pain somewhere or around the limb. If the pain originates from a spinal or peripheral nerve abnormality, this is termed a nerve root signature. Nerve root signature may involve either the thoracic or pelvic limbs.

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ABNORMALITIES OF BODY TRUNK POSTURE Scoliosis is an abnormal lateral deviation of the vertebral column. This may be due to a problem of the vertebrae, ribs, or associated muscles and ligaments. Abnormal muscle support due to denervation of the paraspinal musculature contributing to asymmetric lateral muscle tension and subsequent vertebral deviation. In dogs, scoliosis often occurs secondary to intramedullary spinal cord lesions such as syringomyelia or hydromyelia. Associated damage to spinal cord LMN cells that are responsible for paraspinal muscle innervation may result in abnormal paraspinal muscle function. Kyphosis, an abnormal flexion primarily of the thoracolumbar spine, may be a postural abnormality associated with pain, or may result from abnormalities of the vertebrae, ligaments, ribs, paraspinal muscles, and spinal and other peripheral nerves. Often, a kyphotic posture is the result of pain originating in the cervical area, thoracolumbar spine, or abdomen. Dogs with cervical pain also will often keep their neck muscles rigid with their heads held in the same horizontal plane as their spine, or lower to the ground. Doberman pinschers with cervical vertebral malformation/malarticulation will often keep their cervical area straight in relation to their thoracolumbar area presumably as a result of pain or possibly to relieve some of the associated spinal compression. Lack of muscle tone dorsally may allow for overpulling of the ventral spinal muscles. Lordosis is a ventral deviation of the spine and is uncommon in small animals. This may be a reflection of weakness or impairment of the paraspinal muscles. Occasionally, animals with thoracic vertebral or thoracic cavity disease will tend to flex the thoracic spine ventrally compared to the cervical and lumbar regions. In some instances, the neck and head may secondarily be positioned in a more extended position. Ventral flexion of the neck (ventral neck flexion) is mostly commonly seen in cats and immature dogs. The animal’s head will be directed ventrally toward the ground and usually caudally toward the ventral thoracic region. While this posture may result from cervical pain, it is more often a reflection of weakness of the cervical muscles. Animals with paralysis of the cervical muscles may also have a head and neck that appear to “flop” in a dependent (compared to gravity) direction.

Author’s Address for Correspondence: Professor Rodney S. Bagley, Washington State University, College of Veterinary Medicine, Pullman WA 99164-6610


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Diagnosi neurologica: quali indicazioni si possono trarre dall’esame ispettivo e dalla postura dell’animale Rodney S. Bagley DVM, Dipl ACVIM (Neurology and Internal Medicine), Washington State, USA

Gli animali con malattie neurologiche possono presentare numerosi disordini posturali, comportamentali, involontari e convulsivi che fanno loro assumere atteggiamenti ed azioni anormali. Alcuni animali possono presentare anomalie del movimento volontario; questi saranno trattati nella sessione relativa a cani e gatti che non possono camminare.

ANOMALIE DELLA POSIZIONE DELLA TESTA La testa piegata è una postura anormale in cui un orecchio è deviato più ventralmente di quello controlaterale. Come riferimento, guardando l’animale di fronte, si può tracciare una linea immaginaria da un lato della testa all’altro lungo l’orizzonte. Una seconda linea immaginaria può essere tracciata perpendicolarmente a questa linea orizzontale che passa attraverso il filtro del naso. Negli animali normali queste linee immaginarie formano un angolo di 90°. In quelli con testa piegata, la linea immaginaria tracciata attraverso il filtro forma un angolo acuto, inferiore a 90°. Nei casi gravi, l’animale può essere rotolato sulla parte dorsale del corpo. In alcuni casi, il soggetto può continuamente cadere e rotolare. Nella maggior parte dei casi la testa piegata è associata ad una malattia dei sistemi vestibolare o cerebellare. Il capo di solito è inclinato verso il lato della lesione nel sistema nervoso, in particolare se questa coinvolge l’apparato vestibolare periferico. Occasionalmente, in presenza di alterazioni che interessano il peduncolo cerebellare caudale fra il tronco encefalico ed il cervelletto o il lobo flocculonodulare cerebellare, la testa piegata è orientata in direzione opposta al lato della lesione, determinando la cosiddetta sindrome vestibolare paradossa. La testa ruotata si ha quando il naso rimane parallelo all’orizzonte, ma è diretto verso il fianco o la parte caudale dell’organismo. Questa condizione è stata talvolta indicata come “imbardata”. Questa postura può essere una componente della sindrome avversiva, che consiste in testa ruotata (asse sagittale della testa perpendicolare al suolo) e maneggio. L’animale può anche orientare in modo intermittente la testa in direzione alterale oppure verso la parte caudale del corpo. Nella maggior parte dei casi la testa ruotata si ha in presenza di lesioni sopratentoriali. La rotazione del capo e il maneggio sono di solito rivolti verso il lato della lesione. Si può osservare un’anomalia simile, detta “emiinattenzione” o “emineglect”, in cui l’animale mangia soltanto da un lato della propria ciotola del cibo. In alcune situazioni caratterizzate da lesioni del tronco encefalico (caudale) o della regio-

ne cervicale, la testa può essere ruotata fino ad essere portata strettamente a ridosso del collo o del tronco.

ANOMALIE DELLA POSTURA DEGLI ARTI Gli animali con disfunzione neurologica possono rimanere in stazione con gli arti posizionati più lateralmente del normale. Questa condizione viene spesso definita come stazione su ampia base. Questo aspetto in genere è associato ad un’anomalia della funzione propriocettiva. Le lesioni del sistema nervoso comunemente associate ad una stazione su ampia base sono rappresentate da quelle del sistema vestibolare, del cervelletto e del midollo spinale. Questa postura può essere un tentativo da parte dell’animale di evitare di cadere su un lato. Al contrario, i soggetti che restano in stazione con gli arti molto vicini gli uni agli altri e direttamente sotto il tronco possono essere colpiti da anomalie della forza muscolare, come avviene in presenza di affezioni dei nervi periferici, della giunzione neuromuscolare o dei muscoli stessi. La spasticità è un aumento del tono dei muscoli degli arti. L’opistotono è una postura corporea in cui il collo viene tenuto in estensione, con la sommità della testa diretta verso la regione media del dorso. In un animale in decubito, spasticità ed opistotono si possono osservare in numerose situazioni. Fra queste rientrano la rigidità da decerebrazione, quella da decerebellazione e la sindrome di Schiff-Sherrington. La rigidità da decerebrazione è caratterizzata da opistotono ed estensione di tutti gli arti. Di solito l’animale si trova in stato stuporoso o comatoso. Ciò è dovuto alla perdita degli impulsi discendenti (provenienti dalle strutture sopratentoriali) e diretti alla struttura del tronco encefalico responsabile della flessione ed estensione degli arti. Le lesioni del cervelletto possono determinare l’assunzione di una postura simile. La rigidità da decerebellazione è caratterizzata da opistotono con estensione dell’arto toracico e flessione di quelli pelvici che vengono ritirati sotto il corpo dell’animale a causa di una contrazione dei muscoli sottolombari. Se la lesione coinvolge le parti ventrali del cervelletto, si osserva una rigidità estensoria di tutti gli arti. È importante notare che, dato che la lesione associata a questa postura non influisce sulla coscienza, gli animali con rigidità da decerebellazione presentano normali livelli di consapevolezza e coscienza. Questa caratteristica clinica serve a differenziare la rigidità da decerebellazione da quella da decerebrazione. Gli individui colpiti possono assumere la postura da decerebellazione in modo episodico, per cui alcuni si riferiscono a questa condizione come “crisi convulsiva cerebellare”.


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Questo non è un autentico disordine convulsivo, ma piuttosto un’anomalia posturale episodica. La postura di Schiff Sherrington è caratterizzata da estensione dell’arto toracico ed incapacità di muovere normalmente gli arti pelvici. I riflessi spinali di questi ultimi sono solitamente normali. La condizione è dovuta ad una lesione dei segmenti spinali toracolombari che interrompe gli impulsi inibitori ascendenti che originano nella sostanza grigia lombare e terminano nelle cellule responsabili dell’estensione degli arti toracici. Le cellule marginali localizzate nella parte dorsale della sostanza grigia ventrale dei segmenti spinali lombari, fra L1 ed L7 e concentrate fra L1 ed L4, inviano proiezioni craniali ascendenti destinate a terminare sui muscoli estensori degli arti toracici. Questo influsso svolge normalmente un’azione di inibizione su questi muscoli estensori. Le lesioni spinali che interrompono questa influenza inibitoria ascendente esitano in una perdita di contrasto della funzione dei muscoli estensori dell’arto toracico e nella comparsa della rigidità estensoria. Gli arti toracici, fatta eccezione per l’estensione rigida, sono per il resto neurologicamente normali. La postura di Schiff-Sherrington è solitamente associata a gravi lesioni del midollo spinale, ma, da sola, non indica che il danno spinale sia irreversibile come è stato ipotizzato. La grave rigidità estensoria degli arti e di altri muscoli è caratteristica del tetano. Classicamente, l’estensione rigida degli arti esita nell’assunzione di una posizione “a cavalletto” quando l’animale è in stazione. La contrazione dei muscoli facciali può determinare un’abnorme espressione facciale detta risus sardonicus. Spesso, le labbra sono contratte, facendo sì che le commessure labiali siano dirette più caudalmente. Anche le orecchie possono essere contratte in direzione caudale. Negli animali con orecchie ritte, queste possono essere posizionate più vicine l’una all’altra sulla parte dorsale della testa. In altri casi, si ha il prolasso della terza palpebra ed eventualmente una miosi pupillare. Gli animali colpiti possono anche presentare salivazione, eventualmente a causa di una contrazione dei muscoli faringei e di una deglutizione inefficace. Anche se il tetano di solito colpisce l’intero corpo, occasionalmente si osservano forme localizzate a carico di un arto. La rigidità estensoria episodica degli arti può essere associata ad una varietà di anomalie del sistema nervoso centrale e periferico e dei muscoli. La contrazione muscolare episodica che esita nell’assunzione di un aspetto rigido, benché intermittente, può causare disordini come la miotonia (mancato rilasciamento muscolare), la mioclonia riflessa, le crisi convulsive ed anomalie metaboliche come l’ipoglicemia, le alterazioni elettrolitiche e le sindromi da crampi muscolari (“crampo dello scottish terrier”). In alcuni casi di malattia cronica da motoneurone inferiore con atrofia muscolare e fibrosi, uno o entrambi gli arti pelvici possono essere tenuti in estensione rigida cronica. Questa postura si osserva spesso nelle infestazioni da toxoplasmosi o neosporosi nei cani giovani. La spasticità si può osservare a riposo o durante l’andatura e di solito è associata ad una malattia da motoneurone superiore (MNS). La costante flessione di un arto può essere associata ad un danno dei tessuti molli dell’arto stesso, fibrosi muscolare ed alterazioni scheletriche ed articolari. Durante l’andatura al passo, questa condizione viene comunemente indicata come zoppia con sottrazione dell’arto al carico. Se l’arto non è anatomi-

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camente fuso in questa posizione, nella maggior parte dei casi la postura è la conseguenza di un dolore localizzato in qualche punto dell’arto o in prossimità di esso. Se il dolore origina da un’anomalia nervosa spinale o periferica, la condizione viene detta segno della radice del nervo. Il segno della radice può coinvolgere sia gli arti toracici che quelli pelvici.

ANOMALIE DELLA POSTURA DEL TRONCO La scoliosi è un’abnorme deviazione laterale della colonna vertebrale. Questa può essere dovuta ad un problema di vertebre, costole o muscoli e legamenti associati. Si ha un’alterazione del supporto muscolare dovuto alla denervazione della muscolatura paraspinale che contribuisce a determinare la tensione muscolare laterale asimmetrica e la conseguente deviazione vertebrale. Nel cane, la scoliosi si riscontra spesso secondariamente a lesioni spinali intramidollari come la siringomielia o l’idromielia. Il danno associato alle cellule dei motoneuroni inferiori del midollo spinale che sono responsabili dell’innervazione dei muscoli paraspinali può esitare in un’abnorme funzione dei muscoli stessi. La cifosi, un’abnorme flessione che interessa principalmente la colonna vertebrale toracolombare, può essere un’anomalia posturale associata a dolore oppure derivare da alterazioni di vertebre, legamenti, costole, muscoli paraspinali e nervi spinali e altri nervi periferici. Spesso, una postura cifosica è la conseguenza di un dolore che origina nell’area cervicale, nella colonna toracolombare o in addome. I cani con dolore cervicale tengono frequentemente rigidi anche i muscoli del collo, con la testa portata nello stesso piano orizzontale della colonna vertebrale o abbassata verso il suolo. Nei Dobermann con malformazione/malarticolazione vertebrale cervicale, l’area vertebrale cervicale è spesso diritta, rispetto all’area toracolombare, presumibilmente come conseguenza del dolore o per alleviare una parte della compressione spinale associata. La mancanza di tono muscolare dorsalmente può consentire un’eccessiva trazione dei muscoli spinali ventrali. La lordosi è una deviazione ventrale della colonna vertebrale poco comune nei piccoli animali. Può essere il riflesso di debolezza o compromissione dei muscoli paraspinali. Occasionalmente, animali con affezioni vertebrali toraciche o della cavità toracica tendono a flettere la colonna vertebrale toracica in direzione ventrale rispetto alle regioni cervicale e lombare. In alcuni casi, il collo e la testa possono essere secondariamente portati in una posizione più estesa. La ventroflessione del collo (flessione ventrale del collo) si osserva nella maggior parte dei casi nei gatti e nei cani che non hanno ancora raggiunto la maturità. La testa dell’animale viene diretta ventralmente, verso il suolo, e di solito caudalmente verso la regione toracica ventrale. Benché possa derivare da un dolore cervicale, questa postura rappresenta più frequentemente un riflesso della debolezza dei muscoli del collo. Gli animali con paralisi della muscolatura cervicale possono anche presentare testa e collo che sembrano “crollare” verso il basso (in relazione alla gravità). Author’s Address for correspondence: Rodney S. Bagley, Professor, Washington State University College of Veterinary Medicine, Pullman WA 99164-6610


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Neurologic diagnosis: what clues can be found from involuntary movements? Rodney S. Bagley DVM, Dipl ACVIM (Neurology and Internal Medicine), Washington State, USA

Abnormal movements commonly result from dysfunction of the nervous system due to the significant influence of the nervous system on muscular functions. Movement can be voluntary or involuntary. Abnormalities of voluntary movement are discussed below under Assessment and Abnormalities of Gait in this chapter. Involuntary movement disorders are less well classified in animals compared to humans. Terms such as tics, twitches, shivering, shuddering, and fasciculation are often used to describe episodic, irregular muscle movements or depolarizations associated with muscle contraction. Some movement disorders are classified as “hyperkinetic� or dyskinesias or myokymias. Dyskinesias are defined as impairment of the power of voluntary movements resulting in fragmented or incomplete movements. Involuntary movements are usually manifested through abnormal motion of the limbs, trunk, or head. Flexing movements of the limbs may occur. These types of episodes need to be differentiated from partial seizure activity and muscle disorders. Tremor is a rhythmic, oscillatory, involuntary disorder of movement resulting from alternate or synchronous contraction of reciprocally innervated, antagonistic muscles. Electromyographically, tremor is characterized by rhythmic bursts of motor neuron activity occurring in opposing muscle groups. The contraction of muscles with opposing function gives tremor a biphasic nature. This biphasic character differentiates tremor from other abnormalities of movement. While seen during the awake state, true tremor should cease with sleep. Tremor can be localized to one body area or be generalized (whole body). Localized tremor usually involves the head or pelvic limbs. Tremor is ultimately a disorder of movement. Therefore, regions of the nervous system primarily responsible for normal movement, when abnormal, may generate a tremor. In humans these areas include the basal nuclei and other components of the extrapyramidal system, cerebellum, diffuse neuronal cell bodies involved in segmental and supraspinal reflex mechanisms, components of the lower motor neuron, and the interconnecting pathways. Additionally, abnormalities of mechanical apparatus of the limbs (e.g., bones, joints, and tendons) may also result in tremor. Species differences exist as to which anatomical areas within the nervous system, when abnormal, result in tremor. For example, lesions involving the basal nuclei and substantia nigra commonly result in tremor in human beings but this is not clear for dogs.

The cerebellum functions in control of movement once that movement is initiated. Tremor seen with cerebellar disease is most obvious when the animal intends to move in a goal-oriented effort and it is therefore referred to as an intention tremor. This type of tremor often becomes more obvious when an animal attempts to lower its head to eat or drink from a bowl or dish. Intention tremors may involve the head or the entire body, and may be accompanied by other signs of cerebellar dysfunction such as ataxia and hypermetria. Tremor in human beings can either be normal (physiological) or abnormal (pathological). Physiological tremor is present in all muscle groups in the waking state. This tremor may partially result from passive vibration of body tissues produced by mechanical activity of the heart, however, its true origin is not yet known. Normally, this tremor is at a low enough amplitude that it is almost imperceptible. Tremor is considered pathological when it impairs normal function. Pathological tremor is thought to result from imbalances of neurotransmitters, such as dopamine, acetylcholine, and gamma-aminobutyric acid. Various pathological tremor syndromes exist in human beings including resting (Parkinsonian) tremor, intention or ataxic tremor, action tremor, hysterical tremor, and a mixed tremor having components of various types of tremor. Myoclonus is a shock-like contraction of a muscle or muscles that tends to occur repeatedly in a rhythmic pattern. It is akin to the rhythmic depolarization and contraction that occurs in the heart with each beat. Myoclonus, if present, often involves the thoracic limb, however, a pelvic limb or the facial muscles including the tongue may also be involved. Myoclonus in dogs is usually the result of distemper infection that establishes a pacemaker-like depolarization of local motor neurons, however, it has been associated with lead toxicity and other forms of nervous system inflammation. Reflex myoclonus is characterized by episodic, stimulation-evoked extensor rigidity of the body and is most commonly seen in Labrador retrievers. Affected animals become stiff, usually when excited or stimulated. Other breeds (dalmatian) are occasionally affected. As this is a congenital disorder, young (weeks to months of age) animals are affected. Dancing Doberman syndrome is a disease characterized by alternating pelvic limb flexion when the animal is standing. A peripheral neuropathy or myopathy of the pelvic limb nerves is suspected. Some animals with tendon, muscle, and other musculoskeletal injuries may stand with a similar appearance. In instances of gastrocnemius tendon avulsion,


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for example, the flexed toe stance may be clue to this abnormality. Other dogs with apparent dyskinesias or limb pain may stand with the limb in a flexed position. Myotonia occurs as a congenital problem in various breeds including the Chow-Chow and cats. Animals with myotonia have sustained muscle contraction, which is initiated voluntarily or with stimulation, and sustained involuntarily. The excessive muscle contraction is thought to be due to an abnormal muscle cell membrane that supports persistent depolarization. Animals with myotonia may have a short-stilted gait and apparent stiffness or extensor rigidity of the limbs. Affected animals also may have large, bulky muscles on palpation. Muscle dimpling may occur with direct muscle percussion. Scotty cramp is characterized by paroxysms of muscular hypertonicity, usually precipitated by excitement or exercise. Animals appear stiff and stilted at gait. Some animals (Cavalier King Charles spaniel) may fall over and become laterally recumbent. This disease has also been seen in dalmatians and Norwich terriers. Seizures are an important and common sign of neurological disease. A seizure is a paroxysmal, transitory disturbance of brain function that has a sudden onset, ceases spontaneously, and has a tendency to recur. Seizures are usually associated with autonomic disturbances such as urination, salivation, and defecation. Seizures must be differentiated from other episodic disturbances including cataplexy/narcolepsy, syncope, weakness, vestibular disturbances, and tremor. There are many differing manifestations of seizure activity, ranging from focal activity to generalized tonic clonic movements. Some seizure activity contains characteristic features that help in clarification of this problem. The generalized tonic, clonic seizure is the most common seizure recognized in animals, possibly because this type is the most obvious for veterinarians to determine. The scope of seizure disorders of small animals has most likely not yet been determined. When a depolarization is of a sufficient magnitude, the impulse will be conducted to the entire brain and a generalized seizure will be produced. If this propagation occurs in milliseconds, a generalized seizure will be seen from the onset. If the spread is slower, an initial focal seizure (confined to one body part/area) can eventually become generalized. If the spread of the electrical discharge stops, a focal seizure will be the extent of the disturbance. Focal seizures remain localized to one body region such as a limb or facial muscles. They are of value in localization of the seizure focus to a side of the brain as they often occur

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in the side of the body opposite to a supratentorial lesion. Additionally, focal seizures are more often associated with structural brain disease. Bizarre behaviors may be manifestations of seizure disorders, possibly initiated in components of the limbic system (temporal lobe epilepsy). Fly biting would be one example and may be more common in breeds such as the Cavalier King Charles spaniel. At one extreme, even some gastrointestinal abnormalities such as vomiting have been suggested to be the result of seizure activity. Other behavior disorders, such as flank sucking or tail biting, may result from a seizure focus, but definitive proof is lacking. These disorders are usually a primary behavior abnormality. Seizures can occur as the result of a structural brain abnormality, a metabolic abnormality within the body that secondarily affects the brain, or without apparent cause (idiopathic epilepsy) (see chapter 17). Clinical evaluation initially depends upon two important features: the age of onset of the first seizure and the presence of interictal neurological deficits. Certain breeds of dogs such as beagles, Belgian Tervurens, German shepherds, keeshonds, and collies have an increased incidence of idiopathic epilepsy. Other high incidence breeds include the Saint Bernard, German shepherd, golden retriever, Irish setter, American cocker spaniel, wirehaired fox terriers, Alaskan malamutes, Siberian huskies, and miniature poodles. Idiopathic seizures are not associated with interictal neurological deficits. Obvious deficits found upon neurological examination in animals with seizures suggest a structural cause. Some animals, however, may have reversible neurological deficits during the postictal period. These deficits usually resolve within 48 hours; occasionally deficits may last for days after the seizure. Knowledge of when the seizure(s) occurred in relationship to the examination is important for this determination. Metabolic causes of seizure usually do not result in persistent neurological deficits. Deficits are possible, especially when mental status is also abnormal. Metabolic diseaseassociated deficits are usually symmetric if present unless associated structural abnormalities such as edema or hemorrhage are concurrently present.

Author’s Address for Corrispondence: Professor Rodney S. Bagley, Washington State University, College of Veterinary Medicine, Pullman WA 99164-6610


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Diagnosi neurologica: quali indicazioni si possono trarre dal rilievo di movimenti involontari dell’animale? Rodney S. Bagley DVM, Dipl ACVIM (Neurology and Internal Medicine), Washington State, USA

I movimenti involontari derivano comunemente da una disfunzione del sistema nervoso a causa della significativa influenza dello stesso sulle funzioni muscolari. I movimenti possono essere volontari o involontari. Le anomalie dei movimenti volontari sono trattate nella parte dedicata alla valutazione dell’andatura e delle sue anomalie in questo capitolo. I disordini dei movimenti involontari sono meno ben classificati negli animali in confronto all’uomo. Per descrivere movimenti muscolari episodici o irregolari e depolarizzazioni associate a contrazione muscolare si utilizzano spesso termini quali tic, spasmi, brividi, tremiti e fascicolazioni. Alcuni disordini del movimento sono classificati come “ipercinetici” o discinesie o miochimie. Le discinesie sono definite come una condizione in cui la forza dei movimenti volontari viene compromessa, esitando in movimenti frammentati o incompleti. I movimenti involontari si manifestano di solito attraverso moti anormali degli arti, del tronco o della testa. Si possono avere movimenti di flessione degli arti. Questi tipi di episodi devono essere differenziati dall’attività convulsiva parziale e dai disordini muscolari. Il tremore è un disordine involontario, ritmico e oscillatorio del movimento che deriva da una contrazione alternata o sincrona di muscoli antagonisti innervati in modo reciproco. Dal punto di vista elettromiografico, il tremore è caratterizzato da scoppi ritmici di attività da motoneurone che si verificano a livello di gruppi muscolari contrapposti. La contrazione dei muscoli con funzioni opposte conferisce al tremore una natura bifasica. Questo carattere bifasico differenzia il tremore da altre anomalie del movimento. Mentre si osserva durante lo stato di veglia, l’autentico tremore deve cessare con il sonno. Il tremore può essere localizzato ad un’area corporea oppure risultare generalizzato (a tutto il corpo). Nel primo caso di solito coinvolge la testa o gli arti pelvici. Il tremore è in ultima analisi un disordine del movimento. Di conseguenza, le regioni del sistema nervoso primariamente responsabili del movimento normale, quando sono anormali, possono generare un tremore. Nell’uomo, queste aree comprendono i nuclei basali ed altre componenti del sistema extrapiramidale, cervelletto, corpi cellulari neuronali diffusi coinvolti nei meccanismi riflessi segmentali e sopraspinali, componenti del motoneurone inferiore e vie interconnettenti. Inoltre, anche le anomalie dell’apparato meccanico degli arti (ad es., ossa, articolazioni e tendini) possono essere causa di queste manifestazioni. Esistono delle differenze di specie nonché delle differenze relative alle aree anatomiche all’interno del sistema nervoso che, in

presenza di anomalie, esitano nella comparsa di tremori. Ad esempio, le lesioni a carico dei nuclei basali e della substantia nigra esitano comunemente in tremori nell’uomo, ma ciò non è chiaro nel cane. Il cervello ha la funzione di controllare il movimento una volta che questo è iniziato. Il tremore che si osserva nelle cerebellopatie è più evidente quando l’animale intende muoversi per compiere uno sforzo finalizzato ad una meta e viene quindi indicato come tremore intenzionale. Questo tipo di tremore spesso si rende più evidente quando un animale cerca di abbassare la testa per mangiare o bere da una ciotola o un piatto. I tremori intenzionali possono coinvolgere la testa o l’intero corpo e possono essere accompagnati da altri segni di disfunzione cerebellare come l’atassia e l’ipermetria. Il tremore nell’uomo può essere normale (fisiologico) o anormale (patologico). Il tremore fisiologico è presente in tutti i gruppi muscolari nello stato di veglia. Questo tremore può derivare parzialmente dalla vibrazione passiva dei tessuti corporei prodotta dall’attività meccanica del cuore; tuttavia, la sua autentica origine non è ancora nota. Normalmente, questo tremore presenta un’ampiezza abbastanza bassa da risultare quasi impercettibile. Il tremore è considerato patologico quando compromette la funzione normale. Si ritiene che il tremore patologico derivi da squilibri dei neurotrasmettitori, quali la dopamina, l’acetilcolina e l’acido gamma-aminobutirrico. Nell’uomo esistono varie sindromi da tremore patologico, come il tremore a riposo (parkinsoniano), quello intenzionale o atassico, quello da azione, quello isterico ed un tipo misto con componenti dei vari tipi di tremore. La mioclonia è una contrazione shock-simile di uno o più muscoli che tende a manifestarsi ripetutamente secondo uno schema ritmico. È simile alla depolarizzazione ritmica ed alla contrazione che si verifica nel cuore in coincidenza con ciascun battito. La mioclonia, se presente, coinvolge spesso l’arto toracico, tuttavia si può avere anche l’interessamento di un arto pelvico oppure dei muscoli della regione facciale, compresa la lingua. La mioclonia nel cane è di solito la conseguenza di un’infezione da cimurro che instaura una depolarizzazione pacemaker-simile dei motoneuroni locali; tuttavia, è stata associata all’avvelenamento da piombo ed altre forme di infiammazione del sistema nervoso. La mioclonia riflessa è caratterizzata da una forma episodica di rigidità estensoria del corpo in risposta alla stimolazione e nella maggior parte dei casi si osserva nel Labrador retriever. Gli animali colpiti diventano rigidi, di solito quando vengono eccitati o stimolati. Occasionalmente sono col-


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pite altre razze (Dalmata). Dal momento che si tratta di un disordine congenito, sono interessati gli animali giovani (dell’età di settimane o mesi). La sindrome del Dobermann ballerino (dancing Dobermann syndrome) è una malattia caratterizzata da una flessione alternante degli arti pelvici quando l’animale è in stazione. Si sospetta una neuropatia periferica o una miopatia dei nervi dell’arto pelvico. Alcuni animali con lesioni tendinee muscolari e di altre strutture muscoloscheletriche possono rimanere in stazione presentando un aspetto simile. Nei casi di avulsione del tendine del gastrocnemio, ad esempio, la stazione sulle punte delle dita in flessione può essere un indice di questa anomalia. Altri cani con apparenti discinesie o dolori delle estremità possono rimanere in stazione con l’arto in posizione flessa. La miotonia si riscontra sotto forma di un problema congenito in varie razze, come il chow chow, e nei gatti. Gli animali con miotonia presentano una contrazione muscolare protratta, che viene iniziata volontariamente o in seguito a stimolazione e poi mantenuta nel tempo involontariamente. Si ritiene che l’eccessiva contrazione muscolare sia dovuta ad un’anomalia della membrana cellulare degli elementi muscolari, che mantiene una depolarizzazione persistente. Gli animali con miotonia possono presentare andatura breve ed innaturale e rigidità apparente o rigidità estensoria degli arti. I soggetti colpiti possono anche presentare alla palpazione muscoli grandi e voluminosi. In seguito alla percussione muscolare diretta si può riscontrare la formazione di una fossetta. Il crampo dello scottish terrier è caratterizzato da parossismi di ipertonicità muscolare, solitamente scatenati da eccitazione o esercizio. Gli animali appaiono rigidi e con un’andatura innaturale. Alcuni (Cavalier King Charles spaniel) possono cadere a terra e rimanere in decubito laterale. Questa malattia è stata anche osservata nel Dalmata e nel Norwich terrier. Le crisi convulsive sono un segno di malattia neurologica comune ed importante. Una crisi convulsiva è un disturbo transitorio e parossistico della funzione cerebrale che ha un’insorgenza improvvisa, cessa spontaneamente ed ha la tendenza a recidivare. Le crisi convulsive sono solitamente associate a disturbi autonomi come quelli relativi a minzione, salivazione e defecazione. Le crisi convulsive vanno differenziate da altri disturbi episodici quali catalessia/narcolessia, sincope, debolezza, alterazioni vestibolari e tremore. Esistono molte manifestazioni differenti delle attività convulsive, che vanno dall’attività focale ai movimenti tonico/clonici generalizzati. Alcune attività convulsive presentano caratteristiche tipiche che contribuiscono a chiarire il problema. La crisi convulsiva tonico-clonica generalizzata è quella più comunemente riconosciuta negli animali, forse perché questo tipo è quello più facile da determinare per i veterinari. La portata dei disordini convulsivi dei piccoli animali con tutta probabilità non è ancora stata determinata. Quando la depolarizzazione ha un’entità sufficiente, l’impulso viene condotto all’intero encefalo e si ha la produzione di una crisi convulsiva generalizzata. Se questa propagazione avviene nell’arco di millisecondi, si osserva una crisi convulsiva generalizzata sin dall’inizio. Se la diffusione è

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più lenta, si ha una crisi convulsiva focale iniziale (limitata ad una parte/area del corpo) che in seguito può diventare generalizzata. Se la diffusione della scarica elettrica si interrompe, l’esito del disturbo sarà una crisi convulsiva focale. Le crisi convulsive focali restano localizzate ad una regione corporea come un arto o i muscoli facciali. Sono utili per localizzare il focus convulsivo a un lato dell’encefalo, dato che spesso si riscontrano dalla parte del corpo opposta ad una lesione sopratentoriale. Inoltre, le crisi convulsive focali sono più spesso associate ad un’encefalopatia strutturale. Comportamenti bizzarri possono essere manifestazioni di disordini convulsivi, eventualmente iniziati in componenti del sistema limbico (epilessia del lobo temporale). Il tentativo di acchiappare mosche inesistenti sarebbe un esempio e può essere più comune in razze come il Cavalier King Charles spaniel. All’estremo, è stato ipotizzato che anche alcune anomalie gastroenteriche come il vomito siano la conseguenza di un’attività convulsiva. Anche altri disordini comportamentali, come la suzione del fianco o la morsicatura della coda, possono derivare da un focus convulsivo, ma manca una prova definitiva. Questi disordini sono di solito un’anomalia comportamentale primaria. Le crisi convulsive si possono avere come conseguenza di un’anomalia strutturale dell’encefalo, un’alterazione metabolica all’interno dell’organismo che influisce secondariamente sull’encefalo stesso, o in assenza di una causa evidente (epilessia idiopatica) (vedi capitolo 17). La valutazione clinica dipende inizialmente da due caratteristiche importanti: l’età di insorgenza della prima crisi convulsiva e la presenza di deficit neurologici interaccessuali. Certe razze di cani come Beagle, Belga tervuren, Pastore tedesco, Keeshond e Collie presentano una maggiore incidenza di epilessia idiopatica. Altre razze ad elevata incidenza sono il San Bernardo, il Pastore tedesco, il Golden retriever, il Setter irlandese, l’American cocker spaniel, il fox terrier a pelo duro, l’Alaskan malamute, il Siberian husky ed il Barbone nano. Le crisi convulsive idiopatiche non sono associate a deficit neurologici interaccessuali. Il riscontro di deficit evidenti all’esame neurologico in animali con crisi convulsive suggerisce una causa strutturale. Alcuni soggetti, tuttavia, possono presentare deficit neurologici reversibili durante il periodo postaccessuale. Tali deficit di solito si risolvono entro 48 ore; occasionalmente, possono durare per giorni dopo la crisi convulsiva. Per questa determinazione è importante sapere quando si sono verificate le crisi convulsive rispetto al momento dell’esame. Le cause metaboliche delle crisi convulsive di solito non determinano deficit neurologici persistenti. Questi sono possibili, in particolare quando è anormale anche lo stato mentale. I deficit associati alle malattie metaboliche, se presenti, sono solitamente simmetrici, a meno che non siano in atto concomitanti anomalie strutturali, quali edema o emorragia.

Author’s Address for correspondence: Rodney S. Bagley, Professor, Washington State University College of Veterinary Medicine, Pullman WA 99164-6610


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Neurologic diagnosis: what clues can be found from the animal’s gait and voluntary movement? Part I Rodney S. Bagley DVM, Dipl ACVIM (Neurology and Internal Medicine), Washington State, USA

Animals with neurological disease often present for problems walking, moving, and standing. This discussion will focus upon the clinical diagnosis of these abnormalities in dogs and cats.

NEUROANATOMY OF GAIT Gait is commonly defined as a regularly repeating series of leg movements during walking or running. The nervous system controls the actions of the muscles, bones, joints and associated connective tissue important for walking. Normal walking is produced by the recruitment of stepping reflexes which alternate between the extensor and flexor muscles. The vestibulospinal and reticulospinal tracts are facilitatory to the extensor muscles, important for maintenance of the body tone against gravity (the stance or propulsive phase). The corticospinal and the rubrospinal tracts are facilitatory to the flexor muscles, important for the protraction (flight) phase of limb movement. Locomotion is thought to be controlled at the level of the brain stem; however, a discrete anatomic gait center (nucleus) has not been identified. Supratentorial (forebrain) structures are important for voluntary initiation of movement. The cerebellum, while not necessary for the initiation of movement, is important for coordination of movement. Cerebellar influences coordinate and smooth body movements by controlling rate, range, and force of limb motion. The cerebellum helps to “smooth” movements.

CLINICAL EVALUATION OF ABNORMALITIES OF GAIT Clinical evaluation of gait usually involves observation of the animal’s movements during walking, and, when indicated, running. This is best accomplished by having a handler walk the animal over a flat, non-slippery area (such as concrete or carpet). An overall assessment is made of how the animal moves and clues are obtained to abnormalities present.

GENERAL ABNORMALITIES OF GAIT Ataxia literally means lack of an axis, and is sometime described as incoordination. Ataxia can result from a variety

of anatomic lesions within the nervous system, most commonly of the cerebellum, vestibular system and spinal cord sensory pathways. Ataxia, without motor involvement (paresis), usually implies cerebellar or cerebellar pathway disease. Sensory ataxia due to loss of joint position sense is often made worse by blindfolding the animal, effectively preventing visual compensatory mechanisms. Dysmetria is improper estimation of distance during muscular activity. Dysmetria includes both hypo- and hypermetria. With hypermetria, voluntary muscular movement overreaches the intended goal; with hypometria, voluntary movement falls short of the intended goal. Hypermetria is more commonly recognized than hypometria. Both of these abnormalities are most often associated with lesions of the cerebellum or cerebellar pathways. In the instance of hypermetria, for example, the loss of cerebellar input, which normally stops the flexion phase of gait, results in the exaggerated movement. Spasticity is a state of increased muscle tone and commonly results from upper motor neuron (UMN) lesions. Spasticity is observed in the gait as a lack of normal flexion or floating (failure to adequately flex the limbs during gait). Stiffness associated with decreased step length is commonly seen with diseases of the peripheral neuromuscular apparatus (LMN cell body, nerve roots, peripheral nerve, neuromuscular junction and muscle). Dogs with neuromuscular disease may also have a stiff, stilted, choppy gait due primarily to muscle weakness. These abnormalities may be episodic and occur, as in the case of myasthenia gravis, as the level of exercise increases. A similar appearance may occur in dogs with pain, primarily from musculoskeletal disease. Paresis is derived from the Greek word for relaxation and suggests neurological weakness without complete paralysis (implies that some voluntary motion remains). Varying degrees of paresis can occur with some animals retaining the ability to walk while others are unable to support their own weight and stand. Paresis may be observed at gait as dragging of the toes or feet. Abnormal toenail wear may suggest underlying paresis. Paresis at gait first occurs with lesions in the midbrain caudal to the level of the red nucleus. The severity of the gait impairment increases as the lesion occurs progressively more caudally in the central nervous system. For example, supratentorial lesions may result in significant hemiparesis when postural reactions are tested, however, gait remains relatively normal. With brain stem or spinal cord


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lesions, the associated paresis usually results in obvious gait impairment. Lameness (decreased or non-weight bearing on a limb(s)) is usually associated with pain of the limb from musculoskeletal disease. A similar clinical abnormality can also occur with nervous system dysfunction (and presumably pain), referred to as nerve root signature. This abnormality often occurs in a single thoracic limb due to cervical spinal compressive disorders (intervertebral disk extrusion). The same phenomenon may affect a pelvic limb. Often, the affected limb may appear painful upon manipulation, mimicking an orthopedic problem.

CLINICAL ASSESSMENT Important clues as to the cause of the gait abnormality can be obtained by assessing the step distance (i.e. the distance between where both thoracic or both pelvic limbs are placed in relation to each other). This determination is best made when viewing the animal from a lateral direction and when the animal is perpendicular to the examiner’s line of sight. Generally, animals with UMN neurological disease have normal or increased step lengths, where dogs with orthopedic or neuromuscular disease have shorten step lengths. Animals with UMN disease may appear irregular and uncoordinated, having a tendency to sway from side-to side; some may fall to the side. Their feet may contact the ground with increased force. Doberman pinchers with cervical vertebral malformation - malarticulation, for example, may over flex the hock joints during weight-bearing, presumably the result of motor or sensory weakness. Dogs with LMN disease may hold the head low (possibly because of neck muscle weakness) and take short (“choppy”) steps. Some have a kyphotic posture. They may tire easily and appear unwilling to perform. Animals with orthopedic disease may have a similar gait abnormality wherein the limb step length is short. Normal conscious proprioception in the presence of a shorten step distance should suggest underlying orthopedic disease or neuromuscular weakness. Poor limb perfusion, such as from a partial bilateral iliac arterial thrombus or from a right-to-left PDA may also result in a short, choppy pelvic limb gait. The clinical signs may worsen with exercise (similar to myasthenia gravis) and differential cyanosis may be seen with the latter disease. Dogs with vertebral pain may also be short-strided and reluctant to move. Depending upon where within the nervous system the lesion occurs, gait may be altered differently. Supratentorial disease will often not affect gait. Wide circling toward the side of a unilateral forebrain lesion is common. Occasionally, spasticity may be noticed, with the limb (primarily a thoracic limb) appearing stiff, floating and over-reaching. Also, apparent hypermetria may be found, usually in the thoracic limb opposite a supratentorial lesion. Lesions of the brain stem and cervical spinal cord will often have dramatic affects on gait, frequently impairing the ability to stand and generate a gait. If the lesion occurs unilaterally, ipsilateral hemiparesis is noted. If pathways are

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affected bilaterally, tetraparesis will be present. Spinal reflexes should reflect the UMN nature of the lesion.

NEUROLOGIC ABNORMALITIES RESULTING IN ABNORMAL GAIT Intracranial Disease Depending upon where within the nervous system the lesion occurs, gait may be altered differently. Supratentorial disease will often not affect gait. Wide circling toward the side of a unilateral forebrain lesion is common. Occasionally, spasticity may be noticed, with the limb (primarily a thoracic limb) appearing stiff, floating and over-reaching. Lesions of the brain stem and cervical spinal cord will often have dramatic affects on gait, frequently impairing the ability to stand and generate a gait. If the lesion occurs unilaterally, ipsilateral hemiparesis is noted. If pathways are affected bilaterally, tetraparesis will be present. Spinal reflexes should reflect the UMN nature of the lesion.

SPINAL CORD ABNORMALITIES Animals are commonly presented for problems involving the spine and spinal cord. Often, these clinical signs are reflected as problems with walking or moving (limb motion). If there is abnormal function of a limb, the first determination made is whether there is, in fact, a neurologic problem. If a neurologic problem is encountered, then a determination of the location of lesion or lesions is made. Once the location of the lesion is determined, an appropriate differential diagnosis and diagnostic plan can be formulated. The spinal cord can be functionally divided based upon the spinal segments and associated clinical signs of disease affecting these segments. The following is a summary of the clinical signs associated with lesions of selected spinal segments. The functional division of the spinal cord is primarily dependent on the presence of either upper motor neuron (UMN) or lower motor neuron (LMN) clinical signs to the limbs. The presence or absence of these characteristic signs is based upon the concept of local reflex (does not require conscious control) function and the normal control of these reflex functions from higher nervous system centers

LOWER MOTOR NEURON DISEASE Technically, the lower motor neuron includes the motor neuron cell body, the motor (efferent) peripheral nerve, the neuromuscular junction, and the muscle. As LMN signs can also occur with sensory (afferent) lesions of the peripheral nervous system, disease of these nerves are sometimes categorized under LMN disease in Part II. Author’s Address for Corrispondence: Professor Rodney S. Bagley, Washington State University, College of Veterinary Medicine, Pullman WA 99164-6610


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Diagnosi neurologica: quali indicazioni si possono trarre dalla valutazione dell’andatura e dai movimenti volontari dell’animale? I parte Rodney S. Bagley DVM, Dipl ACVIM (Neurology and Internal Medicine), Washington State, USA

Gli animali con malattie neurologiche spesso vengono portati alla visita a causa di problemi connessi alla deambulazione, al movimento ed alla stazione. La presente trattazione sarà focalizzata sulla diagnosi clinica di queste anomalie nel cane e nel gatto.

NEUROANATOMIA DELL’ANDATURA L’andatura viene comunemente definita come una serie regolarmente ripetuta di movimenti degli arti durante la deambulazione o la corsa. Il sistema nervoso controlla le azioni di muscoli, ossa, articolazioni e tessuto connettivo associato importanti per la deambulazione. La normale andatura al passo si ottiene con il reclutamento di riflessi specifici che si alternano fra i muscoli estensori e flessori. I tratti vestibolospinale e reticolospinale sono facilitatori per i muscoli estensori, importanti per il mantenimento del tono corporeo contro la gravità (la fase di stazione o propulsione). I tratti corticospinale e rubrospinale sono facilitatori dei muscoli flessori, importanti per la fase di protrazione (traiettoria in sospensione) del movimento dell’arto. Si ritiene che la locomozione sia controllata a livello del tronco encefalico; tuttavia, non è stato identificato un centro (nucleo) anatomico dell’andatura isolato e ben distinto. Per l’avvio volontario del movimento sono importanti le strutture sopratentoriali (proencefaliche). Il cervelletto, pur non essendo necessario per dare inizio al movimento, è importante per coordinarlo. Le influenze cerebellari coordinano e facilitano i movimenti corporei controllando la frequenza, l’escursione e la forza del movimento degli arti. Il cervelletto contribuisce a “facilitare” i movimenti.

VALUTAZIONE CLINICA DELLE ANOMALIE DELL’ANDATURA La valutazione clinica dell’andatura di solito comporta l’osservazione dei movimenti dell’animale durante il passo e, nei casi indicati, la corsa. Questa operazione si effettua preferibilmente utilizzando un conduttore che faccia camminare il soggetto in esame su un’area pianeggiante e non scivolosa (come un battuto di cemento o un tappeto). Si formula una valutazione complessiva del modo in cui l’animale si muove e si rilevano i dati che indicano la presenza di eventuali anomalie.

ANOMALIE GENERALI DELL’ANDATURA Il termine di atassia significa letteralmente mancanza di un asse e viene talvolta descritto come incoordinazione. L’atassia può derivare da una varietà di lesioni anatomiche all’interno del sistema nervoso, soprattutto del cervelletto, del sistema vestibolare e delle vie sensoriali del midollo spinale. L’atassia senza coinvolgimento motorio (paresi) di solito implica un’affezione cerebellare o delle vie cerebellari. L’atassia sensoriale dovuta alla perdita della percezione della posizione delle articolazioni viene spesso aggravata bendando l’animale in modo da privarlo temporaneamente della vista, impedendo efficacemente l’intervento dei meccanismi compensatori visivi. La dismetria è una stima impropria della distanza durante l’attività muscolare. Rientrano nella dismetria sia la ipoche la ipermetria. In quest’ultima i movimenti muscolari volontari vanno oltre il traguardo desiderato; nell’ipometria, i movimenti volontari sono troppo corti rispetto a quelli desiderati. L’ipermetria viene riconosciuta più comunemente dell’ipometria. Entrambe queste anomalie nella maggior parte dei casi sono associate a lesioni del cervelletto o delle vie cerebellari. Nel caso dell’ipermetria, ad esempio, la perdita degli impulsi cerebellari, che normalmente arrestano la fase di flessione dell’andatura, esita in un’esagerazione del movimento. La spasticità è uno stato di aumentato tono muscolare e deriva comunemente da lesioni del motoneurone superiore (MNS). Questa manifestazione si osserva nell’andatura sotto forma della mancanza di una normale flessione o fluttuazione (incapacità di flettere adeguatamente gli arti durante l’andatura). La rigidità associata a diminuzione della lunghezza del passo si osserva comunemente nelle malattie dell’apparato neuromuscolare periferico (corpi cellulari dei MNI, radici di nervi, nervi periferici, giunzione neuromuscolare e muscolo). I cani colpiti da affezioni neuromuscolari possono anche presentare un’andatura rigida, innaturale e incostante, dovuta principalmente a debolezza muscolare. Queste anomalie possono essere episodiche e si verificano, come nel caso della myasthenia gravis, all’aumentare del livello di esercizio. Un aspetto simile si può avere nei cani con dolore, principalmente dovuto ad una malattia muscoloscheletrica. Il termine paresi deriva da una parola greca utilizzata per indicare il rilasciamento e suggerisce una debolezza neurologica senza paralisi completa (il che implica il permanere di un


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certo movimento volontario). Si possono avere vari gradi di paresi ed alcuni animali mantengono la capacità di camminare, mentre altri non riescono a sostenere il proprio peso ed a rimanere in stazione. La paresi si può osservare durante l’andatura sotto forma di trascinamento della punta delle dita o dell’intera zampa. Il riscontro di un abnorme consumo delle estremità delle unghie può suggerire una paresi sottostante. La paresi durante l’andatura si riscontra dapprima in presenza di lesioni del mesencefalo localizzate caudalmente al livello del nucleo rosso. La gravità della compromissione dell’andatura aumenta man mano che la lesione si sposta progressivamente in sede più caudale nel sistema nervoso centrale. Ad esempio, le lesioni sopratentoriali possono esitare in una significativa emiparesi quando si esaminano le reazioni posturali, tuttavia, l’andatura rimane relativamente normale. In presenza di lesioni del tronco encefalico e del midollo spinale, la paresi associata di solito esita in un’evidente compromissione dell’andatura. La zoppia (diminuzione o sottrazione di uno o più arti al carico) è solitamente associata a dolore dell’arto dovuto ad una malattia muscoloscheletrica. Un’anomalia clinica simile si può anche riscontrare in presenza di disfunzione del sistema nervoso (e presumibilmente dolore) indicata col nome di segno della radice del nervo. Questa anomalia si riscontra spesso in un singolo arto toracico a causa di disordini compressivi spinali cervicali (estrusione del disco intervertebrale). Lo stesso fenomeno può interessare un arto pelvico. Spesso, l’arto colpito può apparire dolente alla manipolazione, simulando un problema ortopedico.

VALUTAZIONE CLINICA Si possono ottenere importanti indicazioni sulla causa dell’anomalia dell’andatura valutando la distanza del passo (cioè la distanza fra i punti in cui i due arti toracici o i due arti pelvici vengono posizionati l’uno in relazione all’altro). Questa determinazione si effettua preferibilmente osservando l’animale di fianco e con il soggetto perpendicolare alla linea dello sguardo dell’esaminatore. Generalmente, gli animali con malattia neurologica da MNS presentano lunghezze di passo normali o aumentate, mentre i cani con affezioni ortopediche o neuromuscolari mostrano un accorciamento delle stesse. I soggetti con malattia da MNS possono mostrare un atteggiamento irregolare ed incoordinato, con una tendenza ad oscillare da un lato all’altro; alcuni possono cadere su un fianco. Le loro zampe possono prendere contatto con il suolo con più forza del normale. I Dobermann con malformazione-malarticolazione vertebrale cervicale, ad esempio, possono flettere eccessivamente le articolazioni del tarso quando l’arto viene posto sotto carico, presumibilmente a causa di una debolezza motoria o sensoriale. I cani con malattia da MNI possono tenere la testa bassa (forse a causa di una debolezza dei muscoli del collo) e fare passi corti (“incostanti”). Alcuni assumono una postura cifosica. Si possono stancare facilmente e sembrano poco disposti a lavorare. Gli animali con malattia ortopedica possono presentare un’anomalia dell’andatura simile, in cui la lunghezza del passo dell’arto è breve. Una normale proprioce-

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zione conscia in presenza di un accorciamento della lunghezza del passo deve suggerire una sottostante malattia ortopedica o una debolezza neuromuscolare. Anche la cattiva perfusione dell’arto, come quella che si ha in seguito ad un trombo arterioso iliaco bilaterale parziale o ad un PDA destra-sinistra, può esitare in un’andatura degli arti pelvici breve e incostante. I segni clinici possono peggiorare con l’esercizio (analogamente alla myasthenia gravis) e in quest’ultima malattia si può osservare una cianosi differenziale. Anche i cani con dolore vertebrale possono compiere passi corti ed essere riluttanti a muoversi. A seconda del punto in cui si verifica la lesione all’interno del sistema nervoso, l’andatura può venire alterata in modo differente. Le affezioni sopratentoriali spesso non influiscono su di essa. È comune un ampio movimento di maneggio verso un lato di una lesione proencefalica monolaterale. Occasionalmente, si può notare una spasticità, con l’arto (principalmente toracico) che si presenta rigido, fluttuante e con manifestazioni da affaticamento. Inoltre, si può riscontrare un’apparente ipermetria, solitamente a livello dell’arto toracico opposto ad una lesione sopratentoriale. Le lesioni del tronco encefalico e del midollo spinale cervicale hanno spesso effetti impressionanti sull’andatura, compromettendo frequentemente la capacità di rimanere in stazione e di procedere. Se la lesione è monolaterale, si nota un’emiparesi ipsilaterale. Se le vie sono colpite bilateralmente, è presente una tetraparesi. I riflessi spinali devono rispecchiare la natura da MNS della lesione.

ANOMALIE NEUROLOGICHE CHE ESITANO IN ALTERAZIONI DELL’ANDATURA Malattia intracranica A seconda del punto in cui la lesione è localizzata all’interno del sistema nervoso, l’andatura può presentare alterazioni differenti. Le affezioni sopratentoriali spesso non influiscono su di essa. È comune il riscontro di ampi movimenti di maneggio verso il lato di una lesione proencefalica monolaterale. Occasionalmente si può notare spasticità, con l’arto (principalmente toracico) che si presenta rigido, fluttuante e sovraffaticato. Le lesioni del tronco encefalico e del midollo spinale cervicale hanno spesso effetti impressionanti sull’andatura, compromettendo frequentemente la capacità di rimanere in stazione e di procedere. Se la lesione è monolaterale, si nota un’emiparesi ipsilaterale. Se le vie sono colpite bilateralmente, è presente una tetraparesi. I riflessi spinali devono rispecchiare la natura da MNS della lesione.

ANOMALIE DEL MIDOLLO SPINALE Gli animali vengono comunemente portati alla visita per problemi che coinvolgono la colonna e il midollo spinale. Spesso, questi segni clinici si manifestano sotto forma di problemi durante la deambulazione o il movimento (movimento dell’arto). Se è presente un’alterazione della funzione


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di un arto, è necessario in primo luogo determinare se esiste davvero un problema neurologico. Se si riscontra un’alterazione di questo tipo, bisogna poi determinare la localizzazione della o delle lesioni. Una volta determinata la localizzazione della lesione, è possibile formulare una diagnosi differenziale appropriata ed un piano diagnostico adeguato. Il midollo spinale può essere suddiviso, dal punto di vista funzionale, sulla base dei segmenti spinali e dei segni clinici di malattia che li colpiscono. Quello che segue è un riassunto dei segni clinici associati alle lesioni di determinati segmenti spinali. La divisione funzionale del midollo spinale dipende principalmente dall’esistenza a livello degli arti di segni clinici riferibili al motoneurone superiore (MNS) o a quello inferiore (MNI). La presenza o assenza di queste caratteristiche manifestazioni si basa sul concetto di funzione di riflesso locale (che non richiede il controllo conscio) e sulle normali funzioni di controllo di questi riflessi da parte dei centri superiori del sistema nervoso.

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MALATTIA DA MOTONEURONE INFERIORE Tecnicamente, il motoneurone inferiore comprende il pirenoforo del motoneurone stesso, il nervo periferico motorio (efferente), la giunzione neuromuscolare ed il muscolo. Dal momento che i segni da MNI si possono riscontrare anche in presenza di lesioni sensoriali (afferenti) del sistema nervoso periferico, le malattie di questi nervi sono talvolta classificate fra quelle da MNI, che verranno trattate nella parte II.

Author’s Address for correspondence: Rodney S. Bagley Professor, Washington State University College of Veterinary Medicine Pullman WA 99164-6610


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Neurologic diagnosis: what clues can be found from the animal’s gait and voluntary movement? Part II Rodney S. Bagley DVM, Dipl ACVIM (Neurology and Internal Medicine), Washington State, USA

Functional areas and associated clinical signs of the spinal cord C1 - C5-UMN tetraparesis/plegia, neck pain C6 - T2-UMN signs to pelvic limbs; LMN signs to thoracic limbs T3 - L3-UMN signs to pelvic limbs; thoracic limbs normal L4 - S3-LMN signs to pelvic limbs and/or bladder Caudal -Tail abnormalities

The functional division of the spinal cord is primarily dependent on the presence of either upper motor neuron (UMN) or lower motor neuron (LMN) clinical signs to the limbs. The presence or absence of these characteristic signs is based upon the concept of local reflex (does not require conscious control) function and the normal control of these reflex functions from higher nervous system centers. An UMN is a neuron or group of neurons which does not exit the central nervous system, and influences, either positively or negatively, the LMN. Clinical signs of UMN include proprioceptive abnormalities, hyper- or normoreflexia, hyper- or normotonia, and disuse atrophy (slow and minimal). Hyperreflexia is due to loss of descending UMN inhibitory influence over the gamma neurons to the intrafusal muscle spindles. The LMN is analogous to the peripheral nervous system and the effector organs (primarily muscles) however, also includes the cell bodies of the peripheral nervous system in the gray matter of either the spinal cord or brain stem. The LMN is similar to factory workers, which are under the direction of their bosses (i.e. the UMN), but without which the factory could not function. Clinical signs of LMN disease include proprioceptive abnormalities, hypo- to areflexia, hypo- to atonia, and neurogenic atrophy (quick and severe atrophy). Both UMN and LMN abnormalities can result in proprioceptive deficits. Therefore, evaluation of spinal reflexes becomes important in separating the two lesions. Lesions of selected spinal areas Lesions of the C1 - C5 segments result in tetraparesis. Tetraplegia is uncommon as respiratory function is severely

compromised and death may occur prior to presentation. If the lesion occurs unilaterally within the spinal cord, a hemiparesis is found ipsilateral to the lesion. Cervical hyperesthesia is common with extradural compressive lesions and inflammatory diseases (meningitis). Horner’s syndrome may be present due to involvement of the descending sympathetic fibers in the lateral tectotegmental spinal tract. Reflexes in the affected limbs, being normal to exaggerated, will reflect UMN disease. Lesions of the C6 - T2 segments (cervical intumescence) may also result in tetraparesis; however, reflexes in the pelvic limb will be UMN while those in the thoracic limbs will be LMN. If the lesion is unilateral, a hemiparesis is seen with similar reflex changes. Horner’s syndrome may be present as the caudal cervical intumescence is where the preganglionic cell bodies lie and these nerves exit the spinal cord. If the lesion involves the C8 - T1 segments or nerves, the cutaneous trunci reflex may be abnormal. If the lesion is unilateral, the ipsilateral cutaneous trunci muscle will not contract with stimulation on either side of the body. The non-affected side, however, should still contract with stimulation on either side of the dorsum confirming the integrity of the T3 - L3 spinal segments. Lesions of the T3 - L3 spinal segments will result in paraparesis/plegia. Reflexes in the pelvic limbs will be UMN in character. The cutaneous trunci reflex may be absent caudal to the lesion, especially with more severe lesions. Also, with severe lesions, Schiff-Sherrington posture may be seen. Focal hyperesthesia in the area of the lesion is often seen with extradural compressive and inflammatory diseases. With unilateral lesions, an UMN monoparesis of the pelvic limb may be found. Lesions of the L4 - S3 spinal segments (lumbar intumescence) will result in paraparesis/plegia. Pelvic limb reflexes, however, will be LMN in character. Depending upon which area of the intumescence is involved, specific reflexes may be abnormal. With a lesion of the L4 - L6 segments (femoral nerve), the patella reflex is reduced or absent. Quadriceps muscle atrophy may be present. Sensation on the medial toe of the pelvic limb may be reduced or absent due to involvement of the saphenous nerve (sensory) which is a branch of the femoral. With lesions of the L6 - S1-2 segments (sciatic nerve), the withdrawal reflex is reduced or absent. The patellar reflex may appear exaggerated due to the loss of antagonist muscles to this reflex as a result of the sciatic involvement (pseudohyperreflexia). Atrophy of the muscles innvervated


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by the sciatic nerve may be present. Atrophy is often most obvious in the cranial tibial muscle. Remember that in the lumbar area, the spinal cord segments are in front of the corresponding vertebral segments. In dogs, the sacral segments lie over L 5 vertebra (remember an S looks like a 5) (S2-3 lie over L6 in cats). L 1 and L 2 segments overlie L 1 and L 2 vertebrae, respectively. Segments L 3 - 7 lie between L 3 and L 5 vertebrae. The spinal cord ends usually in the cranial 1/2 of L7 in dogs. In larger breeds it may terminate more cranially and in smaller breeds more caudal. In cats the spinal cord ends at L7 or the sacrum. With lesions of the S1-3 segments, bladder and colonic dysfunction is seen. The bladder will have characteristics reflecting the LMN lesion. With lesions of the caudal segments, tail dysfunction and reduced or absent tail sensation is seen. Once the lesion has been localized to the spinal cord, an appropriate group of differential diagnoses can be generated. There are some diseases that can affect the entire length of the spinal cord, whereas others affect only specific areas.

LOWER MOTOR NEURON DISEASE Technically, the lower motor neuron includes the motor neuron cell body, the motor (efferent) peripheral nerve, the neuromuscular junction, and the muscle. As LMN signs can also occur with sensory (afferent) lesions of the peripheral nervous system, disease of these nerves are sometimes categorized under LMN disease in Part II.

CLINICAL SIGNS Lower motor neuron signs are seen in the affected limbs or head. In animals, LMN disease primarily results in weakness. The gait is usually short-stepped and “choppy” if a gait is able to be generated. The limbs may appear flaccid, may tremor and buckle with weight bearing. With some diseases, weakness is exacerbated with exercise (e.g. Myasthenia gravis). Muscle weakness may be seen in visceral structures such as the esophagus. When evaluating conscious proprioception, it is important to evaluate the animal when fully weight-bearing and again when the animal’s weight is supported by the examiner as some diseases affect only the motor portion of the nerve. Diseases of the NMJ are one such example. Animals with disease of the NMJ or muscle may have proprioceptive deficits during weight bearing, but not when their weight is supported. With many peripheral nerve and UMN lesion, both motor and sensory weakness occurs concurrently, and postural reaction deficits will be seen regardless of weightbearing status. Spinal reflexes will be reduced or absent. Tone in the limbs will be poor with very little resistance to passive movement of the limb by the examiner. In some instances of

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disease of the NMJ (e.g. Myasthenia gravis) spinal reflexes are normal. Atrophy of muscles that occurs is neurogenic in origin. This atrophy occurs quickly after a LMN injury (within 7 to 10 days) and is severe (muscle waste away). Electromyographic (EMG) abnormalities can be detected in dennervated muscle as soon as 5 days after injury (fibrillation and positive sharp waves). Other signs of nervous system weakness such as megaesophagus, dysphagia, facial muscle weakness, dysphonia, and respiratory abnormalities may be seen. Remember that many of the cranial nerves are peripheral nerves and can be affected by polyneuropathies and NMJ disease. Individual peripheral nerves may be selectively involved with various pathological processes. Lesions of the femoral nerve result in an inability to extend the stifle and support weight. The animal may have difficulty bringing the limbs forward and may “bunny-hop” or be short-stepped in the affected limb (s). “Bunny-hopping” is the simultaneous advance of the pelvic limbs, and has classically been associated with UMN spinal cord disease (spinal dysraphism/myelodysplasia). Occasionally, animals with orthopedic disease (bilateral hip dysplasia or coxofemoral pain) will have the same gait abnormality. Lesions of the obturator nerve often do not affect gait in dogs and cats. If an animal is placed on a slippery surface, however, the affected pelvic limb(s) may slide laterally with weight bearing. Lesions of the sciatic nerve result in a characteristic gait wherein the distal foot is almost “thrown” forward by the movements of the more proximal muscles of the limb. When the animal is weight bearing, the hock joint may over flex resulting in the “dropped-hock” appearance. Atrophy of the muscles of the limb is common with LMN disease. Atrophy associated with sciatic disease is often obvious in the cranial tibial muscle group. With lesions of the cranial gluteal nerve, the stifle may become abducted during the stance phase of gait. Lesions of the radial nerve affect the animal’s ability to extend the carpus. If the lesion occurs proximally in the radial nerve, the elbow may be held more ventrally than normal. The limb may be carried off of the ground with the elbow flexed if the musculocutaneous nerve is intact. With lesions of the medial, ulnar, musculocutaneous and suprascapular nerves, gait is usually unaffected. The carpal joint may be overextended with medial and ulnar lesions. With musculocutaneous nerve paralysis, elbow flexion is poor and this joint may be held overextended. Tumor of the nerves of the brachial plexus may initially show signs of lameness in the affected limb. Suspicion should be heighten for these tumors in dogs with undiagnosed thoracic limb lameness.

Author’s Address for Correspondence: Professor Rodney S. Bagley, Washington State University, College of Veterinary Medicine, Pullman WA 99164-6610


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Diagnosi neurologica: quali indicazioni si possono trarre dall’andatura e dai movimenti volontari dell’animale? Parte II Rodney S. Bagley DVM, Dipl ACVIM (Neurology and Internal Medicine), Washington State, USA

LESIONI DI DETERMINATE AREE SPINALI Aree funzionali e segni clinici associati del midollo spinale C1 - C5 - MNS tetraparesi/plegia, dolore del collo C6 - T2 - segni da MNS a livello degli arti pelvici; segni da MNI a livello di quelli toracici T3 - L3 - segni da MNS a livello degli arti pelvici; quelli toracici sono normali L4 - S3 - segni da MNI a livello degli arti pelvici e/o vescica Caudale-anomalie della coda

La divisione funzionale del midollo spinale dipende principalmente dalla presenza di segni clinici da motoneurone superiore (MNS) o inferiore (MNI) a carico degli arti. La presenza o l’assenza di queste caratteristiche manifestazioni si basa sul concetto di funzione di riflesso locale (che non richiede il controllo conscio) e del normale controllo di queste funzioni riflesse da parte dei centri superiori del sistema nervoso. Un MNS è un neurone o un gruppo di neuroni che non fuoriesce dal sistema nervoso centrale ed influenza, positivamente o negativamente, il MNI. I segni clinici da MNS sono rappresentati da anomalie propriocettive, iper- o normoriflessia, iper- o normotonia ed atrofia da non uso (lenta e di minima entità). L’iperiflessia è dovuta a perdita dell’influenza inibitoria da MNS discendente sui neuroni gamma dei fasci muscolari intrafusali. Il MNI è analogo al sistema nervoso periferico e coinvolge l’organo effettore (principalmente muscoli), tuttavia comprende anche i corpi cellulari del sistema nervoso periferico nella sostanza grigia del midollo spinale o del tronco encefalico. Il MNI è simile agli operai di una fabbrica, che sono sottoposti alla direzione dei loro capi (cioè il MNS), ma senza i quali la fabbrica non potrebbe funzionare. I segni clinici di malattia da MNI sono rappresentati da anomalie propriocettive, ipo- o areflessia, ipo- o atonia ed atrofia neurogena (atrofia rapida e grave). Sia le anomalie da MNS che quelle da MNI possono esitare in deficit propriocettivi. Di conseguenza, per distinguere le due lesioni, diviene importante la valutazione dei riflessi spinali.

Le lesioni dei segmenti C1 – C5 esitano in tetraparesi. La tetraplegia è poco comune dal momento che la funzione respiratoria risulta gravemente compromessa e si può avere la morte prima che l’animale venga portato alla visita. Se la lesione è localizzata monolateralmente all’interno del midollo spinale, si riscontra un’emiparesi ipsilaterale alla lesione. È comune un’iperestesia cervicale con lesioni compressive extradurali e affezioni infiammatorie (meningite). Può essere presente la sindrome di Horner dovuta al coinvolgimento delle fibre simpatiche discendenti nel tratto spinale laterale tettotegmentale. I riflessi degli arti colpiti, normali o esagerati, riflettono la malattia da MNS. Anche le lesioni dei segmenti C6-T2 (intumescenza cervicale) possono esitare in tetraparesi; tuttavia, i riflessi degli arti pelvici saranno da MNS, mentre quelli degli arti toracici saranno da MNI. Se la lesione è monolaterale, si osserva un’emiparesi con analoghe modificazioni dei riflessi. Può essere presente la sindrome di Horner, dato che l’intumescenza cervicale caudale è il punto in cui sono situati i corpi cellulari pregangliari e questi nervi fuoriescono dal midollo spinale. Se la lesione coinvolge i segmenti o i nervi di C8-T1, il riflesso cutaneo del tronco può essere anormale. Se la lesione è monolaterale, il muscolo cutaneo del tronco ipsilaterale non si contrae in seguito alla stimolazione dell’uno o dell’altro lato del corpo. Il lato non colpito, tuttavia, dovrebbe ancora contrarsi con la stimolazione dell’uno o dell’altro lato del dorso, confermando l’integrità dei segmenti spinali T3 – L3. Le lesioni dei segmenti spinali T3 – L3 esitano in paraparesi/plegia. I riflessi degli arti pelvici avranno carattere da MNS. Il riflesso cutaneo del tronco può essere assente caudalmente alla lesione, in particolare in presenza di lesioni più gravi. Inoltre, nelle lesioni gravi si può osservare la postura di Schiff-Sherrington. In presenza di malattie compressive extradurali ed infiammatorie si riscontra spesso un’iperestesia focale nell’area della lesione. Nelle lesioni monolaterali, si può avere una monoparesi da MNS dell’arto pelvico. Le lesioni dei segmenti spinali L4 –S3 (intumescenza lombare) esitano in paraparesi/plegia. I riflessi dell’arto pelvico, tuttavia, avranno caratteristiche da MNI. A seconda dell’area in cui è coinvolta l’intumescenza, potranno risultare anormali riflessi specifici. Con una lesione dei segmenti L4-L6 (nervo femorale), il riflesso rotuleo è ridotto o assente. Può essere presente l’atrofia del muscolo quadricipite. La sensibilità della parte mediale della punta delle dita dell’arto pelvico può essere ridotta o assente a causa del coinvolgimento del nervo safeno


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(sensoriale), che è un ramo del femorale. In presenza di lesioni dei segmenti L6-S1-2 (nervo sciatico), il riflesso di retrazione è ridotto o assente. Quello rotuleo può apparire esagerato a causa della perdita dei muscoli antagonisti a questo riflesso come conseguenza del coinvolgimento sciatico (pseudoiporiflessia). Può essere presente un’atrofia dei muscoli innervati dal nervo sciatico. L’atrofia spesso è evidente soprattutto nel muscolo tibiale craniale. Va ricordato che nell’area lombare i segmenti del midollo spinale si trovano di fronte ai corrispondenti segmenti vertebrali. Nel cane, i segmenti sacrali sono situati al di sopra della vertebra L5 (ricordate che una S somiglia ad un 5) (S2-3 è situato al di sopra di L6 nel gatto). I segmenti L1 ed L2 sono situati, rispettivamente, sopra le vertebre L1 ed L2. I segmenti L3-7 sono situati fra le vertebre L3 ed L5. Nel cane, il midollo spinale termina solitamente nella metà craniale di L7. Nelle razze di mole maggiore può finire più cranialmente ed in quelle più piccole più caudalmente. Nel gatto, il midollo spinale termina a livello di L7 o del sacro. In presenza di lesioni dei segmenti S1-3, si osserva una disfunzione della vescica e del colon. La prima presenta delle caratteristiche che riflettono la lesione del MNI. In caso di lesioni dei segmenti caudali si osservano disfunzione della coda e riduzione o assenza della sensibilità caudale. Una volta che la lesione sia stata localizzata al midollo spinale, è possibile stilare un elenco appropriato di possibili diagnosi differenziali. Esistono alcune malattie che possono interessare l’intera lunghezza del midollo spinale, mentre altre colpiscono soltanto aree specifiche.

MALATTIA DA MOTONEURONE INFERIORE Tecnicamente, il motoneurone inferiore comprende il pirenoforo del motoneurone, il nervo periferico motorio (efferente), la giunzione neuromuscolare ed il muscolo. Dato che i segni da MNI si possono riscontrare anche in presenza di lesioni sensoriali (afferenti) del sistema nervoso periferico, le malattie di questi nervi sono talvolta classificate fra quelle da MNI nella parte II.

SEGNI CLINICI I segni da motoneurone inferiore si osservano a carico degli arti colpiti o della testa. Negli animali, la malattia da MNI esita principalmente in debolezza. L’andatura, quando l’animale riesce a camminare, è di solito caratterizzata da passi corti ed “incostante”. Gli arti possono apparire flaccidi e presentare tremori e cedimenti quando si trovano sotto carico. In alcune malattie (ad es, myasthenia gravis) la debolezza viene esacerbata dall’esercizio. La debolezza muscolare si può osservare nelle strutture viscerali come l’esofago. Per valutare la propriocezione conscia, è importante esaminare l’animale quando l’arto si trova pienamente sotto carico e poi nuovamente quando il peso del soggetto è sostenuto dall’esaminatore, dato che alcune malattie colpiscono soltanto la porzione motoria del nervo. Le malattie della giunzione neuromuscolare sono un esempio di questo tipo. Gli animali con affezioni della giunzione neuromuscolare o del muscolo possono presentare deficit propriocettivi quando sono sotto carico, ma non quando il loro peso viene sostenuto. In presenza di molte lesioni del nervo periferico e da MNS, si riscontrano concomi-

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tantemente sia la debolezza motoria che quella sensoriale e si osservano deficit delle reazioni posturali indipendentemente dal fatto che l’animale sia sotto carico oppure no. I riflessi spinali sono ridotti o assenti. Il tono negli arti risulta scadente, con una resistenza molto scarsa al movimento passivo da parte dell’esaminatore. Nei casi di malattia della giunzione neuromuscolare (ad es., myasthenia gravis) i riflessi spinali sono normali. L’atrofia muscolare che si instaura è di origine neurogena. Questa atrofia insorge rapidamente dopo un danno da MNI (entro 7-10 giorni) ed è grave (consunzione muscolare). Nei muscoli denervati si possono individuare delle anomalie elettromiografiche (EMG) appena 5 giorni dopo il danno (fibrillazione ed onde acute positive). Si possono osservare altri segni di debolezza del sistema nervoso quali megaesofago, disfagia, debolezza della muscolatura facciale, disfonia ed anomalie respiratorie. Va ricordato che molti dei nervi cranici sono nervi periferici e possono essere influenzati da polineuropatie e malattie della giunzione neuromuscolare. I singoli nervi periferici possono essere coinvolti selettivamente nell’ambito di vari processi patologici. Le lesioni del nervo femorale esitano nell’incapacità di estendere il ginocchio e sostenere il peso. L’animale può trovare difficoltà a portare l’arto in avanti e può “procedere a salti da coniglio” oppure fare dei passi corti con l’arto colpito. L’andatura “a salti da coniglio” consiste nel far avanzare simultaneamente gli arti pelvici ed è stata classicamente associata ad una malattia del midollo spinale da MNS (disrafismo spinale/mielodisplasia). Occasionalmente, animali con affezioni ortopediche (displasia bilaterale dell’anca o dolore coxofemorale) presentano la stessa anomalia dell’andatura. Le lesioni del nervo otturatore spesso non influiscono sull’andatura del cane e del gatto. Se l’animale viene posto su una superficie scivolosa, però, gli arti pelvici colpiti possono slittare lateralmente quando vengono posti sotto carico. Le lesioni del nervo sciatico esitano in una andatura caratteristica, in cui l’estremità distale del piede viene quasi “scagliata” in avanti dai movimenti dei muscoli più prossimali dell’arto. Quando l’animale è sotto carico, l’articolazione del tarso può venire eccessivamente flessa esitando in un aspetto a “garretto caduto”. L’atrofia dei muscoli dell’arto è comune in caso di malattia da MNI. L’atrofia associata a malattia del nervo sciatico è spesso evidente nel gruppo dei muscoli tibiali craniali. In presenza di lesioni del nervo gluteo craniale, il ginocchio può venire abdotto durante la fase di appoggio dell’andatura. Le lesioni del nervo radiale influiscono sulla capacità dell’animale di estendere il carpo. Se la lesione è localizzata prossimalmente lungo il nervo radiale, il gomito può essere tenuto più ventralmente del normale. L’arto può venire portato sollevato dal suolo, con un gomito flesso se il nervo muscolocutaneo è intatto. In presenza di lesioni dei nervi mediale, ulnare, muscolocutaneo e soprascapolare, l’andatura di solito non è colpita. L’articolazione carpale può venire eccessivamente estesa in caso di lesioni mediali ed ulnari. Nella paralisi del nervo muscolocutaneo, la flessione del gomito è scarsa e l’articolazione può venire tenuta in eccessiva estensione. I tumori dei nervi del plesso brachiale possono inizialmente determinare la comparsa di segni di zoppia a livello dell’arto colpito. La presenza di queste neoplasie deve sempre essere sospettata nei cani con zoppia non diagnosticata dell’arto toracico.


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Diseases of the brain: surgical considerations in the management of intracranial disease Rodney S. Bagley DVM, Dipl ACVIM (Neurology and Internal Medicine), Washington State, USA

INDICATIONS FOR INTRACRANIAL SURGERY Intracranial surgery is most commonly employed for removal of intracranial masses, biopsy of intracranial lesions, placement of ventricular shunts, decompression and debridement of intracranial tissues, and treatment of increased ICP. Surgery may include removal of sizable portions of the skull (craniotomy or craniectomy) or be limited to smaller burr holes for decompression and evacuation of hematoma or stereotactic biopsy. Other indications for intracranial surgery in humans include treatment for seizures, chronic pain, and movement disorders.

IMMEDIATE PREOPERATIVE MANAGEMENT A consensus on the most appropriate preoperative management of animals for intracranial surgery is lacking. Many preoperative procedures are taken from similar experiences in humans, and are based on information regarding pathophysiologic alterations in the CNS and their treatments. Once the animal is anesthetized and intubated, hyperventilation can be used to decrease ICP due to the physiologic effects of PaCO2 concentrations on cerebral blood flow. Animals are usually slightly hyperventilated during intracranial procedures to maintain PaCO2 in the range between 28 and 32 mm Hg to prevent associated cerebral hypoxia from poor ventilation. Endotracheal intubation and ventilator support can be performed under the influence of barbiturate anesthesia or neuromuscular blockade. Appropriate ventilator management during anesthesia is imperative. Recommendations for position of the head for intracranial surgery vary depending upon the approach planned. It is helpful to place the animal’s head in a holding device that allows the head to be positioned above the level of the heart and does not impede venous return by occluding the jugular veins. Diuretics will help to decrease ICP and improve cerebral perfusion primarily through their effects on blood viscosity (i.e. osmotic diuretics) and intracranial water content. Mannitol and furosemide are useful in this role. Many animals requiring intracranial surgery have seizures as a clinical problem. These animals are often receiving anticonvulsants prior to surgery, which should be continued in the preoperative period. If animals are not receiving anti-

convulsants, and if the risks of seizures after surgery is significant, then anticonvulsant therapy should be begun prior to surgery. The routine use of prophylactic anticonvulsant administration, however, has been questioned in some situations in humans primarily because of overall low risk of seizures after surgery and incidence of side effects of the medications. Ideally, medications should be begun prior to surgery to allow for some stabilization of therapeutic levels prior to the actual surgery. Because of alterations in cerebral blood flow and systemic blood levels, levels of anticonvulsants may fluctuate widely during and after surgery. Corticosteroids are commonly administered in the treatment of spinal trauma, and have been recommended as a treatment for brain edema. These drugs are often administered prior to or during intracranial surgery. While corticosteroids have shown benefit by reducing cerebral edema in brain tumor patients, caution has been suggested when using corticosteroids for other types of brain injury. Whether corticosteroids have the same potential adverse effects in animals during intracranial surgery is not established. Controlled studies proving benefit of this treatment, however, have not been performed. Side effects such as increased potential for infection and gastrointestinal ulceration should also be considered. The necessity for preoperative and intraoperative antibiotics has been debated in human neurosurgery, however, there is support for the prophylactic antibiotic administration in clean neurosurgical procedures. Similar to the reasons supporting prophylactic antibiotic use for clean surgical procedures, antibiotics are most often given for prolonged (>1.5 hour) procedures, if contaminated body cavities are to be opened (i.e. the nasal cavity), or if contamination is more likely (excessive number of individuals involved in surgery). Prophylactic antibiotics given are usually first-generation cephalosporins (cephalothin 22 mg/kg IV q 1.5 h) until the end of the surgical procedure.

INTRAOPERATIVE MONITORING AND TREATMENT During surgery, standard anesthetic and physiologic monitoring should occur on a regular basis. This commonly includes monitoring of heart rate and rhythm, blood pressure, blood gases, urine production, and in some instances, ICP through objective means. The goal of such monitoring is to maintain adequate cerebral blood flow without compromis-


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ing other systemic organs. These parameters are maintained through support of systemic blood pressure using fluid therapy and vasopressive drugs if needed. Blood gas measurements or capnometer use aid in controlling respiration to avoid increases in PaCO2 and subsequent cerebrovasodilation. Capnometer measurements, however, are less accurate than direct blood gas measurements. Cerebral perfusion is dependent upon systemic blood flow and intracranial pressure and is expressed via the formula CPP = MABP - ICP (CPP - cerebral perfusion pressure, MABP - mean arterial blood pressure). For CPP to remain constant, the effects of increased ICP on blood flow to the brain must be reciprocated for by increases in systemic blood pressure. Cerebral perfusion pressure is a determinant of cerebral blood flow (CBF) but is not always equivalent. Intracranial pressures are monitored objectively in some situations, however, this type of measurement is not routinely performed in animals. Intracranial pressure monitoring has been described in dogs and cats. Advantages to ICP monitoring are that with this measure, trends toward increasing ICP can be recognized early and treated prior to having life-threatening increases. 6 An objective measure of ICP and blood pressure also allows for calculation of CPP. Disadvantages to ICP monitoring included added surgery time for implantation of the monitoring system, expense, and the potential for iatrogenic brain damage from the monitoring system. Until some of these disadvantages are overcome, ICP monitoring will probably not become routine for animals undergoing intracranial surgery. Newer, non-invasive techniques for measurement of the cerebral blood flow with Doppler may provide an indirect measure of ICP. In humans, for example, transcranial doppler ultrasound waveforms can provide an indication of the state of cerebral blood flow relative to ICP. Similar procedures and information has been investigated in dogs and cats.

SURGICAL APPROACHES AND PROCEDURES Once it is determined that an intracranial lesions requires surgery, a plan is made as to the best anatomical approach to provide maximal exposure of the lesion. Surgical approaches are limited by the complexity and necessary of preserving normal anatomical structures in the surgical field. In general, the major limitation to successful intracranial surgery is adequate access and exposure of the lesion. Options for anatomical access the various intracranial areas and intracranial surgical techniques are discussed in an accompanying article.

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the degree of lesion resection as well as any intracranial complications associated with the surgical procedure such as cerebral edema, parenchymal damage, or hemorrhage (hematoma). Immediate surgical decompression is indicated if there is an expanding hematoma or if brain compression is significant immediately following the initial surgical procedure. After anesthetic recovery, animals are usually monitored in a critical care or intensive care area for signs of neurologic deterioration secondary to pathophysiologic sequelae to intracranial injury or disease for at least 48 hours after surgery in most instances. Animals should be kept in a comfortable, well padded, and quiet environment with minimal light stimulation. As an example, cerebral edema may evolve for up to 48 hours after injury and persist for a week or more following intracranial injury. Physiologic monitoring during the hours to days following intracranial surgery should be performed on a frequent if not continual basis. This type of monitoring commonly includes assessment of heart rate and rhythm, respiratory rate and character, blood pressure, blood gases, oxygenation status, urine production, and in some instances, ICP through objective means. The goal of such monitoring is to maintain adequate cerebral blood flow without compromising other systemic organs. Cerebral blood flow is most importantly maintained through support of systemic blood pressure using fluid therapy and vasopressive drugs if needed as the same time preventing increases in ICP. Blood gas measurements or capnometer use aid in controlling respiration to avoid increases in PaCO2 and subsequent cerebrovasodilation. Capnometer measurements, however, are usually less accurate than direct blood gas measurements. Intracranial pressures are monitored objectively in some situations, however, this type of measurement is not routinely performed in animals Neurologic parameters monitored include pupil size and responsiveness to light, level of consciousness, behavior, and the ability to move and walk. As well, cranial nerve abnormalities may provide important clues to underlying intracranial injury or deterioration. Oral food and water are withheld until the animal is fully alert. With the combination of intracranial depressant effects of surgical manipulation and anesthetic or anticonvulsant drug therapies, appropriate swallowing make take a number of days to return to a state to prevent aspiration of oral contents (see under non-neurologic complications in this chapter). Stools are monitored regularly for evidence of melena that might indicate gastrointestinal ulceration. If noted, an anti-ulcer medication (e.g. ranitidine) is administered concurrently due to the apparent increase in gastrointestinal ulcers in neurologic patients.

POSTOPERATIVE MANAGEMENT Immediately following surgery, while still under anesthesia, it is ideal to perform an anatomical imaging study such as a magnetic resonance (MR) imaging study to assess

Author’s Address for Correspondence: Professor Rodney S. Bagley, Washington State University, College of Veterinary Medicine, Pullman WA 99164-6610


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Patologie cerebrali: considerazioni chirurgiche nella gestione delle patologie intracraniche Rodney S. Bagley DVM, Dipl ACVIM (Neurology and Internal Medicine), Washington State, USA

INDICAZIONI PER LA CHIRURGIA INTRACRANICA Nella maggior parte dei casi, la chirurgia intracranica viene impiegata per la rimozione di masse, il prelievo di campioni bioptici da lesioni interne, l’inserimento di shunt ventricolari, la decompressione e la revisione chirurgica di tessuti intracranici ed il trattamento degli aumenti della ICP. La chirurgia può consistere nella rimozione di porzioni di dimensioni variabili del cranio (craniotomia o craniectomia) oppure essere limitata alla realizzazione di fori con una fresa per decomprimere ed evacuare ematomi o eseguire biopsie stereotattiche. Altre indicazioni per la chirurgia intracranica nell’uomo sono il trattamento delle crisi convulsive, del dolore cronico e dei disordini del movimento.

TRATTAMENTO PREOPERATORIO IMMEDIATO Gli autori non concordano su quale sia il trattamento preoperatorio più appropriato per gli animali destinati alla chirurgia intracranica. Molte procedure preoperatorie sono desunte da esperienze analoghe nell’uomo e sono basate su informazioni relative ad alterazioni fisiopatologiche del SNC ed al loro trattamento. Una volta che l’animale sia stato anestetizzato ed intubato, si può ricorrere all’iperventilazione per diminuire l’ICP grazie agli effetti fisiologici delle concentrazioni di PaCO2 sulla perfusione ematica cerebrale. Gli animali sono di solito leggermente iperventilati durante le procedure intracraniche, al fine di mantenere la PaCO2 nell’intervallo compreso fra 28 e 32 mm Hg per prevenire l’ipossia cerebrale associata da cattiva ventilazione. È possibile attuare l’intubazione orotracheale ed il supporto della ventilazione sotto l’influenza dell’anestesia con barbiturici o del blocco neuromuscolare. Durante l’anestesia, è essenziale un’appropriata gestione della ventilazione. Le raccomandazioni relative al posizionamento della testa per la chirurgia intracranica variano a seconda dell’approccio pianificato. È utile porre la testa dell’animale su un dispositivo di sostegno che permetta di posizionarla al di sopra del livello del cuore e non impedisca il ritorno venoso occludendo le vene giugulari. I diuretici contribuiscono a diminuire la ICP e migliorano la perfusione cerebrale principalmente grazie ai loro effetti

sulla viscosità ematica (diuretici osmotici) e sul contenuto idrico intracranico. Da questo punto di vista sono utili il mannitolo e la furosemide. Molti animali che necessitano della chirurgia intracranica presentano crisi convulsive come problema clinico. Spesso, già prima dell’intervento questi soggetti sono sotto terapia con anticonvulsivanti, che dovrebbero essere continuati nel periodo preoperatorio. Nei soggetti non ancora trattati con questi farmaci, se il rischio di crisi convulsive dopo l’intervento chirurgico è significativo la terapia con anticonvulsivanti va iniziata prima dell’intervento. L’impiego di routine della somministrazione di anticonvulsivanti a scopo profilattico, tuttavia, è stato messo in discussione in alcune situazioni nell’uomo, principalmente a causa del basso rischio complessivo di crisi convulsive dopo l’intervento chirurgico e dell’incidenza degli effetti collaterali dei farmaci impiegati. In condizioni ideali, la somministrazione di questi ultimi deve iniziare prima dell’intervento, in modo da consentire una certa stabilizzazione dei livelli terapeutici prima di ricorrere alla chirurgia. A causa delle alterazioni del flusso ematico cerebrale e dei livelli ematici sistemici, i livelli di anticonvulsivanti possono fluttuare ampiamente durante e dopo l’intervento. I corticosteroidi vengono comunemente somministrati nel trattamento del trauma spinale e sono stati raccomandati per la terapia dell’edema cerebrale. Questi farmaci vengono spesso impiegati prima o nel corso di un intervento di chirurgia intracranica. Si sono dimostrati utili riducendo l’edema cerebrale nei pazienti con tumori encefalici, ma è stato suggerito di impiegarli con cautela per altri tipi di danni cerebrali. Non è ancora stato stabilito se i corticosteroidi abbiano gli stessi potenziali effetti indesiderati negli animali durante la chirurgia intracranica. Tuttavia, non sono stati condotti studi controllati che dimostrino i benefici di questo trattamento. Bisogna anche tenere in considerazione gli effetti collaterali come l’aumento del potenziale rischio di infezione ed ulcerazione gastroenterica. La necessità della somministrazione pre- ed intraoperatoria di antibiotici è stata oggetto di discussione in neurochirurgia umana; tuttavia, si può ritenere giustificata la somministrazione di antibiotici a scopo profilattico nelle procedure neurochirurgiche pulite. Su una base simile a quella delle ragioni che sostengono l’uso profilattico degli antibiotici per le procedure chirurgiche pulite, nella maggior parte dei casi si somministrano antibiotici per le procedure prolungate (> 1,5 ore), se si devono aprire cavità corporee contaminate


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(cavità nasale) o se è più probabile una contaminazione (numero eccessivo di individui coinvolti nella chirurgia). Gli antibiotici somministrati a scopo profilattico sono solitamente le cefalosporine di prima generazione (cefalotina 22 mg/kg IV ogni 1,5 ore) fino al termine dell’intervento chirurgico.

TRATTAMENTO E MONITORAGGIO INTRAOPERATORIO Durante l’intervento chirurgico, si devono attuare su base regolare l’anestesia standard ed il monitoraggio fisiologico. Questo comprende comunemente il monitoraggio della frequenza e del ritmo cardiaci, della pressione sanguigna, dei gas ematici, della produzione di urina e, in alcuni casi, della ICP attraverso mezzi obiettivi. Lo scopo di questo monitoraggio è quello di mantenere un’adeguata perfusione ematica cerebrale senza compromettere altri apparati. Questi parametri vengono mantenuti attraverso il supporto della pressione sanguigna sistemica utilizzando la fluidoterapia ed i farmaci vasopressori in caso di necessità. L’impiego dei metodi di misurazione dei gas ematici o del capnometro contribuisce al controllo della respirazione per evitare aumenti della PaCO2 e conseguente vasodilatazione cerebrale. Le misurazioni capnometriche, tuttavia, sono meno accurate della emogasanalisi diretta. La perfusione cerebrale dipende dal flusso ematico sistemico e dalla pressione intracranica e si esprime attraverso la formula CPP = MABP – ICP (CPP = pressione di perfusione cerebrale, MABP = pressione sanguigna arteriosa media). Perché la CPP rimanga costante, gli effetti dell’aumento della ICP sul flusso ematico a livello dell’encefalo devono essere contrastati da aumenti reciproci della pressione sanguigna sistemica. La pressione di perfusione cerebrale è un fattore determinante del flusso ematico cerebrale (CBF, cerebral blood flow), ma non è sempre equivalente. Le pressioni intracraniche vengono monitorare oggettivamente in alcune situazioni, tuttavia, questo tipo di misurazione non si esegue di routine negli animali. Il monitoraggio della pressione intracranica è stato descritto nel cane e nel gatto. I suoi vantaggi sono che, con questa misura, è possibile riconoscere precocemente le tendenze all’incremento della ICP e trattarle prima di arrivare ad aumenti potenzialmente letali. Anche la misurazione obiettiva della ICP e della pressione sanguigna permette di calcolare la CPP. Gli svantaggi del monitoraggio della ICP sono rappresentati dal prolungamento della durata dell’intervento chirurgico imposto dalla necessità di mettere in atto il sistema di monitoraggio, dal costo e dal potenziale rischio di danno cerebrale iatrogeno dovuto al sistema stesso. Fino a che alcuni di questi svantaggi non saranno superati, il monitoraggio della ICP probabilmente non diventerà una procedura di routine per gli animali da sottoporre a chirurgia intracranica. Più recenti tecniche non invasive per la misurazione della perfusione ematica cerebrale con il metodo Doppler possono fornire una misura indiretta della ICP. Nell’uomo, ad esempio, le forme delle onde ultrasoniche Doppler transcraniche possono fornire un’indicazione dello stato del flusso

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ematico cerebrale rispetto alla ICP. Procedure ed informazioni simili sono state studiate nel cane e nel gatto.

APPROCCI E PROCEDURE CHIRURGICI Una volta determinato che una lesione intracranica richiede un intervento chirurgico, è necessario effettuare una pianificazione in modo da adottare il miglior approccio anatomico per ottenere la massima esposizione della lesione. Gli approcci chirurgici sono limitati dalla complessità e della necessità di preservare le normali strutture anatomiche nel campo operatorio. In generale, il principale limite al successo della chirurgia intracranica è la disponibilità di un accesso adeguato e di una corretta esposizione della lesione. Le opzioni relative all’accesso anatomico alle varie aree intracraniche e le tecniche chirurgiche intracraniche sono trattate in un altro lavoro.

TRATTAMENTO POSTOPERATORIO Immediatamente dopo la chirurgia, con il paziente ancora sotto anestesia, l’ideale è eseguire una valutazione anatomica mediante tecniche di diagnostica per immagini come la risonanza magnetica, al fine di valutare il grado di resezione della lesione, nonché ogni eventuale complicazione intracranica associata alla procedura operatoria, come l’edema cerebrale, il danno del parenchima o l’emorragia (ematoma). In presenza di un ematoma in espansione o quando la compressione cerebrale risulta significativa immediatamente dopo la procedura chirurgica iniziale, è indicata una decompressione chirurgica immediata. Dopo il risveglio dall’anestesia, nella maggior parte dei casi gli animali vengono solitamente monitorati per almeno 48 ore dopo l’intervento chirurgico in una struttura per pazienti in condizioni critiche o di terapia intensiva, al fine di rilevare i segni di deterioramento neurologico secondari alle sequele fisiopatologiche, al danno intracranico o alla malattia. Gli animali devono essere tenuti in un ambiente confortevole, ben imbottito e tranquillo, con una stimolazione luminosa ridotta la minimo. Ad esempio, l’edema cerebrale può insorgere anche dopo 48 ore dal danno e persistere per una settimana o più dopo la chirurgia intracranica. Il monitoraggio fisiologico durante le ore o i giorni successivi alla chirurgia intracranica deve essere effettuato su base frequente se non continua. Questo tipo di monitoraggio comprende comunemente la valutazione della frequenza e del ritmo cardiaci, della frequenza e dei caratteri del respiro, della pressione sanguigna, dei gas ematici, dello status dell’ossigenazione, della produzione di urina e, in alcuni casi, della ICP mediante metodi obiettivi. Lo scopo di questo monitoraggio è quello di mantenere un’adeguata perfusione ematica cerebrale senza compromettere altri apparati. Il flusso ematico cerebrale viene mantenuto soprattutto attraverso il sostegno della pressione sanguigna sistemica mediante fluidoterapia e farmaci vasopressori in caso di necessità, evitando nello stesso tempo gli aumenti della ICP. L’emogasanalisi o l’impiego di un capnometro contribuiscono al controllo della respirazione per evitare


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aumenti della PaCO2 e la conseguente vasodilatazione cerebrale. Le misurazioni del capnometro, tuttavia, sono di solito meno accurate della emogasanalisi diretta. Le pressioni intracraniche vengono monitorate obiettivamente in alcune situazioni, tuttavia questo tipo di misurazione non viene effettuato di routine negli animali. I parametri neurologici monitorati sono rappresentati da dimensioni della pupilla e risposta alla luce, livello di coscienza, comportamento e capacità di muoversi e camminare. Analogamente, le anomalie dei nervi cranici possono fornire importanti indicazioni circa i sottostanti danni o deterioramenti intracranici. L’assunzione di cibo ed acqua per via orale deve essere sospesa fino a che l’animale non è completamente vigile. Con la combinazione degli effetti depressivi intracranici, della manipolazione chirurgica e delle terapie farmacologi-

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che con anestetici o anticonvulsivanti, il ritorno alla deglutizione appropriata può richiedere un certo numero di giorni per giungere ad uno stato che eviti l’aspirazione del contenuto orale (si vedano le complicazioni non neurologiche in questo capitolo). Le feci vengono monitorate regolarmente per rilevare la presenza di melena, che potrebbe indicare un’ulcerazione gastroenterica. In caso di riscontro positivo, si somministrano contemporaneamente farmaci antiulcera (ad es., ranitidina), a causa dell’apparente incremento di queste lesioni nei pazienti neurologici.

Author’s Address for correspondence: Rodney S. Bagley Professor, Washington State University College of Veterinary Medicine Pullman WA 99164-6610


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Diseases of the spine: surgical considerations in the management of spinal disease Rodney S. Bagley DVM, Dipl ACVIM (Neurology and Internal Medicine), Washington State, USA

Once a spinal cord abnormality has been diagnosed, treatment recommendations can be offered. Some spinal neurologic diseases, such as many of the spinal degenerative disorders, either are not treatable or have no globally accepted treatment. For those diseases with established treatments, general treatments include either non-surgical (medical) or surgical treatments. Rehabiliation, physical therapy, and pain management are also important aspects of treatment of spinal diseases.

SURGICAL TREATMENTS FOR SPINAL CORD DISEASE The indications for spinal surgery include decompression of the spinal cord or nerve roots, stabilization or realignment of veterbral structures, diagnosis of spinal disease (biopsy), and preventative treatments such as for intervertebral disk disease. General aspects of spinal surgery are discussed further.

SPINAL CORD DECOMPRESSIVE PROCEDURES If the spinal cord is compressed by disease, access to the spinal cord and removal of the compressive abnormality is necessary. There are two basic decompressive surgical procedures; the hemilaminectomy and the dorsal laminectomy. In addition, for ventral cervical decompression, a specialized partial spondylectomy referred to commonly as a ventral slot is useful. As the term laminectomy implies, these procedures involve removal of bone (i.e. the lamina) from various areas around the spinal cord to provide access to the epidural space and dural tube. Depending on the individual surgeon’s preference, either may be used in routine situations, however, the author prefers the hemilaminectomy in most cases due to the increased incidence of ventral and unilateral spinal compression. The thoracolumbar area can be accessed for decompression via a dorsal approach for either a hemilaminectomy or a dorsal laminectomy. With localized lesions on one side and centered exclusively around the nerve root, a foraminotomy (surgically enlarging the intervertebral foramen) may be the procedure of choice.

ADVANTAGES AND DISADVANTAGES The major advantage of the hemilaminectomy is that this procedure provides for adequate exposure of the dorsal, lateral, and ventral spinal cord and unilateral nerve root. This degree of exposure is beneficial in most instances of intervertebral disk disease as the herniated disk material is found usually ventrally or laterally.. Problems with the hemilaminectomy include the need for accurate localization of the side of the lesion and the potential for hemorrhage from the vertebral sinuses in the vertebral canal. The dorsal laminectomy is useful for lesions located exclusively in the dorsal aspect of the spinal cord or canal. This technique results in a greater degree of instability of the spine than does the hemi-laminectomy. Surgeons experienced with this technique find it useful even for ventrally situated lesions, however, an increased amount of spinal cord manipulation may result. Three basic types of dorsal laminiectomies exist; Funkquist types A and B, and the modified dorsal laminectomy. Problems with laminiectomy membrane formation (postoperative scarring resulting in spinal cord compression) occurred commonly with the Funkquist type A laminectomy and this procedure is almost never performed in the modern era. The Funkquist type B laminectomy was developed to decrease this post-operative scarring complication, but results in limited ventral exposure to the spinal cord. The modified dorsal laminectomy was developed to allow for better exposure to the ventral spinal cord while decreasing the risk of laminectomy membrane formation. This procedure is most adequate for dorsal compressive lesions in the thoracolumbar area, however, may be less ideal for ventrolateral compression. The cervical area can be accessed for decompression via a ventral, lateral, or dorsal approach. A ventral slot is the common phrase used to describe a ventral decompressive spinal surgical procedure used primarily in the cervical region. This procedure is most adequate for ventral compressive lesions in the cervical area from C2-3 through C67 and possibly C7-T1. This approach allows limited access to the ventral aspect of the spinal cord overlying the disk space. Access is limited due to the normal course of the ventral vertebral sinuses. Additionally, removal of excessive amounts of the vertebral body results in significant spinal instability. Cervical hemilaminectomy or dorsal laminectomy is most useful for surgical decompression of dorsal and lateral


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(sometimes ventral) compressive lesions in the cervical area from C2-3 through C6-7 and possibly C7-T1. The lateral cervical approach may be used to access the lateral aspect of the caudal cervical area. If necessary, a hemilaminectomy of the caudal cervical and cranial thoracic vertebrae can be performed through this approach. The major disadvantage of the lateral cervical approach is that only C3-4 to C5-6 can be accessed easily. An approach similar to the craniolateral approach to the brachial plexus may allow access to the more caudal cervical area if desired.

BRACHIAL PLEXUS PROCEDURES The brachial plexus is most often accessed for nerve sheath tumor arises from these nerves. Biopsy of affected nerves, as in the case of brachial plexus neuritis, can also be performed. If necessary, a hemilaminectomy of the caudal cervical and cranial thoracic vertebrae can be performed through this approach. Also, the surgical approach can be extending for limb amputation.

NONDECOMPRESSIVE PROCEDURES Fenestration is a prophylactic procedure wherein the vertebral canal is not entered. The intervertebral disc spaces are incised and the nucleus pulposis is removed. This may prevent further extrusion of nucleus pulposis and may result in fibrosis of the IVD. Success with this procedure varies primarily with the severity of the clinical signs. Fenestration alone, however, is not a spinal decompressive procedure.

CHOOSING A TREATMENT FOR SPINAL DISEASE When a surgical treatment is an option, the choice of either a non-surgical versus a surgical treatment for spinal disease is based on a multitude of factors including financial acpects as surgical treatments tend to be more costly. A major factor, however, in choosing a non-surgical versus a surgical treatment is the degree of impairment or the serverity of the clinical signs. The severity of clinical signs can be graded to help in this determination. An assessment of the serverity of clinical impairment will also determine that necessary for rapid diagnosis and treatment (i.e. the need for emergency surgery). While we would all hope scientific data would be available to be used as a guide in making decisions regarding when surgical treatment of spinal disease is necesary, clinical decisions are still commonly based on individual opinion from anecdotal experiences. The following are guidelines for surgical management of animals with spinal cord disease. These are only guidelines and modification may be necessary in individual animals depending upon special circumstances (e.g. systemic health, owner finances). Decisions regarding when and if surgical versus non-surgical treatment for spinal cord disease is indicated are primarily made based on two main facets: the severity of neu-

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rological signs and chronicity of the problem. As important is the presumptive diagnosis based on clinical evaluation. The graded scale can be used to assess severity of spinal injury. The decision as to when to pursue aggressive diagnostics and therapy is also dependent upon the presumptive diagnosis. Animals that are presumed to have diseases that might result in further clinical deterioration should always be evaluated and treated as rapidly as possible. If a disease (such as an acute spinal injury) has occurred to the spinal cord and this injury is assumed to be non-progressive, the choice of therapy is often made based on the degree of clinical impairment. Diseases such as intervertebral disk extrusion or protrusion and exogenous spinal injury usually fall into this category. In some instances, an acute spinal injury will be result in progressive clinical signs over the ensuing hours or days. If a non-surgical treatment option is initially choosen, however, the clinical signs continue to worsen, a surgical treatment should be considered as rapidly as possible prior to significant clinical impairment. As an example, a dog with a signalment and history that suggests an acute intervertbral disk problem or exogenous spinal injury can be managed generally via these guidelines. Approximately 60-70% of dogs with acute intervertebral disk disease that are grade 6 or higher at initial presentation improve or completely resolve this problem without surgical intervention. If clinical signs worsen during strict confinement, a more thorough evaluation should be pursued. Generally, animals who are a grade 6 or higher who have had clinical signs for less than two weeks in duration and have a presumptive diagnosis of a spinal injury, either from an intervertebral disk problem or exogenous injury, are candidates for non-surgical management of their spinal problem. Non-surgical management primarily includes strict cage confinement for at least a two-week period of time, acute antiinflammatory medications (for the first day +), and treatment for spinal pain (as necessary) with subsequent reevaluation and reassessments performed as necessary. Clinical assessments are made at least daily if not more frequenty until clinical signs are non-progressive for at least a 48-hour peroid of time. These assessments are often performed with the animal hospitalized for the first 24 to 48 hours following a spinal injury. Confinement may need to be continued for 4 to 8 weeks depending upon the rapidity and completeness of recovery. Corticosteroids can be administered acutely (methylprednisolone 30 mg/kg IV slowly), however, should be continued cautiously after the first 24 hours as the risk of gastrointestinal complications (gastric and colonic ulceration) significantly increases with a longer duration of therapy. Methylprednisolone sodium succinate therefore, is the steroid of choice for these animals (see further). Animals who are grades 5 through grade 1 tend to be more strongly considered as candidates for surgical treatment. Animals with acute intervertebral disk disease and are judged to be within grades 5 -2 who have surgery performed within 48 hours have approximately an 80+% recovery rate of useful function. Animals that lose deep pain sensation and are operated within 48 hours have conservatively a 50% chance of recovery and, in some instances, as high as a 70% recovery rate. Animals who have lost deep pain sensation for


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greater than 48- 72 hours have a much poorer (5% or less?) chance of recovery of useful function with or without surgery. A dog with obvious signs of myelomalacia will recover no useful spinal cord function. Animals with myelomalacia often appear systemically ill and have fevers. If myelomalacia ascends to involve the nerves responsible for respiration (i.e. the cervical area), the prognosis is grave and it is best to euthanize the animal to relieve further suffering. An exception to aforementioned rules is the animal who has suffered a traumatic (hit by car, gunshot injury) spinal problem and has no deep pain at presentation. The rate of return of useful function in this group of animal is far less than 50% even if the animal is treated rapidly following the injury. If the diagnosis is uncertain, or if the clinical signs are periodically recurrent, a diagnosis and possible surgical intervention should be considered as soon as possible. If the clinical signs are not responding to non-surgical treatment in a reasonable amount of time (2 to 4 weeks depending), reassessment, rediagnosis, and surgical assessment is warranted. While the above discussion provides general guidelines, this clinical classification system has been shown useful in managment of most with spinal cord injury. If a question arises, a neurologist or neurosurgeon should be consulted to offer further opinions. Not only should these guidelines be useful for clinical management of animals with spinal compressive disease, they should also allow for communication with the owner of realistic expectations of recovery potential in the animal with spinal injury. All guidelines, however, are modified based on individual patient and disease characterisitics. Final treatment judgments need to be made by the primary clinician responsible for the care of the animal. Spinal instability can result in numerous clinical situations. As the spine is a collection of smaller units (vertebral segments), the complex relationship between such segments can be difficult to fully comprehend. This discussion will focus on general aspects of spinal instability that may be applied in the face of indivudal disease and clinical senerios. Of primary importance is a fundamental understanding of the anatomical configuration of the veretebral and associated supporting elements. Considering the anatomical structure of each vertebral subunit will allow for a prediction of associated malarticulation and/or overt instability. When considering implantion of internal fixation devices, knowledge of the anatomical configuration of veterbral units also is important for bone implant placement. Traditonally, a dilemma exists between decreasing abnormal instability, while at the same time, maintaining the “normal� ability of the spine to respond to abnormal forces placed upon it. In specific disease situations, unique anatomical or physicologic factors may influence the type and degree of instability present. These unique features should be taken into account when planning internal surgical fixation/fusion/arthrodesis. As an opening to this discussion, aspects of spinal instability associated with exogenous spinal trauma will be examined. In general, spinal instability can be difficult to fully appreciate or identify, even with commonly used spinal diagnos-

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tic assessments such as radiographs and MR or CT. As instability of a vertebral segment can be difficult to predict from a single radiograph, a model has been devised in humans and adapted in dogs for predicting spinal instability based upon the degree of vertebral damage. In this model, the vertebrae is divided into three compartments. The ventral (anterior) compartment is composed of the ventral vertebral body, ventral ligament, and anulus. The middle compartment includes the dorsal anulus, dorsal vertebral body and dorsal longitudinal ligament. The dorsal compartment includes the articular facets and joint capsules, the ligamentum flavum, and the dorsal vertebral arch and pedicle, and the dorsal spinous processes and interspinous ligaments. Damage of two or more components would indicate the need for surgical stabilization as the chance of clinically significant spinal instability is high. Unfortunately, while this assessment seems straight forward, it is rarely this simple in the clinical setting and in individual animals. If instability is documented, spinal stabilization should be considered. External fixation with splints and bandages may be helpful if applied correctly. Internal fixation and stabilization, however, is often necessary. A variety of techniques have been used and have been previously reviewed. Each techniques has advantages and disadvantages which may be utilized in different situations. In our hospital, internal fixation using a combination of bone screws, Kirschner wires, Steinmann pins, and polymethylmethacrylate (PMMA) cement is most often chosen for stabilization. These methods of fixation are modifications of previously described techniques. Screws and pins are used to anchor the PMMA to the bone. Similar fixation devices have been shown to provide adequate protection against excessive spinal rotation in canine cadaver spine preparations. Rigid spinal fixation increases the chance of fracture healing in dog spines. While stiffer implants may result in more bypassed bone mineral loss initially (6 - 12 weeks) during healing, ultimate bone mineral density becomes equal at 24 weeks. The skin is incised over the affected area with a routine removal of the paraspinal muscles from the affected vertebrae. Caution is advised during muscle removal as the normal anatomy may be disrupted by the trauma and removal of muscle, tendinous, and ligamentous support may result in increasing vertebral instability intraoperatively. Once the muscles have been elevated, an attempt should be made to realign the vertebral segments either before, or sometimes after placement of screws or pins. More normal anatomical alignment decreases compression of associated dura and nerve roots. Excessive spinal manipulation, however, should be avoided as additional spinal cord damage can result. Manual reduction of vertebral fractures is difficult. The use of surgical tools to provide counterbalancing forces or torque aids in realignment. As most vertebral fractures are associated with collapse of the associated vertebral segment, lamina spreaders are useful to distract collapsed vertebral segments. Slowly increasing the degree of distraction of the vertebral segments may overcome some of the paraspinal muscle spasm and contracture that produces some of the vertebral segment collapse. This may take 5 to 15 minutes.


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Manipulations may also be aided by neuromuscular blockage during anesthesia. If it is difficult to achieve a solid purchase point on the vertebrae on either side of the fracture, the lamina spreader can be placed in previously placed screws or pins to achieve this purchase. The jaws of the lamina spreader should be placed as close to the screw/bone interface to decrease the potential for causing loosening of the screws when a distraction force is placed with the lamina spreader. When the vertebral segments are distracted they become easier to realign either mannually or with additional surgical instrumentation. Principles of vertebral screw placement have been reviewed. Preventing disruption to as much normal bone and joint space as possible and increasing the amount of bone contacted with the screw are important considerations. In dogs and cats, screws are usually placed in the vertebral bodies due to the relatively larger amount of bone present. Screws holes are directed from dorsolateral to ventromedial at approximately a 45 to 60o angle from the dorsal sagittal plane into the vertebral body to increase the amount of bone contacted. To avoid entering the spinal canal, the screws should be placed no more dorsal than the accessory processes. In the lumbar area, a screw can safely be placed at the level where the transverse process connects with the vertebral body and directed ventrally. In the thoracic area, ventral exposure is more difficult to achieve without entering the thoracic cavity as the vertebral bodies are relatively smaller as compared to the lumbar and cervical areas. In this area, screw holes are drilled more often into the transverse processes and, therefore, in a more dorsal to ventral direction as compared to lateral to medial. The increased amounts of bone at the articular and dorsal spinous processes of the vertebrae can be used for screw placement. To allow room for drilling, muscles over the unstable vertebral segments are retracted bilaterally. This should be performed cautiously, however, as excessive removal of paraspinal ligament and bone may result in increased spinal segment instability. Because the necessary orientation of the screw holes often results in drilling on a slanted part of the vertebrae, it may be helpful to make a small divot in the outer cortical bone with a bone curette (House curette) to allow for initial drill purchase. Due to the angulation of the drill, the bit may be placed close to and possibly entwine the overlying musculature. To avoid damage to this tissue by the drill bit and in addition to the drill guide, an aluminum suture packet can be used to cover the underlying musculature during drilling. Drilling screw holes with a drill bit does not appear to decrease pullout strength or cause weaker fixation. Tapping of the holes prior to screw insertion, however, may weaken fixation strength due to the significant amount of associated cancellous bone in vertebrae. The screw hole is drilled through the vertebral body to the ventral cortical level. Often, the drill hole extends ventrally through the ventral cortical surface of the vertebral body. This cortical surface should be penetrated cautiously to avoid damage to underlying structures such as the aorta. Screws should be directed away from the intervertebral disk area to avoid damage to exiting nerves. Screw size chosen depends upon the amount of bone available for screw placement.

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In the cervical area, screws can similarly be placed in the vertebral bodies, however, this is usually performed after a ventral approach rather than a dorsal or lateral approach. The ventral, convex surface of the cervical vertebrae provide some indication of the position of the undelying spinal cord. Screw holes are initially begun slightly lateral to midline and angled more laterally to avoid iatrogenic spinal cord penetration. This angulation, however, may damage perispinal vascular structures such as the vertebral artery and brisk bleeding will be encountered when the drill bit is removed. This can usually be controlled by quickly tapping and placing the screw into the drill hole. Bone wax placed at the interface of the bone and screw may also help in decrease bleeding. For fractures involving C1/C2, the larger wings of C1 can be used for screw purchase. One study has suggested that cortical bone screw/PMMA fixation may have a greater failure rate than a similar fixation with Steinmann pins/PMMA. Cortical screws were shown to bend at the screw/bone interface during experimental manipulations of isolated canine spinal cadaver preparations. This complication is rarely encountered clinically when cortical bone screws/PMMA are used to fix in vivo spinal fractures. This is most likely due to the associated paraspinal ligament/muscular support in the intact animal, additional apparatus incorporated in the fixation, and the decreased likelihood of the intact spinal segments to undergo the excessive forces used experimentally. Regardless, pins may be used as alternatives to screws for obtaining purchase into the vertebrae. Advantages to the use of bone screws over Steinmann pins for spinal fixation include ease of placement and possibly more secure anchoring of the vertebral bone and the PMMA. Increased resistance to Steinmann pin placement is encountered at the vertebral end-plate. This may increase pin wobble during placement, possibly contributing the pin loosening. Pre-drilling of the pin path with a smaller pin may decrease this problem. These screws are incorporated with PMMA either in a “donut-shaped” or bilateral “cigar-shaped” configuration. Bone wax should be placed within the screw heads to prevent plugging with PMMA. This becomes important if the screws need to be removed at a future date. The area should be lavaged with saline during the time that the PMMA is curing as this process creates heat which could damage adjacent tissues. This is most critical when a laminectomy has been concurrently performed, as heat-damage to the spinal cord is possible. Placement of Gelfoam sponges (Gel Foam, The Upjohn Co., Kalamazoo, MI) over the laminectomy defect will not prevent this damage. The PMMA is formed to encompass the metal apparatus without damaging exiting peripheral nerves. If it is necessary to form the PMMA close to the laminectomy defect, the spinal cord can be covered using an aluminum suture packet. After curing of the cement, the packet can be removed as the cement will not bond to this substance. If additional implant rigidity is required, Steinmann pins can be placed dorsally in a longitudinal fashion along the dorsal spinous processes. These pins can be bent to approximate the anglulation of the vertebral column and wired to the implanted screws to secure them in place. Polymethyl-


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methacrylate is placed over these pins and screws as described previously. Any wires used should be totally encased with PMMA to increase wire strength. Small Kirschner wires can also be placed perpendicularly through the dorsal spinous processes and incorporated into the fixation. Decompression is indicated if myelography indicates spinal cord compression from to intervertebral disk rupture or hematoma. Often with fractures and luxations, spinal compression is the result of the bony instability and realignment of the vertebrae is all that is needed. Additional bone removed from the damaged area during laminectomy may increase the amount of instability and make internal fixation more difficult. Removal of the articular facets and discectomy have significantly increased spinal rotation instability in canine cadaver spinal preparations. A hemilaminectomy is preferable if decompression is needed, as this results in the least amount of instability of all decompressive procedures. If no compression is seen other than that occurring due to displaced vertebrae, it is preferable to realign the vertebrae and not perform a laminectomy in order to preserve as much bone integrity as possible. Durotomy and myelotomy may also be indicated in severely affected animals to afford further decompression and to assess the severity of spinal cord damage. Myelomalacia can be accurately assessed only after durotomy.

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This need for realignment is exemptified with fractures in the lumboscaral area. The body of L7 generally is displaced dorsocaudally and the lumbosacral articular facets are luxated. Therefore, elevation of the sacrum or depression of L7 are necessary to anatomically reduce the fracture. This can be accomplished with the L-shaped end of the Senn retractor. The blade end of the retractor is placed within the vertebral canal and is directed caudally. The retractor shaft is then pushed cranially and dorsally to elevate the sacrum and to depress L7. The use of the lamina spreader to distract the vertebrae after realignment with the Senn retractor results in more appropriate anatomical reduction. Once reasonable alignment of most vertebral segments is achieved, and if at least one pair of articular facets remain intact, a small K-wire can be driven across the facets to maintain alignment during subsequent screw placement. It is important to make sure the articular facets are in as normal a configuration as possible to avoid fixation of the vertebral segments in a collapsed to excessively distracted position. Screws or pins are then placed on either side of the vertebrae and cranial and caudal to the fracture site in the vertebral bodies.

Author’s Address for Correspondence: Professor Rodney S. Bagley, Washington State University, College of Veterinary Medicine, Pullman WA 99164-6610


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Patologia del midollo spinale: considerazioni chirurgiche nella gestione delle patologie spinali Rodney S. Bagley DVM, Dipl ACVIM (Neurology and Internal Medicine), Washington State, USA

Una volta diagnosticata un’anomalia del midollo spinale, è possibile fornire delle indicazioni terapeutiche. Alcune malattie neurologiche spinali, così come molti dei disordini degenerativi in questa sede, risultano intrattabili oppure non dispongono di un trattamento accettato a livello globale. Per le malattie con terapie consolidate, gli interventi generali possono essere di tipo non chirurgico (medico) oppure chirurgico. Anche la riabilitazione, la fisioterapia ed il controllo del dolore sono aspetti importanti del trattamento delle malattie spinali.

TRATTAMENTI CHIRURGICI DELLE MALATTIE DEL MIDOLLO SPINALE Le indicazioni per la chirurgia spinale sono rappresentate dalla decompressione del midollo o delle radici dei nervi, dalla stabilizzazione o riallineamento delle strutture vertebrali, dalla diagnosi di malattie spinali (biopsia) e dai trattamenti preventivi, come ad esempio nel caso della discopatia intervertebrale. Verranno illustrati ulteriormente gli aspetti generali della chirurgia spinale.

PROCEDURE DI DECOMPRESSIONE DEL MIDOLLO SPINALE Se il midollo spinale è compresso da un processo patologico, è necessario accedere alla cavità midollare e rimuovere l’anomalia compressiva. Esistono due procedure chirurgiche decompressive di base; la emilaminectomia e la laminectomia dorsale. Inoltre, per la decompressione cervicale ventrale, risulta utile una spondilectomia parziale specializzata, indicata comunemente come slot ventrale. Come indica il termine laminectomia, queste procedure comportano la rimozione di osso (le lamine) da varie aree intorno al midollo spinale, in modo da consentire l’accesso allo spazio epidurale ed al tubo durale. A seconda delle preferenze individuali del chirurgo, entrambe si possono utilizzare nelle situazioni di routine, tuttavia l’autore preferisce servirsi nella maggior parte dei casi della emilaminectomia, a causa della maggiore incidenza di compressione spinale ventrale e monolaterale. Si può accedere all’area toracolombare per la decompressione attraverso un approccio dorsale utile sia per la emilaminectomia che per la laminectomia dorsale. In presenza di lesioni localizzate su un lato ed incentrate esclusivamente intorno alla radice del nervo, la

procedura d’elezione può essere una foraminotomia (allargamento chirurgico del foro intervertebrale).

VANTAGGI E SVANTAGGI Il principale vantaggio della emilaminectomia è che questa procedura assicura un’adeguata esposizione della parte dorsale laterale e ventrale del midollo spinale e della radice nervosa monolaterale. Questo grado di esposizione risulta utile nella maggior parte dei casi di discopatia intervertebrale, dato che il materiale discale erniato si trova di solito ventralmente o lateralmente. I problemi connessi alla emilaminectomia comprendono la necessità di un’accurata localizzazione del lato della lesione ed il potenziale rischio di emorragia dai seni vertebrali nel canale vertebrale. La laminectomia dorsale è utile per le lesioni localizzate esclusivamente nella parte dorsale del canale o midollo spinale. Questa metodica esita in un maggior grado di instabilità della colonna vertebrale rispetto alla emilaminectomia. I chirurghi esperti in questa tecnica la trovano utile anche per le lesioni situate ventralmente, tuttavia occorre tenere presente che si può avere un aumento della quantità di midollo spinale manipolata. Esistono tre tipi di base di laminectomia dorsale; il tipo A e B di Funkquist e la laminectomia dorsale modificata. I problemi connessi alla formazione di membrane laminectomiche (cicatrizzazione postoperatoria che esita in una compressione del midollo spinale) si sono verificati comunemente con la laminectomia di tipo A di Funkquist, tanto che questa procedura non viene quasi mai effettuata nell’era moderna. La laminectomia di tipo B di Funkquist è stata sviluppata per diminuire questa complicazione cicatriziale postoperatoria, ma concede una limitata esposizione ventrale del midollo spinale. La laminectomia dorsale modificata è stata messa a punto per consentire una migliore esposizione del midollo spinale ventrale, riducendo al tempo stesso il rischio di formazione di membrane laminectomiche. Questa procedura è adeguata soprattutto per le lesioni compressive dorsali dell’area toracolombare, tuttavia può essere meno ideale per la compressione ventrolaterale. Si può accedere all’area cervicale per la decompressione attraverso un approccio ventrale, laterale o dorsale. Il termine di slot ventrale è quello comunemente utilizzato per descrivere un intervento chirurgico finale decompressivo ventrale utilizzato principalmente nella regione cervicale. Questa procedura è adeguata soprattutto per le lesioni com-


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pressive ventrali nell’area cervicale da C2-3 fino a C6-7 ed eventualmente C7-T1. Questo approccio consente un limitato accesso alla parte ventrale del midollo spinale al di sopra dello spazio discale. L’accesso è limitato a causa del normale decorso dei seni vertebrali ventrali. Inoltre, la rimozione di quantità eccessive del corpo vertebrale esita in una significativa instabilità spinale.L’emilaminectomia cervicale o la laminectomia dorsale è utile soprattutto per la decompressione chirurgica delle lesioni compressive dorsali e laterali (talvolta ventrali) nell’area cervicale da C2-3 a C6-7 ed eventualmente a C7-T1. L’approccio cervicale laterale può essere utilizzato per accedere alla parte laterale dell’area cervicale caudale. Se necessario, attraverso questo approccio si può eseguire una emilaminectomia delle vertebre cervicali caudali e toraciche craniali. Il principale svantaggio dell’approccio cervicale laterale è che si può accedere facilmente solo a C3-4 fino a C5-6. Un approccio simile a quello craniolaterale al plesso brachiale può consentire, se lo si desidera, di accedere all’area cervicale più caudale.

PROCEDURE SUL PLESSO BRACHIALE Nella maggior parte dei casi si accede al plesso brachiale per tumori delle guaine dei nervi che originano dai nervi stessi. Si può anche eseguire la biopsia dei nervi colpiti, come nel caso della neurite del plesso brachiale. Se necessario, attraverso questo approccio è possibile effettuare un’emilaminectomia delle vertebre cervicali caudali e toraciche craniali. Inoltre, l’approccio chirurgico può essere esteso per l’amputazione dell’arto.

PROCEDURE NON DECOMPRESSIVE La fenestrazione è un intervento attuato a scopo profilattico, in cui non si penetra nel canale vertebrale. Gli spazi discali intervertebrali vengono incisi ed il nucleo polposo viene rimosso. Ciò può prevenire l’ulteriore estrusione del nucleo polposo e può esitare in una fibrosi del disco intervertebrale. Il successo di questa procedura varia principalmente in funzione della gravità dei segni clinici. La fenestrazione da sola, tuttavia, non è una procedura decompressiva spinale.

SCELTA DI UN TRATTAMENTO PER LA MALATTIA SPINALE Quando il trattamento chirurgico costituisce un’opzione, la scelta fra un intervento non chirurgico piuttosto che chirurgico per le affezioni spinali è basata su una moltitudine di fattori, compresi gli aspetti economici, dato che gli interventi chirurgici tendono ad essere più costosi. Tuttavia, uno dei fattori principali nella scelta di un trattamento non chirurgico piuttosto che chirurgico è il grado di compromissione o la gravità dei segni clinici. Quest’ultima può essere graduata per contribuire a questa determinazione. Una valutazione della gravità della compromissione clinica determina anche la necessità di una diagnosi ed un trattamento rapido (cioè la necessità di una chirurgia d’emergenza).

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Anche se tutti noi spereremmo di avere a disposizione i dati scientifici da utilizzare come guida per prendere decisioni relative al momento in cui è necessario trattare chirurgicamente le affezioni del midollo spinale, in ambito clinico le decisioni si basano ancora comunemente sull’opinione individuale derivante da esperienze aneddotiche. Quelle che seguono sono linee guida per il trattamento chirurgico degli animali con affezioni del midollo spinale. Queste sono solo linee guida e potranno essere necessarie delle modifiche nei singoli animali, in funzione di circostanze speciali (ad es, salute sistemica, disponibilità economiche del proprietario). Le decisioni relative a quando e se sia indicato intervenire chirurgicamente piuttosto che non chirurgicamente per le affezioni del midollo spinale sono basate principalmente su due caratteristiche principali: la gravità dei segni neurologici e la cronicità del problema. Risulta altrettanto importante il sospetto diagnostico basato sulla valutazione clinica. Per stabilire la gravità del danno spinale è possibile servirsi di una scala graduata. La decisione circa quando effettuare interventi diagnostici e terapeutici aggressivi dipende anche dal sospetto diagnostico. Gli animali che si presume siano colpiti da malattie che potrebbero esitare in un ulteriore deterioramento clinico devono sempre essere valutati e trattati il più rapidamente possibile. Se si è verificata una malattia (come un danno spinale acuto) a carico del midollo spinale e si presume che tale danno non sia progressivo, la scelta della terapia viene spesso basata sul grado di compromissione clinica. Le affezioni come l’estrusione o protrusione del disco intervertebrale ed il danno spinale esogeno di solito rientrano in questa categoria. In alcuni casi, un danno spinale acuto esita nella comparsa di segni clinici progressivi nell’arco delle successive ore o giorni. Se si è optato inizialmente per un trattamento non chirurgico, ma i segni clinici continuano a peggiorare, si deve prendere in considerazione il più rapidamente possibile un trattamento chirurgico, prima di una significativa compromissione della situazione. Ad esempio, un cane con un segnalamento ed un’anamnesi che suggeriscono un problema acuto del disco intervertebrale o un danno spinale esogeno possono essere generalmente trattati seguendo queste linee guida. Il 60-70% circa dei cani con discopatia intervertebrale acuta di grado 6 o più elevato al momento della prima presentazione alla visita migliora o risolve completamente questo problema senza intervento chirurgico. Se i segni clinici peggiorano durante un rigoroso confinamento, si deve attuare una valutazione più approfondita. Generalmente, gli animali che risultano di grado 6 o superiore ed hanno presentato segni clinici per meno di due settimane e nei quali è stato formulato il sospetto diagnostico di danno spinale, dovuto sia ad un problema del disco intervertebrale che ad un danno esogeno, sono candidati al trattamento non chirurgico. Questo consiste principalmente in rigoroso confinamento in gabbia per un periodo minimo di due settimane, farmaci antinfiammatori acuti (per i primi giorni) e trattamento del dolore spinale (secondo necessità), con successive rivalutazioni secondo necessità. Il giudizio viene riformulato almeno quotidianamente, se non più spesso, fino a che i segni clinici risultano non progressivi per un periodo di almeno 48 ore. Queste valutazioni vengono spesso attuate con l’animale ospedalizzato per le prime 24-48 ore


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successive ad un danno spinale. Può essere necessario continuare il confinamento per 4-8 settimane a seconda della rapidità e della completezza della guarigione. Nel periodo acuto si possono somministrare dei corticosteroidi (metilprednisolone, 30 mg/kg IV lentamente), tuttavia il loro impiego va continuato con cautela dopo le prime 24 ore perché esiste il rischio di complicazioni gastroenteriche (ulcerazione dello stomaco e del colon) che aumenta significativamente con la maggior durata della terapia. Il metilprednisolone sodio succinato è quindi lo steroide d’elezione per questi animali (vedi oltre). I soggetti compresi fra il grado 5 ed il grado 1 tendono ad essere maggiormente considerati come candidati al trattamento chirurgico. Gli animali con discopatia intervertebrale acuta e ritenuti di grado compreso fra 5 e 2 che sono stati sottoposti ad intervento chirurgico entro 48 ore hanno una percentuale di recupero della funzione utile approssimativamente superiore all’80%. Quelli che perdono la percezione del dolore profondo e vengono operati entro 48 ore hanno conservativamente una probabilità del 50% di guarigione e, in alcuni casi, fino al 70%. Gli animali che hanno perso la percezione del dolore profondo per più di 48-72 ore hanno una probabilità di recupero della funzione utile, con o senza chirurgia, molto più scarsa (5% o meno?). Un cane con evidenti segni di mielomalacia non recupererà alcuna funzione utile del midollo spinale. Gli animali con mielomalacia spesso si presentano colpiti da malattia sistemica e con febbre. Se la mielomalacia ascende fino a coinvolgere i nervi responsabili della respirazione (area cervicale), la prognosi è grave ed è preferibile sopprimere eutanasicamente i soggetti colpiti per risparmiare loro ulteriori sofferenze. Un’eccezione alle regole sopra citate è data dall’animale che ha riportato un problema spinale traumatico (investimento da parte di un autoveicolo, ferita da arma da fuoco) e non mostra dolore profondo al momento della presentazione alla visita. La percentuale di recupero della funzione utile in questo gruppo di animali è di gran lunga inferiore al 50% anche se il soggetto viene trattato rapidamente dopo il trauma. Se la diagnosi è incerta, o se i segni clinici sono periodicamente recidivanti, si deve prendere in considerazione l’ipotesi di attuare il più rapidamente possibile un intervento diagnostico ed eventualmente chirurgico. Se i segni clinici non rispondo al trattamento non chirurgico entro un arco di tempo ragionevole (da 2 a 4 settimane, a seconda), è necessario riesaminare il soggetto, riformulare la diagnosi ed effettuare una valutazione chirurgica. Anche se quanto sopra esposto fornisce solo delle linee guida generali, questo sistema di classificazione clinica si è dimostrato utile nel trattamento della maggior parte delle lesioni del midollo spinale. In caso di dubbio, si deve consultare un neurologo o un neurochirurgo per sentire ulteriori opinioni. Queste linee guida non sono solo utili alla gestione clinica di animali con affezioni spinali compressive, ma devono anche permettere di comunicare al proprietario le realistiche aspettative del potenziale di guarigione nei soggetti con danno spinale. Tutte le linee guida, tuttavia, sono modificate sulla base delle caratteristiche individuali del paziente e della malattia. I giudizi terapeutici definitivi devono essere formulati dal clinico che ha la responsabilità primaria della cura dell’animale.

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L’instabilità spinale può esitare in numerose situazioni cliniche. Dato che la colonna vertebrale è formata da una serie di unità più piccole (i segmenti vertebrali), la complessa relazione fra di esse può risultare difficile da comprendere a fondo. La presente trattazione sarà focalizzata sugli aspetti generali dell’instabilità spinale che possono essere applicati di fronte a singole malattie e scenari clinici. È di primaria importanza comprendere i fondamenti della configurazione anatomica degli elementi vertebrali e delle strutture di supporto associate. Considerando la struttura anatomica di ciascuna subunità vertebrale, è possibile prevedere l’associazione con malarticolazione e/o evidente stabilità. Quando si considera l’impianto di dispositivi di fissazione interna, è anche importante conoscere la configurazione anatomica delle unità vertebrali per inserire l’impianto osseo. Tradizionalmente, esiste un dilemma fra la riduzione dell’instabilità anormale e, al tempo stesso, il mantenimento della “normale” capacità della colonna vertebrale di rispondere a forze anormali esercitate su di essa. In specifiche situazioni patologiche, fattori anatomici o fisiologici unici possono influenzare il tipo ed il grado di instabilità presente. Di queste caratteristiche esclusive si deve tenere conto al momento di pianificare gli interventi di fissazione chirurgica interna/fusione/artrodesi. In apertura di questa discussione, verranno esaminati gli aspetti dell’instabilità spinale associati al trauma spinale esogeno. In generale, l’instabilità spinale può essere difficile da apprezzare o identificare pienamente, anche con i mezzi diagnostici spinali comunemente utilizzati come le radiografie e la risonanza magnetica o la tomografia computerizzata. Dato che può essere difficile prevedere l’instabilità di un segmento vertebrale sulla base di una singola radiografia, è stato messo a punto nell’uomo ed adattato al cane un modello per prevedere l’instabilità spinale sulla base del grado del danno vertebrale. In questo modello, le vertebre vengono suddivise in tre comparti. Quello ventrale (anteriore) è costituito dal corpo vertebrale ventrale, dal legamento ventrale e dall’anello. Quello medio comprende l’anello dorsale, il corpo vertebrale dorsale e il legamento longitudinale dorsale. Il comparto dorsale è costituito dalle faccette articolari e dalle capsule articolari, dal ligamentum flavum, dall’arco vertebrale dorsale, dal peduncolo, dai processi spinosi dorsali e dai legamenti interspinosi. Il danneggiamento di due o più componenti indica la necessità di una stabilizzazione chirurgica perché la probabilità di una instabilità spinale clinicamente significativa è elevata. Sfortunatamente, questa valutazione sembra abbastanza agevole, ma è raramente così semplice in ambito clinico e nei singoli animali. Se l’instabilità viene documentata, si deve prendere in considerazione la stabilizzazione spinale. La fissazione esterna mediante stecche e bendaggi può essere utile se viene applicata correttamente. Tuttavia, spesso sono necessarie la fissazione e stabilizzazione interna. È stata utilizzata una gran varietà di tecniche che sono già state prese in esame in precedenza. Ciascuna di esse è caratterizzata da vantaggi e svantaggi che possono essere sfruttati nelle differenti situazioni. Presso il nostro ospedale, nella maggior parte dei casi per la stabilizzazione viene scelta una fissazione interna che uti-


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lizza una combinazione di viti da ossa, fili di Kirschner, chiodi di Steinmann e cemento polimetilmetacrilato (PMMA). Questi metodi di fissazione sono modificazioni di tecniche descritte in precedenza. Viti e chiodi vengono utilizzati per ancorare il PMMA all’osso. È stato dimostrato che dispositivi di fissazione simili assicurano una protezione adeguata contro l’eccessiva rotazione spinale in preparati di colonna vertebrale di cadavere di cane. La fissazione spinale rigida aumenta le probabilità di guarigione delle fratture nelle colonne vertebrali del cane. Gli impianti più rigidi possono consentire di evitare maggiormente la perdita minerale ossea nelle fasi iniziali (6-12 settimane) della guarigione, ma a 24 settimane la densità minerale definitiva dell’osso diviene uguale. Si incide la cute al di sopra dell’area colpita, eseguendo una rimozione di routine dei muscoli paraspinali che vengono separati dalle vertebre interessate. Si consiglia di operare con cautela durante la rimozione dei muscoli, dato che l’anatomia normale può essere stata distrutta dal trauma e la rimozione di strutture di sostegno muscolari, tendinee e legamentose può esitare in un incremento intraoperatorio dell’instabilità vertebrale. Una volta che i muscoli siano stati sollevati, si deve cercare di riallineare i segmenti vertebrali sia prima che, talvolta, dopo l’inserimento delle viti o dei chiodi. Un allineamento anatomico più normale riduce la compressione associata della dura e delle radici dei nervi. L’eccessiva manipolazione spinale, tuttavia, è da evitare dato che ne può derivare un danno midollare aggiuntivo. La riduzione manuale delle fratture vertebrali è difficile. L’impiego di mezzi chirurgici per garantire forze controbilancianti o momenti di torsione favorisce il riallineamento. Dato che la maggior parte delle fratture vertebrali è associata a collasso del segmento vertebrale corrispondente, per separare i segmenti vertebrali sono utili gli appositi divaricatori (lamina spreader). Aumentare lentamente il grado di distrazione dei segmenti vertebrali può consentire di superare parte dello spasmo muscolare paraspinale e della contrattura che determina parzialmente il collasso del segmento vertebrale. Ciò può richiedere da 5 a 15 minuti. Le manipolazioni possono anche venire facilitate dal blocco neuromuscolare durante l’anestesia. Se è difficile riuscire ad ottenere un solido punto di ancoraggio sulle vertebre su ciascun lato della frattura, si può applicare il divaricatore su viti o chiodi inseriti in precedenza per ottenere questo ancoraggio. Le branche del divaricatore devono essere applicate vicino all’interfaccia fra vite ed osso per ridurre il potenziale rischio di causare l’allentamento delle viti quando si esercita una forza di distrazione. Quando i segmenti vertebrali sono allontanati, diventa più facile riallinearli manualmente o con l’uso di strumenti chirurgici aggiuntivi. I principi dell’inserimento delle viti vertebrali sono già stati descritti. È importante evitare quanto più possibile di distruggere l’osso normale e lo spazio articolare ed aumentare la quantità di osso a contatto delle viti. Nei cani e nei gatti, queste vengono solitamente inserite nei corpi vertebrali grazie alla quantità relativamente maggiore di osso presente. I fori per le viti vengono diretti in senso dorsolaterale-ventromediale con un’inclinazione di circa 45-60° dal piano sagittale dorsale nel corpo vertebrale, per aumentare la quan-

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tità di osso a contatto. Per evitare di entrare nel canale spinale, le viti non devono essere poste più dorsalmente dei processi accessori. Nell’area lombare, si può inserire senza rischi una vite a livello del punto in cui il processo trasverso si connette con il corpo vertebrale ed è diretto ventralmente. Nell’area toracica, l’esposizione ventrale è più difficile da ottenere senza penetrare nella cavità toracica dato che i corpi vertebrali sono più piccoli rispetto alle aree lombare e cervicale. In queste zone, in genere i fori per le viti vengono praticati con il trapano nei processi trasversi e, quindi, in direzione più dorso-ventrale che latero-mediale. La maggior quantità di osso a livello dei processi dorsali ed articolari delle vertebre può venire utilizzata per l’inserimento della vite. Per lasciare spazio al trapano i muscoli al di sopra dei segmenti vertebrali instabili vengono scostati bilateralmente. Questa operazione deve però essere eseguita con cautela, dato che un’eccessiva eliminazione del legamento paraspinale e dell’osso può esitare in un aumento dell’instabilità del segmento spinale. Poiché il necessario orientamento delle viti fa spesso sì che i fori con il trapano debbano essere praticati su una parte inclinata delle vertebre, può essere utile realizzare un piccolo invito nell’osso corticale esterno servendosi di una curette (curette di House) che consenta al trapano di far presa nelle prime fasi senza scivolare. Data l’angolazione del trapano, la punta si può venire a trovare vicino alla muscolatura sovrastante ed eventualmente coinvolgerla. Per evitare il danneggiamento di questo tessuto da parte della punta del trapano e in aggiunta al centrapunte, si può utilizzare un pacchetto di filo da sutura in alluminio per coprire la muscolatura sottostante durante la realizzazione del foro. Praticare i fori per le viti con una punta da trapano non sembra ridurre la resistenza all’estrazione o determinare una fissazione più debole. Filettare i fori prima dell’inserimento delle viti, invece, può indebolire la fissazione a causa della significativa quantità di osso spongioso presente nelle vertebre. Il foro per la vite viene praticato con il trapano attraverso il corpo vertebrale fino a livello corticale ventrale. Spesso, si estende ventralmente attraverso la superficie corticale ventrale del corpo vertebrale. Questa superficie corticale deve essere penetrata con cautela per evitare di danneggiare le strutture sottostanti come l’aorta. Le viti devono essere dirette lontano dall’area del disco intervertebrale per evitare di danneggiare i nervi che fuoriescono. Le dimensioni scelte per le viti dipendono dalla quantità di osso disponibile per inserirle. Nell’area cervicale, le viti possono essere inserite nei corpi vertebrali in modo simile, tuttavia questa operazione si effettua di solito dopo un approccio ventrale piuttosto che dorsale o laterale. La superficie ventrale convessa della vertebra cervicale offre una certa indicazione della posizione del midollo spinale sottostante. I fori per le viti vengono dapprima iniziati in posizione leggermente laterale rispetto alla linea mediana ed inclinati più lateralmente per evitare una penetrazione iatrogena nel midollo spinale. Questa angolazione, tuttavia, può danneggiare le strutture vascolari perispinali come l’arteria vertebrale e quando la punta del trapano viene rimossa si riscontra un sanguinamento. Quest’ultimo può di solito essere controllato con la rapida filettatura e inserimento della vite nel foro praticato dal trapano. Anche l’applicazione di cera per ossa a livello dell’interfac-


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cia fra osso e vite può contribuire a ridurre il sanguinamento. Per le fratture a carico di C1/C2, è possibile utilizzare le ampie ali di C1 per l’inserimento delle viti. Uno studio ha ipotizzato che la fissazione mediante vite corticale da ossa/PMMA possa avere una maggiore percentuale di cedimenti rispetto ad una fissazione simile con chiodi di Steinmann/PMMA. Nel corso di manipolazioni sperimentali di preparati isolati di colonna vertebrale di cadavere di cane, è stato dimostrato che le viti da corticale si piegano a livello dell’interfaccia vite/osso. Questa complicazione si riscontra raramente in ambito clinico quando sono state utilizzate le viti da osso corticale/PMMA per fissare fratture spinali in vivo. Ciò è molto probabilmente dovuto al supporto delle strutture legamentose/muscolari paraspinali associate presenti nell’animale integro, all’apparato aggiuntivo incorporato nella fissazione ed alla diminuita probabilità dei segmenti spinali integri di andare incontro alle forze eccessive utilizzate sperimentalmente. Indipendentemente da ciò, i chiodi possono venire utilizzati come alternativa alle viti per ottenere un punto di presa sulle vertebre. I vantaggi legati all’uso delle viti da osteosintesi rispetto ai chiodi di Steinmann per la fissazione spinale comprendono la facilità di inserimento ed eventualmente una maggiore sicurezza dell’ancoraggio dell’osso vertebrale e del PMMA. A livello della placca terminale vertebrale si riscontra un aumento della resistenza all’inserimento del chiodo di Steinmann. Ciò può incrementare il tentennamento del chiodo durante l’inserimento, il che può contribuire al suo allentamento. Praticare un foro preventivo con un chiodo più piccolo può ridurre questo problema. Queste viti vengono incorporate nel PMMA con una configurazione “a ciambella” o “a sigaretta” bilaterale. È possibile riempire le teste delle viti con della cera per ossa, al fine di evitare che vengano colmate dal PMMA. Questo accorgimento è importante se le viti sono destinate ad essere rimosse in futuro. Mentre il PMMA si indurisce l’area deve essere irrigata con soluzione fisiologica, perché il processo genera calore, che potrebbe danneggiare i tessuti adiacenti. Ciò risulta di importanza critica soprattutto nei casi in cui è stata eseguita una laminectomia concomitante, perché è possibile un danno termico del midollo spinale. L’applicazione di spugne di gelatina (Gelfoam; Gel Foam, The Upjohn Co., Kalamazoo, MI) sopra il difetto laminectomico non previene questo danneggiamento. Il PMMA viene conformato in modo da racchiudere l’apparato metallico senza danneggiare l’uscita dei nervi spinali. Se il cemento deve essere applicato vicino al difetto laminectomico, si può coprire il midollo spinale con una bustina di materiale da sutura in alluminio. Dopo l’indurimento, la bustina può essere rimossa, dato che il cemento non si lega a questo materiale. Se è necessario conferire ulteriore rigidità all’impianto, si possono inserire dei chiodi di Steinmann in sede dorsale, disposti longitudinalmente lungo i processi spinosi dorsali. Questi chiodi possono essere piegati per avvicinarli approssimativamente all’angolazione della colonna vertebrale e fissati con filo metallico alle viti impiantate, per bloccarli in posizione. Su questi chiodi e viti si applica il polimetilmetacrilato secondo le modalità descritte in precedenza. Tutti i fili utilizzati devono essere completamente coperti dal

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PMMA per aumentarne la robustezza. Si possono anche applicare dei piccoli fili di Kirschner che attraversino perpendicolarmente i processi spinosi dorsali e vengano incorporati nel sistema di fissazione. Se la mielografia rivela una compressione del midollo spinale dovuta alla rottura di un disco intervertebrale o ad un ematoma, è indicata la decompressione. Spesso, in presenza di fratture e lussazioni la compressione spinale è la conseguenza dell’instabilità ossea e tutto ciò che occorre è il riallineamento delle vertebre. L’ulteriore asportazione di tessuto osseo dall’area danneggiata, effettuata nel corso della laminectomia, può accrescere l’instabilità e rendere più difficile la fissazione interna. La rimozione delle faccette articolari e la discectomia hanno significativamente aumentato l’instabilità alla rotazione spinale di preparati di colonna vertebrale di cadavere di cane. Se è necessaria una decompressione è preferibile l’emilaminectomia, perché fra tutte le procedure decompressive è quella che determina la minore instabilità. Se non si osserva alcuna compressione oltre a quella dovuta alla dislocazione delle vertebre, è preferibile riallineare queste ultime e non eseguire una laminectomia, al fine di preservare il più possibile l’integrità ossea. Negli animali gravemente colpiti, per offrire un’ulteriore decompressione e valutare la gravità del danno subito dal midollo spinale possono essere indicate anche la durotomia e la mielotomia. La mielomalacia può venire determinata in modo accurato solo dopo una durotomia. La necessità del riallineamento viene esemplificata dalle fratture dell’area lombosacrale. Il corpo di L7 è generalmente spostato dorsocaudalmente e le faccette articolari lombosacrali sono lussate. Pertanto, la riduzione anatomica della frattura richiede il sollevamento del sacro o l’abbassamento di L7. Questo risultato si può ottenere con l’estremità a forma di L del divaricatore di Senn. L’estremità a lama dello strumento viene inserita all’interno del canale vertebrale e diretta caudalmente. Il manico del divaricatore viene poi spinto cranialmente e dorsalmente in modo da sollevare il sacro ed abbassare L7. Utilizzando il divaricatore per le lamine vertebrali (lamina spreader) per allontanare le vertebre dopo averle riallineate con il divaricatore di Senn si determina una riduzione anatomica più appropriata. Una volta ottenuto un ragionevole allineamento della maggior parte dei segmenti vertebrali, e se almeno una coppia di faccette articolari è rimasta intatta, si può spingere attraverso le stesse un piccolo filo di Kirschner per mantenere l’allineamento durante il successivo inserimento delle viti. È importante assicurarsi che le faccette articolari si trovino il più possibile nella configurazione normale per evitare di fissare i segmenti vertebrali in una posizione collassata o eccessivamente distanziata. Si introducono poi viti o chiodi su ciascun lato delle vertebre e in posizione craniale e caudale al focolaio di frattura nei corpi vertebrali.

Author’s Address for correspondence: Rodney S. Bagley Professor, Washington State University College of Veterinary Medicine Pullman WA 99164-6610


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L’anxiété des carnivores domestiques; autour d’un nouveau traitement, le Zylkene Claude Beatà CETACE Sarl, docteur vétérinaire comportementaliste DENVF, Dipl ECVBM-CA, St Saturninles Aptes (F)

L’anxiété est un état pathologique fréquent qui accompagne l’évolution de différentes affections comportementales, tant chez le chien que chez le chat. Le terme d’anxiété souvent galvaudé, correspond à un tableau clinique précis dont la reconnaissance est relativement aisée. Identifier son origine est en revanche beaucoup plus ardu notamment dans les troubles anciens, sans doute en raison de son caractère multifactoriel. Les processus qui sous-tendent l’installation d’un état anxieux sont complexes et multiples. Une approche multifactorielle du trouble anxieux permet de mieux en appréhender les causes, les cibles thérapeutiques ainsi que les conséquences biologiques et cliniques.

QU’EST CE QUE L’ANXIÉTÉ L’anxiété est un état pathologique caractérisé par l’augmentation de probabilité de réactions analogues à la peur en réponse à toute variation du milieu intérieur ou extérieur. L’anxiété se définit par ses composantes émotionnelles (sentiment d’insécurité), comportementales (conduites), physique (malaises et troubles neurovégétatifs) et cognitives. L’anxiété ne saurait être confondue avec la peur. La peur est une émotion forte et intense éprouvée en présence ou d’une menace réelle et immédiate. L’anxiété produit une émotion voisine de la peur mais diffuse et sans objet. L’anxiété comme la peur se caractérise par un sentiment de crainte et de mise en alerte, accompagné de manifestations neurovégétatives. Si la peur constitue une réponse adaptative aux situations menaçantes, l’anxiété se distingue par l’absence de stimulus déclenchant. Néanmoins, elle peut s’avérer utile. L’anxiété est en effet associée aux capacités d’anticipation du danger, à la mémorisation des contextes dangereux. L’anxiété désorganise donc les autocontrôles et empêche l’animal de s’adapter. Son traitement implique toujours l’utilisation de thérapies comportementales mais doit aussi souvent être épaulé par des traitements biologiques. Nous connaissons la difficulté pour les propriétaires et parfois même pour les vétérinaires à prescrire un médicament psychotrope aussi quand l’opportunité se présente de pouvoir utiliser un produit à la fois sûr et efficace, cela mérite d’être éssayé. Un produit comme l’alpha-casozepine appartient à la classe des nutriments. Il a un statut GRAS (Generally Recogni-

zed As Safe) qui lui permet de ne pas subir un certain nombre de contraintes. Cela n’empêche pas un promoteur sérieux de ne lancer son produit qu’après avoir établi son innocuité et son efficacité. Pour cela, il faut donc des essais précliniques - qui ses ont révélés positifs - et ensuite des essais cliniques dans des espèces cibles, contre placebo ou contre produit de référence.

ESSAIS CLINIQUES CHEZ LE CHIEN Un essai multicentrique, européen, randomisé en double aveugle et en parallèle, a été mené chez le chien avec du décapeptide actif à la dose de 20 mg/kg répartis en deux prises comme verum et du caséinate de sodium comme placebo et administrés pendant 28 jours. Les animaux devaient répondre à un double critère d’inclusion - Etre atteint d’un trouble du comportement relié à un état anxieux authentifié par un vétérinaire comportementaliste - Avoir un score Etec > ou = à 20 Les résultats de 46 chiens ont pu être analysés dans cette étude. α-casozépine

placebo

Réussite

77,3%

44%

Echec

22,7%

56%

Selon le test du Khi-2 (Un degré de liberté) ce résultat est significatif (p= 0,03). Cet essai permet de mettre en évidence une grande rapidité d’action du produit sur certains paramètres (sommeil, hyperattachement, agressions par peur, exploration hypertrophiée ou inhibée). Cela vient confirmer la sensation clinique des investigateurs qui ont souvent eu la sensation de voir l’animal évoluer rapidement dans ces symptômes sous l’action conjuguée de la molécule et d’une thérapie adaptée. Un état anxieux peut s’installer dans la majorité des affections comportementales. Troubles de l’insertion hiérarchique, troubles de la communication de l’attachement ou du développement, tous ces secteurs étaient représentés dans notre échantillon et nous avons pu montrer, grâce à ce premier essai à 20 mg/kg /jour distribués en deux prises que l’alpha-casozépine a un pouvoir anxiolytique très intéressant dans le cadre de la pathologie comportementale canine.


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ESSAIS CLINIQUES CHEZ LE CHAT Les chats sont les grands oubliés de la pathologie comportementale. Sans doute parce que cela ne correspond pas à l’image que l’on peut se faire d’eux et parce que leurs affections sont plus silencieuses. Une espèce souvent se positionne dans la nature comme prédateur ou comme proie: une des caractéristiques du chat est d’être à la fois l’un et l’autre. Cela exige qu’il ait de grandes capacités d’adaptation pouvant passer brusquement d’un comportement d’affût à un comportement de fuite, d’un comportement d’attaque à un comportement de défense mais aussi d’une séance de câlins à une morsure prompte et apparemment incompréhensible. Cette capacité d’adaptation est la force des chats, c’est aussi leur vulnérabilité. Quand les chats deviennent anxieux, ils empruntent deux chemins possibles: - soit ils produisent des comportements indésirables: agression et marquage sont les plaintes les plus fréquentes des propriétaires - soit ils agissent de moins en moins et pour eux c’est un véritable drame: de plus en plus inhibés, ils ne gênent personne et il faut la perspicacité d’un propriétaire attentif ou d’un vétérinaire informé pour dépister le trouble masqué par l’inaction. Les variations de leur territoire peuvent ainsi déclencher des états anxieux pouvant s’exprimer de différentes façons, de l’inhibition voire de la sidération à l’explosion agressive. L’abord d’un chat demande au vétérinaire de changer de vision par rapport au chien. Le chat n’est pas un animal obligatoirement social. Il peut apprécier des contacts courts, mais parfois supporte mal les marques d’affection trop longues. Fuir est parfois difficile, disparaître ou se faire oublier peut être une solution utilisée par certains chats, mais cela ne diminue pas l’aspect anxiogène des contacts forcés. Tous ces éléments indiquaient la nécessité de tester le produit sur le chat. L’origine laitière de la molécule est une invitation de plus à l’essayer dans l’espèce féline. Un essai européen, multicentrique, randomisé en double aveugle et en parallèle, a donc été mené chez le chat avec du décapeptide actif à la dose de 12 mg/kg distribué en une seule prise quotidienne (ou un placebo constitué de caséinate de sodium). Les animaux étaient vus à J0, J28 et J56 et deux contrôles téléphoniques étaient réalisés à J14 et J42. Pour être inclus, les chats devaient remplir les deux critères d’inclusion: - Présenter un état anxieux authentifié par une consultation effectuée par un vétérinaire comportementaliste. - Avoir un score inférieur à 15 à la grille d’évaluation (voir annexe) comportant 5 chapitres (ou 0 à l’un de ces chapitres) • Tolérance au contact avec les familiers • Contacts avec les étrangers • Agressions • Autres peurs • Examen Somatique Ont été considérés comme des succès les chats dont le score est redevenu égal ou supérieur à 16 et qui ont obtenu une note de satisfaction de la part des propriétaires supérieure ou égale à 6(/10).

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Les chats inclus correspondaient tous aux critères et présentaient des diagnostics différents (anxiété de deterritorialisation, phobie sociale, troubles de la cohabitation) tous soustendus par un état anxieux intermittent ou permanent. Les résultats de 34 chats ont pu être analysés. α-casozépine

placebo

succès

10

4

échecs

7

13

Le test du Khi-2 (avec un degré de liberté) montre donc une positivité (p=0,02). Le produit a donc montré une efficacité prouvée dans le cadre de cet essai.

APPLICATIONS PRATIQUES DU PRODUIT “Anti-stress”: il module les réponses de peur et leurs manifestations organiques respiratoires, cardiaques et digestives. Il participe au contrôle des activités substitutives comme la boulimie et le prurit. Il restaure la durée du sommeil perturbé par le stress. Son mode d’action anxiolytique le rapproche des benzodiazépines. Les effets relaxants sont les mêmes, mais sans altération de la mémoire et sans désinhibition des conduites agressives. Les effets du Zylkène ND sont visibles en 3 à 8 jours pour le contrôle des manifestations de peur (orages, détonations), 2 à 4 semaines pour les activités substitutives lors d’anxiété permanente (boulimie ou plaie de léchage). En moins de 15 jours, les propriétaires rapportent la sensation de bien-être et de décontraction de leur animal. En renforçant la crédibilité de nos prescriptions, cet effet comportemental les encourage à appliquer la thérapie associée. L’alpha S1 casozépine module la réponse neuroendocrinienne au stress, notamment la sécrétion de cortisol. L’action GABA-ergique réduit les manifestations neurovégétatives et l’intensité des émotions, régule le sommeil. L’intérêt est majeur dans la phase d’installation des troubles émotionnels, aux stades dynamiques et réversibles où le sujet connaît des difficultés d’adaptation. Une fois installés, les états phobiques, anxieux ou dépressifs bénéficient des effets positifs sur le stress, en complément de thérapeutiques spécifiques. Le processus de stress est aussi impliqué dans des tableaux plus complexes: phobies ontogéniques ou post-traumatiques, syndrome de privation (la diminution des réactions de peur permet la relance de l’exploration), anxiétés sans cause identifiée (déritualisation, etc.), agressions par peur… Ou lors d’altérations de l’humeur, notamment les dépressions post-traumatiques à leur début. Le Zylkène ND peut présenter un intérêt dans d’autres syndromes, en fonction des signes cliniques: anxiété permanente avec dermite de léchage, troubles reliés à la séparation, hyperactivité (par réduction de la sensibilité à l’environnement). Aujourd’hui, s’appuyant sur les bases d’une recherche solide et positive et de nombreux retours terrains enthousiastes depuis le lancement en France, en mars 2006, le Zylkène ND est une alternative très intéressante dans le traitement des troubles anxieux du chien et du chat.


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L’ansia nel cane e nel gatto: nuove soluzioni terapeutiche Claude Beatà CETACE Sarl, medico veterinario comportamentista DENVF, Dip ECVBM-CA, St Saturninles Aptes, F

L’ansia è uno stato patologico frequente, che accompagna l’evoluzione di diversi disturbi comportamentali nel cane e nel gatto. L’ansia si manifesta con un quadro clinico relativamente facile da individuare. Identificarne l’origine, però, è più difficile, soprattutto nel caso di disturbi di vecchia data, a causa del suo carattere multifattoriale. I processi all’origine di uno stato ansioso sono complessi e molteplici. Un approccio multifattoriale al disturbo ansioso permette di comprendere meglio le sue cause, gli obiettivi della terapia e le sue implicazioni biologiche e cliniche.

CHE COS’È L’ANSIA L’ansia è uno stato patologico caratterizzato dall’aumento di probabilità di reazioni analoghe alla paur, in risposta a ogni variazione dell’ambiente interno o esterno. L’ansia si definisce in base a componenti emotive (senso di insicurezza), comportamentali (modi di comportarsi), fisiche (malesseri e turbe neurovegetative) e cognitive. L’ansia è diversa dalla paura, che è un’emozione forte e intensa di fronte a una minaccia reale e immediata. L’ansia produce un’emozione simile alla paura, ma diffusa e priva di un motivo riconoscibile. Essa è caratterizzata da un senso di timore e da uno stato di allerta, accompagnati da manifestazioni neurovegetative. L’ansia si distingue dalla paura per l’assenza di uno stimolo scatenante. L’ansia destruttura i meccanismi di autocontrollo e impedisce all’animale di adattarsi. La gestione implica sempre il ricorso a terapie comportamentali, ma spesso deve essere sostenuta anche da trattamenti farmacologici. È nota la difficoltà dei proprietari e a volte degli stessi veterinari di fronte alla prescrizione di un farmaco psicotropo, quindi se si presenta l’opportunità di utilizzare un prodotto sicuro e, al contempo, efficace, vale la pena provare. L’alfa-casozepina appartiene alla categoria degli integratori alimentari ed è classificato come GRAS (Generally Recognized As Safe). Tale prodotto è stato commercializzato solo dopo averne accertato attentamente l’innocuità e l’efficacia sia attraverso studi preclinici che hanno dato esito positivo e test clinici svolti nelle specie target con gruppi di controllo trattati con placebo.

INDAGINI CLINICHE NEL CANE Uno studio multicentrico, europeo, randomizzato, in doppio cieco è stato effettuato nel cane, con il decapeptide atti-

vo alla posologia di 20 mg/Kg in due somministrazioni, con caseinato di sodio come placebo, per 28 giorni. I cani dovevano rispondere a un doppio criterio di inclusione: - Essere affetti da turbe comportamentali legate a uno stato d’ansia diagnosticato da un veterinario comportamentista; - Presentare un punteggio Etec ≥ 20. In questo studio sono stati analizzati i risulati relativi a 46 cani. α-casozepina

placebo

Successo

77,3%

44%

Insuccesso

22,7%

56%

In base al test del chi quadrato, tale risultato è da considerarsi significativo (p= 0,03). L’indagine ha permesso di evidenziare tempi di azione del prodotto molto rapidi su taluni parametri (sonno, iperattaccamento, aggressioni per paura, esplorazione eccessiva o inibita), a conferma dell’impressione clinica dei ricercatori che hanno avuto spesso l’impressione di un miglioramento rapido di questi sintomi, sotto l’azione della molecola associata a una terapia adeguata. Nel nostro campione era rappresentato tutto l’àmbito tipologico del disturbo ansioso: turbe da inserimento gerarchico, della comunicazione, dell’attaccamento o dello sviluppo. Si è potuto dimostrare, in questo primo studio, che l’alfa-casozepina è dotata di un potere ansiolitico molto interessante nel quadro della patologia comportamentale canina.

TEST CLINICI NEL GATTO I gatti sono i grandi dimenticati della patologia comportamentale perché in essi le alterazioni sono meno evidenti. Una specie, in natura, ha spesso il ruolo di predatore o di preda. Una caratteristica del gatto è di essere contemporaneamente l’uno e l’altra. Ciò richiede grandi capacità di adattamento, per passare bruscamente da un comportamento di appostamento a uno di fuga. Tale capacità di adattamento è la forza dei gatti, ma anche la loro vulnerabilità. Quando diventano ansiosi, i gatti possono prendere due strade diverse: - Presentano comportamenti indesiderati (comportamenti di aggressione e di marcatura)


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- Si muovono sempre meno, un vero e proprio dramma per un gatto: solo la perspicacia di un proprietario e di un veterinario attenti permette di accorgersi delle turbe mascherate dall’inazione. L’approccio al gatto deve essere diverso da quello relativo al cane. Il gatto può apprezzare contatti brevi, ma talvolta non sopporta dimostrazioni di affetto troppo lunghe. L’origine naturale della molecola, era una ragione in più per studiarla anche nella specie felina. È stato effettuato anche nel gatto uno studio europeo, multicentrico, randomizzato in doppio cieco, ad una posologia di 12 mg/Kg di decapeptide attivo, in un’unica somministrazione quotidiana. Il placebo somministrato al gruppo di controllo era costituito da caseinato di sodio. Gli animali sono stati visitati nei giorni 0, 28 e 56 e sono stati effettuati due controlli telefonici nei giorni 14 e 42. I gatti dovevano rispondere a un doppio criterio di inclusione: - Presentare uno stato ansioso diagnosticato da un veterinario comportamentista; - Presentare un punteggio inferiore a 15 rispetto a 5 voci di una tabella di valutazione oppure un punteggio pari a 0 in una di queste voci: • tolleranza al contatto con i familiari • contatti con estranei • aggressioni • altre paure • esame somatico Sono stati considerati come risultati favorevoli i casi in cui il punteggio dei gatti è tornato uguale o superiore a 16, accompagnato da un voto di soddisfazione da parte dei proprietari uguale o superiore a 6/10. I gatti arruolati presentavano diagnosi differenti (ansia da deterritorializzazione, fobia sociale, turbe della convivenza), tutte legate a uno stato ansioso, transitorio o permanente. Hanno potuto essere analizzati, in questo studio, i risulati di 34 gatti. α-casozepina

placebo

Successo

10

4

Insuccesso

7

13

In base al test del chi quadrato, tale risultato è da considerarsi significativo (p=0,02).

APPLICAZIONI PRATICHE DEL PRODOTTO Come “anti-stress”; attenua, infatti, le risposte alla paura e le relative manifestazioni organiche, respiratorie, cardiache e digestive. Aiuta a controllare i sintomi sostitutivi quali la bulimia e il prurito. Regolarizza la durata del sonno perturbato dallo stress. La sua azione ansiolitica lo rende simile alle benzodiazepine. Gli effetti calmanti sono gli stessi, ma senza alterazioni della memoria, né disinibizione dei comportamenti agressivi.

Gli effetti dello ZylkèneR sono visibili nell’arco di 3-8 giorni, per quanto riguarda il controllo della paura (temporali, detonazioni) e di 2-4 settimane per i sintomi sostitutivi in caso di ansia permanente (bulimia o piaghe da leccamento). I proprietari dichiarano di rilevare un senso di benessere e di rilassamento nei loro animali in meno di 15 giorni e questo li incoraggia ad applicare la terapia associata. L’alfa S1-casozepina modula la risposta neuroendocrina allo stress, con particolare riguardo alla secrezione di cortisolo. L’azione GABA-ergica riduce sia le manifestazioni neurovegetative che l’intensità delle emozioni, oltre a regolare il sonno. L’interesse dell’uso del prodotto è ancora maggiore nella fase in cui incomincia a manifestarsi l’instaurazione delle turbe emotive ed il soggetto ha difficoltà di adattamento. Quando le condizioni fobiche ansiose si sono oramai instaurate, il prodotto ha effetti positivi sullo stress a complemento di terapie specifiche. La reazione di stress è coinvolta anche in quadri più complessi: fobie ontogenetiche o post-traumatiche, sindrome da deprivazione (rilancio dell’attività esplorativa), ansia senza causa identificata, aggressioni per paura oppure alterazioni dell’umore; in particolare depressioni post-traumatiche in fase iniziale. Lo ZylkèneR può presentare un interesse anche per altre sindromi, in rapporto ai relativi segni clinici: ansia permanente con dermatite da leccamento, turbe dovute a separazioni, iperattività. Oggi, forte dei risultati positivi di una ricerca condotta su solide basi e dei numerosi ed entusiastici riscontri ottenuti nella pratica, da quando questo prodotto è stato immesso sul mercato, in Francia, nel marzo 2006, lo Zylkène R rappresenta un’alternativa molto interessante nel trattamento dell’ansia del cane e del gatto.

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Errori che si possono fare in citologia diagnostica (e io li ho fatti tutti) Walter Bertazzolo Med Vet, Dipl ECVCP, Pavia

In tutte le procedure diagnostiche è possibile ottenere dei risultati errati (falsi diagnostici). La citologia non sfugge a tale regola generale. I risultati falsi possono essere classificati in: - falsi negativi: mancata diagnosi di una malattia X in un soggetto effettivamente ammalato di tale patologia (es. mancata diagnosi di neoplasia in un soggetto affetto invece da tumore) - falsi positivi: diagnosi di una determinata malattia X quanto il soggetto invece non la presenta (es. errata diagnosi di neoplasia in un paziente non affetto da tumore) Nei casi dubbi è sempre meglio mantenere un comportamento conservativo nell’emettere una diagnosi citologica: la regola aurea è che un falso negativo è sicuramente meno grave di un falso positivo. Nel primo caso una mancata diagnosi (falso negativo) può condurre ad ulteriori accertamenti diagnostici, mentre una diagnosi errata (per esempio falso positivo per neoplasia) può risultare in trattamenti inutili o decisioni irreversibili (es. eutanasia). Le cause di errore diagnostico in citologia possono essere molteplici, e dipendere da una o più delle seguenti fasi di campionamento, preparazione, interpretazione e refertazione del campione citologico. 1) Campionamento. Gli errori di campionamento sono molto frequenti e possono risultare in campioni mal preparati, inconclusivi (per esempio ematici e poco cellulari) o fuorvianti (per esempio prelievo accidentale di tessuto epatico durante un’aspirazione transtoracica polmonare). Questi inconvenienti possono essere evitati verificando il risultato del campionamento con colorazione rapida prima di dimettere il paziente, in modo da poterlo ripetere in caso di errore. In caso di campioni inconclusivi (es. ematici/acellulari, cellule danneggiate e non riconoscibili, ecc.) è importante non considerare mai il campione semplicemente “negativo” (ovvero privo di riscontri patologici), ma procedere a ricampionamento citologico o a biopsia istologica per giungere ad una diagnosi definitiva. 2) Preparazione. È molto frequente, soprattutto per clinici alle prime armi con le procedure di campionamento citologico, preparare in maniera inadeguata gli strisci su vetrino. Il modo migliore per ovviare a tali inconvenienti e verificare subito il risultato del campionamento otte-

nuto; non è necessario essere in grado di emettere una diagnosi citologica, è però importante verificare subito che il campione sia sufficientemente cellulare e ben preparato per essere eventualmente valutato da un citologo più esperto. È importante sottolineare che le fasi di campionamento e preparazione sono sicuramente quelle più critiche ai fini della buona riuscita dell’esame citologico: se un campione è di buona qualità può essere sottoposto a revisione critica da citologi più esperti, mentre se un campione è di cattiva qualità non potrà comunque risultare utile. 3) Interpretazione e refertazione: un’errata interpretazione dei preparati è particolarmente frequente quando si inizia a praticare la citologia diagnostica ed è dovuta principalmente ad inesperienza. È molto frequente sovrastimare alcune malattie (soprattutto se rare) e sottovalutarne altre più comuni. Esempi di errori di interpretazione dei preparati citologici: a. Non riuscire a distinguere il “normale” dal “patologico” in un tessuto b. Confondere un quadro reattivo con uno neoplastico (es. linfoadenopatia vs linfoma, reazione stromale vs sarcoma, iperplasia/displasia uroteliale vs carcinoma transizionale, ecc) e viceversa c. Non riuscire a distingure tra flogosi e neoplasia quando i due processi sembrano coesistere d. Vedere quello che non c’è (es.confondere batteri per materiale proteinaceo, organismi fungini per detrito cellulare, ecc.) e. Non vedere quello che invece è presente (es. non rilevare amastigoti di leishmania in un campione che li presenta) f. Vedere particolari poco rilevanti in presenza di alterazioni molto più importanti (es. vedere microorganismi ma non la neoplasia che li accompagna) g. Confondere un tipo di neoplasia con un altro (es. confondere un carcinoma squamoso con un sarcoma) Il confronto con colleghi più esperti e preparati, il consulto di testi di riferimento e la correlazione con i risultati dell’istologia rappresentano i modi migliori per acquisire esperienza e conoscenze, riducendo così la frequenza degli errori interpretativi.


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L’esame delle urine: una diagnostica di base essenziale per la valuatazione dei processi infiammatori delle vie urinarie Walter Bertazzolo Med Vet, Dipl ECVCP, Pavia

La diagnosi di processo infiammatorio delle vie urinarie si basa sui dati anamnestici/clinici, sui rilievi di diagnostica per immagine, sui risultati dell’esame urine (EU) e in casi selezionati sull’istopatologia. L’EU in particolare può fornire informazioni essenziali per la diagnosi e non dovrebbe essere mai trascurata in corso di patologie dell’apparato urinario. È importante ricordare che l’EU di base è una procedura semplice e di immediata realizzazione anche in sede ambulatoriale, ma che deve essere realizzata correttamente per poter fornire informazioni clinicamente utili. In questa sede non verranno trattate le procedure per eseguire adeguatamente l’esame urine ed interpretarne i risultati, per i quali si rimanda alla bibliografia consigliata. Verranno invece discussi quelli che chiameremo “indicatori di infiammazione” in un EU di base, valutandone valore diagnostico, limiti e possibili errori d’interpretazione.

ASPETTO MACROSCOPICO: VOLUME, COLORE, TRASPARENZA/ASPETTO, ODORE In soggetti con patologie infiammatorie renali (glomerulonefriti, nefriti, pielonefriti) è possibile il riscontro di poliuria/polidipsia, e pertanto un aumento del volume di urine prodotte giornalmente. È meno frequente invece rilevare urine di aspetto (colore e torbidità) macroscopicamente alterato in tali casi. Viceversa, in corso di affezioni infiammatorie delle basse vie urinarie (cistiti/uretriti) è estremamente frequente il riscontro di ematuria, piuria e aumentato volume urinario giornaliero associato a poliuria/polidipsia. Un’alterazione dell’odore (particolarmente ammoniacale e pungente) è comune in urine con iperproliferazione batterica associata ad infezioni delle vie urinarie (UTI) o in campioni vecchi/mal conservati in cui la proliferazione batterica è successiva alla raccolta dell’urina. In tali casi è essenziale ripetere il prelievo (possibilmente per cistocentesi) per verificare l’effettiva presenza di batteri mediante esame microscopico ed urocultura. Le alterazioni dell’aspetto macroscopico, sebbene di limitato valore diagnostico, sono un importante campanello d’allarme per proprietari e veterinari, che necessitano sempre di approfondimento diagnostico adeguato.

ESAME CHIMICO-FISICO Peso specifico (PS): il PS urinario è uno dei parametri più importanti dell’EU. La sua determinazione non ha tuttavia molta utilità se non valutata in associazione ai risultati dell’esame fisico (es. presenza di disidratazione, segni di ipervolemia/overidratazione, ecc.) e agli altri esami di laboratorio (emogramma e biochimica clinica). Infatti soggetti normali, al fine di mantenere un adeguato equilibrio idrico/salino/acidobase, sono in grado di produrre urine con un ampio range di PS (1001-1070 nel cane, 1001-1080 nel gatto), a seconda della quantità di acqua e soluti assunti e delle necessità fisiologiche del momento. In corso di patologie infiammatorie delle vie urinarie i valori di PS possono coprire un ampio range di concentrazione. In soggetti con nefriti/pielonefriti è comune il riscontro di urine a basso PS, a causa dell’incapacità dei reni di concentrare le urine. In soggetti con UTI è altrettanto frequente la produzione di urine poco concentrate associate a poliuria/polidipsia secondarie al processo settico. Proteinuria: per proteinuria si intende l’escrezione urinaria di proteine. Essa può essere distinta in: - Preglomerulare: funzionale (transitoriamente legata a fenomeni quali stress, convulsioni, esercizio, febbre, ecc.), da sovraccarico (es. somministrazione di albumine, emoglobinuria/mioglobinuria, paraproteinuria associata a neoplasie, ecc.) - Glomerulare: da danno glomerulare. Si suddivide in selettiva (perdita di albumine e altre proteine di PM simile come la transferrina) e non selettiva (perdita di proteine di PM superiore come le immunoglobuline). La prima si considera meno grave della seconda. - Post glomerulare: tubulare (danno tubulare, difetti tubulari congeniti; è caratterizzata da perdita di modeste quantità di proteine a PM inferiore a 50 KD) o post renale (proteinuria derivante da altri tratti delle vie urinarie o dall’apparato genitale; si associa di solito alla presenza di sedimento attivo). La presenza di proteinuria pertanto può essere o meno associato a una patologia infiammatoria urinaria (glomerulonefrite, nefrite, pielonefrite, infiammazione delle basse vie urinarie): il suo riscontro necessita di una approfondimento diagnostico al fine di individuarne eziologia ed entità quantitativa. La proteinuria di origine renale è solitamente associata a sedimento inattivo o di modesta entità (per esempio


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presenza di cilindri o di modesta piuria), ma può essere quantitativamente importante se di origine glomerulare. La proteinuria di origine dalle basse vie urinarie è invece spesso associata a ematuria, piuria, cristalluria o batteriuria e solo in caso di abbondante sedimento può essere quantitativamente elevata. Va infine ricordato che la misurazione quantitativa della proteinuria viene effettuata mediante la determinazione del rapporto Proteine Urinarie/Creatinina Urinaria (PU/CU) mentre per una differenziazione qualitativa del tipo di proteine escrete si deve ricorrere a elettroforesi urinaria (Sodio Dodecil Solfato-Agar Gel Elettroforesi). Ematuria: l’ematuria (microscopica o macroscopica) va considerato un rilievo raro in corso di patologie intrinseche renali, mentre è un rilievo molto comune in corso di patologie infiammatorie delle basse vie urinarie. Nitriti: mentre i nitrati vengono normalmente escreti nelle urine, i nitriti vengono prodotti localmente in presenza di batteri. Un risultato positivo suggerisce un’infezione delle vie urinarie che deve però confermata da urinocoltura. Il test è tuttavia poco sensibile (frequenti falsi negativi). Leucociti: le striscie reattive rilevano la presenza di esterasi presenti nei granulociti e nei monociti. Il test è specifico ma poco sensibile nel cane e assolutamente non specifico nel gatto, pertanto deve essere interpretato con cautela.

ESAME MICROSCOPICO DEL SEDIMENTO URINARIO L’esame del sedimento urinario è una delle fasi più importanti dell’EU, in particolare in corso di infiammazione dell’apparato urinario. Esso permette, se adeguatamente realizzato, di evidenziare: - presenza e tipo di cristalluria - presenza di ematuria (e differenzizione tra ematuria e emoglobinuria/mioglobinuria) - presenza di piuria e/o batteriuria - presenza di altri tipi di microorganismi (es. miceti, uova di parassiti) - presenza di elementi cellulari normali o neoplastici delle vie urinarie - presenza di cilindri Questa fase dell’EU è quella che più di ogni altra dipende dall’abilità dell’operatore e dalla qualità del campione che

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deve essere analizzato fresco senza refrigerazione. L’autore consiglia di eseguire sempre anche un esame citologico del sedimento (previa rapida fissazione all’aria e colorazione con metodi di routine) in caso di presenza di cellule nucleate (leucociti, cellule epiteliali) o in casi sospetti di UTI.

URINOCOLTURA Sebbene l’esame microscopico del sedimento possa indicare la presenza di batteriuria, va sottolineato che il “gold standard” per la diagnosi di UTI resta l’urocoltura. Questa andrebbe eseguita su campioni ottenuti per cistocentesi e prima di ogni trattamento con antibiotici.

Bibliografia Albasan H et al (2003) Effects of storage time and temperature on pH, specific gravity, and crystal formation in urine samples from dogs and cats. JAVMA 222:176-179. Bartges JW (2004) Diagnosis of urinary tract infections. Veterinary Clinics of North America - Small Animal Practice 34:923-933. Bertazzolo W (2006) L’esame delle urine nel cane e nel gatto: un tassello spesso dimenticato nell’approfondimento del problema nefrologico ed urologico. Atti del 52° Congresso Nazionale SCIVAC: Nefrologia ed Urologia Clinica del Cane e del Gatto. Sesto San Giovanni, 10-12 Marzo 2006. Brobst D. (1989) Urinalysis and associated laboratory procedures. Veterinary Clinics of North America - Small Animal Practice 19:929957. Heutter KJ, Buffington T, Chew DJ (1998) Agreement between two methods for measuring urine pH in cats an dogs. JAVMA 213:996998. Jacob F et al (2005) Evaluation of the association between initial proteinuria and morbidity rate or death in dogs with naturally occurring chronic renal failure. JAVMA 226:393-400 Jin Y, Lin D (2005) Fungal urinary tract infections in the dog and cat: a retrospective study (2001-2004). JAAHA 41:373-381 Lees et al (2005) Assessment and menagement of proteinuria in dogs and cats: 2004 ACVIM forum consensus statement (small animal). Journal of Veterinary Internal Medicine 19:377-385. Osbourne CA, Stevens JB. (1999) Urinalysis: a clinical guide to compassionate patient care. Bayer, Leverkusen. Reine NJ, Langston CE (2004) Urinalysis interpretation: how to squeeze out the maximum information from a small sample. Clinical Techniques in Small Animal Practice 20:2-10. Stockham SL, Scott MA (2002) Foundamentals of veterinary clinical pathology. Iowa State Press, Ames. Swenson CL et al (2004) Evaluation of modified Wright-staining of urine sediment as a method for accurate detection of bacteriuria in dogs. JAVMA 224:1282-1289. Watson ADJ (1998) Urine specific gravity in practice. Australian Veterinary Journal 76:392-398.


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Physiology and pathology of the estrous cycle of the bitch Konrad Blendinger Med Vet, Hofheim (D)

Sound knowledge of the bitch reproductive cycle is essential. Individual bitches may vary from normal, be presented at variable times during their estrous cycles for evaluation, and sometimes exhibit pathologic variations in cycles. Each of these scenarios requires veterinary interpretation. The normal canine reproductive cycle can be divided into 4 phases, each having characteristic behavioral, physical, and endocrinologic patterns, although considerable variation exists. Bitches with normal estrous cycles but unexpected patterns must be differentiated from those with true abnormalities. Detection of individual variation within the normal range of events in a fertile bitch can be crucial to breeding management. Evaluation of the estrous cycle for true abnormalities is an important part of the evaluation of an apparently infertile bitch.

PHYSIOLOGY OF THE ESTROUS CYCLE Estrous Cycle The onset of the first estrous cycle (puberty) of an individual bitch is expected between 6 and 10 month of age but may not begin until she has reached 2 years of age. The interestrous interval is normally 4-13 month, with 7 month the average.

Anestrus The anestrus phase of the extrous cycle normally lasts 16 month. It is marked by ovarian inactivity, uterine involution, and endometrial repair. An anestrous bitch is not attractive or receptive to male dogs. No overt vulvar discharge is present, and the vulva is small. Vaginal cytology is predominated by small parabasal cells, with occasional neutrophils and small numbers of mixed bacteria. The endoscopic appearance of vaginal mucosal folds is flat, thin, and red. The physiologic controls terminating anestrus are not well understood, but the deterioration of luteal function and the decline of prolactin secretion seem to be prerequisites. The termination of anestrus is marked by an increase in the pulsatile secretion of pituitary gonadotropins, follicle stimulating hormone (FSH), and luteinizing hormone (LH), induced by gonadotropin-releasing hormone (GnRH). Hypothalamic GnRH secretion is itself pulsatile, its intermittent secretion is a physiologic requirement of

gonadotropin release. Mean levels of FSH are moderately elevated, and those of LH slightly elevated, during anestrus. At late anestrus, the pulsatile release of LH increases, causing the proestrous folliculogenesis. Estrogen levels are basal (2-10 pg/mL) and progesterone levels at nadir (<1 ng/mL) at late anestrus.

Proestrus During proestrus, the bitch becomes attractive to male dogs but is still not receptive to breeding, although she may become more playful. A serosanguineous to hemorrhagic vulvar discharge of uterine origin is present, and the vulva is mildly enlarged. Vaginal cytology shows a progressive shift from small parabasal cells to small and large intermediate cells, superficial-intermediate cells, and finally superficial (cornified) epithelial cells, reflecting the degree of estrogen influence. RBC are usually, but not invariably, present. The vaginal mucosal folds appear edematous, pink, and round. FSH and LH levels are low during most of proestrus, rising during the preovulatory surge. Estrogen rises from basal anestrous levels (2-10 pg/mL) to peak levels (50-100 pg/mL) at late proestrus, while progesterone remains at basal levels (<1 ng/mL) until rising at the LH surge (2-3 ng/mL). Proestrus lasts from 3 days to 3 weeks, with 9 days average. The follicular phase of the ovarian cycle coincides with proestrus and very early estrus. Behavior correlates with decreasing estrogen levels and increasing progesterone levels. Serosanguineous to hemorrhagic vulvar discharge may diminish to variable degrees. Vulvar edema tends to be maximal. Vaginal cytology remains predominated by superficial cells; RBC tend to decrease but may persist throughout. Vaginal mucosal folds become progressively wrinkled (crenulated) in conjunction with ovulation and oocyte maturation. Estrogen levels decrease markedly after the LH peak to variable levels, while progesterone levels steadily increase (usually 4-10 ng/mL at ovulation), marking the luteal phase of the ovarian cycle.

Estrus Estrus lasts 3 days to 3 wk, with an average of 9 days. Estrous behavior may precede or follow the LH peak—its


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duration is variable and may not coincide precisely with the fertile period. Primary oocytes ovulate 2 days after the LH peak, and oocyte maturation is seen 2-3 days later; the lifespan of secondary oocytes is 2-3 days.

Diestrus During diestrus, the normal bitch becomes refractory to breeding, with diminishing attraction of male dogs. Vulvar discharge diminishes and edema slowly resolves. Vaginal cytology is abruptly altered by the reappearance of parabasal epithelial cells and frequently neutrophils. The appearance of vaginal mucosal folds becomes flattened and flaccid. Estrogen levels are variably low, and progesterone levels steadily rise to a peak of 15-80 ng/mL before progressively declining in late diestrus. Progesterone secretion depends on both pituitary LH and prolactin secretion. Proliferation of the endometrium and quiescence of the myometrium develop under the influence of elevated progesterone levels. Diestrus usually lasts 2-3 mo in the absence of pregnancy. Parturition terminates pregnancy 64-66 days after the LH peak. Prolactin levels increase in a reciprocal fashion to falling progesterone levels at the termination of diestrus or gestation, reaching much higher levels in the pregnant state. Mammary ductal and glandular tissues increase in response to prolactin levels.

Estrogens Increased estrogen causes an increased turnover rate of vaginal epithelial cells, resulting in the progressive cornification seen on vaginal cytology. Progressive edema of the vaginal mucosa also develops and can be visualized with endoscopic examination. Estrogen assays are performed by many commercial laboratories; however, the information is of little value for ovulation timing because peak estrogen levels vary from bitch to bitch, and even relative changes do not correlate to ovulation or the fertile period. Estrogen is best assessed by serial vaginal cytologies and vaginoscopy. Estrogen levels do not indicate the fertile period because ovulation is triggered by the LH surge, not an estrogen peak. Examination of the cells on the surface of the vaginal epithelium can provide information about the stage of the estrous cycle. Proper technique is important so that the cells obtained are representative of the hormonal changes occurring. The sample should be collected from the cranial vagina; cells from the clitoral fossa, vestibule, or caudal vagina are not as indicative of the stage of the cycle. Under the influence of rising estrogen levels, the number of layers composing the vaginal epithelium increases dramatically, presumably to provide protection to the mucosa during copulation. As estrogen rises during proestrus, the maturation rate of the epithelial cells increases, as does the number of keratinized, cornified

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epithelial cells seen on a vaginal smear. Full cornification continues throughout estrus until the “diestral shift� occurs 7-10 days after the LH surge, signifying the first day of diestrus. The vaginal smear then changes abruptly, with appearance of neutrophils and epithelial cells changing from full cornification to 40-60% immature (parabasal and intermediate) cells over the next 24-36 hr. If vaginal cytology is performed until the diestral shift is observed, the LH surge, ovulation, and the fertile period can be analyzed retrospectively.

Luteinizing Hormone At the end of the follicular phase of the estrous cycle, a marked increase in LH over usual baseline values devlops over 24-48 hr, followed by a return to baseline values. This surge is thought to occur in response to the decline in estrogen levels and increase in progesterone levels. The LH surge triggers ovulation, making it the central endocrinologic event in the reproductive cycle of the bitch. Daily serial measurement of LH to identify the exact date of the LH surge is an accurate diagnostic tool for timing breedings. Affordable semiquantitative in-house kits are available for measuring serum LH levels in the dog and for identifying the preovulatory LH surge and thus the time of ovulation and the true fertile period. Blood samples must be drawn daily (at about the same time) for LH testing, as the LH surge may last only 24 hr in many bitches. The kits can be subject to variable interpretation, so the same person should run the tests if possible.

Progesterone Progesterone levels begin to rise at approximately the time of the LH surge (prior to ovulation). Rising progesterone acts synergistically with declining estrogen to reduce edema of the vulva and vagina, which can be seen on vaginoscopic exam. Other observable clinical signs are minimal. Serial blood samples performed every 2 days may identify the initial rise in progesterone (usually >2 ng/mL), which indicates that the LH surge has occurred. Progesterone can be assayed by radioimmunoassay at most veterinary commercial laboratories. Several in-house semiquantitative kits are also available. No single absolute value of progesterone correlates to any particular stage of the cycle. Progesterone varies from 0.8-3.0 ng/mL at the point of the LH surge, from 1.0-8.0 ng/mL at ovulation, and from 4.0-20.0 ng/mL during the fertile period. However, if accurate serial quantitative progesterone assays are obtained, the LH surge may be estimated as the day a distinct increase in progesterone level is seen. While this is not as accurate as actual identification of the LH surge by assay, estimation by progesterone levels is still very useful and is often more widely available and convenient.


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Table - Some aspects of the estrous cycle in the bitch Duration

Progesterone

Estrogen (E2) levels

Anestrus

1-6 month

Basal (<1 ng/mL)

Basal (2-10 pg/mL)

Proestrus

3 days-3 weeks (9 days average)

Initial basal (<1 ng/mL); At LH surge: 2-3 (0,8-3) ng/mL At day of ovulation: 4-10 ng/ml (ovulation: range 1-8 ng/mL)

Rising to peak levels (50-100 pg/mL)

Estrus

Diestrus

3 days-3 weeks (9 days average)

2-3 month (in the absence of pregnancy)

Abrubt decrease at the day of LH peak to 10-20 pg/mL Basal (2-10 pg/mL) during the following few days

Peak at 15-80 ng/mL

Notes

Primary oocytes ovulate 2 days after LH peak; Oocyte maturation finished 2-3 days later; lifespan of secondary oocytes: 2-3 days

Basal (2-10 ng/mL)

Vaginal cytology

Parabasals Small Intermediate Cells Large Intermediate Cells Partly cornified Superficial cells Completely Cornified Figure 1

SOME CONSIDERATIONS ON PROGESTERONE ASSAYS Semiquantitative in-clinic progesterone assays When timing breeding using semiquantitative in-clinic progesterone assays, only a range of progesterone is obtained, this makes it difficult to accurately identify the day of the initial rise in progesterone or the true fertile period. Technical problems with these kits have also been seen. Therefore, these assays should be used only for routine breedings in which a wider margin of error is acceptable.

Figure 2

Quantitative progesterone assays 1) It is critical that the result is available at least the day after collection. 2) The laboratory must be familiar with the detection of canine progesterone. Some of the human assays have the same technical problems with canine serum as the semiquantitative in-clinic progesterone assays. The results of most human assays have to be adapted to the canine species by a factor which is done by a accurate laboratory. 3) A safe rule of thumb is that when progesterone is >2 ng/mL, breeding should begin. Optimal ovulation timing should use quantitative progesterone assays from commercial laboratories—the cost difference is minimal.


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Regardless of which assay is used, an additional test should always be performed 2-4 days after the first rise is detected to indicate that the cycle has progressed as expected, a functional corpus luteum has been formed, and ovulation has occurred.

PATHOLOGY OF THE ESTROUS CYCLE A) Prolonged interestrous interval Primary anestrus in the bitch is the lack of estrous cycling by 24 month of age. Previous ovariohysterectomy may be the reason for a bitch not to cycle. Challenge testing of serum estrogen has been described: A paired blood sample is taken before and after 60 to 90 minutes of Buserelin administration intravenously at a dose of 0.02 to 0.03 µg/kg. Intact bitches, at any stage of the reproductive cycle, will show an elevation in serum estrogen concentration to greater than 15 to 20 pg/ml. Silent heat is defined as ovarian activity with no concomitant vulvar swelling, exudation of serosanguineous vulvar discharge, or attraction of male dogs. It can be diagnosed by monthly assay of serum progesterone concentrations, with a value of greater than 2 ng/ml indicating presence of functional luteal tissue, or by weekly assessment of vaginal cytology, with increasing percentages of cornified vaginal epithelial cells indicative of rising serum estrogen concentrations. Pubertal bitches are more likely than normal adults to manifest a silent heat. Abnormalities of sexual differentiation. Female appearing dogs may have a 78,X0; 79,XXX; 79,XXY; or 78,XX/78,XY karyotype. Male pseudohermaphrodites, that have male gonads and female external genitalia, also may present for primary / prolonged anestrus. Diagnosis of abnormality of sexual differentiation is made by visual inspection of abnormal external genitalia, histopathology of excised gonadal tissue, measurement of serum gonadotrophin concentration, and/or assessment of the karyotype. Drug induced anestrus may be present in bitches that received anabolic drugs, androgens, progestogens or glucocorticoids. Such agents may be used to enhance performance of show or working dogs or for other reasons. Hypothyreoidism may lead to anestrus, prolonged or irregular interestruous intervals, prolonged proestrus or other reproductive signs. Bitches with systemic diseases, such as renal failure or hypercorticism or cancer cachexia, may be less likely to cycle than normal bitches. Progesterone-secreting ovarian cysts with serum progesterone concentrations greater than 2 ng/ml may inhibit the ovarian cycle. Ovarian aplasia is a rare congenital anomaly in dogs, in which there is defective prenatal germ cell migration. Serum gonadotropin concentrations are elevated in affected dogs. Immune-mediated oophoritis has been described in the dog with autoimmune destruction of the ovary. Hyperprolaktinaemia during prolonged pseudopregnancy may lead to a prolonged interestrous interval.

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B) Shortened interestrous interval Premature drop of progesterone Split oestrus Pubertal bitches are more likely to manifest a split or false heat. The exact cause for split/false heat is unknown. One possible explanation is that the increased levels of estradiol-17ß from follicular development during anestrus, and prior to the onset of a “true” proestrus, may initiate the clinical signs. During a split heat the bitch shows some of the signs of a true proestrus-estrus, such as a serosanguineous discharge passing from the vagina, vulvar swelling, and the attraction of male dogs. In some cases, bitches exhibiting split heats will even be receptive to mating. However, after a few days, true estrus begins in several more days or weeks. During a split heat, proestrous-estrous behaviour occurs in the absence of ovulation during the first part of the “split”. However, conception occurs during the second part of the split heat, or true estrus. Anovulatory cycle Anovulatory cycles, in which serum progesterone concentrations never rose above 3.5 ng/ml, were reported in 11 of 1152 (1%) bitches. Five of these 11 bitches (45%) had a normal, ovulatory estrus at their next season. Hypoluteoidism Luteal dysfunction is generally considered to be a primary ovarian problem, but secondary luteal insufficiency has been described in a Great Dane with a pituitary defect. Diagnosis requires documentation of low serum progesterone concentrations in diestrus. If serum progesterone falls to less than 2 ng/ml for greater than 48 hours, pregnancy may be terminated. From a more practical (but empirical) standpoint, serum progesterone values less than 10 – 15 ng/ml during the first 4 weeks after mating may be suspected as hypoluteoidism. Supplementation of progesterone may be progesterone in oil administered parenterally (2 mg/kg every 3 days to not later than 58 days from ovulation or 52 days from the first diestrous vaginal smear). Ally-trenbolone (Regumate) is administered at a dose of 0.088 mg/kg once dayly orally, to not later than 61 days from ovulation or 55 days from the first diestrous vaginal smear. Bitches receiving the oral progestogen, ally-trenbolone, may have poor milk production in the early postpartum period.

Short anestrus syndrome In some breeds (e.g. German Shepherd) some individuals tend to have a shortened interestrous interval of less than 4 month. This condition is correlated with poor reproductive performance. Heritability is assumed/discussed. Embryonal death/resorption The exact incidence of embryonic and fetal loss is difficult to determine. In 22 pregnant beagle bitches from 22 to 54 days postcoitum, 13 of 117 embryos and fetuses (11%) were found to be in different stages of resorpiton. In another study, 13 resorptions were present among 98 fetal implantation sites (13%) in 12 beagle bitches examined by hysterotomy at 48 days of gestation.


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In case, the whole litter is resorbed, the interestrus interval may be shortened.

C) Prolonged estrus A prolonged estrogen influence may be caused by one of the following conditions: Ovarian cysts (follicular cysts) Cysts can be treated with GnRH (Fertagyl, Intervet), 10Âľg/kg once or repeatedly, it probably is advisable to administer GnRH repeatedly, IM for example thrice daily during two days. This treatment, however, does not always resolve the problem. If luteinisation of cystic follicles or further luteinisation of luteinised cysts take place the estrus will

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stop, progesterone concentration will increase and the vaginal smear will show intermediate and parabasal cells, and leukocytes. If the problem persists oestrus can be stopped by oral administration of low doses of megestrol acetate (Ovarid, Pitman Moore/ not available in Germany) (once daily first week: 0,1 mg/kg; second week: 0,05 mg/kg). Ovarian tumors (granulosa cell tumors) Tumors should be removed. Pathologic liver function (metabolism of estrogens is reduced) Exogenous estrogens

Suggested readings Johnston et al. (2001): Canine and Feline Theriogenology, Saunders


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Ciclo estrale nella cagna Konrad Blendinger Med Vet, Hofheim, Germania

È essenziale conoscere bene il ciclo riproduttivo della cagna. I singoli animali possono presentare delle variazioni rispetto alla norma, venire portati alla visita in momenti variabili durante i loro cicli estrali e, talvolta, manifestare delle modificazioni patologiche dei cicli stessi. Ognuno di questi scenari richiede una diversa interpretazione da parte del veterinario. Il ciclo riproduttivo normale della specie canina può essere suddiviso in quattro fasi, ciascuna dotata di caratteristici quadri comportamentali fisici ed endocrinologici, benché esistano considerevoli variazioni. Le cagne con cicli estrali normali, ma quadri inattesi, devono essere differenziate da quelli che presentano autentiche anomalie. L’identificazione delle variazioni individuali nell’ambito della normale gamma di eventi di una cagna fertile può essere di importanza cruciale per la gestione dell’attività riproduttiva. La valutazione del ciclo estrale alla ricerca di autentiche anomalie è una parte importante dell’esame di una cagna apparentemente infertile.

FISIOLOGIA DEL CICLO ESTRALE Ciclo estrale L’insorgenza del primo ciclo estrale (pubertà) è prevista fra 6 e 10 mesi di età, ma può anche non iniziare prima del raggiungimento dei due anni di vita. L’intervallo interestrale è normalmente di 4-13 mesi, con un valore medio di 7 mesi.

Anestro La fase di anestro del ciclo estrale dura normalmente da uno a sei mesi. È caratterizzata da inattività ovarica, involuzione uterina e riparazione endometriale. Una cagna in anestro non attrae i cani maschi, né è recettiva nei loro confronti. Non è presente alcun evidente scolo vulvare e la vulva è piccola. Nella citologia vaginale predominano le piccole cellule parabasali, con occasionali neutrofili e pochi batteri misti. L’aspetto endoscopico delle pliche della mucosa vaginale è appiattito, sottile e rosso. I meccanismi di controllo fisiologici che pongono termine all’anestro non sono ancora stati ben compresi, ma il deterioramento della funzione luteinica ed il declino della secrezione prolattinica sembrano costituire dei prerequisiti. Il termine dell’anestro è caratterizzato da un incremento della secrezione pulsante di gonadotropine ipofisarie, ormone follicolostimolante (FSH) ed ormone luteinizzante (LH), indotto dall’ormone gonadotropinorilasciante (GnRH). La secrezione ipotalamica di GnRH è essa stessa pulsante ed il suo andamento intermittente costituisce un requisito fisiologico per il rilascio di gonadotropine. Durante l’anestro, i livelli medi dell’FSH sono moderatamente elevati e quelli dell’LH sono lie-

vemente elevati. Alla fine dell’anestro, il rilascio pulsante dell’LH aumenta, determinando la follicologenesi del proestro. I livelli di estrogeni sono basali (2-10 pg/ml) e quelli di progesterone si trovano al nadir (< 1 ng/ml) all’anestro.

Proestro Durante il proestro, la cagna inizia ad attrarre i maschi, ma non è ancora recettiva all’accoppiamento, benché possa diventare più giocherellona. È presente uno scolo vulvare sieroematico o emorragico di origine uterina e la vulva appare lievemente ingrossata. La citologia vaginale evidenzia un progressivo spostamento dalle piccole cellule parabasali alle piccole e grandi cellule intermedie, alle cellule superficiali-intermedie ed infine agli elementi epiteliali superficiali (corneificati) che riflettono il grado di influenza degli estrogeni. Di solito, ma non invariabilmente, sono presenti degli eritrociti. Le pliche della mucosa vaginale sono edematose, di colore rosa ed arrotondate. I livelli di FSH ed LH sono bassi durante la maggior parte del proestro, aumentando durante l’impennata preovulatoria. Gli estrogeni si innalzano dai livelli basali di anestro (210 pg/ml) ai livelli di picco (50-100 pg/ml) alla fine del proestro, mentre il progesterone si mantiene ai livelli basali (< 1 ng/ml) fino a che non aumenta in corrispondenza dell’impennata dell’LH (2-3 ng/ml). Il proestro dura da tre giorni a tre settimane, con una media di 9 giorni. La fase follicolare del ciclo ovarico coincide con il proestro e con il primissimo periodo dell’estro. Il comportamento è correlato al calo dei livelli di estrogeni ed all’aumento di quelli del progesterone. Lo scolo vulvare sieroematico o emorragico può diminuire in misura variabile. L’edema vulvare tende ad essere massimo. Nella citologia vaginale continuano a predominare le cellule superficiali; gli eritrociti tendono a diminuire, ma possono persistere per tutto il tempo. Le pliche della mucosa vaginale diventano progressivamente più raggrinzite, in associazione con l’ovulazione e la maturazione degli oociti. I livelli di estrogeni scendono marcatamente dopo il picco di LH sino a concentrazioni variabili, mentre quelli del progesterone aumentano in modo costante (di solito, 4-10 ng/ml all’ovulazione), caratterizzando la fase luteinica del ciclo ovarico.

Estro L’estro dura da tre giorni a tre settimane, con una media di nove giorni. Il comportamento estrale può precedere o seguire il picco dell’LH; la sua durata è variabile e può non coincidere in modo preciso con il periodo fertile. Gli oociti primari ovulano due giorni dopo il picco di LH e la maturazione degli oociti si osserva due-tre giorni più tardi; la durata della vita degli oociti secondari è di due-tre giorni.


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Diestro Durante il diestro, la cagna normale diviene refrattaria all’accoppiamento, con una diminuzione dell’attrazione nei confronti dei maschi. Lo scolo vulvare si riduce, e l’edema si risolve lentamente. La citologia vaginale viene bruscamente alterata dalla ricomparsa delle cellule epiteliali parabasali e, frequentemente, da neutrofili. L’aspetto delle pliche della mucosa vaginale diviene appiattito e flaccido. I livelli di estrogeni sono bassi in misura variabile e quelli del progesterone aumentano costantemente sino ad un picco di 15-80 ng/ml prima di declinare progressivamente alla fine del diestro. La secrezione del progesterone dipende sia dall’LH ipofisario che dalla prolattina. La proliferazione dell’endometrio e la quiescenza del miometrio si sviluppano sotto l’influenza degli elevati livelli di progesterone. Il diestro di solito dura 2-3 mesi in assenza di gravidanza. Il parto pone termine alla gravidanza 64-66 giorni dopo il picco di LH. I livelli di prolattina aumentano in modo reciproco alla caduta di quelli del progesterone al termine del diestro o della gestazione, raggiungendo concentrazioni molto più elevate nello stato gravidico. I tessuti dei dotti e delle ghiandole mammarie aumentano in risposta ai livelli di questo ormone.

Estrogeni L’aumento degli estrogeni provoca un incremento del turnover delle cellule epiteliali vaginali, che esita nella progressiva modificazione osservata nei quadri citologici. Si sviluppa anche un edema progressivo della mucosa vaginale, che può venire visualizzato all’esame endoscopico. La determinazione dei livelli di estrogeni viene effettuata da molti laboratori commerciali; tuttavia, l’informazione è di scarso valore per stabilire il momento dell’ovulazione, perché il picco dei livelli di questi ormoni varia da una cagna all’altra ed anche le modificazioni relative non sono correlate all’ovulazione o al periodo fertile. Gli estrogeni vanno preferibilmente valutati attraverso una serie di esami di citologia vaginale e vaginoscopia. I loro livelli non indicano il periodo fertile, perché l’ovulazione viene scatenata dall’impennata dell’LH, non da un picco di estrogeni. L’esame delle cellule sulla superficie dell’epitelio vaginale può fornire informazioni relative allo stadio del ciclo estrale. È importante utilizzare una tecnica appropriata, in modo che le cellule ottenute siano rappresentative delle modificazioni ormonali in atto. Il campione deve essere prelevato dalla parte craniale della vagina; le cellule provenienti dalla fossa clitoridea, dal vestibolo o dalla parte caudale della vagina non sono altrettanto indicative dello stadio del ciclo. Sotto l’influenza dell’aumento dei livelli di estrogeni, il numero di strati che costituiscono l’epitelio vaginale aumenta drasticamente, presumibilmente per offrire una protezione alla mucosa durante il coito. Mentre gli estrogeni aumentano durante il proestro, si ha anche un incremento della velocità di maturazione delle cellule epiteliali, così come del numero di elementi epiteliali corneificati e cheratinizzati osservabile in uno striscio vaginale. La corneificazione completa continua per tutta la durata dell’estro fino alla “deriva diestrale” che si ha 7-10 giorni dopo l’impennata dell’LH, che corri-

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sponde al primo giorno di diestro. Lo striscio vaginale presenta poi delle brusche modifiche, con la comparsa di neutrofili e cellule epiteliali che passano dalla completa corneificazione al 40-60% di elementi immaturi (parabasali ed intermedi) nell’arco delle successive 24-36 ore. Se la citologia vaginale viene eseguita fino a che non si osserva la deriva diestrale, è possibile analizzare in retrospettiva l’impennata dell’LH, l’ovulazione ed il periodo fertile.

Ormone luteinizzante Al termine della fase follicolare del ciclo estrale, nell’arco di 24-48 ore si sviluppa un marcato incremento dell’LH rispetto agli abituali valori basali, seguito da un ritorno agli stessi valori basali. Si ritiene che questa impennata avvenga in risposta al declino dei livelli di estrogeni ed all’incremento di quelli del progesterone. L’impennata dell’LH scatena l’ovulazione, facendone l’evento endocrinologico centrale del ciclo riproduttivo della cagna. L’esecuzione di una serie di misurazioni quotidiane dell’LH per identificare la data esatta della sua impennata rappresenta un mezzo diagnostico accurato per sincronizzare gli accoppiamenti. Per la misurazione dei livelli sierici di LH nel cane e per l’identificazione della sua impennata preovulatoria e, quindi, del momento dell’ovulazione e dell’autentico periodo fertile, sono disponibili dei kit semiquantitativi per uso ambulatoriale affidabili. I campioni di sangue devono essere prelevati quotidianamente (approssimativamente alla stessa ora) per la determinazione dei livelli di LH, dato che in molte cagne l’impennata di questo ormone può durare solo 24 ore. I kit possono essere soggetti ad interpretazioni variabili, per cui, se possibile, i test devono essere eseguiti dalla stessa persona.

Progesterone I livelli di progesterone iniziano ad aumentare approssimativamente nel momento dell’impennata dell’LH (prima dell’ovulazione). L’innalzamento del progesterone agisce sinergicamente al calo degli estrogeni per ridurre l’edema della vulva e della vagina, osservabili all’esame vaginoscopico. Altri segni clinici rilevabili sono minimi. Effettuando il prelievo e l’esame di una serie di campioni di sangue ogni due giorni è possibile identificare l’iniziale innalzamento del progesterone (di solito > 2ng/ml) che indica che si è verificata l’impennata dell’LH. Il progesterone può venire determinato con un metodo radioimmunometrico presso la maggior parte dei laboratori privati veterinari. Sono anche disponibili parecchi kit semiquantitativi per uso ambulatoriale. Per questo ormone non esiste alcun singolo valore assoluto correlato ad un qualsiasi particolare stadio del ciclo. Il progesterone varia da 0,8 a 2,0 ng/ml al momento dell’impennata dell’LH, da 1,0 a 8,0 ng/ml all’ovulazione e da 4,0 a 20,0 ng/ml durante il periodo fertile. Tuttavia, se si effettua una serie accurata di determinazioni quantitative del progesterone, è possibile stimare l’impennata dell’LH come il giorno in cui si osserva un netto incremento del livello di progesterone. Benché non sia accurata quanto l’effettiva identificazione dell’impennata dell’LH attraverso gli specifici test, la stima dei livelli di progesterone è ancora molto utile e risulta spesso più facilmente disponibile e conveniente.


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Tabella- Alcuni aspetti del ciclo estrale della cagna Durata

Progesterone

Livelli di estrogeni (E2)

Anestro

1-6 mesi

Basale (<1 ng/ml)

Basale (2-10 pg/ml

Proestro

3 giorni-3 settimane (9 giorni in media)

Basale iniziale (<1 ng/ml); All’impennata dell’LH: 2-3 (0,8-3) ng/ml Al giorno dell’ovulazione: 4-10 ng/ml (ovulazione: range 1-8 ng/ml)

In aumento sino a livelli di picco (50-100 pg/ml)

Estro

3 giorni-3 settimane (9 giorni in media)

Diestro

2 – 3 mesi (in assenza di gravidanza)

Brusco calo al giorno del piccolo dell’LH a 10-20 pg/ml Valori basali (2-10 pg/ml) durante i pochi giorni successivi

Picco a 15-80 ng/ml

Note

Gli oociti primari ovulano due giorni dopo il picco dell’LH La maturazione degli oociti termina due-tre giorni più tardi; durata media degli oociti secondari: 2-3 giorni

Basale (2-10 ng/ml)

Citologia vaginale: Cellule parabasali Piccole cellule intermedie Grandi cellule intermedie Cellule parzialmente corneificate Cellule superficiali Cellule completamente corneificate Figura 1

ALCUNE CONSIDERAZIONI SUI TEST PER LA DETERMINAZIONE DEI LIVELLI DI PROGESTERONE Test semiquantitativi per la determinazione del progesterone all’interno della clinica Quando si sincronizzano gli accoppiamenti utilizzando i test semiquantitativi per la determinazione del progesterone all’interno della clinica si ottiene solo una gamma di livelli di questo ormone, il che rende difficile identificare accuratamente il giorno dell’incremento iniziale dei livelli ormonali o l’autentico periodo fertile. Con questi kit sono stati anche

Figura 2 osservati dei problemi tecnici. Di conseguenza, questi esami devono essere utilizzati soltanto per gli accoppiamenti di routine, in cui è accettabile un margine di errore più ampio.

Test per la determinazione quantitativa del progesterone 1) È di importanza critica che il risultato sia disponibile al massimo il giorno successivo al prelievo. 2) Il laboratorio deve avere familiarità con l’identificazione del progesterone nel cane. Quando vengono utilizzati su campioni di siero di cane, alcuni dei test impiegati in ambito umano hanno gli stessi problemi tecnici degli esa-


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mi semiquantitativi per la determinazione dei livelli di progesterone in clinica. I risultati della maggior parte dei saggi per uso umano devono essere adattati alla specie canina utilizzando un fattore che viene messo a punto da un laboratorio accurato. 3) Una regola pratica sicura è quella secondo la quale si devono iniziare gli accoppiamenti quando il progesterone è > 2 ng/ml. La scelta ottimale del momento dell’ovulazione si deve basare sui test di determinazione quantitativa del progesterone eseguiti da laboratori privati – la differenza di costo è minima. Indipendentemente dalla metodica utilizzata, si deve sempre eseguire un test aggiuntivo 2-4 giorni dopo l’identificazione del primo aumento, per indicare che il ciclo è progredito come previsto, si è formato un corpo luteo funzionale e si è avuta l’ovulazione.

PATOLOGIA DEL CICLO ESTRALE

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L’ipotiroidismo può portare ad anestro, prolungamento o irregolarità degli intervalli interestrali, prolungamento del proestro o altre manifestazioni riproduttive. Le cagne colpite da malattie sistemiche, come l’insufficienza renale o l’ipercorticismo o la cachessia neoplastica, possono avere minori probabilità di presentare il ciclo rispetto a quelle normali. Le cisti ovariche progesterone-secernenti con livelli sierici di progesterone superiori a 2 ng/ml possono inibire il ciclo ovarico. L’aplasia ovarica è una rara anomalia congenita del cane, in cui si riscontra un difetto della migrazione prenatale delle cellule germinative. Nei cani colpiti si ha un aumento dei livelli sierici di gonadotropine. Nel cane è stata descritta un’ooforite immunomediata con distruzione autoimmune dell’ovaio. L’iperprolattinemia durante la pseudogravidanza prolungata può portare ad un aumento della durata dell’intervallo interestrale

A) Prolungamento dell’intervallo interestrale L’anestro primario nella cagna è la mancanza di un ciclo estrale dopo i 24 mesi di età. La ragione per cui una cagna non presenta il ciclo può essere una precedente ovaristerectomia. Sono stati descritti dei test di provocazione dei livelli sierici di estrogeni: si preleva una coppia di campioni di sangue prima e 60-90 minuti dopo la somministrazione endovenosa di Buserelin alla dose di 0,02-0,03 µg/kg. Le cagne intere, in qualsiasi stadio del ciclo riproduttivo, mostrano un innalzamento dei livelli sierici di estrogeni sino ad oltre15-20 pg/ml. Si definisce come calore silente un’attività ovarica senza alcuna concomitante tumefazione vulvare, fuoriuscita di scolo vulvare sieroematico o attrazione nei confronti dei cani maschi. La condizione può essere diagnosticata attraverso la determinazione mensile dei livelli sierici di progesterone, dato che un valore superiore a 2 ng/ml indica la presenza di un tessuto luteinico funzionale, oppure con la valutazione settimanale della citologia vaginale, poiché l’aumento delle percentuali di elementi epiteliali vaginali corneificati è indicativo di un innalzamento delle concentrazioni sieriche degli estrogeni. Le cagne alla pubertà hanno maggiori probabilità dei soggetti normali adulti di manifestare un calore silente. Anomalie della differenziazione sessuale. I cani di aspetto femminile possono avere un cariotipo 78,XO, 79,XXX, 79,XXY o 78,XX/78,XY. Anche gli pseudoermafroditi maschili, che hanno gonadi maschili e genitali esterni femminili, possono presentare un anestro primario/prolungato. La diagnosi dell’anomalia della differenziazione sessuale viene formulata in base all’ispezione visiva dei genitali esterni anormali, all’esame istopatologico del tessuto delle gonadi escisse, alla misurazione dei livelli sierici delle gonadotropine e/o alla valutazione del cariotipo. Nelle cagne trattate con farmaci anabolizzanti, androgeni, progestinici o glucocorticoidi può essere presente un anestro farmacoindotto. Questi agenti possono venire utilizzati per migliorare le prestazioni dei cani da esposizione o da lavoro oppure per altre ragioni.

B) Accorciamento dell’intervallo interestrale Caduta prematura del progesterone Estro sdoppiato Le cagne in età prepubere hanno maggiori probabilità di manifestare un estro sdoppiato o falso calore. La causa esatta di questa condizione è sconosciuta. Una delle possibili spiegazioni è che l’aumento dei livelli di 17β-estradiolo dallo sviluppo follicolare durante l’anestro e prima dell’insorgenza di un “autentico” proestro possa determinare la comparsa dei segni clinici. Durante un calore sdoppiato, la cagna mostra alcuni dei segni di un autentico proestro-estro, come la fuoriuscita di uno scolo sieroematico dalla vagina, la tumefazione vulvare e l’attrazione nei confronti dei cani maschi. In alcuni casi, le femmine che manifestano i calori sdoppiati possono persino essere recettive all’accoppiamento. Tuttavia, dopo qualche giorno inizia l’estro autentico che dura parecchi giorni o settimane. Durante un estro sdoppiato, si ha un comportamento da proestro-estro in assenza di ovulazione durante la prima parte dello “sdoppiamento”. Tuttavia, nella seconda parte, o estro autentico, si può avere il concepimento. Ciclo anovulatorio I cicli anovulatori, in cui le concentrazioni sieriche di progesterone non salgono mai al di sopra di 5 ng/ml, sono stati segnalati in 11 cagne su 1152 (1%). Cinque di questi undici soggetti (45%) hanno presentato un normale estro ovulatorio in occasione della stagione successiva. Ipoluteinismo La disfunzione luteinica viene generalmente considerata un problema ovarico primario, ma in un alano con un difetto ipofisario è stata descritta un’insufficienza luteinica secondaria. La diagnosi richiede la documentazione della presenza di bassi livelli sierici di progesterone nel diestro. Se il progesterone sierico cade al di sotto di 2 ng/ml per più di 48 ore, la gravidanza può essere interrotta. Da un punto di


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vista più pratico (ma empirico), valori sierici di progesterone inferiori a 10-15 ng/ml durante le prime 4 settimane dopo l’accoppiamento possono far sospettare un ipoluteinismo. L’integrazione ormonale può essere effettuata mediante progesterone in olio somministrato per via paraenterale (2 mg/kg ogni 3 giorni per non più di 58 giorni dall’ovulazione o 52 giorni dal primo striscio vaginale del diestro). Si somministra ally-trenbolone (Regumate) alla dose di 0,088 mg/kg una volta al giorno per os, per non più di 61 giorni dall’ovulazione o 55 giorni dal primo striscio vaginale del diestro. Le cagne trattate con progesterone per via orale, ally-trenbolone, possono presentare una scarsa produzione di latte nel primo periodo post-partum. Sindrome dell’anestro breve In alcune razze (ad es., Pastore tedesco) certi individui tendono a presentare un accorciamento dell’intervallo interestrale di meno di 4 mesi. Questa condizione è correlata ad uno scadente rendimento riproduttivo. Si presume/discute un’ereditabilità. Morte/riassorbimento embrionale L’esatta incidenza delle perdite embrionali e fetali è difficile da determinare. In 22 cagne Beagle gravide da 22 a 54 giorni post-coitum, 13 embrioni e feti su 117 (11%) sono risultati in differenti stadi di riassorbimento. In un altro studio, erano presenti 13 riassorbimenti fra 98 siti di impianto fetale (13%) in 12 cagne Beagle esaminate mediante isterotomia al 48° giorno di gestazione. Nel caso che l’intera cucciolata venga riassorbita, l’intervallo interestrale può essere abbreviato.

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C) Estro prolungato Una prolungata influenza degli estrogeni può essere causata da una delle seguenti condizioni: Cisti ovariche (cisti follicolari) Le cisti possono essere trattate con GnRH (Fertagyl, Intervet), 10 µg/kg una volta o ripetutamente; probabilmente sono consigliabili ripetute somministrazioni IM, ad esempio tre volte al giorno nell’arco di due giorni. Questo trattamento, tuttavia, non sempre risolve il problema. Se avviene una luteinizzazione dei follicoli cistici o un’ulteriore luteinizzazione di quelli luteinizzati, l’estro si interrompe, la concentrazione di progesterone aumenta e lo striscio vaginale mostra la presenza di cellule parabasali ed intermedie e di leucociti. Se il problema persiste, l’estro può essere interrotto con la somministrazione per via orale di basse dosi di megestrolo acetato (Ovarid, Pitman Moore/ non disponibile in Germania) (una volta al giorno nella prima settimana: 0,1 mg/kg; nella seconda settimana: 0,05 mg/kg). Tumori ovarici: (tumori della granulosa) I tumori devono essere rimossi. Funzione epatica patologica (il metabolismo degli estrogeni viene ridotto) Estrogeni esogeni

Letture consigliate Johnston et al. (2001): Canine and Feline Theriogenology, Saunders.


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Collection and evaluation of the semen in the dog Konrad Blendinger Med Vet, Hofheim (D)

Semen collection is performed with the dog on good footing (eg, a rug) rather than on a slippery surface or table. Care should be taken to intimidate the dog as little as possible; lifting the dog to an examination table, giving injections, etc, should be performed after the semen is collected. Semen may be collected in the absence of a bitch (although sperm numbers may be lower), but the presence of a bitch is preferable. The pheromone methyl paraben may be helpful for collection in the absence of a bitch; some veterinarians freeze swabs of estrous bitch urine for this purpose but the reaction of male dogs is variable. There are several types of reservoirs to collect the semen in. Some made of glas, of rubber or plastic. Some are for single use others not. Different types are demonstrated. A sterile nonspermicidal lubricant or petroleum jelly may be is used.

COLLECTION PROCEDURE With the gloved hand (using a non-latex glove), initial friction movements are performed and the penile sheath is gently pulled back behind the bulbus as soon as penile erection starts. Then constant pressure is maintained caudal to the bulbus with the fingers building a ring at this level, and erection and eventually ejaculation should be achieved. Some manipulations may be helpful as scratching the dog’s chest, stimulation of the perineal area, careful touching the glans penis and speaking encouragingly. If a bitch in estrus is available, the penis should be deviated as the dog mounts. The first (clear) fraction and the second (sperm-rich, cloudy) fraction should be collected. After these fractions are ejaculated, close inspection of the collection tube should demonstrate that clear fluid is starting to layer on the cloudy second fraction; at this point, the collection may be stopped. The dog may continue to ejaculate prostatic fluid for up to 10 min before the erection subsides. The sheath should be examined after the penis is retracted to ensure that the penis is situated normally within the sheath and that no hair is caught within the sheath. Residual protrusion may occur if the sheath rolls inward as the penis retracts. Semen evaluation consists of determination of appearance, volume, concentration, motility, and percent morphologically normal sperm. Yellow, brown, or red samples may indicate the presence of blood or urine in the ejaculate. The volume is variable, depending on how much prostatic fluid was collected and the size of the dog; it ranges from <2 to >20 mL but is typically ~5 mL. Motility of individual spermatozoa should be assessed as

quickly as possible after obtaining a semen sample. A drop of semen should be placed on a clean slide and microscopically examined at x200 to x400 for progressive forward motion of individual spermatozoa and presence of sperm agglutination. Canine spermatozoa are resistant to cold shock, so the slide need not be warmed. Highly concentrated samples can be diluted with autologous prostatic fluid, phosphate-buffered saline, 2,9% sodium citrate solution, or a semen extender. A normal semen sample should have greater than 70% of the spermatozoa exhibiting vigorous forward motility. Individual spermatozoa should be carefully assessed for type of movement. Spermatozoa that are moving in small circles or that have side-to-side motion without forward progression are not normal. The percentage of actively motile spermatozoa may be altered by exposure of the semen to extremes in temperature, acidic diluents, water, urine, pus, blood, or lubricants. The first ejaculate from a dog following a prolonged period of sexual rest may contain a greater percentage of old and dead sperm that have been stored in the epididymis. This results in a decreased percentage of actively motile sperm. Semen samples obtained on subsequent days should be more normal. Rarely, hypomotile or nonmotile viable spermatozoa may also be seen with Kartagener’s syndrome, an immotile cilia syndrome with autosomal recessive mode of inheritance. In the dog this syndrome is characterized by respiratory tract disease, male sterility, situs inversus, deafness, and hydrocephalus.

SPERM MORPHOLOGY Smears of the undiluted ejaculate are examined microscopically for structural abnormalities of the spermatozoa. A small drop of fresh, undiluted semen can be placed on a slide and covered with a large coverslip. This spreads the fluid out into a thin film, allowing accurate evaluation of individual sperm without stains. This evaluation is best performed using phase contrast microscopy. Alternatively semen can be smeared evenly on a glass slide in a manner similar to that of blood; the smear is then air-dried, fixed, and stained. The rapid three step GiemsaWright stain technique (e.g., Harleco Hemacolor, Diff Quick, Camco Stain Pack) is quick, effective, and readily available in most practices. These stains do not stain the acrosomal area of sperm. India ink and eosin-nigrosin are background stains that outline the sperm rather than stain the sperm directly. For the latter, a drop of eosin-nigrosin stain and a drop of semen are gently mixed on a warmed


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microscope slide before being smeared and allowed to airdry. Spermac® stain is a rapid stain that offers unique differential qualities. The sperm nucleus stains red, the acrosome, midpeace, and tail stains green; and the equivocal region of the acrosome stains pale green. Spermac stain can be used on extended semen, since constituents such as egg yolk, seum, and milk commonly included in extenders do not interfere with the staining. Leukocytes do not stain differentially with Spermac stain. Evaluation of sperm morphology should be completed microscopically using oil immersion. The normal spermatozoa consist of the acrosomal cap, head, neck, middle piece, and tail. The acrosome is a caplike structure covering slightly more than the anterior half of the head, and the middle piece is approximately 1.5 times the length of the head in normal spermatozoa. Individual spermatozoa should be evaluated for abnormalities arising in the head, middle piece, and tail. Commonly identified abnormalieies include detached heads, knobbed acrosomes, detached acrosomes, proximal and distal cytoplasmic droplets, reflex (i.e., bent) midpiece, bent tails, tails tightly coiled over the midpiece, and proximally coiled tails. Abnormalities may be further classified into primary and secondary abnormalities. Primary abnormalities are believed to represent abnormalities in spermatogenesis (i.e., within the testes), whereas secondary abnormalities are non-specific and may arise during transit through the duct system (i.e. within the epididymis), during handling of the semen or following infection, trauma, or fever. Historically, it has been suggested that normal males generally should have greater than 70% morphologically normal spermatozoa and that primary and secondary abnormalities should constitute less than 10% and 20% of the defective sperm, respectively. A more recent investigation uses 60% normal sperm morphology as the cutoff point between normal and subnormal. Another investigation found that total numbers of morphologically normal and progressively motile spermatozoa per ejaculate was more important in predicting fertility. Artificial insemination with greater than 250 x 106 morphologically normal sperm resulted in a pregnancy rate of approximately 82% in 27 bitches evaluated. Specific morphologic defects associated with infertility in the dog include abnormalities of midpiece attachement or ultrastructure, microcephalic spermatozoa, and proximal retained cytoplasmic droplets. The concentration is determined using a special photometer (SpermaCue®, Minitube) or a hemocytometer. To do this, the sperm is diluted at 1:100, and the number of sperm in the large central square (made up of 25 smaller squares) on the hemocytometer is counted. The number of sperm counted x 106 is the concentration of spermatozoa/mL. The

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total number of sperm in the ejaculate is calculated as volume x concentration. This should be ≥ 200 x 106, and closer to 400 x 106 in larger dogs. Every dog investigated for infertility should be screened for Brucella canis. Sperm quality may be normal or abnormal, or no sperm may be seen in the ejaculate. Infertility is rare in dogs with a normal sperm evaluation and, if seen, the history should be reviewed for mismanagement or bitch infertility. The presence of WBC or RBC in the ejaculate suggests inflammation of the tract, most commonly prostatitis; culture of prostatic fluid and appropriate treatment may help fertility. If sperm quality is abnormal, the history should again be reviewed to determine if the dog has been sick recently or has received any drugs, especially anabolic steroids. Other recognized causes of abnormal sperm quality include inflammation of the scrotum or other factors that may be causing a high scrotal temperature, testicular neoplasia (ultrasonography of the testicles is recommended because many neoplasms of the testes are not palpable), trauma to the area of the scrotum, or brucellosis. However, most cases of low sperm quality in dogs are idiopathic. The dog’s pituitary status can be investigated but is usually unrevealing. Luteinizing hormone and follicle-stimulating hormone are typically normal to high in dogs with abnormal semen quality because the degenerating testes are not able to provide the feedback mechanism to the pituitary. Because abnormal sperm quality may be induced by a recent transient disease or exposure to toxins, and spermatogenesis might resume, collections should be repeated about every 3 mo for ~1 yr before a definitive prognosis for breeding can be given. Azoospermia is relatively common in dogs. It may be due to failure of the dog’s testicles to produce sperm, or to failure of the sperm to exit the testicles because of epididymal blockage or incomplete ejaculation. The ejaculate may be tested for the presence of alkaline phosphatase, which is secreted by the epididymis. A high value (>5,000 IU/L [very high in comparison with blood]) indicates fluid from the epididymis was collected. High alkaline phosphatase values in sperm-free fluid suggest that the testes are not producing sperm or that sperm transit is blocked between the testes and epididymides. Low values suggest epididymal blockage or failure of ejaculation; semen collections should be repeated, using a strong stimulus such as a bitch in estrus. The urinary bladder should be catheterized to determine if retrograde ejaculation is occurring; swab samples of the vagina of a bitch after natural mating may also be performed to determine if the dog is not ejaculating due to aversion to manual collection. Careful palpation and ultrasonographic examination should be performed to detect any abnormality of the epididymides or spermatic cords, such as absence or blockage of the epididymis.


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Prelievo e valutazione del seme nel cane Konrad Blendinger Med Vet, Hofheim, Germania

Il prelievo del seme si esegue con il cane su una buona superficie di appoggio (ad es., un tappetino) piuttosto che su un’area scivolosa o su un tavolo. Bisogna stare attenti ad intimidire il meno possibile l’animale; sollevare il cane su un tavolo da visita, praticargli delle iniezioni, ecc… sono tutte operazioni da eseguire dopo il prelievo del seme. Quest’ultimo può venire raccolto in assenza di una cagna (benché il numero degli spermatozoi possa essere più basso), ma la presenza di una femmina è preferibile. Per il prelievo in assenza di una cagna può essere utile il feromone metil-paraben; alcuni veterinari congelano dei tamponi di urina di cagna in estro per questo scopo, ma la reazione dei cani maschi è variabile. Esistono parecchi tipi di serbatoi per effettuare la raccolta del seme. Alcuni sono realizzati in vetro, gomma o plastica. Alcuni sono monouso ed altri no. Vengono illustrati i differenti tipi. Si può utilizzare un lubrificante sterile non spermicida oppure del gel di vaselina.

PROCEDURA DI PRELIEVO Con la mano guantata (utilizzando un guanto non di lattice), si effettuano inizialmente dei movimenti di frizione e non appena inizia l’erezione del pene si retrae delicatamente il prepuzio oltre i bulbi. Poi si mantiene una pressione costante caudalmente ai bulbi con le dita disposte in modo da formare un anello a questo livello, in modo da ottenere l’erezione ed infine l’eiaculazione. Possono essere utili alcune manualità, come grattare il torace del cane, stimolare l’area perineale, toccare delicatamente il glande e parlare all’animale con tono incoraggiante. Se è disponibile una cagna in estro, il pene deve essere deviato non appena in cane la monta. Si devono prelevare la prima frazione (limpida) e la seconda (ricca di spermatozoi, torbida). Dopo che queste frazioni sono state eiaculate, un’ispezione ravvicinata della provetta di raccolta deve dimostrare che il fluido limpido sta iniziando a stratificarsi sulla seconda frazione torbida; a questo punto, si può interrompere il prelievo. Il cane può continuare ad eiaculare fluido prostatico anche per dieci minuti prima che l’erezione receda. Dopo che il pene si è ritirato, si devono esaminare i genitali esterni per assicurarsi che l’organo maschile sia rientrato normalmente nel prepuzio e che all’interno di quest’ultimo non siano rimasti intrappolati dei peli. Se il prepuzio si arrotola verso l’interno quando il pene si retrae, si può avere una protrusione residua. La valutazione del seme consiste nel determinarne aspetto, volume, concentrazione, mobilità e percentuale di spermatozoi morfologicamente normali. Il riscontro di campioni di colore giallo, bruno o rosso può indicare la presenza di sangue o urina nell’eiaculato. Il volume è variabile, a secon-

da della quantità di liquido prostatico raccolta e della taglia del cane; va da < 2 a > 20 ml, ma è tipicamente di circa 5 ml. La motilità dei singoli spermatozoi deve essere valutata il più rapidamente possibile una volta ottenuto un campione di seme. Si pone una goccia di materiale su un vetrino pulito e la si esamina al microscopio a 200-400x per valutare il movimento anterogrado progressivo dei singoli spermatozoi e la presenza di una loro agglutinazione. Gli spermatozoi del cane sono resistenti allo shock da freddo, per cui non è necessario riscaldare il vetrino. I campioni altamente concentrati possono essere diluiti con un fluido prostatico autologo, soluzione fisiologica tamponata con fosfati, soluzione di citrato di sodio al 2,9% o un mestruo diluitore. Un campione normale di seme deve avere più del 70% di spermatozoi che mostrano un’energica motilità anterograda. I singoli spermatozoi vanno accuratamente esaminati per determinarne il tipo di movimento. Quelli che si stanno muovendo in piccoli cerchi o si spostano da un lato all’altro senza avanzare non sono normali. La percentuale di spermatozoi con motilità attiva può essere alterata dall’esposizione del seme a temperature estreme, diluenti acidi, acqua, urina, pus, sangue o lubrificante. Il primo eiaculato di un cane dopo un periodo prolungato di riposo sessuale può contenere una maggior percentuale di spermatozoi vecchi e morti che erano rimasti immagazzinati nell’epididimo. Ciò esita in una diminuzione della percentuale di quelli con motilità attiva. I campioni di seme ottenuti nei giorni successivi dovrebbero essere più normali. In rari casi, si possono osservare degli spermatozoi vitali con ipomotilità o senza motilità nella sindrome di Kartagener, una sindrome delle ciglia immobili trasmessa ereditariamente attraverso un carattere autosomico recessivo. Nel cane, questa sindrome è caratterizzata da malattia del tratto respiratorio, sterilità maschile, situs inversus, sordità ed idrocefalo.

MORFOLOGIA DEGLI SPERMATOZOI Gli strisci di eiaculato non diluito vengono esaminati al microscopio per rilevare le anomalie strutturali degli spermatozoi. Si può porre su un vetrino una grande goccia di seme fresco non diluito e coprirla con un ampio coprioggetto. Ciò determina la diffusione del fluido che si distribuisce in un film sottile, consentendo un’accurata valutazione dei singoli spermatozoi senza bisogno di colorazione. Questo esame si effettua meglio con un microscopio a contrasto di fase. In alternativa, si può realizzare uno striscio uniforme di seme su un vetrino, in modo simile a quello utilizzato per i campioni di sangue; lo striscio viene poi lasciato asciugare all’aria, fissato e colorato. Le tecniche di colorazione rapida in tre tempi, di Gimsa-Wright (Harleco Hemacolor, Diff Quick,


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Camco Stain Pack), sono rapide, efficaci e facilmente disponibili nella maggior parte delle strutture. Questi metodi non colorano l’area acrosomiale degli spermatozoi. L’inchiostro di China e l’eosina-nigrosina sono coloranti di sfondo che delineano gli spermatozoi piuttosto che colorarli direttamente. Per quest’ultima soluzione, si deve mescolare delicatamente su un vetrino da microscopia riscaldato una goccia di colorante di eosina-nigrosina ed una di seme, prima di preparare lo striscio che verrà poi lasciato asciugare all’aria. Lo Spermac® è un colorante rapido che presenta delle qualità differenziali esclusive. Il nucleo degli spermatozoi si colora di rosso, l’acrosoma, il tratto intermedio e la coda di verde e la regione equivoca dell’acrosoma di verde pallido. Lo Spermac può essere utilizzato su seme diluito, dato che i costituenti come il tuorlo d’uovo, il siero ed il latte comunemente inclusi nei mestrui non interferiscono con la colorazione. I leucociti non vengono colorati in modo differenziale con lo Spermac. La valutazione della morfologia degli spermatozoi deve essere effettuata al microscopio ad olio. Gli spermatozoi normali sono costituiti da cappuccio acrosomiale, testa, collo, tratto intermedio e coda. Negli spermatozoi normali, l’acrosoma è una struttura a cappuccio che ricopre un po’ più della metà anteriore della testa ed il tratto intermedio corrisponde a circa 1,5 volte la lunghezza della testa. Si devono esaminare i singoli spermatozoi alla ricerca di anomalie localizzate nella testa, nel tratto intermedio e nella coda. Quelle comunemente identificate sono rappresentate da teste distaccate, acrosomi ripiegati o distaccati, gocce di citoplasma prossimali e distali, riflessione (cioè curvatura) del tratto intermedio, code piegate, code strettamente avvolte a spirale sul tratto intermedio e code a spirale nella parte prossimale. Le anomalie possono essere ulteriormente distinte in primarie e secondarie. Si ritiene che le anomalie primarie rappresentino alterazioni della spermatogenesi (cioè all’interno dei testicoli), mentre quelle secondarie sono aspecifiche e possono insorgere durante il transito attraverso il sistema duttale (cioè all’interno dell’epididimo), durante la manipolazione del campione o in seguito ad infezione, trauma o febbre. Storicamente, è stato ipotizzato che i maschi normali debbano generalmente avere più del 70% di spermatozoi con morfologia normale e che le alterazioni primitive e secondarie debbano costituire, rispettivamente, meno del 10 e 20% dello sperma con difetti. Un’indagine più recente fa riferimento al 60% di morfologia normale degli spermatozoi come valore soglia fra quadri normali e subnormali. Un’altra indagine ha riscontrato che per prevedere la fertilità era più importante il numero totale di spermatozoi morfologicamente normali e dotati di motilità progressiva per eiaculato. L’inseminazione artificiale con più di 250 x 106 spermatozoi morfologicamente normali ha portato ad ottenere un tasso di gravidanza dell’82% circa nelle 27 cagne esaminate. Gli specifici difetti morfologici associati all’infertilità nel cane comprendono le anomalie dell’attacco del tratto intermedio o dell’ultrastruttura, la presenza di spermatozoi microcefalici e quella di gocce di citoplasma ritenute a livello prossimale. La concentrazione viene determinata utilizzando uno speciale fotometro (SpermaCue®, Minitube) oppure un emocitometro. Allo scopo, lo sperma viene diluito 1: 100 e si conta il numero di spermatozoi nel quadrato centrale grande (formato da 25 quadrati più piccoli) dell’emocitometro. Il numero degli spermatozoi contati per 106 è il numero di spermatozoi/ml. Il

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numero totale di spermatozoi nell’eiaculato si calcola come volume x concentrazione. Questo deve essere ≥ 200 x 106 e più prossimo a 400 x 106 nei cani di taglia più grande. In tutti i cani sottoposti ad una valutazione per infertilità si deve eseguire lo screening per Brucella canis. La qualità dello sperma può essere normale oppure anormale; può anche darsi che nell’eiaculato non ci siano spermatozoi visibili. L’infertilità è rara nei cani con una valutazione dello sperma normale e, nei casi in cui la si riscontra, bisogna riesaminare l’anamnesi alla ricerca di errori gestionali o infertilità della cagna. La presenza di leucociti o eritrociti nell’eiaculato suggerisce un’infiammazione delle vie genitali, rappresentata nella maggior parte dei casi da una prostatite; la coltura del fluido prostatico ed un trattamento appropriato possono contribuire alla fertilità. Se la qualità dello sperma è anormale, si deve riesaminare l’anamnesi per stabilire se il cane è stato recentemente malato oppure trattato con farmaci di qualsiasi tipo, in particolare steroidi anabolizzanti. Altre cause riconosciute di anomalie della qualità dello sperma sono rappresentate da infiammazione dello scroto o altri fattori che possono stare causando aumenti della temperatura scrotale, neoplasia testicolare (si raccomanda l’ecografia dei testicoli perché molte neoplasie di questi organi non sono palpabili), trauma nell’area dello scroto o brucellosi. Tuttavia, la maggior parte dei casi di bassa qualità dello sperma nel cane è idiopatica. Si può anche effettuare la valutazione dello status ipofisario del cane, che però di solito non rivela nulla di particolare. L’ormone luteinizzante e quello follicolostimolante sono tipicamente normali o elevati nei cani con alterazioni della qualità del seme, perché i testicoli in via di degenerazione non sono in grado di garantire il meccanismo di feed-back all’ipofisi. Poiché le alterazioni qualitative degli spermatozoi possono essere indotte da una malattia transitoria recente oppure dall’esposizione a sostanze tossiche e la spermatogenesi potrebbe riprendere, i prelievi vanno ripetuti ad intervalli di circa tre mesi per circa un anno prima di poter emettere una prognosi definitiva sulle capacità riproduttive dell’animale. La azoospermia è relativamente comune nel cane. Può essere dovuta all’incapacità dei testicoli dell’animale di produrre spermatozoi, oppure all’incapacità di questi ultimi di fuoriuscire dai testicoli a causa di un blocco dell’epididimo o di un’eiaculazione incompleta. L’eiaculato può essere sottoposto al test per verificare la presenza di fosfatasi alcalina, che viene secreta dall’epididimo. Un valore elevato (> 5000 UI/l [elevatissimo in confronto al sangue]) indica che è stato effettuato il prelievo di fluido proveniente dall’epididimo. Elevati valori di fosfatasi alcalina in un liquido privo di spermatozoi suggeriscono che i testicoli non li stanno producendo o che il loro transito è bloccato fra i testicoli e gli epididimi. Bassi valori suggeriscono un blocco dell’epididimo o di un’insufficienza dell’eiaculazione; i prelievi di seme devono essere ripetuti, utilizzando un forte stimolo come una cagna in estro. Per determinare se sia in atto una eiaculazione retrograda si deve effettuare la cateterizzazione della vescica; si possono anche eseguire dei tamponi vaginali di una cagna dopo un accoppiamento normale, per determinare se il cane non sta eiaculando a causa di una avversione al prelievo manuale. Si devono infine attuare l’accurata palpazione e l’esame ecografico per identificare ogni anomalia degli epididimi o dei funicoli spermatici, come l’assenza o il blocco degli epididimi.


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Techniques of artificial insemination by fresh, chilled and frozen semen Konrad Blendinger Med Vet, Hofheim (D)

(Most parts adapted from: Recent Advances in Small Animal Reproduction, Concannon P.W., England G., Verstegen III J. and Linde-Forsberg C. (Eds.) International Veterinary Information Service, Ithaca NY (www.ivis.org), 2001; A1207.0201; This is the suggested reading to obtain more information and especially all references) Artificial insemination (AI) is becoming more common in canine reproduction, permitting the use of shipped semen, assistance for geriatric or subfertile males, coverage of dominant females, and advanced reproductive technology such as intrauterine deposition of semen. AI may be performed with fresh, chilled, or frozen semen. All instruments should be clean and free of any chemical contamination. After semen has been collected and evaluated, it can be deposited in the cranial vagina of the bitch using a rigid insemination pipette of appropriate length, or into the uterus via transcervical catheterization. Access to the uterus via laparoscopy or laparotomy is less desirable due to invasiveness. Semen (the second fraction) may be diluted with extenders and chilled for later or distant use (within 48 hr), or extended and frozen in liquid nitrogen (in straws or pellets) for longterm storage. Phosphate-buffered egg yolk diluent or Tris-buffered diluent is used most often; several commercial extenders are available. Chilled semen should be warmed for evaluation before use. Frozen semen should be thawed as directed by the cryopreservation center, evaluated, and immediately inseminated.

METHODS TO PERFORM INTRA-UTERINE AI IN THE DOG Intra-uterine AI in the dog can be done transcervically either by way of the Scandinavian (or Norwegian) catheter, or by using a rigid fiberoptic vaginal endoscope to visualize the cervix and a dog urinary catheter or a human uretra catheter to transverse it. Intra-uterine AI can also be accomplished by invasive methods such as laparoscopy, or full abdominal surgery. In some countries the latter methods may be illegal or not considered ethically acceptable.

PALPATION OF THE CERVIX It is absolutely essential for the person who wishes to perform canine AI to learn how to locate the cervix by abdominal palpation in order to be able to deposit the semen in the

correct place and to avoid injuring the bitch. The bitch should have an empty stomach and bladder to facilitate the procedure. For training purposes it is recommended to use the single-use plastic canine vaginal AI-catheters (Minit체b GmbH, Tiefenbach, Germany). Because the uretheral opening of the bitch is located at the pelvic brim, it is surprisingly easy for the AI catheter, or a thin rigid endoscope, to be unintentionally introduced into the urinary bladder. Apart from the hazards of perforating the bladder with the catheter, it is obvious that no pregnancy would follow after an AI. Thus, the correct position of the catheter should always be checked by palpation before depositing a semen dose. If the catheter is in the urinary bladder, the cranial part of the vagina and the cervix can be palpated above the catheter. The walls of the urinary bladder usually are thinner than those of the vagina, and the tip of the catheter stands out more distinctly than if it were in the vagina. To palpate the cervix, an AI catheter is introduced into the vagina of the bitch. The introduction of the catheter is facilitated if the vulva is elevated until it is just below the anus (like when the bitch stands for the male dog). When the tip of the catheter is introduced as far as to immediately cranial to the pelvic brim, it should be palpated. Cranially the vagina in most bitches slopes slightly downward. In some breeds, however, especially the sight hounds with a very arched loin, the vagina has a more dorsal direction. The cranial end of the catheter should now be lowered closer to the abdominal wall to become more accessible to palpation. When the catheter tip can be palpated and its correct position in the vagina thus checked, it is carefully introduced further, under continued palpatory control, until it reaches the paracervical area. This is the narrow, cranial portion of the vagina created by the dorsal, median post-cervical fold and can be palpated as a 1 to 2 cm long, firm structure. It ends at the cervix, which in a bitch in estrus is a 0.5 to 1.5 cm hard, rounded-to-ovoid freely movable structure. It is usually not possible to pass the outer protecting sheath of the Scandinavian catheter, which has a diameter of 10 mm, into the paracervical area. Also the thinner plastic AI catheter, which has a diameter of 5 mm, may be too wide to introduce into the paracervical area in some bitches, especially those of the smaller breeds, or those that have not given birth to a litter of pups. Once the cervix has been identified the corpus uteri and the uterine horns can be palpated in front of this structure. Lower the tip of the catheter and then close the tip of the thumb against that of the index finger above the catheter, then lift the cranial end of the catheter in such a way that the


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cervix and the uterine horns are pulled upward between the fingers. Their size and consistency then become evident. (This method of palpating the uterus is also very useful for early pregnancy detection and to examine bitches with suspected pyometra).

INTRA-UTERINE INSEMINATION USING THE SCANDINAVIAN CATHETER The Scandinavian catheter consists of a 1 - 2 mm wide steel catheter with a 0.75 mm to 1 mm diameter tip, and comes in three different lengths: 20, 30 or 40 cm. It is used together with a 10 mm diameter outer protecting nylon sheath. The medium sized catheter fits most small and medium sized bitches. The equipment can be obtained from the Norwegian Fur Breeders’ Association, P.O. Box 136, Økern, N-0509 Oslo 5, Norway. Intra-uterine AI with the Scandinavian catheter is performed with the bitch standing on the floor or on a table. Sedation is very rarely needed; on the contrary, most bitches in estrus freely accept this type of handling. In case a light sedation should be required for instance in a very large, obese or nervous bitch, 1 - 3 mg/kg xylazine IM or IV can be used. The inner steel catheter, with the tip within and protected by the nylon sheath, is introduced into the vagina. The cranial end of the nylon sheath is palpated in front of the pelvic brim as previously described. If the tip of the catheter sheath has been lowered closer to the abdominal wall the cervix usually is found a few cm in front of and above it. The steel catheter then is introduced through the sheath until its tip reaches the ventral fornix. The cervix is fixed between the thumb and the index finger and, by applying a slightly downward traction at the corpus uteri, it is tilted so that the angle of the cervical canal becomes more horizontal. The tip of the catheter is then carefully withdrawn while pushing it repeatedly against the surface of the cervix in search of the opening of the cervical canal. The sensation when this opening is found can in most cases be described as the sensation of touching cartilage, i.e. “crispy”. Once the opening has been found, fix the catheter and start working the cervix against the catheter. The cervical canal is 5 to 10 mm long, and not always completely straight. Thus, a slight pressure may have to be applied, while rotating the catheter to ease it through. In most bitches, the tip of the catheter easily can be felt in front of the cervix in the corpus uteri. In some bitches, however, the sensation is not as distinct. The syringe containing semen is connected to the catheter and the semen slowly infused into the uterus. Sometimes there is a resistance to infusion depending on whether the opening of the catheter is pressing against the endometrial mucosa. A light downward traction of the corpus uteri or the cervix usually alleviates the situation and allows semen infusion. To check that the catheter really is in the uterus of the bitch 1 - 2 ml of physiological saline can be infused. If the catheter is in the right position in the uterine body the fluid can easily be infused. If, on the other hand, the catheter is in the paracervical region, there will be an almost immediate backflow of saline between the catheter and the nylon sheath.

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The catheter is removed and the hindquarters of the bitch are elevated and the bitch kept in this position for 5 - 10 minutes after the AI to minimize backflow of semen and to facilitate uterine transport of spermatozoa toward the oviducts. The bitch should also be feathered around the perineal region as this is believed to stimulate uterine contractions. To learn this technique requires some practice, but once learned it is a quick method, usually being accomplished within minutes. It is recommended that, initially, organ specimens be obtained for training purposes and anatomical study. It is also an advantage if especially the first attempts are made in bitches that have given birth to one or more litters, as they are usually much easier to catheterize. Perforations may occur if the catheter is introduced blindly or with force. Provided that the catheterization is performed under careful palpatory control, however, the technique is completely safe for the bitch. Some bitches are more difficult to catheterize, particularly those belonging to some of the giant breeds, as well as obese or nervous animals. Using the Scandinavian catheter only between 2 and 3.5% of attempts at intra-uterine catheterization were unsuccessful. Resulting whelping rates using frozen-thawed semen has been reported to be 84.5%, and 71% when performed by skilled inseminators, an average of 65% with fresh and chilled semen and 52% with frozen-thawed semen, in a larger field study involving also less-experienced inseminators. This technique can also be used for intra-uterine infusion of contrast medium for hysterographic examination of the bitch.

INTRA-UTERINE INSEMINATION USING ENDOSCOPIC VISUALIZATION OF THE CERVIX Transcervical intra-uterine insemination can also be accomplished with the aid of a rigid fiberoptic endoscope and a urinary or angiographic catheter, on the standing bitch, and without sedation. Wilson used a rigid cysto-urethroscope, 30 cm in length and 4 mm in diameter with an oblique viewing angle of 25o, together with a 23 Fr gauge stainless steel sheath. A dog urinary catheter, 6 - 8 Fr gauge, is passed through the operating channel of the sheath. The endoscope is introduced into the vagina and advanced until the external os of the cervix can be visualized and the urinary catheter is manipulated into the cervical opening and further into the uterus. To guide the endoscope through the sometimes tortuous vaginal vault it can be quite helpful to let the urinary catheter lead the way by a few cm, thus indicating the right direction. Similarly to when using the Scandinavian catheter it can also be established by abdominal palpation whether the tip of the endoscope is correctly positioned in relation to the cervix. When the semen has been inseminated into the uterus, the endoscope is removed. After the intra-uterine semen deposition, the bitch’s hindquarters are elevated and the AI catheter is removed, and the bitch is left in this position for 5-10 minutes, to minimize backflow of semen. Using endoscopic AI with frozen-thawed semen, whelping rates of 25% (3 of 12 bitches) and 80% (32 of 40 bitch-


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es) have been obtained. A significant advantage of this technique is that it allows direct visualization of the cervical opening. Still, it involves manipulation of the scope and catheter and requires some practice. In addition, to be able to catheterize bitches of all sizes with this method, several endoscopes of varying width and length would be required. Although the equipment is expensive, for practitioners specializing in canine reproduction and AI it should be a good investment to obtain at least one endoscope of medium size which fits most average sized breeds. The endoscope is also of great help when training to perform transcervical catheterization with the Scandinavian catheter.

INTRA-UTERINE INSEMINATION USING LAPAROSCOPY Abdominal laparoscopy should offer a somewhat more acceptable alternative to full surgery for AI in the dog. The technique has been described by Wildt and Silva et al.. A 60 to 73% pregnancy rate has been reported by AI using laparoscopy, but the number of bitches in those studies were few.

INTRA-UTERINE INSEMINATION USING SURGERY Surgery to perform intra-uterine insemination has been reported. Various surgical procedures have been used, with

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the bitch under general anesthesia and in dorsal recumbency. The ventral abdomen is clipped, and after routine surgical preparation a 4 - 6 cm incision is made midway between the pubis and the umbilicus, through the linea alba. The uterus is elevated through the incision, and the needle of the syringe containing the semen is inserted into the lumen of the uterine body at a 45o angle with the bevel of the needle up. (In another technique, a intravenous catheter of small size (Braunüle) is introduced into the lumen of the cranial uterine horn on each side). The semen is slowly injected into the uterus. It should flow easily with obvious distention of the uterine horns, or else the needle should be repositioned. A saline moistened gauze is held over the injection site after the needle is withdrawn. After 1 min the gauze is removed, the uterus replaced into the abdomen and the wound closed using routine methodology. To avoid backflow of semen the bitch should be positioned with its rear elevated as she recovers from anesthesia. Around 60% pregnancy rate has been reported after surgical AI in the dog, but like with laparoscopic AI results are based on limited experimental studies and no field data are available for evaluation using either method. Whether it is ethically acceptable to resort to surgery to achieve pregnancies is debatable. The method, although advocated by some, is considered by many to be unethical and unacceptably stressful for the bitch. The risks for infection, etc. associated with surgery in general and the limited number of surgical AI’s that can be performed in a given bitch are two obvious disadvantages. The method is also costly and time-consuming.


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Tecniche di inseminazione artificiale nella cagna con seme fresco, refrigerato e congelato Konrad Blendinger Med Vet, Hofheim, Germania

(Per la maggior parte adattato da: Recent Advances in Small Animal Reproduction, Concannon P.W., England G., Verstegen III J. and Linde-Forsberg C. (Eds.) International Veterinary Information Service, Ithaca NY (www.ivis.org), 2001; A1207.0201; questa è la lettura consigliata per ottenere maggiori informazioni e, in particolare, tutti i riferimenti bibliografici). L’inseminazione artificiale (IA) sta diventando più comune in riproduzione canina, permettendo l’impiego di seme spedito, l’assistenza a maschi anziani o ipofertili, la copertura di femmine dominanti e l’uso di tecniche riproduttive avanzate come la deposizione del seme a livello intrauterino. Tutte possono essere effettuate con seme fresco, refrigerato o congelato. Tutti gli strumenti devono essere puliti ed esenti da qualsiasi contaminazione chimica. Una volta prelevato e valutato il seme, è possibile depositarlo nella parte craniale della vagina della cagna utilizzando una pipetta da inseminazione rigida di lunghezza appropriata, oppure nell’utero attraverso una cateterizzazione transcervicale. L’accesso all’utero mediante laparoscopia o laparotomia è meno desiderabile a causa della sua invasività. Il seme (la seconda frazione) può essere diluito con mestrui e refrigerato per essere usato più tardi o a distanza (entro 48 ore), oppure diluito e congelato in azoto liquido (in paillette o pellet) per uno stoccaggio a lungo termine. Nella maggior parte dei casi si utilizza come diluitore un mestruo a base di tuorlo d’uovo tamponato con fosfati oppure il mestruo TRIS-tamponato; in commercio si trovano parecchi mestrui diluitori. Il seme refrigerato deve essere riscaldato per una valutazione prima dell’uso. Quello congelato deve essere scongelato secondo le indicazioni del centro di crioconservazione, valutato ed immediatamente utilizzato per l’inseminazione.

METODI PER EFFETTUARE LA IA INTRAUTERINA NEL CANE La IA intrauterina nel cane può venire attuata per via transcervicale sia attraverso il catetere scandinavo (o norvegese), che utilizzando un endoscopio vaginale rigido a fibre ottiche per visualizzare la cervice ed un catetere urinario da cane oppure un catetere uretrale per uso umano per attraversarla. La IA intrauterina può anche venire effettuata con metodi invasivi come la laparoscopia o la chirurgia addominale completa. In alcuni Paesi, questi ultimi metodi possono essere illegali o considerati eticamente inaccettabili.

PALPAZIONE DELLA CERVICE È assolutamente essenziale che la persona che desidera effettuare la IA nel cane impari a localizzare la cervice mediante palpazione addominale, al fine di riuscire a depositare il seme nella sede corretta ed evitare di ferire la cagna. Quest’ultima deve avere stomaco e vescica vuoti per facilitare la procedura. A fini di addestramento si raccomanda l’uso di cateteri monouso in plastica da IA vaginale per cani (Minitüb, GmbH, Tiefenbach, Germany). Poiché l’ostio uretrale della cagna è localizzato a livello del margine dell’ingresso del bacino, risulta sorprendentemente facile introdurre involontariamente il catetere da IA, o un sottile endoscopio rigido, nella vescica. A parte i rischi che l’organo venga perforato dal catetere, è ovvio che la IA non sarà seguita da alcuna gravidanza. Quindi, bisogna sempre verificare mediante palpazione la corretta posizione dello strumento prima di depositare una dose di seme. Se il catetere si trova nella vescica, al di sopra di esso è possibile apprezzare con la palpazione la parte craniale della vagina e la cervice. Le pareti della vescica di solito sono più sottili di quelle della vagina, e la punta del catetere si distingue più nettamente che se fosse in sede intravaginale. Per esaminare la cervice mediante palpazione, si introduce un catetere da IA nella vagina della cagna. L’operazione viene facilitata se la vulva è sollevata sino a trovarsi appena sotto l’ano (come quando la cagna assume la posizione per il cane maschio). Quando la punta del catetere viene introdotta sino ad un punto situato in posizione immediatamente craniale al margine del bacino, si dovrebbe riuscire ad apprezzarla con la palpazione. Nella maggior parte delle cagne, cranialmente la vagina si inclina leggermente verso il basso. In alcune razze, tuttavia, ed in particolare nei Sight hound con lombi molto arcuati, la vagina ha una direzione più dorsale. L’estremità craniale del catetere deve ora essere abbassata portandola più vicina alla parete addominale in modo che divenga più accessibile alla palpazione. Quando può essere palpata, verificandone il corretto posizionamento in vagina, la punta del catetere viene delicatamente spinta più avanti, sempre sotto continuo controllo mediante palpazione, fino a che non raggiunge l’area paracervicale. Questa è la porzione craniale stretta della vagina formata dalla plica dorsale, postcervicale mediana, e può essere individuata con la palpazione sotto forma di una struttura dura lunga 1-2 cm. Termina a livello della cervice, che in un cagna in estro è una struttura di 0,5-1,5 cm, dura, arrotondata o ovoidale e liberamente mobile. Di solito non è possibile far passare la guai-


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na protettiva esterna del catetere scandinavo, che ha un diametro di 10 mm, nell’area paracervicale. Anche il più sottile catetere da IA in plastica, che ha un diametro di 5 mm, può essere troppo largo da introdurre nell’area paracervicale in alcune cagne, soprattutto quelle delle razze più piccole, o quelle che non hanno ancora partorito una cucciolata. Una volta che la cervice sia stata identificata, è possibile palpare il corpo e le corna dell’utero davanti a questa struttura. Abbassare la punta dello strumento e poi avvicinare la punta del pollice a quella del dito indice sopra il catetere stesso, la cui estremità craniale deve infine essere sollevata in modo tale che la cervice e le corna uterine vengano tirate verso l’alto fra le dita. A questo punto si rendono evidenti la loro forma e consistenza (questo metodo di palpazione dell’utero è anche molto utile per l’identificazione precoce della gravidanza e per l’esame di cagne con sospetta piometra).

INSEMINAZIONE INTRAUTERINA MEDIANTE CATETERE SCANDINAVO Il catetere scandinavo è costituito da un catetere in acciaio largo 1-2 mm con una punta del diametro di 0,75-1 mm, reperibile in tre lunghezze differenti: 20, 30 o 40 cm. Viene utilizzato insieme ad una guaina protettiva esterna in nylon del diametro di 10 mm. Quello di dimensioni medie si adatta alla maggior parte delle cagne di piccola e media taglia. Lo strumento si può ottenere dalla Norwegian Fur Breeders’ Association, P.O. Box 136, Økern, N-0509, Oslo 5, Norway. La IA intrauterina con il catetere scandinavo si effettua con la cagna in stazione sul pavimento o su un tavolo. La sedazione è necessaria solo molto raramente; al contrario, la maggior parte delle cagne in estro accetta volentieri questo tipo di manualità. Qualora fosse necessaria una lieve sedazione, ad esempio in una cagna molto grande, obesa o nervosa, si possono impiegare 1-3 mg/kg di xilazina IM o IV. Si introduce in vagina il catetere interno in acciaio, con la punta dentro una guaina protettiva di nylon. L’estremità craniale di questa guaina viene individuata mediante palpazione davanti all’ingresso del bacino, nel modo precedentemente descritto. Se la punta della guaina del catetere è stata abbassata portandola più vicino alla parete addominale, la cervice di solito si trova qualche centimetro davanti e sopra di essa. Quindi si introduce il catetere in acciaio, facendolo passare attraverso la guaina fino a che la sua punta non raggiunge il fornice ventrale. Si fissa la cervice fra il pollice e l’indice e, esercitando una lieve trazione verso il basso a livello del corpo dell’utero, la si inclina in modo tale che l’angolo del canale cervicale diventi più orizzontale. La punta del catetere viene poi delicatamente ritirata e spinta ripetutamente contro la superficie della cervice alla ricerca dell’apertura del canale cervicale. La sensazione quando si trova questa apertura nella maggior parte dei casi può essere descritta come quella che si ha toccando la cartilagine, cioè “croccante”. Una volta trovata l’apertura, si fissa il catetere e si inizia a spingere con la cervice contro di esso. Il canale cervicale è lungo 5-10 mm e non è sempre completamente diritto. Quindi, può essere necessario esercitare una lieve pressione, ruotando al tempo stesso lo strumento per facilitarne la progressione. Nella maggior parte

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delle cagne, la punta del catetere può venire facilmente percepita davanti alla cervice nel corpo dell’utero. In alcuni casi, tuttavia, la sensazione non è così netta. Si raccorda al catetere la siringa che contiene il seme e si infonde lentamente quest’ultimo in utero. Talvolta, si riscontra una resistenza all’infusione che dipende dal fatto che l’apertura del catetere è stata spinta contro la mucosa endometriale. Una lieve trazione verso il basso del corpo uterino o della cervice di solito consente di risolvere la situazione e permette l’infusione del seme. Per verificare che il catetere si trovi davvero nell’utero della cagna, è possibile infondere 1-2 ml di soluzione fisiologica. Se lo strumento è nella posizione giusta del corpo uterino, il fluido può essere infuso facilmente. Se, al contrario, è situato nella regione paracervicale, si avrà un reflusso quasi immediato di soluzione fisiologica fra il catetere e la guaina di nylon. Il catetere viene rimosso e si sollevano i quarti posteriori della cagna, che viene poi tenuta in questa posizione per 510 minuti dopo la IA, per ridurre al minimo il reflusso di seme e facilitare il trasporto uterino degli spermatozoi verso gli ovidotti. La cagna deve anche essere delicatamente stimolata intorno alla regione perineale, dato che si ritiene che ciò stimoli le contrazioni uterine. Apprendere questa tecnica richiede una certa pratica, ma una volta imparata è un metodo rapido, che di solito può venire attuato entro pochi minuti. Si raccomanda, inizialmente, di utilizzare campioni di organi a scopo di allenamento e studio anatomico. Risulta anche utile effettuare i primi tentativi in cagne che hanno partorito una o più cucciolate, dato che queste di solito sono molto più facili da cateterizzare. Se il catetere viene introdotto alla cieca o con forza, si possono avere delle perforazioni. A condizione che la cateterizzazione sia effettuata sotto un accurato controllo mediante palpazione, tuttavia, la tecnica è del tutto sicura per la cagna. Alcuni animali sono più difficili da cateterizzare, in particolare quelli che appartengono ad alcune delle razze giganti, nonché i soggetti obesi o nervosi. Utilizzando il catetere scandinavo, solo una percentuale di tentativi di cateterizzazione intrauterina compresa fra il 2 ed il 3,5% è risultata infruttuosa. È stato riferito che le percentuali di parti ottenuti utilizzando seme congelato-scongelato sono del 84,5% e del 71% quando l’operazione viene effettuata da inseminatori esperti, e pari in media al 65% con seme fresco e refrigerato ed al 52% con seme congelato-scongelato, in un più ampio studio sul campo che ha coinvolto anche inseminatori meno esperti. Questa tecnica può essere utilizzata anche per l’infusione intrauterina di mezzo di un contrasto per l’esame isterografico della cagna.

INSEMINAZIONE INTRAUTERINA MEDIANTE VISUALIZZAZIONE ENDOSCOPICA DELLA CERVICE L’inseminazione intrauterina transcervicale può essere effettuata anche con l’aiuto di un endoscopio rigido a fibre ottiche e di un catetere transurinario o angiografico nella cagna in stazione e senza sedazione.


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Wilson ha utilizzato un cistouretroscopio rigido, lungo 30 cm e con un diametro di 4 mm, con un angolo di visuale obliqua di 25 gradi, insieme ad una guaina in acciaio inossidabile da 23 French. Si fa passare un catetere urinario per cani, da 6-8 French, attraverso il canale operativo della guaina. L’endoscopio viene introdotto in vagina e fatto avanzare fino a che non si riesce a visualizzare l’ostio esterno della cervice e il catetere urinario viene manipolato spingendolo nell’apertura cervicale e poi più oltre fino nell’utero. Per guidare l’endoscopio attraverso la volta vaginale, talvolta tortuosa, può essere molto utile lasciare che il catetere urinario apra la strada di qualche centimetro, indicando così la direzione giusta. Analogamente a quando si utilizza il catetere scandinavo, è anche possibile stabilire, mediante palpazione addominale, se la punta dell’endoscopio è posizionata correttamente rispetto alla cervice. Una volta che il seme sia stato introdotto nell’utero, l’endoscopio viene rimosso. Dopo la deposizione intrauterina di seme, i quarti posteriori della cagna vengono tenuti sollevati e il catetere da IA viene rimosso; la cagna viene lasciata in questa posizione per 5-10 minuti, per ridurre al minimo il reflusso di seme. Utilizzando la IA endoscopica con seme congelato-scongelato, sono stati ottenuti percentuali di parto del 25% (3 cagne su 12) e dell’80% (32 cagne su 40). Un significativo vantaggio di questa tecnica è che permette la visualizzazione diretta dell’apertura cervicale. Inoltre, comporta la manipolazione dell’endoscopio e del catetere e richiede una certa pratica. Infine, per riuscire a cateterizzare cagne di tutte le taglie con questo metodo è necessario disporre di parecchi endoscopi di larghezza e lunghezza variabile. Benché l’apparecchiatura sia costosa, per i professionisti specializzati in riproduzione del cane ed IA procurarsi un valido endoscopio di dimensioni medie, che risulta adatto alla maggior parte delle razze di media taglia, è un buon investimento. L’endoscopio è anche molto utile quando si impara ad effettuare la cateterizzazione transcervicale con catetere scandinavo.

INSEMINAZIONE INTRAUTERINA MEDIANTE LAPAROSCOPIA La laparoscopia addominale dovrebbe rappresentare un’alternativa un po’ più accettabile all’intervento chirurgi-

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co completo per la IA nel cane. La tecnica è stata descritta da Wildt e Silva et al.. Utilizzando la IA mediante laparoscopia sono state segnalate percentuali di gravidanza del 6073%, ma il numero di cagne in questi studi era basso.

INSEMINAZIONE INTRAUTERINA MEDIANTE CHIRURGIA È stata descritta l’inseminazione intrauterina mediante intervento chirurgico. Sono state utilizzate varie procedure operatorie, con la cagna in anestesia generale ed in decubito dorsale. La parte ventrale dell’addome viene tosata e, dopo aver attuato la preparazione chirurgica di routine, si pratica un’incisione di 4-6 cm a metà distanza fra il pube e l’ombelico, in corrispondenza della linea alba. Attraverso l’incisione si solleva l’utero e si inserisce nel lume del corpo dell’organo l’ago della siringa contenente il seme, con un’inclinazione di 45° e la bietta verso l’alto. (In un’altra tecnica, si introduce un catetere endovenoso di piccole dimensioni (Braunüle) nel lume della parte craniale del corno uterino di ciascun lato). Il seme viene iniettato lentamente in utero. Deve fluire liberamente causando un’evidente distensione delle corna uterine, perché in caso contrario l’ago va riposizionato. Sopra il punto dell’iniezione, dopo aver ritirato l’ago, si tiene un tampone inumidito di soluzione fisiologica. Dopo un minuto il tampone viene rimosso, l’utero viene riposto in addome e la ferita viene chiusa con la metodica di routine. Per evitare il reflusso del seme, la cagna deve essere posizionata con gli arti anteriori sollevati come durante il risveglio dall’anestesia. Dopo la IA chirurgica nel cane è stata segnalata una percentuale di gravidanza del 60% circa, ma, come nel caso della IA laparoscopica, i risultati sono basati su limitati studi sperimentali e non sono disponibili dati di campo per la valutazione con l’uno o l’altro metodo. È discutibile se sia eticamente accettabile ricorrere alla chirurgia per ottenere delle gravidanze. Il metodo, per quanto auspicato da alcuni, viene considerato da molti non etico ed inaccettabile per lo stress che procura alla cagna. Altri due evidenti svantaggi sono i rischi di infezione, ecc, associati alla chirurgia in generale ed il limitato numero di IA chirurgiche che possono venire effettuate in una data cagna. Inoltre, il metodo è costoso e richiede tempo.


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Intrauterine artificial insemination by vaginal endoscopy Konrad Blendinger Med Vet, Hofheim (D)

Intrauterine deposition not only of frozen-thawed semen but also of fresh and chilled semen, results in significant better conception rates than deposition in the cranial vagina (Linde-Forsberg, 1999). This is achieved very reliable by inserting the semen into both uterine horns after laparotomy under general anaesthesia. In several European countries this procedure is not allowed and in general, there are concerns because the invasiveness and for ethical reasons. Transcervical catherisation and artificial insemination by the use of a rigid endoscope, as described by Wilson 1993, is a well accepted method with the advantage of good visualisation of the female genital tract. In a modified technique, a balloon around the endoscopic sheet should provide a better sight in the cranial vagina (Kong, 2003). The author uses the equipment as provided by the Dr. Fritz company, Tuttlingen, Germany (www.dr—fritz.de). It has a modified tip of the cystoscope that makes the passage of the pseudocervix easier and provides more accurate guide for the catheter which is passed through the cervix (Blendinger, 2006). A human urethral catheter with curved tip and opening at the end of the catheter is used for the cervical passage. Under the close guidance of the endocscopic sheet and using the mandrin, this catheter is rigid enough not to deviate in an undesired way from the area of interest. In order to facilitate the introduction of the catheter into the cervix, it is useful to bring the cervix in a more horizontal position. This is best achieved when the cranial end of the endoscope is

first protruded under the cervix into the blind sac and then slowly drawn back. As soon as the uterine portio is visualized, the scope can direct it by small movements forward and backward and to the side. Once the external opening of the cervical canal is seen in front of the optic, the catheter is carefully pushed forward until the tip is in the view. By rotation of the curved tip, the catheter can be directed in several directions giving a better chance to enter the external cervical opening. The black marks on the catheter show how far it is inside the uterus. After some time of training, this technique is appropriate for the use in routine practice. Some considerations using canine fresh, chilled or frozen semen are demonstrated by the recommendations of three different companies.

References BLENDINGER K (2006): Videovaginoscopy and transcervical insemination in the bitch – practical tips. Kleintierprax 51 (7/8): 388-393. KONG IK, YU DJ, JEONG SR, OH IS, YONG CJ, CHO SG, BAE IH, OH DH, KOM HR, CHO SK, PARK CS (2003): A new device for intrauterine artificial insemination in the dog. Asian-Australian Journal of Animal Sciences, 16 (2): 180-184. LINDE-FORSBERG C, HOLST BS, GOVETTE G (1999): Comparison of fertility data from vaginal vs intrauterine insemination of frozen-thawed dog semen: A restrospective study. Theriogenology, 53 (1): 11-23. WILSON BS (1993): Non-surgical intrauterine artificial insemination in bitches using frozen semen. J Rerod Fertil Suppl 47: 307-311.


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Appendix 1): Recommendations of the Synbiotics Corporation PERFORMING FRESH CHILLED SEMEN A.I. IN THE BITCH In fresh chilled semen breedings, 2 inseminations should be performed during the fertile period usually on days 4 and 6 post-serum LH-peak. By properly planning multiple inseminations, you’ll optimize the chances of success. (the Synbiotics Fresh Chilled Semen Breeding Training Manual contains more details on timing procedures and insemination technique). 1. The semen should be inseminated within 15 minutes after removal from the chilled package. Gently rotate the tube to resuspend the sperm cells, as they tend to settle auto. Evalutate a drop of semen for motility. 2. Draw 3 ml of air into the syringe (to clear the pipette at the end of the insemination). 3. Draw all the semen into the syringe and attach the pipette. 4. Have the bitch on a table or on the floor, depending on her size and how you and the dog are most comfortable. Make sure an assistant is available to restrain her as necessary. 5. Spread the labia and pass the tip of the insemination pipette dorsally toward the vaginal opening, ventral to the rectum. The pipette should be in an almost vertical direction at this stage. To further pass the pipette, redirect it in a horizontal position and gently advance it toward the cervix. The vaginal folds may produce temporary resistance, but may be avoided by spinning and rolling the pipette as it is advanced. 6. The pipette tip will usually stop at the dorsal fold of the anterior vagina. It is recommended, but not necessary to advance beyond the dorsal fold. Do this by applying slight pressure in a ventral direction while advancing the pipette. The insemination pipettes are marked at 5 cm intervals. The pipette should be advanced as far as possible. Generally, in most giant bitches, the pipette should be passes a full 25cm. In large bitches, pass the pipette 25 – 24 cm. 7. In small to medium bitches, advance the pipette 15-18 cm. In toy breeds, pass the pipette 5-10 cm, or just past the first mark. Check the position of the pipette by abdominal palpation. In many bitches you can feel the cervix, which should be just cranial to the tip of the insemination pipette. 8. Elevate the hindquaters of the bitch. 9. Keeping the hindquaters elevated, turn the syringe vertically with the plunger in the uppermost position, and inject the inseminant, finishing with the air left in the syringe to clear the pipette. 10. Withdraw the pipette, keeping the bitch’s hindquarters elevated. 11. Gently stimulate the vaginal Wall with gloved finger for 5 minutes (“feathering”). 12. Keep the hindquarters elevated for an additional 5 to 10 minutes after stimulation is completed.

SYNBIOTICS CORPORATION 11011 Via Frontera San Diego, California 92127. Tel: 800-228-4305. Fax: 858-675-2421 Chilled semen AI 11/00

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Appendix 2): Recommendations of the Minitube Company CaniPRO TM is a liquid medium for long term preservation of canine semen and adequate for conservation at +4째C to +6째C for approx. 7 days. CaniPROTM is delivered in a 20 cc bottle and is a clear solution. It requires adding of 4 cc fresh egg yolk.

1. COMPOSITION CaniPROTM consists of the following components: - Purified water - Sodium Citrate - TRIS - Glucose - Fructose - Proprietary factors - Gentamycin

2. PACKING SIZE CaniPROTM with Gentamycin sulphate, 20 cc Ref. 13700/0050

3. APPLICATION 3.1. Preparation Warm CaniPROTM Culture Medium for Chilled Canine Semen to room temperature. Add 4 cc fresh eggyolk. Gently mix. 3.2. Preparation and Addition of Egg Yolk for CaniProTM Extenders 1. 2. 3. 4. 5.

Obtain fresh eggs. Wash, rinse, dry and store in a refrigerator until use. Prior to use, wipe clean using a 70% solution of isopropyl alcohol and a brush. Allow to air dry. Crack the egg and separate the yolk using a metal egg separator of manual technique. When the yolk and white have separated sufficiently, place the yolk with membrane intact on a folded square of paper towel (non-recycled product). 6. Roll the yolk very gently to remove any excess white. The egg yolk can be aspirated from the membrane using a 5 cc syringe and a 16-18 gauge needle. Alternatively the yolk membrane can be lanced and the yolk drained into a beaker or measuring cylinder. It is very important that the yolk membrane not be used in the extender, as it may be harmful. 7. Carefully add the exact amount of egg yolk required by the extender using a calibrated instrument (syringe, pipette or balance).

___________________________________________________________________ Minit체b Manual 13700/0050

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Appendix 3): Recommendations of the CLONE Company CLONE CHILLED SEMEN PREPARATION Phone: 610-458- Fax: 610-458-1102 Web Site: cloneusa.com E-mail: cloneusa@aol.com !Keep Vials of Solutions & Ice packs Frozen until ready to use! (Vials may be thawed but cold when received, just re-freeze them immediately.) Objective: To collect the sperm rich fraction only with no contaminates (There is a chart on the of these instructions to guide you with the semen preparation.) 1. Thaw the FROZEN EXTENDER VIAL (orange or salmon color vial.) It must be at room temperature when it is added to the semen after you have collect it. 2. Assemble the Plastic Collection Cone onto the centrifuge tube as directed on the instructions on the back side of this form if you are using this collection system. 3. Tease the stud with an estrus bitch if possible. When stud has full eredtion, let two squirts of the first fraction be expelled to wash out the urethra before collecting the sperm portion. 4. Collect the sperm rich fraction only, stopping when you notice any clear fluid being ejaculated. (Check step #1 on the chart on back of these directions for the approximate amount to collect.) 5. If you collected in a plastic bag and gently pour into the plastic centrifuge tube. 6. Ask the bitch owner how is the inseimation going to be performed? You must know how the insemination is to be done to prepare the semen for shipment. Check the Extender Addition Voumes on the table on the back of this form.If a Trans-cervical or a surgical as insemination is to be done you must have a condensed pellet of semen so you have a final insemination volume as shown in the table. 7. If step # 4 above can’t be accomplished without collecting a large amount of prostate fluid you must then centrifuge the semen at urine speed (700g; very slow) for 3-4 min. Draw off the prostate fluid with a syringe very slowly, leaving about 1/4 to 1/2 ml of prostate behind. There should be no more fluid tham .50 ml for small dogs & 6-7 mls large dogs to add the Extender for a regular insemination and no more than .25 and 1 ml to add the extender for a Trans-cervical or a surgical insemination. 8. Re-suspend the sperm cells into the remaining prostate fluid by gently rocking the centrifuge tube until sperm cells are totally back into solution. 9. Add the right amount of orange or salmon colored extender to semen at this time, slowly. (Follow step # 2 located on the chart on the back of these directions for approximate volumes.) 10. Attach the centrifuge tube to its Styrofoam holder with a rubber band. (You could use 4 wraps of paper towels in lieu of the Styrofoam holder.) 11. Set the frozen ice pack next to Styrofoam semen holder, keeping the tube of semen from touching the ice pack by facing it away from ice pack. 12. Make sure the Semen Activator vial (clear solution), Insemination Instruction s, Syringe & Insemination Pipet are included in the box for the inseminator of the bitch. Tape the box closed and ship by way of Next Day Air or faster. Do not use the US Postal service. The semen will cool on it’s way and be ready to reactivate when it arrives at it’s destination. Chilled Semen Preparation Size Dog Breed Examples Weight lbs.

Preparation Volumes for Trans-Cervical or Surgical Insemination

Preparation Volumes for Regular AI Suggested

Collector Step 1 – Step 2

Inseminator Step 1 – Step 2

Inseminate Volumes

Suggested

Collector Step 1 – Step 2

Inseminator Step 3 – Step 4

Inseminate Collected Volume

1

Orange Buffer Addition

Volumes

Collected Volume Centrifuged

Orange Buffer

Activator Addition

Final Insem. Volume

2 ml

1

/2 - 1 ml

1

1

1

/2

1 – 1 1/4

1

1

3 ml

1 – 1 1/2

1

75

75

1 1/2 - 2

1 1/2

1 1/2

1 1/2

4-5 ml

1 1/2 - 2 ml

1

1

1

2 1/2

8-10 ml

2

4

4

10 ml

2-3 ml

1

/2

1 1/2

1 1/2

3 1/2 - 4

Rottweiler 80-120

8-12 ml

3–4

4

4

12 ml

2 1/2 - 3 ml

1.0

1 1/2

1 1/2

3 1/2 - 4

Mastiff 120-180

12-16 ml

6–7

4

4

15 ml

3 1/2 - 4 ml

1.0

2

2

4-5

1-2 ml

Whippet 10-25

2-3 ml

1

Corgi 25-60

4-5 ml

Labrador 60-80

/4 ml

3

Final Insem. Volume

/4 ml

/2 ml

Maltese 1-10

3

Activator Addition

/4 /2 /2

/2


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Collection Directions: There is now a Plastic Zip Bag for the semen collection that replaces the old plastic cone or funnel. 1. 2. 3. 4.

Have a sharp pair of scissors on hand. At the top of the bag zip or pull off the sealed closure at the performation just above the yellow wire band. Open the bag and fold back the yellow tabs that stick out from the bag along each side of the bag. Now fold or roll down over the outside of the bag the yellow tab with the wire stiffener one or two times like you would roll up the cuffs on your shirt at your wrist. This will make a softer entrance into the bag by covering the wire stiffener with more of the plastic of the bag and will also help keep the bag open. 5. When collecting the semen make sure the dogs penis dose not go into the bag more then half way as not to contaminate the lower portion of the interior sides of the bag from the mucus and bacteria of his penis. His mucus and/or contaminate will stick to the sides of the bag but will not run down into the semen you collected if you are careful. 6. After collecting the right amount of semen, hold the bag in front of you at eye level and let all the semen run into one of the two corners of the bottom of the bag. Never let the semen run above the lowest portion of the bag so it does not pick up any contamination from where his penis was during the collection. 7. With a pair of scissors cut off on a diagonal the other corner of the bottom of the bag and pore all the semen into the orange covered plastic centrifuge tube.

INSEMINATION INSTRUCTIONS CLONE CHILLED SYSTEMS 1. When semen arrives, keep refrigerated, (not in the freezer) until ready to use. (at this pint the semen is in an almost motionless state) 2. One half to one hour before the insemination bring the semen and the activator (the clear or blue solution vial) out of the refrigerator and let them both come up to room temperature, and until they are both at the same temperature. 3. Prepare a water bath of approximately 1 gallon of water, in a container such as a Styrofoam box or bucket. Have the water or bath pre-warmed to 85 to 90 degrees F. 4. Add the activator solution slowly to the semen which is in the centrifuge tube at this time. (when both are the same temperature) 5. Put the cap back on tightly, then gently rock the semen tube back and forth a few times very slowly until all the solutions are mixed. 6. It’s a good idea at this point to lower the semen tube so that the semen portion is submerged in the warm 85 to 90 degree water bath 8 – 10 minutes to activate the semen to almost normal temperature, speed and activity. At this point you may then examine the semen to check motility and forward speed of progression. 7. Assemble the breeding tube or rod to the syringe and draw the semen up the breeding tube into the syringe in one column with no air bubbles. 8. Inseminate the bitch in the elevated position, and keep her rear elevated for 8 to 10 minutes after the insemination is performed. P.S. NEVER WARM SEMEN ABOVE THE TEMPERATURE OF 90 DEGREES FAHRENHEIT. INSEMINATE THE SEMEN AS SOON AS YOU REMOVE IT FROM THE WATER BATH. INSEMINATE AT ROOM TEMPERATURE AND NOT IN ANY COLD AREA AFTER THE SEMEN HAS BEEN PREPARED AND WARMED.


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Inseminazione artificiale endouterina mediante endoscopia vaginale Konrad Blendinger Med Vet, Hofheim, Germania

La deposizione intrauterina di seme non solo congelatoscongelato, ma anche fresco e refrigerato, esita in un significativo miglioramento dei tassi di concepimento rispetto alla deposizione nella parte craniale della vagina (Linde-Forsberg, 1999). Questo risultato si ottiene in modo molto affidabile inserendo il seme in entrambe le corna uterine dopo una laparotomia in anestesia generale. In parecchi Paesi europei questa procedura non è consentita e, in generale, esistono delle riserve dovute all’invasività della tecnica ed a ragioni etiche. La cateterizzazione transcervicale e l’inseminazione artificiale con l’impiego di un endoscopio rigido, come descritto da Wilson nel 1993, è un metodo ben accettato che ha il vantaggio di una buona visualizzazione delle vie genitali femminili. In una tecnica modificata, l’applicazione di un palloncino intorno alla guaina endoscopica dovrebbe consentire di ottenere una visuale migliore della parte craniale della vagina (Kong, 2003). L’autore utilizza l’apparecchiatura fornita dalla Dr. Fritz company, Tuttlingen, Germany (www.dr—fritz.de). Dispone di una punta modificata del cistoscopio che facilita il passaggio a livello della pseudocervice ed offre una guida più accurata per il catetere, che viene spinto attraverso la cervice (Blendinger, 2006). Per il passaggio cervicale si utilizza un catetere uretrale umano con punta incurvata ed apertura all’estremità. Sotto la guida endoscopica ed utilizzando il mandrino, questo catetere è abbastanza rigido da non venire deviato in modo indesiderato allontanandosi dall’area di interesse. Al fine di facilitare l’introduzione del catetere nella cervice, risulta utile portare quest’ultima in una posizione più orizzontale. Il modo migliore per ottenere questo risulta-

to è quello di far protrudere dapprima l’estremità craniale dell’endoscopio sotto la cervice dentro il fondo cieco e poi ritirarlo lentamente indietro. Non appena si individua la portio dell’utero, l’endoscopio può essere diretto con piccoli movimenti avanti ed indietro e di lato. Quando si vede davanti all’ottica l’apertura esterna del canale cervicale, il catetere viene delicatamente spinto in avanti fino a che la punta non entra nel campo visivo. Attraverso la rotazione della punta incurvata, il catetere può venire orientato in parecchie direzioni, offrendo maggiori probabilità di entrare nell’apertura cervicale esterna. I contrassegni neri sul catetere indicano il grado di penetrazione all’interno dell’utero. Dopo un certo periodo di addestramento, questa tecnica risulta appropriata per l’impiego nella pratica di routine. Vengono illustrate alcune considerazioni relative all’impiego di seme fresco, refrigerato o congelato di cani attraverso le raccomandazioni di tre differenti compagnie.

Bibliografia BLENDINGER K (2006): Videovaginoscopy and transcervical insemination in the bitch – practical tips. Kleintierprax 51 (7/8): 388-393. KONG IK, YU DJ, JEONG SR, OH IS, YONG CJ, CHO SG, BAE IH, OH DH, KOM HR, CHO SK, PARK CS (2003): A new device for intrauterine artificial insemination in the dog. Asian-Australian Journal of Animal Sciences, 16 (2): 180-184. LINDE-FORSBERG C, HOLST BS, GOVETTE G (1999): Comparison of fertility data from vaginal vs intrauterine insemination of frozen-thawed dog semen: A restrospective study. Theriogenology, 53 (1): 11-23. WILSON BS (1993): Non-surgical intrauterine artificial insemination in bitches using frozen semen. J Rerod Fertil Suppl 47: 307-311.


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Appendice 1): Raccomandazioni della Symbiotics Corporation EFFETTUARE LA IA CON SEME FRESCO REFRIGERATO NELLA CAGNA Nelle inseminazioni con seme fresco refrigerato si devono effettuare due inseminazioni durante il periodo fertile, di solito nei giorni 4 e 6 dopo il picco sierico dell’LH. Pianificando in modo appropriato molteplici inseminazioni, riuscirete ad ottimizzare le probabilità di successo. (Il Synbiotics Fresh Chilled Semen Breeding Training Manual contiene indicazioni più dettagliate sulle procedure di sincronizzazione e sulla tecnica di inseminazione.). 1. Il seme deve essere utilizzato entro 15 minuti dalla rimozione dalla confezione refrigerata. Capovolgere delicatamente la provetta per risospendere gli spermatozoi, perché questi tendono a sedimentare. Valutare una goccia di seme per stabilirne la motilità. 2. Aspirare 3 ml di aria nella siringa (per ripulire la pipetta alla fine dell’inseminazione). 3. Aspirare tutto il seme nella siringa e raccordare la pipetta. 4. Porre la cagna sul tavolo o su un pavimento, a seconda della sua taglia e di quale è la soluzione più confortevole per voi e per l’animale. Assicuratevi di disporre di un assistente in grado di effettuare il contenimento in caso di necessità. 5. Divaricare le labbra vulvari e far passare la punta della pipetta da inseminazione dorsalmente verso l’apertura vaginale, ventralmente al retto. La pipetta deve essere posta in direzione quasi verticale in questo stadio. Per farla progredire ulteriormente, modificarne la direzione passando ad una posizione orizzontale e farla avanzare delicatamente verso la cervice. Le pliche vaginali possono offrire una resistenza temporanea, ma ciò si può evitare facendo ruotare ed oscillare la pipetta mentre avanza. 6. La punta della pipetta di solito si arresta a livello della plica dorsale della parte anteriore della vagina. È consigliato, ma non necessario, farla avanzare oltre la plica dorsale. Questa operazione va compiuta esercitando una lieve pressione in direzione ventrale, mentre si fa avanzare la pipetta. Le pipette da inseminazione sono contrassegnate ad intervalli di 5 cm. Lo strumento deve essere fatto avanzare il più possibile. Generalmente, nella maggior parte delle cagne giganti deve penetrare completamente per 25 cm. Nelle cagne di grossa taglia, deve avanzare per 25-24 cm. 7. Nelle cagne di piccola e di media taglia, far avanzare la pipetta di 15-18 cm. Nelle razze toy, di 5-10 cm, o appena oltre il primo contrassegno. Verificare la posizione della pipetta mediante palpazione addominale. In molte cagne è possibile percepire la cervice, che si deve trovare appena cranialmente alla punta della pipetta da inseminazione. 8. Sollevare i quarti posteriori della cagna. 9. Tenere i quarti posteriori sollevati, capovolgere la siringa verticalmente con lo stantuffo rivolto verso l’alto ed iniettare il materiale da inseminare, terminando con l’aria lasciata nella siringa per pulire la pipetta. 10. Ritirare la pipetta, tenendo sollevati i quarti posteriori della cagna. 11. Stimolare delicatamente la parete vaginale per 5 minuti con un dito guantato. 12. Tenere i quarti posteriori sollevati per altri 5-10 minuti dopo aver completato la stimolazione. SYNBIOTICS CORPORATION 11011 Via Frontera San Diego, California 92127. Tel: 800-228-4305. Fax: 858-675-2421 Chilled semen AI 11/00

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Appendice 2): Raccomandazioni della Minitube Company Il CaniPROTM è un terreno liquido per la conservazione a lungo termine del seme del cane e risulta adeguato per una conservazione a temperature comprese fra +4°C e +6°C per circa 7 giorni. CaniPROTM viene fornito in una bottiglia da 20 cc ed una soluzione limpida. Richiede l’aggiunta di 4 cc di tuorlo d’uovo fresco.

1. COMPOSIZIONE CaniPROTM è costituito dai seguenti componenti: Acqua purificata Citrato di sodio TRIS Glucosio Fruttosio Fattori brevettati Gentamicina

2. DIMENSIONI DELLE CONFEZIONI CaniPROTM con gentamicina solfato, 20 cc Ref. 13700/0050

3. APPLICAZIONE 3.1 Preparazione Riscaldare il CaniPROTM Culture Medium for Chilled Canine Semen a temperatura ambiente. Aggiungere 4 cc di tuorlo d’uovo fresco. Mescolare delicatamente. 3.2 Preparazione ed aggiunta del tuorlo d’uovo per CaniPROTM Extenders 1. Procurarsi delle uova fresche 2. Lavarle, sciacquarle, asciugarle e conservarle in frigorifero fino al momento dell’uso 3. Prima dell’uso, pulirle sfregandole utilizzando una soluzione al 70% di isopropil alcool e una spazzola. Lasciarle asciugare all’aria 4. Rompere le uova e separare il tuorlo utilizzando un apposito separatore metallico con tecnica manuale 5. Quando il tuorlo e l’albume sono stati separati a sufficienza, porre il primo con le membrane integre su un quadrato ripiegato di carta assorbente (prodotto non riciclato) 6. Far rotolare molto delicatamente il tuorlo per eliminare ogni eccesso di albume. Il tuorlo può venire aspirato attraverso la membrana utilizzando una siringa da 5 cc e un ago da 16-18 G. In alternativa, la membrana del tuorlo può venire perforata con una lancetta ed il tuorlo può essere fatto drenare in un beaker o in un cilindro graduato. È molto importante che la membrana del tuorlo non venga utilizzata nel mestruo perché può essere dannosa 7. Aggiungere delicatamente l’esatta quantità di tuorlo d’uovo richiesta dal mestruo utilizzando uno strumento calibrato (siringa, pipetta o bilancia)


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Appendice 3): Raccomandazioni della CLONE Company PREPARAZIONE DEL SEME REFRIGERATO CLONE Telefono: 610-458-Fax: 610-458-1102 Sito web: cloneusa.com E-mail: cloneusa@aol.com !Conservare congelate le fiale di soluzione e i pannetti di ghiaccio finché non sono pronti all’uso! (Le fiale possono essere scongelate ma fredde al momento della ricezione, è sufficiente ricongelarle immediatamente.) Obiettivo: Raccogliere soltanto la frazione ricca di spermatozoi senza alcun contaminante (Esiste uno schema su queste istruzioni per guidarvi nella preparazione del seme.) 1. Scongelare la FIALA DEL MESTRUO CONGELATO (fiala di colore arancio o salmone). Deve essere a temperatura ambiente quando viene aggiunta al seme dopo che lo avete prelevato. 2. Assemblare il cono di raccolta in plastica (Plastic Collection Cone) sulla provetta da centrifuga secondo quanto indicato sulle istruzioni sul dorso di questa scheda, se state utilizzando questo sistema di raccolta. 3. Se possibile, stimolare il maschio con una cagna in estro. Quando l’animale ha raggiunto la piena erezione, lasciate che espella due getti della prima frazione per lavare l’uretra prima di raccogliere la porzione di sperma. 4. Raccogliere soltanto la frazione ricca di spermatozoi, smettendo quando si nota l’eiaculazione di qualsiasi fluido limpido. (Controllare il passo n° 1 sullo schema sul retro di queste istruzioni per la quantità approssimativa da raccogliere). 5. Se state effettuando la raccolta in una sacca di plastica, lasciate colare delicatamente il materiale nella provetta da centrifuga in plastica. 6. Chiedere al proprietario della cagna come si dovrà effettuare l’inseminazione. Dovete sapere come dovrà essere effettuata l’inseminazione per preparare il seme per la spedizione. Verificare gli Volumi di mestruo da aggiungere sulla tabella sul retro di questa scheda. Se si prevede un’inseminazione transcervicale o chirurgica, dovrete avere un pellet condensato di seme, in modo da disporre di un volume di inseminazione finale come indicato nella tabella. 7. Se non si può attuare il soprastante punto 4 senza raccogliere una gran quantità di liquido prostatico, dovete poi centrifugare il seme alla velocità impiegata per l’urina (700 g; molto lenta) per 3-4 minuti. Aspirare molto lentamente il fluido prostatico con una siringa, lasciandone indietro circa 0,25-0,50 ml. Il fluido prostatico non deve essere presente in quantità superiore a 0,50 ml per i cani di piccola taglia e 6-7 ml per quelli di grossa taglia da aggiungere al mestruo per una inseminazione regolare e non superiore a 0,25 e 1 ml da aggiungere al mestruo per una inseminazione transcervicale o chirurgica. 8. Risospendere gli spermatozoi nel fluido prostatico rimasto, facendo oscillare delicatamente la provetta da centrifuga fino a che le cellule non sono totalmente tornate in soluzione. 9. A questo punto, aggiungere lentamente la quantità giusta di mestruo di colore arancio o salmone al seme (seguire il punto 2 localizzato sullo schema sul retro di queste istruzioni per i volumi approssimativi) 10. Raccordare la provetta da centrifuga al suo supporto di Styrofoam con un elastico di gomma. (Potete utilizzare 4 pezzi di carta da cucina al posto del supporto di Styrofoam) 11. Mettere il pannetto di ghiaccio congelato vicino al supporto di Styrofoam, impedendo che la provetta di seme tocchi il pannetto tenendola lontana da esso 12. Assicurarsi che nella scatola sia inserita la fiala di Attivatore di seme (soluzione chiara), le istruzioni per l’inseminazione, la siringa e la pipetta da inseminazione, per l’operatore che agirà sulla cagna. Chiudere la scatola con del nastro e spedirla mediante corriere Next Day Air o con un mezzo più rapido. Non utilizzare l’US Postal Service. Il seme si raffredderà da solo e sarà pronto a venire riattivato quando arriverà a destinazione

Preparato di seme refrigerato Taglia del cane Razza Esempio di peso in kg (circa)

Volumi di preparazione per inseminazione transcervicale o chirurgica

Volumi di preparazione per IA normale

Volumi di

Prelevatore Passo 1- Passo 2

Inseminatore Passo 1- Passo 2

inseminazione

Volumi di

Prelevatore Passo 1- Passo 2

Inseminatore Passo 1- Passo 2

inseminaVolume raccolto

suggeriti 1

Aggiunta di tampone arancio

zione suggeriti

Volume raccolto centrifugato

Tampone Aggiunta arancio di attivatore

Volume finale di inseminaz.

2 ml

1

/2 - 1 ml

1

1

1

/2

1 – 1 1/4

1

1

3 ml

1 – 1 1/2

1

75

75

1 1/2 - 2

1 1/2

1 1/2

1 1/2

4-5 ml

1 1/2 - 2 ml

1

1

1

2 1/2

8-10 ml

2

4

4

10 ml

2-3 ml

1

/2

1 1/2

1 1/2

3 1/2 - 4

Rottweiler 40-60

8-12 ml

3–4

4

4

12 ml

2 1/2 - 3 ml

1.0

1 1/2

1 1/2

3 1/2 - 4

Mastiff 60-90

12-16 ml

6–7

4

4

15 ml

3 1/2 - 4 ml

1.0

2

2

4-5

1-2 ml

Whippet 5-12

2-3 ml

1

Corgi 12-30

4-5 ml

Labrador 30-40

/4 ml

3

Volume finale di inseminaz.

/4 ml

/2 ml

Maltese 0,5-5

3

Aggiunta di attivatore

/4 /2 /2

/2


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Indicazioni per la raccolta: Oggi è disponibile la Plastic Zip Bag per la raccolta del seme, che sostituisce il vecchio cono o imbuto di plastica 1. Tenere un paio di forbici affilate a portata di mano 2. Sulla sommità della sacca di plastica, aprire o rimuovere la chiusura sigillata in corrispondenza della perforazione subito sopra alla banda di filo metallico giallo. 3. Aprire la borsa e ripiegare in fuori le linguette gialle che sporgono fuori dalla borsa su ciascun lato di essa 4. Ora ripiegare o arrotolare sull’esterno della borsa la linguetta gialla con il filo metallico di sostegno per una o due volte, come se vi arrotolaste la camicia intorno ai polsi. Ciò permette un’entrata più morbida nella borsa, coprendo il filo metallico di sostegno con una maggior quantità di materiale plastico, e consente anche di tenere aperta la borsa stessa. 5. Quando si preleva il seme, assicurasi che il pene del cane non penetri nella borsa per più di metà, in modo che la porzione inferiore dei lati interni della borsa non venga contaminata da muco e batteri presenti sull’organo. Il muco e/o i contaminanti aderiscono ai lati della borsa, ma, se operate con cautela, non defluiscono nel seme che state raccogliendo 6. Dopo aver raccolto la giusta quantità di seme, tenere la borsa davanti a voi a livello degli occhi e lasciare che tutto il seme fluisca in uno dei due angoli al fondo della borsa. Non lasciare mai che il seme fluisca al di sopra della porzione più bassa della borsa, in modo che non raccolga alcun contaminante dalla zona in cui si trovava il pene durante il prelievo 7. Con un paio di forbici, tagliare via lungo una diagonale l’altro angolo del fondo della borsa e ponete tutto il seme nella provetta da centrifuga di plastica con il tappo arancio

ISTRUZIONI PER L’INSEMINAZIONE CLONE CHILLED SYSTEMS 1. Quando il seme arriva, conservarlo refrigerato (non in congelatore) fino a che non è pronto all’uso. A questo punto, il seme si trova in uno stato di quasi immotilità 2. Mezz’ora o un’ora prima dell’inseminazione, togliere il seme e l’attivatore (la fiala di soluzione limpida o blu) fuori dal frigorifero e lasciarle entrambe a temperatura ambiente e fino a che non hanno raggiunto la stessa temperatura 3. Preparare un bagnomaria di circa 4,5 l di acqua, in un contenitore come una scatola di Styrofoam o un secchio. L’acqua o il bagno devono essere preriscaldati a 29,5- 32 °C 4. Aggiungere lentamente la soluzione di attivatore al seme, che a questo punto si trova nella provetta da centrifuga. (Quando entrambi hanno la stessa temperatura) 5. Rimettere il tappo e chiudetelo strettamente, poi fate oscillare delicatamente la provetta del seme avanti ed indietro per qualche volta, molto lentamente, fino a che le soluzioni non si sono mescolate 6. A questo punto, è una buona idea abbassare la provetta, in modo che la porzione contenente il seme sia sommersa nel bagnomaria a 29,5-32°C per 8-10 minuti, al fine di attivare il seme portandolo a valori di temperatura, velocità ed attività quasi normali. A questo punto, potete esaminare il seme per controllare la motilità e la velocità di progressione anterograda 7. Assemblare la provetta da fecondazione o la cannula alla siringa ed aspirare il seme della provetta nella siringa in una colonna evitando la formazione di bolle d’aria 8. Inseminare la cagna tenuta in posizione sollevata, mantenendo il treno posteriore dell’animale sollevato per 8-10 minuti dopo aver eseguito l’inseminazione

P.S. NON RISCALDARE MAI IL SEME AD UNA TEMPERATURA SUPERIORE A 32°C. EFFETTUARE L’INSEMINAZIONE NON APPENA IL SEME È STATO RIMOSSO DAL BAGNOMARIA. EFFETTUARE L’INSEMINAZIONE A TEMPERATURA AMBIENTE E NON IN QUALSIASI AREA FREDDA DOPO CHE IL SEME È STATO PREPARATO E RISCALDATO


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How to organize export/import of frozen semen towards to/from countries Konrad Blendinger Med Vet, Hofheim (D)

Most concerns about international transport of canine semen has been done by Prof. Catharina Linde-Forsberg, Uppsala, Sweden. Therefore I repeat some of her considerations on this topic from the year 2002 during the EVSSAR/ESAVS-Course, Nantes. It is strongly recommended, to register free at www.ivis.org, where the article “Regulations and Recommendations for International Shipment of Chilled and Frozen Canine Semen” is published. Most of the following information comes from this article and provide an excellent guideline for semen transport: The interest in international shipment of dog semen is steadily increasing as is the number of storage facilities for frozen canine semen, although at a somewhat slower pace. Dog semen can be shipped as extended and chilled, of frozen. What Is most convenient will depend on a number of factors, such as shipping distance, and whether the shipped semen is intended for artificial insemination (AI) of one or of several bitches, but also the rules and regulations of the country in question. In several countries there are different rules for semen from different countries and some also have rules that regulate the exportation of semen. The rules for importation of chilled semen may be different from those which apply to frozen semen. Sometimes the regulations in the importing country preclude the possibility of using chilled semen. The national Kennel Clubs may request prior application for permission to use imported semen, and they usually request proper identification of the semen donor by microchip or IDtattoo, or a DNA test. It should be kept in mind that both national legislation and Kennel Club regulations may change at any time. Before undertaking to export dog semen the bitch owner or importer should, therefore, always be advised to contact the Ministry of Agriculture (or the corresponding authority) and the Kennel Club in the importing country to receive information about the latest set of rules and regulations. These contacts should be made well in advance of the planned semen export, so that all the necessary health certificates and blood tests can be made in accordance with the requirements.(For more detailed information on specific requirements of many countries: look at the www.ivis.org Website at the above mentioned article “Regulations and Recommendations for International Shipment of Chilled and Frozen Canine Semen”) General recommendations for minimum documentation to accompany international shipments of dog semen:

In order to comply with the majority of the various national rules and regulations, and as a courtesy to the colleague who will perform the AI, it is recommended that each international shipment of dog semen is accompanied by the following documents, and that the following procedures are adhered to, also when this is not formally required: 1) A general veterinary health certificate, including a statement that the dog has a normal testicular status, and that the identity of the dog was confirmed. 2) A semen quality assessment form, and in the case of frozen semen also thawing instructions, together with a recommendation of how many straws, or vials in the case of pelletted semen, should be used for each AI. 3) Always use the correct, registered name of the dog, not its pet name, for all official documents, including the blood test report. 4) Always enclose a set of copies of the certificates, either attached on the outside of the shipment, or inside it in case the airway bill with the original certivicates is lost under way, or removed by mistake, for instance by customs in a transit country. 5) Straws (or vials with pellets) should be packaged so that they are easy to move from the shipping dewar to the storage tank, i.e. they should be in goblets and canes, or in plastic sheaths, which are properly marked (for marking, see below). If the semen is frozen in pellets, do not forget to enclose the plastic bags used for thawing (Whirl-pak, Nasco, USA) as these are not readily available in all countries. 6) Always apply a seal to the thermos flask, Styrofoam box, or LN2 dewar, even when this is not an official requirement. This prevents unauthorized persons from opening it and, thus, minimizes the risk of damage. Whenever possible do not put the seal on the outer case, but directly on the flask, box, or dewar. LN2 dewars usually are equipped with a separate ring for seals. How to mark the semen straws or vials: To comply with the requirements from most countries the semen-containing tubes, straws, or vials etc. should always be marked with the following information: 1. The breed (which may be abbreviated), 2. The dog’s registered name (which may be abbreviated), 3. The dog’s registration number and/or chip number, 4. The date of semen collection (obligatory when blood tests and veterinary certificates are required), and 5. The location where the semen was collected/processed.


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Shipment of chilled dog semen Use sterile plastic tubes for the semen, for instance Nunc tubes (Nalge Nunc International, Naperville,IL) which do not break during the transport. The chilled semen is usually sent in an ordinary thermos flask, or a Styrofoam box with ice-packs. It is imperative that the temperature does not drop below 0°C to ensure that the semen does not freeze. Therefore, the tube containing the semen must be protected from direct contact with ice cubes or cold-packs, for instance by wrapping it in a piece of cotton wool. The thermos flask and the Styrofoam box weigh little and usually need not be returned, which keeps the shipping costs low.

Shipment of frozen dog semen

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have a holding time of from 10-20 days. Always check the manufacturer’s information. 3.Leave the filled tank for 24h over-night and check its weight again before it is shipped. 4.Also when receiving a tank, it is a good routine to check its weight on arrival in case something has gone wrong with the shipment. The LN2-containers are expensive and are usually on loan from the semen agency and should be returned as soon as possible. To avoid problems with the returning tank at customs clearance instructions for its return and a certificate should accompany it for the return freight, for instance: “The LN2 tank and shipping case are both the sole property of ……. And on loan to ….. and will be returned to …… as duty free Return Goods.”

To ship frozen semen a liquid nitrogen container is required, which keeps the temperature at around -197°C. Today most semen agencies use the so-called dry-shippers, which absorb the liquid nitrogen into a porous material in their walls. These will not spill and therefore need not to be shipped as dangerous goods, which is more expensive. They should, however, always be sent as fragile goods, because they are easily broken by rough handling. The tank is usually shipped in a plastic box for protection. They come in different shapes, and it appears that the ones that are mushroomshaped offer the best protection, because their shape prevents them from being transported lying on the side, and from having something stored on top of them. Some semen processing agencies request that the dewar is insured against damaging during freight. The shipping code for the shipper’s declaration for liquid nitrogen is: UN1977, which tells that it is Restricted Goods. The regulations pertaining specifically to the dry-shippers are found in the IATA Packing Instruction 202, Note, which reads: “Insulated packagings containing refrigerated liquid nitrogen fully absorbed in a porous material and intended for transport, at low temperature, of non-dangerous products are not subject to these Regulations…”

When the dry-shippers are full and in their outer protective casing they usually weigh between 7 and 15 kg, why the freight costs will be quite high. On the other hand several doses of semen, or semen from several dogs can be sent in one shipment.

Check the liquid nitrogen tank

Who May Perform A.I.?

Before shipment it should always be made a routine to check that theliquid nitrogen dewar is not broken. Therefore: 1.Always fill the tank with liquid nitrogen at least 24 hours before the shipment is due. The dry-shippers have to be filled over a period of time, and left to saturate between fillings. Some liquid nitrogen that is seen to remain at the bottom of the tank is the sign that it is full. 2.Weight the tank both before and after filling to control that it contains the proper amount of liquid nitrogen. The most commonly used dry-shippers take from 1 to 4 kg of LN2, and

Both national legislation and the Kennel Clubs may have regulations regarding the right to perform AI in dogs, and where semen may be stored. In several countries this is exclusively a veterinary matter, and in some countries the veterinarians are expected to have taken and passed a special course for AI in dogs. In other countries, the breeders themselves may inseminate their own dogs. When it comes to frozen semen, however, this is unlikely to happen, because of the special qualifications needed for the handling of the semen and the generally poor results obtained with vaginal AI.

Who Should Organise the Shipment? Some canine semen facilities and agencies deal directly with freight companies. Freight charges, however, appear to be quite negotiable and it can be very time consuming to organize the shipments, as they almost always involve customs clearance and other procedures. For these reasons other processing facilities chose to leave it to the dog or bitch owner to organize shipments. For the “shipper’s declarations” they will need to know that the code for liquid nitrogen is UN1977, and for the dry-shippers that the IATA Packing Instruction 202 Note clarifies that this kind of tank can be shipped as non-dangerous goods. There should also be an accompanying statement for customs that the tank is on loan and that it will be returned as an empty packaging, to avoid taxes or custom fees. Consider insuring the tank against damages during transportation.


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Come organizzare l’importazione o l’esportazione di seme refrigerato da o per l’estero. Esperienza tedesca ed italiana a confronto Konrad Blendinger Med Vet, Hofheim, Germania

La maggior parte dei problemi relativi al trasporto internazionale del seme del cane è stata illustrata dalla Prof. Catharina Linde-Forsberg, Uppsala, Svezia. Pertanto, mi limiterò a ripetere alcune delle sue considerazioni su questo argomento, espresse nel 2002 durante l’EVSSAR/ESAVSCourses, Nantes. Si raccomanda caldamente di effettuare la registrazione gratuita al sito www.ivis.org, dove è pubblicato l’articolo “Regulation and Recommendations for International Shipment of Chilled and Frozen Canine Semen”. La maggior parte delle informazioni che seguono è tratta da questo articolo e costituisce un’eccellente linea guida per il trasporto del seme. L’interesse per la spedizione internazionale di seme canino è in costante incremento, così come il numero delle strutture di stoccaggio per seme canino congelato, benché ad un ritmo un po’ più lento. La spedizione può essere effettuata in forma diluita e refrigerata, o congelata. La soluzione più conveniente dipende da numerosi fattori, come la distanza da coprire ed il fatto che il seme inviato sia destinato all’inseminazione artificiale (IA) di una o più cagne, ma anche dalle norme e dalle regole Paese in questione. In parecchie nazioni esistono norme differenti per il seme proveniente dall’estero ed alcune hanno anche delle norme che regolano l’esportazione del seme. I vincoli per l’importazione del seme refrigerato possono essere differenti da quelli che si applicano per il seme congelato. Talvolta le regole del Paese importatore precludono la possibilità di utilizzare seme refrigerato. I Kennel Club nazionali possono richiedere il preventivo rilascio di un permesso per l’uso di seme importato e di solito esigono la corretta identificazione del donatore del seme mediante microchip o tatuaggio, oppure con un test del DNA. Occorre tenere presente che sia le legislazioni nazionali che le regole del Kennel Club possono cambiare in qualsiasi momento. Prima di intraprendere l’esportazione di seme canino si deve quindi sempre consigliare al proprietario della cagna o all’importatore di prendere contatto con il Ministero dell’Agricoltura (o con la corrispondente autorità) o con il Kennel Club del Paese importatore per ottenere le informazioni relative alla versione più recente di norme e regolamenti. Questi contatti devono essere presi con notevole anticipo rispetto al momento previsto per l’esportazione del seme, in modo da poter preparare tutti i certificati sanitari e gli esami ematologici necessari in accordo con i requisiti richiesti. (Per informazioni dettagliate sulle specifiche richieste di molti Paesi si rimanda al sito web www.ivis.org ed all’articolo sopracitato “Regulation and Recommendations for International Shipment of Chilled and Frozen Canine Semen”).

Raccomandazioni generali per la documentazione minima che deve accompagnare le spedizioni internazionali di seme canino: Al fine di soddisfare la maggior parte delle varie norme e regole nazionali, e come cortesia nei confronti del collega che effettuerà la IA, si raccomanda di accompagnare ogni spedizione internazionale di seme canino con i seguenti documenti e di rispettare le seguenti procedure, anche quando queste non sono formalmente richieste: 1) Un certificato sanitario generico rilasciato da un veterinario, che comprenda l’esplicita affermazione del fatto che il cane presenta testicoli normali e che la sua identità è stata confermata. 2) Una scheda di valutazione della qualità del seme e, nel caso di materiale congelato, anche le istruzioni per lo scongelamento, unitamente ad una raccomandazione sul modo in cui utilizzare per ciascuna IA più paillette o fiale nel caso di seme pellettato. 3) Per tutti i documenti ufficiali, compresi i referti degli esami ematologici, utilizzare sempre il nome corretto e registrato del cane e non quello con cui viene chiamato affettuosamente dal proprietario. 4) Aggiungere sempre una serie di copie dei certificati, sia fissate all’esterno della spedizione che all’interno, nel caso che i documenti della compagnia aerea con i certificati originali vadano perduti durante il viaggio o vengano erroneamente rimossi, ad esempio alla dogana in un Paese di transito. 5) Le paillette (o le fiale con i pellet) devono essere confezionate in modo da poter essere tolte facilmente dal dewar utilizzato per la spedizione e spostate nel serbatoio di stoccaggio, cioè devono essere in coppe e canne oppure in guaine di plastica, che vengono appositamente commercializzate (per i marchi, vedi oltre). Se il seme è congelato in pellet, non si deve dimenticare di includere le sacche di plastica da usare per lo scongelamento (Whilr-pak, Nasco, USA), dal momento che queste non sono facilmente reperibili in tutti i Paesi. 6) Applicare sempre un sigillo al thermos, alla scatola di Styrofoam o al dewar per azoto liquido (LN2), anche quando questa non è una richiesta ufficiale. Ciò evita l’apertura da parte di persone non autorizzate e, quindi, riduce al minimo il rischio di danneggiamento. Ogni volta che sia possibile, non porre il sigillo sul contenitore esterno ma direttamente sul thermos, sulla scatola o sul dewar. I dewar per LN2 di solito sono dotati di un anello a parte per i sigilli.


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Come contrassegnare le paillette o le fiale del seme: Per soddisfare i requisiti della maggior parte dei Paesi, le provette contenenti il seme, le paillette o le fiale ecc… devono sempre essere contrassegnate con le seguenti informazioni: 1. La razza (che può essere abbreviata) 2. Il nome registrato del cane (che può essere abbreviato) 3. Il numero di registrazione e/o del chip del cane 4. La data di prelievo del seme (obbligatoria quando sono richiesti esami ematologici e certificati veterinari) 5. La sede dove il seme è stato prelevato/preparato

Spedizione di seme canino refrigerato Utilizzare provette di plastica sterile, come ad esempio le Nunc tubes (Nalge International, Naperville, IL), che non si rompono durante il trasporto. Il seme refrigerato di solito viene spedito in normali thermos o in una scatola di Styrofoam con pannetti di ghiaccio. È essenziale che la temperatura non scenda al di sotto di 0° per garantire che il seme non congeli. Di conseguenza, la provetta che contiene il materiale deve essere protetta dal contatto diretto con i cubetti di ghiaccio o i pannetti refrigeranti, ad esempio avvolgendola in uno strato di cotone. Il thermos e la scatola di Styrofoam pesano poco e di solito non devono essere restituiti, il che consente di abbassare i costi di spedizione.

Spedizione di seme canino congelato Per spedire il seme canino congelato è necessario un contenitore per azoto liquido, che mantiene la temperatura intorno a –197°C. Oggi, la maggior parte delle agenzie del seme utilizza i cosiddetti dry-shipper, che assorbono l’azoto liquido in un materiale poroso presente nelle loro pareti. Ciò evita lo stillicidio di liquido e di conseguenza non è più necessario effettuare la spedizione come beni pericolosi, che è più costosa. Tuttavia, devono sempre essere spediti come beni fragili, perché si rompono facilmente se vengono manipolati in modo grossolano. Il contenitore in genere viene inserito in una scatola di plastica per proteggerlo. Se ne trovano di forme differenti e sembra che quelli a fungo offrano la migliore protezione, perché la loro forma evita che vengano trasportati coricati su un lato e che su di essi venga posto qualcosa d’altro. Alcune agenzie di preparazione del seme richiedono che il dewar sia assicurato contro il danneggiamento durante il trasporto. Il codice di spedizione per la dichiarazione dello speditore per l’azoto liquido è UN1977, che significa che si tratta di Restricted Good (beni sottoposti a restrizioni). Le norme relative specificamente ai dry-shipper di trovano nella IATA Packing Instruction 202, Note, che recita: “Gli imballaggi isolanti contenenti azoto liquido refrigerato completamente assorbito in un materiale poroso e destinati al trasporto, a bassa temperatura, di prodotti non pericolosi non sono soggetti a queste Regole …”

Controllo del contenitore dell’azoto liquido Prima di effettuare la spedizione, si deve sempre eseguire un controllo di routine per verificare che il contentore dell’azoto liquido non sia rotto. Quindi: 1. Riempire sempre il contenitore con azoto liquido almeno 24 ore prima della spedizione. I dry-shipper devono essere riempiti nell’arco di un dato periodo di tempo e lasciati saturare fra una fase di riempimento e l’altra. Quando si osser-

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va una certa quantità di azoto liquido che rimane sulla sommità del contenitore significa che è pieno. 2. Pesare il contenitore sia prima che dopo lo riempimento per controllare che contenga la giusta quantità di azoto liquido. I dry-shipper più comunemente utilizzati assorbono da 1 a 4 kg di LN2 ed hanno un periodo di tenuta di 10-20 giorni. Verificare sempre le indicazioni del produttore. 3. Lasciare il contenitore per 24 ore (da un giorno all’altro) e controllarne nuovamente il peso prima di spedirlo. 4. Anche quando si riceve il contenitore, è una buona pratica di routine verificarne il peso all’arrivo nel caso che qualcosa fosse andato male durante la spedizione. I contenitori del LN2 sono costosi e di solito forniti in affitto dalla agenzia del seme e devono essere restituiti il più presto possibile. Per evitare problemi alle dogane con i contenitori resi, bisogna che siano accompagnati da chiare istruzioni per la restituzione e da un certificato per il trasporto di ritorno, ad es: Il contenitore per LN2 e l’imballaggio appartengono entrambi esclusivamente a … e sono concessi in prestito a … e devono essere restituiti a … come beni di ritorno in franchigia doganale.” Quando i dry-shipper sono pieni e nel loro imballaggio esterno protettivo, di solito hanno un peso fra 7 e 15 kg, il che spiega perché i costi di trasporto siano molto elevati. D’altra parte, è possibile inviare in un’unica spedizione parecchie dosi di seme oppure il seme di parecchi cani.

Chi deve organizzare la spedizione? Alcune strutture ed agenzie di seme del cane hanno dei contatti diretti con le compagnie di trasporti. Gli oneri relativi, tuttavia, sembrano essere estremamente negoziabili e organizzare le spedizioni può richiedere molto tempo, dato che quasi sempre comporta lo sdoganamento ed altre procedure. Per queste ragioni, altre strutture di preparazione del seme decidono di lasciare al proprietario del cane maschio o della femmina l’organizzazione delle spedizioni. Per le “dichiarazioni dello speditore” è necessario sapere che il codice per l’azoto liquido è UN1977 e, nel caso dell’impiego di dry-shipper, che la IATA Packing Instruction 202 Note chiarisce che questo tipo di contenitori può essere spedito come beni non pericolosi. Deve anche essere presente una dichiarazione di accompagnamento per le dogane che indichi che il contenitore è in prestito e dovrà essere restituito come imballaggio vuoto, per evitare tasse o oneri doganali. Si può prendere in considerazione l’eventualità di assicurare il contenitore contro i danni durante il trasporto.

Chi può eseguire la IA? Sia le norme nazionali che i Kennel Club possono stabilire delle regole circa il diritto di effettuare la IA nel cane e le sedi in cui il seme può venire immagazzinato. In parecchi Paesi questa è esclusivamente una competenza veterinaria ed in alcuni si richiede che i veterinari abbiano frequentato e superato un corso speciale di IA nel cane. In altri Paesi, gli allevatori stessi possono effettuare l’inseminazione dei loro cani. Tuttavia, è improbabile che ciò avvenga quando si utilizza il seme congelato, a causa delle qualifiche necessarie per la manipolazione del seme e per i risultati generalmente scadenti ottenuti con la IA vaginale.


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Success rate of conservative treatment of canine pyometra and fertility – which is the treatment of choice? Konrad Blendinger Med Vet, Hofheim (D)

Several investigations were done to find out the efficacy of conservative treatment of pyometra. The relapse rate of pyometra after conservative treatment was Trasch et al 2003: 18,9% (7 of 37) after one year (2); Fieni 2006): 19% (4 of 21) after 24 month (5); Gobello et al 2003: 20% (3 of 15) (4); Corrada et al 2006: 20.7% (6 of 29) (6) There are few data on pregnancies after conservative treatment of pyometra: Hoffmann et al 2000: 2 bitches had litters after conservative treatment (1) Trasch et al 2003: 5 pregnancies of 6 mated bitches (2) Gobello et al 2003: one non recurrent was successfully mated (4) Fieni 2006:one of two mated bitches had a litter (5)

therapy of pyometra, the procedure is at least the same, some times even more money and time consuming than ovariohysterectomy. - Risk of urinary incontinence after ovariohysterectomy - Risk of change in hair coat in several breeds. The definitive treatment of pyometra in the bitch still is ovariohysterectomy, which is the treatment of choice in emergency cases of pyometra (e.g. uterine ruptures) and for bitches which are not intended to be bred in the future. Conservative treatment may be considered in breeding bitches or in bitches with a high risk of post-surgical urinary incontinence.

References 1)

The outcome of several different protocols for conservative treatment of canine pyometra is similar but two considerations may improve the results in the future: 1) Preclusion from treatment of bitches with ovarian diseases (cysts / irregular heats) and cystic endometrial diseases (1) which might be improved by the measurement of prostaglandin F 2alpha metabolites (7) 2) The addition of prostaglandins to the treatment protocol (at least to bitches with low progesterone levels) (5)

2)

In the decision making of the appropriate treatment of a bitch with pyometra several concerns have to be made: - High percentage of pyometra development in the bitch in general (De novo endometritis after successful treatment). - Relative high recurrence rate of 20% during the first two years after conservative treatment - With the close monitoring of the bitch during conservative

6)

3)

4)

5)

7)

Hoffmann B, Lemmer W, Bostedt H, Failing K (2000): Die Anwendung des Antigeatagens Aglépristone zur konservativen Behandlung der Pyometra der Hündin. Tierärztl Prax 28, 323-9. Trasch K, Wehrend A, Bostedt H (2003): Follow up examinations of bitches after conservative treatment of pyometra with the antigestagen aglepristone. J Vet Med A 50, 375-9. Wehrend A, Trasch K, Bostedt H (2003): Behandlung der geschlossenen Form der caninen Pyometra mit dem Antigestagen Aglepristone. Kleintierpraxis 48, 657-724. Gobello C, Castrex G, Klima L, Rodriguez R, Corrada Y (2003): A study of two protocols combining aglepristone and cloprostenol to treat open cervix pyometra in the bitch. Theriogenology 60, 901-8. Fieni F (2006): Clinical evaluation of the use of aglepristone, with or without cloprostenol, to treat cystic endometrial hyperplasia-pyometra complex in bitches. Theriogenology 66, 1550-6. Corrada Y, Arias D, Rodriguez R, Tortora M, Gobello C (2006): Combination dopamine agonist and prostaglandin agonist treatment of cystic endometrial hyperplasia-pyometra complex in the bitch. Theriogenology 66, 1557-9. Hagman R, Kindahl H, Fransson BA, Bergstrom A, Holst BS, Lagerstedt AS (2006): Differentiationo between pyometra and cystic endometrial hyperplasia/mucometra in bitches by prostaglandin F-2alpha metabolite analysis. Theriogenology 66, 198-206.


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Piometra e fertilità sono compatibili. Esperienza tedesca e italiana a confronto Konrad Blendinger Med Vet, Hofheim, Germania

Sono state condotte parecchie indagini per accertare l’efficacia del trattamento conservativo della piometra. La percentuale di recidiva della piometra dopo un trattamento conservativo è risultata pari a Trasch et al 2003: 18,9% (7 su 37) dopo un anno (2); Fieni 2006: 19% (4 su 21) dopo 24 mesi (5); Gobello et al 2003: 20% (3 su 15) (4); Corrada et al 2006: 20,7% (6 su 29) (6) Esistono pochi dati sulle gravidanze dopo il trattamento conservativo della piometra: Hoffmann et al 2000: 2 cagne hanno prodotto delle cucciolate dopo un trattamento conservativo (1) Trasch et al 2003: 5 gravidanze su 6 cagne accoppiate (2) Gobello et al 2003: un soggetto senza recidiva è stato accoppiato con successo (4) Fieni 2006: una su due cagne accoppiate ha generato una cucciolata (5) L’esito di parecchi protocolli differenti per il trattamento conservativo della piometra del cane è simile, ma due considerazioni possono migliorare i risultati in futuro: 1) preclusione del trattamento per le cagne con malattie ovariche (cisti/calori irregolari) ed affezioni endometriali cistiche (1) che possono essere migliorate dalla misurazione dei metaboliti della prostaglandina F2-alfa (7) 2) l’aggiunta di prostaglandine al protocollo terapeutico (come minimo per le cagna con bassi livelli di progesterone) (5)

- dopo il rigoroso monitoraggio della cagna durante la terapia conservativa della piometra, la procedura è come minimo analoga e talvolta persino più costosa e più impegnativa in termini di tempo rispetto all’ovaristerectomia. - Rischio di incontinenza urinaria in seguito ad ovaristerectomia - Rischio di alterazioni del mantello in parecchie razze. Il trattamento definitivo della piometra nella cagna è ancora rappresentato dall’ovaristerectomia, che è la terapia d’elezione nei casi di emergenza (ad es., rottura uterina) e per le cagne che non si intende far riprodurre in futuro. Il trattamento conservativo può essere preso in considerazione nei soggetti da riproduzione o in quelli con un elevato rischio di incontinenza urinaria postoperatoria.

Bibliografia 1)

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5)

Per prendere la decisione definitiva sul trattamento appropriato di una cagna con piometra, è necessario tenere in considerazione diversi aspetti: - sviluppo di un’elevata percentuale di piometra nella cagna in generale (endometrite ex-novo dopo un trattamento di successo) - Percentuale di recidiva relativamente alta (del 20%) durante i primi due anni dopo il trattamento conservativo

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Hoffmann B, Lemmer W, Bostedt H, Failing K (2000): Die Anwendung des Antigeatagens Aglépristone zur konservativen Behandlung der Pyometra der Hündin. Tierärztl Prax 28, 323-9. Trasch K, Wehrend A, Bostedt H (2003): Follow up examinations of bitches after conservative treatment of pyometra with the antigestagen aglepristone. J Vet Med A 50, 375-9. Wehrend A, Trasch K, Bostedt H (2003): Behandlung der geschlossenen Form der caninen Pyometra mit dem Antigestagen Aglepristone. Kleintierpraxis 48, 657-724. Gobello C, Castrex G, Klima L, Rodriguez R, Corrada Y (2003): A study of two protocols combining aglepristone and cloprostenol to treat open cervix pyometra in the bitch. Theriogenology 60, 901-8. Fieni F (2006): Clinical evaluation of the use of aglepristone, with or without cloprostenol, to treat cystic endometrial hyperplasia-pyometra complex in bitches. Theriogenology 66, 1550-6. Corrada Y, Arias D, Rodriguez R, Tortora M, Gobello C (2006): Combination dopamine agonist and prostaglandin agonist treatment of cystic endometrial hyperplasia-pyometra complex in the bitch. Theriogenology 66, 1557-9. Hagman R, Kindahl H, Fransson BA, Bergstrom A, Holst BS, Lagerstedt AS (2006): Differentiationo between pyometra and cystic endometrial hyperplasia/mucometra in bitches by prostaglandin F-2alpha metabolite analysis. Theriogenology 66, 198-206.


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Endoscopia operativa: corpi estranei e stenosi esofagee nel cane e nel gatto Enrico Bottero Med Vet, Cuneo

I corpi estranei (CE) esofagei rappresentano una patologia relativamente frequente nel cane e rara nel gatto. Le ossa ed i frammenti di ossa sono il corpo estraneo più frequente. Questa condizione patologica, se non viene prontamente diagnosticata e trattata, può portare a conseguenze mortali e rappresenta quindi un’emergenza clinica vera e propria. Se manca il dato anamnestico relativo all’ingestione dell’osso, l’insorgenza e la manifestazione dei segni clinici sono spesso aspecifiche e progressivamente aggravantesi. L’anoressia, la depressione, la scialorrea, il vomito ed il rigurgito sono i segni clinici più frequenti. I fattori che maggiormente influenzano la presentazione ed evoluzione clinica sono la forma, le dimensioni del CE e la durata dell’ostruzione. Possono essere colpiti soggetti di ogni taglia, sesso ed età, ma la maggior parte dei casi si verifica nei soggetti di taglia medio piccola e di giovane età. La diagnosi viene emessa in base al dato anamnestico, al riscontro radiografico ed endoscopico. I corpi estranei tendono a localizzarsi nelle zone di fisiologico restringimento dell’esofago (sfintere esofageo superiore / ingresso toracico /porzione cardiaca / porzione precardiale). La terapia deve essere instaurata il più rapidamente possibile. Il trattamento di prima scelta è l’estrazione per via endoscopica sotto visione diretta o estrazione alla cieca sotto visione fluoroscopica, fino all’intervento chirurgico nei casi non risolvibili con le precedenti tecniche o in caso di perforazione esofagea. Nei gatti, presumibilmente per le loro abitudini alimentari, i corpi estranei esofagei sono riscontrati meno frequentemente. L’utilizzo di strumenti ancillari adeguati risulta di fondamentale importanza per il successo terapeutico; le pinze Dormia, i Grasping interni, i dilatatori rigidi tipo S-G (Savary-Gillard) ed i dilatatori pneumatici sono importanti nella prima fase della rimozione che ha lo scopo di mobilitare il CE osseo, fortemente adeso alla mucosa esofagea tramite lacinie fibroso-cicatriziali. Le pinze Grasping esterne da laparoscopia sono utili per la rimozione vera e propria in quanto permettono di esercitare una notevole forza traente sul CE. La scelta di dislocare l’osso in cavità gastrica è una efficace alternativa all’asportazione dalla cavità orale; questa opzione è preferibile, o comunque accettabile, quando il CE è localizzato nella porzione precardiale e quando la mucosa è fortemente alterata; in questa condizione la retrazione craniale è più indaginosa e può indurre ulteriore danno alla mucosa. Normalmente avviene una rapida decalcificazione gastrica dell’osso. Le stenosi acquisite benigne sono segnalate come possibile conseguenza dei CE ossei a sede esofagea. Il nostro studio retrospettivo ha preso in considerazione i corpi estranei esofagei ossei; sono stati esaminato 23 cani (9 femmine e 14 maschi) con età variabile tra 2 e 10 anni e 2 gatti maschi di

2 e 5 anni. Tutti i cani sono di taglia medio-piccola con una prevalenza di soggetti di razza meticcia (9 cani - 38%) e di soggetti di razza Yorkshire Terrier (5 cani - 19%). In 14 soggetti l’anamnesi riporta l’ingestione del CE, mentre in 11 soggetti l’anamnesi è sconosciuta. In tutti i casi l’indagine radiografica risulta diagnostica; individuando presenza e localizzazione del CE, in due casi dubbi viene eseguito uno studio contrastografico con solfato di bario. Dei 23 cani esaminati, in 5 il corpo estraneo era localizzato nella porzione esofagea cervicale, in 7 nell’esofago toracico in zona precardiaca ed in 11 nell’esofago toracico in zona precardiale. Nei 2 gatti esaminati il corpo estraneo era localizzato nell’esofago cervicale ed era costituito da manubrio di pollo. In 16 pazienti (15 cani ed 1 gatto) il corpo estraneo viene estratto dalla cavità orale mentre in 8 pazienti (7 cani e 1 gatto) il corpo estraneo osseo è stato disancorato dalla sede di ostruzione e spinto in cavità gastrica attraverso il cardias, dove si assiste ad una completa degradazione nell’arco di 2-4 giorni; in un caso è stato necessario procedere ad intervento chirurgico di toracotomia. Tutti i pazienti manifestano un notevole miglioramento delle condizioni cliniche nell’arco di 3-5 giorni dopo l’asportazione ed in un singolo caso si è verificata una stenosi nel sito di ostruzione. Oltre ai corpi estranei ostruttivi a livello esofageo è possibile riscontrare anche corpi estranei taglienti e soprattutto ami da pesca. L’estrazione degli ami richiede l’utilizzo di pinze a dente di topo. A causa del tentativo di estrazione da parte del proprietario gli ami sono spesso localizzati a livello dello sfintere esofageo superiore ed inferiore, ma in ogni caso sono ancorati con la porzione curva posta verso lo stomaco e l’asta verso la testa; la pinza a dente di topo viene chiusa a livello della porzione curva e spinta con forza in direzione caudale per provocare la “slamatura”; nei rari casi in cui l’amo è ancorato al contrario l’estrazione è più complessa e prevede la retroversione dell’endoscopio all’interno dell’esofago e poi l’applicazione della medesima tecnica descritta precedentemente. In caso di ami di grosse dimensioni (ami n° 0-4) la tecnica estrattiva prevede la presa dell’amo dall’estremità e poi la spinta in direzione dell’asta ripercorrendo la direzione di ingresso dell’amo. Durante la fase estrattiva di ogni corpo estraneo esofageo può essere usato un sovratubo per evitare di traumatizzare la mucosa esofagea craniale al corpo estraneo. LE STENOSI ESOFAGEE ACQUISITE BENIGNE sono una condizione patologica rara sia nel cane che nel gatto. Le stenosi derivano da grave infiammazione esofagea con coinvolgimento degli strati profondi e conseguente proliferazione fibroblastica e formazione di tessuto cicatriziale. Le stenosi possono localizzarsi ovunque a livello esofageo. La causa più frequente è l’esofagite secondaria a reflusso gastro-esofageo in


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Figura 1 - Corpo estraneo esofageo osseo. Tentativo di presa con pinza Dormia.

Figura 2 - Stenosi esofagea. Fase della dilatazione con dilatatore pneumatico insufflato.

anestesia; ma ogni grave danno mucosale può esitare in stenosi; l’insorgenza e la progressione dei segni clinici avviene entro 5-18 giorni. La presentazione clinica è influenzata dal numero, dalla localizzazione e dal diametro delle stenosi. Il rigurgito, da occasionale a molto frequente è il segno clinico principale, ma sono presenti spesso scialorrea, odinofagia, dimagramento ed anche tosse e dispnea in caso di polmonite ab ingestis secondaria. L’esame endoscopico permette di valutare diametro e localizzazione della stenosi, permette l’esecuzione di biopsie in caso di aspetto macroscopico dubbio e permette l’esecuzione delle manovre terapeutiche dilatatorie sotto visione diretta. Sulla base della valutazione radiografica ed endoscopica le stenosi vengono definite: singole, multiple e tubulari, queste ultime identificano i restringimenti di una sezione esofagea tubulare. Il lume a livello della stenosi normalmente è ridotto a 2-4 mm., ma può anche essere completamente chiuso. La dilatazione delle stenosi benigne può essere eseguita sia con dilatatori rigidi (tipo Savary-Gillard, tipo Eder-Puestow) che con cateteri a palloncino (Flex-EzBalloon® Dilatori, Rigiflex Dilators®). La tecnica con dilatatori rigidi prevede l’inserimento all’interno della stenosi di strumenti di diametro progressivamente maggiore che utilizzano una forza dilatatoria longitudinale; la tecnica con dilatatori pneumatici prevede l’inserimento del dilatatore sgonfio nella stenosi, questo viene poi gonfiato esercitando quindi una forza radiale verso le lacinie fibrose che compongono la stenosi con l’obiettivo di dipanarle. Pur non esistendo lavori comparativi sull’efficacia delle due tecniche la dilatazione pneumatica viene generalmente considerata più efficace e sicura. Non esistono criteri universali riguardo al numero, durata e frequenza dei trattamenti necessarie alla risoluzione della stenosi; diversi autori propongono diversi protocolli, in generale viene considerato adeguato il raggiungimento di un diametro di 1,5 cm. nei cani di taglia grande e di 1 cm nei cani di taglia piccola e nei gatti. Nel nostro studio sono stati esaminati 17 pazienti; per ognuno vengono valutati: segnalamento, localizzazione e tipo di stenosi, possibile causa ed insorgenza di sintomi, modalità e numero di dilatazioni e follow-up. Sono stati esaminati 14 cani e 3 gatti, 7 maschi e 10 femmine, con un’età variabile da 8 mesi a 11 anni. Una stenosi era a localizzazione cervicale, 4 stenosi a livello dell’esofago toracico craniale e 12 stenosi a livello dell’esofago tora-

cico caudale. Le stenosi sono risultate singole in 11 casi, multiple (2 stenosi) in 4 casi e tubulari in 2 casi. In 14 dei 17 casi è stata individuata una probabile causa primaria: in 9 pazienti era stata eseguita un’anestesia generale entro due settimane dall’insorgenza dei sintomi, in 2 altri pazienti erano state eseguite manovre a carico dell’esofago (rimozione di c.e. osseo e di un tricobezoario), in 1 paziente era riportata l’ingestione di una polpetta bollente, in 1 paziente erano state somministrate compresse di doxiciclina ed in 1 gatto si evidenziava un enorme tricobezoario a sede gastrica come causa primaria del reflusso cronico. L’insorgenza dei sintomi avveniva da un minimo di tre ad un massimo di 15 giorni dall’evento causativo primario. Le dilatazioni esofagee sono state eseguite utilizzando in 11 pazienti i dilatatori pneumatici, in 2 pazienti i dilatatori rigidi ed in 4 pazienti la tecnica mista. Il numero di dilatazioni eseguite andava da un minimo di 1 ad un massimo di 8, con una media di 4 trattamenti per ogni soggetto; nei pazienti sottoposti a ripetuti trattamenti le dilatazioni venivano eseguite da 2 a 3 volte alla settimana. In 4 soggetti si è proceduto ad applicazione di un catetere di Pezzer per nutrizione gastrica in seguito alle gravi condizioni della mucosa esofagea. In tutti i soggetti è stata instaurata una terapia medica a base di antiacidi, antinfiammatori steroidei, antibiotico ad ampio spettro e antiemetici. Il follow-up veniva valutato mediante telefonata con il proprietario e tramite esame clinico; in 15 su 17 soggetti il risultato risultava soddisfacente in quanto i pazienti si alimentavano regolarmente e non calavano di peso; in un paziente il risultato era inadeguato in quanto si alimentava unicamente con cibo liquido e manifestava peggioramento delle condizioni cliniche ed un paziente era sottoposto ad eutanasia dopo insuccesso terapeutico e per scadimento totale delle condizioni generali. Entrambi i pazienti in cui l’esito dei trattamenti è stato insoddisfacente presentavano una stenosi tubulare. Conclusioni: la familiarità nell’uso dell’endoscopio, l’utilizzo di una strumentazione accessoria adeguata e la conoscenza delle varie tecniche di dilatazione permettono di ottenere risultati soddisfacenti nella maggior parte delle stenosi esofagee acquisite benigne. Va comunque segnalato che, pur necessitando di studi più ampi, in caso di stenosi tubulari il trattamento per via endoscopica non è soddisfacente.

Indirizzo per la corrispondenza: Enrico Bottero, Clinica veterinaria Albese, 12055 Alba (CN) - botvet@libero.it - 017335122


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Fracture evaluation: first treatment Kenneth A. Bruecker DVM, MS, Dipl ACVS, California, USA

INTRODUCTION Fractures most often are associated with high impact injuries in patients sustaining polytrauma. Thus, the first critical steps in these patients is emergency management and stabilization of the cardiovascular, pulmonary and central nervous systems. Once patients have been stabilized with regards to shock, internal injuries, head trauma and pain, attention can be turned to fractures. Closed fractures may require only temporary external coaptation until which time surgery can be performed. Open fractures require some initial management, but definitive care may still be delayed for days. Physeal fractures should be handled in an more timely fashion.

PHYSEAL INJURIES Because of the risk of permanent physeal damage and growth disturbances, attempts at definitive stabilization of physeal fractures are generally made within 24 hours or so. If required, referral of these patients should be immediate.

Simple: Transverse, Oblique Comminuted: reconstructible versus non-reconstructible Anatomic: Specific Bone, Level of the bone, region of the bone

FRACTURE EVALUATION A minimum of two radiographic views is required to evaluate a fracture. CT scans are very helpful for fractures of the skull, spine, joints and pelvis.

FRACTURE BIOMECHANICS There are 5 forces acting on fractured bone. (see Figure 1) Bending Axial Compression Torsion Tension occurs with avulsion fractures. Tension is active where tendons attach and passive where ligaments attach. 5. Shear 1. 2. 3. 4.

OPEN FRACTURES Open fractures are graded as first, second or third degree based on increasing severity of tissue trauma. First degree open fractures occur when the fractured end of a bone protrudes only momentarily through the skin. Minimal contamination and typically less tissue trauma exists compared to the higher degrees of open fracture. In a second degree open fracture the wound is created by a penetrating object from the outside of the body and thus carries a higher risk and incidence of contamination and tissue trauma. Third degree open fractures are associated with massive tissue loss and trauma. These injuries are often extensive and frequently are associated with shearing injuries. Fracture stabilization and tissue reconstruction are typically required.

FRACTURE CLASSIFICATION Fractures are classified in a number of different ways. These classification schemes help us to determine the appropriate course of treatment. Cause of Fracture: Traumatic versus Pathologic Soft Tissue Injury: Open versus Closed Extent and Shape of Fracture: Complete versus Incomplete Complete: Simple versus Comminuted

Figure 1 - Forces- Bending (1), Axial Compression (2), Torsion (3), Tension (4), Shear (5).


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Figure 2 - Fracture Patient Assessment Score.

FRACTURE KINETICS Fractures that occur due to low impact injuries are generally not associated with major soft tissue injury. Whereas very high impact injuries result in fractures with major soft tissue disruption and compromise.

measuring your own abilities and growth and is helpful in client communication. Mechanical factors include load sharing, patient size and degree of disability. Biologic factors include severity of soft tissue injury, duration of the injury, invasiveness of the approach and patient age and health. Clinical factors include patient compliance, owner compliance and surgeon’s skill level. (See Figure 2)

FPAS The Fracture Patient Assessment Score (FPAS) is a method of assessment that takes in many factors that are mechanical, biologic and clinical in nature. The FPAS can be used as a pre-operative decision making tool, as a way of

Selected Reference: Piermattei, Flo, DeCamp in Handbook of Small Animal Orthopedics, 4th Ed, WB Saunders, 2006.


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Valutazione della frattura: primo trattamento Kenneth A. Bruecker DVM, MS, Dipl ACVS, California, USA

INTRODUZIONE Nella maggior parte dei casi le fratture sono associate a lesioni da impatto violento in pazienti che hanno riportato un politraumatismo. Quindi, le prime fasi critiche in questi pazienti sono rappresentate dal trattamento di emergenza e dalla stabilizzazione del sistema cardiovascolare, polmonare e nervoso centrale. Una volta che i pazienti siano stati stabilizzati dal punto di vista dello shock, delle lesioni interne, del trauma cranico e del dolore, si deve prestare attenzione alle fratture. Quelle chiuse possono richiedere soltanto una coaptazione esterna temporanea fino a che non sarà possibile eseguire la riparazione chirurgica. Le fratture esposte necessitano invece di un certo trattamento iniziale, ma la terapia definitiva può ancora essere ritardata di alcuni giorni. Le fratture fisarie devono essere gestite in modo più tempestivo.

Causa della frattura: traumatica oppure patologica Lesioni dei tessuti molli: esposte oppure chiuse Estensione e forma della frattura: completa oppure incompleta Completa: semplice oppure comminuta Semplice: trasversale, obliqua Comminuta: ricostruibile o non ricostruibile Anatomica: osso specifico, livello dell’osso, regione dell’osso

VALUTAZIONE DELLA FRATTURA Per la valutazione della lesione sono necessarie come minimo due proiezioni radiografiche. La tomografia computerizzata risulta molto utile per le fratture del cranio, della colonna vertebrale, delle articolazioni o del bacino

BIOMECCANICA DELLE FRATTURE LESIONI FISARIE A causa del rischio di danno fisario permanente e dei disturbi della crescita, i tentativi di stabilizzazione definitiva delle fratture fisarie vengono generalmente effettuati entro 24 ore circa. L’invio di questi pazienti a strutture specialistiche, se necessario, deve essere immediato.

Esistono cinque forze che agiscono sull’osso fratturato (Figura 1) 1. Di curvatura 2. Di compressione assiale

FRATTURE ESPOSTE Le fratture esposte vengono distinte in lesioni di primo, secondo o terzo grado in base alla crescente gravità del trauma tissutale. Le lesioni di primo grado si hanno quando il capo fratturato di un osso protrude solo momentaneamente attraverso la cute. La contaminazione è minima e il trauma tissutale è tipicamente inferiore rispetto alle fratture esposte di grado più elevato. In una frattura esposta di secondo grado, la ferita viene provocata da un oggetto penetrante proveniente dall’esterno dell’organismo e ciò comporta un maggior rischio e incidenza di contaminazione e trauma tissutale. Le fratture esposte di terzo grado sono associate ad un’imponente perdita di tessuti e trauma. Queste lesioni sono spesso estese e risultano frequentemente associate ad alterazioni da forze di taglio. È tipicamente necessario stabilizzare la frattura ed eseguire la ricostruzione tissutale.

CLASSIFICAZIONE DELLA FRATTURA Le fratture vengono classificate in molti modi differenti. Questi schemi di classificazione risultano utili per determinare il decorso appropriato del trattamento.

Figura 1- Forze – di curvatura (1), di compressione assiale (2), di torsione (3), di tensione (4), di taglio (5).


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3. Di torsione 4. Di tensione, che si verifica nelle fratture da avulsione. La tensione è attiva in presenza delle inserzioni tendinee e passiva nel caso di quelle legamentose 5. Da forze di taglio

Le fratture che si verificano a causa di lesioni da impatto lieve generalmente non sono associate ad un imponente danno dei tessuti molli. Invece, le lesioni da impatto molto elevato esitano in fratture accompagnate da una imponente distruzione e compromissione dei tessuti molli

valutazione che tiene conto di molti fattori di natura meccanica, biologica e clinica. Il FPAS può essere utilizzato come strumento per prendere decisioni in sede preoperatoria e come metodo per misurare le proprie capacità e la propria crescita e risulta utile nella comunicazione con il cliente. I fattori meccanici sono rappresentati da carichi esercitati, taglia del paziente e grado di invalidità. I fattori biologici comprendono la gravità del danno subito dai tessuti molli, la durata del danno stesso, l’invasività dell’approccio, e l’età e la salute del paziente. Fra i fattori clinici rientrano l’osservanza da parte del paziente, quella da parte del proprietario, e il livello di abilità del chirurgo (Figura 2).

FPAS

Letture consigliate

Il Fracture Patient Assessment Score (FPAS, valutazione del paziente fratturato mediante punteggio) è un metodo di

Piermattei, Flo, DeCamp in Handbook of Small Animal Orthopedics, 4th Ed, WB Saunders, 2006.

CINETICA DELLA FRATTURA

Punteggio di valutazione delle fratture nel paziente 1 CATTIVO

10 BUONO

Fattori meccanici: Carico

Assente

Parziale

Ideale

Taglia del paziente

Grande

Media

Piccola

Invalidità

Di più arti

Di 1 solo arto

Fattori biologici: Danno tissutale

Grave

Moderato

Lieve

Durata dell’intervento/trauma

Prolungata

Moderata

Breve

Approccio chirurgico

A cielo aperto

Mini/OBNDT

A cielo chiuso

Età

Geriatrica

Adulta

Giovane

Salute

Debilitato/RT

Malattia concomitante

Sano

Osservanza del paziente/proprietario

Scarsa

Dubbia

Buona

Preparazione/abilità del chirurgo

Laurea

ECM Post laurea

DACVS spec. (Dipl. di College)

Longevità della fissazione

A lungo termine

A medio termine

A breve termine

Innesto osseo

SI!

Si

Talvolta

Equilibrio

Critico

Importante

Trascurabile

Carico

Impossibile

Possibile

Ideale

Complicazioni

Probabili

Non usuali

Rare

Chirurgo

Esperto

Con esperienza

Entusiasta

Cure postoperatorie

Critiche

Importanti

Non critiche

Fattori clinici:

Considerazioni terapeutiche:

Educazione del cliente

OBNDT = open but do not touch = aprire ma non toccare. Figura 2 - Fracture Patient Assessment Score.


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Fracture evaluation: definitive treatment Kenneth A. Bruecker DVM, MS, Dipl ACVS, California, USA

INTRODUCTION Following the emergency and urgent care of the fracture patient and the initial immobilization of fractures, attention can be turned toward the definitive management of the fracture. Again, it is critical to understand the biomechnical forces acting on the fracture. It is also important to understand the biomechanical properties of the construct to be used in the definitive management. It is equally important to understand the basics of technique for each construct. In this lecture we will review the biomechanics and proper technique of various implants constructs.

CONDITIONS FOR BONE HEALING Stability and viability are requirements for adequate bone healing. Stability is ensured by our choice and use of implants. Viability is the important biologic aspect of bone healing, thus we strive to maintain blood supply and minimize tissue trauma. Balanced fracture management requires an appreciation for both the stability and viability of a fractured bone. These factors will dictate an approach and fracture reduction/stabilization that is more anatomic in nature versus an approach that is more biologic in nature. With anatomic reduction every effort is made to restore fragments back where they belong and apply rigid stabilization. In a biologic approach, alignment and stabilization without tissue trauma is key. These cases are often treated closed with external coaptation or external skeletal fixation.

EXTERNAL COAPTATION Non-surgical management of fractures includes cage rest alone, slings, and external coaption (splints and casts). Fractures of non-weight bearing bones (such as rib fractures) or bones that are relatively stable due to soft tissue support (pelvis) mayu be amenable to cage rest alone. Scapular fractures might be treated successfully in a non-weight bearing sling. As discussed earlier, casts provide more rigid support than splints. Casts are best suited for patients with a low FPAS, such as juvenile dog with a relatively stable fracture. Casts are best suited at providing protection against bending forces.

choosing the appropriate treatment. Implant biomechanics consider both the material (such as stainless steel versus titanium) and structural properties (size and shape) of the implant as well as the structural properties of the construct (for example type I ESF versus a type III ESF or number of screws in a plate).

IMPLANT BIOMECHANICS Intramedullary (IM) Pins are good at stabilizing bending forces, only. The addition of cerclage wires improves torsional stability if the fragments can be reduced. Pin and tension bands resists tension forces, primarily. Bone plates/screws are effective stabilizers for bending, axial compression, torsion, but not tension or shear forces. Lag Screws provide protection against shear forces, primarily. Interlocking Nail (ILN) is similar to bone plates/screws in stabilizing bending, axial compression, torsion, but not tension or shear forces. External Skeletal Fixation (ESF) is similar to bone plates/ screws in stabilizing bending, axial compression, torsion, but not tension or shear forces.

IMPLANT FAILURE Implant Fatigue can lead to Implant Failure. As stress increases, the number of cycles to failure decreases. Thus, aftercare consisting of confinement, controlled exercise and implant protection with external coaptation are critical factors in the immediate post-operative period.

Summary Fracture management requires an understanding of the biomechanics of the fracture and the repair construct. It is critical to remember both the biologic and mechanical properties required for bone healing. Osteosynthesis requires a match of the fixation system with the fractured bone. The longer that a construct is required to carry the load of the stresses, the more likely implant fatigue will lead to implant failure.

SURGICAL STABILIZATION

Selected Reference

Again an understanding of the biomechanics in fractures and the constructs used to treat the fractures is important to

Piermattei, Flo, DeCamp in Handbook of Small Animal Orthopedics, 4th Ed, WB Saunders, 2006.


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Valutazione della frattura: trattamento definitivo Kenneth A. Bruecker DVM, MS, Dipl ACVS, California, USA

INTRODUZIONE

STABILIZZAZIONE CHIRURGICA

Dopo gli interventi di emergenza e di urgenza sul paziente fratturato e l’iniziale immobilizzazione delle fratture, l’attenzione deve essere rivolta al loro trattamento definitivo. Anche in questo caso, è di importanza critica comprendere le forze biomeccaniche che agiscono sulla frattura. È anche essenziale conoscere le proprietà biomeccaniche del costrutto da utilizzare per il trattamento definitivo. È ugualmente indispensabile capire le basi della tecnica di ogni costrutto. In questa relazione, verranno prese in considerazione le caratteristiche biomeccaniche e le tecniche appropriate per vari costrutti di impianti.

Anche in questo caso, è importante conoscere la biomeccanica delle fratture ed i costrutti utilizzati per trattarle, al fine di scegliere la soluzione più appropriata. La biomeccanica dell’impianto deve prendere in considerazione sia il materiale (come l’acciaio inossidabile o il titanio) che le proprietà strutturali (dimensioni e forma) dell’impianto, nonché quelle del costrutto (ad es. ESF di tipo I contro ESF di tipo III o un certo numero di viti inserite in una placca).

CONDIZIONI PER LA GUARIGIONE DELL’OSSO La stabilità e la vitalità sono i requisiti necessari ad un’adeguata guarigione dell’osso. La prima viene garantita dalla nostra scelta ed uso degli impianti. La seconda rappresenta l’importante aspetto biologico della guarigione ossea, per cui dobbiamo cercare di mantenere l’apporto ematico e ridurre al minimo il trauma tissutale. Un trattamento equilibrato della frattura richiede che si tenga conto sia della stabilità che della vitalità dell’osso fratturato. Questi fattori impongono un tipo di approccio ed una riduzione/stabilizzazione della frattura di natura più anatomica in contrapposizione ad un approccio di natura più biologica. Con la riduzione anatomica, si cerca di fare tutto il possibile per riportare i frammenti nella loro sede di appartenenza e per applicare una stabilizzazione rigida. Nell’approccio biologico, la chiave è data dall’allineamento e stabilizzazione senza trauma tissutale. Questi casi vengono spesso trattati a cielo chiuso mediante coaptazione esterna oppure mediante fissazione scheletrica esterna.

COAPTAZIONE ESTERNA Il trattamento non chirurgico delle fratture è rappresentato dal solo riposo in gabbia, dall’applicazione di un bendaggio e dalla coaptazione esterna (stecche e ingessature). Le fratture delle ossa che non sono sotto carico (come quelle delle costole) o di quelle che sono relativamente stabili grazie al supporto conferito dai tessuti molli (pelvi) possono essere suscettibili di trattamento mediante il solo riposo in gabbia. Le fratture scapolari possono essere trattate con successo con un bendaggio che consenta di sottrarre l’arto al carico. Come già illustrato, le ingessature offrono un sostegno più rigido delle stecche. Le ingessature sono adatte soprattutto ai pazienti con FPAS basso, come i cani giovani con una frattura relativamente stabile. Questa forma di stabilizzazione è indicata in particolare per offrire una protezione contro le forze di curvatura.

BIOMECCANICA DEGLI IMPIANTI I chiodi endomidollari (IM) vanno bene soltanto per stabilizzare le forze di curvatura. L’aggiunta di fili di cerchiaggio migliora la stabilità nei confronti della torsione se i frammenti possono venire ridotti. Chiodi e cerchiaggi di tensione si oppongono principalmente alle forze di tensione. Placche/viti da osteosintesi risultano efficaci come mezzi di stabilizzazione contro le forze di curvatura, compressione assiale o torsione, ma non di tensione o di taglio. Le viti compressive offrono una protezione contro le forze di taglio, principalmente. Il chiodo bloccato (ILN, interlocking nail) è simile alle placche/viti da osteosintesi per stabilizzare le forze di curvatura, compressione assiale o torsione, ma non di tensione o di taglio. La fissazione scheletrica esterna (ESF) è simile alle placche/viti da osteosintesi per stabilizzare le forze di curvatura, compressione assiale o torsione, ma non di tensione o di taglio.

CEDIMENTO DEGLI IMPIANTI L’affaticamento dell’impianto può portare al suo cedimento. Man mano che le sollecitazioni aumentano, il numero di cicli necessari per giungere al cedimento diminuisce. Quindi, nell’immediato periodo postoperatorio risultano di importanza critica i fattori relativi alle cure post-trattamento, quali confinamento, esercizio controllato e protezione dell’impianto mediante coaptazione esterna.

Riassunto Il trattamento della frattura richiede la conoscenza delle biomeccaniche della frattura stessa e del costrutto riparatore. È di importanza critica ricordare sia le proprietà biologiche che quelle meccaniche necessarie alla guarigione dell’osso. L’osteosintesi richiede che esista una corrispondenza fra il sistema di fissazione e l’osso fratturato. Le probabilità che l’affaticamento dell’impianto porti al suo cedimento sono tanto maggiori quanto più a lungo è necessario che un costrutto sopporti il carico degli stress.

Letture consigliate Piermattei, Flo, DeCamp in Handbook of Small Animal Orthopedics, 4th Ed, WB Saunders, 2006.


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Patella luxation: a new disease? Kenneth A. Bruecker DVM, MS, Dipl ACVS, California, USA

INTRODUCTION

The definition of patella luxation, or knee cap that is dislocating from the sulcus, is well known to every veterinarian. Likewise most are familiar with the age old grading scheme of increasing severity from Grade I through Grade IV.

Grade I: Classically this is a subluxation of the patella or excessive directional laxity of the patella Grade II: The patella does luxate easily, but is also reduced easily. Grade III: The patella is luxated most of the time, but can be manually reduced. Grade IV: The patella is luxated and cannot be reduced. Although this grading scheme allows for discussion using common descriptive terms, it is not necessarily a good predictor of what surgical techniques will need to be employed to correct the problem. For instance, I have examples of cases of grade I medially luxating patella that required corrective femoral ostectomy and cases of grade IV medially luxating patellas treated with soft tissue techniques, alone. We will review these procedures in the next 2 lectures.

Figure 1

Figure 2

The problem of patella luxation is not a new one, but new information is emerging in our understanding of the disease. With greater understanding of the etiology and pathophysiology of the disorder, comes a better understanding of treatment options and treatment decision making.

DEFINITION


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ETIOLOGY/PATHOPHYSIOLOGY

gus) and making it worse. In addition, strain on the tibial tuberosity results in abnormal growth (deviation) and the sulcus develops poorly due the lack of an adequate retropatellar force. Thus, in the case of medial patella luxation, attention must be paid to the femoral varus, medially deviated tibial tuberosity, shallow sulcus, contracted medial retinaculum/ vastus medialis/ rectus femoris muscles, and stretched lateral retinaculum/ vastus lateralis muscle.

Medially luxating patellas are far more common in dogs than laterally luxating patellas, even in large and giant breed dogs. Although the definition of medially luxating patella is well established, the etiologies and pathophysiologies are not. The predominant causative factor for patella luxation is a malalignment or displacement of the normal alignment of the quadriceps mechanism (see Figure 1). The quadriceps mechanism constitutes a pulley mechanism to provide stifle joint extension and consists of the quadriceps muscle group, patella, femoral trochlear sulcus and patellar ligament (tendon of insertion of the quadriceps muscle). Like any pulley system, the quadriceps mechanism must function in a straight line. Although factors such as patella alta and poor muscle integrity can contribute to an unstable pulley mechanism, malalignment of the quadriceps mechanism is the underlying cause of patella luxation. Any deviation from a straight line results in malalignment and ultimately forces that promote subluxation/luxation of the patella from the sulcus. Although case examples exist of patella luxation associated with abnormalities such as femoral torsion, tibial torsion, tibial varus or valgus, the most common cause for malalignment of the quadriceps mechanism is distal femoral varus (see Figure 2). When a patella luxates from the sulcus, a tension band effect is created on the side of the luxation compressing the physis on that side and distracting the physis on the contra-lateral side. Physeal growth slows when a physis is under compression and accelerates when a physis is under distraction, thereby compounding the femoral angular defect (varus/val-

LIMB ALIGNMENT ASSESSMENT Assessing quadriceps alignment should be made visually and with diagnostic imaging, including radiography and computerized tomography. A well positioned craniocaudal (CrCa) or caudocranial (Ca-Cr) viewed radiograph of the hind limb or alternatively a CT scan of the hind limb is needed for accurate measurements. Femoral varus can be measured by establishing the proximal long femoral axis (PFLA) and the distal long femoral axis (DFLA). Normal angles for femoral varus have not been established in the dog, however many investigators consider 0-10 degrees of varus as normal. When considering the need for corrective ostectomies (such as distal femoral ostectomy), I think it is important to address the alignment of the entire hind limb. Many patients concurrently have tibial valgus. Thus, I will obtain a Ca-Cr radiograph or CT of the entire limb and establish the functional hind limb axis (FHLA) by drawing a line that originates with the PFLA proximally and transects the talus distally. The angle between the FHLA and the PFLA is the functional limb angle (FLA).


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La lussazione della rotula: una nuova patologia? Kenneth A. Bruecker DVM, MS, Dipl ACVS, California, USA

INTRODUZIONE

La definizione di lussazione della rotula, che consiste nella dislocazione di questo segmento osseo dal solco femorale, è ben nota ad ogni veterinario. Analogamente, la maggior parte

di noi ha familiarità con il vecchio schema di classificazione basato sulla crescente gravità dal grado I al grado IV. Grado I: classicamente, questa è una sublussazione della rotula o una eccessiva lassità direzionale della stessa Grado II: la rotula si lussa facilmente ma viene anche ridotta facilmente. Grado III: la rotula si lussa nella maggior parte dei casi, ma può essere ridotta manualmente. Grado IV: la rotula è lussata, ma non può essere ridotta. Benché questo schema di classificazione consenta una trattazione mediante termini descrittivi di uso comune, non è necessariamente un buon metodo per prevedere quali tecniche chirurgiche sarà necessario impiegare per correggere il problema. Ad esempio, io ho riscontrato casi di lussazione mediale della rotula di grado I che hanno richiesto un’ostec-

Figura 1

Figura 2

Il problema della lussazione della rotula non è recente, ma stanno emergendo nuove informazioni utili alla nostra comprensione della malattia. Conoscendo più a fondo l’eziologia e la fisiopatologia del disordine, si ha una migliore comprensione delle opzioni terapeutiche e delle scelte da prendere per il trattamento.

DEFINIZIONE


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tomia femorale correttiva e di casi di grado IV di lussazione rotulea mediale trattati soltanto con tecniche di intervento sui tessuti molli. Nelle prossime due relazioni prenderemo in esame queste procedure.

EZIOLOGIA/FISIOPATOLOGIA Nel cane, le lussazioni mediali della rotula sono di gran lunga più comuni di quelle laterali, anche nei soggetti delle razze di grossa taglia e giganti. Benché la definizione di lussazione mediale della rotula sia ben consolidata, gli aspetti eziologici e fisiopatologici del problema non lo sono. Il fattore eziologico predominante della lussazione rotulea è il malallineamento o la dislocazione del normale allineamento del meccanismo del quadricipite (Figura 1). Questo è del tipo a puleggia per consentire l’estensione dell’articolazione del ginocchio ed è costituito dal gruppo dei muscoli del quadricipite, dalla rotula, dal solco trocleare femorale e dal legamento rotuleo (tendine di inserzione del muscolo quadricipite). Come qualsiasi sistema a puleggia, il meccanismo del quadricipite deve funzionare in linea retta. Benché fattori come la rotula alta e la cattiva integrità muscolare possano contribuire all’instabilità, la causa sottostante della lussazione rotulea è il malallineamento del meccanismo del quadricipite. Qualsiasi deviazione da una linea retta esita in un malallineamento ed in definitiva nella comparsa di forze che promuovono la sublussazione/lussazione della rotula fuori dal solco. Benché esistano degli esempi di casi di lussazione rotulea associata ad anomalie quali la torsione femorale, la torsione tibiale, il varismo o valgismo tibiale, la causa più comune del malallineamento del meccanismo del quadricipite è il varismo femorale distale (Figura 2). Quando una rotula si lussa fuori dal solco, si determina un effetto di cerchiaggio di tensione sul lato della lussazione, che comprime la fisi di questo lato e sottopone ad una distrazione quella controlaterale. La crescita fisaria rallenta quando una fisi viene sottoposta a compressione ed accelera quando la fisi è sotto distrazione, potenziando così il difetto angolare del

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femore (varismo/valgismo) ed aggravandolo. Inoltre, la tensione esercitata sulla tuberosità tibiale esita in una crescita anormale (deviazione) e il solco si sviluppa in modo non corretto a causa della mancanza di un’adeguata forza retrorotulea. Quindi, nel caso della lussazione mediale della rotula, si deve prestare attenzione al varismo femorale, alla deviazione mediale della tuberosità tibiale, alla scarsa profondità del solco, alla contrazione di retinaculum mediale/muscolo vasto mediale/muscolo retto femorale ed allo stiramento del retinaculum laterale/muscolo vasto laterale.

VALUTAZIONE DELL’ALLINEAMENTO DELL’ARTO La valutazione dell’allineamento del quadricipite deve essere effettuata visivamente e mediante tecniche di diagnostica per immagini, come la radiografica e la tomografia computerizzata. Per effettuare delle misurazioni accurate è necessaria una radiografia ripresa in proiezione craniocaudale (Cr-Ca) o caudocraniale (Ca-Cr) o, in alternativa, una TC dell’arto posteriore correttamente posizionato. Il varismo femorale può venire misurato determinando l’asse femorale lungo prossimale (PFLA, proximal long femoral axis) e l’asse femorale lungo distale (DFLA, distal long femoral axis). Le angolazioni normali del varismo femorale non sono state stabilite nel cane, tuttavia molti ricercatori considerano normale un grado di varismo di 0-10 gradi. Quando si considera la necessità di effettuare ostectomie correttive (come l’ostectomia femorale distale), penso che sia importante valutare l’allineamento dell’intero arto posteriore. Molti pazienti presentano un valgismo tibiale concomitante. Quindi, effettuo un esame radiografico CaCr o una TC dell’intero arto e stabilisco l’asse funzionale dell’arto posteriore (FHLA, functional hind limb axis) tracciando una linea che origini insieme al PFLA prossimalmente e attraversi l’astragalo distalmente. L’angolo formato da FHLA e PFLA è l’angolo funzionale dell’arto (FLA, functional limb angle).


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Treatment of patella luxation: traditional techniques Kenneth A. Bruecker DVM, MS, Dipl ACVS, California, USA

INTRODUCTION

IMBRICATION

Traditional repairs of patella luxation include desmotomy, imbrication, stabilization sutures, sulcoplasty and tibial tubercle transposition. Many veterinarians have formulated their treatment approach based on the severity of the grade of luxation. I believe that the techniques that need to be performed are dictated by the pathology/pathophysiology of the condition in a given patient. For example, a patient with a chronically luxated grade IV patella due to an untreated traumatic event, may only require soft tissue procedures to realign the quadriceps mechanism. Whereas, a long legged large breed dog with a minor luxation may require a corrective distal femoral ostectomy. In this lecture, I will address each technique used in the traditional repair with my personal tips and suggestions on technique with emphasis on the medially luxating patella. The principles will hold true for patents with laterally luxating patellas, as well.

I use a lateral stifle arthrotomy to perform the sulcoplasty when treating MPL. Imbrication of the joint capsule and retinaculum can be accomplished by using a vest over pants pattern with emphasis on re-establishing the lateral fabellarpatellar ligament integrity. In very severe cases, excessive tissue may need to be resected before closing/imbricating.

SULCOPLASTY Sulcoplasty is required in patients determined to have a shallow sulcus. Techniques that favor articular cartilage preservation are recommended. Recession wedge sulcoplasty has been shown to preserve articular cartilage in the retropatellar area. Recession block sulcoplasty mathematically preserves more articular cartilage that wedge recession, but the clinical relevance is undetermined. These sulcoplasties are easily performed with hand saws or power saws. (Tip: If the wedge or block falls to the floor or otherwise becomes contaminated, I will soak it in a gentamicin solution for 20 minutes before re-implantation.)

DESMOTOMY Transection of the medial fabellar-patellar ligament is required in nearly every case of medial patella luxation. In patients with minor patella laxity, I have successfully transected this ligament via arthroscopy. In severe cases of MPL, an aggressive release of the medial joint capsule, vastus medialis and rectus femoris may be required. In these cases, advancement of the caudal belly of the sartorius may be required to close the defect in the medial joint capsule.

ANTI-ROTATIONAL STABILIZATION SUTURE Chronic and severe MPL often result in inward rotation of the tibia relative to the femur. An anti-rotational suture placed around the lateral fabellum and anchored to the tibial tuberosity or the cranial cruciate ligament isometric point on the tubercle just caudal to the sulcus of the long digital extensor tendon, will provide a counterbalance until which time the soft tissues have adapted. In very young patients, these techniques may be adequate to restore normal or near normal physeal growth and long bone development. None of these aforementioned techniques however address malalignment issues in older patients that are no longer growing substantially. I believe that correction for malalignment of the quadriceps mechanism is critical and these other techniques are adjunctive. We will discuss realignment techniques, tibial tubercle transposition and rectus femoris transposition, in this lecture. We will discuss distal femoral ostectomy in the following lecture.

TIBIAL TUBERCLE TRANSPOSITION The purpose of the Tibial Tuberosity Transposition (TTT) is to lateralize the insertion of the patellar tendon and reestablish a straight quadriceps mechanism through the sulcus. It ignores the femoral varus and overall functional hind limb axis, but is very effective in most cases of mild femoral varus. The amount of lateralization required can be estimated on radiographs, however final evaluation is usually performed at the time of surgery. Although the classic description of TTT caudalizes the tibial tubercle, I favor the technique of Montovan that cranializes and lateralizes the tibial tuberosity. The thought is that it decreases retropatellar forces on already abnormal articular cartilage. In patents with patella alta, I will also move the tibial tuberosity distally. I


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advocate making a large osteotomized fragment and prefer to stabilize the transposed tuberosity with pin and tension band wire. Occasionally, these implants cause problems with irritation, pain or infection and may need to be removed.

RECTUS FEMORIS TRANSPOSITION Realignment of the quadriceps mechanism can also be augmented with lateralization of the origin of the rectus femoris muscle (the most medial belly of the quadriceps mechanism). The origin of the rectus femoris is detached from the pelvis, passed deep to the other quadriceps muscle bellies and reattached lateral to the vastus lateralis on the lateral aspect of the proximal femur.

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REHABILITATION Muscle mass and function are critical to a successful outcome. There is no question that a well designed rehabilitation program will promote muscle development and thereby strengthening of the secondary joint stabilizers. I encourage patients to walk in straight lines and do sit-to-stand exercises in the first week of recovery.

Selected Reference Piermattei, Flo, DeCamp in Handbook of Small Animal Orthopedics, 4th Ed, WB Saunders, 2006.


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Trattamento della lussazione della rotula: tecniche tradizionali Kenneth A. Bruecker DVM, MS, Dipl ACVS, California, USA

INTRODUZIONE Le tecniche tradizionali di riparazione della lussazione della rotula sono rappresentate da desmotomia, embricatura, suture di stabilizzazione, sulcoplastica e trasposizione della tuberosità tibiale. Molti veterinari hanno formulato i loro approcci terapeutici sulla base della gravità della lussazione. Io ritengo che le tecniche che è necessario mettere in atto vengano imposte dalla patologia/fisiopatologia della condizione in un dato paziente. Ad esempio, un soggetto con una lussazione cronica della rotula di grado IV dovuta ad un evento traumatico non trattato può aver bisogno solo di interventi sui tessuti molli per riallineare il meccanismo del quadricipite. Invece, in un cane appartenente ad una razza di grossa taglia con arti lunghi ed una lussazione di minore entità può essere necessaria un’ostectomia femorale distale correttiva. Nella presente relazione, prenderò in considerazione ogni tecnica utilizzata per la riparazione tradizionale fornendo indicazioni e suggerimenti personali sulla metodica, con particolare enfasi per la lussazione mediale della rotula. I principi enunciati varranno anche per i pazienti con lussazione laterale della rotula.

SULCOPLASTICA La sulcoplastica è indicata nei pazienti nei quali viene accertato che il solco è poco profondo. Si raccomanda di impiegare tecniche che consentono di preservare il più possibile la cartilagine articolare. La sulcoplastica a cuneo si è dimostrata capace di preservare la cartilagine articolare nell’area retrorotulea. La sulcoplastica in blocco preserva matematicamente una maggior quantità di cartilagine articolare rispetto alla recessione a cuneo, ma la rilevanza clinica non è stata determinata. Queste sulcoplastiche si effettuano facilmente con seghe manuali o a motore. (Nota: Se il cuneo o il blocco cade sul pavimento o viene contaminato in altro modo, lo immergo in una soluzione di gentamicina per 20 minuti prima di reimpiantarlo).

DESMOTOMIA La resezione del legamento fabello-rotuleo mediale è necessaria quasi in ogni caso di lussazione mediale della

rotula. Nei pazienti con lassità rotulea di minore entità, ho effettuato con successo la resezione di questo legamento mediante artroscopia. In parecchi casi di lussazione rotulea mediale, può essere necessario liberare in modo aggressivo la capsula laterale mediale, il vasto mediale ed il retto femorale. In questi casi, può essere necessario l’avanzamento del ventre caudale del sartorio per chiudere il difetto nella capsula articolare mediale.

EMBRICATURA Io utilizzo un’artrotomia laterale del ginocchio per eseguire la sulcoplastica nel trattamento della lussazione rotulea mediale. L’embricatura della capsula articolare e del retinaculum si può effettuare utilizzando lo schema “vest over pants” (panciotto sui pantaloni) con particolare enfasi sul ristabilimento dell’integrità del legamento fabello-rotuleo laterale. In casi gravissimi, può essere necessario effettuare la resezione del tessuto in eccesso prima della chiusura/ embricatura.

SUTURA DI STABILIZZAZIONE ANTIROTAZIONALE La lussazione rotulea mediale cronica e grave esita spesso in una rotazione verso l’interno della tibia rispetto al femore. Una sutura antirotazionale applicata intorno alla fabella laterale ed ancorata alla tuberosità tibiale o al punto isometrico del legamento crociato craniale sul tubercolo appena caudalmente al solco del tendine lungo estensore delle dita consente di attuare un controbilanciamento fino a che con il tempo i tessuti molli non si siano adattati. Nei pazienti giovanissimi, queste tecniche possono essere adeguate a ristabilire la crescita normale o quasi normale della fisi e lo sviluppo delle ossa lunghe. Tuttavia, nessuna delle metodiche sopracitate consente di affrontare i problemi di malallineamento in pazienti anziani che non presentino più una crescita sostanziale. Io ritengo che la correzione del malallineamento del meccanismo del quadricipite sia di importanza critica e che queste altre tecniche siano aggiuntive. In questa relazione esamineremo le tecniche di riallineamento, di trasposizione della tuberosità tibiale e di trasposizione del retto femorale. L’ostectomia femorale distale verrà illustrata in quella successiva.


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TRASPOSIZIONE DELLA TUBEROSITÀ TIBIALE Lo scopo della trasposizione della tuberosità tibiale (TTT) è quello di lateralizzare l’inserzione del tendine rotuleo e ristabilire un meccanismo del quadricipite diritto attraverso il solco. Ignora il varismo femorale e l’asse funzionale totale dell’arto posteriore, ma è molto efficace nella maggior parte dei casi di varismo femorale lieve. L’entità della lateralizzazione richiesta può venire stimata sulla base delle radiografie, tuttavia di solito la valutazione finale si effettua al momento dell’intervento. Benché la classica descrizione della TTT caudalizzi la tuberosità tibiale, io favorisco la tecnica di Montovan, che la cranializza e lateralizza. L’idea è quella di diminuire le forze retrorotulee sulla cartilagine articolare già anormale. Nei pazienti con rotula alta, sposto anche distalmente la tuberosità tibiale. Suggerisco di realizzare un grande frammento osteotomizzato e preferisco stabilizzare la tuberosità da trasporre con chiodi e cerchiaggi di tensione in filo metallico. Occasionalmente, questi impianti sono causa di problemi per irritazione, dolore o infezione e può essere necessario rimuoverli.

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TRASPOSIZIONE DEL RETTO FEMORALE Il riallineamento del meccanismo del quadricipite può anche venire aumentato con la lateralizzazione dell’origine del muscolo retto femorale (il ventre più mediale del meccanismo del quadricipite). L’origine di questo muscolo viene staccata dalla pelvi, fatta passare in profondità rispetto agli altri ventri muscolari del quadricipite e riattaccata lateralmente al vasto laterale, sulla parte laterale del vasto prossimale del femore.

RIABILITAZIONE La funzione e la massa muscolare sono di importanza critica per il successo dell’esito. Non c’è dubbio che un programma di riabilitazione ben studiato promuova lo sviluppo muscolare e, quindi, rafforzi i sistemi di stabilizzazione articolare secondari. Io incoraggio i pazienti a camminare lungo linee rette e di compiere esercizi di tipo “seduto-stai” nella prima settimana di convalescenza.

Letture consigliate Piermattei, Flo, DeCamp in Handbook of Small Animal Orthopedics, 4th Ed, WB Saunders, 2006.


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Treatment of patella luxation: limb alignment Kenneth A. Bruecker DVM, MS, Dipl ACVS, California, USA

INTRODUCTION

FUNCTIONAL LIMB ANGLE

Excessive distal femoral varus may preclude successful repair of a medially luxating patella by tibial tubercle transposition and soft tissue techniques alone. Distal femoral osteotomy or ostectomy may be required to accomplish satisfactory quadriceps alignment (Figure 1 and Figure 2) This presentation will describe the surgical technique of lateral closing wedge distal femoral ostectomy (DFO) using the locking DFO plate made by New Generations Devices, New Jersey, USA. The principles described can be applied to perform a medial closing wedge DFO for treatment of lateral luxating patellas with excessive distal tibial valgus. The DFO plate has been designed to permit an opening wedge osteotomy of 10 mm or a domed osteotomy, if desired.

Many surgeons advocate DFO in patients with greater than 10 degrees of distal femoral varus. However the amount of correction required may not be known from anatomic femoral varus measurements alone. I use the functional hind limb axis and functional limb angle to establish the amount of correction required when performing a DFO.

Figure 1

APPROACH To perform a lateral closing wedge ostectomy of the distal femur, a lateral approach is made to the distal femur and stifle joint (Piermattei).

Figure 2


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SURGICAL TECHNIQUE Using a parallel jig (I use the small Slocum TPLO jig), the distal jig pin is placed just proximal to the sulcus in a plane perpendicular to the long axis of the femur and perpendicular to the caudal plane of the femoral condyles (Figure 3). The jig is applied and the proximal jig pin inserted. (Tip: To avoid a stress riser, the location of this pin should be such that one screw will be proximal and one screw will be distal, once the plate is applied.) The ostectomy should be made such that the distal cut is a few mm proximal to the distal jig pin and sulcus. (Tip: The plate can be used as a template to visulaize the ideal locations for the osteotomies.) Reference marks are made on the lateral aspect of the femur and the ostectomy created with a sagital saw. (Tip: Contour the plate and temporarily place one compression screw in the distal segment prior to completing the ostectomy.) The soft tissues should be protected using retractors and gauze sponges. Room temperature irrigation solution should be used to prevent osteonecrosis from overheating the saw blade. (Tip: Save the ostectomized wedge of bone for autologous cancellous bone graft.) The DFO plate should be contoured and applied using standard AO technique for application of a plate using compression and locking screws. (Tip: If a combination of compression and locking screws is to be used, place all of the compression screws first.) The jig can then be removed and additional techniques such as tibial tubercle transposition, medial desmotomy/ release and lateral joint capsule imbrication can be per-

Figure 3

formed. The bone graft can be placed around the ostectomy site and routine closure performed.

AFTERCARE Ice/cold compresses can be applied to the surgery site for 15-20 minutes. A soft support bandage or modified Robert Jones bandage can be applied for 24 hours or so. I generally like to begin ROM and walking exercises as soon as the banadge is removed. I typically follow-up with radiographs at 3 and 8 weeks post-operatively.

Selected References Piermattei DL and Johnson KA: An Atlas of Surgical Approaches to the Bones and Joints of the Dog and Cat, 4th edition, WB Saunders, Plates 72 and 73, pages 336-341, 2004.


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Trattamento della lussazione della rotula: allineamento dell’arto Kenneth A. Bruecker DVM, MS, Dipl ACVS, California, USA

INTRODUZIONE L’eccessivo varismo femorale distale può precludere il successo della riparazione di una lussazione mediale della rotula mediante trasposizione del tubercolo tibiale o effettuata con il solo intervento sui tessuti molli. Per ottenere un allineamento soddisfacente del quadricipite può essere necessario eseguire l’osteotomia o l’ostectomia del tratto distale del femore (Figura 1 e Figura 2). Il presente lavoro descrive la tecnica chirurgica di ostectomia femorale distale (DFO) a cuneo con chiusura laterale utilizzando la placca da DFO bloccata realizzata da New Generations Devices, New Jersey,USA. I principi descritti possono essere applicati all’esecuzione di una DFO a cuneo con chiusura mediale per il trattamento

Figure 1

della lussazione laterale della rotula in caso di eccessivo valgismo tibiale distale. La placca da DFO è stata studiata per permettere una osteotomia a cuneo con apertura di 10 mm, o, se lo si desidera, una osteotomia a cupola.

ANGOLO FUNZIONALE DELL’ARTO Molti chirurghi suggeriscono l’impiego della DFO nei pazienti con un varismo femolare distale superiore a 10 gradi. Tuttavia, l’entità della correzione richiesta può non essere nota sulla base delle sole misurazioni anatomiche del varismo femorale. Io utilizzo l’asse funzionale dell’arto posteriore e l’angolo funzionale dell’arto per stabilire l’entità di correzione necessaria quando eseguo una DFO.

Figure 2


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APPROCCIO Per effettuare un’ostectomia a cuneo con chiusura laterale del tratto distale del femore, si adotta un approccio laterale al tratto distale del femore ed all’articolazione del ginocchio (Piermattei).

TECNICA CHIRURGICA Utilizzando una guida parallela (io utilizzo la piccola guida TPLO Slocum), si inserisce appena prossimalmente al solco, su un piano perpendicolare all’asse lungo del femore e perpendicolare al piano caudale dei condili femorali, il chiodo distale (Figura 3). Si applica la guida e si inserisce il chiodo prossimale (Suggerimento: per evitare la formazione di un punto che dia origine a stress, la localizzazione di questo chiodo deve essere tale che, una volta che sia applicata la placca, una vite risulti in posizione prossimale ed una distale). L’ostectomia deve essere realizzata in modo tale che il taglio distale sia situato pochi mm prossimalmente al chiodo distale ed al solco (suggerimento: la placca può essere utilizzata come sagoma per visualizzare le localizzazioni ideali per le osteotomie). Sulla parte laterale del femore si tracciano dei segni di riferimento e si esegue un’ostectomia con una sega sagittale (Suggerimento: sagomare la placca ed applicare temporaneamente una vite a compressione sul segmento distale prima di completare l’ostectomia). I tessuti molli devono essere protetti utilizzando dei divaricatori e dei tamponi di garza. Per prevenire l’osteonecrosi dovuta al surriscaldamento determinato della lama della sega, è necessario utilizzare un’irrigazione con soluzioni a temperatura ambiente. (Suggerimento: mettere da parte il cuneo di osso ostectomizzato per l’innesto di osso spongioso autologo). La placca DFO deve essere sagomata ed applicata utilizzando la tecnica AO standard per l’applicazione di una placca utilizzando viti compressive e bloccate. (Suggeri-

Figura 3

mento: se si deve utilizzare un’associazione di viti compressive e bloccate, applicare prima tutte le viti compressive). La guida può quindi essere rimossa e si possono eseguire le tecniche aggiuntive come la trasposizione della tuberosità tibiale, la desmotomia/rilascio mediale e l’embricatura della capsula articolare laterale. L’innesto osseo può venire posto intorno alla sede dell’ostectomia, dopodiché si esegue la chiusura di routine.

TRATTAMENTO POSTOPERATORIO Sul sito operato è possibile applicare per 15-20 minuti degli impacchi ghiacciati/freddi. Per 24 ore circa si può applicare un bendaggio di sostegno morbido o uno di Robert Jones modificato. Generalmente, preferisco iniziare gli esercizi di escursione articolare e quelli al passo subito dopo la rimozione del bendaggio. In genere effettuo il folow-up mediante radiografie a distanza di 3 e 8 settimane dall’intervento.

Letture consigliate Piermattei DL and Johnson KA: An Atlas of Surgical Approaches to the Bones and Joints of the Dog and Cat, 4th edition, WB Saunders, Plates 72 and 73, pages 336-341, 2004.


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Effetti cardiovascolari dei farmaci usati in anestesia (Parte 1) Antonello Bufalari Med Vet, PhD, Perugia

Chiara Adami, Med Vet, PhD, Perugia Tania Bordoni, Med Vet, Perugia

FARMACI DELLA PREMEDICAZIONE Tra i farmaci della premedicazione, quelli che deprimono in misura minore il sistema cardiovascolare appartengono alla classe delle benzodiazepine. Il midazolam non riduce la contrattilità e la gittata cardiaca, ma determina ipotensione dovuta a una diminuzione delle resistenze vascolari sistemiche e, per la conseguente attivazione del riflesso barorecettoriale, tachicardia3-4; questo effetto può avere risvolti benefici e tradursi in un miglioramento dell’emodinamica in pazienti affetti da insufficienza cardiaca congestizia. Il diazepam espleta azione ipotensiva meno marcata rispetto al midazolam, ed ha un minimo impatto sul sistema cardiovascolare; queste caratteristiche rendono la molecola particolarmente idonea per la premedicazione di pazienti affetti da patologie cardiache4. I tranquillanti fenotiazinici possono essere impiegati con successo nella premedicazione di pazienti cardiopatici; l’acepromazina, in particolare, a causa della spiccata azione ipotensiva (vasodilatazione periferica) determina una diminuzione del postcarico e questo effetto la rende indicata in caso di insufficienza ventricolare sinistra e forme dilatative del miocardio1. La somministrazione preventiva della molecola ad alti dosaggi, inoltre, previene l’insorgenza di disturbi del dromotropismo, nonché di aritmie di origine ventricolare, in soggetti anestetizzati con barbiturici e alotano. L’uso degli α2-adrenocettori agonisti in pazienti cardiopatici dovrebbe essere attentamente ponderato; infatti la stimolazione dei recettori adrenergici post-sinaptici operata da questa classe di preanestetici, infatti, induce vasocostrizione per contrazione della muscolatura liscia vasale e, per attivazione del riflesso barorecettoriale, spiccata bradicardia.

AGENTI DELL’INDUZIONE Tra gli effetti cardiovascolari del propofol il più rilevante è l’ipotensione, dovuta a riduzione di: gittata cardiaca, contrattilità miocardia, frazione di eiezione e resistenze vascolari sistemiche. La somministrazione di alti dosaggi in fase di induzione sortisce un effetto simpatico-

litico a causa di una interazione con i recettori adrenergici alfa e beta; la modesta bradicardia che ne deriva può essere esacerbata dalla concomitante somministrazione di farmaci ad azione vagotonica (oppiacei, α2-agonisti). Quindi, diversamente da quanto si verifica in seguito alla somministrazione di tiopentone, il propofol non favorisce la tachicardia indotta dall’azione dei barorecettori dei glomi carotidei e aortici in seguito alla ipotensione sistemica (resettaggio dei recettori). Inoltre, studi condotti nell’uomo hanno messo in evidenza che il propofol non altera l’attività elettrica cardiaca, mantenendo immodificata la lunghezza del tratto Q-T; il prolungamento di detto intervallo, indotto da alcuni anestetici, può essere associato alla comparsa di extrasistoli e tachicardia ventricolare2. Diversamente dal propofol, l’ipotensione generata dal tiopentale sodico è dovuta principalmente all’azione inotropa negativa, responsabile di una diminuzione della gittata cardiaca, e in misura minore alla vasodilatazione periferica. La tachicardia riflessa che ne consegue può essere di considerevole entità e determinare un aumento del lavoro cardiaco e della richiesta di ossigeno da parte del muscolo miocardico. La concomitante somministrazione di farmaci ad azione simpaticolitica può aggravare questo stato ipotensivo. È noto, inoltre, che la somministrazione di tiopentale e il successivo mantenimento dell’anestesia con alotano può esacerbare l’effetto, prodotto dall’alotano, di sensibilizzazione del miocardio al rilascio di catecolamine endogene. Non è raro pertanto il riscontro di aritmie, per lo più di origine ventricolare, nel corso di anestesia con tiopentale sodico. A causa degli importanti effetti cardiocircolatori che produce, questa molecola deve essere impiegata con cautela in pazienti cardiopatici; in questa categoria di soggetti, al fine di ridurre la quantità di farmaco necessaria per ottenere l’ipnosi, si consiglia la preventiva somministrazione di benzodiazepine e di oppioidi in fase di premedicazione o durante l’induzione stessa. Tuttavia, l’effetto inotropo negativo marcato rende l’uso del tiopentale controindicato nei pazienti affetti da cardiomiopatia dilatativa1. La riduzione della contrattilità impone cautela nell’impiego di questo agente ipnotico nei gatti affetti da cardiomiopatia ipertrofica: la diminuzione della gittata cardiaca che ne deriva, infatti, causa ipoperfusione coronarica che, in un miocardio


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ipertrofico che presenti un fabbisogno basale di ossigeno superiore alla norma, può rendersi responsabile di un grave scompenso. Gli effetti inotropo e cronotropo positivi della ketamina si traducono in un aumento in vivo della gittata cardiaca e della pressione arteriosa sistemica e del piccolo circolo, nonché in un incremento del lavoro cardiaco e della richiesta di ossigeno da parte dei miociti1. Nell’uomo la somministrazione endovenosa di dosi cliniche di ketamina è seguita, nell’arco di 3-5 minuti, da un incremento della pressione sistolica pari a 20-40 mm Hg. Poiché determina un aumento della contrattilità del miocardio può esserne consigliato l’impiego in cani affetti da cardiomiopatia dilatativa, seppure con cautela: i suoi effetti emodinamici, infatti, la rendono scarsamente indicata in pazienti cardiopatici sottoposti a chirurgie di lunga durata, poiché l’aumento della richiesta di ossigeno e del lavoro cardiaco potrebbero non essere ben tollerati per periodi di tempo protratti.

154

Bibliografia 1. 2.

3.

4.

Bednarski RM, (1992) Anesthetic concerns for patients with cardiomyopathy, Vet Clin North Am Small Anim Practice 22(2): 460-465. Kleinsasser A, Kuenszberg E, Loeckinger A, et al., (2000) Sevoflurane, but not propofol, significantly prolongs the Q-T interval, Anesth Analg, 90:25. Marty J, Gauzit R, Lefevre P. et al., (1986) Effects of diazepam and midazolam on baroreflex control of heart rate and on sympathetic activity in humans, Anesth Analg, 65: 113-119. Samuelson PN, Reves JG, Kouchoukos NT, et al., (1981) Hemodynamic responses to anesthetic induction with midazolam or diazepam in patients with ischemic heart disease. Anesth Analg, 60: 802-809.

Indirizzo per la corrispondenza: Antonello Bufalari Sezione di Clinica Chirurgica e Radiodiagnostica Veterinaria, Facoltà di Medicina Veterinaria di Perugia Via S. Costanzo 4, 06126 - Tel/fax 075/5857710 E-mail antonello.bufalari@unipg.it


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Effetti cardiovascolari dei farmaci usati in anestesia (Parte 2) Antonello Bufalari Med Vet, PhD, Perugia

Chiara Adami, Med Vet, PhD, Perugia Tania Bordoni, Med Vet, Perugia

ANALGESICI OPPIACEI Gli oppiacei possono essere impiegati nei pazienti cardiopatici durante tutto il periodo perioperatorio. Gli agonisti puri deprimono in misura variabile la contrattilità miocardica e, attraverso una stimolazione diretta del nucleo vagale, potenziano il tono parasimpatico inducendo bradicardia1. L’uso di meperidina e morfina dovrebbe essere attentamente poderato, poiché entrambe queste molecole possono determinare un massivo rilascio di istamina (soprattutto per via endovenosa) cui conseguono vasodilatazione periferica e diminuzione della pressione arteriosa talvolta anche molto marcata. La morfina, inoltre, presenta anche un effetto bradicardizzante spiccato che, pur diminuendo la richiesta di ossigeno da parte del miocardio, la rende poco indicata in soggetti affetti da disturbi del dromotropismo (blocchi atrioventricolari di I e di II). In pazienti che devono essere sottoposti a chirurgie non particolarmente invasive, in cui si preveda una stimolazione algica di intensità medio-bassa, può giovare la somministrazione di agonisti parziali o agonistiantagonisti: il butorfanolo, ad esempio, esplica un effetto ipotensivo pari solo al 13% rispetto a quello determinato dalla morfina. Gli oppiacei agonisti puri di nuova generazione (fentanyl, sufentanil, alfentanil e remifentanil) presentano i vantaggi di avere un blando effetto inotropo negativo e bradicardizzante, di non liberare istamina e di non sensibilizzare il miocardio alle catecolamine. Il loro impiego perioperatorio consente di ridurre il dosaggio degli agenti ipnotici o dissociativi necessari per indurre l’anestesia generale nonché la MAC degli alogenati; il loro potere analgesico, inoltre, consente di evitare l’innescarsi dei meccanismi neuroendocrini alla base del dolore, e quindi la liberazione di catecolamine e altri mediatori chimici che potrebbero causare un aumento del lavoro cardiaco sovraccaricando il comparto cardiocircolatorio.

ALOGENATI Sebbene l’effetto inotropo negativo sia più marcato per alcune molecole (alotano ed enfluorano), tutti gli anestetici inalatori, compresi i più moderni desfluorano e sevofluorano deprimono la contrattilità del miocardio normale sia in vivo sia in vitro2, 3. La depressione dell’inotropismo è dose

correlata ed è dovuta ad un’alterazione dell’omeostasi del Ca2+ intracellulare e dei canali del Ca2+ voltaggio-dipendenti; la riduzione del rilascio di Ca2+ da parte del reticolo sarcoplasmatico (RS) che ne consegue determina una deplezione delle riserve dello stesso ione disponibili per l’attivazione contrattile e, quindi, una diminuzione della contrattilità dei miociti2. L’alotano e l’enfluorano, ma non l’isofluorano, stimolando una massiva liberazione di Ca2+ dal RS producono un’azione caffeino-simile che si traduce in un transitorio e modesto aumento della contrattilità, che precede una sua grave riduzione. L’effetto inotropo negativo degli alogenati viene potenziato da condizioni di ipocalcemia, nonché dalla somministrazione di Ca2+ antagonisti, o di antagonisti dei β1 adrenorecettori, mentre può essere contrastato dalla somministrazione di Ca2+ esogeno e di agonisti dei β1-adrenorecettori. La riduzione della funzione diastolica, dovuta ad un allungamento del tempo di rilascio isovolumetrico, non comporta tuttavia una alterazione della distensibilità delle camere ventricolari; al contrario, da studi condotti su cani affetti da cardiomiopatia dilatativa si evince che l’isofluorano può migliorare sensibilmente gli indici di rilasciamento e di riempimento dei ventricoli4. Tali proprietà lo rendono indicato in questi pazienti nonostante l’azione inotropa negativa2. Sebbene gli alogenati riducano la qualità della performance cardiaca globale, poiché alla riduzione della contrattilità si associa anche una diminuzione del precarico e del postcarico, la combinazione di questi effetti si traduce in una conservazione dell’efficacia meccanica del cuore. Isofluorano e desfluorano riducono le resistenze vascolari sistemiche in maniera dose-dipendente, viceversa l’alotano determina l’effetto opposto mentre questo parametro emodinamico non viene modificato in maniera significativa dal sevofluorano. Gli anestetici volatili causano effetti cronotropi negativi diretti tramite depressione dell’attività del nodo senoatriale. Tuttavia, le modificazioni della frequenza cardiaca in vivo sono dovute principalmente all’interazione degli agenti volatili con l’attività dei riflessi barorecettoriali. Infatti, tutti, seppure con dei meccanismi d’azione distinti, determinano decremento della pressione arteriosa dosedipendente: alotano ed enfluorano abbassano la contrattilità miocardiaca e riducono la gittata cardiaca; isofluorano, sevoflurano e desfluorano riducono il postcarico del ventricolo sinistro, mentre l’inotropismo è conservato in maggior misura. L’aumento della pressione dell’atrio destro, verosi-


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milmente imputabile all’effetto inotropo negativo, rende l’uso di alotano ed enfluorano poco indicato in pazienti affetti da disturbi del piccolo circolo, edema polmonare e patologie dell’apparato respiratorio in grado di ridurre il numero di alveoli funzionanti. Nel corso di anestesie prolungate si può osservare una attenuazione degli effetti emodinamici negativi prodotti dagli alogenati; poiché la somministrazione di propanololo invece li esacerba, è verosimile che tale miglioramento sia legato all’aumentata attività del sistema nervoso simpatico. Tutti gli anestetici volatili producono vasodilatazione diretta delle arterie coronariche alterando la regolazione intracellulare del Ca2+ nella cellula muscolare liscia coronaria. In particolare, l’interazione con i canali del Ca2+ voltaggio-dipendenti e recettore-dipendenti riduce l’ingresso dello ione all’interno della cellula e, quindi, la sua biodisponibilità. L’aumento del flusso coronarico che ne deriva può esplicare un’azione protettiva nei confronti di eventuali condizioni ischemiche del miocardio. L’effetto protettivo degli alogenati nell’ischemia miocardia e nel danno da riperfusione, sembra da attribuire non solo all’aumento della perfusione coronaria, ma anche all’azione inotropa e cronotropa negativa e all’effetto lusotropo di queste molecole che, pur salvaguardando la funzione bioenergetica mitocondriale, determinano riduzione del fabbisogno miocardico di ossigeno2. Il sevofluorano, inoltre, sembra avere anche un’azione

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protettiva diretta nei confronti dei danni da riperfusione, essendo associato ad una ridotta produzione di ditirosina, un marcatore indiretto dei radicali reattivi dell’ossigeno4.

Bibliografia 1.

2.

3.

4.

Bednarski RM, (1992) Anesthetic concerns for patients with cardiomyopathy, Vet Clin North Am Small Anim Practice 22(2): 460465. De Hert S, Turani F, Mathur S, Stowe DF, (2005), Cardioprotection with volatile anesthetics: mechanism and clinical implications, Anesth Analg, 100:1584-1593. Kleinsasser A, Kuenszberg E, Loeckinger A, et al., (2000) Sevoflurane, but not propofol, significantly prolongs the Q-T interval, Anesth Analg, 90:25. Pagel PS, Lowe D, Hettrick DA, et al., (1996) Isoflurane, but not halotane, improves indices of diastolic performance in dogs with rapid ventricular, pacing-induced cardiomyopathy, Anesthesiology, 85:644-645.

Indirizzo per la corrispondenza: Antonello Bufalari Sezione di Clinica Chirurgica e Radiodiagnostica Veterinaria, Facoltà di Medicina Veterinaria di Perugia Via S. Costanzo 4, 06126. Tel/fax 075/5857710 E-mail antonello.bufalari@unipg.it


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Approccio clinico-diagnostico e soluzioni terapeutiche dell’alopecia focale e multifocale nel cane e nel gatto Rosario Cerundolo Med Vet, Dipl ECVD, Pennsylvania, USA

DEFINIZIONE

Anamnesi

L’alopecia è una lesione cutanea caratterizzata dalla progressiva perdita di pelo in aree che normalmente ne sono provviste. Può essere congenita (se presente dalla nascita) od acquisita (se compare durante l’arco della vita). La patogenesi dell’alopecia è: a) caduta del pelo secondaria a malattie follicolari; b) mancata ricrescita del pelo per anomalie anatomiche o funzionali del ciclo pilifero; c) traumatismo spesso autoindotto dalla presenza di prurito.

In base alla sua presentazione clinica si distinguono vari tipi di alopecia: a) focale, b) multifocale, c) simmetrica o diffusa. Le alopecie focale e multifocale sono un problema di frequente riscontro in dermatologia veterinaria. Riguardo la focale, l’alopecia è localizzata in un solo punto della superficie corporea; nella multifocale invece è localizzata in più punti, facendo assumere al mantello dell’animale un aspetto “tarmato”.

• L’assenza di prurito può far escludere quelle forme di alopecie conseguenti all’autotraumatismo. A volte il prurito può essere assente nelle fasi iniziali dell’alopecia ma compare successivamente perché secondario ad es. ad infezioni batteriche che possono associarsi o complicare una forma di alopecia dovuta a cause normalmente non pruriginose. Nel gatto l’alopecia può essere il risultato del continuo leccamento che può avvenire di nascosto. A volte il proprietario interpreta questo segno come una normale attività di toelettatura dell’animale. In questi casi può essere utile informarsi sulla presenza di pelo nel vomito o nelle feci. • La presenza o meno di contagio umano e/o il contatto con altri animali deve farci valutare una possibile malattia infestiva/infettiva contagiosa. • La somministrazione parenterale di farmaci (ad es. corticosteroidi)/vaccini o topica di altri farmaci (antiparassitari spot-on) permette di correlarli ad alopecie iatrogene (ad es. vasculiti post vaccinali, atrofie da corticosteroidi).

APPROCCIO CLINICO-DIAGNOSTICO

Esame obiettivo generale

Segnalamento

Di solito le forme di alopecia focale/multifocale non sono associate a lesioni di altri organi od apparati, ma va sempre eseguito un esame clinico accurato per individuare eventuali malattie sistemiche.

QUADRI CLINICI

La razza, il mantello, l’età ed il sesso possono far sospettare al clinico determinate forme di alopecia. • Età: le malattie infettive (ad es. fungine) e parassitarie (ad es. demodicosi) sono presenti per lo più in cuccioli, mentre le piodermiti o l’alopecia da diluizione del colore del mantello si riscontrano più tardivamente. • Razza: lo Yorkshire terrier ed il dobermann sono predisposti all’alopecia da diluizione del colore del mantello, i gatti persiani e lo Yorkshire terrier alle dermatofitosi, mentre akita, samoiedo e barboni all’adenite sebacea. L’alopecia autoindotta da cause psicogene è rara ma può essere osservabile in alcuni gatti. • Sesso: i maschi adulti/anziani (in particolare terrier) sono predisposti ad alopecia testosterone-indotta (sulla parte prossimale del dorso della coda). • Colore del mantello: l’alopecia che interessi solo le aree nere di mantelli bi o tricolori indica una displasia follicolare dei peli neri; l’alopecia limitata alle aree color mogano nei Rottweiller è suggestiva di una lipidosi follicolare tipica di razza.

Esame obiettivo particolare della cute • Il pattern di alopecia (focale, multifocale o simmetrica/ diffusa) e la sede di localizzazione possono spesso far sospettare al clinico una malattia. La natura delle lesioni è importante per differenziare forme di alopecia associate ad infiammazione od a cicatrice, che può essere macroscopica o soltanto microscopicamente evidenziabile. • L’assenza macroscopica di infiammazione e di altre lesioni potrebbe suggerire un’alopecia da diluizione del colore del mantello o una anomalia del ciclo del follicolo pilifero (endocrinopatia). • Presenza di lesioni primarie e/o secondarie. A volte alcune alopecie si associano ad altre lesioni cutanee che sono la conseguenza del prurito o delle infezioni/infestioni concomitanti. La presenza di comedoni è spesso indicativa di


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una demodicosi; le papule follicolari sono talvolta riscontrabili nell’alopecia da diluizione del colore del mantello, nelle dermatofitosi; i collaretti le papule e le pustole follicolari sono presenti in corso di piodermite; infine i cilindri follicolari (detriti cheratoseborroici adesi al fusto del pelo) suggeriscono la presenza di follicoliti (ad es. demodicosi) o di anomalie del processo di cheratinizzazione (ad es. adenite sebacea). • Differenziare un’alopecia “completa” da una “parziale”. L’alopecia completa è caratterizzata dalla presenza di una cute sottostante glabra che può apparire normale o più sottile e fragile quando una causa atrofica è all’origine del problema. Nei casi di alopecia “parziale”, ispezionando attentamente la cute alopecica e sfiorandone la superficie con le dita in direzione opposta alla crescita del pelo, è possibile apprezzare la presenza di fusti piliferi tronchi affioranti dagli osti follicolari. Questo dato ci dovrebbe far pensare ad un’alopecia autoindotta.

Diagnosi differenziale Purtroppo un simile quadro clinico può essere comune a varie malattie ed a diversi meccanismi patogenetici. Una lista di malattie più probabili consente la successiva selezione di test diagnostici mirati.

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• L’esame microscopico del pelo (esame tricologico; vedi tabella no.1) a 10X e 40X prelevato dalle zone interessate è fondamentale per valutarne la struttura. Presenza di peli rotti suggerisce traumatismo autoindotto, mentre la presenza di materiale cheratino sebaceo intorno al fusto può indicare la presenza di spore o ife fungine, acari del genere Demodex. La presenza di tutte le radici in fase telogena rende meno probabile la presenza di un’infezione fungina, dal momento che i dermatofiti necessitano di peli in fase attiva di crescita per sopravvivere. Se tutte le punte e i fusti sono ben conservati è invece difficile pensare che l’alopecia sia dovuta alla frattura del fusto pilifero (ad esempio in caso di alopecia autoindotta o di infezione follicolare da dermatofiti), che è invece suggerita dalla presenza di molti peli spezzati. • La presenza di accumuli di melanina può suggerire la presenza di alopecia da diluizione del mantello oppure di alopecia dei peli neri (diagnosi da confermare tramite biopsie multiple). • I raschiati profondi sono necessari per valutare la presenza del Demodex se il tricogramma è negativo. • La citologia permette di valutare la presenza di microorganismi e la risposta infiammatoria con la presenza di neutrofili e/o eosinofili. • L’esame colturale per miceti va sempre effettuato anche se l’esame con la lampada di Wood è positivo. • La biopsia cutanea va effettuata solo dopo aver escluso le principali malattie follicolari.

Indagini diagnostiche ambulatoriali e di laboratorio CAUSE FREQUENTI DI ALOPECIA Gli esami collaterali eseguibili in ambulatorio (ad es. l’es. tricologico, es. citologico, es. micologico e il raschiato) sono fondamentali per valutare la presenza o meno delle follicoliti batteriche, fungine e della demodicosi, che sono le malattie più spesso causa d’alopecia nel cane: L’iter diagnostico da seguire in corso di alopecia focale è quello riportato nell’algoritmo della fig. 1. Dopo aver escluso la possibilità dell’alopecia presente dalla nascita è necessario accertarsi che la causa dell’alopecia non sia di origine iatrogena. L’effettuazione di trattamenti (iniezioni) o l’applicazione di prodotti per uso topico (spot on) nell’area in cui si è sviluppata l’alopecia, dovrebbero far pensare ad una correlazione tra i due eventi. In alcune razze di cani (Yorkshire terrier, maltese) elastici o pinzette sono spesso utilizzati, per motivi estetici per tenere legati i peli sulla testa ma l’azione traumatica indotta dalla trazione può provocare una forma di alopecia cicatriziale. Nei cani a mantello folto (es. da slitta, chow chow) è possibile la permanenza di un’area di alopecia conseguente la tosatura effettuata per es. per indagini diagnostiche. Se non vi è alcuna causa iatrogena alla base dell’alopecia vanno considerate le forme infettive o parassitarie. Le follicoliti sono la causa più frequente di alopecia focale nel cane. Tre eziologie sono alla sua base: 1) la piodermite superficiale, 2) la dermatofitosi e 3) la demodicosi. L’effettuazione dei seguenti test diagnostici ci consentirà di differenziarle: • La lampada di Wood permette di valutare la presenza o meno di peli fluorescenti suggestivi di una dermatofitosi.

1) La piodermite supeficiale, sostenuta prevalentemente da S. intermedius, deve essere considerata sempre secondaria ad altre dermatosi, quali malattie allergiche, parassitarie ed endocrine. Spesso sono presenti altre lesioni primarie e/o secondarie (eritema, papule, pustole follicolari, scaglie, collaretti epidermici, croste ed iperpigmentazione). Le sedi di localizzazione più frequenti sono l’addome, le ascelle, l’inguine ed il tronco. La diagnosi si basa sugli esami clinico e citologico. La somministrazione di antibiotici per via sistemica e di disinfettanti per uso topico sono la terapia di elezione a patto che si prendano in considerazione le malattie che hanno determinato la piodermite. 2) La dermatofitosi è un’infezione fungina che coinvolge i follicoli piliferi ed a volte anche le unghie. È sostenuta prevalentemente da Microsporum canis, M. gypseum e Tricophyton mentagrophytes. È più frequente in animali giovani od immunodepressi ed è frequente la trasmissione ad altri animali o persone conviventi con il soggetto colpito. Lesioni cutanee associate all’alopecia sono eritema, scaglie, papule, pustole, croste e raramente prurito. Le indagini diagnostiche quali l’uso della lampada di Wood, l’esame microscopico del pelo per ricercare spore e ife fungine e l’esame colturale consentono spesso di diagnosticare ed identificare il tipo di micete coinvolto. La terapia è spesso di tipo sistemico e topico. 3) La demodicosi è sostenuta da un acaro del genere Demodex, commensale, saprofita endofollicolare. A volte non provoca lesioni cutanee ma spesso è causa di follicolite


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soprattutto nei soggetti giovani. In animali adulti o anziani si hanno invece dei quadri clinici più drammatici con contemporanea presenza di altre lesioni cutanee primarie e/o secondarie. Le forme focali sono spesso localizzate agli arti anteriori e/o al muso, accompagnate da eritema, comedoni, scaglie ed iperpigmentazione. La complicanza batterica può determinare la presenza di prurito, papule, pustole e croste. Negli animali al di sotto di un anno di età, con forme localizzate, si verifica frequentemente la guarigione spontanea. Negli animali adulti con forme generalizzate (a volte evoluzione della localizzata) sono necessarie terapie topiche o sistemiche. In quelli anziani va ricercata la causa predisponente che ha portato all’immunodepressione.

ALGORITMO DIAGNOSTICO E CAUSE MENO FREQUENTI DI ALOPECIA Se le indagini diagnostiche hanno escluso la possibilità di una follicolite vanno considerate altre due forme di alopecia focale: la morfea e l’alopecia della coda, che sono rare ed hanno una localizzazione ben precisa (la seconda). La morfea è una tra le forme di alopecia la cui patogenesi è ancora non completamente chiarita. In letteratura veterinaria sono state riportate poche segnalazioni. La diagnosi è effettuata con l’ausilio dell’esame istologico cutaneo. Non è riportata alcuna terapia specifica. L’alopecia che si riscontra sulla parte prossimale dorsale della coda di alcune razze di cani, quali i terrier, è dovuta alle alterazioni ormonali indotte dal testosterone ai follicoli piliferi di quell’area cutanea, in cui predominano le ghiandole epatoidi. La diagnosi è spesso clinica, il trattamento è di tipo chirurgico (castrazione) o farmacologico usando antiandrogeni somministrati per uso topico o sistemico. L’iter diagnostico da seguire in corso di alopecia multifocale (vedi algoritmo della fig. 2) è simile a quello riportato per l’alopecia focale. Inoltre alcune delle cause dell’alopecia focale possono determinare anche un quadro multifocale. Anche in questo caso, dopo aver escluso la possibilità dell’alopecia presente dalla nascita è necessario accertarsi che la causa dell’alopecia non sia di origine iatrogena. L’effettuazione di vaccinazioni è stata associata alla successiva comparsa di alopecia cicatriziale con presenza di vasculite che si localizza alla testa, arti e coda. L’anamnesi e l’esame istologico sono spesso gli elementi diagnostici che fanno sospettare tale patologia. La presenza di alopecia in aree soggette a traumi fisici o termici o che sono state precedentemente a contatto con sostanze chimiche dovrebbe far correlare tali eventi, evitando così l’effettuazione di ulteriori indagini diagnostiche. La presenza di alopecia multifocale limitata soltanto ad alcune aree cutanee deve far sospettare la possibilità di un’alopecia legata al colore del mantello. Nei Rottweiler è stata riportata un’alopecia (lipidosi follicolare) limitata alle aree di mantello color mogano. Nei cani a mantello bi o tri-colore l’alopecia delle aree a mantello nero (displasia follicolare dei peli neri) è legata ad un difetto della melanizzazione che provoca delle alterazioni strutturali del fusto del pelo con successiva rottura e caduta dello stesso. L’esame tricologico

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che ci fa evidenziare la presenza di agglomerati di melanina a livello del fusto del pelo è spesso sufficiente a far sospettare tale patologia. A volte possono associarsi infezioni batteriche con presenza di altre lesioni primarie e/o secondarie. Le follicoliti che inizialmente hanno un aspetto focale evolvono spesso in quadri multifocali dando l’aspetto “tarmato” al mantello del paziente. Dopo aver escluso le patologie sopra descritte vanno considerate altri due gruppi di alopecie che possono essere differenziati sulla base della presenza o assenza di cicatrice. 1) In alcune neoplasie cutanee, nelle piodermiti profonde e nella dermatomiosite si ha la distruzione dei follicoli piliferi e delle strutture perifollicolari con la presenza di una cicatrice cutanea spesso visibile anche ad occhio nudo. La dermatomiosite è una patologia immunomediata dovuta a cause ancora non ben chiarite che è stata riportata nel collie e nel pastore dello Shetland e raramente in altre razze. Come nella vasculite post-vaccinale le aree colpite sono la testa, gli arti e la coda. Una terapia specifica non è stata riportata. 2) Le alopecie caratterizzate dall’assenza di cicatrice sono: l’alopecia areata, la pseudopelade e l’adenite sebacea. La causa di tali patologie non è ancora completamente chiarita. L’alopecia areata e la pseudopelade hanno una patogenesi immunomediata con presenza di anticorpi diretti verso il follicolo pilifero. Nell’adenite sebacea la progressiva distruzione delle ghiandole sebacee provoca un’alopecia con presenza di scaglie che nelle forme avanzate finisce per diventare generalizzata. Terapie specifiche non sono riportate ma i trattamenti con i corticosteroidi per l’alopecia areata ed i retinoidi per l’adenita sebacea sono in grado di far migliore discretamente il quadro clinico.

Tabella 1 - Esame microscopico del pelo (es. tricologico) Metodica: 1. Afferrare saldamente pochi peli alla base usando le dita o pinzette rivestite di gomma. 2. Tirare con un colpo secco nel senso della crescita del pelo 3. Adagiarli nello stesso verso su un vetrino con delle gocce di olio di vaselina 4. Poggiare un vetrino coprioggetti 5. Osservare al microscopio a 4X, 10X, 40X regolando il condensatore e la luce del microscopio Osservare la: Parte prossimale (bulbo) 1. Per valutare lo stadio di crescita del pelo 2. La presenza di malformazioni della radice Fusto 1. Malformazioni o anomalie strutturali 2. Presenza di accumuli di melanina 3. Presenza di cilindri follicolari Parte distale 1. Presenza di taglio netto o sfrangiato


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Figura 1 - Algoritmo dell’alopecia focale.

Figura 2 - Algoritmo dell’alopecia multifocale.

La diagnosi ed il successivo trattamento (ove possibile) delle alopecie può essere frustrante per il veterinario e richiedere tempo e disponibilità economica per il proprietario. Un iter diagnostico appropriato e l’effettuazione delle indagini dermatologiche routinarie sono fondamentali per escludere le cause più comuni di alopecia e decidere i test diagnostici più complessi e/o costosi da effettuarsi. La prognosi delle forme di alopecia focali o multifocali è legata alla causa scatenante. Le forme congenite, quelle di tipo cicatriziale e quelle legate al colore del mantello sono per-

manenti e non necessitano di alcun trattamento. Tutte le altre forme possono beneficiare dei trattamenti specifici.

Indirizzo per la corrispondenza: Rosario Cerundolo Dermatology Section - Department of Clinical Studies, The School of Veterinary Medicine, University of Pennsylvania, Philadelphia, PA, 19104 - USA E-mail: cerundol@vet.upenn.edu


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Alopecie simmetriche/bilaterali nel cane: squilibri ormonali o displasie follicolari? Rosario Cerundolo Med Vet, Dipl ECVD, Pennsylvania, USA

DEFINIZIONE Per alopecia simmetrica si intende la mancanza bilaterale di pelo da aree cutanee più o meno ampie. La comparsa dell’alopecia è causata spesso da condizioni patologiche che portano all’arresto del ciclo follicolare del pelo con presenza di peli in fase catagen o telogen, non rimpiazzati da quelli nuovi in fase anagen. In seguito, se non intervengono fattori che normalizzano la ripresa del ciclo follicolare il cane è destinato a diventare totalmente glabro per la perdita parziale o totale del pelo spesso in seguito a frattura. Malformazioni del pelo possono facilitarne la frattura, inoltre aree cutanee soggette a sfregamento presentano pelo spezzato simulando un’alopecia “completa”.

QUADRI CLINICI Una distribuzione simmetrica come ad es. la perdita di pelo a livello delle zone laterali del collo, del tronco, degli arti, o della parte caudale delle cosce può aiutarci ad includere/escludere alcune cause di alopecia nell’elenco delle nostre diagnosi differenziali. Spesso con il progredire della malattia le aree alopeciche possono da focali e simmetriche estendersi, diventando generalizzate o diffuse, in questo caso le soli parti del corpo risparmiate sono di solito la testa e gli arti.

APPROCCIO CLINICO-DIAGNOSTICO

trica in un animale non castrato può suggerire anormalità della sfera sessuale, ad es. nel maschio criptorchide il sertolioma, nella femmina con vulva ipertrofica o mancanza di estro la presenza rispettivamente di tumori/cisti ovariche o ipotiroidismo.

Anamnesi Una anamnesi accurata sarà di aiuto nello stabilire se l’alopecia è presente fin dalla nascita oppure se è acquisita. Alcune alopecie pur essendo ereditarie, compaiono tardivamente, non sono quindi presenti al momento della nascita, in questi casi la predisposizione di razza, l’età di insorgenza e la presentazione clinica possono aiutarci nella diagnosi differenziale. Possiamo inoltre considerare l’insorgenza, la stagionalità, la progressione e la durata dell’alopecia. Generalmente una progressione lenta è tipica di malattie sistemiche, endocrinopatie, squilibri metabolici o nutrizionali. Un’insorgenza rapida ad es. dopo fenomeni fisiologici (parto ed allattamento), o dopo patologie sistemiche gravi (shock o interventi chirurgici) suggerisce il deflusso telogeno. Un’alopecia ad insorgenza rapida (deflusso anageno) può verificarsi in conseguenza della somministrazione di agenti citotossici come il methotrexate e la ciclofosfamide. Le aree corporee inizialmente colpite e la diffusione dell’alopecia, la presenza o meno di prurito, la contagiosità, la risposta a precedenti terapie sono ulteriori elementi importanti da acquisire nella raccolta dell’anamnesi.

Segnalamento Esame obiettivo generale La predisposizione di razza ad alcune forme di alopecia può aiutarci nella diagnosi differenziale. Ad es. Volpino di Pomerania e Chow Chow sono predisposti all’alopecia X, Dobermann e Yorkshire terrier sono predisposti all’alopecia da diluizione del colore. Dobermann, Setter Irlandese, Golden Retrivier, Pointer, Alano, Cocker spaniel e Beagle sono predisposti all’ipotiroidismo. L’età del paziente al momento dell’insorgenza, oltre ad aiutarci a distinguere le alopecie congenite dalle acquisite ci può orientare verso alcune malattie più frequenti nell’età adulta o anziana. Nei cuccioli è più probabile un’alopecia secondaria a parassitosi o dermatofitosi. Nell’età giovane-adulta più probabili sono i problemi inerenti la sfera ormonale e le malattie immunomediate, mentre in età anziana sono le neoplasie. La presenza di alopecia simme-

La visita dermatologica deve sempre essere preceduta da un esame clinico generale scrupoloso per escludere la presenza di malattie sistemiche. Ad es. la presenza di un addome pendulo, poliuria/polidipsia, facile affaticabilità dovrebbe far pensare all’iperadrenocorticismo. La presenza di letargia, ipotermia, bradicardia all’ipotiroidismo; ginecomastia, prepuzio pendulo ed atrofia dei testicoli al sertolioma.

Esame obiettivo particolare della cute L’ispezione del mantello ci consente di classificare l’alopecia in base alla distribuzione delle lesioni. L’esame della cute è fondamentale per evidenziare altre lesioni come papu-


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le, pustole, croste, eritema, iperpigmentazioni ed escoriazioni. A volte alcune forme di alopecia simmetrica originariamente non pruriginose possono diventarlo per la presenza di infezioni/infestazioni secondarie. L’alopecia che ne risulta è legata all’autotraumatismo (peli rotti o spezzati ne sono una prova).

Diagnosi differenziale • follicoliti (demodicosi, dermatofitosi e piodermite) che possono cominciare come forme focali/multifocali ma in alcuni casi possono anche assumere una distriubuzione simmetrica; • endocrinopatie, tenendo presente che le più frequenti sono l’ipotiroidismo, l’iperadrenocorticismo, gli squilibri degli ormoni sessuali (sertoliomi), l’alopecia X e l’alopecia post-partum o effluvio telogenico; • deflusso anageno in seguito alla somministrazione di agenti citotossici come il methotrexate e o la ciclofosfamide; • displasie follicolari, come quelle legate ad anomalie della melanizzazione (alopecia da diluizione del colore del mantello, displasia follicolare dei peli neri) e l’alopecia ciclica dei fianchi, • forme su base immuno mediata come l’adenite sebacea, l’alopecia areata; • forme neoplastiche come il linfoma epiteliotropo.

Indagini diagnostiche ambulatoriali e di laboratorio Le indagine diagnostiche dermatologiche effettuabili in ambulatorio ci consentono di escludere la presenza di ectoparassiti, miceti o ci indicano la presenza di una contemporanea infezione. Il tricogramma ha un ruolo importante perché, oltre a consentirci di escludere quasi sempre le comuni cause di follicolite, ci mostra lo stadio di crescita del pelo e le anomalie del bulbo, del fusto e della punta. L’esame istologico di biopsie cutanee puo esserci di aiuto per confermare alopecie dovute a displasia folicolare.

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DISPLASIE FOLLICOLARI Alopecia ricorrente (stagionale) dei fianchi È una forma di alopecia a carattere stagionale che colpisce i fianchi e talvolta il dorso di cani per lo più di razza Boxer, Bulldog inglese, schnauzer e terrier. La cute della zona alopecica è spesso iperpigmentata. C’è una progressiva caduta del pelo durnate il periodo autunnale/invernale con successiva ricrescita nel periodo primaverile/estivo. Può presentarsi ogni anno o saltarne uno; in alcuni casi l’alopecia può essere permanente. La predisposizione di razza, il quadro clinico, la ciclicità sono indicativi di tale malattia. Le endocrinopatie vanno escluse soprattutto se è il primo episodio di alopecia. L’esame istologico mostra alterazioni caratteristiche del follicolo pilifero. Non esiste una terapia specifica, è un problema di natura estetico ed il mantello ricresce nella gran parte dei casi dopo alcuni mesi. Nei casi di alopecia permanente o ciclica si può somministare la melatonina nella speranza che possa stimolare la ricrescita del mantello o prevenirne la caduta nelle forme cicliche.

Alopecia legata al colore del mantello Black hair follicular dysplasia Black hair follicular dysplasia è una malattia ereditaria che colpisce le aree cutanee nere dei cani geneticamente predisposti che hanno un mantello tutto nero, bi- o tri-colore. È stata segnalata in bearded collies, bassotti, Schipperke, basset hounds, papillon spaniels, Cocker spaniels, pointers, Gordon setters ed incroci. I cuccioli sono normali alla nascita ma già intorno ai primi mesi di vita presentano una progressiva perdita di pelo che può divenire completa intorno agli 8-9 mesi di età. La cute nelle aree colpite può essere secca con presenza di comedoni, papule ed i soggetti affetti sono predisposti a piodermiti superficiali. La distribuzione dell’alopecia è spesso sufficiente a far sospettare tale malattia. L’esame tricologico mostra accumuli di melanina lungo il fusto del pelo che si spezza facilmente in corrispondenza di tali punti. L’esame istologico confermerà tale malattia. Una terapia specifica non esiste ed alla fine non è neanche necessaria perché è solo un problema estetico.

ENDOCRINOPATIE Le endocrinopatie rappresentano la causa più comune di alopecia simmetrica/diffusa non pruriginosa del cane adulto. L’alopecia è dovuta all’arresto del ciclo follicolare in fase telogena. I peli presenti con il passare del tempo si consumano, cadono e non vengono rimpiazzati da altri nuovi. Per questo motivo la mancanza di pelo inizia nelle zone del corpo soggette a maggiore frizione, come la parte caudale delle cosce, il tronco e la regione del collo. Il tricogramma consente di evidenziare peli in fase telogen e a livello del fusto dei peli rimasti spesso sono visibili rotture e alterazioni apicali provocate dalla lunga esposizione agli agenti atmosferici. Il sospetto di endocrinopatia ed i risultati delle indagini ematocliniche suggerirà i test ormonali più appropriati da effettuarsi.

Alopecia legata al colore del mantello – Alopecia da diluizione del colore del mantello Colour dilution alopecia (CDA) è un’alopecia che colpisce cani dal mantello blu o fulvo. È probabilmente una malattia di tipo ereditario simile alla black hair follicular dysplasia. I cani affetti hanno un mantello normale da cuccioli ma intorno all’anno di età presentano una progressiva alopecia con presenza di scaglie, comedoni, infezioni batteriche secondarie che possono indurre prurito. Le parti marroni del mantello non sono affette per cui il mantello della testa e degli arti sono normali. L’anamnesi ed il quadro clinico con la localizzazione dell’alopecia sono indicativi di tale malattia. L’esame tricoscopico mostra accumuli di mela-


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nina lungo il fusto del pelo ed istologicamente sono anche presenti nell’epidermide e follicoli piliferi. Una terapia specifica non esiste ed alla fine non è neanche necessaria perché è solo un problema estetico.

Alopecia non legata al colore del mantello – Displasia follicolare Con tale termine ci si riferisce ad una forma di alopecia spesso di natura ereditaria che può colpire un gruppo di razze quali l’Irish water spaniels, Portuguese water dogs, retrievers a mantello riccio e Chesapeake Bay retriever. L’esatta patogenesi è sconosciuta. Vi è una perdita progressive di pelo che spesso comincia intorno all’anno di età e colpisce il collo, fianchi, tronco e/o parte posteriore delle cosce. Spesso la cute è secca, il mantello circostante le aree affette è di colore più chiaro e di aspetto lanuginoso per perdita dei peli primari. Piodermiti superficiali possono complicare il quadro e provocare prurito. La predisposizione di razza, il quadro clinico possono far pensare ad una displasia follicolare ma le presenza di una endocrinopatia va esclusa prima di effettuare delle biopsie cutanee. L’esame istologico mostra ipercheratosi follicolare, accumuli di melanina e follicoli piliferi displastici. Una terapia specifica non esiste ed alla fine non è neanche necessaria perché è solo un problema estetico. Se si sospetta una delle forme di alopecia legate al colore del mantello o di displasia follicolare è bene informare il proprietario che una serie di indagini diagnostice può essere indispensabile per escludere malattie endocrine-metaboliche. Anche se il problema è fondamentalmente estetico spesso il proprietario è alla disperata ricerca di una soluzione che porti alla ricrescita del mantello. Trattamenti quali quelli usati nell’uomo per l’alopecia androgentica sono sconsigliati perché possono essere inefficaci ed addirittura pericolosi. La melatonina è stata spesso consigliata in molte forme di alopecia e vale la pena di provarla per un paio di mesi poiché è un trattamento che non ha effetti collaterali ed è poco costoso. L’accoppiamento di individui affetti dovrebbe essere sconsigliato.

chemioterapia con farmaci quali methotrexate o ciclofosfamide o somministarzione di sostanze tossiche (selenio, molibdeno, tallio o arsenico). I peli sono facilmente asportabili e l’esame tricologico mostra che sono in fase anagen con un bulbo spesso anormale. La gravità dell’alopecia dipende dal farmaco o sostanza tossica e da una predisposizione individuale. Non esiste una terapia specifica ma solo risolvere, ove possibile, le cause sottostanti.

Indirizzo per la corrispondenza: Rosario Cerundolo Dermatology Section - Department of Clinical Studies, The School of Veterinary Medicine, University of Pennsylvania, Philadelphia, PA, 19104 - USA E-mail: cerundol@vet.upenn.edu

Figura 1 - Algoritmo dell’alopecia simmetrica del cane.

TELOGEN EFFLUVIUM È una alopecia che si presenta in seguito ad eventi stressanti, malattie sistemiche gravi, gravidanza e parto. Vi è una caduta progressiva e rapida dei peli che entrano contemporaneamente nella fase telogen. I peli sono facilmente asportabili e l’esame tricologico mostra che sono in fase telogen. Non esiste una terapia specifica ma solo risolvere, ove possibile, le cause sottostanti.

ANAGEN DEFLUXION È una alopecia che si presenta con un arresto improvviso della crescita del pelo in fase anagen nell’arco di pochi giorni dall’inizio di una

Figura 2 - Iter diagnostico dell’alopecia simmetrica.


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L’ecotomografia e la tomografia computerizzata nell’approccio diagnostico alle patologie oncologiche gastro-intestinali: indicazioni, utilità e limiti Mario Cipone Med Vet, Bologna

L’ecotomografia o ecografia e la tomografia computerizzata costituiscono oggi procedure di diagnostica per immagini ampiamente utilizzate nella diagnostica delle patologie di molti organi ed apparati dei piccoli animali; esse impiegano energie diverse (meccanica negli ultrasuoni ed elettromagnetica nel fascio radiante) e permettono una rappresentazione analitica (per sezioni) delle strutture esaminate. L’ecografia esprime la sua massima potenzialità di informazione diagnostica in presenza di tessuti molli e liquidi e nella valutazione di strutture in movimento mentre la tomografia computerizzata è in grado di rappresentare con il massimo contrasto strutture ossee e a contenuto gassoso. Le stesse strutture ossee e a contenuto gassoso costituiscono invece i maggiori limiti della esplorazione ultrasonografica. In corso di patologia neoplastica dell’apparato gastrointestinale, che si può presentare sia con sintomi lievi ed aspecifici (anoressia, vomito, diarrea, dimagramento) ad andamento cronico-progressivo che in forma acuta (vomito, occlusione intestinale), la metodica ultrasonografica costituisce una delle prime procedure più appropriate da impiegarsi per la sua accuratezza diagnostica, oltreché per le sue note doti di incruenta, ripetibilità ed innocuità. L’ecografia, in condizioni ottimali di preparazione del paziente e con l’impiego di sonde ad alta frequenza (8-10 MHz), perciò limitato ai soggetti di peso inferiore a circa 20 Kg, è in grado di svelare alterazioni dello spessore e/o della stratificazione caratteristica della parete gastrointestinale anche molto lievi, con le quali si possono presentare le forme più comuni di neoplasia gastrointestinale come ad esempio il linfosarcoma, il carcinoma, il leiomioma. I maggiori limiti della metodica ecografia sono costituiti dalla scarsa prepa-

razione all’esame che richiede una pulizia del tubo digerente ed una ridotta presenza di gas. Anche le grandi dimensioni del soggetto in esame, che richiedono l’impiego di sonde a più bassa frequenza, comportano una riduzione della risoluzione spaziale delle strutture esaminate e quindi una minore affidabilità diagnostica. La tomografia computerizzata costituisce attualmente la metodica diagnostica per immagini avanzata che ha dimostrato la più ampia appropriatezza di impiego e valore predittivo positivo nella pratica clinica della medicina veterinaria dei piccoli animali. In riferimento specifico alla patologia oncologica gastrointestinale l’impiego della tomografia computerizzata trova il suo punto di massima utilità nella fase di valutazione del bilancio spaziale della lesione e di stadiazione della malattia. Gli strumenti di attuale generazione, cosiddetti multistrato o multidetettore, permettono il superamento del limite della rappresentazione sequenziale dei singoli strati, ottenendo immagini ricostruite multiplanari e volumetriche e pertanto sintetiche; in grado cioè di fornire precise informazioni della sede ed estensione delle lesioni e della vascolarizzazione intra o perilesionale. Il maggiore limite, di tipo clinico, nell’impiego della indagine tomografica computerizzata è costituita dall’anestesia, che si rende necessaria per l’immobilità del paziente durante l’assunzione dei tomogrammi. In conclusione, nell’iter diagnostico di una patologia neoplastica dell’apparato gastroenterico, entrambe le metodiche, ecografia e TC, sono appropriate nel loro impiego in sequenza, forniscono informazioni di elevata affidabilità necessarie alla precisazione diagnostica ed infine presentano i limiti peculiari delle rispettive metodiche.


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New formulations for the control of ectoparasites in companion animals Rami Cobb Med Vet, BVSc (Hons), MACVSc, New Jersey, USA

Control of ectoparasites in companion animals is heavily dependent on administration of topical products. It has been many years since the introduction of an insecticide with a novel mode of action for this purpose. The discovery and development of metaflumizone (IRAC Group 22) for control of fleas in dogs and cats brings a new option to the veterinary profession for controlling these parasites. Extensive formulation development and testing has

resulted in formulations that address the differences in skin between dogs and cats and ensure extended protection against the target parasites. This presentation describes the scientific challenges in developing stable effective formulations in each species, the characteristics of these formulations and the resulting level of control veterinarians can expect from using them against fleas and ticks.


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Management of acute flare-ups of osteoarthritis in older cats and dogs Eithne J. Comerford MVB, PhD, CertVR, CertSAS, MRCVS, Liverpool, UK

An acute OA “flare-up” is characterized by episodic pain and can be provoked by a variety of events including excessive activity or paradoxically after prolonged periods of inactivity in a patient with chronic OA. The initial management of dogs/cats with acute flare-ups of OA is a combination of analgesia and exercise modification. The secondary management of these dogs/cats then consists of weight management, continuing exercise modification, physical therapy, joint specific diets and nutritional supplementation (Schulz, 2006) ο ο ο ο

Goals for ideal treatment of the osteoarthritic patient: Eliminate pain and inflammation Improve joint function Eliminate underlying causes of OA Halt progression of OA

INITIAL MANAGEMENT OF ACUTE FLARE-UPS

agement but they will take 24 hours to achieve adequate plasma levels and if covered or cut (if used in small dogs or cats) drug delivery is unpredictable.

2) Exercise modification Exercise modification is very important in maintaining joint function and motion in the OA patient. It involves initially reducing and then gradually building up the dog’s normal activities. These patients with acute “flare-ups” need to be managed with restricted low impact exercise such as on-lead walking and controlled small bouts of off lead exercise and analgesics. A programme of increasing exercise is usually advised in our clinic, starting with 5 minutes three times daily and increased by 5 minute increments 3-4 times daily for 46 weeks initially. Give the owners a written exercise plan over 4-8 weeks. Hot and cold therapy can be used before and after exercise sessions. In cats this may involve small room restriction with no jumping advisable and then small obstacles or low heights can be introduced over the next 4-6 weeks.

1) Analgesia and medications A multimodal approach to analgesia should take in dogs/cats with acute flare-ups. This will often be a combination of NSAIDs, opioids, paracetomol/codeine (if the dogs are refractory to NSAIDs). The mode of action of the modern NSAIDs (carprofen, meloxicam, deracoxib, tepoxalin) involves reduction of pro-inflammatory prostaglandin (PGE2) by inhibition of cyclooxygenase–2 (COX-2). Glucocorticoids (corticosteroids) have been used in cases nonresponsive to NSAID therapy but have major side effects and should be used sparingly in the management of OA. Opioids such as fentanyl, and buprenorphine can be used in OA (flare-ups” if more potent analgesia is required either by injection, orally (buprenorphine in cats) and transdermally. Tramadol, an opioidergic/monoaminergic drug, is a synthetic derivative of codeine and has action at the mu opioid receptor. It has been used for oncologic and musculoskeletal pain in dogs at a dose of 2-5mg/kg tid-qid. It has been used in cats but may cause neurological signs (Lascelles, 2007). It is also obtainable in combination with paracetomol. Paracetomol/codeine (Pardale V, Martindale) (1 tablet/12kg tid) has been used in dogs that are refractory to NSAIDs, it is thought that paracetomol may have a mode of action against a central COX isoenzyme- COX-3. Transdermal fentanyl patches (2-5mg/kg/hr) can also be used in acute pain man-

SECONDARY/CONTINUED MANAGEMENT OF ACUTE FLARE-UPS Some orthopaedic surgeons advise the use of a diary or report card in which owners can monitor their dog’s progress and document their exercise regime and medications. The main steps in the secondary/continued management of the OA patient are: ο Weight control ο Continued exercise modification ο Environment modification (especially in cats) ο Analgesia and medications (including chondroprotectants and nutraceuticals) ο New advances such as special diets (Hills Prescription diet Canine j/d)

Weight control Obesity has been identified as a contributing cause to certain orthopaedic diseases such as intervertebral disc and cruciate ligament disease (Brown, 1996). Weight loss has been shown to reduce the clinical signs associated with OA and a lifetime study of dietary intake has shown a reduction in the clinical signs associated with hip dysplasia in high risk dogs with dietary restriction (Smith, 2006).


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Achieving weight loss in our patients:

ο It is useful to perform a complete physical examination with routine haematology and serology profiles to rule out any other complicating diseases prior to instigating a weight loss programme. ο Determine the patients body condition score (BCS) and set a target BCS (either 2.5/5 or 4.5/9). Aim for 1-2% weight loss /week over 15-20 weeks. ο It may be useful to special to a pet food nutritional advisor and prescription diets for calorie control such as Hills Prescription Diet Canine/Feline r/d may be used as an alternative in these weight loss programmes ο In the first instance it is useful to cut out all titbits, reduce the amount of food given, especially if the patient is on restricted exercise, and bulk up meals with cooked vegetables. ο Encourage regular appointments with a pet weight counsellor or designated member of your team.

Continued exercise modification: After the initial 4-6 weeks of restricted exercise increasing in 5-minute increments weekly, this is continued and bouts of off-lead exercise are encouraged. Low impact activity (swimming, on lead walks) is more useful than high impact activity (running, jumping) in the OA patient. Hydrotherapy appears to be an excellent means of exercising dogs with OA and other orthopaedic/spinal injuries, however to date few prospective clinical trials have proven its scientific efficacy. Physical therapy is a rapidly growing area and to date no specific evidence regarding long-term outcome with this treatment modality has been presented. Owners should only go to treatment centers with trained therapists. Physical modalities that can be used in rehabilitation of the OA patient include massage, cryotherapy, ultrasound, and acupuncture.

Environment modification This is particularly useful in cats with OA. It may be useful to make ramps up to windowsills or other favourite places that cats like to jump. It may also be useful to modify the environment so that cats have to encounter gentle slops or obstacles to acquiring food in order to encourage activity. Administration of analgesics to cats during this period of increased activity may be expected.

Analgesia and medications (see above) (including chondroprotectants and nutraceuticals) Other pharmacological agents such as “disease modifying agents of OA” (DMOAs) and nutraceuticals have been used extensively in both people and animals but little scientific evidence still exists about their clinical efficacy. The DMOAs include drugs such as pentosan polysulphate, and sodium hyaluronate. Nutraceuticals include glucosamine, and fatty acids (FA). Fatty acids can be classified as either omega 3 (N3) or 6 (N6). These compounds can help to reduce the production of inflammatory prostaglandins. The ratio of N3:N6 FA has been found to be important in its anti-inflammatory role in canine diets designed for the OA

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patient. Glucosamine/chondroitin sulphate combinations may have mild anti-inflammatory effects in the cat. Other drugs such as amantadine and amitriptyline may be useful in adjunct to NSAID therapy for chronic pain (Lascelles, 2007).

New advances such as special diets (Hills Prescription diet Canine j/d) (see lecture on nutritional management) Prescription diets such as Hills Canine j/d may be used in the nutritional management of dogs with OA. Hills j/d was launched approximately 2 years ago and is a diet specifically designed for the OA canine patient over 12 months old. This ratio of omega 6:3 fatty acids (FA) in this diet is less that 1:1 and contains the N3 FA eicosapentaenoic acid (EPA). Eicosanoids derived form EPA are less pro-inflammatory than those derived for arachidonic acid (AA). In vitro studies have shown EPA to be the only N3 FA to decrease the loss of aggrecan in a canine cartilage model. Clinical studies have indicated that Hills Canine j/d helped improve the clinical signs in a multicentre study of OA patients as measured by pet owners, orthopaedic examination, and gait analysis at 45 and 90 days post study commencement (Schoenherr, 2005). This diet may also allow reduction of the maintenance dose of NSAIDs such as carprofen when administered together (Allen, 2006).

Education: Educating clients about this condition will ultimately help in their management of OA in their dogs. It is useful if clients know that their osteoarthritic animal can be managed with pharmacological, physical, dietary and surgical modalities to ensure a good quality of life. In humans NSAID therapy has been shown to have a modest effect on pain reduction (20-30%), therefore it is essential that other non-pharmacological modalities are used in the management of the OA patient.

References Allen T (2006) A Multi-Center Practice Based study of a Theraputic Food and a Non-Steroidal Anti-inflammatory drug in Dogs with osteoarthritis. 2nd World Veterinary Orthopaedic Congress and 33rd Annual VOS Meeting. Keystone, Colorado, US. p 4 Brown D, Conzemius, MG., Shofer, FS., (1996) Bodyweight as a predisposing factor for humeral condylar fractures, crcnail cruciate ligament rupture and intervertebral disc disease in Cocker Spaniels. Veterinary Comparative Orthopaedics and Traumatology 9, 75-78 Lascelles BDX (2007) Top tips for feline analgesia. British Small Animal Veterinary Association. Birmingham. pp 238-242 Schoenherr WD (2005) Fatty Acids and Evidence Based Dietary management of Canine Osteoarthritis. Hill’s European Symposium on Osteoarthritis and Joint Health. Genoa. pp 54-59 Schulz K (2006) Medical management of OA-contemporary clinical strategies parts I and II. European Society of Veterinary Orthopaedics and Traumatology. Munich. pp 129-131 Smith G, Paster, ER., Powers, MY., Lawler, DF., Biery, DN., Shofer, FS., McKelvie, PJ., Kealy, RD (2006) Lifelong diet restriction and radiographic evidence of osteoarthritis of the hip joint in dogs. Journal of American Veterinary Medical Association 229, 690-693


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Trattamento delle riacutizzazioni dell’osteoartrite nel cane anziano Eithne J. Comerford MVB, PhD, CertVR, CertSAS, MRCVS, Liverpool, UK

Una riacutizzazione dell’osteoartrite (OA) è caratterizzata da dolore episodico e può essere provocata da una varietà di eventi quali attività eccessiva o, paradossalmente, in seguito a periodi prolungati di inattività in un paziente con OA cronica. Il trattamento iniziale dei cani e dei gatti con riacutizzazioni dell’OA è basato su un’associazione di analgesia e modificazione dell’esercizio fisico. Il trattamento secondario di questi cani/gatti consiste poi in controllo del peso, continua modificazione dell’esercizio, fisioterapia, diete specifiche per le patologie articolari ed integrazione nutrizionale (Schulz, 2006).

sa/12 kg tid) è stato utilizzato nei cani refrattari ai FANS; si ritiene che il paracetamolo possa avere una modalità d’azione contro un isoenzima centrale della COX, la COX-3. Nel trattamento del dolore acuto si possono usare anche i cerotti transdermici al fentanil (2-5 mg/kg/ora), che però richiedono 24 ore per raggiungere livelli plasmatici adeguati e, se vengono coperti o tagliati (in caso di impiego nei cani di piccola taglia o nel gatto) determinano un apporto di farmaco imprevedibile.

2) Modificazione dell’esercizio Scopi del trattamento ideale del paziente con osteoartrite: • Eliminare il dolore e l’infiammazione • Migliorare la funzione articolare • Eliminare le cause sottostanti della OA • Arrestare la progressione della OA

TRATTAMENTO INIZIALE DELLE RIACUTIZZAZIONI: 1) Analgesia e trattamenti farmacologici Nei cani e nei gatti con riacutizzazioni è necessario adottare un approccio multimodale all’analgesia. Questo è spesso costituito da un’associazione di FANS, oppiacei, paracetamolo/codeina (se i cani sono refrattari ai FANS). La modalità d’azione dei moderni FANS (carprofen, meloxicam, deracoxib, tepoxalin) comporta una riduzione della prostaglandina proinfiammatoria (PGE2) attraverso l’inibizione della ciclossigenasi-2 (COX-2). Nei casi che non rispondevano alla terapia con FANS sono stati utilizzati i glucocorticoidi (corticosteroidi), che però hanno maggiori effetti collaterali e devono essere utilizzati con cautela nel trattamento dell’OA. Gli oppiacei come il fentanil e la buprenorfina si possono impiegare nelle riacutizzazioni dell’osteoartrite se è necessaria un’analgesia più potente da ottenere mediante iniezione, per os (buprenorfina nel gatto) e per via transdermica. Il tramadolo, un farmaco oppioidergico/dopaminergico, è un derivato di sintesi della codeina ed esercita la propria azione a livello dei recettori oppiacei mu. È stato utilizzato per il trattamento del dolore oncologico e muscoscheletrico nel cane alla dose di 2-5 mg/kg tid qid. È stato impiegato nel gatto, ma può causare segni neurologici (Lascelles, 2007). Si trova anche in associazione con il paracetamolo. Il paracetamolo/codeina (Pardale V, Martindale) (1 compres-

La modificazione dell’esercizio è molto importante nel mantenimento della funzione articolare e del movimento negli animali con OA. Consiste inizialmente nel ridurre e poi gradualmente nell’aumentare le normali attività del cane. Questi pazienti con riacutizzazione devono essere trattati con un esercizio limitato ed a bassa intensità, come le passeggiate al guinzaglio e brevi periodi controllati di esercizio senza guinzaglio ed analgesici. Presso la nostra clinica di solito si consiglia un programma di aumento progressivo dell’esercizio, iniziando con 5 minuti tre volte al giorno ed aumentando di 5 minuti 3-4 volte al giorno per 4-6 settimane inizialmente. Si deve dare ai proprietari una pianificazione scritta dell’esercizio d svolgere nell’arco di 4-8 settimane. Prima e dopo le sessioni di esercizio si può utilizzare una terapia con caldo e freddo. Nel gatto ciò può comportare la necessità di chiudere l’animale in una piccola stanza dove non possa compiere dei salti e nella quale vengano poi introdotti nell’arco delle successive 4-6 settimane dei piccoli ostacoli o dei ripiani di altezza non elevata.

TRATTAMENTO SECONDARIO/ CONTINUATO DELLE RIACUTIZZAZIONI Alcuni chirurghi ortopedici suggeriscono di tenere un diario o una scheda con cui i proprietari possono monitorare i progressi del loro cane e documentare il regime di attività svolto ed i farmaci somministrati. I passi principali nel trattamento secondario/continuato dei pazienti con OA sono rappresentati da: • Controllo del peso • Modificazione continuata dell’esercizio • Modificazione dell’ambiente (soprattutto nel gatto) • Analgesia e farmaci (compresi i condroprotettori ed i nutraceutici)


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• Nuovi progressi come le diete speciali (Hill’s Prescription diet Canine j/d)

Controllo del peso L’obesità è stata identificata come una delle cause che contribuiscono a determinate affezioni ortopediche come la discopatia intervertebrale e le patologie del legamento crociato (Brown, 1996). È stato dimostrato che la perdita di peso riduce i segni clinici associati alla OA e uno studio sull’assunzione dietetica nell’arco della vita ha evidenziato una riduzione dei segni clinici associata a displasia dell’anca in cani ad alto rischio sottoposti a restrizione dietetica (Smith, 2006). Per ottenere una perdita di peso nei nostri pazienti: • Prima di instaurare un programma di dimagramento è utile per effettuare un esame clinico completo, con i profili ematologici e sierologici di routine, per escludere ogni altra affezione complicante. • Si deve determinare il punteggio di condizione corporea (BCS, body condition score) dei pazienti e fissare un valore da raggiungere (2,5/5 oppure 4,5/9). Cercare di ottenere una perdita di peso dell’1-2% alla settimana nell’arco di 15-20 settimane. • Può essere utile rivolgersi ad un consulente nutrizionale e ed utilizzare delle specifiche Prescription Diet per il controllo delle calorie come la Hill’s Prescription Diet Canine/Feline r/d, che può essere utilizzata come alternativa in questi programmi di dimagramento. • In primo luogo è bene eliminare tutte le ghiottonerie, ridurre la quantità di cibo offerta, soprattutto se il paziente è sottoposto ad una restrizione dell’esercizio, ed aumentare il volume dei pasti aggiungendo vegetali cotti. • Si devono consigliare visite regolari presso uno specialista del controllo del peso degli animali o incontri con un membro del vostro team appositamente designato a questo compito.

Modificazione continuata dell’esercizio Dopo le prime 4-6 settimane di restrizione dell’esercizio, con aumenti di 5 minuti alla settimana, è bene continuare l’attività incoraggiando lo svolgimento di brevi periodi di lavoro senza guinzaglio. Nel paziente con osteoartrite sono più utili le attività a basso impatto (nuoto, passeggiate al guinzaglio) che quelle ad alto impatto (corsa, salti). L’idroterapia sembra essere un mezzo eccellente per far fare esercizio ai cani con OA ed altre lesioni ortopediche/spinali, tuttavia sino ad oggi solo poche sperimentazioni cliniche ne hanno dimostrato l’efficacia scientifica. La fisioterapia è un settore in rapido sviluppo e sino ad oggi non sono state presentate prove specifiche relative all’esito a lungo termine ottenuto con questa modalità di trattamento. I proprietari devono recarsi soltanto presso i centri di trattamento con terapisti qualificati. Le modalità fisiche che possono venire utilizzate per la riabilitazione dei pazienti con OA sono rappresentate da massaggio, crioterapia, ecografia ed agopuntura.

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Modificazioni dell’ambiente Questo tipo di intervento risulta particolarmente indicato per i gatti con OA. Può essere utile realizzare delle rampe che permettano agli animali di salire sui davanzali o raggiungere altri luoghi preferiti dove i gatti amano saltare. Può anche essere il caso di modificare l’ambiente in modo che i gatti debbano superare dei lievi dislivelli o ostacoli per ottenere il cibo, al fine di incoraggiare l’attività. Ci si può attendere la necessità di somministrare analgesici ai gatti durante questo periodo di aumento dell’attività.

Analgesia e trattamenti farmacologici (vedi sopra) (compresi i condroprotettori ed i nutraceutici) Altri agenti farmacologici come gli “agenti modificatori di malattia nell’OA” (DMOA, disease modifying agents of OA) e i nutraceutici sono stati utilizzati ampiamente sia nell’uomo che negli animali, ma si hanno scarse prove scientifiche della loro efficacia clinica. I DMOA sono rappresentati da farmaci come il pentosanpolisolfato ed il sodio ialuronato. I nutraceutici comprendono glucosamina ed acidi grassi (FA). Questi ultimi possono essere distinti in omega-3 (N3) o omega-6 (N6). Questi composti possono contribuire a ridurre la produzione di prostaglandine infiammatorie. Il rapporto fra acidi grassi N3:N6 è risultato importante per il suo ruolo antinfiammatorio nelle diete del cane studiate per i pazienti con OA. Le associazioni di glucosamina/condroitinsolfato possono avere lievi effetti antinfiammatori nel gatto. Altri farmaci come l’amantadina e l’amitriptilina possono risultare utili in aggiunta ai FANS per la terapia del dolore cronico (Laschelles, 2007).

Nuovi progressi come le diete speciali (Hills Prescription diet Canine j/d) (vedi relazione sul trattamento nutrizionale) Per il trattamento nutrizionale dei cani con OA si possono utilizzare le Prescription Diet come la Hills Canine j/d. Questa dieta è stata lanciata circa 2 anni fa ed è specificamente studiata per i cani affetti da OA con più di 12 mesi di età. Il rapporto di acidi grassi omega 6:3 in questa dieta è inferiore ad 1:1; inoltre, è presente l’acido grasso N3 eicosapentenoico (EPA). Gli eicosanoidi derivati dall’EPA sono meno proinfiammatori di quelli derivati dall’acido arachidonico (AA). Studi in vitro hanno dimostrato che l’EPA è l’unico acido grasso N3 capace di diminuire la perdita di aggrecani in un modello di cartilagine canina. Studi clinici hanno indicato che la Hills Canine j/d ha contribuito a migliorare i segni clinici in uno studio multicentrico su pazienti con OA in base alle misurazioni effettuate dai proprietari, all’esame ortopedico ed all’analisi dell’andatura a 45 e 90 giorni dopo l’inizio dello studio (Schoenheerr, 2005). Quando viene consumata da animali che vengono contemporaneamente


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trattati con una terapia di mantenimento con FANS come il carprofen, questa dieta può anche consentire di diminuirne il dosaggio (Allen, 2006).

Educazione del cliente In ultima analisi, al trattamento dell’osteoartrite nei cani contribuisce la corretta informazione del cliente su questo problema. È bene che i proprietari sappiano che i loro animali con osteroartrite possono essere trattati con modalità farmacologiche, fisiche, dietetiche e chirurgiche per assicurare loro una buona qualità della vita. Nell’uomo, la terapia con FANS si è dimostrata dotata di un modesto effetto sulla riduzione del dolore (2030%), per cui è essenziale che nel trattamento dei pazienti con OA vengano impiegate altre modalità terapeutiche non farmacologiche.

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Bibliografia Allen T (2006) A Multi-Center Practice Based study of a Theraputic Food and a Non-Steroidal Anti-inflammatory drug in Dogs with osteoarthritis. 2nd World Veterinary Orthopaedic Congress and 33rd Annual VOS Meeting. Keystone, Colorado, US. p 4 Brown D, Conzemius, MG., Shofer, FS., (1996) Bodyweight as a predisposing factor for humeral condylar fractures, crcnail cruciate ligament rupture and intervertebral disc disease in Cocker Spaniels. Veterinary Comparative Orthopaedics and Traumatology 9, 75-78 Lascelles BDX (2007) Top tips for feline analgesia. British Small Animal Veterinary Association. Birmingham. pp 238-242 Schoenherr WD (2005) Fatty Acids and Evidence Based Dietary management of Canine Osteoarthritis. Hill’s European Symposium on Osteoarthritis and Joint Health. Genoa. pp 54-59 Schulz K (2006) Medical management of OA-contemporary clinical strategies parts I and II. European Society of Veterinary Orthopaedics and Traumatology. Munich. pp 129-131 Smith G, Paster, ER., Powers, MY., Lawler, DF., Biery, DN., Shofer, FS., McKelvie, PJ., Kealy, RD (2006) Lifelong diet restriction and radiographic evidence of osteoarthritis of the hip joint in dogs. Journal of American Veterinary Medical Association 229, 690-693


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Elbow dysplasia and osteoarthritis in dogs and cats Eithne J. Comerford MVB, PhD, CertVR, CertSAS, MRCVS, Liverpool, UK

Elbow osteochondrosis is a common cause of forelimb lameness in rapidly growing medium to large breed dogs and manifests itself in a variety of different conditions (all listed below). The condition has been shown to have a hereditary basis in certain breeds and therefore one should advise against using affected dogs for breeding if the diagnosis is confirmed. The incidence of each condition is quoted (based on a review of 253 cases) (Denny, 1995): ■ Fragmentation of the medial coronoid process (53%) ■ OCD of the medial humeral condyle (25%) ■ OCD of the medial humeral condyle and fragmented coronoid process (12%) ■ Ununited anconeal process (7%)

must rule out other diseases common in this age and breed range (e.g. UAP and OCD). • Radiography: Flexed mediolateral (ML) and craniocaudal (CC) radiographs of both elbows should be taken in all suspect cases (some authors suggest a Cr15L-CdMO view). One should look for the appearance of osteophytes at typical sites - proximal border of the anconeal process, cranial aspect of the radial head, semi-lunar notch, and humeral epicondyles. • Magnetic resonance imaging (MRI) and CT have been shown to be very sensitive for the diagnosis of FCP when compared with surgical findings. • Arthroscopy/Arthrotomy is the gold standard in the diagnosis of FCP

a) Fragmentation of the medial coronoid process (FCP)

Treatment of the condition is controversial: Conservative treatment (6-8 weeks of restricted on-lead exercise, weight management, physical therapy and medical management) may result in 50% of dogs improving over 2-3 months (Read, 1990). Surgical treatment did commonly involve removal of loose fragments with a medial arthrotomy but in the last few years arthroscopically guided removal of the fragment has become more popular. Controversy exists on whether arthroscopy is superior to arthrotomy on terms of morbidity and long term outcome (Bubenik, 2002, MeyerLindenberg, 2003) and all dogs will develop OA regardless of treatment. Post-operatively dogs should be rested with increasing on-lead exercise for 4-6 weeks following surgery.

This is a very common cause of elbow lameness especially in growing medium to large dog breeds such as Labrador and Golden Retrievers, Rottweilers and Bernese Mountain Dogs. Aetiopathogenesis: Current theories on this condition relate to radioulnar incongruity (short radius) whereby the medial part of the coronoid process of the ulna sits just proximal to the radial head where it is subject to shearing forces from the distal humerus and fractures/fragments (Wind, 1986a). Other theories proposed for the cause of FCP include osteochondrosis and humeroulnar incongruity (Wind, 1986b). Microcrack formation leading to fragmentation of the process and loose fragments of cartilage may also play a role in this condition (Danielson, 2006). Radiography has been shown to unreliable in assessing elbow joint incongruity (Mason, 2002) and recent studies have focussed on the use of computed tomography (CT) in its diagnosis (Gemmill, 2006, Kramer, 2006). Clinical signs: Most dogs show lameness at 5-6 months of age. The condition is commonly bilateral thus the lameness may be subtle and the gait stilted. Clinical examination often shows pain on extension and outward rotation (supination) of the lower limb. Joint effusion may be present but is more obvious in when other manifestations of elbow dysplasia are present. Diagnosis is often one of exclusion because it is difficult to image the coronoid process because the radial head is superimposed. It has been shown that FCP is easier to diagnose in advanced cases (Meyer-Lindenberg, 2006). Thus one

b) OCD of the medial humeral condyle Aetiopathogenesis: OCD of the medial humeral condyle occurs most frequently in Labrador and Golden Retrievers and is usually bilateral. It is poorly understood but necrosis of the vascular channels within the articular–epiphyseal cartilage complex of the developing joint can lead to joint surface flap formation (Ekmann, 1998). It is usually identified in combination with FCP and medial compartment osteoarthritis (OA). The clinical signs are very similar to FCP. The diagnosis is made with ML, CC and/or oblique radiographs of the elbows where a defect in the subchondral bone (+/- mineralised cartilage flap) will be seen in the mid-point of the medial humeral condyle. Arthroscopy is useful in both the diagnosis and treatment of this condition. Treatment is by surgical curettage of the lesion via a medial arthrotomy or arthroscopy. The prognosis is fair/good if diagnosed and treated early.


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c) Ununited anconeal process (UAP) Aetiopathogenesis: The anconeal process develops as a separate centre of ossification in some breeds of dog such as the GSD. It appears at 10-13 weeks of age and is fused to the ulna by 18-20 weeks in normal animals (later in GSD than Greyhounds). UAP is failure of this fusion and is seen most often in the GSD (72% in one study (Meyer-Lindenberg, 2006)). It can also be caused by premature closure of the distal ulna growth plate (e.g. in the Bassett Hound) when the radial head exerts extreme pressure on the anconeal process via the humeral head (short ulna). Clinical signs: Affected animals are usually 4-5 months old. There is pain and reduced range of motion. The condition may be bilateral (40% of cases). Diagnosis is by fully flexed ML and CC radiographs. Looking for incongruity in the joint between the radius and the ulna is very subjective with radiography (Mason, 2002). Treatment: Conservative treatment: exercise moderation and medical management for 4-6 weeks. If non-responsive or in more severe cases then surgical treatment should be considered, many techniques are described and to date none have been proven superior to another, They broadly include: removal of the anconeal process, osteotomy of the proximal ulna and fixation of the anconeal process with lagged screw.

MANAGEMENT OF ED/OA IN THE OLD PATIENT All of the manifestations of elbow dysplasia will result in OA in the older dog referred to be some authors as “medial compartment disease” however this may not present as a clinical problem. Management of these cases can be broadly divided in to medical and surgical management. The elbow was the most frequently affected joint in a prospective study of cats with feline OA (Clarke, 2006). Medical management consists of weight management, exercise modification, physical therapy, joint specific diets, non-steroidal anti-inflammatory drugs (NSAIDs) and nutritional supplementation (Schulz, 2006) (see lecture). Surgical management consists of elbow arthroscopy (+ FCP removal if present) and joint lavage, osteochondral

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autogenous transfer, total elbow replacement (TER) and elbow arthrodesis (see lecture).

References Bubenik L, Johnson, SA., Smith, MM., Howard, RD., Braodstone, RV. (2002) Evaluation of Lameness Associated With Arthroscopy and Arthrotomy of the Normal Canine Cubital Joint. Veterinary Surgery 31, 23-31 Danielson K, Fitzpatrick, N., Muir, P., Manley, PA. (2006) Histomorphometry of Fragmented Medial Coronoid Process in Dogs: A Comparison of Affected and Normal Coronoid Processes. Veterinary Surgery 35, 501-509 Denny H (1995) Elbow dysplasia-conservative and surgical treatment. VI Nordic Syposium on Small Animal Disease together with XXX Annual Meeting of the Finnish Assoication of Veterinary Pracitioners. Naabtali Finland. pp 17-19 Ekmann SC, S (1998) The pathophysiology of osteochondrosis. Veterinary Clinics of North America: Small Animal Practice 28, 17-32 Gemmill T., Hammond, G., Mellor, D., Sullivan, M., Bennett, D., Carmichael, S. (2006) Use of reconstructed computed tomography for the assessment of joint spaces in the canine elbow. Journal of Small Animal Practice 47, 66-74 Kramer A, Holsworth, I., Wisner, E., Kass, P., Schulz, K. (2006) Computed Tomographic Evaluation of Canine Radiolulnar Incongruence In Vivo. Veterinary Surgery 35, 24-29 Mason D, Schulz, KS, Samii, VF, Fujita, Y, Hornof, WJ, Herrgesell, EJ, Long, CD, Morgan, JP, Kass, PH (2002) Sensitivity of radiographic evaluation of radio-ulnar incongruence in the dog in vitro. Veterinary Surgery 31, 125-132 Meyer-Lindenberg A, Fehr, M., Nolte, I. (2006) Co-existence of ununited aconeal process and fragmented medial coronoid process of the ulna in the dog. Journal of Small Animal Practice 47, 61-65 Meyer-Lindenberg A, Langhann, A., Fehr, M., Nolte, I. (2003) Arthrotomy versus arthroscopy in the treatment of the fragmented medial coronoid process of the ulna in 421 dogs. Veterinary Comparative Orthopaedics and Traumatology 16, 204-210 Read R, Armstrong, SJ., O’Keefe, JD., Eger, CE. (1990) Fragmentation of the medial coronoid process of the the ulna in dogs: A study of 109 cases. Journal of Small Animal Practice 31, 330-334 Schulz K (2006) Medical management of OA-contemporary clinical strategies parts I and II. European Society of Veterinary Orthopaedics and Traumatology. Munich. pp 129-131 Wind A (1986a) Elbow incongruity and developmental elbow diseases in the dog. 1. Journal of the American Animal Hosptial Association 22, 711-724 Wind A, Packard, ME (1986b) Elbow incongruity and developmental elbow diseases in the dog. 2. Journal of the American Animal Hosptial Association 22, 725-730


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Trattamento della displasia e dell’osteoartrite del gomito nel cane e nel gatto Eithne J. Comerford MVB, PhD, CertVR, CertSAS, MRCVS, Liverpool, UK

L’osteocondrosi del gomito è una causa comune di zoppia dell’arto anteriore nei cani in rapido accrescimento delle razze di media e grossa taglia e si manifesta con una varietà di condizioni differenti (tutte elencate più oltre). È stato dimostrato che la malattia riconosce una base ereditaria in certe razze e quindi si deve sconsigliare l’impiego dei cani colpiti per la riproduzione se la diagnosi viene confermata. Viene riportata l’incidenza di ciascuna condizione (sulla base di una rassegna di 253 casi) (Denny, 1995). • Frammentazione del processo coronoideo mediale (53%) • OCD del condilo omerale mediale (25%) • OCD del condilo omerale mediale e frammentazione del processo coronoideo (12%) • Non unione del processo anconeo (7%)

a) Frammentazione del processo coronoideo mediale (FCP) si tratta di una causa molto comune di zoppia del gomito, in particolare nei cani in accrescimento di media e grossa taglia appartenenti a razze come il Labrador ed il Golden retriever, il Rottweiler e il Bovaro bernese. Eziopatogenesi: Le attuali teorie su questa condizione sono correlate all’incongruenza radio ulnare (radio corto) in cui la parte mediale del processo coronoideo dell’ulna si trova appena prossimalmente alla testa del radio, dove è soggetta a forze di taglio dall’estremità distale dell’omero e fratture/frammenti (Wind, 1986a). Altre teorie, proposte per spiegare la causa della FCP, sono rappresentate dall’osteocondrosi e dall’incongruenza omeroulnare (Wind, 1986b). Anche la formazione di microfenditure che porta alla frammentazione del processo ed al distacco di frammenti di cartilagine può svolgere un ruolo in questa condizione (Danielson, 2006). La radiografia si è dimostrata inaffidabile nella valutazione dell’incongruenza dell’articolazione del gomito (Mason, 2002) e recenti studi hanno focalizzato l’attenzione sull’uso della tomografia computerizzata (TC) per la sua diagnosi (Gemmill, 2006, Kramer, 2006).

l’arto inferiore. Può essere presente un versamento articolare, che però è più evidente quando sono in atto altre manifestazioni di displasia del gomito. La diagnosi viene spesso formulata per esclusione perché è difficile visualizzare il processo coronoideo, a causa della sovrapposizione della testa del radio. È stato dimostrato che la FCP è più facile da diagnosticare nei casi avanzati (Meyer-Lindenberg, 2006). Quindi, è necessario escludere altre malattie comuni in questa fascia di età e di razza (ad es., UAP e OCD). • Radiografia: In tutti i casi sospetti vanno riprese le radiografie in flessione in proiezione mediolaterale (ML) e craniocaudale (CC) di entrambi i gomiti (alcuni autori suggeriscono una proiezione Cr15L-CdMO). È necessario ricercare la comparsa di osteofiti nelle sedi tipiche – margine prossimale del processo anconeo, faccia craniale della testa del radio, incisura semilunare ed epicondili omerali. • La risonanza magnetica e la tomografia computerizzata si sono dimostrate molto sensibili per la diagnosi della FCP in confronto ai riscontri chirurgici. • Lo standard aureo per la diagnosi della FCP è l’artroscopia/artrotomia. Il trattamento della condizione è controverso: il Trattamento conservativo (6-8 settimane di restrizione dell’esercizio al guinzaglio, controllo del peso, fisioterapia e terapia medica) può esitare in un miglioramento del 50% dei cani nell’arco di 2-3 mesi (Read, 1990). Il trattamento chirurgico comportava comunemente la rimozione dei frammenti lassi attraverso un’artrotomia mediale, ma negli ultimi anni è diventata più popolare la rimozione del frammento sotto guida artroscopica. Gli autori non concordano nel decidere se l’artroscopia sia superiore all’artrotomia in termini di morbilità ed esito a lungo termine (Bubenik, 2002, Meyer-Lindenberg, 2003) e tutti i cani sviluppano una OA indipendentemente dal trattamento. Nel periodo postoperatorio gli animali devono essere tenuti a riposo con progressivo aumento dell’esercizio al guinzaglio per 4-6 settimane dopo l’intervento.

b) OCD del condilo omerale mediale Segni clinici: La maggior parte dei cani mostra una zoppia all’età di 5-6 mesi. La condizione è comunemente bilaterale, per cui la zoppia può essere poco evidente con andatura a passi corti. L’esame clinico mostra spesso dolore all’estensione ed alla rotazione verso l’esterno (supinazione) del-

Eziopatogenesi: L’OCD del condilo omerale mediale si ha più frequentemente nel Labrador e nel Golden retriever e di solito è bilaterale. È poco conosciuta, ma la necrosi dei canali vascolari all’interno del complesso cartilagineo articolare-


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epifisario dell’articolazione in via di sviluppo può portare alla formazione di un lembo sulla superficie articolare (Ekmann, 1998). Di solito viene identificato in associazione con la FCP e l’osteoartrite (OA) del comparto mediale. I segni clinici sono molto simili alla FCP. La diagnosi viene formulata mediante radiografie in proiezione ML, CC e/o obliqua dei gomiti, dove si osserva un difetto dell’osso subcondrale (lembo cartilagineo più o meno mineralizzato) nel punto intermedio del condilo omerale mediale. Sia per la diagnosi che il trattamento di questa condizione risulta utile l’artroscopia. Il trattamento si esegue mediante curettage chirurgico della lesione attraverso un’artrotomia o un’artroscopia mediale. La prognosi è discreta/buona in caso di diagnosi e trattamento precoce.

non costituire un problema clinico. Il trattamento di questi casi può essere suddiviso, a grandi linee, in medico e chirurgico. Il gomito era l’articolazione più frequentemente colpita in uno studio condotto su gatti con OA (Clarke, 2006). Il trattamento medico consiste in controllo del peso, modificazione dell’esercizio, fisioterapia, diete specifiche per le affezioni articolari, farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) ed integrazione nutrizionale (Schulz, 2006) (vedi relazione). Il trattamento chirurgico consiste in artroscopia del gomito (+ rimozione del FCP se presente) e lavaggio articolare, trasferimento osteocondrale autogeno, sostituzione totale del gomito (TER, total elbow replacement) ed artrodesi del gomito (vedi relazione).

c) Non unione del processo anconeo (UAP)

Bibliografia

Eziopatogenesi: Il processo anconeo si sviluppa da un centro di ossificazione separato in alcune razze di cani come il Pastore tedesco. Compare all’età di 10-13 settimane e negli animali normali risulta fuso all’ulna a partire da 18-20 settimane (più tardi nel pastore tedesco che nei Levrieri). Quando questa fusione non avviene si ha la UAP, che si osserva più spesso nel Pastore tedesco (72% in uno studio (Meyer-Lindenberg, 2006)). Può anche essere causata dalla chiusura prematura della cartilagine di accrescimento distale dell’ulna (ad es., nel Basset-hound) quando la testa del radio esercita una estrema pressione sul processo anconeo attraverso la testa dell’omero (ulna breve). Segni clinici: Gli animali colpiti hanno di solito 4-5 mesi di età. Si riscontra la presenza di dolore e riduzione dell’escursione articolare. La condizione può essere bilaterale (40% dei casi). La diagnosi viene formulata mediante radiografie in proiezione ML in completa flessione e CC. La ricerca di incongruenze nell’articolazione fra radio e ulna è molto soggettiva con le radiografie (Mason, 2002). Trattamento: Trattamento conservativo: moderazione dell’esercizio e terapia medica per 4-6 settimane. Se il soggetto non risponde o nei casi più gravi si deve prendere in considerazione il trattamento chirurgico; sono state descritte molte tecniche e, fino ad oggi, nessuna si è dimostrata superiore alle altre. A grandi linee, queste metodiche consistono in: rimozione del processo anconeo, osteotomia del tratto prossimale dell’ulna e fissazione del processo anconeo con viti a compressione.

TRATTAMENTO DELLA ED/OA NEL PAZIENTE ANZIANO Tutte le manifestazioni della displasia del gomito (ED) esitano in OA nel cane anziano, indicate da alcuni autori come “malattia del comparto mediale”; tuttavia, questo può

Bubenik L, Johnson, SA., Smith, MM., Howard, RD., Braodstone, RV. (2002) Evaluation of Lameness Associated With Arthroscopy and Arthrotomy of the Normal Canine Cubital Joint. Veterinary Surgery 31, 23-31 Danielson K, Fitzpatrick, N., Muir, P., Manley, PA. (2006) Histomorphometry of Fragmented Medial Coronoid Process in Dogs: A Comparison of Affected and Normal Coronoid Processes. Veterinary Surgery 35, 501-509 Denny H (1995) Elbow dysplasia-conservative and surgical treatment. VI Nordic Syposium on Small Animal Disease together with XXX Annual Meeting of the Finnish Assoication of Veterinary Pracitioners. Naabtali Finland. pp 17-19 Ekmann SC, S (1998) The pathophysiology of osteochondrosis. Veterinary Clinics of North America: Small Animal Practice 28, 17-32 Gemmill T., Hammond, G., Mellor, D., Sullivan, M., Bennett, D., Carmichael, S. (2006) Use of reconstructed computed tomography for the assessment of joint spaces in the canine elbow. Journal of Small Animal Practice 47, 66-74 Kramer A, Holsworth, I., Wisner, E., Kass, P., Schulz, K. (2006) Computed Tomographic Evaluation of Canine Radiolulnar Incongruence In Vivo. Veterinary Surgery 35, 24-29 Mason D, Schulz, KS, Samii, VF, Fujita, Y, Hornof, WJ, Herrgesell, EJ, Long, CD, Morgan, JP, Kass, PH (2002) Sensitivity of radiographic evaluation of radio-ulnar incongruence in the dog in vitro. Veterinary Surgery 31, 125-132 Meyer-Lindenberg A, Fehr, M., Nolte, I. (2006) Co-existence of ununited aconeal process and fragmented medial coronoid process of the ulna in the dog. Journal of Small Animal Practice 47, 61-65 Meyer-Lindenberg A, Langhann, A., Fehr, M., Nolte, I. (2003) Arthrotomy versus arthroscopy in the treatment of the fragmented medial coronoid process of the ulna in 421 dogs. Veterinary Comparative Orthopaedics and Traumatology 16, 204-210 Read R, Armstrong, SJ., O’Keefe, JD., Eger, CE. (1990) Fragmentation of the medial coronoid process of the the ulna in dogs: A study of 109 cases. Journal of Small Animal Practice 31, 330-334 Schulz K (2006) Medical management of OA-contemporary clinical strategies parts I and II. European Society of Veterinary Orthopaedics and Traumatology. Munich. pp 129-131 Wind A (1986a) Elbow incongruity and developmental elbow diseases in the dog. 1. Journal of the American Animal Hosptial Association 22, 711-724 Wind A, Packard, ME (1986b) Elbow incongruity and developmental elbow diseases in the dog. 2. Journal of the American Animal Hosptial Association 22, 725-730


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Current thoughts on canine cranial cruciate ligament disease Eithne J. Comerford MVB, PhD, CertVR, CertSAS, MRCVS, Liverpool, UK

INTRODUCTION The cranial cruciate ligament (CCL) is the major contributor to craniocaudal stability of the canine stifle (Arnoczky, 1977). Disease and rupture of CCL is the most common cause of hindlimb lameness in the dog (Bennett, 1988). CCL injury occurs less frequently in the cat but is not uncommon (Scavelli, 1987). Despite this it is still a poorly understood disease and the subject of much debate amongst veterinary orthopaedic surgeons. The condition is often bilateral and, in such case, it must be differentiated from bilateral hip disease, lumbosacral disease and neurological disease.

CCL Anatomy and Physiology: The CCL originates on the caudomedial aspect of the lateral condyle and inserts on the craniomedial aspect of the tibia just caudal and underneath the intermeniscal ligament. The CCL has two distinct functional bands - a craniomedial band and a caudolateral band. The craniomedial band is taut when the joint is in flexion and extension, whereas the caudolateral band is taut in extension only. The amount of cranial drawer movement present in a stifle will depend on the state of these two bands since a partial tear can affect them to differing degrees. When we are testing a stifle joint for instability we should try and elicit cranial drawer with the joint in flexion and extension.

Cranial tibial thrust: The stifle is subjected to external ground reaction forces when weight bearing and internal forces such as muscle contraction. The quadriceps/gastrocnemius muscles exert a cranial force and the hamstrings/biceps femoris exert a caudal force. The combinations of these forces generate a cranially directed shear force in the tibia called cranial tibial thrust (Slocum Slocum, 1993). It has been shown that the larger the tibial plateau angle (TPA), the greater the tibial thrust (Warzee, 2001).

Aetiopathogenesis: CCL rupture is commonly a degenerative condition (cruciate disease) rather than purely traumatic, this is important in term of the diagnosis and management of this condition. The aetiopathogenesis is still poorly understood but several theories exist such as abnormal conformation and gait, intercondylar notch abnormalities, tibial plateau angle (Macias, 2002, Read, 1982), immune-mediated disease

(Bariet al, 1989), obesity, collagen degradation (Comerford, 2005, Hayashiet al, 2003) and patellar luxation.

Diagnosis of cruciate disease: Signalment: Any breed of dog or cat can present with this condition but medium to large breed dogs are over represented. History and clinical signs/examination- should indicate the affected limb and may give us a high index of suspicion of condition in the consulting room, but further diagnostic tests may be necessary. Presentation is usually acute after a period of chronic or insidious signs. Examine for atrophy of the quadriceps muscle mass, range of motion, joint click, joint effusion and medial buttress. Other tests include tibial thrust and cranial draw tests, radiography, arthrocenthesis, arthroscopy, scintigraphy and MRI.

Treatment of cruciate disease: Very controversial and most orthopaedic surgeons have their own preferred treatment plan. The key features that influence decision-making are lameness, bodyweight, expertise and equipment, meniscal pathology, femorotibial pathology, immune-mediated disease, response to previous treatment. In general, conservative management is advocated in dogs < 15kg (Vasseur, 1984) (but late meniscal injury (LMI) has been reported to be over-represented in small dogs (Metelman, 1995) and surgical management for dogs > 15kg. Conservative management: Useful in small dogs < 15kg, where lameness is mild and intermittent, if there is a systemic condition which contraindicates surgery, or financial constraints. The most important aspects of management are weight restriction, exercise regulation, analgesia, and (hydrotherapy). 85% will have satisfactory outcome with conservative management (Vasseur, 1984) but may have a quicker recovery with surgical treatment. Surgical management: The main aims of surgery are to restore stability to the femorotibial joint, to remove any damaged structures (e.g. CCL and medial meniscal tears) and to reduce tibial thrust. These aims can be achieved by loosely dividing all reported procedures into three different types of techniques. 1. Intra-articular: restores stability by replacing ligament with some type of graft (e.g. modified “over –the-top” (OTT) technique with a fascia lata graft).


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2. Extra-articular: restores stability by using sutures or soft tissues as a sling (e.g. Fabellotibial suture with Leader line nylon). 3. Peri-articular: Alter local anatomy to improve stability e.g. TPLO or fibular head transposition (FHT)). The aim of the tibial wedge osteotomy or tibial plateau leveling osteotomy is to reduce the TPA and thus reduce the cranial thrust. With both techniques the TPA is reduced to 6 degrees (Warzee, 2001). Tibial tuberosity advancement (TTA) is a procedure, which is currently being used at the University of Liverpool in some patients with CCL disease as part of an ongoing clinical trial. The procedure is based on the theory that the total joint force runs nearly parallel to the patellar ligament. Therefore advancement of the tibial insertion of the patellar ligament should reduce the tibiofemoral shear forces generated between the tibial plateau and the patellar ligament leaving the CCL unloaded. Anecdotal reports of this procedure report good short and long term outcomes but objective, long term follow- ups of patients have yet to be published. Post-operative management: The patient should be restricted (+NSAIDs) until suture removal at 7-10 days post-op and should be lead exercised with gradual increase over the following 8-12 weeks. Recent studies advocate the use of hydrotherapy, stretching and passive range of motion exercises as well as walking in the rehabilitation of patient after surgical management of a CCL injury (Marsolais, 2002). Prognosis: Whilst most papers on treatment of cruciate disease will give success rates between 85% and 90%, these ‘successes’ will include dogs with continuing mild intermittent lameness. However, all dogs have some degree of osteoarthritis and therefore there are clearly unknown factors producing this variability in outcome. It is wise to warn owners that maximal recovery will not be evident until 12-16 weeks (or more) following surgery with most techniques.

Meniscal injuries Anatomy: The menisci are anchored to the tibia and femur by five ligaments and to one another by the intermeniscal ligament. The medial meniscus has an attachment to the medial collateral ligament which renders it less mobile and consequently more prone to damage associated with cranial cruciate ligament insufficiency and craniocaudal instability of the tibia with respect to the femur. Aetiopathogenesis: It is thought that the medial meniscus becomes trapped and injured by rotation of the femoral condyles at full extension during stance. This can occur with rupture of the CCL, which is when we see most injuries to the medial meniscus. The lateral meniscus, being more mobile, is less likely to become trapped. There are a variety of meniscal injuries and these have been classified by Bennett and May (1991).

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The incidence of meniscal injury in CCL varies amongst published papers (49-53%) but it seems more common in chronic cases and heavier dogs. “Late-meniscal” injury (meniscal damage to a normal meniscal following surgery) occurs a period of time after CCL surgery and can occur in 14% of cases depending on surgical technique used (Metelman, 1995). Clinical signs: These dogs will present suddenly lame several weeks to months after initial CCL surgery. The joint may have an effusion and be unstable upon cranial draw test. It is imperative that meniscal lesions are identified and treated. A partial meniscectomy should be performed. The most common injuries are bucket handle tears and a fold of the caudal horn of the medial meniscus. These injuries are currently treated with a partial meniscectomy in our patients.

References Arnoczky SPM, J.L. (1977) The Cruciate Ligaments of the Canine Stifle: An Anatomical and Functional Analysis. American Journal of Veterinary Research. 38, 1807-1814 Bari ASM,Carter SD,Bell SC,Morgan KandBennett D (1989) Anti-type II collagen antibody in naturally occuring canine joint diseases. British Journal of Rheumatology. 28, 480-486 Bennett DT, B., Lewis, D.G, et al (1988) A reappraisal of anterior cruciate ligament disease in the dog. Journal of Small Animal Practice 29, 275-297 Comerford EJ, Tarlton, John F., Innes, John F., Johnson, Kenneth A., Amis, Andrew A., Bailey, Allen J. (2005) Metabolism and composition of the canine anterior cruciate ligament relate to differences in knee joint mechanics and prediposition to ligament rupture. Journal of Orthopaedic Research 23, 61-66 Hayashi K,Frank JD,Dubinsky C,Zhengling H,Markel MD,Manley PAandMuir P (2003) Histologic changes in ruptured canine cranial cruciate ligament. Vet Surg 32, 269-277. Macias C, McKee, W., May, C. (2002) Caudal proximal tibial deformity and cranial cruciate ligament rupture in small breed dogs. Journal of Small Animal Practice 43, 433-438 Marsolais G, Dvorak, G., Conzemius, MG. (2002) Effects of postoperative rehabilitation on limb function after cranial cruciate ligament repair in dogs. Journal of the American Veterinary Medical Association 222, 1325-1330 Metelman L, Schwarz, M., Salman, M., Alvis, MR (1995) An evaluation of three different cranial cruciate ligament surgical stabilization procedures as they relate to postoperative meniscal injuries: a retrospective study of 665 stifles. Veterinary and Comparative Orthopaedics and Traumatology 8, 118-123 Read RA, Robins, GM (1982) Deformity of the proximal tibia in dogs. Veterinary Record, 295-298 Scavelli T, Schrader, SC. (1987) Non-surgical management of rupture of cranial cruciate ligament in 18 cats. Journal of the American Animal Hospital Association 23, 337-340 Slocum BandSlocum TD (1993) Tibial plateau leveling osteotomy for repair of cranial cruciate ligament rupture in the canine. Vet Clin North Am Small Anim Pract 23, 777-795 Vasseur PB (1984) Clinical results following non-operative management of rupture of the cranial cruciate ligament in dogs. Veterinary Surgery 13, 243-246 Warzee C, Dejardin, LM., Arnoczky, SP., Perry, RL. (2001) Effects of tibial plateau levlling on cranial and caudal tibial thrusts in canine cranial cruciate-deficient stifles: an vitro experimental study. Veterinary Surgery 30, 278-286


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Recenti acquisizioni nella patogenesi delle lesioni del legamento crociato nel cane Eithne J. Comerford MVB, PhD, CertVR, CertSAS, MRCVS, Liverpool, UK

INTRODUZIONE Il legamento crociato craniale (CCL) è il principale fattore che contribuisce alla stabilità craniocaudale del ginocchio del cane (Arnoczky, 1977). La malattia e la rottura di questo legamento sono la causa più comune di zoppia dell’arto posteriore nel cane (Bennett, 1988). Il danneggiamento del CCL avviene meno frequentemente nel gatto, ma non è raro (Scavelli, 1987). Nonostante ciò, si tratta di una malattia ancora scarsamente sconosciuta ed oggetto di notevoli discussioni fra i chirurghi ortopedici veterinari. La condizione è spesso bilaterale e, in questo caso, va differenziata dalle forme bilaterali di patologia dell’anca, malattia lombosacrale ed affezioni neurologiche.

Anatomia e fisiologia del CCL Il CCL origina a livello della parte caudomediale del condilo laterale e si inserisce sul tratto caudomediale della tibia, appena caudalmente ed al di sotto del legamento intermeniscale. Il CCL presenta due distinte bande funzionali – una caudomediale ed una caudolaterale. La prima è tesa quando l’articolazione è in flessione e in estensione, mentre quella caudolaterale lo è soltanto in estensione. L’entità del movimento craniale del cassetto presente in un ginocchio dipende dallo stato di queste due bande, dal momento che entrambe possono essere interessate in grado variabile da una lacerazione parziale. Quando si valuta un’articolazione del ginocchio per accertarne l’instabilità, bisogna cercare di suscitare un movimento craniale del cassetto con l’articolazione in flessione ed estensione.

Spinta tibiale craniale Il ginocchio è soggetto alle forze di reazione esterne determinate dal suolo quando si trova sotto carico ed alle forze interne come la contrazione muscolare. I muscoli quadricipite/ gastrocnemio esercitano una forza craniale, mentre i tendini del ginocchio/muscolo bicipite femorale esercitano una forza caudale. Il risultato combinato di queste forze genera una forza di taglio diretta caudalmente a livello della tibia che viene detta spinta tibiale craniale (Slocum Slocum, 1993). È stato dimostrato che tale spinta craniale è tanto maggiore quanto più è ampio l’angolo del plateau tibiale (TPA) (Warzee, 2001).

Eziopatogenesi: La rottura del CCL è comunemente una condizione degenerativa (malattia del crociato) piuttosto che puramente traumatica; ciò risulta importante sia dal punto di vista della dia-

gnosi che del trattamento di questa condizione. L’eziopatogenesi è ancora scarsamente compresa, ma esistono parecchie teorie, come quelle che fanno riferimento ad anomalie di conformazione ed andatura, alterazioni dell’incisura intercondiloidea, angolo del plateau tibiale (Macias, 2002, Read, 1982), malattia immunomediata (Bari et al, 1989), obesità, degradazione del collagene (Comerford, 2005, Hayashi et al, 2003) e lussazione rotulea.

Diagnosi di malattia del crociato: Segnalamento: qualsiasi razza di cani o gatti può presentare questa condizione, ma i cani di media e grossa taglia sono maggiormente colpiti. Anamnesi e segni clinici/esame clinico – devono indicare l’arto colpito e possono giustificare un elevato indice di sospetto di questa condizione nella sala di visita, ma può essere necessario effettuare ulteriori prove diagnostiche. La presentazione è solitamente acuta dopo un periodo di segni clinici cronici o insidiosi. Si deve esaminare l’animale per valutare atrofia della massa muscolare del quadricipite, escursione articolare, click articolari, versamenti articolari e sostegno mediale. Altri test sono rappresentati dalle prove di spinta tibiale e del cassetto craniale, radiografia, artrocentesi, artroscopia, scintigrafia e risonanza magnetica.

Trattamento della malattia del crociato: Si tratta di un argomento molto controverso e la maggior parte dei chirurghi ortopedici ha le proprie preferenze circa il piano terapeutico. Le caratteristiche chiave che influiscono sul processo decisionale sono la zoppia, il peso corporeo, l’esperienza e le apparecchiature disponibili, la patologia del menisco, quella femorotibiale, la malattia immunomediata e la risposta ad un precedente trattamento. In generale, nei cani < 15 kg si consiglia una terapia conservativa (Vasseur, 1984) (ma è stato riferito che il danno meniscale tardivo (LMI, late meniscal injury) risulta maggiormente rappresentato nei cani di piccola taglia (Metelman, 1995)), mentre per i cani di peso superiore è indicato il trattamento chirurgico. Trattamento conservativo: è utile nei cani piccoli (< 15 kg) in cui la zoppia è lieve ed intermittente, se è presente una condizione sistemica che costituisca una controindicazione alla chirurgia oppure in caso di vincoli di natura economica. Gli aspetti più importanti del trattamento sono la restrizione del peso, la regolazione dell’esercizio, l’analgesia e (l’idroterapia). L’85% dei casi presenta un esito soddisfacente con un trattamento conservativo (Vasseur, 1984), ma può guarire più rapidamente con quello chirurgico.


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Trattamento chirurgico: I principali scopi della chirurgia sono il ripristino della stabilità dell’articolazione femorotibiale, l’eliminazione di tutte le eventuali strutture danneggiate (ad es., CCL e lacerazioni meniscali mediali) e la riduzione della spinta tibiale. Questi risultati si possono ottenere dividendo a grandi linee tutte le procedure descritte in tre differenti tipi di tecniche. 1. Intra-articolare: ripristina la stabilità rimpiazzando il legamento con un innesto di qualche tipo (ad es., tecnica “overthe top” (OTT) modificata con un innesto di fascia lata). 2. Extra-articolare: ripristina la stabilità utilizzando suture o tessuti molli per realizzare una sorta di imbracatura (ad es., sutura Fabellotibiale con nylon Leader line). 3. Peri-articolare: altera l’anatomia locale per migliorare la stabilità, come ad es., la TPLO o la trasposizione della testa della fibula (FHT, fibular head transposition). Lo scopo dell’osteotomia tibiale a cuneo o dell’osteotomia livellante del plateau tibiale è quello di ridurre il TPA e quindi di diminuire la spinta craniale. Con entrambe le tecniche, il TPA viene ridotto a 6 gradi (Warzee, 2001). L’avanzamento della tuberosità tibiale (TTA) è una procedura che al momento attuale viene utilizzata presso la University of Liverpool in alcuni pazienti con malattia del CCL nell’ambito di una prova clinica in corso. La procedura è basata sulla teoria che la forza articolare totale decorra quasi parallelamente al legamento rotuleo. Di conseguenza, l’avanzamento dell’inserzione tibiale del legamento rotuleo dovrebbe ridurre le forze di taglio tibiofemorali che si generano fra il plateau tibiale ed il legamento rotuleo, lasciando il CCL scaricato. Segnalazioni aneddotiche di questa procedura riferiscono buoni risultati a breve e lungo termine, ma non sono ancora stati pubblicati i dati relativi a follow-up obiettivi ed a lungo termine dei pazienti così trattati. Trattamento postoperatorio: il paziente deve essere sottoposto a restrizione del movimento (+ FANS) fino alla rimozione delle suture, effettuata 7-10 giorni dopo l’intervento, e deve essere fatto lavorare al guinzaglio con un graduale aumento dell’attività nell’arco delle successive 8-12 settimane. Recenti studi suggeriscono l’impiego della idroterapia, dello stretching e degli esercizi di escursione articolare passiva nonché della deambulazione per la riabilitazione dei pazienti dopo il trattamento chirurgico di un danno del CCL (Marsolais, 2002). Prognosi: anche se la maggior parte dei lavori sul trattamento della patologia del crociato riporta percentuali di successo comprese fra l’85% ed il 90%, questi “successi” comprendono cani che presentano una continua zoppia intermittente lieve. Tuttavia, tutti i cani mostrano un certo grado di osteoartrite e pertanto esistono chiaramente dei fattori sconosciuti che determinano questa variabilità dell’esito. È bene avvisare i proprietari che con la maggior parte delle tecniche la massima guarigione non sarà evidente prima di 12-16 settimane (o più) dall’intervento.

Danni del menisco Anatomia: I menischi sono ancorati alla tibia ed al femore da cinque legamenti e l’uno all’altro dal legamento intermeniscale. Il menisco mediale è fissato al legamento collaterale mediale, il che lo rende meno mobile e di conseguenza più propenso al danno associato ad insufficienza del legamento crociato craniale ed instabilità craniocaudale della tibia rispetto al femore.

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Eziopatogenesi: Si ritiene che il menisco mediale venga intrappolato e danneggiato dalla rotazione dei condili femorali in piena estensione durante la stazione. Ciò può avvenire con la rottura del CCL, che si ha quando osserviamo la maggior parte delle lesioni al menisco mediale. Il menisco laterale, essendo più mobile, ha meno probabilità di restare intrappolato. Esiste una varietà di lesioni meniscali, che sono state classificate da Bennet e May (1991). L’incidenza del danno del menisco nel CCL varia a seconda dei lavori pubblicati (4953%), ma sembra più comune nei casi cronici e nei cani più pesanti. Il danno “meniscale tardivo” (danno meniscale a carico di un menisco normale dopo un intervento chirurgico) si verifica dopo un certo periodo di tempo da un intervento chirurgico sul CCL e si può avere nel 14% dei casi, a seconda della tecnica operatoria utilizzata (Metelman, 1995). Segni clinici: Questi cani presentano una zoppia improvvisa parecchie settimane o mesi dopo l’iniziale intervento chirurgico sul CCL. L’articolazione può essere colpita da un versamento e risultare instabile alla prova del cassetto craniale. È essenziale identificare e trattare le lesioni meniscali. Si deve eseguire una meniscectomia parziale. Le lesioni più comuni sono le lacerazioni a manico di secchio ed una plica del corno caudale del menisco mediale. Queste alterazioni vengono attualmente trattate nei nostri pazienti con una meniscectomia parziale.

Bibliografia Arnoczky SPM, J.L. (1977) The Cruciate Ligaments of the Canine Stifle: An Anatomical and Functional Analysis. American Journal of Veterinary Research. 38, 1807-1814 Bari ASM,Carter SD,Bell SC,Morgan KandBennett D (1989) Anti-type II collagen antibody in naturally occuring canine joint diseases. British Journal of Rheumatology. 28, 480-486 Bennett DT, B., Lewis, D.G, et al (1988) A reappraisal of anterior cruciate ligament disease in the dog. Journal of Small Animal Practice 29, 275-297 Comerford EJ, Tarlton, John F., Innes, John F., Johnson, Kenneth A., Amis, Andrew A., Bailey, Allen J. (2005) Metabolism and composition of the canine anterior cruciate ligament relate to differences in knee joint mechanics and prediposition to ligament rupture. Journal of Orthopaedic Research 23, 61-66 Hayashi K,Frank JD,Dubinsky C,Zhengling H,Markel MD,Manley PAandMuir P (2003) Histologic changes in ruptured canine cranial cruciate ligament. Vet Surg 32, 269-277. Macias C, McKee, W., May, C. (2002) Caudal proximal tibial deformity and cranial cruciate ligament rupture in small breed dogs. Journal of Small Animal Practice 43, 433-438 Marsolais G, Dvorak, G., Conzemius, MG. (2002) Effects of postoperative rehabilitation on limb function after cranial cruciate ligament repair in dogs. Journal of the American Veterinary Medical Association 222, 1325-1330 Metelman L, Schwarz, M., Salman, M., Alvis, MR (1995) An evaluation of three different cranial cruciate ligament surgical stabilization procedures as they relate to postoperative meniscal injuries: a retrospective study of 665 stifles. Veterinary and Comparative Orthopaedics and Traumatology 8, 118-123 Read RA, Robins, GM (1982) Deformity of the proximal tibia in dogs. Veterinary Record, 295-298 Scavelli T, Schrader, SC. (1987) Non-surgical management of rupture of cranial cruciate ligament in 18 cats. Journal of the American Animal Hospital Association 23, 337-340 Slocum BandSlocum TD (1993) Tibial plateau leveling osteotomy for repair of cranial cruciate ligament rupture in the canine. Vet Clin North Am Small Anim Pract 23, 777-795 Vasseur PB (1984) Clinical results following non-operative management of rupture of the cranial cruciate ligament in dogs. Veterinary Surgery 13, 243-246 Warzee C, Dejardin, LM., Arnoczky, SP., Perry, RL. (2001) Effects of tibial plateau levlling on cranial and caudal tibial thrusts in canine cranial cruciate-deficient stifles: an vitro experimental study. Veterinary Surgery 30, 278-286


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Hip dysplasia- how do we manage it in our patients? Eithne J. Comerford MVB, PhD, CertVR, CertSAS, MRCVS, Liverpool, UK

INTRODUCTION Hip dysplasia can be defined in terms of “excessive laxity of the hip joint” but one must bear in mind that this is a dynamic process with temporal variability. This lecture will concentrate on the aetiopathogenesis, history, clinical signs, and treatment of hip dysplasia.

poor hindquarter muscling and most will demonstrate a positive Ortolani sign (see next section).

DIAGNOSIS There are several methods to assess hip laxity. Some of these are designed for assessment of individual dogs and some to be used in breeding programmes.

Aetiopathogenesis Histopathological studies of puppies with a high prevalence of hip dysplasia have shown that the earliest pathological change evident is in the teres (round) ligament of the femoral head and the joint capsule. The function of these tissues is thought to be important in maintaining close articulation between the femoral head and acetabulum. Previous studies have highlighted a change in the composition of collagen in the joint capsule in dogs with hip dysplasia, namely an increase in the type III: type I ratio (Madsen Svalastoga, 1995). Repeated injury to the ligament and joint capsule is likely to result in gradual weakening and stretching of the tissues. The resulting fibrosis of the joint capsule appears to gradually reduce passive hip laxity. However, the period of laxity may result in abnormal development of the acetabulum and femoral head leading to poor joint congruity. In addition, abnormal loading of articular cartilage may result in depletion of proteoglycan and disruption of the type II collagen network. These biochemical changes are the hallmark of osteoarthritis. Once this process has been initiated, it appears that it is progressive, although to a variable degree.

History and clinical signs Dogs, which present with the clinical problems of this condition fall into one of two distinct groups: 1) Young dogs under a year of age which suffer pain as a result of joint laxity and associated inflammation in the joint (this lecture will concentrate on the diagnosis and treatment in these dogs) 2) Older dogs with chronic OA of the hip secondary to HD may present with the clinical signs of OA These dogs present with HL lameness (uni- or bilateral), reluctance to jump, exercise intolerance or a “bunny-hopping” gait. These dogs will have pain on joint manipulation;

Palpation tests - Ortolani The Ortolani test is probably the most widely used and most studied of the canine hip palpation tests. The test can be performed with the anaesthetized dog in lateral or dorsal recumbency. The test relies on manual force to subluxate the femoral head, with gradual abduction of the hip allowing eventual relocation of the femoral head; this relocation is accompanied by a “clunk” as the femoral head slips over the dorsal acetabular rim. A positive Ortolani sign is indicative of hip laxity but it is a categorical test (i.e. positive/negative or mild/moderate/severe) that provides limited information.

Radiographic techniques The traditional radiograph of the hip joints (ventrodorsal, hip extended) gives little information on hip laxity. Extension of the hip causes tension in the joint capsule and resultant medial displacement of the femoral head in a lax hip; thus laxity is minimised using this view. Radiographic techniques to assess laxity in a more neutral hip position include the distraction index (DI) as used in the PennHIP® programme, the subluxation index (SI) and the dorsolateral subluxation (DLS) technique. There is ongoing debate as to which of these methods is preferred but the body of information and validation is greatest for DI.

Arthroscopy Arthroscopy of the canine hip was reported many years ago but has recently received repeat attention. Arthroscopy is teaching us more about the lesions within painful, lax hips of young dogs. Lesions of the teres ligament, the joint capsule and the labrum can be visualised.


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TREATMENT OF HD The treatment of hip dysplasia can be divided into conservative and surgical management:

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2001). To date this is mainly an experimental technique. Several authors recommend that this procedure occurs before 20 weeks and greater changes in hip conformation were noted in 15 week compared to 20 week old dogs with this procedure (Patricelli, 2002).

Conservative treatment • Aim of treatment to restrict awkward movements which would lead to further distraction of femoral head and acetabulum • Consists of weight control, exercise modification, analgesia, hydrotherapy and physical therapy. • Some authors suggest that conservative management will bring about a 75% success rate (Slocum, 1998). Recent work suggests that 68% of 65 dogs will experience stiffness after exercise and 54% of dogs required medication after conservative management (Farrell, 2005).

Surgical treatment • The aim of corrective surgery is to influence the anatomy of the hip joint and attempt to decrease joint laxity • Surgical techniques include triple osteotomy (TPO), juvenile pelvic symphiodesis, total hip replacement and excision arthroplasty. Triple pelvic osteotomy This is the most popular surgery for immature dogs and involves an attempt to provide more dorsal cover for the femoral head by rotating the acetabulum dorsally. Suitable candidates are usually young dogs that are very painful with conservative management with little secondary changes. This is achieved by making three cuts (osteotomies), one each in the ilium, pubis and ischium so that the acetabulum can be rotated. The acetabulum is then held in its new position by an angled and stepped plate (“Slocum” plate) or twisted DCP. The angle of the plate is pre-determined (20, 30 of 40 degrees) but research ahs shown that rotation above 20 degrees in off little benefit and may cause complications (Dejardinet al, 1996) such as pelvic narrowing. The success rate of TPO is said to be at about 85-90% (Slocum, 1998). There is at present no proof that the procedure will slow the progression of OA and some surgeons believe that candidates suitable for TPO would respond just as well to conservative management.

OTHER TECHNIQUES: Juvenile pelvic symphiodesis (JPS) JPS is relatively new surgical technique, which uses electro-cautery to arrest the growth of germinal chondrocytes of the pubic physis. This allows the rest of the pelvis to grow normally causing a ventrolateral rotation of the acetabulum (ventroversion), accomplishing greater dorsal coverage of the femoral head and decreasing hip laxity (Duelandet al,

Total hip replacement This is the treatment of choice older dogs but has been used in dogs <12mo. Conservative measures must have been exhausted in the first instance and those animals with failed previous hip surgery with excess scar tissue formation are not candidates for THR. Candidates must have no evidence of any systemic, dermatological or spinal disease. There are various types of prosthesis but most commonly it involves replacement of the acetabulum with a plastic cup and the femoral head with a metal head and stem. Cemented and uncemented systems are currently available. The success rate is 95% (Olmstead, 1995) but it is an expensive procedure (approx £3.5K) per hip. The complications encountered involve implant loosening and luxation Excision arthroplasty (Femoral head and neck excision (FHNE) This is a salvage procedure and involves removal of the femoral head and neck. This technique can be used in variety of other hip joint diseases (e.g Legg-Calvé-Perthes, infective arthritis, acetabular and femoral head and neck fractures not amenable to surgical repair). The success rate is poor in larger dogs (over 15-20 kg) but can be very good in small dogs and cats. It is important to remove all of the femoral neck so that no spurs of bone protrude to cause continued pain or interference with the acetabulum. The muscular support of the gluteal muscles is important for the success of the procedure and thus these should be preserved in the surgical approach which is generally craniolateral (see surgical texts).

References Dejardin LM, Perry RL, Arnoczky SP and Torzilli PA (1996) The effect of triple pelvic osteotomy on hip force in dysplastic dogs: a theoretical analysis. Vet Surg 25, 114-120. Dueland RT, Adams WM, Fialkowski JP, Patricelli AJ, Mathews KG and Nordheim EV (2001) Effects of pubic symphysiodesis in dysplastic puppies. Vet Surg 30, 201-217. Farrell, M, Clements, D., Carmichael, S. (2005) Retrospective evaluation of the long term outcome of conservative management of clinical canine hip dysplasia. 48th Annual BSAVA Congress. Birmingham Madsen JSandSvalastoga E (1995) Serum concentrations of procollagen type III aminoterminal peptide in growing dogs with hip dysplasia. Acta Vet Scand 36, 157-160. Olmstead M (1995) The Canine Cemented Modular Total Hip Prosthesis. Journal of the American Animal Hospital Association 3, 109-124 Patricelli A, Dueland, RT., Adams, WM. (2002) Juvenile pubic sypmhysiodesis in dysplastic puppies at 15 and 20 weeks of age. Veterinary Surgery 31, 435-444 Slocum B (1998) Triple pelvic osteotomy. J Am Anim Hosp Assoc 34, 361363.


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Diplasia dell’anca: come trattarla? Eithne J. Comerford MVB, PhD, CertVR, CertSAS, MRCVS, Liverpool, UK

INTRODUZIONE La displasia dell’anca può essere definita in termini di “eccessiva lassità dell’articolazione coxofemorale”, ma è necessario tenere presente che si tratta di un processo dinamico, con una variabilità temporale. La presente relazione sarà concentrata su eziopatogenesi, anamnesi, segni clinici e trattamento di questa malattia.

Eziopatogenesi Gli studi istopatologici su cuccioli con un’elevata prevalenza di displasia dell’anca hanno dimostrato che la più precoce alterazione patologica evidente si ha a carico del legamento rotondo della testa del femore e della capsula articolare. Si ritiene che la funzione di questi tessuti sia importante per il mantenimento della stretta articolazione fra la testa del femore e l’acetabolo. Studi precedenti hanno evidenziato una modificazione della composizione del collagene nella capsula articolare dei cani con displasia dell’anca, in particolare un aumento del rapporto tipo III: tipo I (Madsen Svalastoga, 1995). Ripetuti danni a carico del legamento e della capsula articolare determinano probabilmente un graduale indebolimento e stiramento dei tessuti. La fibrosi della capsula articolare che ne deriva sembra ridurre gradualmente la lassità passiva dell’anca. Tuttavia, il periodo di lassità può esitare in un abnorme sviluppo dell’acetabolo e della testa del femore, che portano ad una cattiva congruenza articolare. Inoltre, l’abnorme carico della cartilagine articolare può portare alla deplezione di proteoglicani ed alla distruzione della rete del collagene di tipo II. Queste alterazioni biochimiche sono le caratteristiche distintive dell’osteoartrite. Una volta che questo processo sia stato avviato sembra che sia progressivo, benché in misura variabile.

Anamnesi e segni clinici I cani, che presentano i problemi clinici di questa condizione, rientrano in uno dei seguenti gruppi distinti: 1) Cani giovani, con meno di un anno di età, che patiscono un dolore come conseguenza della lassità articolare e dell’infiammazione associata (la presente relazione sarà concentrata sulla diagnosi ed il trattamento in questi animali) 2) Cani anziani con OA cronica dell’anca secondaria a displasia, che possono essere portati alla visita con i segni clinici dell’OA. Questi cani presentano zoppia degli arti posteriori (mono- o bilaterale), riluttanza a saltare, intolleranza all’esercizio o anda-

tura a salti da coniglio. Inoltre manifestano dolore alla manipolazione dell’articolazione. Hanno un cattivo sviluppo muscolare del treno posteriore e nella maggior parte dei casi mostrano un segno di Ortolani positivo (si veda la prossima sezione).

DIAGNOSI Esistono parecchi metodi per valutare la lassità dell’anca. Alcuni di questi sono stati messi a punto per esaminare singoli cani ed altri per venire impiegati nell’ambito dei programmi riproduttivi.

Test di palpazione – Ortolani Il test di Ortolani è probabilmente quello più ampiamente utilizzato e più studiato fra gli esami mediante palpazione dell’articolazione dell’anca del cane. Il test può venire effettuato con il cane anestetizzato in decubito laterale o dorsale. La prova si esegue esercitando manualmente una forza necessaria a determinare la sublussazione della testa del femore, con una graduale abduzione dell’anca che consente infine il ricollocamento della testa femorale; questo ricollocamento è accompagnato da un “clunk” quando la testa del femore scivola sopra la rima acetabolare dorsale. Il riscontro di un segno di Ortolani positivo è indicativo di lassità articolare, ma si tratta di un esame di tipo categorico (cioè positivo/negativo, oppure lieve/moderato/grave) che fornisce solo limitate informazioni.

Tecniche radiografiche Il tradizionale esame radiografico delle articolazioni dell’anca (ventrodorsale, ad anche estese) fornisce scarse informazioni sulla lassità coxofemorale. L’estensione dell’anca provoca una tensione della capsula articolare ed una conseguente dislocazione mediale della testa del femore in un’anca lassa; quindi, la lassità viene ridotta al minimo utilizzando questa proiezione. Le tecniche radiografiche per valutare la lassità in una posizione dell’anca più neutra sono rappresentate da indice di distrazione (DI) che viene utilizzato nel programma PennHIP®, indice di sublussazione (SI) e tecnica di sublussazione dorsolaterale (DLS). È in corso un dibattito su quale di questi metodi sia da preferire, ma il corpus di informazioni e validazioni è maggiore per DI.

Artroscopia L’artroscopia dell’anca del cane è stata descritta molti anni fa, ma recentemente è stata nuovamente oggetto di attenzione. Questo mezzo di indagine sta fornendo nuove informazioni


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sulle lesioni all’interno della anche lasse e dolenti dei cani giovani. Possono essere visualizzate le lesioni del legamento rotondo, della capsula articolare e del labbro.

Trattamento della displasia dell’anca Il trattamento della displasia dell’anca può essere distinto in conservativo e chirurgico: Trattamento conservativo • Lo scopo del trattamento è quello di ridurre i movimenti maldestri che porterebbero ad un’ulteriore distrazione della testa femorale e dell’acetabolo • Consiste in controllo del peso, modificazione dell’esercizio, analgesia, idroterapia e fisioterapia. • Alcuni autori suggeriscono che il trattamento conservativo determini una percentuale di successo del 75% circa (Slocum, 1998). Un recente lavoro suggerisce che il 68% di 65 cani manifestava una rigidità dopo l’esercizio ed il 54% dei cani ha richiesto un trattamento farmacologico dopo quello conservativo (Farrell, 2005). Trattamento chirurgico • Lo scopo della chirurgia correttiva è quello di influenzare l’anatomia dell’articolazione dell’anca e tentare di diminuire la lassità articolare. • Le tecniche chirurgiche sono rappresentate da tripla osteotomia (TPO), sinfiodesi pelvica giovanile, sostituzione totale dell’anca ed artroplastica con escissione.

Tripla osteotomia pelvica È l’intervento chirurgico più popolare per i cani che non hanno ancora raggiunto la maturità e consiste nel tentare di offrire una maggiore copertura dorsale alla testa del femore ruotando l’acetabolo dorsalmente. I candidati adatti sono di solito rappresentati da cani giovani afflitti da un dolore molto intenso, trattati con metodi conservativi e con scarse alterazioni secondarie. L’intervento si esegue praticando tre tagli (osteotomie), rispettivamente su ileo, pube ed ischio, in modo da consentire la rotazione dell’acetabolo. Quest’ultimo viene poi immobilizzato nella nuova posizione con una placca (placca di Slocum) sagomata in modo da formare un angolo ed uno scalino, oppure con una DCP piegata. L’angolo della placca è predeterminato (20, 30 o 40 gradi), ma la ricerca ha dimostrato che una rotazione superiore a 20 gradi è di scarsa utilità e può causare complicazioni (Dejardin et al., 1996) come il restringimento del bacino. Si dice che la percentuale di successo della TPO sia dell’85-90% circa (Slocum, 1998). Al momento attuale non esiste alcuna prova del fatto che la procedura rallenti la progressione dell’OA ed alcuni chirurghi ritengono che i cani adatti alla TPO risponderebbero altrettanto bene alla terapia conservativa.

Altre tecniche Sinfiodesi pelvica giovanile (JPS) La JPS è una tecnica chirurgica relativamente nuova, che utilizza un elettrocauterio per arrestare la crescita dei condrociti germinali a livello della fisi del pube. Ciò permette al resto del bacino di crescere normalmente causando una rotazione ventrolaterale dell’acetabolo (ventroversione), che consente di ottenere una maggiore copertura dorsale della testa del femore e di

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diminuire la lassità dell’anca (Dueland et al., 2001). Ad oggi, si tratta essenzialmente di una tecnica sperimentale. Parecchi autori raccomandano di effettuare questa procedura prima di 20 settimane e maggiori modificazioni della conformazione dell’anca sono state notate nei cani operati a 15 settimane in confronto a quelli operati a 20 settimane (Patricelli, 2002). Sostituzione totale dell’anca Si tratta del trattamento d’elezione per i cani anziani, ma è stato utilizzato in animali con meno di 12 mesi. Nel primo caso, le misure conservative devono aver perso ogni efficacia e gli animali nei quali un precedente intervento chirurgico sull’anca non ha avuto successo con formazione di un eccessivo tessuto cicatriziale non sono candidati alla THR. I candidati devono essere esenti da qualsiasi segno di malattia sistemica, dermatologica o spinale. Esistono vari tipi di protesi, ma quella più comunemente utilizzata comporta la sostituzione dell’acetabolo con una coppa di plastica e della testa del femore con una testa ed un gambo in metallo. Attualmente sono disponibili sistemi cementati e non cementati. La percentuale di successo è del 95% (Olmstead, 1995), ma si tratta di una procedura costosa (circa 3500 £) per l’anca. Le complicazioni incontrate sono rappresentate da allentamento dell’impianto e lussazione. Artroplastica con escissione (escissione della testa e del collo del femore, (FHNE, femoral head and neck excision) Si tratta di una procedura di salvataggio che comporta la rimozione della testa e del collo del femore. Questa tecnica può venire utilizzata in una varietà di altre artropatie dell’anca (ad es., Legg-Calvé-Perthes, artrite infettiva, fratture dell’acetabolo e della testa e del collo del femore, non suscettibili di riparazione chirurgica). La percentuale di successo è scarsa nei cani grossi (oltre 15-20 kg), ma può essere ottima in quelli di piccola taglia e nel gatto. È importante eliminare tutto il collo femorale, in modo da evitare la protrusione di speroni ossei che causerebbero il perdurare del dolore o interferirebbero con l’acetabolo. Per il successo della procedura, è importante il supporto muscolare dei muscoli glutei, che quindi devono essere preservati nel corso dell’approccio chirurgico, che in genere è craniolaterale (si rimanda ai trattati di chirurgia).

Bibliografia Dejardin LM, Perry RL, Arnoczky SP and Torzilli PA (1996) The effect of triple pelvic osteotomy on hip force in dysplastic dogs: a theoretical analysis. Vet Surg 25, 114-120. Dueland RT, Adams WM, Fialkowski JP, Patricelli AJ, Mathews KG and Nordheim EV (2001) Effects of pubic symphysiodesis in dysplastic puppies. Vet Surg 30, 201-217. Farrell, M, Clements, D., Carmichael, S. (2005) Retrospective evaluation of the long term outcome of conservative management of clinical canine hip dysplasia. 48th Annual BSAVA Congress. Birmingham Madsen JSandSvalastoga E (1995) Serum concentrations of procollagen type III aminoterminal peptide in growing dogs with hip dysplasia. Acta Vet Scand 36, 157-160. Olmstead M (1995) The Canine Cemented Modular Total Hip Prosthesis. Journal of the American Animal Hospital Association 3, 109-124 Patricelli A, Dueland, RT., Adams, WM. (2002) Juvenile pubic sypmhysiodesis in dysplastic puppies at 15 and 20 weeks of age. Veterinary Surgery 31, 435-444 Slocum B (1998) Triple pelvic osteotomy. J Am Anim Hosp Assoc 34, 361-363.


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Cenni di fisiologia dell’apparato cardiovascolare applicata all’anestesia Federico Corletto DVM, CertVA, Dipl ECVA, MRCVS, Cambridge, UK

Il muscolo cardiaco è attivo per tutta la durata della vita dell’individuo, ed il suo corretto funzionamento è essenziale per la sopravvivenza. Strutturato come una pompa al centro di due sistemi idraulici, garantisce un flusso unidirezionale che viene adeguato alla domanda dell’organismo. Metabolicamente in grado di utilizzare un ampio range di substrati, è in grado di aumentare di diverse volte la propria attività se richiesto dall’organismo. Queste due caratteristiche del miocardio facilitano il lavoro dell’anestesista, poiché la riserva funzionale cardiaca, provata duramente dalla somministrazione di agenti sedativi ed anestetici, solitamente è più che adeguata a garantire la perfusione degli organi essenziali per la sopravvivenza. Problematico può essere, invece, la gestione di pazienti in cui il cuore funzioni al massimo delle proprie capacità per soddisfare la domanda metabolica dell’organismo: in questo caso, minime alterazioni della funzione cardiaca, indotte dai farmaci anestetici, possono determinare la “decompensazione” della condizione clinica e determinare la morte dell’individuo.

ristiche ideali per lavorare nel loro contesto e inoltre ha reso possibile la differenziazione di due sistemi circolatori con caratteristiche enormemente differenti. Il sistema polmonare necessita di una bassa pressione per garantire ottimali scambi gassosi. Inoltre, considerata la sua estensione, ramificazione e dimensione dei capillari, per conseguire pressioni prossime a quelle sistemiche sarebbe necessario vincere enormi resistenze, con un dispendio energetico che non potrebbe essere colmato dal normale metabolismo. La presenza di altre valvole fa in modo che il sovraccarico pressorio determinato dall’insufficienza valvolare venga ridistribuito nella camera cardiaca a monte, che risponderà all’aumentato del carico divenendo ipertrofica, se possibile. Il muscolo cardiaco, un sincizio funzionale, è in grado di contrarsi in modo sincrono una volta che la contrazione viene iniziata dalle cellula pace-maker e si diffonde da una cellula miocardica all’altra. La disposizione delle fibre, sia circolari che longitudinali, determina una contrazione caratterizzata da accorciamento e riduzione del diametro, risultando nella caratteristica torsione che da origine all’itto.

CENNI DI ANATOMIA METABOLISMO MIOCARDICO Il cuore è posizionato nella cavità toracica, il ventricolo sinistro, in posizione caudale rispetto al destro, e gli atrii posti dorsalmente ed al di sotto della biforcazione tracheale. I setti interatriale ed interventricolare separano il cuore destro dal cuore sinistro. Mentre atrio destro e sinistro sono abbastanza simili, i ventricoli destro e sinistro sono spiccatamente differenti, in modo da poter svolgere funzioni simili (pompa) in contesti differenti. Il ventricolo destro, con parete più sottile e muscolatura meno sviluppata spinge il sangue nel sistema polmonare, a bassa pressione (circa 25/5 mmHg), mentre il ventricolo sinistro, che deve spingere il sangue in un sistema ad alta pressione (circa 140/80 mmHg) è caratterizzato dalla presenza di una spessa muscolatura. Il setto interventricolare ha struttura simile a quella del ventricolo sinistro. La valvola tricuspide garantisce l’unidirezionalità del flusso nel cuore destro, mentre la valvola mitrale (bicuspide) garantisce l’unidirezionalità del flusso nel cuore sinistro. Le valvole aortica e polmonare, posizionate rispetivamente nel tratto di efflusso del ventricolo sinistro e destro, garantiscono l’unidirezionalità del flusso nella circolazione sistemica e polmonare. La presenza di 4 valvole ha consentito alle camere cardiache di acquisire le caratte-

La muscolatura cardiaca è caratterizzata da un’efficiente gestione dell’energia disponibile. Il muscolo cardiaco utilizza con straordinaria rapidità una vasta gamma di substrati energetici (metabolicamente parlando, è un onnivoro), ma, a differenza della muscolatura scheletrica, dipende strettamente dall’apporto di ossigeno. Il cuore è in grado di utilizzare e di rigenerare rapidamente ATP, convertendo l’energia chimica in energia meccanica, mentre non conta sul suo immagazzinamento, come invece fanno altri distretti. In circa 24 ore, il cuore umano usa e rigenera circa 5 kg di ATP, che corrispondono a 10 volte il proprio peso e 1000 volte la quantità di ATP che può immagazzinare. Quest’organo, che pesa circa lo 0.5% del peso dell’organismo intero, consuma il 10% dell’ossigeno totale. Il metabolismo energetico del cuore non dipende, quindi, dalla quantità di ATP che riesce ad immagazzinare, ma da quella che può generare. Il metabolismo energetico del cuore può essere schematizzato in tre cicli tra loro connessi, consistenti nella circolazione sistemica, nel metabolismo cellulare e nell’attività delle fibre contrattili. I tre sistemi interagiscono come tre ingranaggi connessi e nel caso dell’aumento della velocità


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di rotazione di uno, gli altri dovranno adeguarsi, poiché l’energia non può essere creata dal nulla: un aumento della contrattilità determinerà una maggiore richiesta metabolica, che sarà soddisfatta da un aumento della circolazione sistemica. Questo meccanismo presenta importanti implicazioni fisiologiche: in animali con circolazione lenta e basso metabolismo la generazione di substrati ed il loro utilizzo è lento, mentre in animali di piccole dimensioni, con elevato metabolismo e circolazione rapida la conversione dei substrati è rapidissima. Allo stesso modo, durante l’anestesia, la diminuzione del metabolismo indotta dall’agente anestetico determina uno stato di riposo, che riduce la velocità delle reazioni energetiche e fornisce un margine di protezione. Il tentativo di ripristinare la normale velocità del circolo, per esempio somministrando agenti con azione antimuscarinica, determina un inutile dispendio energetico locale, aumentando l’attività della pompa in assenza di una reale necessità. L’eccessivo rallentamento dell’attività contrattile, all’opposto, può determinare una insufficiente distribuzione dei substrati che non soddisfa la minima richiesta metabolica. È raro, tuttavia, che questa seconda situazione si verifichi in individui normali, in quanto la domanda metabolica viene legata alla disponibilità di substrati, quindi durante l’anestesia sia l’attività metabolica che la distribuzione dei substrati diminuiscono. Eccezione degna di nota è il paziente settico, nel quale il metabolismo è “slegato” dalla disponibilità di substrati e la circolazione è ipercinetica. La contrattilità cardiaca dipende dal movimento di calcio dalle riserve intracellulari del reticolo endoplasmico agli elementi contrattili nel citoplasma. La concentrazione del calcio nel citoplasma è mantenuta bassa durante il rilassamento contro un gradiente di 5000 volte. Quando la contrazione elettrica raggiunge la cella, il calcio viene liberato dal reticolo endoplasmatico, in un processo iniziato dall’entrata di calcio dallo spazio extracellulare. Alla fine del ciclo, l’enorme quantità di calcio liberata dal reticolo endoplasmatico è nuovamente sequestrata, mentre la piccola quantità di calcio che ha iniziato il processo viene eliminata nell’ambiente extracellulare. In questo modo “ufficialmente” solo piccolissime quantità di calcio entrano ed escono dalla cellula miocardica. La somministrazione di sostanze che alterino la quantità di calcio liberata determina significative alterazioni della contrattilità cardiaca. Al contrario di quanto ci si aspetterebbe, l’ipercalcemia, alterando i gradienti elettrici e quindi l’eccitabilità membranaria non risulta semplicemente in una migliore contrattilità cardiaca, bensì in un maggior rischio di aritmie. Gli ioni calcio rappresentano il legame tra l’utilizzazione e la produzione di ATP, infatti si ritiene che essi fungano da secondo messaggero e che l’aumento della concentrazione di calcio citoplasmatica determini un aumento del metabolismo ossidativo mitocondriale, aumentando la produzione di ATP. Un altro importante esempio di conservazione dell’energia nel miocardio è rappresentato dal meccanismo di contrazione dei filamenti, che è strettamente legato all’utilizzo di ATP ed alla sua idrolisi.

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Questo metabolismo, caratterizzato dal trasferimento di energia da un substrato all’altro in modo circolare garantisce la possibilità di adattarsi rapidamente a nuove condizioni, ma allo stesso tempo fa in modo che la perdita di un substrato alteri tutto il meccanismo di trasferimento energetico all’interno della cellula. È questo il caso, per esempio, di alcuni condizioni nelle quali la perdita di proteine contrattili causa una miocardiopatia dilatativa e successivamente ischemia miocardica. Paradossalmente, anche la presenza in eccesso di un substrato può avere lo stesso effetto, come nel caso di episodi di ischemia e riperfusione dove l’eccesso di calcio, radicali liberi e protoni determina il collasso dei meccanismi omeostatici cellulari, edema cellulare e morte. Il miocardio, pur essendo un onnivoro dal punto di vista metabolico, sceglie tra i substrati disponibili quelli più adatti per soddisfare la domanda metabolica adeguatamente (sia quantitativamente che dal punto di vista temporale). Trigliceridi e glicogeno sono accumulati come riserve energetiche in risposta al regime dietetico. Differentemente del muscolo scheletrico, il miocardio risponde al digiuno aumentando le proprie riserve energetiche (glicogeno e trigliceridi), in modo simile a quanto fanno gli animali che vanno incontro ad ibernazione. Le proteine miocardiche sono continuamente degradate e ri-sintetizzate (circa il 5% delle proteine contrattili vengono sintetizzate ogni giorno): questo processo viene rallentato in caso di ischemia miocardica. In 3 settimane il cuore, in pratica, rigenera se stesso! In questo modo può rispondere rapidamente a variazioni croniche delle condizioni di lavoro, aumentando la sintesi (o diminuendo la degradazione). Un aumento acuto del precarico determina quindi aumento della sintesi proteica ed ipertrofia, per far fronte alla nuova situazione. Nel caso di aumento cronico, tuttavia, la riposta è opposta e risulta in un aumento del catabolismo e dilatazione. Dal punto di vista prettamente biochimico, il cuore è utilizza prevalentemente glucosio e lattato, ma anche acidi grassi, corpi ketonici e, in alcuni casi aminoacidi derivanti dalla degradazione delle proteine strutturali. La scelta del substrato utilizzato dipende dalla disponibilità, dall’equilibrio ormonale, dal carico di lavoro e dalla disponibilità di ossigeno. Gli acidi grassi sono la fonte energetica preferita durante stati di digiuno, mentre il lattato lo diviene durante l’esercizio fisico intenso.

IL MIOCARDIO ISCHEMICO La maggiore preoccupazione dell’anestesista è preservare l’equilibrio energetico miocardico, evitando che il muscolo cardiaco divenga ischemico. L’ischemia, come è ben noto determina un aumento dell’incidenza di aritmie, insorgenza di foci ectopici, compromissione della capacità contrattile e, come evento finale, l’insufficienza cardiaca. Il miocardio regola il proprio bilancio energetico modificando il flusso coronarico, che è direttamente proporzionale al consumo di ossigeno; una riduzione del flusso coronarico determina, allo stesso modo, una proporzionale riduzione della contrattilità cardiaca. La perfusione coronarica avviene durante la fase diastolica.


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L’ischemia miocardica può manifestarsi solo durante l’esercizio; in questo caso il flusso coronarico a riposo è normale, ma non può essere aumentato quando necessario. La presenza di flusso coronarico ridotto determina una condizione ischemica anche a riposo. L’ischemia rallenta il metabolismo miocardico aerobio, riducendo il contenuto di ATP e fosforo, ma a lungo andare determina anche una riduzione del metabolismo anaerobico. Il miocardio marginalmente ischemico aumenta il consumo di glucosio, che viene convertito in lattato, che però non può essere utilizzato dal cuore in modo efficiente per la mancanza di ossigeno. Se l’anaerobiosi permane, la quantità di ATP prodotta non è più sufficiente a soddisfare la richiesta metabolica e la contrattilità miocardica diminuisce. È in queste condizioni di deplezione energetica parziale che la cellula può andare incontro ad apoptosi o necrosi. Qualora si intervenga somministrando agenti inotropi per sostenere la portata cardiaca, deve essere SEMPRE considerato che determinano un aumento del lavoro miocardico, quindi del consumo di ossigeno. È necessario, quindi assicurarsi che il cuore sia in grado di far fronte all’aumento della domanda metabolica. Un approccio alternativo, per aumentare la portata cardiaca, potrebbe consistere, per esempio, nell’abbassare la pressione, diminuendo il lavoro miocardico e fornendo la riserva energetica sufficiente per rispondere agli agenti inotropi. Tale approccio, tuttavia, deve considerare gli effetti dell’ipotensione sulla perfusione degli organi e raggiungere un compromesso.

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controllati dal voltaggio (sodio), controllati da sostanze chimiche (potassio controllato da recettore muscarinico M2), oppure controllati dallo stiramento delle membrane. Le principali alterazioni dell’elettrofisiologia cardiaca sono rappresentate da: - alterata conduzione - refrattarietà disomogenea - formazione ripetitiva dell’impulso in fibre che non dovrebbero essere pace-maker (automaticità anormale) - depolarizzazione anormale che determina un potenziale ectopico - rientro dell’eccitazione che sostiene un pace-maker ectopico Se la causa all’origine del disturbo osservato è un’alterazione dell’equilibrio omeostatico miocardico o di utilizzazione dei substrati, solitamente l’alterazione è reversibile. Al contrario, qualora la causa del disturbo fosse anatomica, il difetto solitamente è non facilmente correggibile. Toni cardiaci, ECG, pressione nelle camere cardiache e ciclo cardiaco possono essere correlati (vedi figura). La contrazione isovolumetrica consiste nella contrazione miocardica quando le valvole aortiche e polmonari sono ancora chiuse; la pressione nel ventricolo aumenta, fino a quando le valvole si aprono e quindi la pressione diminui-

ELETTROFISIOLOGIA CARDIACA Il compito principale del cuore è quello di generare una forza contrattile sufficiente a distribuire il sangue nell’organismo. Affinché ciò avvenga, le cellule cardiache devono prima essere eccitate. L’eccitazione normalmente inizia spontaneamente nel nodo senoatriale; successivamente il potenziale d’azione si diffonde da cellula a cellula (il miocardio è un sincizio funzionale) a tutto il muscolo cardiaco. Il passaggio dello stimolo tra atrii e ventricoli avviene preferenzialmente attraverso il nodo atrioventricolare e quindi si distribuisce nel ventricolo attraverso il fascio di His. Il potenziale d’azione, durante il passaggio attraverso il nodo atrioventricolare, viene rallentato, per consentire un adeguato riempimento ventricolare durante la sistole atriale e prima della sistole ventricolare. Qualora il potenziale d’azione raggiunga il ventricolo attraverso vie accessorie, a rapida conduzione, il risultante deficit nella fase di riempimento tardivo del ventricolo causa un deficit sistolico. A livello macroscopico, l’attività elettrica cardiaca può essere monitorata utilizzando l’elettrocardiogramma, come avviene durante l’anestesia. La base fisiologica per la normale eccitabilità e conduzione cardiaca è il movimento transmembranario di ioni Na+, K+, Ca2+ e Cl- attraverso speciali canali controllati dal potenziale membranario stesso e dal legame con mediatori endogeni. Secondo il meccanismo di apertura e chiusura, i canali cardiaci possono essere raggruppati in 3 categorie:

Eventi del ciclo cardiaco. A: riempimento ventricolare B: contrazione isovolumetrica ventricolare C: eiezione ventricolare D: rilassamento ventricolare isovolumetrico.


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sce durante la fase di eiezione. In modo simile, il rilassamento isovolumetrico è la fase di rilassamento ventricolare tra la chiusura delle valvole aortiche e polmonari e l’apertura delle valvole AV. Tale fenomeno è possibile poiché la fase di rilassamento non è, come si potrebbe pensare, completamente passiva. La capacità del miocardio di rilassarsi è detta lusiotropia. Qualora la capacità lusiotropica del ventricolo diminuisca (miocardiopatia ipertrofia e dilatativa, tachicardia) il deficit diastolico compromette anche la fase sistolica successiva. Un rallentamento della frequenza cardiaca, indotto farmacologicamente aumenta il tempo di rilassamento, migliorando la fase diastolica, a meno che il deficit non sia indotto da un oggettivo irrigidimento del ventricolo, come può accadere in miocardiopatie allo stato terminale o dopo un arresto cardiaco. Un altro approccio potrebbe consistere nell’aumentare il precarico, favorendo un riempimento più rapido delle camere cardiache. Tale manovra, tuttavia, deve essere effettuata con attenzione, in quanto in individui con ridotta compliance ventricolare può risultare in ridotta contrattilità ed aumento della pressione nel piccolo circolo. Durante il riempimento ventricolare la pressione sale lentamente, fino a quando la contrazione atriale (a in figura) determina un aumento della pressione. Quando la valvola AV si chiude, la pressione nell’atrio diminuisce rispetto al picco conseguito durante la contrazione atriale, per poi riaumentare quando la contrazione ventricolare isovolumetrica letteralmente “spinge verso l’alto” le valvole AV. Il riempimento rapido ventricolare determina una diminuzione della pressione atriale, visibile come onda v a livello atriale. Il corretto funzionamento del sistema cardiocircolatorio è la condizione necessaria per il normale funzionamento di organi ed apparati. L’anestesia interferisce, in misura variabile, con la normale attività cardiocircolatoria e, pertanto, può compromettere in modo transitorio o permanente la funzione di altri organi ed apparati. Per comprendere gli effetti dei farmaci somministrati e degli interventi fisiologici effettuati durante l’anestesia, è necessario chiarire alcuni concetti. - Precarico: il precarico è la lunghezza della fibra cardiaca a riposo (quindi nel cuore in situ il volume ventricolare al termine della diastole). All’aumentare del precarico, aumenta la contrattilità cardiaca (legge di Frank-Starling), ma la relazione non è lineare, in quanto una eccessiva distensione compromette la contrattilità. La venodilatazione e l’ipovolemia diminuiscono il precarico. - Postcarico: la definizione di postcarico è più complicata. Il postcarico è la pressione generata dal ventricolo al termine della sistole, quindi dipende dalla resistenza che si oppone alla contrazione ventricolare. Nel cuore in situ il postcarico è comunemente identificato con le resistenze periferiche. È interessante notare, tuttavia, che la stessa contrattilità contribuisce all’aumento del postcarico, poiché aumenta la pressione generata! La vasocostrizione aumenta il postcarico, mentre la vasodilatazione lo diminuisce. In generale, l’aumento del postcarico favorisce un aumento della pressione arteriosa, ma è legato ad una diminuzione della portata cardiaca.

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- Contrattilità: il concetto di contrattilità è ancor più difficile da definire. In vitro la contrattilità è la capacità della fibra miocardica di contrarsi in risposta ad uno stimolo e ad una definita lunghezza. In vivo non è possibile misurare direttamente la contrattilità, poiché essa viene influenzata da precarico, postcarico e frequenza cardiaca. A parità di pre e postcarico, la contrattilità influisce in modo diretto la portata cardiaca e quindi la perfusione periferica. È pertanto possibile disegnare un grafico che correli pressione e volume per ciascuna camera cardiaca e quindi analizzare l’effetto di farmaci ed interventi fisiologici sulla performance del cuore in relazione al circolo. In questo caso, la contrattilità è la retta tangente alla curva che unisce tutti i punti della pressione al termine della sistole (end systolic pressure volume relationship –ESPVR). Il controllo della perfusione tessutale non dipende, tuttavia, esclusivamente dall’attività di pompa del cuore. Il flusso generato dal cuore è, infatti, intermittente, mentre la perfusione di organi ed apparati deve essere continua. Il sistema vascolare converte il flusso intermittente in un flusso continuo pulsatile, assorbendo energia durante la sistole e restituendola successivamente, durante la fase diastolica. L’energia elastica viene, quindi, convertita in energia cinetica. La durata della fase in cui il vaso restituisce l’energia cinetica è una proprietà intrinseca del vaso, dipendente dalla sua complicanza ed elasticità. Quando la durata della diastole aumenta eccessivamente, la trasmissione di energia cinetica può non riuscire a sostenere il flusso per tutta la diastole. Clinicamente, ciò è evidente durante la bradicardia indotta da oppioidi, nella quale la pressione diastolica diminuisce significativamente ed in misura proporzionale all’entità dela bradicardia. Il corrispondente aumento del precarico risultante dalla più lunga diastole (la fase di riempimento del cuore è più lunga) determina un aumento della gittata cardiaca e quindi della pressione sistolica. La forma dell’onda generata dipende dalla rigidità delle arterie, dalle resistenze periferiche, dalla competenza/stenosi della valvola semilunare aortica e dalla frequenza cardiaca. L’irrigidimento dei condotti aumenta la differenza tra pressione sistolica e diastolica (pressione del polso), mentre la loro complicanza determina riduzione della pressione del polso; l’aumento delle resistenze periferiche causa una “riflessione” dell’onda pressoria, determinando la comparsa di “gobbe” nell’onda del polso e l’aumento della pressione diastolica. L’effetto della frequenza cardiaca è stato già esposto. Il sistema venoso contiene circa il 70% del volume circolante, mentre il sistema arterioso contiene il restante 30%. Tale rapporto può essere alterato in caso di ipovolemia, in risposta alla quale il sistema cardiocircolatorio metterà in atto stratagemmi per preservare la pressione arteriosa: inizialmente la vasocostrizione riduce il volume del letto arterioso, mantenendo la pressione arteriosa, quindi il cuore inizierà a battere con maggior frequenza, spostando sangue dal circolo venoso a quello arterioso. Ciò determinerà una diminuzione dello stato di riempimento del circolo venoso, individuabile misurando la pressione venosa centrale, ed in parte compensata dalla veno-


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costrizione indotta dalle catecolamine circolanti. A livello dei singoli organi ed apparati, la distribuzione della portata cardiaca non è omomgenea ed esistono differenti meccanismi di controllo. Il rene, per esempio, riceve circa il 25% della portata cardiaca e riesce a mantenere la perfusione costante, mediante autoregolazione miocenica, all’interno di un range di pressione arteriosa media da 80 a 150 mmHg (nei mammiferi). Al contrario, la perfusione del distretto splancnico (circa il 25% della portata cardiaca) dimostra scarsa autoregolazione miogenica e quindi dipende in misura importante dalla pressione arteriosa. La liberazione di catecolamine (shock, dolore, stress) e l’ipotensione influenzeranno, quindi, in misura maggiore il distretto spancnico rispetto al rene, a meno che la pressione arteriosa non raggiunga valori inferiori al limite di autoregolazione. La perfusione di cute e muscoli diminuisce drasticamente in corso di ipotensione o liberazione di catecolamine. Cervello e miocardio dimostrano un processo di autoregolazione simile a quello del rene, ma riescono a preservare la propria perfusione anche quando la pressione media arteriosa raggiunge i 40-50 mmHg, in assenza di altri fattori di disturbo (per esempio aumento della pressione intracranica, nel caso del cervello).

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È interessante notare come l’apparato cardiocircolatorio abbia stabilito delle chiare priorità: - pressione arteriosa a scapito di perfusione di alcuni tessuti (cute e muscoli), mediante vasocostrizione periferica ed aumento della frequenza cardiaca - se ciò non basta, la diminuzione della pressione riduce la perfusione spancnica, ma preserva rene, cuore e cervello - se ciò non basta e la pressione arteriosa scende ulteriormente, sono preservati solo cuore e cervello - se ciò non basta … Tale logica di funzionamento deve essere sempre considerata dall’anestesista e dall’intensivista, poiché consente di comprendere a fondo gli eventi cui talvolta è necessario far fronte. La gestione dell’ipotensione nel paziente ipovolemico, per esempio, differisce marcatamente da quella nel paziente settico. Il sistema precedentemente descritto è, tuttavia, complicato dalla presenza di “scappatoie”: in alcuni distretti, per esempio il SNC o la midollare del rene, ad elevata attività metabolica, il metabolismo stesso genera prodotti con azione vasodilatatoria che mirano ad evitare fenomeni ischemici di entità importante. È questo il caso di adenosina, ossido di azoto, prostaglandine, protoni, lattato.


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Aggiornamento in endoscopia digestiva: cromoendoscopia e magnificazione d’immagine Felice Cosentino Med Chir, Spec Chir Gen, Spec Chir App Dig e Endoscopia Digest, Milano

ATTI NON PERVENUTI

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Anemia and the CBC C. Guillermo Couto DVM, Dipl ACVIM (Internal Medicine and Oncology), Ohio, USA

When interpreting the PCV, Hb, or RBC count in an anemic dog or cat, the clinician should keep in mind that in some situations these values are above (e.g., sight hounds) or below (e.g., puppyhood, pregnancy) the reference value for the species. From a practical standpoint, when evaluating the erythroid series, the clinician does not need to assess all the values in the CBC, because several parameters provide identical information. For example, the PCV, Hb, and RBC count provide the same type of information (i.e., an increase in the number of RBCs usually results in increased PCV and Hb concentration, and viceversa). Thus, when evaluating the erythron in a CBC, the PCV is used as an indirect index of RBC mass (or number). The main clinical manifestations of anemia in cats and dogs include pale or icteric mucous membranes, lethargy, exercise intolerance, pica, and decreased overall activity. These clinical signs can be acute or chronic, and of variable severity. Also, owners may detect some of the adaptive changes to anemia such as tachycardia or increased precordial beat. When evaluating a patient with pallor, it should be established if the change in the color of the mucous membranes is caused by hypoperfusion or by anemia. The simplest approach to solving this problem is to evaluate the PCV and the capillary refill time (CRT). Patients with cardiovascular disease and hypoperfusion usually have normal to marginally decreased PCVs and additional clinical signs; occasionally patients with congestive heart failure may have dilutional anemia caused by intravascular fluid retention. The CRT may be difficult to evaluate in anemic cats and dogs because of the lack of contrast (resulting from pallor). Patients with pallor should also be evaluated for the presence of petechiae, ecchymoses, and evidence of deep bleeding, which may suggest the presence of an associated platelet or clotting factor deficiency (as seen in patients with Evan's syndrome, disseminated intravascular coagulation [DIC], or acute leukemias). Particular attention should be paid to the lymphoreticular organs such as the lymph nodes and spleen, since several anemic disorders are associated with lymphadenopathy and/or hepatosplenomegaly. Abdominal radiographs in a dog with intravascular hemolysis may reveal the presence of metallic foreign bodies in the stomach, a source of zinc that frequently results in lysis of RBCs. The degree of anemia is helpful in determining its cause. To this end, anemias are “graded” as follows: mild moderate severe

PCV = 30-36% (dogs) PCV = 18-29% (dogs) PCV = <18% (dogs)

20-24% (cats) 15-19% (cats) <14% (cats)

The severity of the anemia usually correlates with its pathogenesis. For example, if an anemic dog or cat presents for evaluation of mild clinical signs and the anemia is severe, acute causes (ie; bleeding or hemolysis) can immediately be ruled out (ie; acute decreases of the PCV to under 15-18% usually result in marked clinical signs; in chronic anemia, most compensatory mechanisms have already set in). Anemia of chronic disease can also be ruled out, since it is always mild to moderate. Hence, the patient in question most likely has a bone marrow disorder, anemia of renal disease, or chronic blood loss. When evaluating a patient's PCV, the plasma (or serum) should be evaluated for icterus or hemolysis, and its protein content should be determined with a refractometer. The microhematocrit tube should be carefully inspected for evidence of autoagglutination. Once it is established that the patient is anemic, it should be determined whether the anemia is regenerative or nonregenerative. This is usually accomplished by obtaining a reticulocyte count during a routine CBC, and it reflects the pathogenesis of the anemia, dictating the most logical diagnostic and therapeutic approach. In brief, regenerative anemias are always due to extra-marrow causes, since the presence of reticulocytes (i.e.; immature RBCs) in circulation is a clear indication of a functional bone marrow; regenerative anemias are the result of either hemolysis or blood loss. Nonregenerative anemias can be caused by both bone marrow and by extra-marrow disorders, such as erythroid hypoproliferation, chronic inflammatory disease, chronic renal disease, and acute hemorrhage or hemolysis (first 48 to 96 hours). Although traditionally iron deficiency anemias (IDAs) are classified as nonregenerative, most dogs with chronic blood loss leading to iron deficiency display a mild (to moderate) degree of regeneration. Regenerative anemias are usually acute, whereas nonregenerative anemias are either peracute (i.e.; blood loss or hemolysis of <48 hours’ duration) or chronic. On initial clinical evaluation of an anemic patient, examination of the blood smear usually suffices to determine if the bone marrow is responding appropriately to the anemia (i.e., if the anemia is regenerative). Several pieces of information can be acquired from examining a good-quality, properly stained blood smear, including: RBC size and morphology, presence of autoagglutination, approximate numbers and morphology of white blood cells (WBCs) and platelets, presence of nucleated RBCs, presence of polychromasia (indicative of regeneration), and presence of RBC parasites. This cursory evaluation of the blood smear can (and should) be made by the clinician, and the blood sample submitted to


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Table 1 - Interpretation of morphologic RBC abnormalities in cats and dogs Morphologic abnormality

Disorders commonly associated

macrocytosis

breed characteristic (Poodle); FeLV infection; regeneration; folate deficiency; dyserythropoiesis (bone marrow disease) breed characteristic (Akita, SharPei, Shiba Inu); iron deficiency; portosystemic shunt; iron deficiency regeneration regeneration; iron deficiency; hyposplenism microangiopathy; hemangiosarcoma; DIC; hyposplenism immune hemolytic anemia hemangiosarcoma; liver disease; hyposplenism artifact; renal disease; pyruvate kinase deficiency anemia congenital elliptocytosis (dogs) oxidative insult to RBCs hyposplenism; regeneration immune hemolytic anemia breed characteristic (Schnauzers, Dachshunds); extramedullary hematopoiesis; regeneration; lead toxicity; hemangiosarcoma see text see text bone marrow disorder; hypersplenism

microcytosis hypochromia polychromasia poikilocytosis schistocyosis (fragments) spherocytosis acanthocytosis (spur cells) ecchinocytosis (burr cells) elliptocytosis Heinz bodies Howell-Jolly bodies autoagglutination metarubricytosis leukopenia thrombocytopenia pancytopenia

a diagnostic laboratory for further analysis (and evaluation by a clinical pathologist). Table 1 summarizes some of the abnormalities detected by careful examination of the blood smear and their clinical implications. It is important to conduct this evaluation in a monolayer field (in which the erythrocytes are in a single layer and 50% of the cells are touching) under oil immersion lens. When a CBC and a reticulocyte count can be obtained in an anemic patient, they provide a more absolute parameter to evaluate the degree of regeneration: 1. If the RBC indices are macrocytic and hypochromic, it is most likely due to the presence of high numbers of reticulocytes (which are larger and contain less hemoglobin than mature RBCs); therefore the anemia is probably regenerative

2. If the reticulocyte numbers are over 60,000 to 100,000/Âľl and the degree of anemia is not severe (i.e., PCV in the 20s or low 30s), the anemia is probably regenerative 3. If the reticulocyte index (RI) in a dog is over 2.5, the anemia is regenerative When evaluating a patient with regenerative anemia, it is beneficial to determine the serum or plasma protein concentration, since blood loss usually results in hypoproteinemia, whereas hemolysis does not.

Author’s Address for correspondence: C. Guillermo Couto Department of Veterinary Clinical, College of Veterinary Medicine, The Ohio State University, Columbus, OH


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Cosa mi dice questo esame emocromocitometrico? C. Guillermo Couto DVM, Dipl ACVIM (Internal Medicine and Oncology), Ohio, USA

Quando si interpretano i risultati di ematocrito, emoglobina o conteggio eritrocitario in un cane o un gatto con anemia, il clinico deve tenere presente che in alcune situazioni questi valori sono al di sopra (ad es., nei sight hound) o al di sotto (ad es., nei cuccioli, in gravidanza) del valore di riferimento della specie. Da un punto di vista pratico, per valutare la serie eritroide il clinico non ha bisogno di prendere in esame tutti i valori dell’emogramma, perché diversi parametri forniscono informazioni identiche. Ad esempio, ematocrito, emoglobina e conteggio eritrocitario assicurano lo stesso tipo di indicazioni (per cui un incremento del numero degli eritrociti di solito determina un aumento dei valori di ematocrito ed emoglobina e viceversa). Quindi, quando si valuta l’eritrone in un esame emocromocitometrico completo, l’ematocrito viene utilizzato come indice indiretto della massa eritrocitaria (o del numero degli eritrociti). Le principali manifestazioni cliniche dell’anemia nel cane e nel gatto sono rappresentate da mucose pallide o itteriche, letargia, intolleranza all’esercizio, pica e diminuzione dell’attività complessiva. Questi segni clinici possono essere acuti o cronici e di gravità variabile. Inoltre, i proprietari possono individuare alcune delle modificazioni di adattamento all’anemia come la tachicardia o l’incremento dell’itto precordiale. Quando si valuta un paziente con pallore delle mucose occorre stabilire se il cambiamento di colore delle stesse è causato da ipoperfusione o anemia. L’approccio più semplice per risolvere questo problema consiste nel valutare l’ematocrito ed il tempo di riempimento capillare. I pazienti con affezioni cardiovascolari ed ipoperfusione di solito presentano valori di ematocrito normali o con diminuzione marginale e segni clinici aggiuntivi. Occasionalmente, soggetti con insufficienza cardiaca congestizia possono mostrare un’anemia da diluizione causata dalla ritenzione di fluidi intravascolari. Il tempo di riempimento capillare può essere difficile da valutare nei cani e nei gatti anemici, a causa della mancanza di contrasto (conseguente al pallore). I pazienti con pallore devono anche essere esaminati per rilevare la presenza di petecchie, ecchimosi e segni di sanguinamenti profondi, che possono suggerire una carenza di piastrine o di un fattore della coagulazione (come si osserva nei pazienti con sindrome di Evan, coagulazione intravasale disseminata [DIC] o leucemie acute). Si deve prestare particolare attenzione agli organi linforeticolari come i linfonodi e la milza, dal momento che parecchi disordini anemici sono associati a linfoadenopatia e/o epatosplenomegalia. Le radiografie addominali in un cane con emolisi intravascolare possono rivelare la presenza nello stomaco di corpi estranei metallici, che costituiscono una fonte di zinco che esita spesso nella lisi degli eritrociti.

Il grado dell’anemia è utile per determinarne la causa. A tal fine, le anemie vengono “classificate” come segue: lievi Ematocrito = 30-36% (cane) moderate Ematocrito = 18-29% (cane) gravi Ematocrito = < 18% (cane)

20-24% (gatto) 15-19% (gatto) < 14% (gatto)

La gravità dell’anemia di solito è correlata alla sua patogenesi. Ad esempio, se un cane o un gatto anemici vengono portati alla visita perché presentano lievi segni clinici e l’anemia è grave, si possono immediatamente escludere le cause acute (emorragia o emolisi) (la diminuzione acuta dell’ematocrito al di sotto del 15-18% di solito esita nella comparsa di segni clinici marcati; nell’anemia cronica, la maggior parte dei meccanismi compensatori si è già instaurata). Si può anche escludere l’anemia da malattia cronica, dato che questa è sempre lieve o moderata. Di conseguenza, il paziente in questione con tutta probabilità è affetto da un disordine midollare, un’anemia da nefropatia o una perdita ematica cronica. Quando si valuta l’ematocrito di un animale, è necessario esaminare anche i parametri plasmatici (o sierici) per rilevare la presenza di ittero o emolisi, nonché il contenuto proteico da determinare con un refrattometro. La provetta da microematocrito va ispezionata accuratamente alla ricerca di eventuali segni di autoagglutinazione. Una volta stabilito che il paziente è anemico, bisogna determinare se l’anemia è rigenerativa o non rigenerativa. Ciò di solito si effettua eseguendo un conteggio dei reticolociti nell’ambito dell’esame emocromocitometrico completo di routine e riflette la patogenesi dell’anemia, imponendo la diagnosi più logica ed il conseguente approccio terapeutico. In breve, le anemie rigenerative sono sempre dovute a cause extramidollari, dal momento che la presenza dei reticolociti (eritrociti immaturi) in circolo è un chiaro indice di un midollo osseo funzionalmente attivo; le anemie rigenerative sono la conseguenza di emolisi o perdita ematica; quelle non rigenerative possono essere dovute a disordini midollari o extramidollari, come l’ipoproliferazione eritroide, l’infiammazione cronica, la nefropatia cronica e l’emorragia o l’emolisi acute (prime 48-96 ore). Benché tradizionalmente le anemie da carenza di ferro vengano classificate come non rigenerative, la maggior parte dei cani con perdita ematica cronica che porta a carenza di ferro mostra un grado di rigenerazione lieve (o moderato). Le anemie rigenerative sono solitamente acute, mentre quelle non rigenerative sono iperacute (perdita ematica o emolisi di durata inferiore a 48 ore) oppure croniche.


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Tabella 1. Interpretazione delle anomalie morfologiche eritrocitarie nel cane e nel gatto Anomalia morfologica

Disordini comunemente associati

macrocitosi

caratteristica di razza (Barbone); infezione da FeLV; rigenerazione; carenza di folati; diseritropoiesi (malattia midollare) caratteristica di razza (Akita, Shar Pei, Shiba Inu); carenza di ferro; shunt portosistemico; carenza di ferro rigenerazione; rigenerazione; carenza di ferro; iposplenismo microangiopatia; emangiosarcoma; DIC; iposplenismo anemia emolitica autoimmune emangiosarcoma; epatopatia; iposplenismo artefatto; nefropatia; anemia da carenza di piruvato chinasi elliptocitosi congenita (cane) insulto ossidativo a carico degli eritrociti iposplenismo; rigenerazione anemia emolitica autoimmune caratteristiche di razza (Schnauzer, Bassotto); emopoiesi extramidollare; rigenerazione; avvelenamento da piombo; emangiosarcoma vedi testo vedi testo disordine midollare; ipersplenismo

microcitosi ipocromasia policromasia poichilocitosi schistocitosi (frammenti) sferocitosi acantocitosi (spur cell) ecchinocitosi (burr cell) elliptocitosi corpi di Heinz corpi di Howell-Jolly autoagglutinazione metarubricitosi leucopenia trombocitopenia pancitopenia

Nella valutazione clinica iniziale di un paziente anemico, l’esame dello striscio di sangue di solito è sufficiente a determinare se il midollo osseo sta rispondendo in modo appropriato all’anemia (cioè se questa è rigenerativa). Attraverso l’esame di uno striscio di sangue di buona qualità e correttamente colorato è possibile acquisire diversi dati, come le dimensioni e la morfologia degli eritrociti, la presenza di autoagglutinazione, il numero approssimativo e la morfologia dei leucociti e delle piastrine, la comparsa di eritrociti nucleati, il riscontro di policromasia (indicativa di rigenerazione) e l’infestazione da parassiti eritrocitari. Questa valutazione rapida dello striscio di sangue può (e deve) essere effettuata dal clinico e il campione ematico deve essere inviato ad un laboratorio diagnostico (e valutato da un patologo clinico) per le ulteriori analisi. Nella Tabella 1 sono riassunte alcune delle anomalie identificate attraverso l’accurato esame degli strisci di sangue e le loro implicazioni cliniche. È importante condurre questa valutazione su un monostrato (in cui gli eritrociti si dispongono su un singolo piano ed il 50% delle cellule si toccano) con microscopio ottico a olio. In un paziente anemico, l’esame emocromocitometrico completo e il conteggio dei reticolociti, quando si riescono

ad effettuare, forniscono un parametro più assoluto per valutare il grado della rigenerazione: 1. Se gli indici eritrocitari sono macrocitici ed ipocromici, con tutta probabilità la condizione è dovuta alla presenza di un numero elevato di reticolociti (che sono più grandi e contengono meno emoglobina degli eritrociti maturi); di conseguenza, l’anemia è probabilmente rigenerativa. 2. Se il numero dei reticolociti è superiore a 60.000100.000/ml ed il grado dell’anemia non è grave (ematocrito compreso fra 20 e poco più di 30), l’anemia è probabilmente rigenerativa. 3. Se l’indice reticolocitario (RI) in un cane è superiore a 2,5, l’anemia è rigenerativa. Quando si valuta un paziente con anemia rigenerativa, è utile determinare la concentrazione sierica o plasmatica delle proteine, dal momento che la perdita ematica di solito esita in ipoproteinemia, mentre l’emolisi no.

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Immune-mediated blood disorders C. Guillermo Couto DVM, Dipl ACVIM (Internal Medicine and Oncology), Ohio, USA

IMMUNE-HEMOLYTIC ANEMIA Immune hemolytic anemia constitutes the most common form of hemolysis in the dog. Although two pathogenetic categories of hemolytic anemia are recognized (primary or idiopathic, and secondary), most cases of IHA in dogs are primary (ie; a cause cannot be found after exhaustive clinical and laboratory examination). With the exception of immune hemolysis secondary to hemoparasites IHA is rare in cats. The clinical course in dogs is typically acute, but peracute presentations are commonly seen. Clinical signs include acute (or peracute) onset of depression, exercise intolerance, and pallor, occasionally accompanied by vomiting or abdominal pain. Physical examination findings usually consist of pallor, petechiae and ecchymoses (if immune thrombocytopenia is also present), jaundice, splenomegaly, and a heart murmur; as discussed above, jaundice can be absent in dogs with IHA. Over the past five to seven years we have recognized a subset of dogs with acute (or peracute) IHA with icterus (and usually autoagglutination), in which clinical deterioration due to the development of multifocal thromboembolic disease occurs within hours or days of admission (see below). We treat these dogs more aggressively than the typical dog with IHA. Hematologic findings in dogs with IHA typically include a strongly regenerative anemia, leukocytosis due to neutrophilia with left shift and monocytosis, increased numbers of nucleated RBCs, polychromasia, and spherocytosis; the serum (plasma) protein concentration is usually normal to increased. As discussed above, autoagglutination is prominent in some dogs. In cases of Evans' syndrome, or in dogs with secondary DIC thrombocytopenia is also present.The presence of polychromasia with autoagglutination and spherocytosis in a dog with acute onset of illness is virtually pathognomonic of IHA. Immunosuppressive doses of corticosteroids (equivalent to 2-4 mg/kg of prednisone SID to BID in the dog, and up to 8 mg/kg SID to BID in the cat) constitute the treatment of choice for primary IHA. Although dexamethasone can be used initially to induce remission, it should not be used for prolonged periods of time as maintenance therapy, due to its higher potential to cause gastrointestinal ulceration and pancreatitis, and because it cannot be used on alternate therapy (ie; it still results in interference with the hypothalamic-pituitary-adrenal axis).

Some dogs treated with corticosteroids alone improve dramatically within 24 to 96 hours. Corticosteroids act by three different mechanisms: suppression of the MPS, decrease of complement and antibody binding to the cells, and suppression of immunoglobulin production. The first two are rapid in onset (hours), while the latter is delayed (one to three weeks). We also use cyclophosphamide (Cytoxan, Mead Johnson), at a dose of 200-300 mg/m 2, IV, as a single dose administered over 5 to 10 minutes, in conjunction with a single IV dose of dexamethasone sodium phosphate (1-2 mg/kg). We routinely use low-dose heparin (100-200 IU/kg, SQ, TID) or aspirin (0.5 mg/kg, PO, TID) in our practice. Aggressive fluid therapy should be used in conjunction with these treatments, realizing that depending upon the degree of anemia, hemodilution may be detrimental to the patient. Drugs used for maintenance treatment of dogs with IHA include prednisone (1 mg/kg, day, PO, eod) and azathioprine (Imuran, Burroughs Welcome) (50 mg/m 2, PO, sid to eod), used either singly or in combination. Azathioprine is associated with few side effects, although close hematologic monitoring is necessary due to its potential to cause bone marrow suppression. Should myelosuppression occur, dosage reduction is necessary. In general, dogs with IHA require prolonged (often life-long) immunosuppressive treatment. Whether a patient will require continuous treatment or not is established on the basis of trial-and-error, that is, decremental doses of the immunosuppressive drug/s are used for a given period of time (usually 2 to 3 weeks), at which time the patient is re-evaluated clinically and hematologically; if the PCV has not decreased considerably and the patient is clinically stable (or has improved), the dose is further reduced. This procedure is repeated until the drug/s is/are discontinued. In my experience, over two-thirds of dogs with IHA require life-long treatment. Alternative approaches for the treatment of patients with refractory IHA include the use of therapeutic plasmapheresis, danazol (Danacrine, Winthrop)(5 mg/kg, BID) cyclosporine A, human IV immunoglobulin (Venoglobulin), and possibly splenectomy. Splenectomy has rarely been of benefit in dogs with IHA treated in our clinic. We have been using Venoglobulin for the past year or so to treat dogs with refractory or “high-risk” IHA, at a dose of 0.5 to 1 gm/kg (one or two doses) with very good results; although this product is relatively expensive (ie; $400-600 for a dose for a Cocker Spaniel), most patients have responded with increase in the PCV without relevant adverse effects.


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IMMUNE-MEDIATED THROMBOCYTOPENIA Immune-mediated thrombocytopenia (IMT or ITP) represents the most common cause of spontaneous bleeding in dogs, and is extremely rare in cats. It affects primarily middle-aged female dogs. Clinical signs are those of a primary hemostatic defect and include petechiae, ecchymoses, and superficial bleeding; if bleeding is pronounced, acute collapse may occur. If the anemia is not pronounced, most dogs are fairly asymptomatic. In most dogs, IMT is acute or peracute. The CBC in patients with IMT is characterized by thrombocytopenia with or without anemia (depending upon the degree of spontaneous bleeding, and the presence or absence of concurrent IHA); leukocytosis with a left shift may be present. When IHA is associated with IMT (ie; Evan's syndrome), a Coombs'-positive, regenerative anemia with spherocytosis is present. Bone marrow cytology is usually characterized by megakaryocytic hyperplasia, although in rare instances, megakaryocytic hypoplasia with free megakaryocyte nuclei may be present. When the index of suspicion for IMT is high, a therapeutic trial with immunosuppressive doses of corticosteroids (equivalent to 2-8 mg/kg/day of prednisone) should be instituted. Responses are usually seen within 48-96 hours. There is no clinical evidence that dexamethasone is more effective than prednisone in controlling IMT; indeed, in my experience, the prevalence of acute gastrointestinal ulceration is considerably higher in dogs receiving dexamethasone than in those receiving prednisone. Because an acute upper gastrointestinal bleed is usually catastrophic in a dog with thrombocytopenia, prednisone is the drug of choice. Azathioprine (Imuran, Wellcome)(50 mg/m 2, PO, sid to eod) is effective in maintaining remission, but is not a good agent for induction of remission; in some dogs, azathioprine is better tolerated than chronic corticosteroids, although close hematologic monitoring is recommended, given its myelosuppressive properties. The androgenic steroid danazol (5 mg/kg, PO, bid) has received recent attention as a potential therapy in dogs with IMT, although it is usually cost-prohibitive in large dogs. Most dogs with IMT have a good prognosis but require life-long treatment. Dogs with refractory IMT can be successfully treated with vincaloaded platelets, danazol (see above), or splenectomy.

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IMMUNE-MEDIATED NEUTROPENIA Immune-mediated neutropenia (IMN) is relatively common in people. Despite the fact that references to immunemediated (or corticosteroid-responsive) neutropenia in animals are scarce in the literature, it is relatively common in small animal patients in our clinic. Dogs and cats of any age or gender may present with either asymptomatic or symptomatic IMN. Most patients with IMN evaluated in our clinic are asymptomatic. Typically, IMN is diagnosed in a healthy dog or cat undergoing routine hematologic evaluation as part of an annual physical examination or prior to anesthesia. In this subset of patients, results of physical examination are normal, and the only abnormality detected is the cytopenia/s in the complete blood count (CBC). Occasionally dogs with IMN present for evaluation of fever or signs associated with infection. The CBC is helpful in diagnosing IMN. In most asymptomatic dogs and cats, severe neutropenia (<500/µl) is the only hematologic abnormality present; neutrophil counts of 100 to 200/µl are common, and most cells do not have toxic changes (eg; cytoplasmic basophilia, Döhle bodies). Bone marrow aspiration in dogs or cats with IMN typically reveals a hypercellular bone marrow with myeloid and megakaryocytic hyperplasia, although myeloid hypoplasia can also occur. IMN is usually a diagnosis of exclusion, since, in my experience, specific tests to detect antibodies on the surface of the neutrophils are not clinically reliable. The patient should undergo a thorough physical examination in search for a hidden infectious focus. This is probably more important in symptomatic dogs than in those without clinical signs, since it is quite unlikely than an asymptomatic dog or cat with neutropenia has a clinically undetectable infection. Immunosuppressive drugs constitute the mainstay of therapy in dogs and cats with IMN. As discussed above, an in-hospital therapeutic trial of immunosuppressive doses of corticosteroids after 2 to 3 days on antibiotics is a sure way to retrospectively confirm a diagnosis.

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Malattie emolitiche immuno-mediate C. Guillermo Couto DVM, Dipl ACVIM (Internal Medicine and Oncology), Ohio, USA

ANEMIA EMOLITICA IMMUNOMEDIATA L’anemia emolitica immunomediata costituisce la forma più comune di emolisi nel cane. Benché si riconoscano due categorie patogenetiche di questa condizione (primaria o idiopatica e secondaria), la maggior parte dei casi di anemia emolitica immunomediata nel cane è di natura primaria (per cui non è possibile individuare una causa anche dopo un’approfondita e completa indagine clinica e di laboratorio). Fatta eccezione per l’emolisi immunomediata secondaria alle emoparassitosi, nel gatto la malattia è rara. Il decorso clinico nel cane è tipicamente acuto, ma si osservano comunemente presentazioni iperacute. I segni clinici sono rappresentati dall’insorgenza acuta (o iperacuta) di depressione, intolleranza all’esercizio e pallore, occasionalmente accompagnato da vomito o dolore addominale. I riscontri all’esame clinico di solito sono rappresentati da pallore, petecchie ed ecchimosi (se è anche presente una trombocitopenia immunomediata), ittero, splenomegalia e soffio cardiaco; come già ricordato, l’ittero può essere assente nei cani con anemia emolitica immunomediata. Negli ultimi 5-7 anni abbiamo riconosciuto un sottogruppo di cani con anemia emolitica immunomediata acuta (o iperacuta) con ittero (e di solito autoagglutinazione) in cui il deterioramento clinico dovuto allo sviluppo di una malattia tromboembolica multifocale insorge entro ore o giorni dal ricovero (vedi oltre). Trattiamo questi cani in modo più aggressivo di quelli con quadri tipici di anemia emolitica immunomediata. I riscontri ematologici nei cani colpiti dalla malattia comprendono tipicamente un’anemia fortemente rigenerativa, leucocitosi da neutrofilia con spostamento a sinistra e monocitosi, aumento del numero degli eritrociti nucleati, policromasia e sferocitosi; la concentrazione sierica (plasmatica) di proteine di solito è normale o aumentata. Come già ricordato, in alcuni cani si rileva una pronunciata autoagglutinazione. Nei casi di sindrome di Evans o nei cani con DIC secondaria è anche presente una trombocitopenia. Il riscontro di policromasia con autoagglutinazione e sferocitosi in un cane con insorgenza acuta di malattia è praticamente patognomonico di anemia emolitica immunomediata. Il trattamento d’elezione della forma primaria della malattia è costituito dai corticosteroidi a dosaggi immunosoppressori (equivalenti a 2-4 mg/kg di prednisone SID-BID nel cane e fino ad 8 mg/kg SID-BID nel gatto). Il desametazone può venire inizialmente utilizzato per indurre la remissione, ma non va impiegato come terapia di mantenimento per periodi di tempo prolungati, a causa dell’elevato rischio di induzione di ulcere gastroenteriche e pancreatite e perché non può essere usato come terapia alternativa (perché esita

ancora in interferenze con l’asse ipotalamo-ipofisi surrene). Alcuni cani trattati con corticosteroidi da soli migliorano drasticamente entro 24-96 ore. Questi farmaci agiscono attraverso tre differenti meccanismi: soppressione del MPS, riduzione del legame di complemento ed anticorpi alle cellule e soppressione della produzione di immunoglobuline. I primi due insorgono rapidamente (ore) mentre l’ultimo è ritardato (fino a tre settimane). Noi utilizziamo anche la ciclofosfamide (cytoxan, Mead Johnson) alla dose di 200-300 mg/m2 IV, come singola dose somministrata nell’arco di 5-10 minuti in associazione con una singola iniezione IV di desametazone sodio fosfato (1-2 mg/kg). Presso la nostra struttura impieghiamo di routine eparina a basse dosi (100-200 UI/kg SC, TID) o acido acetilsalicilico (0,5 mg/kg PO TID). In associazione con questi trattamenti si deve attuare una fluidoterapia aggressiva, perché, a seconda del grado di anemia, l’emodiluizione può essere dannosa per il paziente. I farmaci utilizzati per la terapia di mantenimento nei cani con anemia emolitica immunomediata sono rappresentati da prednisone (1 mg/kg, die, PO, a giorni alterni) ed azatioprina (Imuran, Burroughs Welcome) (50 mg/m2 PO da sid a giorni alterni), utilizzati sia singolarmente che in associazione. L’azatioprina è accompagnata da scarsi effetti collaterali, benché sia necessario uno stretto monitoraggio ematologico a causa della sua potenziale capacità di indurre una soppressione midollare. Qualora dovesse insorgere una mielosoppressione, è necessario diminuire il dosaggio. In generale, i cani con anemia emolitica immunomediata necessitano di un trattamento immunosoppressivo prolungato (spesso per tutta la vita). Il fatto che un paziente necessiti o meno di un trattamento continuo viene stabilito sulla base di una serie di tentativi ed errori, utilizzando cioè dosi decrescenti di uno o più farmaci immunosoppressori per un dato periodo di tempo (di solito da due a tre settimane), al termine del quale il paziente viene rivalutato clinicamente ed ematologicamente: se l’ematocrito non è diminuito considerevolmente ed il paziente è clinicamente stabile (o è migliorato) la dose viene ulteriormente ridotta. Questa procedura va ripetuta fino a che la somministrazione non viene sospesa. Secondo la mia esperienza, più di 2/3 dei cani con anemia emolitica immunomediata necessita di un trattamento per tutta la vita. Approcci alternativi per il trattamento del paziente con anemia emolitica immunomediata refrattaria sono rappresentati dall’impiego di plasmaferesi terapeutica, danazolo (Danacrina, Winthrop) (5 mg/kg BIS), ciclosporina A, immunoglobulina umana IV (Venoglobulin) e eventualmente splenectomia. Quest’ultima è stata veramente utile nei


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cani con anemia emolitica immunomediata trattati presso la nostra clinica. Abbiamo utilizzato il Venoglobulin nel corso dell’ultimo anno circa per trattare i cani con anemia emolitica immunomediata refrattaria o “ad alto rischio”, alla dose di 0,5-1 mg/kg (una o due dosi) con risultati ottimi; anche se questo prodotto è relativamente costoso (400-600$ per una dose per il Cocker Spaniel), la maggior parte dei pazienti ha risposto con un aumento dell’ematocrito senza effetti indesiderati rilevanti.

TROMBOCITOPENIA IMMUNOMEDIATA La trombocitopenia immunomediata (IMT o ITP) rappresenta la causa più comune di sanguinamento spontaneo nel cane ed è estremamente rara nel gatto. Colpisce principalmente le cagne di media età. I segni clinici sono quelli di un difetto emostatico primario e sono rappresentati da petecchie, ecchimosi, e sanguinamento superficiale. Se l’emorragia è pronunciata, si può avere un collasso acuto. Se l’anemia non è accentuata, la maggior parte dei cani risulta abbastanza asintomatica. In genere, la trombocitopenia immunomediata è acuta o iperacuta. L’esame emocromocitometrico completo nei pazienti con IMT è caratterizzato da trombocitopenia con o senza anemia (a seconda del grado di sanguinamento spontaneo e della presenza o assenza di una concomitante anemia emolitica immunomediata); si può rilevare una leucocitosi con spostamento a sinistra. In presenza di un’associazione fra anemia emolitica immunomediata e trombocitopenia immunomediata (sindrome di Evans), si riscontra un’anemia rigenerativa Coombs-positiva con sferocitosi. La citologia del midollo osseo è solitamente caratterizzata da iperplasia megacariocitaria, anche se in rari casi può essere presente un’ipoplasia megacariocitaria con nuclei megacariocitari liberi. Quando l’indice di sospetto della trombocitopenia immunomediata è elevato, si deve iniziare un tentativo terapeutico con corticosteroidi a dosi immunosoppressive (equivalenti a 2-8 mg/kg/die di prednisone). Le risposte si osservano solitamente entro 48-96 ore. Non ci sono prove cliniche del fatto che il desametazone sia più efficace del prednisone per il controllo della trombocitopenia immunomediata; anzi, secondo la mia esperienza, la prevalenza delle ulcere gastroenteriche acute è considerevolmente più elevata nei cani trattati con desametazone rispetto a quelli che assumono prednisone. Poiché un sanguinamento acuto del tratto superiore dell’apparato gastroenterico è solitamente catastrofico in un cane con trombocitopenia, il prednisone è il farmaco d’elezione. L’azatioprina (Imuran, Wellcome) (50 mg/m2, PO sid o a giorni alterni) è efficace per il mantenimento della remissione, ma non è un buon agente per indurla; in alcuni cani, l’azatioprina è tollerata meglio della somministrazione cronica dei corticosteroidi, anche se si raccomanda uno stretto monitoraggio ematologico, date le sue proprietà mielosoppressive. Uno steroide androgeno, il danazolo (5 mg/kg, PO, bid) è stato recentemente oggetto di attenzione come potenziale terapia nei cani con trombocitopenia immunomediata, anche se di solito ha costi proibitivi nei soggetti di grossa taglia. Nella maggior parte dei cani con trombocitopenia immu-

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nomediata la prognosi è buona, ma richiede una terapia che duri tutta la vita. I cani colpiti da una forma refrattaria della malattia possono essere trattati con successo con piastrine caricate con la vinca, danazolo (vedi sopra) o splenectomia.

NEUTROPENIA IMMUNOMEDIATA La neutropenia immunomediata (IMN) è relativamente comune nell’uomo. Nonostante il fatto che i lavori pubblicati in letteratura sulla neutropenia immunomediata (o steroido-sensibile) negli animali siano scarsi, la malattia è relativamente comune nei piccoli animali esaminati presso la nostra clinica. Cani e gatti di qualsiasi età e sesso possono essere portati alla visita con una neutropenia immunomediata asintomatica o sintomatica. La maggior parte dei soggetti colpiti da questa malattia ed esaminati presso la nostra clinica è asintomatica. La neutropenia immunomediata viene tipicamente diagnosticata in un cane o un gatto sano sottoposto ad una valutazione ematologia nell’ambito di una visita di controllo annuale o in previsione di un’anestesia. In questo sottogruppo di pazienti, i risultati dell’esame clinico sono normali e l’unica anomalia rilevata è la presenza di una o più citopenie nell’emogramma. Occasionalmente, i cani con neutropenia immunomediata vengono portati alla visita perché presentano febbre o segni clinici associati all’infezione. Ai fini della diagnosi della neutropenia immunomediata è utile l’esame emocromocitometrico completo. Nella maggior parte dei cani e dei gatti asintomatici, l’unica anomalia ematologia presente è una grave neutropenia (< 500/µl); è comune un conteggio dei neutrofili di 100-200/µl e la maggior parte delle cellule non presenta alterazioni tossiche (ad es., basofilia del citoplasma, corpi di Döhle). L’aspirazione con ago sottile del midollo osseo dei cani o dei gatti con neutropenia immunomediata rivela tipicamente un quadro ipercellulare con iperplasia mieloide e megacariocitaria, benché si possa riscontrare anche un’ipoplasia mieloide. La diagnosi di neutropenia immunomediata viene solitamente formulata per esclusione, dato che, secondo la mia esperienza, i test specifici per l’identificazione degli anticorpi sulla superficie dei neutrofili non sono clinicamente affidabili. Il paziente deve essere sottoposto ad un approfondito esame clinico alla ricerca di un focolaio infettivo occulto. Ciò risulta probabilmente più importante nei cani sintomatici che in quelli che non presentano manifestazioni cliniche, dal momento che è estremamente improbabile che un cane o un gatto neutropenico ed asintomatico sia colpito da un’infezione clinicamente in apparente. Il caposaldo della terapia dei cani e dei gatti con neutropenia immunomediata è rappresentato dai farmaci immunosoppressori. Come già ricordato, il ricovero dell’animale seguito da un tentativo terapeutico con corticosteroidi a dosi immunosoppressive dopo 2-3 giorni di antibiotici è un modo sicuro per ottenere la conferma retrospettiva della diagnosi. Indirizzo per la corrispondenza: C. Guillermo Couto Department of Veterinary Clinical, College of Veterinary Medicine, The Ohio State University, Columbus, OH


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Clinical Approach to the Bleeding Patient C. Guillermo Couto DVM, Dipl ACVIM (Internal Medicine and Oncology), Ohio, USA

The role of the hemostatic system is to maintain the fluidity of the blood (ie; prevent intravascular coagulation) and prevent blood from escaping outside blood vessels when injury occurs. Physiology of Hemostasis for the Clinician The hemostatic system interacts intimately with the vessel wall. Traditionally, the hemostatic system is composed of four main arms: primary hemostasis, secondary hemostasis, fibrinolysis, and natural anticoagulants. Primary hemostasis describes the interaction between platelets and the vessel wall; secondary hemostasis describes the formation of fibrin through activation of the coagulation cascade; and fibrinolysis refers to the lysis of a clot or thrombus through activation of plasminogen into plasmin. The natural anticoagulants oppose the effects of the components of the intrinsic, extrinsic, and common pathways. The secondary hemostatic system is traditionally referred to as the "coagulation cascade", which is traditionally composed of intrinsic, extrinsic, and common pathways.

Clinical Recognition of Hemostatic Disorders in Dogs and Cats Dogs frequently present for evaluation of spontaneous bleeding tendencies detected by the owner. A tendency towards excessive bleeding may also be discovered while performing invasive procedures, such as venipuncture, catheterization, or surgery. In contrast to dogs, cats with hemostatic disorders usually do not bleed spontaneously, but they tend to bleed excessively during or shortly after surgery. When evaluating a dog or cat with a spontaneous bleeding disorder, the information obtained during history-taking and physical examination usually allows the clinician to differentiate between disorders of primary and secondary hemostasis (see below). These disorders can then be confirmed in the majority of the patients by performing simple tests. As discussed above, the formation of the primary hemostatic plug (ie; vascular-platelet interaction) is rapid, but short-lived. Therefore, the following occurs in a dog or cat with thrombocytopenia or platelet dysfunction (or less frequently, with a vasculopathy): millions (or billions) of endothelial cells die daily in normal individuals, thus exposing the subendothelium to the circulating blood; in a normal animal, multiple primary hemostatic plugs will be formed, preventing noticeable bleeding. In a dog or cat with a nonfunctional primary hemostatic plug, blood starts exiting the superficial (and deep) blood vessels, and it does so during a few seconds to minutes, until the permanent secondary hemostatic plug (ie; fibrin) is formed.

In a dog or cat unable to form fibrin (ie; a defect in secondary hemostatic plug formation), stretching or damage to a vessel wall results in minimal immediate bleeding. For example, upon performing venipuncture there is almost no immediate bleeding, but the affected animal starts bleeding profusely after a few minutes. This delayed-onset of bleeding occurs because the platelet plug temporarily seals the defect (hole) in the blood vessel. However, because this patient cannot generate fibrin, once the primary hemostatic plug is no longer functional, blood starts to flow through the defect, and it continues to do so unimpaired, resulting in a large deep hemorrhage. Dogs and cats with mixed hemostatic defects (primary plus secondary) develop a combination of petechiae, ecchymoses, mucosal bleeding, hematomas, and intracavitary bleeding. Mixed hemostatic defects are almost exclusively associated with DIC, and are common in dogs and cat.

Clinicopathologic Evaluation of the Bleeding Patient Several laboratory tests are available to confirm a presumptive diagnosis in a dog or cat with spontaneous or excessive bleeding. The screening (or cageside) tests will be discussed in some detail, since they are frequently performed by the clinician. The routine laboratory tests for hemostatic evaluation, as well as the specialized hemostatic tests used to confirm specific defects will be briefly summarized, since they are typically performed by referral laboratories, and thus, the methodology is not important for the clinician. Screening (cageside) tests: Four rapid semiquantitative tests are available. These tests allow for a rapid characterization of the defect as either a primary, secondary, or mixed hemostatic defect; or as enhanced fibrinolysis. The four tests are: examination of the blood smear, activated coagulation time (ACT), buccal mucosa bleeding time (BMBT), and determination of FDPs. Examination of the blood smear: The first step in evaluating a dog or cat with a bleeding tendency, particularly if the clinical signs are suggestive of a primary hemostatic defect, is to examine a good quality blood smear. In normal dogs and cats, there are 10 to 25 platelets per field; each platelet in a monolayer field under oil immersion is equivalent to approximately 15,000 platelets/Âľl (ie; number of platelets/oil immersion field X 15,000= platelets/Âľl). Activated coagulation time (ACT): The ACT evaluates the ability of whole blood to clot when diatomaceous earth, a contact activator, is added to the sam-


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ple in a test tube. The test is performed by drawing 3 ml of blood in a syringe (without anticoagulant) by atraumatic venipuncture; 1 ml of blood is discarded, and the remaining 2 ml are placed in a tube containing diatomaceous earth (ACT tubes, Beckton Dickenson). End-point is gelling of the blood. The ACT in normal dogs ranges from 60 to 90 seconds, and in cats is usually below 65 seconds. Buccal mucosa bleeding time (BMBT): This test evaluates the interaction between platelets and endothelium (or subendothelium) that leads to formation of the primary hemostatic plug. After evaluating a blood smear and making sure that the patient has a relatively normal platelet count, the BMBT is performed using a template (Simplate II, American Diagnostics), that is used to make a small incision of standard width and depth in the inner surface of the upper lip (ie; buccal mucosa). Reference values for normal dogs and cats range from 1 to 3 minutes. Fibrin degradation products (FDPs): Fibrin (fibrinogen) degradation products are formed when plasmin biodegrades one or both of these coagulation proteins. The ThromboWelcoTest (Wellcome Reagents Ltd, Beckenham, England) is the most widely used assay for FDPs in dogs and cats, and it can be easily performed inhouse.

Routine Laboratory Tests: Several routine tests of hemostatic function are available in most university and commercial diagnostic laboratories. In general, a hemostasis screen (coagulation screen or coagulogram) is composed of five tests: a platelet count; the activated partial thromboplastin time (APTT), that evaluates the intrinsic and common coagulation pathways; the one stage prothrombin time (OSPT), that evaluates the extrinsic and common pathways; fibrinogen concentration; and determination of FDPs. Some referral laboratories also perform AT-III determinations. In most laboratories, coagulation tests are performed using a concurrent control sample of pooled canine or feline plasma. When interpreting the results of the APTT and OSPT, it is best to compare them to the controls. Prolongation (or shortening) of more than 25% above (or below) the control is considered clinically meaningful. In general, more than 70% decrease in the activity of an individual clotting factor is necessary to result in prolongation of these assays. Specialized Laboratory Tests: Some diagnostic laboratories specialized hemostasis can perform specific assays, such as individual clotting factor determination. Properly collected samples should be mailed overnight (frozen or refrigerated) to the laboratory for evaluation.

Table 1: Clinical manifestations of primary and secondary hemostatic defects Primary Hemostatic Defect

Secondary Hemostatic Defect

petechiae, ecchymoses common hematomas rare bleeding from mucous membranes bleeding immediately after venipuncture

petechiae, ecchymoses rare hematomas common bleeding into muscles, joints, and body cavities delayed bleeding after venipuncture

From Couto CG: Disorders of Hemostasis. In Nelson R and Couto CG: Small Animal Internal Medicine. Mosby, St. Louis. 1998. pp 1192-1206 (with permission from the author).

Table 2: Simple cage-side test for the rapid classification of hemostatic disorders Test

Most likely disorder/s if prolonged (or positive)

platelet estimation in blood smear buccal mucosa bleeding time activated coagulation time fibrin degradation products fibrinolysis (rare)

thrombocytopenia thrombocytopenia, thrombocytopathia intrinsic/common pathway defect DIC, rodenticide toxicity, enhanced

From Couto CG: Couto CG: Disorders of Hemostasis. In Nelson R and Couto CG: Small Animal Internal Medicine. Mosby, St. Louis. 1998. pp 1192-1206 (with permission from the author).

Author’s Address for correspondence: C. Guillermo Couto, Department of Veterinary Clinical, College of Veterinary Medicine, The Ohio State University, Columbus, OH


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Perché questo cane sanguina? C. Guillermo Couto DVM, Dipl ACVIM (Internal Medicine and Oncology), Ohio, USA

Il ruolo del sistema emostatico è quello di mantenere la fluidità del sangue (cioè prevenire la coagulazione intravasale) ed evitare che questo fuoriesca all’esterno dei vasi quando si verificano delle lesioni.

Fisiopatologia dell’emostasi dal punto di vista clinico Il sistema emostatico interagisce intimamente con la parete dei vasi. Tradizionalmente, tale sistema risulta costituito da quattro componenti principali: emostasi primaria, emostasi secondaria, fibrinolisi ed anticoagulanti naturali. Col termine di emostasi primaria si indica l’interazione fra le piastrine e la parete vasale; l’emostasi secondaria è costituita dalla formazione della fibrina attraverso l’attivazione della cascata della coagulazione e la fibrinolisi è la lisi di un coagulo o trombo attraverso l’attivazione del plasminogeno in plasmina. Gli anticoagulanti naturali si oppongono agli effetti delle componenti delle vie intrinseca, estrinseca e comune. Il sistema emostatico secondario viene tradizionalmente indicato come “cascata della coagulazione”, distinta in vie intrinseca, estrinseca e comune.

Riconoscimento clinico dei disordini emostatici nel cane e nel gatto I cani vengono frequentemente portati alla visita perché presentano tendenze al sanguinamento spontaneo rilevate dal proprietario. La tendenza a sanguinare eccessivamente può anche venire scoperta durante l’esecuzione di procedure invasive, come una puntura di una vena, una cateterizzazione o un intervento chirurgico. A differenza di quanto avviene nel cane, i gatti con disordini emostatici di solito non sanguinano spontaneamente, ma tendono a mostrare un’eccessiva perdita ematica durante o poco dopo gli interventi chirurgici. Quando si valuta un cane o un gatto con un disordine emorragico spontaneo, le informazioni ottenute attraverso l’indagine anamnestica e l’esame clinico di solito permettono al veterinario di distinguere i disordini dell’emostasi primaria e secondaria (vedi oltre). Tali disordini possono poi essere confermati nella maggior parte dei pazienti attraverso l’esecuzione di semplici test. Come già ricordato, la formazione del tappo emostatico primario (interazione vascolare-piastrinica) è rapida, ma di breve durata. Di conseguenza, in un cane o un gatto con una trombocitopenia o una disfunzione piastrinica (o, meno frequentemente, con una vasculopatia) avviene quanto segue: milioni (o miliardi) di cellule endoteliali vengono a morte quotidianamente negli individui normali, esponendo così al sangue circolante lo strato subendoteliale. In un animale normale, si formano molteplici tappi emostatici pri-

mari che impediscono un sanguinamento evidente. In un cane o un gatto con un’alterazione della funzionalità del tappo emostatico primario, il sangue inizia a fuoriuscire dai vasi superficiali (e profondi) e continua a farlo per alcuni secondi o minuti, fino a che non si forma il tappo emostatico secondario permanente (fibrina). In un cane o un gatto che non è in grado di formare la fibrina (per un difetto della formazione del tappo emostatico secondario) lo stiramento o il danneggiamento di una parete vasale esita in un sanguinamento immediato di minima entità. Ad esempio, in seguito all’esecuzione di una puntura venosa non si ha quasi una perdita ematica immediata, ma l’animale colpito inizia a sanguinare profusamente dopo pochi minuti. Questa insorgenza ritardata del sanguinamento è dovuta al fatto che il tappo piastrinico chiude temporaneamente il difetto (foro) nel vaso sanguigno. Tuttavia, poiché questo paziente non è in grado di generare fibrina, una volta che il tappo emostatico primario ha perso la propria funzionalità il sangue inizia a fluire attraverso il difetto e continua a farlo senza essere arrestato portando alla formazione di una imponente emorragia profonda. Cani e gatti con difetti emostatici misti (primari + secondari) sviluppano un’associazione di petecchie, ecchimosi, sanguinamenti delle mucose, ematomi ed emorragie intracavitarie. I difetti emostatici misti sono quasi esclusivamente associati a DIC e risultano comuni nel cane e nel gatto.

Valutazione di laboratorio nel paziente che sanguina Per confermare un sospetto diagnostico in un cane o un gatto con sanguinamento spontaneo o eccessivo, è possibile utilizzare parecchi esami di laboratorio. Verranno discusse dettagliatamente le prove di screening (o cageside, cioè eseguibili direttamente accanto al paziente), dato che vengono frequentemente utilizzate dal clinico. Gli esami di laboratorio di routine per la valutazione emostatica, così come i test emostatici specializzati utilizzati per confermare difetti specifici saranno riassunti brevemente, dato che sono tipicamente eseguiti da laboratori di riferimento e, quindi, dal punto di vista del clinico la metodologia non è importante. Test di screening (cageside): sono disponibili quattro test rapidi semiquantitativi. Questi consentono una rapida caratterizzazione del difetto che viene distinto in primario, secondario o misto oppure da fibrinolisi accentuata. I quattro test sono: esame di uno striscio di sangue, tempo di coagulazione attivata (ACT), tempo di sanguinamento della mucosa boccale (BMBT) e determinazione degli FDP. Esame dello striscio di sangue: il primo passo nella valutazione di un cane o un gatto con una tendenza all’emorragia, in particolare se i segni clinici sono indicativi di


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un difetto emostatico primario, consiste nell’esaminare uno striscio di sangue di buona qualità. Nei cani e nei gatti normali, si osservano 10-25 piastrine per campo microscopico; ogni piastrina individuata in un monostrato al microscopio ad immersione in olio è equivalente a circa 15.000 piastrine/ml (vale a dire che il numero di piastrine/campo ad immersione in olio x 15.000 = piastrine/ml). Tempo di coagulazione attivata (ACT): l’ACT valuta la capacità del sangue intero di coagulare quando al campione contenuto in una provetta si aggiunge della terra di diatomee, un attivatore per contatto. Il test si effettua aspirando 3 ml di sangue in una siringa (senza anticoagulante) mediante puntura venosa atraumatica; 1 ml di sangue viene scartato ed i restanti 2 ml sono posti in una provetta contenente terra di diatomee (ACT tubes, Beckton Dickeson). L’end-point è la gelificazione del sangue. L’ACT nei cani normali varia da 60 a 90 secondi e nel gatto è solitamente inferiore a 65 secondi. Tempo di sanguinamento della mucosa boccale (BMBT): questo test valuta l’interazione fra piastrine ed endotelio (o subendotelio) che porta alla formazione del tappo emostatico primario. Dopo la valutazione di uno striscio di sangue ed essersi accertati che il paziente abbia un conteggio piastrinico relativamente normale, si esegue il BMBT utilizzando uno strumento (Simplate II, American Diagnostics) che consente di praticare una piccola incisione di ampiezza e profondità standard sulla superficie interna del labbro superiore (mucosa boccale). I valori di riferimento per i cani ed i gatti normali variano da 1 a 3 minuti. Prodotti di degradazione della fibrina (FDP): i prodotti di degradazione della fibrina (fibrinogeno) si formano quando la plasmina determina la biodegradazione di una o

entrambe queste proteine della coagulazione. Il metodo più ampiamente utilizzato per la determinazione del valore di FDP nel cane e nel gatto è il Thrombo Welco Test (Wellcome Reagents Ltd, Beckenham, England) che può essere facilmente eseguito a livello ambulatoriale. Esami di laboratorio di routine: presso la maggior parte dei laboratori diagnostici universitari e privati sono disponibili parecchi test di routine per la valutazione della funzione emostatica. In generale, uno screening dell’emostasi (profilo della coagulazione) è costituito da 5 test: conteggio piastrinico, tempo di tromboplastina parziale attivata (APTT), che valuta la via intrinseca e quella comune della coagulazione, tempo di protrombina (OSPT), che valuta la via estrinseca e quella comune della coagulazione, concentrazione del fibrinogeno e determinazione dei FDP. Alcuni laboratori di riferimento eseguono anche determinazioni dell’AT-III. Nella maggior parte dei laboratori, le prove di coagulazione si effettuano utilizzando un concomitante campione di controllo costituito da un pool di plasma canino o felino. Quando si interpretano i risultati di APTT e OSPT, è preferibile confrontarli con i controlli. Un prolungamento (o un accorciamento) superiore al 25% in più (o in meno) del controllo è considerato clinicamente significativo. In generale, per determinare un prolungamento di questi test è necessario un calo dell’attività di un singolo fattore della coagulazione superiore al 70%. Test di laboratorio specializzati: alcuni laboratori diagnostici specializzati nello studio dell’emostasi possono eseguire dei test specifici, come la determinazione dei singoli fattori della coagulazione. I campioni vanno prelevati in modo appropriato ed inviati (congelati o refrigerati) al laboratorio che effettuerà la valutazione nell’arco di 24 ore.

Tabella 1 - Manifestazioni cliniche dei difetti primari e secondari dell’emostasi Difetti primari dell’emostasi

Difetti secondari dell’emostasi

petecchie, ecchimosi comuni ematomi rari sanguinamento dalle mucose sanguinamento immediatamente dopo la puntura venosa

petecchie, ecchimosi rare ematomi comuni sanguinamento in muscoli, articolazioni e cavità corporee ritardo nel sanguinamento dopo la puntura venosa

Da Couto CG: Disorders of Hemostasis. In Nelson R e Couto CG: Small Animal Internal Medicine. Mosby, St. Louis, 1998. pp. 1192-1206 (con l’autorizzazione dell’autore)

Tabella 2 - Semplici test ambulatoriali (cageside) per la rapida classificazione dei disordini dell’emostasi Test

Disordine/i più probabile/i in caso di prolungamento o positività

stima delle piastrine in uno striscio di sangue tempo di sanguinamento della mucosa boccale tempo di coagulazione attivata prodotti di degradazione della fibrina

trombocitopenia trombocitopenia, trombocitopatia difetto della via intrinseca/comune DIC, avvelenamento da rodenticidi, accentuazione della fibrinolisi (rara)

Da Couto CG: Disorders of Hemostasis. In Nelson R e Couto CG: Small Animal Internal Medicine. Mosby, St. Louis, 1998. pp. 1192-1206 (con autorizzazione dell’autore) Indirizzo per la corrispondenza:Department of Veterinary Clinical, College of Veterinary, Medicine, The Ohio State University, Columbus, OH


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Disseminated Intravascular Coagulation C. Guillermo Couto DVM, Dipl ACVIM (Internal Medicine and Oncology), Ohio, USA

Disseminated intravascular coagulation (DIC), previously referred to as consumptive coagulopathy or defibrination syndrome, refers to a complex syndrome in which excessive intravascular coagulation leads to multiple-organ microthrombosis and paradoxical bleeding caused by inactivation or excessive consumption of platelets and clotting factors secondary to enhanced fibrinolysis. DIC is not a specific disorder, but rather a common pathway in a variety of clinical situations. Moreover, DIC constitutes a dynamic phenomenon in which marked changes in the patient's status and in the results of coagulation tests occur rapidly and repeatedly during the course of treatment. This syndrome is relatively common in dogs and cats.

PATHOGENESIS Several mechanisms can lead to activation of intravascular coagulation. Endothelial damage commonly results from electrocution and heat stroke, although it may play a role in sepsis-associated DIC. Platelet activation can occur as a consequence of viral infections (e.g., feline infectious peritonitis – FIP - in cats). Release of tissue procoagulants occurs in several common clinical conditions, including trauma, hemolysis, pancreatitis, bacterial infections, acute hepatitis, and possibly some neoplasms (e.g., HSA). The best way to understand the pathophysiology of DIC is to think about the whole vascular system as a single, giant blood vessel, and to think about its pathogenesis as an exaggeration of the normal hemostatic mechanisms. Once the coagulation cascade has been activated in this ``giant vessel'' (i.e., widespread within the microvasculature in the body), several events take place. Although they are listed sequentially, most of them occur simultaneously, and the intensity of each individual process varies with time, thus leading to an extremely dynamic process. First, the primary and secondary hemostatic plugs are formed; because this is happening in multiple small vessels simultaneously, multiple thrombi are formed in the microcirculation, which, if left unchecked, eventually lead to ischemia. During this excessive intravascular coagulation, platelets are consumed in large quantities, leading to thrombocytopenia. Second, the fibrinolytic system is activated, resulting in clot lysis and inactivation (or lysis) of clotting factors and impaired platelet function (fibrin degradation products – FDPs - are strong inhibitors of platelet function). Third, AT III and possibly also proteins C and S are consumed in attempts to halt intravascular coagulation, thus leading to ``exhaustion'' of the normal anticoagulants.

Fourth, the formation of fibrin within the microcirculation leads to hemolytic anemia as the RBCs are sheared by these fibrin strands (i.e., fragmented RBCs or schistocytes). When all this is taken into consideration, it is easy to understand (1) why a patient with multiple-organ thrombosis (caused by excessive intravascular coagulation and depletion of natural anticoagulants) is bleeding spontaneously (as a result of thrombocytopenia, impaired platelet function, and inactivation of clotting factors), and (2) why one of the therapeutic approaches that appears to be beneficial in dogs and cats with DIC is to paradoxically halt the bleeding by administering heparin (i.e., heparin, if sufficient AT III is available, halts intravascular coagulation, which in turn decreases the activity of the fibrinolytic system, thus releasing its inhibitory effect on the clotting factors and platelet function). A variety of disorders have been associated with DIC in dogs and cats. Neoplasia (primarily hemangiosarcoma – HSA), liver disease, and immune-mediated blood diseases are the most common disorders associated with DIC in dogs; liver disease (primarily hepatic lipidosis), neoplasia (mainly lymphoma), and feline infectious peritonitis are the disorders most frequently associated with DIC in cats in our clinic.

CLINICAL FEATURES There are several clinical presentations in dogs with DIC; the two common forms are chronic silent (subclinical) and acute (fulminant) DIC. As discussed above, in most cats DIC is subclinical. In the chronic (silent) form, the patient does not experience spontaneous bleeding, but clinicopathologic evaluation of the hemostatic system reveals abnormalities compatible with this syndrome (see following paragraphs). This form of DIC appears to be common in dogs with malignancy and, possibly, other chronic disorders. The acute (fulminant) form may represent a true acute phenomenon (e.g., after heatstroke, electrocution, or acute pancreatitis), or, more commonly, it represents acute decompensation of a chronic silent process (e.g., HSA, liver disease). Regardless of the pathogenesis, dogs with acute DIC often present for evaluation of profuse spontaneous bleeding, in combination with signs secondary to anemia or to parenchymal organ thrombosis (i.e., end-organ failure). The clinical signs of bleeding suggest both primary (i.e., petechiae, ecchymoses, mucosal bleeding) and secondary (i.e., blood in body cavities) bleeding. In addition, clinical and clinicopathologic evidence of organ dysfunction is present (see following paragraphs).


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In a recent retrospective study of 50 dogs with DIC conducted in our clinic, only 26% had evidence of spontaneous bleeding; only 1 of 21 cats with DIC retrospectively evaluated in our clinic had evidence of spontaneous bleeding (Couto CG: Unpublished data, 1998). Most patients were presented for evaluation of their primary problem and were not bleeding spontaneously; DIC was diagnosed as part of the routine clinical evaluation.

DIAGNOSIS Because clinical DIC is uncommon in cats, the discussion on Diagnosis and Treatment refers to dogs. Several hematologic findings help support a presumptive clinical diagnosis of DIC, including hemolytic anemia, hemoglobinemia (caused by intravascular hemolysis), hemoglobinuria, presence of RBC fragments or schistocytes, thrombocytopenia, neutrophilia with left shift, and, rarely, neutropenia. Most of these features are evident after evaluating a spun hematocrit and a blood smear. A urinalysis usually reveals hemoglobinuria and bilirubinuria, with occasional proteinuria and cilindruria. In this regard, urine samples in dogs with acute DIC should not be obtained by cystocentesis, since severe intravesical or intramural vesical bleeding may occur. Hemostatic abnormalities in dogs with DIC include the following: thrombocytopenia, prolongation of the onestage prothrombin time (OSPT) and/or activated partial thromboplastin time (APTT) (more than 25% of the concurrent control), hypofibrinogenemia, positive FDP test, and decreased AT III concentration. If evaluated, enhanced fibrinolysis can also be documented in these patients (e.g., decreased plasminogen activity, enhanced clot lysis test). In our clinic, a diagnosis of DIC is made if the patient exhibits four or more of the above hemostatic abnormalities and/or schistocytosis. In dogs, thrombocytopenia, prolongation of the APTT, anemia, and schistocytosis are common; in contrast with previous descriptions of the syndrome in dogs, regenerative anemia, prolongation of the OSPT, and hypofibrinogenemia are not. In cats, prolongation of the APTT and/or OSPT, schistocytosis, and thrombocytopenia are common, while the presence of FDPs and hypofibrinogenemia are rare.

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TREATMENT Once a diagnosis of DIC has been established (or even if there is a high degree of suspicion that DIC is present), treatment should be instituted without delay. Unfortunately there are no controlled clinical trials evaluating the effects of different treatment modalities in dogs or cats with DIC. Therefore the following discussion reveals my own personal beliefs in the management of dogs with DIC; our experience in treating cats with DIC is limited, but the same basic principles apply. It is unquestionable that removing or eliminating the precipitating cause constitutes the main therapeutic option in patients with DIC. However, this is rarely possible. Situations in which the precipitating causes can be eliminated include surgical excision of a primary HSA or chemotherapy for disseminated or metastatic HSA, appropriate antimicrobial treatment for dogs with sepsis, and immunosuppressive treatment for dogs with IHA. In most other situations (e.g., electrocution, heatstroke, pancreatitis) the cause can rarely be eliminated within a short period of time. Therefore the treatment of dogs with DIC is aimed at: Halting intravascular coagulation Maintaining good parenchymal organ perfusion Preventing secondary complications It should be remembered that, if blood and blood products were to be available in an unlimited supply (such as occurs in most hospitals for human beings), dogs and cats with DIC would not die from hypovolemic shock. Most dogs with DIC die of pulmonary or renal dysfunction. In our clinic, ``DIC lungs'' (i.e., intrapulmonary hemorrhages with alveolar septal microthrombi) appear to be a common cause of death in these patients.

CONCLUSIONS Disseminated intravascular coagulation is a dynamic syndrome that is commonly associated with specific disorders in dogs (ie; cancer, liver disease, immune-mediated blood diseases) and cats (ie; liver disease, cancer, FIP). When recognized early, results of treatment are encouraging. Author’s Address for correspondence: C. Guillermo Couto Department of Veterinary Clinical, College of Veterinary Medicine, The Ohio State University, Columbus, OH


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Coagulazione intravasale disseminata C. Guillermo Couto DVM, Dipl ACVIM (Internal Medicine and Oncology), Ohio, USA

La coagulazione intravasale disseminata (DIC), precedentemente indicata come coagulopatia da consumo o sindrome di defibrinazione, è una complessa sindrome in cui un’eccessiva coagulazione intravascolare porta a microtrombosi a carico di molteplici organi e sanguinamento paradosso causato dall’inattivazione o dall’eccessivo consumo di piastrine e fattori della coagulazione secondario all’accentuazione della fibrinolisi. La DIC non è un disordine specifico ma piuttosto una via comune in una varietà di situazioni cliniche. Inoltre, la DIC costituisce un fenomeno dinamico in cui marcate alterazioni dello status del paziente e dei risultati delle prove della coagulazione si verificano rapidamente e ripetutamente durante il decorso del trattamento. Questa sindrome è relativamente comune nel cane e nel gatto.

PATOGENESI Diversi meccanismi possono portare all’attivazione della coagulazione intravasale. Il danno endoteliale deriva comunemente da elettrocuzione e colpo di calore, benché possa svolgere un ruolo nella DIC associata a sepsi. L’attivazione piastrinica può insorgere come conseguenza di infezioni virali (ad es., peritonite felina – FIP – nel gatto). Il rilascio di procoagulanti tissutali avviene in diverse condizioni cliniche comuni, quali trauma, emolisi, pancreatite, infezioni batteriche, epatite acuta ed eventualmente alcune neoplasie (ad es., HSA). Il modo migliore per comprendere la fisiopatologia della DIC è quello di pensare all’intero sistema vascolare come ad un singolo gigantesco vaso sanguigno e immaginare la sua patogenesi come un’esagerazione dei meccanismi emostatici normali. Una volta che la cascata della coagulazione sia stata attivata in questo “vaso gigante” (diffuso nella microvascolarizzazione dell’organismo), avvengono parecchi eventi. Benché vengano elencati in sequenza, la maggior parte di essi si verifica simultaneamente e l’intensità di ogni singolo processo varia con il tempo, portando così ad un processo estremamente dinamico. In primo luogo, si formano i tappi emostatici primari e secondari; poiché ciò sta avvenendo in parecchi piccoli vasi simultaneamente, nel microcircolo si formano molteplici trombi che, se vengono lasciati senza controllo, portano infine ad ischemia. Durante questa eccessiva coagulazione intravasale, le piastrine vengono consumate in grande quantità, portando a trombocitopenia. Secondariamente si ha l’attivazione del sistema fibrinolitico, che esita nella lisi del coagulo e nell’inattivazione (o lisi) dei fattori della coagulazione e nella compromissione della funzione piastrinica (quest’ultima viene fortemente inibita dai

prodotti di degradazione della fibrina – FDP). In terzo luogo, nel tentativo di arrestare la coagulazione intravasale vengono consumate l’AT III ed eventualmente anche le proteine C ed S, portando così al “esaurimento” dei normali anticoagulanti. In quarto luogo, la formazione della fibrina all’interno del microcircolo conduce ad anemia emolitica, dato che gli eritrociti vengono tagliati da questi filamenti di fibrina (eritrociti frammentati o schistociti). Tenendo presente tutto ciò, si comprende facilmente (1) perché un paziente con trombosi a carico di molteplici organi (causata da eccessiva coagulazione intravasale e deplezione degli anticoagulanti naturali) stia sanguinando spontaneamente (come conseguenza di trombocitopenia, compromissione della funzione piastrinica ed inattivazione dei fattori della coagulazione) e (2) perché uno degli approcci terapeutici che sembra essere utile nei cani e nei gatti con DIC sia quello di arrestare paradossalmente il sanguinamento con la somministrazione di eparina (che, se è disponibile una quantità sufficiente di AT III, interrompe la coagulazione intravascolare, che a sua volta riduce l’attività del sistema fibrinolitico, esercitando così il suo effetto inibitorio sui fattori della coagulazione e sulla funzione piastrinica). Nel cane e nel gatto, alla DIC è stata associata una gran varietà di disordini. Quelli più comunemente associati a questa condizione nel cane sono le neoplasie (principalmente l’emangiosarcoma – HSA), l’epatopatia e le malattie ematiche immunomediate; l’epatopatia (principalmente la lipidosi epatica), la neoplasia (principalmente il linfoma) e la peritonite infettiva felina, sono invece i disordini più frequentemente associati alla DIC nel gatto presso la nostra clinica.

CARATTERISTICHE CLINICHE Esistono parecchie presentazioni cliniche della DIC nel cane. Le due forme più comuni sono quella cronica silente (subclinica) e quella acuta (fulminante). Come già ricordato, nella maggior parte dei gatti la DIC è subclinica. Nella forma cronica (silente), il paziente non va incontro ad un sanguinamento spontaneo, ma la valutazione di laboratorio del sistema emostatico rivela l’esistenza di anomalie compatibili con questa sindrome (vedi paragrafi successivi). Questa forma di DIC sembra essere comune nei cani colpiti da neoplasie maligne ed eventualmente altri disordini cronici. La forma acuta (fulminante) può rappresentare un autentico fenomeno acuto (ad es., in seguito a colpo di calore, elettrocuzione o pancreatite acuta) oppure, più comunemente, derivare da uno scompenso acuto di un processo cronico silente (ad es., HSA, epatopatia). Indipendentemente dalla patogenesi, i cani con


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DIC acuta vengono spesso portati alla visita per la valutazione di sanguinamenti profusi spontanei, in associazione con segni secondari ad anemia od a trombosi di organi parenchimatosi (insufficienza organica terminale). I segni clinici del sanguinamento suggeriscono un’emorragia sia primaria (petecchie, ecchimosi, sanguinamento delle mucose) che secondaria (sangue nelle cavità corporee). Inoltre, sono presenti prove cliniche e di laboratorio dell’esistenza di una disfunzione organica (vedi paragrafi successivi). In un recente studio retrospettivo su 50 cani con DIC condotto presso la nostra clinica, solo nel 26% dei casi sono state riscontrate prove di sanguinamento spontaneo; solo un gatto su 21 casi di DIC valutati retrospettivamente presso la nostra clinica aveva mostrato segni di sanguinamento spontaneo (Couto CG; Dati non pubblicati, 1998). La maggior parte dei pazienti è stata portata alla visita per la valutazione del problema primario e non stava sanguinando spontaneamente. La DIC è stata diagnosticata nell’ambito della valutazione clinica di routine.

DIAGNOSI Poiché la DIC clinicamente manifesta è poco comune nel gatto, la trattazione relativa a diagnosi e trattamento fa riferimento al cane. Parecchi riscontri ematologici contribuiscono a sostenere il sospetto diagnostico clinico di DIC, come l’anemia emolitica, l’emoglobinemia (causata dall’emolisi intravascolare), l’emoglobinuria, la presenza di frammenti eritrocitari o schistociti, la trombocitopenia, la neutrofilia con spostamento a sinistra e, raramente, la neutropenia. La maggior parte di queste caratteristiche risulta evidente alla valutazione di un ematocrito ottenuto per centrifugazione e di uno striscio ematico. L’analisi dell’urina rivela di solito emoglobinuria e bilirubinuria, con occasionali proteinuria e cilindruria. Da questo punto di vista, i campioni di urina nei cani con DIC acuta non devono essere prelevati mediante cistocentesi, dal momento che ciò può determinare un grave sanguinamento intravescicale o intraparietale vescicale. Le anomalie dell’emostasi nei cani con DIC sono rappresentate da trombocitopenia, prolungamento del tempo di protrombina (OSPT) e/o del tempo di tromboplastina parziale attivata (APTT) (più del 25% del concomitante controllo), ipofibrinogenemia, positività del FDP-test e riduzione della concentrazione di AT III. Se valutata, in questi pazienti può anche venire documentata un’accentuata fibrinolisi (ad es., diminuita attività del plasminogeno, accentuazione del test di lisi del coagulo). Presso la nostra clinica, la diagnosi di DIC viene formulata se il paziente mostra 4 o più delle anomalie emostatiche sopracitate e/o schistocitosi. Nel cane, trombocitopenia, prolungamento dell’APTT, anemia e schistocitosi sono comuni; in contrasto con le precedenti descrizioni della sindrome in questa specie animale, l’anemia rigenerativa, il prolungamento dell’OSPT e l’ipofibrinogenemia non lo sono. Nel gatto, il prolungamento di APTT e/o OSPT, la schistocitosi e la trombocito-

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penia sono comuni, mentre la presenza di FDP ed ipofibrinogenemia è rara.

TRATTAMENTO Una volta formulata la diagnosi di DIC (o anche se esiste un elevato grado di sospetto della presenza di questa condizione) si deve avviare senza indugio il trattamento. Sfortunatamente, non esistono prove cliniche controllate che valutino gli effetti delle differenti modalità terapeutiche nei cani e nei gatti con DIC. Di conseguenza, la trattazione che segue riporta le mie personali convinzioni circa il trattamento dei cani colpiti da questa condizione; la nostra esperienza nella terapia della DIC felina è limitata, ma si applicano gli stessi principi di base. È indiscutibile che la rimozione o l’eliminazione della causa scatenante costituisca la principale opzione terapeutica nei pazienti con DIC. Tuttavia, ciò è raramente possibile. Le situazioni in cui le cause scatenanti possono essere eliminate sono rappresentate dall’escissione chirurgica di un HSA primario oppure dalla chemioterapia per uno disseminato o metastatico, dall’appropriato trattamento antimicrobico dei cani con sepsi e dalla terapia immunosoppressiva per quelli con anemia emolitica immunomediata. Nella maggior parte delle altre situazioni (ad es., elettrocuzione, colpo di calore, pancreatite) è raro che la causa possa essere eliminata entro un breve periodo di tempo. Di conseguenza, il trattamento dei cani con DIC è finalizzato a: Arrestare la coagulazione intravasale Mantenere una buona perfusione del parenchima degli organi Prevenire le complicazioni secondarie Occorre ricordare che, se sangue ed emoderivati fossero disponibili in misura illimitata (come avviene nella maggior parte degli ospedali per gli esseri umani), cani e gatti con DIC non morirebbero per lo shock ipovolemico. La maggior parte dei cani con DIC viene a morte per una disfunzione polmonare o renale. Presso la nostra clinica, i “polmoni da DIC” (emorragie intrapolmonari con microtrombi settali alveolari) sembrano essere una causa comune di morte in questi pazienti.

CONCLUSIONI La coagulazione intravasale disseminata è una sindrome dinamica che viene comunemente associata a specifici disordini nel cane (neoplasia, epatopatia, malattie ematiche immunomediate) e nel gatto (epatopatia, neoplasia, FIP). Quando viene riconosciuta precocemente, i risultati del trattamento sono incoraggianti. Indirizzo per la corrispondenza: C. Guillermo Couto Department of Veterinary Clinical, College of Veterinary Medicine, The Ohio State University, Columbus, OH


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Gastrointestinal lymphoma C. Guillermo Couto DVM, Dipl ACVIM (Internal Medicine and Oncology), Ohio, USA

Lymphoma (malignant lymphoma, lymphosarcoma) is a lymphoid malignancy that originates from solid organs (e.g., lymph nodes, liver, spleen); this distinguishes lymphomas from lymphoid leukemias, which originate in the bone marrow. Gastrointestinal (GI) lymphoma is the most common anatomical form of presentation in cats with lymphoma in the US, but it is relatively rare in the dog. Cats and dogs with GI lymphoma usually display gastrointestinal signs, such as vomiting, anorexia, diarrhea, and weight loss. In cats, most of the signs are chronic, with the exception of gastric lympohma, in which the clinical signs can be acute. Occasionally, signs compatible with an intestinal obstruction or peritonitis (caused by rupture of a lymphomatous mass) occur. Physical examination typically reveals intraabdominal masses (e.g., enlarged mesenteric or ileocecocolic lymph nodes, or intestinal masses) and thickened bowel loops (in patients with diffuse small intestinal lymphoma). Rarely, polypoid lymphomatoid masses can protrude through the anus in cats and dogs with colorectal lymphoma. In cats and dogs with alimentary lymphoma, abnormalities are rarely detected on plain abdominal radiographs (<50%). When present, they vary in nature but include mainly hepatomegaly, splenomegaly, and midabdominal masses. Positive contrast–enhanced radiography of the upper gastrointestinal tract usually reveals abnormalities in most animals. In a series of dogs with alimentary lymphoma evaluated at our clinic, abnormalities were found in all dogs that underwent positive contrast–enhanced radiography of the upper gastrointestinal tract and included mucosal irregularities, luminal filling defects, and irregular thickening of the wall, suggestive of infiltrative mural disease. Ultrasonography constitutes an invaluable tool for evaluating cats or dogs with suspected or confirmed intraabdominal lymphoma. The technique is also helpful in the evaluation of mediastinal masses in both species. Changes in the echogenicity of parenchymal organs (i.e., liver, spleen, kidneys) detected by this technique usually reflect changes in organ texture secondary to neoplastic infiltration. In addition, enlarged lymphoid structures or organs can easily be identified using this technique. Several abnormalities are commonly detected ultrasonographically in cats and dogs with intraabdominal lymphoma; these include hepatomegaly, splenomegaly, changes in the echogenicity of liver or spleen (mixed echogenicity or multiple hypoechoic areas), intestinal thickening, lymphadenopathy, splenic masses, and effusion. In a study of 11 cats with alimentary lymphoma evaluated ultrasonographically at our clinic, we found hypoechoic masses of the gastric or intestinal wall, focal or diffuse gastric wall thickening, a symmetrical thickening of

the intestinal wall, loss of the normal layered appearance of the gastrointestinal wall, and abdominal lymphadenopathy. Fine-needle aspiration and needle biopsy can also be easily performed using this technique to guide the placement of the needle. In our practice, lymphomas are diagnosed cytologically in approximately 90% of dogs and 70% to 75% of cats so evaluated (i.e., usually in only 10% of the dogs and 25% to 30% of the cats is it necessary to perform a histopathologic evaluation of a surgically excised lymph node or mass to establish a diagnosis). A cytologic diagnosis of lymphocytic lymphoma in a cat may be difficult, since the neoplastic cells resemble nomrla lymphomcytes. Immunophenotyping or PCR for clonality may help establish a diagnosis. Until there is conclusive evidence that the histopathologic classification of canine and feline lymphomas offers prognostic information, the surgical removal of a lymph node or extranodal mass (ie; GI) for histopathologic evaluation in an animal with a cytologic diagnosis of lymphoma is not necessarily indicated. A diagnosis based on cytologic findings rather than on histopathologic findings yielded by an excisional lymph node biopsy also offers two major benefits: (1) it is associated with minimal or no morbidity, and (2) it is financially acceptable to most owners. The mainstay of treatment of cats and dogs with lymphoma is chemotherapy. Treatment is typically divided into several phases, or strategies: induction of remission, intensification, maintenance, and reinduction of remission or “rescue”. Immediately after diagnosis, a relatively aggressive multiple-agent chemotherapy protocol (cyclophosphamide, vincristine, cytosine arabinoside, prednisone [COAP]) is used to induce remission. During this phase, which lasts 6 to 8 weeks, the animals are evaluated weekly by a veterinarian, at which time they receive an intravenous (IV) injection of an antimitotic agent (vincristine) in addition to undergoing a routine physical examination (with or without a CBC). If at the end of this phase the patient is considered to be in complete remission (CR) (i.e., all neoplastic masses have completely disappeared), the maintenance phase is initiated. During this phase, a multiple-agent chemotherapy protocol consisting of three drugs (chlorambucil [Leukeran], methotrexate, prednisone [LMP]) administered orally is used, so that the animal requires less intensive monitoring (once every 6 to 8 weeks). In my experience, maintenance chemotherapy is necessary when using COP-based protocols. The reinduction continues until the tumor relapses (i.e., is out of remission), at which time the reinduction phase


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begins. This phase is similar to the induction phase, in that intensive treatments are used. Once remission is obtained, the patient is started again on a modified maintenance protocol (at The Ohio State University we typically use the LMP protocol for routine maintenance, but we substitute cytarabine [Cytosar] for the methotrexate at a dosage of 200 to 300 mg/m 2 subcutaneously [SQ] every other week when maintenance is induced for a second time). If at the end of the induction phase the patient is not in CR, it is recommended that intensification with l-asparaginase be done before the maintenance phase is initiated. In addition to the chemotherapeutic approach discussed in this section, a variety of protocols have been used successfully in the treatment of cats and dogs with lymphoma. Induction of remission. Our protocol of choice for the induction of remission is COAP. The agents in this protocol consist of cyclophosphamide vincristine (Oncovin; Eli Lilly, Indianapolis), cytosine arabinoside (Cytosar-U; UpjohnPharmacia, Kalamazoo, Mich), and prednisone; these four drugs are also currently available as generic products. These drugs belong to four different categories, have different mechanisms of action, and do not have superimposed toxicities (with the exception of cyclophosphamide and cytosine arabinoside, which are myelosuppressive; but the latter is used only for a short period); thus they fulfill the basic criteria of multiple-agent chemotherapy described in Chapter 79. The cytosine arabinoside is usually administered by the SQ route, because, given its short half-life and S-phase–specific mechanism of action, an IV bolus injection results in minimal cell kill; SQ administration of this drug is painful in cats (and in some dogs). IV infusion of the agent is also associated with myelosuppression. The induction phase lasts 6 to 8 weeks, and weekly visits to the veterinarian are necessary during this time. During the induction phase, toxicity is minimal (<15% to <20%) and client compliance is high, because most of the toxic signs are hematologic (i.e., cytopenias) and usually do not result in clinical signs that can be detected by the owners. The dose-limiting toxicity of this induction protocol is hematologic (i.e., myelosuppression leading to neutropenia); the neutrophil nadir usually occurs around day 7 or 8, which is explained by the fact that two myelosuppressive agents (i.e., cyclophosphamide and cytosine arabinoside) are given during the initial 2 to 4 days of treatment. In most cases the neutropenia is mild (2000 to 3500 cells/µl). The neutropenia is severe if the animals have neoplastic bone marrow infiltration before the initiation of treatment, have FeLV- or FIVassociated myelodysplasia or other retrovirus-associated bone marrow disorders, or receive the cytosine arabinoside by constant-rate IV infusion rather than by the SQ route. Treatment changes to be made in cats and dogs in which neutropenia develops are described on p. 1110. Gastrointestinal toxicity is minimal to nonexistent; however, cats receiving cyclophosphamide occasionally become anorectic. Consequently, we administer this drug once every 3 weeks in cats (as opposed to every other day in dogs) (Table 82-4). If anorexia develops, treatment with cyproheptadine (Periactin; Merck Sharp & Dohme, West Point, Pa), an antiserotonin compound, at a dosage of 1 to 2 mg per cat PO every

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8 to 12 hours is indicated. Hair loss is also minimal, and it occurs primarily in woolly-haired dogs (e.g., Poodle, Bichon Frise); cats (and some dogs) may shed their tactile hairs during treatment. During this phase, owners are instructed to monitor their pet’s appetite and activity level, to measure their lymph nodes (if superficial lymphadenopathy was present initially), and to take their pet’s rectal temperature daily (pyrexia is usually secondary to neutropenia and sepsis). If pyrexia develops, owners are instructed to contact their veterinarian so that their pet can undergo a complete physical examination and CBC (for additional information see Chapter 80). Treatment with COAP results in CR within 1 to 14 days of the start of therapy in most animals (> 85% in dogs, > 70% to > 75% in cats). This remission is usually maintained throughout the induction phase. In dogs with diffuse alimentary lymphoma and those with mycosis fungoides or mucocutaneous lymphoma, we use a more aggressive doxorubicin-containing protocol (CHOP), because, in my experience, the response rate to COAP is low. This protocol is more expensive and is more likely to cause adverse effects than the COAP protocol. We have recently seen encouraging responses to lomustine (CCNU) in dogs with T-cell lymphoma. In dogs and cats with GI lymphoma coexisting with neurologic signs, we usually use the COAP protocol but administer the cytosine arabinoside as a continuous IV infusion (200 mg/m 2 as an IV infusion over 24 hours for 1 to 4 days) in an attempt to increase the concentration of this drug in the CNS. This protocol tends to cause marked myelosuppression in cats, so we typically administer cytosine arabinoside as a 12- to 24-hour infusion (200 mg/m 2) in this species. More information on the treatment of dogs and cats with suspected or confirmed CNS lymphoma is given later in this chapter. Maintenance. The protocol recommended for the maintenance phase of treatment is LMP (“lump”), which consists of chlorambucil (Leukeran; Burroughs Wellcome, Research Triangle Park, N.C.), methotrexate (Methotrexate; Lederle, Wayne, N.J.), and prednisone. These three drugs also act by three different mechanisms of action, have different toxicities, and have proved effective as single agents in cats and dogs with lymphoma. The advantages of this protocol include its reduced cost compared with the cost of the induction phase; its ease of administration (all the drugs are administered orally by the owners); its minimal toxicity; and the fact that intensive monitoring by a veterinarian is not necessary. The toxicities associated with LMP maintenance chemotherapy are minimal. Of the three drugs in this protocol, methotrexate is the only one that is associated with moderate to severe toxicity. In approximately 25% of dogs and cats receiving methotrexate, gastrointestinal tract signs consisting of anorexia, vomiting, or diarrhea develop. Anorexia and vomiting are more common than diarrhea and usually occur after the patient has been receiving the drug for more than 2 weeks. In these cases, treatment with an antiemetic, such as metoclopramide (Reglan; A.H. Robins, Richmond, Va), on the days the animal receives the methotrexate, at a dosage of 0.1 to 0.3 mg/kg PO every 8 hours, alleviates or


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eliminates the upper gastrointestinal tract signs. In cases of methotrexate-associated diarrhea, treatment with a bismuth subsalicylate–containing product (Pepto-Bismol) may also alleviate or eliminate the signs; however, it may be necessary to discontinue the drug. Hematologic toxicity associated with LMP therapy is minimal to nonexistent. In a very small proportion of cats (i.e., <5%) receiving chlorambucil for weeks to months, serum biochemical abnormalities consistent with cholestasis that resolve on discontinuation of the drug may develop. During this phase the patient is examined every 6 to 8 weeks, at which time a complete physical examination and a CBC are performed. As with the induction protocols, owners are instructed to monitor their pet’s activity, appetite, behavior, rectal temperature, and lymph node size. Most animals treated with this protocol remain in remission for approximately 3 to 6 months. If a relapse occurs, reinduction of remission (as discussed next) is instituted. After reinducing remission, animals can be treated with a modified maintenance protocol, as described in previous paragraphs. Reinduction of remission or rescue. Virtually every dog and cat with lymphoma treated with maintenance chemotherapy eventually relapses; this generally occurs 6 to 8 months after the start of induction therapy, but it can occur within weeks of starting the maintenance phase or years after the original diagnosis was made. At this time, reinduction of remission is indicated. In our experience, remission can be reinduced one to four additional times in most dogs with relapsing lymphoma. Reinduction of remission is usually not as successful in cats as in dogs (i.e., remission cannot be reinduced in most cats with relapsing lymphoma). Therefore the following discussion on “rescue” pertains mostly to dogs with lymphoma. There are numerous “rescue” protocols described in the literature, and as a general rule, the practitioner may have difficulty deciding what protocol to choose. For example, if a dog is being treated with the LMP maintenance protocol and the tumor starts to relapse (i.e., either the owner or the clinician notes that the lymph nodes are just enlarging), we typically add vincristine (0.5 mg/m 2 IV q2wk) on the weeks the patient is not receiving chlorambucil; if tumor growth is arrested but remission is not obtained, we increase the dose of vincristine to 0.75 mg/m 2 every 2 weeks. This interven-

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tion alone frequently results in a long-lasting remission. If the patient is examined when the tumor has progressed to an advanced stage, we usually recommend administering Lasparaginase, as described in Table 82-4. We currently used the D-MAC protocol, consisting of dexamethasone, melphalan (Alkeran; Burroughs Wellcome, Research Triangle Park, N.C.), cytosine arabinoside (CytosarU), and actinomycin D (Cosmegen; Merck Sharp & Dohme, West Point, Pa) as our “trump card” for rescue. This protocol results in an approximately 80% remission rate in dogs with relapsing lymphoma treated at our clinic; it has a relatively low toxicity compared with that of doxorubicin-containing protocols; and it is necessary for the owner to go the veterinarian only once every 2 weeks (instead of every week). Because the long-term use of melphalan is associated with moderate to severe chronic thrombocytopenia, chlorambucil (Leukeran), 20 mg/m 2, is substituted for melphalan after four cycles. If complete or partial remissions are achieved after the administration of four to six cycles of D-MAC, the patient can be started on a maintenance protocol again. In cats, doxorubicin- or mitoxantrone-containing protocols are commonly used in our clinic with some degree of success (see Table 82-4); asparaginase-containing protocols may also be used, but in my experience they are not as effective as in dogs. Intensification. If a dog is undergoing induction therapy but only partial remission (PR) is obtained, intensification with one or two doses of l-asparaginase (Elspar) (10,000 to 20,000 IU/m 2 IM repeated once at a 2- to 3-week interval) may be indicated. This drug can rapidly induce CR in most dogs with lymphoma that have shown only PR while receiving COAP. Asparaginase should not be used in dogs with a history of pancreatitis or in those that are at high risk for acute pancreatitis (i.e., obese, middle-age, female dogs). lAsparaginase appears to be less effective in cats than in dogs; doxorubicin (1 mg/kg IV q3wk) or mitoxantrone (4 to 6 mg/m 2 IV q3wk; Novantrone; Lederle, Wayne, N.J.) can be used as intensifying agents in cats.

Author’s Address for correspondence: C. Guillermo Couto Department of Veterinary Clinical, College of Veterinary Medicine, The Ohio State University, Columbus, OH


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Linfoma gastrointestinale: cosa c’è di nuovo C. Guillermo Couto DVM, Dipl ACVIM (Internal Medicine and Oncology), Ohio, USA

Il linfoma (linfoma maligno, linfosarcoma) è una neoplasia maligna linfoide che origina da organi solidi (ad es., linfonodi, fegato, milza); questa caratteristica distingue i linfomi dalle leucemie linfoidi, che originano nel midollo osseo. Il linfoma gastrointestinale (GI) è la forma anatomica più comune con cui si presenta la neoplasia nel gatto negli USA, ma è relativamente raro nel cane. Cani e gatti con linfoma GI di solito mostrano segni gastroenterici, quali vomito, anoressia, diarrea e perdita di peso. Nei felini, la maggior parte dei segni clinici è di natura cronica, con l’eccezione del linfoma gastrico, in cui le manifestazioni possono essere acute. Occasionalmente, si riscontrano segni compatibili con un’ostruzione intestinale o una peritonite (causata dalla rottura di una massa linfomatosa). L’esame clinico rivela tipicamente la presenza di masse endoaddominali (ad es., linfonodi mesenterici o ileocecocolici ingrossati, oppure masse intestinali) ed anse intestinali ispessite (nei pazienti con linfoma diffuso del piccolo intestino). In rari casi, nei cani e nei gatti con linfoma colorettale masse linfomatose polipoidi possono protrudere attraverso l’ano. Nei cani e nei gatti con linfoma alimentare, le anomalie vengono raramente individuate nelle radiografie addominali senza mezzo di contrasto (< 50%). Quando sono presenti, hanno una natura variabile, ma sono rappresentate principalmente da epatomegalia, splenomegalia e formazione di masse nella zona media dell’addome. Le radiografie con mezzo di contrasto positivo del tratto superiore dell’apparato gastroenterico (pasto baritato) rivelano di solito la presenza di anomalie nella maggior parte degli animali. In una casistica costituita da cani con linfoma alimentare esaminati presso la nostra clinica, è stata riscontrata la presenza di anomalie in tutti i soggetti sottoposti a pasto baritato, nei quali sono state riscontrate irregolarità della mucosa, difetti di riempimento del lume ed ispessimenti irregolari della parete, indicativi di affezioni parietali a carattere infiltrante. L’ecografia rappresenta un mezzo inestimabile per la valutazione dei cani e dei gatti con linfoma endoaddominale sospetto o confermato. La tecnica è utile anche per lo studio delle masse mediastiniche in entrambe le specie animali. Le variazioni dell’ecogenicità degli organi parenchimatosi (fegato, milza, reni) rilevate con questa tecnica di solito riflettono dei cambiamenti della struttura organica secondari ad infiltrazione neoplastica. Inoltre, con questo metodo è possibile identificare facilmente gli organi o le strutture linfoidi ingrossate. Parecchie anomalie vengono comunemente individuate con l’ecografia nei cani e nei gatti con linfoma endoaddominale; rientrano fra queste l’epatomegalia, la splenomegalia, le variazioni dell’ecogenicità del fegato o

della milza (ecogenicità mista o aree ipoecogene multiple), l’ispessimento intestinale, la linfoadenopatia, le masse spleniche e il versamento. In uno studio su 11 gatti con linfoma alimentare sottoposti a valutazione ecografica presso la nostra clinica, abbiamo riscontrato masse ipoecogene della parete gastrica o intestinale, ispessimenti focali o diffusi della parete gastrica, un ispessimento simmetrico della parete intestinale, la perdita del normale aspetto stratificato della parete gastroenterica e linfoadenopatia addominale. Utilizzando questa tecnica come guida per l’inserimento dell’ago è anche possibile eseguire facilmente il prelievo di campioni mediante aspirazione con ago sottile e biopsia. Presso la nostra struttura, i linfomi vengono diagnosticati citologicamente nel 90% circa dei casi nel cane e nel 7075% dei gatti così valutati (vale a dire che di solito solo nel 10% dei cani e nel 25-30% dei gatti è necessario ricorrere all’esame istopatologico di un linfonodo o di una massa asportati chirurgicamente per formulare una diagnosi). L’identificazione citologica di linfoma linfocitario in un gatto può essere difficile, dal momento che le cellule neoplastiche somigliano a linfociti normali. L’immunofenotipizzazione o la PCR per la clonalità possono servire a confermare la diagnosi. Fino a che non si avrà la prova definitiva del fatto che la classificazione istopatologica dei linfomi del cane e del gatto offra informazioni utili ai fini prognostici, la rimozione chirurgica di un linfonodo o di una massa extranodale (GI) per la valutazione istopatologica in un animale nel quale sia già stata formulata una diagnosi citologica di linfoma non è necessariamente indicata. La diagnosi basata sui riscontri citologici piuttosto che su quelli istopatologici forniti da una biopsia linfonodale per escissione ha anche due principali vantaggi: (1) è associata ad una morbilità minima o inesistente e (2) risulta economicamente accettabile per la maggior parte dei proprietari. Il caposaldo del trattamento dei cani e dei gatti con linfoma è la chemioterapia. Il trattamento viene tipicamente suddiviso in parecchie fasi o strategie: induzione della remissione, intensificazione, mantenimento e reinduzione della remissione o “recupero”. Immediatamente dopo la diagnosi, si utilizza un protocollo chemioterapico relativamente aggressivo e basato su più agenti (ciclofosfamide, vincristina, citosina arabinoside, prednisone [COAP]) per indurre la remissione. Durante questa fase, che dura 6-8 settimane, gli animali vengono valutati settimanalmente da un veterinario, e in occasione di questa visita vengono sottoposti ad un’iniezione endovenosa (IV) di un agente antimitotico (la vincristina) oltre che ad un esame clinico di routine (con o senza esame emocromocitometrico completo). Se al termine di questa fase il paziente viene considerato in completa remis-


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sione (CR) (cioè tutte le masse neoplastiche sono completamente scomparse), si inizia la fase di mantenimento. Questa prevede l’impiego di un protocollo chemioterapico basato su più agenti e costituito da tre farmaci (clorambucil [Leukeran], metotressate, prednisone [LMP]) somministrati per via orale, per cui l’animale richiede un monitoraggio meno intensivo (una volta ogni 6-8 settimane). Secondo la mia esperienza, quando si utilizzano i protocolli basati su COP, è necessaria la chemioterapia di mantenimento. Il mantenimento continua finché il tumore non recidiva (cioè esce dalla fase di remissione), quando inizia la fase di reinduzione. Questa è simile a quella di induzione, poiché si utilizzano trattamenti intensivi. Una volta ottenuta la remissione, si ricomincia a trattare il paziente con un protocollo di mantenimento modificato (presso la Ohio State University noi utilizziamo tipicamente il protocollo LMP per il mantenimento di routine, ma quando il mantenimento viene indotto per la seconda volta sostituiamo la citarabina [Cytosar] al metotressato al dosaggio di 200-300 mg/m2 per via sottocutanea [SC] a settimane alterne). Se al termine della fase di induzione il paziente non è in CR, si raccomanda di attuare la intensificazione con L-asparaginasi prima di iniziare il mantenimento. Oltre all’approccio chemioterapico discusso in questa sezione, per il trattamento dei cani e dei gatti con linfoma è stata utilizzata con successo una gran varietà di protocolli. Induzione della remissione. Il nostro protocollo d’elezione per l’induzione della remissione è il COAP. Gli agenti utilizzati in questo caso sono rappresentati da ciclofosfamide, vincristina (Oncovin; Eli Lilly, Indianapolis), citosina arabinoside (Cytosar-U; Upjohn-Pharmacia, Kalamazoo, Mich) e prednisone; questi quattro farmaci sono anche attualmente disponibili come prodotti generici. Questi agenti appartengono a quattro categorie differenti, possiedono meccanismi d’azione diversi e non hanno tossicità sovrapposte (con l’eccezione della ciclofosfamide e della citosina arabinoside, che sono mielosoppressori; tuttavia, la seconda viene utilizzata soltanto per un breve periodo di tempo); quindi, soddisfano i criteri di base della chemioterapia con più agenti. La citosina arabinoside viene solitamente somministrata per via SC, perché, data la sua breve emivita ed il meccanismo di azione fase-S-specifico, un’iniezione in bolo IV determina una morte cellulare minima; la somministrazione SC di questo farmaco è dolorosa nel gatto (e in alcuni cani). Inoltre, l’infusione IV dell’agente è anche associata a mielosoppressione. La fase di induzione dura 6-8 settimane, nell’arco delle quali sono necessarie visite settimanali dal veterinario. Durante la fase di induzione, la tossicità è minima (< 15% - < 20%) e l’osservanza da parte del cliente è elevata, perché la maggior parte delle manifestazioni tossiche è di natura ematologica (citopenie) e di solito non determina la comparsa di segni clinici che possano essere rilevati dai proprietari. La tossicità dose-limitante di questo protocollo di induzione è ematologica (mielosoppressione che porta a neutropenia); il nadir dei neutrofili si ha di solito intorno al giorno 7 o 8, il che viene spiegato dal fatto che durante i primi 2-4 giorni di trattamento si somministrano due agenti mielosoppressori (ciclofosfamide e citosina arabinoside). Nella maggior parte dei casi, la neutropenia è lieve (2000-3500 cellule/µl). Risul-

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ta invece grave se gli animali presentano un’infiltrazione neoplastica del midollo osseo prima dell’inizio del trattamento, sono colpiti da una mielodisplasia FeLV- o FIV-associata o da altri disordini midollari associati a retrovirus, oppure ricevono la citosina arabinoside mediante infusione IV a velocità costante piuttosto che per via SC. Le modificazioni della terapia da attuare nei cani e nei gatti in cui si sviluppa una neutropenia sono descritte in letteratura. La tossicità gastroenterica è minima o inesistente; tuttavia, gatti trattati con ciclofosfamide occasionalmente diventano anoressici. Di conseguenza, somministriamo questo farmaco una volta ogni tre settimane nel gatto (piuttosto che a giorni alterni nel cane). Se si sviluppa un’anoressia, è indicata una terapia con ciproeptadina (Periactin; Merck Sharp & Dohme, West Point, Pa), un composto antiserotoninico, alla dose di 1-2 mg per gatto PO ogni 8-12 ore. Anche la perdita di pelo è minima, e colpisce principalmente i cani con mantello lanoso (ad es., Barbone, Bichon frisé); i gatti (ed alcuni cani) possono perdere i peli tattili durante il trattamento. In questa fase, ai proprietari viene richiesto di monitorare l’appetito ed il livello di attività degli animali, misurarne i linfonodi (se inizialmente era presente una linfoadenopatia superficiale) e prelevare quotidianamente la temperatura rettale dei loro animali (la piressia è solitamente secondaria a neutropenia e sepsi). In caso di comparsa di piressia, i proprietari devono essere informati della necessità di contattare il veterinario in modo che il loro animale possa essere sottoposto ad un esame clinico completo e ad un emogramma. Il trattamento con COAP esita nella CR entro 1-14 giorni dall’inizio della terapia nella maggior parte degli animali (>85% nel cane, > 70%, > 75% nel gatto). Questa remissione viene solitamente mantenuta per tutta la durata della fase di induzione. Nei cani con linfoma alimentare diffuso e in quelli con micosi fungoide o linfoma mucocutaneo, utilizziamo un protocollo più aggressivo contenente doxorubicina (CHOP), perché, secondo la mia esperienza, la percentuale di risposta al COAP è bassa. Questo protocollo è più costoso ed ha maggiori probabilità di causare effetti indesiderati rispetto al COAP. Abbiamo recentemente osservato risposte incoraggianti alla lomustina (CCNU) nei cani con linfoma delle cellule T. Nei cani e nei gatti in cui il linfoma GI coesiste con la presenza di segni neurologici utilizziamo di solito il protocollo COAP, ma somministriamo la citosina arabinoside sotto forma di infusione IV continua (200 mg/m2 per infusione IV nell’arco di 24 ore per 1-4 giorni) nel tentativo di aumentare la concentrazione di questo farmaco nel SNC. Nel gatto, in cui questo protocollo tende a causare una marcata mielosoppressione, utilizziamo tipicamente la citosina arabinoside sotto forma di infusione per 12-24 ore (200 mg/m2). Maggiori informazioni sul trattamento dei cani e dei gatti con linfoma del SNC sospetto o accertato si trovano in letteratura. Mantenimento: il protocollo raccomandato per la fase di mantenimento della terapia è il LMP (“lump” [bernoccolo]), costituito da clorambucil (Leukeran; Burroughs Wellcome, Research Triangle Park, N.C.), metotressato (Methotrexate; Lederle, Wayne, N.J.) e prednisone. Anche questi tre farmaci agiscono con tre differenti meccanismi d’azione, hanno tossicità diverse e si sono dimostrati efficaci come singoli agenti nei cani e nei gatti con linfoma. I vantaggi di questo protocol-


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lo sono rappresentati dal suo costo minore rispetto a quello della fase di induzione, dalla facilità di somministrazione (tutti i farmaci possono venire somministrati per via orale dai proprietari), dalla sua tossicità minima e dal fatto che non è necessario il monitoraggio intensivo da parte di un veterinario. Le tossicità associate alla chemioterapia di mantenimento LMP sono minime. Dei tre farmaci che costituiscono il protocollo, il metotressato è l’unico abbinato ad una tossicità moderata o grave. Nel 25 % circa dei cani o dei gatti trattati con questo agente si sviluppano segni gastroenterici rappresentati da anoressia, vomito o diarrea. I primi due sono più comuni della diarrea e di solito compaiono dopo che il paziente è stato trattato con il farmaco per più di due settimane. In questi casi, la somministrazione di un antiemetico, come la metoclopramide (Reglan; A.H. Robins, Richmond, Va) nei giorni in cui l’animale assume il metotressato, alla dose di 0,1-0,3 mg/kg PO ogni 8 ore, allevia o elimina i segni riferibili al coinvolgimento del tratto superiore dell’apparato digerente. Nei casi di diarrea da metotressato, questo stesso miglioramento si può ottenere anche con l’impiego di un prodotto contenente salicilato basico di bismuto (Pepto-Bismol); tuttavia, può essere necessario sospendere le somministrazioni. La tossicità ematologica associata alla terapia LMP è minima o inesistente. In una percentuale estremamente piccola (< 5%) di gatti trattati con clorambucil per settimane o mesi si possono sviluppare anomalie biochimiche compatibili con una colestasi che si risolve in seguito alla sospensione del farmaco. Durante questa fase, il paziente viene esaminato ogni 6-8 settimane, effettuando un esame clinico completo ed un emogramma. Come per i protocolli di induzione, ai proprietari viene detto di monitorare l’attività, l’appetito, il comportamento, la temperatura rettale e le dimensioni dei linfonodi dei loro animali. La maggior parte dei soggetti trattati con questo protocollo rimane in remissione per circa 3-6 mesi. Se si verifica una recidiva, si ricorre alla reinduzione della remissione (secondo le modalità illustrate più oltre). Dopo la reinduzione della remissione, gli animali possono essere trattati con un protocollo di mantenimento modificato, come descritto nei paragrafi precedenti. Reinduzione della remissione o recupero: Praticamente tutti i cani e i gatti con un linfoma trattati con una chemioterapia di mantenimento finiscono per presentare delle recidive. Ciò avviene generalmente 6-8 mesi dopo l’avvio della terapia di induzione, ma si può verificare entro qualche settimana dall’inizio della fase di mantenimento o a distanza di anni dalla formulazione della diagnosi originale. A questo punto, è indicata la reinduzione della remissione. Secondo la nostra esperienza, questa operazione può venire effettuata da 1 a 4 volte nella maggior parte dei cani con linfoma recidivante. La reinduzione della remissione di solito nel gatto non ha successo come nel cane (cioè, non si riesce a reindurre la remissione nella maggior parte dei gatti con linfoma recidivante). Di conseguenza, la seguente trattazione sul “recupero” riguarda principalmente i cani con linfoma.

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In letteratura sono stati descritte parecchi protocolli di “recupero” e, come regola generale, il veterinario può trovare difficoltà a decidere quale scegliere. Ad esempio, nei casi in cui un cane viene trattato con il protocollo di mantenimento LMP e il tumore inizia a recidivare (cioè, se il proprietario o il clinico notano che i linfonodi si stanno appena ingrossando) noi ricorriamo tipicamente all’aggiunta di vincristina (0,5 mg/m2 IV ogni due settimane) nelle settimane in cui il paziente non viene trattato con il clorambucil; se la crescita tumorale si arresta, ma non si ottiene la remissione, aumentiamo la dose di vincristina a 0,75 mg/m2 ogni due settimane. Questo intervento da solo esita frequentemente in una remissione di lunga durata. Se il paziente viene esaminato quando il tumore è progredito sino ad uno stadio avanzato, di solito raccomandiamo la somministrazione di L-asparaginasi, Attualmente utilizziamo il protocollo D-MAC, costituito da desametazone, melfalan (Alkeran; Burroughs Wellcome, Research Triangle Park, N.C.), citosina arabinoside (Cytosar-U) ed actinomicina D (Cosmegen; Merck Sharp & Dohme, West Point, Pa) come “carta vincente” per il recupero. Questo protocollo consente di ottenere una percentuale di remissione dell’80% circa nei cani con linfoma recidivante trattati presso la nostra clinica; ha una tossicità relativamente bassa in confronto a quella dei protocolli contenenti doxorubicina e richiede che il proprietario si rechi dal veterinario solo una volta ogni due settimane (invece che ogni settimana). Poiché l’impiego a lungo termine del melfalan è associato ad una trombocitopenia cronica moderata o grave, dopo 4 cicli questo farmaco viene sostituito dal clorambucil (Leukeran), 20 mg/m2. Se dopo la somministrazione di 4-6 cicli di D-MAC si ottengono delle remissioni complete o parziali, si può iniziare a trattare nuovamente il paziente con un protocollo di mantenimento. Nel gatto, presso la nostra clinica si impiegano comunemente protocolli contenenti doxorubicina o mitoxantrone, con un certo grado di successo; si possono anche impiegare prodotti contenenti asparaginasi, ma secondo la mia esperienza questi non sono efficaci come nel cane. Intensificazione. Se un cane viene sottoposto ad una terapia di induzione, ma si ottiene soltanto una remissione parziale (PR), può essere indicata un’intensificazione con una o due dosi di L-asparaginasi (Elspar) (10.000-20.000 UI/m2 IM da ripetere una volta dopo un intervallo di 2-3 settimane). Questo farmaco può indurre rapidamente la CR nella maggior parte dei cani con linfoma che hanno mostrato soltanto una PR mentre erano trattati con il protocollo COAP. L’asparaginasi non va utilizzata nei cani con un’anamnesi di pancreatite o in quelli ad alto rischio di pancreatite acuta (obesi, di media età, femmine). La L-asparaginasi sembra essere meno efficace nel gatto che nel cane; come agenti di intensificazione nella specie felina si possono impiegare la doxorubicina (1 mg/kg IV ogni tre settimane) o il mitoxantrone (4-6 mg/m2 IV ogni tre settimane; Novantrone; Lederle, Wayne, N.J.).


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Skin Tumors C. Guillermo Couto DVM, Dipl ACVIM (Internal Medicine and Oncology), Ohio, USA

Common Tumors of the Skin and Subcutis The following abbreviations will be used throughout the lecture: BCT: basal cell tumor; SCC: squamous cell carcinoma; HCT; histiocytoma; SA: sebaceous adenoma; PCT: plasma cell tumor; CGA: ceruminous gland adenoma/adenocarcinoma; MCT: mast cell tumor; HPA: hemangiopericytoma; FSA: fibrosarcoma; MM: malignant melanoma; NST: nerve sheath tumor (neurofibroma, neurofibrosarcoma, schwannoma); LI: lipoma; PA: perianal adenoma/adenocarcinoma; aCA: adenocarcinoma Tumors of the skin and subcutaneous tissues are frequently encountered by the practitioner, since they are common and are easily detected by the owners. Using a simple, logical, step-bystep approach facilitates the management of these patients and oftentimes avoids a second therapeutic procedure.

GENERAL PRINCIPLES OF DIAGNOSIS Diagnosis and characterization of a skin mass prior to definitive surgical excision is important for several reasons. Knowledge of the tumor type allows the clinician to plan an appropriate surgical approach (eg, in a MCT that requires wide margins in order to achiecve complete excision), to consider radiation therapy (eg, nonresectable MCTs or carcinomas), or to institute medical treatment (eg, vincristine chemotherapy for TVTs or combination chemotherapy for cutaneous LSA). In dogs, mere inspection of the patient facilitates narrowing down the list of differential diagnoses, since some tumor types occur preferentially in certain anatomic locations (Table 1). In cats, several common tumors occur preferentially on the head and neck (i.e.; SCC, MCT. BCT). Palpation of the mass allows distinction of the layer of origin. Masses that move with the skin are referred to as dermoepidermal, whereas if the skin freely moves on top of the mass, it is subcutaneous or deep (Table 2). To detect the presence of metastatic disease prior to surgery, enlarged regional lymph nodes should be evaluated cytologically (fine needle aspiration-see below) or histopathologically. Additionally, lymph node excisional biopsy may be done at surgery for more accurate staging. Thoracic radiographs (3 views) should be obtained to detect potential pulmonary metastases. Abdominal radiographs

and/or ultrasonography should be performed in those cases where dissemination to the abdominal organs or cavity (or multicentricity) are suspected (eg, MCT, HSA, LSA).

FINE NEEDLE ASPIRATION Sample collection and evaluation of fine needle aspirates of skin masses will be briefly discussed during the lecture, and is beyond the scope of this article. Briefly, skin tumors can be classified as epithelial, mesenchymal (spindle cell tumors), or round cell tumors (Table 3).

BIOPSY Incisional or excisional biopsies can be performed to obtain a definitive diagnosis (if cytology failed to yield a diagnostic sample) or to appropriately grade a tumor. Incisional biopsies can be obtained using either a skin biopsy punch, a Tru-Cut-style needle, or a scalpel. Punch biopsies are elatively simple, and are commonly used to obtain a sample of superficial (dermoepidermal) masses; they can be done using only local anesthetic and take very little time. Tru-Cut-type needle biopsies can be utilized to obtain representative sample of larger or subcutaneous masses, also using only local anesthesia. A routine surgical procedure is used to obtain a "wedge" biopsy. In an excisional biopsy all or most of the tumor or mass is removed and submitted for histopathologic examination. This is indicated for small, easily excisable masses, but is contraindicated for larger masses. Surgical margins of at least one centimeter should be obtained. All the masses excised should be properly fixed (1 part of sample in 9 parts of 10% buffered formalin); if there are multiple tumors, each one should be properly labeled to determine their location. All tumors should be sent to a qualified veterinary pathologist for examination.

GENERAL PRINCIPLES OF THERAPY As a general rule, the vast majority of skin tumors are treated (and frequently cured) by surgical excision. However, proper planning prior to the surgery will maximize the effectiveness of this technique. As discussed above, knowing the tumor type beforehand (after doing cytologic evaluation


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of the mass), allows for proper “dose” of surgery to be “dispensed” (ie; “low-dose” for benign tumors; “high-dose” for malignant tumors. Radiosensitive tumors include: LSA, TVT, MCT, HCT, PA, SGA. Chemotherapy is effective in dogs with LSA, HSA, PCT, some MCT, some soft tissue sarcomas, and few carcinomas.

SELECTED TUMOR TYPES Mast cell tumors Cutaneous MCTs are very common in the dog and common in the cat. Complete surgical excision is curative in most dogs with grades 1 and 2 MCTs, whereas it is rarely curative in dogs with grade 3 MCTs. Early studies reported that approximately 50-60% of dogs with grade 2 MCTs treated with surgery alone lived more than a month. However, it was recently demonstrated that if a complete excision of a grade 2 MCT is achieved during the first surgery, or if a second, more aggressive surgery is performed within two weeks of the original incomplete excision, >80% of the patients live more than a year. Moreover, the local recurrence rate of completely excised grade 2 MCTs is approximately 10%. Therefore, although radiation therapy was considered the gold-standard for treatment of incompletely resected grade 2 MCTs, a second surgery within 2 weeks of the first one gives very similar results, with only one additional anesthetic episode (as opposed to 10 to 19), lower cost, and negligible toxicity. A new approach to dogs with incompletely excised grade 2 MCTs in which a second complete resection is unlikely to be obtained (e.g.; perineal, head, or limb locations) is to administer a 3- to 6-month course of lomustine (CCNU), with or without prednisone, at a dosage of 60-90 mg/m 2, PO, every 3 weeks. Our preliminary results indicate that this approach is comparable to radiotherapy in terms of diseasefree interval and median survival times. Dogs with nonresectable or metastatic MCTs benefit from chemotherapy with lomustine, with or without corticosteroids (REF). We currently use te dose of lomustine described above, with or without prednisone, 1-4 mg/kg q24 to q48h. Because extensive MCTs can result in hyperhistaminemia and secondary gastroduodenal ulceration, we perform a test for fecal occult blood, and if positive, we treat the patient with sucralfate (1 gm/20 kg, PO, q8h) and an H2 antihistamine at conventional doses (I use famotidine, at 0.51 mg/kg, PO, q24h). Proton-pump inhibitors can be used instead of H2 antihistamines.

Cutaneous lymphomas Most cutaneous lymphomas are of T-cell origin. In humans, there are at least 10 subtypes of cutaneous lym-

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phomas. In the dog mycosis fungoides (MF) constitutes one of the most common forms of presentation. It is usually a chronic, indolent process characterized by erythema, desquamation, pruritus, skin masses or nodules, and occasionally, lymphadenopathy. Surgery is the treatment of choice for dogs with solitary cutaneous lymphoma. However, this clinical presentation is rare. More often, practitioners are faced with a dog that has diffuse or multifocal lesions; in those patients, systemic chemotherapy is the treatment of choice. Although multiple drugs and drug combinations have been used over the years, most standard chemotherapy protocols such as COP (cyclophosphamide, vincristine, prednisone) or CHOP (cyclophosphamide, doxorubicin, vincristine, prednisone) are of marginal benefit. Recently, we have documented sustained responses to lomustine chemotherapy (60-90 mg/m 2, PO, q3wks) with or without prednisone, in a large number of dogs with cutaneous T-cell lymphoma.

Table 1 - Preferential anatomic location for common skin tumors in dogs Head and neck BCT, SCC, HCT, SA, PCT, CGA Extremities MCT, HPA,FSA, MM (nail bed), SCC (nail bed), NST Trunk MCT, LI, SA, FSA, NST Perineum/genitals PA, MCT

Table 2 - Preferential layer of origin for common skin tumors in dogs and cats Dermoepidermal SCC, BCT, SA, PA, HCT, MCT, CGA, MM Subcutaneous LI, HSA, NST, HPA, FSA, MCT

Table 3 - Cytologic classification of common skin tumors in dogs and cats Epithelial aCA Spindle cell tumors FSA, HSA, HPA Round cell tumors LSA, MCT, HCT, TVT, BCT, MM

Author’s Address for correspondence: C. Guillermo Couto, Department of Veterinary Clinical, College of Veterinary, Medicine, The Ohio State University, Columbus, OH


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Tumori cutanei nel cane e nel gatto. Cosa fare e cosa non fare C. Guillermo Couto DVM, Dipl ACVIM (Internal Medicine and Oncology), Ohio, USA

Comuni tumori della cute e del sottocute Per tutta la relazione, verranno utilizzate le seguenti abbreviazioni: BCT: tumore basocellulare; SCC: carcinoma squamocellulare; HCT: istiocitoma: SA: adenoma sebaceo; PCT: tumore plasmocellulare; CGA: adenoma/adenocarcinoma delle ghiandole ceruminose; MCT: mastocitoma; HPA: emangiopericitoma; FSA: fibrosarcoma; MM: melanoma maligno; NST: tumore della guaina del nervo (neurofibroma, neurofibrosarcoma, schwannoma); LI: lipoma; PA: adenoma/adenocarcinoma perianale; aCA: adenocarcinoma. I tumori della cute e dei tessuti sottocutanei si riscontrano frequentemente nell’esercizio della professione, dal momento che sono comuni e vengono facilmente individuati dai proprietari. Utilizzare un approccio semplice, logico e completo facilita il trattamento di questi pazienti e spesso evita una seconda procedura terapeutica.

tre, in sede di intervento si può effettuare una biopsia linfonodale per escissione al fine di eseguire una stadiazione più accurata. Per rilevare potenziali metastasi polmonari è necessario effettuare la ripresa di radiografie del torace (tre proiezioni). Nei casi in cui si sospetta una disseminazione agli organi addominali o alla cavità peritoneale (oppure una forma multicentrica; ad es. MCT, HSA, LSA) sono necessarie le radiografie e/o le ecografie dell’addome.

ASPIRAZIONE CON AGO SOTTILE Il prelievo di un campione e la valutazione degli aspirati con ago sottile ottenuti da masse cutanee verranno brevemente illustrati nel corso della relazione, ed esulano dagli scopi del presente lavoro. In breve, i tumori cutanei possono essere classificati come epiteliali, mesenchimali (tumori a cellule fusate o spindle cell) o tumori a cellule rotonde (Tabella 3).

BIOPSIA PRINCIPI GENERALI DI DIAGNOSI La diagnosi e la caratterizzazione di una massa cutanea prima della escissione chirurgica definitiva sono importanti per diverse ragioni. La conoscenza del tipo di tumore permette al clinico di pianificare un approccio chirurgico appropriato (ad es., in un MCT, che richiede ampi margini per ottenere un’escissione completa), prendere in considerazione il ricorso alla radioterapia (ad es., nel caso di MCT non asportabili o carcinomi) oppure instaurare un trattamento medico (ad es, chemioterapia con vincristina per TVT o chemioterapia combinata per LSA cutaneo). Nel cane, la semplice ispezione del paziente facilita la restrizione della lista delle possibili diagnosi differenziali, dal momento che alcuni tipi di tumori si riscontrano preferenzialmente in certe sedi anatomiche (Tabella 1). Nel gatto, parecchi tumori comuni sono preferibilmente localizzati a livello della testa e del collo (SCC, MCT, BCT). La palpazione della massa permette di distinguere il piano di origine. Le masse che si muovono con la cute vengono definite dermoepidermiche, mentre se la cute si muove liberamente sulla sommità della massa, si tratta di formazioni sottocutanee o profonde (Tabella 2). Per identificare la presenza di malattie metastatiche prima dell’intervento chirurgico, i linfonodi regionali ingrossati devono essere sottoposti a valutazione citologica (aspirazione con ago sottile – vedi oltre) oppure istopatologica. Inol-

Biopsie per incisione o per escissione possono venire effettuate per ottenere una diagnosi definitiva (se l’esame citologico non è riuscito a portare un campione diagnostico) oppure per stabilire in modo appropriato il grado del tumore. Le biopsie per incisione si possono effettuare servendosi di un punch da biopsia cutanea, di un ago Tru-Cut o di un bisturi. Le biopsie mediante punch sono relativamente semplici da eseguire e vengono comunemente utilizzate per ottenere un campione di masse superficiali (dermoepidermiche). Possono essere effettuate utilizzando soltanto l’anestesia locale e richiedono pochissimo tempo. Le biopsie con ago Tru-Cut possono servire ad ottenere campioni rappresentativi di masse più grandi o sottocutanee, sempre utilizzando solo l’anestesia locale. Per avere una biopsia “a cuneo” è necessario ricorrere alle procedure chirurgiche di routine. In una biopsia per escissione, si deve rimuovere ed inviare all’esame istopatologico la totalità o gran parte del tumore o della massa. Questa soluzione risulta indicata per le formazioni piccole e facilmente accessibili, ma è controindicata per quelle più grandi. Si devono ottenere margini chirurgici di almeno 1 cm. Tutte le masse asportate devono essere adeguatamente fissate (1 parte di campione in 9 parti di formalina tamponata al 10%); se sono presenti tumori multipli, ognuno deve essere appropriatamente etichettato per determinarne la localizzazione. Tutti i tumori devono essere inviati ad un patologo veterinario qualificato per essere esaminati.


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Tabella 1 - Localizzazione anatomica preferenziale dei comuni tumori cutanei del gatto Testa e collo BCT, SCC, HCT, SA, PCT, CGA Estremità MCT, HPA, FSA, MM (letto ungueale), SCC (letto ungueale), NST Tronco MCT, LI, SA, FSA, NST Perineo/genitali PA, MCT

Tabella 2 - Piano di origine preferenziale dei comuni tumori cutanei del cane e del gatto Dermoepidermico SCC, BCT, SA, PA, HCT, MCT, CGA, MM Sottoepidermico LI, HSA, NST, HPA, FSA, MCT

Tabella 3 - Classificazione citologica dei comuni tumori cutanei del cane e del gatto Epiteliale aCA Tumori a spindle cell FSA, HSA, HPA Tumori a cellule rotonde LSA, MCT, HCT, TVT, BCT, MM

PRINCIPI GENERALI DI TERAPIA Come regola generale, la grande maggioranza dei tumori cutanei viene trattata (e frequentemente guarita) mediante escissione chirurgica. Tuttavia, un’appropriata pianificazione preoperatoria consente di portare ai massimi livelli l’efficacia di questa tecnica. Come già ricordato, conoscere in anticipo il tipo di tumore (dopo aver eseguito la valutazione citologica della massa), permette di “prescrivere” una “dose appropriata di chirurgia” (basse dosi per i tumori benigni, alte dosi per quelli maligni). I tumori radiosensibili sono rappresentati da LSA, TVT, MCT, HCT, PA, SGA. La chemioterapia è efficace nei cani con LSA, HSA, PCT, alcuni MCT, alcuni sarcomi dei tessuti molli e pochi carcinomi.

PARTICOLARI TIPI TUMORALI Mastocitomi I MCT cutanei sono molti comuni nel cane e comuni nel gatto. Nella maggior parte dei cani con MCT di grado 1 e 2 l’escissione chirurgica completa risulta risolutiva, mentre lo è

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raramente nei cani con MCT di grado 3. I primi studi hanno riferito che il 50-60% circa dei cani con MCT di grado 2 trattati con la sola chirurgia è sopravvissuto più di un mese. Tuttavia, è stato recentemente dimostrato che se si ottiene un’escissione completa di un MCT di grado 2 durante il primo intervento chirurgico, o se si esegue un secondo intervento più aggressivo entro due settimane dalla escissione originale incompleta, più dell’80% dei pazienti sopravvive per oltre un anno. Inoltre, il tasso di recidiva locale di un MCT di grado 2 sottoposto ad escissione completa è del 10% circa. Di conseguenza, benché la radioterapia sia stata considerata lo standard aureo per il trattamento degli MCT di grado 2 sottoposti a resezione incompleta, un secondo intervento chirurgico entro due settimane dal primo fornisce risultati molto simili, e richiede soltanto un’ulteriore anestesia (invece di 1019) ad un costo minore ed una tossicità trascurabile. Un nuovo approccio ai cani con MCT di grado 2 sottoposti ad escissione incompleta in cui è improbabile riuscire ad ottenere una seconda resezione completa (ad es., in sede del perineo, della testa o degli arti) consiste nel somministrare un ciclo di 3-6 mesi di lomustina (CCNU), con o senza prednisone, alla dose di 60-90 mg/m2, PO, ogni tre settimane. I nostri risultati preliminari indicano che questo approccio è paragonabile alla radioterapia in termini di intervallo di libertà da malattia e tempi di sopravvivenza mediani. I cani con MCT non asportabili o metastatici traggono vantaggio dalla chemioterapia con lomustina, con o senza corticosteroidi (REF). Attualmente, utilizziamo la dose di lomustina sopracitata, con o senza prednisone, 1-4 mg/kg ogni 24-48 ore. Poiché i MCT estesi possono esitare in iperistaminemia ed ulcera gastroduodenale secondaria, eseguiamo un test per la ricerca del sangue occulto nelle feci e, se positivo, trattiamo il paziente con sucralfato (1 g/20 kg, PO, ogni 8 ore) e con un antistaminico H2 ai dosaggi convenzionali (io utilizzo la famotidina alla dose di 0,5-1 mg/kg PO, ogni 24 ore). Invece degli antistaminici H2 si possono impiegare gli inibitori della pompa protonica.

Linfomi cutanei La maggior parte dei linfomi cutanei ha origine dalle cellule T. Nell’uomo, ne esistono almeno 10 sottotipi. Nel cane, la micosi fungoide (MF) costituisce una delle forme più comuni di presentazione della malattia. Di solito, si tratta di un processo cronico ed indolente, caratterizzato da eritema, desquamazione, prurito, masse o noduli cutanei e, occasionalmente, linfoadenopatia. Il trattamento d’elezione per i cani con linfomi cutanei isolati è la chirurgia. Tuttavia, questo quadro clinico è raro. Più spesso, i veterinari si trovano di fronte ad un cane con lesioni diffuse o multifocali. In questi pazienti, il trattamento d’elezione è la chemioterapia sistemica. Benché negli anni siano stati utilizzati molteplici farmaci e combinazioni farmacologiche, la maggior parte dei protocolli chemioterapici standard come il COP (ciclofosfamide, vincristina, prednisone) o il CHOP (ciclofosfamide, doxorubicina, vincristina, prednisone) hanno un’utilità marginale. Recentemente, abbiamo documentato risposte prolungate alla chemioterapia con lomustina (60-90 mg/m2, PO, ogni 3 settimane) con o senza prednisone, in un gran numero di cani con linfoma cutaneo a cellule T.


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Mast cell tumors in dogs C. Guillermo Couto DVM, Dipl ACVIM (Internal Medicine and Oncology), Ohio, USA

Mast cell tumors (MCTs) constitute one of the most common skin tumors in dogs, and are relatively common in cats. These tumors represent approximately 20% to 25% of the skin/subcutaneous tumors seen by practicing veterinarians. Brachiocephalic breeds (Boxer, Boston terrier, Bullmastiff, English Bulldog) appear to be at high risk for the development of MCTs; these tumors are more common in middleage to older dogs (mean age approximately 8.5 years), and there is no sex predilection for MCTs in dogs Mast cell tumors occur either as dermoepidermal (ie; superficial mass that moves with the skin) or subcutaneous (ie; the overlying skin moves freely over the tumor) masses, with approximately 50% of the tumors located in the trunk/perineum, 40% in the extremities, and 10% in the head and neck regions. Grossly, MCTs can mimic most primary and secondary skin lesions, including macula, papula, nodule, tumor, and crust. Indeed, approximately 10% to 15% of all canine MCTs are clinically indistinguishable from the common subcutaneous lipomas. As a rule, a definitive diagnosis of MCT cannot be made until the lesion has been evaluated cytologically. Most MCT are solitary, although multifocal MCTs are not uncommon in dogs. Also, regional lymphadenopathy due to metastatic disease is a common occurrence in dogs with invasive MCTs. Occasionally, in cases of systemic dissemination (see below), splenomegaly and/or hepatomegaly are present. Given the fact that mast cells produce a variety of bioactive (mainly, vasoactive) substances, dogs with MCTs commonly present for evaluation of diffuse swelling (ie; edema/inflammation around a primary tumor or its metastases), erythema, or bruising of the affected area/s. Unexplained subcutaneous swelling in dogs should always be evaluated by means of a percutaneous fine needle aspirate (FNA) of the lesion. A "typical" MCT is a dermoepidermal, dome-shaped, alopecic, and erythematous lesion. However, as discussed above, MCTs rarely appear "typical". A clinical feature which may aid in diagnosing a MCT is the Darrier sign, consisting of erythema and wheal formation after slightly traumatizing (ie; scraping or compressing) the tumor. Most dogs with MCTs have a normal CBC, although eosinophilia (sometimes severe), basophilia, mastocythemia, neutrophilia, thrombocytosis, and/or anemia may be present. Serum biochemical abnormalities are uncommon, and include mainly hyperproteinemia due to a polyclonal gammopathy in a low number of patients. From the histopathologic standpoint, MCTs are traditionally classified in three categories: well-differentiated (grade

1), moderately differentiated (grade 2), and poorly-differentiated (grade 3). Previous studies have demonstrated that dogs with grade 1 tumors have longer survival times than dogs with grade 3 tumors, when treated with surgery or radiotherapy, mainly because well-differentiated neoplasms have a lower metastatic behavior (ie; most tumors in dogs with systemic mast cell disease are grade 3) (Table 1). In poorly-differentiated neoplasms, special stains may be required to identify the typical intracytoplasmic granules. In addition to the grading of the tumor, the pathologist should provide the clinician with information regarding completeness of the excision. A dog with an incompletely excised MCT is rarely cured by the initial surgical procedure, and will need either a second surgery, or irradiation of the affected area. The biologic behavior of canine mast cell tumors can be summed up in one word: unpredicatble. Even though there are several guidelines that may aid in establishing the biologic behavior of these neoplasms, these rules rarely apply to an individual patient (ie; they may be meaningful from the statistical viewpoint). In general, well-differentiated (grade 1) solitary cutaneous MCTs have a low metastatic potential, and low potential for systemic dissemination. However, it is not uncommon to evaluate a dog with several dozen cutaneous MCTs, which on histopathologic evaluation appear as welldifferentiated masses. Grade 2 and 3 tumors have a higher metastatic potential, and a higher potential for systemic dissemination. Metastases commonly occur to the regional lymph nodes, although occasionally a tumor "skips" the draining lymph node and metastasizes to the second or third regional node (eg; a digital MCT metastasizing to the iliac or sublumbar node). Pulmonary metastases are extremely rare. Although not evident from previously published clinical data, it appears that MCTs in certain anatomic locations are more aggressive than tumors in other areas. For example, distal limb (ie; toe), perineal, inguinal, and extracutaneous (eg; oropharyngeal, intranasal) MCTs appear to have a higher metastatic potential than similarly graded tumors in other regions (eg; trunk, neck). A dog presenting with a suspected MCT should be evaluated by means of FNA of the affected area/s. Mast cell tumors are extremely easy to diagnose cytologically, and are characterize by a monomorphic population of round cells with prominent intracytoplasmic purple granules; eosinophils are frequently present in the smear. A cytologic diagnosis of MCT allows the clinician to discuss treatment options with the owner and to plan therapeutic strategies (see below).


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A solitary MCT in an area where a complete surgical excision is feasible, should be treated by aggressive en block en block resection (ie; 3cm to 5 cm margins around and underneath the tumor). If a complete excision is obtained (according to the pathologist evaluating the specimen), and no metastatic lesions are present, there is no need for further treatment (ie; the patient is most likely cured). If the excisions appears incomplete, two courses of action are possible: a) to perform a second surgery in attempts to excise the remaining tumor (the excised area should be submitted for histopathologic evaluation to assess completeness of excision); or b) to irradiate the surgical site (35 to 40 Gy in 10 to 12 fractions). Both options appear to be equally effective. A solitary MCT in an area where surgical excision is difficult or impossible (or is associated with unacceptable cosmetic results - eg; prepuce, eyelid) can be succesfully treated with radiotherapy. Over half of the dogs with a localized MCT treated with radiotherapy alone are cured. Irradiation is also recommended for tumors in "high risk" areas. Intralesional injections of corticosteroids (triamcinolone - Vetalog® - 1 mg intralesional per centimeter of tumor diameter every two to three weeks) can also be used succesfully to reduce tumor size (although it is usually only palliative). Once a patient develops metastatic or disseminated MCTs (or SMCD) a cure is rarely obtained. Treatment in these cases is aimed at palliating the neoplasm and its complications

Clinical evaluation of a dog with a cytologically confirmed MCT should include careful palpation of the affected are and its draining lymph nodes; abdominal palpation, radiography, or ultrasonography to evaluate hepatosplenomegaly; a CBC, serum biochemical profile and urinalysis; and thoracic radiographs if the neoplasm is in the anterior half of the body (ie; to detect intrathoracic lymphadenopathy). If lymphadenopathy, hepato- or splenomegaly are present, a FNA of the enlarged lymph node or organ should be performed to detect the presence of mast cells (ie; local neoplasm versus metastatic tumor versus SMCD). As discussed above, all dogs with MCTs should be evaluated for the presence of occult blood in the stool, if overt melena is not evident. Several kits are available for this purpose. The presence of blood in the stool suggests upper gastrointestinal bleeding, and, if repeatable, should be treated with H 2 antihistamines (ie; cimetidine, ranitidine) with or without a coating agent (ie; sucralfate). It is imperative to know if the mass the clinician is preparing to excise is a MCT, since this will help him/her discuss treatment options with the client and plan the treatment strategies. Dogs with MCT can be treated with either surgery, radiotherapy, and/or chemotherapy. The first two treatment options are potentially curative, while the latter is only palliative, Treatment guidelines are provided in Table 2.

Table 1 - Survival times in dogs with mast cell tumors treated with surgery and/or radiotherapy Treatment (%)

Stage

Surgery1 Surgery Surgey Radiotherapy2 Radiotherapy

Grade

Proportion Surviving at 15 Months

1 2 3

83 44 6 82 55

I II, III, IV

Table 2 - Treatment guidelines for dogs with mast cell tumors

1

Stage

Grade

Recommended Treatment

Follow-up

I

1, 2

Surgical excision

I

3

Surgical excision or Radiotherapy

II

1, 2, 3

III, IV

1, 2, 3

Surgical excision or Radiotherapy Chemotherapy3

Complete -> observe Incomplete -> surgery or radiotherapy Radiotherapy Prednisone? (50 mg/m2, PO, SID for a week; then 20-25 mg/m 2, PO, every other day Prednisone (as above) or CVP (see below) Continue chemotherapy

From Patnaik ……… From Turrell ……… 3 Prednisone 50 mg/m 2, PO, SID for a week; then 20-25 mg/m 2, PO, every other day, indefinitely; or CVP: cyclophosphamide (Cytoxan®) 50 mg/m 2, PO, every other day; vinblastine (Velban®) 2-3 mg/m 2, IV, once a week; and prednisone 20-25 mg/m 2, PO, every other day. 2


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by using chemotherapy and supportive therapy. Although no prospective studies of chemotherapy of canine MCTs have appeared in the literature, two chemotherapy protocols are widely used (Table 3); they are: a) prednisone, and b) CVP protocol -cyclophosphamide, prednisone, and vinblastine. It is my clinical impression that patients treated with either protocol have similar response rates and survival times (ie; there appears to be no benefit from multiple agent chemotherapy). Recently, lomustine (CCNU), at dosages of 80-90 mg/m2, PO, q3wks has been beneficial in dogs with advanced MCTs.Most chemotherapeutic agents have been used for dogs with advanced stage MCT; however, no predictable or sustained responses could be documented. In general, my approach to a dog with advanced MCT is to use prednisone (Table 2), with or without cimetidine and/or sucralfate. If no response is observed within one to two weeks, lomustine chemotherapy is initiated; if that fails, CVP treatment can be used.

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Prednisone treatment results in variable rates of remission and survival. During CVP treatment, patients should be monitored for the development of myelosuppression. Some dogs who failed prednisone treatment benefit from multiple agent chemotherapy; however, the percentage appears to be low (approximately 10% to 15%). Chemotherapy should be continued indefinitely (ie; until death or tumor relapse), and an effort should be made to find the lowest possible doe of prednisone that will maintain the tumor in remission. In addition, for dogs on CVP, given their risk for developing sterile hemorrhagic cystitis, chlorambucil (LeukeranÂŽ) should be substituted for cyclophosphamide after 8 to 12 weeks of treatment.

Author’s Address for correspondence: C. Guillermo Couto Department of Veterinary Clinical, College of Veterinary Medicine, The Ohio State University, Columbus, OH


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Il mastocitoma. Un tumore importante C. Guillermo Couto DVM, Dipl ACVIM (Internal Medicine and Oncology), Ohio, USA

I mastocitomi (MCT, mast cell tumors) costituiscono uno dei tumori cutanei più comuni nel cane e sono relativamente comuni nel gatto. Rappresentano il 20-25% circa delle neoplasie cutanee/sottocutanee osservate dai veterinari. Le razze brachicefale (Boxer, Boston terrier, Bull mastiff, Bulldog inglese) sembrano essere maggiormente a rischio di sviluppo di MCT; nel cane questi tumori sono più comuni nei soggetti di media età o anziani (età media di circa 8,5 anni) e non sono associati ad alcuna predilezione di sesso. I mastocitomi possono essere rappresentati da masse dermoepidermiche (neoformazioni superficiali che si muovono con la cute) oppure sottocutanee (per cui la cute sovrastante si muove liberamente sul tumore); nel 50% circa dei casi sono localizzati nel tronco/perineo, nel 40% nelle estremità e nel 10% nelle regioni della testa e del collo. Macroscopicamente, i MCT possono simulare la maggior parte delle lesioni cutanee primarie e secondarie, quali macule, papule, noduli, tumori e croste. In effetti, il 10-15% della totalità di queste neoplasie nel cane risulta clinicamente indistinguibile dai comuni lipomi sottocutanei. Come regola, la diagnosi definitiva di MCT non può venire formulata prima di aver valutato citologicamente la lesione. La maggior parte dei MCT è isolata, benché quelli multifocali non siano rari nel cane. Inoltre, negli animali di questa specie con MCT invasivi si riscontra comunemente una linfoadenopatia regionale dovuta ad una malattia metastatica. Occasionalmente, nei casi di disseminazione sistemica (vedi oltre), sono presenti splenomegalia e/o epatomegalia. Dato che le mast cell producono una gran varietà di sostanze bioattive (principalmente vasoattive), i cani con MCT vengono comunemente portati alla visita a causa di gonfiori diffusi (edema/infiammazione intorno ad un tumore primario o alle sue metastasi), eritema o comparsa di lividi nelle aree colpite. Le tumefazioni sottocutanee inspiegate nel cane devono sempre essere valutate mediante aspirazione con ago sottile (FNA, fine needle aspirate) della lesione per via percutanea. Un MCT “tipico” è una lesione dermoepidermica cupoliforme, alopecica ed eritematosa. Tuttavia, come già ricordato, queste neoplasie hanno raramente un aspetto “tipico”. Una caratteristica clinica che può contribuire a diagnosticare un MCT è il segno di Darrier, che consiste nella formazione di eritema e pomfi in seguito ad una lieve traumatizzazione (raschiato o compressione) del tumore. Nella maggior parte dei cani con MCT l’esame emocromocitometrico completo risulta normale, benché possano essere presenti eosinofilia (talvolta grave), basofilia, mastocitemia, neutrofilia, trombocitosi e/o anemia. Le anomalie del profilo biochimico sono poco comuni e rappresentate

principalmente da iperproteinemia dovuta ad una gammopatia policlonale in un basso numero di pazienti. Dal punto di vista istopatologico, i MCT vengono tradizionalmente classificati in tre categorie: ben differenziati (grado 1), moderatamente differenziati (grado 2) e scarsamente differenziati (grado 3). Studi precedenti hanno dimostrato che, quando vengono trattati mediante chirurgia o radioterapia, i cani con tumori di grado 1 presentano tempi di sopravvivenza più prolungati rispetto a quelli con tumori di grado 3, principalmente perché le neoplasie ben differenziate hanno un comportamento metastatico più basso (la maggior parte dei tumori nei cani con mastocitosi sistemica risulta di grado 3) (Tabella 1). Nelle neoplasie scarsamente differenziate, per identificare i tipici granuli intracitoplasmatici può essere necessario ricorrere a colorazioni speciali. Oltre alla classificazione del grado del tumore, il patologo deve fornire al clinico le informazioni relative alla completezza dell’escissione. Un cane con un MCT sottoposto ad escissione incompleta viene raramente guarito dall’intervento chirurgico iniziale e necessita di una seconda operazione oppure dell’irradiazione dell’area colpita. Il comportamento biologico dei mastocitomi del cane può essere riassunto in una parola: imprevedibile. Anche se esistono parecchie linee guida che possono risultare utili per stabilire il comportamento biologico di queste neoplasie, queste regole si applicano raramente ad un singolo paziente (possono essere significative dal punto di vista statistico). In generale, i MCT cutanei isolati ben differenziati (grado 1) hanno un basso potenziale metastatico ed un basso potenziale di disseminazione sistemica. Tuttavia, non è raro esaminare un cane con parecchie dozzine di MCT cutanei, che alla valutazione istopatologica si presentano come masse ben differenziate. I tumori di grado 2 e 3 hanno un potenziale metastatico più elevato ed un maggior potenziale di disseminazione sistemica. Le metastasi colpiscono comunemente i linfonodi regionali, anche se occasionalmente un tumore “salta” il linfonodo drenante e dà origine a metastasi al secondo o terzo linfonodo regionale (ad es., un MCT digitale che dà origine a metastasi al linfonodo iliaco o sottolombare). Le metastasi polmonari sono estremamente rare. Benché non risulti evidente sulla base dei dati clinici precedentemente pubblicati, sembra che i MCT in certe sedi anatomiche siano più aggressivi dei tumori di altre aree. Ad esempio, i MCT della parte distale degli arti (punte delle dita), del perineo, dell’inguine e delle aree extracutanee (ad es., orofaringei, intranasali) sembrano avere un potenziale metastatico maggiore rispetto a tumori di grado analogo in altre regioni (ad es., tronco, collo).


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se non si apprezza una melena evidente. A questo scopo sono disponibili parecchi kit. La presenza di sangue nelle feci suggerisce un sanguinamento del tratto gastroenterico superiore e, se riscontrata ripetutamente, va trattata con antistaminici H2 (cimetidina, ranitidina) con o senza agente di rivestimento (sucralfato). È essenziale sapere se la massa che il clinico si sta preparando ad asportare è un MCT, dal momento che ciò contribuisce ad illustrare le opzioni terapeutiche al cliente ed a pianificare le strategie terapeutiche. I cani con MCT possono essere trattati mediante chirurgia, radioterapia e/o chemioterapia. Le prime due opzioni terapeutiche sono potenzialmente risolutive, mentre l’ultima è solo palliativa. Nella Tabella 2 sono riportate le linee guida del trattamento. Un MCT isolato in un’area in cui risulta fattibile un’escissione chirurgica completa deve essere trattato mediante aggressiva resezione in blocco (da 3 a 5 cm di margine intorno ed al di sotto del tumore). Se si riesce ad ottenere un’escissione completa (secondo il patologo che valuta il campione) e non sono presenti lesioni metastatiche, non c’è bisogno di ulteriori trattamenti (con tutta probabilità, il paziente è guarito). Se le escissioni sembrano incomplete, è possibile seguire due diverse linee di azione: a) effettuare un secondo intervento chirurgico nel tentativo di asportare il tumore residuo (l’area rimossa deve essere inviata alla valu-

Un cane portato alla visita a causa di un sospetto MCT deve essere esaminato mediante FNA delle aree colpite. I mastocitomi sono estremamente facili da diagnosticare citologicamente e risultano caratterizzati da una popolazione monomorfica di elementi rotondi con granuli intracitoplasmatici pronunciati di color porpora; nello striscio sono frequentemente presenti gli eosinofili. Una diagnosi citologica di MCT permette al clinico di discutere le opzioni terapeutiche con il proprietario e pianificare le strategie di intervento (vedi oltre). La valutazione clinica di un cane con un MCT confermato citologicamente deve comprendere l’accurata palpazione dell’area colpita e dei linfonodi che la drenano, la palpazione addominale, la radiografia o l’ecografia per valutare l’epatosplenomegalia, l’esame emocromocitometrico completo, il profilo biochimico e l’analisi dell’urina e, se la neoplasia si trova nella metà anteriore del corpo, la ripresa di radiografie del torace (per individuare una linfoadenopatia intratoracica). In presenza di linfoadenopatia, epato- o splenomegalia, si deve effettuare una FNA dell’organo o linfonodo ingrossato per rilevare la presenza di mast cell (neoplasia locale oppure tumore metastatico oppure SMCD [Systemic Mast Cell Disease, mastocitopatia sistemica]). Come già ricordato, tutti i cani con MCT devono essere valutati per rilevare la presenza di sangue occulto nelle feci,

Tabella 1 - Tempi di sopravvivenza nei cani con mastocitomi trattati con chirurgia e/o radioterapia Trattamento

Stadio

Chirurgia1 Chirurgia Chirurgia Radioterapia2 Radioterapia

Grado

Percentuale di sopravvivenza a 15mesi (%)

1 2 3

83 44 6 82 55

I II, III, IV

Tabella 2- Linee guida per il trattamento dei cani con mastocitomi

1

Stadio

Grado

Trattamento raccomandato

Follow-up

I

1,2

Escissione chirurgica

I

3

Escissione chirurgica o

II

1,2,3

III, IV

1,2,3

Escissione chirurgica o Radioterapia Chemioterapia3

Completa → osservare Incompleta → chirurgia o radioterapia Radioterapia Radioterapia Prednisone? (50 mg/m2, PO SID per una settimana; poi 20-25 mg/m2 PO a giorni alterni Prednisone (come sopra) o CVP (vedi sotto) Continuare con la chemioterapia

Da Patnaik…. Da Turrell….. 3 Prednisone 50 mg/m2, PO, SID per una settimana; poi 20-25 mg/m2, PO, a giorni alterni, a tempo indefinito; oppure CVP: ciclofosfamide (Cytoxan®) 50 mg/m2, PO, a giorni alterni, vinblastina (Velban®) 2-3 mg/m2, IV, una volta alla settimana e prednisone 20-25 mg/m2, PO a giorni alterni. 2


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tazione istopatologica per verificare la completezza dell’escissione) oppure b) irradiare il sito operato (35-40 Gy in 1012 frazioni). Entrambe le opzioni sembrano essere ugualmente efficaci. Un MCT isolato in un’area in cui l’escissione chirurgica è difficile o impossibile (o è associata a risultati estetici inaccettabili – ad es., prepuzio, palpebre) può essere trattato con successo mediante radioterapia. Più di metà dei cani con MCT localizzato trattato con la sola radioterapia è guarita. L’irradiazione è raccomandata anche per i tumori nelle aree “ad alto rischio”. Per ridurre le dimensioni della neoformazione (anche se di solito si tratta solo di un intervento palliativo) è stato anche possibile utilizzare con successo le iniezioni intralesionali di corticosteroidi (triamcinolone – Vetalog® – 1 mg per via intralesionale per cm di diametro del tumore ogni 2-3 settimane). Una volta che il paziente abbia sviluppato MCT metastatici o disseminati (o SMCD) la guarigione si ottiene raramente. Il trattamento in questi casi è finalizzato alle cure palliative della neoplasia e delle sue complicazioni mediante chemioterapia e terapia di sostegno. Benché in letteratura non siano stati pubblicati studi condotti sulla chemioterapia dell’MCT nel cane, due protocolli chemioterapici vengono ampiamente utilizzati (Tabella 3): a) prednisone e b) protocollo CVP – ciclofosfamide, prednisone e vinblastina. È mia impressione clinica che i pazienti trattati con l’uno o l’altro protocollo abbiano percentuali di risposta e tempi di sopravvivenza simili (non sembra esserci alcun beneficio derivante dalla chemioterapia con più agenti). Recentemente, nei cani con MCT avanzati è risultata utile la lomustina (CCNU) alle

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dosi di 80-90 mg/m2, PO, ogni 3 settimane. La maggior parte degli agenti chemioterapici è stata usata in cani con MCT in stadio avanzato; tuttavia, non è stato possibile documentare risposte prevedibili o protratte. In generale, il mio approccio a un cane con MCT avanzato consiste nell’impiego del prednisone (Tabella 2), con o senza cimetidina e/o sucralfato. Se non si osserva alcuna risposta entro 1-2 settimane, si inizia la chemioterapia con lomustina. Se questa fallisce, si può impiegare il protocollo CVP. La somministrazione di prednisone esita in percentuali variabili di remissione e sopravvivenza. Durante il trattamento CVP, i pazienti devono essere monitorati per rilevare lo sviluppo di mielosoppressione. Alcuni cani nei quali la terapia con prednisone non ha avuto successo hanno tratto vantaggio dalla chemioterapia con più agenti; tuttavia, la percentuale sembra essere bassa (10-15% circa). La terapia va continuata a tempo indefinito (fino alla morte o alla recidiva del tumore) e ci si deve sforzare di trovare il minimo dosaggio possibile di prednisone capace di mantenere il tumore nello stato di remissione. Inoltre, per i cani trattati con il protocollo CVP, dato il rischio di sviluppo di cistite emorragica sterile, dopo 8-12 settimane di terapia si deve sostituire la ciclofosfamide con il clorambucil (Leukeran®).

Indirizzo per la corrispondenza: C. Guillermo Couto Department of Veterinary Clinical, College of Veterinary Medicine, The Ohio State University, Columbus, OH


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Sistema immunitario e tumori gastroenterici: una guerra sempre aperta Paola Dall’Ara Med Vet, Milano

La trasformazione di una cellula normale in una cellula tumorale può essere dovuta a cause diverse, la cui particolare natura può aiutare a capire se il sistema immunitario sarà in grado oppure no di controllare efficacemente la crescita impazzita delle cellule neoplastiche: mutazioni casuali, riarrangiamenti genici, cancerogeni chimici, fisici o virali. Gli antigeni tumorali possono essere classificati in due grandi categorie: antigeni tipici del tumore e antigeni tumore-associati. I primi sono presenti esclusivamente sulle cellule tumorali e non su altre cellule e sono quindi bersagli ideali per un attacco immunitario; i più noti sono quelli espressi su cellule trasformate di tumori virus-indotti o di neoplasie dovute a sostanze chimiche. I secondi possono invece essere presenti sia sulle cellule tumorali, sia su alcune cellule normali, ma con un’espressione qualitativamente e quantitativamente sufficientemente diversa da poter essere utilizzati per distinguere una cellula tumorale da una normale. I meglio caratterizzati in campo umano sono gli antigeni oncofetali, espressi durante l’embriogenesi ma del tutto assenti o presenti in quantità irrilevante nei normali tessuti adulti (es., antigene carcinoembrionario (CEA), α-fetoproteina). In altri casi le cellule tumorali possono perdere alcuni antigeni tipici invece di una cellula normale (es., molecole del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC) e antigeni di gruppo sanguigno).

IMMUNOSORVEGLIANZA E IMMUNOEDITING Il concetto che il sistema immunitario è in grado di riconoscere ed eliminare i tumori in via di sviluppo in assenza di interventi terapeutici esiste da più di 100 anni e si deve a Burnet e Thomas la proposta nel 1957 del concetto di “immunosorveglianza antitumorale”. Recentemente questa ipotesi, divenuta ormai una certezza, è stata ulteriormente perfezionata: il sistema immunitario, infatti, non solo è in grado di proteggere l’organismo dallo sviluppo di tumori, ma, selezionando i tumori dotati di minore immunogenicità, è anche capace di promuovere la crescita tumorale. Questo duplice effetto del sistema immunitario sullo sviluppo di un tumore ha portato alcuni ricercatori rivedere il concetto di immunosorveglianza antitumorale, proponendo il termine più ampio di “immunoediting”, una sorta di rielaborazione e rimaneggiamento del tumore. Le cellule tumorali altamente immunogene vengono infatti efficacemente eliminate dal sistema immunitario, che invece tralascia le varianti tumora-

li con ridotta immunogenicità, che riescono quindi a sopravvivere indisturbate. Il complicato processo di immunoediting di un tumore può essere suddiviso in 3 fasi, denominate le “3 E”: eliminazione (elimination), equilibrio (equilibrium) ed evasione (escape). La fase di eliminazione corrisponde al concetto originale di immunosorveglianza antitumorale: se in questa fase viene eradicato con successo un tumore in via di sviluppo, l’immunoediting si conclude così senza bisogno di passare alle fasi successive. Il “rigetto” immunitario di un tumore richiede una risposta integrata che coinvolge sia l’immunità innata sia quella specifica. Questa fase è un processo continuo che deve essere ripetuto ogni qualvolta compare una cellula tumorale con un disegno antigenico diverso. Nella fase di equilibrio il sistema immunitario dell’ospite e qualsiasi variante tumorale sopravvissuta alla fase di eliminazione entrano in una sorta di equilibrio dinamico, dove il sistema immunitario esercita una potente e inesorabile pressione selettiva sulle cellule tumorali in grado di contenere, ma non di eliminare completamente, un tumore. L’equilibrio è probabilmente la fase più lunga di tutto il processo di immunoediting e può durare molti anni; durante questo periodo, l’eterogeneità e l’instabilità genomica delle cellule tumorali sopravvissute sono probabilmente le cause principali che possono permettere loro di resistere all’attacco immunitario. Nella fase di evasione, le varianti delle cellule tumorali selezionatesi durante la fase di equilibrio possono crescere in un ambiente immunologicamente intatto: questa resistenza dipende spesso da cambiamenti genetici ed epigenetici che avvengono nelle cellule tumorali e che permettono loro di resistere al sistema immunitario, di diffondersi in maniera incontrollata e di rendere il tumore clinicamente rilevabile e molto spesso fatale.

STRATEGIE DI EVASIONE Le strategie immunoevasive attraverso le quali una cellula tumorale può eludere il sistema immunitario e moltiplicarsi indisturbata sono diverse. Uno dei fattori più importanti in grado di favorire la sopravvivenza e la propagazione di organismi in via di evoluzione è la diversità genetica: la legge della selezione naturale si applica quando le cellule tumorali che possiedono caratteristiche genetiche ed epigenetiche utili alla loro sopravvivenza e/o disseminazione, crescono meglio rispetto


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ad altre cellule. Questa crescita vantaggiosa è influenzata da diversi fattori relativi all’ambiente circostante, tra i quali la disponibilità di fattori di crescita e nutritivi e la già ricordata pressione immunitaria L’alterazione dell’espressione delle molecole MHC sulla membrana delle cellule tumorali è uno dei principali meccanismi attraverso cui le cellule neoplastiche riescono a sfuggire al sistema immunitario: la conseguenza di queste alterazioni è l’impossibilità da parte dei linfociti T citotossici di “vedere” i loro bersagli, in quanto la presentazione antigenica è in qualche modo difettosa: il tumore può quindi crescere in maniera indisturbata. L’attivazione o l’inibizione dei linfociti T dipende anche dalla presenza o dall’assenza di fattori di costimolazione e di citochine nell’ambiente immediatamente circostante. I tumori possono produrre numerosi citochine e chemochine che possono avere un effetto negativo sulla maturazione e sulla funzionalità di diverse cellule immunitarie (VEGF, IL10, PGE2). La mancanza di una risposta dei linfociti T contro un antigene tumore-associato che è espresso anche su altre cellule dell’organismo o durante lo sviluppo fetale può essere poi spiegata con il fenomeno della tolleranza, che può essere centrale o periferica e dovuta ad anergia, delezione o deviazione immunitaria (in quest’ultimo caso la risposta immunitaria viene diretta verso una risposta umorale di tipo Th2 mentre sarebbe necessaria una risposta cellulo-mediata di tipo Th1). I tumori possono poi acquisire resistenza all’apoptosi immunomediata mediante overespressione di molecole antiapoptotiche, neutralizzazione o alterazione degli stimoli di induzione dell’apoptosi, down-regolazione o inattivazione di molecole proapoptotiche o in alcuni casi indurre l’apoptosi delle cellule immunitarie.

IMMUNOTERAPIA ANTITUMORALE A tutt’oggi non abbiamo a disposizione alcun vaccino che sia in grado di far aumentare la speranza di vita di un pazienze oncologico né tanto meno di indurre la distruzione del tumore: gli antigeni tumorali appaiono generalmente ben tollerati nell’ospite e ancora oggi non sappiamo con certezza quali e quanti antigeni tumorali siano bersagli adatti per un’immunoterapia antitumorale. Una situazione migliore caratterizza i tumori di origine virale (es., leucemia felina). Vista l’importanza del pattern citochinico sull’eliminazione o al contrario sullo sviluppo di un tumore, un’alternativa immunoterapeutica può essere rappresentata dalla somministrazione sistemica di citochine (es., IFN-α, IL-2), ma questa è associata a gravi effetti collaterali; si è quindi pensato di

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manipolare l’ambiente citochinico in modo più fisiologico, inoculando tali molecole direttamente a livello del tumore. Dopo i primi tentativi di controllare un tumore con un’immunizzazione passiva mediante antisieri policlonali, si è passati all’impiego di anticorpi monoclonali specifici per gli antigeni del tumore. Questi possono essere coniugati a sostanze citotossiche diverse (es., farmaci, tossine, radioisotopi o anche citochine), in modo tale da dirigere l’effetto killer direttamente sul tumore. Per finire, moltissime fonti autorevoli sostengono il ruolo essenziale di una giusta alimentazione nella prevenzione dei tumori; in particolare molti sottolineano il ruolo benefico del consumo di probiotici sulla salute umana e animale e sul sistema immunitario mucosale.

Bibliografia consultata Costello RT, Gastaut JA, Olive D, (1999), Tumor escape from immune surveillance, Archivum Immunologiae et Therapiae Experimentalis, 47: 83-88. Dranoff G, (2004), Cytokines in cancer pathogenesis and cancer therapy, Nature, 4: 11-22. Dunn GP, Bruce AT, Ikeda H, Old LJ, Schreiber RD, (2002), Cancer immunoediting: from immunosurveillance to tumor escape, Nature Immunology, 3 (11): 991-998. Dunn GP, Old LJ, Schreiber RD (2004), The three Es of cancer immunoediting, Annual Review of Immunology, 22: 329-360. Garcia-Lora A, Algarra I, Collado A, Garrido F, (2003), Tumour immunology, vaccination and escape strategies, European Journal of Immunogenetics, 30: 177-183. Garcia-Lora A, Algarra I, Garrido F, (2003), MHC class I antigens, immunosurveillance, and tumor immune escape, Journal of Cellular Physiology, 195: 346-355. Greenberg PD, (1997), Mechanisms of tumor immunology. In Stites DP, Terr AI, Parslow TG (eds.), Medical immunology, 9th ed., PrenticeHall International Inc., 631-639. Khong HT, Restifo NP, (2002), Natural selection of tumor variants in the generation of “tumor escape” phenotypes, Nature Immunology, 3 (11): 999-1005. Perdigón G, de Moreno de LeBlanc A, Valdez J, Rachid M, (2002), Role of yoghurt in the prevention of colon cancer, European Journal of Clinical Nutrition, 56 (suppl. 3): 565-568. Tizard IR, (2004), Veterinary immunology: an introduction, 7th ed., W.B. Saunders Co., Philadelphia. Yu Z, Restifo P, (2002), Cancer vaccines: progress reveals new complexities, The Journal od Clinical Investigation, 110 (3): 289-294.

Indirizzo per la corrispondenza: Paola Dall’Ara Dipartimento di Patologia Animale, Igiene e Sanità Pubblica Veterinaria, Sezione di Microbiologia e Immunologia Veterinaria, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Milano – via Celoria 10, 20133 Milano tel. 02.50318084 – fax 02.50318089 e-mail paola.dallara@unimi.it


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Aspetti endoscopici normali e patologici della laringe, organo dimenticato Davide De Lorenzi Med Vet, Dipl ECVCP, SCMPA, Forlì

“…nearly one third of all broncoscopy cases have some degree of laryngeal abnormalities upon close examination and many of these would be missed if the animal had been intubated for the procedure.” (Miller C.J. et al: The effects of doxapram hydrochloride on laryngeal function in healty dogs J Vet Intern Med 16:524-528, 2002). Molto spesso, in presenza di sintomi e segni clinici riferibili ad una patologia respiratoria, l’indagine ispettiva clinica e strumentale tende a valutare approfonditamente i distretti nei quali più frequentemente si possono identificare alterazioni di vario genere: in particolare le cavità nasali per le vie aeree superiori e le strutture intra-toraciche per le vie aeree inferiori sono regolarmente ispezionate con procedure di esame dirette ed indirette (ispezione, auscultazione, palpazione, endoscopia, radiologia, TC, risonanza, citologia, etc). Molto più di rado, o per lo meno non routinariamente, la stessa accuratezza di indagine viene applicata alla laringe: a causa della sua localizzazione “di passaggio” fra vie aeree superiori ed inferiori i sintomi ed i rumori respiratori prodotti da patologie laringee vengono spesso erroneamente attribuiti ora ad un distretto più craniale ora ad un distretto più caudale. Non è raro, ad esempio, che cani con paralisi della laringe vengano trattati per patologie tracheo-bronchiali oppure che in pazienti brachicefali l’indagine ispettiva si limiti alla valutazione della lunghezza eccessiva del palato molle ed alla stenosi delle narici dimenticando completamente di valutare la presenza di un possibile collasso laringeo. La frase riportata all’inizio di questo testo è, in questo senso, emblematica: ben il 30% dei pazienti sottoposto ad indagine broncoscopica presentava in associazione o unicamente alterazioni a livello della laringe, alterazioni che sarebbero state completamente ignorate se la broncoscopia non fosse stata preceduta da una attenta e metodica valutazione dell’anatomia e funzionalità laringea. Lo scopo di questa relazione è quello di sottolineare l’importanza di una routinaria valutazione della laringe attraverso la presentazione degli aspetti di normalità endoscopica e dei principali quadro patologici che possono coinvolgere questa struttura. L’anatomia della laringe è particolarmente complessa e risulta spesso di difficile comprensione; l’esame endoscopico consente di evidenziare solamente alcune parti di questo organo mentre gran parte delle cartilagini e dei rapporti fra laringe e strutture circostanti non può essere endoscopicamente ispezionato. Nonostante questo una valutazione accurata della laringe non può prescindere dalla conoscenza accurata di tutte le strutture che la compongono, anche se non ispezionabili con l’endoscopio. Per questo motivo di

seguito tratteremo brevemente le caratteristiche anatomofunzionali della laringe. La laringe è un organo tubulare semirigido costituito in prevalenza da cartilagini, muscoli e mucosa. L’impalcatura dell’organo è costituita da tre cartilagini di grandi dimensioni (epiglottide, tiroide e cricoide) e due cartilagini più piccole (le aritenoidi). L’epiglottide è la cartilagine posizionata più oralmente ed è seguita dalla tiroide e dalla cricoide; la tiroide e la cricoide sono fortemente connesse fra di loro attraverso le articolazioni cricotiroidee e questa rigida impalcatura rappresenta la base che consente i movimenti delle altre cartilagini. L’epiglottide ruota in senso rostro-caudale sulla sua base che è a contatto con la cartilagine tiroidea mentre le piccole cartilagini aritenoidi si articolano sulla loro parte mediale con la cartilagine cricoide e possono compiere movimenti in senso latero-mediale. Le cartilagini aritenoidi sono mantenute unite nella loro parte dorsale grazie ad una piccola cartilagine interaritenoidea. La laringe è poi collegata cranialmente all’apparato ioideo e caudalmente al primo anello tracheale. La laringe è ricoperta da mucosa squamosa stratificata; questa forma delle pieghe che ricoprono sia i legamenti vocali (che vanno dai processi vocali delle aritenoidi medialmente sul pavimento laringeo) formando le corde vocali che i legamenti vestibolari formando le pieghe vestibolari. Fra le corde vocali e le pieghe vestibolari si formano delle cripte chiamate ventricoli laringei, mancanti nel gatto. L’apertura romboidale all’interno della laringe delimitata dorsalmente dalle cartilagini aritenoidi e ventralmente dalle corde vocali prende il nome di glottide ed è il punto di passaggio più stretto fra le vie aeree superiori ed inferiori. L’apertura della glottide non è costante e dipende dalla posizione delle corde vocali, a sua volta determinata dalla posizione delle cartilagini aritenoidi: il movimento in senso dorso laterale delle aritenoidi allontana le corde vocali fra di loro ampliando il lume della glottide mentre il movimento in senso contrario riduce il diametro glottideo. Cranialmente alla glottide vi è una apertura più ampia delimitata dai processi cornoculati delle aritenoidi, dalle epiglottidi e dalle pieghe ari-epiglottidee chiamata adito laringeo. La laringe possiede una muscolatura estremamente complessa che viene divisa in estrinseca ed intrinseca. La prima


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modifica la posizione e l’angolatura della laringe muovendola rispetto all’apparato ioideo mentre la muscolatura intrinseca è attiva nel modificare il diametro della glottide. La laringe è innervata dal nervo vago attraverso i nervi laringeo craniale e laringeo caudale. Il laringeo craniale ha attività prevalentemente sensoriale innervando con le branche interne il rivestimento mucoso mentre il nervo laringeo caudale, detto anche laringeo ricorrente origina dalle branche vagali all’ingresso del torace quindi entra nel torace poi si dirige cranialmente piegando in corrispondenza della arteria succlavia a dx e della aorta a sx fino ad arrivare alla laringe; qui provvede alla innervazione motoria di tutta la muscolatura intrinseca ad eccezione del muscolo cricotiroideo. La laringe svolge tre funzioni principali: 1) protezione delle vie aeree inferiori: questo avviene sia attraverso all’azione di chiusura dell’adito laringeo da parte della epiglottide che si appoggia contro le pliche ari-epiglottidee sia alla chiusura a tenuta stagna della glottide da parte delle aritenoidi e delle corde vocali. 2) Controllo del diametro delle vie respiratorie: questo avviene grazie alla contrazione e decontrazione del muscolo crico aritenoideo dorsale durante le fasi rispettivamente dell’inspirazione e dell’espirazione; come conseguenza di questi movimenti la glottide si apre in inspirazione facilitando l’ingresso di aria. Durante l’esercizio fisico intenso, la glottide rimane aperta al massimo sia inspirazione che in espirazione. 3) Fonazione: l’abbaiare ed il miagolare sono il risultato della vibrazione delle corde vocali al passaggio dell’aria; la modulazione della voce è determinata dal grado di apertura della glottide e dalla tensione delle corde vocali, conseguenza della attività contrattile dei mm cricotiroidei.

INDICAZIONI La laringoscopia è indicata nella valutazione diagnostica di pazienti con stridore inspiratorio, modifiche nella fonazione, disfagia, intolleranza all’esercizio fisico oppure che hanno respiro rumoroso o tosse. In generale l’osservazione accurata della laringe deve essere eseguita ogni volta che il paziente viene sottoposto ad indagini per sintomi e segni clinici riferibili ad una patologia dell’apparato respiratorio; l’esame deve essere eseguito prima dell’intubazione e prima di rinoscopia, faringoscopia, broncoscopia e lavaggi tracheobronchiali e broncoalveolari.

STRUMENTAZIONE E TECNICA Anche se una fonte luminosa ed un abbassalingua consentono l’osservazione della laringe, l’esame eseguito con una ottica rigida (2.7 mm di diametro e 18 cm di lunghezza) permette una eccellente visione dell’organo e del primo tratto della trachea; l’impiego di una telecamera collegata all’ottica consente di registrare e riguardare i movimenti laringei, magari rallentandone la velocità per consentire uno studio

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migliore. Particolarmente importante risulta la scelta dell’anestesia: il paziente deve sempre essere esaminato ad un piano anestesiologico leggero, per evitare un falso giudizio di paralisi laringea. Una leggera anestesia utilizzando propofol o barbiturico ev ad azione rapida rappresenta una buona scelta nel cane mentre nel gatto ketamina a diazepam usati in combinazione sono ritenuti adatti allo scopo. Il paziente viene posizionato con il collo esteso, la bocca mantenuta aperta con un apribocca e la testa tenuta fissa da un assistente. La lingua viene tirata fuori dalla bocca in mezzo ai canini e l’ottica viene quindi inserita fra i canini e sopra la lingua; a questo punto si esaminano le cripte tonsillari, l’epiglottide ed il suo rapporto con il palato molle, le pliche ariepiglottiche, le cartilagini aritenoidi, le corde vocali, i ventricoli laringei (solo cane) e le pieghe vestibolari. L’endoscopio procede quindi fino ai primi anelli di tracheali. Tutte le strutture sopra elencate devono essere identificate e valutate per alterazioni anatomiche (forma, rapporti anatomici, aspetto della mucosa) e funzionali (movimento). In particolare, per la mucosa laringea devono essere valutati il colore, che deve essere rosa intenso ma più chiaro nelle zone sovrastanti le cartilagini corniculate e cuneiformi, la lucentezza e la trasparenza che deve consentire la valutazione della trama vascolare sottomucosa. Non devono inoltre essere presenti essudati o altri liquidi ad esclusione di saliva schiumosa o raro muco limpido e filante. Di particolare importanza risulta la valutazione dei movimenti di abduzione (inspirazione) ed adduzione (espirazione) delle cartilagini aritenoidi eseguita, come già ricordato, con piano anestesiologico basso. Devono essere valutate il sincronismo dei movimenti e la corrispondenza con gli atti respiratori del paziente. In presenza di erosioni o neoformazioni è necessario eseguire prelievi per le valutazioni cito-istologiche: possono essere impiegate spazzoline ed agoasprazione per i prelievi citologici e prelievi con pinza endoscopica per l’istologia. Nel corso della presentazione verranno mostrati vari filmati relativi agli aspetti normali e patologici identificabili in corso di ispezione laringea del cane e del gatto; di seguito troverete una serie di letture consigliate utili nell’approfondire l’argomento.

Letture consigliate Noone K.E. Rhinoscopy, pharingoscopy and laringoscopy. In Mendelez L The Veterinary Clinics of North America, Small Animal Practice: Endoscopy, Saunders. Luglio 2001, 671-687. Griffin JF, Krahwinkel DJ Laryngeal paralysis: pathophysiology, diagnosis and surgical repair. Comp Cont Ed, Nov 2005, 857-869. Jakubiak MJ et al Laryngeal, laryngotracheal, and tracheal masses in cats: 27 cases (1998-2003). JAAHA, sett-ott 2005, vol 41, 310-316. Schachter S, Norris C Laryngeal paralysis in cats: 16 cases (1990-1999). JAVMA, aprile 2000, vol 216, 1100-1003.

Indirizzo per la corrispondenza: Davide De Lorenzi Clinica Veterinaria S. Marco, Via Sorio 114/C, Padova Tel 0498561098 - davide.delorenzi@fastwebnet.it


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Aspetti clinici e fisiopatologici per una corretta diagnosi delle cardiopatie Oriol Domenech DVM, Dipl ECVIM-CA (Cardiology), Milano

I principali segni clinici per i quali si presentano i pazienti ad essere valutati cardiologicamente sono: la tosse, la dispnea e tachipnea, alterazioni all’auscultazione cardiaca, debolezza e sincopi.

TOSSE La tosse è una espirazione forzata a glottide chiusa. L’improvvisa apertura della glottide genera una turbolenza dell’aria che determina un forte suono definito come tosse. La tosse può verificarsi come una azione volontaria o come un riflesso. Il riflesso della tosse è stimolato da una irritazione meccanica o chimica della faringe, laringe, trachea, bronchi e basse vie aeree. Meno frequentemente la tosse può avvenire in casi con patologie pleuriche, pericardiche o diaframmatiche. Nella nostra esperienza a volte la tosse può essere confusa dal proprietario con lo “retching” e il vomito ; inoltre a volte lo starnuto inverso può essere scambiato dal proprietario come tosse o dispnea grave. È importante quindi chiedere una scrupolosa descrizione dell’episodio interpretato come tosse durante la anamnesi, altrimenti una sbagliata interpretazione può portare ad errori diagnostici e per tanto terapeutici. Una volta identificata correttamente la tosse dobbiamo considerare le possibili cause di tosse raggruppandole principalmente in cause di origine respiratorie o cause di origine cardiache. Sempre durante la anamnesi è importante fare domande precise che ci aiuteranno a sospettare più di un problema, respiratorio o cardiaco: la tosse è produttiva o non ?, quando avviene?, quante volte avviene ?, peggiora con lo sforzo fisico?, peggiora con agitazione o eccitazione ?, la tosse avviene principalmente quando il cane beve acqua o mangia ?, la tosse peggiora quando si tira il collare?. È importante chiedere sempre eventuali terapie che il paziente ha ricevuto per la tosse così come la risposta a tali terapie che può essere stata a base di diuretici, broncodilatatori, antibiotici, cortisonici…. Il tipo di tosse ci può già aiutare nella diagnosi: ad esempio la tosse a verso d’oca è più compatibile con un processo respiratorio come il collasso tracheale e normalmente peggiora con agitazione o eccitazione; una tosse non produttiva può essere compatibile con una causa cardiaca come l’aumento dell’atrio sinistro oppure con una causa respiratoria come la tracheite o bronchite;. una tosse produttiva può essere compatibile con un edema polmonare (di origine cardiaco o non) oppure con cause respiratorie come la bronchite cronica o la polmonite. Il segnalamento ci aiuta molto anche a fare le nostre diagnosi

differenziali. Normalmente i cani giovani con tosse sono affetti da patologie respiratorie infettive. I cani di razza Chihuahua, Pomerania, Yorskshire Terrier e Shih Tzu sono predisposti al collasso tracheale. Nei gatti la tosse è sempre di origine respiratoria e non cardiaca. L’esame obiettivo generale in concomitanza all’analisi di un eventuale pattern di dispnea ci aiuterà molto anche ad iniziare a sospettare le possibili cause della tosse. La presenza di soffi cardiaci, dispnea restrittiva e presenza di crepitii polmonari è altamente compatibile con insufficienza cardiaca congestizia. L’assenza di soffi e la presenza di una dispnea inspiratoria ostruttiva è altamente compatibile con un processo respiratorio come la paralisi laringea dove la tosse può essere confusa con lo “retching”. Non possiamo dimenticare anche i casi che presentano entrambi i problemi respiratorio e cardiaco rendendo a volte difficile l’identificazione della causa predominante della tosse. Il ruolo della radiografia toracica sarà di grande importanza nei casi dove si sospetta il problema a livello della trachea o dei campi polmonari così come a livello cardiaco. La radiografia toracica ci permette di identificare la presenza o meno di cardiomegalia, differenziando così cause cardiache e non cardiache. In più la radiografia ci permetterà di valutare la presenza di un aumento dell’atrio sinistro o di edema polmonare come principali cause cardiache della tosse. La radiografia ci permetterà anche di verificare se in un paziente cardiopatico già sotto terapia al quale aumenta la tosse questa dipenda dal componente meccanico di compressione bronchiale o ad edema polmonare. Questo è di estrema importanza perché nel primo caso sarà necessario dare farmaci soppressori della tosse mentre nel secondo la terapia si basa nell’aumento della dose di diuretico.

DISPNEA E TACHIPNEA La dispnea è definita come una difficoltà respiratoria mentre la tachipnea fa riferimento ad un aumento della frequenza respiratoria. A volte possiamo avere grave dispnea con grave tachipnea e a volte possiamo avere grave dispnea senza una grave alterazione della frequenza respiratoria. I fattori principali che determinano un quadro di dispnea sono la mancata presenza di ossigeno e un aumento del CO2 circolante. L’aumento del CO2 viene captato a livello del centro respiratorio mentre l’ipossia viene captata a livello dei chemiocettori aortici e carotidei. In qualsiasi situazione d’ipossia e ipercapnia l’organismo tenterà di compen-


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sare aumentando la frequenza respiratoria e/o la profondità ventilatoria. Le fasi iniziali di dispnea e/o tachipnea a volte possono essere impercettibili al proprietario. In queste fasi i padroni possono non rendersi conto che il cane respira male ma osservano che il cane o il gatto presenta intolleranza allo sforzo, diminuisce l’appetito o a volte vedono il cane più svogliato. In tanti cani geriatrici questi segni possono essere interpretati dal proprietario come alterazioni normali dell’età ritardando la visita veterinaria. È importante essere molto attenti nell’anamnesi così come durante l’esame obiettivo generale. Tante volte aiuta molto osservare il cane come si comporta libero nell’ambulatorio ed osservare molto bene la sua frequenza respiratoria così come le fase d’inspirazione ed espirazione. È importante verificare quando avviene il maggior sforzo respiratorio ed aiuta molto non solo osservare il movimento del torace ma anche il movimento del petto; durante la inspirazione il petto entra mentre durante la espirazione il petto sale; ci sono casi che presentano un componente misto dello sforzo respiratorio. È anche di estrema importanza classificare la dispnea in pattern ostruttivo e restrittivo. Il pattern ostruttivo teoricamente si caratterizza con movimenti del torace profondi e frequenza respiratoria normale o leggermente aumentata mentre il pattern restrittivo si caratterizza con movimenti del torace superficiali con un netto aumento della frequenza respiratoria (tachipnea). Nella nostra esperienza quasi tutti i casi con pattern ostruttivo hanno anche un aumento marcato della frequenza respiratoria. Per tanto nella pratica quello che ci permette di differenziare uno dall’altro in realtà è l’entità delle escursioni respiratorie e la fase in cui avviene il maggior sforzo respiratorio. Quando il maggior sforzo respiratorio avviene durante la fase inspiratoria parliamo di un pattern ostruttivo a livello delle vie respiratorie superiori. In questi casi la presenza di un estertore localizza la lesione a livello delle vie nasali o nasofaringe (palato molle lungo, eversione dei sacculi laringei), mentre se percepiamo la presenza di uno stridore localizziamo la lesione a livello della laringe (paralisi della laringe). Molti pazienti con paralisi della laringe presentano un quadro di dispnea soprattutto quando vengono sottoposti a sforzo fisico, eccitazione o ipertermia. Nei pazienti che presentano un maggior sforzo durante la espirazione è importante analizzare la profondità dei movimenti respiratori così come l’entità della tachipnea. Nei casi con movimenti del torace tendenzialmente ampi si parla di quadro ostruttivo delle base vie respiratorie, tipico dell’asma felino; in questi casi si auscultano normalmente suoni continui descritti come sibili e la radiografia del torace può rilevare alterazioni compatibili. Se invece la dispnea è espiratoria e ostruttiva ma la radiografia del torace è normale e/o l’auscultazione polmonare rileva una lieve diminuzione dei suoni broncovesicolari dobbiamo pensare anche alla paralisi del diaframma. Se la

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dispnea è prevalentemente espiratoria o mista con movimenti del torace superficiali e chiara tachipnea si tratta di patologie delle basse vie respiratorie e qui si trovano i pazienti cardiopatici con edema polmonare. Nei casi sufficientemente gravi l’auscultazione polmonare rileverà la presenza di rumori discontinui durante l’inspirazione descritti come crepitii. La radiografia toracica ci confermerà l’edema polmonare. I pazienti con problemi allo spazio pleurico si caratterizzano con un pattern restrittivo. Quando lo spazio pleurico è occupato da liquido (versamento) o solido (masse, fegato, intestino…) il paziente presenta un evidente componente addominale durante la inspirazione (discordanza toraco-addominale) mentre quando lo spazio pleurico è occupato da aria questa componente addominale non si riscontra ma si osserva il tipico pattern restrittivo con escursioni toraciche superficiali e marcata tachipnea. Non dobbiamo dimenticare anche i casi che presentano un quadro principalmente di.tachipnea senza dispnea; in questi casi le diagnosi differenziali possono essere cause fisiologiche come: “panting”, esercizio fisico, ipertermia, ansietà. Le fase iniziali dello scompenso cardiaco possono presentarsi anche con un quadro quasi unicamente di tachipnea senza nessuno o solo pochi colpi di tosse. L’auscultazione cardiaca sarà di grande importanza e dovremo fare attenzione alla presenza di soffi o all’alterazione del ritmo cardiaco. Altre cause di tachipnea con componenti variabili di dispnea possono essere dovute ad alterazione dell’emoglobina, alterazioni metaboliche e alterazioni neurologiche. Non dobbiamo dimenticare mai per tanto l’approccio globale e internistico nei pazienti con questi segni clinici.

Alterazioni all’auscultazione cardiaca: Alterazioni dei suoni e presenza di soffi Alterazioni dei suoni: È di grande importanza identificare la presenza di tachicardia, bradicardia e ritmo di galoppo. In un paziente con dispnea mista, tachipnea e tachicardia è molto probabile che la dispnea sia dovuta a un problema cardiaco mentre se lo stesso paziente presenta una frequenza cardiaca normale o lieve bradicardia è probabile che si tratti di patologia respiratoria o ipertensione polmonare. L’identificazione della presenza di ritmo di galoppo è molto importante perché le diagnosi differenziali si limitano sempre a patologie cardiache che dovranno essere valutate.

Indirizzo per la corrispondenza: Oriol Domenech Clinica Veterinaria Gran Sasso, Via Donatello 26, 20131 Milano Survet Diagonal, Av. Diagonal 317, 08037 Barcelona, Spain Tel: + 39 02 2665928 - E-mail: odomenech@yahoo.com


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Farmacologia cardiovascolare utile per una corretta terapia delle principali cardiopatie Oriol Domenech DVM, Dipl ECVIM-CA (Cardiology), Milano

Esistono molte patologie diverse che possono determinare una insufficienza cardiaca ma purtroppo il trattamento ideale, di ottenere una cura definitiva, generalmente non è di fatto possibile. Nella maggioranza delle patologie cardiache, l’obiettivo principale del trattamento è di ottenere una buona o accentabile qualità di vita e nei casi dove sia possibile ottenere anche un aumento dell’aspettativa di vita. Per ottenere questi due obiettivi principali, la terapia cardiologica deve tentare di: - Correggere il meccanismo fisiopatologico della patologia cardiaca - Ridurre l’eccessiva stimolazione simpatica - Alleviare la congestione venosa - Controllare l’eccessiva ritenzione di sodio e acqua - Migliorare la funzione di bomba cardiaca - Ridurre il lavoro cardiaco Per poter correggere, ridurre, alleviare, controllare e migliorare i fattori precedentemente descritti il prossimo passo da fare è decidere un protocollo terapeutico. La scelta, però, di un protocollo di terapia adeguato si deve basare su i seguenti fattori: - Conoscenza della farmacologia - Conoscenza degli effetti emodinamici che determinano i vari farmaci - Conoscenza della natura ed incidenza di possibili reazioni avverse - Efficacia a corta e lunga durata - Efficacia sulla qualità di vita ed aspettativa di vita Una volta che abbiamo davanti il paziente a cui dobbiamo iniziare un trattamento, la prima cosa che dobbiamo chiederci è: quale è il meccanismo fisiopatologico responsabile del quadro clinico del mio paziente?. I meccanismi fisiopatologici principali si raggruppano in due gruppi: In un gruppo ci sono i meccanismi di alterazione di una o di entrambe le fasi del ciclo cardiaco, cioè la fase diastolica e la sistolica. Nell’altro gruppo ci sono i meccanismi di aumento di volume o di pressione. Per tanto quando dobbiamo trattare un individuo dovremo analizzare in quali di questi gruppi ci troviamo, chiedendoci: - Il quadro clinico del nostro paziente è dovuto ad una patologia che determina disfunzione diastolica? - Il quadro clinico del nostro paziente è dovuto ad una patologia che determina disfunzione sistolica? - Il quadro clinico del nostro paziente è dovuto ad una patologia che determina sovraccarico volumetrico? - Il quadro clinico del nostro paziente è dovuto ad una patologia che determina sovraccarico pressorio?

Una volta trovata la risposta a queste domande, il passo successivo sarà quello di ottenere il massimo d’informazione di quella patologia in quel paziente in base alla gravità, alla stadiazione della patologia e a come il paziente ne tollera il meccanismo fisiopatologico. Se abbiamo un paziente con cardiomiopatia ipertrofica, il meccanismo fisiopatologico sarà caratterizzato da una disfunzione diastolica dove i farmaci indicati saranno i beta-bloccanti o i calcio antagonisti. Se abbiamo un paziente con miocardiopatia dilatativa dove il meccanismo fisiopatologico sarà una disfunzione sistolica i farmaci che possono aiutare a correggere tale disfunzione saranno inotropici positivi ad esempio: la dobutamina,la dopamina e il pimobendan.Se ad esempio abbiamo un paziente con insufficienza mitralica il meccanismo fisiopatologico è principalmente un sovraccarico volumetrico che può determinare anche una disfunzione sistolica. Per tanto, potremo avere un paziente mitralico con funzione sistolica conservata o non conservata,nel primo caso i farmaci che possono aiutarci sono i diuretici e i vasodilatatori mentre nel secondo caso dovremo aggiunger e un farmaco inotropo positivo come il pimobendan. Se abbiamo un paziente con stenosi aortica o stenosi polmonare il meccanismo fisiopatologico è un sovraccarico pressorio e la terapia ideale sarebbe eliminare l’ostruzione come a volte è possibile con valvuloplastica come nel caso di stenosi polmonare. Nei casi in cui non sia possibile eliminare l’ostruzione i farmaci che possono essere indicati sono quelli che controlleranno nel miglior modo possibile la disfunzione diastolica determinata dall’ipertrofia miocardica concentrica come meccanismo compensatorio all’aumento del post carico. Come abbiamo visto i gruppi di farmaci che serviranno ad una corretta gestione terapeutica cardiologica sono: diuretici,vasodilatatori,betabloccanti,calcioantagonisti e inotropici positivi. E saranno questi farmaci che dovremo conoscere adeguatamente nella loro farmacocinetica,farmacodinamica,effetti indesiderati e possibili interazioni. In un paziente con un quadro ecocardiografico di ipertrofia miocardica,soprattutto nei cani, dovremo avere in considerazione che non si tratti di una pseudoipertrofia cioè, una ipertrofia transitoria determinata ad esempio da una ipovolemia, versamento pericardio e tachicardia,perché in questo caso la terapia si baserà con la fluidoterapia, pericardiocentesi e controllo della frequenza cardiaca cosi come nel correggere la causa sottostante. Tutte queste informazioni saranno molto importanti per decidere il farmaco o i farmaci da usare in un determinato


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paziente. Si dovrà inoltre considerare la presentazione della sintomatologia: acuta o cronica, la gravità della patologia: lieve,moderata o grave, i segni clinici principali: insufficienza cardiaca congestizia versus insufficienza cardiaca di bassa portata e insufficienza cardiaca destra versus sinistra. Inoltre due pazienti con la stessa patologia e gravità potranno essere tratti diversamente in funzione della loro tolleranza ai farmaci cardiologici. Un altro aspetto da considerare sarà per tanto il conoscere la farmacologia e come questa viene gestita da ogni singolo individuo. Ci sono pazienti ad esempio, in cui una minima dose di diuretici di ansa può predisporre insufficienza renale, questi casi dovranno essere gestiti con un diuretico del tubulo contorto distale. Ci sono anche pazienti in cui una minima dose di vasodilatatori può determinare una quadro d’ipotensione. Non dobbiamo assolutamente dimenticare altre possibili cause concomitanti alla patologia cardiaca specialmente nei pazienti geriatrici che possono facilitare lo scompenso cardiaco cosi come una maggiore sensibilità ai farmaci. I diuretici riducono il riassorbimento del sodio e del cloro dal filtrato renale determinando un aumento dell’escrezione di acqua nell’urina. I diuretici possono agire a livello del nefrone o del filtrato renale, ma quelli che noi usiamo sono quelli che agiscono a livello del nefrone. I diuretici che agiscono a livello del filtrato renale sono i diuretici osmotici (manitolo, glucosata 50%) e sono controindicati nei cardiopatici perché agiscono aumentando il volume intravascolare. I diuretici più utilizzati in cardiologia si raggruppano in: - Diuretici d’ansa - Diuretici del tubulo contorto distale - Diuretici del tubulo collettore corticale I diuretici d’ansa sono la furosemide, acido etacrinico, bumetanide e torasemide. Il più frequentemente utilizzato è la furosemide. Il suo meccanismo d’azione è quello di bloccare la pompa di cotrasporto di un sodio, un potassio e due cloro determinando la perdita di questi tre iorni. Dosi elevate di questo farmaco o pazienti più sensibili possono presentare iponatremia, ipokalemia o ipocloremia. Questo è uno dei diuretici più potenti perché viene bloccato il riassorbimento del 25-30% del sodio, mentre gli altri diuretici del tubulo contorno distale e tubulo collettore bloccano dal 58% e dal 2-3% del sodio rispettivamente. La furosemide somministrata per via orale comincia il suo effetto dopo un’ora mentre somministrata per via endovenosa il suo effetto massimo inizia dopo 30 minuti. La furosemide è un farmaco che si lega fortemente alle proteine plasmatiche ed è per questo che non viene filtrata a livello del glomerulo renale. Pazienti ipoproteinemici necessiteranno di una dose inferiore di farmaco. Ecco qui l’importanza di considerare il paziente nel suo complesso. La fuosemide per arrivare al sito d’azione deve arrivare al glomerulo ed essere secreta a livello del tubulo contorto prossimale mediante un meccanismo di trasporto che viene anche utilizzato dagli antinfiammatori non steroidei (FANS); in più i FANS possono diminuire

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l’effetto dei diuretici di ansa perché interferiscono con la formazione di prostaglandine vasodilatatorie, per tanto dobbiamo evitare la contemporanea somministrazione di FANS. La frazione di farmaco non secreta nei tubuli è metabolizzata nel fegato, quindi in pazienti con patologie epatiche concomitanti dovremo usare dosi inferiori di farmaco. Una azione interessante di questo farmaco è di determinare una venodilatazione periferica prima dell’azione diuretica.Per questo effetto nei pazienti mitralici con edema polmonare a volte osserviamo un lieve sollievo del pattern respiratorio prima che avvenga una vera diuresi. Uno degli effetti indesiderati della furosemide è quello di attivare il sistema di reninaangiotesina-aldosterone, sarà per tanto di vitale importanza associare sempre un ace-inhibitore alla terapia diuretica. Una monoterapia a base di furosemide è controindicata. Un altro effetto da considerare è l’alcalosi metabolica che può determinarsi, e questa insieme alla eventuale iponatremia, ipocloremia e ipokalemia giustifica il monitoraggio del PH venoso e gli elettroliti. La dose di furosemida per via orale è molto variabile in funzione della gravità cardiologica e sensibilità del paziente. La dose può andare da 0,5-1mg/Kg una volta al giorno a 2-4mg/Kg ogni 8-12 ore. Nella pratica clinica quando dobbiamo usare una dose di furosemide superiore a 2 mg/Kg ogni 8 ore per controllare la sintomatologia normalmente aggiungiamo un secondo diuretico che ci permetta di usare dosi di furosemide più contenute per evitare gli effetti indesiderati cosi come una possibile insufficienza renale. La dose per via endovenosa nei cani in situazioni di edema polmonare normalmente parte da 3-4mg/Kg ogni ora fino a 5-7mg/Kg ogni ora fino alla risoluzione della dispnea e tachipnea; dopo la dose viene aggiustata in funzione della situazione clinica e radiografica del paziente. Nei gatti normalmente iniziamo con la dose di 2mg/Kg ogni ora o ogni due ore in funzione della gravità del caso. In casi di edema polmonare grave aggiungiamo ai boli, la infusione continua di furosemide alla dose di 0,1-0,5mg/Kg/h. La furosemide somministrata cronicamente può determinare resistenza determinata dall’ipertrofia dei segmenti distali del nefrone con un conseguente aumento del riassorbimento del sodio ; in questi casi è utile aggiungere i diuretici del tubulo contorto distale o tubulo collettore. La torasemide è un diuretico di ansa come la furosemide con un effetto addizionale d’inibizione dei ricettori di aldosterone cosi come riduzione della sua produzione, questo effetto addizionale farà che questo farmaco determini una minore perdita di potassio rispetto alla furosemide.

Indirizzo per la corrispondenza: Oriol Domenech Clinica Veterinaria Gran Sasso, Via Donatello 26, 20131 Milano Survet Diagonal, Av. Diagonal 317, 08037 Barcelona, Spain Tel: + 39 02 2665928 E-mail: odomenech@yahoo.com


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Complications in plastic and reconstructive surgery Who is guilty: the patient, the owner, the vet? Gilles Dupré Dr Vet, Dipl ECVS, Vienna (A)

It is a very nice feeling, after a few surgical hours, to be able to cover successfully a massive skin wound. It is a very bad one to discover three days later that the flap or the graft underwent a massive necrosis and that most of the job has to be redone. Are complications due to fate or to inadequate knowledge? The surgeon’s choice for skin closure depends on many factors: • Size and localization of the wound • Potential contamination • Age of the wound From these factors the practitioner will have to make his decision on how to close the skin defect: • Primary, delayed primary, secondary closure. or second intention healing. • Direct apposition, local flaps, distant flaps, graft

Major mistakes in treatment of massive skin losses Lack of knowledge in Basic skin vascular supply Vessels of the sub-dermal plexus run parallel to the skin in the sub-cutaneous tissue and provide most of the vascular supply of the skin. Direct cutaneous arteries vascularize large territories of skin which can be used as axial patern flaps. The veterinarian should know the topography of these arteries and preserve them. Timing for reconstruction On fresh wound or after tumor removal, reconstruction can be done readily. In all other cases, the surgeon must wait for a nice uncontaminated wound, and, in some cases, for a granulated bed. The granulation bed can be left in place partially or totally excised at the time of final closure. We usually trim the edges of the granulation bed to obtain a nice skin apposition. Aseptic surgery Major skin surgery must be conducted with the same type of principles than an orthopedic surgery. Contamination is responsible for major disasters in reconstructive surgery. Suture material Suture material is a foreign body. Small suture material is preferred (Braided or monofilament absorbable dec. 1,5 to 3 for sub-cutaneous and dec. 1,5 to 2 nylon for the skin).

Dead space Dead space must be closed by several means: Active or passive drains, tacking sutures (dangerous since they can damage the direct cutaneous arteries), and bandages. Inadequate bandages can secondarily induce a lot of vascular damage.

Specific complications Local flaps Local flaps are useful to cover small defects and prevent dehiscence over wounds that would otherwise be closed under tension. Basic principles The donor site must be rich in loose skin The flap must be mobilised parallel to the tension lines Two small flaps are better than one big A bipedicular flap is richer in blood supply than a monopedicular flap - Never incise the base of the flap: it may include a direct cutaneous artery - A ratio base/length of 1/1 to 1/2 is generally used but depends on the vascular supply of the base of the flap -

Flap types Monopedicular and double monopedicular flaps These are the “basics” of skin reconstruction and must be used in any occasion of mass removal, specially over the flank and trunk area. They also permit the coverage of the donor site of massive axial pattern flap. Bipedicular flap By essence a bipedicular flap is a relaxing incision. It is specially usefull to cover distal limb injuries. Transposition, rotation and interposition flap Most of these flaps rotate around a point or an axis. Among those, the inguinal and axillary flaps are specially usefull to cover local deficits over the inguinal or sternal areas. In many cases several types of flaps can be used simultaneously.


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Distant flaps (pouch flaps) By definition a pouch flap is a direct distant bipedicular flap. Indications and limits A pouch flap is indicated to cover major deficits distal to the elbow or the knee joints. We have used it in many different formats from 1,5 kg Yorkshire to 60 kgs Bull mastiff. Surgical technique The vascular supply of a pouch flap comes from the pedicles of the donor area and progressively from the recipient bed. The surgical treatment always follow the same steps: • Preparation of the recipient bed. It can be a fresh or a granulated wound. • Flap design. The flap is designed over the chest or flank area and two incisions are made perpendicular to the long axis of the body to create the tunnel in which the limb will be slided. • Position of the limb. Once the limb is positionned in the tunnel, the cranial and caudal incisions are partially closed. No tacking sutures are placed to avoid damage to the underlying blood vessels. • Flap section. After 2 weeks, the dorsal and ventral pedicles are cut and the limb is freed from its attachments. In some occasions the pedicles are cut stepwise. • Closure. Once the flap has taken over the initial wound, it can be completely closed over the limb. • Pain control, drainage and bandages are mandatory to allow a good healing. Pros and cons The main advantage of this technique is an almost 100% “graft intake”. The main disadvantage is a staged procedure with 2 major surgeries and the discomfort for the patient having “one leg in the chest”. In heavy dogs, maintaining the leg against the wall might be problematic. Axial pattern flaps The main particularity of this type of flap is its vascular supply. In cases of pedicular flaps or pouch flaps, the vascular supply of the pedicle is random whereas the vascular supply of an axial pattern flap is well-known. The design of the flap is governed by the arborization of a known direct cutaneous artery. Thanks to M. Pavletic and co-workers many axial pattern flaps have been described. The flap is usually named by the name of its direct cutaneous artery: Omocervical, thoracodorsal, superficial brachial, cranial and caudal epigastric, ventral and dorsal circumflex iliac, genic ular, caudal auricular, superficial temporal…

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General principles Insular or peninsular A peninsular flap remains attached to the skin surrounding the direct cutaneous artery, whereas the insular design remains attached only to the vascular pedicle. We regularly use the insular design of caudal epigastric and thoracodorsal flaps. Anatomical landmarks These landmarks have been described for many axial pattern flaps. However, in many instances the flap design can be extended to the controlateral side or in an L fashion. However survival of the extremity can be hazardous and unpredictable.

Surgical technique Flap size The surgeon should overestimate the size of the flap since it has a tendency to shrink a little bit. Dissection It needs to be conducted very safely around the vascular pedicle, anatomy of which should be well known. Cutaneous trunci and sub-cutaneous nedd to be incorporated in the flap. Closure of the donor area The donor area is closed using monopedicular and rotationnal flaps. Grafts Full-thickness grafts are very usefull in small animal practice but require a lot of surgical preparation. Most of the failures come from inadequate recipient bed, irregular surface and motion during the healing phase. Who are your enemies: Patient, motion, infection, tension.

Indirizzo per la corrispondenza: Univ. Prof. Dr. Gilles Dupré DIU Thoracoscopie et pneumologie interventionnelle Kleintierchirurgie, University of Vienna, Veterinaerplatz 1, 1210 WIEN. gilles.dupre@vu-wien.ac.at


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I fallimenti: responsabilità divisa fra il veterinario, il proprietario e… il caso Gilles Dupré Dr Vet, Dipl ECVS, Vienna (A)

È una sensazione molto piacevole, dopo qualche ora di intervento, riuscire a ricoprire con successo un’imponente ferita cutanea. È invece una pessima sensazione scoprire tre giorni dopo che il lembo o l’innesto è andato incontro ad una necrosi imponente e che la maggior parte del lavoro è da rifare. Le complicazioni sono dovute al fato o ad una conoscenza inadeguata? La scelta di una chiusura cutanea da parte del chirurgo dipende da molti fattori: • Dimensioni e localizzazione della ferita • Potenziale contaminazione • Età della ferita Sulla base di questi fattori il veterinario deve prendere la propria decisione per stabilire come chiudere il difetto cutaneo: • Chiusura primaria, primaria ritardata, secondaria, o guarigione per seconda intenzione • Apposizione diretta, lembi locali, lembi distanti, innesti

Materiale da sutura Il materiale da sutura è un corpo estraneo. È preferibile utilizzare quello di ridotte dimensioni (assorbibile, intrecciato o monofilamento dec. 1,5-3 per il sottocute e nylon 1,5-2 per la cute). Spazio morto Lo spazio morto deve essere chiuso con diversi metodi: drenaggi attivi o passivi, suture di fissazione (pericolose perché possono danneggiare le arterie cutanee dirette) e bendaggi. Quando sono inadeguati, questi ultimi possono secondariamente indurre un notevole danno vascolare.

Complicazioni specifiche Lembi locali I lembi locali sono utili a coprire i difetti di piccole dimensioni e prevenire la deiscenza di ferite che altrimenti dovrebbero essere chiuse sotto tensione.

I principali errori nel trattamento delle perdite cutanee imponenti Principi di base Mancanza di conoscenza nell’apporto vascolare cutaneo di base I vasi del plesso subdermico decorrono nel sottocute paralleli alla cute, alla quale assicurano la maggior parte dell’apporto vascolare. Le arterie cutanee dirette vascolarizzano estesi territori di cute che possono venire utilizzati come lembi assiali. Il veterinario deve conoscere la topografia di queste arterie e preservarle. Momento della ricostruzione In presenza di una ferita fresca o dopo la rimozione di un tumore, la ricostruzione può essere effettuata facilmente. In tutti gli altri casi, il chirurgo deve attendere di avere una buona ferita non contaminata e, in alcuni casi, un letto di granulazione. Quest’ultimo può essere lasciato in sede, parzialmente o totalmente escisso al momento della chiusura definitiva. Noi di solito rifiliamo i margini del letto di granulazione per ottenere una corretta apposizione cutanea. Chirurgia asettica I principali interventi di chirurgia cutanea devono essere condotti applicando dei principi dello stesso tipo di quelli della chirurgia ortopedica. La contaminazione è responsabile dei principali disastri in chirurgia ricostruttiva.

- Il sito donatore deve essere ricco di cute lassa. - Il lembo deve essere mobilizzato parallelamente alle linee di tensione. - Due lembi piccoli sono meglio di uno grande. - Un lembo bipeduncolato è più ricco di apporto ematico di uno monopeduncolato. - Non incidere mai la base del lembo: potrebbe venire coinvolta un’arteria cutanea diretta. - Generalmente si utilizza un rapporto base/lunghezza di 1:1 o 1:2, ma dipende dall’apporto vascolare della base del lembo.

Tipi di lembo Lembi monopeduncolari e monopeduncolari doppi Si tratta della ricostruzione cutanea “di base”, che deve essere utilizzata in qualsiasi occasione di rimozione di una massa, specialmente a livello dell’area del fianco e del tronco. Questi lembi permettono anche la copertura del sito donatore del lembo assiale imponente. Lembo bipeduncolato


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Essenzialmente, un lembo bipeduncolato è un’incisione liberatoria. Risulta particolarmente utile per coprire lesioni a livello delle estremità distali degli arti. Lembi di trasposizione, rotazione e interposizione La maggior parte di questi lembi ruota intorno ad un punto o un asse. Fra questi, i lembi inguinali ed ascellari risultano particolarmente utili per coprire deficit locali sopra le aree inguinali o sternali. In molti casi, è possibile utilizzare simultaneamente parecchi tipi di lembi. Lembi distanti (lembi a tasca) Per definizione, un lembo a tasca è un lembo bipeduncolare distante diretto. Indicazioni e limiti Un lembo a tasca è indicato per coprire i principali deficit distalmente al gomito o al ginocchio. Lo abbiamo utilizzato in molte forme differenti, dallo Yorkshire di 1,5 kg al bull mastiff di 60 kg. Tecnica operatoria L’apporto vascolare di un lembo a tasca deriva dai peduncoli dell’area donatrice e, progressivamente, dal letto ricevente. Il trattamento operatorio segue sempre le stesse fasi: • Preparazione del letto ricevente. Può essere una ferita fresca o granulata. • Disegno del lembo. Il lembo viene disegnato sull’area del torace o del fianco e si praticano due incisioni perpendicolari all’asse lungo del corpo per realizzare il tunnel in cui verrà fatto scivolare l’arto. • Posizione dell’arto. Una volta che l’arto è posizionato nel tunnel, le incisioni craniale e caudale vengono parzialmente chiuse. Non si applicano suture di fissazione per evitare di danneggiare i vasi sanguigni sottostanti. • Sezione del lembo. Dopo due settimane, i peduncoli dorsale e ventrale vengono recisi e l’arto viene liberato dalle sue inserzioni. In alcune occasioni, i peduncoli vengono recisi gradualmente. • Chiusura. Una volta che il lembo abbia attecchito sulla ferita iniziale, può essere completamente chiuso sull’arto. • Controllo del dolore, drenaggio e bendaggi sono essenziali per ottenere una buona guarigione. Pro e contro Il principale vantaggio di questa tecnica è una percentuale quasi del 100% di successo dell’innesto. Il principale svantaggio è che si tratta di una procedura per stadi che richiede due interventi chirurgici imponenti e comporta del disagio per il paziente che ha “un arto nel torace”. Nei cani pesanti, può essere problematico mantenere l’arto a ridosso della parete. Lembi assiali La caratteristica principale di questo tipo di lembo è il suo apporto vascolare. Nei casi di lembi peduncolati o a tasca, l’apporto vascolare del peduncolo è casuale, mentre quello di un lembo assiale è ben noto. Il disegno del lembo è regolato dall’arborizzazione di un’arteria cutanea diretta nota.

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Grazie a M. Pavletic et al. sono stati descritti molti lembi assiali. Il lembo di solito prende il nome dalla sua arteria cutanea diretta: omocervicale, toracodorsale, brachiale superficiale, epigastrico craniale e caudale, iliaco circonflesso ventrale e dorsale, genicolato, auricolare caudale, temporale superficiale…

Principi generali A isola o peninsulare Un lembo peninsulare resta collegato alla cute che circonda l’arteria cutanea diretta, mentre un lembo insulare resta soltanto attaccato al peduncolo vascolare. Noi utilizziamo regolarmente la soluzione insulare per i lembi epigastrico caudale e toracodorsale. Punti di repere anatomici Questi punti di repere sono stati descritti per molti lembi assiali. Tuttavia, in molti casi il disegno del lembo può venire esteso fino al lato controlaterale o avere una forma ad L. Tuttavia, la sopravvivenza dell’estremità può essere rischiosa o imprevedibile.

Tecnica operatoria Dimensioni del lembo Il chirurgo deve sovrastimare le dimensioni del lembo, dato che questo ha la tendenza a raggrinzirsi un po’. Dissezione Deve essere condotta facendo molto attenzione alla sicurezza intorno al peduncolo vascolare, la cui anatomia deve essere ben nota. Nel lembo devono essere incorporati il muscolo cutaneo del tronco ed il sottocute. Chiusura dell’area donatrice L’area donatrice viene chiusa utilizzando lembi monopeduncolati e di rotazione Innesti Gli innesti a tutto spessore sono molto utili nella clinica dei piccoli animali, ma richiedono una notevole preparazione chirurgica. Gran parte degli insuccessi deriva da letto ricevente inadeguato, superficie irregolare e movimento durante la fase di guarigione. Chi sono i vostri nemici?: il paziente, il movimento, l’infezione, la tensione.

Indirizzo per la corrispondenza: Univ. Prof. Dr. Gilles Dupré DIU Thoracoscopie et pneumologie interventionnelle Kleintierchirurgie, University of Vienna, Veterinaerplatz 1, 1210 WIEN. gilles.dupre@vu-wien.ac.at


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Tecniche di monitoraggio dell’ovulazione della cagna Manuela Farabolini Med Vet, Roma

COMPORTAMENTO CAGNA

1) ESECUZIONE

In alcuni casi si possono avere delle modificazioni del comportamento anche due settimane prima dell’inizio del proestro; le variazioni interessano il ritmo prevalentemente delle minzioni, con enorme aumento della frequenza. Di norma però è l’osservazione dell’atteggiamento della femmina nei confronti del maschio che costituisce di certo il mezzo più semplice e pratico per individuare il momento opportuno per l’accoppiamento. La femmina recettiva assume il classico riflesso di immobilizzazione e deviazione laterale della coda. La vulva appare più rigonfia grazie all’azione del progesterone che in questo momento ha livelli sierici elevati. La recettività dura di media da 1-10 giorni a seconda degli autori (24-17). A sua volta il maschio costituisce anch’esso, un mezzo pratico e semplice per l’individuazione della femmina recettiva, anche quando siamo di fronte a femmine che non mostrano alcun atteggiamento tipico del calore. Normalmente il maschio corteggia annusando e lambendo la vulva. Tutto ciò però non sempre accade, sia per i maschi che per le femmine la libido è molto variabile dipendentemente dalla razza e dal soggetto. Volendo fare un riferimento ormonale alcuni autori (1324) fanno coincidere il picco dell’LH con il primo giorno di estro comportamentale. Secondo Concannon invece, l’estro comportamentale potrebbe iniziare in una cagna da 4 giorni prima sino a 6 giorni dopo il picco dell’LH. Pertanto l’osservazione del comportamento spesso non è utilizzabile come unico metodo per l’individuazione del momento ottimale per l’accoppiamento.

L’esecuzione non necessita di particolari attrezzature ed è di facile applicazione. Il procedimento più utilizzato è quello del tampone.

COLPOCITOLOGIA L’uso più diffuso nella pratica clinica canina dell’esame colpocitologico è senza dubbio quello di cercare di definire il periodo ovulatorio del ciclo, stabilendo così il periodo di fertilità nella cagna. La sterilità canina o presunta tale, è spesso determinata da una errata gestione degli accoppiamenti (13-24-28-45). 1) ESECUZIONE 2) ASPETTI CITOLGICI E FASI CICLO ESTRALE 3) INTERPRTAZIONE QUADRI COLPOCITOLOGICI NELLA CAGNA

METODO DEL TAMPONE: il tampone di cotone andrebbe imbevuto con soluzione salina. Uno speculum viene usato per evitare il contatto tra cotone e le labbra della vulva e vestibolo. Viene inserito il tampone nella vagina caudale o craniale e rotolato su se stesso per prelevare un campione di cellule. Esistono pareri controversi sulla sede del prelievo. Secondo studi condotti in medicina umana, esistono aree della vagina più sensibili all’azione degli ormoni. Su questa base autori come Concannon (13), Farstad (19) e England (17) preferiscono eseguire il prelievo sulla volta della porzione più craniale della vagina. In campo canino studi di Schutte (47) hanno potuto accertare che prelievi eseguiti nella porzione caudale della vagina sono ugualmente affidabili. È comunque raccomandabile utilizzare uno speculum vaginale per essere certi che il prelievo venga eseguito cranialmente alla zona vestibolare ed in particolare al cranialmente meato urinario. Si pone quindi il tampone sul vetrino e lo si fa scivolare rotolando con una leggera pressione in modo da ottenere una scia continua sulla superficie del vetrino. (VIDEO) FISSAZIONE: esistono due possibilità di fissazione che sono in relazione al tipo di colorazione da effettuarsi. Per colorazioni di tipo monocromatico lo striscio può essere semplicemente lasciato essiccare all’aria anche per molto tempo prima di essere colorato (colorazione di Wright e Giemsa) o comunque una volta asciugato può essere fissato per alcuni minuti in alcool-metile (Giemsa). Utilizzando colorazioni policromatiche la fissazione deve essere immediata per non alterare il rapporto basofilo-acidofilo dei citoplasmi che condizionano il tipo di colorazione (50-35-32-47). La fissazione in genere avviene in soluzione alcool-etere per un tempo variabile dai 5 ai 10 minuti. COLORAZIONE: sono di tipo monocromatico e policromatico. Le cellule epiteliali, tramite una adeguata colorazione, sono identificate nella loro struttura e livello di


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maturazione. Permettono, generalmente, una buona identificazione dei leucociti, eritrociti e batteri. Le mono cromatiche trascurano un elemento importante: la reazione tintoriale citoplasmatica. Cellule che morfologicamente appaiono uguali, possono essere però distinte per l’acidofilia o la basofilia citoplasmatica, che è un segno dell’attività estrogenica. Tale elemento non deve essere trascurato se si intende fare una ricerca citormonale precisa. Le colorazioni monocromatiche più frequentemente utilizzate sono la colorazione, di Giemsa e la colorazione di Wright, Diff Quick e sono riportate qui di seguito.

2) ASPETTI CITOLOGICI E FASI DEL CICLO ESTRALE Una volta eseguito il prelievo e colorato, andiamo a vedere cosa abbiamo sul vetrino la mucosa vaginale della cagna è costituita da alcuni strati cellulari morfologicamente distinti che suggeriscono tre stadi di maturazione fisiologica che sono: 1) proliferazione 2) differenziazione 3) esfoliazione Tali strati possono variare in spessore in accordo al livello e tipo di stimolazione ormonale. Le cellule esfoliative sono normalmente divise in quattro gruppi. Si distinguono: - cellule del gruppo A – sono cellule epiteliali superficiali che hanno i nuclei completamente scomparsi. Il citoplasma di tali cellule è cheratinizzato. - cellule del gruppo B – sono cellule epiteliali superficiali con nuclei picnotici e larghe cellule intermedie con nuclei vescicolati. Il loro citoplasma non è necessariamente cheratinizzato. - cellule del gruppo C – sono piccole cellule intermedie, le quali hanno un nucleo relativamente largo, vescicolare e chiaramente individuabile. Il citoplasma non è cheratinizzato. - Cellule del gruppo D – sono cellule dello strato più profondo e si tratta di cellule parabasali. I nuclei di queste cellule sono larghi e vescicolari ed il citoplasma assume colorazioni che vanno dal verde scuro al marrone verdastro. Le cellule di tipo A e B hanno dimensioni simili, mentre le cellule superficiali hanno diametri di circa il doppio più grandi di quelli parabasali (gruppo D), e queste a loro volta hanno un nucleo con diametro di 2 micron più grande di quello dei gruppi A e B. Le cellule schiumose le ritroviamo in strisci fatti durante il metaestro e con minor frequenza anche durante l’anestro (47-13-32). Le cellule metaestrali sono cellule di tipo parabasale con infiltrazione leucocitaria di diversa entità (47), anche dette piccole e grandi cellule intermedie (13), che non vengono ritrovate solo nella fase metaestrale. Infatti possono essere viste anche negli strisci effettuati nel proestro precoce ed in anestro (13). Da un punto di vista ormonale sono gli estrogeni sia esogeni che endogeni, i quali stimolano le cellule della mucosa

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vaginale alla massima proliferazione, differenziazione ed esfoliazione (47-29). Anche se è possibile definire un modello cellulare proprio di ogni differente fase del ciclo, l’esatto stadio dl ciclo non può essere definito solo valutando un singolo striscio. Sarà necessario cioè avere una serie di strisci per effettuare un accurata stima del ciclo (47).

Fase di proestro Durante questa fase i tipi cellulari incontrati sono già più differenziati. Prevalgono cellule superficiali e larghe intermedie. Durante i primi giorni di tale fase, in alcuni casi, si possono ritrovare alcune cellule provenienti dagli strati più profondi. Utilizzando colorazioni che evidenziano la cheratizzazione, si può osservare come inizialmente la percentuale di cellule cheratinizzate è molto bassa, comparandola a quella che si ritroverà successivamente nella fase estrale. Nella prima fase del proestro si ha una elevata percentuale di eritrociti, ma la loro presenza è variabile a seconda dei casi. Gli strisci possono apparire “sporchi” per la presenza di muco e detriti cellulari (47). Secondo Concannon (13) un brusco calo degli eritrociti rilevato sullo striscio si collocherebbero temporalmente tra il picco dell’LH e l’ovulazione. Durante le prime fasi del proestro possono essere presenti un numero variabile di leucociti quasi esclusivamente neutrofili. Questi migrano dai vasi sotto epiteliali e attraverso l’epitelio vaginale vengono rilasciati nel lume. Durante il tardo proestro e l’estro la migrazione è ostacolata dai numerosi strati di cellule cheratinizzate e questi si accumulano nella mucosa (24). La presenza di queste cellule è legata all’azione degli estrogeni che cominciano ad aumentare durante il precoce proestro (10-20 pg ml), per arrivare a livelli elevatissimi (50-100 pg ml) nel tardo proestro, uno o due giorni prima del picco dell’LH per poi riscendere nuovamente. Questo calo degli etrogeni che coincide con l’inizio di un lento aumento di progesterone, generalmente coincide con l’accettazione del maschio. La concentrazione sierica dell’LH rimane a livelli basali durante tutto il proestro come pure FSH rimane ai suoi livelli più bassi durante il tardo proestro.

ESTRO Questa è la fase in cui la cagna permetterà il coito, cioè accetterà il maschio. Citologicamente caratterizzata dall’assenza o da un basso numero di eritrociti e leucociti, nella maggior parte dei casi. Il quadro cellulare consiste esclusivamente di quegli elementi cellulari maggiormente diffrenziati, cioè cellule superficiali anucleate (maggiori del 15%), cellule superficiali con nucleo picnotico e cellule grandi intermedie. Per la prima metà della fase estrale, i citoplasmi di tali cellule sono acidofilici, il che sta a dimostrare la cheratinizzazione o precheratinizzazione. Differentemente da prima in questa fase gli strisci sono puliti e chiari (47), cioè scompare il muco e detriti cellulari.


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La concentrazione sierica di estrogeni ha iniziato la sua discesa mentre è ora il progesterone che fa da protagonista. L’aumento del progesterone coincide circa con il picco dell’LH e a sua volta l’ovulazione nella cagna avviene con tempi estremamente variabili successivamente al picco dell’LH che variano dalle 24 alle 72 ore dopo. Il progesterone continua ad aumentare fino al diestro (15° giorno) per poi tornare a ridiscendere e raggiungere livelli basali nell’imminenza del parto. La cagna quindi, accetta il maschio con alti livelli sierici di progesterone e questo rappresenta un fatto unico in campo veterinario.

Diestro Caratteristica di questa fase è l’alta concentrazione di leucociti e la predominanza di cellule provenienti da strati più profondi. Col progredire di tale fase, vi è un aumento numerico di piccole cellule intermedie e cellule parabasali. Alcune di queste cellule parabasali appaiono infiltrate da leucociti e sono ritenute caratteristiche di tale fase, tanto da essere dette cellule metaestrali. La concentrazione leucocitaria tende a diminuire durante l’ultima fase del metaestro, per poi rimanere più o meno costate quando sarà in pieno anestro. La variazione delle concentrazioni dei leucociti è rappresentata nello scema n.1. I leucociti si infiltrano massivamente tra il 16° ed il 19° giorno dopo l’inizio delle perdite ematiche proestrali (47). In alcune cagne in diestro precoce, il numero dei leucociti può essere così alto da ricordare una infiammazione purulenta. Tuttavia quando è presente una vaginite i neutrofili sono degenerati, con aspetti di “tossicità”, con numerosi inclusi citoplasmatici. Nel diestro fisiologico i neutrofili, anche se molto numerosi, non presentano segni di tossicità (22). È importante distinguere un diestro comportamentale da quello citologico. Per diestro comportamentale si intende il primo giorno di rifiuto del maschio. Per diestro citologico si intende quel momento in cui si assiste ad un brusco cambiamento del quadro colpocitologico, cambiamento che precede di circa 1-3 giorni il diestro comportamentale. Il diestro citologico è considerato come l’inizio della fase diestrale del ciclo e avviene 6 giorni dopo l’ovulazione. In caso di gravidanza sappiamo per certo che il parto avverrà 57 giorni dal diestro citologico. Durante il diestro il progesterone sierico continua ad aumentare fino al 15° giorno.

Anestro Questo periodo è caratterizzato dalla presenza di poche cellule basali, parabasali, intermedie e scarsi leucociti. Può essere presente qualche cellula vacuolizzata.

PROGESTERONE Nella cagna la concentrazione del progesterone nel sangue, è in stretta correlazione con il picco dell’LH e succes-

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siva ovulazione. L’aumento del progesterone al di sopra dei tassi basali (0,5 ng/ml) si fa coincidere all’incirca con il picco LH. Dopo 2-3 giorni dal picco dell’LH si ha l’ovulazione e circa 2-3 giorni secondo Concannon (10-38) e Olson e 25 giorni secondo Christiansen (7) gli oociti sono giunti a maturazione. I corpi lutei che si sono sostituiti ai follicoli, producono in modo continuo il progesterone che raggiunge il suo picco massimo intorno ai 20-30gg dopo l’ovulazione (Johnston). Una volta raggiunta tale livelli massimi seguirà un plateau che perdurerà per 1-2 settimane. I corpi lutei continuano a funzionare a prescindere dalla assenza o presenza di gravidanza. Una volta trascorso il periodo di plateau progestativo diestrale, il livello sierico di progesterone tende a decrescere bruscamente nelle cagne gravide (circa 65 giorni dalla fecondazione) probabilmente a opera delle prostaglandine presenti a livello ovario e meno repentinamente calerà in quelle non gravide impiegando dai 10 ai 20 giorni in più.

ESAME VAGINOSCOPICO Durante il proestro e l’estro avvengono notevoli cambiamenti macroscopici dell’aspetto della mucosa vaginale (30). Questi cambiamenti possono essere ben osservati usando un endoscopio a fibre ottiche (5 mm), oppure un proctoscopio pediatrico. Con la vaginoscopia è possibile valutare gli evidenti cambiamenti della mucosa vaginale che avvengono immediatamente prima e dopo l’ovulazione, i quali essendo sufficientemente evidenti e durevoli consentono un affidabile indicazione sull’inizio del periodo fertile del ciclo (13). Inoltre esistono bruschi cambiamenti della struttura vaginale che avvengono alla fine dell’estro, che coincidono con le variazioni viste con la colpocitologia. I cambiamenti verificabili con la vaginoscopia consistono, microscopicamente, in un aumento dello stato edematoso delle pieghe della mucosa vaginale, correlato ad un innalzamento del livello estrogenico ematico nella fase prostrale. Successivamente si può osservare una progressiva diminuizione dell’edema ed il concomitante sviluppo di una superficie mucosale pieghettata, che coincide con la caduta estrogenica preovulatoria e l’aumento del progesterone in relazione al picco dell’LH. Il massimo grado di ripieghettatura e di angolosità delle pieghe mucosali che mostrano anche dei profili netti, si osserva nell’intervallo fra ovulazione e maturazione degli oociti. Alcuni giorni più tardi, dai 7 agli 8 giorni dopo il picco dell’LH, verso la fine del periodo fertile, vi è un brusco assottigliamento ed appiattimento della mucosa, che risulta così bassa e flaccida. La mucosa metaestrale appare a chiazze o variegata, con una parte della superficie ispessita e bianca ed un’altra parte sottile e rossa. Durante l’anestro infine, la mucosa è sottile, rossa, fragile, più facilmente traumatizzabile e predisposta ad emorragie durante l’esame vaginoscopico (23).


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RESISTENZA ELETTRICA VAGINALE Si tratta di rilevare la resistenza elettrica del muco vaginale (REMV) posto sulla superficie epiteliale della mucosa stessa, utilizzando una specifica attrezzatura. Il metodo consiste nell’inserire con appropriata manualità, un resistenziometro a batteria in grado di registrare i cambiamenti dell’indice di resistenza elettrica del muco vaginale giorno dopo giorno. Inizialmente questa metodologia è stata utilizzata negli studi sulla volpe artica e poi applicata nella cagna. Nella specie canina è correlata ai cambiamenti dei livelli sierici di progesterone ed alla citologia vaginale (23). È stato osservato che la “REMV”, progressivamente aumentava durante la fase proestrale all’aumentare degli estrogeni, per poi fermarsi in prossimità del picco preovulatorio dell’LH, quando comincia a diminuire il livello di estrogeni ed aumentare quello del progesterone. La “REMV” permane a livelli elevati per tutta la durata del periodo fertile (estro), e poi diminuisce a partire dai 7-8 giorni dopo il picco dell’LH. Tale diminuizione coincide mitologicamente con il passaggio della fase estrale a quella metaestrale (13).

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ASPETTO DEL MATERIALE DI SCOLO VAGINALE Comunemente si considera che l’accoppiamento debba avvenire quando lo scolo vaginale ematico sia esaurito o quasi trasformandosi in un secreto trasparente giallo. Questa credenza chiaramente è fuorviante; ci sono cagne perfettamente normali che non manifesteranno alcun sanguinamento per tutta la fase estrale.

GLUCOSIO NEI SECRETI VAGINALI Durante l’estro nella cagna ci sono crescenti concentrazioni sieriche di progesterone in concomitanza ad una liberazione di ormone sormatotropo; questo ultimo potrebbe essere il responsabile di fenomeni di intolleranza al glucosio in quanto antagonista dell’insulina (Eigenmann e Venkervon Haagen, 1981). Di conseguenza le secrezioni vaginali possono arricchirsi di glucosio ma in maniera del tutto incostante ed occasionale pertanto non è utilizzabile come metodo per individualizzazione dell’estro nella femmina.


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Anestesia endovenosa totale (TIVA) Emilio Feltri Med Vet, Castelnuovo Scrivia (AL)

CENNI STORICI E INTRODUZIONE In medicina veterinaria la prima TIVA se così vogliamo chiamarla fu l’iniezione di un farmaco analgesico (oppio) in un cane tramite un pennibo collegato ad una vescica di maiale era il 1656 nella università britannica di Oxford. L’iniezioni di farmaci ipnotici od a scopo anestetico avvenne molto più tardi nei primi anni del novecento, quindi per un lungo periodo fu usata la sola anestesia inalatoria con etere e protossido di azoto. Il vero salto nel moderno si ebbe nel 1930 con la sintesi dei barbiturici che introdusse nella pratica la fase di induzione dell’anestesia anche quella inalatoria. Solo d’oggi invece le tecniche di anestesia solo endovenosa quindi con il dominio delle componenti dell’anestesia bilanciata: sedazione, ipnosi,i miorisoluzione ed antinocicezione da parte di molecole iniettate in vena durante un periodo di tempo.

FARMACI E TIVA Ipnotici È il farmaco che garantisce l’ipnosi cioè l’assenza di coscienza durante la pratica. Può esser somministrato in boli od in infusione endovenosa continua con l’uso di adeguati macchinari (Pompe a siringa). Sono molti i farmaci che si potrebbero usare pur tuttavia bisognerebbe chiedersi quali sono le caratteristiche del farmaco ideale per la TIVA: ebbene la risposta è: dipende se vogliamo somministrarlo in boli od in infusione infatti per il primo caso sono caratteristiche da cercare la stabilità la somministrazione indolore e poco irritante la distribuzione cinetica veloce con rapida raggiunta dell’equilibrio della sostanza nel sangue e nel cervello. Rapido metabolism escrezione e pochi metaboliti o nulli se attivi. Dal punto di vista farmacodinamico direi basso impatto cardiovascolare assenza di fenomeni eccitatori assenza di teratogenicità. Se pensiamo invece alla somministrazione continua di un farmaco nel tempo cercherei farmaci che siano molto modulabili nella risposta al sito effettore che gradualmente inducano i vari stadi di incoscienza e che rapidamente ma senza effetti collaterali lascino recuperare lo stato di coscienza. Questo per dire che un farmaco che in singola dose assicuri rapida emergenza dall’anestesia non è detto compia questo dovere se infuso in modo costante e continuo.

Le caratteristiche della farmacocinetica e della farmacodinamica di una molecola sono determinanti ai fine dell’idoneità di qs molecola per una infusione continua.

Tiopentale/Tiopentone Ottimo per pochi singoli boli disastroso per l’accumulo e l’mprevedibile tempo di risveglio.

Etomidato Non presente sul mercato Italiano dove è illegale detenerlo e comunque la Tiva con questa molecola aumenta la mortalità

Ketamina I suoi effetti allucinogeni e di rigidità muscolare ne limitano l’uso in TIVA almeno come unico farmaco ipnotico.

Propofol Unico farmaco ad oggi presente in commercio realmente adatto alla Tiva come ipnotico. Otiima la sua interazione con l’analgesico oppiaceo. Garantisce rapidi risvegli per la sua velocissima ridistribuzione e metabolismo anche dopo lunghi periodi di infusione. Per i veterinari lil vero handicap è rappresentato dal costo.

Analgesici Non si può parlare di TIVA se non si considera di dominare la nocicezione o la risposta motoria e neuroendocrina alla stimolazione chirurgica. Questo dominio e l’archiviazione del target “Anestesia Bilanciata” si ottiene producendo una infusione endovenosa continua o dei boli di farmaci analgesici maggiori principalmente oppiacei agonisti puri (fentanyl, remifentanyl, Sufentanyl) od anche eseguendo una tecnica di analgesia loco-regionale all’infusione dell’ipnotico come per esempio una somministrazione epidurale o nel plesso brachiale od ischiatico… di un anestetico locale. Se pensiamo agli oppiacei teniamo in considerazione ciiò che prima è stato detto per i farmaci ipnotici ideali.

Fentanyl Tra quelli enunciati è colui che più ha effetto accumulo e dunque il meno ideale per una TIVA ma è anche il più maneggevole per la medicina veterinaria dove la chirurgia raramente si protrae per ore.


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Inoltre per avere buona attività analgesica si necessita di dosi piuttosto elevate che raramente permettono una ventilazione spontanea. Tutto ciò potrebbe essere poco importante in un ospedale di umana ma tenendo conto della pratica veterinaria queste considerazione vanno esposte.

Sufebtanyl Dieci volte più potente del precedente altrettanto maneggevole anzi leffetto accumulo è sicuramente minore Ha scarso impatto cardiovascolare.

Remifentanyl Si tratta del farmaco più recente e dunque più tecnologico velocissimo nel raggiungere l’effetto velocissimo nel lasciare il campo libero dalla sua presenza o da suoi metaboliti. Pesante l’effetto cardiovascolare con situazione di estrema bradicardia ed ipotensione è l’unico però a poter essere con-

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siderato ideale per la Tiva specie per lunghi periodi di infusione. Garantisce una ottima analgesia.

Indicazioni e vantaggi della TIVA Le principali indicazioni della metodica trovano il loro destino nelle chirurgie polmonari o toraciche dove lo scambio dell’anestetico volatile sarebbe alquanto problematico anche per le alte condizioni di FIO2 richieste. In medicina veterinaria non vanno poi dimenticate tutte le pratiche diagnostiche e chirurgiche molto veloci. Attenzione il paziente sottoposto a tiva e sempre un paziente in anestesia con tutte le sue depressioni dei principali meccanismi fisiologici per cui è necessario che sia sempre dico sempre SOMMINISTRATO OSSIGENO attraverso tracheotubo. I vantaggi più importanti riguardano sicuramente la maggior stabilità cardiovascolare e pressoria del paziente sottoposto a Tiva rispetto all’inalatoria.


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Ferite traumatiche: dall’accettazione alla sala operatoria Luca Formaggini Med Vet, Dormelletto (NO)

La guarigione delle ferite consiste nel ripristino della normale contiguità anatomica in un’area di tessuto lesionato. La conoscenza dei normali processi di guarigione è essenziale al fine di intraprendere le corrette decisioni nella gestione della ferita. Inoltre, un corretto approccio basato sulla conoscenza della fisiologia della guarigione aiuterà il clinico ad evitare serie complicanze nelle diverse fasi della cicatrizzazione.

Valutazione del paziente Il primo passo nella gestione della ferita è rappresentato dalla valutazione del paziente nel suo insieme. È molto facile, purtroppo, incorrere nell’errore di focalizzarsi su un’evidente ferita sanguinante o su una frattura (magari esposta) e non considerare altre situazioni più subdole ma potenzialmente pericolose per la sopravvivenza del paziente. Qualsiasi manovra da eseguire sulle ferite superficiali deve obbligatoriamente essere preceduta da un rapido protocollo di valutazione iniziale che comprenda i parametri fisici valutabili tramite l’acrostico ABC (Airway, Breathing, Circulation) e stato del sensorio. In seguito al primo esame (triage) occorre intraprendere adeguate misure terapeutiche (guidate da esame clinico, lattati, emogas-analisi, elettroliti, micro-ematocrito e solidi plasmatici totali) al fine di una corretta stabilizzazione del paziente. In questa prima fase terapeutica, la terapia del dolore riveste un ruolo altrettanto importante quanto la terapia dello shock. Altre indagini diagnostiche quali esame fisico completo, ematologia, biochimica, radiografia, ecografia dovrebbero seguire la stabilizzazione del paziente o eseguite contemporaneamente alle manovre salvavita.

Valutazione della ferita Il primo soccorso alla ferita deve essere svolto in assoluta sicurezza, vale a dire quando le condizioni del paziente lo permettono. Per questo motivo le ferite superficiali devono essere protette da bende, tamponi o bendaggi sterili fino alla loro gestione definitiva al fine di prevenire contaminazioni e altri traumi sui tessuti. Per questo il tempo tra che intercorre tra la valutazione e il trattamento definitivo (pulizia) della ferita deve essere il più breve possibile. Nella valutazione delle ferite degli arti, l’attenzione del clinico deve focalizzarsi sulla vasco-

larizzazione, l’innervazione e l’eventuale presenza di fratture sottostanti. L’esame delle ferite su tutte le parti del corpo deve comprendere anche l’ipotesi (fino a prova contraria) di lesioni gravi alle strutture situate profondamente alla ferita stessa. Questo è particolarmente vero per le ferite e i traumi facciali (potenziale trauma cerebrale), ferite del collo ventrale (lesioni tracheali), ferite del collo e del dorso (fratture della colonna vertebrale) e ferite penetranti e perforanti. In questi ultimi casi una distinzione viene fatta tra le ferite penetranti il torace e quelle penetranti l’addome. Nel primo caso si richiede una chirurgia d’urgenza solo in presenza di pneumotorace iperteso o in caso di emotorace con emorragia attiva. In caso di ferite penetranti la parete addominale, la chirurgia d’urgenza è sempre indicata per il pericolo di perforazione di organi cavi e conseguente peritonite. Il prelievo per antibiogramma dovrebbe essere la norma nella gestione delle ferite traumatiche e, la somministrazione di antibiotici ad ampio spettro (cefazolina) deve essere intrapresa in attesa dell’esito colturale. Tuttavia la possibilità di infezione della ferita non è dipendente solo dalla carica batterica presente, ma dipende da altre variabili quali il tempo trascorso tra il trauma e il primo trattamento, la localizzazione, il meccanismo tramite il quale è stata provocata la ferita, la quantità di tessuto necrotico e di materiale estraneo presenti. Quindi il solo utilizzo di una buona terapia antibiotica non è sufficiente a prevenire infezioni e ritardi di guarigione. Considerando le diverse variabili favorenti l’infezione di una ferita, il trattamento della stessa prevede: 1. tricotomia e lavaggio 2. pulizia chirurgica 3. chiusura primaria oppure gestione con bendaggi. Durante la relazione orale verranno discussi i pro e i contro della terapia antibiotica, dell’utilizzo delle diverse soluzioni di lavaggio e le decisioni in merito alla chiusura. Lavaggio della ferita: l’efficacia di questa procedura è legata alla quantità piuttosto che alla tipologia del liquido utilizzato. Per cui dove possibile, l’acqua di rubinetto rappresenta una valida e a volte insostituibile alternativa alle soluzioni sterili utilizzate tramite siringa. L’utilizzo di soluzioni antibiotate o addizionate di antisettici sono ancora oggi oggetto di controversia. Pulizia chirurgica: rimozione di tessuti necrotici mediante utilizzo di strumentazione chirurgica. Rimuovere fino a tessuto sano (sanguinante). Essere conservativi attorno a vasi e nervi (utilizzo per i giorni seguenti di prodotti enzi-


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matici e bendaggi “da umido a secco”). In caso di dubbi sulla vitalità dei tessuti, ripetere la pulizia chirurgica dopo 24-48 ore. La gestione aperta delle ferite è intrapresa con lo scopo di convertire una ferita contaminata in una pulita. Il tessuto devitalizzato può essere rimosso con diverse metodiche (chirurgica, enzimatica, bendaggi). In caso di chiusura della ferita, questa può avvenire con utilizzo del tessuto locale, lembi di scorrimento, lembi peduncolati e innesti cutanei. Chiusura primaria: utilizzata solo per ferite pulite o ferite sporche convertite a pulite dopo pulizia chirurgica Chiusura primaria ritardata: se si hanno dubbi sulla pulizia della ferita, questa può essere gestita per 3-5 giorni

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con bendaggi e chiusa prima della formazione del tessuto di granulazione Chiusura secondaria: ferita gestita con bendaggi e chiusa dopo formazione di un letto di granulazione Guarigione per seconda intenzione: contrazione e riepitelizzazione partendo dalla formazione di un letto di granulazione Indirizzo per la corrispondenza: Luca Formaggini, Clinica Veterinaria “Lago Maggiore” C.so Cavour, 3 – 28040 Dormelletto (NO) Italia Tel +39 0322243716, Fax +39 0322232756 E-mail lformaggini@cvlm.it


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L’alimentazione nel paziente critico Com’è: “Mangerà quando starà meglio”. Come deve essere: “Quando starà meglio mangerà da solo, nel frattempo…..” Luca Formaggini Med Vet, Dormelletto (NO)

Nonostante sia acquisizione comune che una adeguata alimentazione sia necessaria per il mantenimento dello stato di salute, per decenni la medicina ha accettato il digiuno in pazienti traumatizzati, settici o reduci da interventi chirurgici. Questa pratica (cattiva pratica) non solo non trova nessun fondamento nella moderna scienza medica, ma è stata dimostrata essere una delle cause di malnutrizione proteico-calorica presente ancora oggi nei pazienti ospedalizzati sia in medicina umana che in medicina veterinaria. A questo proposito è necessario prevedere l’instaurarsi di stati di malnutrizione prendendo in considerazione: - la malnutrizione si instaura nel paziente malato dopo 3-5 giorni di digiuno - danni subiti (traumi facciali, incapacità di prensione, masticazione, deglutizione); - dolore; - eccessiva perdita proteica (drenaggi peritoneali, ferite aperte o essudanti); - stati di anoressia da meno di 3 giorni (animali piccoli hanno un metabolismo accelerato); - esami di laboratorio (indicazione relative date da diminuzione di albumine, linfociti, capacità totale di legame del Fe, aumento dell’attività della CK). - METABOLISMO DEL PAZIENTE IN STATO DI STRESS (trauma/chirugia/sepsi) Il concetto di stress (= sforzo, tensione) è stato introdotto in Medicina dal canadese Hans Selye al fine di esprimere il conflitto tra uno stimolo aggressivo (es. trauma, chirurgia, sepsi, dolore) e la risposta dell’organismo. Nella risposta allo stress, il metabolismo del paziente si modifica in modo radicale, rispetto a quanto si verifica in caso di digiuno semplice. Al contrario di quanto succede in quest’ultimo caso, la risposta allo stress NON è finalizzata al risparmio energetico e alla conservazione delle scorte, bensì ha come necessità prioritaria quella di compensare l’aumento delle richieste metaboliche derivanti dal trauma/chirurgia. La risposta dell’organismo ad uno stimolo stressante viene tipicamente suddivisa in 3 fasi o periodi: 1. Fase di riflusso o di declino (in inglese ebb): immediatamente successiva al trauma, caratterizzata da una depressione di tutte le attività vitali (metabolismo, temperatura, portata cardiaca). Viene associata allo stato di shock. 2. Fase di flusso (in inglese flow): è caratterizzata da una esaltazione di tutte le attività vitali, dall’aumento delle richieste energetiche basali e da uno spiccato catabolismo

proteico (fase catabolica). In questa fase si rende necessario a volte l’intervento nutrizionale. 3. Infine, nella fase di guarigione si assiste ad un adattamento dell’organismo che riprende un corretto utilizzo dei substrati energetici (come nel digiuno semplice) e ripristina le riserve organiche (fase anabolica). La reazione al trauma innesca diverse situazioni riconducibili schematicamente a due alterazioni: a. Alterazioni endocrine (Tab. 1) b. Alterazioni metaboliche (Tab. 2) L’adattamento allo stress è mediato fondamentalmente da ipofisi e surrene e si manifesta con aumentata liberazione di ormoni ad azione catabolica (es catecolamine). Adrenalina e noradrenalina stimolano a loro volta il rilascio di corticosteroidi e di glucagone al fine di mobilizzare substrati ossidabili (zuccheri) in risposta alle aumentate richieste energetiche. A questa situazione di aumentata richiesta energetica si accom-

Tabella 1 ALTERAZIONI ENDOCRINE NEL PAZIENTE IN STATO DI STRESS Aumentata screzione di ormoni catabolici - Catecolamine (adrenalina e noradrenalina) - Ormone adrenocorticotropo (ACTH) e crticosteroidi (cortisolo e aldosterone) - GH - Glucagone - TSH - ADH

Tabella 2 ALTERAZIONI METABOLICHE NEL PAZIENTE IN STATO DI STRESS -

Aumentate richieste energetiche Insulino-resistenza e intolleranza muscolare al glucosio Proteolisi e neoglucogenesi da aminoacidi e altri substrati


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pagna però ad uno stato simil-diabetico con iperglicemia. Questa è determinata da un aumento del rilascio di glucosio da parte del fegato (catecolamine) e da una insulino-resistenza che provoca una ridotta utilizzazione del glucosio a livello muscolare (intolleranza al glucosio nello stato di stresss). La glicemia elevata induce una ulteriore secrezione di insulina da parte del pancreas. L’iper-insulinemia da un lato non riesce a superare la resistenza del tessuto muscolare, dall’altro agisce normalmente sul tessuto adiposo riducendo la lipolisi e di conseguenza la disponibilità di acidi grassi e corpi chetonici come fonti di energia alternativa. Questo si riflette sul bisogno di energia del tessuto muscolare, che, venendo a mancare l’utilizzo del glucosio (insulino resistenza) e venedo a mancare la fonte lipidica (mancata lipogenesi per iperinsulinemia) si trova costretto a mobilizzare l’unica fonte di energia utilizzabile: le proteine e cioè se stesso. Il catabolismo proteico risulta peraltro indispensabile nella fase di risposta allo stress in quanto la miscela di aminoacidi liberata in seguito alla proteolisi muscolare viene trasportata al fegato e utilizzata per la sintesi delle proteine della fase acuta (immunoglobuline, ormoni, fibrinogeno etc etc) e per la neoglucogenesi. In questo modo si viene a creare un circolo vizioso nel quale la demolizione proteica supera la capacità di sintesi dell’organismo. Il risultato netto di tutta questa situazione è un aumento del fabbisogno energetico basale ed un aumento dell’escrezione di urea urinaria (bilancio azotato negativo). La durata e la gravità della fase acuta catabolica è in funzione di una serie di variabili: - Tipo di trauma - Gravità del trauma - Associazione a dolore e shock - Complicanze settiche - Condizioni precedenti del paziente (stato nutrizionale e malattie metaboliche) - Tipo di intervento terapeutico e nutrizionale sul paziente L’intervento nutrizionale si propone di: - Ridurre il deficit energetico muscolare - Diminuire le perdite azotate - Sostenere la sintesi proteica - Reintegrare (nella fase di guarigione) la massa corporea magra - Controllare l’equilibrio idro-elettrolitico Riassumendo, nell’ipermetabolismo le richieste metaboliche a riposo sono aumentate, il Quoziente Respiratorio è elevato (0,8-0,9 contro lo 0,6-0,7 nel digiuno semplice) a dimostrazione che i substrati utilizzati dall’organismo sono misti e non solo rappresentati dai grassi; i corpi chetonici sono assenti mentre sono particolarmente attivi tutti i processi catabolici e di sintesi; sono presenti elevate perdite azotate; elevato è anche il consumo di ossigeno. Dal punto di vista clinico, il paziente ipermetabolico si presenta con febbre, tachipnoico (per eliminare l’anidride carbonica prodotta in gran quantità), tachicardico, inotropismo elevato, basse resistenze vascolari periferiche (esaltazione del trasporto dell’ossigeno). Sono presenti anche leucocitosi, iperlattacidemia, iperazotemia e elevata escrezione urinaria dell’azoto. Caratterizzati da questa descrizione possono essere, tra gli altri, tutti i pazienti sottoposti ad interventi chirurgici di una certa entità, i pazienti traumatizzati, quelli affetti da Sindro-

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me da Risposta Infiammatoria Sistemica (SIRS) e quelli colpiti da Disfunzione Organica Multipla (MOD). La malnutrizione è importante perché può essere una causa indiretta di morte. Casi di malnutrizione estrema vengono rilevati di solito in pazienti oncologici, ma esiste anche una malnutrizione sub-clinica, quella che ad esempio è in grado di complicare un’altra malattia, o quella che può instaurarsi repentinamente in un paziente traumatizzato o settico o chirurgico grave, cioè quella presente in tutti quei soggetti ipermetabolici. Le sequele della malnutrizione sono rappresentate da: - Ipoproteinemia ed edemi tissutali - Ipovolemia e diminuzione della perfusione tissutale - Ritardo di cicatrizzazine di ferite e ritardo nella formazione del callo osseo - Aumento del rischio di infezioni sistemiche - Insufficienza respiratoria ed edema polmonare Tutto questo determina come conseguenze una ospedalizzazione più lunga (aumento dei costi), un aumento della morbilità e della mortalità e una convalescenza più lunga. L’intervento nutrizionale si propone primariamente di nutrire il catabolismo limitando così i danni provocati dalla risposta neuroendocrina e catabolica allo stress e solo in un secondo tempo (fase di guarigione) di reintegrare le riserve energetiche e proteiche consumate a seguito di un digiuno protratto e spesse volte ingiustificato. Numerosi studi condotti in medicina umana hanno dimostrato che l’alimentazione precoce (entro 24-48 ore dall’accettazione) riduce il rischio di sepsi; peraltro, è indispensabile correggere le alterazioni emodinamiche e idroelettrolitiche prima di iniziare l’intervento nutrizionale. È fuori dubbio l’importanza che riveste l’integrità del tratto gastroenterico in pazienti traumatizzati, non solo per l’assorbimento dei nutrienti ma anche come barriera nei confronti dei batteri intestinali e dalle loro tossine. Batteri e tossine a seguito del mancato trofismo della mucosa intestinale possono traslocare innescando così una SIRS. La nutrizione enterale (NE) promuove la crescita degli enterociti, migliora la produzione enzimatica e la funzione immunitaria intestinale e mantiene la barriera mucosale. Di conseguenza la NE è sempre da preferire alla nutrizione parenterale (NP). In alcuni rari casi, tuttavia, viene raccomandata la NP: pazienti che vomitano oppure pazienti con stato del sensorio depresso (trauma cranico) per cui incapaci di proteggere le proprie vie aeree. In questi pazienti, peraltro, esiste la possibilità di intraprendere una nutrizione di tipo enterale utilizzando sonde naso-digiunali o digiunostomiche, riducendo in questo modo il rischio legato al vomito. In conclusione, il paziente colpito da trauma/chirurgia/ sepsi, non solo non beneficia in alcun modo dal digiuno, ma oltretutto necessita di un adeguato apporto sia qualitativo che quantitativo in nutrienti semplici o complessi. Ogniqualvolta sia possibile la nutrizione enterale è da preferire a quella parenterale. Ciò non toglie che possano essere utilizzate entrambe contemporaneamente.

Indirizzo per la corrispondena: Luca Formaggini, Clinica Veterinaria “Lago Maggiore” C.so Cavour, 3 28040 Dormelletto (NO) Italia Tel. +39 0322243716 - Fax +39 0322232756 E-mail: lformaggini@cvlm.it


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Differentiation between respiratory and cardiac diseases Virginia Luis Fuentes MA, VetMB, PhD, CertVR, DVC, MRCVS, Dipl ACVIM, Dipl ECVIM-CA (Cardiology), North Mymms, Hatfield, (UK)

Differentiating primary cardiac disease from respiratory disease can be challenging in many clinical cases. Chronic airway disease and chronic valve disease are both common in older, small breed dogs, and may even exist concurrently in the same animal. In such cases, it can be difficult to determine the underlying cause of clinical signs.

• ± concurrent signs of heart disease (murmur, arrhythmia, gallop sounds) • weight loss common with severe, advanced heart failure

RESPIRATORY DISTRESS

Radiographic features of left heart failure • LEFT ATRIAL ENLARGEMENT nearly always present with pulmonary edema (exceptions include endocarditis or ruptured chordae tendineae) –see below • Pulmonary vessels may be wider than normal • Pulmonary edema may be evident as hazy increase in radiodensity in hilar area • Air bronchograms may not be obvious even with severe alveolar edema • Cats may have patchy infiltrates, with left atrial enlargement more obvious on ventrodorsal view than lateral view

Important clues about the cause of respiratory distress can be obtained from the breathing pattern.

COUGHING

Common presenting signs of heart disease include: • Respiratory distress • Coughing • Ascites • syncope

Inspiratory effort with noise Upper airway obstruction Inspiratory and expiratory effort with no noise Pulmonary parenchymal disease (pulmonary oedema/heart failure; pulmonary haemorrhage, pneumonia) Pleural disease (congestive heart failure, neoplasia, chylothorax, haemothorax) Expiratory effort Small airway disease (often with associated wheezing) Thoracic radiography may be useful with pulmonary parenchymal disease; examination under anaesthesia will be useful with upper airway obstruction; bronchoscopy may be necessary with lower airway disease. Additional signs associated with left-sided heart failure include: • History of laboured breathing (± coughing in dogs) • ↑ respiratory rate (> 40 breaths/min) • lung sounds may be normal if only interstitial edema present • quiet inspiratory crackles if alveolar edema present (ie. only with severe pulmonary edema) • heart rate may be moderately elevated with no slowing in dogs (although note that bradycardia may develop in some terminal cases and frequently in cats with severe pulmonary oedema)

The type of coughing is less useful than the type of breathing. It is not always possible to determine if coughing is productive or not. Coughing is nearly always a sign of airway disease. If coughing is associated with heart disease, severe left atrial enlargement should be noted on radiographs. Note that coughing is very rarely associated with heart disease in cats. Additional signs associated with AIRWAY DISEASE • Coughing is usually the main clinical sign • May have marked expiratory component in respiration with small airway disease • inspiratory crackles often loud when associated with airway disease/ pulmonary fibrosis • heart rate often normal, with sinus arrhythmia in dogs • bodyweight usually maintained, and frequently overweight

ASCITES Ascites caused by right heart failure is usually associated with jugular distension, caused by increased right atrial pressures. Note that cats may develop increased atrial pressures secondary to pleural effusions of non-cardiac origin. Right heart failure • ascites • pleural effusion • jugular distension


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Summary • Are there signs of heart disease?

murmur arrhythmia gallop sounds cardiomegaly

• If so, what are the likely causes?

Dogs mitral regurgitation dilated cardiomyopathy pericardial effusions Cats Hypertrophic cardiomyopathy Functional murmurs (asymptomatic cats only) Restrictive cardiomyopathy Dilated cardiomyopathy

• Are there any signs suggestive of congestive heart failure?

tachypnoea ± inspiratory crackles

• With coughing dogs, are there signs of left atrial enlargement on radiographs?

If not, the coughing is probably not due to cardiac disease

• With pleural effusions in cats (modified transudates or chylothorax), are there other signs of cardiac disease?

ECG often abnormal with cardiac disease Cardiomegaly generally present on radiographs Echo diagnostic for cardiac disease

Author’s Address for Correspondence: Virginia Luis Fuentes Senior Lecturer Department of Veterinary Clinical Sciences, Royal Veterinary College Hawkshead Lane, North Mymms, Hatfield AL9 7TA, United Kingdom


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Differenziazione fra le patologie respiratorie e le patologie cardiache Virginia Luis Fuentes MA, VetMB, PhD, CertVR, DVC, MRCVS, Dipl ACVIM, Dipl ECVIM-CA (Cardiology), North Mymms, Hatfield, (UK)

Differenziare le cardiopatie primarie dalle malattie respiratorie può essere difficile in molti casi clinici. Le affezioni croniche delle vie aeree e le valvulopatie croniche sono entrambe comuni nei cani anziani delle razze di piccola taglia e possono persino coesistere nello stesso animale. In questi casi, può essere difficile determinare la causa sottostante dei segni clinici. Le comuni manifestazioni della cardiopatia sono rappresentate da: • Difficoltà respiratoria • Tosse • Ascite • Sincope

DIFFICOLTÀ RESPIRATORIA È possibile ottenere importanti indicazioni circa la causa della difficoltà respiratoria attraverso i quadri del respiro Sforzo respiratorio con rumore Ostruzione delle vie aeree superiori Sforzo inspiratorio ed espiratorio senza rumore Malattia del parenchima polmonare (edema polmonare/ insufficienza cardiaca; emorragia polmonare, polmonite) Emorragia pleurica (insufficienza cardiaca congestizia, neoplasia, chilotorace, emotorace) Sforzo espiratorio Malattia delle vie aeree di piccolo calibro (spesso associata a sibili) L’esame radiografico del torace spesso può risultare utile in presenza di malattie del parenchima polmonare; l’esame sotto anestesia può essere indicato in presenza di ostruzione delle vie aeree superiori; per quelle più profonde può essere necessaria la broncoscopia. Ulteriori segni clinici associati all’insufficienza cardiaca sinistra: • anamnesi di respirazione difficoltosa (± tosse nel cane) • ↑ aumento della frequenza respiratoria (> 40 atti/minuto) • i suoni polmonari possono essere normali se è presente solo un edema interstiziale • rantoli inspiratori tranquilli se è presente un edema alveolare (cioè soltanto in caso di edema polmonare grave)

• la frequenza cardiaca può essere moderatamente elevata senza alcun rallentamento nel cane (benché si debba rilevare la possibilità che si sviluppi una bradicardia in alcuni casi terminali e frequentemente nei gatti con grave edema polmonare) • ± segni concomitanti di cardiopatia (soffio, aritmia, toni di galoppo) • è comune la perdita di peso in caso di insufficienza cardiaca avanzata e grave Caratteristiche radiografiche dell’insufficienza cardiaca sinistra • INGROSSAMENTO DELL’ATRIO SINISTRO: è quasi sempre presente in caso di edema polmonare (fanno eccezione le endocarditi o la rottura delle corde tendinee) – vedi oltre • I vasi polmonari possono essere più ampi del normale • L’edema polmonare può risultare evidente sotto forma di un incremento sfumato della radiopacità nell’area dell’ilo • Le broncografie gassose possono non essere evidenti anche in presenza di un grave edema alveolare • I gatti possono presentare infiltrati a chiazze, con ingrossamento atriale sinistro più evidente nelle proiezioni ventrodorsali che in quelle laterolaterali

TOSSE Il tipo di tosse è meno utile del tipo di respirazione. Non è sempre possibile determinare se sia produttiva oppure no. La tosse è quasi sempre un segno di malattia delle vie aeree. Se è associata ad una cardiopatia, nelle radiografie si deve rilevare un grave ingrossamento atriale sinistro. Si noti che la tosse è associata molto raramente alla cardiopatia nel gatto. Segni clinici associati alle AFFEZIONI DELLE VIE AEREE • Il segno clinico principale è di solito rappresentato dalla tosse • Può essere presente una marcata componente espiratoria nella respirazione, con malattia delle vie aeree di piccolo calibro • Rantoli inspiratori, spesso forti in associazione con affezioni delle vie aeree/fibrosi polmonare • la frequenza cardiaca è spesso normale, con aritmia sinusale nel cane • il peso corporeo di solito è mantenuto, e frequentemente si rileva un sovrappeso


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ASCITE L’ascite causata dall’insufficienza cardiaca destra di solito è associata a distensione giugulare, dovuta ad un aumento delle pressioni dell’atrio destro. Si noti che i gatti possono sviluppare un aumento delle pressioni atriali secondario a versamenti pleurici di origine non cardiogena.

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Insufficienza cardiaca destra • ascite • versamento pleurico • distensione giugulare Indirizzo per la corrispondenza: Virginia Luis Fuentes, Senior Lecturer, Department of Veterinary Clinical Sciences, Royal Veterinary College, Hawkshead Lane, North Mymms, Hatfield AL9 7TA, United Kingdom

Riassunto • Sono presenti segni di cardiopatia?

soffio aritmia toni di galoppo cardiomegalia

• Se si, quali sono le cause probabili?

Cane rigurgito mitrale miocardiopatia dilatativa versamenti pericardici Gatto miocardiopatia ipertrofica soffi funzionali (gatti asintomatici soltanto) miocardiopatia restrittiva miocardiopatia dilatativa

• Sono presenti segni di qualsiasi tipo indicativi di insufficienza cardiaca congestizia?

tachipnea ± rantoli inspiratori

• Nei cani che tossiscono, ci sono segni di ingrossamento dell’atrio sinistro nelle radiografie?

Se no, la tosse probabilmente non è dovuta alla cardiopatia

• Nei versamenti pleurici del gatto (trasudati modificati o chilotorace), sono presenti altri segni nella cardiopatia di cardiopatia?

L’ECG è spesso anormale Nelle radiografie è generalmente presente unacardiomegalia Diagnostica ecografica per la cardiopatia


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Cardiovascular emergencies Virginia Luis Fuentes MA, VetMB, PhD, CertVR, DVC, MRCVS, Dipl ACVIM, Dipl ECVIM-CA (Cardiology), North Mymms, Hatfield, (UK)

Urgent cardiac disorders include severe congestive heart failure, rapid/severe tachyarrhythmias, severe bradyarrhythmias, cardiac tamponade, aortic thromboembolism and caval syndrome. It is important to RECOGNIZE the condition, and STABILIZE the animal as quickly as possible before further investigations and carried out.

specific therapeutic measures. A noninvasive technique for measuring arterial pressure is invaluable (eg a Doppler ultrasonic or oscillometric technique). ECG? ECG monitoring equipment should be readily available, and you should be able to interpret the common serious arrhythmias!

History and physical examination- assess QUICKLY but EFFICIENTLY Always handle gently and quietly- any stress in handling can kill the patient, but you must be able to assess the patient effectively.

OXYGEN: Have available, administer safely and effectively Provide oxygen by plastic bag, face mask, cage, or tent if the patient will tolerate it. Just allowing the animal to rest quietly in a cage will decrease oxygen requirements. Respiratory arrest due to hypoxia may be very amenable to resuscitation if you can ventilate the animal effectively. Have a range of endotracheal tubes handy, with a means of ventilation (ambubag, or oxygen with a suitable circuit)

SEDATION: If the animal is distressed and becoming frantic, sedation may decrease oxygen consumption thereby improving the patient’s condition, as well as allowing you to conduct your assessment. On the other hand, if the animal is using all its ventilatory reserve at rest, sedation may depress respiration enough to cause further decompensation. For dogs, combinations of acepromazine (0.03 mg/kg) and an opiate (buprenorphine 0.015 mg/kg or butorphanol 0.2 - 0.4 mg/kg) can be given intramuscularly. For cats, doses of acepromazine (0.1 mg/kg) and butorphanol (0.2 mg/kg) may be used.

Tabulate and trend important vital signs Temperature, respiratory rate and depth, breath sounds, heart rate, heart rhythm, membrane color and refill time, pulse strength, attitude, and noninvasive arterial blood pressure should all be monitored and recorded, so that trends can be identified. A steadily increasing respiratory rate or falling arterial blood pressure should signal the need for more aggressive therapy.

RADIOGRAPHY: Positioning animals for radiography often causes distress, which may prove fatal in dyspneic animals. It is often better to make an initial assessment based on physical exam, and delay radiography until the animal is more stable. If radiography is essential, AVOID PLACING THE ANIMAL ON ITS BACK.

CONGESTIVE HEART FAILURE In congestive heart failure, the key features are excess fluid retention associated with raised atrial pressures. Elevated left heart filling pressures lead to pulmonary edema, whereas biventricular failure often leads to pleural effusion. Both may be lifethreatening events. Ascites is not usually life-threatening, and does not require emergency treatment in itself.

IS PLEURAL EFFUSION PRESENT? -perform thoracocentesis if necessary. Rather than obtaining radiographs, it is often safer to attempt thoracocentesis if you suspect there is a large pleural effusion. This can be a life-saving measure if an effusion is present, and generally does little harm if there is no effusion (but use a small butterfly cannula)

Cardiogenic shock Signs of low cardiac output/ cardiogenic shock include: low arterial pressure, pale mucous membranes, prolonged capillary refill time, hypothermia, cold extremities.

ARTERIAL BLOOD PRESSURE? Many animals with poor cardiac output will be hypotensive, which will require Causes of congestive heart failure in dogs

Causes of congestive heart failure in cats

• • • • •

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MITRAL VALVE REGURGITATION DILATED CARDIOMYOPATHY CARDIAC TAMPONADE Congenital heart disease Endocarditis

HYPERTROPHIC CARDIOMYOPATHY RESTRICTIVE CARDIOMYOPATHY DILATED CARDIOMYOPATHY Hyperthyroidism Congenital disease Anemia


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ACUTE TREATMENT OF CONGESTIVE HEART FAILURE Initial management of cardiogenic pulmonary edema is the same, regardless of cause. • Furosemide 2-6 mg/kg IV, repeat initial dose hourly until response • Oxygen by bag, cage or intranasal • Nitroglycerin 1/2 - 4 cm percutaneously q 8 hours • Carry out further work-up once stable; may need to continue for 24-48 hours while starting oral therapy After initial therapy, further investigations are indicated to determine the cause of CHF.

Mitral regurgitation In dogs with mitral regurgitation, the mitral regurgitant volume can be significantly reduced (by 50% in some cases) by using an arterial dilator such as hydralazine. This cannot be used if the arterial pressure is already low. An alternative is to use pimobendan, which is an inodilator, and may be more useful where hypotension is present. • Start therapy with furosemide, oxygen and nitroglycerin. If no response within an hour, repeat furosemide • Pimobendan may be used acutely, at 0.2 mg/kg PO q12 hours

Dilated cardiomyopathy / cardiogenic shock Add intravenous dobutamine • Start therapy with furosemide, oxygen & nitroglycerin. Allow the patient 15 - 30 minutes at rest to stabilize and prepare dobutamine solution. • Start dobutamine at 2.5 ug/kg/min, and increase up to 10 ug/kg/min • Watch for adverse effects (tachycardia, arrhythmias, seizures) • After 48 hours of therapy, reduce the dobutamine rate by 50% each 2 hours then stop Alternatively, start with pimobendan (0.2 mg/kg q12h)

Congestive heart failure with pleural effusion

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VENTRICULAR TACHYCARDIA Rapid, repetitive ventricular extrasystoles can decrease arterial blood pressure and lead to signs of hypotension; in addition, some ventricular tachycardias are electrically unstable and may deteriorate to ventricular fibrillation. In the absence of CHF, treat sustained ventricular tachycardia if: • very rapid (> 200/min) • causing hypotension (< 90 mmHg systolic) • animal is symptomatic • suspect risk of ventricular fibrillation • Confirm the rhythm diagnosis of VT with an ECG • Check serum potassium levels • For sustained VT, administer lidocaine (2 mg/kg/minute bolus; repeat up to 8 mg/kg total dose over 10 minutes) • If successful, start constant rate infusion at 50 to 70 mcg/kg/min • Avoid propranolol and cimetidine • Do not use lidocaine in cats except at very low dosages • Alternative to lidocaine in dogs- IV procainamide (2 mg/kg/minute), IV mexiletine, or IV sotalol.

SUPRAVENTRICULAR TACHYCARDIAS Animals will sometimes present with weakness at very rapid heart rates. • Try vagal maneuvers (inducing a gag reflex often works) • IV diltiazem or sotalol • IV lidocaine occasionally works • DC cardioversion under anaesthesia

URGENT BRADYARRHYTHMIAS Sinus bradycardia with ST segment changes May be associated with hypoxia, may be warning sign of impending cardiopulmonary arrest Check airway/ventilation, anesthesia/sedation, body temperature, electrolytes • Consider atropine / epinephrine

Atrial standstill (hyperkalemia)

• Furosemide, oxygen and nitroglycerin should be administered • Thoracocentesis should be performed using a butterfly cannula or angiocath. One side of the chest is often sufficient.

Counteract adverse effects of hyperkalemia • IV fluids (0.9% NaCl) • Calcium gluconate (0.5ml/kg of 10% solution slowly over 5 – 10 mins)

ARRHYTHMIAS

3rd degree atrioventricular block

Treat if: • hemodynamically significant • life-threatening (unstable rhythm that may degenerate into lethal rhythm)

Dogs should be referred for pacemaker implantation; the ventricular escape mechanism is fragile, and animals may die suddenly. Cats are often more stable, and may present with intermittent 3rd degree AV block.


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CARDIAC TAMPONADE Tamponade occurs when sufficient pericardial fluid accumulates within the pericardial space to increase the intrapericardial pressure above right atrial pressure, causing compression of the right heart. Affected animals may present with weakness (acute pericardial effusions- low output) or right-sided heart failure (chronic accumulation of pericardial effusion). Physical findings include muffled heart sounds, distended jugular veins, arterial hypotension, ± pulsus paradoxicus. Diuretic therapy is not effective- the effusion must be drained.

Pericardiocentesis • With animal in left lateral recumbency, identify ideal intercostal space on right side of chest using echo • ECG is monitored for arrhythmias • Lidocaine is infiltrated locally around the entry site • The needle/catheter is advanced through the skin and into the pleural and pericardial space • If the heart is struck, the needle will “grate” and premature ventricular beats will occur • Once fluid is moving into the catheter hub, the needle is advanced 1 -3 mm further and then held stable while the catheter is advanced into the space

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• Removal of even small amounts of effusion may cause a rapid fall in the intrapericardial pressure

AORTIC THROMBOEMBOLISM Embolization of left atrial thrombi into the systemic circulation may occlude blood flow to peripheral arteries in cats with severe myocardial disease. Affected cats have an acute onset of signs, with severe pain and distress. Generally one or both hindlimbs is cold and pulseless, and congestive heart failure may develop at the same time. • analgesia (torbutrol 0.2 mg/kg SQ q8h combined with acepromazine; alternative = 10 cm2 fentanyl patch; 25 ug/hr release) OR epidural anaesthesia • Fluid therapy to maintain urinary output (unless there is concurrent pulmonary edema). • Antibiotic therapy effective vs. anaerobic infection (e.g. ampicillin, amoxicillin). • Heparin (200 to 300 i.u. kg, IV, then subcutaneously every 8 hours for 48-72 hours) Author’s Address for Correspondence: Virginia Luis Fuentes Senior Lecturer Department of Veterinary Clinical Sciences, Royal Veterinary College Hawkshead Lane, North Mymms, Hatfield AL9 7TA, United Kingdom


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Emergenze cardiovascolari Virginia Luis Fuentes MA, VetMB, PhD, CertVR, DVC, MRCVS, Dipl ACVIM, Dipl ECVIM-CA (Cardiology), North Mymms, Hatfield, (UK)

I disordini cardiaci urgenti sono rappresentati da insufficienza cardiaca congestizia grave, tachiaritmie rapide/gravi, bradiaritmie gravi, tamponamento cardiaco, tromboembolismo aortico e sindrome della vena cava. È importante RICONOSCERE la condizione e STABILIZZARE l’animale il più rapidamente possibile prima di passare alle successive indagini diagnostiche. Anamnesi ed esame clinico – valutare il caso in modo RAPIDO, ma EFFICIENTE. L’animale deve essere sempre manipolato con delicatezza e tranquillità – qualsiasi stress durante le manualità può provocare la morte del paziente, ma dovete riuscire a valutarlo in modo efficace. SEDAZIONE: se l’animale è stressato e sta diventando agitatissimo, la sedazione può diminuire il consumo di ossigeno e quindi migliorare le sue condizioni, nonché permettervi di condurre il vostro esame. D’altro canto, se l’animale sta utilizzando tutta la propria riserva di ventilazione a riposo, la sedazione può determinare una depressione respiratoria sufficiente a causare un ulteriore scompenso. Per i cani, è possibile ricorrere alla somministrazione per via intramuscolare di associazioni di acepromazina (0,03 mg/kg) ed un oppiaceo (buprenorfina 0,015 mg/kg o butorfanolo 0,2-0,4 mg/kg). Nel gatto, si possono impiegare acepromazina (0,1 mg/kg) e butorfanolo (0,2 mg/kg). RADIOGRAFIA: Il posizionamento dell’animale per le indagini radiologiche è spesso causa di stress, che può risultare fatale nei soggetti dispnoici. Spesso è preferibile formulare una valutazione iniziale basata sull’esame clinico e rinviare le radiografie a quando l’animale sarà più stabile. Se l’esame radiografico è essenziale, EVITARE DI DISPORRE L’ANIMALE SUL DORSO. È PRESENTE UN VERSAMENTO PLEURICO? – se necessario, eseguire la toracentesi. Piuttosto che effettuare delle radiografie, spesso risulta più sicuro tentare di attuare una toracentesi se si sospetta un abbondante versamento pleurico. Questa può essere una misura salvavita se è presente un versamento, mentre di solito non provoca gravi danni se questo è assente (ma si deve utilizzare una piccola cannula butterfly). PRESSIONE SANGUIGNA ARTERIOSA? Molti animali con gittata cardiaca scarsa risultano ipotesi, il che richiede specifiche misure terapeutiche. L’impiego di una tecnica non invasiva per la misurazione della pressione arteriosa risulta inestimabile (ad es. una metodica Doppler ultrasonica o oscillometrica).

ECG? L’apparecchiatura per il monitoraggio dell’ECG deve essere prontamente disponibile e dovete essere in grado di interpretare le comuni aritmie gravi! OSSIGENO: deve essere disponibile e somministrato in condizioni di sicurezza ed efficacia. L’apporto di ossigeno può essere effettuato attraverso borse di plastica, maschera facciale, gabbia o tenda se il paziente lo tollera. Lasciare soltanto l’animale tranquillamente a riposo in una gabbia diminuisce i fabbisogni di ossigeno. L’arresto respiratorio dovuto ad ipossia può essere altamente suscettibile di rianimazione se riuscite a ventilare efficacemente il soggetto. Bisogna avere a portata di mano una gamma di tubi orotracheali, nonché un apparecchio di ventilazione (pallone di Ambu o ossigeno erogato da un circuito adeguato). Determinare i valori e la tendenza dei segni vitali importanti Temperatura, frequenza e profondità del respiro, suoni respiratori, frequenza cardiaca, ritmo cardiaco, colore delle mucose e tempo di riempimento capillare, forza del polso, atteggiamento e pressione sanguigna arteriosa misurata con tecnica non invasiva devono essere monitorati e registrati in modo da poterne identificare la tendenza. Un aumento costante della frequenza respiratoria o una caduta della pressione arteriosa dovrebbero indicare la necessità di una terapia più aggressiva.

INSUFFICIENZA CARDIACA CONGESTIZIA Nell’insufficienza cardiaca congestizia, le caratteristiche chiave sono l’eccessiva ritenzione di fluidi associata all’aumento delle pressioni atriali. Le elevate pressioni di riempimento nel cuore sinistro portano all’edema polmonare, mentre l’insufficienza biventricolare conduce spesso a versamento pleurico. Entrambe le condizioni possono essere eventi potenzialmente letali. L’ascite di solito non lo è e di per sé non necessita di un trattamento di emergenza.

Shock cardiogeno I segni clinici della bassa gittata cardiaca/shock cardiogeno sono rappresentati da bassa pressione arteriosa, pallore delle mucose, prolungamento del tempo di riempimento capillare, ipotermia, freddezza delle estremità.


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Cause dell’insufficienza cardiaca congestizia nel cane

Cause dell’insufficienza cardiaca congestizia nel gatto

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RIGURGITO DELLA VALVOLA MITRALE MIOCARDIOPATIA DILATATIVA TAMPONAMENTO CARDIACO Cardiopatia congenita Endocardite

TRATTAMENTO ACUTO DELL’INSUFFICIENZA CARDIACA CONGESTIZIA Il trattamento iniziale dell’edema polmonare cardiogeno è lo stesso, indipendentemente dalla causa. • Furosemide 2-6 mg/kg IV, ripetendo la dose iniziale ogni ora fino alla risposta • Ossigeno mediante borsa, gabbia, o per via intranasale • Nitroglicerina, 0,5-4 cm per via percutanea ogni 8 ore • Una volta che l’animale sia stabilizzato, condurre un’ulteriore valutazione; può essere necessario continuare per 2448 ore mentre si inizia la terapia per via orale Dopo la terapia iniziale, sono indicate ulteriori indagini per determinare la causa dell’insufficienza cardiaca congestizia.

Rigurgito mitrale Nei cani con rigurgito mitrale, il volume rigurgitante può essere significativamente diminuito (del 50% in alcuni casi) utilizzando un dilatatore arterioso come l’idralazina. Questo non può essere usato se la pressione arteriosa è già bassa. Un’alternativa è l’impiego del pimobendan, che è un inodilatatore e può essere più utile in presenza di ipotensione. • Iniziare la terapia con furosemide, ossigeno e nitroglicerina. Se non si ha risposta entro un’ora, ripetere la furosemide. • Il pimobendan può essere impiegato nelle forme acute, alla dose di 0,2 mg/kg PO ogni 12 ore

Miocardiopatia dilatativa/shock cardiogeno Aggiungere dobutamina per via endovenosa • Iniziare la terapia con furosemide, ossigeno e nitroglicerina. Lasciare il paziente a riposo per 15-30 minuti perché si stabilizzi e preparare la soluzione di dobutamina. • Iniziare il trattamento con dobutamina alla dose di 2,5 µg/kg/min ed aumentare fino a 10 µg/kg/min • Osservare la comparsa di effetti indesiderati (tachicardia, aritmie, crisi convulsive) • Dopo 48 ore di terapia, ridurre del 50% la somministrazione della dobutamina ogni due ore e poi smettere In alternativa, iniziare con il pimobendan (0,2 mg/kg ogni 12 ore)

Insufficienza cardiaca congestizia con versamento pleurico • Si devono somministrare furosemide, ossigeno e nitroglicerina • Bisogna attuare una toracentesi servendosi di una cannula butterfly o di un angiocatetere. Spesso è sufficiente agire su un lato del torace.

MIOCARDIOPATIA IPERTROFICA MIOCARDIOPATIA RESTRITTIVA MIOCARDIOPATIA DILATATIVA Ipertiroidismo Malattia congenita Anemia

ARITMIE Trattare se: • significative dal punto di vista emodinamico • potenzialmente letali (ritmo instabile che può degenerare in ritmo letale)

TACHICARDIA VENTRICOLARE Le rapide extrasistoli ventricolari ripetitive possono diminuire la pressione sanguigna arteriosa e portare alla comparsa di segni di ipotensione; inoltre, alcune tachicardie ventricolari sono elettricamente instabili e possono deteriorarsi fino alla fibrillazione ventricolare. In assenza di insufficienza cardiaca congestizia, trattare la tachicardia ventricolare prolungata se: • È molto rapida (> 200/minuto) • causa ipotensione (< 90 mm Hg sistolica) • l’animale è sintomatico • si sospetta il rischio di fibrillazione ventricolare • Confermare la diagnosi del ritmo della tachicardia ventricolare con un ECG • Controllare i livelli sierici di potassio • Nella tachicardia ventricolare prolungata, somministrare lidocaina (2 mg/kg/min in bolo; ripetere fino a 8 mg/kg totali nell’arco di 10 minuti) • Se si ha successo, iniziare l’infusione a velocità costante alla dose di 50-70 µg/kg/min • Evitare il propranololo e la cimetidina • Non utilizzare la lidocaina nel gatto, tranne che a dosaggi molto bassi • Alternativa alla lidocaina nel cane: procainamide IV (2 mg/kg/minuto), mexiletina IV o sotalolo IV

TACHICARDIE SOPRAVENTRICOLARI Gli animali talvolta vengono portati alla visita con debolezza e frequenze cardiache molto rapide. • Provare le manovre vagali (spesso risulta efficace l’induzione di un riflesso faringeo) • Diltiazem IV o sotalolo • Occasionalmente funziona la lidocaina IV • Cardioversione DC sotto anestesia

BRADIARITMIE URGENTI Bradicardia sinusale con alterazioni del segmento ST Può essere associata ad ipossia, può essere un segno di allarme, di un arresto cardiopolmonare incombente. Con-


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trollare vie aeree/ventilazione, anestesia/sedazione, temperatura corporea/elettroliti. • Considerare atropina/adrenalina

Arresto atriale (iperkalemia) Contrastare gli effetti indesiderati dell’iperkalemia • Fluidi IV (0,9% NaCl) • Calcio gluconato (0,5 ml/kg di una soluzione al 10%, lentamente nell’arco di 5-10 minuti)

Blocco atrioventricolare di terzo grado I cani devono essere inviati ad una struttura specialistica per l’impianto di un pacemaker; il meccanismo di fuga ventricolare è fragile e gli animali possono morire improvvisamente. I gatti sono spesso più stabili e possono essere portati alla visita con un blocco atrioventricolare di terzo grado intermittente.

TAMPONAMENTO CARDIACO Il tamponamento si ha quando all’interno dello spazio pericardico si accumula una quantità di fluido sufficiente a far aumentare la pressione intrapericardica portandola al di sopra di quella atriale destra, causando una compressione del cuore destro. Gli animali colpiti possono essere portati alla visita con debolezza (versamenti pericardici acuti – bassa gittata) o insufficienza cardiaca destra (accumulo cronico di versamento pericardico). I riscontri fisici sono rappresentati da attenuazione dei toni cardiaci, distensione delle vene giugulari, ipotensione arteriosa ± pulsus paradoxicus. La terapia con diuretici non è efficace – il versamento va drenato.

Pericardiocentesi • Con l’animale in decubito laterale sinistro, identificare lo spazio intercostale ideale sul lato destro del cuore mediante ecografia.

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• Si attua il monitoraggio dell’ECG per le aritmie • Si esegue un’infiltrazione locale di lidocaina intorno al punto di penetrazione • L’ago/catetere viene fatto avanzare attraverso la cute e spinto nello spazio pleurico e pericardico • Se si giunge a contatto del cuore, l’ago “gratta” e si riscontrano dei battiti ventricolari prematuri • Una volta ottenuto il passaggio del fluido nel cono del catetere, l’ago viene fatto avanzare di 1-3 mm e poi tenuto stabile mentre il catetere viene spinto nello spazio • La rimozione di quantità anche piccole di versamento può causare una rapida caduta della pressione intrapericardica

TROMBOEMBOLISMO AORTICO L’embolizzazione dei trombi dell’atrio sinistro nella circolazione sistemica può occludere il flusso ematico a livello delle arterie periferiche nei gatti con grave miocardiopatia. I felini colpiti presentano un’insorgenza acuta dei segni clinici, con intenso dolore e difficoltà. Generalmente, uno o entrambi gli arti posteriori risultano freddi e privi di polso e contemporaneamente si può sviluppare un’insufficienza cardiaca congestizia. • analgesia (torbutrolo 0,2 mg/kg SC ogni 8 ore associati ad acepromazina; in alternativa = 10 cm2 di cerotto al fentanil; rilascio di 25 µg/ora) OPPURE anestesia epidurale • Fluidoterapia per mantenere la produzione di urina (a meno che non vi sia un concomitante edema polmonare) • Terapia antibiotica efficace nei confronti delle infezioni anaerobiche (ad es., ampicillina, amossicillina) • Eparina (200-300 UI kg IV, poi per via sottocutanea ogni 8 ore per 48-72 ore)

Indirizzo per la corrispondenza: Virginia Luis Fuentes Senior Lecturer, Department of Veterinary Clinical Sciences, Royal Veterinary College, Hawkshead Lane, North Mymms, Hatfield AL9 7TA, United Kingdom


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Management of feline heart failure Virginia Luis Fuentes MA, VetMB, PhD, CertVR, DVC, MRCVS, Dipl ACVIM, Dipl ECVIM-CA (Cardiology), North Mymms, Hatfield, (UK)

Although congestive heart failure may be caused by many different types of cardiac disease, the therapeutic approach may be dictated more by clinical signs and stage of disease than by aetiology.

Stage A- at risk Maine coons may be at increased risk of developing hypertrophic cardiomyopathy (HCM), so may be presented for screening. Obviously no treatment is indicated.

Stage B- asymptomatic heart disease There are few studies of treatment in asymptomatic cats to help guide therapy. Beta-blockers and diltiazem have been suggested.

Stage C- the acutely-decompensated cat It is rarely possible to carry out a detailed Doppler-echo exam on a dyspnoeic cat to confirm the type of myocardial disease, although when the diagnosis of congestive heart failure is in question, it may be less stressful to perform an ultra-rapid echo exam than to obtain thoracic radiographs. If left atrial enlargement present → aggressive management of congestive failure If large pleural effusion present → thoracocentesis Note: more care required than in dogs with avoiding prerenal azotaemia. Administer O2: cats are small enough for oxygen cages to be practical. Sedation: It may be even more important to sedate cats than dogs, as dyspnoeic cats often become very distressed (eg, butorphanol 0.25mg/kg IM) IV furosemide: initial dose should be no more than 2 mg/kg, thereafter 1-2mg/kg every 60 mins until respiratory rate decreases. Thoracocentesis: Significant pleural effusions are more common than in dogs with congestive heart failure, and these should be drained with a butterfly cannula.

Cats with low-output failure Consider dobutamine, despite the theoretical contraindications of positive inotropes causing increased myocardial oxygen consumption and increased toxicity in cats

Dobutamine should be started at lower doses than in dogs (1.25mcg/kg/min) and an attempt should be made to wean cats off sooner: seizures may occur on the 2nd day of treatment. No data are available on the acute use of pimobendan in cats.

MONITOR EFFECTS OF THERAPY • Monitor respiratory rate and effort in congestive failure • Monitor attitude, body temperature, heart rate and arterial pressure in low output failure. • Monitor renal function and electrolytes

Stage C- moderate congestive failure and maintenance therapy The aims of chronic therapy are to eliminate abnormal fluid retention, modulate neurohormonal activation and optimize haemodynamic function. In addition, prevention of thromboembolism is important. There are fewer studies available to guide treatment options, although the initial results of a large-scale blinded study of feline diastolic heart failure suggested that furosemide remains the most important part of treatment.1 In this study, treatment with atenolol hastened the recurrence of congestive failure or death, whereas ACE inhibitors and diltiazem were neutral. Furosemide: (1-5 mg/kg q12-24h PO) oral furosemide is used at doses sufficient to eliminate pulmonary oedema, or until unacceptable azotaemia develops. ACE inhibitors: although not proven to help with control of congestive signs, ACE inhibitors have not been shown to cause harm, even in cats with hypertrophic obstructive cardiomyopathy.2 A target dose of benazepril would be 0.5 mg/kg q24h, but dosing should be started at half this dose. There has been considerable interest in the concept that ACE inhibitors might be able to affect progression of hypertrophy in HCM, or even reverse hypertrophic changes.3 While angiotensin converting enzyme genotypes have been shown to influence the expression of hypertrophy in human HCM, there are no human studies as yet documenting regression of hypertrophy with ACE inhibitor use. One study has shown regression of hypertrophy with losartan in a rabbit model of HCM.4

DECREASE HEART RATE? Traditionally, diastolic heart failure has been treated with atenolol or diltiazem to slow heart rate. In view of the preliminary results of the multicentre study by Fox et al., atenolol should only be used with caution in cats with a history of congestive failure, and not at all in cats with current signs of congestive failure.1


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Negative inotropes for dynamic obstruction: human HCM patients with LVOTO have a worse outcome, although the same may not be true in cats.5;6 Negative inotropes can decrease LVOTO gradients, and beta-blockers are more effective at this than diltiazem in cats.7 The importance of controlling LVOTO gradients in cats with HOCM is uncertain. Positive inotropes for cats with systolic dysfunction: digoxin is relatively difficult to use in cats because of the high incidence of toxicity. Although there are no published data on the use of pimobendan in cats, it may be better tolerated.

Stage D- refractory congestive failure Furosemide: increase dose to effect (monitor renal function) Spironolactone: add to furosemide therapy (1 mg/kg q24h). Potassium levels should be monitored. Thiazides: in very refractory cases where furosemide is no longer effective, a thiazide can be added at low doses.

CONSIDERATIONS IN SPECIFIC CARDIAC DISEASES DCM Although nowadays most cases of feline dilated cardiomyopathy are not related to taurine deficiency, it is still worth measuring plasma taurine levels. Taurine supplementation (250-500 mg q12h PO)should be started until the results are received, and can be discontinued if taurine levels prove to be normal.

ARVC

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myocardial disease predisposing to thromboembolism cannot usually be resolved. Principles of treatment include analgesia, management of electrolyte and acid-base abnormalities, and prevention of thrombus extension. Thrombolytic therapy is still controversial. • Analgesia (butorphanol 0.2 mg/kg q8h SQ combined with acepromazine) or epidural anaesthesia. • Fluid therapy to maintain urinary output (unless there is concurrent pulmonary oedema). • Antibiotic therapy effective vs. anaerobic infection (e.g. ampicillin, amoxicillin). • Heparin (200 to 300 IU/ kg IV, then SQ q8h for 48-72 hours) Pulses often return within 72 hours, though use of the limb usually takes longer.

Prevention of thromboembolism Antithrombotic options include aspirin, warfarin, lowmolecular weight heparins and clopidogrel. Different doses of aspirin have been recommended (high dose: 40mg /cat q72h, or low dose: 5mg/cat q72h).(8) Warfarin is extremely difficult to use, as there are substantial risks of haemorrhage even with careful monitoring.(9) Low-molecular weight heparins must be administered by subcutaneous injection, and are associated with more risk of haemorrhage than aspirin, but less than warfarin. Their efficacy remains to be demonstrated in cats. Studies of clopidogrel are currently underway in cats.

Reference List 1.

Management of right-sided heart failure in ARVC can be frustrating, and the same approach is used as in other causes of feline congestive heart failure. Sotalol has been used for management of ventricular arrhythmias (2-4 mg/kg q12h PO).

2.

Systemic hypertension

4.

Although hypertension is not a common cause of congestive heart failure in cats, it should be treated when present. Amlodipine (1.25 mg/cat q12-24h PO) is the first choice treatment.

5.

3.

6.

Hyperthyroidism Hyperthyroidism should also be treated when present with congestive heart failure. If euthyroidism cannot be achieved (eg. when renal failure is present), diuretics and ACE inhibitors should be used to resolve congestive signs, and beta-blockers used for maintenance to minimize thryotoxicosis.

7. 8.

9.

Management of systemic thromboembolism Arterial thromboembolism is a frustrating condition to treat, with more than 50% of cats before leaving the hospital. Cats that survive an acute episode are likely to suffer repeats bouts of thromboembolism, as the underlying

Prospective, double-blinded, multicenter evaluation of chronic therapies for feline diastolic heart failure: interim analysis. Lakewood, CO: American College of Veterinary Internal Medicine, 2003. Oyama MA, Gidlewski J, Sisson DD. Effect of ACE-inhibition on dynamic left-ventricular obstruction in cats with hypertrophic obstructive cardiomyopathy. J Vet Intern Med 2003; 17(3). Amberger CN, Glardon O, Glaus T, Hörauf A, King JN, Schmidli H et al. Effects of benazepril in the treatment of feline hypertrophic cardiomyopathy. Results of a prospective, open-label, multicenter clinical trial. Journal of Veterinary Cardiology 1999; 1(1):19-26. Lim DS, Lutucuta S, Bachireddy P, Youker K, Evans A, Entman M et al. Angiotensin II blockade reverses myocardial fibrosis in a transgenic mouse model of human hypertrophic cardiomyopathy. Circulation 2001; 103(6):789-791. Maron MS, Olivotto I, Betocchi S, Casey SA, Lesser JR, Losi MA et al. Effect of Left Ventricular Outflow Tract Obstruction on Clinical Outcome in Hypertrophic Cardiomyopathy. The New England Journal of Medicine 2003; 348(4):295-303. Fox PR, Liu SK, Maron BJ. Echocardiographic assessment of spontaneously occurring feline hypertrophic cardiomyopathy. An animal model of human disease. Circulation 1995; 92(9):2645-2651. Bonagura JD, Stepien RL, Lehmkuhl LB. Acute effects of esmolol on left ventricular outflow obstruction in cats with hypertrophic cardiomyopathy. Journal of Veterinary Internal Medicine 5, 123. 1991. Smith SA, Tobias AH, Jacob KA, Fine DM, Grumbles PL. Arterial thromboembolism in cats: Acute crisis in 127 cases (1992-2001) and long-term management with low-dose aspirin in 24 cases. J Vet Intern Med 2003; 17(1):73-83. Harpster NK, Baty CJ. Warfarin therapy of the cat at risk of thromboembolism. In: Bonagura JD, Kirk RW, editors. Kirk’s Current Veterinary Therapy. Philadelphic: W.B. Saunders Company, 1995: 868-873.

Author’s Address for Correspondence: Virginia Luis Fuentes Senior Lecturer - Department of Veterinary Clinical Sciences, Royal Veterinary College - Hawkshead Lane, North Mymms, Hatfield AL9 7TA, United Kingdom


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Gestione dell’insufficienza cardiaca felina Virginia Luis Fuentes MA, VetMB, PhD, CertVR, DVC, MRCVS, Dipl ACVIM, Dipl ECVIM-CA (Cardiology), North Mymms, Hatfield, (UK)

Benché l’insufficienza cardiaca congestizia possa essere causata da molti tipi differenti di cardiopatia, l’approccio terapeutico può essere imposto più dai segni clinici e dallo stadio della malattia che dalla sua eziologia.

CARDIOPATIA A - A rischio B - Assenza di insufficienza cardiaca C - Insufficienza cardiaca passata o presente D - Insufficienza refrattaria cardiaca

Stadio A - a rischio I Maine coon possono essere maggiormente a rischio di miocardiopatia ipertrofica (HCM), per cui possono essere portati alla visita per uno screening. Ovviamente, non è indicato alcun trattamento.

Stadio B - cardiopatia asintomatica Esistono pochi studi relativi al trattamento dei gatti asintomatici per contribuire a guidare la terapia. È stato suggerito l’impiego di beta-bloccanti e diltiazem.

Stadio C - gatto in scompenso acuto È raramente possibile condurre un esame ecografico Doppler dettagliato su un gatto dispnoico per confermare il tipo di miocardiopatia, benché quando è in gioco la diagnosi di insufficienza cardiaca congestizia possa essere meno stressante effettuare un esame ecografico ultrarapido che ricorrere alla ripresa di radiografie del torace. Se è presente un ingrossamento dell’atrio sinistro → gestione aggressiva dell’insufficienza congestizia Se è presente un versamento pleurico → toracentesi Nota: è necessario operare con più attenzione che nel cane, per evitare l’iperazotemia prerenale. Somministrazione di O2: i gatti sono abbastanza piccoli perché risulti pratico l’impiego delle gabbie ad ossigeno. Sedazione: può essere ancor più importante sedare i gatti che i cani, dato che i felini dispnoici spesso vanno incontro ad un notevole stress (ad es., butorfanolo 0,25 mg/kg IM) Furosemide IV: la dose iniziale non deve essere superiore a 2 mg/kg, dopo di che si impiegano 1-2 mg/kg ogni 60 minuti fino a che la frequenza respiratoria non diminuisce

Toracentesi: i versamenti pleurici significativi sono più comuni che nei cani con insufficienza cardiaca congestizia e devono essere drenati attraverso una cannula butterfly

GATTI CON INSUFFICIENZA A BASSA GITTATA Prendere in considerazione l’uso della dobutamina, nonostante le controindicazioni teoriche degli agenti inotropi positivi che causano un aumento del consumo miocardico di ossigeno ed un incremento della tossicità nel gatto Nei felini la dobutamina deve essere iniziata a dosi inferiori a quelle impiegate nel cane (1,25 µg/kg/min) e si deve cercare di interrompere più precocemente le somministrazioni: si possono avere delle crisi convulsive al secondo giorno di terapia. Non sono disponibili dati relativi all’impiego acuto del pimobendan nel gatto. Monitorare gli effetti della terapia • Monitorare la frequenza e lo sforzo respiratorio nell’insufficienza congestizia • Monitorare atteggiamento, temperatura corporea, frequenza cardiaca e pressione arteriosa nell’insufficienza a bassa gittata • Monitorare funzione renale ed elettroliti

Stadio C - insufficienza congestizia moderata e terapia di mantenimento Gli scopi della terapia cronica sono di eliminare l’abnorme ritenzione di fluidi, modulare l’attivazione neurormonale ed ottimizzare la funzione emodinamica. Inoltre, è importante prevenire il tromboembolismo. Sono disponibili pochi studi da impiegare come guida per le opzioni terapeutiche, benché i risultati iniziali di un’indagine in cieco condotta su larga scala sull’insufficienza cardiaca diastolica felina abbiano suggerito che la furosemide resta la parte più importante del trattamento.(1) In questo studio, la terapia con atenololo ha accelerato la recidiva dell’insufficienza congestizia o la morte, mentre gli ACE-inibitori ed il diltiazem hanno portato a risultati neutrali. Furosemide: (1-5 mg/kg ogni 12-24 ore PO) la furosemide per via orale viene utilizzata a dosaggi sufficienti ad eliminare l’edema polmonare o fino a che non si sviluppa un’iperazotemia inaccettabile. ACE-inibitori: benché non sia stata dimostrata la loro utilità nel controllo dei segni congestizi, non è stato dimostrato


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neppure che gli ACE-inibitori causino dei danni, anche nei gatti con miocardiopatia ostruttiva ipertrofica. (2) La dose da raggiungere per il benazepril è di 0,5 mg/kg ogni 24 ore, ma la somministrazione va iniziata con metà di questa posologia. Si è sviluppato un notevole interesse sul concetto secondo cui gli ACE-inibitori potrebbero essere in grado di influire sulla progressione dell’ipertrofia nell’HCM, o persino di far regredire le modificazioni ipertrofiche. (3) Mentre è stato dimostrato che i genotipi dell’enzima angiotensina convertente influenzano l’espressione dell’ipertrofia nell’HCM umana, non esistono studi condotti nell’uomo che abbiano sinora documentato la regressione dell’ipertrofia con l’impiego di un ACE-inibitore. Uno studio ha dimostrato la regressione dell’ipertrofia con losartan in un modello di HCM nel coniglio. (4)

256

taurina, vale ancora la pena di misurare i livelli plasmatici di questo aminoacido. L’integrazione con taurina (250-500 mg ogni 12 ore PO) va iniziata fino a che non si ricevono i risultati delle analisi e può essere sospesa se i livelli ematici si dimostrano normali.

ARVC La gestione dell’insufficienza cardiaca destra nell’ARVC può essere frustrante, e si utilizza lo stesso approccio impiegato per altre cause di insufficienza cardiaca congestizia felina. Il sotalolo è stato utilizzato per il trattamento delle aritmie ventricolari (2-4 mg/kg ogni 12 ore PO).

Ipertensione sistemica DIMINUIRE LA FREQUENZA CARDIACA? Tradizionalmente, l’insufficienza cardiaca diastolica è stata trattata con atenololo o diltiazem per rallentare la frequenza cardiaca. Alla luce dei risultati preliminari dello studio multicentrico di Fox et al., l’atenololo va utilizzato con cautela nei gatti con insufficienza congestizia e non utilizzato affatto nei gatti con concomitanti segni di insufficienza congestizia. (1) Agenti inotropi negativi per l’ostruzione dinamica: i pazienti umani con HCM con LVOTO (left ventricular outflow tract obstruction, ostruzione del cono arterioso del ventricolo sinistro) hanno un esito più grave, anche se può darsi che ciò non valga anche nel gatto. (5,6) Nel gatto, gli agenti inotropi negativi possono diminuire i gradienti LVOTO e da questo punto di vista i beta-bloccanti sono più efficaci del diltiazem. (7) L’importanza del controllo degli gradienti LVOTO nei gatti con HCM è incerta. Agenti inotropi positivi per gatti con disfunzione sistolica: la digossina è relativamente difficile da utilizzare nei felini, a causa dell’elevata incidenza di tossicità. Benché non esistano dati pubblicati sull’impiego del pimobendan nel gatto, può essere meglio tollerato.

Stadio D - insufficienza congestizia refrattaria Furosemide: aumentare la dose sino ad effetto (monitorare la funzione renale) Spironolattone: aggiungere alla terapia con furosemide (1 mg/kg ogni 24 ore). Bisogna monitorare i livelli di potassio. Tiazidici: nei casi molto refrattari in cui la furosemide non è più efficace, si può aggiungere un tiazidico a basse dosi.

CONSIDERAZIONI NELLE SPECIFICHE CARDIOPATIE DCM Benché al giorno d’oggi la maggior parte dei casi di miocardiopatia dilatativa felina non sia correlata alla carenza di

Benché l’ipertensione non sia una causa comune di insufficienza cardiaca congestizia nel gatto, va trattata quando è presente. La prima scelta terapeutica è l’amlodipina (1-25 mg/gatto ogni 12-24 ore PO).

Ipertiroidismo Anche l’ipertiroidismo va trattato quando è presente insieme all’insufficienza cardiaca congestizia. Se non si riesce ad ottenere l’eutiroidismo (ad es., quando è presente un’insufficienza renale), si devono impiegare diuretici ed ACE-inibitori per risolvere le manifestazioni congestizie e beta-bloccanti per il mantenimento, al fine di ridurre al minimo la tireotossicosi.

Gestione del tromboembolismo sistemico Il tromboembolismo arterioso è una condizione frustrante da trattare, con più del 50% dei gatti che muore prima di lasciare l’ospedale. I felini che sopravvivono ad un episodio acuto hanno buone probabilità di andare incontro a ripetute manifestazioni di tromboembolismo, dato che la sottostante malattia miocardica predisponente al tromboembolismo di solito non può essere risolta. I principi di trattamento sono rappresentati da analgesia, gestione delle anomalie elettrolitiche ed acido-basiche e prevenzione dell’estensione del trombo. La terapia trombolitica è ancora controversa • Analgesia (butorfanolo 0,2 mg/kg ogni 8 ore SC combinato con acepromazina) o anestesia epidurale • Fluidoterapia per mantenere la produzione di urina (a meno che non sia presente un concomitante edema polmonare) • Terapia antibiotica efficace nei confronti delle infezioni anaerobiche (ad es., ampicillina, amossicillina) • Eparina (200-300 UI/kg IV, poi SC ogni 8 ore per 48-72 ore) Il polso spesso ricompare entro 72 ore, mentre l’uso dell’arto di solito richiede più tempo.


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Prevenzione del tromboembolismo Le opzioni antitrombotiche sono rappresentate da aspirina, warfarin, eparine a basso peso molecolare e clopidogrel. È stato suggerito l’impiego di differenti dosaggi di acido acetilsalicilico (dose elevata: 40 mg/gatto ogni 72 ore, o dose bassa: 5 mg/gatto ogni 72 ore).(8) Il warfarin è estremamente difficile da utilizzare, dato che esistono sostanziali rischi di emorragia anche con un monitoraggio accurato.(9) Le eparine a basso peso molecolare devono essere somministrate mediante iniezione sottocutanea e sono associate a maggiori rischi di emorragia rispetto all’acido acetilsalicilico, ma meno del warfarin. La loro efficacia nel gatto resta da dimostrare. Sono attualmente in corso studi sul clopidogrel nei felini.

4.

5.

6. 7. 8.

9.

Bibliografia 1. 2. 3.

Prospective, double-blinded, multicenter evaluation of chronic therapies for feline diastolic heart failure: interim analysis. Lakewood, CO: American College of Veterinary Internal Medicine, 2003. Oyama MA, Gidlewski J, Sisson DD. Effect of ACE-inhibition on dynamic left-ventricular obstruction in cats with hypertrophic obstructive cardiomyopathy. J Vet Intern Med 2003; 17(3). Amberger CN, Glardon O, Glaus T, Hörauf A, King JN, Schmidli H et al. Effects of benazepril in the treatment of feline hypertrophic car-

diomyopathy. Results of a prospective, open-label, multicenter clinical trial. Journal of Veterinary Cardiology 1999; 1(1):19-26. Lim DS, Lutucuta S, Bachireddy P, Youker K, Evans A, Entman M et al. Angiotensin II blockade reverses myocardial fibrosis in a transgenic mouse model of human hypertrophic cardiomyopathy. Circulation 2001; 103(6):789-791. Maron MS, Olivotto I, Betocchi S, Casey SA, Lesser JR, Losi MA et al. Effect of Left Ventricular Outflow Tract Obstruction on Clinical Outcome in Hypertrophic Cardiomyopathy. The New England Journal of Medicine 2003; 348(4):295-303. Fox PR, Liu SK, Maron BJ. Echocardiographic assessment of spontaneously occurring feline hypertrophic cardiomyopathy. An animal model of human disease. Circulation 1995; 92(9):2645-2651. Bonagura JD, Stepien RL, Lehmkuhl LB. Acute effects of esmolol on left ventricular outflow obstruction in cats with hypertrophic cardiomyopathy. Journal of Veterinary Internal Medicine 5, 123. 1991. Smith SA, Tobias AH, Jacob KA, Fine DM, Grumbles PL. Arterial thromboembolism in cats: Acute crisis in 127 cases (1992-2001) and long-term management with low-dose aspirin in 24 cases. J Vet Intern Med 2003; 17(1):73-83. Harpster NK, Baty CJ. Warfarin therapy of the cat at risk of thromboembolism. In: Bonagura JD, Kirk RW, editors. Kirk’s Current Veterinary Therapy. Philadelphic: W.B. Saunders Company, 1995: 868873.

Indirizzo per la corrispondenza: Virginia Luis Fuentes Senior Lecturer, Department of Veterinary Clinical Sciences, Royal Veterinary College, Hawkshead Lane, North Mymms, Hatfield AL9 7TA, United Kingdom


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Planning and evaluation of screening programmes for cardiovascular disease Virginia Luis Fuentes MA, VetMB, PhD, CertVR, DVC, MRCVS, Dipl ACVIM, Dipl ECVIM-CA (Cardiology), North Mymms, Hatfield, (UK)

Many small animal cardiovascular diseases have a familial tendency, suggesting genetic factors. Pure breed animals are most commonly affected, which represents a considerable problem for breeders. The first difficulty is in identifying affected animals, and the second is in drawing up guidelines on how this information should be used. Veterinary cardiologists are responsible for advising breeders on which animals are affected, but epidemiologists and geneticists should be responsible for advising breeders on how they use the information from screening in their breeding programmes.

Identification of affected animals While it is clearly undesirable to breed from animals with a genetically transmissible disease, identifying affected animals is sometimes difficult. This is not only a problem for breeders- even veterinary cardiologists may not reach consensus over the criteria for defining affected animals with some conditions. Compounding the difficulty of deducing genotype from phenotype is the late onset of many acquired cardiac diseases, with many affected animals not showing any sign of disease until after they have already been used for breeding.

Screening programmes require tests that are: • highly sensitive (so that no affected animals are mistakenly identified as normal, and included in the breeding pool) • highly specific (so that no normal animals are mistakenly excluded from the breeding pool) • widely available (so that most breeding stock are tested) • economical These criteria are difficult to meet.

Breeding recommendations In an ideal world, affected animals would be excluded from the breeding programme. There are some circumstances, however, where this may not be possible. This is particularly true where the prevalence of a genetic disease is very high, so that exclusion of all affected animals from breeding will unacceptably narrow the gene pool. This means that any screening scheme should be preceded by a prevalence study. In practice, this often means that at the start of screening, only vague recommendations can be given regarding breeding. Particular diseases are often associated with particular breeds. While screening tests may be appropriate for a range of breeds with the same disease, breeding recommendations may be breed-specific.

CONGENITAL HEART DISEASE Congenital disease

Breeds

Screening tests

Aortic / subaortic stenosis

Boxer Golden retriever Newfoundland Bouvier des Flandres

Auscultation Echocardiography

Tricuspid dysplasia

Labrador retriever

Echocardiography

Aortic/subaortic stenosis (SAS) SAS is one of the most common congenital cardiac defects in dogs, yet detection of affected animals remains one of the most frustrating problems in veterinary cardiology today. Aortic stenosis is unusual amongst congenital defects in that the lesions develop in the postnatal peri-

od, and may continue to progress up until maturity.1 This makes it difficult to screen for at an early age, particularly as the murmur may be similar to an innocent puppy murmur. There is a range in severity of SAS lesions, and most of the screening problems arise from the difficulty in detecting individuals at the mildly-affected end of the spectrum.


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The principal problem is how to distinguish dogs with mild SAS from normal dogs with functional murmurs. This has been a topic of great controversy for a number of years, and at present it is still unclear how to separate these two groups. Ejection murmurs may be associated with increased blood flow velocity in the outflow tracts (which may be present with a post-stenotic jet OR with increased stroke volume), increased diameter of the receiving vessel, or decreased blood viscosity. There is no consensus on the cause of mildly increased aortic blood flow velocity in dogs with low-grade ejection murmurs but no evidence of left ventricular outflow tract lesions on 2D echocardiography: some cardiologists believe these dogs have mild SAS and could potentially transmit the trait to their offspring. Other cardiologists believe that these dogs are normal, healthy dogs in the same way that some athletic individuals may have ‘flow murmurs’.

Auscultation • good sensitivity • poor specificity • relatively inexpensive Clinically significant SAS results in an audible cardiac murmur, with the intensity and duration of the murmur correlating with the severity of obstruction.2 Midsystolic murmurs heard best over the left heart base are often described as ‘ejection’ murmurs, and other causes of ejection murmurs include pulmonic stenosis, and ‘functional’ murmurs. Results are more reliable with trained cardiologists than with less experienced auscultators, but this increases the cost and reduces availability of the test.

Echocardiography • good sensitivity • good specificity • expensive Two-dimensional echocardiography is the diagnostic technique of choice for identifying the structural lesions of SAS, but mild lesions may be difficult to image. Doppler echocardiographic detection of increased left ventricular outflow tract velocities has become the clinical ‘gold standard’ for diagnosis of SAS, although even with this technique there is no clear-cut distinction between dogs with functional murmurs and dogs with mild SAS. An arbitrary velocity is often used as the deciding factor in distinguishing SAS from a ‘flow murmur’, although it has been suggested that increased aortic velocities should only be used as evidence of SAS in the presence of 2D lesions.3 Reliable results depend on the echo exam being performed by a trained and experienced operator, increasing the cost of screening and reducing availability. Even with experienced echocardiographers, a ‘grey zone’ remains where results may be interpreted as ‘equivocal’- SAS can neither be ruled in nor ruled out.

Tricuspid dysplasia Tricuspid dysplasia (TD) is especially prevalent in Labrador retrievers, and a scheme has been proposed based on echocardiographic screening for tricuspid leaflet abnormalities, abnormal numbers of papillary muscles, and abnormal chordal insertion. These morphologic features are highly variable even in normal dogs, and criteria for identifying abnormal morphology have not been well-established. Although most affected dogs have right-sided systolic murmurs, some dogs may have severe tricuspid regurgitation without an audible murmur.

ACQUIRED HEART DISEASE Acquired disease

Breeds

Screening tests

Degenerative mitral valve disease

Cavalier King Charles spaniel Whippet

Auscultation Echocardiography

Dilated cardiomyopathy

Dobermann Boxer Newfoundland

Echocardiography Ambulatory ECG recording

The two main acquired cardiac diseases with a suspected genetic component are degenerative (myxomatous) mitral valve disease (DVD) and dilated cardiomyopathy (DCM). In both conditions, the cardiac disease may only become evident after the affected animal has already been used for breeding, and lifelong annual testing may be necessary to distinguish normal from affected animals. One strategy used in Cavaliers is to rely heavily on parental testing.4 If the parents are free from DVD at a predetermined age, then the offspring may be assumed to be less likely to be affected (allowing breeding decisions to be made while the animal is

still too young to develop the disease). This may be an appropriate strategy for other acquired diseases.

DEGENERATIVE MITRAL VALVE DISEASE Auscultation • Reasonable sensitivity • Reasonable specificity • Relatively inexpensive


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Significant DVD is accompanied by a holosystolic left apical murmur, and this makes auscultation a reasonable choice for screening. Very early changes of DVD may be present without an audible murmur, and functional murmurs may be present in animals without DVD. Differentiation between these types of murmurs is more likely to be achieved by trained cardiologists, and ‘dynamic testing’ has been recommended as a means of identifying subtle murmurs.5

Echocardiography • good sensitivity • good specificity in moderate-severe disease • expensive DVD results in abnormal motion and structural changes in the mitral valve which can be detected by 2D echo. Color Doppler echo is a very sensitive test for mitral regurgitation, but it is possible that mild mitral insufficiency may be present in some normal dogs (as in normal humans and horses). Echocardiography is probably too expensive and required too much training to be a useful screening test.

DILATED CARDIOMYOPATHY

260

Future directions The ideal method of screening is to use a high sensitivity test to rule out unaffected animals, followed by a high specificity test to rule in affected animals. For acquired conditions, natriuretic peptide serum concentrations may prove to be an accessible, cheap and sensitive test to rule out unaffected animals. NT-proBNP assays are now commercially available, but appropriate reference ranges and cut-off points will need to be developed before these are used. It would be expected that animals with high NT-proBNP values would then be required to undergo a more specific test, such as echocardiography.

Evaluation of screening programmes Collection of data from screening is essential to establish breed prevalence and to develop breeding recommendations. It is also essential so that progress can be monitored- the desired end result of any breeding programme is to reduce the incidence of inherited disease.

Reference List 1.

Echocardiography • good sensitivity • good specificity • expensive Auscultation is not an appropriate screening test for DCM, but echoardiography is quite useful. Guidelines have been published on the use of echocardiography for diagnosis of DCM in asymptomatic dogs.6 Echocardiography is still best carried out by trained cardiologists.

2.

3.

4.

5.

Ambulatory ECG monitoring In breeds where ventricular arrhythmias are an important component of DCM (boxers and Dobermanns) the most useful test is 24 hour ECG monitoring. Much work has been done on the frequency of ventricular arrhythmias in boxers with arrhythmogenic right ventricular cardiomyopathy (ARVC).7 Holter monitoring is not useful for detection of myocardial failure, and both echo and Holter analysis may be necessary to screen for DCM in Dobermanns. Care must be taken to use Holter technicians with experience in reading canine Holter recordings.

6.

7.

Pyle RL, Patterson DF, Chacko S. The genetics and pathology of discrete subaortic stenosis in the Newfoundland dog. Am Heart J 1976; 92:324-334. Kvart C, French AT, Fuentes VL, Haggstrom J, McEwan JD, Schober KE. Analysis of murmur intensity, duration and frequency components in dogs with aortic stenosis. J Small Anim Pract 1998; 39(7):318-324. Bussadori C, Amberger C, Le Bobinnec G, Lombard CW. Guidelines for the echocardiographic studies of suspected subaortic and pulmonic stenosis. Journal of Veterinary Cardiology 2000; 2(2):17-24. Swenson L, Haggstrom J, Kvart C, Juneja RK. Relationship between parental cardiac status in Cavalier King Charles spaniels and prevalence and severity of chronic valvular disease in offspring. J Am Vet Med Assoc 1996; 208(12):2009-2012. Pedersen HD, Haggstrom J, Falk T, Mow T, Olsen LH, Iversen L et al. Auscultation in mild mitral regurgitation in dogs: observer variation, effects of physical maneuvers, and agreement with color Doppler echocardiography and phonocardiography. J Vet Intern Med 1999; 13(1):56-64. Dukes-McEwan J, Borgarelli M, Tidholm A, Vollmar AC, Haggstrom J. Proposed guidelines for the diagnosis of canine idiopathic dilated cardiomyopathy. Journal of Veterinary Cardiology 2003; 5(2):7-19. Meurs KM, Spier AW, Miller MW, Lehmkuhl L, Towbin JA. Familial ventricular arrhythmias in boxers. J Vet Intern Med 1999; 13:437-439.

Author’s Address for Correspondence: Virginia Luis Fuentes Senior Lecturer - Department of Veterinary Clinical Sciences, Royal Veterinary College - Hawkshead Lane, North Mymms, Hatfield AL9 7TA, United Kingdom


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Progettazione ed analisi dei programmi di screening delle malattie cardiovascolari congenite Virginia Luis Fuentes MA, VetMB, PhD, CertVR, DVC, MRCVS, Dipl ACVIM, Dipl ECVIM-CA (Cardiology), North Mymms, Hatfield, (UK)

Molte malattie cardiovascolari dei piccoli animali hanno una tendenza familiare, il che suggerisce l’esistenza di fattori genetici. Gli animali di razza pura sono colpiti più comunemente, il che costituisce un problema considerevole per gli allevatori. La prima difficoltà consiste nell’identificazione dei soggetti colpiti e la seconda nella messa a punto di linee guida relative alle modalità con cui utilizzare questa informazione. I cardiologi veterinari hanno la responsabilità di indicare agli allevatori quali animali siano colpiti, ma spetta agli epidemiologi ed ai genetisti fornire consigli relativi al modo con cui utilizzare le informazioni derivanti dallo screening nei loro programmi riproduttivi.

Identificazione degli animali colpiti Anche se è chiaramente indesiderabile far riprodurre degli animali con una malattia geneticamente trasmissibile, talvolta risulta difficile identificare i soggetti colpiti. Questo non è soltanto un problema per gli allevatori – può darsi che persino i cardiologi veterinari non riescano a trovare un consenso sui criteri per definire gli animali affetti da determinate condizioni. La difficoltà di dedurre il genotipo da fenotipo è complicata dall’insorgenza tardiva di molte cardiopatie acquisite, per cui molti animali colpiti non mostrano alcun segno di malattia fino ad un età in cui sono già stati utilizzati per la riproduzione. I programmi di screening richiedono test che siano: • altamente sensibili (per far sì che nessun animale colpito venga erroneamente identificato come normale ed incluso nel pool destinato alla riproduzione) • altamente specifici (per far sì che nessun animale normale venga erroneamente escluso dal pool riproduttivo) • disponibili su vasta scala (per far sì che sia possibile esaminare la maggior parte dei capi da riproduzione) • economici Questi criteri sono difficili da soddisfare.

Raccomandazioni relative alla riproduzione In un mondo ideale, gli animali colpiti sarebbero esclusi dal programma riproduttivo. Ci sono alcune circostanze, tuttavia, in cui ciò può risultare impossibile. Ciò vale in particolare quando la prevalenza di una malattia genetica è molto elevata, per cui l’esclusione dalla riproduzione della totalità dei capi colpiti porterebbe a restringere in modo inaccettabile il pool genico. Ciò vuol dire che qualsiasi schema di screening deve essere preceduto da uno studio di prevalenza. In pratica, ciò significa spesso che all’inizio dello screening è possibile fornire solo vaghe raccomandazioni circa l’impiego riproduttivo. Particolari malattie sono spesso associate a determinate razze. I test di screening possono essere appropriati per una gamma di razze colpite dalla stessa malattia, ma le raccomandazioni relative all’accoppiamento possono essere razza-specifiche.

Stenosi aortica/subaortica (SAS) La SAS è uno dei più comuni difetti cardiaci del cane, ma l’identificazione degli animali colpiti resta tuttora uno dei problemi più frustranti in cardiologia veterinaria. La stenosi aortica è inusuale fra i difetti congeniti, dato che le lesioni si sviluppano nel periodo postnatale e possono continuare a progredire fino alla maturità. (1) Ciò rende difficile effettuare lo screening di questa malattia in età precoce, in particolare perché il soffio può essere simile ad un soffio innocente da cucciolo. Le lesioni da SAS presentano un’ampia gamma di gravità e la maggior parte dei problemi di screening origina dalla difficoltà nell’identificare gli individui colpiti dalle forme lievi. Il problema principale è come distinguere i cani con SAS lieve da quelli normali con soffi funzionali. Questo è stato oggetto di una notevole controversia per molti

CARDIOPATIA CONGENITA Malattia congenita

Razze

Test di screening

Stenosi aortica/subaortica

Boxer Golden retriever Terranova Bovaro delle Fiandre

Auscultazione Ecocardiografia

Displasia della tricuspide

Labrador retriever

Ecocardiografia


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anni ed al momento attuale non è ancora chiaro come distinguere questi due gruppi. I soffi di eiezione possono essere associati ad un incremento della velocità del flusso ematico nei coni arteriosi (che può essere presente con un getto poststenotico OPPURE con un aumento della gittata sistolica), un aumento di diametro del vaso ricevente o una diminuzione della viscosità del sangue. Gli autori non concordano sulla causa dei lievi aumenti della velocità del flusso ematico aortico nei cani con soffi di eiezione di basso grado, ma non ci sono prove di lesioni del tratto di deflusso nel ventricolo sinistro all’ecocardiografia bidimensionale: alcuni cardiologi ritengono che questi cani siano colpiti da una SAS lieve e siano potenzialmente in grado di trasmettere il carattere alla loro progenie. Altri ritengono che questi cani siano normali e sani, allo stesso modo di alcuni atleti che possono avere dei “soffi da flusso”.

sinistro è diventato lo “standard aureo” clinico per la diagnosi della SAS, anche se persino con questa tecnica non esiste una chiara distinzione fra i cani con soffi funzionali e quelli con SAS lieve. Come fattore discriminante per distinguere la SAS da un “soffio da flusso”, si utilizza spesso una velocità arbitraria, anche se è stato suggerito che un aumento delle velocità aortiche dovrebbe essere utilizzato soltanto come prova della SAS in presenza di lesioni bidimensionali. (3) Il riscontro di risultati affidabili dipende dal fatto che l’esame ecografico venga eseguito da un operatore formato ed esperto, il che aumenta il costo dello screening e ne riduce la disponibilità. Anche con operatori esperti, rimane una “zona grigia” i cui risultati possono essere interpretati come “equivoci” – la SAS non può mai essere del tutto confermata o esclusa.

Displasia della tricuspide Auscultazione • buona sensibilità • scarsa specificità • relativamente poco costosa La SAS clinicamente significativa esita in un soffio cardiaco udibile, la cui intensità e durata sono correlate alla gravità dell’ostruzione. (2) I soffi mediosistolici si odono meglio in corrispondenza della base del cuore di sinistra e vengono spesso descritti come soffi “di eiezione”; altre cause di soffi di eiezione comprendono la stenosi polmonare ed il soffi “funzionali”. I risultati sono più affidabili quando l’auscultazione viene effettuata da un cardiologo preparato piuttosto che da operatori meno esperti, ma ciò aumenta il costo e riduce la disponibilità del test.

Ecocardiografia • buona sensibilità • buona specificità • costosa L’ecocardiografia bidimensionale è la tecnica diagnostica d’elezione per l’identificazione delle lesioni strutturali della SAS, ma le alterazioni lievi possono essere difficili da visualizzare. L’identificazione mediante ecocardiografia Doppler dell’aumento delle velocità nel cono arterioso del ventricolo

La displasia della tricuspide (TD) è particolarmente prevalente nel Labrador retriever ed è stato proposto uno schema basato sullo screening ecocardiografico per le anomalie dei lembi della valvola, il numero anormale di muscoli papillari e l’abnorme inserzione delle corde. Queste caratteristiche morfologiche sono altamente variabili anche nei cani normali ed i criteri per l’identificazione della morfologia anormale non sono stati ben stabiliti. Benché la maggior parte dei cani colpiti sia affetta da soffi sistolici destri, alcuni possono presentare un grave rigurgito della tricuspide senza un soffio udibile. Le due principali cardiopatie acquisite con una sospetta componente genetica sono la valvulopatia mitralica degenerativa (mixomatosa) (DVD) e la miocardiopatia dilatativa (DCM). In entrambe le condizioni, la cardiopatia può diventare evidente soltanto dopo che l’animale è già stato utilizzato per la riproduzione e per distinguere i soggetti normali da quelli colpiti può essere necessario effettuare per tutta la vita dei test con cadenza annuale. Una strategia utilizzata nei Cavalier è quella di basarsi ampiamente sui test eseguiti sui genitori. (4) Se questi ultimi sono indenni da DVD ad un’età predeterminata, si può presumere che la loro progenie abbia minori probabilità di essere colpita (il che permette di prendere delle decisioni quando gli animali sono ancora troppo giovani per sviluppare la malattia). Questa può essere una strategia appropriata per altre malattie acquisite.

CARDIOPATIA ACQUISITA Malattia acquisita

Razze

Test di screening

Valvulopatia degenerativa mitralica

Cavalier King Charles spaniel Whippet

Auscultazione Ecocardiografia

Miocardiopatia dilatativa

Dobermann Boxer Terranova

Ecocardiografia Registrazione elettrocardiografica nel paziente deambulante


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VALVULOPATIA MITRALICA DEGENERATIVA Auscultazione • Sensibilità ragionevole • Specificità ragionevole • Relativamente economica La DVD significativa è accompagnata da un soffio apicale sinistro olosistolico, il che rende l’auscultazione una scelta ragionevole per lo screening. Alterazioni molto precoci da DVD possono essere presenti senza un soffio udibile e soffi funzionali si possono riscontrare in animali senza DVD. La differenziazione fra questi tipi di soffi ha maggiori probabilità di essere effettuata da cardiologi esperti e come mezzo per identificare i soffi sottili è stato raccomandato il ricorso ai “test dinamici”.

Ecocardiografia • Buona sensibilità • Buona specificità nella malattia moderata-grave • Costosa La DVD esita in un’anomalia del movimento ed in alterazioni strutturali della valvola mitrale, che possono essere individuate mediante ecocardiografia 2D. L’ecocardiografia Doppler a codice di colore è un test molto sensibile per il rigurgito mitralico, ma può darsi che un’insufficienza mitralica lieve sia presente in alcuni cani normali (come nell’uomo e nel cavallo normali). L’ecocardiografia è probabilmente troppo costosa e richiede un’eccessiva preparazione degli operatori per costituire un utile test di screening.

MIOCARDIOPATIA DILATATIVA Ecocardiografia • buona sensibilità • buona specificità • costosa L’auscultazione non è un test di screening appropriato per la DCM, mentre l’ecocardiografia è molto utile. Sono state pubblicate le linee guida sull’impiego di questa metodica per la diagnosi della DCM nei cani asintomatici. (6) L’ecocardiografia deve essere preferibilmente eseguita da cardiologi esperti.

Monitoraggio ECG nel paziente deambulante Nelle razze in cui le aritmie ventricolari costituiscono una componente importante della DCM (Boxer e Dobermann), il test più utile è rappresentato dal monitoraggio ECG per 24 ore. Sono stati effettuati molti lavori sulla frequenza delle aritmie ventricolari nei Boxer con miocardiopatia ventricolare destra aritmogena (ARVC, arhythmogenic right ventricular cardiomyopathy) (7). Il monitoraggio Holter non è utile per individuare un’insufficienza miocardica, e per eseguire lo

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screening della DCM nel Dobermann può essere necessario impiegare sia l’ecografia che l’analisi Holter. È necessario stare attenti che la lettura delle registrazioni Holter venga effettuata da operatori dotati della specifica esperienza.

Futuri sviluppi Il metodo ideale per lo screening consiste nell’utilizzare un test ad elevata sensibilità per escludere gli animali non colpiti, seguito da uno ad alta specificità per individuare quelli colpiti. Per le condizioni acquisite, la determinazione delle concentrazioni sieriche del peptide natriuretico si può dimostrare un test accessibile, economico e sensibile per escludere gli animali non colpiti. Oggi si trovano in commercio test NT-proBNP, ma prima di poterli utilizzare sarà necessario mettere a punto gli appropriati intervalli di riferimento ed i limiti soglia. Ci si può attendere che gli animali con elevati valori di NT-proBNP dovranno poi essere sottoposti ad un esame più specifico, come l’ecocardiografia.

Valutazione dei programmi di screening La raccolta dei dati ottenuti attraverso gli esami di screening è essenziale per stabilire la prevalenza all’interno della razza e mettere a punto le indicazioni relative all’attività riproduttiva. È anche essenziale per poter monitorare i progressi – il risultato finale di qualsiasi programma di controllo della riproduzione è quello di ridurre l’incidenza delle malattie ereditarie.

Bibliografia 1.

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Indirizzo per la corrispondenza: Virginia Luis Fuentes, Senior Lecturer, Department of Veterinary Clinical Sciences, Royal Veterinary College, Hawkshead Lane, North Mymms, Hatfield AL9 7TA, United Kingdom


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Utilità e limiti della citologia auricolare Giovanni Ghibaudo Med Vet, Fano (Pesaro-Urbino)

La citologia associata ai segni clinici, all’esame otoscopico e ai test per identificare la malattia primaria, aumenta la capacità dei veterinari nel diagnosticare le alterazioni ed infezioni auricolari. La citologia è un test diagnostico semplice, rapido e pratico che dovrebbe essere eseguito in ogni occasione e su tutti i pazienti che presentano segni clinici riferibili ad un’otite esterna. L’esame citologico non è utilizzato per identificare la causa primaria dell’otite esterna, la quale si basa sull’anamnesi e il quadro clinico dell’animale; tale esame si utilizza, invece, per caratterizzare la natura dell’essudato auricolare e diagnosticare il tipo di alterazione (otite ceruminosa-desquamativa) o d’infezione presente (otite batterica, da lieviti o parassitaria). Raramente la citologia auricolare viene effettuata in soggetti asintomatici e questo diminuisce la confidenza con la citologia normale, fisiologica, del canale auricolare del cane e del gatto. La descrizione di tale quadro risulta, invece, fon-

damentale per poi compararlo ai quadri citologici infiammatori e infettivi del condotto uditivo esterno. Solo sulla base del tipo d’essudato e del quadro citologico è possibile utilizzare in modo appropriato ed efficace i prodotti terapeutici sia topici sia sistemici; infatti un’altra indicazione che ci fornisce la citologia è l’individuazione morfologica di alcuni microrganismi (batteri coccacei e bastoncellari, lieviti quali Malassezia spp. o Candida spp.) e il significato del loro numero (normale vs sovracrescita vs infezione) e del tipo di risposta immunitaria dell’ospite. La citologia seriale aiuta, oltre che per la diagnosi delle infezioni secondarie, a monitorare la progressione della malattia, a valutare la risposta terapeutica e di conseguenza a prendere decisioni gestionali appropriate e tempestive per ogni singolo caso. Nel corso della relazione sono illustrati e discussi i quadri citologici più rilevanti e utili per la diagnosi citologica auricolare.


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Non tutto è ernia del disco…. cisti subaracnoidee e idrosiringomielie Stefania Gianni Med Vet, Milano

Le cisti subaracnoideee sono patologie di raro riscontro sia in medicina umana che veterinaria anche se, negli ultimi anni, sono state segnalate con sempre maggior frequenza probabilmente grazie all’affinarsi delle capacità cliniche e delle metodiche di diagnostica per immagini avanzata a disposizione anche in ambito veterinario. Si tratta di raccolte anomale e focali di fluidi che generano compressione sul parenchima del midollo spinale loro adiacente causando i segni clinici tipici di una mielopatia traversa. In medicina veterinaria il termine cisti può ritenersi improprio in quanto, nessuna delle lesioni descritte, è risultata delimitata da una parete formata da cellule epiteliali, queste dilatazioni sono invece localizzate nello spazio compreso tra l’aracnoide e la pia madre e appaiono comunicanti con gli spazi liquorali; in questi casi in medicina umana vengono definite “diverticoli aracnoidei”. Non sono mai state segnalate connessioni con il canale centrale. Solitamente sono localizzate dorsalmente al midollo spinale vengono però segnalate anche in sede dorsolaterale o contemporaneamente dorsali e ventrali. In medicina umana le cisti vengono distinte in comunicanti, quando vi è passaggio di liquor tra la ciste e lo spazio subaracnoideo e non comunicanti, quando risultano isolate. È stato anche proposto un sistema di classificazione che distingue lesioni cistiche di tipo I, extradurali senza coinvolgimento delle radici dei nervi, di tipo II, extradurali con coinvolgimento delle radici dei nervi e di tipo III a sede intradurale. In medicina veterinaria sono state descritte solo cisti intradurali comunicanti. L’eziopatogenesi ad oggi non è completamente chiarita infatti nessuna teoria può, da sola, spiegare la formazione di tutte le tipologie di cisti rilevate. Probabilmente esistono diverse concause che concorrono alla formazione di questo tipo di lesione. Viene ritenuta probabile una origine traumatica o infiammatoria ma la giovane età di molti soggetti colpiti depone anche per una predisposizione congenita. Displasie della membrana aracnoide o della componente vascolare sembrano essere i fattori predisponenti sui quali traumi accidentali o iatrogeni e processi infiammatori lavorano generando lo sviluppo della patologia. La presenza di parecchi soggetti appartenenti a razze specifiche consente inoltre di ipotizzare anche una componente genetica, magari legata alla conformazione corporea o al peso della testa. Non è invece dimostrata una differente incidenza legata al sesso.

Le cisti aracnoidee si manifestano prevalente in cani giovani di grossa taglia a livello del tratto cervicale C1-C3, con una predisposizione per i Rottweiler, e in cani adulti di piccola taglia a livello del tratto toracico T11-T13, con una predisposizione per i Carlini. I segni clinici si manifestano in modo cronico progressivo e sono quelli di una progressiva paresi con atassia caratterizzata da ipermetria e frequentemente incontinenza urinaria e fecale; di solito detta sintomatologia non è accompagnata da dolore. Alla base dell’incontinenza vi è la quasi costante localizzazione dorsale delle lesione che, danneggiando i fasci sensoriali, genera una diminuita sensibilità rettale e conseguentemente una diminuita risposta degli sfinteri oltre ad una perdita della funzione inibitoria da parte dei centri superiori sul riflesso dell’urinazione e della defecazione in particolare. È considerata suggestiva di cisti subaracnoidee una sintomatologia da UMN associata ad insufficienza fecale. La diagnosi di cisti aracnoidea viene confermata dalla mielografia che, a livello dello spazio subaracnoideo, permette di evidenziare un accumulo focale di mezzo di contrasto che parte con gradualità per interrompersi bruscamente conferendo alla lesione una caratteristica forma a goccia nelle immagini laterali. La TAC non aggiunge molto mentre la RM è considerata superiore poiché consente una miglior definizione anatomica e la caratterizzazione del contenuto liquido della cisti. In RM, in situazioni di normalità, la dilatazione dello spazio subaracnoideo appare ipointensa nelle immagini pesate in T1 ed iperintensa nelle immagini pesate in T2 esattamente come il liquor. A volte si rilevano segni di atrofia midollare e di adesione ventrale. Indagini velocitometriche possono essere utilizzate per indagare la dinamica circolatoria del liquor e verificare l’ipotesi, sostenuta da molto autori, secondo cui la dimensione della cisti può variare in conseguenza di fenomeni di turbolenza legati alla presenza di aderenze che sono ritenute responsabili anche di un possibile effetto “valvola”. La terapia medica da risultati scarsi e incostanti quella chirurgica prevede un accesso tramite laminectomia dorsale o dorsolarerale associata a durotomia o preferibilmente fenestrazione e marsupializzazione. Dal punto di vista prognostico sembrano avere un “outcame” migliore i pazienti in cui la sintomatologia è in atto da un tempo minore e che hanno subito marsupializzazione o fenestrazione anziché una semplice durotomia. A volte il risultato finale risulta inficiato dal coesistere di altre patologie quali disrafie e siringomielie.


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All’esame istologico del frammento di meningi asportato le cellule aracnoidee appaiono ben differenziate e non mostrano segni di malignità ma eventualmente reazioni di tipo infiammatorio con moderata proliferazione del tessuto connettivo; sono state riscontrate fibrosi e aderenze tra l’aracnoide e la pia madre. Un’altra interessante anomalia degli spazi liquorali che viene descritta con sempre maggior frequenza è l’idrosiringomielia una patologia caratterizzata dallo sviluppo, all’interno del midollo spinale, di una o più cavità a contenuto liquido orientate lungo l’asse maggiore. Si tratta di una condizione acquisita che, a seconda del rapporto mantenuto con gli spazi normalmente occupati dal liquido cefalorachidiano, viene divisa in forme comunicanti e forme non comunicanti. Le forme comunicanti, definite idromielie, sono a tutti gli effetti delle dilatazioni del canale centrale del midollo spinale. Le forme non comunicanti, definite siringomielie, sono caratterizzate dallo sviluppo, all’interno del midollo spinale, di cavità a contenenuto liquido. Dal punto di vista clinico e diagnostico può risultare difficile distinguere le idromielie dalle siringomielie e quindi viene adottato il termine generico di idrosiringomielie. L’ultima parola nel distinguere le due situazioni spetta all’esame istologico dove nell’idromielia la cavità risulta coperta dalle stesse cellule ependimali caratteristiche del canale centrale mentre nella siringomielia la cavità risulta delimitata da cellule della glia. In alcuni casi le due forme sono concomitanti. Anche i meccanismi patogenetici che portano allo sviluppo di idromielie e siringomielie sono diversi. Le lesioni idromieliche o idrosiringomieliche comunicanti sono quasi costantemente associate a malformazioni della giunzione craniocervicale o ad altre anomalie di sviluppo in quest’area che creano fenomeni di squilibrio pressorio locale. Le lesioni siringomieliche non comunicanti sono spesso invece conseguenza di traumi, emorragie, forme neoplastiche o forme infiammatorie, tendono a localizzarsi a livello della sostanza grigia o della sostanza bianca del funicolo dorsale e laterale ed il liquido rilevato all’interno delle lesione può presentare un alta concentrazione proteica. Entrambe le situazioni, non infrequentemente, sono associate ad idrocefalo. La chiave di lettura della formazione delle cavità idrosiringomieliche e in particolare delle forme comunicanti probabilmente sta nelle alterazioni del flusso circolatorio liquorale in corrispondenza del quarto ventricolo e del foramen magno. Le difficoltà di deflusso del liquor dal cranio al midollo spinale, di qualsiasi origine, generano una differenza pressoria tra i due compartimenti. In situazione di normalità il liquor si muove avanti e indietro tra gli spazi aracnoidei intracranici e quelli spinali; se vi è un problema ostruttivo in questa sede questa dinamica risulta compromessa e il liquor a livello intracranico aumenta la sua pressione fino a poter vincere la resistenza incontrata e riversarsi negli spazi subaracnoidei spinali con notevole violenza. Questa continua differenza pressoria fra i due

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compartimenti predispone ad un danno parenchimale ed allo sviluppo di dilatazioni che spostano più a valle il problema di dinamica di flusso comportando una potenziale estensione del danno a tutto il tratto cervicale e oltre. In umana lo sviluppo di questo tipo di lesioni è spesso associato ad anomalie della fossa cranica posteriore conosciute come sindrome di Arnold Chiari. Questa malformazione è caratterizzata dalla parziale erniazione delle tonsille cerebellari attraverso il foramen magno per problemi di “sovraffollamento” della fossa cranica posteriore legati ad alterazioni della struttura ossea. Una situazione simile in medicina veterinaria è stata ben descritta nel Cavalier King Charles Spaniel. In generale questa patologia è più comune in cani di piccola taglia e viene associata a sintomi riconducibili ad una lesione del midollo spinale. Si possono rilevare paresi atassia e dolore locale. Nel CKCS il sintomo più frequentemente riportato è il trattamento incontrollabile di spalla e collo che è stato interpretato come conseguenza di una situazione di parestesia legata alla localizzazione anatomica delle lesioni che interessano il midollo spinale nella porzione centrale quindi a livello di sostanza grigia e tratti spinotalamici (central cord sindrome). La diagnosi può essere posta sulla base della clinica ma deve essere confermata tramite diagnostica per immagini. La mielografia può essere utile in particolare in casso di idromielia ma il “gold standard” resta la Risonanza Magnetica. La terapia medica con corticosteroidi ed eventualmente analgesici è destinata ai pazienti in cui la sintomatologia sia lieve e può condurre a miglioramenti specie se associata a riposo ed accorgimenti gestionali. La terapia chirurgica è complessa ed eventualmente deve essere finalizzata alla decompressione del tronco encefalico del cervelletto e del midollo spinale cervicale effettuando una craniectomia suboccipitale associata a durotomia.

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Indirizzo per la corrispondenza: Stefania Gianni E-mail: stefanianeurologia@katamail.com


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La visita clinica del gatto: 5 consigli per perfezionarla Sabrina Giussani Med Vet, Dipl ENVF, Busto Arsizio (VA)

INTRODUZIONE La visita del gatto è fondamentale nella pratica clinica, sia per il Medico Veterinario Generalista sia per il Medico Veterinario Specialista. Per realizzare un’accurata misurazione della temperatura, una corretta palpazione o effettuare un prelievo di sangue o altro materiale organico, è necessario che il paziente sia facilmente manipolabile anche per un lasso di tempo piuttosto lungo. Affinché il gatto associ alla visita un’emozione positiva ed un “buon ricordo” è possibile perfezionare alcuni punti critici della pratica clinica: • Il viaggio (il trasportino, il trasporto in automobile); • La permanenza in sala d’attesa; • La sala visita (il tavolo, l’esplorazione); • Il Medico Veterinario (il tono della voce e la cinetica, le mani ed il camice); • La visita clinica (la manipolazione, il premio in cibo).

IL VIAGGIO Il viaggio inizia quando il proprietario pone il gatto nel trasportino. È necessario che questa operazione non si trasformi in un inseguimento, altrimenti il paziente assocerà un’emozione negativa che lo porterà, quando manipolato durante la visita, a mettere in atto un comportamento di aggressione. Il gatto possiede un doppio statuto (è un predatore ed anche una preda) ed è in grado di modificare rapidamente la dimensione del campo di aggressione. Questo animale possiede, infatti, un campo territoriale centrato sul proprio corpo e qualsiasi intrusione provoca quasi istantaneamente un comportamento di aggressione. Le dimensioni di questa area variano in funzione dello stato emozionale e fisiologico: quando il gatto è “impaurito” è notevolmente ampia, mentre quando è “tranquillo” assume dimensioni molto ridotte. Il trasporto in automobile costituisce un altro punto critico. I vocalizzi, le minzioni e defecazioni emozionali, la polipnea ed il vomito sono sintomi di estremo disagio e contribuiscono alla nascita di uno stato fobico. Infatti, grazie al meccanismo di bio feed - back, le manifestazioni neurovegetative diverranno sempre più intense e compariranno anche alla sola vista dell’automobile. La fobia da trasporto ed “il mal d’auto” compromettono lo stato emozionale dell’animale provocando non solo la memorizzazione di una esperienza negativa ma anche la dilatazione del campo di aggressione.

Al fine di realizzare il viaggio in modo corretto, è opportuno perfezionare l’ingresso del gatto nel trasportino ed il trasporto in automobile.

L’ingresso nel trasportino • Acquistare un trasportino di plastica e non a maglie metalliche; • Vaporizzare *Feliway vaporizzatore nel trasportino (2 - 3 nebulizzazioni, realizzate nell’ambiente esterno per favorire l’evaporazione del solvente presente nel prodotto); • Attendere qualche minuto e lasciare il trasportino aperto nella stanza dell’abitazione maggiormente frequentata dal gatto; • Per facilitare l’esplorazione, è necessario porre premi in cibo nel trasportino; • Questa operazione deve essere ripetuta quotidianamente fino a quando il gatto entrerà con tranquillità e vi stazionerà a lungo; • Il trasportino sarà lasciato a disposizione per tutta la vita dell’animale; • Prima di ogni viaggio è bene ripetere l’applicazione di *Feliway vaporizzatore; • Al rientro a casa, il trasportino dovrà essere accuratamente deterso con acqua tiepida e sapone neutro per eliminare i feromoni d’allarme deposti dal gatto durante il trasporto e la visita; • Dopo ogni viaggio è bene ripetere l’applicazione di *Feliway vaporizzatore.

Il trasporto in automobile • Vaporizzare *Feliway vaporizzatore nella zona dell’abitacolo dove sarà posto il trasportino (2 - 3 nebulizzazioni, realizzate lasciando le portiere aperte per favorire l’evaporazione del solvente presente nel prodotto); • Attendere qualche minuto e collocare il paziente; • È consigliabile evitare frenate improvvise e ripetute accelerazioni poiché il disagio legato al trasporto potrebbe portare a manifestazioni neurovegetative (scialorrea, vomito); • Il trasporto in automobile deve essere ripetuto con frequenza settimanale (compiendo ad esempio il giro dell’isolato) almeno durante il primo anno di vita del gattino per consentire al piccolo di abituarsi all’automobile; • Prima di ogni viaggio è bene ripetere l’applicazione di *Feliway vaporizzatore.


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LA PERMANENZA IN SALA D’ATTESA La presenza di altri animali (conspecifici e non) e di esseri umani sconosciuti può concorrere alla dilatazione del campo di aggressione del gatto. Inoltre, rumori improvvisi e movimenti bruschi intimoriscono questo animale a doppio statuto di preda e predatore. I feromoni di allarme deposti da cani e gatti transitati in sala d’attesa nelle ore precedenti, possono concorrere a modificare lo stato emozionale del paziente. Al fine di associare alla visita clinica un “buon ricordo” è opportuno perfezionare la permanenza in sala d’attesa. • Detergere più volte al giorno il pavimento con acqua tiepida e sapone neutro, per eliminare i feromoni di allarme; • Cercare di limitare l’emissione di rumori, come porte che si chiudono violentemente, e movimenti bruschi del personale (ad esempio correre o gesticolare); • Riservare alcuni posti a sedere (segnalandoli con un cartello) ai proprietari di gatti, in modo da evitare la presenza in quella zona di feromoni appartenenti a specie diverse; • È consigliabile, quando possibile, destinare una stanza (anche all’interno della Clinica) riservata all’attesa dei soli proprietari di gatti, dove applicare *Feliway diffusore; • È opportuno avvertire il proprietario della possibilità di realizzare una visita previo appuntamento in modo da limitare il più possibile la permanenza in sala d’attesa.

LA SALA VISITA La sala visita deve essere accogliente “dal punto di vista” del gatto. Le stanze dotate di illuminazione naturale saranno da preferire, così come quelle dove è possibile lasciare il paziente libero durante il colloquio con i proprietari. Il gattino (ed il gatto adulto) è “curioso” ed esplora con piacere i luoghi sconosciuti soprattutto quando sono presenti ampie vetrate o finestre con vista sull’ambiente esterno. È opportuno ricordare che rumori improvvisi e movimenti bruschi intimoriscono questo animale a doppio statuto di preda e predatore. La superficie del tavolo da visita dovrà essere confortevole, morbida ed antiscivolo. Inoltre, i feromoni di allarme deposti da altri animali durante le precedenti visite, possono modificare lo stato emozionale del paziente inducendo un comportamento di evitamento e di fuga. Al fine di accogliere il paziente in modo corretto è opportuno perfezionare l’ingresso in sala visita. • Detergere il tavolo con acqua tiepida e sapone neutro, al fine di eliminare i feromoni di allarme; • È possibile applicare detergenti e disinfettanti dopo aver lavato il tavolo ma è necessario pulirlo nuovamente con acqua e sapone neutro poco prima di accogliere il paziente (altrimenti la composizione chimica dei feromoni potrebbe modificarsi); • Vaporizzare *Feliway vaporizzatore sul tavolo (2 - 3 nebulizzazioni); • Attendere qualche minuto e deporre il trasportino sul tavolo; • È necessario lasciare al gatto il tempo necessario per osservare l’ambiente, senza forzarlo ad uscire;

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• È consigliabile consentire al paziente di esplorare la stanza (dopo aver occluso eventuali passaggi ciechi che potrebbero servire da nascondiglio) prima di iniziare la visita clinica.

IL MEDICO VETERINARIO Gli elementi che possono contribuire a modificare lo stato emozionale del gatto, sono il tono della voce e la cinetica del Medico Veterinario. Parlare ad alta voce, muoversi con rapidità e gesticolare intimidiscono il paziente favorendo la dilatazione del campo di aggressione. Inoltre, i feromoni di allarme presenti sulle mani e sul camice del Professionista inducono il gatto alla fuga compromettendo la visita clinica. La manipolazione dovrebbe iniziare quando il paziente ha terminato l’esplorazione della sala visita e si è accoccolato vicino al trasportino (lasciato aperto, sul pavimento) o, più frequentemente, sulla scrivania. Al fine di perfezionare l’approccio al paziente è necessario: • Assumere un tono di voce basso, parlare con ritmo cantilenante e continuo tranquillizza il paziente; • Muoversi lentamente cercando di gesticolare il meno possibile, prediligendo la postura statica alla scrivania favorisce l’esplorazione della stanza; • È opportuno lavare mani ed avambracci con acqua e sapone neutro poco prima di iniziare la manipolazione del gatto per rimuovere i feromoni di allarme; • È consigliabile utilizzare un camice pulito dopo aver visitato un paziente (gatto o cane) particolarmente timoroso poiché sul tessuto potrebbero essere rimasti feromoni di allarme.

LA VISITA CLINICA L’Esame Obiettivo Particolare impone al Medico Veterinario l’esecuzione delle manovre cliniche secondo un ordine ben preciso: ispezione, palpazione, percussione, auscultazione e misurazione della temperatura. È bene ricordare che la misurazione della temperatura è indubbiamente la manovra “più fastidiosa”. Per ridurre il più possibile il disagio del gatto durante la visita, è opportuno iniziare con ispezione e auscultazione, proseguendo con la misurazione della temperatura e concludendo con la palpazione. Così facendo è possibile terminare l’incontro lasciando un ricordo “positivo” Inoltre, conoscere la comunicazione del gatto è fondamentale per condurre una corretta visita clinica. La dilatazione delle pupille, i tremori, l’essudazione dei cuscinetti plantari, il leccamento del naso, lo sbadiglio, le minzioni/ defecazioni emozionali sono segnali di stress che indicano al Clinico il termine della “disponibilità” del paziente. Al fine di manipolare il paziente in modo corretto è opportuno perfezionare la visita clinica. • Prima di iniziare la manipolazione è necessario attendere che il gatto prenda l’iniziativa del contatto, poiché il


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paziente deve osservare ed esplorare il Clinico prima di accettare il contatto fisico; La manipolazione deve essere dolce, realizzata con movimenti brevi (limitati alla testa ed al collo) e ripetuta (quasi ritmicamente, come un massaggio); È bene ricordare che, una volta iniziato, il contatto fisico deve essere mantenuto fine al termine della visita poiché il campo di aggressione del gatto potrebbe dilatarsi impedendo la successiva manipolazione; Al termine della visita il paziente sarà invitato ad entrare nel trasportino ricompensandolo con uno snack appetitoso (in vendita presso i negozi per animali); È consigliabile chiudere il trasportino solo pochi secondi prima di accompagnare il proprietario all’uscita in modo che il gatto non si agiti vocalizzando e cercando di accedere all’ambiente esterno.

CONCLUSIONI Perfezionare la visita clinica prestando attenzione ai 5 punti sopra riportati, consentirà al Medico Veterinario di valutare il paziente ogni volta che sarà necessario. Infatti, il gatto assocerà l’esperienza fatta ad un “ricordo positivo” ed in futuro sarà disponibile a ripeterla.

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È opportuno evidenziare che il tempo necessario a condurre la visita seguendo i 5 punti è superiore a quello normalmente destinato a tale scopo. Il Clinico, per poter rimanere al passo con i tempi, dovrà sempre più porsi come obiettivo il benessere del paziente e la qualità della prestazione a discapito della quantità.

Bibliografia Giussani Sabrina, Colangeli Raimondo, Fassola Franco – “L’uso dei feromoni nella terapia comportamentale del gatto. Esperienze cliniche.” – Rivista di zootecnia e veterinaria pp 13 - 34 Volume 31 n° 1 Gennaio - Giugno 2003 Giussani Sabrina, Colangeli Raimondo, Fassola Franco – “Approccio clinico all’utilizzo della feromonoterapia nel gatto.” – Rivista di zootecnia e veterinaria pp 35 – 45 Volume 31 n° 1 Gennaio - Giugno 2003; R. Colangeli & S. Giussani, (2004), “Medicina comportamentale del cane e del gatto”, Poletto Editore, Gaggiano; Sarah M. A. Caney, BVSc, PhD, Dipl SAM (Feline), MRCVS, RCVS Spec in Feline, Emsworth, UK, Cos’è e come impostare una “cat friendly practice”, Atti del 55° Congresso di Medina Felina, marzo 2007.

Indirizzo per la corrispondenza: Sabrina Giussani - sgiuss@mac.com - Tel 3331861226


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Atopic dermatitis in the dog: how to make a diagnosis and how to choose the best therapeutic options Craig E. Griffin DVM, Dipl ACVD, California, USA

The International Task Force of Canine Atopic Dermatitis (ITFCAD) has defined canine atopic dermatitis (CAD) as a genetically predisposed inflammatory and pruritic allergic skin disease with characteristic clinical features associated with IgE antibodies most commonly directed against environmental allergens. Canine atopic-like dermatitis (CA-LD) is defined as an inflammatory and pruritic skin disease with clinical features identical to those seen in canine atopic dermatitis in which an IgE response to environmental or other allergens cannot be documented. Based on these definitions the major diagnostic criteria are the characteristic clinical features. Pruritus is the essential clinical feature and will involve normal appearing skin or skin with erythema, small erythematous papular dermatitis, or erythematous macules. The location of the lesions and pruritus will include one or a combination of the following body areas: muzzle; perioral, periocular, pinnae, ear canals, paws, flexor surface of metacarpus, extensor surface of metatarsus, flexor surface of antebrachium, axilla, groin, and perineum. Seasonality of symptoms and concurrent rhinitis or conjunctivitis add to the probability a dog has atopic dermatitis. Gastrointestinal abnormalities are not associated with atopic dermatitis unless there is a concurrent disease such as an adverse food reaction. Secondary infections (bacteria or yeast) commonly occur and can alter the degree of pruritus and lesions seen. However since secondary infections may also mimic atopic dermatitis the diagnosis of CAD requires that the clinical features are present when there is no cutaneous infection present. Chronic pruritus and dermatitis often result in secondary changes such as alopecia, hyperpigmentation and lichenification. Since other diseases can have similar clinical features the diagnosis of atopic dermatitis is one of exclusion. The process of exclusion requires that the most notable differential diagnoses are ruled out by appropriate historical or clinical findings, diagnostic tests or trial therapies. Flea allergy, adverse food reactions and sarcoptic mange need to be ruled out. The diagnosis of CAD requires appropriate allergy testing that demonstrates allergen specific IgE to plausible causative allergens. The diagnosis of CA-LD requires negative tests for allergen specific IgE to a reasonable relevant selection of allergens. Modified microemulsion cyclosporine (AtopicaÂŽ, Novartis) at 5mg/kg q24h was shown effective for treating CAD. (Olivry, Rivierre et al. 2002; Olivry, Steffan et al. 2002) Those along with many other studies have extensively evaluated the drug. Once CAD has gone into remission it is often possible to lower the dose to q48h or less. Some dogs may

also go off the drug and have prolonged remissions of several months. It is the first alternative therapy to glucocorticoids that has shown similar efficacy to prednisolone and methylprednisolone. Cyclosporin has multiple effects on the skin immune and inflammatory response. Originally the mode of action was felt to be relatively specific for effects on T helper lymphocytes. Cyclosporin complexes bind calcineurin and inhibit the signal transduction to the nucleus resulting in blocked or impaired synthesis of multiple cytokines, most notably interleukin-2 (IL-2) and inhibits Tcell proliferation and the formation of cytotoxic lymphocytes. Cyclosporine is also thought to inhibit, via suppression of calcium-mediated signal transduction, mast cells and IgE-mediated immediate and LPR reactions. A recent study in dogs showed that suppression of mRNA for IL-2, IL-4 and gamma interferon but not TNF alpha as described in humans.(Kobayashi, Momoi et al. 2006) In additions dogs do not have an up regulation of TGF beta as in man. These results suggest species differences may occur. Multiple studies have demonstrated influences on mast cells, Langerhans cells, keratinocytes, eosinophils and lymphocytes. Adverse reactions have been reported in a study of up to 268 atopic dogs(Steffan, Parks et al. 2005). The most commonly encountered side effects are vomiting and diarrhea. Vomiting is often short term or administration with food may alleviate it. In other cases temporary concurrent use of metoclopromide 0.2 to 1mg/kg q24h may allow continued use. For diarrhea temporarily stopping the drug then treating again with the addition of metronidazole or fiber to the diet may alleviate the diarrhea. However this has been the most common medical reason the drug has to be discontinued. Hirsutism and gingival hyperplasia have also been seen at the doses used for atopic disease. Hirsutism is often a generalized thickened more dense hair coat often associated with increased shedding. In other cases there are patterns where the hair growth is exceptionally long. This seems to most often affect the paws and head or face region. Papillomatous hyperplasia may also be seen and infrequently is viral and more often bacterial. Bacterial infections may appear as atypical lesions. Nephrotoxicity and hepatic toxicity has not been observed in dogs, as a significant problem. This is more of a concern when ketoconazole is used for concurrently either for Malassezia or as dose sparing agent. Elevated blood pressure is concern in humans and though rare in dogs should be monitored for. In humans there is an increased risk for malignancy especially skin neoplasia with cyclosporine use.


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Topical Immunomodulators (TIMs) are a new class of drugs that have been approved in humans for the treatment of atopic dermatitis. The initial approved formulation, Tacrolimus, has also been shown effective in dogs with atopic dermatitis, especially localized disease.(Marsella, Nicklin et al. 2004; Bensignor and Olivry 2005) Tacrolimus is a 23-member macrolide produced by Streptomyces tsukabaensis and the topical formulation is called Protopic® an ointment available as a 0.1% or 0.03%. The other approved drug in this category is Pimecrolimus (Elidel®) which is an ascomycin macrolactam derivative that acts similar to Tacrolimus. It is used similar to Protopic though studies documenting it efficacy have not been done. No comparisons have been done in dogs but anecdotal reports suggest that in some dogs it is less irritating and the cream base is preferred by some clients. The TIMs have topical anti inflammatory effects without the atrophogenic effects and metabolic effects of topical glucocorticoids. The mechanism of action is similar to cyclosporine by inhibition of calcineurin, but 10 to 100 times more potent. Large multicenter human studies indicate it is a very safe drug with minimal systemic absorption. However animal studies have shown an increase risk for skin cancers and there is a concern that humans with long term use may also be predisposed to skin cancers including melanoma and possible lymphoma. This led the Food and Drug Administration to include this warning on the label and now recommend these drugs in more limited settings when other forms of therapy have been ineffective.

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These drugs are used for localized atopic dermatitis that is not effective to topical glucocorticoids. Initial treatment is a light application of the ointment or cream until it is completely rubbed in twice daily for two weeks. If a response is seen the frequency may be lowered to once daily or less. To date problems other than irritancy have not been noted in dogs. Interferons (INF) are a group of glycoprotein cytokines produced by a variety of inflammatory cells and fibroblasts that have numerous immunologic effects. There are several recognized interferons and they do vary in their immunologic effects. The initial commercial form of interferon is the recombinant human INF alpha-2b ( Roferon-A®) and more recently a veterinary product became available. Carlotti used recombinant feline INF-omega (Virbagen®, Omega) has been shown helpful in an open trial of atopic dogs. A small open pilot trial with canine interferon gamma also suggests efficacy at high doses.(Iwasaki, Park et al. 2005) Interferon alpha (Roferon®) comes as a 3 million IU/ml solution and is diluted in 999 ml lactated ringers and then divided into 30 ml ampoules that anecdotally will remain stable if frozen. Once thawed it is kept refrigerated for thirty days. The refrigerated ampoule is then used at 0.33 ml, 1,000IU given orally daily. The oral administration is done by injecting the solution in the buccal cavity as it is believed the absorption is from the upper oral mucosa. Anecdotally they are cases convinced that this low dose regimen if effective and also have used it concurrently with allergen specific immunotherapy. Controlled studies are needed to see if it improves the efficacy of ASIT.


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Dermatite atopica nel cane: come diagnosticarla e scegliere le opzioni terapeutiche migliori Craig E. Griffin DVM, Dipl ACVD, California, USA

La International Task Force of Canine Atopic Dermatitis (ITFCAD) ha definito la dermatite atopica del cane (CAD, canine atopic dermatitis) come una malattia allergica della cute, basata su una predisposizione genetica ed a carattere infiammatorio e pruriginoso con caratteristiche cliniche tipiche, associate ad anticorpi della classe delle IgE che, nella maggior parte dei casi, sono diretti contro allergeni ambientali. Si definisce come dermatite simil-atopica del cane (CALD, canine atopic-like dermatitis) una malattia della cute a carattere infiammatorio e pruriginoso con caratteristiche cliniche identiche a quelle osservate nella dermatite atopica del cane, ma nella quale non è possibile documentare una risposta delle IgE ad allergeni ambientali o di altra natura. Sulla base di queste definizioni, i principali criteri diagnostici sono rappresentati dalle caratteristiche cliniche tipiche. Quella essenziale è il prurito, che coinvolge sia la cute di aspetto normale che quella che presenta eritema, dermatite con piccole papule eritematose o macule eritematose. La localizzazione delle lesioni ed il prurito coinvolgono una o più delle seguenti aree corporee: regione facciale, periorale, perioculare, padiglioni auricolari, condotti uditivi, zampe, superficie flessoria del metacarpo, superficie estensoria del metatarso, superficie flessoria dell’avambraccio, ascella, inguine e perineo. La stagionalità delle manifestazioni cliniche e la concomitante rinite o congiuntivite aumentano le probabilità che un cane sia colpito da una dermatite atopica. Le anomalie gastroenteriche non sono associate alla dermatite atopica, a meno che non si sia in presenza di una malattia concomitante come una reazione avversa al cibo. Le infezioni secondarie (batteri o lieviti) costituiscono un riscontro comune e possono alterare il grado del prurito e delle lesioni osservate. Tuttavia, dal momento che anche le lesioni secondarie possono simulare la dermatite atopica, la diagnosi di questa condizione richiede che siano presenti le caratteristiche cliniche in assenza di un’infezione cutanea. Il prurito cronico e la dermatite esitano spesso in alterazioni secondarie quali alopecia, iperpigmentazione e lichenificazione. Dal momento che altre malattie possono avere caratteristiche cliniche simili, la diagnosi di dermatite atopica viene formulata per esclusione. Questo processo richiede che vengano eliminate progressivamente le principali possibili diagnosi differenziali attraverso appropriati riscontri anamnestici o clinici, test diagnostici o tentativi terapeutici. È necessario escludere l’allergia alle pulci, le reazioni avverse al cibo e la rogna sarcoptica. La diagnosi di CAD richiede appropriati test allergici che dimostrino la presenza di IgE allergene-specifiche nei confronti di allergeni plausibili come agenti eziologici. Per formulare la diagnosi di CA-LD

è necessario che abbiano dato esito negativo i test per IgE allergene-specifiche condotti con una gamma ragionevolmente ampia e diversificata di allergeni. Per il trattamento della CAD si è dimostrata efficace la ciclosporina in microemulsione modificata (Atopica®, Novartis) alla dose di 5 mg/kg ogni 24 ore. (Olivry, Rivierre et al. 2002; Olivry, Steffan et al. 2002). Questi studi, insieme con molti altri, hanno valutato a fondo il farmaco. Una volta ottenuta la remissione della malattia, spesso è possibile abbassare il dosaggio ad ogni 48 ore o anche meno. Alcuni cani possono anche arrivare liberarsi dalla necessità del farmaco e presentare prolungate remissioni della durata di parecchi mesi. È la prima terapia alternativa ai glucocorticoidi che abbia dimostrato un’efficacia simile a quella del prednisolone e del metilprednisolone. La ciclosporina ha molteplici effetti sull’immunità della cute e sulla risposta infiammatoria. In origine si riteneva che la sua modalità d’azione fosse relativamente specifica per gli effetti sui linfociti T helper. I complessi della ciclosporina si legano alla calcineurina ed inibiscono la trasduzione del segnale al nucleo, esitando nel blocco o nella compromissione della sintesi di molteplici citochine, ed in particolare dell’interleuchina-2 (IL-2), e nell’inibizione della proliferazione delle cellule T e della formazione dei linfociti citotossici. Si ritiene anche che la ciclosporina inibisca, attraverso la soppressione della trasduzione del segnale mediata dal calcio, le reazioni immediate mediate dalle mast cell e dalle IgE e le reazioni tardive (LPR, late phase reactions). Una recente indagine condotta nel cane ha dimostrato questa soppressione dell’mRNA per la IL-2, la IL-4 ed il gamma interferon, ma non per il TNF-alfa come descritto nell’uomo (Kobayashi, Momoi et al. 2006). Inoltre, i cani non presentano un aumento della sensibilità (up regulation) del TGF-beta come nell’uomo. Questi risultati suggeriscono la possibilità che vi siano delle differenze di specie. Molteplici studi hanno dimostrato influenze su mast cell, cellule di Langerhans, cheratinociti, eosinofili e linfociti. In uno studio condotto su 268 cani atopici sono state segnalate delle reazioni avverse (Steffan, Parks et al., 2005). Gli effetti collaterali più comunemente riscontrati sono rappresentati da vomito e diarrea. Il primo è spesso a breve termine, oppure può essere alleviato dalla somministrazione del cibo. In altri casi, il temporaneo impiego concomitante di metoclopramide alla dose di 0,2-1,0 mg/kg ogni 24 ore può consentire di continuare ad usare il farmaco. Nel caso della diarrea, questa può essere alleviata interrompendo temporaneamente le somministrazioni e poi riprendendo il trattamento con l’aggiunta di metronidazolo o fibra alla dieta.


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Tuttavia, questa è stata la più comune ragione medica di sospensione del trattamento. Alle dosi utilizzate per la malattia atopica si sono anche osservati irsutismo ed iperplasia gengivale. L’irsutismo è spesso rappresentato da un ispessimento generalizzato di un mantello più fitto, frequentemente associato ad un aumento della muta. In altri casi, questi sono quadri in cui la crescita del pelo risulta eccezionalmente lunga. Nella maggior parte dei casi, questa condizione sembra colpire le estremità degli arti e la regione della testa o della faccia. Si può anche osservare un’iperplasia papillomatosa che è di origine virale in rare occasioni e più spesso batterica. Le infezioni batteriche si possono presentare come lesioni atipiche. Nefrotossicità ed epatotossicità non sono state osservate nel cane come problema significativo. Queste condizioni sono da tenere maggiormente in considerazione quando viene utilizzato il ketoconazolo per il trattamento concomitante di un’infezione da Malassezia o per consentire di ridurre il dosaggio. Nei pazienti umani, costituisce un motivo di preoccupazione l’elevata pressione sanguigna che, per quanto rara, va monitorata anche nel cane. Nell’uomo, con l’impiego della ciclosporina si ha un aumento del rischio di neoplasie maligne, in particolare cutanee. Gli immunomodulatori topici (TIM) sono una nuova classe di farmaci che è stata approvata nell’uomo per il trattamento della dermatite atopica. La formulazione inizialmente approvata, il Tacrolimus, si è dimostrato efficace anche nei cani colpiti dalla malattia, in particolare nella forma localizzata (Marsella, Nicklin et al. 2004; Bensignor e Olivry 2005). Il Tracrolimus è un macrolide a 23 atomi prodotto da Streptomyces tsukabaensis e la formulazione topica viene indicata con il nome di Protopic®, una pomata disponibile allo 0,1% o allo 0,03%. L’altro farmaco approvato in questa categoria è il Pimecrolimus (Elidel®), che è un derivato macrolattamico dell’ascomicina che agisce in modo simile al Tacrolimus. Viene utilizzato analogamente al Protopic benché non siano stati condotti studi che ne documentino l’efficacia. Non è stato effettuato alcun confronto nel cane, ma segnalazioni aneddotiche suggeriscono che nello stesso animale sia meno irritante e alcuni clienti preferiscono impiegare la crema base. I TIM possiedono effetti antinfiammatori topici non associati a quelli atrofogeni e metabolici dei glucocorticoidi topici. Il meccanismo d’azione è simile a quello della ciclosporina, attraverso l’inibizione della calcineurina, ma è da 10 a 100 volte più potente. Grandi studi multicentrici condotti nell’uomo indicano che si tratta di un farmaco molto sicuro, con un assorbimento sistemico minimo. Invece, le ricerche condotte negli animali hanno dimostrato un aumento del

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rischio di neoplasia cutanea ed esiste la preoccupazione che anche nei pazienti umani l’impiego a lungo termine possa determinare una predisposizione ai tumori cutanei come il melanoma ed eventualmente il linfoma. Ciò ha portato la Food and Drug Administration ad inserire questa avvertenza nella documentazione illustrativa del farmaco ed oggi raccomanda l’uso di questi agenti in situazioni più limitate, quando altre forme di terapia sono state inefficaci. Questi farmaci vengono utilizzati per la dermatite atopica localizzata che non risponde ai glucocorticoidi topici. Il trattamento iniziale consiste in una lieve applicazione della pomata o crema, fino a che non è stata completamente assorbita, due volte al giorno per due settimane. Se si osserva una risposta, è possibile diminuire la frequenza passando ad una volta al giorno o meno. Sino ad oggi, nel cane non sono stati notati problemi diversi dall’irritazione. Gli interferoni (INF) sono un gruppo di citochine glicoproteiche prodotte da una varietà di cellule infiammatorie e fibroblasti con numerosi effetti immunologici. Esistono parecchi interferoni riconosciuti, che variano per l’effetto immunologico. La forma commerciale iniziale dell’interferone è l’INF-alfa-2b umano ricombinante (Roferon-A®); più recentemente, è stato reso disponibile un prodotto per uso veterinario. Carlotti ha utilizzato l’INF-omega felino ricombinante (Virbagen®, Omega), che si è dimostrato utile in una prova aperta in cani atopici. Anche una piccola prova pilota aperta con gamma-interferon canino suggerisce l’efficacia ad alte dosi (Iwasaki, Park et al. 2005). L’alfa-interferon (Roferon®) si trova sotto forma di una soluzione da 3 milioni di UI/ml e viene diluito in 999 ml di Ringer lattato e poi diviso in ampolle da 30 ml che, in base a segnalazioni aneddotiche, restano stabili se congelate. Una volta scongelate, si conservano in frigorifero per 30 giorni. L’ampolla refrigerata viene poi utilizzata alla dose di 0,33 ml, 1000 UI, da somministrare quotidianamente per via orale. Questa somministrazione si effettua iniettando la soluzione nel cavo orale, dal momento che si ritiene che l’assorbimento avvenga attraverso la mucosa della parte superiore della bocca. Aneddoticamente sono stati segnalati casi convincenti dell’efficacia di questo protocollo a basso dosaggio; inoltre, è stato utilizzato in concomitanza con l’immunoterapia allergene-specifica. Per verificare se ciò determina un miglioramento dell’efficacia dell’ASIT, sono necessari studi controllati.

Bibliografia EN.REFLIST


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Adverse food reaction and diet trials Craig E. Griffin DVM, Dipl ACVD, California, USA

AFR may cause a wide variety of signs and symptoms that most commonly involve the gastrointestinal and cutaneous organs. Non seasonal pruritus is the most common skin problems and patterns and lesion may mimic atopic dermatitis, sarcoptic mange or flea allergy dermatitis. Additionally neurologic, urologic, respiratory, pseudo lymphoma, hematologic, malaise and fever have also occurred.(Wills and Harvey 1994; Vaden, Hammerberg et al. 2000; Scott, Miller et al. 2001; Kennis 2002). As dermatologists our emphasis is obviously the skin but one area that still must be considered is the gastrointestinal system. Approximately half the cases with continuous pruritus from AFR will also have some abnormal GI signs(Patterson 1995; Scott, Miller et al. 2001; Loeffler, Lloyd et al. 2004). Though they often will be mild and not severe enough for the owners to even note them as abnormal. Vomiting and diarrhea may be seen but probably less than 15% of the cases. The most common signs are abnormal number of bowel movements and though 3 is suspect 4 or more per day should be considered abnormal. Diet trials are the main method of tentatively diagnosing AFR. Since it is often a very difficult process to truly control the pets diet the real situation must be discussed with the owner. Even when owners intend to do a diet trial one study showed a high failure rate of 36% for completing a home cooked diet trial properly.(Tapp, Griffin et al. 2002) A diet trial performed correctly will have multiple phases. Putting the pet on a new diet, referred to as the elimination diet, is the first step. During this phase clients observe for changes, generally the resolution or reduction in signs and symptoms. Once changes are noted or at the end of the specified time that the elimination diet is maintained then the pet is again fed the diet it was on prior to the elimination diet. This is the initial challenge phase. If there is no change then the next phase is making sure the pet is ingesting all the things it used to ingest, the complete challenge. This means all supplements, treats and access to other outdoor or indoor items the pet used to ingest. Observing any recurrence in symptoms or signs is suspected positive provocation and the first step for a tentative diagnosis. In my opinion the most critical step to confirmation of the diagnosis is then the second resolution of signs without any other therapeutic change when the challenge food/items are discontinued. Absolute confirmation requires multiple episodes of positive provocation (symptom exacerbation) with the addition of specific ingredients added to the elimination diet and subsequent resolution of those symptoms when withdrawn. This is referred to ingredient provocation testing and is essential in confirming the diagnosis.

At the start of a diet trial a baseline for symptom scores should be established and the level of pruritus should be ascertained when no secondary infections are present. It is also important to recognize patterns as some dogs will improve in some areas on an elimination diet but there overall pruritus observed by the owner does not decrease. This time frame was shown to be critical is at least 8 weeks. (Rosser 1994) Another important but often times difficult aspect to control are other sources of foods the animal may ingest. Often this means keeping animals confined indoors with outside exposure controlled such as on a leash. I have also had cases that require a muzzle to prevent inappropriate food consumption. The owners must be aware nothing should enter the dogs’ mouth that is not the diet. This means no getting other pets’ food, treats, medication wrapped in food or chewable forms of dog vitamins, supplements or medications. It takes very little for signs to flare as was shown in a study where 12 food allergic dogs that all were allergic to soy were challenged with one tablet of Interceptor Flavor Tabs which contain pork liver, soy and 2.3mg milbemycin. Clinical scores did significantly rise in 10 of 12 dogs with peak scores seen 2 days after challenge in five dogs and 5 days after challenge in five dogs. (Jackson and Hammerberg 2002) The elimination diet is optimally a totally different diet with no ingredients the pet has ever been exposed to. This is usually impossible to find. Since proteins are the most common offending allergen the primary goal is to feed a protein and carbohydrate source that the pet has not been routinely exposed to. Pure carbohydrates are not of primary concern except that most carbohydrate sources do have low levels of protein in them that may be allergenic. Even corn starch has a low level of protein and corn starch if commonly found in medication and other tablets to allow compression and especially for chewable tablets such as Tums or Rolaids often used for a source of calcium. Two types of diets may be utilized. The home cooked is preferred due to accuracy but some commercial diets will do a reasonable job. Clients need to be counseled about the differences between the two. The home cooked diet is optimal as this is the best control of limiting the ingredients fed to the dog. A new protein and carbohydrate as the only food source is the primary goal. The biggest drawback is that the diet is not balanced or as nutritious as the commercial diets. The poor nutrition of the home-prepared diet means that this type of diet trial is not done in growing dogs but only mature dogs. In some situations they are not as palatable as the commercial diets, and certainly take more effort to prepare. The sources I most commonly use for proteins are pinto beans and ostrich, and for carbohydrates yams or pumpkin. Oils such as canola,


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olive or sunflower are added in small amounts to increase palatability or add caloric density. These are hi fiber diets and will cause an increase in bowel movements. Though many people think flatulence may be a problem on a pinto bean diet this is not usually the case. Realizing they are not as efficacious many clients will still prefer to use a commercial dog food for the elimination diet. The newest trend in commercial hypoallergenic diets is the use of hydrolyzed protein sources. There are three main sources for these diets; Hills, Purina and Royal Canin. The theory behind these diets is that food allergy is generally to large complex proteins or glycoproteins. By hydrolyzing foods to sizes smaller than this the diet will no longer be allergenic. A study evaluated 14 corn allergic dogs and 11 of these dogs were soy allergic. They fed the dogs CNM HA a hydrolyzed soy protein and cornstarch diet and 3 dogs did have an exacerbation of their signs, two most likely to corn starch and one to soy protein. (Jackson, Jackson et al. 2003) These dogs did react to either corn-

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starch or the hydrolyzed soy. Clients should be reminded that some percentage of adverse food reaction dogs would be missed when fed commercial dog foods. The combination of multiple diet trials with commercial hypoallergenic diets that are made from different ingredients would increase the effectiveness of a diet trial. One study evaluated limited protein diets that contained rice as a carbohydrate with chicken, venison or catfish as the different protein sources.(Leistra, Markwell et al. 2001). The true confirmation of adverse food reaction requires that feeding the offending diet can induce symptoms (challenge phase) and most importantly clear again on the elimination diet with no changes in concurrent therapies allowed at this time. After symptoms have improved significantly or been eliminated the pet should be challenged with the diet being fed prior to the diet trial. If there is no increase in symptoms then all other treats etc should be fed. Each challenge should be given only until a recurrence is obvious to the client or for 7 days.


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Reazioni avverse al cibo e prove dietetiche Craig E. Griffin DVM, Dipl ACVD, California, USA

Le reazioni avverse al cibo possono causare una gran varietà di segni clinici e riscontri obiettivi che nella maggior parte dei casi coinvolgono gli organi gastroenterici e cutanei. Il più comune problema dermatologico è rappresentato dal prurito stagionale, i cui quadri e lesioni possono simulare la dermatite atopica, la rogna sarcoptica o la dermatite allergica da pulci. Inoltre, sono state riscontrate anche alterazioni neurologiche, urologiche, respiratorie, pseudolinfomatose ed ematologiche, nonché malessere e febbre (Wills e Harvey 1994; Vaden, Hammerberg et al. 2000; Scott, Miller et al. 2001; Kennis 2002). Come dermatologi, presteremo particolare attenzione ovviamente alla cute, ma tenendo presente che l’apparato gastroenterico è un’area che deve ancora essere presa in considerazione. La metà circa dei casi di prurito continuo da reazione avversa al cibo presenta anche alcuni segni gastroenterici anormali (Patterson 1995; Scott, Miller et al. 2001; Loeffler, Lloyd et al. 2004). Tuttavia, questi sono spesso lievi e non sufficientemente gravi da far sì che i proprietari li considerino anormali. Si possono osservare vomito e diarrea, che però probabilmente interessano meno del 15% dei casi. Le manifestazioni più comuni sono rappresentate da un numero anormale di defecazioni; da questo punto di vista, se tre è sospetto, quattro o più volte al giorno deve essere considerato anormale. L’impiego delle diete di prova rappresenta il metodo principale per formulare un sospetto diagnostico di reazione avversa al cibo. Dal momento che spesso è molto difficile riuscire a controllare davvero la dieta degli animali da compagnia, è necessario discutere della situazione reale con i proprietari. Uno studio ha dimostrato che, anche quando questi sono disposti ad effettuare una dieta di prova, si ha una elevata percentuale di insuccesso, del 36%, dovuta all’incapacità di portare a termine correttamente una dieta di prova fatta in casa (Tapp, Griffin et al. 2002). Per effettuare questo tipo di test, sono necessarie molteplici fasi. Il primo passo consiste nel passare ad alimentare l’animale con una nuova dieta, definita elimination diet. Durante questa fase i clienti devono osservare le modificazioni, rappresentate generalmente dalla risoluzione o riduzione di segni clinici e manifestazioni obiettive. Una volta che sia stata rilevata la comparsa di cambiamenti o quando si sia giunti al momento previsto per il termine del periodo di mantenimento con l’elimination diet l’animale viene nuovamente alimentato con la dieta utilizzata in precedenza. Questa è la fase di provocazione iniziale. Se non ci sono modificazioni, la fase successiva consiste nell’assicurarsi che l’animale stia ingerendo tutto ciò che era abituato ad ingerire, passando così alla provocazione completa. Ciò significa che il soggetto in esame deve assumere tutti gli integratori ed i bocconcini che era

abituato ad ingerire e deve avere le medesime possibilità di accesso ad altri alimenti, sia dentro che fuori casa. Ogni eventuale riscontro di una ricomparsa delle manifestazioni obiettive o dei segni clinici deve far sospettare la positività della prova di provocazione positiva e costituisce il primo passo per la formulazione di un sospetto diagnostico. Secondo la mia opinione, il punto più critico per la conferma della diagnosi è la seconda risoluzione dei segni clinici in risposta alla sola sospensione degli alimenti/extra di provocazione, senza alcuna altra modificazione terapeutica. La conferma assoluta richiede molteplici episodi di risposta positiva alla provocazione (esacerbazione dei segni clinici) mediante aggiunta di specifici ingredienti alla elimination diet e la successiva risoluzione delle stesse manifestazioni in seguito alla sospensione di questi stessi ingredienti. Questo viene indicato come test di provocazione con ingredienti ed è essenziale per confermare la diagnosi. All’inizio di una dieta di prova, è necessario stabilire dei valori di base per i punteggi da assegnare alle diverse manifestazioni cliniche ed è necessario accertare il livello del prurito quando non sono presenti infezioni secondarie. È anche importante riconoscere i quadri di malattia, dato che alcuni cani migliorano in certe aree quando vengono alimentati con l’elimination diet, ma il prurito complessivo osservato dal proprietario non diminuisce. È stato dimostrato che per avere un significato critico questa prova deve avere una durata di almeno otto settimane (Rosser 1994). Un ulteriore aspetto importante, che però risulta spesso difficile da controllare, sono le altre fonti di cibo che gli animali possono ingerire. Spesso, per risolvere questo problema è necessario tenere i soggetti in esame confinati in casa, controllando l’esposizione all’ambiente esterno, ad esempio attraverso un guinzaglio. L’autore ha anche osservato casi in cui è stato necessario applicare una museruola per impedire un consumo inappropriato di cibo. I proprietari devono essere consapevoli del fatto che nella bocca del cane non deve entrare nient’altro che la dieta. Ciò significa non ingerire il cibo di altri animali, bocconcini, farmaci occultati nel cibo o formulazioni masticabili di vitamine, integratori o farmaci per cani. Ci vuole molto poco perché i segni clinici esplodano, come è stato dimostrato in uno studio in cui 12 cani allergici al cibo, tutti sensibili alla soia, sono stati sottoposti a stimolazione con una compressa di Interceptor Flavor Tabs che conteneva fegato suino, soia e 2,3 mg di milbemicina. I punteggi clinici sono significativamente aumentati in 10 cani su 12, con valori di picco osservati fra due giorni dopo la stimolazione in 5 cani e cinque giorni dopo la stimolazione in altri 5 (Jackson and Hammerberg 2002). In condizioni ottimali, l’elimination diet è una dieta del tutto differente, senza alcun


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ingrediente al quale l’animale sia mai stato esposto in precedenza. Una simile formulazione risulta di solito impossibile da trovare. Poiché le proteine sono il più comune allergene responsabile, lo scopo primario è quello di alimentare i soggetti con una fonte di proteine e carboidrati ai quali non siano stati esposti di routine. I carboidrati puri non sono una preoccupazione primaria, tranne che per il fatto che nella maggior parte dei casi le fonti da cui derivano presentano al loro interno bassi livelli di proteine che possono essere allergenici. Bassi livelli di proteine si trovano anche nell’amido di mais, che è comunemente presente nei farmaci per uso orale di vario tipo, per permettere la formulazione in compresse, ed in particolare nelle tavolette masticabili, quali Tums o Rolaids, spesso utilizzate come fonte di calcio. Si possono utilizzare due tipi di dieta. Quelle fatte in casa sono da preferire a causa della precisione, ma alcune diete commerciali offrono un’alternativa ragionevole. È necessario essere in grado di fornire ai clienti dei consigli circa le differenze fra le due. La dieta fatta in casa è ottimale, dal momento che si tratta del miglior metodo per controllare la limitazione degli ingredienti ingeriti dal cane. Lo scopo primario è quello di utilizzare come unica fonte alimentare proteine e carboidrati “nuovi”. La maggiore controindicazione è che la dieta non è bilanciata o nutriente quanto quelle commerciali. Le cattive caratteristiche nutrizionali delle diete fatte in casa fanno sì che questo tipo di dieta di prova non sia adatta ai cani in accrescimento, ma solo a quelli adulti. In alcune situazioni queste formulazioni non sono appetibili come le diete commerciali e certamente la loro preparazione richiede più impegno. Le fonti che ho più comunemente utilizzato sono rappresentate da fagioli pinto e struzzo per le proteine e da patate dolci e zucca per i carboidrati. Si aggiungono in piccole quantità oli come quello di canola, oliva o girasole, per aumentare l’appetibilità o incrementare la densità calorica. Si tratta di diete ad elevato tenore di fibra, che provocano un aumento delle defecazioni. Benché molte persone ritengano che la flatulenza possa essere un problema conseguente al consumo di una dieta contenente fagioli pinto, di solito ciò non avviene. Pur rendendosi conto che non sono altrettanto efficaci, molti clienti preferiscono ancora utilizzare come elimination

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diet un alimento commerciale per cani. La più recente tendenza nelle diete ipoallergiche del commercio è rappresentata dall’impiego di fonti di proteine idrolisate. Esistono tre principali fonti per queste diete: Hill’s, Purina e Royal Canin. La teoria che sta alla base di queste diete è che l’allergia alimentare è generalmente sviluppata nei confronti di grandi proteine complesse o glicoproteine. Idrolisando gli alimenti a dimensioni più piccole di queste, la dieta non risulterà più allergenica. Uno studio ha valutato 14 cani allergici al mais, 11 dei quali erano anche allergici alla soia. I cani sono stati alimentati con CNM HA, una dieta contenente con una proteina idrolisata della soia ed amido di mais, e tre di essi hanno fatto riscontrare un’esacerbazione dei segni clinici, due con tutta probabilità in risposta all’amido di mais ed uno alle proteine della soia (Jackson, Jackson et al. 2003). Questi animali hanno reagito all’amido di mais oppure alla soia idrolisata. I clienti devono ricordare che quando si utilizzano cibi commerciali una certa percentuale di cani con reazioni avverse al cibo potrebbe sfuggire. L’associazione di molteplici diete di prova con prodotti ipoallergici del commercio realizzati utilizzando ingredienti differenti potrebbe aumentare l’efficacia di una dieta di prova. Uno studio ha valutato diete a limitato tenore proteico che contenevano il riso come carboidrato e pollo, cervo o pescegatto come differenti fonti proteiche (Leistra, Markwell et al. 2001). Per confermare davero l’esistenza di una reazione avversa al cibo è necessario che, tornando ad alimentare l’animale con la dieta responsabile del problema, sia possibile indurre la ricomparsa dei segni clinici (fase di provocazione) e, cosa ancor più importante, che sia possibile farli nuovamente scomparire tornando alla elimination diet senza che durante tutto questo periodo venga effettuata alcuna modificazione delle concomitanti terapie. Una volta che i segni clinici siano migliorati significativamente o siano stati eliminati, l’animale deve essere sottoposto ad un test di provocazione con la dieta con cui veniva alimentato prima che con quella di prova. Se non si osserva alcun incremento dei segni clinici, si deve passare ad offrirgli tutti gli altri bocconcini, ecc.. Ciascuna stimolazione deve essere effettuata soltanto fino a che il cliente non rilevi una recidiva, oppure per 7 giorni.


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Otitis: what is really important to know Craig E. Griffin DVM, Dipl ACVD, California, USA

Otitis is inflammation of the ear and is often subdivided into externa, media and interna. Otitis, though seeming simple, is actually a diagnostic and therapeutic challenge. Much of the challenge relates to changes in the normal anatomy and physiology of the ear, especially the ear canal, tympanic membrane and middle ear cavity. The ability to manage these cases often requires thorough visualization of the ear, the determination of all the causes and factors that are present and effective follow up or maintenance of long term management techniques. Otoscopic examination (otoscopy) of the ear as far down as possible usually terminating at the tympanic membrane or middle ear cavity is required for successful outcome of otitis cases. Otoscopes must have a strong light and power source combined with at least 10x magnification that allows focusing within the normal length of the ear canal. If any of these components is not present otoscopic examinations may not be totally effective. The equipment used in veterinary medicine is designed for human use with some modifications for veterinary medicine. There are two main types of otoscope heads the diagnostic or medical and the surgical. They differ in the size of the magnifying lens that one looks through as well as the shape of the cone holders. One of the most common mistakes made in practice is the use of hand held battery operated otoscopes that no longer have enough power to adequately light the deep ear canal. In general every clinic should have at least one plug in otoscope, which is not dependent of having fresh fully charged batteries. Ear loops and feeding tubes may also be helpful to determine if a tympanum is present or in its normal anatomic location. Repetitive examinations are often required and clients need to follow through so that it can be determined if proper healing and return to normal physiology regarding cerumen accumulation has occurred. The external ear is formed from two pieces of cartilage that are covered by skin. The larger portion, auricular cartilage, forms the pinna and most of the ear canal. From the orifice the cartilage is rolled onto itself with the central open area forming the lumen of the ear canal. The external ear canal is variable in length (5-10cm) and classically divided into the vertical and horizontal portions. There is a prominent cartilaginous ridge that separates the vertical from the horizontal canal in the dog. Its prominence varies between breeds and between individuals within breeds. It creates the “corner� around which one must proceed to allow access into the horizontal canal. The external acoustic meatus lines the last portion of the horizontal canal terminating at the tympanic membrane. The skin lining the ear canal is a relatively smooth surface and similar to most body regions has a thin epidermis and dermis that contains adnexa (hair folli-

cles, sebaceous and apocrine glands). The skin and adnexa are constantly producing exfoliating corneocytes, intercellular material and glandular secretions. This material forms the earwax and cerumen that is believed to play some protective role. If this material were to build up blockage could result. However there is a normal clearing mechanism. The material produced in the ear canal is cleaned or cleared out by the movement of the epidermis. Epithelial migration is the way the ear canal stays clean in normal dogs and cats. The tympanic membrane is an epithelial structure that separates the external ear laterally from the middle ear cavity located medially. The tympanic membrane of the dog is made up of the pars flaccida and pars tensa. The pars flaccida is a small area of the dorsal to anterior-dorsal aspect of the tympanum, which is relatively flaccid and quite vascular. The tympanic cavity is divided into three parts: dorsal, middle, and ventral. The dorsal is the smallest and contains the head of the malleus, incus and stapes. The stapes attaches to the oval (vestibular) window leading to the inner ear. The middle part, also called tympanic cavity proper, is adjacent to the tympanic membrane that lies anteriorly and laterally and posteriorly and medially by the round window. The dorsomedial surface of this is primarily made up of the barrel shaped, cochlear promontory. The promontory is situated opposite to about the mid dorsal aspect of the tympanum. At the caudal end of the promontory is the cochlear (round) window, which communicates with the bony labyrinth of the cochlea. This is the structure one must avoid when doing a myringotomy. The ventral portion is the tympanic bulla and is the largest portion. The tympanic bulla is somewhat eggshaped, with the dorsal aspect open to communicate with the middle part. It is separated dorsally from the tympanic cavity by a bony ridge, which is most prominent over the medial and anterior aspects of the bulla and responsible for making passing tubes into the ventral bullae very difficult. There are numerous causes of otitis externa, which have previously been organized into several classification schemes. A practical clinical approach involves a classification based on four main components. The main components are referred to as predisposing factors, primary causes, secondary causes and perpetuating factors. Most otitis cases will have a combination of these components present and effective long term management or resolution of the otitis requires the recognition of each one. Thorough cleaning of the ear canals is extremely important for the effective management of otitis externa. There are multiple reasons why it is important to clean out excessive or abnormal debris. The debris can hinder the penetration of topical agents to the affected tissue requiring treatment, and


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large deposits may prevent medication from reaching the deeper parts of the horizontal canal, tympanum or middle ear when the tympanum has been compromised. The debris can protect microbes that are rolled in or attached to keratinocytes and covered with a protective lipid layer. These organisms may survive therapy and then infect the ear again. Larger clumps of debris may remain in folds, middle ears and false middle ear cavities where they sequester organisms. Retained debris may also contain pro inflammatory material such as microbial byproducts and toxins as well as mediators released from inflammatory cells that may be present. Purulent exudates interfere with and bind to antibiotics such as polymyxin and aminoglycosides. Complete otoscopic examination with visualization of canal and tympanum pathology will often require cleaning. In some cases the use of a stronger topical agent or overuse of antibiotics can be prevented by regular intervals of ear cleaning, especially if disinfectants are included in the cleaning process. When progressive pathologic changes result in abnormal epithelial migration or folding in the canal lumen then cleaning will be required until this normal physiologic function returns. Cleaning techniques vary considerable in ease of use and efficacy. However for clients use at home there are mainly two techniques. Ear wash or rinse is the most common method used at home. This technique has the client instill a mild cleanser into the ear until the canal has been filled to the external orifice. The canal is massaged then the cleanser is allowed to be shaken out and wiped from the external orifice. This tends to be a little messy and should be done outside or in a bathroom or even shower stall. The important aspect to this technique is adequate massage of the auricular and annular cartilage. To effectively massage the annular cartilage the client must be educated about the location and need for deep digital palpation. Following several minutes of massage the material is allowed to be shaken out and then

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the external orifice is wiped clean with tissue or cotton balls. Do not allow excessive use of cotton tipped applicators as these commonly push debris deeper into the ear canal. In many cases the combination cleanser dryers are sufficient. Bulb syringing is the next level up in effectiveness but requires that clients are adequately trained and the patient will tolerate the procedure. In general the tympanum should be intact if cerumenolytics are going to be used because the client may not be able to adequately rinse away all residual drugs and repetitive application could be dangerous especially if not being rinsed out. In severely inflamed, painful ears home flushing should be delayed as many dogs will not tolerate this procedure until after the inflammation and pain is resolved. Therefore this procedure is usually recommended following the initial therapy and often even after home rinses have been shown to be ineffective. Clients should be instructed about the proper pressure and speed to squeeze the bulb syringe. This is best determined by initially practicing with air and learning how hard and fast they can squeeze without hearing the air coming out of the bulb syringe. Only lukewarm or body temperature fluids should be used for flushing. The nipple of the bulb syringe should be placed loosely in the external orifice of the ear canal so that once flushing is started they rapidly see the flush solution exiting the ear canal. Allowing adequate back flow helps prevent excessive pressure building up against the tympanum. Flushing is continued with fresh solution until no debris is seen coming from the ear canal. They should not use the bulb syringe to aspirate fluid out of the ear as the inside of the syringe may become contaminated with pathogenic organisms. Following flushing with a bulb syringe a cleanser disinfectant or disinfectant dryer solution is used to help dry the ear canal as well as decrease the presence of pathogenic organisms. Later a topical therapeutic agent may be applied once the ear has been cleaned and dried.


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Otite: quello che realmente è necessario sapere Craig E. Griffin DVM, Dipl ACVD, California, USA

L’otite è l’infiammazione dell’orecchio, e spesso viene suddivisa in esterna, media ed interna. Pur sembrando una condizione semplice, è in realtà un problema diagnostico e terapeutico. Gran parte delle difficoltà dipendono dalle variazioni della normale anatomia e fisiologia dell’orecchio, in particolare del condotto uditivo, della membrana timpanica e della cavità dell’orecchio medio. La capacità di gestire questi casi richiede spesso un’approfondita visualizzazione dell’orecchio, la determinazione di tutte le cause e dei fattori presenti ed un efficace follow-up o il mantenimento di tecniche di trattamento a lungo termine. Per il buon esito dei casi di otite è necessario effettuare un esame otoscopico (otoscopia) quanto più possibile approfondito, che di solito arriva a livello della membrana timpanica o della cavità dell’orecchio medio.Gli otoscopi devono avere una fonte luminosa intensa, associata ad un sistema di ingrandimento da almeno 10 x che permetta di mettere a fuoco le immagini all’interno della normale lunghezza del condotto uditivo. Se una qualsiasi di queste componenti non è presente, gli esami otoscopici possono non essere del tutto efficaci. L’apparecchiatura utilizzata in medicina veterinaria è stata studiata per l’impiego nell’uomo con alcune modificazioni per adattarla agli animali. Esistono due tipi principali di testine otoscopiche: quella diagnostica o medica e quella chirurgica. Le due soluzioni differiscono per quanto riguarda le dimensioni della lente di ingrandimento, attraverso la quale è possibile guardare, nonché per la forma dei portaconi. Uno degli errori più comuni commessi nella pratica professionale è l’impiego di otoscopi azionati da batterie alloggiate all’interno del manico, quando queste non hanno più abbastanza potenza da illuminare adeguatamente il canale auricolare profondo. In generale, qualsiasi clinica deve disporre come minimo di un otoscopio da parete, che non dipende dalla disponibilità di batterie fresche a piena carica. Per determinare se il timpano sia presente o si trovi nella sua normale sede anatomica possono anche essere utili anse auricolari e sonde da alimentazione. Spesso bisogna effettuare esami ripetuti ed i clienti devono seguire il decorso dell’animale, in modo da poter stabilire se si è verificata una guarigione corretta e se si è avuto il ritorno alla normale fisiologia per quanto riguarda l’accumulo di cerume. L’orecchio esterno è costituito da due parti di cartilagine coperte dalla cute. La porzione più grande, la cartilagine auricolare, forma il padiglione e la maggior parte del canale uditivo. Dall’orifizio, la cartilagine si arrotola su se stessa con l’area centrale aperta che forma il lume del canale. Il condotto uditivo esterno ha una lunghezza variabile (5-10 cm) e viene classicamente suddiviso in due porzioni, verticale ed orizzontale. Nel cane è presente un bordo cartilagi-

neo prominente che separa il canale verticale da quello orizzontale. La sua prominenza varia fra le razze e fra i singoli individui all’interno delle stesse razze. Questa struttura forma l’“angolo” che bisogna aggirare per avere accesso al canale orizzontale. Il meato acustico esterno delimita l’ultima porzione del canale orizzontale che termina a livello della membrana timpanica. La cute che riveste il condotto uditivo ha una superficie relativamente liscia e, analogamente alla maggior parte delle regioni corporee, presenta un’epidermide sottile e un derma che contiene degli annessi (follicoli piliferi, ghiandole sebacee e apocrine). La cute e gli annessi producono costantemente dei corneociti che si esfoliano, materiale intercellulare e secrezioni ghiandolari. Questo materiale forma il cerume, che si ritiene svolga un certo ruolo protettivo. Se però si verifica un accumulo si può arrivare ad avere un’ostruzione. Tuttavia, esiste un normale meccanismo di eliminazione. Il materiale prodotto nel condotto uditivo viene rimosso o eliminato verso l’esterno dal movimento dell’epidermide. La migrazione epiteliale è il modo in cui il condotto uditivo si mantiene pulito nei cani e nei gatti normali. La membrana timpanica è una struttura epiteliale che separa l’orecchio esterno, posto lateralmente, dalla cavità dell’orecchio medio situata medialmente. La membrana timpanica del cane è costituita da una pars flaccida ed una pars tensa. La prima è una piccola area della parte dorsale o anterodorsale del timpano, che risulta relativamente flaccida e molto vascolarizzata. La cavità timpanica è suddivisa in tre parti: dorsale, media e ventrale. La prima è la più piccola e contiene la testa del martello, l’incudine e la staffa. Quest’ultima si fissa alla finestra ovale (vestibolare, che immette nell’orecchio interno). La parte intermedia, anche detta cavità timpanica propria, è adiacente alla membrana timpanica che giace anterolateralmente e posteromedialmente alla finestra rotonda. La superficie dorsomediale di questa struttura è costituita principalmente dal promontorio cocleare, a forma di botte. Quest’ultimo è situato in posizione opposta alla zona posta circa a metà della parte dorsale del timpano. A livello dell’estremità caudale del promontorio si trova la finestra cocleare (rotonda) che comunica con il labirinto osseo della coclea. Questa è la struttura che bisogna evitare quando si esegue una miringotomia. La porzione ventrale è la bolla timpanica, ed è la più grande. La bolla timpanica ha una forma approssimativamente ovale, con la parte dorsale aperta per comunicare con la porzione intermedia. È separata dorsalmente dalla cavità timpanica da un margine osseo, che risulta pronunciato soprattutto al di sopra della parte mediale ed anteriore della bolla ed è responsabile della notevole difficoltà che si incontra nel far passare le sonde fino nelle bolle ventrali.


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Esistono numerose cause di otite esterna, che sono state in precedenza suddivise in parecchi schemi di classificazione. Un approccio clinico pratico comporta una classificazione basata su 4 componenti principali. Queste vengono definite come fattori predisponenti, cause primarie, cause secondarie e fattori perpetuanti. La maggior parte dei casi di otite presenta una combinazione di queste componenti ed il trattamento a lungo termine efficace o la risoluzione dell’otite stessa richiedono il riconoscimento di ognuno di essi. L’approfondita pulizia dei condotti uditivi è estremamente importante per trattare efficacemente l’otite esterna. Ci sono molteplici ragioni per cui è importante rimuovere i detriti in eccesso o anormali. Tali detriti possono ostacolare la penetrazione degli agenti topici sino al tessuto colpito che necessita del trattamento ed i depositi di grandi dimensioni possono impedire ai farmaci di raggiungere le porzioni più profonde del canale orizzontale, il timpano o l’orecchio medio quando il timpano sia stato compromesso. I detriti possono proteggere dei microrganismi che siano penetrati o abbiano aderito ai cheratinociti e siano stati coperti da uno strato lipidico protettivo. Questi microrganismi possono sopravvivere alla terapia e poi dare origine nuovamente ad un’infezione dell’orecchio. Ammassi di detriti di maggiori dimensioni possono rimanere all’interno di pliche, orecchio medio e false cavità dell’orecchio medio dove i microrganismi vengono sequestrati. I detriti ritenuti possono anche contenere dei materiali proinfiammatori come i sottoprodotti microbici e le tossine, nonché i mediatori rilasciati dalle cellule infiammatorie eventualmente presenti. Gli essudati infiammatori interferiscono con gli antibiotici come la polimixina e gli aminoglicosidi e si legano ad essi. L’esame otoscopico completo con visualizzazione delle patologie del canale e del timpano richiede spesso un intervento di pulizia. In alcuni casi, l’impiego di un agente topico più forte o il sovradosaggio di antibiotici può essere evitato con una pulizia auricolare effettuata ad intervalli regolari, soprattutto se nel processo di rimozione del materiale vengono inclusi dei disinfettanti. Quando le alterazioni patologiche progressive esitano in un’abnorme migrazione epiteliale o nella formazione di pliche nel lume del condotto, è necessario effettuare la pulizia fino a che non si ottiene il ritorno della normale funzione fisiologica. Le tecniche di pulizia variano considerevolmente per quanto riguarda facilità d’uso ed efficacia. Tuttavia, per i trattamenti che i clienti possono effettuare a casa esistono principalmente due alternative. Il lavaggio o il risciacquo dell’orecchio è il metodo più comunemente utilizzato in ambito domestico. Questa tecnica prevede che il cliente instilli un blando detergente nell’orecchio fino a che il canale non sia stato riempito sino all’orifizio esterno. Il canale viene quindi massaggiato per poi lasciare che il detergente venga eliminato dall’animale scuotendo la testa; infine, si asciuga l’orifizio esterno. Questa metodica tende a sporcare un po’ e

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deve essere attuata all’aperto oppure in una stanza da bagno o persino in un box doccia. L’aspetto importante di questa tecnica è il massaggio adeguato della cartilagine auricolare ed anulare. Per praticare efficacemente il massaggio della cartilagine anulare è necessario insegnare al cliente dove si trova e spiegargli la necessità di effettuare una palpazione digitale profonda. Dopo diversi minuti di massaggio si lascia che l’animale si liberi del materiale scuotendo la testa per poi asciugare l’orifizio esterno ripulendolo con lembi di tessuto o batuffoli di cotone. Non si devono utilizzare eccessivamente gli applicatori con la punta rivestita di cotone, dato che questi comunemente spingono i detriti più profondamente nel condotto uditivo. In molti casi, è sufficiente l’associazione fra detergenti e asciugatura. Il livello successivo per quanto riguarda l’efficacia è la pulizia mediante siringa, che però richiede che i clienti siano adeguatamente preparati e che il paziente tolleri la procedura. In generale, il timpano deve essere integro se si devono utilizzare degli agenti ceruminolitici, perché il cliente potrebbe non essere in grado di risciacquare adeguatamente la parte e rimuovere tutti i residui di farmaci, per cui le applicazioni ripetute potrebbero essere pericolose, in particolare in caso di mancato risciacquo. Nelle orecchie con un’intensa infiammazione e dolenti, il lavaggio a casa deve essere ritardato, dato che molti cani non tollerano queste operazioni di pulizia fino a che l’infiammazione e il dolore non si sono risolti. Di conseguenza, questa procedura di solito viene raccomandata dopo la terapia iniziale e spesso anche dopo che i risciacqui a casa si sono dimostrati inefficaci. Bisogna insegnare ai clienti ad esercitare la pressione adeguata e ad iniettare il liquido con la siringa alla giusta velocità. Il modo migliore per determinare questi parametri consiste nell’iniziare a far pratica con l’aria ed apprendere con quanta intensità e rapidità si può premere sullo stantuffo senza udire l’aria uscire dal cono della siringa. Per l’irrigazione si devono utilizzare soltanto fluidi tiepidi o a temperatura corporea. Il beccuccio della siringa deve essere inserito delicatamente nell’orifizio esterno del condotto uditivo, in modo che una volta che l’irrigazione sia iniziata, si possa vedere rapidamente la soluzione fuoriuscire dal condotto stesso. Lasciare che il fluido refluisca adeguatamente contribuisce ad evitare che si accumuli una pressione eccessiva contro il timpano. L’irrigazione deve continuare con soluzione fresca fino a che non si vedono più dei detriti uscire dal condotto. Non si deve utilizzare la siringa per aspirare il fluido fuori dall’orecchio, dato che ciò può provocare una contaminazione dell’interno dello strumento da parte di microrganismi patogeni. Dopo l’irrigazione con la siringa, si utilizza una soluzione detergente e disinfettante o disinfettante ed essiccante per contribuire ad asciugare il condotto uditivo ed a ridurre la presenza di microrganismi patogeni. In seguito, una volta che l’orecchio sia stato pulito ed asciugato, si può applicare un agente terapeutico topico.


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Otitis topical and systemic Craig E. Griffin DVM, Dipl ACVD, California, USA

Topical active ingredients most often incorporated into otic medications are selected for cleaning, drying, and anti inflammatory or anti microbial properties. Parasiticidal agents are sometimes included, however they are often unnecessary. Vehicles and dispersion agents are also important in otic topicals. Topical glucocorticoids are valuable in most cases of otitis externa even when infection is present. Glucocorticoids have antipruritic, anti-inflammatory effects and decrease exudation and swelling. In addition they cause sebaceous atrophy and decrease glandular secretions. Glucocorticoids may reduce scar tissue and proliferative changes, which helps to promote drainage and ventilation. There are many different types and potencies of topical glucocorticoids available. It is best to choose several products of different potencies and become familiar with them. The more common active ingredients found in veterinary products are, from generally the weakest to more potent, 1% hydrocortisone, 0.1% triamcinolone, 0.1% dexamethasone, 0.1% betamethasone and 0.1% fluocinolone acetonide and mometasone furoate. The 0.1% products listed have been shown to cause adrenal suppression in normal dogs. Dexamethasone at 0.01% does not. (Aniya and Griffin 2007) Dexamethasone sodium phosphate 4 mg/ml actually contains 3mg of dexamethasone. This is used to make a variety of ear products in the clinic. Most commonly I make products with 0.1% which is 33% of the final product being the dexamethasone sodium phosphate or 0.066% which is 25% of the final mix being the dexamethasone sodium phosphate. My low strength for long term control of allergic otitis is 0.01% which is 1 cc of dexamethasone sodium phosphate with 29cc of other components, most often 1%miconazole lotion. Antimicrobial agents include disinfectants, antibiotics and antifungal (yeast) agents. Disinfectants and/or drying agents should be used after the ear is cleaned and relatively dry. They are also used to help prevent swimmers ear, for odor control and to control secondary infections and treat some difficult cases of resistant microbes such as Pseudomonas sp. Many, though not all, of the disinfectants have been shown to have antifungal activity including acetic/boric acid products, chlorhexidine, and silver sulfadiazine. In many cases disinfectants are used alone or in conjunction with antibiotic containing topical to manage many secondary infections. Disinfectants have the advantage of not inducing resistance and are often less expensive. Acetic acid has been shown to be very effective in the treatment of otitis externa in humans. It is believed that its activity is not completely due to the pH because other acidic products are not as effective in killing Pseudomonas and Staphylococcus. It is possi-

ble to get a disinfectant effect just by lowering the pH of the ear canal. Advanced pHormula™ Ear Cleanser (Evsco pharmaceuticals) uses novasome technology to and citric acid and sodium citrate to maintain the pH of the ear canal below 5 for 18 hours. Another study evaluated 2.5% lactic acid and 0.1% salicylic acid in propylene glycol (Epi-Oitc®, Virbac) showing efficacy in 67.7% of clinical cases (Cole, Kwochka et al. 2003). Acetic acid is effective against Pseudomonas, with a 2% solution being lethal within one minute of contact (Thorp, Kruger et al. 1998). White vinegar is generally about 5% acetic acid and it has been recommended as an ear wash when diluted to 2.5% by mixing it in equal amounts with water or 25% water, 25% isopropyl alcohol and 50% white vinegar. Combinations with 2% boric and 2% acetic acid are available commercially. (Malacetic, Dermapet® and Otocetic solution, Vedco) Aluminum acetate (Burow’s solution) has also been shown effective for many ear pathogens and as effective as a polymyxin/hydrocortisone eardrop or gentamicin in a group of acute otitis externa cases in humans that were often associated with swimming and 34% had Pseudomonas pyocyanea infections (Lambert 1981; Clayton, Osborne et al. 1990; Thorp, Kruger et al. 1998). In one of these studies stinging from the aluminum acetate drops resulted in their being discontinued in 5% of the cases treated, however another study had no reports of reactions so the formula used may also contribute to reactions. Burows solution may take 20 minutes of contact to kill organisms(Kashiwamura, Chida et al. 2004). The aluminum can bind and inactivate fluoroquinolones so this type of product should be avoided if concurrent therapy with a topical containing fluoroquinolone is contemplated. A veterinary product of this type is Bur-Otic®-HC Ear treatment (Virbac) and as a sole therapy should be used three times a day or more. Tris EDTA increases the permeability of bacterial cell membranes by binding Ca and Mg ions. This activity is mainly apparent in gram negative bacteria including Pseudomonas sp. It is used as a rinse prior to antibiotic application or even mixed with antibiotics to make a combination topical therapy. This combination allows more of the antibiotic to penetrate intracellular, even in some resistant strains making them now susceptible. They are synergistic with multiple antibiotics not just aminoglycosides as was originally thought. TrisEDTA was shown to have a sparing effect on the MIC of enrofloxacin against ciprofloxacin resistant Pseudomonas as well as resolve clinical cases resistant to cephalosporin or enrofloxacin(Farca, Piromalli et al. 1997; Gbadamosis and Gotthelf 2003). It was also shown effective in vivo in a small number of cases when combined with a low level (0.15%) of chlorhexidine digluconate(Ghibaudo, Cornegliani et al.


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2004). Recently a product with tris edta and chlorhexadine 0.15% (Dermapet) has become available. Amino acid complexed zinc gluconate (Maxi/Guard® Zn 4.5 Otic™, Addison Biological Laboratory, Inc.) was shown an effective disinfectant against Malassezia in canine otitis especially when combined with boric acid and not acetic acid (Mendelsohn, Griffin et al. 2005). Silver sulfadiazine 1% was reported to be an effective antimicrobial in experimentally induced cases of Pseudomonas otitis externa (Thomas 1990). It was later showed that it is still effective at lower concentrations down to 0.1%. For silver to be effective it is critical that the bacteria must contact the silver molecule therefore delivery in a total clean ear is essential. Silver sulfadiazene cream 1% is available as Silvadene® Cream (King) or generics but they are thick and not easily applied down ears as is but can be diluted 1to 10 resulting in a 0.1% silver sulfadiazine lotion that more readily can be applied to ears. Topical antibacterial agents are indicated when bacterial infection, whether primary or secondary, is present. Polymyxin and neomycin are considered first line antibiotics while gentamicin and fluoroquinolones are second line. Third line topical antibiotic options to consider are amikacin, tobramycin and ticarcillin. Many topical antibiotics are less effective when used in dirty ears containing exudate and ears should be kept clean. When used as topical products the concentrations achieved in the ear canal are much higher than that reached with systemic therapy. Often “resistant” bacteria may be sensitive to these higher concentrations especially when concentration dependent cidal antibiotics are utilized. Antibiotics may also be more effective when used with a synergistic agent such as tris EDTA. Antifungal agents are required in any case complicated or caused by the yeasts, Malassezia or Candida or dermatophytes. Amino acid complexed zinc gluconate and boric acid was shown effective in treating clinical cases of yeast complicated otitis externa. In vitro or in vivo testing has shown nystatin, miconazole, clotrimazole, enilconazole, ketoconazole, posaconazole, tea tree oil, to be effective against Malassezia (Schmidt 1997; Weseler, Geiss et al. 2002; Bourdeau, Marchand et al. 2004). Systemic antibiotics are used whenever otitis media, moderate or marked proliferative changes are present or when appropriate topical therapy and cleansing were not effective. Initial antibiotic selection is usually made empirically based on cytological findings. When cocci predominate then cephalosporins or clavulanic acid/amoxicillin is often prescribed. Methicillin resistant Staphylococcus intermedius have been identified in otitis media cases(Cole, Kwochka et al. 2004). Methicillin resistance was performed with the disk diffusion test (DD) for oxacillin and confirmed with the oxacillin screen agar test (OSA). Seven of twenty one were resistant to methicillin. On the OSA screen five of those were susceptible and two strains were still resistant. The methicillin-resistant S. intermedius were susceptible to chloramphenicol, polymyxin B and trimethoprim-sulfadiazine. In mixed infections with cocci present or in cases of cocci not responsive to cephalexin or clavulanic acid/amoxicillin then Potentiated sulfonamides are often prescribed. Flouroquinolones are usually prescribed when rod shaped bacteria predominate on cytology. The most

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common fluoroquinolones utilized in the United States include: enrofloxacin (Baytril, Bayer) at 5 mg/kg up to 20 mg/kg q24h, marbofloxacin (Zeniquin, Pfizer) at 2.75-5.5 mg/kg q24hr, orbifloxacin (Orbax, Schering) and ciprofloxacin 5 -10mg/kg q24hr. In cats the maximum dose of enrofloxacin is 5mg/kg once daily as retinal disease and possibly blindness may occur with doses of 20 mg/kg daily, within 21 days of therapy(Wiebe and Hamilton 2002). Marbofloxacin has not been reported to cause this in cats even dosed at twice the high-recommended range. Controlled comparisons of the fluoroquinolones for otitis have generally shown that marbofloxacin is more effective than all the fluoroquinolones except for ciprofloxacin (Martin Barrasa, Lupiola Gomez et al. 2000; DeBoer, Verbrugge et al. 2005; Wildermuth, Griffin et al. 2007). In addition when sensitivity testing the DD testing is acceptable but will identify some strains resistant that based on minimum inhibitory concentration testing are actually susceptible (Colombini, Merchant et al. 2000). This is generally the case with most the aminoglycoside antibiotics as well (DeBoer, Verbrugge et al. 2005). If fluoroquinolones are not effective then sensitivity testing is recommended. If resistance is seen to all oral antibiotics or if sensitivity testing is declined or there are proliferative changes then a fluoroquinolone given with cephalexin at 22 mg/kg q12h may be effective. Whether this reflects a synergistic antibiotic effect or the effect on the concurrent presence of Staphylococcus in the deeper tissue is not known. In some cases injectable aminoglycosides are required to eliminate some Pseudomonas infections. Gentocin and amikacin are only used when a culture indicates their requirement. These can now be given once daily subcutaneously which has made there use much more tolerable by clients and dogs. Gentocin 6-8mg/kg once daily is less expensive and causes less subcutaneous abscesses than amikacin at 15-20mg/kg. In rare cases Ticarcillin at 15-25 mg/kg q 8 hr IV has been needed. Systemic treatment for Malassezia otitis is most commonly oral ketoconazole (Nizoral, Janssen) 5-10 mg/kg q24h though fluconazole or itraconazole (Sporanox, Janssen) 5 mg/kg q24h. Both ketoconazole and itraconazole have been also used effectively when treated daily for 2-6 days then switched to q48h therapy. One study evaluated itraconazole at 5 mg/kg q24h for two days each week for three weeks and showed this as effective clinically for Malassezia otitis as daily for 21 days (Pinchbeck, Hillier et al. 2002). When therapy is needed for Otodectes Selamectin (Revolution or Stronghold, Pfizer) is an approved systemic therapy and preventative treatment (Blot, Kodjo et al. 2003). It is as or more effective than ivermectin, which it has replaced, because of its long duration of one month protection with one treatment. This form of therapy treats the whole pet and will eliminate a carrier state and prevent another infection for one month even in an environment with infected animals. Systemic glucocorticoid therapy is indicated in markedly inflamed edematous otitis and when chronic pathologic changes cause marked stenosis of the canal lumen. Some cases of allergic otitis may be treated with systemic glucocorticoids allowing for the initial topical therapy to be a low potency glucocorticoid product. Localized atopic otitis will usually respond to topical therapy which should be the ini-


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tial treatment. Injectable dexamethasone is useful if only 23 days action is required. In more severely inflamed ears, especially when combined with other systemic symptoms, anti-inflammatory dosages of prednisone or prednisolone (1 mg/kg/d) can be used initially and then tapering to the minimum alternate day dosage that controls the symptoms. Triamcinolone acetonide (0.1 mg/kg and tapered as for prednisone) has been superior to prednisone for the treatment of proliferative otitis and otitis externa in cats. In my experience there are also some dogs with proliferative otitis that finally respond when glucocorticoid therapy is changed from prednisone or methylprednisolone to triamcinolone.

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Tecnica di pulizia del condotto uditivo e principi di terapia topica Terapia sistemica dell’otite esterna Craig E. Griffin DVM, Dipl ACVD, California, USA

Nella maggior parte dei casi, gli ingredienti topici attivi incorporati nelle preparazioni otologiche vengono scelti per le loro proprietà detergenti, essiccanti ed antinfiammatorie o antimicrobiche. Talvolta vengono inclusi degli agenti parassiticidi, che però spesso non sono necessari. Nei prodotti topici per uso otologico sono anche importanti i veicoli e gli agenti di dispersione. I glucocorticoidi topici sono utili nella maggior parte dei casi di otite esterna, anche quando è presente un’infezione. Questi farmaci sono dotati di effetti antipruriginosi ed antinfiammatori e riducono l’essudazione ed il gonfiore. Inoltre, causano un’atrofia sebacea ed una riduzione delle secrezioni ghiandolari. I glucocorticoidi possono ridurre il tessuto cicatriziale e le alterazioni proliferative, il che contribuisce a promuovere il drenaggio e la ventilazione. Esistono molti tipi e potenze differenti di glucocorticoidi topici disponibili. È preferibile scegliere parecchi prodotti di differenti potenze ed acquisire una buona familiarità con il loro impiego. Gli ingredienti attivi più comunemente riscontrabili nei prodotti per uso veterinario, sono, da quello generalmente più debole al più potente, l’idrocortisone all’1%, il triamcinolone allo 0,1%, il desametazone allo 0,1%, il betametazone allo 0,1% ed il fluocinolone acetonide allo 0,1% e il mometasone furoato. I prodotti elencati allo 0,1% si sono dimostrati in grado di causare una soppressione surrenalica nei cani normali. Il desametazone allo 0,01% no (Aniya e Griffin 2007). Il desametazone sodio fosfato 4 mg/ml contiene in realtà 3 mg di desametazone. Questo viene utilizzato per realizzare una gran varietà di prodotti otologici in ambito clinico. Nella maggior parte dei casi, io preparo dei prodotti allo 0,1% che corrisponde al 33% del prodotto finale costituito da desametazone sodio fosfato, o allo 0,066%, per cui il 25% della miscela finale è costituito da desametazone sodio fosfato. La mia soluzione più debole per il controllo a lungo termine dell’otite allergica è quella allo 0,01%, che è 1 cc di desametazone sodio fosfato con 29 cc di altri componenti, nella maggior parte dei casi una lozione di miconazolo all’1%. Gli agenti antimicrobici comprendono disinfettanti, antibiotici ed antimicotici (lieviti). I disinfettanti e/o gli essiccanti vanno utilizzati dopo che l’orecchio è stato pulito e relativamente asciugato. Questi agenti vengono anche utilizzati per contribuire a prevenire l’“orecchio del nuotatore”, controllare l’odore e le infezioni secondarie e trattare alcuni casi difficili sostenuti da microrganismi resistenti come Pseudomonas spp.

Molti, se non tutti, i disinfettanti, come i prodotti a base di acido acetico/borico la clorexidina e l’argento sulfadiazina, si sono dimostrati dotati di un’attività antimicotica. Spesso questi agenti vengono utilizzati da soli, oppure in associazione con prodotti topici contenenti antibiotici, per il trattamento di molte infezioni secondarie. I disinfettanti hanno il vantaggio di non indurre resistenza e, spesso, di essere meno costosi. L’acido acetico si è dimostrato molto efficace nel trattamento dell’otite esterna dell’uomo. Si ritiene che la sua attività non sia completamente dovuta al pH, perché altri prodotti acidi non sono altrettanto efficaci nel determinare la morte di Pseudomonas e Staphylococcus. È possibile ottenere un effetto disinfettante semplicemente abbassando il pH del condotto uditivo. L’Advanced pHormulaTM Ear Cleanser (Evsco pharmaceuticals) utilizza la tecnologia Novasome ed impiega l’acido citrico ed il citrato di sodio per mantenere il pH del condotto uditivo al di sotto di 5 per 18 ore. Un altro studio ha valutato l’acido lattico al 2,5% e l’acido salicilico allo 0,1% in glicol propilenico (Epi-Oitc®, Virbac), dimostrando un’efficacia del 67,7% dei casi clinici (Cole, Kwochka et al. 2003). L’acido acetico è efficace contro Pseudomonas, dato che una soluzione al 2% risulta letale entro 1 minuto dal contatto (Thorp, Kruger et al. 1998). Poiché l’aceto di vino bianco è generalmente prossimo al 5% di acido acetico, ne è stato raccomandato l’impiego per il lavaggio dell’orecchio, diluito al 2,5% miscelandolo in parti uguali con acqua, oppure al 25% di acqua, 25% di isopropil-alcool e 50% di aceto di vino bianco. In commercio si trovano combinazioni con acido borico al 2% ed acetico al 2% (Malacetic, Dermapet® and Otocetic solution, Vedco). Anche l’acetato di alluminio (soluzione di Burow) si è dimostrato utile per il trattamento di molti agenti patogeni dell’orecchio ed è risultato efficace quanto le gocce auricolari a base di polimixina/idrocortisone o la gentamicina in un gruppo di casi di otite esterna acuta in pazienti umani che nuotavano spesso e nel 34% dei casi presentavano infezioni da Pseudomonas pyocyanea (Lambert 1981; Clayton, Osborne et al. 1990; Thorp, Kruger et al. 1998). In uno di questi studi, nel 5% dei casi trattati il trattamento dovette essere sospeso per la comparsa di fitte di dolore acuto causate dalle gocce di acetato di alluminio; tuttavia, in un altro studio non sono state segnalate reazioni, per cui può anche darsi che la formula impiegata contribuisca a determinare questo tipo di risposta. La soluzione di Burow può richiedere 20 minuti di contatto per determinare la morte dei microrganismi (Kashi-


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wamura, Chida et al. 2004). L’alluminio si può legare ai fluorochinoloni ed inattivarli, per cui va evitato se si prevede di effettuare una concomitante terapia con un agente topico contenente un fluorochinolone. Un prodotto per uso veterinario di questo tipo è il Bur-Otic®-HC Ear treatment (Virbac), che, come unica terapia, deve essere utilizzato tre volte al giorno o più. Il Tris EDTA aumenta la permeabilità delle membrane cellulari batteriche legando gli ioni Ca ed Mg. Questa attività risulta principalmente evidente nei microrganismi Gramnegativi come Pseudomonas spp. Il prodotto viene utilizzato come risciacquo prima dell’applicazione degli antibiotici, o anche miscelato agli antibiotici stessi per ottenere una terapia topica combinata. Questa combinazione consente ad una maggior quantità di antibiotico di penetrare a livello intracellulare, anche nel caso di alcuni ceppi resistenti, rendendoli così suscettibili. L’azione è sinergica con molteplici antibiotici e non solo con gli aminoglicosidi come si riteneva in origine. È stato dimostrato che il Tris EDTA ha un effetto di riduzione della MIC dell’enrofloxacin contro i ceppi di Pseudomonas resistenti al ciprofloxacin e consente di risolvere casi clinici resistenti alla cefalosporina o all’enrofloxacin (Farca, Piromalli et al. 1997; Gbadamosis e Gotthelf 2003). Si è anche dimostrato efficace in vivo in un piccolo numero di casi quando è stato associato ad un basso livello (0,15%) di clorexidina digluconato (Ghibaudo, Cornegliani et al. 2004). Recentemente, è stato reso disponibile un prodotto contenente Tris EDTA e clorexidina allo 0,15% (Dermapet). Lo zinco gluconato complessato con aminoacidi (Maxi/Guard® Zn 4,5 Otic™, Addison Biological Laboratory, Inc.) si è dimostrato un efficace disinfettante nei confronti di Malassezia nell’otite del cane, in particolare quando è stato combinato all’acido borico ed all’acido non acetico (Mendelsohn, Griffin et al. 2005). È stato riferito che l’argento sulfadiazina all’1% è risultata un efficace antimicrobico in casi sperimentalmente indotti di otite esterna da Pseudomonas (Thomas 1990). In seguito è stato dimostrato che è ancora efficace a concentrazioni più basse fino allo 0,1%. Perché l’argento sia efficace, è di importanza critica che i batteri vengano a contatto con la molecola argentica e quindi è essenziale effettuare la somministrazione in un orecchio totalmente pulito. L’argento sulfadiazina crema all’1% si trova in commercio come Silvadene® Cream (King) o come farmaci generici, che però sono densi e non si applicano facilmente all’interno dell’orecchio come tali, ma possono essere diluiti in rapporto 1 : 10 portando ad ottenere una lozione di argento sulfadiazina allo 0,1% che può essere applicata più facilmente a livello auricolare. In presenza di un’infezione batterica, sia primaria che secondaria, sono indicati gli agenti antibatterici topici. La polimixina e la neomicina sono considerati gli antibiotici di prima linea, mentre la gentamicina ed i fluorochinoloni sono quelli di seconda. Le possibili opzioni da prendere in considerazione come terza linea di antibiotici topici sono rappresentate da amikacina, tobramicina e ticarcillina. Molti antibiotici topici sono meno efficaci quando vengono utilizzati in orecchie sporche e contenenti essudato, per cui le parti da trattare devono essere tenute pulite. Quando si utilizzano prodotti topici, le concentrazioni raggiunte nel condotto uditivo sono molto più elevate di quelle che si ottengono nella terapia sistemica. Spesso, batteri “resistenti” possono essere sensibili a queste concentrazioni più elevate, in particolare

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quando si impiegano antibiotici battericidi concentrazionedipendenti. Gli antibiotici possono anche essere più efficaci quando vengono utilizzati con un agente sinergico come il Tris EDTA. Gli agenti antimicotici sono necessari in tutti i casi complicati o causati da lievito, Malassezia o Candida o dermatofiti. Gli aminoacidi complessati con zinco gluconato o acido borico si sono dimostrati efficaci nel trattamento di casi clinici di otite esterna complicata da lieviti. I test in vitro o in vivo hanno dimostrato che la nistatina, il miconazolo, il clotrinazolo, l’enilconazolo, il ketoconazolo, il posaconazolo o l’olio di albero del tè sono efficaci nei confronti di Malassezia (Schmidt 1997; Weseler, Geiss et al. 2002; Bourdeau, Marchand et al. 2004). Gli antibiotici sistemici vengono utilizzati in tutti i casi in cui sono presenti un’otite media e alterazioni proliferative moderate o marcate, oppure quando gli appropriati interventi di terapia topica e pulizia sono stati inefficaci. La scelta dell’antibiotico iniziale di solito viene formulata empiricamente sulla base dei riscontri citologici. Quando predominano i cocchi, si prescrivono spesso le cefalosporine o l’amossicillina/acido clavulanico. In casi di otite media sono stati identificati ceppi di Staphylococcus intermedius resistenti alla meticillina (Cole, Kwochka et al. 2004). Questa resistenza è stata stabilita con il test di diffusione su disco (DD) per l’oxacillina e confermata con il test di screening su agar per l’oxacillina (OSA, oxacillin screen agar). In 7 casi su 21 era presente una resistenza alla meticillina. All’OSA, 5 di questi erano suscettibili e due ceppi erano ancora resistenti. S. intermedius meticillina-resistente era suscettibile a cloramfenicolo, polimixina B e trimethoprim-sulfadiazina. Nelle infezioni miste con presenza di cocchi o nei casi di cocchi che non rispondono alla cefalessina o all’amossicillina/acido clavulanico si prescrivono spesso i sulfamidici potenziati. I fluorochinoloni vengono solitamente impiegati quando all’esame citologico predominano i batteri di forma bastoncellare. I fluorochinoloni più comunemente utilizzati negli Stati Uniti sono rappresentati da enrofloxacin (Baytril, Bayer) alla dose di 5 mg/kg fino a 20 mg/kg ogni 24 ore, marbofloxacin (Zeniquin, Pfizer), alla dose di 2,75 – 5,5 mg/kg ogni 24 ore, orbifloxacin (Orbax, Schering) e ciprofloxacin alla dose di 5-10 mg/kg ogni 24 ore. Nel gatto, la dose massima di enrofloxacin è di 5 mg/kg una volta al giorno, dato che con dosaggi di 20 mg/kg al giorno si può avere l’insorgenza di affezioni retiniche ed eventualmente di cecità entro 21 giorni di terapia (Wiebe e Hamilton 2002). Non è stato segnalato che il marbofloxacin sia in grado di causare questo fenomeno nel gatto anche quando viene impiegato a dosaggi pari al doppio del limite massimo raccomandato. I confronti attraverso prove controllate dei fluorochinoloni per il trattamento dell’otite hanno generalmente dimostrato che il marbofloxacin è generalmente più efficace di tutti i fluorochinoloni, fatta eccezione per il ciprofloxacin (Martin Barrasa, Lupiola Gomez et al. 2000; DeBoer, Verbrugge et al. 2005; Wildermuth, Griffin et al. 2007). Inoltre, quando si effettua la determinazione del livello di sensibilità, il test DD è accettabile, ma identifica alcuni ceppi resistenti che, sulla base della determinazione della concentrazione minima inibente risultano in realtà suscettibili (Colombini, Merchant et al. 2000). Questo è generalmente il caso della maggior parte degli antibiotici aminoglicosidici (DeBoer, Verbrugge et al. 2005). Se i fluorochinoloni non sono efficaci, si raccomanda il ricorso agli antibiogrammi. Se si osserva una


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resistenza nei confronti di tutti gli antibiotici somministrati per via orale o se l’opzione degli antibiogrammi viene declinata o se vi sono alterazioni proliferative, può essere efficace un fluorochinolone somministrato insieme alla cefalessina alla dose di 22 mg/kg ogni 12 ore. Si ignora se ciò rifletta un effetto sinergico degli antibiotici oppure l’azione sulla concomitante presenza di Staphylococcus nei tessuti più profondi. In alcuni casi, per eliminare alcune infezioni da Pseudomonas sono necessari degli aminoglicosidi iniettabili. La gentamicina e l’amikacina vengono utilizzati soltanto quando la loro necessità viene indicata da un esame colturale. Questi farmaci possono oggi essere somministrati una volta al giorno per via sottocutanea, il che ne ha reso l’impiego molto più tollerabile per i clienti e per i cani. La gentamicina alla dose di 6-8 mg/kg una volta al giorno è meno costosa e causa meno ascessi sottocutanei dell’amikacina alla dose di 15-20 mg/kg. In rare occasioni, è stata necessaria la ticarcillina alla dose di 15-25 mg/kg ogni 8 ore IV. Nella maggior parte dei casi, il trattamento sistemico per l’otite da Malassezia è rappresentato dalla somministrazione di ketoconazolo per os (Nizoral, Janssen) alla dose di 5-10 mg/kg ogni 24 ore, nonché di floconazolo o itraconazolo (Sporanox, Janssen) alla dose di 5 mg/kg ogni 24 ore. Sia il ketoconazolo che l’itraconazolo sono stati anche utilizzati efficacemente per trattamenti quotidiani per 2-6 giorni passando poi ad una terapia ogni 48 ore. Uno studio ha valutato l’itraconazolo alla dose di 5 mg/kg ogni 24 ore per due giorni ogni settimana per tre settimane ed ha dimostrato che si tratta di una soluzione clinicamente efficace per l’otite da Malassezia quanto il trattamento giornaliero per 21 giorni (Pinchbeck, Hillier et al. 2002). Quando è necessario intervenire su Otodectes, la selamectina (Revolution o Stronghold, Pfizer) è valida sia come terapia sistemica approvata che come trattamento preventivo (Blot, Kodjo et al. 2003). È efficace tanto quanto o più dell’ivermectina, che ha rimpiazzato, grazie alla sua lunga durata che conferisce una protezione di un mese con un solo trattamento. Questa forma di terapia consente di trattare tutto l’animale, elimina lo stato di portatore e previene ulteriori infestazioni per un mese anche in un ambiente con animali parassitati. Nell’otite edematosa con marcata infiammazione e quando le alterazioni patologiche croniche causano una stenosi marcata del lume del canale è indicata la terapia sistemica con glucocorticoidi. Alcuni casi di otite allergica possono essere trattati con questi farmaci per via sistemica, il che permette di iniziare la terapia topica con un glucocorticoide a bassa potenza. L’otite atopica localizzata di solito risponde alla terapia topica, che deve costituire il trattamento iniziale. Il desametazone iniettabile risulta utile se è necessaria un’azione di soli 2 - 3 giorni. Nelle orecchie più gravemente infiammate, in particolare in associazione con altri segni clinici sistemici, si possono utilizzare inizialmente dosaggi antinfiammatori di prednisone o prednisolone (1 mg/kg/die) da ridurre poi progressivamente fino ad un dosaggio minimo a giorni alterni che tenga sotto controllo i segni clinici. Il triamcinolone acetonide (0,1 mg/kg, da ridurre gradualmente come il prednisone) è risultato superiore al prednisone per il trattamento dell’otite proliferativa e dell’otite esterna del gatto. Secondo la mia esperienza, anche qualche cane con otite proliferativa finisce per rispondere quando si modifica la terapia con glucocorticoidi passando dal prednisone o dal metilprednisolone al triamcinolone.

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Bibliografia Aniya, J. and C. Griffin (2007). The effect of otic vehicle and concentration of dexamethasone on liver and adrenal function in healthy dogs. Nt Amer Vet Derm Forum, Lihue, Hawaii. Blot, C., A. Kodjo, et al. (2003). “Efficacy of selamectin administered topically in the treatment of feline otoacariosis.” Vet Parasitol 112(3): 241-247. Bourdeau, P., A. Marchand, et al. (2004). “In vitro activity of posaconazole and other antifungals against Malassezia pachydermatis isolated from dogs.” Vet Dermatol 15(s): 46. Clayton, M., J. Osborne, et al. (1990). “A double-blind, randomized, prospective trial of a topical antiseptic versus a topical antibiotic in the treatment of otorrhoea.” Clin Otolaryngol Allied Sci 15(1): 7-10. Cole, L., K. Kwochka, et al. (2003). “Evaluation of an ear cleanser for the treatment of infectious otitis externa in dogs.” Vet Ther 4(1): 12-23. Cole, L. K., K. Kwochka, et al. (2003). “Comparison of bacterial organisms and their susceptibility patterns from otic exudate and ear tissue from the vertical ear canal of dogs undergoing a total ear canal ablation.” Vet Dermatol 14(4): 211. DeBoer, D. J., M. Verbrugge, et al. (2005). Anitmicrobial susceptibility patterns in fluoroquinolone-susceptable and fluoroquinolone-nonsusceptible isolates of Pseduomonas aeruginosa from the ear canal of dogs. Nt Ameri Vet Derm Forum, Sarasota, Fla. Farca, A., G. Piromalli, et al. (1997). “Potentiating effect of EDTA-Tris on the activity of antibiotics against resistant bacteria associated with otitis, dermatitis and cystitis.” J Small Anim Pract 38(6): 243-245. Gbadamosis, S. and L. Gotthelf (2003). “Evaluation of the in vitro effect of Tris-EDTA on the minimum inhibitory concentration of enrofloxacin against ciprofloxacin resistant Pseudomonas aeruginosa.” Vet Dermatol 14(4): 222. Ghibaudo, G., L. Cornegliani, et al. (2004). “Evaluation of the in vivo effects of Tris-EDTA and chlorhexidine digluconate 0.15% solution in chronic bacterial otitis externa: 11 cases.” Vet Dermatol 15(s): 65. Griffin, C. (1993). Otitis Externa and Media. Current Veterinary Dermatology, The Science and Art of Therapeutics. J. M. MacDonald. St Louis, Mosby Year Book. Kashiwamura, M., E. Chida, et al. (2004). “The efficacy of Burow’s solution as an ear preparation for the treatment of chronic ear infections.” Otol Neurotol 25(1): 9-13. Lambert, I. (1981). “A comparison of the treatment of otitis externa with ‘Otosporin’ and aluminium acetate: a report from a services practice in Cyprus.” J R Coll Gen Pract 31: 291-294. Martin Barrasa, J., P. Lupiola Gomez, et al. (2000). “Antibacterial susceptibility patterns of Pseudomonas strains isolated from chronic canine otitis externa.” J Vet Med Infect Dis Vet Public Health 47(3): 191196. Mendelsohn, C. L., C. E. Griffin, et al. (2005). “Efficacy of boric-complexed zinc and acetic-complexed zinc otic preparations for canine yeast otitis externa.” J Am Anim Hosp Assoc 41(1): 12-21. Pinchbeck, L., A. Hillier, et al. (2002). “Comparison of pulse administration versus once daily administration of itraconazole for the treatment of Malassezia pachydermatis dermatitis and otitis in dogs.” J Am Vet Med Assoc 220(12): 1807-1812. Schmidt, A. (1997). “In vitro activity of climbazole, clotrimazole and silversulphadiazine against isolates of Malassezia pachydermatis.” Zentralbl Veterinarmed [B] 44(4): 193-197. Thomas, M. L. (1990). “Development of a bacterial model for canine otitis externa.” Proc Annu Memb Meet Am Acad Vet Dermatol Am Coll Vet Dermatol 6: 28. Thorp, M., J. Kruger, et al. (1998). “The antibacterial activity of acetic acid and Burow’s solution as topical otological preparations.” J Laryngol Otol 112(10): 925-928. Weseler, A., H. Geiss, et al. (2002). “Antifungal effect of Australian tea tree oil on Malassezia pachydermatis isolated from canines suffering from cutaneous skin disease.” Schweiz Arch Tierheilkd 144(5): 215-221. Wiebe, V. and P. Hamilton (2002). “Fluoroquinolone-induced retinal degeneration in cats.” J Am Vet Med Assoc 221(11): 1568-1571. Wildermuth, B., C. Griffin, et al. (2007). “Susceptibility of Pseudomonas Isolates from the Ears and Skin of Dogs to Enrofloxacin, Marbofloxacin and Ciprofloxacin.” J Am Anim Hosp Assoc accepted in press.


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First aid, transport and triage... how to save a life! Rebecca Kirby DVM, Dipl ACVIM, Dipl ACVECC, Wisconsin, USA

FIRST AID AND TRANSPORT Owners can provide significant medical assistance at the scene of the injury. The receptionist must try to determine from the owner what the mentation, breathing pattern and perfusion of the pet is at the time of the telephone conversation. The first concern is for the safety of the owner. Instruct the owner to survey the scene and to move to a place of safety. Placing a light cloak or cloth over the head of the pet can remove light and sound. Cats can be placed in dark boxes to minimize stress during transport. The owners should place air holes and a hole large enough for observation of the animal. When moving the animal, try to minimize motion of the head, neck and spine. Using a flat, firm board of wood, cardboard or thick fabric that provides support is a suitable method. These materials will allow radiographs to be taken through the board without having to move the animal. Mouth-to-nose resuscitation and chest compressions may provide enough respiratory and circulatory support to maintain life during transport. After it has been established that the animal is unconscious and not breathing, the owner is instructed to close the pet’s mouth and to place their lips over the pet’s nostrils. They should give 3-4 strong breaths initially into the nostrils. Should breathing not become spontaneous, the owner should breath for the pet 10-12 times per minute. If they do not detect a heart beat, they can perform chest compressions and ventilations at a 5:1 ratio. Someone else will have to drive during transport. If there is ongoing hemorrhage or if there was bleeding seen at the site of injury, direct digital pressure is often enough to stop the bleeding. If there is a laceration on a distal limb with venous bleeding, elevating the limb above the level of the heart may stop the bleeding. Active red, pulsating arterial bleeding should be controlled by direct digital pressure and then a pressure bandage over the bleeding site. Should the blood soak through the bandage, additional material is placed over the original bandage. Penetrating foreign objects should remain in place with the owner guarding against further penetration or movement of the object. Animals with altered mentation after trauma should be transported with the head level or elevated 20 degrees. There should not be any jerking or thrashing motions and no conpression of the neck or jugular veins.

staff should be notified verbally. All animals due to arrive should be listed, with their estimated time of arrival and presenting complaint noted. The nursing staff should have an idea of the usual procedures and equipment required for the critical presenting complaints. The equipment that is usually needed is laid out ahead of time, so that any patient needing life-saving intervention, time is not wasted searching for materials. There should be a list complied by the nurses, nuder the supervision of the veterinarians, of the equipment, drugs and materials needed, termed “set-ups”. There will be different set-ups for different problems. Common complaints which motivate the team to anticipate problems and be as ready as possible ahead of time include: hit by car, dog fight, falling from height, gunshot, stabbing, potential toxicity, inability to urinate, abdominal distension, labored breathing, seizures, collapse, altered consciousness, profuse bleeding, dystocia, snake bite, prolapsed organs, heat stroke, severe cold exposure, and burns. Once the patient arrives, the receptionist will notify the nurse or clinician that is triage (with or without a gurney) is required. A quick statement identifying the presenting complaint and an indication of the urgency (whether “stat” or not) completes the immediate information.

PRIMARY SURVEY - TRIAGE

STAFF READINESS

Triage is the art of giving priority to patients and their problems upon presentation to the hospital. The primary complaint and the time of onset are obtained and the animal is removed from the carrier or towel and quickly examined for abnormalities (Table 1). The GOLDEN RULE of emergency medicine is “treat the most life-threatening problems first”. Therefore, the animal’s Airway, Breathing, Circulation and mentation must be rapidly assessed. Patients with catastrophic problems (airway obstruction, respiratory failure, and circulatory failure) can die within seconds if left untreated. Severe problems are life-threatening but allow more time for stabilization. Significant changes require that the patient is taken directly to the treatment area. The diagnostic, monitoring and therapeutic procedures must be coordinated with a coherent priority approach as the patient moves from the emergency situation, to surgery or diagnostic procedures, and then finally to the critical care area.

Once it has been determined that a patient with a potentially life-threatening problem is due to arrive, the treatment

* There is less tolerance for error, indecisiveness, or delay in the critical patient.


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Table 1. Physical parameters evaluated at triage Parameter

Abnormality

Interpretation

Airway

no air passage loud sounds inspiratory expiratory

total obstruction or respiratory arrest partial airway obstruction pharyngeal/laryngeal intrathoracic trachea

Breathing patterns

loud sounds dysnchronous smooth expiratory push

upper airway obstruction pleural space disease parenchymal small airway

External hemorrhage

pulsing blood slow oozing < 1 second > 2 seconds

arterial venous hyperdynamic state or peripheral vasodilation poor peripheral constriction

Mucous membrane color

white blue brown petechiation brick red yellow

anemia, severe shock cyanosis methemoglobinemia thrombocytopenia hyperdynamic shock icterus

Pulse intensity

weak femoral bounding femoral

poor peripheral perfusion hyperdynamic perfusion

Heart rate

Dog: > 200 bpm

poor coronary diastolic filling impaired cardiac output

Capillary refill time

< 60 bpm Cat: > 250 bpm < 150 bpm

poor coronary diastolic filling impaired cardiac output


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Primo soccorso - trasporto e triage Rebecca Kirby DVM, Dipl ACVIM, Dipl ACVECC, Wisconsin, USA

PRIMO SOCCORSO E TRASPORTO I proprietari possono prestare un’assistenza medica significativa sulla scena dell’evento traumatico. Nel corso della conversazione telefonica, gli addetti alla reception devono cercare di determinare il base al colloquio con il proprietario lo stato del sensorio, il quadro della respirazione e la perfusione dell’animale. La prima preoccupazione è relativa alla sicurezza del proprietario. È necessario dirgli di osservare la scena e spostarsi in un luogo sicuro. Appoggiare un mantello o un abito leggero sopra la testa dell’animale può servire ad isolarlo da luci e suoni. I gatti possono essere posti in scatole scure per ridurre al minimo lo stress durante il trasporto. I proprietari devono praticare dei fori per l’aria e un’apertura abbastanza grande da poter osservare l’animale. Quando questo viene spostato, si deve cercare di ridurre al minimo il movimento della testa, del collo e della colonna vertebrale. Un metodo adatto è quello di utilizzare una solida e piatta tavola di legno, cartone o tessuto su una struttura rigida che offra il sostegno adeguato. Questi animali consentono di effettuare la ripresa di radiografie attraverso la tavola senza dover muovere l’animale. La rianimazione bocca-naso e le compressioni del torace possono garantire un supporto respiratorio e circolatorio sufficiente a mantenere in vita il soggetto durante il trasporto. Una volta che sia stato stabilito che l’animale è incosciente e non respira, si deve dire al proprietario di chiudergli la bocca ed appoggiare le sue labbra sulle narici del soggetto traumatizzato. Inizialmente, nelle narici devono essere soffiati 34 atti respiratori energici. Se la respirazione non riprende spontaneamente, il proprietario deve continuare con la respirazione artificiale per 10-12 volte al minuto. Se non si rileva un battito cardiaco, è possibile effettuare delle compressioni del torace e delle ventilazioni con un rapporto 5 : 1. Qualcun altro dovrà guidare durante il trasporto. Se è in atto un’emorragia o se è stato osservato un sanguinamento nella sede della lesione, per arrestarli spesso è sufficiente la compressione digitale diretta. Se è presente una lacerazione di un tratto distale di un arto con un sanguinamento venoso, questo può essere fatto cessare sollevando l’arto al di sopra del livello del cuore. Un’emorragia arteriosa, di colore rosso vivace e pulsante, va controllata mediante pressione digitale diretta e successiva applicazione di un bendaggio compressivo sopra la zona sanguinante. Se il sangue dovesse inzuppare il bendaggio ed attraversarlo, sul materiale originale se ne applica dell’altro. I corpi estranei penetranti vanno lasciati in posizione ed il proprietario deve solo fare attenzione che non si verifichino ulteriori penetrazioni o movimenti dell’oggetto. Gli animali

con alterazioni del sensorio dopo un trauma devono essere trasportati con la testa orizzontale o sollevata di 20°. Non si deve effettuare alcun movimento a scatti o sferzante e non si devono comprimere il collo o le vene giugulari.

LO STAFF DEVE ESSERE PRONTO Una volta accertato che è in arrivo un paziente con un problema potenzialmente letale, la cosa va comunicata verbalmente allo staff terapeutico. Tutti gli animali in arrivo devono essere indicati in un elenco, con il momento previsto per il loro ingresso in ospedale e il motivo del ricovero. Il personale infermieristico deve conoscere le procedure abituali e le apparecchiature necessarie per affrontare le situazioni critiche presentate dall’animale. L’apparecchiatura solitamente necessaria viene preparata in anticipo, in modo che se un paziente necessitasse di un intervento salvavita, non si debba sprecare tempo a cercare i materiali. Deve esistere una lista, detta “set up”, compilata dagli infermieri sotto la supervisione dei veterinari, delle apparecchiature, dei farmaci e dei materiali occorrenti. Si avranno differenti set up per i vari problemi. Le più frequenti cause di ricovero, per le quali il team può prevedere l’insorgenza di determinati problemi e, quindi, preparasi quanto più possibile ad anticiparli, sono rappresentate da: investimento da parte di un veicolo, combattimento fra cani, caduta dall’alto, ferita da arma da fuoco, ferita da punta, potenziale avvelenamento, incapacità di urinare, distensione addominale, respirazione difficoltosa, crisi convulsive, collasso, alterazione della coscienza, sanguinamento profuso, distocia, morso di serpente, prolasso di organi, colpo di calore, grave esposizione al freddo ed ustioni. Appena il paziente arriva, l’addetto alla reception comunica all’infermiere o al clinico che è necessario effettuare un triage (con o senza lettiga). Una rapida definizione che identifichi il problema presentato ed indichi il grado d’urgenza (se si tratta o meno di una situazione di emergenza immediata) completa l’informazione iniziale.

VALUTAZIONE PRIMARIA – TRIAGE Il triage è l’arte di assegnare la priorità dei pazienti e dei loro problemi quando vengono presentati all’ospedale. È necessario stabilire il principale motivo della richiesta di assistenza ed il momento dell’insorgenza del problema per poi rimuovere l’animale dal trasportino o dal telo ed esaminarlo rapidamente alla ricerca di anomalie (Tabella 1). La


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REGOLA AUREA della medicina d’emergenza è “trattare prima i problemi più potenzialmente letali”. Di conseguenza, è necessario valutare rapidamente l’ABC (vie aree, respirazione, circolazione) dell’animale. I pazienti con problemi catastrofici (ostruzione delle vie aeree, insufficienza respiratoria ed insufficienza circolatoria) possono morire entro pochi secondi se vengono lasciati senza trattamento. I problemi gravi sono potenzialmente letali, ma concedono più tempo per la stabilizzazione. Le alterazioni significative

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richiedono che il paziente venga portato direttamente all’area di trattamento. Le procedure diagnostiche di monitoraggio e terapeutiche devono essere coordinate con un approccio prioritario coerente man mano che il paziente passa dalla situazione di emergenza alle procedure chirurgiche o diagnostiche ed infine all’area di terapia intensiva. *Il paziente in condizioni critiche concede meno tolleranza per errori, indecisioni o ritardi

Tabella 1. Parametri fisici valutati durante il triage Parametro

Anormalità

Interpretazioni

Vie aeree

nessun passaggio di aria forti suoni inspiratori espiratori

ostruzione totale o arresto respiratorio ostruzione parziale delle vie aeree faringea/laringea trachea intratoracica

Quadri respiratori

suoni forti dissincronia regolare spinta espiratoria

ostruzione delle vie aeree superiori malattia dello spazio pleurico parenchima vie aeree di piccolo calibro

Emorragia esterna

sangue pulsante flusso lento

arterioso venoso

Tempo di riempimento capillare

< 1 secondo > 2 secondi

stato iperdinamico o vasodilatazione periferica cattiva costrizione periferica

Colore delle mucose

bianco blu bruno petecchie rosso mattone giallo

anemia, shock grave cianosi metemoglobinemia trombocitopenia shock iperdinamico ittero

Intensità del polso

femorale debole femorale saltellante

cattiva perfusione periferica perfusione iperdinamica

Frequenza cardiaca

Cane: > 200 bpm < 60 bpm

cattivo riempimento diastolico coronario compromissione della gittata cardiaca

Gatto: > 250 bpm < 150 bpm

cattivo riempimento diastolico coronario compromissione della gittata cardiaca


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Shock and shock resuscitation Rebecca Kirby DVM, Dipl ACVIM, Dipl ACVECC, Wisconsin, USA

INTRODUCTION The most commonly encountered life-threatening problem in the critical patient is poor oxygen distribution and utilization by tissues. Oxygen has the highest extraction ratio of all blood constituents, making it the most flow-dependent blood component. Oxygen utilization (V02) is the measure of the body’s overall metabolism. Inadequate V02 is the major pathogenic mechanism in the development of shock syndromes. The V02 can be rate limited by reduced supply (i.e. hemorrhage or cardiac failure) or flow maldistribution (i.e. trauma, surgical operations, anesthetics, sepsis, metabolic disorders). The pattern of oxygen delivery and utilization (D02 and V02) has been found to be a strong determinant of survival in humans. The purpose of tissue oxygenation is to facilitate the production of adenosine triphosphate (ATP), the body’s energy source. In the presence of oxygen, one glucose molecule is responsible for producing 38 ATP. In an anaerobic environment, only 2 ATP are produced per glucose molecule, with lactic acid as a detrimental end-product. Energy is required to power the sodium-potassium and calcium pumps within the cell. Tissue hypoxia causes depletion of energy stores and subsequent excessive amounts of sodium and calcium retained within the cell. The sodium draws water from the extracellular compartments and severe cellular swelling results. As intracellular calcium accumulates, lysosomal membranes breakdown, releasing enzymes which can destroy cell membranes. These enzymes activate kinins and prostiglandins which cause local vasodilation and increased capillary permeability. Interstitial edema, maldistribution of blood flow, and organ dysfunction result.

CAPILLARY DYNAMICS The majority of fluids within the body are located within the intravascular, interstitial and intracellular compartments. The interstitial and intracellular compartments make up the extravascular space. The intracellular compartment is contained within a cell membrane that is freely permeable to water but not to charged particles. The interstitial space is composed of collagen fiber bundles, proteoglycan filaments and lymphatics and is located between the cells and the vasculature. The intravascular space is contained within the vascular network of arteries, arterioles, capillaries, venules, and veins. Starlings Law defines the forces that affect the volume of fluid that is distributed between the intravascular and interstitial compartments. As the blood passes throughout the

length of the capillary, the hydrostatic pressure gradient causes a continuous, dynamic movement of water and solutes into the interstitium. The dynamics of the various fluid compartments changes during shock. When the underlying pathology leads to a systemic inflammatory response, there is increased permeability of the capillaries and post capillary venules of the body. Albumin (69,000 daltons) will flux across the capillary membrane into the interstitium at and remote from the injured site as a result of cytokine action. Hypoalbuminemia associated with this systemic inflammatory response implies that the capillary pore size is at least 69,000 daltons in diameter when there is adequate liver function and no evidence of significant renal or intestinal albumin loss.

PATHOPHYSIOLOGY Hypovolemic shock is a condition which results from a reduction in blood volume to the extent that ventricular filling, arterial blood pressure, peripheral blood flow, and V02 are inadequate to maintain cellular integrity. The most common causes are hemorrhage, wound fluid loss, burns, and loss of fluid into a third body fluid space. Within the walls of the aortic arch and at the bifurcation of the internal and external carotid arteries (carotid sinus), there are special pressure receptors, called baroreceptors, with their respective afferent nerve fibers (buffer nerves). When there is adequate pressure exerted on the baroreceptors, buffer nerves discharge at a slow rate, sending afferent impulses to the brain stem to inhibit the tonic discharge of the vasoconstrictor nerves and excite the cardio-inhibitory center. In the early stages of hypovolemic shock, inadequate cardiac output leads to insufficient stretch of the baroreceptors, hypotension, and hypoperfusion. The inhibitory discharge in the buffer nerves is decreased and norephinephrine is released from the nerve endings and norepinephrine and epinephrine are released into the circulation from the adrenal gland. The overall result is an elevation in heart rate, increase in myocardial contractility, and vasoconstriction of the arteries and veins. These early changes represent the compensatory stage of shock and are represented clinically by an elevation in heart rate, normal or increased arterial pressure, normal or increased flow (bounding pulses, hyperemic mucous membranes, and rapid capillary refill time) and increased V02. This stage is easily overlooked by the clinician since the patient may appear within normal limits. The heart rate is a key physical sign. Volume replacement is necessary, generally leading to favorable results if the cause


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is arrested. This phase is not seen in the cat except when there is extreme pain. If fluid loss continues, the sympathetic stimulation will continue with more intensity, reducing the blood supply to the skin, muscles, viscera, and kidneys, in an effort to maintain an effective circulating volume and to promote brain and heart perfusion. Uneven blood flow is the key event in this middle or early decompensatory stage of shock. ATP is utilized and glucose stores are depleted, resulting in free fatty acids being metabolized for energy. Prostaglandins, thromboxane A2, and leukotrienes lead to vasoconstriction, platelet aggregation, cardiac depression, leakage of lysosomal enzymes, and chemotaxis of white blood cells. Clinical signs associated with the middle stage of shock are low rectal temperature, poor pulses, pale mucous membranes, prolonged capillary refill time, and coolness of the limbs and skin. The heart rate is elevated and the animal usually has depressed mentation. Vigorous fluid therapy is required, and the prognosis becomes guarded. In the cat, there is hypotension, hypothermia and normal or slow heart rate. The Hypothermia plays a significant role in the compensatory response that the cat is able to mount. Low rectal temperatures (< 98F) are associated with poor response of the adrenergic receptors to catecholamines. This can lead to inadequate compensatory vasoconstriction and poor cardiac response. The terminal stages of shock are similar regardless of the etiology. Prolonged sympathetic overactivity leads to severe tissue hypoxia and decompensation of the vital organs (brain and heart). Heart rate slows, peripheral veins and arteries dilate, and blood pools, reducing blood volume and cardiac output further. This vicious cycle is the terminal decompensatory stage of shock which carries with it a grave prognosis. Clinical signs include heart failure, pulmonary edema, alteration of consciousness, severe hypotension, and abnormal respiratory patterns. Cardiopulmonary arrest is a common sequel.

AGGRESSIVE RESUSCITATION PROCEDURES The primary objective of therapeutics in each case is to open up unevenly vasoconstricted microcirculatory networks and provide oxygen to the tissues. 1. Oxygen administration: A t least a 40-60% oxygen concentration in inspired air should be maintained. This can be administered by endotracheal tube, transtracheal catheter, flow-by technique, mask, bag, or nasal cannula. 2. Fluid Selection Poor perfusion and dehydration are different problems, requiring different therapeutic strategies. Perfusion deficits are due to a loss of intravascular fluid volume (though heart failure must be ruled out as the cause). Replacement of these deficits should occur rapidly and involves giving enough solution to expand and maintain the intravascular space. Dehydration is an extravascular (prima-

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rily interstitial) volume deficit, replaced with crystalloids.. It is quite possible to have perfusion deficits without significant dehydration and dehydration without significant perfusion deficits. A crystalloid is a water based solution with small molecules that are permeable to the capillary membrane. The sodium and glucose concentrations of these fluids determine the osmolality and tonicity of the fluid and the distribution between the fluid compartments. A colloid fluid is a water based solution with both small molecules that are permeable to the capillary membrane as well as large molecules that can not cross the capillary membrane. Natural colloids consist of plasma proteins from donor animals and are administered as fresh frozen plasma, frozen plasma, whole blood, albumin concentrate, and stroma free hemoglobin. Synthetic colloids are man-made large molecules dissolved in normal saline. During initial resuscitation, a combination of synthetic colloid and crystalloids will be utilized. 3. Select resuscitation end-points. Successful resuscitation therapy depends upon administering quantites of fluids sufficient to reach specified end-points. This process is termed end-point resuscitation. Physical and hemodynamic parameters are the mainstay of monitored end-points. The need to avoid volume overload and increased capillary hydrostatic pressure in traumatized animals with closed cavity hemorrhage, on-going hemorrhage, and brain or lung trauma will dictate the end-points selected and end-point resuscitation technique employed. Supranormal end-point resuscitation: For hypovolemic and SIRS shock, resuscitation of perfusion to supranormal values to increase oxygen delivery is recommended. Restoration of physical perfusion parameters (lowering of heart rate, stronger pulses, normal capillary refill time, pink mucous membranes) are used in conjunction with hemodynamic parameters. This technique is not to be used in the presence of closed cavity hemorrhage and lung or brain edema or hemorrhage. The sudden increased in capillary hydrostatic pressure can cause exacerbation of hemorrhage or edema. Hypotensive end-point resuscitation: Traumatic shock with closed cavity hemorrhage or brain or lung edema warrants hypotensive resuscitation. The animal is resuscitated to end-points of improved physical perfusion parameters, but blood pressures remain in the low normal range rather than utilizing supranormal values. This is to avoid dislodging clots that may be providing life-saving hemostasis and to avoid a significant increase in hydrostatic pressure and worsening of brain or lung edema. 4. Resuscitation Techniques Techniques for resuscitation with colloids include rapid volume intravascular resuscitation for dogs and small volume resuscitation for the dog and cat. Selection of either resuscitation technique will depend upon the species of the animal, the presence of brain or lung pathology, and the probability of ongoing or closed cavity hemorrhage (see figures below).


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Shock e rianimazione Rebecca Kirby DVM, Dipl ACVIM, Dipl ACVECC, Wisconsin, USA

INTRODUZIONE Il problema potenzialmente letale di più comune riscontro nel paziente in condizioni critiche è rappresentato dalla cattiva distribuzione dell’ossigeno e dalla sua utilizzazione da parte dei tessuti. L’ossigeno presenta il massimo rapporto di estrazione di tutti i costituenti del sangue, il che ne fa il componente ematico che dipende maggiormente dal flusso. L’utilizzazione dell’ossigeno (VO2) è la misura del metabolismo complessivo dell’organismo. Una VO2 inadeguata è il principale meccanismo patogeno dello sviluppo delle sindromi da shock. La VO2 può essere limitata da una riduzione dell’apporto (emorragia o insufficienza cardiaca) oppure da una maldistribuzione del flusso (trauma, operazioni chirurgiche, anestetici, sepsi, disordini metabolici). Il quadro di apporto ed utilizzazione dell’ossigeno (DO2 e VO2) è risultato essere un valido determinante della sopravvivenza nell’uomo. Lo scopo dell’ossigenazione tissutale è quello di facilitare la produzione di adenosintrifosfato (ATP), la fonte di energia dell’organismo. In presenza di ossigeno, una molecola di glucosio porta alla produzione di 38 ATP. In un ambiente anaerobico, vengono prodotti soltanto 2 ATP per molecola di glucosio, con l’acido lattico come prodotto terminale dannoso. L’energia è necessaria per alimentare le pompe sodio-potassiche e calciche all’interno della cellula. L’ipossia tissutale provoca una deplezione delle riserve energetiche e, di conseguenza, la ritenzione di quantità eccessive di sodio e di calcio a livello intracellulare. Il sodio richiama acqua dai comparti extracellulari e ne deriva un grave rigonfiamento cellulare. Man mano che si accumula il calcio all’interno della cellula, le membrane lisosomiali vanno incontro a degradazione, rilasciando enzimi che possono distruggere le membrane cellulari. Questi enzimi attivano le chinine e le prostaglandine, che causano una vasodilatazione locale ed un incremento della permeabilità capillare. Si hanno edema interstiziale, maldistribuzione del flusso ematico e disfunzioni organiche.

DINAMICHE CAPILLARI La maggior parte dei fluidi all’interno dell’organismo è localizzata nei comparti intravascolare, interstiziale ed intercellulare. Quelli interstiziale ed intracellulare formano lo spazio extravascolare. Il comparto intracellulare è contenuto all’interno di una membrana cellulare che è liberamente permeabile all’acqua, ma non alle particelle cariche. Lo spazio interstiziale è costituito da fascetti di fibre collagene, filamenti di proteoglicani e vasi linfatici ed è localizzato fra le cellule e la vascolarizzazione. Lo spazio intravascolare è contenuto all’interno della rete vascolare di arte-

rie, arteriole, capillari, venule e vene. La legge di Starling definisce le forze che influiscono sul volume di fluido che viene distribuito fra i comparti intravascolare ed interstiziale. Quando il sangue passa attraverso l’intera lunghezza del capillare, il gradiente di pressione idrostatica determina un continuo movimento dinamico di acqua e soluti che passano nell’interstizio. Le dinamiche dei vari comparti fluidi cambiano durante lo shock. Quando la patologia sottostante porta ad una risposta infiammatoria sistemica, si ha un aumento della permeabilità dei capillari e delle venule postcapillari dell’organismo. L’albumina (69.000 dalton) fluisce attraverso la membrana capillare e passa nell’interstizio sia a livello della sede danneggiata che lontano da essa, come conseguenza dell’azione delle citochine. L’ipoalbuminemia associata a questa risposta infiammatoria sistemica implica che le dimensioni dei pori capillari sono di almeno 69.000 dalton di diametro quando è presente un’adeguata funzione epatica e non vi sono segni di una significativa perdita renale o intestinale di albumina.

FISIOPATOLOGIA Lo shock ipovolemico è una condizione che deriva da una riduzione del volume ematico sino a che lo riempimento ventricolare, la pressione ematica arteriosa, la perfusione periferica e la VO2 sono inadeguate a mantenere l’integrità cellulare. Le cause più comuni sono le emorragie, le perdite di fluidi attraverso le ferite, le ustioni e la fuoriuscita di fluido nel terzo spazio dell’organismo. All’interno delle pareti dell’arco aortico ed a livello della biforcazione delle arterie carotidi interna ed esterna (seno carotideo) sono situati speciali recettori di pressione (detti barocettori), con le rispettive fibre nervose afferenti (nervi tampone). Quando sui barocettori viene esercitata una pressione adeguata, i nervi tampone si scaricano con una frequenza lenta, inviando impulsi afferenti al tronco encefalico per inibire la scarica tonica dei nervi vasocostrittori ed eccitare il centro cardioinibitorio. Negli stadi iniziali dello shock ipovolemico, una gittata cardiaca inadeguata porta ad un insufficiente stiramento dei barocettori, ipotensione e ipoperfusione. La scarica inibitoria nei nervi tampone viene diminuita e si ha il rilascio di noardrenalina dalle terminazioni nervose e di noradrenalina ed adrenalina che vengono immesse in circolo dalle surreni. La conseguenza complessiva è un aumento della frequenza cardiaca, con incremento della contrattilità miocardica e vasocostrizione delle arterie e delle vene. Queste modificazioni precoci rappresentano lo stadio compensatorio dello shock e sono rappresentate clinicamente da un aumento della frequenza cardiaca, con pressione arteriosa normale o


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aumentata, flusso normale o aumentato (polso saltellante, mucose iperemiche e tempo di riempimento capillare rapido) ed incremento di VO2. Questo stadio viene facilmente sottovalutato dal clinico, dato che il paziente può sembrare entro i limiti normali. La frequenza cardiaca è un segno clinico chiave. È necessario un ripristino volumetrico, che generalmente porta ad ottenere risultati favorevoli se la causa viene arrestata. Questa fase non si osserva nel gatto, tranne che in caso di dolore estremamente intenso. Se la perdita idrica continua, la stimolazione simpatica procede con maggiore intensità riducendo l’apporto ematico a cute, muscoli, visceri e reni, nel tentativo di mantenere un volume circolante efficace e promuovere la perfusione cerebrale e cardiaca. La perfusione ematica non uniforme è l’evento chiave di questo stadio intermedio o di scompenso iniziale dello shock. Viene utilizzato l’ATP e le riserve di glucosio vanno incontro a deplezione, esitando nella metabolizzazione a fini energetici di acidi grassi liberi. Prostaglandine, trombossano A2 e leucotrieni portano a vasocostrizione, aggregazione piastrinica, depressione cardiaca, filtrazione di enzimi lisosomiali e chemiotassi di leucociti. I segni clinici associati allo stadio intermedio dello shock sono la bassa temperatura rettale, il polso scadente, il pallore delle mucose, il prolungamento del tempo di riempimento capillare e la freddezza di arti e cute. La frequenza cardiaca è elevata e l’animale di solito presenta una depressione del sensorio. È necessaria un’energica fluidoterapia e la prognosi diventa riservata. Nel gatto, sono presenti ipotensione, ipotermia e frequenza cardiaca normale o rallentata. L’ipotermia svolge un ruolo significativo nella risposta compensatoria che il gatto è in grado di sviluppare. Temperature rettali basse (< 36,7°C) sono associate ad una cattiva risposta alle catecolamine da parte dei recettori adrenergici. Ciò può portare ad un’inadeguata vasocostrizione compensatoria e scadente risposta cardiaca. Gli stadi terminali dello shock sono simili, indipendentemente dall’eziologia. L’iperattività simpatica prolungata porta ad un grave ipossia tissutale e ad uno scompenso degli organi vitali (encefalo e cuore). La frequenza cardiaca rallenta, le vene e le arterie periferiche si dilatano e il sangue ristagna, riducendo ulteriormente il volume ematico e la gittata cardiaca. Questo circolo vizioso costituisce lo stadio di scompenso terminale dello shock, che comporta una prognosi grave. I segni clinici sono rappresentati da insufficienza cardiaca, edema polmonare, alterazione della coscienza, grave ipotensione e quadri respiratori anormali. L’arresto cardiopolmonare è una sequela comune.

PROCEDURE DI RIANIMAZIONE AGGRESSIVE L’obiettivo primario degli interventi terapeutici in ciascun caso è quello di determinare l’apertura della rete del microcircolo che ha subito una vasocostrizione non uniforme e garantire l’apporto di ossigeno ai tessuti. 1. Somministrazione di ossigeno: si deve mantenere come minimo una concentrazione di ossigeno del 40-60% nell’aria inspirata. Questa può essere somministrata mediante tubo orotracheale, catetere transtracheale, tecnica flow-by, maschera, borsa o cannula nasale.

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2. Scelta dei fluidi: la cattiva perfusione e la disidratazione sono problemi differenti, che richiedono strategie terapeutiche diverse. I deficit di perfusione sono dovuti ad una perdita del volume dei fluidi intravascolari (benché si debba escludere come causa l’insufficienza cardiaca). Il ripristino di questi deficit deve avvenire rapidamente e comporta la somministrazione di una soluzione sufficiente ad espandere e mantenere lo spazio intravascolare. La disidratazione è un deficit del volume extravascolare (principalmente interstiziale) che viene ripristinato con cristalloidi. È assolutamente possibile avere deficit di perfusione senza una significativa disidratazione e disidratazione senza significativi deficit di perfusione. Un cristalloide è una soluzione a base acquosa con piccole molecole permeabili alle membrane capillari. Le concentrazioni di sodio e glucosio di questi fluidi determinano l’osmolalità e la tonicità dei liquidi e la loro distribuzione fra i comparti fluidi. Un colloide è una soluzione a base acquosa che contiene sia piccole molecole permeabili alla membrana capillare che grandi molecole che non possono attraversarla. I colloidi naturali sono costituiti dalle proteine plasmatiche di animali donatori e vengono somministrati sotto forma di plasma fresco congelato, plasma congelato, sangue intero, albumina concentrata ed emoglobina priva di stroma. I colloidi di sintesi sono grandi molecole realizzate dall’uomo e disciolte in soluzione fisiologica. Durante la rianimazione iniziale, si utilizza una combinazione di colloidi di sintesi e cristalloidi. 3. Determinati end-point della rianimazione. Il successo della terapia mediante rianimazione dipende dalla somministrazione di quantità di fluidi sufficienti a raggiungere specifici end-point. Questo processo viene detto end-point resuscitation. I parametri fisici ed emodinamici sono il caposaldo degli end-point monitorati. La necessità di evitare un sovraccarico volumetrico ed aumentare la pressione idrostatica capillare negli animali traumatizzati con emorragia in una cavità chiusa, emorragia in atto e trauma cerebrale o polmonare impone la scelta degli end-point e la tecnica di endpoint resuscitation utilizzata. Rianimazione end-point sopranormale: nel caso dello shock ipovolemico e da SIRS, si raccomanda la rianimazione della perfusione fino a valori sopranormali per aumentare l’apporto di ossigeno. Si utilizza il ripristino dei parametri fisici di perfusione (abbassamento della frequenza cardiaca, polso più forte, tempo di riempimento capillare normale, mucose rosee) in associazione con parametri emodinamici. Questa tecnica non va utilizzata in presenza di emorragia in una cavità chiusa ed edema o emorragia polmonare o cerebrale. L’improvviso aumento della pressione idrostatica capillare può causare l’esacerbazione dell’emorragia o dell’edema. Rianimazione end-point ipotensiva: Lo shock traumatico con emorragia in una cavità chiusa o edema cerebrale o polmonare richiede una rianimazione ipotensiva. L’animale viene rianimato sino agli end-point del miglioramento dei parametri di perfusione fisica, ma le pressioni sanguigne restano ai limiti inferiori della norma piuttosto che utilizzare valori sopranormali. Ciò serve ad evitare di dislocare dei coaguli che possono garantire un’emostasi salvavita ed evitare un significativo aumento della pressione idrostatica ed il peggioramento dell’edema cerebrale o polmonare.


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4. Tecniche di rianimazione Le tecniche di rianimazione con colloidi comprendono la rapida rianimazione volumetrica intravascolare per i cani e la rianimazione con volumi limitati per il cane ed il gatto. La

Gatti

scelta dell’una o dell’altra metodica dipende dalla specie animale, dalla presenta di una patologia cerebrale o polmonare e dalla probabilità di un’emorragia in atto o in una cavità chiusa (vedi figura sottostante)

Ipotensione Bradicardia Ipotermia

Cardiopatia?

Cristalloidi (10-15 ml/kg) Amido eterificato (2-5 ml/kg)

no

Pressione > 40 mmHg?

Cristalloidi Trattare la cardiopatia

no Amido eterificato 2-5 ml/kg Riscaldare T > 36,7 °C

Cani

Parametri di perfusione basali

Emorragia in cavità chiusa? Lesione polmonare? Lesione cerebrale? Cardiopatia?

no

Crist 10-15 ml/kg Colloidi 3-5 ml/kg Titolare i colloidi ± sangue

Crist 20-50 ml/kg Colloidi 5-15 ml/kg Titolare i colloidi 5 ml/kg ± sangue

MAP 60-80 mmHg

MAP 80-90 mmHg


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Acute respiratory distress – what to do when they are so blue! Rebecca Kirby DVM, Dipl ACVIM, Dipl ACVECC, Wisconsin, USA

DEFINITION/ETIOLOGY Acute respiratory distress (ARD) is the sudden onset of rapid and/or labored respiratory. It can be caused by pathology or obstruction associated with the nasal passages, oral cavity, pharynx, larynx, trachea, bronchi, alveoli, pulmonary vasculature or lymphatics, pulmonary innervation, chest wall, diaphragm, or pleural space. Respiratory distress occurs in the following order of progression from least to most severe: increased respiratory rate; change in breathing pattern with increased work of breathing; change in posture; open mouth breathing; cyanosis (paO2 < 60 mmHg); death. Cyanosis, severe work of breathing (active intercostal muscle contraction for movement of the rib cage, open mouth breathing with lips retracted at the commissures), barrel chested appearance of the rib cage, and/or blood or foam coming from the trachea are signs of catastrophic acute respiratory distress. These animals are dying before your eyes. Severe work of The amount of work required will be dependent upon how much of the lung or thorax is involved and whether the problem is acute (more work required) or chronic. In an acute severe or catastrophic situation, the animal will assume a body position of relief. The dog will want to stand with elbows abducted and back arched. As the pathology progresses, the dog will extend his neck and open mouth breath. The cat will tuck the front and rear legs and feet tightly under their body and arch their backs elevating their sternum off of the surface. With chronic distress the cat does not have a specific position of relief.

or is exhausted from trying to breath against an obstruction. Inspiratory stridor suggests upper airway pathology and expiratory stridor suggests lower airway pathology. Stridor on both inspiration and expiration suggests either involvement of the entire trachea such as tracheal collapse or a fixed obstruction such as a mass. Rapid, shallow breathing with the chest and abdomen moving together, in the same direction at the same time is most compatible with lung parenchymal disease. Auscultation will find louder than normal lung sounds with early disease and crackles and rales in the area of involvement with severe disease. Cats will have louder than normal lung sounds as their primary auscultatory finding unless the lung involvement is severe. An irregular breathing pattern, with the chest and abdomen moving in opposition to one another is most compatible with pleural space disease. Auscultation may find dull or muffled lung sounds in the location of the pathology. Percussion in large breed dogs can find an area of dullness at the site of the pleural space pathology. Lung sounds can be normal in a cat with pleural space disease. Catastrophic tension pneumothorax will present with the animal having a barrel chested appearance and severe cardiovascular compromise. There will be little chest wall movement. A noncompressible anterior mediastinum suggests an anterior mediastinal mass in the cat. Short inspiration and prolonged expiration, with an expiratory push of the diaphragm, is compatible with small airway disease. Auscultation should find high pitched wheezes. Rapid breathing with normal effort will suggest non-respiratory tract related causes such as pain, CNS disease, peripheral nerve pathology, neuromuscular disease, muscle pathology, or metabolic acidosis.

BREATHING PATTERNS It is important to determine the location of the pathology. (large airway, pleural space disease, parenchymal disease, small airway) by observing the pattern of breathing and careful auscultation. Observation of the rib cage-abdomen junction is ideal to determine whether the chest and abdomen are moving together, in the same direction, or if they are moving in opposition. It is also important to note inspiratory to expiratory time ratio (normally 1:2). If breathing is loud, heard without the aid of a stethescope, large airway obstruction is the likely cause. Castrophic large airway obstruction presents with severe cyanosis and cardiovascular compromise. The breathing sounds may not be loud if the animal is losing consciousness

RESUSCITATION A brief history is immediately obtained to determine if there is known trauma, exposure to rodenticides, past medical history of heart disease or recurrent breathing problems, signs of illness other than ARD, or recent vomiting. Resuscitative intervention is required most often prior to aggressive diagnostics to minimize stress. All animals with ARD will receive: oxygen supplementation by flow-by, mask or bag oxygen administered during resuscitative procedures and an intravenous catheter. Immediate and aggessive resuscitative intervention is essential for animals presenting with catastrophic ARD.


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Tension pneumothorax with severe cardiovascular compromise will require an immediate small incision into the pleural space, converting to an open pneumothorax and relieving the tension. Rapid induction anesthesia or neuromuscular blockade with anxiolytic agent, intubation, and positive pressure ventilation are initiated. Large airway obstruction requires rapid anesthetic induction or neuromuscular blockade with anxiolytic agent, rapid intubation and ventilation with 100% oxygen. If there is a total upper airway obstruction, an emergency tracheotomy is performed below the obstruction. Transtracheal oxygen can be administered while preparing for the tracheotomy. Parenchymal disease with bloody foam coming from the trachea will require rapid anesthetic (etomidate induction or neuromuscular blockade with anxiolytic agent, intubation, positive pressure ventilation with 100% O2 and airway suctioning. Small airway disease in the cat with status asthmaticus will require intravenous glucocorticosteroids, parenteral bronchodilators such as terbutaline or aminophylline (if no evidence of hypertrophic cardiomyopathy), and nebulization with bronchodilators. Epinephrine at 0.25 ml/cat of a 1:10,000 dilution can be given IM or slowly IV for rapid bronchodilation. Most animals with ARD will require sedation (butorphanol 0.2 – 0.8 mg/kg IV) if the animal is anxious and distressed unless the animal will receive rapid induction anesthesia and intubation. Initial resuscitative procedures with mild to severe ARD will depend upon severity and initial localization of the pathology based upon respiratory pattern and auscultation. Large airway disease requires a patent airway. Sedation and supplemental oxygen is administered at

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high flow rates until further diagnostics are completed (see stridor and airway obstruction). Parenchymal disease requires: careful auscultation for a heart murmur or gallop or persistent arrhythmia suggestive of cardiogenic edema. If heart failure is suspected, administration of furosemide (7 mg/kg IV) and nitroglycerine ointment on bare skin over the chest is administered and the animal allowed to stabilize prior to further diagnostics. Animals with parenchymal disease without evidence of heart disease or pneumonia can benefit from a one time administration of furosemide (2-7 mg/kg IV) until further diagnostics. Fever, history of vomiting, and/or localized lung involvement on auscultationsuggests possible pneumonia and diuretic administration is delayed until further diagnostics unless the distress is severe. Pleural space disease requires thoracentesis done dorsal to the costochondral junction if air is suspected or ventral to this level if fluid is expected. Often ultrasound can help guide thoracentesis if the fluid is loculated and difficult to aspirate, saving any fluid recovered for culture/sensitivity and cytology. A diaphragmatic hernia is to be suspected when there is a history of trauma in an animal with pleural space breathing pattern and fluid or air can not be recovered from thoracentesis. Small airway disease is most prevelent in the cat, but can complicate parenchymal disease when there is bronchogenic pneumonia or cardiogenic pulmomary edema in either the dog or cat. Bronchodilators can be given parenterally or terbutaline can be given by nebulization. In the cat, glucocorticosteroids are given when asthma is suspected.


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ARDS: difficoltà respiratoria acuta Rebecca Kirby DVM, Dipl ACVIM, Dipl ACVECC, Wisconsin, USA

DEFINIZIONE/EZIOLOGIA La difficoltà respiratoria acuta (ARD) è l’insorgenza improvvisa di una respirazione rapida e/o difficoltosa. Può essere causata da una patologia o un’ostruzione a livello di vie nasali, cavo orale, faringe, laringe, trachea, bronchi, alveoli, vascolarizzazione polmonare o vasi linfatici, innervazione polmonare, parete toracica, diaframma o spazio pleurico. La difficoltà respiratoria si sviluppa secondo il seguente ordine di progressione, dal meno grave al più grave: aumento della frequenza del respiro, modificazione del quadro del respiro con incremento del lavoro della respirazione, cambiamento di posizione, respirazione a bocca aperta, cianosi (paO2 < 60 mm Hg), morte. Cianosi, intenso lavoro di respirazione (attiva contrazione dei muscoli intercostali per determinare il movimento della gabbia costale, respirazione a bocca aperta con labbra retratte a livello delle commessure, torace a botte e/o fuoriuscita di sangue o schiuma provenienti dalla trachea) sono segni di una difficoltà respiratoria acuta catastrofica. Questi animali stanno morendo davanti ai vostri occhi. L’entità di lavoro richiesto dipenderà dalla misura in cui il polmone o il torace è coinvolto e dal fatto che il problema sia acuto (il che richiede un maggior lavoro) oppure cronico. In una situazione acuta grave o catastrofica, l’animale assumerà una posizione che allevi la difficoltà respiratoria. Il cane rimarrà in stazione con i gomiti abdotti e il dorso arcuato. Man mano che la patologia progredisce, estenderà il collo e respirerà a bocca aperta. Il gatto ripiegherà strettamente gli arti e le zampe anteriori e posteriori sotto il corpo ed inarcherà il dorso sollevando lo sterno in modo da allontanarlo dal suolo. In presenza di una difficoltà cronica i felini non assumono una specifica posizione di sollievo.

QUADRI DEL RESPIRO È importante determinare la localizzazione della patologia (vie aeree di grosso calibro, malattie dello spazio pleurico, affezioni del parenchima, vie aeree di piccolo calibro) osservando il quadro del respiro e ricorrendo ad un’accurata auscultazione. L’osservazione della giunzione fra la gabbia costale e il ventre è ideale per determinare se torace ed addome si stanno muovendo insieme, nella stessa direzione, oppure in direzioni contrapposte. È anche importante notare il rap-

porto fra la durata dell’inspirazione e quella dell’espirazione (normalmente 1:2). Se il respiro è rumoroso, udibile senza l’aiuto di uno stetoscopio, la causa probabile è un’ostruzione delle vie aeree di grosso calibro. Quando è catastrofica, questa ostruzione si presenta con una grave cianosi e compromissione cardiovascolare. I suoni respiratori possono non essere forti se l’animale sta perdendo conoscienza o è esausto per avere cercato di respirare contro un’ostruzione. Il riscontro di uno stridore inspiratorio suggerisce una patologia delle vie aeree superiori, mentre uno stridore espiratorio denota un’affezione di quelle profonde. Lo stridore sia nell’inspirazione che nell’espirazione è dovuto ad un coinvolgimento dell’intera trachea, come nel collasso tracheale, oppure ad un’ostruzione fissa, come una massa. Un respiro rapido e superficiale, con il torace e l’addome che si muovono insieme, nella stessa direzione e nello stesso momento, è maggiormente compatibile con un’affezione del parenchima polmonare. All’auscultazione, si rilevano suoni polmonari più forti del normale in presenza di una malattia in fase iniziale e rantoli e ronchi nell’area coinvolta da un processo patologico grave. I gatti mostrano suoni polmonari più forti del normale come riscontri primari all’auscultazione, a meno che il coinvolgimento del polmone non sia grave. Un quadro di respirazione irregolare, con il torace e l’addome che si muovono in contrapposizione l’uno rispetto all’altro è più compatibile con una malattia dello spazio pleurico. L’auscultazione può evidenziare suoni polmonari ottusi o attutiti in corrispondenza della localizzazione del processo patologico. La percussione nei cani delle razze di grossa taglia permette di riscontrare un’area di ottusità nella sede della patologia dello spazio pleurico. Nei gatti colpiti da queste condizioni, i suoni polmonari possono essere normali. In caso di pneumotorace iperteso catastrofico l’animale si presenta con torace a botte e grave compromissione cardiovascolare. Il movimento della parete toracica è scarso. Nel gatto, la non comprimibilità della parte anteriore del mediastino suggerisce la presenza di una massa in questa sede. L’inspirazione breve e l’espirazione prolungata, con una spinta espiratoria del diaframma, è compatibile con una malattia delle vie aeree di piccolo calibro. All’auscultazione di rilevano sibili di tono elevato. Un respiro rapido, con uno sforzo normale, suggerisce la presenza di cause non correlate all’apparato respiratorio, quali dolore, malattie del SNC, patologie del nervo periferico, affezioni neuromuscolari, miopatie o acidosi metabolica.


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RIANIMAZIONE Si effettua immediatamente una breve indagine anamnestica per stabilire se si siano verificati un trauma, un’esposizione a rodenticidi, un’anamnesi remota di cardiopatia o problemi respiratori ricorrenti, segni di malattia diversi dall’ARD o vomito recente. Nella maggior parte dei casi, è necessario effettuare un intervento di rianimazione prima di procedere ad indagini diagnostiche aggressive, per ridurre al minimo lo stress. Tutti gli animali con ARD devono essere sottoposti ad un’integrazione con ossigeno mediante flow-by, maschera o borsa, da somministrare durante le procedure di rianimazione, ed all’inserimento di un catetere endovenoso. Negli animali che presentano una ARD catastrofica, è essenziale un intervento di rianimazione immediato ed aggressivo. Lo pneumotorace iperteso con grave compromissione cardiovascolare richiede che venga immediatamente praticata una piccola incisione nello spazio pleurico, trasformandolo in uno pneumotorace aperto ed alleviando l’ipertensione. Si iniziano una rapida induzione dell’anestesia o un blocco neuromuscolare con agenti ansiolitici, intubazione e ventilazione a pressione positiva. Le ostruzioni delle vie aeree di grosso calibro richiedono una rapida induzione dell’anestesia o un blocco neuromuscolare con un agente ansiolitico, la rapida intubazione e ventilazione con ossigeno al 100%. Se è presente un’ostruzione totale delle vie aeree superiori, si esegue una tracheotomia di emergenza al di sotto dell’ostruzione stessa. Mentre ci si prepara alla tracheotomia si può somministrare ossigeno per via transtracheale. Le malattie del parenchima con fuoriuscita di schiuma emorragica dalla trachea richiedono una rapida anestesia (induzione con etomidato o blocco neuromuscolare con agente ansiolitico, intubazione, ventilazione a pressione positiva con ossigeno al 100% ed aspirazione delle vie aeree). Le affezioni delle vie aeree di piccolo calibro nel gatto con stato asmatico impongono la somministrazione di glucocorticoidi per via endovenosa e di broncodilatatori paraenterali come la terbutalina o l’aminofillina (se non ci sono segni di miocardiopatia ipertrofica), nonché la nebulizzazione con broncodilatatori. Per ottenere una rapida broncodilatazione si può somministrare per via IM o IV lenta della adrenalina alla diluizione 1:10.000, alla dose di 0,25 ml/gatto. Se si presenta ansiosa e stressata, la maggior parte degli animali con ARD necessita di sedazione (butorfanolo 0,20,8 mg/kg IV), a meno che non venga sottoposta ad una rapida induzione dell’anestesia seguita dall’intubazione. Le pro-

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cedure iniziali di rianimazione in caso di ARD lieve o grave dipendono dalla gravità e dalla localizzazione iniziale della patologia in base al quadro respiratorio ed ai riscontri all’auscultazione. Per le affezioni delle vie aeree di grosso calibro è necessario assicurare la pervietà delle zone che devono essere attraversate dal flusso dell’aria. Si attua la sedazione e si somministra un’integrazione con ossigeno a velocità di flusso elevate fino a che non siano portate a termine le ulteriori indagini diagnostiche (si veda la parte relativa allo stridore ed all’ostruzione delle vie aeree). Le malattie del parenchima richiedono un’accurata auscultazione per rilevare un soffio cardiaco, un ritmo di galoppo o un’aritmia persistente indicativa di un edema cardiogeno. Se si sospetta un’insufficienza cardiaca, si ricorre alla somministrazione di furosemide (7 mg/kg IV) e di una pomata alla nitroglicerina sulla cute rasata in corrispondenza del torace, lasciando che l’animale si stabilizzi prima di procedere con le indagini diagnostiche. I soggetti con affezioni del parenchima non associate a segni di cardiopatia o polmonite possono trarre vantaggio da una singola somministrazione di furosemide (2-7 mg/kg IV) fino a che non siano disponibili ulteriori informazioni diagnostiche. Febbre, anamnesi di vomito e/o coinvolgimento polmonare localizzato all’auscultazione suggeriscono una possibile polmonite e la somministrazione di diuretici deve essere rimandata fino a che non siano disponibili maggiori informazioni, a meno che la difficoltà respiratoria non sia grave. Le affezioni dello spazio pleurico richiedono la toracentesi, da praticare dorsalmente alla giunzione costocondrale se si sospetta la presenza di aria o ventralmente a questo livello se ci si attende la comparsa di fluidi. Spesso, l’ecografia può contribuire a guidare la toracentesi se la raccolta di fluidi è loculata e difficile da aspirare; tutti i liquidi ottenuti vanno messi da parte per destinarli agli esami colturali/antibiogrammi e citologici. In presenza di un’anamnesi di trauma in un animale che mostra quadri respiratori da interessamento dello spazio pleurico senza che con la toracentesi si riescano ad ottenere fluidi o aria si deve sospettare un’ernia diaframmatica. Le affezioni delle vie aeree di piccolo calibro sono maggiormente prevalenti nel gatto, ma, sia nel cane che nel gatto, possono complicare le malattie del parenchima quando è presente una polmonite broncogena o un edema polmonare cardiogeno. I broncodilatatori possono venire somministrati per via paraenterale, oppure si può ricorrere alla terbutalina mediante nebulizzazione. Nel gatto, quando si sospetta l’asma, si devono somministrare glucocorticoidi.


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Acute abdominal hemorrhage Rebecca Kirby DVM, Dipl ACVIM, Dipl ACVECC, Wisconsin, USA

Abdominal hemorrhage can result from disruption of a “blood� organ such as the liver or spleen, damage or avulsion of an abdominal artery or vein, or coagulation defect. The presence of blood in the abdomen can result in acute and severe pain from the abdominal cavity, abdominal organs or the nerves, muscles, fascia or skin associated with the abdomen. The most common etiologies are rupture of a splenic or hepatic mass, abdominal trauma or coagulation defects.

PHYSICAL EXAMINATION The clinical signs exhibited by the animal can depend upon whether the onset of abdominal hemorrhage is acute or chronic. Acute pathology typically causes signs of hemorrhagic shock with mucsous membrane pallor, prolonged CRT, rapid heart rate in dogs, and weak or absent peripheral pulses. A chronic onset my allow adequate cardiovascular compensation for the blood loss and instead show restlessness or reluctance to lie down, abdominal distension or arched back, fever, anorexia, and/or depression and malaise. A heart murmur may be ausculted due to anemia. It is important to localize any pain and assess the severity. Umbilical and peritesticular skin discoloration can be seen when intraabdominal hemorrhage dissects through the abdominal muscles and subcutaneous tissues. Abdominal palpation is carefully performed to detect free abdominal fluid, abdominal distension, mass lesions, organ enlargement, or bowel distension. At least 40 ml/kg of peritoneal fluid is required to detect a fluid wave.. Focal pain suggests involvement of nearby structures. Generalized pain implies a diffuse disorder of the abdominal cavity. Palpation that causes retching or vomiting implies irritation of regional organs. Severe pain suggests visceral and parietal peritoneal involvement. Dull, poorly localized pain suggests a diffuse inflammatory process. The presence of gastric or bowel sounds implies gastrointestinal (GI) motility is present. A silent abdomen suggests hypo motility, ileus, fluid accumulation, or diffuse peritonitis. Rectal examination is important to detect blood, pelvic fractures, and involvement of the prostate or urethra. Careful examination is made for evidence of back pain which made lead to signs of an acute abdomen. And a careful assessment of the body wall is made, looking for evidence of trauma, contusion, ecchymosis or petechiation.

DIAGNOSTICS An emergency data base should provide: PCV and total protein; serum color for icterus, lipemia or hemolysis;

serum for glucose, electrolytes, blood urea nitrogen; platelet estimate, activated clotting time; urine specific gravity and evidence of glucose, protein, bacteria, white blood cells and renal tubular cell casts. The complete data base will include: complete blood count, biochemical profile, amylase, lipase, coagulation profile, antithromibin III, and arterial blood gases, and electrocardiogram. A paracentesis is often done prior to radiographs to evaluate any free peritoneal fluid. When hemorrhagic fluid is obtained, it is evaluated by cytologic examination, hematocrit, and total protein. Abdominal radiographs are evaluated for generalized loss of detail as a sign of diffuse peritoneal disease if there was no fluid obtained by paracentesis. Thoracic radiography can be indicated for dogs with hemoperitoneum to detect concurrent thoracic trauma or hemorrhage, and as a screen for metastatic disease (3 view thoracic study). A focused abdominal sonography for trauma (FAST) protocol has been described for dogs. The dog in left lateral recumbency quickly scanned in 4 abdominal regions: immediately caudal to the xiphoid process; on the ventral midline over the bladder, over the right flank (gravity-independent region), and. over the most gravity-dependent area of the left flank. Though the source of hemorrhage may not be apparent, the abdomen can be scanned for intra-abdominal masses and evaluation of organ parenchyma. Diagnostic peritoneal lavage is done when the diagnosis is uncertain with paracentesis and ultrasonography. A peritoneal catheter is placed and 10-20 ml/kg of sterile isotonic saline is infused into the abdomen: the animal is rolled and gently palpated to move the fluid. A sample is withdrawn and evaluated as described above. A WBC count and differential of the lavage fluid is indicated, particularly if repeated lavage is going to be used to help make the decision concerning the need for surgery. Centrifugation a collection of the sediment is required for the cytologic exam of the lavage sample. Plasma is added to the lavage fluid (1:1) before centrifugation. This helps preserve cellular morphology and obtain a better concentration of cells on the slides as they adhere better to the slides surface. If plasma can not be used the sample must be spun down immediately and the sediment spread in the slides within 20 to 30 minutes of collection to avoid cytolysis from the use of a severely hypo osmotic fluid that the cells are suspended in. A peritoneal catheter can be inserted into the abdomen and left in place during resuscitation. Fluid is collected on a periodic basis and evaluated for an increasing PCV. When the PCV is found to increase by 5% during fluid resuscitation, there is strong evidence for on-going intra-abdominal hemorrhage.


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TREATMENT The immediate goals of treatment are to ensure airway, breathing and circulation. Abdominal distension with blood can cause hypoxemia and/or impair ventilation, requiring oxygen support and possibly intubation and ventilation during stabilization. Fluid therapy for poor perfusion can require one or more large bore indwelling intravenous(IV) catheters and fluid replacement with crystalloid, plasma expanders such as hetastarch or oxyglobin, and whole blood or packed red blood cell therapy for blood loss. It is important to identify and treat any conditions contributing to shock such as vasovagal reflex and bradycardia, cardiac arrhythmias, hypovolemia, and sepsis. Resuscitation from shock should bring blood pressure back to low normal range only to avoid exacerbation of bleeding. This is accomplished by selecting “hypotensive resuscitation: end-points reached using small volume resuscitation techniques. Analgesics are often required during fluid resuscitation. Injectable analgesics such as butorphenol (0.01 mg/kg IV) or oxymorphone (0.05-0.1 mg/kg IV in dogs; 0.02 mg/kg IV in cats given with tranquilizer) are given. They may be combined with a tranquilizer such as diazepam (0.2-0.6 mg/kg IV). Animals with ongoing hemorrhage may require rear limb and abdominal counter pressure to tamponade the bleeding occurring within the peritoneal or retroperitoneal space. Emergency surgery is often required as part of the immediate stabilization for on-going abdominal hemorrhage. It is often necessary to apply rear limb and abdominal counter pressure with ongoing intra-abdominal hemorrhage to get the patient stable enough for anesthesia.

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When coagulopathy is the cause of abdominal hemorrhage, whole blood transfusions may be required to stabilize the cardiovascular status. When anticoagulant rodenticides are the cause, vitamin K1 should be administered orally or subcutaneously. Antibiotics are a part of the resuscitation plan when there is severe shock. Translocation of gram positive and negative aerobes and anaerobes can occur with shock and injury to any of the abdominal organs. Broad spectrum antibiotics (such as cefazolin 40 mg/kg IV and then 20 mg/kg IV TIDQID) are administered after samples of blood, urine and/or septic focus are taken for culture. Any suspicion of liver or splenic involvement warrants the administration of metronidazole 7-10 mg/kg given over 30 min IV TID.

PATIENT MONITORING Establishing a check-off list ensures that complications are detected and treated early. The Rule of 20 includes monitoring the following parameters: fluid balance, oncotic pressure, albumin, blood pressure, heart rate and function, ventilation and oxygenation, electrolytes, renal function, red cell mass/hemoglobin, mentation, glucose, immune status and function to include antibiotic selection, liver function and drug dosages, nutrition, coagulation, wound care and bandages, nursing care and orders, analgesia, GI function and motility, and tender loving care. Worsening of the animal’s condition is indicated by the following: failure to maintain blood pressure and fluid volume; appearance of multiple organ dysfunction; increase in pain intensity or distribution; development of shock in a previously stable animal; failure of respiratory system; death.


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Emorragia addominale acuta Rebecca Kirby DVM, Dipl ACVIM, Dipl ACVECC, Wisconsin, USA

L’emorragia addominale può derivare dalla distruzione di un organo “ematico” come il fegato o la milza, dal danneggiamento o avulsione di una arteria o vena addominale o da un difetto della coagulazione. La presenza di sangue in addome può esitare in dolore acuto ed intenso dalla cavità addominale, organi addominali o nervi, muscoli, fascia o cute associati all’addome. Le più comuni eziologie sono la rottura di una massa splenica o epatica, il trauma addominale o i difetti dell’emostasi.

ESAME CLINICO I segni clinici mostrati dall’animale possono dipendere dal fatto che l’insorgenza dell’emorragia addominale sia acuta o cronica. La patologia acuta causa tipicamente la comparsa di segni di shock emorragico con pallore delle mucose, prolungamento del tempo di riempimento capillare, frequenza cardiaca rapida nel cane e polso periferico debole o assente. L’insorgenza cronica può consentire un’adeguata compensazione cardiovascolare per la perdita ematica e mostrare invece irrequietezza o riluttanza a coricarsi, distensione addominale o inarcamento del dorso, febbre, anoressia e/o depressione e malessere. All’auscultazione si può rilevare un soffio cardiaco dovuto all’anemia. È importante localizzare ogni eventuale dolore e stabilirne l’intensità. In presenza di un’emorragia intraddominale che si estenda dissecando i muscoli addominali ed i tessuti sottocutanei si può osservare un’alterazione del colore della cute della zona ombelicale e peritesticolare. Per rilevare la presenza di fluidi in addome, distensione addominale, masse patologiche, ingrossamento di organi o distensione intestinale è possibile effettuare un’attenta palpazione dell’addome. Per identificare un’onda fluida è necessaria la presenza come minimo di 40 ml/kg di liquido peritoneale. Il dolore focale suggerisce il coinvolgimento delle strutture circostanti. Quello generalizzato implica un disordine diffuso della cavità addominale. La comparsa di conati o vomito in risposta alla palpazione denota un’irritazione degli organi regionali. Il dolore intenso suggerisce un coinvolgimento peritoneale viscerale e parietale. Un dolore sordo, scarsamente localizzato, è indicativo di un processo infiammatorio diffuso. La presenza di suoni gastrici o intestinali implica l’esistenza di una motilità gastroenterica. Un addome silenzioso suggerisce ipomotilità, ileo, accumulo di fluidi o peritonite diffusa. L’esame rettale è importante per individuare sangue, fratture pelviche e coinvolgimento di prostata o uretra. Si effettua un’indagine accurata per rilevare segni di dolore del

dorso che possono portare alla comparsa di manifestazioni di addome acuto. Si esegue poi un’attenta valutazione della parete corporea, alla ricerca di segni di traumi, contusioni, ecchimosi o petecchie.

DIAGNOSI Gli esami ematochimici di emergenza devono permettere di stabilire ematocrito e proteine totali, colore del siero per rilevare la presenza di ittero, iperlipemia o emolisi, determinazione dei livelli sierici di glucosio, elettroliti e azotemia, stima delle piastrine, tempo di coagulazione attivata, peso specifico dell’urina e presenza di glucosio, proteine, batteri, leucociti e cilindri cellulari dei tubuli renali. La valutazione complessiva comprende esame emocromocitometrico completo, profilo biochimico, amilasi, lipasi, profilo della coagulazione, antitrombina III ed emogasanalisi arteriosa ed elettrocardiogramma. Spesso si ricorre alla paracentesi prima di effettuare la ripresa di radiografie, per valutare ogni fluido peritoneale libero eventualmente presente. Quando si ottiene un liquido emorragico, lo si destina all’esame citologico ed alla determinazione dell’ematocrito e delle proteine totali. Se con la paracentesi non è stato possibile ottenere dei fluidi, le radiografie addominali vengono esaminate alla ricerca di una perdita generalizzata di dettaglio che costituisce il segno di un’affezione peritoneale diffusa. L’esame radiografico del torace può essere indicato nei cani con emoperitoneo per individuare un concomitante trauma toracico o un’emorragia, nonché come screening per la ricerca di lesioni metastatiche (studio toracico in tre proiezioni). Nel cane è stato descritto il cosiddetto protocollo FAST (focused abdominal sonography for trauma, esame ecografico addominale focalizzato per i traumi). L’animale viene lasciato in decubito laterale e rapidamente esaminato in 4 regioni addominali: subito caudalmente al processo xifoideo, lungo la linea mediana ventrale sopra la vescica, sopra il fianco destro (regione che non dipende dalla gravità) e sopra l’area del fianco sinistro, che dipende maggiormente dalla gravità. Benché l’origine dell’emorragia possa non essere apparente, si può esaminare l’addome alla ricerca di masse intraddominali e valutando il parenchima degli organi. Quando i risultati della paracentesi e dell’ecografia non permettono di giungere ad una diagnosi certa, si effettua il lavaggio peritoneale diagnostico. Si inserisce un catetere peritoneale e si infondono in addome 10-20 ml/kg di soluzione fisiologica sterile: l’animale viene fatto rotolare e delicatamente palpato per far muovere il fluido. Quindi, si recupera un campione e lo si esamina secondo le modalità


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descritte più sopra. È indicato il conteggio dei leucociti e la determinazione della formula leucocitaria del liquido di lavaggio, in particolare se si prevede di dover effettuare lavaggi ripetuti per contribuire a decidere se sia necessaria o meno la chirurgia. Per l’esame citologico del campione di lavaggio è necessario effettuare la centrifugazione del sedimento. Al liquido di lavaggio si aggiunge del plasma (1 : 1) prima della centrifugazione. Ciò contribuisce a preservare la morfologia cellulare e ad ottenere una migliore concentrazione delle cellule sui vetrini, dato che queste aderiscono meglio alle superfici dei vetrini stessi. Se non si può utilizzare il plasma, il campione deve essere centrifugato immediatamente per poi distribuire il sedimento nei vetrini entro 20-30 minuti dal prelievo, al fine di evitare la citolisi derivante dall’impiego di un fluido fortemente iposmotico nel quale le cellule vengono sospese. Si può inserire un catetere peritoneale in addome e lasciarlo in sede durante la rianimazione. Il fluido viene prelevato con cadenza periodica e valutato per rilevare un incremento dell’ematocrito. Quando quest’ultimo risulta aumentare del 5% durante la rianimazione mediante fluidi, vi sono valide indicazioni di un’emorragia intraddominale in atto.

TRATTAMENTO Gli scopi immediati del trattamento consistono nel garantire la pervietà delle vie aeree, la respirazione e il circolo. La distensione dell’addome determinata dalla presenza del sangue può causare ipossiemia e/o compromissione della ventilazione, che richiede un supporto con ossigeno ed eventualmente un’intubazione e ventilazione durante la stabilizzazione. La fluidoterapia per la cattiva perfusione può comportare l’uso di uno o più cateteri endovenosi (IV) permanenti di grosso calibro e il ripristino dei fluidi medianti cristalloidi, plasma expander come l’amido eterificato o l’ossiglobina e sangue intero o emazie concentrate per affrontare la perdita di sangue. È importante identificare e trattare tutte le eventuali condizioni che possono contribuire allo shock, come il riflesso vasovagale e la bradicardia, le aritmie cardiache, l’ipovolemia e la sepsi. La rianimazione dallo shock deve riportare la pressione sanguigna solo ai limiti inferiori della norma per evitare di esacerbare il sanguinamento. Questo risultato si ottiene optando per la “rianimazione ipotensiva”: end-point raggiunti utilizzando tecniche di rianimazione con piccoli volumi di sangue. Spesso, durante la rianimazione con fluidi sono necessari degli analgesici. Si somministrano prodotti iniettabili come il butorfenolo (0,01 mg/kg IV) o l’ossimorfone (0,05-0,1

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mg/kg IV nel cane; 0,02 mg/kg IV nel gatto in associazione con un tranquillante). Questi agenti possono essere associati ad un tranquillante come il diazepam (0,2-0,6 mg/kg IV). Gli animali con emorragia in atto possono aver bisogno di una contropressione sull’addome e sugli arti posteriori per tamponare il sanguinamento che si verifica all’interno dello spazio peritoneale o retroperitoneale. Spesso, nell’ambito della stabilizzazione immediata delle emorragie addominali in atto è necessaria la chirurgia di emergenza. In questi casi si deve frequentemente ricorrere all’applicazione di una contropressione sugli arti posteriori e sull’addome per rendere il paziente sufficientemente stabile per l’anestesia. Quando la causa dell’emorragia addominale è una coagulopatia, possono essere necessarie delle trasfusioni di sangue intero per stabilizzare lo status cardiovascolare. Se l’eziologia è rappresentata da rodenticidi anticoagulanti, bisogna somministrare vitamina K1 per via orale o sottocutanea. Gli antibiotici fanno parte del piano di rianimazione in presenza di grave shock. Nei soggetti colpiti da shock e lesioni a carico di qualunque organo addominale si può avere la traslocazione di aerobi ed anaerobi Gram-positivi e negativi. Si somministrano antibiotici ad ampio spettro (come la cefazolina 40 mg/kg IV e poi 20 mg/kg IV tid qid) dopo aver prelevato campioni di sangue, urina e/o focolai settici da destinare agli esami colturali. Qualunque sospetto di coinvolgimento epatico o splenico impone la somministrazione di metronidazolo alla dose di 7-10 mg/kg nell’arco di 30 minuti IV tid.

MONITORAGGIO DEL PAZIENTE Mettere a punto una lista di condizioni da verificare garantisce l’identificazione e il trattamento precoce delle complicazioni. La regola del 20 prevede il monitoraggio dei seguenti parametri: equilibrio idrico, pressione oncotica, albumina, pressione sanguigna, frequenza e funzioni cardiache, ventilazione e ossigenazione, elettroliti, funzione renale, massa eritrocitaria/emoglobina, stato del sensorio, glucosio, stato immunitario e funzione immunitaria che deve comprendere la scelta degli antibiotici, funzione epatica e dosaggi di farmaci, nutrizione, coagulazione, cura delle ferite e bendaggio, cure infermieristiche e prescrizioni, analgesia, funzioni e motilità gastroenteriche e cure attente e premurose. Il peggioramento delle condizioni dell’animale è indicato dai seguenti riscontri: incapacità di mantenere la pressione sanguigna ed il volume dei fluidi, comparsa di disfunzioni di più organi, aumento dell’intensità e della distribuzione del dolore, sviluppo di shock in un animale in precedenza stabile, insufficienza del sistema respiratorio, morte.


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Status epilepticus Rebecca Kirby DVM, Dipl ACVIM, Dipl ACVECC, Wisconsin, USA

A seizure is an uncontrolled electrical discharge from the neurons of the brain. Most discharges are from the gray matter and spread through normal neuronal pathways to affect the entire nervous system. The location of the lesion is the cerebral cortex or diencephalon (limbic system, hypothalamus and thalamus). Seizure activity can be manifested as generalized, partial, or partial with secondary generalization. Generalized seizures can be mild, without loss of consciousness, or severe with loss of consciousness. If the seizure discharge is focal and involves only one part of the brain, a partial seizure results. These are most commonly associated with a focus of brain damage caused by infection, metabolic insult, trauma, or neoplasia. Periodic abnormal behavior such as fly-biting, tail chasing, star gazing, confusion and disorientation can be a form of partial seizure activity (Chrisman, 1991). The causes of abnormal neuronal discharges include: metabolic, degenerative, congenital, infectious, traumatic, toxic, nutritional (thiamine deficiency), infiltrative, neoplastic, and epilepsy. Young animals with seizure activity suggest congenital anomolies such as hepatic encephalopathy, lissencephaly or storage diseases; infectious diseases such as distemper or toxoplasmosis; traumatic; toxic; true epilepsy; or metabolic disorders such as hypoglycemia. Animals greater than 5 years of age are more likely to have infectious diseases; neoplasia; infiltrative diseases; degenerative diseases; trauma; metabolic disorders; and acquired epilepsy. Metabolic abnormalities which can cause seizure activity include hypoglycemia, hyperglycemia, hypocalcemia, uremia, hepatotoxins, and hypoxia. Toxins include mycotoxins, garbage can toxicity, metaldehyde, strychnine, lead, organophosphates, and anticoagulant rodenticides. Physical may be helpful in detecting metabolic or toxic etiologies. Neurologic examination should be performed during the interictal period. Neurologic deficits seen postictally may be misleading. However, a persistent neurologic deficit can be suggestive of an active process such as infection or neoplasia. Examination of animals with epilepsy most commonly does not reveal any abnormalities. Other diagnostic tests include a complete blood count and biochemical profile to look for inflammatory disease or metabolic disturbances. Cerebral spinal fluid analysis, electroencephalography, and neuroradiography (such as skull radiographs, CT scan or MRI) may assist in determining the etiology. Serum titres for rickettsial diseases, distemper, FIP, toxoplasmosis, and fungal diseases can suggest etiologies.

STATUS EPILEPTICUS Status epilepticus can be defined as continuous motor activity without intervening periods of consciousness. Three variations of this process are recognized clinically and are frequently managed differently. (Cats are most commonly effectively controlled with diazepam, seldom requiring barbiturate for seizure control.) Continuous motor activity: These animals present having had continuous motor activity for over 10 minutes and are unconscious. Their pupils are dilated and they are nonresponsive to external stimuli. Once this motor activity has been present for over 15 minutes, dogs rarely cease seizure activity in response to a benzodiazepine alone. The following protocol is recommended: An intravenous catheter is placed. One intravenous dose of diazepam or midazolam can be given. If effective, continue as outlined below. A constant rate infusion (CRI) of benzodiazepine may be required. If not effective, pentobarbital or propofol is slowly titrated until the animal slows motor activity. Then wait 5 minutes to see the maximum effect of the drug. The ideal plane of anesthesia is seen when there is no motor activity, pupils are responsive, animal is unconscious, and blink and ear twitch reflex are still present. The unconscious patient should be intubated if the plane of anesthesia allows for intubation. It is likely that brain seizure activity is still occurring. If not on anticonvulsants, phenobarbitol loading will be necessary at 12 mg/kg divided over 24 hours to reach rapid therapeutic anticonvulsant levels, titrated at a rate slow enough to allow waking from original anesthetic. Treat for cerebral edema (see head trauma). Generalized tremors or motor activity in the conscious animal:This is most typically associated with hypocalcemia or poisoning. A careful history for past medical problems or recent birthing is important. Poisons to consider include lead, mycotoxins, strychnine, metaldehyde, organophosphates, pyrethrins, and garbage toxicity. Management of hypocalcemia is done through providing calcium replacement with 10% calcium gluconate (0.5 - 1.5 ml/kg IV slowly). Animals with poisoning generally require general anesthesia with pentobarbitol and a gastric lavage as described. Recovery from pentobarbitol: Frequetly during recovery, there is excessive motor activity: paddling, thrashg, vocalization, and tremors. Recovery causes the animal to pass through the excitement plane of anesthesia and is often mistaken for repeat seizure activity. Pupil size and response to light is important in differentiating the two. The recovery


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plane of anesthesia generally has the pupils size normal and responsive. If repeated or recurring seizure activity is apparen during recovery, it is best to control the seizures with diazepam or midazolam CRI.

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the rectal temperature is approximately 101 F. Blood and urine are evaluated.

MAINTENANCE THERAPY FOR SEIZURES INTERMITTENT SEIZURES WITHOUT COMPLETE RECOVERY OF MENTATION This form of status epilepticus is typically seen in smaller breed dogs with epilepsy, large breed dogs with refractory epilepsy, and dogs with inflammatory, neoplastic or infiltrative diseases. This type of status epilepticus generally responds to diazepam or midazolam intravenously and have normal or high glucose levels. The following protocols is recommended. Place IV catheter. Administer diazepam or midazolam (5 mg/ml) at cats: 0.1 - 1.0 ml IV to effect and dogs: 0.1 - 5.0 ml IV to effect. If the animal does not stop motor activity with diazepam alone, consider: phenobarbital load dosing or pentobarbitol titrated to effect - intubate if rendered unconscious Obtain a more detailed history from the owner regarding possibility of head trauma, past seizure activity, past medical problems, or exposure to potential toxins. Treat for cerebral edema as described if mentation is still depressed. Oxygen should be supplemented as required. An emergency data base is collected to include PCV, TS, BUN test strip, glucose, and electrolytes. Intravenous balanced electrolyte solution is administered to rapidly (if head trauma see abstract) to replace perfusion deficits and acute loss from dehydration. Hypoglycemia should be treated by administering glucose at 0.5 gm/kg IV. Hypoglycemia that responds initially to the glucose bolus and then recurs often results from an insulinoma or other metabolic derangements and requires supplementation by a 1.5 - 10% glucose supplementation to fluids. Should hyperthermia not decline within 3 minutes of anesthesia, the animal is cooled until

Maintenance anticonvulsant drugs are given when the animal has an increase in frequency of seizure activity, the animal presents with intermittent, repeated seizures (“cluster seizures”), seizure activity presents bizarre behavior unacceptable to the owner, or the animal presents in status epilepticus. Typically animals are started on phenobarbitol (1-2 mg/kg divided bid) as the first oral anticonvulsant. Therapeutic blood levels take 10 days without load dosing. After the second week of maintenance therapy, a phenobarbitol blood level is done 2-4 hours after the last dosage. The blood level should be between 30-45. If the animal is refractory to adequate phenobarbitol therapy, potassium bromide therapy is an alternative.

POTASSIUM BROMIDE Potassium bromide (5 mg/kg sid with food) has a membrane stabilizing effect because it displaces chloride causing elevated blood chloride levels. A response can be seen right away, however the dosage can be increased if needed if see more clusters. If the dog is already on phenobarbitol, potassium bromide is given once daily. There may be a need to reduce the phenobarbitol dose. Some clinicians will wean the animal off phenobarbitol and use KBr alone. A steady state of KBr is reached in four month. Blood levels are reached in 1-2 months. Appropriate blood levels are 1500-2000 ug/ml. Little dogs may need higher dosage. If staggering, decrease phenobarbitol; if seizuring, increase potassium bromide; if liver problems, decrease both phenobarbitol and KBr.


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Stato epilettico Rebecca Kirby DVM, Dipl ACVIM, Dipl ACVECC, Wisconsin, USA

Una crisi convulsiva è una scarica elettrica non controllata rilasciata dai neuroni dell’encefalo. La maggior parte delle scariche proviene dalla sostanza grigia e si diffonde attraverso le normali vie neuronali sino ad interessare l’intero sistema nervoso. La localizzazione della lesione è rappresentata dalla corteccia cerebrale o dal diencefalo (sistema limbico, ipotalamo e talamo). L’attività convulsivante si può manifestare come generalizzata, parziale, o parziale con generalizzazione secondaria. Le crisi generalizzate possono essere lievi, senza perdita di coscienza, oppure gravi, con perdita di coscienza. Se la scarica convulsiva è focale e coinvolge solo una parte dell’encefalo, si ha una crisi parziale. Queste sono associate nella maggior parte dei casi ad un focolaio di danno encefalico causato da infezione, insulto metabolico, trauma o neoplasia. Un comportamento anormale periodico come la tendenza ad acchiappare mosche inesistenti, afferrarsi la coda, contemplare le stelle, mostrare confusione e disorientamento può essere una forma di attività convulsiva parziale (Chrisman, 1991). Le cause delle scariche neuronali anormali possono essere metaboliche, degenerative, congenite, infettive, traumatiche, tossiche, nutrizionali (carenza di tiamina), infiltranti, neoplastiche ed epilettiche. Il riscontro di un’attività convulsivante negli animali giovani suggerisce anomalie congenite (come l’encefalopatia epatica, la lissencefalia o le malattie da accumulo), malattie infettive (come il cimurro e la toxoplasmosi), cause traumatiche o tossiche, epilessia vera o disordini metabolici (come l’ipoglicemia). Gli animali con più di 5 anni di età hanno maggiori probabilità di essere colpiti da malattie infettive, neoplasie, alterazioni infiltranti, affezioni degenerative, traumi, disordini metabolici ed epilessia acquisita. Le anomalie metaboliche che possono causare un’attività convulsivante sono rappresentate da ipoglicemia, iperglicemia, ipocalcemia, uremia, epatotossine ed ipossia. Le sostanze tossiche comprendono micotossine, avvelenamento da rifiuti, metaldeide, stricnina, piombo, esteri organofosforici e rodenticidi anticoagulanti. Per individuare le eziologie metaboliche o tossiche può essere utile l’esame clinico. La visita neurologica deve essere effettuata durante il periodo interaccessuale. I deficit neurologici osservati in fase postaccessuale possono essere fuorvianti. Tuttavia, il riscontro di un deficit neurologico persistente può essere indicativo di un processo attivo come un’infezione o una neoplasia. L’esame degli animali con epilessia nella maggior parte dei casi non evidenzia alcuna anomalia. Altri test diagnostici sono rappresentati da esame emocromocitometrico completo e profilo biochimico per ricercare

malattie infiammatorie o disturbi metabolici. L’analisi del liquor, l’elettroencefalografia e la neuroradiografia (come le radiografie del cranio, la tomografia computerizzata o la risonanza magnetica) possono contribuire a determinare la causa della condizione. Le misurazioni dei titoli sierici per le malattie da rickettsie, il cimurro, la FIP, la toxoplasmosi e le micosi possono suggerire delle eziologie.

STATO EPILETTICO Lo stato epilettico può essere definito come un’attività motoria continua senza periodi intercorrenti di coscienza. Clinicamente, si riconoscono tre variazioni di questo processo, che spesso vengono trattate in modo differente. Nella maggior parte dei casi nei gatti si ottiene un controllo efficace con il diazepam ed è raro dover ricorrere ai barbiturici per risolvere delle crisi convulsive. Attività motoria continua: questi animali vengono portati alla visita perché hanno presentato un’attività motoria continua per più di 10 minuti e sono incoscienti. Mostrano pupille dilatate e non rispondono agli stimoli esterni. Quando quest’attività motoria è stata presente per più di 15 minuti, è raro che i cani cessino l’attività convulsiva in risposta soltanto ad una benzodiazepina. Si raccomanda il seguente protocollo: inserimento di un catetere endovenoso. Somministrazione di una dose di diazepam o midazolam per via endovenosa. Se risulta efficace, continuare secondo le modalità indicate più sotto. Può essere necessaria un’infusione a velocità costante (CRI, constant rate infusion) di benzodiazepine. Se questa non è efficace, si utilizzano il pentobarbital o il propofolo titolati lentamente fino a che l’animale non rallenta l’attività motoria. Poi si devono attendere 5 minuti per verificare l’effetto massimo del farmaco. Il piano ideale dell’anestesia si osserva quando non vi è alcuna attività motoria, le pupille rispondono agli stimoli, l’animale è incosciente ed i riflessi di ammiccamento e di scatto dell’orecchio sono ancora presenti. Il paziente incosciente deve essere intubato se il piano dell’anestesia permette questa operazione. È probabile che l’attività convulsivante cerebrale sia ancora in atto. Se il soggetto non è sotto anticonvulsivanti, per raggiungere rapidamente i livelli terapeutici sarà necessaria una dose di attacco con fenobarbital di 12 mg/kg suddivisi nell’arco di 24 ore, da titolare ad una velocità sufficientemente lenta da consentire il risveglio dall’anestetico di origine. Si deve trattare l’edema cerebrale (vedi trauma cranico).


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Tremori generalizzati o attività motoria nell’animale cosciente: questa condizione è più tipicamente associata ad ipocalcemia o avvelenamento. È importate effettuare un’anamnesi accurata alla ricerca di problemi medici pregressi o insorti recentemente. Gli avvelenamenti da prendere in considerazione sono rappresentati da piombo, micotossine, stricnina, metaldeide, esteri organofosforici, piretrine ed avvelenamento da rifiuti. Il trattamento dell’ipocalcemia si effettua attraverso una terapia sostitutiva con calcio utilizzando calcio gluconato al 10% (0,5-1,5 IV lentamente). Gli animali con avvelenamento in genere necessitano di un’anestesia generale con pentobarbital e lavanda gastrica secondo le modalità descritte. Risveglio da pentobarbital: Spesso, durante il risveglio si ha un’eccessiva attività motoria: pedalamento, agitazione, vocalizzazione e tremori. Durante il risveglio l’animale attraversa il piano di eccitazione dell’anestesia, che spesso viene confuso con una ripetizione dell’attività convulsiva. Per differenziare le due condizioni sono importanti le dimensioni e la risposta agli stimoli luminosi delle pupille. Il piano del risveglio dall’anestesia generalmente presenta pupille di dimensioni normali e reattive. Se è in atto una ripetizione o una recidiva dell’attività convulsivante durante il risveglio, è preferibile controllare le crisi con diazepam o midazolam CRI. Crisi convulsive intermittenti senza risveglio completo del sensorio: Questa forma di stato epilettico si osserva tipicamente nei cani delle razze più piccole con epilessia, in quelli di grossa taglia con epilessia refrattaria ed in quelli con malattie infiammatorie, neoplastiche o infiltranti. Questo tipo di stato epilettico risponde generalmente alla somministrazione endovenosa di diazepam o midazolam e presenta livelli di glucosio normali o elevati. Si raccomandano i seguenti protocolli. Inserire un catetere IV. Somministrare diazepam o midazolam (5 mg/ml; 0,1-1,0 ml IV sino ad effetto nel gatto e 0,1-5,0 ml IV fino ad effetto nel cane). Se l’animale non cessa l’attività motoria con il solo diazepam, si deve prendere in considerazione la somministrazione di una dose di attacco di fenobarbital o l’uso del pentobarbital titolato sino ad effetto – intubare se l’animale è reso incosciente. Si deve effettuare un’indagine anamnestica più dettagliata per ottenere dal proprietario tutte le informazioni relative alla possibilità di un trauma cranico, dell’attività convulsiva pregressa, dei problemi medici precedenti o dell’esposizione a potenziali sostanze tossiche. Se lo stato del sensorio è ancora depresso, si raccomanda il trattamento dell’edema cerebrale secondo le modalità descritte. In caso di necessità si deve attuare un’integrazione con ossigeno. Si effettua un esame ematochimico di emergenza che deve comprendere ematocrito, soluti totali, azotemia mediante strisce reattive, glucosio ed elettroliti. Per rimpiazzare i deficit di perfusione e la perdita acuta da disidratazione si somministra rapidamente una soluzione elettrolitica

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bilanciata per via endovenosa (in presenza di trauma cranico). L’ipoglicemia va trattata con la somministrazione di glucosio alla dose di 0,5 g/kg IV. Il calo glicemico che risponde inizialmente ad un bolo di glucosio e poi recidiva deriva spesso da un insulinoma o da altre alterazioni metaboliche e richiede un’integrazione con l’aggiunta del 1,510% ai fluidi. Se l’ipertermia non diminuisce entro tre minuti dall’anestesia, l’animale va raffreddato fino a che la temperatura rettale non giunge approssimativamente a 38°C. Si effettuano gli esami del sangue e dell’urina

TERAPIA DI MANTENIMENTO PER LE CRISI CONVULSIVE Quando l’animale presenta un aumento della frequenza e dell’attività convulsivante, viene portato alla visita con crisi ripetute ed intermittenti (“crisi a grappoli”), l’attività convulsiva presenta un comportamento bizzarro ed inaccettabile per il proprietario o il soggetto manifesta uno stato epilettico, si impiegano farmaci anticonvulsivanti di mantenimento. Si inizia tipicamente con la somministrazione di fenobarbital (1-2 mg/kg suddivisi bid) come primo anticonvulsivante per via orale. In assenza di una dose di attacco, il raggiungimento dei livelli ematici terapeutici richiede 10 giorni. Dopo la seconda settimana di terapia di mantenimento, si effettua la determinazione del livello ematico di fenobarbital 2-4 ore dopo l’ultimo dosaggio. Tale livello deve essere compreso fra 30 e 45. Se l’animale è refrattario ad un’adeguata terapia con fenobarbital, l’impiego del bromuro di potassio costituisce un’alternativa.

BROMURO DI POTASSIO Il bromuro di potassio (5 mg/kg sid con il cibo) ha un effetto di stabilizzazione di membrana, perché sposta il cloro determinando l’aumento dei livelli ematici di questo elemento. Si può osservare una risposta immediata, ma in caso di necessità, se si osservano più crisi a grappoli, il dosaggio può essere aumentato. Se il cane è già trattato con fenobarbital, il bromuro di potassio si somministra una volta al giorno. Può essere necessario ridurre il dosaggio del barbiturico. Alcuni clinici lo diminuiscono progressivamente fino ad eliminarlo del tutto ed a trattare l’animale con il solo KBr. Lo stato stazionario di quest’ultimo si raggiunge in 4 mesi. I livelli ematici si ottengono in 1-2 mesi. Le concentrazioni ematiche appropriate sono di 1500-2000 mg/ml. Nei cani di piccola taglia può essere necessario un dosaggio più elevato. In caso di barcollamento, diminuire il fenobarbital; in presenza di crisi convulsive, aumentare il bromuro di potassio; se si riscontrano problemi epatici, ridurre sia il fenobarbital che il KBr.


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Stupor and coma due to head trauma Rebecca Kirby DVM, Dipl ACVIM, Dipl ACVECC, Wisconsin, USA

MECHANISMS Primary injury is a direct result of the initial insult, is complete at the time of presentation and cannot be altered. Secondary brain injury is an alteration of brain tissue, either anatomical or physiological, which occurs after the primary injury, and can be prevented or ameliorated with optimal supportive care. Secondary injury includes bleeds, cerebral edema, vasospasms, and elevations in intracranial pressure (ICP). The intracranial contents are enclosed in a non-distensible protective bone and consist of brain tissue (80%), cerebrospinal fluid (CSF) (10%), and blood (10%). An increase in one component will result in a decrease in volume, increase in pressure. Initially, CSF fluid is displaced into the subarachnoid space, then cerebral blood flow is displaced into the jugular vessels. Subsequent very small increases in intracranial volume results in marked increase in ICP. A brain shift or herniation can result. Contusions, hematomas, intracranial bleeds, edema, and tumors are the most common findings that lead to pressure-volume decompensation. A slow, progressive rise is better tolerated than a small acute increase in ICP. During hypoxia or ischemia, the brain cannot meet the energy demands causing a mismatching of oxygen supply and tissue demand. Cerebral blood flow (CBF) is regulated by: neuronal stimulation, PaO2, PaCO2, and pressure autoregulation. The brain is very sensitive to changes in PaCO2, with a 1 mmHg change resulting in a 3-4% change in CBF and cerebral blood volume. CBF is maintained over a range of mean arterial pressures of 50-150 mmHg. The true driving force of CBF is cerebral perfusion pressure (CPP), and when ICP is elevated, CPP equals MAP - ICP. Injured areas of the brain lose the ability to autoregulate, with regional blood flow becoming ldependent upon mean arterial pressure (MAP) and ICP. There is a flow-metabolism coupling, with the cerebral metabolic rate (CMRO2) dependent upon the CBF. Local CMRO2 increases with neuronal activity, such as seizures or fever, and decreases with decreased activity as with hypothermia and anesthetic agents. When CBF decreases below autoregulation, oxygen extraction increases to maintain CMRO2 until a further decline in CBF causes compensatory mechanisms to be exhausted. The cellular consequences of TBI are shown in Figure 1. Two of the most dramatic causes of secondary injury to the brain is hypotension and hypoxemia, capable of downgrading the outcome. In man, elevation in ICP is a critical secondary insult and the single major contributor to the mortality rate encountered in TBI in humans. Any cause of increased ICP must be sought out and effectively treated.

Figura 1 - Proposed mechanisms of neuronal damage with brain injury. Glutamate is elevated in the in synaptic cleft due to increased neuron stimulation and release from the end-plate, insufficient uptake by astrocytes to meet the concentration, and direct release from damaged neurons. The glutamate interacts with receptors with the end result elevation in intracellular calcium. Insufficient magnesium at the receptor site can lead to increase in intracellular calcium entry into the cell. Cytoplasmic calcium triggers enzymes for production of superoxide radicals, lipid peroxidation and neuronal degeneration. The cell fragments from neuronal degeration can lead to an increase in interstitial osmolality and cytotoxic edema. The damaged neurons have ineffective sodium and potassium pumps, resulting in elevated intracellular sodium and neuronal swelling. Extracellular potassium is increased, with excess potassium being taken up by the astrocytes. This can lead to swelling of the astrocyte. Increased astrocyte uptake of glutamate causes glycolysis of stored glycogen and stimulation of sodium-potassium ATPase. Sodium is taken into the astrocyte and can lead to swelling. The glycolysis results in increased blood flow to the brain and a resultant increase in cerebral blood volume, Na+ - sodium; K+ - potassium; SOR – superoxide radicals; Mg++ - magnesium.

PHYSICAL AND NEUROLOGIC EXAMINATION Brain injury affecting any portion of the ascending reticular activating system (ARAS: reticular formation with pathways to the thalamus and cerebral cortex), can alter the level of consciousness in the small animal patient. The levels of consciousness range from awake to mental depression, then delirium, to stupor, and then coma. Stupor is defined as unconscious but responsive to noxious stimuli. Coma implies unresponsive loss of consciousness. Abnormal respiratory patterns can help localize CNS lesions. Cerebral and diencephalic lesions may produce Cheyne Stokes respiratory patterns, typically seen as a rhythmic waxing and waning in ventilatory rate and depth.


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In the dog and cat, there has to be diffuse, severe cortical damage for this to be seen. Hyperventilation can be seen with lesions of the midbrain or pons, though metabolic acidosis, respiratory alkalosis, and pain must be ruled out. Irregular respirations (apneustic breathing) can be associated with toxicity or suppression of the brain stem respiratory centers.Detection of severe bradycardia or arrhythmias can be suggestive of brainstem problems. Neurologic Examination:The goal of the neurologic exam is to detect the level of severity and guide the intensity of therapeutics by determining whether the lesion is focal or diffuse and localizing the lesion [to either the cerebral cortical or subcortical area (better prognosis), the midbrain, or the brainstem (grave prognosis)].

THERAPEUTICS Goals are: a) support of mean arterial pressure and b) control of intracranial hypertension by i) reduction of cerebral tissue volume, ii) reduction of cerebral blood volume, and iii) reduction of cerebral spinal fluid volume. Support of mean arterial pressure: Intravascular volume expansion is a requirement of resuscitation of MAP and perfusion in hypovolemic, hemorrhagic, and distributive shock. Crystalloid fluids will extravasate from the vessel to the intercellular space. Hetastarch has been shown to increase CPP compared to lactated ringers and hypertonic saline-dextran combination. The use and selection of colloids is controversial with experimental evidence available for all arguments. If hypotension persists after volume resuscitation, the author recommends the following agents be tried in the order listed: stroma-free hemoglobin (Oxyglobin®) – 1-5 ml/kg IV slowly; dopamine – 5-10 ug/kg/min. Systemic hypertension can be present or result from fluid resuscitation. When the BP is sustained above 150 mmHg MAP, it may have to be controlled utilizing vasodilators such as nitroprusside. This has been shown, however, to increase cerebral blood volume. Other vasodilators such as calcium entry blockers and beta and alpha antagonists have not been shown to reduce cerebral blood flow. b. Control of intracranial hypertension: This depends upon effective control of cerebral tissue volume, cerebral blood volume, and CSF volume. i. Reduction of cerebral tissue volume is accomplished medically through the osmotic diuretic, mannitol., which works by changing the brain blood rheology The osmolality should be kept within normal limits. Smaller doses (0.1-0.5 g/kg) of mannitol have been used effectively for maintenance of reduction in closed head injured human patients. Its positive effects depend upon the presence of an intact bloodbrain barrier. Furosemide is administered first and has been found to reduce the mannitol induced elevation in ICP. Without an MR or CT to make this assessment, the decision to use mannitol should be based upon the neurologic examination of the patient (Figure 2). Glucocorticosteroids appear to be ineffective in reducing cerebral edema after closed head injury and may increase morbidity.

Figura 2 - Algorithm for making therapeutic decisions based solely upon neurologic findings or changes in neurologic status.

Hypernatremia can cause changes in osmolality that is damaging to the neurons. Rapid correction of hypernatremia is equally as detrimental. Hypernatremia is treated with sodium containing fluids and lowered very slowly over several days. The use of sodium wasting diuretics and ADH may be warranted. Serum magnesium concentrations should be maintained within a normal range for the species. iReduction of cerebral blood volume is done by reducing CBF or by facilitating cerebral venous drainage. Endotracheal intubation and mechanical ventilation ensure that hypoxemia and hypercarbia are not contributing to an increase in CBF. The PaO2 is maintained above 60 mmHg. Cerebral vasodilation is minimized keeping the PaC02 between 30-40 mmHg. Intubation with coughing has been shown to increase the ICP. To offset this, IV lidocaine is suggested at 0.75 mg/kg (decreases CBF). Adequate sedation and analgesia will reduce CMRO2 and CBF. Narcotics are required for analgesia and for long term intubation, narcotics and pentobarbital can be used or narcotic and neuromuscular blockade. Extubation with subsequent coughing will elevate ICP. Prior to extubation, lidocaine should be repeated IV and 1/4 of the narcotic antagonist dosage given. Once the tube is out, the rest of the antagonist can be given. Head position, head elevation and ensuring patency of the jugular veins are important contibuting factors. Animals and human with hyperglycemia and brain injury have a worsened prognosis for neurologic recovery. The blood glucose should be maintained between 120-180 mg/dl. There is evidence that a glucose concentration of > 200 mg/dl can be detrimental to recovery. If hyperglycemia is present after fluid and blood pressure resuscitation, a CRI of regular insulin (0.25 – 1.0 unit/kg/day) may be required to keep the glucose within the optimal range. iii. Reduction of cerebral spinal fluid volume can be done mechanically through dehydration or CSF withdrawal through intraventricular catheters. Dehydration is not recommended. Drugs such as furosemide, acetazolamide and digoxin reduce CSF production. Furosemide at 0.75 mg/kg tid IV has been used.


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Stupore e coma (incluso il trauma cranico) Rebecca Kirby DVM, Dipl ACVIM, Dipl ACVECC, Wisconsin, USA

MECCANISMI Il trauma primario è la conseguenza diretta dell’insulto iniziale, è completo al momento della presentazione e non può essere modificato. Il danno cerebrale secondario è un’alterazione del tessuto encefalico, sia anatomica che fisiologica, che avviene dopo il danno primario e può essere prevenuta o attenuata con cure di sostegno ottimali. Il danno secondario comprende il sanguinamento, l’edema cerebrale, i vasospasmi e gli innalzamenti della pressione intracranica (ICP). Il contenuto intracranico è racchiuso in una struttura ossea protettiva non estensibile ed è costituito da tessuto cerebrale (80%), liquor (10%) e sangue (10%). Un aumento di una componente esita in una diminuzione del volume e in un incremento della pressione. Inizialmente, il liquor viene spostato nello spazio subaracnoideo, poi il flusso ematico cerebrale viene deviato nei vasi giugulari. Successivamente, aumenti molto piccoli del volume intracranico esitano in marcati incrementi della ICP. Ne può derivare uno spostamento o ernia cerebrale. Contusioni, ematomi, sanguinamenti intracranici, edema o tumori sono i più comuni riscontri che portano ad uno scompenso pressorio/volumetrico. Un aumento lento e progressivo viene tollerato meglio di un piccolo incremento acuto della ICP. Durante l’ipossia o l’ischemia, l’encefalo non può soddisfare le esigenze energetiche, il che causa una discordanza fra l’apporto di ossigeno e la domanda tissutale. La perfusione ematica cerebrale (CBF, cerebral blood flow) è regolata da stimolazione neuronale, PaO2, PaCO2 ed autoregolazione pressoria. L’encefalo è molto sensibile alle variazioni di PaCO2, dato che un cambiamento di 1 mm di Hg esita in una variazione del 3-4 % della CBF e del volume ematico cerebrale. La CBF viene mantenuta entro un range di valori di pressione arteriosa media di 50-150 mm Hg. L’autentica forza propulsiva della perfusione ematica cerebrale è la pressione di perfusione cerebrale (CPP) che, quando la ICP è elevata, eguaglia il valore della differenza fra pressione arteriosa media e pressione intracranica (MAP-ICP). Le aree danneggiate dell’encefalo perdono la capacità di autoregolazione, con il flusso ematico regionale che diviene indipendente dalla pressione arteriosa media (MAP) e dall’ICP. Esiste un accoppiamento flusso-metabolismo, con il metabolismo cerebrale (CMRO2) che dipende dalla CBF. Il CMRO2 locale aumenta con l’attività neuronale, così come con le crisi convulsive o la febbre, e diminuisce al calare dell’attività nonché con l’ipotermia e gli agenti anestetici. Quando la CBF scende al di sotto dell’autoregolazione, l’e-

Figura 1. Meccanismi suggeriti per il danno neuronale in caso di lesione cerebrale. Il glutammato è elevato nella fessura sinaptica a causa dell’aumento della stimolazione dei neuroni e del rilascio da parte della placca terminale, della captazione insufficiente da parte degli astrociti per soddisfare la concentrazione e del rilascio diretto da parte dei neuroni danneggiati. Il glutammato interagisce con i recettori, con il risultato finale di determinare un aumento del calcio intracellulare. L’insufficiente presenza di magnesio a livello del sito recettoriale può portare ad un incremento dell’ingresso nella cellula del calcio intracellulare. Il calcio citoplasmatico scatena gli enzimi per la produzione di radicali superossido, per perossidazione lipidica e per la degenerazione neuronale. I frammenti cellulari derivanti da quest’ultima possono portare ad un incremento dell’osmolalità interstiziale e ad edema citotossico. Nei neuroni danneggiati le pompe del sodio e del potassio sono inefficaci, esitando in un aumento del sodio intracellulare e un rigonfiamento neuronale. Il potassio extracellulare è aumentato, e l’eccesso di questo ione viene captato dagli astrociti. Ciò può portare al loro rigonfiamento. L’aumentata captazione astrocitaria del glutammato causa la glicolisi del glicogeno immagazzinato e la stimolazione dell’ATPasi sodio-potassica. Il sodio viene portato nell’astrocita e può condurre a rigonfiamento. La glicolisi esita in un aumento del flusso ematico diretto all’encefalo e in un conseguente incremento del volume ematico cerebrale, Na+-sodio; K+-potassio; SOR – radicali superossido; Mg++ - magnesio.

strazione dell’ossigeno aumenta per mantenere il valore del CMRO2 fino a che un ulteriore declino della CBF non provoca l’esaurimento dei meccanismi compensatori. Le conseguenze cellulari del TBI sono illustrate nella Figura 1. Due delle cause più imponenti di danno secondario dell’encefalo sono l’ipotensione e l’ipossiemia, in grado di determinare un peggioramento dell’esito finale. Nell’uomo, l’innalzamento della ICP è un insulto secondario critico e rappresenta il singolo principale fattore che contribuisce a determinare il tasso di mortalità riscontrato nella TBI nell’uomo. Si deve ricercare e trattare efficacemente ogni possibile causa di aumento della ICP.


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ESAME CLINICO E NEUROLOGICO Il danno cerebrale che colpisce una qualsiasi porzione del sistema attivante reticolare ascendente (ARAS: formazione reticolare con vie dirette al talamo ed alla corteccia cerebrale), può alterare il livello di coscienza nei piccoli animali. Tale livello di coscienza varia dalla veglia alla depressione mentale e poi a delirio, stupore ed infine coma. Si definisce come stupore la mancanza di coscienza, abbinata alla capacità di rispondere agli stimoli nocivi. Il coma implica la mancata risposta unitamente alla perdita di coscienza. I quadri respiratori anormali possono contribuire a localizzare le lesioni del SNC. Le alterazioni cerebrali e diencefaliche possono determinare i quadri respiratori di Cheyne Stokes, che si osservano tipicamente sotto forma di un ritmico andamento altalenante della frequenza e della profondità della ventilazione. Nel cane e nel gatto, perché si rilevi questo fenomeno deve essere presente un danno corticale diffuso e grave. Si può riscontrare un’iperventilazione in presenza di lesioni del mesencefalo o del ponte, benché si debbano escludere acidosi metabolica, alcalosi respiratoria e dolore. Le respirazioni irregolari (respiro apneustico) possono essere associate a tossicità o soppressione dei centri respiratori del tronco encefalico. L’identificazione di una grave bradicardia o di aritmie può essere indicativa di problemi del tronco encefalico. Esame neurologico: lo scopo dell’esame neurologico è quello di individuare il livello di gravità e guidare l’intensità degli interventi terapeutici determinando se la lesione sia focale o diffusa e localizzandola [all’area cerebrale corticale o sottocorticale (prognosi migliore) al mesencefalo o al tronco encefalico (prognosi grave)].

TERAPIA Gli scopi sono: a) sostenere la pressione arteriosa media e b) controllare l’ipertensione intracranica mediante i) riduzione del volume di tessuto cerebrale, ii) riduzione del volume di sangue cerebrale ed iii) riduzione del volume del liquor. Sostegno della pressione arteriosa media: l’espansione del volume intravascolare è una necessità della rianimazione della MAP e della perfusione dello shock ipovolemico emorragico e distributivo. I fluidi cristalloidi fuoriescono dai vasi passando nello spazio intercellulare. È stato dimostrato che l’amido eterificato aumenta la CPP in confronto al Ringer lattato ed all’associazione di destrano e soluzione ipertonica di NaCl. L’uso e la scelta dei colloidi rappresentano un argomento controverso, con dati sperimentali disponibili a sostegno di tutte le argomentazioni. Se l’ipotensione persiste dopo la rianimazione volumetrica, l’autore raccomanda di provare ad utilizzare i seguenti agenti, nell’ordine citato: emoglobina priva di stroma (Oxyglobin®) - 1-5 ml/kg IV lentamente; dopamina – 5-10 mg/kg/minuto. L’ipertensione sistemica può essere presente o derivare dalla rianimazione con fluidi. Quando la pressione sanguigna si mantiene permanentemente al di sopra di 150 mm Hg MAP, può essere necessario controllarla mediante vasodilatatori come il nitroprussiato. Tuttavia, è stato dimostrato che ciò aumenta il

Figura 2. Algoritmo per le decisioni terapeutiche basate unicamente sui riscontri neurologici o sulle modificazioni dello status neurologico. BP = pressione sanguigna.

volume ematico cerebrale. Altri vasodilatatori come i calciobloccanti ed i beta- ed alfa-antagonisti non si sono dimostrati in grado di ridurre la CBF. b. Controllo dell’ipertensione intracranica: questo dipende dall’efficace controllo del volume del tessuto cerebrale, del sangue nell’encefalo e del liquor. i. La riduzione del volume del tessuto cerebrale si ottiene per via medica attraverso un diuretico osmotico, il mannitolo, che agisce modificando la reologia ematica cerebrale. L’osmolalità va mantenuta entro i limiti normali. Dosi più piccole (0,1-0,5 g/kg) di mannitolo sono state utilizzate efficacemente per il mantenimento della riduzione in pazienti umani con lesioni craniche chiuse. I suoi effetti positivi dipendono dalla presenza di una barriera ematoencefalica integra. Si somministra dapprima la furosemide; è stato dimostrato che questo farmaco riduce l’innalzamento della ICP indotto dal mannitolo. Senza una risonanza magnetica o una tomografia computerizzata che consentano questa valutazione, la decisione di utilizzare il mannitolo deve essere basata sull’esame neurologico del paziente (Figura 2). I glucocorticosteroidi sembrano essere inefficaci per ridurre l’edema cerebrale dopo un danno cranico chiuso e possono aumentare la morbilità. L’ipernatremia può causare alterazioni dell’osmolalità che sta danneggiando i neuroni. La rapida correzione di questo squilibrio elettrolitico è ugualmente dannosa. L’ipernatremia viene trattata con fluidi contenenti sodio e va diminuita molto lentamente nell’arco di parecchi giorni. Può essere necessario l’impiego di diuretici natriuretici ed ADH. Le concentrazioni sieriche di magnesio vanno mantenute entro i limiti normali per la specie in esame ii. La riduzione del volume ematico cerebrale si ottiene diminuendo la CBF oppure facilitando il drenaggio venoso cerebrale. L’intubazione orotracheale e la ventilazione meccanica garantiscono che l’ipossiemia e l’ipercapnia non stiano contribuendo a determinare un aumento della CBF. La PaO2 viene mantenuta al di sopra di 60 mm Hg. La vasodilatazione cerebrale viene ridotta al minimo mantenendo la PaCO2 tra 30-40 mm Hg. È stato dimostrato che l’intuba-


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zione in presenza di tosse aumenta la ICP. Per evitare questo problema, si suggerisce l’impiego di lidocaina IV alla dose di 0,75 mg/kg (riduce il valore della CBF). Un’adeguata sedazione ed analgesia diminuisce il CMRO2 e la CBF. Per l’analgesia e per l’intubazione a lungo termine sono necessari i narcotici, che possono essere utilizzati insieme al pentobarbital oppure in associazione con il blocco neuromuscolare. L’estubazione con conseguente tosse determina un innalzamento della ICP. Prima della estubazione, si deve ripetere l’infusione IV di lidocaina e la somministrazione di 1/4 del dosaggio dell’antagonista narcotico. Una volta che il tubo sia stato sfilato, si può somministrare il resto dell’antagonista. La posizione della testa, il suo sollevamento ed il mantenimento della pervietà delle vene giugulari sono importanti fattori contribuenti. Gli animali ed i pazienti umani con iperglicemia e danno cerebrale presen-

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tano una prognosi peggiore per quanto riguarda la guarigione neurologica. Il glucosio ematico va mantenuto fra 120 e 180 mg/dl. Esistono prove del fatto che una concentrazione di glucosio > 200 mg/dl può essere dannosa per la guarigione. Se dopo una rianimazione mediante fluidoterapia e correzione della pressione sanguigna è presente iperglicemia, può essere necessario ricorrere alla CRI di insulina amorfa (0,25-1,0 unità/kg/die) per mantenere il glucosio entro il range ottimale. iii. La riduzione del volume del liquor può essere effettuata meccanicamente attraverso la disidratazione o il prelievo di liquor mediante cateteri intraventricolari. La disidratazione non è raccomandata. Farmaci come la furosemide, l’acetazolamide e la digossina riducono la produzione di liquor. È stata utilizzata la furosemide alla dose di 0,75 mg/kg tid IV.


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