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EV Soc Cons ARL è una Società con sistema qualità certificato ISO 9001:2008

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CONGRESSO INTERNAZIONALE MULTISALA SCIVAC

Rimini, 27-29 Maggio 2011 Palacongressi di Rimini

Atti congressuali • Comunicazioni brevi • Poster Congress proceedings • Short communications • Poster

In collaborazione con


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La SCIVAC ringrazia le Aziende sponsor per il sostegno e il contributo prestati alla realizzazione del 69째 Congresso Internazionale.

SCIVAC wishes to thank all the following key sponsors for their generous support for the 69th SCIVAC International Congress in 2011.


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SOCIETÀ CULTURALE ITALIANA VETERINARI PER ANIMALI DA COMPAGNIA SOCIETÀ FEDERATA ANMVI

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CONGRESSO INTERNAZIONALE MULTISALA SCIVAC

Rimini, 27-29 Maggio 2011 Palacongressi di Rimini

Atti congressuali • Comunicazioni brevi • Poster Congress proceedings • Short communications • Poster

QUESTO VOLUME DI ATTI CONGRESSUALI RIPORTA FEDELMENTE QUANTO FORNITO DAGLI AUTORI CHE SI ASSUMONO LA RESPONSABILITÀ DEI CONTENUTI DEI PROPRI SCRITTI.

THESE PROCEEDINGS REPORT FAITHFULLY ALL ABSTRACTS PROVIDED BY THE AUTHORS WHO ARE RESPONSIBLE OF THE CONTENT OF THEIR WORKS.

Organizzato da

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CONSIGLIO DIRETTIVO SCIVAC FEDERICA ROSSI - Presidente DEA BONELLO - Presidente Senior ALBERTO CROTTI - Vice Presidente GUIDO PISANI - Tesoriere WALTER BERTAZZOLO - Segretario DAVID CHIAVEGATO - Consigliere BRUNO PEIRONE - Consigliere

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COMITATO SCIENTIFICO Anestesia - Luca Zilberstein Animali esotici - Vittorio Capello Cardiologia - Marco Poggi Chirurgia - Guido Pisani Citologia/Patologia Clinica - Walter Bertazzolo Dermatologia - Fabia Scarampella Diagnostica per Immagini - Giliola Spattini Endoscopia - Davide De Lorenzi

COMMISSIONE SCIENTIFICA MASSIMO BARONI FEDERICA ROSSI FULVIO STANGA

Fisioterapia - Ludovica Dragone Gastroenterologia - Paola Gianella Medicina Comportamentale - Marzia Possenti Medicina Interna - Federico Fracassi Neurologia - Mariateresa Mandara

COORDINATORE SCIENTIFICO CONGRESSUALE FULVIO STANGA Med Vet, Cremona

Nutrizione - Liviana Prola Oftalmologia - Alberto Crotti Oncologia - Giorgio Romanelli Ortopedia - Bruno Peirone Practice Management - Marco Viotti

RESPONSABILE SEGRETERIA SCIENTIFICA MONICA VILLA Tel: +39 0372 403504 E mail: commscientifica@scivac.it

CHAIRMEN Anestesia - Adriano Lachin, Luca Zilberstein, Federico Corletto Animali Esotici - Vittorio Capello, Giordano Nardini

RESPONSABILE UFFICIO MARKETING ILARIA COSTA Tel: +39 0372 403538 E mail: marketing@evsrl.it

Cardiologia - Marco Poggi, David Chiavegato Chirurgia - Guido Pisani, Daniela Murgia Citologia - Walter Bertazzolo Dermatologia - Fabia Scarampella, Alessandra Fondati Diagnostica per Immagini - Federica Rossi, Giliola Spattini Endoscopia - Roberta Caccamo

RESPONSABILE SEGRETERIA ISCRIZIONI PAOLA GAMBAROTTI Tel: +39 0372 403508 Fax: +39 0372 403512 E mail: info@scivac.it

Oftalmologia - Nunzio D’Anna Fisioterapia - Ludovica Dragone, Francesca Cazzola Gastroenetrologia - Paola Gianella Medicina Comportamentale - Raimondo Colangeli Medicina Interna - Federico Fracassi Neurologia - Donatella Lotti, Stefania Gianni Nutrizione - PierPaolo Mussa, Liviana Prola

ORGANIZZAZIONE CONGRESSUALE EV - Eventi Veterinari Via Trecchi 20 - 26100 CREMONA (I)

Oncologia - Paolo Buracco Ortopedia - Filippo Maria Martini, Bruno Peirone Practice Management - Marco Viotti, Marco Serreri


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CURRICULA VITAE DEI RELATORI logie presso l’Univ. di Berna. Attualmente è Professore Associato presso il dip. di Scienze Cliniche Vet. dell’Univ. degli Studi di Padova ed esercita la libera professione come referente di casi neurologici presso l’Ospedale Vet. “Portoni Rosssi” di Zola Predosa (BO). È Past-president SINVet. Relatore a numerosi corsi e congressi in Italia e all’estero, è autore di articoli e del libro “Neurologia del cane e del gatto” (Poletto Editore, Milano).

MASSIMO BARONI Med Vet, Dipl ECVN, Monsummano Terme (PT) Laureato in Medicina Veterinaria con Lode nel 1987 presso l’Università di Pisa. Dal 1992 al 1995 ha compiuto un Non Conforming Residency Programme in Neurologia presso l’Istituto di Neurologia, facoltà di Berna. Diplomato al College Europeo di Neurologia. Attualmente svolge la propria attività specialistica presso la Clinica Veterinaria “Val di Nievole”, Monsummano Terme, Pistoia. È stato membro dell’Education Commitee del College Europeo di Neurologia (ECVN) e Presidente della Società e del College Europeo di Neurologia Veterinaria. È inoltre Past President SCIVAC e vicepresidente della Società Italiana di Neurologia Veterinaria (SINVET). Coordinatore dell’Itinerario di Neurologia SCIVAC. Autore di pubblicazioni e di oltre 100 relazioni congressuali, in Italia ed all’estero. Aree di interesse: Neurodiagnostica per immagini, neurochirurgia spinale ed intracranica.

DIANA BERTONCELLO Med Vet, Padova Laureata con il massimo dei voti presso l’Università di Padova nel 2002. Ha svolto un periodo di aggiornamento presso la Clinica Universitaria della Facoltà di Medicina Veterinaria di Bristol. È coautrice di varie pubblicazioni su riviste indexate, la metà circa delle quali internazionali, inerenti endoscopia diagnostica e interventistica e citologia applicata alle malattie respiratorie. È stata relatrice e istruttrice al corso di Endoscopia respiratoria SCIVAC ed ha presentato regolarmente case reports negli ultimi congressi della medesima società scientifica. Lavora presso la Clinica Veterinaria Privata San Marco di Padova, dove è responsabile della degenza e si occupa inoltre di endoscopia diagnostica e interventistica degli apparati respiratorio, digerente e urinario.

MARCO BEDIN Med Vet, Dr Ric, Monselice (PD) Laureato presso l’Università di Camerino, consegue il Dottorato di Ricerca nel 2010 presso l’Università di Padova dove è stato Professore a Contratto per corsi di Chirurgia degli Animali Esotici. Da sempre appassionato di Animali Esotici e Selvatici, se ne occupa subito dopo la laurea e collabora con progetti di conservazione. Attualmente è il Veterinario Ufficiale del Progetto Capovaccaio. Autore di pubblicazioni su riviste scientifiche Internazionali di Medicina e Chirurgia degli Animali Esotici e Selvatici, è stato relatore a congressi Nazionali ed Internazionali. Svolge la Propria professione presso la Clinica Veterinaria Euganea di Monselice (PD) occupandosi quasi esclusivamente di Animali Esotici e Selvatici. È responsabile dell’area di Medicina e Chirurgia degli Animali Esotici anche all’Ospedale Veterinario I Portoni Rossi di Zola Predosa (BO). È Vicepresidente SIVAE.

GERLDINE BLANCHARD Dr Vet, PhD, Dipl ECVCN, Alfort (F) Ha ottenuto un PhD, diplomate ECVCN e attuale Presidente dell’European College of Veterinary and Comparative Nutrition. Interessi di ricerca: nutrizione clinica, metabolismo lipidico, nutrizione e crescita equina. Responsabile della Nutrizione Clinica presso la Scuola Veterinaria di Alfort (Francia) fino al 2006, poi Senior Lecturer presso l’Università di Queensland (Brisbane, Australia) nel 2007. Consulente in alimentazione animale, nutrizionista clinico in una clinica a Parigi, e nutrizionista sul sito www.cuisinea-crocs.com

MARCO BERNARDINI Med Vet, Dipl ECVN, Padova BARBARA BOCKSTAHLER Priv Doz Dr, habil FTA, CCRP, Vienna (A)

Laureato presso l’Univ. di Bologna nel 1988. Nel 1994-95 effettua un Residency in Neurologia Vet. presso l’Università di Berna. Nel 1995 consegue il diploma dell’European College of Veterinary Neurology (ECVN). Dal 1997 al 2001 è docente di Neurologia Veterinaria presso l’Università di Barcellona e responsabile del Servizio di Neurologia e Neurochirurgia presso l’Ospedale Veterinario della stessa facoltà. Dal 2002 al 2003 è Oberassistent in Neuro-

Specialist for Physiotherapy and Rehabilitation Medicine Certified Canine rehabilitation practitioner (CCRP). Head of the Section of Physiotherapy and Acupuncture. Clinic for Surgery and Ophthalmology University of Veterinary Medicine Vienna. Education 1987-1994: University of Veterinary Medicine Vienna, Austria. Diploma Pro-

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gramme of Veterinary Medicine (MVM); 1994-1995: University of Veterinary Medicine Vienna, Austria; Doctoral Programme of Veterinary Medicine (Dr.med.vet.); Numerische und strukturelle Chromosomenanomalien in soliden Tumoren der Katze“ (‘Numerical and structural chromosomal anomalies in solid tumours in cats’); January 2004 Specialist for Physiotherapy and Rehabilitation Medicine, Member of the examination board; September 2007 Certified Canine rehabilitation practicioner (CCRP). Member of the examination board; April 2009 Habilitation for Surgery with special remarks on physical therapy and rehabilitation; Career progression; October - December 1995 Veterinary clinic Katzensteiner, Vienna; 1996 – September 2002 Joint partner of an animal ambulatory clinic, Vienna; September 1999 – November 2000 Acupuncture and Physical Therapy Outpatient Clinic University of Veterinary Medicine Vienna Buildup and establishment of outpatient clinic Acupuncture; Physiotherapy in ambulant and stationary patients; November 2000 – November 2003 Clinic for Surgery and Ophthalmology University of Veterinary Medicine Vienna Head of the Acupuncture and Physical Therapy Outpatient Clinic; November 2003 – current Movement Science Group University of Veterinary Medicine Vienna; Leader of the project team ‚Motion Analysis in Dogs’. Establishment of the laboratory for motion analysis; Performance of kinetic and kinematic motion analysis; Supervision of doctoral students; Scientific guidance and performance of studies within the frame of motion analysis. In the course of her clinical and scientific career Dr. med. vet. Bockstahler has held numerous lectures in Austria and abroad. Dr. med. vet. Bockstahler has conducted intensive research on gait analysis in dogs since 2003.

DEA BONELLO Med Vet, Spec Rad Vet, Dipl EVDC, Torino Si laurea nel 1989 alla Facoltà di Medicina Veterinaria di Torino, dove poi si specializza nel 1997 in Radiologia Veterinaria e nel 2000 consegue il titolo di Dottore di Ricerca in Medicina Interna Veterinaria. Ha lavorato come ricercatore a contratto presso il Dipartimento di Patologia Animale della Facoltà di Medicina Veterinaria di Torino dal 2001 al 2003. Dal 1989 si dedica all’odontostomatologia veterinaria ed in questo settore svolge attività di consulenza per i piccoli ed i grossi animali. Nel 1996 e nel 1998 si è recata, a scopo di aggiornamento, presso l’Università di Davis, California. Nel 1998 consegue il Diploma dell’European College of Veterinary Dentistry. Relatore a numerosi congressi in Italia ed all’estero e autore di pubblicazioni inerenti l’odontostomatologia veterinaria e comparata. Dal 1998 al 2002 è stata Segretario dell’EVDC e Coordinatore del Gruppo di Studio di Odontostomatologia della SCIVAC. È Past President del College Europeo di Odontostomatologia Veterinaria, Presidente della SIODOV (Società Italiana di Odontostomatologia Veterinaria) e Presidente SCIVAC nel consiglio neoeletto.

ENRICO BOTTERO Med Vet, Cuneo Si laurea in Medicina Veterinaria presso l’università di Torino nel 1997 con una tesi sulle periodontopatie nel cane. Vicepresidente della Siciv (Società Italiana di Citologia Veterinaria) dal 2006. Dal 2010 è presidente Siciv. Relatore dal 2003 al corso Scivac di citologia. Relatore nel 2006, 2007 e 2008 nel percorso di gastroenterologia della Performat. Relatore al corso Scivac di endoscopia applicata alle malattie respiratorie nel 2009 e 2010. Relatore al corso di gastroenterologia della Unisvet nel 2009. Relatore al congresso nazionale Scivac del 2006, 2007, 2008, 2009 e 2010. Direttore del corso Scivac di endoscopia dell’apparato gastroenterico nel 2009 e nel 2010. Direttore e responsabile scientifico del percorso di gastroenterologia Scivac nel 2010. È autore e coautore di articoli su riviste nazionali ed internazionali.

PAOLO BOGONI Med Vet, Ghedi (BS) Laureato a Parma nel 1991. Dal 1994 lavora presso l’ambulatorio “Bogoni, Pasotti” sito in Ghedi, Brescia, dedicandosi soprattutto all’attivita chirurgica e oftalmica. Dal 2008-2010 ha ricoperto la carica di segretario nel consiglio direttivo SCVI. È socio SCIVAC, SOVI, SCVI, SIOVET, ESVOT. Ha partecipato a diversi corsi e congressi nazionali ed internazionali. In qualità di istruttore o relatore a partecipato a diversi corsi e congressi in ambito nazionale. Ha presentato diversi case reports e free comunication ai meeting di SCIVAC, SCVI, SOVI, SIOVET. Coautore di un articolo comparso su Veterinary Surgery, di un case reports, comparso su Veterinaria e uno comparso su Open Veterinary Journal. I suoi campi di interesse sono la chirurgia generale, con particolare riferimento alle patologie delle gh. salivari e perineali, e l’ortopedia con particolare riferimento alla traumatologia.

FABRIZIA CANEPA Med Vet, Novara Laureata con lode nel 1978 presso l’Università degli Studi di Torino, si è specializzata in Clinica delle Malattie dei Piccoli Animali presso l’Università degli Studi di Milano nel 1985. Direttore Sanitario della Clinica San Martino, si occupa di chirurgia dei tessuti molli e dei piani di marketing della struttura, fornendo anche consulenza a strutture esterne ed aziende.

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VITTORIO CAPELLO Med Vet, Dipl ECZM-Small Mammal, Dipl ABVP-ECM, Milano

GIOVANNI CARDINI Med Vet, Pisa Giovanni Cardini è Professore Ordinario di Clinica Medica Veterinaria, Direttore della Scuola di Specializzazione in Patologia e Clinica degli Animali d’Affezione e Presidente del Consiglio di Corso di Laurea in Tecniche di Allevamento del cane di Razza ed Educazione Cinofila presso l’Università di Pisa. È stato Membro della Commissione Consultiva del Ministero della Salute per l’accertamento dei requisiti tecnici del farmaco veterinario ed Esperto del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali nella Commissione Tecnica Centrale del Libro Genealogico del cane di razza dell’Ente Nazionale Cinofilia Italiana. È autore di 180 pubblicazioni scientifiche.

Nato a Asti il 2/7/1963, ha conseguito la laurea a pieni voti con lode in Medicina Veterinaria presso la Facoltà di Milano nell’A.A. 1988/89. La tesi di laurea è stata insignita di dignità di stampa sia nazionale che internazionale, ed è stata premiata con la Borsa di Studio Friskies, in collaborazione con SCIVAC. È stato ideatore, coautore e regista del programma video: “Impiego dei fissatori esterni nel cane e nel gatto”, edito da SCIVAC nell’ottobre 1992. Nel 1993 ha conseguito a pieni voti il diploma di specializzazione in Malattie dei piccoli animali presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Milano discutendo la tesi dal titolo: “Approccio alla medicina e chirurgia del criceto domestico.” Nel periodo maggio/giugno 1994 ha frequentato il Dipartimento di Chirurgia presso il Veterinary Medical Teaching Hospital di Davis (University of California). Nell’ottobre 1995 ha frequentato il 4° corso di Italiano di base AO-VET presso il Centro studi S.C.I.V.A.C. di Cremona. Dal 1990 al 1996 ha svolto il ruolo di collaboratore presso la clinica Veterinaria S.Siro di Milano. Dal 1997 lavora, a Milano, presso la Clinica Veterinaria S.Siro e la Clinica Veterinaria Gran Sasso occupandosi di medicina e chirurgia degli animali esotici, con particolare riferimento al coniglio, ai piccoli roditori e ai piccoli mammiferi. Ha collaborato alla traduzione in lingua italiana del testo: Birchard S.J., Sherding R.G.: “Saunders Manual of Small animal practice (1994) edito da Piccin (Padova, 1996), per quanto concerne la sezione Animali esotici (Furetto, Coniglio domestico e Piccoli roditori). Dal 1995 al 2001 ha pubblicato 10 articoli scientifici sulla rivista “Veterinaria”, su argomenti relativi al coniglio, ai piccoli roditori e al furetto. Nell’ottobre 1998 è stato relatore sul tema: “Medicina e chirurgia del coniglio e dei piccoli roditori da compagnia” presso l’Ordine dei medici veterinari di Brescia. Dal 1996 al 1999 ha collaborato con riviste del settore (ArgosTrend, ArgosVet) pubblicando mensilmente articoli di divulgazione veterinaria relativi ad animali esotici e da compagnia, e nel 1998 è stato direttore scientifico della rivista “Argos”. È autore del manuale: “Il cincillà”, edito da De Vecchi (Milano, 1998). Dal 2000 è relatore presso le Delegazioni Regionali SCIVAC. Nel 2001 ha pubblicato il “Testo Atlante di Medicina e chirurgia del criceto domestico” in CD-rom; è autore di alcuni articoli pubblicati sulla rivista americana “Exotic DVM magazine” ed ha tenuto una serie di relazioni dedicate alla medicina e chirurgia del coniglio, dei piccoli roditori e dei piccoli mammiferi presso l’Ordine dei medici veterinari di Milano e Lodi. È membro della AEMV (Association of Exotic Mammal Veterinarians).

MARIA CHIARA CATALANI Med Vet, Comportamentalista, Senigallia (AN) Laurea in Medicina Veterinaria all’Università degli Studi di Perugia, nel 1999. Presso lo stesso Ateneo consegue il Perfezionamento in Educazione Sanitaria nel 2001. All’Università di Pisa, Facoltà di Medicina Veterinaria – consegue il Perfezionamento in Scienze Comportamentali Applicate, nel 2003 e il Diploma di Master in Medicina comportamentale degli animali d’Affezione, nel 2006. È membro del Consiglio Direttivo SISCA dal 2005, docente e nella Commissione Scientifica SIUA, tecnico ed istruttore cinofilo CSEN-Cinofilia. Dottoranda di Ricerca in Fisiopatologia e Medicina degli Animali d’Affezione, presso il Dip.to di Scienze Biopatologiche, Igiene delle Produzioni Animali e Alimentari – Università degli Studi di Perugia– Facoltà di Medicina Veterinaria, dal 2008, dove sta realizzando un’attività di ricerca sul benessere dei cani in canile e il miglioramento del livello di adottabilità. È autore e co-autore di numerosi articoli scientifici e saggi, tra i quali “Valutazione dei cani, categorie di attribuzione e protocolli di testaggio” in “Il canile come presidio zooantropologico” a cura di Roberto Marchesini, Edizioni Medico Scientifiche, dicembre 2007 e “Teorie esplicative della pet-relationship. Cosa spinge l’uomo verso la relazione con l’animale?” in “Nuove prospettive nelle attività e terapie assistite dagli animali” a cura di Roberto Marchesini, Edizioni EV srl, Marzo 2004. Traduttore e curatore dell’edizione italiana di “Emotional lives of animals” di Marc Bekoff, Edizioni Alberto Perdisa, Aprile 2010. È Referente SISCA per la ESVCE e per la Partnership con Mars Italia nell’ambito della zooantropologia applicata. 17


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bera professione occupandosi prevalentemente di anestesiologia e terapia del dolore nel paziente ortopedico. Nel 2007 partecipa al corso base ed al corso avanzato di Fisioterapia Veterinaria organizzati da Scivac. Nel 2008 si reca negli Stati Uniti presso la University of Tennessee College of Veterinary Medicine per frequentare i corsi del Master in riabilitazione del cane e per svolgere un periodo di tirocinio. Nel 2009 consegue il titolo di CCRP (Certified Canine Rehabilitation Practioner) presso l’Università del Tennessee. Ha partecipato a numerosi congressi in Italia e all’estero riguardanti la fisioterapia, l’ortopedia e la neurologia. È stata relatore a corsi ed incontri sulla fisioterapia veterinaria. Dal 2007 svolge la propria attività professionale presso il Centro Veterinario Fisioterapico di Roletto (TO) di cui è direttore sanitario occupandosi esclusivamente di riabilitazione.

FRANCO CECCHI Med Chir, Centro Cardiomiopatie, Università Firenze Prof. Franco Cecchi ha acquisito la sua laurea in medicina nel 1974 e la specializzazione in cardiologia nel 1977 presso l’Università di Firenze. Attualmente è Professore associato per malattie cardiovascolari all’Università degli Studi di Firenze ed è responsabile al Centro di Riferimento Regionale per le Cardiomiopatie, Cardiologia 1, Dipartimento Cuore e Vasi dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi dove più di 2000 pazienti sono stati seguiti per oltre 20 anni. Inoltre insegna “Malattie Apparato Cardiovascolare” per il Corso di Laurea “Medicina e Chirurgia” alla Facoltà di Medicina e Chirurgia. Ha pubblicato oltre 100 lavori in riviste internazionali. Ha recentemente focalizzato la sua ricerca nella epidemiologia, clinica e genetica nei pazienti con cardiomiopatia ipertrofica.

FEDERICO CORLETTO Med Vet, PhD, CertVA, Dipl ECVAA, MRCVS, Six Mile Bottom (UK)

ROSARIO CERUNDOLO Med Vet, CertVD, Dipl ECVD, MRCVS, Six Mile Bottom (UK)

Laureato con lode in medicina Veterinaria presso la Facoltà di Padova nel 1997. Ha compiuto un residency in Anestesia Veterinaria presso l’Animal Health Trust (Newmarket, UK). Nel 2002 ha conseguito il Certificate in Anestesia veterinaria, rilasciato dal Royal College of veterinary Surgeons e nel 2003 il Diploma di specializzazione rilasciato dal College Europeo di Anestesia ed Analgesia Veterinaria (Dipl. ECVAA). È stato ricercatore presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Padova, Clinical Anaesthetist presso l’Animal Health Trust e Research Fellow presso la divisione di anestesia dell’ospedale di Addenbrooke’s, finanziato dal Wellcome Trust. Attualmente è responasible del serivizio di anestesia presso la referral practice del Prof. Dick White, a Six Mile Bottom, in Suffolk.

Laureato presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Napoli nel 1987. Dopo aver trascorso circa tre anni in un ambulatorio per animali da compagnia, è entrato nel 1990 a far parte dell’Istituto di Clinica Medica Veterinaria della Facoltà di Medicina Veterinaria di Napoli. Nel 1990 ha conseguito il titolo di Specialista in “Malattie Infettive, Profilassi e Polizia Veterinaria”. Nel marzo del 1995 si è trasferito al Royal Veterinary College di Londra per effettuare un Residency in Dermatologia. Nel 1997 ha ottenuto il “Certificate in Veterinary Dermatology” dal Royal College of Veterinary Surgeons (UK) e nel 1998 il Diploma dell’European College of Veterinary Dermatology. Nel 2000 ha ottenuto il titolo del Royal College of Veterinary Surgeons di “Specialist in Veterinary Dermatology”. Nel 1999 è ritornato alla sezione di Clinica Medica della Facoltà di Medicina Veterinaria di Napoli dove è rimasto fino a gennaio del 2002. Nel febbraio 2002 si è trasferito negli Stati Uniti all’Università di Pennsylvania, Facoltà di Medicina Veterinaria dove ha ricoperto il ruolo di Associate Professor of Veterinary Dermatology. Da gennaio 2009 si è trasferito in Inghilterra dove lavora come specialista in dermatologia presso l’ospedale veterinario DickWhiteReferral a Six Mile Bottom, Cambridge. Da settembre 2010 collabora con l’Universita di Nottingham ricoprendo il ruolo di Honorary Associate Professor of Veterinary Dermatology.

LUISA CORNEGLIANI Med Vet, Dipl ECVD, Milano Laureata in Medicina Veterinaria presso l’Università di Milano nel 1991, con il massimo dei voti, lavora come libero professionista nel settore dei piccoli animali dove si occupa di dermatologia dal 1995. Ha frequentato periodi d’aggiornamento ad indirizzo dermatologico all’estero presso strutture private ed universitarie; è relatore ed istruttore a corsi e congressi di aggiornamento dedicati alla dermatologia. Full member dell’ESVD (European Society of Veterinary Dermatology) dal 1996, ha conseguito il diploma ECVD (European College of Veterinary Dermatology) nel 2006. È inoltre autore di numerosi articoli su riviste nazionali ed internazionali, nonché coautore ed autore di monografie, atlanti illustrati e di cd multimediali dedicati alla dermatologia veterinaria. Attualmente lavora eseguendo visite dermatologiche di referenza a Milano e Torino.

CHIARA CHIAFFREDO Med Vet, CCRP, Roletto (TO) Si laurea nel 2001 in Medicina Veterinaria presso l’Università degli Studi di Torino. Dal 2001 al 2007 svolge la li18


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Diploma examinations and is currently the Head of the Equine Ophthalmology Unit at the AHT. Whilst spending most of his time dealing with ocular disease in domestic species David has also been involved in the management of ocular disease in a wide spectrum of species including Koalas, Kangaroos, Tigers, Lions, Bears, Dolphins and Seals. David’s current interests include equine intraocular surgery and research into canine ocular neoplasia.

SERENA CROSARA Med Vet, Torino Laureata presso l’Università degli studi di Torino nel 2003. Dopo la laurea ha effettuato un periodo di tirocinio pratico presso la Clinica Gran Sasso, sotto la supervisione del dott. Claudio Bussatori (DM, DVM, Dipl. ECVIM-Ca). Dal 2003 ha lavorato presso il Dipartimento di Patologia Animale di Grugliasco (To). Nel 2005 ha completato un anno di internship presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Torino sotto la supervisione del Dr Michele Borgarelli (DMV, Dipl. ECVIM-Ca). Dal 2006 al 2009 ha completato il residency program in cardiologia (ECVIM) presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Torino e la Kansas State Univeristy (Kansas, USA). È attualmente titolare di una borsa di dottorato di ricerca presso il Dipartimento di Patologia Animale di Grugliasco, con una ricerca dal titolo “funzione sistolica e diastolica, e rimodellamento cardiaco in corso di malattia valvolare cronica”, svolta in collaborazione con l’Univeristà di Uppsala, Svezia. Ha pubblicato su riviste nazionali ed internazionali. Ha partecipato a congressi nazionali ed internazionali in qualità di relatrice.

CRISTIAN FALZONE Med Vet, Dipl ECVN, MRCVS, Perugia Nel 2001 consegue la laurea in Medicina Veterinaria presso l’Università di Perugia. Fino al 2003 conduce attività di libero professionista nella provincia di Perugia ed Arezzo e collabora con il dipartimento di chirurgia della facoltà di medicina veterinaria di Perugia,. Dal 2004 al 2007 svolge un Residency in Neurologia presso la Clinica Veterinaria Valdinievole, Monsummano Terme (PT), sotto diretta supervisione del dr. Massimo Baroni. Nel 2006 si reca all’estero per periodi di diversa durata di continuing education. Nel settembre 2007, dopo aver sostenuto l’esame tenutosi a Berna, si diploma al College Europeo di Neurologia Veterinaria. È autore di relazioni e pubblicazioni nazionali ed internazionali, riguardanti la neurologia veterinaria. Dal 2004 è membro della Società Europea di Neurologia Veterinaria (ESVN) e della Società Italiana di Neurologia Veterinaria (SINVet), della quale è consigliere dal 2007. Dal 2007 a Febbraio 2010 svolge attività neurologica specialistica presso la Clinica Veterinaria Valdinievole con particolare interesse per la Risonanza Magnetica (RMI) applicata alla neurologia. Attualmente lavora in qualità di neurologo clinico e neurochirurgo presso il centro di referenza Davies Veterinary Specialists, in UK.

DAVIDE DE LORENZI Med Vet, SMPA, Dr Ric, Dipl ECVCP, Padova Laureato con lode presso l’Università di Bologna nel 1988, Specializzato in Clinica e Patologia degli animali da compagnia presso l’Università di Pisa nel 1992. Diplomato nel 2005 al College Europeo di Patologia Clinica, Dottore di Ricerca presso l’Università di Perugia nel 2010. Ha scritto (come autore unico o coautore) oltre trenta articoli e comunicazioni pubblicate da riviste italiane e internazionali su argomenti di citologia diagnostica, chirurgia ed endoscopia e presenta regolarmente relazioni su queste materie a congressi veterinari nazionali ed internazionali. Ha curato la versione italiana di testi di citologia diagnostica, ed ha scritto capitoli ad argomento endoscopico e citologico su testi nazionali e internazionali. Lavora attualmente a Forlì, Padova e Bologna occupandosi di malattie respiratorie e ORL, endoscopia e citologia diagnostica.

LUCA FORMAGGINI Med Vet, Dormelletto (VA) Si laurea a Milano nel Febbraio 1991. Dal 1996 lavora presso la Clinica Veterinaria “Lago Maggiore” di cui è socio fondatore. È relatore SCIVAC per argomenti di chirurgia, medicina d’urgenza e terapie postoperatorie; ha tenuto relazioni a diversi congressi e seminari in Italia e all’estero; è autore e co-autore di vari testi scientifici pubblicati in Italia e su riviste internazionali. È stato accettato a sostenere l’esame dello European College of Veterinary Surgeons. Dal 2008 è Presidente della Società di Chirurgia Veterinaria Italiana (SCVI). I principali campi d’interesse sono rivolti alla chirurgia mini-invasiva laparoscopica e toracoscopica, alla chirurgia dei tessuti molli e a tutti gli aspetti della traumatologia (pronto soccorso, chirurgia e terapia intensiva). I suoi hobbies comprendono la corsa, la pesca e lo snowboard. Da osservatore ama il basket e il calcio.

DAVID DONALDSON BVSc (Hons) Dipl ECVO, MRCVS, Newmarket (UK) David qualified from the University of Sydney in 1989 with first class honours and the University medal. For 10 years David worked in small animal, livestock and equine practice in both Australia and the United Kingdom. Whilst in general practice he obtained the RCVS Certificate in Veterinary Ophthalmology (2000) and in 2002 was appointed as Resident in Veterinary Ophthalmology at the Animal Health Trust (AHT). In 2007 David completed the ECVO 19


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Anaesthesia). Autore di 2 comunicazioni ai congressi ISVRA 2006 e 2007. Relatore nel 2009 nella sessione di Anestesia organizzata da ISVRA presso il Congresso Nazionale Merial. Istruttore al Corso ISVRA di anestesia loco regionale del 2007, è attualmente relatore ed istruttore ai corsi nazionali organizzati dal Dott. Stefanelli.

FEDERICO FRACASSI Med Vet, Dr Ric, Bologna Laureato con lode in Medicina Veterinaria presso l’Università di Bologna nel 2001. Nel 2005 ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca. Dal 2006 è Ricercatore Universitario presso l’Università di Bologna svolgendo attività di docenza e clinico assistenziale nel settore di Medicina Interna. Sta portando a termine un residency in medicina interna per il college europeo ECVIM-CA, superando nel 2009 la General Examination. Dal 2007 è componente del consiglio direttivo della Società Italiana di Medicina Interna Veterinaria e dal 2009 anche dell’European Society of Veterinary Endocrinology. È inoltre membro e dell’European Society of Veterinary Internal Medicine. Autore di pubblicazioni su riviste nazionali e internazionali e relatore a congressi nazionali e internazionali. Il suo principale campo di ricerca è la medicina interna ed in particolare l’endocrinologia dei piccoli animali.

GUALTIERO GANDINI Med Vet, Dipl ECVN, Bologna Il Prof. Gualtiero Gandini si è laureato con lode presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Bologna nel 1990, dove attualmente ricopre il ruolo di professore associato presso il Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie. Nel 1996 ha conseguito il titolo di Dottore di ricerca. Nel 2003 ha acquisito il titolo di “Diplomate of the European College of Veterinary Neurology (DECVN). Dal 2000 ad oggi è stato membro dell’Executive Committee ella European Society of Veterinary Neurology (ESVN) e dello European College of Veterinary Neurology (ECVN), di cui è stato presidente nel biennio 2008-2010. È iscritto alla Società Italiana di Neurologia Veterinaria (SINVet) dal 1998, di cui è stato membro del Consiglio Direttivo nel periodo 2004-2007. È autore e coautore di circa 75 pubblicazioni scientifiche, di cui 25 su riviste internazionali peer-reviewed.

PAOLO FRANCI Med Vet, Padova Laureato nel 1996 presso l’Università degli Studi di Pisa. Ha lavorato presso la Clinica Veterinaria Europa di Firenze nei primi anni di professione. Nel 2002 è stato anestesista-rianimatore freelance in varie strutture del Nord Italia prima di iniziare una standard residency in anestesia presso l’Animal Health Trust Newmarket UK(2003-2006). Nel 2006 ha lavorato presso Davies Veterinary Specialist Manor Farm Business Park – Bedfordshire UK, per poi essere responsabile dell’anestesia e terapia intensiva presso l’Ospedale I Portoni Rossi Zola Predosa – BO. Dopo aver vinto un concorso per ricercatore universitario, dal Settembre del 2007 insegna presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Padova. Ha presentato lavori originali a congressi nazionali ed internazionali ed è relatore invitato a molti congressi e corsi.

FREDERIC GASCHEN Dr Med Vet, Dipl ECVIM (CA), Dipl ACVIM (Sa Int Med), Louisiana (USA) Al termine della sua tesi di dottorato, il Dr. Gaschen intraprende una internship nei piccoli animali presso l’Università di Guelph, Ontario Veterinary College e una residency in medicina interna presso l’Università della Florida. E ‘stato uno dei fondatori diplomati delL’European College of Veterinary Internal Medicine. Ha trascorso oltre 13 anni presso la facoltà dell’Università di Berna, in Svizzera, dove è diventato professore e capo della Divisione di Medicina dei Piccoli Animali. Attualmente è capo del Servizio di Medicina Animali da Compagnia presso la Louisiana State Università. Negli ultimi 8 anni ha focalizzato i suoi sforzi nella ricerca sulla patogenesi delle enteropatie croniche del cane, sulla valutazione della motilità gastrointestinale nei cani, e su una varietà di altri argomenti di gastroenterologia per piccoli animali.

DAVIDE GAMBA Med Vet, Bergamo Nato nel 1979 ad Alzano Lombardo (Bg), si laurea a Parma nel 2004. Si interessa subito di anestesia e terapia del dolore, partecipa a numerosi corsi specialistici di ISVRA e della SCIVAC. Nel 2005 diventa responsabile del servizio di anestesia della Clinica Veterinaria Baioni di Bergamo. Dal 2007 lavora come anestesista presso l’Ospedale Veterinario Gregorio VII di Roma. Nel 2006 e 2007 partecipa come uditore a corsi teorico-pratici di anestesia loco regionale periferica organizzati da ESA (European Society of Anesthesiology) ed ESRA (Europen Society of Regional

LORRIE GASCHEN PhD, Dr Habil, DVM, Dr Med Vet, Dipl ECVDI Dr. Gaschen graduated from the University of Florida and after 2 years in private equine and small animal practice in Florida undertook training for the European College of 22


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Veterinary Diagnostic Imaging. She has a special interest in ultrasound and cross-sectional imaging and her PhD work investigated vascular changes in renal allograpft rejection. Her current research involves ultrasonic investigation of splanchnic blood flow in dogs with chronic enteritis. She has supervised the training of many residents in diagnostic imaging.

si sierologica” che sarà poi oggetto di una pubblicazione su una rivista scientifica nazionale. Nel 1989 fonda con due soci una struttura veterinaria per la cura dei piccoli animali dedicandosi prima alla medicina interna ed alla chirurgia poi alla neurologia, all’ortopedia ed alla chirurgia. Dal 1994 inizia periodi di soggiorni formativi in neurologia in Francia, Inghilterra e Stati Uniti. Nel 1997 e nel 1998 sostiene presso l‘Istituto di Neurologia dell’Università di Berna un “ Training program in Veterinary Neurology” alla European School for Advanced Veterinary Studies. Partecipa a diversi congressi nazionali, seminari o corsi in qualità di relatore. Dal gennaio 2008 ricopre la carica di consigliere nella Società Italiana di Neurologia Veterinaria. Attualmente è Direttore Sanitario della Clinica Veterinaria Città di Voghera, responsabile del Servizio di referenza di Neurologia e co-fondatore del Centro Diagnostico Veterinario Iriense interno alla clinica e dotato di TC e Risonanza magnetica.

NICOLA GASPARINETTI Med Vet, Vicenza Laureato all’Università di Bologna nel 1985 con Lode. Si specializza nel 1991 in Clinica dei Piccoli Animali presso l’Università di Milano con il massimo dei voti. Si dedica alla neurologia dei piccoli animali dal 1989, da allora ha trascorso periodi di aggiornamento in Italia e all’Estero. Socio fondatore della Società Italiana di Dermatologia Veterinaria (SIDEV) e socio della Società Italiana di Neurologia Veterinaria (SINVET) dal 2000, ha partecipato, anche come relatore, a numerosi seminari, corsi e giornate di approfondimento inerenti la neurologia e neurochirurgia dei piccoli animali. Svolge esclusivamente, attività di referenza in neurologia clinica, neurochirurgia e traumatologia della colonna vertebrale del cane e del gatto. Attualmente è responsabile, presso la Diagnostica Piccoli Animali srl di Zugliano (VI), della sezione di Neurologia e Risonanza magnetica.

SABRINA GIUSSANI Med Vet, Dipl Comportamentalista ENVF, Busto Arsizio (VA) Si laurea cum laude presso la facoltà di Medicina Veterinaria di Milano. Dal 1998 si occupa di Medicina Comportamentale. È diplomato DVMC presso l’Ecole Nationale Française (2002). È autore, insieme al Dott. Colangeli, del libro”Medicina comportamentale del cane e del gatto” (Poletto, 2004). Consegue nel 2004 il Master di specializzazione di 2° livello organizzato dall’Università di Medicina Veterinaria di Padova in “Etologia applicata al benessere animale”. È Professore a contratto nel Master inerente la Medicina Comportamentale organizzato dall’Università di Medicina Veterinaria di Torino (2005). È professore a contratto dal 2007 nel corso di laurea breve Tutela e Benessere Animale presso l’Università di Medicina Veterinaria di Teramo. È socio di Zoopsy e di ESVCE.

GIOVANNI GHIBAUDO Med Vet, Samarate (VA) Laureato presso l’Università di Milano nel 1994, dal 1996 si occupa di dermatologia, otologia e citopatologia veterinaria frequentando numerosi congressi, seminari e corsi di dermatologia veterinaria in Italia ed all’estero. È full member dell’ESVD dal 1997 e della SIDEV dalla sua fondazione. Relatore ai Congressi Nazionali e Internazionali. Lavora come referente per la dermatologia presso diverse strutture veterinarie In Lombardia, Emilia Romagna e Marche. Traduttore del libro “Dermatologia del cane e del gatto” di Medleau e Hnilica 2° Ed. 2007. Autore, insieme alla Dr.ssa Noli, del libro “Dermatologia clinica e microscopica del cane e del gatto” Poletto Editore 2009. Autore del libro “Principi di Video-otoendoscopia nel cane e nel gatto” Poletto Editore 2010. Autore di oltre 60 articoli su riviste veterinarie nazionali ed estere.

CRAIG E. GRIFFIN DVM, Dipl ACVD, California, USA Il Dr Griffin ha conseguito il titolo di Doctor of Veterinary Medicine nel 1977 presso la Cornell University, College of Veterinary Medicine, e poi ha portato a termine un periodo di internato in medicina e chirurgia dei piccoli animali alla University of Missouri, College, ed uno di residenza in dermatologia ed allergia alla University of California, Davis, Veterinary Medicine. Nel 1981 ha ottenuto il diploma dall’American College di dermatologia veterinaria. È stato anche insignito dello Stanford University School of Medicine Outstanding Veterinary Dermatologist Award nel 1995 e dell’American College of Veterinary Dermatology Award of Excellence nel 2001.

RAFFAELE GILARDINI Med Vet, Voghera (PV) Si laurea in Medicina Veterinaria presso l’Università Statale di Milano nel 1988 con una tesi sperimentale dal titolo “Peritonite Infettiva Felina: la tecnica ELISA nella diagno23


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Dal 1981 il Dr. Griffin ha esercitato la libera professione nella California meridionale ed è stato il fondatore delle cliniche di dermatologia veterinaria, ospedali specializzati che si dedicano esclusivamente ai settori della dermatologia, allergia e otologia. Queste cliniche oggi servono quattro sedi a tempo pieno della California meridionale e parecchie cliniche satellite negli Stati Uniti occidentali. Presso queste strutture operano 8 diplomati dell’American College of Veterinary Dermatology, 3 associati e 2 residenti. Il Dr. Griffin ha più di 45 pubblicazioni come autore principale o coautore. Fra i libri, è stato co-editor di Current Veterinary Dermatology the Science and Art of Therapeutics e coautore di Muller & Kirk’s Small Animal Dermatology, V e VI edizione.

HANS S. KOOISTRA Dvm, Phd, Dipl ECVIM-CA, Utrecht (NL) S, Glasgow (UK) Hans Kooistra followed an internship and a residency in internal medicine of companion animals at the Department of Clinical Sciences of Companion Animals, Faculty of Veterinary Medicine, Utrecht University (from 1991-1994). After the residency he became Assistant Professor (19942003) and Associate Professor (2004- now) at the same department. Duties include patient care, education (to students, post graduate training and training of interns and residents) and research in internal medicine of companion animals, with special emphasis on endocrinology and reproduction. In 1997 he became Diplomate of the European College of Veterinary Internal Medicine-Companion Animals (ECVIM-CA). He successfully (“cum laude”) defended his PhD thesis entitled “Adenohypophyseal function in healthy dogs and in dogs with pituitary disease” in December 2000. Hans is (co-)author of more than 100 peer-reviewed articles and several book chapters.

LINDA J.I. HORSPOOL BVMS, PhD, Dipl ECVPT, MRCVS, Glasgow (UK) Dr. Horspool received her veterinary degree from the University of Glasgow Veterinary School, Scotland, in 1988. She completed a Ph. D. program in veterinary pharmacology at the same university in 1992. Dr. Horspool is also a Diplomate of the European College of Veterinary Pharmacology and Toxicology. She spent six years in companion animal practice and a year teaching veterinary pharmacology before joining Intervet International bv in Boxmeer, The Netherlands as the Global Technical Lead for companion animal pharmaceutical products at Intervet. She has published more than 90 peer-reviewed articles, abstracts and book chapters as well as reviewing articles for a number of journals. In her spare time she enjoys horse riding and dog agility training with her Belgian Shepherd (Groenedaeler) dog.

FEDERICO LEONE Med Vet, Senigallia (AN) Nel 1995 ha effettuato uno stage di dermatologia in Francia presso il Dr Eric Guaguère. Nel biennio 1998-1999 ha frequentato la 5a sessione del Certificat d’Etude Superieures en Dermatologie Vétérinaire. È full member dell’ESVD ed è attualmente Vicepresidente della SIDEV. È stato relatore a Congressi nazionali SCIVAC, AIVPA, docente per la Performat e dell’Itinerario di Dermatologia della SCIVAC. È autore di pubblicazioni su riviste nazionali ed internazionali, coautore dei libri “L’otite del cane e del gatto” (ed. Poletto 2001), “Manuale pratico di parassitologia cutanea del cane e del gatto” (ed. Pfizer 2003, 2007) e ha partecipato alla traduzione del libro “Guida pratica di Dermatologia Canina” (ed. Merial 2007). Dal 1998 lavora presso la Cinica Veterinaria Adriatica di Senigallia (Ancona). I suoi settori di interesse sono la parassitologia cutanea e l’otologia.

HILARY JACKSON BVM&S DVD Dipl ACVD MRCV Hilary graduated from Edinburgh University and spent several years in general practice before specialising in veterinary dermatology. She is specialty boarded in the United Kingdom and the United States of America. She has held academic positions at the University of Bristol and North Carolina State University and now works at Dermatology Referral Practice in Glasgow and is an honorary teacher at the University of Glasgow Veterinary School. Her research interests include food allergy and atopic dermatitis. She is a current member of the International Committee of Atopic Disease of Animals (formerly the International Task Force on Canine Atopic Disease). She has published widely and is co-editor of the 3rd edition of the BSAVA Manual of Small Animal Dermatology (in press).

CHIARA LOCATELLI Med Vet, Dr Ric, Milano Laureata con lode in Medicina Veterinaria presso la Facoltà di Milano nel febbraio del 2003. Da maggio dello stesso anno collabora con il servizio di cardiologia della clinica veterinaria Gran Sasso (Milano, Italia), in particolare per la cardiologia interventistica, sotto la supervisione del Dr Claudio Bussadori. Nel Marzo 2008 ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Scien24


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ze Cliniche Veterinarie presso l’Università degli Studi di Milano. Ha trascorso periodi di formazione all’estero, presso l’Hospital Clinico Veterinario di Murcia (Spagna), reparto cardio respiratorio, sotto la supervisione della Prof. MJ Fernandez Del Palacio. Attualmente ha un contratto di ricerca presso la Sezione di Clinica Medica Veterinaria dell’Università degli Studi di Milano. Ha pubblicato articoli su riviste nazionali ed internazionali ed è stata relatrice ed esercitatrice a corsi di cardiologia ed ecocardiografia del cane e del gatto.

LAURA MARCONATO Med Vet, Dipl ECVIM-CA (Oncology), Hunenberg (Zug) (CH) Laureata a Milano in Med Vet. Dopo la laurea si trasferisce a Philadelphia (USA) presso il Veterinary Oncology Service and Research Center, occupandosi di oncologia medica. Nel 2001-2003 è fellow visitor a UPenn (Dip. Patologia Vet). Nel 2003-2009 lavora a Napoli, dove si occupa di oncologia. Nel 2003-2004 è professore a contratto presso l’Università di Napoli Federico II. Nel 2007-2009 è docente al Master di Oncologia (Università di Pisa). Nel 2007-2009 è professore a contratto presso l’Università di Bologna. Nel 2008 consegue il diploma del College Europeo di Medicina Interna- Oncologia. Dal 2009 al 2011 collabora con Animal Oncology and Imaging Center, Hunenberg, CH, dove è co-responsabile dell’oncologia medica. Attualmente lavora al Centro di Oncologia di Sasso Marconi (BO). È stata relatrice a diversi seminari, congressi e corsi di oncologia. È autrice di vari testi (Poletto editore) e di numerosi articoli. Fonda la SIONCOV e dal 2011 ne è presidente.

MARCO MAGGI Med Vet, Voghera (PV) Laureato a Milano nel 1996, inizia la sua esperienza professionale nel 1997 come Responsabile Sanitario del Centro Cinofilo del Biancospino, sede nel 2011 del primo corso riconosciuto Enci per Allevatori cinofili, corso di cui il Dr. Maggi ne è relatore. Consigliere dell’Ordine dei Medici Veterinari della provincia di Pavia, gestisce il primo studio professionale nel 1997 di cui ne è unico socio. Cede tale struttura nel 2002 dopo aver fondato, in società con una Collega, il proprio ambulatorio che gestisce dal 1999. Dal 2002 al 2007 svolge attività di consulenza scientifica per il Breeder Club Nestlè Purina partecipando nel 2004 come Responsabile Veterinario per la Delegazione Italiana Purina al Campionato del Mondo di Esposizione (Rio de Janeiro, Brasile). Dal 2004 al 2006 è consulente per l’ANMVI (Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani) presso il CEI (Comitato Elettrotecnico Italiano, Milano) per la definizione della Normativa Nazionale vigente in materia di “ strutture veterinarie” e dal 2007 è responsabile per ANMVI SERVIZI per il programma di gestione delle Strutture Veterinarie “Servizio Chiavi in mano”. Consulente per il canale Veterinario Nestlè Purina dal 2007 sino al 2010. Collabora nel 2008 con Merial per la realizzazione di eventi sul MKTg e partecipa nel 2010 al Corso di Vet Manager organizzato da Virbac presso la sede Francese di Nizza. Dal 2011 consulente esterno per Virbac sul progetto Vet Manager Italiano.

CARLO MASSERDOTTI Med Vet, Dipl ECVCP, Brescia Si è laureato col massimo dei voti presso l’Università di Milano nel 1990. Dal 1993 si occupa di patologia clinica con particolare riferimento alla citopatologia diagnostica, curando l’aggiornamento permanente in Italia ed all’estero. È autore di pubblicazioni inerenti la citopatologia e l’ematologia ed è relatore a meeting nazionali ed internazionali. Dal 1998 è istruttore e relatore al corso di Citologia organizzato dalla SCIVAC. Dal 2001 al 2004 ha ricoperto la carica di presidente della SICIV (Società Italiana di Citologia Veterinaria). Nel 2005 ha conseguito il diploma presso l’European College of Veterinary Clinical Pathology. Dal 2003 al 2006 ha ricoperto la carica di vice-presidente dell’ESVCP (European Society of Veterinary Clinical Pathology). Nel 2008 ha conseguito il diploma di specializzazione in Biochimica Clinica, presso l’Università degli Studi di Brescia.

VERONICA MARCHETTI FRANCESCO MIGLIORINI

Med Vet, Dr Ric, Pisa

Med Vet, Roma

Laureata con lode presso la Facoltà di Medicina Veterinari di Pisa nel 1996, ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca nel 2000. Nel 2003 si specializza a Pisa in Patologia e Clinica degli Animali d’Affezione con indirizzo Gastroenterologia. Autrice e coautrice di circa 30 pubblicazioni e relatrice a congressi nazionali, dal 2002 lavora come Ricercatore presso il Dipartimento di Clinica Veterinaria dell’Università di Pisa dove si occupa di medicina interna con particolare interesse per la gastroenterologia, l’oncologia e la citopatologia diagnostica.

Dicembre 1995: Consegue la laurea in medicina veterinaria discutendo una tesi dal titolo: “Ultrasonografia vascolare dell’aorta addominale nel cane” relatore Chiar.mo Prof. Mario Fedrigo. Votazione 110/110 e lode. Giugno 1996Novembre 1996: borsista “Leonardo” presso l’”Animal Medical Centre Referral Services”, Manchester UK. Durante questo periodo si occupa di ultrasonografia diagnostica applicata alla medicina interna e di cardiologia. Dicembre 1996: Practice observer presso il “Royal Veterinary 27


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College”, London UK. Il tirocinio è svolto nel dipartimento di radiologia con il Dr. Chris Lamb e il Dr. Finton Mc Evoy.Febbraio 1998: partecipa al “The Animal Medical Center’s Graduate Veterinarian Clinical Practices Program” New York U.S. Segue con particolare interesse l’attività del Service di Cardiologia coordinato dal Dr P. Fox e dal Dr. B. Bond. Dal Gennaio 1997: svolge la libera professione a Roma con particolare riferimento alla diagnostica ecografica in medicina interna e alla clinica cardiologica. Dall’Agosto 1998: collabora in modo continuativo con il Centro Veterinario Gregorio VII in Roma occupandosi esclusivamente di diagnostica per immagini e cardiologia. Autore e coautore di cinque pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali, internazionali e su atti di congressi riguardanti principalmente la diagnostica per immagini (ecografia), la cardiologia e la medicina interna.

STEFANO NICOLI Med Vet, Modena Laureato presso l’università di Bologna nel 1994, fino al 2004 ha svolto attività libero-professionale presso la Casa di cura veterinaria S. Geminiano di Modena; dal 2004 ad oggi collabora alcune strutture tra cui la Clinica Veterinaria Pirani di Reggio Emilia occupandosi di chirurgia dei tessuti molli con particolare interesse per la chirurgia delle alte vie urinarie, la chirurgia dell’apparato endocrino, la chirurgia vascolare, la microchirurgia e la radiologia interventistica. È socio della Società Italiana di Microchirurgia. Dal 1 Ottobre 2008 è chirurgo a contratto presso l’ospedale didattico della facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Torino; sta seguendo il percorso per il conseguimento del titolo di Dottore di ricerca. Ha presentato numerose relazioni in congressi nazionali ed internazionali ed è coautore di alcune pubblicazioni su riviste indicizzate.

DAVID MORGAN BSc, MA, VetMB, CertVR, MRCVS, P&G Pet Care, Geneva (CH)

GAETANO OLIVA

La prima laurea, in Biochimica, conseguita da David Morgan presso l’Università di Cardiff, è stata seguita nel 1986 da quella rilasciata dalla Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Cambridge. Dopo brevi esperienze di lavoro con diversi ruoli, ha operato per sette anni nel settore degli animali da compagnia, indirizzando i propri interessi principalmente sulla chirurgia e sulla radiologia. Nel 1990 ha ottenuto il Certificato in Radiologia Veterinaria. Nel 1993 ha iniziato a lavorare in una società privata, fornendo consulenze tecniche nel Regno Unito, nei Paesi Scandinavi ed in Sud Africa. È frequentemente coinvolto in attività di informazione ed aggiornamento rivolta alla classe medico veterinaria, docenti universitari e studenti. Ha tenuto conferenze in tutta l’Europa ed in Sud Africa, in occasione di congressi sia nazionali che internazionali.

Med Vet, Napoli Si è laureato in Medicina Veterinaria presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, il 31/07/1984. Dal 1984 al 1987 ha trascorso un periodo di formazione presso l’Istituto di Clinica Medica Veterinaria della Facoltà di Napoli. È stato borsista per tre mesi (novembre 1990- febbraio 1991) presso il Department of Clinical Sciences of Companion Animals, dell’Università di Utrecht, Olanda. Dal 1987 al 1991 è stato Funzionario Tecnico Laureato presso l’Istituto di Clinica Medica Veterinaria della Facoltà di Med Vet, Napoli. Dal 1991 al 2001 è stato Professore Associato di Terapia Medica Veterinaria presso la stessa Facoltà. Dal 2001 è Professore Ordinario; attualmente ricopre la cattedra di Clinica Medica Veterinaria. Dal 2001 il Prof Oliva è il Presidente del Corso di Laurea Specialistica in Medicina Veterinaria della Facoltà di Napoli. I suoi interessi didattici e di ricerca sono nel campo della Medicina Interna degli animali da Compagnia, con particolare riguardo agli aspetti diagnostici, clinici e terapeutici delle malattie trasmesse da vettori. È autore di 110 lavori a stampa, su riviste nazionali ed internazionali.

DANIELA MURGIA Med Vet, Dipl. ECVS, MRCVS Zugliano (VI) Newmarket (UK) Si laurea con lode a Milano nel 1998. Intraprende un Internship seguito da un Residency in chirurgia presso la LMU di Monaco di Baviera (D). Integra il suo training con diversi stages esteri. Diplomata ECVS dal 2006, ricopre cariche di docenza presso la facoltà di medicina veterinaria di Monaco di Baviera. Rientra in Italia nel 2007 esercitando la libera professione. Dal 2008 è responsabile della chirurgia dei tessuti molli e collabora con la sezione di neurologia presso la Clinica Veterinaria “Diagnostica Piccoli Animali”, Zugliano (VI). Da novembre 2010 collabora part time con l’Animal Health Trust, Newmarket (UK) ricoprendo la posizione di chirurgo dei tessuti molli. È responsabile del 2° itinerario di chirurgia (2009-2011) per conto di SCIVAC e direttore del II e IV corso pratico di chirurgia.

VALENTINA PAPA Med Vet, Dr Ric, Roma Laureata presso la facoltà di medicina veterinaria dell’Università degli Studi di Teramo nel 2001 con la tesi “Manifestazioni neurologiche associate alle sindromi paraneoplastiche del cane”. Dopo un periodo di formazione presso la Klinik für kleine Haustiere, Tierärztliche Hochschule (Università di Hannover, Germania) e presso il Departement für klinische Veterinarmedizin, Abteilung fur Neurologie 28


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(Università di Berna, Svizzera) ha svolto un residency in neurologia veterinaria, un dottorato in medicina e terapia d’urgenza veterinaria e un post-dottorato di due anni presso l’Università degli Studi di Teramo.

ANTONIO POZZI Med Vet, MS, Dipl ACVS, Florida (Usa) Alla laurea in medicina veterinaria, conseguita a Milano nel 1997, segue una intership in medicina e chirurgia dei piccoli animali presso l’Università dell’Ohio dal 2001 al 2002 e un Residency in chirurgia dei piccoli animali che termina nel 2005. Si diploma all’American College of Veterinary Surgery nel 2006. Nel 2007, ha co-fondato il Comparative Orthopaedic Biomechanical Laboratory all’Università della Florida, coinvolgendo l’Università di Medicina, di Medicina Veterinaria e di Ingegneria. Dal 2006 è Assistant Professor in chirurgia ortopedica veterinaria e Adjunct Professor in chirurgia ortopedica (umana) all’Università della Florida. I suoi interessi clinici sono la chirurgia mini-invasiva ortopedica, la chirurgia del ginicchio e la chirurgia protesica. Ha ricevuto numerose awards per i suoi lavori sulla biomeccanica delle osteotomie tibiali, sui trattamenti meniscali e sulla fissazione delle fratture per via mini-invasiva.

ANNA PASQUINI Med Vet, Pisa La dott.ssa Anna Pasquini si è laureata in Medicina Veterinaria presso l’Università di Pisa. Si è specializzata in Patologia e Clinica degli Animali d’Affezione dell’Università di Pisa, con indirizzo “Ematologia”. Ha svolto un progetto di ricerca sull’influenza dell’alimentazione sul metabolismo lipidico nel cane finanziato con Assegno di Ricerca biennale dall’Università di Pisa. Vincitrice di un posto di Dottorato di Ricerca finanziato dall’Università di Pisa su un progetto riguardante la valutazione dello stress ossidativo nel cane. È autore e coautore di 28 pubblicazioni e comunicazioni scientifiche.

MARCO POGGI

LIVIANA PROLA

Med Vet, Imperia

Med Vet, Torino Laureata in Medicina Veterinaria nel 2001 presso la facoltà di Torino. Dal 2002 al 2005 ha esercitato la libera professione in strutture private. Nel 2003 ha svolto attività di ricerca presso la Ludwig Maximilians Universität – Muenchen (Germania) occupandosi di alimentazione del gatto. Nel 2005 ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Produzioni Animali lavorando in modo specifico sull’alimentazione. Dal 2005 è Ricercatrice presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Torino. Dal 2005 è docente, presso la stessa facoltà, dei corsi: “Allevamento ed Alimentazione degli Animali da compagnia non convenzionali” e “Zootecnia speciale” e dal 2010 del corso “Dietetica clinica del cane e del gatto”. Nel 2006 ha svolto attività di ricerca presso il Linus Pauling Institute della Oregon State University (USA) sul progetto “Nuovi marker dello stress ossidativo”.

Laureato in Medicina Veterinaria nel 1989 (110/110). Ha conseguito nel 1994 Specializzazione in Sanità Animale (70/70) con lode. È stato istruttore poi relatore ai Corsi di Cardiologia SCIVAC dall’1996 è attualmente vice presidente della Società italiana di Cardiologia. Docente al Master di Cardiologia presso la Facoltà di Torino. Autore e coautore di 30 pubblicazioni su riviste nazionali e internazionali e atti congressi, relatore a seminari sulla Leishmaniosi e l’ipertensione sistemica i suoi principali campi di interesse. Esercita la libera professione presso il Centro Veterinario Imperiese dove in qualità di Direttore Sanitario si occupa di Cardiologia e Medicina Interna.

MARZIA POSSENTI Med Vet Comport., Cassano D’Adda (MI) Nel 1996 si laurea in Medicina Veterinaria con una tesi sui marcatori di benessere e vince la borsa di studio S.I.S. Vet. Dal 1996 esercita la libera professione occupandosi di medicina del comportamento, di animali esotici e di patologie del comportamento in cane, gatto ed animali esotici. È socia SISCA e SIVAE dal 1996. Fornisce consulenze via internet sul comportamento del coniglio per diverse associazioni. Ha pubblicato articoli su riviste scientifiche e divulgative. È stata relatrice a seminari, corsi ed eventi formativi sisca, scivac e sivae. È formatore ai corsi per volontari dell’ENPA e di alcune ASL. È relatore al corso per istruttori cinofili della SIUA. È stata coordinatrice del gruppo di studio SISCA nord est, dal 2008 è segretario-tesoriere della SISCA e dal 2007 gestisce il sito della società.

TIM PUDDLE Direttore Responsabile della Consulenza in Clinica, UK Dopo essersi laureato a pieni voti in Scienze Economiche (Contabilità e Finanza), Tim ha lavorato come dirigente commerciale e marketing presso “l'università del marketing” - Procter e Gamble. Dopo 7 anni lascia la Procter e Gamble per allargare le sue esperienze e lavorare per due società di consulenza gestionale, per poi mettersi in proprio nel 1993. In qualità di Direttore della Smart In Corporates Ltd, Tim ha prestato la sua consulenza a clienti di primo piano quali Kraft Foods, Pepsi-Cola, Sony, Colgate, Nielsen e Hilton Hotels. Dal 1995 Tim ha lavorato con Hil29


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l's Pet Nutrition, azienda leader nel settore dell'alimentazione del cane e del gatto, per sviluppare le vendite dei suoi prodotti attraverso negozi e cliniche veterinarie. Questa esperienza ha portato Tim a creare la Consulenza In Clinica quale attività dedita specificamente alla consulenza per cliniche veterinarie. La Consulenza in Clinica (IPC) fornisce alle cliniche veterinarie suggerimenti, assistenza pratica e contatti per lo sviluppo del marketing ed incremento delle vendite. La società fornisce consulenza a singole cliniche e tiene seminari per numerosi gruppi di cliniche veterinarie in tutta Europa.

Sassari, e nello stesso anno partecipa ai corsi del 17th Annual Veterinary Dental Forum di San Diego. Nel 2005 è relatore ed istruttore al master di 2° livello in gastro-enterologia dell’Università di Teramo e relatore al 14° European Congress of veterinary dentistry di Ljubljana. Nel 2006 effettua una stage presso il J. Ryan Vet.Hospital of Pennsylvania. Attualmente è direttore sanitario di DENTALVET e vicepresidente della SIODOV.

ANTONELLA RAMPAZZO Med Vet, Dipl ECVO, Torino Laurea in Medicina Veterinaria presso la Facoltà di Torino, 2000. Internship all’Ospedale Veterinario dell’Università di Torino, 2000-02. PhD in Scienze Cliniche Veterinarie presso l’Università di Torino, 2004. Residency Program in Oftalmologia presso l’Università di Torino e l’Università di Zurigo, Svizzera, 2004-2006. Oftalmologa libera professionista e per l’Università di Torino, 2006. Clinical instructor presso il Servizio di Oftalmologia, Università di Zurigo, Svizzera, 2007. Responsabile del Servizio di Oftalmologia Veterinaria dell’Università di Berna, Svizzera, 2007-2009. Diplomata del College Europeo di Oftalmologia Veterinaria, 2009. Libera professionista dedicata all’oftalmologia, Torino, 2009-ad oggi.

ROBERTO RABOZZI Med Vet, Vasto (CH) Laureato con il massimo dei voti in Medicina Veterinaria nel 2002. Dopo numerosi periodi di formazione in Italia ed all’estero è attualmente direttore sanitario di una propria struttura. Dal 2008 svolge attività di ricerca con borsa presso la Cattedra di Cardiochirurgia della Facoltà di Medicina dell’Università di Chieti. Dal 2009 collaborazione saltuaria con la cattedra di medicina legale dell’Università di Foggia per la ricerca su modelli animali. Dal 2010 è uno degli Study Coordinator dello studio randomizzato internazionale RED-CABG (Reduction in Cardiovascular Events by AcaDesine in Subjects Undergoing CABG) promosso da Schering-Plough Research Institute. Autore o coautore di numerose pubblicazioni su importanti riviste sia umane (Heart, Atherosclerosis, European Journal of Cardio-Thoracic Surgery, Interact Cardiovasc Thorac Surg) che veterinarie (Veterinary Surgery, Veterinary Anaesthesia and Analgesia), è autore inoltre di comunicazioni congressuali sia in ambito umano (Società Italiana di Chirurgia Cardiaca-Roma 2008, Asian Society Cardiovascular and Thoracic Surgery-Taipei 2009) che veterinario (AVA-PARIS 2007, SCIVAC-Rimini 2007-2008, WSAVA 2010). Attuale campo di ricerca la flussimetria coronarica nell’uomo, l’applicazione clinica dei calcolatori del rischio cardiochirurgico nell’uomo, lo studio della funzione cardiovascolare in corso di anestesia nel cane e gatto, la farmacocinetica (PK) e farmacodinamica (PD) degli anestetici intravenosi nel cane e gatto.

GIORGIO ROMANELLI Med Vet, Dipl ECVS, Milano Laureato in Medicina Veterinaria nel 1981 presso l’Istituto di Clinica Chirurgica della Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Milano, relatore il Prof. Renato Cheli. Subito dopo la laurea partecipa ad un programma di chirurgia sperimentale sul trapianto di cuore e di pancreas. Libero professionista lavora in provincia di Milano occupandosi totalmente di casi di riferimento di oncologia e chirurgia dei tessuti molli. Charter Member e, dal luglio 1993, diplomato all’European College of Veterinary Surgeons. Presidente SCIVAC nel periodo 1993-1995. Presidente SCVI nel periodo 1998-2004. Segretario SIONCOV. Ha presentato relazioni ad oltre 85 congressi e meeting nazionali ed internazionali. Editor e coautore del testo “Oncologia del cane e del gatto” edito da Elsevier-Masson. Ha soggiornato per periodi di studio presso le università di Cambridge (UK), North Carolina (USA) e Purdue-Indiana (USA) I suoi hobbies sono la pesca a mosca e la coltivazione di alberi bonsai.

MIRKO RADICE Med Vet, Milano Diplomatosi come odontotecnico lavora in campo umano per poi dedicarsi alla veterinaria, laureandosi a Milano nel 1996. Consegue l’attestato del 1°corso di odontostomatologia scivac nel 2000. È autore e coautore di pubblicazioni su riviste nazionali ed estere. Dal 2002 svolge l’attività di istruttore e relatore nei corsi di odontoiatria scivac. Nel 2003 è relatore ed istruttore al corso teorico-pratico di odontostomatologia dell’università di

FEDERICA ROSSI Med Vet, SRV, Dipl ECVDI, Sasso Marconi (BO) Laureata nel 1993 a Bologna, con lode, ha ricevuto il “Premio Rotary Corsi di Laurea” per il miglior Curriculum di Laurea nell’Anno 92/93. Dopo diversi periodi di formazio-

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ne all’estero, ha conseguito nel 1997 il Dipl di Spec. in Radiologia e nel 2003 il Dipl del College Europeo in Diagnostica per Immagini (ECVDI). È autrice di oltre 40 pubblicazioni nazionali ed internazionali, revisore e coautore di testi scientifici. È Presidente della Soc. Italiana di Diagnostica per Immagini (SVIDI) e Past-President della Società Europea (EAVDI). Ha lavorato come Ober-assistent alle Univ. di Berna, Philadelphia e Murdoch. Dal 2008-2009 è Prof. a contratto e consulente per la TC per la Facoltà di Med. Vet. dell’Univ. di Torino. Dal 1994 lavora a Sasso Marconi (BO), svolgendo attività di referenza in Radiologia, Ecografia e TC. Dal 2010 è Presidente SCIVAC.

DIEGO SAROTTI Med Vet, Cuneo Nato a Fossano il 24/01/1975, si laurea a pieni voti in Medicina Veterinaria a Torino il 24/09/1999 con una tesi sull’Indice di replicazione cellulare del linfoma canino e prognosi ad essa correlata. Effettua sei mesi di tirocinio a Roma presso la Clinica Gregorio VII con particolare interesse verso l’anestesia e la medicina d’urgenza. Da 10 anni si occupa principalmente di anestesia in alcune strutture per piccoli animali della provincia di Cuneo ed in modo continuativo presso il Centro Veterinario Fossanese e il Centro Veterinario Saluzzese. È cofondatore del Centro Veterinario Fossanese. È stato relatore della Società Italiana di Anestesia loco regionale veterinaria dal 2005-2008 e Direttore dei Corsi di anestesia Epidurale effettuati nel 2008 sempre per la stessa società. Relatore del corso di anestesia locoregionale SCIVAC 2010 del 14-15 Marzo. È autore di numerose comunicazioni congressuali in merito allo sviluppo delle tecniche di anestesia loco regionale alcune delle quali in corso di pubblicazione.

FABIO SANGION Med Vet, Padova Laureatosi presso La Facoltà di Veterinaria dell’Università degli Studi di Bologna nel 1985, si è dedicato da allora alla cura degli animali d’affezione, con particolare attenzione a chirurgia e ortopedia del cane e gatto, presso la Clinica Veterinaria Strada Ovest di Treviso. Dal 1987 al 1992 ha svolto vari periodi di aggiornamento presso il Centro Veterinario Gregorio VII di Roma. Nel 1992 è stato ospite dell’Istituto di Clinica Chirurgica della Colorado State University. Coordinatore del Gruppo di Studio di Chirurgia dei Tessuti Molli dal 94 al 98, è stato relatore presso vari corsi e convegni nazionali. Dal 2004 al 2009 ha collaborato con la Facoltà di Medicina Veterinaria di Padova con lezioni durante i corsi di Patologia Chirurgica e Clinica Chirurgica. Da Gennaio 2010 fa parte dello staff chirurgico presso la Clinica Veterinaria San Marco di Padova.

NICO J. SCHOEMAKER DVM, Phd, Dipl ABVP-AVIAN, Dipl ECZMAVIAN, Dipl ECZM-Small Mammal, Utrecht (NL) Nico Schoemaker graduated from the Faculty of Veterinary Medicine in Utrecht 1994. This was directly followed by an internship in Companion Animal Medicine at the Department of Clinical Sciences of Companion Animals and a Residency in Avian Medicine and Surgery at the same University. His residency led to certification as an avian specialist in the Netherlands, Europe (Diplomate of the European College of Avian Medicine and Surgery [ECAMS]) and the USA (Diplomate of the American Board of Veterinary Practitioners [ABVP] – certifi ed in Avian Practice). In 2003 he defended his PhD entitled; Hyperadrenocorticism in ferrets. He has never left the university and is still working at the Division of Zoological Medicine. Since April 2009 the ECAMS was incorporated into a broader specialist college named European College of Zoological Medicine (ECZM). Within this college he is a founder diplomate of the small mammal specialty. As it is only possible to hold one specialist title in Europe he has chosen to become a specialist in small mammal medicine.

ROBERTO SANTILLI Med Vet, Phd, Dipl ECVIM-Ca (Cardiology), Samarate (VA) Laureato presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Milano nel 1990. Si è diplomato al E.C.V.I.M.-C.A. (Cardiology) nel 1999. Nel 2010 consegue il dottorato di ricerca presso la facoltà di medicina veterinaria di Torino. Lavora presso la Clinica Veterinaria Malpensa in Samarate (Varese) come referente per la cardiologia. È stato professore a contratto in cardiologia per l’anno 1997-1998 l’Università degli Studi di Milano e per l’anno 2003-2004 e 2005-2007 presso l’Università degli Studi di Torino. Negli anni 2004-2006 ha seguito il Master in elettrofisiologia ed elettrostimolazione presso la facoltà di medicina dell’Università dell’Insubria. È autore di numerose pubblicazioni di cardiologia su riviste nazionali ed internazionali. Il suo principale settore di ricerca sono la diagnosi e la terapia delle aritmie nel cane.

MARCO VIOTTI Med Vet, Torino Laureato a Torino nel 1994 con una tesi sperimentale sull’embriogenesi cardiaca,si occupa esclusivamente di piccoli animali. Ha frequentato numerosi corsi di aggiornamento scivac, nonché congressi e seminari. Attualmente vicecoordinatore del Gruppo di Studio di Practice Management, membro del consiglio direttivo di Amnvi Piemonte, si occupa esclusivamente di medicina interna e practice management.

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ANNEMARIE VOORBIJ DVM, Utrecht (NL)

LUCA ZILBERSTEIN Med Vet, PhD, Dipl ECVAA, Maison Alfort, (F) Laureato a Napoli con lode nel 1998. Ha conseguito il PhD in Anestesia dei piccoli animali in collaborazione tra l’Università di Napoli (2001) e quella di Maisons-Alfort (2002 Francia). Diplomato del collegio europeo in anestesia ed analgesia (ECVAA), dal 2002 è Professore associato in anestesiologia e rianimazione all’Università di medicina Veterinaria di Parigi (Maisons-Alfort) e ne dirige il dipartimento di anestesiologia piccoli animali dal 2008. È stato relatore a numerosi congressi internazionali ed è autore di numerose pubblicazioni. Attivo membro di diverse associazioni di anestesia e rianimazione europee, il suo campo di ricerca è focalizzato sulla rianimazione e ventilazione nei piccoli animali.

After she graduated from Utrecht University in March 2009, Annemarie undertook a one year Internship in Small Animal Medicine, after which she started her Residency in Small Animal Internal Medicine in 2010. Annemarie is a PhD-candidate and is (co)-author of several articles and abstracts and she presented her work at different international congresses. Her work on pituitary dwarfism was rewarded with the first prize for the best poster of the Tissue Repair program presented at the Veterinary Science Day and with the Intervet International Award, for the best endocrine abstract presented at the European College of Veterinary Internal Medicine Congress.

ERIC ZINI Med Vet, PD, PhD, Dipl ECVIM-CA (Internal Medicine), Novara

GIORDANA ZANNA Med Vet, Dipl ECVD, PhD, Bari Laureata all’Università di Bari nell’anno 2000, ha lavorato come libero professionista presso cliniche veterinarie e seguito programmi di externship in dermatologia veterinaria presso le Università di Liverpool e Bristol (UK). Nel 2005 ha iniziato un Residency di specializzazione in dermatologia veterinaria presso l’Universitat Autònoma de Barcelona con il conseguimento del Diploma del College Europeo di Dermatologia Veterinaria (ECVD) nel 2010. Presso la medesima istituzione universitaria ha completato nel novembre del 2010 anche un programma di PhD sulla patogenesi della mucinosi-ialuronosi cutanea nei cani di razza shar-pei. Autrice di articoli pubblicati su riviste internazionali, ha come area di interesse lo studio dell’acido ialuronico e delle patologie cutanee e sistemiche ad esso correlate.

Il Dr. Eric Zini si è laureato presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Torino con lode e dignità di stampa nel 1999. Nel 2005 si è diplomato al College Europeo di Medicina Interna (Dipl. ECVIM-CA, Internal Medicine) presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Zurigo (Svizzera) e nel 2006 ha conseguito il titolo di dottore di ricerca (PhD) presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Torino. Dal 2005 è leader del gruppo di ricerca di Diabetologia ed Endocrinologia della Facoltà di Medicina Veterinaria di Zurigo. Nel 2010 è “Privat Dozent” (PD) presso la medesima Facoltà. Attualmente lavora ed è direttore scientifico presso l’Istituto Veterinario di Novara. È autore e coautore di oltre 60 articoli scientifici su riviste internazionali. Le maggiori ricerche scientifiche sono svolte nell’ambito della diabetologia ed endocrinologia, oncologia e nefrologia dei piccoli animali.

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ATTI CONGRESSUALI Gli estratti sono elencati in ordine alfabetico secondo il cognome del relatore e quindi in ordine cronologico di presentazione.

CONGRESS PROCEEDINGS The abstracts are listed in alphabetical order by surname and then in chronological order of presentation.


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Neurologia clinica e neuroanatomia funzionale: cosa c’e’ di nuovo Massimo Baroni Med Vet, Dipl ECVN, Monsummano Terme (PT)

L’avvento della diagnostica per immagini avanzata ha provocato una vera e propria rivoluzione nell’approccio al paziente neurologico consentendo diagnosi e conseguenti approcci terapeutici fino a pochi anni fa impensabili, soprattutto in ambito veterinario. La letteratura è tuttavia pressoché unanime del dimostrare che solo una stretta correlazione tra dati clinici e risultati derivati dagli esami collaterali può consentire diagnosi accurate limitando gli errori interpretativi. In particolare in Neurologia la localizzazione neuroanatomica della lesione continua ad essere centrale nella valutazione del paziente e l’affinamento interpretativo della neuroanatomia funzionale continua ad essere di fondamentale importanza. Scopo della presentazione è quello di fornire un aggiornamento di neuroanatomia funzionale derivante sia dall’esame della recente letteratura sia dall’esperienza clinica maturata dall’autore. I concetti di base ormai patrimonio culturale consolidato per chi si occupa di neurologia veterinaria vengono dati per acquisiti e non verranno trattati e l’autore si soffermerà su alcuni punti che contengono elementi di novità e di importanza ai fini clinici

Una domanda che spesso i clinici si pongono è relativa al lato di lesione rispetto ai segni clinici. In altri termini: Quale punto neuroanatomico delimita la tendenza di una lesione lateralizzata a manifestarsi ipsilateralmente o controlateralmente? Tale punto può essere identificato al passaggio tra mesencefalo e ponte. Lesioni caudali al mesencefalo provocano deficit dell’andatura, emiparesi ipsilaterale e deficit delle reazioni posturali sullo stesso lato. È stato detto che lesioni al cervello anteriore non provocano paresi. Ciò è vero nella maggioranza dei casi. È però da rimarcare che lesioni emisferiche estese ad insorgenza iperacuta (soprattutto di origine vascolare o traumatica) possono causare una emiparesi controlaterale che si risolve nei 2-3 giorni successivi all’evento patogeno. Tale evenienza è molto rara ed è stata documentata dall’autore di queste note in un solo caso nell’ambito di una attività clinica ventennale.

TIPI DI ATASSIA L’atassia è un deficit di andatura di tipo sensoriale. Distinguiamo tre tipi di atassia: vestibolare, cerebellare e propriocettiva generale. L’atassia propriocettiva generale deriva da una lesione alle vie ascendenti della propriocezione cosciente: fascicolo gracile e cuneato, nucleo gracile e cuneato, fibre arcuate profonde, lemnisco mediale). Quest’ultimo tipo di atassia viene classicamente definito come atassia sensoriale, spinale, motoria. Questi termini sono tuttavia inadeguati e l’unico termine che dovrebbe essere usato è quello di atassia propriocettiva. L’atassia è il risultato della perdita del senso della posizione del corpo nello spazio. L’atassia di tipo cerebellare è caratterizzata da dismetria, la manifestazione più evidente della quale è l’ipermetria, ossia movimenti degli arti più ampi del dovuto. L’ipermetria si può riscontrare sia in corso di lesioni cerebellari sia in corso di lesioni spinali che provochino lesione ai fasci spinocerebellari ascendenti. L’ipermetria di origine spinale è particolarmente frequente in caso di lesioni cervicali alte (C1C5). Spesso è clinicamente possibile distinguere l’origine cerebellare da quella spinale. Infatti nelle lesioni spinali l’ipermetria si somma alla rigidità da lesione UMN, per cui ne deriva un movimento ampio con arto rigido. Nelle lesioni cerebellari l’andatura è scoordinata con movimenti ampi non associati ad ipertono muscolare. Inoltre per localizzare a

SISTEMA MOTORIO E GENESI DELL’ANDATURA È comune evidenza clinica che il sistema corticospinale e comunque le strutture prosencefaliche siano poco importanti ai fini di una corretta andatura. A differenza dei primati, negli animali di nostra osservazione l’integrità del tronco encefalico garantisce una andatura normale, ovvero in assenza di segni paresi od atassia. I fasci motori discendenti importanti per l’andatura appartengono al sistema extrapiramidale ed hanno origine dalla sostanza reticolare del ponte (tratto pontino reticolospinale) e del midollo allungato (tratto midollare reticolo spinale). In passato si sono creati equivoci sulla funzione del nucleo rosso mesencefalico e sul connesso fascio discendente rubrospinale. Alcuni autori hanno considerato il fascio rubrospinale come la più importante via motoria negli animali. In realtà è stato visto sperimentalmente che l’ablazione del nucleo rosso non interferisce con l’andatura. Si può quindi affermare che, almeno da un punto di vista clinico, solo lesioni acute o croniche riguardanti il mesencefalo caudale, il ponte e il bulbo causano alterazioni motorie di tipo paretico.

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livello cerebellare devono essere presenti importanti segni clinici concomitanti di cui il tremore intenzionale è il caposaldo.

la fase rapida. Il nistagmo può essere orizzontale, rotatorio, verticale, posizionale, con cambio di direzione al variare della posizione della testa. In prima istanza occorre una precisazione sul nistagmo posizionale, spesso non correttamente interpretato: si definisce posizionale il nistagmo spontaneo che insorge quando si cambia la posizione del soggetto (es. si posiziona il paziente in decubito dorsale). Il nistagmo posizionale deve essere distinto dal nistagmo che varia di direzione al variare della posizione della testa. Quest’ultima forma di nistagmo è associata alle sindromi vestibolari centrali. Classicamente anche il nistagmo verticale era associato alle sindromi centrali. Attualmente tale concetto è stato parzialmente rivisto. È molto difficile riscontrare clinicamente un nistagmo verticale puro. Spesso, ad una attenta e prolungata osservazione viene riscontrata una componente rotatoria anche in quei pazienti che sembrano mostrare ad un primo esame un nistagmo verticale. Di conseguenza il nistagmo verticale non è più considerato tra i parametri da prendere in considerazione per tipizzare la natura centrale del problema. Il nistagmo patologico si caratterizza solitamente per la direzione opposta al lato sede di lesione. È stato recentemente riportato, anche se non è esperienza dell’autore, che in alcune sindromi vestibolari centrali la direzione del nistagmo è verso il lato di lesione. In sintesi gli elementi clinici che possono orientare verso una sindrome centrale piuttosto che periferica sono costituiti da: deficit propriocettivo, nistagmo che varia al variare della posizione della testa, nistagmo con direzione verso il lato di lesione. Ovviamente la concomitanza di altri segni clinici come presenza di tetra paresi può ulteriormente orientare il clinico verso la corretta localizzazione.

SEGNI VESTIBOLARI IN CORSO DI LESIONI DIENCEFALICHE O AI NUCLEI DELLA BASE Il diencefalo e nuclei della base fanno parte a tutti gli effetti del cervello anteriore. I segni clinici riscontrati in caso di lesioni a queste strutture sono quelli tipici e ben conosciuti. In caso di coinvolgimento dell’ipotalamo, segni clinici di tipo neuroendocrino possono essere più caratterizzanti da un punto di vista neuroanatomico. Occasionalmente e sempre in associazione a lesioni iperacute di tipo infartuate (infarti lacunari), sono stati riscontrati segni clinici di tipo vestibolare (testa ruotata, in alcuni casi nistagmo). Tali segni sono stati descritti sia per lesioni al nucleo caudato, sia per lesioni talamiche o subtalamiche. I segni clinici sono solitamente controlaterali alla lesione. Tale sindrome clinica è stata inizialmente riportata come “cervical distonia” dagli autori che l’hanno descritta. Anche il sistema vestibolare deve avere una via ascendente per la percezione cosciente dell’equilibrio. Tale via è poco definita negli animali, anche se si ipotizza che potrebbe essere strettamente associata alla via cosciente del sistema uditivo. La via partirebbe dai nuclei vestibolari per decorrere in direzione rostrale attraverso il mesencefalo e terminare nel nucleo genicolato mediale controlaterale del talamo. Dal talamo fibre ascendenti attraverso la caspula interna giungerebbero a livello della corteccia temporale. Un compartecipazione delle vie striatopallido talamocorticali è altresì ipotizzata.

MIOSI SINDROMI VESTIBOLARI CENTRALI E PERIFERICHE

La miosi bilaterale è spesso legata a patologia prosencefalica acuta (spesso traumi cranici od estese vasculopatie). Da un punto di vista neuro anatomico tale segno può essere spiegato con la perdita dell’azione inibitoria del motoneurone superiore (MNS) sui nuclei dell’oculomotore con iperattività dell’azione parasimpatica di quest’ultimo. Miosi, di solito monolaterale, è presente anche per lesioni delle vie neuro anatomiche simpatiche che innervano la pupilla e si inquadra nella sindrome di Horner. Tale via simpatica comprende una parte centrale (ipotalamo,via tetto tegmentale, sostanza grigia da T1 a T4) e una parte periferica (radici ventrali T1-T4, simpatico cervicale acsendante, ganglio cervicale craniale, innervazione della pupilla). Nella sindrome di Horner solitamente la lesione è periferica a livello del neurone di secondo o terzo ordine. Tuttavia, seppur raramente, lesioni della via tettotegmentale possono causare sindrome di Horner (soprattutto miosi). Sono state segnalate miosi bilaterali in associazione a lesioni estese midollari C1-C5 causate da incidenti automobilistici e legate a danno delle vie tettotegmentali. In tali situazioni si impone una attenzione particolare per distinguere la sede di lesione in rapporto alla miosi stessa (lesione prosencefalica acuta o lesione delle vie tettotegmentali).

I segni clinici caratterizzanti la sindrome vestibolare sono estremamente facili da riconoscere. Più difficile, anche per clinici esperti, è distinguere tra sindrome vestibolare periferica e centrale. La valutazione della propriocezione conscia è classicamente l’elemento più discriminante: deficit della propriocezione conscia in lesioni centrali, assenza di deficit in lesioni periferiche. Spesso, in testi anche di recente pubblicazione, si parla non tanto di deficit della propriocezione conscia quanto di deficit delle reazioni posturali. Secondo l’autore delle presenti note ciò può indurre in errori clinici. Nell’esecuzione di reazioni posturali più complesse della propriocezione conscia, gioca infatti l’integrità di vie neuro anatomiche (es. fascio vestibolo spinale), compromesse funzionalmente sia nelle sindromi centraline periferiche. In particolare l’ipotono ipsilaterale tipico di ogni sindrome vestibolare può causare difficoltà interpretative sia nella valutazione del saltellamento che della spinta posturale estensoria. In corso di sindrome vestibolare può essere presente nistagmo. La direzione del nistagmo è, per convenzione, quella del-

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Solitamente la miosi da lesione simpatica non abolisce la risposta agli stimoli luminosi, a differenza di quanto avviene nelle lesioni prosencefaliche.

che la perdita improvvisa di sinapsi da parte del motoneurone superiore sui motoneuroni alfa dell’intumescenza lombosacrale possa causare un danno funzionale al corpo neuronale stesso tale da impedirne la funzione per un certo tempo. Un’altra ipotesi è costituita dalla constatata abnorme presenza di glicina, neurotrasmettitore inibitorio, nell’intumescenza lombosacrale dei pazienti affetti. Lo shock spinale potenzialmente può essere riscontrato in tutte le sindromi iperacute, indipendentemente dalla causa. Tuttavia è evidenza clinica che sia più frequente nei disturbi di origine vascolare. Il neurologo clinico dovrebbe tenere in seria considerazione questa possibilità onde non incorrere in errori di localizzazione.

SINDROME DEL SENO CAVERNOSO? Segni clinici riportabili a lesione concomitante dei nervi cranici III, IV, VI e dei nervi oftalmico e mascellare (V) possono essere riscontrati in caso di patologie localizzate a livello della fossa media, lateralmente alla ghiandola pituitaria. Tale situazione clinica viene spesso definita “sindrome del seno cavernoso” nella maggioranza dei testi di neurologia. Tale termine è comunque scorretto poiché i nervi coinvolti decorrono adiacenti al seno cavernoso ma tale struttura non è necessariamente coinvolta nella patogenesi di tale patologia. Da un punto di vista neuro anatomico la sede di lesione andrebbe indicata come “fossa media”.

ANDATURA SPINALE? Soprattutto nelle mielopatie toracolombari da estrusione discale acuta con paziente plegico ed assenza della nocicezione profonda, può capitare che ci sia una certa ripresa funzionale con ritorno ad una deambulazione efficace in persistenza dell’assenza della sensibilità profonda. In questi casi classicamente si parla di “andatura spinale”. Si sa che a livello di intumescenza esiste una rete di interneuroni correlati all’interno della sostanza grigia (central pattern generator) in grado di modulare l’attività dei motoneuroni al fine dello sviluppo di un’andatura efficace sebbene non coordinata dai centri superiori. È stato tuttavia visto che in questi pazienti la sezione sperimentale del midollo nel punto della lesione iniziale provoca una nuova ed irreversibile paraplegia. In realtà in buona parte dei pazienti classificati come “spinali” persistono delle fibre periferiche midollari che passano a ponte sul sito di lesione e che garantiscono quel minimo di funzione sufficiente per un ripristino dell’andatura. È quindi improprio parlare di andatura spinale. Tipicamente questi soggetti hanno assenza della sensibilità dolorifica profonda e mantengono incontinenza urinaria.

A COSA SERVONO I COLLICOLI ROSTRALI? I collicoli rostrali, facenti parte del tetto mesencefalico assieme ai collicoli caudali, fanno parte del sistema visivo ed hanno organizzazione laminare. Attraverso il braccio dei collicoli si connettono con il nucleo genicolato laterale. Ricevono assoni dalla corteccia cerebrale soprattutto visiva e dal midollo spinale. Dai collicoli fibre efferenti raggiungono i nuclei dei nervi cranici III, IV e VI (fasci tettonucleari), il midollo spinale (fasci tettospinali), il cervelletto (fasci tetto cerebellari). L’attività efferente dei collicoli è importante per l’attivazione dei muscoli deputati all’orientamento della testa e del collo in rapporto agli stimoli visivi. È comunque clinicamente poco identificabile una sindrome caratterizzata lesioni esclusive a livello dei collicoli.

IPOREFLESSIA NELLE LESIONI MIDOLLARI TORACOLOMBARI I pazienti con lesioni midollari toracolombari (T3-L3) presentano solitamente un grado variabile di disfunzione motoria degli arti posteriori in associazione a riflessi spinali posteriori intatti od aumentati. Nelle sindromi iperacute gravi, soprattutto di origine vascolare (emboli fibrocartilaginei), nelle prime ore dall’insorgenza della paraplegia, si può riscontrare uno stato di ipotono e di iporeflessia posteriore, in presenza di lesioni focali a localizzazione T3-L3. Tale stato di iporeflessia perdura per alcune ore, mentre la diminuzione del tono muscolare persiste per 10-14 giorni. Tale fenomeno paradosso è stato attribuito al cosiddetto “shock spinale”, fenomeno clinicamente molto più evidente nei primati. Lo shock spinale non è ben spiegato da un punto di vista neuroanatomico, al di là di alcune ipotesi. Si ipotizza

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Leggenda e realtà sull’encefalitozoonosi del coniglio Marco Bedin Med Vet, PhD, Padova

infiltrazione perivascolare o quelle di encefalite granulomatosa (meningoencefalite) non suppurativa focale o multifocale prevalentemente a carico della corteccia cerebrale. Le lesioni renali sono rappresentate da nefrite granulomatosa focale con cellule mononucleari. Sono stati documentati anche casi di grave nefrite interstiziale cronica, con formazione di tessuto cicatriziale conseguente a fibrosi, e granulomi multifocali. Il contagio intrauterino determina tipicamente uveite facoclastica, che si manifesta con maggiore incidenza nei giovani. L’uveite, alla quale può conseguire cataratta, è caratterizzata dall’infiltrazione del cristallino di granulociti, macrofagi e cellule giganti, e conseguente rottura della capsula. La lesione è di solito monolaterale, senza apparente perdita della visione. In corso di encefalitozoonosi sono descritti anche processi infiammatori a livello di altri tessuti e organi (polmoni, fegato, cuore), in particolar modo durante la fase cronica. La flogosi sembrerebbe causata da una risposta infiammatoria generalizzata, piuttosto che dall’invasione delle cellule dell’ospite da parte del parassita. L’immunosoppressione accentua la comparsa di lesioni negli animali infestati in modo sperimentale.

ENCEFALITOZOON E IL SUO CICLO BIOLOGICO L’agente eziologico dell’encefalitozoonosi è Encefalitozoon cuniculi, un parassita intracellulare obbligato appartenente al Phylum dei microsporidi. È un microrganismo eucariota che per le sue caratteristiche specifiche e secondo studi molecolari recenti sembra essere più simile ai procarioti, quindi più ai funghi che ai protozoi. Le spore sono eliminate nell’ambiente attraverso le urine (e probabilmente le feci) di animali infetti, le quali una volta ingerite da un nuovo ospite arrivano all’intestino dove, attraverso un filamento polare, trasferiscono il loro protoplasma negli enterociti dando inizio all’infestazione. Nelle cellule infestate si vengono quindi a formare delle nuove spore (sporogonia) che, crescendo, determinano la rottura della cellula ospite con la loro liberazione nell’organismo. A questo punto le possibilità di diffusione sono essenzialmente due: le spore possono diffondere nello stesso organismo attraverso il sistema circolatorio, raggiungendo altri organi come l’encefalo o il rene (ma anche polmone, fegato e cuore), oppure possono rappresentare fonte di contagio per altri animali nel momento in cui sono eliminate attraverso le urine. L’eliminazione delle spore avviene in modo intermittente. L’infestazione è possibile anche per via verticale dalla madre infetta al feto per via transplacentare.

SINTOMI E SEGNI CLINICI L’infestazione da E. cuniculi ha decorso cronico, e la sintomatologia clinica può apparire a distanza di diverse settimane o mesi. I sintomi caratteristici sono di tipo neurologico o renale, ma possono anche essere presenti segni riferibili a uveite facoclastica. Sintomi e segni possono comparire singolarmente oppure in concomitanza fra loro, in tempi analoghi oppure diversi. I sintomi predominanti che inducono il proprietario a portare a visita il proprio coniglio sono di natura neurologica. L’insorgenza dei sintomi è spesso acuta ed è conseguente ad un evento stressante, di qualsiasi natura. I sintomi neurologici riferibili ad encefalitozoonosi sono di tipo vestibolare, quali inclinazione della testa, atassia, movimenti in circolo, nistagmo, e movimenti di rotolamento. Anche in conigli con gravi deficit neurologici (quali inclinazione laterale della testa, nistagmo, strabismo, ipermetria, atassia, movimenti in circolo e di rotolamento, incapacità di mantenere la stazione quadrupedale) lo stato generale è buono e il paziente continua ad alimentarsi. Sono fre-

SPETTRO D’OSPITE L’ospite naturale di Encefalitozoon cuniculi è il coniglio. Negli ultimi anni, questo parassita è stato frequentemente isolato in altre specie di mammiferi (cane, gatto, cavallo, bovino e in circostanze particolari anche nell’uomo, rappresentando una potenziale zoonosi) e in alcune specie di uccelli (rapaci e psittaciformi).

FISIOPATOLOGIA Dopo circa tre mesi dall’infestazione, le alterazioni più significative avvengono a livello del sistema nervoso centrale (SNC) e al rene. Le lesioni caratteristiche a livello del SNC possono essere di entità variabile, da quadri di lieve

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quenti anche tremori della testa e barcollamento, mentre più raramente si osservano convulsioni e paresi. La maggior parte dei pazienti affetti da nefrite cronica interstiziale possono essere subclinici. Tali nefropatie non sono quindi facili da diagnosticare. La diagnosi di grave insufficienza renale è tutt’altro che frequente e i conigli che ne sono affetti mostrano sintomi clinici aspecifici come disoressia, perdita di peso, letargia e disidratazione.

terapia sintomatica per il controllo delle crisi convulsive (quando presenti), dei tremori o del rotolamento, somministrando benzodiazepine (Diazepam 1-5 mg/Kg IM o IV, Midazolam 1-2 mg/Kg IM o IV). Basandosi sulla considerazione per cui i sintomi clinici neurologici derivano da una risposta infiammatoria dei tessuti in seguito alla rottura delle cellule del SNC, alcuni colleghi utilizzano i corticosteroidi a dosaggi non immunosoppressivi per periodi limitati allo scopo di ridurre la reazione infiammatoria, così come viene eseguito in altre specie di animali per trattare la meningoencefalite granulomatosa. Il trattamento mediante corticosteroidi è controverso a causa degli effetti immunosoppressivi. Horvath et al (1998) hanno dimostrato come, basse dosi di ciclofosfamide ripetute nel tempo, siano in grado di modificare la risposta immunitaria dei soggetti trattati nei confronti di E. cuniculi. A causa della stretta correlazione tra azione del parassita e sistema immunitario dell’ospite, e per la mancanza di studi specifici, è bene essere cauti nella somministrazione di questi farmaci a pazienti sieropositivi ma asintomatici. La terapia causale prevede la somministrazione di farmaci quali l’albendazolo e il fenbendazolo. Nonostante l’albendazolo sia ben tollerato ed efficace nel controllo dell’infestazione, è embriotossico e teratogeno. Il fenbendazolo invece, al dosaggio di 20 mg/Kg die PO per 28 giorni, non solo è privo di effetti collaterali ma è in grado sia di controllare che di prevenire l’infestazione in conigli sieronegativi. Suter et al nel 2001 hanno dimostrato, infatti, che conigli infestati naturalmente durante terapia con fenbendazolo, al dosaggio sopra indicato, non solo sono risultati sieronegativi ma non è stato possibile isolare il parassita dal tessuto cerebrale. Hanno altresì dimostrato come dopo la terapia con fenbendazolo, in conigli sieropositivi infettati naturalmente non è stato possibile isolare il parassita dal tessuto cerebrale. La terapia di supporto consiste nel sostenere le funzioni organiche e nel migliorare le condizioni di vita dell’animale. Alcuni pazienti possono avere difficoltà alla prensione del cibo e per ciò vanno aiutati; altri possono presentare anoressia e devono essere alimentati di conseguenza; altri possono mostrare disidratazione o sintomi di lieve insufficienza renale e richiedono un trattamento specifico.

ITER DIAGNOSTICO L’iter diagnostico prevede la raccolta dell’anamnesi e l’esecuzione della visita clinica completa. Le indagini collaterali sono rappresentate dalla diagnostica di laboratorio e per immagini. L’esecuzione di radiografie del cranio, in particolar modo la proiezione ventro-dorsale, permette di valutare la presenza di otite media e/o interna con empiema delle bolle timpaniche, spesso determinato da Pasteurella multocida, che può essere responsabile della sintomatologia vestibolare. L’analisi ematologica del siero è il metodo diagnostico più importante ai fini della diagnosi intra vitam d’infestazione da E. cuniculi. Sono stati sviluppati diversi test sierologici come l’IFA e il test ELISA. Secondo Booth et al (2000) e Jordan et al (2006), le due metodiche mostrano una buona correlazione tra i risultati. Nei conigli da laboratorio, gli anticorpi sono identificabili nel siero tre settimane dopo l’infestazione. La sieroconversione può essere dimostrata almeno due settimane prima della localizzazione intracellulare dell’organismo, e almeno quattro settimane prima della comparsa delle lesioni istologiche a livello renale o dell’identificazione dell’organismo nelle urine. Le lesioni cerebrali si riscontrano solo circa otto settimane dopo l’inizio della risposta anticorpale. Di conseguenza, il titolo anticorpale rimane elevato anche dopo diversi mesi dall’esposizione ad E. cuniculi poi diminuisce leggermente e può persistere per anni con livelli fluttuanti. Uno studio recente ha documentato che l’analisi del liquido cefalo rachidiano (LCR) può essere d’aiuto nella diagnosi clinica di encefalitozoonosi, nonostante la complessità della sua esecuzione. Tuttavia, la pleocitosi linfomonocitaria e l’aumento delle proteine totali del LCR sono riscontri caratteristici anche di altre encefaliti, virali, protozoarie o immunomediate. L’immunità passiva è trasmessa dalla madre infetta al piccolo, e gli anticorpi materni possono essere individuati fino all’età di quattro settimane. Dopo un periodo di sieronegatività, la sieroconversione come risposta a un’infestazione attiva si sviluppa nei giovani tra le otto e le dieci settimane di vita. Nelle urine, è possibile identificare la presenza delle spore mediante PCR (Polymerase Chain Reaction) dopo 3-5 settimane dalla sieroconversione. Tale metodica è possibile anche post mortem a carico di altri tessuti.

E. CUNICULI COME POTENZIALE ZOONOSI Encefalitozoon cuniculi è stato segnalato per la prima volta da Wright e Craighead nel 1922 in alcuni conigli da laboratorio, che presentavano atassia non locomotoria. Successivamente, sono stati condotti molti studi al fine di indagare il potenziale zoonotico nei confronti dell’uomo, nel quale E. cuniculi è in grado di determinare infezioni opportunistiche in particolar modo in soggetti affetti da HIV, e potenzialmente in soggetti non immunocompetenti. Nel genere Encefalitozoon sono state riconosciute altre specie in grado di infettare l’uomo: E. hellem ed E. intestinalis.

TERAPIA E CONTROLLO DELLA MALATTIA Non esiste un protocollo terapeutico standard, ma poiché la sintomatologia è variabile, si può mettere in atto una

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Indirizzo per la corrispondenza: Marco Bedin Clinica Veterinaria Euganea - Dipartimento di Medicina e Chirurgia degli Animali Esotici - Via Tiziano 6, Monselice (PD), Italy Ospedale Veterinario i Portoni Rossi s.r.l. - Reparto di Medicina e Chirurgia degli Animali Esotici - Via Roma 57/a, Zola Predosa (BO), Italy

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Tutto quello che può succedere tra atlante ed epistrofeo Marco Bernardini Med Vet, Dipl ECVN, Padova Daiana Marabese, Med Vet, Bologna

La regione atlanto-epistrofea presenta alcune peculiarità anatomiche che la rendono unica rispetto al resto del rachide cervicale e, in generale, della colonna vertebrale: • assenza di un disco intervertebrale; • presenza del processo odontoide dell’epistrofeo; • presenza della cisterna magna; • presenza di strutture articolari con il contiguo osso occipitale del neurocranio. • presenza di strutture legamentose uniche: legamenti trasverso, apicale, alari ed atlantoassiale dorsale. Le connessioni funzionali con la porzione più aborale del neurocranio sono così importanti, che spesso ci si riferisce alla regione “occipito-atlanto-assiale” come un insieme funzionale, sede spesso di complessi meccanismi patogenetici. Le patologie che si possono presentare a livello atlantoassiale possono quindi essere suddividibili in tre classi: 1. riscontrabili solo in questa regione; 2. comuni ad altri tratti del rachide cervicale, ma statisticamente più frequenti in questa regione; 3. riscontrabili a questo livello come in qualsiasi altro tratto del rachide cervicale. Al contrario, in questa sede non potranno presentarsi e quindi non verranno trattate tutte le patologie che coinvolgono il disco intervertebrale (ernie, discospondiliti), che statisticamente costituiscono la classe di problemi più frequenti del rachide cervicale.

to ad un evento minore che destabilizzi l’equilibrio raggiunto. La diagnosi è radiografica. In proiezione laterolaterale si evidenzia un’eccessiva distanza tra lamina dell’atlante ed estremità craniale del processo spinoso dell’epistrofeo, evidenziabile con una minima flessione del collo. L’assenza o la frattura del processo odontoideo può essere evidenziata effettuando proiezioni oblique, ventrodorsali o a bocca aperta. La risonanza magnetica (RM) fornisce ulteriori informazioni ed è utile per evidenziare il grado di sofferenza midollare.

ALTERAZIONI CONGENITE Le alterazioni congenite del rachide cervicale craniale non sono frequenti, se si escludono le già citate alterazioni del dente dell’epistrofeo. Solo in alcuni casi hanno ripercussioni sul midollo spinale e a volte esse sono rilievi occasionali durante studi radiologici effettuati per la diagnosi di altre patologie. Difetti di segmentazione possono coinvolgere l’epistrofeo, che tende a costituire un blocco con le vertebre più caudali. L’atlante può essere interessato da incomplete ossificazioni.

SINDROME DA MALFORMAZIONE OCCIPITALE CAUDALE (COMS SINDROME SIMIL-CHIARI DI TIPO I)

SUBLUSSAZIONE ATLANTOASSIALE Patologia riscontrabile principalmente nel Cavalier King Charles Spagnel (CKCS), questa sindrome è segnalata anche in altre razze di piccole dimensioni. Nel CKCS la COMS è dovuta a fattori ereditari ed è secondaria a modificazioni dei rapporti anatomici tra le strutture nervose situate in fossa posteriore. Lungo la linea sagittale mediana si assiste ad una dislocazione verso il forame magno della componente ventro-aborale del verme cerebellare, che tende ad erniare. Ciò provoca una riduzione del sottostante spazio subaracnoideo, fino ad un certo grado di compressione della giunzione tra midollo allungato e midollo spinale. Queste alterazioni in fossa posteriore sono causa di turbolenze nel flusso del LCR, che possono portare ad alterazioni pressorie locali e che, con il tempo, possono causare ipertrofia e fibrosi meningea. Contemporaneamente è comune un qua-

L’articolazione C1-C2 può essere affetta da malformazioni congenite, che impediscono una corretta relazione tra le parti: la più frequente è l’assenza o l’ipoplasia del dente dell’epistrofeo, mentre l’assenza di uno o più legamenti è molto più rara. Anche se normalmente presente, il dente può essere malformato, con una certa angolazione verso il canale vertebrale. La patologia acquisita più frequente è la frattura traumatica del dente dell’epistrofeo. Il risultato finale è una sublussazione atlantoassiale con secondaria mielopatia compressiva. Le lesioni congenite interessano generalmente le razze toy nel primo anno di vita, ma sono state segnalate anche in soggetti di taglia grande e nel gatto. Alcune possono rimanere asintomatiche per lungo tempo e manifestarsi in segui-

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dro di idrosiringomielia del midollo spinale cervicale o cervicotoracico. Il quadro clinico compare fra i tre e i sei anni di età e può variare da sintomi cervicali a quadri cerebellari, vestibolari ed epilettici. Nella maggior parte dei casi si registrano dolore cervicale e frequenti grattamenti del collo e della regione della spalla. Possono anche comparire deficit a livello di arti anteriori, raramente negli arti posteriori, alterazioni della reazione alla minaccia, strabismo posizionale, paresi del nervo facciale. Per la diagnosi di COMS è fondamentale uno studio RM, che permette di evidenziare le alterazioni anatomiche della fossa posteriore e i quadri di idrosiringomielia.

il tratto cervicale è il più interessato, di solito caudalmente al secondo segmento. Nei problemi cervicali craniali si nota tetraparesi spastica con dolore, eventualmente accompagnate da torcicollo e rigidità muscolare. Per una diagnosi definitiva in vitam si deve ricorrere alla RM o alla TC.

CISTI ARACNOIDEE

La calcinosis circumscripta consiste nel deposito di cristalli di calcio, in genere a carico dei tessuti connettivi; generalmente idiopatica, si manifesta per lo più a livello articolare. A livello spinale, la patologia riguarda cani generalmente nel primo anno di vita, coinvolge i tessuti connettivali interposti tra le lamine dorsali di atlante ed epistrofeo e può arrivare a comprimere il midollo spinale.

Formazioni ad eziologia dubbia, di cui è stata ipotizzata un’origine congenita, vascolare, traumatica o infiammatoria. A seconda del singolo caso, più di una di queste teorie è plausibile. La definizione di cisti è fuorviante, sia perché le pareti che la delimitano mancano di un vero epitelio, sia perché tale struttura non è completamente delimitata, presentando ampie comunicazioni con lo spazio subaracnoideo. I soggetti colpiti a livello cervicale sono generalmente cani di taglia grande e di età giovane. I cani di razza Rottweiler sono particolarmente esposti al problema. La cisti si forma più facilmente a carico dello spazio subaracnoideo dorsale e la regione della seconda vertebra cervicale è interessata non di rado. La sintomatologia è cronica focale e di solito non causa dolore. La diagnosi delle forme spinali si ottiene tramite mielografia o RM.

FRATTURE

MIELOPATIA ISCHEMICA

Le fratture vertebrali del rachide cervicale in seguito a cadute o incidenti automobilistici sono frequenti nella clinica dei piccoli animali. L’atlante e l’epistrofeo sono le vertebre più frequentemente interessate. La sintomatologia è ovviamente acuta, ma può non riflettere la gravità della lesione. La radiologia convenzionale, la TC e la RM permettono di evidenziare le diverse caratteristiche della lesione.

Tale patologia si manifesta frequentemente nel cane. Sono colpiti generalmente i soggetti di razze medio-grandi o giganti. Non esiste una chiara predisposizione di età: di solito, tale patologia colpisce soggetti con più di 2 anni di vita. Si tratta di un’ischemia necrotizzante focale e spesso lateralizzata del midollo spinale, dovuta nella maggior parte dei casi all’occlusione di un vaso da parte di materiale fibrocartilagineo proveniente dal nucleo polposo del disco intervertebrale. A seconda della distribuzione degli emboli, il processo può interessare maggiormente la sostanza grigia, la sostanza bianca o ambedue in egual misura. Questa patologia può coinvolgere qualsiasi tratto del midollo spinale e la localizzazione cervicale non è tra le più frequenti. La sintomatologia è quasi sempre estremamente lateralizzata e insorge durante intensa attività fisica. Fino all’avvento della RM, la diagnosi di mielopatia ischemica era per esclusione, formulata in base alla sintomatologia, all’assenza di forme compressive del midollo spinale alla mielografia e all’assenza di alterazioni significative del LCR. La RM permette di effettuare una diagnosi più diretta di mielopatia ischemica.

CALCINOSIS CIRCUMSCRIPTA

IDROMIELIA - SIRINGOMIELIA Per siringomielia s’intende la presenza di una o più cavità neoformate all’interno del midollo spinale. Tale condizione dovrebbe essere distinta dall’idromielia, che definisce un’ectasia di un tratto più o meno lungo del canale centrale del midollo spinale. In entrambe le condizioni, il LCR riempe le cavità. Poiché le due malformazioni causano una sintomatologia simile ed è difficile differenziarle in vitam, anche utilizzando i metodi diagnostici più avanzati, talvolta i due termini sono usati assieme: “idrosiringomielia”. Dal punto di vista patogenetico, l’idromielia, congenita od acquisita, è causata da squilibri pressori intracanalari, solitamente dovuti ad ostruzioni che impediscono il normale flusso craniocaudale del LCR. La siringomielia verosimilmente consiste nel riempimento con LCR di cavità formate da ematomi, necrosi o infiammazioni del tessuto nervoso (sarebbe necessaria una comunicazione con lo spazio subdurale o con il canale centrale), oppure si può ipotizzare una rottura nella parete del canale centrale, con fuoriuscita nel parenchima nervoso di LCR che, per la sua pressione, ampierebbe progressivamente la cavità iniziale. Tali malformazioni si possono verificare in tutta la lunghezza del midollo spinale, ma

NEOPLASIE Qualsiasi tipo di neoplasia può interessare il primo tratto del rachide cervicale. Tra i tumori extradurali si possono elencare quelli metastatici e neoformazioni che si sviluppano primariamente a carico delle strutture che circondano il rivestimento durale: osteosarcomi, mielomi multipli, emangiosarcomi sono fra i più frequenti. Tra i tumori intradurali-extramidollari, frequenti a livello atlantoassiale, si annoverano principalmente i menigiomi. A livello cervicale essi sono generalmente benigni. Comprimendo il midollo spinale, essi causano una sintomatologia

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quentemente in cani che in gatti. Colpiscono prevalentemente il tratto cervicale e toracico. I tumori intramidollari sono i più rari e di solito non causano dolore. Per la loro diagnosi la RM costituisce l’esame di elezione. È l’unica metodica che permette di evidenziare masse intramedullari di dimensioni ancora ridotte e caratterizzate da assenza di captazione del m.d.c.

cronica e progressiva; tuttavia, non sono infrequenti casi acuti. Il dolore è spesso presente, sia per il coinvolgimento delle meningi sia per la compressione di strutture ossee circostanti, che possono andare incontro a fenomeni di lisi e di riassorbimento; quest’ultimo aspetto non è tipico dei meningiomi, ma è comune ad altre neoplasie. Radiologicamente, i meningiomi appaiono come masse intradurali-extramidollari. I maschi sono più soggetti delle femmine secondo un rapporto di 2:1. A volte, l’immagine radiografica può simulare una compressione extradurale. Con la RM si può evidenziare la localizzazione intradurale e un aspetto a “tee golf” nelle immagini dorsali pesate in T2, non dissimile da quello evidenziato nelle immagini mielografiche. Altre caratteristiche sono un ampio contatto meningeo ed eventualmente la classica coda durale. I tumori dei nervi periferici spinali sono relativamente frequenti nel cane e presentano una nomenclatura parecchio confusa. Oggigiorno si tende ad usare il termine di “tumore maligno della guaina del nervo periferico” (MPNST), anche se in realtà non tutti queste neoplasie sono istologicamente maligne. Queste neoplasie sono di solito segnalati in soggetti > 4-5 anni di età e più fre-

Address for correspondence: Marco Bernardini Servizio di Neurologia - Ospedale Veterinario “I Portoni Rossi” Zola Predosa (BO) - Tel. +39.051.755233 E-mail: marco_bernardini@yahoo.com Dip. Scienze Cliniche Veterinarie Università degli Studi di Padova Tel. +39.049.8272609 - E-mail: marco.bernardini@unipd.it Daiana Marabese Servizio di Neurologia - Ospedale Veterinario “I Portoni Rossi” Zola Predosa (BO) - Tel. +39.051.755233 E-mail: daiana.marabese@gmail.com

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Aspetti endoscopici non comuni, rari e unici di malattie tracheali Diana Bertoncello Med Vet, Padova

La trachea è un organo tubiforme che si estende dalla cartilagine cricoide fino alla biforcazione bronchiale ed è costituita da una serie, da 35 a 45, di anelli di cartilagine ialina incompleti dorsalmente. Le estremità dorsali degli anelli sono unite fra loro dal muscolo tracheale dorsale liscio e da connettivo, mentre i vari anelli sono uniti fra di loro dal legamento tracheale anulare. L’endoscopia ha lo scopo di valutare l’integrità della trachea, il colore e l’aspetto della mucosa respiratoria, che deve risultare di aspetto umido e colore rosa fra gli anelli tracheali e più chiara al di sopra degli stessi, con presenza di minime secrezioni di aspetto limpido; si deve inoltre evidenziare una fine trama capillare sottomucosa e deve essere possibile distinguere la successione degli anelli. Le alterazioni tracheali descritte in questa presentazione sono: tracheite, ipoplasia tracheale, stenosi, traumi, corpi estranei e neoformazioni.

diametro ridotto. L’esame endoscopico consente di evidenziare l’assenza di muscolo tracheale dorsale e l’eventuale sovrapposizione degli anelli cartilaginei; con l’endoscopia è importante valutare la presenza eventuale di altre anomalie dell’apparato respiratorio. Non esiste una terapia specifica, se non tenere sotto controllo le infezioni respiratorie ricorrenti, con terapie antibiotiche per periodi lunghi.

STENOSI TRACHEALE È una patologia poco comune dovuta alla riduzione segmentaria e non dinamica (ovvero non si modifica in relazione alla fase respiratoria) del diametro tracheale; fra le cause ricordiamo: reazione cicatriziale esuberante da trauma, anomalie vascolari, neoplasia intra- ed extratracheale, necrosi da pressione causata da cuffiatura del pallone del tracheotubo. Il cane mostrerà difficoltà inspiratoria e/o espiratoria. L’endoscopia è fondamentale per identificare localizzazione del tratto stenotico, diametro, estensione e natura della stenosi. La terapia delle stenosi tracheali è spesso complessa e a volte impossibile; possono essere effettuate resezioni segmentali se la lesione è a livello di trachea cervicale mentre è possibile applicare stent se è presente una compressione dall’esterno.

TRACHEITE La tracheite rappresenta un problema comune nel cane e meno frequente nel gatto. Le cause di tracheite sono prevalentemente infettive; nel cane forme virali (Adenovirus di tipo 2, Parainfulenza, Herpesvirus), batteriche (Bordetella bronchiseptica) e parassitarie (Filaroides osleri); mentre nel gatto raramente Herpesvirus e Calicivirus possono determinare tracheite. I rilevi endoscopici comprendono eritema mucosale, edema con perdita della definizione della trama vascolare sottomucosa e della lucentezza mucosale, essudato, fino a erosioni mucosali, irregolarità della superficie mucosa e lesioni multiple micro nodulari.

TRAUMA TRACHEALE Fra le cause più frequenti di lesioni tracheali ricordiamo le ferite da morso, le lesioni da impropria cuffiatura del pallone del tracheotubo e, nel gatto, traumi non penetranti del torace. Il quadro clinico è dato da dispnea e pneumoderma, mentre l’esame radiografico permette di evidenziare pneumomediastino associato o meno a pneumotorace. Nel gatto, è descritta l’avulsione tracheale intratoracica come conseguenza di un forte trauma (in genere da investimento) con forzata e violenta iperestensione del collo. Il quadro radiografico mostra una sorta di “dilatazione tracheale” in corrispondenza del mediastino craniale, associato a pneumotorace ed eventuale pneumoderma. L’endoscopia evidenzia l’estensione della lesione, la mancata integrità degli anelli tracheali, la presenza eventuale di

IPOPLASIA TRACHEALE È frequente nelle razze brachicefale, nella quale il diametro tracheale risulta uniformemente diminuito. A differenza della trachea normale, dove gli anelli tracheali hanno forma a C, nell’ipoplasia tracheale gli anelli risultano completamente chiusi e le parti terminali possono essere addirittura sovrapposte, con scomparsa del muscolo tracheale dorsale. Il cane avrà dispnea inspiratoria ed espiratoria, diminuita resistenza all’attività fisica e infezioni respiratorie ricorrenti. L’esame radiografico mostra la trachea uniformemente di

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richiede necessariamente un endoscopia. La terapia varia a seconda della presentazione clinica, e risulta indispensabile identificare e correggere ogni causa secondaria in grado di scatenare la sintomatologia respiratoria. In caso di presentazione acuta, il cane deve essere stabilizzato, sedato e quindi trattato con antiinfiammatori, supplementazione di ossigeno, ed abbassamento della temperatura corporea se ipertermico. In caso di presentazione cronica la terapia si basa sul controllo farmacologico della tosse con sedativi oppioidi. Il controllo dei fattori complicanti, come l’obesità, le patologie cardiache, le infezioni concomitanti, le polveri e gli irritanti ambientali è indispensabile. In presenza di grave sintomatologia è possibile l’applicazione chirurgica di protesi ad anello extratracheali. Recentemente sono state impiegati stent a rete non ricoperta di acciaio o nitinolo. I pazienti devono essere selezionati con cura, ed è importante escludere quelli che presentano cause aggiuntive di tosse cronica (bronchite cronica, polmonite, cardiopatie congestizie, neoplasie polmonari, filariosi cardiopolomonare). Il proprietario dovrà sapere che anche con uno stent il cane dovrà ricevere terapie farmacologiche a vita.

strutture erniate a livello intra-tracheale (esofago) e di collasso dinamico, e permette di decidere l’approccio terapeutico. Le lacerazioni tracheali possono essere trattate conservativamente o chirurgicamente.

CORPI ESTRANEI I corpi estranei (CE) tracheali sono più rari dei bronchiali. La mancanza di una anamnesi compatibile rende spesso difficile sospettare la presenza di CE tracheali e l’esame radiologico può non mettere in evidenza ostruzioni causate da elementi radiotrasparenti. In generale il contenuto d’aria della trachea consente una buona visualizzazione di elementi intratracheali e possono essere evidenziati segni secondari di sub occlusione tracheale rappresentati da intrappolamento d’aria a livello polmonare. L’esame endoscopico consente una precisa identificazione del CE ed una sua rapida estrazione.

COLLASSO TRACHEALE Il collasso tracheale (CT) è caratterizzato da un appiattimento in senso dorso ventrale degli anelli tracheali, associati a notevole lassità della membrana tracheale dorsale. Le cause non sono completamente note: si ritiene dipenda dall’associazione di una anomalia primaria della cartilagine, con conseguente indebolimento degli anelli, associata ad una o più cause secondarie “scatenanti” che aggravano il problema primario. È una patologia dinamica ed il diametro della trachea varia durante le varie fasi del respiro; quando il collasso è presente a livello di trachea cervicale lo schiacciamento dell’organo si manifesta in inspirazione mentre se il collasso è a livello intratoracico la riduzione del diametro si evidenzia in espirazione. Colpisce quasi esclusivamente razze toy e cani di piccola taglia; come lo yorkshire terrier, il barboncino toy, il pinscher, il chihuahua, mentre occasionalmente in animali di taglia medio-grande. L’età alla quale i cani vengono portati a visita è 6-7 anni anche se la tosse è progressivamente ingravescente da anni. Non vi è predilezione di sesso. La tosse è il segno clinico principale, con episodi parossistici, scatenati da eccitazione, attività fisica anche molto modesta, trazione del guinzaglio sul collare; è una tosse secca, aspra e sonora, a volte simile al verso di un’anatra. Il CT viene diviso in 4 livelli, a seconda della riduzione di diametro del lume tracheale. La diagnosi può essere eseguita con varie tecniche, ma la conferma e la precisa “stadiazione”

TUMORI TRACHEALI Sono rari nel cane e nel gatto. Le neoplasie benigne sono generalmente proliferazioni osteocartilaginee in pazienti giovani con centri di ossificazione osteocondrali ancora attivi (condromi, osteocondromi, encondromi), oncocitomi e leiomiomi; fra i tumori maligni, i più frequenti sono il linfoma nel gatto e il carcinoma nel cane. Non vi è prevalenza di razza e sesso, e in genere colpiscono animali adulti/anziani. I sintomi sono: tosse, difficoltà inspiratoria con stridore, dispnea grave di tipo espiratorio. L’endoscopia risulta indispensabile per valutare la lesione (base d’impianto, colore, compattezza) e per eseguire campionamenti. È possibile eseguire una chirurgia con resezione di un tratto tracheale, una rimozione con ansa da polipectomia, o un’ablazione laser sotto controllo endoscopico.

BIBLIOGRAFIA Venker-van Haagen A.J. The trachea and bronchi. In Ear, nose, throat, and tracheobronchial diseases in dogs and cats. Schlutersche Hannover, 2005 pag 167-208. Clifford CA, Soremno KU Tumors of the larynx and the trachea. In King LG ed. Textbook of respiratory disease of dogs and cats. Saunders St Louis MI 2004: 339-345.

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Dietary Management of Food-Responsive Enteropathy (FRE) Géraldine Blanchard DVM, PhD, Dipl ECVCN, Antony (F)

Food intolerance include various conditions, and may have various consequences, including enteropathy with diarrhea, colitis, but also vomiting… (dermatology troubles are not considered here). Food-responsive enteropathy may include intolerance/ allergy/hypersensitivity… all terms used here equally even discussable. In case of suspected FRE, an elimination diet can be implemented (Figure 1). The objective is to propose a diet containing only ingredients that the animal has never eaten before. A compendium of food history is a prerequisite to get an

idea, as accurate as possible, of food that the animal may have consumed earlier in its life, and possibly those with whom he would react more specifically (eg, a cat who vomits systematically when eating canned food “with duck” or “with salmon” or a dog with diarrhea and scratching every time he is given beef, etc..). Once this history has been carefully made, the ingredients of the elimination diet can be chosen. It usually takes horse meat as a source of animal protein, because few animals have ever used. But if the patient belongs to a horse-butcher, he may need to turn first to the beef, etc..

Figure 1 - Decision tree for the conduct of an elimination diet. * If the first elimination diet is selected industrial, change to a home made elimination diet * If the suspect food is a petfood, it completely replaces the elimination diet If it is an ingredient such as beef, it replaces only horse meat in the elimination diet.

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After 4 to 8 weeks, if clinical signs have disappeared with the elimination diet, one must practice a test of provocation, first to expose the animal to the suspected food (so far skin tests have no interest in the cats and dogs to search for food allergens). If the test is positive, that is to say, if clinical signs, even light, reappear, then return to the food tolerated (the elimination diet). Then suspect ingredients, usually a protein source like meat or fish, or eggs, can be tested one by one by replacing the meat in a home-made elimination diet unless clinical signs recurred between time. If the tolerated diet is a balanced petfood (“hypoallergenic”,” low allergen”…), and is well tolerated, it is possible to add a protein source (like a small quantity of meat or fish or egg) by 4 to 8 weeks also in addition to the industrial diet. However, this can lead to intolerance or allergies. This is not the gold standard.

The disadvantage of an elimination diet has long been its imbalance, since it is most often made of meat (horse) and baked potatoes (with skin). But the situation may be greatly improve through by the provision of raw rapeseed oil, which reduces the amount of potatoes and bring essential fatty acids. One can also provide an adapted vitamin and mineral supplement with no flavoring or preservatives. The calcium, vitamins and trace elements supplement can be added at first, as an ingredient, or after 2 weeks of the elimination diet, as a new ingredient. If the supplement is well tolerated, the elimination diet is balanced, and so the all test can be longer and more complete. The amount recommended (see Tables 1) is based on optimal weight of the animal and not according to its actual weight if not appropriate. The owner must also be aware only this diet and water, preferably spring water, go into the mouth of the dog or cat. Drugs, bones, and biscuits are totally stopped and chewable toys removed alongside.

TABLE 1A - Example of Elimination Diet for Adult dog If the dog is sedentary or neutered, the amount of potatoes must be reduced by 30%; the oil may also be reduced if necessary. Optimal body weight (kg)

Lean meat (g/d)

Baked potatoes (g/j)

Rapeseed Oil

Vit’i5 Canine * Dose (g/d)

5

130

200

10 ml

¾ (6g)

10

230

350

12.5 ml

1 ¼ (10g)

12

250

450

12.5 ml

1 ½ (12g)

15

275

500

15 ml

1 ½ (12g)

20

300

650

20 ml

2 (16g)

25

350

700

20 ml

2 ½ (20g)

30

400

700

30 ml

2 ½ (20g)

35

530

800

30 ml

3 (24g)

40

600

800

35 ml

3 (24g)

45

630

900

35 ml

3 ½ (28g)

50

700

900

40 ml

3 ½ (28g)

* Mineral and vitamin supplement (1 dose = 8g): amount calculated using the following content. Growing and young adult dogs 15% Ca & Ca/P = 3; Older dogs: 15% Ca (no phosphorus).

TABLE 1B - Example of Elimination Diet For neutered indoor cats Optimal body weight (kg)

Lean meat (g/d)

Baked potatoes (g/j)

Rapeseed Oil

Vit’i5 Canine * Dose (g/d)

2

50

25

2.5 ml

1

3

75

25

5 ml

½ (2g)

4

90

50

5 ml

¾ (3g)

5

100

70

7.5 ml

¾ (3g)

6

125

60

10 ml

1 (4g)

7

150

60

12.5 ml

1 (4g)

8

160

80

15 ml

1 1/4 (5g)

* Mineral and vitamin supplement: amount calculated using the following content. Growing and young adult cats 15% Ca & Ca/P = 3; Older cats: 10% Ca (no phosphorus).

50

/3 (1,5g)


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After the elimination diet in place (nothing else but spring water must come into the mouth of the dog or cat), it takes 6 to 8 weeks to improve without medical treatment (after discontinuation of corticosteroid therapy or any other drug if applicable) and review the animal: • If no clinical signs reappeared during this period, a provocation test with the old food suspected can be performed, expecting for the return of clinical signs. Once clinical signs return, even less intense, the provocation test is stopped, back to the tolerated elimination diet; • If no clinical signs reappear during the provocation test within a 6 weeks duration, it is likely that we should look elsewhere for the origin of the disorder; • To specify the components to which the dog or cat is allergic, from the elimination diet, the next step, is to replace a single ingredient (horse meat with chicken, for example) for 6 weeks. If the animal does not respond, this meat is considered tolerated by the animal and can be changed again. If it reacts (return of clinical signs, even discrete), the animal can be considered allergic or at least food-intolerant to this food, and returned immediately to the tolerated elimination diet; • After testing the main protein sources (beef, chicken, turkey, fish, eggs, etc), a complete diet (dry or canned) with fixed formula (detailed list of ingredients) that do not contain the allergens identified can be recommended. About 15% of the animals can not return to any complete petfood and will remain under a home made diet, which must be continuously balanced with vitamins and mineral supplementation.

Comments on ingredients • Lean meat = meat (muscle) of horse, beef (5% fat), chicken, turkey, pork, white fish. The lamb is fat (15% fat). An egg is not equivalent to its weight in any meat. There are cross-reactions (all fish between them, meat and milk from the same origin), that must be considered before interpreting any reaction. • Potatoes: Selected non-green, washed, water baked and distributed with the skin. A source of starch must be chosen to provide energy. Potatoes are also rarely found in processed foods, and rather rarely given to the dog or cat. Cooked, they are very well tolerated. There is no need to peel them before or after cooking, the skin is a source of fiber. Just recommend to wash them and then steam or cook in water. • Rapeseed oil: distributed raw. We have added rapeseed oil to the animal protein source and starch source for years. Adverse food reaction to rapeseed oil is scarce if not (yet?) described, and this addition can provide a source of energy as lipid, what means less potatoes, and essential fatty acids. • Vit’i5: vitamin mineral supplement with no flavoring or preservatives or animal protein (but brewer’s yeast protein) to balance the elimination diet. Recently in Europe, a vitamin and mineral supplement specifically designed to balanced home-made diet and containing brewer’s yeast as the sole source of protein, became available, which helps to balance totally an elimination diet for dogs as for cats In case of doubt about the safety of rapeseed oil and mineral and vitamin supplement, start the first 6 weeks of diet meat + potatoes, then add the mineral and vitamin supplement and observe, then add canola oil and observe. Note however that, in the examples of elimination diet, replacing oil with an addition of potatoes (45 g per 1 teaspoon of oil, 135 g per 1 tablespoon of oil).

References upon request. Address for correspondence: Dr. Géraldine Blanchard Animal Nutition Expertise sarl, Antony, France gb@vet-nutrition.com

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Non-Food Responsive Enteropathy: Food is not Involved, but a Part of the Treatment Géraldine Blanchard DVM, PhD, Dipl ECVCN, Antony (F)

sciousness, water access should not be deleted even if the animal is perfused. It is particularly true in the presence of diarrhea, which induces massive loss of water and electrolytes.

Some diseases, including and primarily gastro-intestinal diseases due to the major role of the GI tract in the nutrition function, require an adaptation of the diet to support the condition, to improve the condition and sometimes to expand the life expectancy, and certainly to improve the animal’s welfare.

Refeeding after a period of fasting / anorexia Following a period of fasting/anorexia,a progressive refeeding with a highly digestible balanced diet, to avoid diarrhea, enterotoxemia and sepsis, by fermentation of undigested food, multiplication of pathogenic bacteria, toxin production and bacterial translocation. After a period of fasting or anorexia, estimation of the energy requirement (ER) and a gradual refeeding is the rule, providing about 1 / D x ER (with ER D the number of days of fasting and anorexia combined).

1. HOW TO FEED AFTER ANOREXIA OR PROLONGED VOMITING? Fasting or not fasting? A fast is (too) often imposed upon a gastroenterological disorder, either by the owner himself, or by the veterinarian. With the exception of cases of occlusion and hyperemesis, a fasting can be justified only if it is short (maximum 24 hours, and if the animal is not already anorexic. The value of a fast is to ensure the emptiness of the digestive tract, to remove any toxins, what do not require more than 24hours. Beyond 24 hours, the gut is empty, but fasting has a deleterious effect on the gut itself. It is now clear that prolonged fasting is deleterious to the animal‘s digestive health and healing. In addition, the longer the fasting period is, the longer it will take to cover fully the nutritional requirements. Indeed, after a period of under-nutrition, gastro-intestinal secretions are reduced, and the supply must be resumed more gradually to avoid overloading.

Two exceptions to the amounts indicated: • Gastrointestinal surgery: dietary intake is desirable since the animal is awake. A highly digestible food, but in modest amount (1/10th of the energy requirement) is provided, even if the animal ate the day before surgery. The very next day, the general rule with the number of days of fasting/anorexia applies. • Pancreatitis: dogs and cats must be considered separately: - in dogs, per os water and solid food is suspended during intense hyperemesis. During this period, avoid any visual or olfactory contact between the dog and the food. This means that an anti-emetic (or any other drug) is administered by injection only. In the absence of hyperemesis, a small amount of wet food with normal or low protein and normalor low-fat content may be offered. The next day, the general rule applies, always with the same food type (Figure 1);

• Fasting and Water With the exception of hyperemesis, upper obstruction of the gastrointestinal tract, coma or poor body position or con-

TABLE 1 - Refeeding after a period of fasting and/or anorexia Duration of fasting/anorexia

24-48h

2 to 7 days

> 7 days

½ ER

1/D ER

1/10 ER

Energy supply for the entire day First day Days after

per meal (and per day): maximum of twice the day before, up to the covering of the ER

ER = energy requirement; D = number of days of fasting and/or anorexia

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Antiemetic (IV or IM) + 1 spoon of water per os

Figure 1 - Decision Tree of refeeding after hyperemesis (eg acute pancreatitis). PER protein:energy ratio

- in cats, vomiting is less frequent but anorexia is more widespread, and the risk of hepatic lipidosis is high if the cat is overweight or obese. Stimulation of the pancreas is less dependent on nutrient intake. Cats should therefore be fed by an enteral feeding (forced tube feeding if necessary), following the general quantitative rule according to the duration of anorexia. The food will be chosen with an average protein and fat content for cats, even with pancreatitis, as cats are more tolerant to protein and lipids than to high-carbohydrate foods (Simpson and Michel, 2000).

2. THE ANIMAL EATS SPONTANEOUSLY‌ WHAT FOOD AND WHAT FEEDING? Once the previous precautions considered, the food would be chosen with regards to the pathology. Feeding includes the food (composition and form), and its distribution. The composition of the food is dictated by the individual characteristics of the animal, including pathology.

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2a. What texture? Given the role of different segments of the digestive tract, it may be necessary to change this partition in some gastrointestinal disorders or diseases. It should nevertheless bear in mind that whenever one chooses to reduce an energy source, this means that, mechanically, the other 2 sources are increased. Another point is to be made for protein: protein are essential as sources of amino acids. That means that, when the energy requirement is diminished (by sedentarity for instance), to provide enough protein may require to increase the energy provided by protein. Another criteria may be to provide about 3,5 g protein/kg body weight in adult dogs and 5 to 6 g protein/kgBW in cats.

Some disorders of the proximal digestive tract (from mouth to the stomach) may require preferable a moist or moisturized food, mainly for mechanical reasons, for being less abrasive than dry food: • disorders of the oropharyngeal; • inflammation or surgery of the esophagus; • gastric disease: gastritis, cardiac surgery, gastric dilatation-volvulus; A liquid or smooth texture, is preferable in this case, as after surgery of the pylorus (pyloromyotomy). In the case of an intestinal disorder, the shape of the food distributed is irrelevant.

2.b What food? Nutritional adaptations Fiber The roles of fibers in the digestive tract is major and to be known. • Insoluble fibers merely pass through the digestive tract from beginning to end without being modified, mechanically stimulating the transit. They increase the volume and give structure to the feces. Schematically, we can consider that these so-called non-fermentable fiber or insoluble fiber, mainly represented by cellulose. They are found in many plants, but usually associated with soluble fiber. To bring some specifically, cooked leek but also wheat bran can be used. Attention spinach are full of fiber, but also of oxalic acid, which is eliminated in the urine…to avoid. • Soluble fibers are more or less fermentable, fermented in the colon by bacteria, releasing gases, acids volatile fatty (VFAs) of trophic role for mucosal colic. These VFA induce an acidification of the medium causing inhibition of bacterial growth of pathogenic like clostridia. Soluble fiber is so called prebiotic, favoring beneficial bacteria. The presence of VFA also induces a call for water, hence the laxative effect of fermentable fibers. Before reaching the colon and being fermented, some of these fibers adsorb water, thus

One can chose a diet designed for a GI disorder. But all diets are fortunately not similar. The choice of one or the other can be made considering the energy source partition (protein/lipid/carbohydrate), or on their fiber content… Whatever the diet chosen, the energy requirement of the animal must to be estimated considering the optimal body weight, and the amount of food (grams/day) and the mode of distribution (N meals/day) indicated clearly on the prescription form. Energy Sources The food must meet the nutritional needs of the animal, first energy. But energy has 3 possible sources: fat, carbohydrates (starch and sugars) and proteins. According to pathology, the choice of energy sources will turns more willingly towards one or the other. In the healthy adult, the energy distribution is the following: • Dog (100%): fat (30-50%) + protein (20 to 30%) + carbohydrate (20 to 40% *) • Chat (100%): fat (30-60%) + protein (30 to 45%) + carbohydrate (20 to 40% *) * Higher values are encountered, but they are not desirable

TABLE 2 - Adjustment of lipid and carbohydrates Lipid

When?

Comments

Average (about 30% of energy)

• stasis after gastric dilation-volvulus • Acute pancreatitis in dogs • enteritis with maldigestionmalabsorption

- as fat slows the emptying of the stomach - as lipids stimulate pancreatic secretions - to limit the use of fatty acids and bile acids by bacteria in the small intestine, which produces irritating catabolites and may cause diarrhea

Lowered (< 30% of energy)

• problem of bile secretion, cholestatasis, cholecystectomy; • chylothorax; • hypertriglyceridemia

Attention, deficiencies in essential fatty acids and fat soluble vitamins may be associated with low fat diets and may require specific supplementation or injections of fat soluble vitamins.

Lower (about 20% energy)

Enteropathy

As disaccharidases are secreted by enterocytes

Input (sucrose)

Lymphangiectasia

1 to 5 g/kg BW/d

Carbohydrates

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forming a gel of variable viscosity in the small intestine, interesting to regulate transit through the gut. Soluble fiber is found naturally in many plants such as plum, citrus pulp, the artichoke base, beans, grains, psyllium seed, apple and banana. Nondigestible simple sugars such as lactulose and fructo-oligosaccharides (FOS) act as fermentable fiber. Manno-oligosaccharides (MOS) schematically bind to pathogenic bacteria, preventing them from adhering to the gut wall, what decrease their pathogenic ity. Their consumption may positively enhance the local immunity, particularly when combining FOS and MOS. To increase the proportion of insoluble fiber (Table 2): chose a fiber rich diet, or add wheat bran (1 to 2 teaspoons = 2 to 4 g per day for a cat or small dog or 5 kg body weight), or add fruits (30 to 50kcal/100g like apple) or cooked veggies (16lcal/100g zucchini to 30kcal/100g carrots or pumkin). To add soluble fiber (Table 2), to promote non-pathogenic flora and stimulate intestinal mucosa, or soften the stools (in case of surgery of perineal hernia for example), use of lactulose (Duphalac®, start with 1 mL per 5 kg weight per day, increasing gradually if necessary) or SOF. The increase doses provides a laxative effect. Any large addition of soluble fiber may lead to diarrhea (osmotic diarrhea due to the rapid fermentation of such fiber in the gut), caution in addition of such fiber is recommended. Very few (if any) information allows the practitioner to know the actual content of soluble and insoluble fiber in foods. In contrast, the crude fiber content reflects grossly the insoluble fiber content of food. Attention, it is sometimes said total fiber, while it is the crude fiber content. The total fiber content is actually 2-4 times greater, according to the source of fiber.

Conventional amounts found in dogs and cats diets are between 15 to 30 grams of TDF (total dietary fiber) per 1000 kcal. In average, TDF represents about 6 to10% and Crude fiber 2 to 4% of the dry matter of most foods for adult at maintenance. Please note this is only an approximation.

Probiotics Probiotics are live microorganisms which, after ingested, survive in the gut with beneficial role for the host. The contribution of probiotics has been shown beneficial to promote the beneficial intestinal flora in many species. In Europe, only strains approved by the European Authorities, as a proof of their safety and their effectiveness, can claim the term of “probiotics” in dogs and cats. With the exception of known allergies to milk, the intake of yogurt (containing only milk and ferments as Lactobacillus acidophilus) may improve the situation, during episodes of diarrhea during and after a treatment with oral antibiotic, and more generally during periods of stress.

Minerals and vitamins Requirements for vitamins and minerals are not changed by gastro-intestinal disorders, except for electrolytes in case of diarrhea or vomiting, and vitamins in some cases. Vitamins supplements, in addition to a complete diet may be necessary in some cases: proven vitamin B12 deficiency (, no absorption of fat soluble vitamins (A, D, E, K) associated with cholecystectomy of lymphangiectasia with fat-free diets, etc... These deficiencies can be compensated by oral intake or parenteral provision on a case by case basis.

TABLE 3 - When to promote the intake of fermentable soluble fiber (SF) and insoluble fiber (IF)? Transit rate disorder

Soluble Fiber

Insoluble Fiber

Hypo-

+

+

Lazy or slow colon

+

+

First hyperdigestible +

diet +

Hyper

+

-

Small intestine diarrhea

+

-

First hyperdigestible N/+

diet N/+

Constipation Megacolon secondary

Large ine diarrhea Acute colitis then Chronic colitis

+ Depending on the origin: hyperdigestible, hypoallergenic (elimination diet)

N as at maintenance N / + as maintenance or increased depending on the case, + or - more or less than at maintenance

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desirable to try adjustments, to raise the protein intake, to get closer to the coverage of the requirements. Given that the liver is the storage organ for copper, copper toxicity accumulated, and the inability to remove copper during liver failure, and in some Bedlington terrier breeds like where this disease is genetic, copper intake may be reduced in the presence of chronic liver disease without reducing the intakes of zinc. In case of genetic accumulation of hepatic copper, zinc intake is increased to further limit the absorption of copper. In cats: protein requirement is maintained, and the preferred energy sources are fats and proteins. In fact, carbohydrates are less well tolerated than the other two cats, even when liver disease. In all cases, the nutritional quality, especially proteins, must be as perfect as possible (food highly digestible protein of high quality with low levels of collagen, muscle and whole egg preferred). Splitting in 3 to 5 meals is the rule to limit exceeding the residual liver function and postprandial liver overloading.

Number of meals In case of GI trouble, a split of the daily intake of 2 or 3 meals can optimize digestibility and can usually be recommended...except specific disorder (see y pathology)

2.c What food? Nutritional adaptations by pathology Ø Esophagus A smooth texture is the main change in case of esophagus disorders, usually to be adapted based on common sense. A food rather dense in energy (more energy from fat, less starch, and protein-calorie ratio maintained) is usually chosen to reduce the total amount of food consumed. Ø Stomach In case of gastric disorders (gastritis or dilation-volvulus), diet is preferably chosen with a moderate level of lipid, to reduce the residence time in the stomach (gastric emptying is slowed by fat). In contrast, when partial gastric resection, or after removal of the pyloric functionality, rather it seeks a food of high energy density so high in fat, and with a minimum content of fiber. When the volume of the stomach is reduced by a gastrostomy / gastrectomy or in case of anorexia lasting for more than 2 weeks, split the daily intake into 4 or 5 meals, with at least 3 hours between two meals, to allow gastric emptying before the next meal. When the pyloric function is deficient (pylorectomie, gastrectomy, etc..), the daily intake should be split into 8 to 10 meals per day. However, in that situation, the interval between 2 meals can be reduced to 1 hour. Splitting can be gradually reduced, as appropriate, down to 4 meals per day. In case of diarrhea despite the split, it is possible to add to each meal exogenous digestive enzymes to aid digestion and compensate the short transit time.

Ø Small intestine / large intestine The composition of the food can be modified due to various factors: • diarrhea, chronic inflammation, surgery, tumors generate losses or protein catabolism, and protein intake must be large (minimum +20%); • insoluble fiber intake is to modulate: increased during constipation, decreased during diarrhea, but never totally abolished (in the total absence of fibers was observed alternating constipation and diarrhea); • Soluble fiber intake is increased when it is desired softening of stool, or in chronic constipation; • Fat intake is generally maintained in cats in general, and limited to reasonable values in the dog especially in enteropathy and with bacterial overgrowth in the small intestine.

Ø Pancreas • Pancreatitis In dogs (see also Figure 5.1 above), the amount of protein (CPP minimum is 55 to 60 gProt / Mcal) and fat (10% DM) must be slightly decreased in the acute phase, and then limited to cover stricly the minimal nutritional requirement in chronic phase. In pancreatitis the distribution may be limited to 2 meals per day in dogs to prevent frequent and intense stimulation of the pancreas. In cats: food must still cover the nutritional requirements from the outset (70 gProt CPP / Mcal), as the composition of the diet has a reduced effect on pancreatic secretion in cats. Cats can easily receive 3 or 4 meals per day. • Exocrine pancreatic insufficiency (EPI): to bring a high digestibility maintenance diet, and exogenous enzymes capable of digesting the entire ration distributed with each meal. Splitting the daily amount in 3 meals is the general rule.

Ø Resections (enterectomy) Depending on the length and part removed, the removal of a part of the intestine must be interpreted in terms of functionality that may have disappeared, and any necessary compensation. - removal of the jejunum means the disappearance of the greatest absorption area. The distal duodenum and ileum can compensate but gradually. And splitting the daily amount in several meals is necessary, because this removal also means a reduction of the transit time of the chyme in the intestine. Additionally, the amount of insoluble fiber in the diet will be reduced to a minimum, to not boost the transit rate. Eventually, the proportion of fat (by reducing the starch) is increased, because fats provide more energy per gram, and it reduces the volume of the diet. Apart the fat content, these rules are the same when a significant portion of the ileum is removed. But in that latest case, as fat absorption and reabsorption of bile acids can be reduced, a more moderate fat content may be desirable. - If the transit time is so short or the intestine length so short that there is not enough contact time for digestion and/or absorption, even with the consumption of a high digestibility

Ø Liver In dogs, the diet is usually primarily chosen poor in fat and protein, especially the latter where signs of hepatic encephalopathy (portacaval shunt; hepatitis; signs of cephalic encephalopathy). But, when possible appropriate, it is

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(like the skin of potatoes). The intake of essential fatty acids, especially omega-3 seem interesting, but in a second time (fish oil…comes from fish). (see presentation on Foodresponsive enteropathy). Pre-and probiotics are interesting because of their action on the microflora. Chronic inflammation can have many causes, not always identified. The change of diet often improve temporarily the clinical signs, and it is tempting to change the diet as soon as the slightest sign is back. But repeated changes may themselves induce disorders, and even increase the risk of sensitization.

diet, it can be necessary to add exogenous enzymes to predigest ration at each meal. - When a portion of the colon is removed, then efficiency of the reabsorption of water and electrolytes is reduced, and the time of stool formation is reduced. A diet with the highest digestibility will be chosen to leave the least residue. The fiber content has to to be modulated on a case by case basis, always starting with little, but as the insoluble fibers have a very good ability to adsorb water, and to structure the stool, the amount may gradually be increased. Splitting into 3 meals per day is the rule in case of intestine trouble, except in case of massive enterotomy/enterectomy where 4-5 meals can be preferable.

Ø Gluten intolerance The so called gluten-sensitive enteropathy of Irish setter dogs requires a diet with no gluten (i.e. no wheat, no corn, no cereals), either manufactured or home-made. In this last case, the diet has to be balanced, composed for exemple of meat/fish + raw oil + veggies + potatoes (or rice if tolerated) + adapted mineral vitamin supplement.

Ø Megacolon When megacolon is suspected, it is usually recommended to start with a highly digestible food, leaving the least residue, with a bit of soluble fiber, to soften the faeces by stimulating fermentations. Then, if a motor function is recovered, the addition of insoluble fiber can help boost transit. The adaptation is a case by case basis.

Address for correspondence: Dr. Géraldine Blanchard Animal Nutition Expertise sarl, Antony, France gb@vet-nutrition.com

Ø Colitis In colitis, if a food allergy is suspected, it is best to go through an elimination diet, but keeping a small part of fiber

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How to feed without inducing a problem Géraldine Blanchard DVM, PhD, Dipl ECVCN, Antony (F)

Due to the major role of the GI tract in the nutrition function, and to the fact that the major source of nutrient for the GI is the GI tract’s lumen, nutritional errors quite may lead to GI disorders. The first step of nutrition is to feed quantitatively or qualitatively properly to avoid inducing any trouble by any inadequate diet (Table 1). TABLE 1 - Nutritional deficiencies and imbalances at the origin of gastroenterological troubles (only!) Situation of occurrence

Gastroenterological troubles

Water

• Insufficient watering, bowl or distributor not filled or dirty water or bad taste • High heat • Losses associated with diarrhea

• Dehydration • Constipation

Global (dysorexia or anorexia)

• Varied

• No stool or rare small and hard stools (not to be confused with constipation!) • Atrophy of the intestinal mucosa and villi, and susceptibility to bacterial translocation and sepsis

Proteins (chronic or subacute but massive deficiency)

• Dysorexia, anorexia • Poor quality food (not enough protein, or poor digestibility proteins or lacking some essential amino acids) • Dog Food given to a cat • Mix of complete food with rice or pasta • Home made diet with too little meat, meat of poor quality, unwise choice of ingredients

* Muscle wasting, decreased immune and healing capacity * Decreased mucosal (ulcers, abdominal pain, increased risk of infection) and enzymatic (maldigestion, malbsorption, diarrhea) digestive secretions * Slower transit (smooth muscle wasting) with: - Gastric stasis (duodenal reflux, gastritis, ulcers) - Intestinal stasis, diarrhea, enterotoxemia (bacterial translocation)

Lipids and essential fatty acids

• Low quality food • Home made diet without source of essential fatty acids; use of very low fat foods

• Anorexia • Dysorexia by low palatability • Poor healing (absence of inflammatory reaction)

Fibers

• inappropriate food, removing of any fiber (the famous “chicken and rice »)

• Transit idle • Constipation • Flatulence • Diarrhea • Enterotoxemia • Gastrointestinal fermentations + cutaneous reactions associated with low transit

Deficiency

continued 58


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Calcium

• Home made diet without mineral vitamin supplement, foods unsuitable for the dog’s or puppy’s format or status • Mix of complete food and meat in uncontrolled amount leading to Ca/P<1

• Musculoskeletal disorders may include the jaws (osteodystrophy and secondary hyperparathyroidism)

Electrolytes (usually K+)

• Losses caused by diarrhea or vomiting.

• Dehydration • hydroelectric disorders and hypokalemia possible

Vitamins A, D

• Low quality food, Home made diet without mineral vitamin supplement • Fat maldigestion or malabsorption (chronic steatorrhea, cholestasis, impaired hepatobiliary function)

• Dysorexia • Healing troubles • Lake of calcium absorption

Trace elements (Zn, Cu, Fe)

• Low quality food (very rich in calcium) • Unbalanced diet (unwised mix of domestic ingredients + petfood • Home made diet without mineral vitamin supplement

• Atrophy of intestinal villi, diffuse lymphoplasmacytic infiltration of the lamina propria

Selenium-Vitamin E

• unbalanced/deficient food, low end + high fat, low quality food rich in fat

• Muscular weakness • subcutaneous oedema • Anorexia • Depression • Dyspnea, coma (VanVleet 1975)

Vitamin K

• Poisoning by rodenticides • Enteritis and malabsorption

• Exercise intolerance • Haemorrhage of nasal and oral cavities • Dyspnea, pale coloration of mucosa (Brooth 1989; Edwards, 1987)

Vitamin B12

• Diarrhea • small intestine bacterial overgrowth

• Lethargy • Dysorexie • Aregenerative anemia

Global (overnutrition)

• overconsumption (accidental or inadequate prescription)

• Diarrhea • Enterotoxemia, associated skin disorders

Starch (excessive amount or insufficient cooking)

• Low range food • Sensitivity of the animal (low active amylase) • Too much rice / pasta / potatoes (in addition to a food already complete or improperly cooked)

• Diarrhea

Lipids (brutal excess, unrelated to energy coverage)

• Accidental consumption of fat (lump of butter, bottom of the baking dish ...)

• Pancreatitis

Excess

continued

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Protein overcooked

• Low quality food • Incorrect preparation (meat boiled for hours, given in extremely high amount)

• Diarrhea by putrefaction of proteins (sulfur smell)

Minerals (food with more than 12% ash / dry matter)

• Low range food • Excessive bone consumption

• Constipation, hard + / - white stool • Zinc and copper secondary deficiency

Insoluble fiber (cellulose)

• High fiber diet (low calorie or light) provided to a young/growing pup • Animal sensitive to diets very rich in fiber

• Colitis • Constipation with high faecal volume

Soluble fiber (sudden intake of pectins, psyllium, FOS, lactulose)

• overdose or inappropriate dosage of nutritional supplements

• Diarrhea

Sugar (cats more sensitive than dogs)

• Tube feeding with unadapted diet or food designed for humans • Excess of lactose (unusual consumption over 40 ml of milk / kg body weight)

• Diarrhea

In any case, in order to provide a nutritional advice, and enhance the compliance of the owner, a good knowledge of habits of the animal and its owner, as well as a clinical and nutritional evaluation of the status of the patient must be considered. This requires a complete food history (Table 2), the assessment of the body weight, body condition score and optimal body weight of the animal. TABLE 2 - How and why food history? The idea is to ask the more questions to allow a proper assessment of nutritional status, and so provide the best feeding recommendations.

Question on

In order to

Individual characteristics • Species, breed, sex, sterilization, activity (habitual and current in case of change)

• Be able to estimate the nutritional need

• Bodyweight current / recent weight change (since when, any known cause?) / ideal weight (if different from current weight)

• Be able to estimate the energy requirement (always based on the optimal body weight)

The usual diet • Form (Dry/Moist/Home-made/any mix)

• Do not change the usual food shape / texture, except medical requirement, and in this case provide an explanation and a transition

• Label of petfood provided or specific name, if identifiable

• Estimate the energy density (kcal / g) and protein-to-energy ratio (P:ER gProt/1000 kcal) from the nutritional information

• Quantity consumed per day

• Deduce the approximate amount of calories (or other nutrients) consumed and confront it with the requirements (a mismatch is sufficient to explain weight loss, etc.).

• Number of meals

• Adapt the patterns to increase compliance

• Sides, treats, goodies ...

• Anything that is ingested into the digestive tract and may affect the clinical

The previous diets • Type of food already received in the past

• In case of suspicion of intolerance / allergy, take into account past experiences that may have been sensitizing

• Changes noticed as associated with clinical events

• Assist in the identification of risk situations

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To avoid the induction of a GI trouble, an cover properly the basic requirements of the animal, 4 questions have to be answered: • • • •

How much energy for this animal? Once the diet is chosen, how much diet (in grams) to cover this energy requirement? How many meals per day? How to change for this new diet (dietary transition)?

How much food? This effectively is to first ask how many calories to bring. It depends on: • the species, and the breed; • the optimal body weight; • the physiological status (age, sex, neutering, reproduction, etc.). • lifestyle (indoor / outdoor / activity); • pathology A change of weight is common in cases of gastrointestinal disturbance. It can have many causes. The first one is a mismatch between the amount of food (and energy) consumed and the caloric needs of the animal. It is essential to estimate, at least briefly, the energy requirement of the animal, and, given the energy density of the food and the quantity ingested, make sure it receives just enough.

Tables 3 and 4 allow this estimate by optimal weight and individual factors for dogs and cats.

TABLE 3A. Estimated Daily Energy Requirements (ER) of dogs ER (kcal / d) = MER x k1 x k2 x k3 x k4 (see under the table, next page for details of the coefficients). ER and MER (Maintenance Energy Requirements) are expressed in kcal metabolizable energy (ME) Optimal BW

Maintenance

MER

MER

MER x0.8 x0.8 x0.8

Optimal BW

Maintenance

MER

MER

(kg)

(MER)*

x0.8

x0.8 x0.8

2

219

175

4

368

5

(kg)

(MER)*

x 0.8

x0.8 x0.8

140

112

30

1508

1206

965

772

294

235

188

40

1827

1461

1169

935

435

348

278

223

50

2120

1696

1357

1085

10

730

584

467

374

60

2394

1915

1532

1226

15

950

760

608

486

70

2653

2123

1698

1359

20

1151

920

736

589

80

2901

2320

1856

1485

* MER = 130 x BW^0.75 up to 10kg, then MER = 156 x BW^0.67

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MER x0.8 x0.8 x0.8


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TABLE 3B. Conversion factors of maintenance energy requirement of dogs Breed

k1

Lifestyle

k2

Retriever

0.8

Sedentary or indoor walks on a leash

0.8

Nordic

0.8

Sedentary or indoor free walks >1h/d or outdoor activity once a wk

0.9

Spaniel, Bealge

0.9

Day in the garden / night inside(tempered climate): Normal

1

Greyhounds, Great Dane

1.1

Day in the Garden

to 1.2

+ interactions with dog or outdoor activity (bike, jogging)

1.1 to 1.2

Others

1

Others

1

Physiology

K3

Pathology

K4

Neutering

0.8

Weight loss

0.8

Gestation (5-9 wks)

1.1 to 1.5

Hypothyroidism, Cushing syndrome

0.8 to 0.6

Lactation

2 to 4

Osteosarcoma (before amputation, then k4 = 1)

1.2

Aged (same lifestyle)

0.9

Lymphoma

0.8

Growth

2 to 1.2

Other cancer

?

Others

1

Cachexia

1.1 to 2

TABLE 4. Estimated Daily Energy Requirements (ER) of the cat ER (kcal / day) = K x Optimal Body Weight (kg) x k2 x k3 x k4 The cat is:

K

• Intact adult

70

• The cat lives

• Female in Gestation

80 to 100

Lactation

200

• Growing kitten

k2

Indoor

0.8

Outdoor

1

Indoor/Outdoor

0.9

• The cat is also

K3

Neutered

0.8

• Pathology

K4

0 to 10 wks

250

10 to 20 wks

130

Weight loss

0.8 to 0.7

20 to 30 wks

100

Diabetes mellitus

1

30 to 40 wks

80

Lymphoma

0.8

60-70

Advanced cancer

1 to 2

• Aged (depending on activity)

Examples: • Bibi is an adult male neutered cat living indoor; his optimal BW is 4.5 kg. His ER is 70 x 4.5 x 0.8 (neutered) x 0.8 (indoor) = 202 kcal. • Bobo is a 6 month (24 weeks) old kitten weighing 3 kg. His ER is 3.5 x 100 = 350 kcal / d Bobo is neutered: its ER goes to 100 x 3.5 x 0.8 (neutering) = 280 kcal / d. In adulthood (about 10-12 months), Bobo weighs 4 kg, lives indoor, with access to a small balcony. His BE is 70 x 4 x 0.8 x 0.8 = 179 kcal/d. Obviously it is better to know the energy density of the food consumed by the animal. If this is not a food delivered by the clinic, with energy density shown on the sheets, it can be either asked to the manufacturer or estimated as follows (Table 5).

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TABLE 5. Table 5. Quick estimation of the energy density* (kcal/g) and calculation of the protein-energy ratio of a food for a dog or a cat from the mandatory label The method, based on the analytical composition mandatory the label is as follows: Label

Energy

Protein

24%

x 3.5 kcal/g

Fat

16%

x 8.5 kcal/g

Ash

9%

Crude fiber

3%

Moisture

9% Total

100 – total = Nitrogen free extract

71% 29%

Energy density of the food

x 3.5 kcal/g 321.5 kcal/ 100g = 3.21 kcal/g

Protein:Energy ratio = 24/321 * 1000 = 74g protein/Mcal ME * Warning: this is a simple method, easily applied. Other more complex and more accurate equations are available (NRC, 2006).

A dry food usually contains between 3.5 to 4 kcal per gram. A wet food, canned, pouch, tray, etc.. or homemade balanced diet contains between 0.75 and 1 kcal per gram.

On a prescription form:

………… Grams/day = ……… kcal/day / ………. kcal/gram ………… meals / day

Fasting and refeeding: see presentation Non Food responsive enteropathy

Address for correspondence: Animal Nutrition Expertise sarl, Antony, France E-mail gb@vet-nutrition.com - www.Cuisine-a-crocs.com

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69° CONGRESSO INTERNAZIONALE MULTISALA SCIVAC RIMINI 27-29 MAGGIO 2011

Biomechanics Barbara Bockstahler PD, DVM, FTA, CCRP, Vienna, Austria

Biomechanics is the application of mechanical principles to biological systems. This scientific field often uses traditional engineering methods to analyze the mechanics of living organisms. Early in the 19th century researchers started to investigate the biomechanics of living organisms. Especially the gait analysis underwent a rapid evolution within the last decades and the technological advances in computer assisted gait analysis enable the researchers to perform sophisticated kinetic and kinematic research in animals. In canine gait analysis, researchers usually focus on the following types of analyses: Kinematics is the science of describing the motion of objects. Kinematics therefore describe the movement of joints or segments in terms of the positions, accelerations, angles etc. in space. Therefore kinematical data can be used to evaluate the physiological and pathological gait, the function of the musculoskeletal systems or the effectiveness of medical or surgical treatments. Usually two- or three dimensional video assisted systems are used; obviously the threedimensional kinematic analysis provides the most accurate information. On the other hand, these analyses systems are very expensive and only highly specialized institutions are able to perform these analyses. Nevertheless, during the last 20 decades numerous studies have been performed to describe the gait of dogs and horses. Each of the joints describes a specially movement pattern during the gait cycle. The shoulder shows its highest extension at the transition between swing- and stance phase and its highest flexion in the middle of the swing phase. The elbow is in maximal extension at the transition between stance- and swing, maximal flexed during swing an again extended in the late swing and early stance. The carpal joint is like the other joints maximal flexed during swing. It starts the stance phase in extension and remains stable extended during the whole stance. The hip joint reaches its maximal flexion in swing and starts the stance phase in a flexed position. The maximal extension of the hip occurs at the end of the stance phase. The stifle joint is maximal extended at the end of the swing phase. This extension is slightly reduced during the stance phase, the maximal flexion occurs during swing. The hock shows its maximal extension at the transition of stance to swing and reaches a second extension maximum at the end of the swing phase.

In a kinematic study it was shown that in dogs with osteoarthritis of the hip the affected hip joint revealed an increase in extension and velocity at the end of the stance phase. The stifle showed an increased flexion throughout the stance phase and early parts of the swing phase; and the tarsal joint was more flexed during early stance as wells as in early and middle parts of the swing phase1. In another study2 investigators found additional kinematic variables such as a greater joint adduction, range of abduction-adduction and greater lateral pelvic movement, compared with controls. In dogs suffering from mild hip OA we found3 that the affect hip joint is earlier extended than in sound dogs, also the stifle joint shows an earlier extension. The hock shows a decreased and earlier extension of the hock in the late stance/early swing phase, an earlier flexion in the swing phase, an earlier extension at the end of the swing phase and a decreased flexion in stance phase.

KINETICS Kinetic-analyses are used to describe the forces which act during stance phase. Usually, the measurements are performed with the use of force plates. Three orthogonal forces can be described: vertical, medio-lateral and cranio-caudal. Different force plate systems are used: single ground mounted force plates, serial systems and treadmills with integrated force plates. Each of these systems has it unique advantages and disadvantages. But in summary, ground reaction forces are objective and reproducible data which are the “Gold standard” in orthopedic research. In dogs with OA of the elbow we could show that the load was reduced on the lame limb and increased on the contralateral hindlimb4. The naturally occurring osteoarthritis resulted in a compensatory gait pattern to reduce the stress on the affected limb. The load was reduced on the lame limb and increased on the contralateral hindlimb. The symmetry index indicated a weight-shift to the contralateral forelimb and diagonal hindlimb, which resulted in a more balanced weight distribution than in normal dogs. Dogs with induced lameness showed comparable but less pronounced alterations. These results suggested that forelimb lameness could lead to overload on non-affected extremities and the vertebral spine.

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In contrast in dogs with hip OA the load was shifted to the contralateral hind leg. Using Fourier analysis an subtle effect on the force-time patterns of the front legs was detected5.

In dogs with hip OA the biceps shows its maximum later than in sound dogs, the gluteus medius has a decreased maximal activity at the transition of stance to swing phase bit an increased activity in the early stance3. Lauer at al.9 investigated the hamstrings and the quadricpes during walking inclines/declines. In the beginning of the stance phase, activity of the hamstring muscle group was significantly increased when walking at a 5% incline versus a 5% decline. In the end of the stance phase, that activity was significantly increased when walking at a 5% incline versus at a 5% decline or on a flat surface. Activity of the gluteal and quadriceps muscle groups was not affected when treadmill inclination changed.

ELECTROMYOGRAPHY Electromyography (EMG) is a technique for evaluating and recording the electrical activity produced by skeletal muscles. For this purpose the use of e.g. needle or surface electrodes is possible. The use of needle EMG enables the exact measurement of the activity of a muscle but is an invasive method; in contrast the use of surface electrodes is noninvasive but can suffer from so called “cross-talks” which are generated by nearby muscles. Nevertheless it has been shown, that surface EMG is a sufficient method to describe the activity of muscles. Some studies have been performed using invasive needle EMG6. Using surface EMG, only two papers have been published78. The quadriceps shows a 2- peak activity pattern. The 1st maximum can be seen in the early stance together with the lift-off of the contralateral pelvic limb. At this time the weight bearing pelvic limb accepts the weight of the hindquarter and brakes forward movement. The 2nd peak occurs together with the ground contact of the contralateral pelvic limb. The muscle contributes to stifle extension and prevents flexion, leading to stabilizing effect during the stance phase7,8. The maximal activity of the biceps femoris is found at the transition of the swing in the stance phase, the lowest activity in the late stance9. The maximal activity of the gluteus medius is found at the transition stance/swing phase together with the maximal extension of the hip. A second peak can be seen at the beginning of the stance phase together with the start of the hip extension10.

Bibliografia 1. 2.

3. 4.

5.

6.

KINEMATICS DURING SPECIAL MOVEMENTS

7.

During stair up ambulation, dogs show an increased flexion of the stifle and the hock, the extension of the stifle is increased and occurs earlier than during normal walk. Walking stairs down results in an increased flexion of all joints of the hind legs and a decreased extension of the hip joint10. During Cavaletti work, we found, compared to normal walk a higher flexion of the hock and stifle as well an increased extension of the stifle joint. During incline (11%) we found an increased flexion of the hip and decreased extension of the stifle, going decline (11%) the hock is less extended than during level walking and the hip is less flexed.11 In dogs suffering from hip OA it was shown in a doctoral thesis that the hip joint showed a lower extension of the hip as well of the lame as the contralateral leg compared to sound dogs during walking declines. Walking incline we found a higher flexion of the lame side compared to the contralateral side. The stifle of the lame leg showed during incline walking a decreased extension and lower ROM. The hock of the lame leg revealed during cavaletti work an increased flexion and increased ROM12.

8.

9. 10.

11.

12.

Bennett RL, DeCamp CE., Flo GL, et al: Kinematic gait analysis in dogs with hip dysplasia. Am J Vet Res 57:966-71, 1996. Poy NS, DeCamp CE, Bennett RL, et al: Additional kinematic variables to describe differences in the trot between clinically normal dogs and dogs with hip dysplasia. Am J Vet Res 61, 974-978, 2000. Cordula Kräutler (2010), doctoral thesis. Bockstahler, B., Vobornik, A., Müller, M., & Peham, C. (2009). Compensatory load redistribution in naturally occurring osteoarthritis of the elbow joint and induced weight-bearing lameness of the forelimbs compared with clinically sound dogs. Veterinary journal (London, England: 1997), 180(2), 202-12. doi: 10.1016/j.tvjl.2007. 12.025. Katic, N., Bockstahler, B., Mueller, M., & Peham, C. (2009). Fourier analysis of vertical ground reaction forces in dogs with unilateral hind limb lameness caused by degenerative disease of the hip joint and in dogs without lameness. American journal of veterinary research, 70(1), 118-26. doi: 10.2460/ajvr.70.1.118. Goslow, G. E., Seeherman, H. J., Taylor, C. R., McCutchin, M. N., & Heglund, N. C. (1981). Electrical activity and relative length changes of dog limb muscles as a function of speed and gait. The Journal of experimental biology, 94, 15-42. Bockstahler, B. B., Gesky, R., Mueller, M., Thalhammer, J. G., Peham, C., Podbregar, I., et al. (2009). Correlation of Surface Electromyography of the Vastus Lateralis Muscle in Dogs at a Walk with Joint Kinematics and Ground Reaction Forces. Veterinary Surgery, 38(6), 754-761. doi: 10.1111/j.1532-950X.2009.00561.x. Lauer, S. K., Hillman, R. B., Li, L., & Hosgood, G. L. (2009). Effects of treadmill inclination on electromyographic activity and hind limb kinematics in healthy hounds at a walk. American journal of veterinary research, 70(5), 658-64. doi: 10.2460/ajvr.70.5.658. Elisabeth Levy (2010), doctoral thesis. Richards, J., Holler, P., Bockstahler, B., Dale, B., Mueller, M., Burston, J., et al. (2010). A comparison of human and canine kinematics during level walking, stair ascent, and stair descent. Veterinary Medicine, 97, 92 - 100. Kinematic motion analysis of the joints of the fore- and hind limbs of dogs during walking exercise regimens. Peter J. Holler, Verena Brazda, Barbara Dal-Bianco, Elisabeth LewyMarion C. Mueller, Christian Peham, Barbara A. Bockstahler (2010) in press. Bettina Prickler (2010), doctoral thesis.

Address for correspondence: Barbara Bockstahler Clinic for Surgery and Ophtalmology, Section for Physical Therapy and Movement Science Group Vienna, University of Veterinary Medicine, Vienna, Austria

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L’utilizzo del robenacoxib nel periodo intra e post operatorio di sterilizzazione, castrazione e mastectomia nel cane e nel gatto Paolo Bogoni Med Vet, Ghedi (BS)

a MST e ovarioisterectomia e il secondo composto da un soggetto già sterilizzato anni prima e da 3 sottoposti a MST bilaterale operate sulla seconda fila.

INTRODUZIONE Il controllo del dolore e dell’infiammazione nel periodo post operatorio, oltre ad essere un obiettivo etico al quale ogni medico deve mirare, previene una serie di complicazioni post operatorie potenzialmente pericolose. Infatti, con gradi diversi, la presenza di dolore e dell’infiammazione può portare a ritardi o interferenze nella cicatrizzazione delle ferite, aumento dell’ospedalizzazione, alterazioni comportamentali, anoressia/disoressia, aumento della frequenza cardiaca e respiratoria, abbattimento e scadimento delle condizioni generali. Tali condizioni si traducono nel peggioramento, magari temporaneo, dello stato di salute del nostro paziente e in un aumento delle cure e dei costi che i proprietari devono sostenere. Al contrario un buon controllo del dolore e dell’infiammazione oltre ad essere eticamente fondamentale aumenta la compliance del paziente e del proprietario aumentando, di fatto, la stima e la fiducia del proprietario nel medico veterinario. Lo scopo di questo studio è di riportare l’esperienza dell’autore circa l’uso del robenacoxib (Onsior®) nel periodo peri e post operatorio in cani e gatti sottoposti a interventi di routine, al fine di comprendere se l’uso di tale molecola è sovrapponibile all’esperienza fatta con altri antiinfiammatori non steroidei (FANS) disponibili in commercio.

Protocollo anestesiologico e analgesico Nei soggetti maschi la premedicazione è avvenuta mediante la somministrazione di un oppioide [butorfanolo o eptadone (EPT)] plus medetomidina (MDT) E.V. Nelle femmine da sottoporre a sterilizzazione elettiva l’EPT era sempre associato a MDT. Per le MST, in considerazione delle diverse categorie anestesiologiche (ASA) dei pazienti, l’EPT è stato utilizzato da solo o in associazione a MDT o ad acepromazina. L’induzione è stata eseguita con propofolo E.V. ed il mantenimento con una miscela di ossigeno e isofluorano. All’induzione e ogni 90 minuti di chirurgia è stato somministrata cefazolina sodica. Nei maschi è sempre stata eseguita un’analgesia loco-regionale utilizzando della lidocaina al 2% iniettata nel parenchima testicolare e sulla linea d’incisione. Nella gatta il fentanil è stato somministrato all’atto dell’incisione in singolo bolo, mentre nella cagna al bolo di carico è seguita un’infusione continua. In tutti i casi non è stato prescritto antibiotico nel periodo postoperatorio (PO) e solo nei soggetti sottoposti a MST l’analgesia PO è continuata mediante la somministrazione intramuscolo di una singola dose al risveglio e poi per via orale di buprenorfina cloridrato ogni 12 ore per 48-72 ore. A tutti i soggetti è stato somministrato nel periodo perioperatorio robenacoxib (2 mg/kg sc). Il momento di somministrazione (all’induzione vs al risveglio) è stato scelto dall’anestesista sulla base della pressione arteriosa rilevata. La terapia con robenacoxib è poi continuata per via orale nel PO (1mg/kg ogni 24 ore al pasto principale) per 4 giorni in caso di orchiectomia (ORC) del gatto e 7- 8 giorni nei rimanenti casi.

MATERIALI E METODI Sono stati inclusi in questo studio un totale di 75 pazienti da sottoporre a interventi elettivi di sterilizzazione/ castrazione e soggetti femmina di specie canina da sottoporre a mastectomia (MST) regionale o monolaterale. Nel caso di MST bilaterale la rimozione della fila contro laterale è avvenuta sempre con una seconda seduta chirurgica a distanza di 20-30 giorni dalla prima e i due interventi sono stati considerati come eventi distinti. Nel caso il soggetto fosse intero contestualmente alla prima MST si è sempre abbinata la sterilizzazione. Sulla base dell’intervento eseguito e della specie i pazienti sono stati suddivisi in 5 gruppi di 15 pazienti per un totale di 78 procedure chirurgiche, poiché 3 cagne sono state sottoposte a MST bilaterale. Il gruppo delle mastectomie è stato poi suddiviso in due sottogruppi: il primo costituito da 14 cagne intere sottoposte contestualmente

Protocollo di preparazione e tecniche chirurgiche Le tecniche chirurgiche utilizzate sono state: ORC a testicolo scoperto nel gatto con incisione unica sul rafe mediano dello scroto ed esecuzione di 2-3 nodi quadrati utilizzando il dotto deferente e i vasi spermatici annodati fra loro, ed ORC prescrotale o scrotale a testicolo coperto o scoperto nel cane ed ovariectomia standard (OVE) sia nella specie canina che felina. Nel corso di MST, se il paziente risultava

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intero, dapprima si eseguiva l’ovarioisterectomia e poi si eseguiva l’asportazione del tessuto mammario. In tutti i casi sono state utilizzate suture riassorbibili in materiale monofilamento. La sintesi della cute è avvenuta mediante sutura intradermica o con skin stapler (nelle mastectomie), mentre nel gatto maschio non sono state poste suture. Nelle mastectomie non è stato mai previsto l’uso di drenaggi ed è sempre stato applicato un bendaggio lievemente compressivo per 2-4 giorni PO.

non oltre 12 ore dalla chirurgia e deambulazione normale. Buono se almeno uno dei valori rilevati era oltre quelli stabiliti o se il soggetto era disoressico nelle 24 ore PO. Soddisfacente se i valori anomali erano due o se il soggetto era disoressico oltre le 24 ore PO. Sufficiente se i valori anomali erano tre. Insufficiente se i valori anomali erano quattro o se il soggetto era completamente anoressico dopo 12 ore PO o presentava sintomi gastroenterici. Nei controlli successivi si considerava Eccellente quando tutti i valori erano fisiologici, Buono se un valore era considerato anomalo, Soddisfacente se i valori anomali erano due, Sufficiente se i valori erano tre o se era presente, per le MST, una lieve raccolta sierosa e Insufficiente se i valori alterati erano quattro o se erano presenti sintomi riconducibili a SIRS o a infezione o se erano presenti raccolte sierose sottocutanee, di qualsiasi entità per interventi diversi dalla MST o per le mastectomie di entità tale da necessitare la centesi.

Valutazioni post-operatorie Nel periodo PO i soggetti venivano controllati il primo giorno PO (giorno 1), poi in terza, quinta e, con esclusione dei gatti maschi, in decima giornata. I parametri clinici considerati erano: temperatura corporea, tempo di riempimento capillare, colore delle mucose, dolorabilità addominale (valutata mediante palpazione), aspetto e dolorabilità a livello della ferita e presenza di raccolte sierose (spt. per le mastectomie). Ai proprietari è stato chiesto, per i primi quattro giorni, di monitorare la temperatura corporea e di annotare la ripresa dell’alimentazione spontanea, della normale attività fisica e la facilità o difficoltà di somministrare il robenacoxib. In giorno 1 è stato considerato Eccellente quando tutti i valori rilevati rientravano tra quelli da noi definiti nella norma. Per normalità si considerava temperatura sino a 39,1 °C, un lieve arrossamento limitato ai soli bordi della ferita, possibilità di eseguire la palpazione in assenza di dolore o solo con lieve fastidio, se il soggetto si era alimentato normalmente o si presentava disoressico

RISULTATI I risultati clinici rilevati dall’autore in prima giornata sono riportati nella tabella 1. In terza, quinta e decima giornata tutti i parametri clinici erano fisiologici. In nessun soggetto si è dovuto ricorrere all’uso di antibiotico-terapia nel PO, né sono stati registrati sintomi riferibili a SIRS o sono state rilevate raccolte sierose. I risultati riportati dai clienti sono riportati in Tabella 2.

TABELLA 1 Gruppo

Eccellente

Buono

Soddisfacente

Sufficiente

Insufficiente

ORC gatto

14

1

0

0

0

ORC cane

13

2

0

0

0

OVE gatta

14

1

0

0

0

OVE cane

14

1

0

0

0

MST primo gruppo

12

2

0

0

0

MST secondo gruppo

3

1

0

0

0

TABELLA 2 Gruppo

Alimentazione entro 12 h

Alimentazione entro 24 h

Ripresa normale attività entro 12 h

Ripresa normale attività entro 24 h

Assunzione spontanea del farmaco

Assunzione mascherata del farmaco

Assunzione forzata del farmaco

ORC gatto

15

0

15

0

10

4

1

ORC cane

14

1

15

0

14

1

0

OVE gatta

15

0

15

0

9

4

2

OVE cane

14

1

15

0

14

1

0

MST primo gruppo

13

1

13

1

13

1

0

MST secondo gruppo

4

0

3

1

3

1

0

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una sensazione di risparmio e di un miglior rapporto fra il costo per l’acquisto del farmaco ed il costo giornaliero della terapia.

DISCUSSIONE I limiti di questo studio sono principalmente costituiti dal numero esiguo dei pazienti e dal fatto che mancano dati raccolti in doppio cieco. Comunque i risultati ottenuti evidenziano che il robenacoxid riesce, al pari di altri FANS disponibili in commercio, a determinare un livello di analgesia e d’infiammazione tale da assicurare una qualità di vita PO ottima/buona e sovrapponibile a quella che il paziente aveva nella fase preoperatoria. I proprietari riportano come sensazioni positive la facilità di somministrazione del farmaco (anche nel gatto), la facilità di divisione delle compresse e il fatto che essendo le confezioni composte di sette compresse non si richiede l’acquisto di compresse “superflue” rispetto a quelle necessarie per la terapia PO, avendo in questo modo

La bibliografia, i dosaggi dei farmaci e i dati dettagliati raccolti nello studio sono disponibili su richiesta presso l’autore.

Address for correspondence: Paolo Bogoni c/o Ambulatorio Veterinario Bogoni & Pasotti Via Montegrappa 7/9, 25016, Ghedi (BS) Tel. 0309033105; mail: paolobogoni@alice.it

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Malattia parodontale e conseguenze sistemiche: dalla placca al cuore… e non solo Dea Bonello Med Vet, PhD, SRV, Dipl.EVDC, LP, Torino

umana che veterinaria. Nel cane, in particolare, è stata evidenziata l’associazione tra la gravità della parodontopatia (es. profondità delle tasche parodontali) e le anomalie istopatologiche a carico di organi come rene, miocardio e parenchima polmonare ed epatico9,10. Studi recenti hanno inoltre dimostrato come nel piccolo animale, oltre che nell’uomo, la malattia parodontale è associata a significative modifiche dei parametri sistemici di infiammazione (es. conta leucocitaria, proteina C reattiva), a conferma del suo impatto diretto sul carico flogistico generale11,12. Tale evidenza risulta peraltro supportata dal riscontro della regressione di questi parametri aspecifici di flogosi a seguito di terapia parodontale11. Scopo della presente comunicazione è quello di rassegnare le principali evidenze scientifiche che dimostrano l’associazione tra malattia parodontale e patologie sistemiche nel cane e nel gatto. L’obiettivo è quello di enfatizzare l’importanza della prevenzione e della cura delle malattie del cavo orale, a tutela dello stato di salute generale, del benessere e della qualità della vita dell’animale da compagnia13.

INTRODUZIONE Malattia parodontale o parodontopatia è un termine ad ombrello che comprende quelle condizioni infettivo-infiammatorie del cavo orale, dapprima localizzate alle gengive (gengivite), ma, se lasciate a sé, destinate ad interessare il parodonto dei denti (parodontite)1. Nella clinica dei piccoli animali, la malattia parodontale rappresenta il primo motivo di consulto veterinario, con una prevalenza superiore al 70% nei gatti e all’80% nei cani, specie dopo i 3 anni di età2,3. Da un punto di vista eziopatogenetico, un ruolo fondamentale è rivestito dalla placca dentale: un concentrato di circa 500 specie di batteri Gram+ e Gram-, che aderiscono al biofilm proteico che riveste lo smalto dei denti, e che rappresentano un vero e proprio focolaio latente di infezione. Infatti, se non quotidianamente rimossi attraverso le comuni pratiche di igiene orale, i batteri della placca aumentano di numero in modo incontrollato e, penetrando negli spazi gengivali profondi verso gli apici radicolari, incrementano anche il loro potenziale patogeno distruttivo. Una volta superate le risposte immunitarie difensive dell’organismo, si avvia un’infiammazione cronico-ricorrente, che progressivamente si estende a tutti i tessuti periodontali, legamento parodontale ed osso alveolare inclusi4. Gli esiti di questa “spirale di danno parodontale”5 sono innanzitutto locali. Gengiviti e parodontiti rappresentano, infatti, la prima causa della perdita dei denti nel cane e nel gatto, in seguito ai fenomeni di riassorbimento alveolare ed osteomielite generati dal perdurare della flogosi locale. Fino ad arrivare alle temibili complicanze di una malattia parodontale trascurata ed ormai irreversibile, come la frattura patologica della mandibola e le fistole oro-nasali6. Nell’arco di tempo, tipicamente lungo, che va dall’inizio di una gengivite alla caduta finale del dente, non è però un’eventualità improbabile che i batteri adiacenti ai capillari della mucosa orale entrino nel circolo ematico. La batteriemia che ne consegue è alla base dell’insediamento e della colonizzazione dei patogeni parodontali in organi lontani dalla cavità orale e, dunque, della loro potenzialità di avviare, specie nei soggetti anziani o defedati, infezioni sistemiche importanti, quali ascessi cerebrali, infezioni cardiache e polmonari7,8. Il nesso causale tra malattia parodontale e patologie sistemiche è oggi ampiamente dimostrato in medicina sia

MALATTIA PARODONTALE E RISCHIO CARDIOVASCOLARE Nel cane, specie di età geriatrica, è stato dimostrato che la malattia parodontale può aumentare il rischio di patologie cardiache come endocarditi, miocardiopatie degenerative, valvulopatie atrio-ventricolari e fibrillazioni atriali9,10,12,14. Nell’endocardite, in particolare, il rapporto causale con la malattia parodontale è avvalorato non solo dall’isolamento degli stessi batteri del solco gengivale a livello di valvole mitrali infette9, ma anche da studi epidemiologici su larga scala che hanno dimostrato la correlazione diretta tra gravità dell’infiammazione orale e danno cardiaco13. Circa i possibili meccanismi con cui la malattia parodontale può esporre al rischio di patologie cardiovascolari, sono stati invocati non solo l’effetto diretto della diffusione batterica dal cavo orale ai tessuti cardiaci, ma anche gli elevati livelli sistemici di mediatori pro-infiammatori (es. IL-1, IL-6) e pro-ossidanti (es. NO) che, iper-rilasciati dalle cellule della mucosa orale (es. mastociti), svolgono un ruolo anche nella genesi di cardiopatie di varia natura15-17.

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sulla genesi di stati infiammatori a carico di organi distanti dal cavo orale. Ma dimostrano altresì un contributo indiretto della malattia parodontale, anche in fase precoce, al carico infiammatorio sistemico, stante la capacità di gengiviti e parodontiti di determinare il rilascio massivo e prolungato di mediatori pro-infiammatori, pro-ossidanti e citolesivi, in grado di entrare in circolo e peggiorare danni a distanza già in atto. Infine, la quantità di evidenze a favore del nesso tra malattia parodontale e conseguenze sistemiche motiva fortemente il medico veterinario ad intraprendere la strada della cura, ma, soprattutto, della prevenzione delle malattie del cavo orale, come sistema di tutela dello stato di salute generale dell’animale. Si tratta di un percorso volto soprattutto a controllare/ritardare l’accumulo di placca e tartaro, sopprimendo gli effetti, locali e sistemici, della risposta infiammatoria secondaria a tale accumulo. Il metodo più efficace consiste sicuramente nell’abbinare alla periodica profilassi parodontale (detartrasi sopra- e sotto-gengivale e lucidatura dei denti) una costante prevenzione domiciliare. Realizzabile, quest’ultima, solo con il coinvolgimento e l’educazione dei proprietari riguardo le quotidiane norme di igiene e salute orale da riservare all’animale da compagnia: spazzolatura, possibilmente quotidiana, dei denti, controllo della dieta e della naturale masticazione, utilizzo di prodotti utili nel rallentare la deposizione della placca e/o nell’ottimizzare gli effetti di una saltuaria spazzolatura dei denti.

MALATTIA PARODONTALE E INSUFFICIENZA RENALE Esiste un vasto repertorio di evidenze che suffragano il ruolo della batteriemia cronica “low grade” associata alla malattia parodontale nella genesi di nefropatie infiammatorie come le glomerulonefriti, le nefriti interstiziali e le pielonefriti18. Nel cane, analisi istopatologiche hanno dimostrato che la parodontite si associa ad evidenti alterazioni strutturali sia del mesangio glomerulare (fibrosi) che dell’interstizio corticale9,10. Più di recente, uno studio clinico prospettico ha riportato la correlazione esistente tra gravità della malattia parodontale ed alterazioni degli indici ematici di funzionalità renale (es. BUN)11. Un’indagine retrospettiva su larga scala ha inoltre confermato nel cane l’associazione tra gravità della parodontopatia ed aumentato rischio di insufficienza renale cronica19. Il trattamento della malattia parodontale determinava inoltre una significativa riduzione percentuale (23%) del rischio di andare incontro ad azotemia associata alla nefropatia cronica19. Analoghi studi nel gatto sono attualmente in corso (Glickman LT, personal communication).

MALATTIA PARODONTALE E ALTRE MALATTIE SISTEMICHE Specificatamente nel cane, la batteriemia cronica “low grade” tipica della malattia parodontale è stata chiamata in causa nell’eziopatogenesi di disordini epatici di varia natura, dall’epatite9 alla colestasi intra- ed extra-epatica20. La cavità orale è peraltro considerata anche nell’animale da compagnia un vero e proprio reservoir di contaminazione batterica per il tratto respiratorio, con il rischio che, specie nei pazienti geriatrici e/o immuno-depressi, le malattie parodontali trascurate rappresentino un importante fattore di rischio per infezioni rino-faringee e broncopolmonari9,10.

BIBLIOGRAFIA 1. 2.

3. 4. 5. 6.

CONCLUSIONI

7.

Nel settore dentistico umano, una grande mole di dati, pubblicati durante gli ultimi 50 anni, sostanzia lo stretto legame esistente tra malattia parodontale e patologie sistemiche. Tant’è che di recente sono nati progetti specificatamente finalizzati allo studio sistematico dei rapporti esistenti tra parodontopatie, da una parte, e malattie a forte impatto socio-sanitario, come le cardiopatie, il diabete e le complicanze ostetriche (es. nascita di bambini pre-maturi e sotto peso), dall’altra (maggiori info su www.periomedicine.it). In Odontostomatologia veterinaria, nonostante le evidenze scientifiche siano più limitate, l’interesse per gli effetti oro-sistemici della malattia parodontale è molto forte ed in continua crescita. I dati precedentemente rassegnati comprovano, infatti, un effetto diretto (legato, cioè, alla disseminazione sistemica dei batteri) della parodontopatia

8. 9.

10.

11.

12.

70

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Occuparsi di Odontoiatria di base: cosa serve e quanto mi costa? Dea Bonello Med Vet, PhD, SRV, Dipl.EVDC, LP, Torino

ca, a cominciare dalla linea mediana4. Per prima cosa, la mobilità dentaria viene valutata con una scala da 0 a 3, premendo lievemente in direzione bucco-linguale sull’apice del dente. In seconda battuta, si procede alla misurazione della profondità delle tasche parodontali e delle perdita di osso a livello delle forcazioni, in base ad un punteggio da 0 a 3 della profondità di penetrazione della sonda in direzione buccolinguale. Nei pazienti felini, è necessario valutare anche la presenza di lesioni da riassorbimento, facendo passare la punta della sonda esploratrice sulla zona cervicale di ogni dente. Nei cani, le carie vengono invece solitamente individuate all’interno delle superfici occlusali del primo e secondo molare mascellare e dei molari mandibolari. Da indagare anche la presenza di abrasioni e/o attriti e di dentina terziaria o di riparazione, più o meno accompagnata da esposizione della polpa. La registrazione completa di tutti i dati raccolti nella scheda clinica odontostomatologica è una procedura che richiede pochi minuti, ma aggiunge valore alla qualità della prestazione odontoiatrica erogata5,6.

STRUMENTI DI BASE: SONDE PARODONTALI E DA ESPLORAZIONE Per eseguire un corretto esame intraorale, valutando in modo attento e completo tutti i denti e le loro strutture di sostegno (parodonto), la prima cosa da fare è dotarsi di attrezzature e strumenti idonei1. Solitamente, si utilizzano strumenti combinati, dotati di sonda parodontale da una parte, e di una da esplorazione (explorer) dall’altra2,3. La sonda parodontale ha una punta smussa ed è disponibile in diversi calibri millimetrati, in modo tale da misurare la profondità del solco gengivale e/o delle tasche parodontali. La sonda serve anche a registrare la distanza tra giunzione cementosmalto e margine gengivale, in caso di migrazione apicale di quest’ultimo e recessione della gengiva; come è indispensabile a valutare la migrazione coronale del margine gengivale libero, in caso di iperplasia gengivale. Questo tipo di sonda viene altresì utilizzata per valutare la mobilità dei denti, il sanguinamento gengivale e la perdita di osso nelle zone di forcazione, solitamente a carico dei denti pluriradicolati. Quella più comunemente utilizzata è la sonda Williams con tacche fino a 10 mm. In Medicina veterinaria si usano anche sonde UNC 15, graduate fino a 15 mm, e particolarmente utili per cani di grossa taglia o pazienti con tasche parodontali profonde; sonde Michigan “O”, il cui diametro molto stretto consente un inserimento più facile nel solco gengivale dei gatti; e sonde di Nabers a forma ricurva per valutare la perdita di osso nelle forcazioni. Le sonde explorer (es. Shepherd’s Hook, 11/12 ODU, Pig-Tail, Orban) vengono utilizzate per ispezionare la topografia della superficie dentaria. Dotata di punta estremamente tagliente e flessibile, questa sonda è in grado di trasmettere delle vibrazioni quando incontra accumuli di tartaro o difetti dentari di superficie come carie, esposizioni della polpa ed ipoplasia dello smalto. Le sonde da esplorazione sono altresì utilizzate per valutare l’esito finale di alcune procedure odontoiatriche conservative (es. restauro dei margini) o la levigatezza della superficie dentaria dopo detartrasi e lucidatura dei denti.

CURETTAGE PERIODONTALE A partire dagli anni Ottanta, gli ultrasuoni rappresentano anche in medicina veterinaria il primo strumento per l’ablazione di placca e tartaro (curettage periodontale). Conoscerne il funzionamento è la base per saperli usare con perizia e sicurezza. Gli ablatori più comuni vengono suddivisi in sonici ed ultrasonici, a seconda della frequenza impiegata7. In generale, gli apparecchi ad ultrasuoni convertono l’energia elettrica in energia meccanica tramite un trasduttore che, a sua volta, produce delle vibrazioni della punta dell’apparecchio stesso comprese tra 18.000 e 36.000 cicli per secondo. Poiché il trasduttore elettrico produce anche calore, un sistema di raffreddamento ad acqua affianca sempre il manipolo e l’inserto a punta. Quando il flusso d’acqua attraversa la punta lavorante, si crea una cavitazione di minute bollicine d’aria: fenomeno per cui le particelle d’aria presenti all’interno dell’acqua di raffreddamento implodono e liberano energia sotto forma di onde d’urto nel liquido, che a loro volta favoriscono la disgregazione del biofilm batterico. Le punte ultrasoniche creano anche una turbolenza acustica (streaming), con ulteriore effetto disgregante su placca e tartaro. Esistono degli ablatori ad ultrasuoni che consentono la

VALUTAZIONE DEI DENTI E DEL PARODONTO I denti ed il parodonto vanno valutati, sia visivamente che con l’utilizzo di sonde, per ogni singolo quadrante della boc-

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contemporanea infusione di soluzioni di chemioterapici, con il risultato di ottenere, oltre alla detartrasi, anche una riduzione più accentuata delle tasche parodontali. Importante tenere sotto controllo il volume e la temperatura dell’acqua, per evitare effetti indesiderati come la necrosi pulpare8. L’uso dell’acqua durante le manovre parodontali deve inoltre essere accompagnato da misure precauzionali, volte a proteggere da inquinamenti batterici (aerosol) sia gli operatori che il paziente: disinfezione pre-intervento della bocca del paziente, protezione e lubrificazione dei suoi occhi per impedire la contaminazione batterica ed evitare ulcere corneali, uso di guanti, occhiali o maschere di protezione. La misura di sicurezza più importante durante le procedure parodontali rimane comunque intervenire su pazienti intubati, al fine di evitare temibili complicanze extra-orali (es. polmonite da aspirazione)9.

LUCIDATURA DEI DENTI Lo stadio finale del trattamento parodontale è la lucidatura dei denti, finalizzata a rimuovere qualsiasi residuo di placca o colorazioni esterne, nonché levigare le rugosità, anche microscopiche, dei denti. Per evitare di surriscaldare il dente e creare danni termici alla polpa, è necessario utilizzare il manipolo alla velocità più bassa possibile e con rotazione costante solitamente intorno ai 2000-3000 rpm (rivoluzioni al minuto). La coppetta contenente la pasta abrasiva deve essere passata per pochi secondi su tutte le porzioni del dente precedentemente trattate con l’ablatore ad ultrasuoni. Durante le procedure di detartrasi e lucidatura dei denti, è necessario proteggere gli occhi sia del medico veterinario che del paziente, oltre che aver cura di usare guanti e maschera, e controllare periodicamente la cuffia endotracheale dell’animale intubato. Una misura cautelativa potrebbe essere quella di posizionare una garza o un pezzetto di spugna nella parte posteriore della gola, in modo tale da creare un filtro al passaggio di batteri e/o residui di varia natura. Chiaramente, risulta necessario ricordarsi di rimuovere il filtro alla fine della procedura di profilassi parodontale.

ABLATORI AD ULTRASUONI Gli ablatori ad ultrasuoni usati in Odontoiatria sono di due tipi: magnetostrittivi e piezoelettrici, tra loro diversi per la direzione del movimento della punta lavorante ed il tipo di trasduttore impiegato per generare le vibrazioni. I trasduttori degli ablatori piezoelettrici sono dischi di ceramica o cristalli di quarzo che determinano un movimento lineare delle punte; per questo, la loro azione si esercita solo sulle due superfici laterali. Grazie alla proprietà di “magnetostrizione” (proprietà dei materiali ferromagnetici di modificare le proprie dimensioni se sottoposti a campi magnetici), il trasduttore degli ablatori magnetostrittivi consente alla punta lavorante di compiere movimenti ellittici od orbitali, che raggiungono tutte le superfici da trattare. La scelta del tipo di ablatore e di punta dipende dalla localizzazione dei depositi di placca/tartaro, piuttosto che dagli obiettivi desiderati (semplice rimozione della placca, detartrasi di imponenti quantità di tartaro, levigatura radicolare). Le punte fini impiegate per un miglior accesso a tasche parodontali profonde o forcazioni hanno un diametro di circa 30°-40° più stretto rispetto a quelle standard utilizzate per la detartrasi. La punta dello strumento si adatta lateralmente al dente e viene mossa ripetutamente in modo tale da toccare ogni mm2 della superficie dentaria. Attenzione a non imprimere pressioni eccessive laterali che potrebbero ridurre le vibrazioni e, dunque, la loro efficacia. L’angolo tra la punta ed il dente deve essere mantenuto < 15° e la punta deve rimanere sempre in movimento. In considerazione del minor impegno manuale per il professionista e dell’accorciamento dei tempi dell’anestesia per il paziente, l’ablazione ad ultrasuoni si configura come la metodica d’elezione per le procedure di curettage del paziente odontoiatrico veterinario.

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Collasso bronchiale e broncomalacia Enrico Bottero Med Vet, Cuneo

Per broncomalacia (BM) s’intende un indebolimento congenito o acquisito della parete dei bronchi che collabisce con gli atti del respiro. Essa è dovuta ad una debolezza intrinseca degli anelli cartilaginei che diventano meno rigidi e meno competenti da un punto di vista funzionale (AdamamaMoraitou et al. 2010). Se è presente contemporaneo coinvolgimento di trachea e bronchi si parla di tracheobroncomalacia (TBM) (Carden et al., 2005). In medicina umana la TBM è definita come una condizione nella quale l’indebolimento delle pareti tracheali e bronchiali è dovuto ad un indebolimento della cartilagine di supporto e ad un’ipotonia degli elementi fibroelastici (Baxter JD, 1963; Nuutinen, 1976). Come risultato di questo processo la trachea e i bronchi principali perdono la loro usuale rigidità e le pareti delle vie respiratorie si avvicinano; questo comporta una riduzione del lume respiratorio e causa uno stato continuo o intermittente di dispnea, difficoltà nella clearance delle secrezione, tosse, bronchiti ricorrenti, polmoniti (Murgu D., 2006). L’eziologia della BM non è chiara: infiammazioni e infezioni potrebbero avere un ruolo determinante o potrebbero essere una conseguenza della broncomalacia (Adamama-Moraitou et al., 2010). Negli animali giovani con ostruzione delle vie aeree superiori, ad esempio nei cani con sindrome bachicefalica, che causano un’alterazione delle pressioni e delle resistenze al flusso, si può avere una perdita di rigidità delle vie aeree di minor calibro (Marolf et al., 2007; De Lorenzi et al., 2009). La frequente e contemporanea presenza di BM e collasso tracheale potrebbero far ipotizzare che le medesime alterazioni strutturali ed istologiche siano presenti in entrambe le condizioni patologiche. Ad esempio la diminuzione dei glicosaminoglicani e dell’acqua, la presenza di matrice amorfa carente in condrociti ed a trama porosa e la presenza di fibre cartilaginee più piccole sono alterazioni rilevate in corso di collasso tracheale. Ad oggi non esistono studi esaustivi che abbiano indagato tali anomalie in corso di BM. Anche in medicina umana questo tipo di studi ha portato a conclusioni non definitive ed il termine broncomalacia ha racchiuso e racchiude condizioni considerate, attualmente, differenti da un punto di vista fisiopatologico e clinico. Viene definito eccessivo collasso dinamico delle vie aeree (EDAC) una condizione in cui la riduzione del lume bronchiale è secondaria all’invaginamento della membrana bronchiale posteriore, mentre la bronco malacia è riferita ad un indebolimento e collasso della struttura cartilaginea dei

bronchi. Esistono poi diverse sottocategorie nell’ambito di queste definizioni sia su base morfologica che fisiopatologica. In medicina veterinaria la bronco malacia nel cane è stata riportata solo recentemente come un’entità clinica isolata (Johnson and Pollard, 2010), ma molto poco si conosce circa l’epidemiologia, gli aspetti clinici e clinico patologici associati. Questa condizione può essere associata o meno al collasso tracheale. La broncomalacia è un disturbo comune, seppur poco conosciuto, nei pazienti anziani con problemi respiratori. L’incidenza della BM nel cane sembra essere maggiore della tracheobroncomalacia acquisita negli adulti in medicina umana (<5%) (Jokinen et al., 1977) e della tracheobroncomalacia congenita nei bambini (34%) (Master et al., 2002). Dai pochi studi condotti in letteratura emerge che la BM può colpire cani di qualsiasi razza (Johnson and Pollard, 2010) e sesso; anche se tipicamente si rileva in cani anziani di piccola e media taglia, in sovrappeso o obesi. I cani con broncomalacaia appartengono quindi alla stessa nicchia epidemiologica dei pazienti affetti da collasso tracheale e da patologia mitralica geriatrica. La tosse è il principale sintomo della BM, tipicamente si rileva una tosse profonda e ad accessi, ma la presentazione può essere variabile in base alle patologie bronco-polmonari concomitanti. Gli autori presumono che molti pazienti in cui la tosse viene considerata e trattata terapeuticamente come conseguenza della cardiopatia, siano in realtà affetti da patologie respiratorie e seganatamente da BM. La radiografia viene considerata un metodo diagnostico poco sensibile per la broncomalacia sia in medicina umana (Finder, 1997; Austin and Ali, 2003) che in medicina veterinaria (Johnson and Pollard, 2010; Adamama-Moraitou et al., 2010). Non esiste un quadro radiografico patognomonico di BM e la frequente associazione della BM con altre patologie delle vie aeree o del parenchima polmonare esita in un ampio range di pattern radiografici possibili. La broncoscopia rappresenta il gold-standard per la diagnosi di collasso tracheale e bronco malacia sia nell’uomo che nel cane. Non esistono però né un metodo di classificazione né un metodo di stadiazione endoscopica della broncomalacia nel cane. Nel lavoro di Johnson e Pollard del 2010 il collasso delle vie aeree viene identificato come una riduzione maggiore al 25% del diametro bronchiale statico o dinamico e vengono indicati i singoli bronchi colpiti. De Lorenzi invece nel suo lavoro sui cani con sindrome brachicefalica che presentano collasso bronchiale statico individua

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Figura 1 - Collasso dinamico di due bronchi sub-segmentari.

Figura 2 - Collasso statico di un bronco lobare.

tre gradi di collasso in base alla riduzione del lume bronchiale rispettivamente del 30, 60 e 100% del diametro. L’obiettivo preliminare di questo lavoro è di descrivere una serie di pazienti affetti da BM, caratterizzandone meglio l’aspetto clinico, epidemiologico ed endoscopico. In futuro la valutazione del follow-up e dell’esame istopatologico dei polmoni affetti da BM avranno come obiettivo una migliore conoscenza dell’eziologia, della fisiopatologia, della prognosi e della risposta alla terapia. Vengono valutati 59 pazienti, scelti nell’ambito di 102 soggetti sottoposti a endoscopia delle vie aeree per tosse cronica nel periodo compreso tra Ottobre 2009 e Dicembre 2010. Questo primo dato è già significativo in quanto evidenzia una prevalenza del 57,8% della BM nell’ambito dei pazienti affetti da tosse cronica, il cui iter diagnostico porta all’esecuzione di un approfondimento endoscopico. Per tutti i soggetti vengono raccolti: segnalamento, anamnesi ambientale, anamnesi clinica, riscontro radiografico, esame emocromocitometrico, profilo biochimico di base, valutazione delle funzionalità cardiaca, presenza e stadiazione del collasso tracheale, quadro endoscopico e follow-up a 3 e 6 mesi (quando possibile). Quando presenti vengono inseriti anche i dati relativi a malattie infettive ed i risultati del lavaggio bronco-alveolare. La tosse è stata classificata sia come durata che come gravità in 4 classi. La durata è stata divisa da 2 a 3 mesi, da 3 a 6 mesi, da 6 mesi ad un anno e a più di un anno. La gravità è stata classificata come moderata con accessi, grave, grave ad accessi e grave in peggioramento. La valutazione endoscopica prevede la distinzione in due grandi categorie macroscopiche e cioè: collasso dinamico e collasso statico. Il collasso dinamico consiste in una diminuzione del diametro bronchiale solo durante gli atti espiratori e conseguentemente durante la tosse. Il collasso statico consiste in una riduzione costante del lume bronchiale che non viene influenzata o viene al limite peggiorata durante l’espirazione e/o la tosse. Il collasso statico viene caratterizzato per gravità in tre gradi. Grado 1: Diminuzione del diametro non superiore al

25%, grado 2: diminuzione del diametro del 50%, grado 3: diminuzione del diametro uguale o superiore al 75%. Il collasso dinamico, anche definito EDAC (excessive dynamic airway collapse) viene classificato per gravità in 3 gradi: GRADO I: Diminuzione del diametro in fase dinamica inferiore o uguale al 50% del lume bronchiale. GRADO II: Diminuzione del diametro in fase dinamica superiore al 50%, senza che ci sia contatto della mucosa della porzione bronchiale dorsale e ventrale, GRADO III: Diminuzione del lume superiore al 50% con costante contatto della mucosa della porzione bronchiale dorsale e ventrale. Per entrambe le tipologie di collasso viene classificata anche l’estensione: Estensione A: alterazioni presenti in 3 o meno di 3 bronchi. Estensione B: alterazioni presenti in almeno 3 fino a 5 bronchi. Estensione C: alterazioni presenti in più di 5 bronchi. Se il collasso dinamico o statico è presente in almeno 2 bronchi lobari l’estensione viene sempre classificata come C. Tutti questi dati vengono valutati statisticamente.

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Indirizzo per la corrispondenza: Enrico Bottero - E mail: botvet@alice.it

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Dental Tricks: piccoli trucchi e strategie per offrire un servizio odontoiatrico nella tua pratica di base Fabrizia Canepa Med Vet, Novara

Dea Bonello Med Vet, PhD, SRV, Dipl EVDC, LP, Torino

di dire una sola parola, cerchiamo di usare al massimo quelle espressioni posturali e del viso che rendano chiaramente al proprietario le nostre impressioni. Se siamo attrezzati, trasferiamo sul monitor del computer alcune foto intraorali del paziente, in modo da mostrare la situazione al proprietario e coinvolgerlo visivamente, facilitando la comprensione di quello che stiamo spiegando. A tal fine, può rivelarsi molto utile anche lasciare del materiale (un opuscolo ad esempio), che illustri le principali malattie del cavo orale, e che il proprietario possa leggere con calma una volta tornato a casa1,2.

INTRODUZIONE Nella gestione efficiente di una struttura veterinaria si devono individuare nuovi servizi da offrire alla clientela. Per proporre il nuovo servizio è consigliabile seguire alcuni criteri generali: si renderà necessario creare, o rendere manifesto, il bisogno con materiale informativo. Sarà altresì necessario valutare gli aspetti pratici del nuovo servizio, istruendo sia i collaboratori che il personale, ed esaminando gli aspetti economici. Questi includono i costi di avvio e il previsto ritorno economico dell’investimento.

IL PUNTO DI VISTA DEL PROPRIETARIO GUADAGNARE LA COMPLIANCE DEL PROPRIETARIO

È importante prendere in considerazione il punto di vista del proprietario: gli stimoli che determinano l’esigenza di usufruire di un servizio (sentito dire, pubblicità, input dati dal veterinario); raccolta delle informazioni (possibili alternative alle proposte del vet, prezzi, rapporto qualità/prezzo) e loro valutazione. Soprattutto in fase di avviamento del programma dentale, proponiamo una visita odontoiatrica gratuita, oppure uno sconto sulla prima visita3-5.

La nostra professione di Veterinari è per certi versi paragonabile a quella dei Pediatri, nel senso che entrambi i professionisti interfacciano il proprio paziente tramite la mediazione obbligatoria di un terzo: il proprietario per noi Veterinari; il genitore per il Pediatra. Come ben sappiamo, questo “elemento in più” è assolutamente cruciale per il successo di qualunque procedura, terapia o consiglio scaturisca da una nostra visita. Se ciò è vero per tutti i settori della Medicina Veterinaria, in odontoiatria assume un’importanza assolutamente cruciale. Guadagnare e mantenere la compliance del proprietario è allora il primo obiettivo da perseguire.

LA COMPLIANCE … DOMICILIARE Qualunque sia la diagnosi e la terapia che avremo indicato, non potremo certo ignorare l’importanza di tutte quelle procedure cosiddette domiciliari, assolutamente necessarie al buon esito della terapia, e la cui responsabilità grava totalmente sulle spalle del proprietario. Molta parte del successo della terapia e del benessere del nostro paziente dipendono proprio dalla compliance del proprietario. Prendiamo il tempo che serve per spiegare cosa significhi in termini pratici, di impegno e di costanza la parte domiciliare del piano terapeutico, sia essa la spazzolatura quotidiana o qualunque altro intervento che veda il proprietario nella veste di dispensatore delle cure necessarie6-8. Impariamo a tarare i nostri consigli rispetto alle sue caratteristiche e a quelle del paziente8 e non dimentichiamo di fissare il successivo appuntamento.

COMUNICARE BENE È importante imparare a comunicare nel miglior modo possibile: con le parole, certo, ma anche con il tono di voce, la gestualità, la mimica facciale, e, non ultima, la capacità di restare in silenzio, quando serve. Facciamo un esempio. Nell’aprire la bocca di un paziente ci troviamo davanti ad un imponente accumulo di tartaro, un arrossamento zonale delle gengive intorno ai premolari inferiori, il canino superiore sinistro rotto ed un alito assolutamente insopportabile. Prima

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Avendo riscontro positivo si passa alla seconda fase, che comporta: (1) istruire i colleghi e il personale della clinica adottando approcci e strategie comuni; (2) occuparsi della redazione di opuscoli, starter kit; (3) programmare visite preventive gratuite; (4) offrire a tutta la clientela il nuovo servizio; (5) analizzare i costi di partenza (acquisti dell’apparecchiatura, metodi di pagamento, ecc); (6) decidere quale livello di servizio offrire. Gli ostacoli nell’offrire un servizio di qualità sono da ricercare principalmente nell’inadeguato training, nella mancata individuazione delle patologie dentali, in attrezzature inadeguate o nei limiti dello staff nella comunicazione/offerta/diagnosi. Dopo sei mesi dall’inizio del servizio ne valuteremo il risultato con schede di soddisfazione cliente appositamente approntate.

SUPERARE LE PAURE Tre sono le principali paure da superare, per cominciare ad occuparsi con successo di odontoiatria. 1. Non temiamo di affrontare un piccolo investimento per acquistare o migliorare l’attrezzatura occorrente. 2. Non temiamo di suggerire un controllo odontoiatrico ai clienti 3. Non abbiamo paura di perdere tempo prezioso impegnandoci di odontoiatria. È un guadagno, non un perdita4!

PREPARARSI BENE E FARE UNA SCELTA DI LIVELLO Per entrare nel settore dell’odontoiatria è necessario attrezzarsi per offrire un servizio di elevata qualità. Per far questo, bisogna innanzitutto curare la propria preparazione. Gli studi universitari, purtroppo, non aiutano in tal senso. Sarà, dunque, necessario individuare gli strumenti più idonei di educazione e aggiornamento (corsi, stage, ecc…). Altro elemento decisivo è individuare con chiarezza il livello di offerta per il quale ci si vuole preparare, ricordando che esistono 3 possibili livelli di prestazione odontoiatrica: (A) Livello base = pulizia dei denti (detartrasi e lucidatura) e qualche facile estrazione. Bastano attrezzature specialistiche di base (es. ablatore ad ultrasuoni e micromotore), ricordandosi, però, che l’indagine radiografica è sempre necessaria per diagnosticare correttamente le lesioni dentali. (B) Livello intermedio = esecuzione di diagnosi più accurate (radiologia intraorale), trattamento di parodontopatie complesse, estrazioni chirurgiche complicate e gestione dei traumi maxillo-facciali più semplici. (C) Livello avanzato = prestazione altamente specialistica (chirurgia maxillo-facciale, anche oncologica, endodonzia e protesi). Se non si è estremamente motivati ad acquisire questo tipo di competenze, è consigliabile riferire i casi più complicati agli specialisti di zona4.

CONCLUSIONI Nel nostro Paese, l’odontoiatria veterinaria è un settore ancora agli esordi. Per questo è destinato a crescere nei prossimi anni e sarà foriero di soddisfazioni per tutti coloro che, con costanza, impegno ed un piano strategico ben chiaro, vorranno dedicarsi a questa neonata disciplina. La sensibilità del proprietario nei confronti della salute e dell’igiene orale, oggi è forse più alta della nostra stessa sensibilità di professionisti, anche alimentata dall’importante sforzo messo in atto in questi ultimi decenni dai nostri colleghi di medicina odontoiatrica umana. Usiamo bene questo volano e traduciamolo in una opportunità di crescita professionale e, perché no, anche economica.

BIBLIOGRAFIA 1. 2. 3. 4. 5.

AVVIO DI UN NUOVO SERVIZIO Quando si decide di far partire un nuovo servizio odontoiatrico bisogna stabilire una successione di eventi: (1) decidere gli obiettivi istruendo lo staff e informando i clienti; (2) spiegare che il nuovo servizio è un valore aggiunto per l’animale da compagnia; (3) adottare tra i collaboratori un unico tipo di comunicazione; (4) selezionare la clientela e il target o decidere di proporre il servizio a tutti; (5) preparare il lancio del servizio; (6) promuovere il servizio, ad esempio con “starter kit”. Possiamo valutare l’interesse della clientela nei confronti della pratica odontoiatrica con schede per conoscere l’interesse dei clienti.

6.

7. 8.

Camilo P, (2011), Open wide: Getting clients to "YES", FirstLine, DVM360.com, Feb: 26-29. Bellows J, Camilo P, (2010), 7 ways to promote dental care compliance, DVM Newsmagazine, Oct: 2S-4S. Stewart P, (2009), Pearly white profit, Vet Economics, Feb: 24-32. Stewart P, (2010), Drill team, FirstLine, Feb: 12-14. Roudebush P, Logan E, Hale FA, (2005), Evidence-based veterinary dentistry: a systematic review of homecare for prevention of periodontal disease in dogs and cats, J Vet Dent, 22:6-15. Ward E, (2010) Did you brush your teeth? Strategies for compliance and follow-up dental care, 19th European Congress of Veterinary Dentistry, Nice. Bonello D, (2010), La visita dentistica nel cane, Prof Vet, 10: 11. Harvey CE, (2005), Management of periodontal disease: understanding the options, Vet Clin North Am Small Anim Pract, 35: 819-836.

Indirizzo per la corrispondenza: Dea Bonello - E-mail: dea.bonello@alice.it Fabrizia Canepa - E-mail: clinicasanmartino@gmail.com

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Tecniche chirurgiche per il trattamento delle patologie surrenali del furetto domestico Vittorio Capello Med Vet, Dipl ECZM (Small Mammal), Dipl ABVP (Exotic Companion Mammals), Milano (I)

La sindrome relativa alle patologie delle ghiandole surrenali è un evento piuttosto frequente nell’ambito della medicina del furetto domestico. Il trattamento chirurgico rappresenta l’opzione terapeutica causale, ed è spesso messo in atto in concomitanza con la terapia medica.

ghiandola surrenale sinistra patologica può essere di dimensioni notevoli, adesa al polo craniale del rene omolaterale. La ghiandola surrenale destra è situata in posizione craniomediale rispetto al rene omolaterale, caudale al lobo caudato del fegato, e dorsomediale alla vena cava caudale, adiacente alla parete della vena cava stessa. Sebbene non sia avvolta da tessuto adiposo, la visualizzazione diretta può essere difficile o incompleta per via della posizione parzialmente dorsale alla vena cava caudale, che la nasconde parzialmente o completamente alla vista. L’ispezione completa prevede una delicata retrazione o spinta in posizione lateroventrale rispetto alla vena cava, vale a dire -considerando la posizione del paziente in decubito dorsale- verso l’alto in direzione della vista del chirurgo. Questa manovra, in genere eseguita con la punta del dito indice, consente anche la palpazione della ghiandola. L’omissione di questa manualità può determinare una valutazione incompleta e sottostimata della ghiandola surrenale destra, sia in termini di dimensioni, forma e consistenza; sia per la scelta della tecnica chirurgica più adeguata. Durante l’ispezione laparotomica è possibile reperire tessuto surrenalico ectopico. Quando presente, è praticamente impossibile individuare aree microscopiche di tessuto normale, tuttavia noduli di tessuto patologico separati dalla ghiandola possono essere facilmente identificati. In questo caso, non devono essere confusi con la ghiandola vera e propria, e i punti di repere della surrenale destra rappresentano un valido aiuto dal punto di vista topografico. L’ispezione laparotomica può riguardare altri organi addominali (fegato, pancreas, intestino, linfonodi, prostata) e prevedere altre manualità chirurgiche, a seconda del singolo paziente. Al termine delle manualità chirurgiche, la parete addominale e i tessuti molli superficiali sono suturati secondo routine.

LAPAROTOMIA ESPLORATIVA E TERAPEUTICA Poiché le patologie delle ghiandole surrenali sono spesso associate ad altre malattie concomitanti, un corretto esame ispettivo della cavità addominale in toto previa laparotomia è molto importante ai fini del trattamento chirurgico. L’approccio tradizionale ventrale mediante incisione della linea alba rappresenta la prassi chirurgica per questo tipo di intervento. In caso di intervento esplorativo completo l’incisione addominale deve essere ampia, estesa dall’appendice xifoidea dello sterno, alla regione pubica. La visualizzazione e l’esposizione sono molto importanti sia per l’ispezione completa della cavità addominale, sia per le manualità chirurgiche di surrenectomia, in modo particolare a destra. Il “Lone Star Retractor”® è un divaricatore estremamente versatile, efficace, e facile da usare. È piuttosto leggero poiché è costituito di materiale plastico completamente autoclavabile. Le ghiandole surrenali normali sono di forma ovoidale, poco più grandi di un chicco di riso. L’asse maggiore misura circa 5-8 mm, e l’asse minore 2-3 mm. Il colore normale è rosa pallido, e la superficie è liscia e regolare. La ghiandola surrenale di sinistra è normalmente avvolta dal tessuto adiposo perirenale, e può essere difficile o impossibile da visualizzare direttamente. Le ghiandole surrenali patologiche sono spesso aumentate di volume, e presentano forma e superficie irregolari. Il colore può essere rosa più intenso tendente al rosa salmone o al giallo; più rotondeggianti, più dure alla palpazione, e circondate da un supporto vascolare più evidente. Alcune di esse possono presentare pigmentazione scura, e/o cisti macroscopicamente visibili. È molto importante ricordare che non tutte le ghiandole surrenali patologiche sono aumentate di volume, e sebbene alcune di esse protrudano attraverso il tessuto adiposo perirenale, in molti casi è necessaria un’accurata dissezione del grasso stesso per una visualizzazione corretta. In alcuni casi la

CONSIDERAZIONI GENERALI IN MERITO ALLA SURRENECTOMIA In letteratura sono descritte diverse tecniche chirurgiche per l’escissione delle ghiandole surrenali. Tuttavia, non sono disponibili studi clinici relativi alla comparazione degli esiti post-chirurgici, a possibili complicanze, e ai tempi di sopravvivenza. Nella maggior parte dei casi, la scelta della

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tecnica dipende dalla valutazione e dall’esperienza del chirurgo. Altri elementi molto importanti sono rappresentati dagli strumenti chirurgici disponibili, e dalla consapevolezza e accettazione del livello di rischio chirurgico da parte del proprietario. L’escissione chirurgica completa rappresenta l’unica terapia causale. Tuttavia, l’asportazione chirurgica parziale (subtotale) della ghiandola surrenale destra può essere presa in considerazione nei casi in cui si sospetti o sia evidente l’interessamento della vena cava; oppure per prevenire possibili crisi addisoniane conseguenti ad ipoadrenocorticismo iatrogeno. Mentre nelle altre specie animali la surrenectomia totale bilaterale richiede la somministrazione cronica di steroidi, nel furetto questa necessità non è certa. Segnalazioni aneddotiche di escissione totale non seguite da ipoadrenocorticismo anche senza somministrazione di steroidi suggeriscono una possibile escissione subtotale, metastasi locali attive dal punto di vista ormonale, o presenza di tessuto surrenalico ectopico. Oltre all’utilizzo di divaricatori leggeri e versatili, sono essenziali alcuni altri strumenti e materiali: occhialini per l’ingrandimento della visione, strumenti chirurgici molto piccoli, clip emostatiche e applicatore dedicato; pinze vascolari e garze ad azione emostatica a base di cellulosa ossidata. Per eseguire l’occlusione temporanea della vena cava caudale in corso di surrenectomia destra, le pinze vascolari sono preferibili a quelle emostatiche. La pinza vascolare di Satinsky è applicata temporaneamente alla vena cava caudale attorno alla ghiandola surrenale. Tecniche particolari possono richiedere altri materiali, quali gli anelli ameroidi.

ghiandola surrenale destra, il sottile legamento epatorenale viene scontinuato per sollevare il lobo caudato del fegato. L’isolamento per via smussa della porzione della vena cava caudale al fegato e craniale all’ilo renale è necessario per l’emostasi temporanea della vena cava stessa.

Escissione subtotale

ESCISSIONE CHIRURGICA DELLA GHIANDOLA SURRENALE SINISTRA

L’escissione subtotale è una tecnica chirurgica da prendere in considerazione quando, indipendentemente dalle dimensioni della ghiandola surrenale patologica, non è presente invasione della vena cava. Può essere eseguita utilizzando la tecnica di applicazione delle clip emostatiche, oppure mediante “debulking” in seguito ad incisione. Nel primo caso, una o più clip emostatiche vengono applicate fra la ghiandola surrenale patologica e la vena cava, tangenzialmente alla parete. La stretta adiacenza con la vena cava consente l’asportazione di gran parte del tessuto patologico, ma non completamente. La tecnica del “debulking” prevede l’incisione longitudinale della ghiandola surrenale, seguita dall’escissione della porzione midollare e di parte della corticale utilizzando una pinza chirurgica o emostatica. Per prevenire una possibile emorragia dovuta ad un’eventuale comunicazione vascolare diretta fra la ghiandola e la vena cava, si applicano clip emostatiche tangenziali alla vena stessa subito dopo l’incisione della capsula. Quando gran parte della ghiandola patologica (molto più del 50%) viene asportata, l’escissione subtotale può considerarsi adeguata. Questa tecnica chirurgica palliativa è più efficace se associata all’escissione della ghiandola surrenale sinistra (se patologica), e consente un miglioramento clinico a medio o lungo termine. La prognosi è invece meno positiva quando l’analisi istologica rivela la presenza di adenocarcinoma della ghiandola stessa.

Escissione completa

Escissione totale

L’escissione chirurgica completa (o totale) della ghiandola surrenale sinistra è nella maggior parte dei casi fattibile e relativamente semplice. Può essere particolarmente difficile nel caso in cui la ghiandola patologica assuma dimensioni notevoli, oppure in caso di adesioni e metastasi locali. L’escissione per via smussa viene eseguita utilizzando forbici di dimensioni adeguate, oppure tamponcini di cotone. L’emostasi dell’arteria e della vena frenicoaddominale che ne rappresentano il supporto vascolare è eseguita con materiale riassorbibile 5-0 USP o con clip emostatiche. La ghiandola è quindi liberata dal tessuto adiposo adiacente, e rimossa.

In alcuni casi eccezionali, quando la ghiandola patologica non è intimamente adesa alla vena cava, l’escissione completa è possibile attraverso una dissezione per via smussa estremamente accurata, e sempre sotto controllo emostatico della vena cava. Dato che una comunicazione vascolare diretta con la vena cava può essere presente, una o più clip emostatiche vengono applicate tangenzialmente alla vena cava prima di completare l’escissione. Quando è presente invasione della parete e di parte della vena cava, e la scelta dell’escissione subtotale non viene presa in considerazione, è necessaria una flebectomia parziale della vena cava. La porzione della vena cava viene asportata insieme alla ghiandola surrenale patologica, e suturata con materiale monofilamento riassorbibile di calibro da 6-0 a 8-0 USP. In caso di coinvolgimento esteso della vena cava, è segnalata la resezione parziale e l’anastomosi della vena cava stessa. La legatura della vena cava caudale finalizzata all’escissione totale della ghiandola surrenale destra è legata al rischio di complicanze post-chirurgiche significative, associate a ipertensione portale e infarti intestinali. Nella specie umana e nel cane, la legatura della vena cava fra la vena renale e il fegato è associata ad un tasso di mortalità del

ESCISSIONE CHIRURGICA DELLA GHIANDOLA SURRENALE DESTRA La surrenectomia destra è tecnicamente più difficile. Per questo motivo, a seconda dei casi può essere eseguita sia l’escissione chirurgica totale che subtotale, tenendo presente che solamente la surrenectomia completa della ghiandola/e interessata/e rappresenta la terapia chirurgica causale e completamente curativa. Per ottimizzare l’esposizione della

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25%. Segnalazioni aneddotiche sembrerebbero indicare un rischio simile anche nel furetto. In realtà, esistono significative differenze individuali, relative alle dimensioni della ghiandola surrenale patologica. Una ricerca condotta nel furetto ha dimostrato la presenza di circolo vascolare collaterale dalla vena cava caudale obliterata al seno venoso vertebrale, vena azigos, fino alla vena cava craniale. È stato ipotizzato che la sopravvivenza dei furetti alla legatura della vena cava caudale è dovuta allo sviluppo del circolo collaterale determinato dalla compressione della neoformazione nei confronti della vena cava. Un esame contrastografico venoso può aiutare a stabilire se il paziente ha già sviluppato un circolo collaterale efficiente, ed essere un candidato chirurgico per la legatura della vena cava caudale. Il riscontro parafisiologico della presenza di circolo collaterale ha reso possibile la messa a punto di una tecnica chirurgica in due fasi a distanza di tempo. L’utilizzo degli anelli vascolari ameroidi è mutuato dal trattamento chirurgico degli shunt portosistemici nel cane. La parte interna dell’anello (ameroide) è un colloide sintetico che aumenta di volume gradualmente a contatto con i fluidi tissutali. L’anello ameroide viene posizionato caudalmente alla ghiandola surrenale destra patologica durante il primo intervento di laparotomia. La legatura della vena cava, l’escissione totale della ghiandola surrenale patologica e la rimozione dell’anello ameroide vengono eseguiti da 1 a 3 mesi più tardi, durante il secondo intervento chirurgico. Sia il posizionamento, sia la rimozione dell’anello ameroide, non devono danneggiare il supporto vascolare del rene destro. La legatura differita nel tempo della vena cava caudale può anche essere eseguita applicando una benderella di cellophane o di gomma attorno alla vena. La benderella non viene stretta attorno alla vena, ma la reazione perivascolare esita nell’occlusione della vena cava.

bisturi, la chirurgia laser, la criochirurgia, e l’iniezione di alcool all’interno della ghiandola. Tuttavia, queste tecniche non consentono l‘esecuzione di una biopsia tissutale e di un esame istologico. Inoltre, l’effettiva distruzione del tessuto surrenalico patologico può essere difficile da valutare macroscopicamente. Il danno termico nei confronti della vena cava o dei tessuti adiacenti, oppure un residuo di tessuto necrotico potrebbero condurre a possibili complicanze.

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Indirizzo per la corrispondenza: Vittorio Capello Clinica Veterinaria S. Siro; Clinica Veterinaria Gran Sasso Milano, Italy

TECNICHE NON ESCISSIONALI Esistono tecniche alternative per il trattamento delle ghiandole surrenali patologiche, quali l’utilizzo del radio-

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Il gioco della mente: basi cognitive dell’attività ludica Maria Chiara Catalani Med Vet, Comportamentalista, Dr Ric, Perugia

co, in corso di pubblicazione). Inoltre, ci offre approfondite conoscenze sulla mente animale e su come opera nella definizione di un individuo e del suo comportamento. Affrontando l’analisi delle dotazioni intellettive di una Specie, le scienze cognitive studiano le caratteristiche dei problemi che ogni animale deve affrontare nel suo contesto di vita, valutano le performance cognitive di cui necessita e le caratteristiche delle situazioni problema che gli si presentano e degli strumenti che ha per risolverle quotidianamente (Marchesini R., 2008). In questa ottica possiamo distinguere differenti forme di intelligenza, adattative per ogni Specie, e avvalerci di queste conoscenze per strutturare il processo educativo del cane, programmando e proponendo le attività evolutive migliori, sulla base della fase di sviluppo, delle caratteristiche individuali, delle aree di interesse e gratificazione (motivazioni) che possiamo individuare (Tabella 1). Il gioco, in questi termini, può essere utilizzato non solo come attività distraente e ricreativa ma come vera e propria “attività evolutiva”, inserita nel progetto pedagogico per ridurre i problemi legati all’impulsività, favorire la riflessività, alimentare l’adattabilità del soggetto, promuovere il miglioramento dell’integrazione del cane nel contesto sociale umano. Gli obiettivi pedagogici di base dell’attività ludica prevedono una promozione di fiducia, la marcatura emozionale positiva del momento interattivo, l’acquisizione di autocontrolli, il miglioramento della comunicazione. Attraverso il gioco possiamo rinsaldare i legami affiliativi e affettivi e dare al cane delle competenze operative specifiche, delle regole da rispettare e da applicare in molti ambiti di interazione, lavorando anche sulla possibilità di evocare situazioni in cui sia necessario un continuo scambio di ruoli tra proprietario e animale, in una cornice espressiva piacevole, gratificante e divertente per tutti. Il gioco cognitivo consiste in una serie di attività finalizzate ad aumentare la flessibilità del cane, a diminuire il comportamento impulsivo, ad accrescere la capacità di adattarsi ai mutamenti e alle fluttuazioni ambientali e si fonda sulla conoscenza delle capacità sensoriali, comunicative e mentali dell’animale. Attraverso giochi cognitivi possiamo favorire un forte arricchimento delle conoscenze dell’animale e delle sue competenze in differenti situazioni di vita e, ampliando questo suo bagaglio, possiamo raggiungere l’o-

“Il gioco sociale è un esempio eccellente di un comportamento che nel contempo fa sentire bene ed è importante per la sopravvivenza. La gioia che viene condivisa durante un gioco connette gli individui e regola le interazioni. Il gioco è facilmente distinguibile da altri comportamenti: gli individui appaiono profondamente presi dall’attività e attraverso i loro movimenti acrobatici, le vocalizzazioni gioiose e i sorrisi mostrano divertimento. Gli studi sulla chimica del gioco supportano l’idea che il gioco sia divertimento. Il neuroscienziato Steve Siviy ha dimostrato che la dopamina (e probabilmente serotonina e norepinefrina) sono importanti nella regolazione del gioco, e che ampie regioni del cervello si attivano durante il gioco[]. Il neuro scienziato Jaak Panksepp sostiene che la ricerca sulle sedi rudimentali del gioco nei mammiferi, che siano esperti o meno, indica chiaramente che le fonti del comportamento ludico così come del ridere, a livello cerebrale, sono entrambe istintive e sotto-corticali. La dopamina, un neuro mediatore chimico, è implicata, inoltre, nella ilarità sia dell’uomo che del ratto” (Marc Bekoff, 2010)

INTRODUZIONE Educare, scrive Roberto Marchesini, è “portare a compimento il progetto cane” (Marchesini R., 2007). Il progetto pedagogico, in un approccio analogo alla pedagogia umana, prevede di indirizzare la crescita di un individuo valorizzandone le qualità soggettive e rispettando quelle speciespecifiche. L’intervento educativo, pertanto, implica un adeguamento degli interventi alle diverse tappe dello sviluppo comportamentale del cucciolo o del gattino. Diversamente, in un contesto di patologia comportamentale, è necessario intervenire sulle problematicità adottando strategie applicabili per il proprietario e che possano favorire il processo terapeutico, aumentando gli ambiti di gratificazione di entrambi i soggetti coinvolti. L’approccio cognitivo zooantropologico prevede la valutazione del contesto relazionale in cui l’animale è inserito e, quindi, di strumenti diagnostici completi che ci aiutino a comprendere il milieu contestuale e relazionale in cui si trova ad agire un soggetto, per conoscere il suo “qui ed ora” (Marchesini R., Psicoterapia. L’approccio cognitivo-zooantropologi-

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TABELLA 1 - Le diverse forme di intelligenza animale (da Marchesini R., 2010, modificata) INTELLIGENZA

DEFINIZIONE

sociale o relazionale

capacità di muoversi correttamente nelle sistemiche del gruppo sociale e affiliativo

enigmistica o solutiva

tendenza/capacità di risolvere problemi da solista, affrontando la natura del problema e visualizzando i requisiti strutturali dello stesso facendo affidamento sulle proprie sole doti solutive

orientativa o mappale

capacità di muoversi nel mondo avvalendosi non solo del monitoraggio sensoriale ma utilizzando coordinate geografiche per visualizzare mentalmente il contesto nelle sue dimensioni spazio-temporali

astrattiva

proprietà di estrarre dal mondo dei concetti generali come i prototipi rappresentativi – partner sociali, pericoli, oggetti utili, ecc.

operativa

capacità di agire sul mondo e di piegarlo alle proprie coordinate di utilizzo cioè vederlo come un orizzonte di lavoro ed utilizzo

referenziale

capacità di acquisire nuove conoscenze o perfezionarle attraverso la relazione referenziale con enti/soggetti che vengono accreditati capaci in un particolare ambito

riflessiva

capacità di fare riferimento alla mente come mondo interno e quindi allo stato mentale che si vive, alla propria biografia, all’approccio simpatetico ed empatico all’altro

comunicativa

interscambiare contenuti con altri referenti negli ambiti funzionali (pragmatica della comunicazione – serve a), differenti e specifici in correlazione alle caratteristiche etografiche

biettivo di adattamento e adattabilità di ogni soggetto, offrendogli degli strumenti cognitivi ed esperienziali adeguati ad una condizione di benessere etologico anche in un contesto non propriamente naturale.

significativi – si manifestano in ciò che questo tende a proporre e in quanto per lui rappresenta qualcosa di interessante e significativo per esprimere un comportamento e trarne piacere. Dall’osservazione dei comportamenti che ogni cane esprime con maggior frequenza e coinvolgimento, dei target a cui dà interesse, dei suoi interessi e dalla valutazione di ciò da cui ricerca e ciò da cui trae soddisfazione e gratificazione, possiamo definire il profilo motivazionale individuale. Le motivazioni sono set neurobiologici, Specie-specifici, derivanti da un percorso filogenetico selettivo di Specie e quindi rappresentano il risultato della selezione dei comportamenti/interessi più funzionali alla sopravvivenza individuale e al successo riproduttivo della Specie (Marchesini R., 2007). Ad esempio, la motivazione collaborativa, nel cane così come in altre specie sociali, ha permesso l’attuazione di comportamenti predatori più efficaci perché gestiti in gruppo. In questa Specie, inoltre, è stata operata una ulteriore diversificazione del profilo motivazionale, attraverso il processo selettivo, finalizzato anche ad una nuova definizione delle caratteristiche comportamentali di razza. La selezione di razza, infatti, prevede non solo il criterio morfologico ma anche quello funzionale ovvero la scelta di soggetti che esprimono con maggiore interesse ed enfasi alcune delle motivazioni Specie-specifiche (Tabella 2). Nei cani cacciatori, ad esempio, la selezione ha operato per caratterizzare un profilo motivazionale spostato sulla collaborazione, la perlustrazione, la predazione, mentre nei guardiani è stata prediletta la territorialità, l’affiliazione, ecc. Nella selezione di razza, quindi, la definizione del profilo motivazionale ha operato sul volume espressivo di alcune delle motivazioni di Specie cioè sul grado di evocabilità dei vari comportamenti che scaturiscono dalle diverse motivazioni e sul livello di gratificazione che ogni individuo trae nell’espressione delle varie motivazioni Specie-specifiche.

LA MENTE DEL CANE L’evoluzione degli studi sul comportamento animale ha offerto importanti strumenti per cambiare l’approccio al training del cane e alle terapie comportamentali. Riconosciute a molte Specie animali funzioni cognitive complesse, oggi sappiamo che la mente del cane, intesa come mondo interno e mezzo d’interazione attiva dell’individuo col mondo, è organizzata in strutture anatomo-funzionali che vengono ereditate come bagaglio genetico Speciespecifico ma evolvono e si modificano sulla base delle stimolazione e delle esperienze che ogni individuo vive sin dal periodo pre-natale. Sono stati delineati due gruppi fondamentali di componenti che caratterizzano la mente e le sue funzioni: le componenti posizionali e quelle elaborative. Le prime definiscono il modo di stare nelle situazioni, l’aspetto emozionale, il grado di interesse che il soggetto ha per il presente, il livello di sollecitazione che riceve, ciò che è portato a proporre, ciò che elegge a target di un comportamento. Le componenti posizionali sono adattative per ogni individuo poiché strutturano il modo generale di stare nelle situazioni (il suo carattere) ed il valore positivo o negativo che ogni esperienza assume (marcatura emozionale) (Marchesini R., 2011). Queste componenti includono: le motivazioni – elementi pro-attivi – le emozioni e l’arousal – elementi reattivi. Le motivazioni sono disposizioni Specie-specifiche che influiscono sull’individuo definendone gli interessi e i target

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TABELLA 2 - Le motivazioni Specie-specifiche del cane (da Marchesini R., 2007 – modificata) MOTIVAZIONE

ESPRESSIONE COMPORTAMENTALE

PREDATORIA

Volgersi verso piccoli oggetti in movimento, inseguirli e raggiungerli

TERRITORIALE

Difendere un territorio o un ambiente circoscritto

PROTETTIVA

Difendere un affiliato o un cucciolo

PERLUSTRATIVA

Esplorare un ambiente e mapparlo

ESPLORATIVA

Analizzare un oggetto nei dettagli

EPIMELETICA

Aiutare e accudire un compagno

COMPETITIVA

Confrontarsi o gareggiare con un compagno

DI RICERCA

Cercare oggetti nascosti

DI CORTEGGIAMENTO

Attirare un partner sessuale

CINESTESICA

Fare movimento, correre, saltare

SOMESTESICA

Esplorare il proprio corpo

COLLABORATIVA

Fare un’attività con un partner, concertarsi in un’attività di gruppo

POSSESSIVA

Mantenere il possesso di un oggetto

COMUNICATIVA

Esprimere uno stato o indicare qualcosa

ET-EPIMELETICA

Chiedere l’aiuto o lasciarsi curare da un altro soggetto

AFFILIATIVA

Far parte di un gruppo ristretto

Pertanto, se la motivazione definisce gli interessi Speciespecifici e soggettivi, il lavoro sul processo evolutivo del cane avrà lo scopo di creare, attraverso le giuste attività ludiche, una cornice espressiva ai comportamenti proposti dal soggetto, dando loro un target, un modo di espressione ed un contesto (Marchesini R., 2007). L’attività ludica dovrà poggiare sulla funzione educativa del processo relazionale ed evolutivo diventando, così, uno strumento efficace per indirizzare la crescita ed operare attraverso attività gratificanti rispetto alle motivazioni del cane ma anche conformi alle relazioni con l’uomo, per facilitare l’adeguamento del cane alla società e l’inserimento in famiglia. Altro elemento appartenente alle componenti posizionali della mente è il profilo emozionale ovvero la disposizione reattiva che caratterizza le risposte individuali e che si manifesta nel modo in cui un individuo tende a rispondere alle situazioni, a ricordarle ma anche quali risposte fisiologiche evocano le diverse situazioni in cui si trova (Marchesini R., 2007). Anche le emozioni traducono dei set neuro-biologici innati, Speciespecifici e relativi alle tendenze di razza selezionate dall’uomo. Nei cani guardiani, ad esempio, in funzione della mansione difensiva, è stato selezionato un approccio tendenzialmente chiuso e diffidente verso il mondo, più di quanto non sia stato ricercato nei soggetti destinati alla collaborazione con l’uomo, come i cani cacciatori da ferma o da seguita. Un soggetto che ha la possibilità di sperimentare nel percorso evolutivo interazioni ludiche, caratterizzanti la stessa età evolutiva, avrà modo di vivere una prevalenza di emozioni positive e di marcare con esse molte esperienze (Tabella 3).

Le strutture neuro-biologiche che costituiscono le motivazioni, infatti, possono essere ampliate e quindi enfatizzate o interconnesse ad altre strutture mentali e quindi generalizzate, disciplinate o depresse. Ciò accade sulla base delle proposte ludiche, interattive, relazionali che l’individuo riceve nella vita quotidiana e si traduce in un cambiamento del grado di evocabilità cioè della facilità, del modo e della frequenza con cui saranno proposte da quel soggetto (Roonay N. et Al, 2000). Ciò spiega, ad esempio, perché l’apprendimento del cane non risponde al modello psico-energetico proposto dall’etologia classica, dato che il comportamento di un soggetto non si modera attraverso l’esercizio della motivazione ad esso correlata. Un cane con un alto interesse per la predazione, al contrario, non farà che ampliare tale interesse attraverso il gioco del lancio/riporto di una pallina poiché in questa proposta ludica non c’è un consumo di energia e un esaurimento dell’interesse ma una sollecitazione e l’ampliamento del set neuro-biologico corrispondente alla motivazione esercitata (motivazione predatoria). Inoltre, le diverse strutture anatomo-funzionali che costituiscono i set motivazionali del cane sono interconnesse ad altre componenti mentali, in particolare quelle elaborative che vedremo in seguito, e l’esercizio di una motivazione determina l’accrescimento del livello di efficacia che un soggetto percepisce nel realizzarla, aumenta le occasioni di marcatura emozionale positiva per quella attività e consolida le sinapsi sollecitate, in definitiva, determina un aumento del volume espressivo di quella motivazione piuttosto che una riduzione del comportamento.

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TABELLA 3 - Le emozioni del cane (Marchesini R., 2007, modificata) EMOZIONE

ESPRESSIONE COMPORTAMENTALE

GIOIA

Atteggiamento festoso e di apertura relazionale

OMBROSITÀ

Disposizione alla chiusura e scarsa tendenza ricercare e ad accettare l’interazione

ALLERTA

Atteggiamenti di fissità, attenzione, preoccupazione e tropismo negativo

STUPORE

Atteggiamenti di fissità ma senza preoccupazione e tendenza al tropismo positivo

SICUREZZA

Disposizione assretiva e vigore nelle situazioni

PAURA

Senso di pericolo incombente, tendenza a fuggire o a immobilizzarsi

Il gioco, se costruito in accordo con le motivazioni che socialmente hanno la funzione di integrare (affiliativa, epimeletica, et-epimeletica, comunicativa, cinestesica, collaborativa, ecc.) e se realizzato in condizioni di sicurezza, diventa uno strumento fondamentale per la costruzione di un profilo emozionale aperto, sicuro, curioso poiché ci permette di offrire al cane e al gatto molte esperienze marcate da emozioni positive, il cui ricordo evoca le stesse emozioni e lo apre a nuove esperienze (Miklòsi A., 2000). Un altro elemento importante relativo alle componenti posizionali e strettamente correlato al profilo emozionale, inoltre, è il volume espressivo delle emozioni, il profilo di arousal, ovvero il livello con cui l’emozione vissuta viene manifestata. Un soggetto che vive in condizioni fluttuanti, passando dall’apatia alla sovra-eccitazione, difficilmente troverà un buono stato di benessere e altrettanto difficilmente potrà avere un buon processo evolutivo e di apprendimento. Le interazioni ludiche tendenzialmente sollecitano emozioni positive ma rischiano di farlo su “toni” eccessivamente alti. In particolare, i giochi nuovi, che prevedono movimento e fatti in contesti aperti, sicuri, luminosi, ecc. possono sollecitare molto il tono emozionale, ancor più se costruiti in accordo con le motivazioni di maggior peso per quel soggetto. È fondamentale, perciò, che l’attività ludica, così come ogni esperienza che un animale vive, si accordi con i suoi interessi, consentendogli di essere partecipe, attento, divertito ma concentrato, e ciò è possibile esclusivamente quando si creano le condizioni per il mantenimento di un livello intermedio di attivazione emozionale. A fianco delle componenti posizionali, la mente è caratterizzata anche dalle componenti elaborative. Elaborare significa sottoporre i dati di ingresso a diverse tipologie di trattamento (processazione) in modo tale da renderli fruibili rispetto alla fitness del soggetto (Marchesini R., 2010). Attraverso le componenti elaborative che sono le funzioni logiche, le rappresentazioni e le metacomponenti cognitive, ogni individuo può valutare la realtà ed interpretarla sulla base della coerenza, della pertinenza, dell’intersezione o, al contrario, dell’opposizione, l’irrilevanza e il non-legame col principio di piacere e col principio di fitness (Marchesini R., 2010). Questi principi regolano anche i parametri fisiologici e le componenti posizionali di ogni soggetto e gli

permettono di operare scelte comportamentali che siano adattative ma anche piacevoli, poco dispendiose e favorevoli alla sopravvivenza di sé e della Specie. Le funzioni logiche, elementi cognitivi elaborativi, permettono alla mente del cane di attivare delle operazioni cognitive sugli input provenienti dal mondo (stimoli e report) e di aggiungere, disgiungere, correlare, ecc. le varie informazioni ricevute per dar loro un significato. Le funzioni logiche, pertanto, sono strumenti elementari di elaborazione che consentono di operare attività cognitive più complesse come il comprendere, valutare, decidere sulla base di ciò che si sta vivendo in quell’istante e in quella situazione. Per fare ciò la mente si avvale di una ulteriore componente elaborativa offerta dalle rappresentazioni, che sono degli schemi elaborativi capaci di definire in modo specifico un input attribuendogli significato, fornendo una mappa, dando regola per affrontare la realtà (Miklòsi et Al., 2004). Le funzioni logiche definiscono quindi il “tipo” di operazione cognitiva da compiere mentre le rappresentazioni indicano il “modo” in cui compiere l’attività cognitiva. Ad esempio, se propongo ad un cane due tipi di giocattolo, una palla e un peluche, chiedendogli di portarmi la palla, la funzione cognitiva chiamata in causa sarà la distinzione (tra due oggetti), le rappresentazioni necessarie lo guideranno per distinguerlo sulla base della forma e della consistenza ma anche dell’utilizzo che può farne e delle azioni necessarie per usare tale oggetto. Ogni individuo, alla nascita, possiede un insieme di rappresentazioni di Specie, ovvero di strumenti che gli consentono di decifrare la realtà e l’esperienza interiore e che proviene dal mondo (Tabella 4). Infine, esiste una terza categoria di elementi elaborativi data dalle metacomponenti cognitive ovvero la memoria, l’attenzione e la concentrazione. Queste sono entità che sovrintendono a più processi elaborativi, affinché il soggetto possa utilizzare liberamente le proprie dotazioni cognitive, in modo flessibile (Tòth L et Al., 2008). Nell’attività ludica possiamo incentivare o meno la flessibilità cognitiva lavorando su tutti questi elementi. Se, ad esempio, presentiamo al cane una pallina – immagine che prevede l’attivazione di una rappresentazione percettiva – possiamo evocare sempre la stessa rappresentazione orientativa ovvero “questo è il target”, evocando la rappresentazio-

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TABELLA 4 - Le rappresentazioni mentali del cane (da Marchesini R., 2007 – modificata) RAPPRESENTAZIONI

SIGNIFICATO

Percettive

gestalt sensoriali che fanno emergere dallo sfondo alcune figure significative

Cinestesiche

schemi coreografici di movimento e postura

Somestesiche

immagini del proprio corpo e possibilità di auto-tranquillizzazione

Mappali

modalità del muoversi nel mondo con punti di riferimento spaziali

Orientative

target di tropismo comportamentale, focus di interesse, elementi prototipici (che hanno una rilevanza in sé) o segnali-chiave (che hanno la capacità di muovere il comportamento)

Referenziali

vocabolario d’uso del mondo che il soggetto incontrerà, sia per l’aspetto strumentale (serve a, è utile per) sia per l’aspetto predittivo (indica che, predice che)

Solutive o euristiche

modi operativi per risolvere problemi e scacchi

Comunicative

semiotiche (segni), semantiche (significati), pragmatiche (funzioni) comunicative

Sociali

modi di interpretare il gruppo, stare in relazione, costruire l’affiliazione

Del sé

propria continuità e proiezione nel tempo Referenziali: significato d’uso del mondo in termini strumentali (serve a) e predittivi (vuol dire che)

ne cinestesica che indirizza un comportamento “è un target da inseguire e afferrare”. Inoltre, tale sollecitazione induce l’evocazione di diverse componenti posizionali che variano con l’esperienza dando una marcatura motivazionale ed emozionale (nello specifico esempio “un’azione predatoria espressa con gioia ed eccitazione”) che daranno un tono al comportamento e che, se si accordano con le motivazioni importanti per quel soggetto, possono offrire una forte gratificazione e partecipazione. Grazie alle metacomponenti cognitive, infine, un oggetto come la pallina può prendere differenti strade di elaborazione e non evocare necessariamente questa cascata di comportamenti. Così, ad esempio, presentando attività ludiche che richiedono l’apprendimento di modi differenti di interagire con un oggetto, situazioni e contesti diversi, marcature emozionali positive ed espresse con toni intermedi, potremo ampliare le conoscenze e le competenze e con l’apporto mnemonico, di attenzione e concentrazione (metacomponente cognitiva) favorire lo sviluppo di un individuo dotato di grande flessibilità cognitiva.

BIBLIOGRAFIA 1. 2. 3. 4. 5. 6.

7.

8.

9.

Bekoff M., a cura di M.C.Catalani, La vita emozionale degli animali, Ed. Oasi Alberto Perdisa, Bologna 2010. Marchesini R., Psicoterapia cinofila. L’approccio cognitivo-zooantropologico, in corso di pubblicazione. Marchesini R., Il Galateo per il cane, Ed. De Vecchi 2011. Marchesini R., Intelligenze plurime. Manuale di Scienze Cognitive Animali, Edizioni Oasi Alberto Perdisa, Bologna 2008. Marchesini R., Pedagogia Cinofila. Introduzione all’approccio cognitivo zooantropologico, Edizioni Oasi Alberto Perdisa, Bologna 2007. Miklòsi A., Topàl J., Csànyl V., Comparative social cognition: what can dogs teach us?, Animal Behaviour, Volume 67, Issue 6, 995-1004, June 2004. Miklósi A., Polgárdi R., Topál J., Csányi V., Intentional behaviour in dog-human communication: an experimental analysis of “showing” behaviour in the dog, Animal Cognition, Vol. 3, N° 3, 159-166, 2000. Rooney, N. J.; Bradshaw, J. W. S.; Robinson, I. H., A comparison of dog-dog and dog-human play behaviour, Applied Animal Behaviour Science, Vol. 66 No. 3 pp. 235-248, 2000. Tòth L., Garsia M., Topàl J., Miklòsi A., Playing styles and possible causative factors in dogs’ behaviour when playing with humans, Applied Animal Behaviour Science 114, 473-484, 2008.

Indirizzo per la corrispondenza: Maria Chiara Catalani - Dip.to di Scienze Biopatologiche ed Igiene delle Prod. Animali e Alimentari Facoltà di Medicina Veterinaria - Perugia - E-mail: mchiaracatalani@libero.it

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Lesioni cutanee perioculari: dermatologia od oftalmologia? (casi clinici a cura del dermatologo) Rosario Cerundolo Med Vet, CertVD, Dipl ECVD, MRCVS, Six Mile Bottom, UK

Le lesioni cutanee perioculari possono essere il risultato di malattie dermatologiche od oftalmologiche. L’iter diagnostico al fine di individuare la causa predisponente prevede la valutazione della razza (predisposizione genetica a malattie dermatologiche od oftalmologiche ad es. delle palpebre), età (ad es. follicoliti da Demodex, dermatofiti) ed un’accurata anamnesi remota, familiare ed ambientale. Infine informarsi sull’evoluzione delle lesioni, la risposta a terapie topiche o sistemiche puo aiutarci nello stilare una lista di diagnosi differenziali più probabili che ci consentiranno di decidere i test diagnostici più utili. Le lesioni cutanee perioculari possiamo classificarle sulla base della presentazione clinica in 4 gruppi: 1) quelle caratterizzate dalla presenza di alopecia; 2) quelle caratterizzate dalla presenza di scaglie/croste; 3) quelle caratterizzate dalla presenza di erosioni/ulcere; 4) quelle caratterizzate dalla

presenza di papule-noduli. Di seguito è riportato un esempio delle 4 presentazioni cliniche. Per ogni caso vi è stato fornito: segnalamento, anamnesi, esame obiettivo generale e particolare (dermatologico). Le informazioni fornite dovrebbero essere sufficienti a farvi stilare un elenco di diagnosi differenziali, di esami collaterali e di laboratorio più adeguati a confermare la vostra diagnosi più probabile. Insieme discuteremo ogni caso valutando la diagnosi più probabile e gli esami collaterali più utili, la prognosi, l’approccio terapeutico topico e/o sistemico ed il follow up.

Indirizzo per la corrispondenza: Dick White Referrals, Veterinary Specialist Centre Station Farm, London Road Six Mile Bottom, Suffolk, CB8 0UH - UK

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CASO CLINICO DI ALOPECIA PERIOCULARE IN UN KEESHOND SEGNALAMENTO: Kira - Keeshond, femmina sterilizzata di 12 anni. ANAMNESI: vive in appartamento, è portata al parco due volte al giorno dove passeggia libera e gioca con altri cani. In casa non sono presenti altri animali, non è stata lasciata in canile, viaggia con i proprietari durante le vacanze o finesettimana. È alimentata con una dieta commerciale per cani anziani, Kira è stata sempre in buona salute a parte occasionali episodi di vomito/diarrea imputabili a intolleranze alimentari. I trattamenti antipulci/zecche sono effettuati ogni mese. I proprietari non presentano lesioni dermatologiche che possano far pensare ad un problema zoonosico. MOTIVO DELLA VISITA: da circa 2 mesi ha presentato una progressiva perdita di pelo nell’area perioculare che si è progressivamente diffusa sul dorso del naso. Le lesioni non sono pruriginose. L’alopecia è stata lenta ma progressiva al punto da ritardare la consultazione con il veterinario nella speranza che l’alopecia si risolvesse spontaneamente. ESAME OBIETTIVO GENERALE: Kira è in apparente buono stato di nutrizione anche se il proprietario riferisce che ha perso due chili negli ultimi mesi. Le mucose apparenti sono leggermente pallide. I linfonodi esplorabili sono normali a parte quelli mandibolari che sono lievemente ingrossati. T,P,R sono nella norma così come le grandi funzioni organiche. ESAME OBIETTIVO PARTICOLARE: non sono rilevabili alterazioni all’ascoltazione del torace e palpazione dell’addome ESAME OBIETTIVO DERMATOLOGICO: alopecia perioculare bilaterale, del dorso del naso e delle labbra superiori. La cute si presenta lievemente eritematosa. DEFINIZIONE DEL PROBLEMA:

alopecia bilaterale perioculare e nasale con dermatite eritematosa.

DIAGNOSI DIFFERENZIALI: __________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ RICERCHE COLLATERALI: __________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ ESAMI DI LABORATORIO: ___________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ DIAGNOSI: _____________________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ TERAPIA: ______________________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ PROGNOSI: _____________________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ FOLLOW UP: ____________________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________

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CASO CLINICO DI DERMATITE PERIOCULARE CON PRESENZA DI SCAGLIE/CROSTE IN UN SIBERIAN HUSKY SEGNALAMENTO: Tim – Siberian Husky, maschio intero di 2 anni. ANAMNESI: vive all’aperto in una fattoria con libero accesso a campi coltivati e boschi. Sono presenti animali da cortile ed un altro cane che non presenta lesioni dermatologiche. Entrambi i cani sono alimentati con un’alimentazione casalinga. Tim è stato sempre in buona salute ed è stato portato dal veterinario per le vaccinazioni di routine. I trattamenti antipulci/zecche sono effettuati all’incirca ogni due mesi mentre quello per la prevenzione della filariosi è effettuato mensilmente. Nessuno dei proprietari sembra presentare lesioni dermatologiche anche se i contatti con il cane non sono molto frequenti. MOTIVO DELLA VISITA: da circa 1 mese ha presentato una progressiva perdita di pelo nell’area perioculare che si accompagna alla presenza di scaglie e croste. Le lesioni non sono pruriginose. ESAME OBIETTIVO GENERALE: Tim è in apparente buono stato di nutrizione. Sembra che da qualche giorno sia meno vivace del solito. Le mucose apparenti sono rosee. I linfonodi esplorabili sono normali. T,P,R sono nella norma così come le grandi funzioni organiche. ESAME OBIETTIVO PARTICOLARE: non sono rilevabili alterazioni all’ascoltazione del torace e palpazione dell’addome ESAME OBIETTIVO DERMATOLOGICO: dermatite perioculare bilaterale eritematosa con presenza di scaglie/croste, dei padiglioni auricolari, dorso del naso e delle labbra superiori. DEFINIZIONE DEL PROBLEMA:

dermatite eritematosa, non pruriginosa, esfoliativa/crostosa

DIAGNOSI DIFFERENZIALI: __________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ RICERCHE COLLATERALI: __________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ ESAMI DI LABORATORIO: ___________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ DIAGNOSI: _____________________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ TERAPIA: ______________________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ PROGNOSI: _____________________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ FOLLOW UP: ____________________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________

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CASO CLINICO DI EROSIONE/ULCERAZIONE PERIOCULARE IN UN CANE CHIHUAHUA SEGNALAMENTO: Ollie – Chihuahua, maschio castrato di 1.5 anni. ANAMNESI: vive in casa con libero accesso al giardino recintato ma dove occasionalmente incontra animali selvatici (ricci, topi). È presente un altro cane, Setter inglese, in buona salute. Entrambi i cani sono spesso lasciati in un canile mentre i proprietari sono in vacanza durante il finesettimana. Entrambi i cani sono alimentati con una dieta commerciale. Ollie è stato più o meno sempre in buona salute. A 7 mesi aveva ingerito un corpo estraneo di plastica che gli aveva procurato diarrea per qualche giorno ma si era risolta con un trattamento di amoxicillina-acido clavulanico per 1 settimana. A 9 mesi era stato castrato e durante il decorso post-operatorio gli furono somministrati una dose iniettabile di meloxicam ed amoxicillinaacido clavulanico. A 11 mesi aveva mostrato difficoltà a reggersi sugli arti posteriori ma una terapia con meloxicam per 10 giorni aveva risolto il problema. Non erano state effettuate in quell’occasione indagini radiografiche o una visita specialista neurologica. A 18 mesi aveva presentato congiuntivite bilaterale, forse dopo aver giocato con un altro cucciolo ed è stato trattato con gocce oftalmiche a base di cloramfenicolo per 10 giorni ed una terapia di 7 giorni con meloxicam ed amoxicillina-acido clavulanico. Dopo circa 3 giorni dall’inizio della terapia per la congiuntivite ha presentato una dermatite eritematosa perioculare ed intorno al prepuzio. Il veterinario fà un tampone dalle lesioni perioculari per un esame colturale ed antibiogramma. Infine inietta una dose di cefovecin. I proprietari non presentano lesioni dermatologiche che possano far pensare ad un problema zoonosico. MOTIVO DELLA VISITA: I proprietari hanno notato che oltre alle lesioni cutanee, Ollie è letargico ed inappetente. Le lesioni non sono pruriginose ma Ollie mostra fastidio/dolore se si toccano le aree cutanee colpite. ESAME OBIETTIVO GENERALE: Ollie è in buono stato di nutrizione, sensorio depresso. Le mucose apparenti sono rosee/rosse. I linfonodi esplorabili sono normali. È presente live rialzo termico (39° C), frequenza circolatoria (90/min), frequenza respiratoria (20/min). Le grandi funzioni organiche (appetito, urinazione e defecazione erano nella norma ma ora l’appetito è molto diminuito cosi come la frequenza dell’urinazione e defecazione. ESAME OBIETTIVO PARTICOLARE: non sono rilevabili alterazioni all’ascoltazione del torace e palpazione dell’addome ESAME OBIETTIVO DERMATOLOGICO: La regione perioculare mostra aree focali di eritema con erosione/ulcerazione e presenza di croste. Sono presenti altre piccole lesioni cutanee identiche a quelle perioculari intorno al prepuzio ed all’ano. DEFINIZIONE DEL PROBLEMA:

dermatite eritematosa erosiva/ulcerativa.

DIAGNOSI DIFFERENZIALI: __________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ RICERCHE COLLATERALI: __________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ ESAMI DI LABORATORIO: ___________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ DIAGNOSI: _____________________________________________________________________________________________ TERAPIA: ______________________________________________________________________________________________ PROGNOSI: _____________________________________________________________________________________________ FOLLOW UP: ____________________________________________________________________________________________

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CASO CLINICO DI DERMATITE PAPULO-NODULARE PERIOCULARE IN UN IRISH WOLFHOUND SEGNALAMENTO: Harley – Irish Wolfhound, maschio castrato di 3 anni. ANAMNESI: vive in un casa con libero accesso al giardino. Vive con altri 2 cani (1 Pastore tedesco ed 1 Jack Russell terrier). Non è stato lasciato in canile o ha partecipato a mostre nell’ultimo anno. È alimentato con una dieta commerciale per cani di grossa taglia. Riceve trattamenti antiparassitari per ecto ed endoparassiti quasi regolarmente. Harley è stato sempre in buona salute a parte un igroma al gomito destro che è stato trattato chirurgicamente due anni fà ed un testicolo ritenuto rimosso chirurgicamente un anno fà. I proprietari non presentano lesioni dermatologiche che possano far pensare ad un problema zoonosico. MOTIVO DELLA VISITA: da circa 2 settimane ha presentato diverse lesioni papulo-nodulari nella regione perioculare sinistra, dorso del naso e labbro inferiore che sembrano aumentare in numero di giorno in giorno. Le lesioni non sono pruriginose. ESAME OBIETTIVO GENERALE: Harley è in apparente buono stato di nutrizione. Le mucose apparenti sono rosee. I linfonodi esplorabili sono normali. T,P,R sono nella norma così come le grandi funzioni organiche. ESAME OBIETTIVO PARTICOLARE: non sono rilevabili alterazioni all’ascoltazione del torace e palpazione dell’addome. ESAME OBIETTIVO DERMATOLOGICO: presenza di lesioni papulo-nodulari di colore rosa-rosso leggermente alopeciche nella regione perioculare sinistra, del dorso del naso e delle labbra inferiori. La cute circostante si presenta normale. Non sono presenti altre lesioni cutanee. DEFINIZIONE DEL PROBLEMA:

dermatite papulo-nodulare.

DIAGNOSI DIFFERENZIALI: __________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ RICERCHE COLLATERALI: __________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ ESAMI DI LABORATORIO: ___________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ DIAGNOSI: _____________________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ TERAPIA: ______________________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ PROGNOSI: _____________________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ FOLLOW UP: ____________________________________________________________________________________________

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Algoritmo diagnostico concordato in caso di lesioni cutanee perioculari nel cane e gatto Rosario Cerundolo Med Vet, CertVD, Dipl ECVD, MRCVS, Six Mile Bottom, UK

Antonella Rampazzo Med Vet, Dipl ECVO, Torino

Nell’approccio al paziente con una lesione cutanea perioculare, vanno combinate le competenze di oculistica e di dermatologia per poter effettuare un iter diagnostico-terapeutico completo ed accurato. È sempre necessario eseguire una visita completa che includa: segnalamento, anamnesi (ambientale, remota e recente per capire l’evoluzione del problema), esame obiettivo generale, esame oculistico e dermatologico. Non esiste una priorità nell’effettuazione dell’esame oculistico o dermatologico, l’importante che gli occhi, strutture perioculari e la cute vadano esaminate nell’ambito della stessa visita per evitare di non individuare elementi fondamentali ai fini diagnostico-terapeutico. Infine è necessario stilare l’elenco delle diagnosi differenziali ed esami complementari che possono esserci utili al raggiungimento della diagnosi definitiva che ci consentirà poi una scelta terapeutica topica e/o sistemica mirata. L’esame oculistico valuta gli annessi oculari ed il globo. In corso di patologie perioculari si possono verificare alterazioni della motilità o della forma delle palpebre e della nittitante. Ad esempio, una diminuita motilità palpebrale o la presenza di una blefarite essudativa con formazione di molte croste potrebbero causare delle erosioni corneali secondarie. Vanno valutate la motilità palpebrale tramite il riflesso palpebrale e il riflesso corneale, la conformazione palpebrale per escludere entropion/ectropion/trichiasi, e la pervietà delle vie lacrimali tramite test del passaggio della fluoresceina e lavaggio del canale lacrimale. Quest’ultimo può essere effettuato, previo uso di un anestetico locale (ossibuprocaina- Novesina), anche senza sedazione se il paziente è cooperativo. Può essere cannulato sia il punto lacrimale superiore che quello inferiore. Si utilizza una siringa da 2 0 5 ml di fisiologica, Ringer o BSS con un apposito ago smusso per lavaggio dei canali lacrimali. È necessario l’uso di una buona illuminazione e di occhiali da ingrandimento di almeno 2.5x. Il globo deve essere valutato in maniera completa in quanto le patologie perioculari possono indurre problemi della superficie del globo (ulcere/erosioni corneali secondarie a sfregamento di una palpebra alterata) ma possono anche essere parte di patologie sistemiche che causano uveite o

corioretinite. Quindi vanno valutate la camera anteriore e l’iride per escludere un’uveite anteriore, il vitreo e la retina per escludere un’uveite posteriore (corioretinite). Va inoltre valutata la pressione intraoculare. Infine, se necessario va eseguita la citologia congiuntivale o corneale. In oculistica si preferisce utilizzare, previa somministrazione di un anestetico locale, degli spazzolini ideati per la citologia ginecologica detti cytobrush, che ben si adattano al fornice congiuntivale, sono atraumatici e consentono di ottenere prelievi altamente cellulari. L’esame dermatologico prevede l’esame del pelo e della cute dell’area perioculare, anche se va effettuato un esame completo del paziente per escludere la presenza di altre lesioni dermatologiche sul resto della superficie cutanea ed orecchie. Le caratteristiche morfologiche delle lesioni cutanee, la loro evoluzione insieme ad un’anamnesi accurata, sono fondamentali per la diagnosi delle malattie perioculari. La loro identificazione consente di fare una lista di diagnosi differenziali ed esami complementari adeguati. L’esame del pelo va effettuato valutando la densità (normale vs ipotricosi vs alopecia), aspetto della punta (normale vs spezzato), colore (ipopigmentato vs colorazione anomala). L’effettuazione degli esami dermatologi dovrebbe comprendere i seguenti test diagnostici: 1) esame microscopico del pelo (tricogramma). Esaminarlo a 10X e 40X per valutarne la struttura. Presenza di peli rotti suggerisce traumatismo autoindotto, mentre la presenza di materiale cheratino sebaceo intorno al fusto può indicare la presenza di spore o ife fungine o acari del genere Demodex. La presenza di tutte le radici in fase telogena rende meno probabile la presenza di un’infezione fungina, dal momento che i dermatofiti necessitano di peli in fase attiva di crescita per sopravvivere. Se tutte le punte e i fusti sono ben conservati è invece difficile pensare che l’alopecia sia dovuta alla frattura del fusto pilifero (ad esempio in caso di alopecia autoindotta o di infezione follicolare da dermatofiti); 2) lampada di Wood, tenendo chiuse le palpebre, per valutare la presenza o meno di peli fluorescenti suggestivi di una dermatofitosi; 3) esame colturale per miceti che va sempre effettuato anche se l’esame con la lampada di Wood è positivo ed è utile per identificare i miceti.

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L’esame della cute sarà facilitato se manca il pelo. Esaminare la cute valutando variazioni di colore (ipopigmentazione vs eritema vs iperpigmentazione) spessore (atrofia vs lichenificazione), presenza di lesioni primarie e/o secondarie quali papule/pustole, scaglie/croste, o erosioni/ulcere. L’effettuazione degli esami dermatologi dovrebbe comprendere i seguenti test diagnostici: 1) esame citologico per apposizione o con l’uso del nastro adesivo per valutare la presenza di microorganismi, cellule epiteliali anomale e la risposta infiammatoria (presenza di neutrofili e/o eosinofili); 2) raschiato profondo per valutare la presenza del Demodex, necessari solo se il tricogramma è negativo; esame batteriologico con antibiogramma nel caso di lesioni ulcerative o purulente; agoaspirato se in presenza di lesioni papulo-nodulari in cui si sospetta un processo infettivo o neoplastico;

biopsia cutanea nel caso di lesioni erosive/ulcerative per escludere malattie immuno mediate o autoimmuni e solo dopo aver escluso le principali malattie follicolari. Eventuali esami complementari quali il profilo ematologico e biochimico, esami ormonali o indagini sierologiche vanno effettuate in base al sospetto clinico.

Indirizzo per la corrispondenza: Rosario Cerundolo Dick White Referrals, Veterinary Specialist Centre, Station Farm, London Road, Six Mile Bottom, Suffolk, CB8 0UH Antonella Rampazzo Istituto Veterinario di Novara, Strada Provinciale 9, Granozzo con Monticello (NO), Italia

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Segni clinici cutanei e sistemici suggestivi di un’endocrinopatia: dermatologia o medicina interna? (casi clinici) Rosario Cerundolo Med Vet, CertVD, Dipl ECVD, MRCVS, Six Mile Bottom, UK

L’alopecia è dovuta all’arresto del ciclo follicolare in fase telogena. I peli presenti con il passare del tempo si spezzano o cadono e non vengono rimpiazzati da altri nuovi. Per questo motivo la mancanza di pelo inizia nelle zone del corpo soggette a maggiore frizione, come la parte caudale delle cosce, il tronco e la regione del collo. A livello del fusto dei peli rimasti spesso sono visibili rotture e alterazioni apicali provocate dalla lunga esposizione agli agenti atmosferici. Il sospetto di endocrinopatia ed i risultati delle indagini ematocliniche suggerirà i test ormonali più appropriati da effettuarsi. Di seguito sono riportati esempi delle 3 endocrinopatie più frequentemente viste nel cane. Per ogni caso vi è stato fornito: segnalamento, anamnesi, esame obiettivo generale e particolare (dermatologico). Le informazioni fornite dovrebbero essere sufficienti a farvi stilare un elenco di diagnosi differenziali, di esami collaterali e di laboratorio più adeguati a confermare la vostra diagnosi più probabile. Insieme discuteremo ogni caso valutando la diagnosi più probabile e gli esami collaterali più utili, la prognosi, l’approccio terapeutico topico e/o sistemico ed il follow up.

Le endocrinopatie sono una causa frequente di problemi dermatologici e sistemici nel cane. L’iter diagnostico per una endocrinopatia dovrebbe prevedere la valutazione della razza (iperadrenocorticismo più frequente in cani di piccola taglia, ipotiroidismo più frequente in cani di grossa taglia), sesso (anomalie legate agli ormoni sessuali più frequenti in cani e cagne non sterilizzati), età (iperadrenocorticismo più frequente in cani anziani, ipotiroidismo più frequente in cani adulti di media età, anomalie legate agli ormoni sessuali più frequenti in cani e cagne adulti/anziani) ed un’accurata anamnesi remota e presente (individuare la presenza di segni clinici sistemici), familiare ed ambientale. Infine informarsi sull’evoluzione delle lesioni, la risposta a terapie topiche o sistemiche e l’esame del paziente valutando i segni clinici e sistemici puo aiutarci nello stilare una lista di diagnosi differenziali più probabili. Tra i segni clinici dermatologici l’alopecia di tipo simmetrica/diffusa non pruriginosa è la presentazione clinica più frequente. Altri segni clinici cutanei segnalati in cani con l’iperadrencorticismo sono la calcinosis cutis, la piodermite superficiale ricorrente, la presenza di comedoni, anomalie di colorazione del mantello, l’atrofia cutanea, la cute secca. In cani con ipotiroidismo è frequente anche la presenza di una dermatite esfoliativa, comedoni, piodermite superficiale, mixedema, mancata riscrescita del mantello dopo la tosatura ed otite ceruminosa. In cani con anomalie degli ormoni sessuali è frequente anche la presenza di iperpigmentazione cutanea, cute grassa ed otite ceruminosa.

Indirizzo per la corrispondenza: Dick White Referrals, Veterinary Specialist Centre Station Farm, London Road Six Mile Bottom, Suffolk, CB8 0UH - UK

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CASO CLINICO DI MANCATA RICRESCITA DEL MANTELLO POST-TOSATURA IN UN CANE INCROCIO SEGNALAMENTO: Max – cane incrocio, maschio di 13 anni, kg 11. ANAMNESI: vive in appartamento, è portato a spasso due volte al giorno per il centro della città raggiungendo i giardini pubblici dove gioca con altri cani. In casa è presente anche un gatto persiano che partecipa a mostre feline regolarmente. È alimentato con una dieta commerciale per cani anziani anche se spesso mangia un po’ del cibo del gatto. Max è stato sempre in buona salute a parte ricorrenti infestazioni da pulci. Infatti i trattamenti antipulci/zecche sono effettuati saltuariamente. I proprietari non presentano lesioni dermatologiche che possano far pensare ad un problema zoonosico. MOTIVO DELLA VISITA: dal momento della tosatura (5 mesi fà) il mantello non ha accennato a ricrescere. I proprietari sono alquanto sorpresi perché era stato tosato varie volte durante la stagione estiva negli anni precedenti ed il mantello era sempre ricresciuto nell’arco di alcune settimane. La mancata ricrescita del pelo non aveva richiesto fino ad ora la consultazione con il veterinario perché i proprietari speravano che prima o poi sarebbe ricresciuto, ma dopo 5 mesi e con l’inverno alle porte si sono finalmente decisi a rivolgersi al veterinario. Max non ha prurito. ESAME OBIETTIVO GENERALE: Max è in buono stato di nutrizione. Le mucose apparenti sono rosee. I linfonodi esplorabili sono normali. T,P,R sono nella norma così come le grandi funzioni organiche. ESAME OBIETTIVO PARTICOLARE: non sono rilevabili alterazioni all’ascoltazione del torace e palpazione dell’addome sebbene quest’ultima non sia facile da effettuarsi per la tensione della parete addominale. ESAME OBIETTIVO DERMATOLOGICO: presenza di pelo anche se corto nelle aree cutanee precedentemente tosate. C’è alopecia del dorso del naso con iperpigmentazione cutanea. DEFINIZIONE DEL PROBLEMA:

mancata ricrescita del mantello “alopecia” generalizzata, alopecia focale (dorso del naso con iper-

pigmentazione cutanea. DIAGNOSI DIFFERENZIALI: __________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ RICERCHE COLLATERALI: __________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ ESAMI DI LABORATORIO: ___________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ DIAGNOSI: _____________________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ TERAPIA: ______________________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ PROGNOSI: _____________________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ FOLLOW UP: ____________________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________

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CASO CLINICO DI ALOPECIA GENERALIZZATA IN UN IRISH WATER SPANIEL SEGNALAMENTO: Pippa – Irish Water spaniel, femmina sterilizzata di 6 anni. ANAMNESI: vive in casa con libero accesso al giardino. Sono presenti altri due cani della stessa razza in quanto la proprietaria è un’allevatrice. Gli altri due cani non presentano lesioni dermatologiche. Tutti i cani sono alimentati con un’alimentazione commerciale per cani da lavoro. Pippa è stata sempre in buona salute ed è stata sempre portata dal veterinario per le vaccinazioni di routine. I trattamenti antipulci/zecche sono effettuati mensilmente. La cagna ha avuto due cucciolate prima di essere sterilizzata due anni fà. Nessuno dei proprietari sembra presentare lesioni dermatologiche. MOTIVO DELLA VISITA: da circa 6 mesi ha presentato una progressiva perdita di pelo sul dorso che si è poi diffusa sui fianchi. Le lesioni non sono pruriginose. Nonostante l’uso di integratori alimentari ed il cambio della dieta la proprietaria non ha notato dei miglioramenti anzi l’alopecia è progredita. ESAME OBIETTIVO GENERALE: Pippa è in buono stato di nutrizione anche se sembra meno vivace del solito. Le mucose apparenti sono rosee. I linfonodi esplorabili sono normali. T,P,R sono nella norma così come le grandi funzioni organiche. ESAME OBIETTIVO PARTICOLARE: non sono rilevabili alterazioni all’ascoltazione del torace e palpazione dell’addome. ESAME OBIETTIVO DERMATOLOGICO: alopecia dorso-lombare che si estende su entrambi i lati del corpo. Ci sono aree all’interno dell’area alopecica dove c’è ancora presenza di pelo corto e rado. DEFINIZIONE DEL PROBLEMA:

alopecia generalizzata.

DIAGNOSI DIFFERENZIALI: __________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ RICERCHE COLLATERALI: __________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ ESAMI DI LABORATORIO: ___________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ DIAGNOSI: _____________________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ TERAPIA: ______________________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ PROGNOSI: _____________________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ FOLLOW UP: ____________________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________

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CASO CLINICO DI ALOPECIA CON DERMATITE ERITEMATOSA E PRESENZA DI SCAGLIE/CROSTE SEGNALAMENTO: Rocky – Yorkshire terrier, maschio di 8 anni. ANAMNESI: vive in casa anche se viene portato spesso a spasso in campagna e nei boschi dove sono presenti anche animali selvatici. È alimentato con una dieta casalinga. Rocky è stato sempre in buona salute a parte ricorrenti infestazioni di pulci soprattutto durante il periodo estivo. I trattamenti antiparassitari sono sporadici ma se il proprietario nota la presenza di pulci applica imidacloprid ogni 2-3 settimane che risolve rapidamente l’infestazione. Rocky ha anche una lussazione bilaterale della rotula che gli crea qualche problema quando corre. Se mostra dolore e difficoltà alla deambulazione il proprietario somministra carprofen per qualche giorno come suggeritogli dal veterinario. I proprietari non presentano lesioni dermatologiche che possano far pensare ad un problema zoonosico. MOTIVO DELLA VISITA: Il proprietario ha notato che, oltre alle lesioni cutanee, Rocky è letargico anche se l’appetito è conservato. Le lesioni sono lievemente pruriginose ed il problema non si è risolto con 3 applicazioni di imidacloprid. ESAME OBIETTIVO GENERALE: Rocky è in buono stato di nutrizione, sensorio eccitato. Le mucose apparenti sono rosee/rosse. I linfonodi esplorabili sono aumentati di volume. È presente lieve rialzo termico (38.5° C), frequenza circolatoria (120/min), frequenza respiratoria (30/min). Le grandi funzioni organiche (appetito, urinazione e defecazione) sono nella norma anche se il cane è alimentato costantemente ogni volta che il proprietario mangia e negli ultimi tempi ha avuto degli “incidenti” con perdita di urina in casa. ESAME OBIETTIVO PARTICOLARE: non sono rilevabili alterazioni all’ascoltazione del torace e la palpazione dell’addome risulta alquanto difficoltosa per la tensione della parete addominale. ESAME OBIETTIVO DERMATOLOGICO: Alopecia generalizzata con eritema e presenza di cute ispessita con materiale cheratinosebaceo aderente alla cute soprattutto nella regione ventrale del corpo. Sono presenti altre piccole lesioni cutanee con croste sui padiglioni auricolari. DEFINIZIONE DEL PROBLEMA:

alopecia generalizzata con dermatite eritematosa esfoliativa.

DIAGNOSI DIFFERENZIALI: __________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ RICERCHE COLLATERALI: __________________________________________________________________________________ ESAMI DI LABORATORIO: ___________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ DIAGNOSI: _____________________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ TERAPIA: ______________________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ PROGNOSI: _____________________________________________________________________________________________ FOLLOW UP: ____________________________________________________________________________________________

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CASO CLINICO DI ALOPECIA ED IPERPIGMENTAZIONE IN UN GOLDEN RETRIEVER SEGNALAMENTO: Bruno – Golden retriever, maschio di 11 anni. ANAMNESI: vive in casa. Viene spesso lasciato per qualche giorno in un canile quando i proprietari sono in vacanza o fuori per lavoro. È alimentato con una dieta commerciale secca per cani anziani che viene “integrata” con pollo per renderla più appetibile. Riceve trattamenti antiparassitari per ectoparassiti regolarmente anche se non è stato sverminato o effettuato un controllo delle feci da qualche anno. Bruno è stato sempre in buona salute a parte un emangiosarcoma rimosso chirurgicamente dal fianco destro all’età di 7 anni. Due mesi fà aveva presentato una dermatite pruriginosa con presenza di alopecia e croste sul muso. Un trattamento con antibiotico ed un trattamento con moxidectina hanno risolto il prurito anche se l’alopecia ha progredito ed il cane continua a perdere il pelo a ciuffi. Esami dermatologici di base effettuati dal veterinario riferente non avevano evidenziato alcun ectoparassita ma sospettando una follicolite batterica aveva prescritto un altro corso di antibiotico. Alla visita di controllo l’alopecia è progredita coinvolgendo collo, parte del tronco, arti posteriori, la coda e la parte ventrale del corpo. Il proprietario non presenta lesioni dermatologiche che possano far pensare ad un problema zoonosico ma poiche è in terapia con farmaci immunosoppressivi per un lupus eritematoso preferisce individuare la causa del problema di Bruno al più presto nel caso fosse un problema zoonotico. MOTIVO DELLA VISITA: alopecia progressiva con perdita di pelo a ciuffi e lieve presenza di prurito. ESAME OBIETTIVO GENERALE: Bruno è in apparente buono stato di nutrizione. Le mucose apparenti sono rosee. I linfonodi esplorabili sono normali. T,P,R sono nella norma così come le grandi funzioni organiche. ESAME OBIETTIVO PARTICOLARE: non sono rilevabili alterazioni all’ascoltazione del torace e palpazione dell’addome. ESAME OBIETTIVO DERMATOLOGICO: presenza di aree di alopecia localizzate intorno al collo, parete laterale del torace, arti posteriori, coda, parte ventrale del corpo. In alcune aree alopeciche sono presenti piccole croste. La cute in tutte le aree alopeciche si presenta iperpigmentata. Sono presenti 2 masse sottocutanee nella regione ventrale del corpo che secondo il proprietario sono lì da diversi mesi. DEFINIZIONE DEL PROBLEMA:

alopecia multifocale con iperpigmentazione cutanea.

DIAGNOSI DIFFERENZIALI: __________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ RICERCHE COLLATERALI: __________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ ESAMI DI LABORATORIO: ___________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ DIAGNOSI: _____________________________________________________________________________________________ TERAPIA: ______________________________________________________________________________________________ ______________________________________________________________________________________________________ PROGNOSI: _____________________________________________________________________________________________ FOLLOW UP: ____________________________________________________________________________________________

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Algoritmo diagnostico “concordato” in caso di segni clini suggestivi di endocrinopatia nel cane Rosario Cerundolo Med Vet, CertVD, Dipl ECVD, MRCVS, Six Mile Bottom, UK

Eric Zini Med Vet, PD, PhD, Dipl ECVIM-CA, Novara

Nel cane la diagnosi delle malattie endocrine quali l’iperadrenocortisimo, l’ipotiroidismo può risultare alquanto difficoltosa. Più semplice è invece la diagnosi di malattie legate ad anomalie degli ormoni sessuali. Talvolta anche nei casi con un quadro clinico classico l’esito di alcune indagini diagnostiche risulta essere di difficile interpretazione. Purtroppo non esiste ancora un test che sia sensibile e specifico al 100% per diagnosticare con certezza una malattia endocrina. Pertanto, é necessario saper combinare le informazioni ottenute dal segnalamento, l’anamnesi, la visita clinica, i risultati del profilo ematologico e biochimico e delle urine, i risultati della diagnostica per immagini con l’esito delle indagini ormonali. I relatori, pur avendo competenze specialistiche diverse, condividono e sottolineano l’importanza di un iter diagnostico accurato e completo per poter diagnosticare con precisione e trattare adeguatamente un’endocrinopatia. Qualsiasi algoritmo diagnostico proposto deve essere considerato come d’ausilio e non può sostituirsi al processo logico e scientifico ma anche quello dettato dal buon senso del veterinario.

con ACTH sintetico (che ha una sensibilità del 60-85% ed una specificità prossima all’80-90%) è ormai stato abbandonato quale test per la diagnosi dell’iperadrenocorticismo in quanto valutando la riserva funzionale delle ghiandole surrenali è usato principalmente nelle forme di ipoadrenocorticismo o durante il corso della terapia per valutare la risposta al farmaco. I test di differenziazione quali quello di soppressione con desametasone ad alto dosaggio e la determinazione della concentrazione plasmatica endogena di ACTH sono poco usati1. Le indagini diagnostiche per immagini rivestono ur ruolo fondamentale nell’iter diagnostico. L’esame ecografico delle ghiandole surrenali è d’aiuto per differenziare la forma ipofisaria da quella surrenalica. La variabilità della mole somatica esistente nei cani è un limite per la definizione corretta degli intervalli di riferimento relativi alle dimensioni delle ghiandole surrenali. TAC e RM sono utili per caratterizzare le dimensioni della ghiandola ipofisaria e riconoscere eventuali masse ivi presenti. Tuttavia, la sensibilità diagnostica differisce molto, in base alla performance degli strumenti ed all’uso di mezzi di contrasto.

IPERADRENOCORTICISMO

IPOTIROIDISMO

Secondo la letteratura scientifica corrente, nei cani affetti da iperadrenocorticismo i problemi dermatologici sono presenti nella grande maggioranza dei casi. Un 10% dei cani con iperadrenocorticismo può manifestare solamente alterazioni cutanee (alopecia, calcinosi), in assenza di altri segni clinici. Uno o più segni clinici quali poliuria e polidipsia, polifagia, addome pendulo, oltre ad alterazioni a carico dei globuli bianchi quali il leucogramma da stress, all’aumento dell’attività degli enzimi epatici o alla diminuzione del peso specifico delle urine sono rilevabili nella grandissima maggioranza dei cani affetti. I test di screening diagnostici più utilizzati sono rappresentati dal rapporto cortisolo-creatinina urinarie (il test è sensibile quasi al 100% ma presenta una specificità del 20%), e dal test di soppressione con desametasone a basso dosaggio (il test ha una sensibilità dell’8595% ed una specificità del 70-75%)1. Il test di stimolazione

Secondo la letteratura scientifica corrente, nei cani affetti da ipotirodismo le lesioni dermatologiche sono riscontrabili nel 60-80% dei casi. Spesso i cani ipotiroidei sono sovrappeso o presentano ipofertilità. Le alterazioni neurologiche sono descritte ma sono poco frequenti quelle clinicamente rilevabili. Il profilo ematologico e biochimico mostrano spesso anemia, ipercolesterolemia ed l’ipertrigliceridemia che sono osservabili in circa il 75-90% dei cani. Le determinazioni delle concentrazioni plasmatiche o sieriche di T4 totale o libero e di TSH endogeno sono utilizzate di routine da molti clinici. Nonostante ci siano falsi positivi e falsi negativi sia con il T4 totale che con quello libero, quest’ultimo risulta più affidabile2. La determinazione del TSH endogeno presenta una sensibilità limitata nei cani ipotiroidei, dal momento che circa un terzo presenta concentrazioni normali3. Il test di stimolazione con TSH bovino o ricombi-

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nante umano ha dei limiti di praticità, dal momento che entrambi non sono facilmente reperibili o sono costosi. Il test di stimolazione con TSH è ancora considerato da molti autori il “meno inconcludente” (2). La determinazione dei titoli anticorpali anti-tiroglobulina, -T4 o -T3 presenta una sensibilità del 50-60%. Tuttavia il 5-10% dei cani sani o con sick euthyroid syndrome presenta titoli anticorpali positivi.

risultati del profilo ematologico, le indagini ecografiche delle gonadi sono spesso diagnostiche. La misurazione degli ormoni sessuali può non aiutare nella diagnosi in quanto le concentrazioni ormonali di testosterone o estradiolo possono fluttuare durante l’arco della giornata (4).

BIBLIOGRAFIA ANOMALIE DEGLI ORMONI SESSSUALI

1. 2.

Anomalie degli ormoni sessuali sebbene infrequenti sono spesso associate a lesioni cutanee e alterazioni ematologiche. Attualmente si riconoscono 2 sindromi in cui il coinvolgimento degli ormoni sessuali è stato confermato: l’iperestrogenismo e l’iperandrogenismo che sono entrambe spesso dovute a tumori secernenti del testicolo o ovaio. L’iperestrogenismo della cagna può essere causato da una cisti o neoplasia ovarica o iatrogenico in cagne trattate con estrogeni per prevenire la fecondazione o in quelle con incontinenza urinaria. L’iperestrogenismo del cane è frequentemente associato ad un tumore delle cellule del Sertoli o interstiziali o un seminoma del testicolo. L’ipertestosteronismo può essere associato ad un tumore delle cellule interstiziali del testicolo o in cagne sterilizzate con un iperadrenocorticismo ipofisario. Il quadro clinico dermatologico, le alterazioni dei genitali, i disturbi comportamentali, i

3.

4.

Reusch CE. Hyperadrenocorticism. In: Textbook of Veterinary Internal Medicine. Eds. Ettinger S., Feldman E. pp: 1562-1612. Diaz Espineira MM, Mol JA, Peeters ME, et al. Assessment of thyroid function in dogs with low plasma thyroxine concentration. J Vet Intern Med, 2007; 21: 25-32. Boretti FS, Reusch CE. Endogenous TSH in the diagnosis of hypothyroidism in dogs. Schweiz Arch Tierheilkd, 2004; 146: 183188. Cerundolo R. Bensignor E., Guaguere E. Sex hormone related dermatoses. In Prelaud P. & Guaguere E. (eds.) Canine Dermatology. Merial Publications. 363-372, 2008.

Indirizzo per la corrispondenza: Rosario Cerundolo Dick White Referrals, Veterinary Specialist Centre, Station Farm, London Road, Six Mile Bottom, Suffolk, CB8 0UH Eric Zini Clinic for Small Animal Internal Medicine, University of Zurich (Switzerland), Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie, Università di Padova, e Istituto Veterinario di Novara

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Analisi stabilometrica e cinematica del movimento: un confronto con la medicina umana Chiara Chiaffredo Med Vet, CCRP, Roletto (TO)

In medicina umana l’analisi cinematica o biomeccanica con sistemi computerizzati rappresenta oggigiorno ciò che in cardiologia è rappresentato dall’elettrocardiogramma. A partire dagli anni 80 grande interesse è stato dedicato non più solo alle analisi di tipo statico ma soprattutto allo studio della dinamica del movimento. Tale interesse è scaturito dal fatto che durante la meccanica del cammino si creano delle compensazioni di tipo posturale e di tipo biomeccanico di grande significato clinico-diagnostico. Con il termine biomeccanica si intende in medicina umana un’analisi della meccanica del paziente durante la locomozione. La biodinamica in medicina umana viene considerata una sorta di analisi pluridisciplinare,infatti offre a chi la utilizza una descrizione completa dei movimenti degli arti inferiori e del tronco del paziente, delle compensazioni articolari e muscolari. La biodinamica ha preso spunto dalla fisica quantistica e lo studio dei movimenti si basa sul teorema di Lagrange, per cui si tengono in considerzione l’energia cinetica potenziale ed I movimenti dei vari segmenti ossei. Da tale osservazione si può dedurre che l’analisi del movimento inteso come camminata terrà conto di due diversi capitoli: da un lato abbiamo l’analisi del movimento delle varie parti del corpo secondo le possibilità articolari; dall’altro lato abbiamo l’analisi delle variazioni di forza e dell’azione muscolare secondo le variazioni dell’accelerazione. Ogni analisi di tipo biomeccanico deve essere supportata da un preciso protocollo, inoltre il primo step è comprendere quale parte del corpo effettuerà il movimento durante la nostra analisi e intorno a quale asse; il secondo step invece sarà comprendere quali muscoli determinano quei movimenti. Nel momento in cui l’analisi biomeccanica viene abbinata all’utilizzo di una pedana di forza allora si riuscirà ad analizzare il movimento del passo sul piano sagittale in relazione alle variazioni di pressione ed in funzione del tempo (movimento muscolare ed articolare, carico pressorio, durata del carico); inoltre, sempre grazie all’ausilio di una pedana di forza si potrà analizzare il movimento sul piano frontale, tenendo conto della linea di gravità per poter così valutare il comportamento articolare sotto il carico del peso corporeo. In medicina umana ogni movimento fa riferimento ad un punto fisso ed in biomeccanica tale punto è astratto e considera i tre piani dello spazio. Ad ogni piano corrisponde un asse attorno al quale avvengono i movimenti e quindi asse frontale per il piano sagittale, asse sagittale per il piano frontale

ed asse longitudinale per il piano trasversale. Per ciò che riguarda il piede umano il piano sagittale permette movimenti di dorsiflessione e di plantaflessione; il piano frontale permette movimenti di inversione e di eversione; il piano trasversale permette movimenti di abduzione e di adduzione. Diventa chiaro che l’analisi della marcia è complessa poiché bisogna abituarsi a considerare insieme I tre piani dello spazio ed il tempo. Il movimento umano bipodalico è instabile, ciascun piede passa da una fase di ricezione del peso corporeo ad una fase di propulsione del peso corporeo. Nella prima parte del passo il piede assorbe l’onda di choc, riceve il peso del corpo, rallenta i movimenti. In questa fase le articolazioni interessate vengono tutte rilassate per assorbire l’impatto e ricevere il peso del corpo. Questa fase termina quando il piede è posizionato perpendicolarmente al suolo considerando l’asse della tibia. La seconda fase invece, le strutture articolari devono irrigidirsi completamente per consentire ai muscoli flessori di contrarsi e di spingere il peso corporeo in avanti. In questa fase tutto il peso corporeo è su di un unico piede, inoltre questo carico determinerà il modo in cui atterrerà l’altro piede. Un passo umano è un ciclo composto da 2 fasi: la fase d’appoggio (stance phase) e la fase di oscillazione (swing phase). La fase di appoggio si divide in: contatto (heel strike), appoggio (midstance), propulsione (heel lift). Anche in medicina veterinaria un ciclo di movimento si compone di una fase di contatto e di una di oscillazione. Nella stance phase intervengono due diverse forze: le braking forces che assorbono l’impatto e le propulsion forces per garantire la spinta per alzare l’arto dal suolo. La fase di oscillazione si compone di tre parti: dapprima l’arto oscilla caudalmente, poi cranialmente ed infine ritorna caudale per poi essere appoggiato al suolo.Per ciò che riguarda l”analisi biomeccanica nel cane, il trotto a media velocità rappresenta l’andatura più idonea per effettuare una gait analysis. Si tratta di un’andatura diagonale che vede coinvolti un arto anteriore e il posteriore controlaterale nello stesso momento. Tale andatura risulta essere la più naturale per molti cani e questo è un fattore positivo per condurre una gait analysis. In medicina umana le pedane baropodometriche e stabilometriche consentono di analizzare le pressioni esercitate al suolo dal piede sia durante la camminata sia durante la stazione bipodalica. Grazie agli appositi softwares si possono valutare: la distrubuzione delle pressioni, la posizione del baricentro del paziente e dei baricen-

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rema di Lagrange. Per questo si ritiene che l’equilibrio meccanico si verifica quando i movimenti e l’attività muscolare sono bilanciati nei tre piani x,y,z. In medicina umana per poter confrontare in maniera scientifica piede destro e piede sinistro si ricorre all’utilizzo di pedane molto lunghe o di solette da utilizzare dentro le calzature in grado di rilevare i dati durante il movimento, e di trasmetterli, via wireless al computer. Anche in medicina veterinaria i sistemi che utilizzano pedane di forza sono considerati validi strumenti diagnostici in relazione al fatto che non sono invasive sono di semplice utilizzo e sono caratterizzati da elevate sensibilità e specificità. Sia in medicina umana che in medicina veterinaria i sistemi che danno il maggior numero di informazioni sono quelli che consentono di effettuare un’analisi cinematica in 3-D. Tali sistemi integrano la pedana di forza con i markers e le videocamere, rendendo possible il rilevamento di molte più informazioni. Tali sistemi a causa degli elevati costi sono utilizzati prevalentemente da istituti di ricerca e da università sia in medicina umana che in medicina veterinaria, ma in ogni caso rapprsentano il futuro della gait analysis.

tri dei singoli piedi, la percentuale di carico in rapporto al peso corporeo, l’immagine tridimensionale del piede. Il vantaggio di tale tecnica sta nel fatto che i dati acquisiti sono oggettivi. Il mercato oggi mette a disposizione della medicina umana vari dispositivi: pedane di forza, pedane con matrici di sensori, solette da utilizzare dentro la calzatura, sistemi integrati nel treadmill. I sistemi che misurano le pressioni vengono classificati in base alle caratteristiche dei sensori. Questi possono essere capacitivi, resistivi, piezoelettrici. La pedana di forza è un tappeto formato da una moltitudine di sensori che registrano, nel momento di contatto con il piede, la forza, la superficie e il tempo di appoggio. Tale strumento è ampiamente utilizzato anche in medicina veterinaria e rappresenta un valido strumento di analisi. Durante l’analisi dinamica il computer registra gli stessi dati che registra durante un’analisi statica ma, poiché la forza applicata si muove durante il pass oil computer tiene conto degli spostamenti di forza antero-posteriore e mediolaterale. Qualsiasi analisi cinematica o dinamica sia in medicina umana che in medicina veterinaria si basa sul teo-

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L’anestesia in soggetti con ostruzione o rottura delle vie urinarie Federico Corletto Med Vet, PhD, CertVA, Dipl ECVAA, MRCVS, Six Mile Bottom, UK

Il paziente presentato per rottura od ostruzione delle vie urinarie rappresenta un notevole challenge dal punto di vista anestesiologico. I reperti più comuni sono notevoli alterazioni dell’equilibrio acido-base (acidosi, iperpotassiemia), azotemia (generalmente postrenale), dilatazione della pelvi renale. Dal punto di vista clinico il paziente può presentare sensorio normale o depresso, fino ad uno stato di stupore o coma. Il sistema cardiocircolatorio può essere normale o profondamente alterato nella funzione, fino allo shock emodinamico decompensato. In caso di ostruzione cronica di entità significativa o blocco di un uretere da parte di un calcolo, la funzione renale può inoltre risultare parzialmente compromessa, pertanto è possibile riscontrare un’azotemia renale e postrenale contemporaneamente. La condizione fisica del paziente è di solito IV o V, secondo la classificazione dell’American Society of Anesthesiology. Il paziente è, quindi, in costante pericolo di vita. La caratteristica peculiare e particolarmente rilevante per quanto riguarda la gestione perioperatoria del paziente è che la patologia continua a progredire in modo inesorabile fino alla risoluzione del problema o la morte del paziente, rendendo la stabilizzazione preoperatoria particolarmente impegnativa. Il quadro può essere notevolmente complicato dalla presenza di altre patologie, per esempio è questo il caso di un paziente politraumatizzato, con frattura della pelvi, trauma addominale e toracico e rottura delle vie urinarie. Poiché un intervento tempestivo e mirato è fondamentale più che in altri casi nel determinare l’outcome, è necessario identificare rapidamente il problema che più probabilmente sarà la causa della morte del paziente, e quindi instaurare una terapia adeguata nel risolverlo, almeno parzialmente, consentendo l’esecuzione dell’anestesia e di un intervento chirurgico che potrebbe salvare il soggetto. Mentre nel caso dell’ostruzione delle vie urinarie (tipica del gatto maschio castrato), è spesso possibile inserire un catetere urinario e trattare in modo conservativo il problema o almeno stabilizzare il paziente in modo adeguato, nel caso della rottura delle vie urinarie, con presenza di uroaddome è necessario stabilizzare rapidamente il paziente per consentire la riparazione del difetto, a meno che non si disponga dei mezzi e di sufficiente famigliarità con la procedura della dialisi peritoneale o con l’emodialisi. È pertanto importantissimo identificare a quale delle seguenti categorie il soggetto appartenga:

- animale con ostruzione acuta o cronica (urolitiasi o neoplasia) delle vie urinarie nel quale si ritiene plausibile la cateterizzazione della vescica urinaria; - animale con ostruzione acuta o cronica (urolitiasi o neoplasia) delle vie urinarie nel quale la cateterizzazione della vescica urinaria non è possibile; - soggetto con rottura dell’uretra; - soggetto con rottura di vescica, rene o uretere. Mentre nel primo caso il soggetto può essere gestito in modo conservativo ed è relativamente facile correggere le alterazioni ematobiochimiche, negli altri casi è spesso necessario stabilizzare il più rapidamente possibile il paziente per anestetizzarlo e procedere con l’intervento chirurgico. La stabilizzazione del soggetto mira al rapido conseguimento di una condizione fisica accettabile per procedere con l’anestesia. In pazienti con shock emodinamico, l’espansione del volume circolante è prioritaria, ed i fluidi consigliati sono la soluzione fisiologica (NaCl 0.9%) o un colloide (gelatine o amidi). Mentre la somministrazione di un colloide consente di ripristinare rapidamente la volemia, la somministrazione di volumi elevati di soluzione fisiologica è storicamente ritenuta avere un benevolo effetto di diluizione sulla potassiemia ed azotemia. Un recente studio in condizioni sperimentali ha, tuttavia, suggerito che la somministrazione di Ringer lattato è vantaggiosa rispetto alla somministrazione di soluzione fisiologica, poiché risulta in un migliore equilibrio acido-base, non riduce la calcemia, non causa ipernatriemia ed ha effetto simile alla soluzione fisiologica per quanto concerne la potassiemia (Cunha et al, AJVR 2010, 71(7):840-6). È necessario ricordare che le più probabili ragioni della decompensazione acuta di un paziente con problema alle vie urinarie sono l’ipovolemia e l’iperpotassiemia. In presenza di shock ipovolemico è necessario non focalizzare eccessivamente l’attenzione sulla correzione di un’eventuale iperpotassiemia, in quanto questa può essere meglio gestita nel paziente dopo la correzione della volemia. Una volta esclusa la presenza di o corretta l’ipovolemia (relativa o assoluta) è necessario correggere l’iperpotassiemia. La gravità dei segni clinici e delle alterazioni elettrocardiografiche dipendono dalla cronicità del disordine elettrolitico e, quindi, dall’instaurarsi di meccanismi compensatori. Le tipiche alterazioni elettrocardiografiche causate dall’iperpotassiemia (bradicardia, aumento della dimensione

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dell’onda T, allargamento del complesso QRS, accorciamento dell’intervallo QT, assenza dell’onda P) non sono sempre evidenti e la loro assenza non esclude la presenza di iperpotassiemia anche grave. L’autore ha osservato tracciati ECG non particolarmente entusiasmanti in soggetti con grave iperpotassiemia. L’effetto sul tracciato ECG dipende non solo dalla potassiemia, ma anche dalla concentrazione di altri elettroliti e dalla quantità di catecolamine circolanti. Le catecolamine, per esempio, hanno effetto protettivo sul miocardio per quanto concerne gli effetti dell’iperpotassiemia. La diminuzione delle catecolamine circolanti determinata dall’induzione dell’anestesia potrebbe spiegare l’improvvisa decompensazione di pazienti iperpotassiemici, ed in precedenza stabili. L’iperpotassiemia altera il potenziale di membrana, facilitando la ripolarizzazione membranaria. La rapida ripolarizzazione determina l’aumento dell’altezza dell’onda T, mentre allo stesso tempo impedisce la normale funzione dei canali per il sodio, che si chiudono troppo rapidamente, risultando in un rallentamento della depolarizzazione e della conduzione (allargamento dell’onda QRS, scomparsa dell’onda P). L’effetto dell’iperpotassiemia è un profondo rallentamento dell’attività pace-maker del nodo senoatriale e della conduzione, risultando in asistole o fibrillazione ventricolare. L’iperpotassiemia può essere definitivamente risolta solo con l’instaurarsi della diuresi o, nel caso ciò sia impossibile, con la dialisi (emodialisi o dialisi peritoneale). È possibile somministrare fluidi e ripetere la cistocentesi ogni qualvolta la vescica è distesa, tuttavia i rischio legati alle molteplici punture della parete vescicale devono essere considerati. Esistono, tuttavia, altri interventi mirati a diminuire la potassiemia ed i suoi effetti sulla conduzione cardiaca, consentendo l’induzione dell’anestesia. La somministrazione di bicarbonato di sodio (0.5-1 mEq/L) causa alcalosi metabolica che determina fuoriuscita di protoni dal comparto intracellulare e conseguente movimento di potassio in direzione opposta. Il paziente deve essere in grado di eliminare la CO2 prodotta dal tamponamento del bicarbonato. Il bicarbonato, inoltre si lega la calcio, limitando quindi la possibilità di intervenire successivamente con la somministrazione di calcio gluconato. Per tali motivi, e per l’imprevedibilità dell’effetto, la somministrazione di bicarbonato non è la prima scelta dell’autore. La somministrazione di insulina e glucosio determina una riduzione significativa e prevedibile della potassiemia. Inizialmente, in casi non urgenti, la sola somministrazione di soluzione glucosata può ridurre lentamente la potassiemia, mentre in casi in cui il soggetto è in pericolo di vita a causa dell’iperpotassiemia, è indicata la somministrazione di insulina ad azione rapida (0.2 I.U./kg per volta, IV) e di un bolo di glucosio 50% (1-2 ml/kg, lentamente IV). La glicemia e la potassiemia devono essere monitorate frequentemente durante la terapia. La rapidità della correzione dell’iperpotassiemia dipende dalla durata e gravità del problema. Nel caso di ostruzione acuta in un soggetto sintomatico, la potassiemia deve essere rapidamente abbassata, mentre nel caso di iperpotassiemia cronica è controindicato abbassare la potassiemia troppo

rapidamente, per evitare il rischio di indurre alterazioni del potenziale di membrana riferibili ad ipopotassiemia. La somministrazione di calcio gluconato 10% (0.5-1 ml/kg) è una misura transitoria nella gestione del paziente iperpotassiemico con alterazioni importanti del tracciato ECG. Il calcio somministrato altera il potenziale di eccitazione, ripristinando temporaneamente la normale eccitabilità delle membrane cellulari senza alterare la potassiemia. Per facilitare la cateterizzazione della vescica è possibile ricorrere all’utilizzo dell’anestesia neurassiale (anestesia epidurale e spinale) che, tuttavia, non può risolvere lo spasmo uretrale indotto e mantenuto a livello locale dalla presenza di uroliti. Nei pazienti più depressi è talvolta possibile eseguire tali tecniche senza previa sedazione od anestesia, e l’analgesia conseguita può essere sufficiente, in caso di successo, ad eseguire interventi chirurgici nell’area perineale o a livello dell’addome caudale. La scelta dei farmaci per la premedicazione, l’induzione e il mantenimento dell’anestesia deve essere basata sulle condizioni del paziente, piuttosto che sul problema specifico delle vie urinarie. Non esiste, infatti, farmaco sicuro in tale situazione, tuttavia è bene ricordare che la ketamina, nel gatto ma non nel cane, è escreta per via renale in forma attiva. La somministrazione di una singola dose induttiva non è controindicata in modo assoluto, dal momento che l’effetto cessa per ridistribuzione e l’instaurarsi della diuresi postostruttiva elimina il farmaco in modo efficiente, mentre invece è relativamente controindicato il mantenimento dell’anestesia o l’infusione di ketamina, per il rischio di accumulo. L’autore preferisce la somministrazione di fentanyl associato a un agente induttore (propofol o, meglio, alfaxalone), semplicemente per il vantaggio emodinamico che deriva dall’utilizzo di tale protocollo. In modo simile, alcuni metaboliti della morfina, della petidina, del remifentanil sono escreti per via urinaria, tuttavia l’importanza di tale via di eliminazione è relativa per la scarsa attività o quantità di tali metaboliti in condizioni cliniche “normali” (somministrazione di bolo singolo o infusione per poche ore). Come già precedentemente menzionato, l’utilizzo di tecniche neurassiali deve essere considerato per i notevoli vantaggi che ne derivano. Il monitoraggio durante l’anestesia deve essere mirato ad identificare le possibili complicazioni, pertanto la valutazione continua dell’ECG è di fondamentale importanza. La valutazione dell’equilibrio elettrolitico ed acido-base non deve essere trascurata, sebbene nella maggior parte dei casi in cui la funzione renale non è compromessa, alla risoluzione dell’ostruzione corrisponde la correzione graduale delle alterazioni elettrolitiche e dell’equilibrio acido-base. Il monitoraggio emodinamico (pressione arteriosa invasiva o non invasiva) è essenziale per assicurarsi che la perfusione renale sia adeguata e per il rischio di ipovolemia ed ipotensione. Nel paziente con rottura delle vie urinarie e uroaddome l’equilibrio elettrolitico può variare con rapidità estrema, risultando in cambiamenti rapidi della potassiemia, che possono alterare profondamente il tracciato ECG e l’emodinamica. Nel postoperatorio, oltre alle normali attenzioni (temperatura, analgesia), è necessario considerare che la risoluzione del blocco urinario è legata a due possibili outcome:

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- oliguria o anuria, causate da un danno renale durante la fase ostruttiva - diuresi post-ostruttiva, caratterizzata da notevole kaliuresi, pertanto con il rischio di sviluppare ipopotassiemia. In tali pazienti, pertanto, è indicato mantenere un catetere urinario nel postoperatorio, per valutare la produzione urinaria ed effettuare, se indicata, l’analisi fisico-chimica dell’urina prodotta. In caso di oliguria o anuria, l’azotemia non migliora ed il paziente deve essere gestito come nel

caso di insufficienza renale postanestetica, la cui trattazione esula da questa presentazione. In caso di diuresi post-ostruttiva, è necessario supplementare la soluzione utilizzata per la fluidoterapia (solitamente Ringer lattato) con cloruro di potassio (30 mEq/L), e misurare la potassiemia, nel caso fosse necessario aumentare l’integrazione con potassio. Il catetere urinario può essere rimosso quando la produzione urinaria e l’equilibrio elettrolitico ed acido-base sono normalizzati.

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L'anestesia in caso di disendocrinia: il paziente affetto da diabete, Cushing o Addison Federico Corletto Med Vet, PhD, CertVA, Dipl ECVAA, MRCVS, Six Mile Bottom, UK

L’anestesia del soggetto affetto da endocrinopatie non può prescindere dalla conoscenza delle alterazioni legate alla patologia stessa. L’effetto finale delle alterazioni endocrine è una ridotta capacità di far fronte alle modificazioni omeostatiche indotte dall’anestesia e talvolta ciò è complicato dall’effetto dell’anestesia sull’efficacia dei farmaci normalmente somministrati per controllare la patologia stessa.

idratazione nel periodo perioperatorio. Le neuropatie sembrano essere più frequenti nel gatto piuttosto che nel cane, mentre fortunatamente i nostri pazienti non sono soggetti, al contrario degli esseri umani diabetici a patologia coronarica. Lo scopo della gestione perioperatoria nel paziente diabetico è il controllo dei problemi risultanti dalle alterazioni metaboliche indotte dal periodo di digiuno pre e postoperatorio, l’alterazione del regime alimentare e gli effetti metabolici della chirurgia. È necessario assicurarsi che il paziente riceva una quantità adeguata di glucosio, insulina e calorie con l’alimentazione, per ridurre il rischio di sviluppare uno stato catabolico caratterizzato da lipomobilizzazione, proteolisi e ketoacidosi. L’ipoglicemia deve essere evitata, pertanto è necessario misurare frequentemente la glicemia soprattutto durante l’anestesia, quando i segni clinici dell’ipoglicemia (depressione, confusione, debolezza, crisi convulsive) non possono essere individuati. La valutazione del controllo glicemico preoperatorio può essere effettuata con il dosaggio delle fruttosamine. La chirurgia elettiva deve essere rinviata fino a quando il controllo glicemico è giudicato soddisfacente. Nel caso di soggetti con insoddisfacente controlo glicemico che devono essere sottoposti ad interventi chirurgici urgenti, è necessario cercare di controllare la glicemia e ripristinare il normale stato metabolico, somministrando insulina, glucosio e potassio sotto stretto monitoraggio di elettroliti, equilibrio acido-base e glicemia. Per quanto riguarda la procedura è necessario pianificare l’anestesia in modo che la normale routine giornaliera (alimentazione, somministrazione di insulina) sia alterata nel modo minore possibile. Generalmente è consigliabile pianificare la procedura al mattino presto, cosicché la normale alimentazione e dose di insulina può essere somministrata il prima possibile dopo il risveglio, minimizzando il digiuno. La glicemia deve essere controllata al mattino, prima della premedicazione e dell’anestesia, quindi una dose di insulina appropriata può essere somministrata al momento della premedicazione. Uno studio (Kronen et al, 2001, Veterinary Anaesthesia and analgesia, 28(3); 146-155) ha comparato l’effetto della somministrazione di ¼ oppure di tutta la dose di insulina in cani diabetici prima dell’anestesia, concludendo che in entrambi i casi gli animali erano iperglicemici durante l’anestesia e nel postoperatorio e in metà dei prelievi l’iperglicemia era particolarmente grave. È interessante notare che, paradossalmente, la glicemia era più elevata, durante l’aneste-

IL PAZIENTE DIABETICO Per ridurre i rischi legati all’anestesia e soprattutto al periodo perioperatorio nel paziente diabetico, è necessario fare quanto possibile per stabilizzare, se necessario, il paziente controllando nel modo migliore possibile la glicemia. Lo stress legato all’ospedalizzazione, al cambio del regime alimentare, all’anestesia ed all’intervento chirurgico complica il controllo della glicemia, pertanto il rischio di sviluppare ketoacidosi e profonde alterazioni della glicemia è tanto maggiore quanto il paziente è instabile. L’instabilità, inoltre, complica notevolmente la gestione farmacologica della glicemia, rendendo necessarie continue variazioni della dose di insulina e quindi ripetuti prelievi di sangue per verificarne l’effetto. In medicina umana è stato identificato un maggior rischio di sviluppare infezioni postoperatorie legato alla compromissione dell’attività chemotassica e fagocitica dei globuli bianchi. In pazienti diabetici con ottimale controllo della glicemia il rischio di infezione è significativamente minore. In medicina veterinaria l’effetto del controllo glicemico sulle complicazioni postoperatorie non è stato ben caratterizzato, tuttavia il meccanismo immunodepressivo riscontrato negli umani e la sua antagonizzazione da parte della somministrazione di insulina è stato dimostrato già nel 1959 da Sherstneva (Bullettin of experimental biology and medicine, 47(5); 582-585). È noto, inoltre, che gli animali diabetici sono generalmente maggiormente a rischio di infezioni. Talvolta il difficile controllo glicemico è, inoltre, legato alla presenza di patologie concomitanti, quali per esempio, pancreatite, o ipertiroidismo, condizioni che complicano notevolmente la gestione dell’anestesia. L’insufficiente somministrazione di insulina è legata non solo a persistente iperglicemia, ma anche ad un generale stato catabolico, che influenza negativamente il processo di guarigione. La persistente poliuria e polidipsia, inoltre, aumenta il rischio di dis-

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sia, nei cani che avevano ricevuto la dose completa di insulina rispetto a quelli che avevano ricevuto la dose più bassa, mentre nel postoperatorio accadeva il contrario. L’autore preferisce somministrare metà dose di insulina al momento della premedicazione (la dose completa è somministrata in caso di glicemia>14 mmol/l), quindi misurare la glicemia immediatamente dopo l’induzione dell’anestesia e quindi ogni 30 minuti. La somministrazione di soluzioni contenenti glucosio è riservata ai soggetti nei quali la glicemia è inferiore a 6 mmol/l, mentre la somministrazione di insulina cristallina (0.1-0.2 IU/kg) è indicata in caso di grave e persistente iperglicemia. Il protocollo anestetico è scelto in modo da facilitare un rapido risveglio, cosicché l’animale può essere alimentato il prima possibile e ricevere, se necessario, il resto della dose di insulina. Nel postoperatorio, dopo che l’animale si è alimentato, l’insulina è controllata meno frequentemente fino alla somministrazione della dose serale. Se l’animale non si alimenta, è somminstrata una soluzione elettrolitica bilanciata supplementata con glucosio 2.5% e potassio 20 mmol/l. La somministrazione di destrosio 5% per periodi prolungati è sconsigliabile poiché può determinare iponatriemia, pertanto nel caso tale soluzione sia utilizzata, è necessario monitorare gli elettroliti. L’anestesia è gestita in modo da minimizzare la risposta allo stimolo chirurgico, poiché ipercortisolemia e elevate concentrazioni di catecolamine favoriscono l’iperglicemia. Se non controindicata, l’esecuzione di tecniche locoregionali presenta il notevole vantaggio di migliorare il controllo del dolore perioperatorio. Per quanto riguarda l’effetto dei singoli farmaci, una nota a parte meritano gli alfa-2 agonisti, in particolare il loro effetto iperglicemizzante, che è dose-dipendente nell’animale normale ed è legato all’inibizione della secrezione di insulina da parte del pancreas. Nel paziente diabetico l’importanza di tale effetto collaterale è relativa, dal momento che il controllo glicemia dipende dalla somministrazione di insulina, inoltre dosi basse (3-5 mcg/kg di medetomidina o dosi equivalenti di dexmedetomidina) hanno effetto trascurabile sulla glicemia anche nel paziente non diabetico. La gestione del gatto diabetico è simile, tuttavia la presenza di patologie concomitanti e la maggior suscettibilità del gatto agli effetti del digiuno e della ketoacidosi possono complicare notevolmente la gestione del paziente.

attenzione nella scelta dei farmaci utilizzati. L’ipertensione arteriosa è, inoltre, un reperto relativamente frequente (86%) nel cane affetto da morbo di Cushing (Ortega et al, JAVMA, 1996, 209; 724-1729), pertanto ciò deve essere considerato durante il monitoraggio intraoperatorio e nella valutazione preanestetica: in conseguenza dell’adattamento all’ipertensione, una pressione arteriosa “normale” potrebbe avere lo stesso effetto di un evento ipotensivo e risultare in insufficiente perfusione d’organo. È importante ricordare che l’ipertensione spesso non è risolta con la somministrazione di farmaci che inibiscono la secrezione surrenalica, pertanto è un reperto frequente anche nel paziente “stabilizzato”. Considerata la notevole variabilità nella gravità della patologia al momento della presentazione per l’anestesia, è consigliabile effettuare una stadiazione accurata, cosicché sarà possibile identificare i pazienti a maggior rischio. In caso di iperadrenocorticismo, inoltre, il rischio di infezioni e di deiescenza delle suture è maggiore rispetto al paziente con normale funzione surrenalica, e ciò deve essere considerato nella pianificazione della gestione perioperatoria e dell’intervento. Una nota a parte merita il rischio di ipercoagulabilità in soggetti affetti da iperadrenocorticismo. Mentre tale rischio è riconosciuto anche nel cane, non vi è unanimità di opinione per quanto riguarda la necessità di somministrare una tromboprofilassi nel periodo perianestetico. Se si decide di somministrare eparina, è interessante ricorda che un lavoro relativamente recente (Skott et al, J Vet Emerg Crit Care, 2009, 19(1); 74-80) ha suggerito che la delteparina, alla dose di 100 IU/kg, somministrata ogni 12 ore non riesce, nel cane, a ridurre l’attività del fattore antiXa a livelli ritenuti terapeutici. Pertanto alcuni autori ritengono che nel cane la tromboprofilassi dovrebbe essere effettuata con eparina non frazionata a dosi di 100-200 IU/kg, somministrata da 2 a 3 volte al dì. Nel caso sia pianificato un intervento mirato a correggere l’iperadrenocorticismo (ipofisectomia o adrenalectomia secondo la causa), è necessario assicurarsi che la secrezione di gluco e mineralcorticoidi sia adeguata nel periodo perioperatorio ed eventualmente integrarli fino a quando necessario. L’esecuzione di un test di stimolazione con ACTH può fornire utili informazioni sulla funzione della surrenale rimasta in caso di adrenalectomia ed è possibile anche dopo aver somministrato desametasone per assicurare al paziente la capacità di far fronte allo stress perioperatorio. La gestione del paziente con insufficienza surrenalica è sotto certi aspetti, più semplice, dal momento che consiste nella preventiva stabilizzazione con mineral (fludrocortisone) e glucocorticoidi (idrocortisone o prednisolone). I segni clinici e le alterazioni ematobiochimiche della crisi addisoniana, sono, inoltre caratteristi e facilmente identificabili (debolezza, collasso, diarrea, vomito, iperpotassiemia con alterazioni ECG relative, ipotensione). In tali pazienti è consigliabile somministrare una dose soprafisiologica di steroidi prima dell’intervento chirurgico, per consentire al’organismo di far fronte allo stress legato alla procedura. Il rischio di crisi addisoniana rimane elevato nel postoperatorio, pertanto potrebbe essere necessario modificare la dose di steroidi somministrata per trattare la patologia. Nel paziente in crisi addisoniana, oltre alla somministrazione di steroidi (idrocortisone), è necessario trattare lo stato di ipotensione, e in questo caso è indicata a somministrazione di soluzione fisiologica.

IL PAZIENTE CON ALTERAZIONI DELLA FUNZIONE SURRENALICA (IPER ED IPOADRENOCORTICISMO) Come per il paziente diabetico, anche nel caso delle alterazioni della funzione surrenalica è indicato posticipare l’anestesia e la chirurgia fino a quando la disendocrinia è sotto controllo. La gestione anestesiologica del paziente affetto da iperadrenocorticismo deve tener conto dell’aumento del tessuto adiposo intraddominale, che può compromettere l’escursione diaframmatica e che, insieme alla miopatia tipica della patologia potrebbe risultare in una notevole compromissione della ventilazione. L’uso della ventilazione a pressione positiva intermittente è, pertanto, indicato. La funzione epatica può essere, in alcuni casi, alterata, richiedendo quindi particolare

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Quando pensare alle dermatiti solari: dal segno clinico alla terapia Luisa Cornegliani Med Vet, Dipl ECVD, Milano (I)

COSA SONO LE DERMATITI SOLARI

QUANDO PENSARE ALLA DERMATITE SOLARE

La dermatite solare è una reazione fototossica e interessa principalmente le aree glabre e/o a pelo corto. La sua gravità dipende dal tempo d’esposizione ai raggi UV: si ha la formazione di cheratinociti vacuolizzati dell’epidermide superficiale, cheratinociti apoptotici, dilatazione dei vasi, incremento dei componenti vasoattivi, delle citochine infiammatorie e dell’ossigeno reattivo. Questa serie di eventi induce un’alterazione del DNA con possibile trasformazione cellulare neoplastica. L’elastosi è un altro evento importante che implica una diminuzione dell’elasticità cutanea1,2,3,4,5. Negli animali, i peli costituiscono una naturale barriera all’esposizione ai raggi solari e in condizioni fisiologiche sono sufficienti per la protezione della cute. Esistono tuttavia alcune aree glabre del muso o dell’addome che restano esposte. Il cambiamento dello stile di vita degli animali da compagnia ed l’abitudine a renderli partecipi alle attività del proprietario li rende maggiormente esposti a malattia “da benessere”. Cani e gatti viaggiano spesso con il proprietario e frequentano posti di villeggiatura adottando le stesse abitudini, compresa quella di fare bagni di sole.

Esistono differenze tra le manifestazioni cliniche della malattia nel cane e nel gatto. È utile ricordare che in dermatologia non esistono le diagnosi visive e che sempre, prima di emettere una qualsiasi diagnosi, è necessario raccogliere l’anamnesi, eseguire l’esame obiettivo generale e particolare dermatologico, gli esami complementari. I cani possono sviluppare follicoliti e cisti follicolari attiniche su tronco e arti. Clinicamente queste lesioni possono essere indistinguibili dalla classica forma di follicolite batterica, anche perché spesso l’infezione microbica è una complicanza della malattia. Nei maschi si può avere un interessamento dello scroto con eritema, follicolite e foruncolosi attinica, lesioni secondarie all’autotraumatismo. Spesso la dermatite scrotale può essere confusa con una dermatite da contatto e trattata erroneamente. Alcuni cani possono presentare eritema diffuso nelle aree glabre con secondario prurito e clinicamente ricordare una forma di dermatite atopica (eritema e prurito), reazione allergica al cibo e dermatite da contatto. In tutti questi casi l’anamnesi favorisce la diagnosi, anche se spesso questa si ottiene definitivamente solo attraverso l’esame istopatologico. L’esclusione di tutte le altre cause di malattia e la mancata risposta alle eventuali terapie empiriche per le infezioni microbiche possono rafforzare l’ipotesi diagnostica. Le lesioni sul dorso del naso, rappresentate da eritema, vescicole, escoriazioni ed alopecia secondaria, croste e talvolta depigmentazione (lesioni profonde), molte volte sono sovrapponibili clinicamente alle malattie immunitarie di lupus cutaneo, dermatomiosite, pemfigo like. In questi casi può essere più complicato raggiungere la diagnosi perché la dermatite solare può essere fattore scatenante o peggiorativo della malattia immunitaria1,2,3,4,5. Da ricordare che alcune forme iniziali di linfoma cutaneo possono mimare una dermatite solare per eritema, esfoliazione e prurito localizzato. Le lesioni foto indotte possono essere presenti su tutto il corpo, anche se principalmente restano localizzate a muso, arti e parti ventrali. Nel gatto bianco o a cute glabra, si può avere inizialmente, come nel cane, eritema e prurito sul muso. Questo è però un evento piuttosto transitorio e difficile da valutare. Nella maggior parte dei casi gli animali che sono portati alla visita clinica presentano dermatite attinica sui margini dei padi-

COSA SONO LE RADIAZIONI ULTRAVIOLETTE (UV) I raggi ultravioletti (UV) sono radiazioni elettromagnetiche con lunghezza d’onda inferiore alla luce visibile ma maggiore dei raggi X; sono più piccole e rapide della luce visibile colorata, che ha una lunghezza d’onda da 400 a 700 nm (nanometri), e costituiscono meno del 5% della radiazione solare. La gamma delle lunghezze d’onda UV è suddivisa in: UVA (400-320 nm), UVB (320-290 nm) e UVC (inferiore a 290 nm). La maggior parte dei raggi nocivi è assorbita dallo strato d’ozono, dalle impurità atmosferiche e dai vetri delle finestre. È importante ricordare che l’esposizione ai raggi solari aumenta al crescere dell’altitudine e per ogni 1000 metri si ha un incremento del 10-12%1,2,3. Le ore centrali del giorno andrebbero evitate per le passeggiate (ore 10-16).

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glioni auricolari e dorso del naso. Alcuni proprietari non identificano questa lesione dermatologica come tale, pensando semplicemente che l’animale abbia naso ed orecchie “sporche”, soprattutto se il gatto è a mantello bianco e ha l’abitudine di uscire in giardino. Nei casi più gravi la malattia progredisce in carcinoma squamocellulare. Le lesioni in questo caso possono essere erosive-ulcerative e mimare le malattie erpetiche virali per topografia lesionale. Con il tempo localmente si forma il carcinoma squamocellulare, neoplasia localmente invasiva, la cui gravità varia con possibile esito chirurgico invasivo (amputazione). Diversamente che nel cane, le dermatiti solari interessano principalmente il capo1,2,3,4,5.

dotti a base di acido paraminobenzoico (PABA) e derivati del benzofenone. Il PABA è un buon assorbente degli UVB, ma sono state segnalate reazioni allergiche all’applicazione e non protegge la cute già lesionata. La maggior parte dei dati sull’applicazione deriva dalla medicina umana e dagli studi di laboratorio. In generale vanno applicati ogni 2-3 ore e si ha una migliore protezione mettendoli 20-30 minuti prima dell’esposizione e 15-30 dopo6. Se sono presenti lesioni dermatologiche foto indotte poco gravi (es. eritema), il trattamento farmacologico consiste nella protezione dai raggi solari nei giorni successivi e l’idratazione cutanea; alcuni autori suggeriscono beta-carotene a 30 mg/kg/die per os. Se presenti lesioni di maggiore gravità è preferibile aggiungere corticosteroidi per via sistemica a dosi antinfiammatorie (prednisolone 1 mg/kg/die) per 7-10 giorni; in alcuni casi può essere utile acitretina 0.5-1 mg/kg/die nel cane e 5-10 mg/gatto. Negli animali con infezione batterica si utilizzano antibiotici sistemici mirati secondo l’esito dell’antibiogramma (durata secondo la gravità dell’infezione). Alla presenza di neoplasie cutanee è meglio consultare il veterinario oncologo per la terapia più idonea, soprattutto quando sono interessate le palpebre ed il naso4,5. Negli animali con malattie immunomediate, dove gli UV abbiano indotto peggioramento o recrudescenza della sintomatologia, è utile consultare il dermatologo che segue il paziente per modificare la terapia. L’evoluzione clinica, escluse per le neoplasie, è generalmente buona.

APPROCCIO DIAGNOSTICO In dermatologia si seguono sempre delle tappe prefissate, come accennato in precedenza. In particolare raccolta un’anamnesi completa su abitudine e stile di vita dell’animale, si esegue l’esame obiettivo generale e particolare. Identificate le lesioni dermatologiche primarie e secondarie si può stilare la lista delle diagnosi differenziali e procedere alla scelta degli esami complementari. Quelli di maggiore utilità sono l’esame citologico ed istopatologico, ma è bene effettuare anche i raschiati, scotch test, ecc per escludere comunque altre malattie concomitanti. Tendenzialmente l’esame citologico può essere utile per identificare la presenza di infezioni secondarie e consentire di valutare la popolazione cellulare. In molti casi si ha presenza di cheratinociti dismorfici e/o neoplastici che suggeriscono la diagnosi. L’esame istologico è di conferma. Nei casi dubbi, quando vi è abbondante presenza di granulociti neutrofili e macrofagi, è necessario eseguire prima un wash out dalle infezioni secondarie (es. piodermite superficiale)4,5. L’esame istopatologico consente di identificare la presenza o meno cheratosi follicolare, dermatite attinica, neoplasia squamocellulare, elastosi ecc, oltre ad escludere altre malattie in modo definitivo1,2,3,4,5.

BIBLIOGRAFIA 1.

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3.

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TERAPIA

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La prevenzione è sempre la migliore terapia. Bisognerebbe evitare lunghe passeggiate nelle ore più calde e, nella stagione estiva, tra le 10 e le 16. Nei casi la dove non è possibile limitare le attività del cane o del gatto (animali con accesso al giardino) è necessario utilizzare protettivi solari6. I protettivi solari sono divisi in fisici e chimici. I primi sono pigmenti organici che proteggono la cute impedendo ai raggi solari di penetrarla attraverso la formazione di una barriera opaca che li riflette, mentre gli altri assorbono i raggi UV. I protettivi solari fisici sono l’ossido di zinco ed il diossido di titanio. I protettivi chimici sono una famiglia di pro-

6.

Bensignor E, (1999), Soleil et peau chez les carnivores domestique, 1- effects des raynnements solaires sur les structures cutanées, Le Point Veterinaire, 30: 225-228. Bensignor E, (1999), Soleil et peau chez les carnivores domestique. 2-Affections photo-induites et photo-aggravées, Le Point Veterinaire, 30: 229-236. Calmont JP, (2002), Dermatoses solaires (1re partie): photodermatoses et dermatoses photo-aggravées. Prat Méd Chir Anim Comp, 37: 185-193. Noli C, Scarampella F, (2004), Malattie ambientali, in Dermatologia del cane e del gatto, ed Poletto, 327-330. Scott DW, Miller WH, Griffin CE, (2001), enviromental skin diseases, in Muller and Kirk’s small animal dermatology. WB Saunders, Filadelfia, cap 16: 1073-1081 Gasparro FP, Brown D, Diffey BL, Knowland JS, Reeve V (2003): Sun protective agents: formulations, effects and side effects. In Fitzpatrick’s Dermatology in general medicine, McGraw-Hill ed. cap 247: 2344-2359.

Indirizzo per la corrispondenza: Luisa Cornegliani Clinica Veterinaria S. Siro, Milano E-mail: lcornegliani@libero.it

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La cardiomiopatia ipertrofica nel gatto. Punti di incontro con l’uomo Serena Crosara Med Vet, Torino

Franco Cecchi Med Chir, Centro Cardiomiopatie, Università Firenze

La Cardiomiopatia Ipertrofica (CMI) è la patologia cardiovascolare geneticamente determinata più comune nella specie felina. Gli studi condotti in Veterinaria hanno messo in luce diversi aspetti della malattia che rispecchiano, sia dal punto di vista epidemiologico che fisiopatologico, la CMI nell’uomo. La CMI viene definita come una malattia del miocardio caratterizzata da ipertrofia del ventricolo sinistro, raramente estesa anche al ventricolo destro, diffusa o segmentaria, in assenza di cause locali o sistemiche che possano spiegare l’ipertrofia riscontrata. Nell’uomo la malattia è determinata nella maggioranza dei casi da una mutazione di geni codificanti proteine del sarcomero, e si trasmette con carattere autosomico dominante. Una mutazione a carico del gene codificante la Myosin Binding Protein C-3 (MyBPC3) è stata dimostrata nel Ragdoll e nel Maine Coon, in quest’ultimo con modalità di trasmissione autosomica dominante. In entrambe le specie la penetranza è variabile. Nel gatto, individui portatori della stessa mutazione possono manifestare la malattia in epoche diverse e con gravità variabile. Nell’uomo la penetranza dipende dal tipo di mutazione, con manifestazioni cliniche precoci fin dall’infanzia, a sviluppo dell’ipertrofia anche in tarda età, fino alla V e VII decade, in particolare nelle donne. Nell’uomo, con una prevalenza stimata nella popolazione generale di circa 1:500, la CMI è la più frequente cardiopatia geneticamente determinata. È quindi meno rara di quanto precedentemente creduto e secondo questa stima in Italia ci sarebbero oltre 110 mila soggetti affetti. Di questi, la grande maggioranza non è ancora diagnosticata, perché la cardiopatia è in fase subclinica, asintomatica. La diagnosi avviene solitamente in occasione della comparsa dei sintomi o di complicanze cardiovascolari indotte dalla cardiopatia, durante una valutazione cardiologica occasionale o nel corso di uno screening cardiologico. La reale prevalenza della CMI nella specie felina non è conosciuta. Esistono diversi studi, condotti su popolazioni relativamente ristrette, che forniscono percentuali estremamente variabili. Tale variabilità è probabilmente da imputare al fatto che le popolazioni esaminate sono sottopopolazioni ospedaliere, e quindi non rappresentative della popolazione generale. Inoltre in alcune razze feline la prevalenza è sicuramente maggiore, ed una

spiccata presenza di tali razze in uno studio epidemiologico può indurre ad una sovrastima della prevalenza della malattia nella popolazione generale. Nell’uomo la CMI viene ancora percepita come una patologia molto insolita, e soffre diverse limitazioni tipiche delle malattie rare: mancanza di studi prospettici numericamente adeguati e randomizzati, scarsa dimestichezza dei medici con le problematiche tipiche della malattia, percorsi gestionali poco chiari, carenza di fondi devoluti alla ricerca. In campo Veterinario, l’assenza di studi randomizzati e numericamente adeguati è oltremodo sentita, rendendo la diagnosi clinica e la gestione terapeutica spesso difficili. Nelle persone affette da CMI il rischio più catastrofico è rappresentato dalla morte improvvisa ed inattesa, che costituisce circa il 50% delle cause di morte per questa patologia, ed è l’esclusiva causa di morte nei soggetti diagnosticati in giovane età. Le altre cause di morte prematura comprendono lo scompenso cardiaco congestizio e l’ictus; resta inoltre sostanziale la disabilità a lungo termine legata alla limitazione funzionale, alle aritmie, allo scompenso congestizio cronico, agli esiti di ictus. Nella specie felina, la morte improvvisa è stata descritta come possibile conseguenza di CMI, ma l’incidenza di tale evento non è conosciuta. La principale causa di morte nel gatto è lo scompenso cardiaco congestizio, seguita dall’insorgenza acuta di tromboembolismo arterioso che può portare a morte per compromissione di organi vitali o, in molti casi, ad eutanasia del paziente.

PREVENZIONE DELLA MORTE IMPROVVISA NELL’UOMO La CMI rappresenta una delle cause più frequenti di morte improvvisa cardiaca nel giovane e anche nell’età adulta. Questo dato da solo è sufficiente per illustrare l’impatto sociale della malattia, e per lungo tempo la ricerca scientifica nel settore della CMI si è focalizzata in modo quasi univoco sulla prevenzione della morte improvvisa. Tale evento, sebbene devastante, è fortunatamente non frequente. Tuttavia, dei circa 110 mila individui affetti da CMI stimati in Italia, circa il 7% è ad alto rischio di aritmie ventricolari mali-

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ne micro vascolare ed episodi sincopali, oltre, ovviamente, alla familiarità per morte improvvisa.

gne, arresto cardiaco e morte improvvisa ed inattesa (pari a circa 700 pazienti all’anno). L’identificazione precoce dei pazienti a rischio più elevato è un compito fondamentale, anche se molto difficile, per il cardiologo, in quanto la disponibilità del Defibrillatore impiantabile consente un’efficace prevenzione della morte improvvisa aritmica in questi pazienti, in particolare nei giovani, oligo-asintomatici.

LO SCOMPENSO CARDIACO NEL GATTO Nel gatto lo scompenso cardiaco spesso coincide con il momento della diagnosi. Secondo i dati riportati in letteratura il 50% circa dei gatti viene riferito in seguito allo scompenso, mentre l’altro 50% in fase preclinica. La fase asintomatica può passare inosservata per l’assenza di segni clinici evidenti al proprietario o di reperti auscultatori rilevabili nel corso della visita ambulatoriale di routine. L’insorgenza dei sintomi avviene in epoca variabile in base alla gravità della patologia, con un’età media di 1-3 anni nelle forme moderate-gravi, fino a 7-10 anni nelle forme lievi. Il tromboembolismo arterioso è un evento acuto e devastante, che compare nel 50% circa dei gatti affetti da CMI. In questi pazienti la prognosi è grave a causa della possibile compromissione di organi vitali, o delle frequenti recidive in seguito alla risoluzione del primo episodio. Inoltre, la criticità dell’episodio spinge frequentemente il proprietario ad optare per l’eutanasia del proprio animale. L’evidenza ecocardiografica di ecocontrasto spontaneo in atrio sinistro è indicativa di uno stato protrombotico che può aiutare ad individuare i pazienti più a rischio di sviluppare tromboembolismo arterioso. Dal punto di vista diagnostico, anche per il gatto la dilatazione atriale sinistra rappresenta un indice predittivo di ridotta sopravvivenza. Contrariamente all’uomo, nel gatto la fibrillazione atriale è un evento raro. Come nell’uomo, anche nei gatti affetti da CMI sono state descritte alterazioni a carico delle coronarie intramurali e fibrosi, tuttavia non esistono al momento studi in grado di definire una correlazione tra tali alterazioni istopatologiche ed i dati clinici.

LO SCOMPENSO CARDIACO NELL’UOMO Un problema molto più frequente della morte improvvisa, e che presenta un costo sociale elevato nelle popolazioni con CMI, è rappresentato dalla progressione di malattia verso lo scompenso cardiaco avanzato. Come riportato sopra, ogni anno circa l’1% dei pazienti con CMI ha mostrato un aumento della limitazione funzionale (passaggio in classe funzionale NYHA III-IV). Come per tutte le altre cardiopatie, la fase di scompenso ed il cosiddetto “end stage” rappresentano situazioni croniche di difficile gestione, caratterizzate da ricoveri ospedalieri ripetuti, da una pesante riduzione della qualità della vita, e da un aumento significativo dei costi sanitari. Data l’età media relativamente giovane dei pazienti con CMI, questa evoluzione ha conseguenze sociali ed economiche particolarmente severe. Molto più che nel caso della morte improvvisa, la progressione della malattia nella CMI può essere prevista e controllata, ad esempio, con l’abolizione dell’ostruzione all’efflusso, documentabile in circa i 2/3 dei pazienti, con l’individuazione della fibrillazione atriale, precedentemente sottovalutata, e del suo elemento determinante, cioè la dilatazione atriale sinistra. Quest’ultima, è uno dei più importanti fattori predittivi del successivo decorso clinico. La dilatazione atriale sinistra costituisce quindi un fattore di rischio importante, facilmente evidenziabile in ecocardiografia, per la progressione di malattia, per lo scompenso ed anche per la morte improvvisa. Altri fattori di rischio importanti comprendono l’ostruzione all’efflusso ventricolare sinistro, l’ischemia miocardica a coronarie indenni da disfunzio-

Bibliografia disponibile presso i relatori: se.crosara@gmail.com

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Aspetti endoscopici non comuni, rari e unici di malattie laringee Davide De Lorenzi Med Vet, Dipl ECVCP, SCMPA, Dr Ric, Padova (I)

Molto spesso, in presenza di sintomi e segni clinici riferibili ad una patologia respiratoria, l’indagine ispettiva clinica e strumentale tende a valutare approfonditamente i distretti nei quali più frequentemente si possono identificare alterazioni di vario genere: in particolare le cavità nasali per le vie aeree superiori e le strutture intra-toraciche per le vie aeree inferiori sono regolarmente ispezionate con procedure di esame dirette ed indirette (ispezione, auscultazione, palpazione, endoscopia, radiologia, TC, risonanza, citologia, etc). Molto più di rado, o per lo meno non routinariamente, la stessa accuratezza di indagine viene applicata alla laringe: a causa della sua localizzazione “di passaggio” fra vie aeree superiori ed inferiori i sintomi ed i rumori respiratori prodotti da patologie laringee vengono spesso erroneamente attribuiti ora ad un distretto più craniale ora ad un distretto più caudale. Non è raro, ad esempio, che cani con paralisi della laringe vengano trattati per patologie tracheo-bronchiali oppure che in pazienti brachicefali l’indagine ispettiva si limiti alla valutazione della lunghezza eccessiva del palato molle ed alla stenosi delle narici dimenticando completamente di valutare la presenza di un possibile collasso laringeo. La frase riportata all’inizio di questo testo è, in questo senso, emblematica: ben il 30% dei pazienti sottoposto ad indagine broncoscopica presentava in associazione o unicamente alterazioni a livello della laringe, alterazioni che sarebbero state completamente ignorate se la broncoscopia non fosse stata preceduta da una attenta e metodica valutazione dell’anatomia e funzionalità laringea. Lo scopo di questa relazione è quello di sottolineare l’importanza di una routinaria valutazione della laringe attraverso la presentazione degli aspetti di normalità endoscopica e dei principali quadro patologici che possono coinvolgere questa struttura. L’anatomia della laringe è particolarmente complessa e risulta spesso di difficile comprensione; l’esame endoscopico consente di evidenziare solamente alcune parti di questo organo mentre gran parte delle cartilagini e dei rapporti fra laringe e strutture circostanti non può essere endoscopicamente ispezionato. Nonostante questo una valutazione accurata della laringe non può prescindere dalla conoscenza accurata di tutte le strutture che la compongono, anche se non ispezionabi-

li con l’endoscopio. Per questo motivo di seguito tratteremo brevemente le caratteristiche anatomo-funzionali della laringe. La laringe è un organo tubulare semirigido costituito in prevalenza da cartilagini, muscoli e mucosa. L’impalcatura dell’organo è costituita da tre cartilagini di grandi dimensioni (epiglottide, tiroide e cricoide) e due cartilagini più piccole (le aritenoidi). L’epiglottide è la cartilagine posizionata più oralmente ed è seguita dalla tiroide e dalla cricoide; la tiroide e la cricoide sono fortemente connesse fra di loro attraverso le articolazioni cricotiroidee e questa rigida impalcatura rappresenta la base che consente i movimenti delle altre cartilagini. L’epiglottide ruota in senso rostro-caudale sulla sua base che è a contatto con la cartilagine tiroidea mentre le piccole cartilagini aritenoidi si articolano sulla loro parte mediale con la cartilagine cricoide e possono compiere movimenti in senso latero-mediale. Le cartilagini aritenoidi sono mantenute unite nella loro parte dorsale grazie ad una piccola cartilagine interaritenoidea. La laringe è poi collegata cranialmente all’apparato ioideo e caudalmente al primo anello tracheale. La laringe è ricoperta da mucosa squamosa stratificata; questa forma delle pieghe che ricoprono sia i legamenti vocali (che vanno dai processi vocali delle aritenoidi medialmente sul pavimento laringeo) formando le corde vocali che i legamenti vestibolari formando le pieghe vestibolari. Fra le corde vocali e le pieghe vestibolari si formano delle cripte chiamate ventricoli laringei, mancanti nel gatto. L’apertura romboidale all’interno della laringe delimitata dorsalmente dalle cartilagini aritenoidi e ventralmente dalle corde vocali prende il nome di glottide ed è il punto di passaggio più stretto fra le vie aeree superiori ed inferiori. L’apertura della glottide non è costante e dipende dalla posizione delle corde vocali, a sua volta determinata dalla posizione delle cartilagini aritenoidi: il movimento in senso dorso laterale delle aritenoidi allontana le corde vocali fra di loro ampliando il lume della glottide mentre il movimento in senso contrario riduce il diametro glottideo. Cranialmente alla glottide vi è una apertura più ampia delimitata dai processi cornoculati delle aritenoidi, dalle epiglottidi e dalle pieghe ari-epiglottidee chiamata adito laringeo.

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Tutte le strutture sopra elencate devono essere identificate e valutate per alterazioni anatomiche (forma, rapporti anatomici, aspetto della mucosa) e funzionali (movimento). In particolare, per la mucosa laringea devono essere valutati il colore, che deve essere rosa intenso ma più chiaro nelle zone sovrastanti le cartilagini corniculate e cuneiformi, la lucentezza e la trasparenza che deve consentire la valutazione della trama vascolare sottomucosa. Non devono inoltre essere presenti essudati o altri liquidi ad esclusione di saliva schiumosa o raro muco limpido e filante. Di particolare importanza risulta la valutazione dei movimenti di abduzione (inspirazione) ed adduzione (espirazione) delle cartilagini aritenoidi eseguita, come già ricordato, con piano anestesiologico basso. Devono essere valutate il sincronismo dei movimenti e la corrispondenza con gli atti respiratori del paziente. In presenza di erosioni o neoformazioni è necessario eseguire prelievi per le valutazioni cito-istologiche: possono essere impiegate spazzoline ed agoasprazione per i prelievi citologici e prelievi con pinza endoscopica per l’istologia. Nel corso della presentazione verranno mostrati vari filmati relativi agli aspetti patologici poco comuni identificabili in corso di ispezione laringea del cane e del gatto; di seguito troverete una serie di letture consigliate utili nell’approfondire l’argomento.

INDICAZIONI La laringoscopia è indicata nella valutazione diagnostica di pazienti con stridore inspiratorio, modifiche nella fonazione, disfagia, intolleranza all’esercizio fisico oppure che hanno respiro rumoroso o tosse. In generale l’osservazione accurata della laringe deve essere eseguita ogni volta che il paziente viene sottoposto ad indagini per sintomi e segni clinici riferibili ad una patologia dell’apparato respiratorio; l’esame deve essere eseguito prima dell’intubazione e prima di rinoscopia, faringoscopia, broncoscopia e lavaggi tracheobronchiali e broncoalveolari.

STRUMENTAZIONE E TECNICA Anche se una fonte luminosa ed un abbassalingua consentono l’osservazione della laringe, l’esame eseguito con una ottica rigida (2.7 mm di diametro e 18 cm di lunghezza) permette una eccellente visione dell’organo e del primo tratto della trachea; l’impiego di una telecamera collegata all’ottica consente di registrare e riguardare i movimenti laringei, magari rallentandone la velocità per consentire uno studio migliore. Particolarmente importante risulta la scelta dell’anestesia: il paziente deve sempre essere esaminato ad un piano anestesiologico leggero, per evitare un falso giudizio di paralisi laringea. Una leggera anestesia utilizzando propofol o barbiturico ev ad azione rapida rappresenta una buona scelta nel cane mentre nel gatto ketamina a diazepam usati in combinazione sono ritenuti adatti allo scopo. Il paziente viene posizionato con il collo esteso, la bocca mantenuta aperta con un apribocca e la testa tenuta fissa da un assistente. La lingua viene tirata fuori dalla bocca in mezzo ai canini e l’ottica viene quindi inserita fra i canini e sopra la lingua; a questo punto si esaminano le cripte tonsillari, l’epiglottide ed il suo rapporto con il palato molle, le pliche ariepiglottiche, le cartilagini aritenoidi, le corde vocali, i ventricoli laringei (solo cane) e le pieghe vestibolari. L’endoscopio procede quindi fino ai primi anelli di tracheali.

LETTURE CONSIGLIATE Noone K.E. Rhinoscopy, pharingoscopy and laringoscopy. In Mendelez L The Veterinary Clinics of North America, Small Animal Practice: Endoscopy, Saunders. Luglio 2001, 671-687. Jakubiak MJ et al Laryngeal, laryngotracheal, and tracheal masses in cats: 27 cases (1998-2003). JAAHA, sett-ott 2005, vol 41, 310-316.

Address for correspondence: Davide De Lorenzi Clinica Veterinaria S.Marco - Via Sorio 114/C, Padova Tel 0498561098 - davide.delorenzi@fastwebnet.it

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Opzioni mininvasive nel collasso tracheale del cane: esperienze acquisite Davide De Lorenzi Med Vet, Dipl ECVCP, SCMPA, Dr Ric, Padova (I)

Fabio Sangion Med Vet, Padova (I)

Il collasso tracheale (CT) è una patologia caratterizzata da un appiattimento in senso dorso-ventrale degli anelli tracheali, associato a notevole lassità della membrana tracheale dorsale. L’anomalia primaria consiste nella diminuzione, evidenziabile istologicamente, delle glicoproteine e del contenuto in glicosaminoglicani della cartilagine ialina; questo si traduce in una diminuita capacità della cartilagine di trattenere acqua con conseguente diminuzione della sua rigidità funzionale. L’idea che alla base sia presente una predisposizione genetica e che il difetto sia congenito è sostenuta dal fatto che in alcuni animali il problema si manifesta in giovanissima età, entro l’anno di vita. Fra i possibili fattori scatenanti si citano l’obesità, la cardiomegalia, i traumi al collo, l’intubazione, l’inalazione di allergeni irritanti. Il CT è una patologia dinamica, quando il collasso è confinato al tratto cervicale lo schiacciamento tracheale si manifesta in fase inspiratoria mentre se il collasso è presente a livello intratoracico, la riduzione del diametro si evidenzierà in fase espiratoria. Quando tutta la trachea è interessata, vi sarà sempre un tratto tracheale collassato, sia in inspirazione che in espirazione. La membrana tracheale dorsale contribuisce ad aggravare i segni clinici, venendo risucchiata durante il collasso degli anelli e determinando ulteriore ostruzione del lume tracheale; sia la maggiore velocità dell’aria attraverso la struttura deformata che il contatto della membrana con gli anelli e della parte superiore ed inferiore degli anelli stessi determina infiammazione mucosale con sua conseguente iperplasia e aumentata secrezione. Il CT colpisce quasi esclusivamente razze toy e cani di piccola taglia; fra le razze più colpite ricordiamo lo yorkshire terrier, il barboncino toy, il pinscher, il chihuahua. L’età alla quale i cani vengono portati a visita per CT è 6-7 anni anche se l’indagine anamnestica evidenzia presenza di tosse progressivamente ingravescente già presente anche da anni. In circa il 25% dei pazienti la tosse era già presente entro il primo anno di vita. La tosse rappresenta il segno clinico principale: episodi parossistici, scatenati da eventi quali eccitazione, attività fisica anche molto modesta, trazione del guinzaglio sul collare. È presente tosse secca, aspra e sonora, a volte simile al verso di

un’anatra anche se questa caratteristica non è presente che in una piccola percentuale di casi. In casi gravi agli accessi di tosse seguono episodi di grave dispnea fino alla cianosi. Comunque pazienti con collasso tracheale anche grave possono essere quasi completamente asintomatici: è importante sottolineare come il quadro clinico non sempre si correla con la gravità della deformazione tracheale e che, per questo, la classificazione in gradi del collasso è di limitata utilità. Il collasso tracheale viene diviso in 4 gradi, a seconda della riduzione di diametro del lume tracheale: il primo grado non presenta in realtà una deformazione degli anelli, ma piuttosto un prolasso della membrana tracheale dorsale; gli altri gradi sono associato ad un sempre più evidente schiacciamento degli anelli. La diagnosi di collasso tracheale può essere eseguita con varie tecniche: l’esame radiografico consente di sospettare il problema ma sono possibili falsi positivi e falsi negativi; in particolare non di rado l’esofago e la muscolatura del collo si sovrappongono in posizione laterolaterale alla silhouette tracheale, in corrispondenza dell’ingresso del torace dando un quadro radiografico simile a quello del CT. La diagnosi radiografica di vero CT deriva dal confronto fra larghezza tracheale in fase inspiratoria e fase espiratoria. L’esame radiografico risulta fondamentale per evidenziare altri problemi concomitanti quali alterazioni polmonari, masse, cardiomegalia, megaesofago. La fluoroscopia permette di ovviare a questi limiti dando una visione dinamica e abbastanza precisa del difetto sia cervicale che toracico. L’esame ecografico può mettere in evidenza un’alterazione dinamica della trachea; si tratta di un esame comunque poco utilizzato e non utile se il problema risulta essere intratoracico. L’esame endoscopico rappresenta la tecnica di scelta, eseguito con il paziente anestetizzato e non intubato, collo esteso, testa leggermente sollevata e apribocca applicato. Può essere utilizzato sia uno strumento rigido che un’ottica flessibile. La terapia del CT varia a seconda della presentazione clinica: Presentazione acuta: il cane che si presenta con distress respiratorio acuto deve essere considerato un’emergenza medica ed ogni indagine deve essere rimandata dopo la sua stabilizzazione;

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applicare uno stent è necessario definire bene con il proprietario le aspettative sulla qualità di vita del proprio animale ed è bene ricordare che comunque si tratta di animali che dovranno essere sottoposti a terapia farmacologica spesso nell’arco della loro vita. Al loro posto, nei pazienti umani, vengono routinariamente utilizzate protesi siliconiche, applicate sotto visione endoscopica diretta e con appositi introduttori rigidi a stantuffo. La protesi di Dumon, in medicina umana, è la più usata al mondo ed è costituita da silicone morbido con rilevatezze regolarmente distribuite sulla sua superficie esterna, che ne facilitano l’ancoraggio. È presente in diverse lunghezze variabili fino a 7 cm e in diametri da 10 a 18 mm (diametro esterno) e con diversi gradi di rigidità. Ne esiste inoltre un modello radiopaco. Gli speroni prevengono la migrazione e limitano il contatto con la mucosa respiratoria. La superficie interna è ricoperta da un rivestimento antiaderente per ridurre il ristagno di secrezioni. I bordi alle estremità sono levigate per evitare sbavature che, avendo azione irritante, potrebbero causare granulomi. Tale protesi, rispetto alle precedenti al nitinolo non ricoperte, possono essere facilmente rimosse e riposizionate con pinze da corpo estraneo. Le principali complicanze, riportate in medicina umana, nell’utilizzo delle Dumon sono: la migrazione (2.8%-18.6%), la formazione di granulomi (1%-18.9%) e l’ostruzione da secrezioni (1%-30.6%). I dati riportati in letteratura dimostrano ampie variazioni legate alla diversa tipologia di patologie trattate. Complicanze rare sono l’ostruzione da tumore, l’infezione, lo shock settico e l’afonia. Le complicanze sono più frequenti nei pazienti con stenosi benigne rispetto a quelli con patologia neoplastica. Le protesi siliconiche hanno, a differenza delle metalliche auto espandibili, un diametro fisso e pertanto possono migrare soprattutto in presenza di una mucosa liscia; in genere la migrazione è un evento precoce dopo il posizionamento.

Presentazione cronica: il problema clinico principale dei cani con collasso tracheale è la tosse e la terapia si basa sul suo controllo farmacologico e le sostanze più efficaci sono sedativi oppioidi. L’impiego di broncodilatatori è controverso. I cortisonici vanno usati con estremo giudizio e solamente per ridurre l’eventuale infiammazione presente a livello laringeo e tracheo-bronchiale. Altre possibili cause scatenanti che devono essere controllate sono le patologie cardiache, le infezioni concomitanti, le polveri e gli irritanti ambientali ed il collare che deve essere sostituito con una pettorina. L’uso di Stanozololo (Stargate®) non è mai stato supportato da lavori scientificamente rigorosi e deve essere considerata, fino a prova contraria, destituita di ogni fondamento. In presenza di grave sintomatologia che non risponde alle terapie sopra descritte, è possibile attuare procedure chirurgiche che possiamo definire come “salvavita”. L’applicazione chirurgica extratracheale di protesi ad anello risulta utile solo in casi selezionati e per il CT cervicale. Recentemente sono state impiegate tecniche di dilatazione intraluminale con l’impiego di stent a rete non ricoperta di acciaio o nitinolo (lega di nichel e titanio). Il vantaggio di questa procedura risiede nella facile applicazione, che non richiede un intervento chirurgico e nell’immediato miglioramento clinico che segue l’applicazione dello stent. I principali svantaggi stanno nella relativa fragilità e nella impossibilità di una loro rimozione dopo l’applicazione; complicazioni secondarie alla non corretta scelta delle misure dello stent e ad un suo non adeguato posizionamento sono date da iperplasia mucosale fino alla formazione di granulomi con conseguente ulteriore riduzione del diametro tracheale. I pazienti devono essere selezionati con cura, è importante escludere quelli che presentano bronchite cronica, polmonite, cardiopatie congestizie, neoplasie polmonari, filariosi cardiopolomonare; in questi casi la tosse determinata da queste patologie può causare la rottura dello stent. Prima di

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Il corpo estraneo esofageo: approccio endoscopico e/o chirurgico nella gestione di casi complessi Davide De Lorenzi Med Vet, Dipl ECVCP, SCMPA, Dr Ric, Padova (I)

Fabio Sangion Med Vet, Padova (I)

In generale, i CE esofagei possono essere trattati conservativamente monitorandone il transito, rimossi endoscopicamente o chirurgicamente. La scelta dipende da dimensioni e tipo di CE, evidenza o sospetto radiografico e/o endoscopico di ostruzione o perforazione. Vi sono numerosi vantaggi nella rimozione endoscopica di un CE: la procedura è minimamente invasiva, generalmente rapida, ha costi inferiori se paragonati alla chirurgia, le dimissioni sono generalmente in giornata. I fattori che determinano l’incarcerazione di un CE nell’esofago sono dati da: dimensioni, caratteristiche lisce o rugose della superficie del corpo estraneo, presenza di margini acuminati o appuntiti e presenza di stenosi esofagee patologiche pre-esistenti. L’esofago presenta 4 zone di restringimento: lo sfintere esofageo superiore, l’ingresso nel torace, a livello della base cardiaca, la parte dell’esofago prossimale alla giunzione gastro-esofagea. I segni clinici sono in genere acuti anche se frequentemente questi non vengono subito riconosciuti come conseguenti ad un’ostruzione completa o parziale dell’esofago, piuttosto vengono attribuiti a una generica patologia gastrica; molto spesso, infatti, manca il reperto anamnestico. I segni clinici più frequenti sono dati da deglutizioni a vuoto, scialorrea a volte con striature ematiche, tosse, atteggiamenti di vomito, anoressia, depressione, expirium fetido; in caso di perforazione esofagea possono associarsi ipertermia e dispnea grave. Quando il CE determina un’occlusione parziale la sintomatologia può essere molto più lieve e l’animale può addirittura alimentarsi mostrando rigurgito solo in presenza di ingesta di dimensioni maggiori. La diagnosi risulterà semplice e rapida se l’anamnesi dà indicazioni precise; in questo caso il passaggio successivo è rappresentato da valutazione radiografica. La presenza di consolidamento dei lobi ventrali rende sospetta una concomitante polmonite “ab ingestis” mentre la presenza di pneumomediastino e pneumotorace rappresentano un indizio di possibile perforazione e un eventuale contrasto con mezzo iodato liquido può consentire di confermare il sospetto, rendendo controindicata la procedura endoscopica e inviando il paziente in chirurgia.

Come regola generale, in assenza di perforazione, ogni corpo estraneo incastrato a livello esofageo deve essere rimosso il prima possibile. In ogni caso l’estrazione deve essere tentata 4-6 ore dalla diagnosi e l’endoscopia rappresenta la scelta iniziale migliore. L’estrazione deve essere eseguita con il paziente in anestesia generale e posizionato sul fianco sinistro con apribocca; nel corso del tentativo di estrazione, specialmente nei casi più complessi, il paziente viene spesso ruotato per consentire un ottimale impiego degli strumenti viavia impiegati. L’endoscopio viene inserito sotto visione diretta fino al CE, insufflando nel contempo l’esofago così da consentire la dilatazione delle pareti e una più facile progressione dello strumento. Particolare attenzione deve essere posta nel non sovradistendere lo stomaco con insufflazioni eccessive e valutando la possibilità che una perforazione esofagea possa determinare un pneumotorace acuto. Una volta individuato il CE il primo tentativo, dopo un’accurata ispezione e lavaggio dell’area circostante il CE, vede l’impiego di un’ansa o una pinza inserita nel canale di lavoro dello strumento con lo scopo di agganciare una protuberanza del CE e saggiarne il movimento. Raramente questa tecnica consente di rimuovere il CE, generalmente è necessario l’impiego di pinze più forti, come quelle da laparoscopia. Spesso si utilizzano dei dilatatori che permettono di spostare e staccare il CE dalla parete esofagea: questi strumenti vengono lubrificati e inseriti coassialmente all’endoscopio contemporaneamente alla pinza che trattiene e fa compiere dei piccoli movimenti all’osso mentre il dilatatore viene inserito alternativamente in punti differenti fra CE e parete esofagea. A questo scopo possono essere impiegati dilatatori pneumatici ma l’eventualità che si forino divenendo così inutilizzabili ne limita notevolmente l’impiego. Una volta tentata la mobilizzazione del CE è possibile applicare forze traenti progressivamente più intense, facendo però attenzione che le pinze da presa laparoscopiche sono in grado di sviluppare una trazione estremamente energica, sicuramente in grado di lacerare l’esofago. Se il CE è molto vicino allo sfintere esofageo inferiore è possibile tentare la sua dislocazione nella stomaco.

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La rimozione del CE esofageo permette di evidenziare eventuali lesioni mucosali. Nonostante l’aspetto delle lesioni sia a volte drammatico, la guarigione risulta spesso rapida anche se possono rilevarsi, a distanza di tempo, stenosi cicatriziali anche di notevole entità, mentre decisamente più rare sono fistole che mettono in comunicazione esofago e trachea o bronchi. È importante eseguire un controllo radiografico subito dopo la rimozione del CE per escludere la presenza di pneumomediastino e/o pneumoperitoneo; in caso di dubbio il radiogramma deve essere ripetuto dopo 12 e 24 ore. Le terapie post-estrazione comprendono antibiotici ad ampio spettro, farmaci ad azione analgesica intensa e sospensione di acqua (almeno 12 ore) e cibo (almeno 24 ore); se sono state evidenziate gravi lesioni mucosali è consigliato un controllo endoscopico a 3 e 10 giorni per valutare l’eventuale presenza di stenosi. Se si decide di ricorrere all’intervento chirurgico l’approccio varia a seconda di dove si debba intervenire. Possiamo suddivire l’esofago in due parti principali, esofago cervicale e toracico: la prima va dallo sfintere esofageo superiore all’ingresso nel torace e in questo tratto l’esofago si trova inizialmente dorsalmente alla trachea fino a portarsi dorso-lateralmente a sinistra della stessa. Nel suo attraversare il torace viene suddiviso in esofago toracico craniale, alla base del cuore e caudale fino ad attraversare il diaframma attraverso lo iato esofageo. L’approccio chirurgico avviene per la parte cervicale con un’incisione mediana, cui fa seguito lo spostamento laterale della trachea che permette una completa visione ed esplorazione dell’organo. Se è necessario intervenire sull’esofago cervicale e sulla sua parte toracica craniale, è possibile estendere l’accesso attraverso una sternotomia mediana. Per l’accesso all’esofago toracico si ricorre ad una toracotomia laterale destra o sinistra, attraverso il 3° o 4° spazio per la parte craniale, 5° o 6° per la porzione alla base del cuore e 7°, 8° o 9° per l’esofago toracico caudale. Il posizionamento di uno spessore, asciugamano o traversa, specie per gli

accessi caudali, rende più agevoli le manualità sul campo operatorio avvicinando l’esofago al chirurgo. Strumenti utili a questo tipo di chirurgia sono: divaricatore autostatico di Finochietto, divaricatori manuali Senn-Miller o ArmyNavy, pinze vascolari e pinze toraciche angolate. Il tratto esofageo su cui intervenire viene evidenziato e delimitato da garze laparotomiche inumidite per prevenire contaminazioni iatrogene, trattandosi di ferita chirurgica pulita-contaminata vs contaminata, a seconda dei casi. A questo punto viene usata la maggior cautela possibile nel manipolare i tessuti in considerazione del fatto che da una parte l’irrorazione vascolare è segmentale e può essere compromessa da mobilizzazioni forzate e dall’altra che all’esofago manca la tonaca sierosa, così importante per i successivi processi di cicatrizzazione. Questo, unito al costante movimento dato da peristalsi e atti respiratori, fa sì che la deiscenza della sutura sia una delle complicazioni più frequenti di questa chirurgia. L’esofagotomia si esegue sia longitudinalmente che perpendicolarmente, dipende da natura e posizione del CE o della lesione, cercando di incidere una porzione della parete non lesionata. La chiusura dell’incisione esofagea si esegue con uno o due piani di sutura: se si decide per due piani il primo comprende mucosa e sottomucosa con punti semplici staccati il cui nodo è posto nel lume, il secondo interessa la tonaca muscolare a punti semplici staccati o a materassaio. Se si propende per un solo piano viene eseguita una sutura a punti semplici staccati a tutto spessore Il filo è un monofilamento a lento assorbimento, generalmente 4-0 USP. Se la parete risulta molto lesionata si ricorre a patch omentali o muscolari. È indicato posizionare un drenaggio toracico che andrà tolto appena possibile. Vengono poi ricostruiti i piani anatomici e controllato l’esofago per via endoscopica. In questa sede molto spesso risulta utile il posizionamento di un catetere gastrostomico percutaneo che permette di alimentare il paziente bypassando l’organo. Il protocollo postchirurgico ricalca quello utilizzato dopo rimozione con endoscopio.

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Red blood cell data, dots and morphology: How to maximize the value of an in-house complete CBC Dennis B. DeNicola DVM, PhD, Dipl ACVP, Maine, USA

Evaluation of the red blood cell picture, the erythron, has changed quite dramatically over the last 25 years. We have evolved greatly from just running a manual packed cell volume with the microhematocrit centrifuge technique to a rather sophisticated 24 parameter test profile from the newer reference laboratory and in-house hematology analyzers. With the current technology, a tremendous amount of useful data is provided and there are many checks and balances in place to assure quality results. In addition, there are new tools available with the information provided by the newer analyzers that our veterinary professionals need training on how to use and interpret. There are three major components of the erythron evaluation and they consist of 1) evaluation of the actual data generated by the hematology analyzer, 2) evaluation of the dot plots or cytograms provided by the newer analyzers, and 3) evaluation of the blood film. Each of these components of the erythron interpretation is important and is discussed below. The numerical data generated relative to the erythron can include up to nine different results. These are the data that are extremely valuable to determine severity of an alteration from baseline values on a particular patient that provide direction on possible causes for the changes or for further diagnostic testing. Following trended data while treating or monitoring a patient provides the veterinarian with a very sensitive method of determining improvement or progression of the disease state or to determine if there is ongoing stable disease. Even during wellness examinations, it is always important to evaluate numerical data in comparison to previously generated data during health since most of the erythron parameters do not vary much during health. Again, subtle changes can prove to be very sensitive indicators of subclinical problems. This is especially true for the erythron since so many inflammatory, infectious, metabolic, endocrine and neoplastic diseases may have direct and indirect effects on the red blood cell compartment. Different components of the erythron numerical data provide different information. The RBC, HCT, and HGB parameters provide objective information relative to the red blood cell mass. This in particular can be affected by many different disease situations. The most common “mass” change we see in veterinary medicine is that of a decrease or anemia. Increase or polycythemia may occur since we see dehydration and relative increases in “mass” commonly and we may

see the uncommon absolute increase in “mass” associated with either primary or secondary polycythemia. The red blood cell indices MCV, MCH and MCHC provide insight in the size of the cells (MCV) and the degree of hemoglinization (MCH and MCHC) of the red blood cells. Trended changes or absolute changes outside of the reference intervals for the different species provide valuable objective information that can help limit the diagnostic investigation into a red blood cell abnormality. The RDW or red blood cell distribution width is a relatively new parameter provided by the newer in-house hematology analyzers and this is an objective measure of the degree of anisocytosis in the red blood cell population. Finally, the percent and absolute reticulocyte counts now provided by the newest instruments even for the in-house hematology laboratory provides the most objective measure of bone marrow responsiveness when there is a peripheral demand for red blood cells. Typically this is used in cases where there is an anemia; however, an absolute reticulocyte count is highly valuable for even the non-anemic patient. This scenario will be discussed in detail during the presentation. Evaluation of the dot plots or cytograms and evaluation of the peripheral blood film provide both methods to help validate the numerical data generated and additional information not supplied in the numerical data. With the advancement in technology over the years, the accuracy and precision of the hematology analyzers is quite impressive; however, no analyzer should ever be considered fool proof. That is why, in addition to internal quality checks by the analyzer, we utilize external quality control programs to assure our analyzers are operating properly. A good quality control program can provide information on general analyzer performance; however, we utilize the dot plots and blood film microscopic review partially as a quality check on each individual sample run. Pre-analytical problems with sample collection or handling as well as patient-associated hematologic abnormalities can impact hematology analyzer performance. The dot plots and blood films help avoid any potential incorrect interpretation of just the numerical data. In many cases, the hematology analyzers provide “flags” or “message codes” when sample processing challenges are encountered. Oftentimes this is directly related to some of the potential pre-analytical issues such as platelet clumping on an improperly handled sample or difficult collection as well as potential sample-based

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issues such as agglutination of red blood cells or abnormal circulating cells. Many times, the dot plots and blood films can provide enough information to assure incorrect results are not generated or used for interpretation. Dot plots or cytograms provided by the newer laserbased hematology systems are relatively new to most veterinarians. These contain a tremendous amount of information and one of the most powerful values of these new tools is that they provide the veterinarian or technician with immediate pictorial information about the actual cellular analysis that has taken place even before a blood film is prepared for microscopic evaluation. These dot plots consist of a series of “dots” arranged into variably colored clouds of different densities. Each dot represents a single cellular event and the graphic representation of how the hematology analyzer completed its analysis. With the laser-based systems, with or without fluorescent dyes, a laser beam of light is passed through a stream of cells and as the light hits each cell, light (or fluorescence) is scattered. Multiple photoreceptors positioned at specific locations capture this scattered light and the dots on the dot plot represent the analysis of the various morphologic aspects of these cells being analyzed. Information regarding size of the cell, amount of cytoplasm, granularity of the cytoplasm, nuclear/cytoplasmic ratios, density of the cytoplasm, presence of internal organelles like RNA in reticulocytes, etc are collected and visually presented in the dot plot. In the case of the red blood cell run, information about red blood cells and platelets is presented. If a patient’s erythron has a thrombocytopenia, immediate examination of the platelet portion of the dot plot can be used to validate that finding. If a reticulocytosis is reported, a very rapid examination of the dot plot immediately confirms the presence of high numbers of cells with the pattern demonstrating numerous “dots” in the region where reticulocytes are located. An example of a red blood cell dot plot is shown in Figure 1. Microscopic evaluation of the peripheral blood film cannot be replaced totally by the evaluation of the dot plots. For selected evaluations such as recognizing the presence or absence of any significant numbers of reticulocytes, the dot plot does an extremely good job. This is especially true if there is any difficulty in preparing a well stained peripheral blood film. Many people find simple hematology stains such as Diff Quik difficult to assure consistency in staining and if all red blood cells have too bluish a tint, differentiating mature red blood cells from immature red blood cells (reticulocytes) essentially impossible. Something that the dot plots cannot do related to the red blood cell analysis is predicting or identifying significant red blood cell morphologic abnormalities. Any red blood cell morphologic abnormality is highly valuable to the veterinarian because these morphologic changes provide essential clues to the suggestion of an underlying cause of something like an anemia or the presence of underlying occult disease. A complete blood count (CBC) should now include a thorough evaluation of the data

Figure 1 - Red blood cell and platelet dot plot generated on the IDEXX ProCyte Dx®. The red dots each represent individual cellular analyses of mature red blood cells. The purple dots represent individual cellular analyses events of reticulocytes or immature red blood cells. The blue dots represent individual cellular analyses of platelets. There are more than 60,000 digitized cellular analyses represented in this graph.

generated by the hematology analyzer, the dot plot or cytograms provided and a peripheral blood film microscopic evaluation. In the case where screening of relatively healthy patients (pre-anesthetic patients, wellness examinations, etc.) are being evaluated, only extremely short amounts of time are required for the complete analysis and even with the most difficult hematologic cases, less than three minutes should be spent on data analysis.

BIBLIOGRAPHY Knoll JS: Clinical automated hematology systems, in Feldman BF, Zinkl JG, Jain NC (eds.): Schalm’s Veterinary Hematology (fifth edition). Philadelphia, PA, Lippincott, 2000. Moritz A, Becker M: Automated hematology systems in Weiss DJ, Wardrop KJ (eds.): Schalm’s Veterinary Hematology (sixth edition). Ames, IO, Wiley-Blackwell, 2010, pp. 1054-1066. Tvedten H, Scott M, Boon GD. Interpretation of cytograms and histograms of erythrocytes, leukocytes and platelets in Bonaguara JD (ed.): Kirk’s Current Veterinary Therapy XIII, St. Louis, MO, WB Saunders, 2000.

Address for correspondence: Dennis B. DeNicola Chief Veterinary Educator at IDEXX Laboratories, Westbrook, ME USA Adjunct Professor at Purdue University School of Veterinary Medicine, West Lafayette, USA

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White blood cell data, dots and morphology: How to maximize the value of an in-house complete CBC. Dennis B. DeNicola DVM, PhD, Dipl ACVP, Maine, USA

Evaluation of the white blood cell picture, the leukon has changed quite dramatically over the last 25 years. We have evolved greatly from just evaluating a total white blood cell count to a total white blood cell count and manual 100 cell leukocyte differential to currently available total white blood cell counts with totally automated five-part leukocyte differentials. With the current technology, a tremendous amount of useful data is provided and there are many checks and balances in place to assure quality results. In addition, there are new tools available with the information provided by the newer analyzers that our veterinary professionals need training on how to use and interpret. There are three major components of the leukon evaluation and they consist of 1) evaluation of the actual data generated by the hematology analyzer, 2) evaluation of the dot plots or cytograms provided by the newer analyzers, and 3) evaluation of the blood film. Each of these components of the leukon interpretation is important and is discussed below. The numerical data generated in a complete blood count (CBC) is relatively straight forward. Most in-house and reference laboratory analyzers provide a total white blood cell count along with a partial or complete leukocyte differential. In most cases, the differential is presented in both relative numbers (percent of each leukocyte type) and absolute number for each of the leukocyte type per microliter. You will note that some laboratories and in-house CBC reports only report reference intervals for the absolute numbers of individual leukocytes and not for the relative counts. It is always recommended to make interpretation of potential leukocyte changes through the evaluation of the absolute numbers to avoid incorrect interpretations. From the reference laboratory, a complete five-part leukocyte differential is provided; this complete leukocyte profile is essential to assure correct interpretation. Even simple differentiation between three of the most common leukocyte abnormalities, inflammation, “stress” (glucocorticoid influence) and “excitement” (epinephrine influence) requires having the knowledge of the complete five-part leukocyte differential. The five leukocytes in question include the neutrophil, lymphocyte, monocyte, eosinophil and basophil. Many of the more basic impedance hematology analyzers only provide a three-part leukocyte differential, which is lacking in some critical cell type information to allow proper assessment. In the past we used to rely on a 100 leukocyte manu-

al differential on the microscopic to obtain this leukocyte information In many cases, this manual differential has been replaced by the much more precise automated differential provided by the newer hematology analyzers utilizing laser flow cytometry with and without fluorescent enhancement. The information collected following light scatter as the laser beam is focused on individual leukocytes as they pass by the beam in a single row stream is quite voluminous and this information allows quite accurate characterization of the different cell types. Accuracy and precise leukocyte measurements are required for the veterinarian to properly assess any leukocyte changes numerically. Even if the total white blood cell count is within reference interval limits, changes in numbers of individual leukocyte type numbers can be observed and recognition of various disease states is possible. Again, this is only possible when the data collected is both highly accurate and precise. These numerical data provide valuable information not only related to the presence or absence of basic abnormalities like the presence of inflammation, “stress” and “excitement”, but they also provide information about the severity of the change based on the degree of change observed. In addition, following serial leukogram changes during management or monitoring of a disease state can provide information relative to the progression or regression of a disease process. In some cases as with severe inflammatory disease, monitoring leukogram changes every 12-24 hours may be required to follow the disease process accurately. Unlike with the erythron, leukocyte numbers are more variable during health because of various physiologic influences; however, comparing baseline results during periods of known health will be still valuable in detecting deviations from health even with the absence of clinical signs associated with disease. One must just be cautious to not over interpret subtle changes in individual leukocyte type numbers. Evaluation of the dot plots or cytograms and evaluation of the peripheral blood film provide both methods to help validate the numerical data generated and additional information not supplied in the numerical data. With the advancement in technology over the years, the accuracy and precision of the hematology analyzers is quite impressive; however, no analyzer should ever be considered fool proof. That is why, in addition to internal quality checks by the analyzer, we utilize

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external quality control programs to assure our analyzers are operating properly. A good quality control program can provide information on general analyzer performance; however, we utilize the dot plots and blood film microscopic review partially as a quality check on each individual sample run. Pre-analytical problems with sample collection or handling as can impact hematology analyzer performance even when the analyzer is performing to its peak capability. The dot plots and blood films help avoid any potential incorrect interpretation of just the numerical data. In many cases, the hematology analyzers provide “flags” or “message codes” when sample processing challenges are encountered. Oftentimes this is directly related to some of the potential pre-analytical issues such as difficult sample collection or partial clotting prior to proper anticoagulation or the presence of abnormal circulating cells. Many times, the dot plots and blood films can provide enough information to assure incorrect results are not generated or used for interpretation. Dot plots or cytograms provided by the newer laser-based hematology systems are relatively new to most veterinarians, but they are powerful tools that assist data assessment. These dot plots consist of a series of “dots” arranged into variably colored clouds of different densities. Each dot represents a single cellular event and the graphic representation of how the hematology analyzer completed its analysis. With the laser-based systems, with or without fluorescent dyes, a laser beam of light is passed through a stream of cells and as the light hits each cell, light (or fluorescence) is scattered. Multiple photoreceptors positioned at specific locations capture this scattered light and the dots on the dot plot represent the analysis of the various morphologic aspects of these cells being analyzed. Information regarding size of the cell, amount of cytoplasm, granularity of the cytoplasm, nuclear/cytoplasmic ratios, density of the cytoplasm, presence of internal organelles like RNA, etc are collected and visually presented in the dot plot. In the case of the white blood cell run, information about the different leukocytes is presented. If a patient’s leukon has a significant increase or decrease in any particular leukocyte type, immediate examination of that respective region of the dot plot can be used to validate that finding. An example of a white blood cell dot plot is shown in Figure 1. Microscopic evaluation of the peripheral blood film cannot be replaced totally by the evaluation of the dot plots. Morphologic information relative to the presence of immature neutrophil forms (band neutrophils), the presence of neutrophil toxicity or the presence of reactive or abnormal cells in circulation cannot currently be attained with automation. All of these changes are critical to proper interpretation of the leukogram; therefore, minimally a very rapid (less than three minutes) microscopic evaluation of the blood film

Figure 1 - White blood cell dot plot generated on the IDEXX ProCyte Dx®. The different colored dots in various clouds of similar dots represent individual cellular analyses of leukocytes. Neutrophils are purple, lymphocytes are blue, monocytes are red, eosinophils are green and basophils are light blue. Depending on the total white blood cell count, variable numbers of digitized cellular events are represented; however, in the majority white blood cell runs as many as 10-20 thousand events are characterized.

is recommended. Each component of the CBC, the numerical data, the dot plot and the blood film microscopic evaluation are highly valuable in accurate leukon interpretations.

BIBLIOGRAPHY Knoll JS: Clinical automated hematology systems, in Feldman BF, Zinkl JG, Jain NC (eds.): Schalm’s Veterinary Hematology (fifth edition). Philadelphia, PA, Lippincott, 2000. Moritz A, Becker M: Automated hematology systems in Weiss DJ, Wardrop KJ (eds.): Schalm’s Veterinary Hematology (sixth edition). Ames, IO, Wiley-Blackwell, 2010, pp. 1054-1066. Tvedten H, Scott M, Boon GD. Interpretation of cytograms and histograms of erythrocytes, leukocytes and platelets in Bonaguara JD (ed.): Kirk’s Current Veterinary Therapy XIII, St. Louis, MO, WB Saunders, 2000.

Address for correspondence: Dennis B. DeNicola Chief Veterinary Educator at IDEXX Laboratories, Westbrook, ME USA Adjunct Professor at Purdue University School of Veterinary Medicine, West Lafayette, USA

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Corneal Disease: from Clinical Case to Diagnosis and Therapy David Donaldson BVSc (Hons) DipECVO MRCVS, Animal Health Trust, Newmarket, Suffolk, UK

• The cornea as part of the ocular surface • •

• • •

The cornea cannot be considered in isolation from the other components of the “ocular surface” The modern view of the “ocular surface” is that of a morphofunctional unit comprising the pre-corneal tear film, lacrimal glands, cornea, limbus, conjunctiva, mucocutaneous junction, meibomian glands, and the subepithelial corneal nervous plexus. Corneal innervation has a trophic effect on the epithelial cells and is responsible for the normal blinking and lacrimal reflexes It is evident that compromise of the reflex arc involving corneal sensation – lacrimation / blinking can lead to further ocular surface disease and therefore can be seen as self perpetuating For example in keratoconjunctivitis sicca (KCS) the reduced aqueous tear secretion is typically viewed as the major factor leading to ocular pathology. When the above reflex is considered it is apparent that the pathology of the epithelium and subepithelial innervations will cause: I reduced reflex lacrimation II reduced blinking and tear film distribution III reduced trophic effect from subepithelial innervations This leads to further corneal pathology and a negative loop perpetuating the progression ocular surface disease.

• An approach to cases of ocular surface disease • • •

In all cases of surface ocular disease it is imperative that attempts are made to establish an underlying CAUSE for the disease. This may seem daunting due to the number of potential “causes” of surface ocular disease - to simplify ones approach to these cases, following Roman adage of “Divide and Conquer” is useful The possible differential diagnoses for all cases of surface ocular disease may be divided as follows:

FAT TIM Eyelid Tumour F A T

Foreign body Allergic (pollen, spores, food)/ irritants (dust, soaps, wind, fumes, meds) Trauma / toxic reactions

T

I I I M

Tear film deficienciesAqueous: quantitative or poor distribution Mucin: tear film instability Meibum: chronic blepharitis Infections (bacterial, fungal and viral) Infection – dacryocystitis Immune mediated disease (e.g. superficial punctuate keratitis-MLHD) Mechanical irritations (entropion/ distichia /ectopic cilia etc)

Eyelid

eyelid disease (blepharitis) extending to conjunctiva

Tumour

conjunctival infiltration

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FAT TIM Eyelid Tumour – specific investigations: F

Foreign body

- close visual inspection including conj fornices & under TEL (Bennett’s)

A

Allergic

- history, seasonal, itchy, dermatological signs and cytology of conunctivaj

T

Trauma / toxic reactions

- hx exposure – severe acute signs

T

Tear film deficiencies - Aqueous: - Mucin: - Meibum

- STT1, corneal sensitivity and the palpebral reflex - TBUT normally 20-25- affected < 5 s, conj biopsy fornices for goblet cells - visual inspect meibomian glands

I

Infections

- cytology, culture

I

Infection – dacryocystitis

- reflux from punctae, N-L flush, cytology, culture, dacryocystorhinography

I

Immune mediated disease

M

Mechanical irritations

- close visual inspection with magnification for distichia and ectopic cilia

Eyelid

Eyelid disease

- hair plucks &, sticky tape samples micrsoscopy,culture and histopath

Tumour

conjunctival infiltration

- thickening/corrugation – biopsy

By remembering the mnemonic “FAT TIM has an EYELID TUMOUR” and using it as a checklist when you are investigation an individual case visual cause will greatly increase the thoroughness in approaching such cases and confidence that potential causes have not been overlooked. n.b. contrary to cats, most canine conjunctivitis are secondary (KCS, euryblepharon, entropion-ectropion etc…) in cats, most conjunctivitis cases are primary due to viral, or bacterial infections (e.g. FHV-1, Chlamydophila felis)

• A clinical approach to surface ocular disease: interactive examination • • • • • • • •

Investigation of surface ocular disease History Physical examination Dermatological examination Ophthalmological examination Patients presenting with surface ocular conditions (i.e. affecting the cornea or conjunctiva) often have concurrent disease affecting the eyelids / periocular skin Part of the initial assessment should be aimed at determining if the condition is primarily ocular with secondary eyelid disease (i.e. allergic conjunctivitis leading to secondary trauma/ eyelid maceration etc), or primarily an eyelid disease This distinction is not always obvious (generally the more severe the eyelid disease the more likely this is the primary disease process)

• • • • • •

Investigation of eyelid disorders & periocular skin disease (specialist session) Identify eyelid disorders causing mechanical irritation of the eye (conformational eyelid disorders, distichia, trichiasis etc) Search for parasites and dermatophytes Determine if eyelid infection is present Consider irritant / allergic disease last Biopsy eyelid when there is ulceration, mass lesions or persistence despite diagnostics/ treatments

• • •

Identify eyelid disorders causing mechanical irritation of the eye (conformational eyelid disorders, distichia, trichiasis etc) Gross evaluation of the patient’s eye and adnexa – once the patient is relaxed and without restraint Best to perform initial assessment on the floor

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CLINICAL CASE

CASE 1: 5yo MN ECS discharging eye (OS)

CLINICAL CASE

CASE 2: 2yo ME G Dane discharging eye (OS)

• • • • •

Investigation of surface ocular disease History Physical examination Dermatological examination Ophthalmological examination

• • • •

Investigations should include ALL of the following STT1 measurement: Perform before any other ocular manipulation/close examination It should be carried out before any drops or stains are instilled in the eye

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• • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • •

In dogs a reading of <12 mm is suspicious while <8-10 mm is diagnostic tear underproduction (when signs consistent KCS present) Cats tend to have lower normal values than dogs, especially when stressed – comparison between eyes is useful. Interpret in combination with clinical signs Assess other ocular reflexes Corneal reflex Palpebral reflex – also assess “completeness” of the palpbral reflex Examination in light with focal illumination +/- magnification Circular pattern of inspection Eyelids Bulbar conjunctiva (rule out deep perilimbal hyperaemia) Palpebral conjunctiva and third eyelid Upper and lower punctae Cornea Ophthalmological signs associated with surface ocular disease: Superficial (conjunctival) hyperaemia is superficial corneal vascularisation are indicative of surface ocular disease Superficial (conjunctival) hyperaemia and may involve the bulbar and / or palpebral hyperaemia) and is often more severe towards the fornices Other signs of surface ocular disease include: Discomfort (lacrimation/ blepharospasm) Chemosis Ocular discharge - Serous - brown/black staining of hair - mucoid - normal response to ocular irritation (conj. goblet cells) - purulent - bacterial infection (n.b. bacteria are present in most conjunctival sacs so a positive culture does not infer direct disease causation)

Superficial (conjunctival) hyperaemia is superficial corneal vascularisation are indicative of surface ocular disease

Visible as they cross the limbus Branching pattern Indicative of …. surface ocular disease

Blood vessels tortuous, branching & bright red Vessels move with conjunctiva Indicative of …. surface ocular disease

• •

Remember - always examine the palpebral conjunctiva!!! Hyperaemia of the palpebral conjunctiva may occur in combination with superficial bulbar hyperaemia or in isolation in certain surface ocular conditions e.g. allergic conjunctivitis

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CLINICAL CASES

6yo MN Leonberger discharging eye (OS) POH: cataract sx 6 m previous – receiving chronic topical NSAID therapy

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• •

Rule out foreign bodies Bennett’s cilia forceps used to examine the conjunctival fornices and behind the third eyelid (TEL)- when examining the bulbar aspect of the TEL never “hold” the leading edge of the TEL and ensure the limbus under the TEL is visualised

• • •

cytology “cytobrush”and “Diff Quik®” staining This is simple to perform and provides useful information which can guide initial treatments

SUMMARY •

Investigations for ALL cases with surface ocular disease

Examination without restraint

STT1 measurement

Assess other ocular reflexes

Examination in light with focal illumination +/- magnification

Rule out foreign bodies

Cytology

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• Investigations for SPECIFIC cases of surface ocular disease •

Testing for infectious agents

Bacterial culture & sensitivity, viral culture or PCR (FHV-1)

• •

Fluorescein dye test (Jone’s test) Fluorescein dye is applied to the eye – if the nasolacimal duct is patent the dye normally appears at the nose within 5-10 minutes If uniocular pathology do the affected initially – otherwise fluorescein from other eye may obscure test n.b. some dogs have openings into the nasopharynx

• • • • • • • • • •

Nasolacrimal cannulation & flushing Cannulation of the nasal ostium is possible in dogs and horses Cannulation of the upper NL punctae Conscious canine (general anaesthesia for cats) Local anaesthesia Cannulate the upper puncta with a 2G nasolacrimal cannula and gentle irrigate with BSS which should exit the lower puncta Gentle digital pressure over lower punctae and continue flushing until BSS visible at nose or gagging occurs DO NOT FORCE FLUID IF RESISTANCE- CAN RUPTURE NLD

• • • • •

Skull radiographs – dacryocystorhinography – plain & contrast Plain films initially Cannulate the upper puncta (as explained before) Inject small amount iodine based contrast (0.5ml) into the upper puncta whilst occluding the lower puncta Lateral and dorsoventral views are most useful

• Corneal ulceration – a subset of corneal pathology • •

Simple – superficial – heal Complicated – persist

• • •

Classified by depth: superficial, deep stromal, and descemetocoele Superficial corneal ulcers or erosions can further be classified as uncomplicated, or complicated (progressive, or refractory) Uncomplicated superficial ulcers can resolve with topical antibiotic therapy e.g. poly-pharmacy -neomycin, bacitracin, & polymixin B As with other forms of surface ocular disease it is imperative that any underlying CAUSE for the ulceration is established Differentials for corneal ulceration “FAT TIM has an EYELID TUMOUR”

• •

< 7 days > 7 days

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CLINICAL CASE

Jack 4 yo MN Border Collie – 1 week pain OD

Outline your initial approach to the examination of this eye: (i.e. investigations for all cases of surface ocular disease): …………………………………………………………………………………………………………………………………… …………………………………………………………………………………………………………………………………… …………………………………………………………………………………………………………………………………… …………………………………………………………………………………………………………………………………… …………………………………………………………………………………………………………………………………… …………………………………………………………………………………………………………………………………… …………………………………………………………………………………………………………………………………… ……………………………………………………………………………………………………………………….……………

Outline your initial approach to the examination of this eye: * perform in all cases of surface ocular disease 1.… Examination without restraint Mild blepharospasm but no evidence of entropion or trichiasis 2.… STT 1 measurement (and other ocular reflexes) STT 30mm/minute (OS) 20mm/min (OD) – other reflexes normal 3.… Examination with focal illumination and magnification Eyelid margins NAD Bulbar conjunctiva (superficial hyperaemia) Palpebral conjunctiva (hyperaemia but no follicular reaction) Third eyelid – hyperaemia of overlying conjunctiva Nasolacrimal punctae – NAD Cornea – superficial ulcer (central ovoid and elongated horizontally) with loose non adherent edges. Mild corneal oedema in region of corneal ulceration 4…. Rule out foreign bodies Examination with Bennett’s forceps reveals no foreign bodies in the conjunctival fornices– foreign body on bulbar surface of TEL

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5…. Cytology: Scant population of coccoid bacteria and neutrophils

Jack 4 yo MN Border Collie – 1 week pain OD: FB - posterior aspect of third eyelid

CLINICAL CASE

Canine – superficial ulcer OS

1.… Examination without restraint Mild blepharospasm but no evidence of entropion or trichiasis 2.… STT 1 measurements (and other ocular reflexes) STT 25mm/minute (OS) 15mm/min (OD) – other reflexes normal 3.… Examination with focal illumination and magnification Cornea – superficial ulcer with loose non-adherent edges. Mild corneal oedema in region of corneal ulceration 4…. Rule out foreign bodies Examination with Bennett’s forceps reveals no foreign bodies 5…. Cytology: scant population of neutrophils

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Scenario 1: hx ulceration < 7 days Treatment plan: ………………………………………………………………………………………………………………… …………………………………………………………………………………………………………………………………… …………………………………………………………………………………………………………………………………… …………………………………………………………………………………………………………………………………… ……………………………………………………………………………………………………………………………………

Scenario 2: hx ulceration > 7 days Treatment plan: ………………………………………………………………………………………………………………… …………………………………………………………………………………………………………………………………… …………………………………………………………………………………………………………………………………… …………………………………………………………………………………………………………………………………… ……………………………………………………………………………………………………………………………………

• • •

Spontaneous chronic corneal epithelial defects (SCCEDs) i.e. indolent ulceration Most refractory ulcers in the dog are primary, but they may be secondary: Rule out underlying conditions: ⇒ Eyelash abnormalities ⇒ Entropion & poor eyelid function with CNVII paralysis or lagophthalmos ⇒ Abnormalities of the pre-ocular tear film (KCS & tear mucin deficiencies) ⇒ Neurotrophic keratitis (CNV dysfunction) → refractory ulcer without associated pain ⇒ Stromal edema may impair epithelial adherence → severe or chronic stromal oedema, subepithelial bullae → may rupture or lift the epithelium off the stroma ⇒ Generalized corneal oedema may result from glaucoma, chronic uveitis, and primary endothelial dystrophy or degeneration

• • • • • •

Typically middle-aged dogs of all breeds Boxers are over-represented Superficial, non-infected erosions surrounded by a zone non-adherent epithelium Fluorescein stain often leaks beneath the non adherent epithelium resulting in a less intense ring of staining around the ulcer No loss of corneal stroma Oedema localized to the region of the defect

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• • •

Histopathological findings Include loss of the corneal epithelial basement membrane & formation of a superficial stromal hyalinized zone with abnormal nerve plexus These distinct stromal suggest that stromal abnormalities are crucial to the pathophysiology of this disease and may act as a barrier to the formation of normal adhesion complexes (hemidesmosomes)

• • •

Management Medical (often combined with corneal epithelial debridement) Given hat the defects are likely to be the result of a stromal defect medical therapy alone is often unrewarding

• • •

Broad spectrum antibiotics SCCEDS are by definition NOT INFECTED Antibiotic prophylaxis is needed - intensive treatment with frequent application of antibiotics may delay wound healing

• •

Atropine 1% Cycloplegic: to reduce intraocular pain (TO EFFECT) – be careful with KCS cases!

• • •

Topical hyperosmotic agents e.g., 2- 5% sodium chloride ointment May reduce epithelial and subepithelial oedema & improve epithelial adherence to stroma - have been used in treatment of refractory corneal erosions with limited response Hyperosmotic agents irritate the eye & may require more frequent application because of their short duration of action Only used in cases were the ulceration is secondary to an underlying corneal oedema (e.g. endothelial dystrophy/ degeneration) i.e. not true SCCEDs

• •

• • • • •

Autogenous serum Source of fibronectin plasma glycoprotein → stimulates cell adhesion / migration, & protein synthesis It has been used in treatment of refractory ulcers and been shown to promote epithelial attachment & healing in humans & rabbits Studies have shown that fibronectin is already present in SCCED patients so benefit of its use is uncertain

• • •

Tetracyclines doxycycline shown to inhibit MMP’s (matrix metalloproteinases) enzymes that degrade basement membranes and collagen Recent work suggests that MMP 2 and 9 levels are not associated with SCCED

• • • • •

Bandage soft contact lens (SCL) Maintain apposition of epithelium to stroma and protect the new epithelium Disadvantages include an occasional poor fit, retention times & cost Contact lens retention time may be improved by partial temporary lateral canthorrhaphy using horizontal mattress sutures SCLs should be removed every 7 to 10 days, cleaned, disinfected, and reinserted until corneal re-epithelialisation is complete

Management

Surgical

• • •

Mechanical debridement Removal of loose epithelium +/- contact lens Topical anaesthetic (proxymetacaine) and then using a cotton swab or Kimura spatula, or cilia forceps remove flaps of epithelium by pulling their edges toward the center The defect is usually significantly increased in size Edges should be firmly attached Debridement → repeated every week – expect gradual reduction in ulcer size

• • •

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Mechanical debridement with Bennett’s Cilia forceps

Mechanical debridement with a “stick” swab • • • •

• • • • • • •

Procedures that involve modification of the corneal stroma have a higher success rate than epithelial debridement alone Chemical debridement Remove abnormal epithelium, basement membrane (BM), & altering the anterior stroma Agents used: ⇒ trichloracetic acid ⇒ Phenol ⇒ tincture of iodine Flushing post cautery is very important grid keratotomy (GK) Topical anaesthetic and sedation or general anaesthesia A cross-hatched pattern of incisions over the ulcer bed (usually extending slightly beyond the ulcer margin) using a 22 g needle, a set depth knife or knife with a micrometer Incisions should just breach the junction of the epithelial basement membrane and the normal corneal stroma Post operative topical antibiotics 5-7 days ~90% success within 2 weeks (longer for horses)

Grid keratotomy – 22 g needle (bevel facing up) 10 days post- operatively •

MPK: multiple punctate keratotomy (multiple anterior stromal punctures 0.2 mm) with a 20- to 23-gauge needle into the exposed stroma and 1-2 mm of healthy cornea surrounding the ulcer

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CLINICAL CASES • •

Tenacious adherent mucoid/mucopurulent discharge Corneal neovascularisation/pigmentation with chronicity- STT1=3

Tenacious adherent mucoid/mucopurulent discharge/recurrent erosions/‘punched-out’ corneal ulceration - STT1 = 5

Tenacious adherent mucoid/mucopurulent discharge / corneal thickened irregular and pigmentation- STT1 = 0

What other investigations would you perform?

What investigations would you perform?

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Investigations for ALL cases with surface ocular disease * ……………………………………………………………………………………………………………………………… * STT1 measurement + ………………………………………………………….………………………………………… * ……………………………………………………………………………………………………………………………… * ……………………………………………………………………………………………………………………………… * ……………………………………………………………………………………………………………………………… * ………………………………………………………………………………………………………………………………

• KCS (keratoconjunctivitis sicca) • • • • • • • • • • • • • • • • • • • •

• • • • • • • • • • • • • • •

The aqueous portion makes up the bulk of the tear film and is produced by the lacrimal and third eyelid glands A STT 1 measurement of 10mm wetting/minute or less is consistent with KCS, but must always be considered in conjunction with clinical signs: Congenital – usually unilateral, reported more frequently in the small breeds KCS in conjunction with a curly/rough coat (ichthyosis) Neurological (interruption of parasympathetic supply to lacrimal gland) Drug-induced (atropine, sulphonamides, anaesthesia) Distemper (viral lacrimal adenitis) Obstruction of lacrimal ductules by chemosis or cicatrisation. Iatrogenic (excision of the third eyelid gland) Secondary to metabolic disease (hypothyroidism, diabetes mellitus) Trauma to the orbit (direct lacrimal gland damage) Irradiation (e.g. radiotherapy) Immune mediated adenitis – most important cause of canine KCS. Immune-mediated cases: Bilateral although frequently one eye precedes the second clinically. Marked breed predisposition leading to the common assumption that the disease is at least in part inherited West Highland White Terrier represents the most commonly affected breed (UK) Histopathology of lacrimal tissue taken from affected cases demonstrates a progressive fibrosis and atrophy of glandular tissue. Therapy Medical Topical Cyclosporine A (Optimmune®) twice daily lifelong Immunomodulating drug that acts to reduce cytokine release and activation of T helper lymphocytes Treatment is most successful when initiated early and lacrimal tissue can recover some secretory function Improved tear production can take 4-8 weeks to be evident Oral pilocarpine – a parasympathomimetic - numerous side-effects including hypersalivation, abdominal cramps and diarrhoea Topical pilocarpine False tears (hypromellose, carbomer polymer, hyaluronate, paraffin-based) Autologous serum – used frequently in man -contains epithelial growth factors. Surgical Punctal plugs – plugs are placed in the lower nasolacrimal punctum to prevent drainage of tears (only really useful where some tear secretion remains) Puntal ablation (cautery) Permanent partial tarsorrhaphy Parotid duct transposition – used as a last resort

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• •

Superficial keratectomy if severe visual deficits associated with corneal scarring/pigmentation Only possible if KCS is controlled medically

Neurogenic KCS

• •

Results from interruption in the parasympathetic innervation of the lacrimal gland It is usually seen in conjunction with an ipsilateral dry nose as the innervation to the lateral nasal gland shares the same preganglionic parasympathetic fibres proximal to the pterygopalatine ganglion.

• • • • •

Treat underlying cause (e.g. otitis media, osteomyelitis of petrous temporal bone) Neurogenic KCS will not respond to cyclosporine A False tear preparations need to be given very frequently (as tear production is often zero) Oral pilocarpine or topical pilocarpine is useful in a few cases Parotid duct transposition is frequently required.

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69° CONGRESSO INTERNAZIONALE MULTISALA SCIVAC RIMINI 27-29 MAGGIO 2011

Uveal Disease: from Clinical Case to Diagnosis and Therapy David Donaldson BVSc (Hons) DipECVO MRCVS, Animal Health Trust, Newmarket, Suffolk, UK

• What is the uvea?

→ vascular tunic of the eye – choroid(c), ciliary body (cb) & iris (i) → contains large capillary beds → major site of ocular lymphoid tissue → intimate association of choroid and retina

These characteristics help explain the pathogenesis of disease affecting the uvea: → blood borne elements trapped within the uveal capillary beds (e.g. micro – organisms, neoplastic cells) may initiate uveitis → the uvea is the location of both specific and non specific immunological reactions involving the eye → inflammation of the choroid is always associated with inflammation of the retina i.e. chorio-retinitis

• What is the blood – ocular barrier? • • •

A set of structures which prevents large, high-molecular-weight proteins from entering the intra-ocular fluid The capillaries of the iris are non fenestrated and are an important part of the blood ocular barrier Disruption of this barrier (e.g. uveitis, neoplasia) leads to large molecules such as lipoproteins entering the normally clear fluid of the eye

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Lipid aqueous in a cat – large lipoproteins cannot normally pass into the anterior chamber due to the non-fenestrated structure of iris capillaries – the presence of lipid aqueous indicates breakdown of this barrier.

• • •

In contrast to the iris the capillaries of the choroid are considered to be more “leaky”. Leakage from the choroidal vessels will lead to fluid accumulating under the retina, which may lead to detachment of the retina. The fluid may be serous, transudate or exudate or if the capillaries are severely disrupted blood - some idea of the type of fluid present is usually possible if it is visible through the semitransparent retina the intimate contact between the choroid and retina means inflammation of the choroid will always be associated with concurrent inflammation of the retina

Serous retinal detachments in a dog – the retina (x) is detached and coming anterior into the vitreous, (note deviation of the blood vessels).

UVEITIS • • • •

Uveitis may be classified on the basis of: Anatomical location (e.g. anterior vs. posterior) Duration (acute vs. chronic) (chronic > 3 months) Aetiopathogenesis (exogenous vs. endogenous)

In the context of this discussion division of uveitis based on pathogenesis is useful in determining which diagnostic tests should be considered. → exogenous uveitis - causes include trauma (blunt or penetrating) and corneal ulceration → endogenous uveitis - develops from within the eye or from the bloodstream The initial assessment of a uveitis patient includes taking a thorough history, physical and ophthalmic examinations.

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• • •

• •

Exogenous causes of uveitis including trauma (blunt or penetrating) and corneal ulceration, are usually diagnosed on ophthalmic examination. It is worth noting that occasionally penetrating injuries are not obvious, especially if the wound has occurred through the conjunctiva/sclera rather than the cornea or has involved the posterior aspects of the globe. These cases are unilateral and frequently present with severe panuveitis. In such cases the history may be suggestive (e.g. recent maxillary molar tooth extraction followed by severe unilateral uveitis, or recent history of a cat fight or gunshot wounds in which adnexal injury may have been noted but no overt corneal penetration was apparent. In such cases the ocular media are frequently opaque preventing examination of the posterior segment. Initial investigations are therefore usually directed towards imaging the ocular, orbital and adnexal structures; radiography and ultrasonography being the most commonly utilized in the primary setting.

CLINICAL CASE: 5yo MN X bred • • • • •

History painful right eye after walk something protruding from eye previous medical history (PMH) – nothing significantl previous ophthalmic history (POH) - nothing significantl

What is your diagnosis? ………………………………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………………………………… Will uveitis be present in this case and if so would you classify it as endogenous or exogenous uveitis? ………………………………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………………………………… What other ocular structures may have been damaged with this injury and how significant are they to the management and prognosis of the condition? ………………………………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………………………………… Outline your approach to investigation and management of this case? ………………………………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………………………………… …………………………………………………………………………………………………………………………………

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What is your diagnosis? Penetrating corneal foreign body

Will uveitis be present in this case and if so would you classify it as endogenous or exogenous uveitis? Yes - uveitis will be present in any situation where the globe is perforated due to breakdown of the blood ocular barrier. Exogenous uveitis will be present.

What other ocular structures may have been damaged with this injury and how significant are they to the management and prognosis of the condition? Lens & posterior segment damage (ciliary body, retina, posterior ocular coats) If the lens capsule has been ruptured phacoclastic lens induced uveitis (LIU) will develop. Antigenic lens protein is released causing intense uveitis. In cases suffering from LIU secondary to cat scratch intensive medical systemic and topical antiinflammatory has been shown to have a better outcome than intraocular surgery. This has not been showed in intraocular foreign bodies. Retinal damage associated with perforation or tearing is likely to lead to retinal detachment. Inoculation of bacteria and or fungi into the posterior segment increases the risk of intractable endophthalmitis

Outline your approach to investigation and management of this case? Assessment of intraocular damage- some assessment may be possible if the patient is calm and co-operative, in this case general anaesthesia is needed for FB removal For examination mydriasis (tropicamide or atropine – preservative free) Focal light and magnification - assess intraocular damage / rule out other foreign bodies If it is not possible to assess these structures due to opacity of the ocular media ocular ultrasound should be used. Do not use ultrasound gel if globe is not intact, a temporal approach to the globe in these cases might be useful. Medical treatment Small wounds which have sealed may be treated medically with cage rest All cases → assume intraocular microbial inoculation and cover for endophthalmitis and secondary uveitis Systemic broad spectrum antibiotics e.g. amoxicillin – clavulanic acid Systemic non-steroidals anti-inflammatories Cyclopegic/ mydriatic → topical 1% atropine → ↓ ciliary spasm & to prevent synechiae Topical broad spectrum with antibiotics with good corneal penetration Surgical treatment Direct corneal suturing – only used if the defect is very small – otherwise tension on the sutures is likely to lead to wound breakdown and excessive astigmatism Rotational conjunctival pedicle Lens capsule rupture - lens extraction needs to be considered depending on the size of the lesion Endogenous uveitis develops from within the eye or from the bloodstream. The known and proposed causes of canine and feline uveitis are listed in Table 1 and Table 2 respectfully.

• Feline uveitis • •

The majority of feline uveitis cases will have no history or clinical findings suggestive of an exogenous cause and consideration of the endogenous causes of uveitis (Table 1) will be necessary. Excluding cases of uveitis associated with intraocular neoplasia, lens disease, lipid aqueous or the rare situation where an intraocular parasite is directly visualized (e.g. ophthalmomyiasis interna), there are no pathognomonic clinical ophthalmic changes associated with endogenous uveitis in the cat. Independent of aetiology, aqueous flare, iritis, keratic precipitates, hyphaema and hypopyon commonly develop in the anterior chamber, whilst posterior uveitis presents with signs of choroidal and retinal inflammation including exudates, haemorrhage and retinal detachment.

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69째 Congresso Internazionale Multisala SCIVAC

TABLE 1 - Feline Uveitis: Known or Proposed Causes INFECTIOUS PROTOZOAL

TOXOPLASMA GONDII LEISHMANIA DONOVANI

VIRAL

FELINE LEUKEMIA VIRUS (FELV) FELINE IMMUNODEFICIENCY VIRUS (FIV) FELINE INFECTIOUS PERITONITIS VIRUS (FIP) FELINE HERPESVIRUS 1 (FHV-1))

BACTERIAL

BARTONELLA HENSELAE MYCOBACTERIUM SPP BACTERIAL INFECTIONS CAUSING SEPTICAEMIA, ENDOTOXAEMIA, EXOTOXAEMIA OR IMMUNE COMPLEX DEPOSITION

(E.G. ENDOCARDITIS, PYELONEPHRITIS AND DISCOSPONDYLITIS) MYCOSES

CRYPTOCOCCUS NEOFORMANS HISTOPLASMA CAPSULATUM BLASTOMYCES DERMATITIDES COCCIDIOIDES IMMITIS CANDIDA ALBICANS

PARASITIC

OPHTHALMOMYIASIS INTERNA POSTERIOR (DIPTERA SP.) OCULAR FILARIASIS (DIROFILARIA IMMITIS) OCULAR LARVAL MIGRANS (TOXOCARA SPP)

IMMUNE-MEDIATED

POORLY DEFINED GROUP LIKELY TO INCLUDE MANY AUTOIMMUNE DISEASES TO A VARIETY OF ENDOGENOUS ANTIGENS

(E.G. RETINAL-S ANTIGEN) THAT EITHER INITIATE OR PERPETUATE UVEITIS LENS

CATARACTS (LENS-INDUCED UVEITIS, PHACOLITIC UVEITIS) LENS RUPTURE (PHACOCLASTIC UVEITIS)

NEOPLASIA

PRIMARY (MELANOMA) SECONDARY NEOPLASIA (LYMPHOSARCOMA MOST COMMON) NON-OCULAR NEOPLASIA (PARANEOPLASTIC SYNDROMES)

METABOLIC

HYPERLIPIDAEMIA

VASCULAR

HYPERTENSION TOXAEMIA ANAEMIA HYPERVISCOSITY SYNDROMES BLEEDING DIATHESIS

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69° Congresso Internazionale Multisala SCIVAC

TABLE 2 - Canine Uveitis: Known or Proposed Causes INFECTIOUS PROTOZOAL

LEISHMANIA DONOVANI TOXOPLASMA GONDII RICKETTSIAL EHRLICHIA CANIS OR PLATYS

VIRAL

ADENOVIRUS INFECTION (INCLUDING POSTVACCINAL “BLUE-EYE”) DISTEMPER VIRUS HERPES VIRUS RABIES

BACTERIAL

BRUCELLA CANIS BORRELIA BURGDORFERI (I.E., LYME DISEASE) LEPTOSPIRA SP. SEPTICEMIA OF ANY CAUSE

MYCOSES

BLASTOMYCES DERMATITIDIS COCCIDIOIDES IMMITIS CRYPTOCOCCUS NEOFORMANS HISTOPLASMA CAPSULATUM OTHER MYCOSES

PARASITIC

OPHTHALMOMYIASIS INTERNA POSTERIOR (DIPTERA SP.) OCULAR FILARIASIS (DIROFILARIA IMMITIS) OCULAR LARVAL MIGRANS (TOXOCARA AND BALISASCARIS SP.)

ALGAL

PROTOTHECA SPP.

IMMUNE-MEDIATED

IMMUNE-MEDIATED THROMBOCYTOPENIA IMMUNE-MEDIATED VASCULITIS UVEODERMATOLOGIC SYNDROME (SIMILAR TO HUMAN VOGTKOYANAGI-HARADA)

LENS

CATARACTS (LENS-INDUCED UVEITIS) LENS RUPTURE (PHACOCLASTIC UVEITIS)

NEOPLASIA / PROLIFERATIVE

HISTIOCYTIC PROLIFERATIVE DISEASE GRANULOMATOUS MENINGOENCEPHALITIS (FORMERLY RETICULOSIS) PRIMARY (MELANOMA) SECONDARY NEOPLASMS (LYMPHOSARCOMA MOST COMMON)

METABOLIC

DIABETES MELLITUS (PARTICULARLY DIABETIC CATARACT-INDUCED UVEITIS) HYPERLIPIDEMIA

VASCULAR /HAEM

HYPERTENSION TOXAEMIA ANAEMIA HYPERVISCOSITY SYNDROMES BLEEDING DIATHESIS

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• Cases where the cause of an endogenous uveitis may be apparent in the cat → intraocular neoplasia → lens disease → lipid aqueous

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Feline diffuse iris melanoma is the most common primary neoplasm of cats and usually presents as a diffuse darkening of the entire iris although nodular forms may occur. Ophthalmic signs which increase the index of suspicion that an iridal pigmentary change represents a diffuse iris melanoma, rather than benign melanosis include: the presence of iridal thickening or mass lesions, dyscoria, anisocoria, concurrent uveitis or intra-ocular haemorrhage, and free pigment in the anterior chamber or pigment accumulation in the iridocorneal angle (+/- secondary glaucoma). In the early stages, diffuse iris melanoma differentiation from benign melanosis may be difficult, and close monitoring of the ophthalmic changes is advised (serial photographs useful). Fine needle aspiration biopsy (FNAB) from the iris is usually unrewarding in distinguishing iris melanoma from melanosis but small “snip” biopsies may be useful if the pigmentary change affects the pupillary zone of the iris.

Primary post traumatic intraocular sarcoma is thought to originate from lens epithelial cells following lens trauma. The intraocular mass lesion may be visible ophthalmoscopically, or ultrasonographically in cases where uveitis or intra-ocular haemorrhage obscures examination. These tumours may invade locally, (e.g. optic nerve/ chiasma) or metastasize to distant sites. Therefore pre-operative imaging to determine any local and/or systemic involvement of the tumour is indicated if there is an index of suspicion for this disease (e.g. elderly cat with chronic unilateral uveitis, evidence of an intra-ocular mass and a history or clinical evidence of previous ocular trauma (e.g. corneal scar, synechia)).

Ocular involvement in feline lymphoma is common and often precedes systemic manifestations. These cases may present with pale intra-ocular mass lesions or in the earlier stages, more subtle nodular iris lesions may be evident. Cytology on aqueocentesis samples or FNAB from an anterior uveal mass may be rewarding in these cases although the diagnosis is usually achieved by sampling of other affected organs or lymph nodes.

The presence of large capillary beds within the uveal tract makes it a potential site for haematogenous metastasis from any distant neoplasia. One particular neoplasm which appears to have a characteristic ophthalmic presentation is bronchogenic carcinoma. An ischaemic chorioretinopathy occurs due to invasion of the choroidal vasculature leading to wedge shaped areas of tan discolouration within the tapetal fundus and serous sub-retinal exudation. These cats present with unilateral or bilateral blindness and may also have painful ischaemic necrosis of the distal extremities. Diagnosis in such cases relies on biopsy of the primary or non- ocular metastatic lesions. The discussion so far has considered causes of feline uveitis in which the clinical presentation either identifies, or is highly suggestive of, a particular causation. In other cases further investigation of causes of endogenous uveitis including infectious, immune- mediated and vascular disease, is indicated. The minimum data base obtained should be a complete blood count, serum biochemistry profile, urinalysis, thoracic radiography and abdominal ultrasound. Selection of additional diagnostic tests may be affected by other clinical findings (e.g. coagulation studies and blood pressure assessment if intra-ocular haemorrhage is present or vessel tortuosity is identified) and knowledge of the diseases endemic in a given region (e.g. blastomycosis, histoplasmosis and leishmaniasis not reported in the U.K. (?Italia) but could occur in a cat which has traveled from endemic areas).

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In the UK, testing for Toxoplasma gondii, feline leukemia virus (FeLV), feline immunodeficiency virus (FIV), feline coronavirus and Bartonella henselae are recommended. Aqueocentesis and vitreocentesis may be considered in cases in which granuloma formation is evident (e.g. mycotic or mycobacterial infection). Vitreocentesis is more likely to yield a diagnosis even if there is anterior chamber involvement. Cryptococcus neoformans is the most commonly reported feline mycotic infection. Frequent sites of infection are the nasal passages, skin, and central nervous system: granulomatous uveitis may also be a feature. The diagnosis of cryptococcosis can be established on the basis of cytological identification of the organism aspirated from affected tissue (non-ocular in most cases), and detection of cryptococcal antigen in serum, aqueous or vitreous using latex agglutination kits.

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CLINICAL CASE: EB 29 mo FE exotic

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History Vaccinated (FHV-1, FIE, FCV and FeLV) flea-tick control good, indoor/outdoor, single cat household hunts and fights has not travelled away from Italia previous medical history (PMH) – no abnormalities previous ophthalmic history (POH) – no abnormalities

Physiclal examintion –no abnormalities

What abnormalities can you see?…………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………………………………… What is your clinical diagnosis?…………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………………………………… What other ophthalmic findings could be seen with this condition?……………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………………………………… Is this likely to represent a case of endogenous or exogenous uveitis?…………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………………………………… What initial investigations would you recommend?……………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………………………………… What infectious diseases would you test for in ITALIA?………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………………………………… What is the most frequently reported feline mycotic infection, at what sites does it often cause disease and how is it diagnosed?…………………………………………………………………………………………………………………… …………………………………………………………………………………………………………………………………

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What abnormalities can you see? Keratic precipitates, iritis, rubeosis irides What is your clinical diagnosis? Anterior uveitis What other ophthalmic findings may occur with this disease? Anterior changes: aqueous flare, ciliary flush, iris swelling (and darkening), miosis, corneal oedema, hyphaema and hypopyon Posterior changes: choroidal and retinal inflammation including exudates, haemorrhage and retinal detachment. Is this likely to represent a case of endogenous or exogenous uveitis? Endogenous: the majority of feline uveitis cases will have no history or clinical findings suggestive of an exogenous cause and consideration of the endogenous causes of uveitis including infectious, immune-mediated and vascular diseases (Table 1). What initial investigations would you recommend? Minimum data base: • complete blood cell count • serum biochemistry profile • urinalysis • thoracic radiography • abdominal ultrasound Selection of additional diagnostic tests may be affected by other clinical findings (e.g. coagulation studies and blood pressure assessment if intra-ocular haemorrhage is present or retinal vascular tortuosity?) and knowledge of local endemic diseases. What infectious diseases would you test for in Italia? Toxoplasma gondii, feline leukemia virus (FeLV), feline immunodeficiency virus (FIV), feline infectious peritonitis virus (FIP) and Bartonella henselae are recommended. Aqueocentesis and vitreocentesis may be considered in cases in which granuloma formation is evident (e.g. mycotic or mycobacterial infection). Vitreocentesis is more sensitive even if there is AC involvement. What is the most frequently reported feline mycotic infection, at what sites does it often cause disease and how is it diagnosed? Cryptococcus neoformans is the most commonly reported feline mycotic infection. Frequent sites of infection are the nasal passages, skin, and central nervous system: granulomatous uveitis may also be a feature. The diagnosis can be established on the basis of cytology (aspirates from affected tissue (non-ocular in most cases)), and detection of cryptococcal antigen in serum, aqueous or vitreous using latex agglutination kits.

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Toxoplasmosis Causally linked with feline uveitis: uveitis has been induced in cats following inoculation with T. gondii. Pathology may occur due top replication within retina (direct cytotoxicity → necrosis & granulomata) OR Immune mediated mechanisms → T gondii + immune complex deposition Within uvea or antigenaemia stimulating T. gondii specific intraocular lymphocytes

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Clinical disease In people typical retino-choroiditis lesions = most common This occurs following reactivation of dormant tissue phase (bradyzoites) In cats the entire uvea may be involved - usually anterior uveitis ? Role of reactivation of dormant phase

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Serological testing of cats for T. gondii should include: T gondii -specific IgM ↑ by approximately ~ 2wk post infection Negative by 16 wk but may persist longer in some cases Not all cases develop IgM

T gondii –specific IgG IgG may not ↑ until ~ 4 wk post infection May remain elevated for years

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Serological evidence of recent of reactivated infection? High T. gondii-specific IgM titres (ELISA for IgM > 256) Titres vary between labs i.e. for lab (x) an IgM > 64 may indicate active infection Narrow window for detection ↑ IgM titre so failure to show ↑ doesn’t rule out recent infection

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OR Increasing (4 fold or greater) T. gondii-specific IgG titres in the serum over 2-3 wk However since seropositivity to, T. gondii-specific IgM / IgG can occur in clinically normal cats they may not correlate to clinical ocular disease in an individual cat Aqueous humour testing has been used to try and improve the specificity of testing for ocular toxoplasmosis Calculation of indices which indicate evidence of intra-ocular T. gondii-specific immunoglobulin production (e.g. Goldmann–Witmer coefficient (C-value)) → c values > 1 suggestive of local Ab production → c values > 8 strong evidence BUT → ocular T gondii -specific Ig increased in experimentally inoculated healthy cats and chronically infected cats by non-specific immune stimulation (c values > 1) → therefore the “c” value may not improve the positive predictive value (PPV) of testing for T. gondii involvement in feline ocular disease → Intraocular T. gondii specific IgM may be a better marker for clinical disease Molecular tests for T. gondii antigens or DNA in the aqueous humour assist in the diagnosis of T. gondii induced uveitis Feline leukaemia virus (FeLV) Initial testing for FeLV is usually performed using an “in-house” ELISA (enzyme-linked immunosorbent assay) or ICGA (immunochromatographic assay) to detect soluble protein (FeLV – p27) in the plasma or serum. This indicates FeLV viral infection but does not distinguish transient or permanent viraemia. A confirmatory test such as a different type of ELISA or ICGA testing kit or an IFA (immunofluorescent antibody assay) is necessary to confirm the positive result. A positive IFA detects FeLV p27 antigen within WBCs and is likely to signify permanent FeLV infection. Testing should be repeated at 12 weeks to confirm a positive viraemia. A direct causal link between FeLV and uveitis has not been established. Therefore even in a persistently viraemic patient, direct causation between FeLV and feline uveitis cannot be assumed. Ocular involvement in feline lymphoma is common and probably represents metastasis of neoplastic cells to the uveal tract (haematogenously). Feline immunodeficiency virus (FIV) Causal link? - uveitis associated with FIV in both experimentally & naturally infected cats although direct causation not proven Proposed mechanisms: direct viral damage to tissue, immune mediated disease and predisposing to opportunistic infection and a possible association with ocular lymphoma As with FeLV, initial testing for FIV is usually performed using an “in-house” ELISA or ICGA to detect antibodies to FIV in the serum. Positive results need to be confirmed using an alternative testing methodology such as IFA or western blot (which also detect antibodies to FIV) or PCR. In one study all FIV-seropositive cats with uveitis were also seropositive for T. gondii emphasizing the need to screen for multiple infectious agents.

CLINICAL CASE: 29 mo FE exotic – 2 wk hx of cloudiness affecting the right eye FeLV ELISA “Snap®” test

TEST +

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Using an “in house” ELISA for the P27 antigen the patient tests + for FeLV. Does this result mean the cat is persistently infected with FeLV? ………………………………………………………………………………………………………………………………… Does serological evidence mean FeLV is the cause of the uveitis in this cat? ………………………………………………………………………………………………………………………………… How would you confirm persistent infection in this case? …………………………………………………………………………………………………………………………………

Using an “in house” ELISA for the P27 antigen the patient tests + for FeLV… Does this result mean the cat is persistently infected with FeLV? Initial serological testing for FeLV using an “in-house” ELISA or ICGA detect soluble protein (FeLV p27) in the plasma or serum. This does not distinguish between transient or permanent viraemia Furthermore no test has a 100 % sensitivity and specificity, and the reliability of a test (i.e. its predictive value) decreases as the prevalence of the disease in the population decreases. Does serological evidence mean FeLV is the cause of the uveitis in this cat? No - serological tests for infectious diseases indicate exposure (as may occur in healthy cats) to an infectious agent but do not definitively establish a direct causal link between the infectious agent & uveitis in an individual cat. Furthermore a direct causal link between FeLV and uveitis has not been established. FeLV is reported to occur at a higher prevalence in cats with anterior uveitis suggesting some role in some of these cases BUT FeLV replication within the uveal tract has not been demonstrated. Therefore even in a persistently viraemic patient, direct causation between FeLV & feline uveitis cannot be assumed. How would you confirm persistent infection in this case? A confirmatory test such as a different type of ELISA or ICGA testing kit or an IFA (immunofluorescent antibody assay) is necessary to confirm the positive result. (but this needs to be done after 6? Weeks between both to confirm infection, right?) A positive IFA detects FeLV p27 antigen within WBCs and is likely to signify permanent FeLV infection

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Feline Herpes Virus (FHV) In a study of naturally exposed cats, FHV-1 ocular antibody production was not detected in FHV-1 seropositive normal cats In cats for which the cause of uveitis was unknown, 22 of 44 (50%) had FHV-1 C-values >1 documenting ocular antibody production. Recently, we have detected FHV-1 in 11 of 44 (25%) However, FHV-1 (one of 13; 7.8%), DNA can be detected by polymerase chain reaction in the aqueous humour of some healthy cats. Thus, detection of organism DNA in aqueous humour does not always correlated to clinical disease. Feline infectious peritonitis (FIP) Diagnosis of FIP induced feline uveitis is hindered because serology does not distinguish between enteric and FIP-inducing strains of feline coronavirus. It is therefore important to interpret the serological findings in conjunction with other parameters to increase the accuracy of testing. In one report a combination of a coronavirus antibody titre >1:160, with concurrent lymphopaenia and hypergammaglobulinaemia had a positive predictive value of 88.9% in cases with suspected systemic FIP. Bartonella spp. The cat is the major persistent reservoir host for numerous Bartonella spp including B. henselae and B. clarridgeiae. There is increasing evidence that these agents may be involved with feline uveitis, but interpretation of serological findings is difficult due to the frequency of asymptomatic carriers (in one study 41% of cats were persistently bacteraemic but showed no clinical signs). In the future testing for Bartonella spp antigens or DNA in the aqueous humour may potentially assist in the diagnosis of feline bartonellosis.

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When performing serological tests for infectious diseases it is important to remember that they indicate exposure to an infectious agent (as may occur in healthy cats) and therefore do not definitively establish a direct causal link between the infectious agent and uveitis in an individual cat. Furthermore no test has a 100 % sensitivity and specificity, and the reliability of a test (i.e. its predictive value) decreases as the prevalence of the disease in the population decreases.

In many cases a causal relationship with an infectious agent is not established and immune mediated disease uveitiides are considered

Immune-mediated (including autoimmune) uveitiides, although probably common in cats (as in other species) are poorly defined and are likely to represent a significant percentage of cases which are classified as idiopathic. The diagnosis is largely one of exclusion. In human medicine there are strong associations between an increasing numbers of uveitiides with specific MHC haplotypes; responses to specific endogenous ocular antigens are now recognized to either initiate or perpetuate uveitis. An example of this is cancer-associated retinopathy (CAR) in people, which is thought to be driven at least in part by antibodies against the retinal protein recoverin. Feline uveitis may occur in association with non-ocular tumours and some of these may represent immune-mediated paraneoplastic uveitiides akin to the human CAR syndrome.

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Treatment of uveitis: early - aggressive and prolonged treatment required

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Medical Symptomatic topical anti-inflammatory therapy instituted immediately even in those patients with suspected multisystem disease Even if a diagnosis of an infectious agent is eventually made initial anti-inflammatory treatment is still mandatory to save the integrity of the eye Failure to institute prompt therapy may result in numerous adverse sequelae of uveitis, including synechiae, cataract, glaucoma and phthisis bulbi. Systemic therapy includes various combinations of anti-inflammatory, antimicrobial, and specific therapy as determined by the multisystemic disease Topical therapy alone may suffice for mild anterior uveitis, but for severe anterior uveitis and posterior uveitis, systemic therapy is also indicated

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Mydriatic-cycloplegic drugs Parasympathetic agents such as atropine induce mydriasis, post synechiae & provide cycloplegia (relieving pain) n.b.more frequent therapy may be required to induce cycloplegia compared to mydriasis - this explains why ciliary body spasm (pain) may still exist after the pupil is dilated Non-specific anti-inflammatory effect by stabilizing the blood—aqueous barrier, therefore reducing uveitis and facilitating re-establishment of normal lOPs In complicated uveitis cases they must be administered with caution because of chance producing SECONDARY GLAUCOMA Mild uveitis may require therapy with atropine 1% once or twice daily, whereas more severe cases may require more frequent application (e.g., 4-6 times daily) Atropine 1% ointment is the treatment of choice for cats Side effects of frequent treatment with topical atropine may include decreased tear production, tachycardia, gut motility, & the potential to precipitate acute glaucoma Decreased tear production is a common side effect in the dog and is significant when ulcerative keratitis coexists with uveitis 10% phenylephrine can be used for recalcitrant cases when pupillary dilation is difficult to achieve especially if extensive synechiae have formed 10% phenylephrine is not particularly effective in cats compared to dogs and may cause systemic toxicity Scopolamine/phenylephrine solution (Murocoll2) may break fibrous adhesions and dilate pupils that are unresponsive to atropine, because it combines the additive effects of parasympatholytic and sympathomimetic agents Efficacy in domestic animals has not been consistently documented Suppress Inflammation Corticosteroids: TOPICALLY, SUBCONJUNCTIVALLY, SYSTEMICALLY Increase cellular membrane integrity, inhibit lysozyme release / reduce the amount of exudate Topical corticosteroids -are the primary therapy for patients with anterior uveitis, including those with suspected infectious disease in an attempt to prevent the possible blinding sequels of uveitis (synechiae, cataract & glaucoma) 1% prednisolone acetate and 0.1% dexamethasone acetate penetrate are recommended as they penetrate the intact cornea

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better and are more potent than other steroid preparations An initial application frequency of q 1 to 6 hours may be required with solutions When being used longer term in small dogs (toy) and cats – e.g. prednisolone acetate 0.5% may reduce risk of adrenal axis suppression *Gentle shake suspension at least 20 times before use *Elevate the nose ~ 2 minutes after application Subconjunctival corticosteroids May be administered in select cases as an adjunct to topical therapy Triamcinolone acetonide (Vetalog), methylprednisolone acetate (Depo-Medrol), betamethasone (Betasone), and dexamethasone (Azium) may be used for subconjunctival injection Subconjunctival injection in cases that cannot be treated routinely or chronic cases where treatment difficult or contraindicated Systemic corticosteroids Much greater caution is required before beginning systemic corticosteroid therapy (esp. when bacteraemia or systemic mycoses are suspected) Corneal ulceration is a contraindication to topical or subconjunctival steroid therapy, but not necessarily to systemic therapy Start with high doses → e.g. prednisolone 2mg/kg SID – for SEVERE cases or 1 mg/kg for moderate cases and wean slowly as the inflammation subsides

NSAIDS

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Topical NSAIDS: When combined with corticosteroids their therapeutic effects are additive and combination therapy may be beneficial in refractory cases. NSAIDs that have been used topically on the eye include indomethacin (Indocid), flurbiprofen (Ocufen), suprofen (Profena) and diclofenac (Voltarol) Experimental study → 1% suspensions of each drug, the relative blood-aqueous barrier— stabilizing efficacy was: diclofenac > flurbiprofen > suprofen Experimental study using commercially available drug concentrations, the stabilizing efficacy was: 0.03% flurbiprofen > 0.1% diclofenac > 1 % suprofen however, in both these studies, the anti-inflammatory effects of diclofenac and flurbiprofen were similar, and both drugs would appear to be acceptable choices for clinical use in the dog the indications and contraindications for topical NSAIDs are suggested to be similar to those for corticosteroids flurbiprofen may delay corneal wound healing, but unlike corticosteroids, it does not appear to potentiate collagenase activity flurbiprofen has been safely used to treat eyes with concurrent uveitis and corneal ulceration BUT is contraindicated in animals with co-existing herpesvirus keratitis.

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Systemic NSAIDs: NSAIDs → contraindicated when hyphaema or bleeding tendencies Dog → aspirin dosages for uveitis are as high as 20 to 40 mg/kg two times a day, but 10 to 15 mg/kg orally two or three times a day appears to be effective Carprofen has been shown to be an effective at 2 mg/kg orally two times a day Carpofen seems to have minimal effect on platelets compared with that of other NSAIDs but hepatotoxicity has been recognized, particularly in the Labrador retriever Aspirin advocate by some as a good option for long-term management of uveitis

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Cats- 10 mg/kg orally every 52 hrs Dogs- 10-25 mg/kg orally every 12 hrs

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CLINICAL CASE: 29 mo FE exotic – 2 wk hx of cloudiness affecting the right eye

FeLV ELISA “Snap®” test

TEST +

Scenario 1: only anterior chamber signs are present What medication would you prescribe at what dose and for how long? ………………………………………………………………………………………………………………………………… What is the prognosis for the eye? …………………………………………………………………………………………………………………………………

Scenario 2: vitritis is present and it is difficult to see the retina What medication would you prescribe at what dose and for how long? ………………………………………………………………………………………………………………………………… What is the prognosis for the eye? …………………………………………………………………………………………………………………………………

Immunosuppressive drugs

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Azathioprine (Imuran®) Mainly in those cases unresponsive to conventional therapy. Imuran® → most commonly used in therapy for uveodermatological syndrome in the dog Frequent blood, platelet counts & liver enzyme determinations are recommended with initial therapy because of the potential hepatotoxic / myelosuppressive effects of this drug. Initial dosage is 2mg/kg per day for 3 to 5 days, followed by reduction on the basis of blood parameters and response to therapy.

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Cyclosporine Immunosuppressive agent that primarily affects T-lymphocyte functions. The topical formulation has gained popularity for the treatment of external ocular diseases in the dog (e.g., keratoconjunctivitis sicca), but its relatively poor intraocular penetration after topical application 0.2% ophthalmic (Optimmune®). 1 or 2% solution prepared in corn oil with the oral solution (Sandimmune®)

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Systemic cyclosporine (Atopica®) can be used in order to control inflammation within the eye cyclosporine inhibits the IL-2 that stimulates T lymphocytes and has been used as immunomodulator +/- anti-inflammatory in different diseases such as: uveodermatologic syndrome, idiopathic uveitis, complicated uveitis post-phacoemulsification… Should be used with caution in dogs with hepatic and renal disease CsA metabolism is reduced (hence plasma concentration increase) with the use of ketoconazol and other izoles, cimetidine, doxycycline…and also with the use of allopurinol.

Antimicrobial

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Topical antimicrobial antibiotics found in most ophthalmic preparations (i.e., aminoglycosides, bacitracin, polymyxin) do not penetrate the intact cornea readily; therefore, they would have minimal benefit in therapy for bacterial-mediated uveitis. Tetracycline may achieve therapeutic levels in the eye chloramphenicol and many topical quinolone antibiotics (e.g. ofloxacin (Exocin®)) penetrate the cornea well

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Systemic antimicrobial may be indicated as prophylaxis or specific causative agent the blood-aqueous barrier is normally impermeable to many antibiotics, but during active uveitis, the blood aqueous barrier is compromised and drug permeability enhanced. Some drugs penetrate the normal blood—aqueous barrier; these drugs are recommended for empirical therapy: Amoxicillin Trimethoprim/ sulfadiazine Cephalosporin Particular antibiotic may be indicated – for example… → doxycylcine for ehrlichiosis → clindamycin for azithromycin for toxoplasmosis → doxycycline and azithromycin for bartonellosis

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69° CONGRESSO INTERNAZIONALE MULTISALA SCIVAC RIMINI 27-29 MAGGIO 2011

Eyelid Disease… Medical and Surgical Management David Donaldson BVSc (Hons) DipECVO MRCVS, Animal Health Trust, Newmarket, Suffolk, UK

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differentiating patients with primary disease affecting the eyelids / periocular skin rather than surface ocular conditions (i.e. affecting the cornea or conjunctiva) is often difficult these conditions are often concurrent part of the initial assessment should be aimed at determining if the condition is primarily an eyelid disease or an ocular with secondary eyelid disease (i.e. allergic conjunctivitis leading to secondary trauma/ eyelid maceration etc), or this distinction is not always obvious (generally the more severe the eyelid disease the more likely this is the primary disease process)

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Investigation of eyelid disorders & periocular skin disease history physical examination dermatological examination ophthalmological examination

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diagnostic approach to eyelid disease identify eyelid disorders causing mechanical irritation of the eye (conformational eyelid disorders, distichia, trichiasis etc) search for parasites and dermatophytes determine if eyelid infection is present consider irritant / allergic disease last biopsy eyelid when there is ulceration, mass lesions or persistence despite diagnostics/ treatments

diagnostic approach to eyelid disease 1. identify eyelid disorders causing mechanical irritation of the eye (conformational eyelid disorders, distichia, trichiasis etc)

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gross evaluation of the patient, once relaxed and without restraint best to perform initial assessment on the floor gross examination of the eye and adnexa

CASE 1: 5yo MN ECS discharging eye (OS)

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CASE 2: 2yo ME G Dane discharging eye (OS) •

Diagnostic approach to eyelid disease 2. search for parasites and dermatophytes

tape strip cytology (Sellotape impression of the eyelid skin)

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rapid evaluation of cells, bacteria and Malassezia on the periocular skin surface clear adhesive tape* pressed onto affected skin to gather squames and micro-organisms stained with a small volume of methylene blue or Diff Quik® stain on a microscope slide examined at low power to identify areas where inflammatory cells may be present then high power under oil immersion to look for micro-organisms and the inflammatory cells in more detail *Scotch® tape: as some others dissolve or go cloudy in stains more than 5 Malassezia per hpf: is often stated in text books as the magic number when they cause disease, but this is controversial– if there are lesions plus yeast present on cytology treatment should be considered large numbers of bacteria especially if associated with PMN’s (intracellular bacteria)

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hair plucks

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assess for the presence of pruritus (trichogram) look for chewed or broken hairs initial examination for demodex spp (LP) and dermatophyte arthrosprores (X 40) rapid and easy to perform BUT false negative may occur cases of suspected dermatophytosis or demodicosis should be followed up by fungal culture or skin scrapes respectively.

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skin scrapes care around eye guard blade to avoid serious injury if patient moves can also use the blunt end of the blade or a curette useful for demodex spp: n.b. study indicates that they are as sensitive as skin scrapes if the hair plucks are performed over 1 cm 2

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fungal culture may perform “in house” but carefully read instructions as non pathogenic fungi can also induce the colour change considered diagnostic fungal growth with an appropriate appearance and the colour change must be seen simultaneously cultures need to be checked daily “McKenzie toothbrush technique” useful around the eye (any new toothbrush is mycologically sterile)

diagnostic approach to eyelid disease 3. determine if eyelid infection is present

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clinical appearance sticky tape impression cytology: all cases culture and sensitivity: esp. if rods present or failure to respond to appropriate antibiotic treatment

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diagnostic approach to eyelid disease 4. consider irritant / allergic disease last

º º º º

allergy work-up history and clinical signs - may be suggestive rule out other causes of pruritus & periocular excoriation control secondary infections - treating for bacterial infection may improve but not resolve the condition cytology typically small plasma cells, lymphocytes and some eosinophils typical mast cell & eosinophil populations seen in man not seen in domestic animals conjunctival biopsy may be useful in cases of suspected atopic blepharitis / conjunctivitis biopsies reveal goblet cell production, eosinophil & mast cell infiltration and mononuclear infiltration (predominately T cell subsets) in man there can be extensive mast cell proliferation elimination diet atopic dermatitis (consider last as this is a diagnosis of exclusion) intradermal tests changing environment and making a link with environmental exposure

diagnostic approach to eyelid disease

º º º º • •

º • • •

5. biopsy eyelid when there is ulceration, mass lesions or persistence despite diagnostics/ treatments • • •

biopsy indicated when there is ulceration, mass lesions or persistence despite diagnostics/ treatments biopsies including the lid margin if possible as this allows assessment of the mucocutaneous junction & meibomian glands

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CASE 4: 5yo MN WHWT (Jammy Dodger) discharging eye (OS) and periocular dermatopathy

CASE 5: 5yo MN X bred discharging eye (OS) and periocular dermatopathy

• INVESTIGATION & MANAGEMENT OF EYELID DISORDERS & PERIOCULAR SKIN DISEASE • • • •

anatomy and physiology Meibomian glands are modified sebaceous glands that produce “meibum” a viscous oil/wax secretion Zeiss glands are sebaceous glands associated with the cilia Moll’s glands are modified epitrichial sweat glands associated with the cilia

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bacteria commonly isolated from the eyelid skin:

º Staphylococcus intermedius (recently re-classified as Staphylococcus pseudintermedius) º Staphylococci spp (coagulase-negative) º Corynebacterium spp •

blepharitis / dermatitis

• • • • •

clinical signs redness oedema hair loss chronically – lichenification, hyperpigmentation and sometimes scarring

aetiology of eyelid disease

• • •

infections (bacterial, fungal (dermatophytes, Malassezia), viral) parasites allergic skin disease (cutaneous adverse food reactions, atopic dermatitis and contact dermatitis)

other

• • • • •

immune mediated neoplasms endocrine nutritional idiopathic ……

• • •

LOCALIZED EYELID DISEASE DIFFUSE EYLID DISEASE MARGINAL EYELID DISEASE (see canine pre-corneal tear film disorders)

LOCALIZED EYELID DISEASE

inflammatory lesions

• •

internal hordeolum inflammation meibomian gland

• •

external hordeolum inflammation involving the gland of Zeiss or Moll

• •

chalazion chronic inspissation of meibomian gland with meibum

• • •

treatment early cases antibiotics and hot compresses recalcitrant cases - excision or curettage

• •

neoplastic disease primary eyelid tumours common in dogs- usually benign

• • • •

sebaceous gland tumours melanomas papillomas account for approximately 80% eyelid neoplasms

• • •

treatment excision with full thickness wedge resection usually curative other eyelid plastic surgery techniques when more than a third of the eyelid margin is affected

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• •

squamous cell carcinoma adenocarcinoma

• •

treatment excision + ancillary treatment (Sr90 plesiotherapy or cryotherapy)

DIFFUSE EYLID DISEASE

bacterial pyoderma

• • •

90% of superficial pyodermas are caused by Staphylococcus intermedius. this is a gram positive coagulase positive Staphylococcus primary pyodermas are rare and there is usually always an underlying cause for pyoderma

surface pyoderma

this is when the infection is limited to the stratum corneum and examples include: skin fold infection (intertrigo) or pyotraumatic dermatitis (hot spots)

• • • • •

intertrigo typically seen in the brachycephalic breeds and the Sharpei due to their skin folds pruritus, erythema, alopecia, greasy exudate within the fold. facial rubbing especially when there is secondary infection causes discomfort to the patient

• • • • • •

pyotraumatic dermatitis this is an exudative and extremely pruritic lesion, which usually occurs secondary to scratching around the eye other causes can include: poor ventilation and skin humidity i.e the environment often created by skin folds clinical signs: alopecia, erosion of the skin, intense pruritus this may develop into a superficial folliculitis if not treated promptly if satellite papules and pustules are seen in conjunction with thick crusting then this is a superficial pyoderma (see below)

• • • •

treatment identify the underlying problem topical medications aim of topical treatment is to remove debris and reduce bacterial load

• • • •

superficial pyoderma this is when the infection involves the infundibular portion of the hair follicles and epidermis bacterial folliculitis is the most common type seen around the eyes clinical signs: erythema, papules, follicular pustules, crusting, patchy alopecia.

• •

papules are the most commonly observed sign, although these may be difficult to visualize around the eye common causes around the eyes: demodicosis, dermatophytosis. Exclude these by hair plucks and fungal cultures

• • • •

treatment topical therapy if possible systemic antibiotics always required in addition to topical therapy choose appropriate antibiotic: for example – cefalexin 15-25mg/kg BID – clindamycin (11mg/kg uid or 5.5mg/kg BID). This is not always a good choice for a recurrent infection as resistance can develop – potentiated sulphonamides minimum of three weeks and one week beyond clinical resolution

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local treatments for blepharitis warm compresses followed by eyelid scrubs removes the eyelid debris, reduces the bacterial load and helps stabilize the tear film by releasing oily secretions from the meibomian glands warm compresses – soak gauze swabs in water (warm as tolerable) -

placed on closed eyelids with gentle pressure for 5 minutes BID

eyelid scrubs Johnson’s baby shampoo – diluted one-to-one with water applied to eyelid using a gauze swab wrapped around a finger or cotton tipped applicator to gentle scrub the eyelids for 1 minute soap flushed away using 1:50 povodine iodine solution (diluted in 0.9% saline solution) topical steroid and antibiotic preparations •

deep pyoderma

• •

this is when the infection affects the whole hair follicle, dermis and sometimes subcutis sometimes furunculosis (the rupture of a hair follicle) is seen which can be seen as a progression of superficial pyoderma, or secondary to demodicosis and dermatophytosis clinical signs: ulcerative crusted lesions, swelling, purulent to haemorrhagic exudate PAIN! the causal agent and antibiotic sensitivity is not as predictable in deep pyoderma as in cases with superficial pyoderma and so culture and sensitivity should be performed, especially if rods are present on cytology

• • •

• • • • •

• •

treatment identify underlying cause systemic antibiotics extended course and continued at least 2 weeks beyond complete clinical cure suitable antibiotics include: – cephalexin (15-25 mg/kg bid) – amoxicillin and clavulanic acid – fluoroquinolones n.b. fluoroquinolones should be reserved for cases in which there is a clear indication for their use following bacteriology and/or cytology (with involvement of Gram – rods being demonstrated) topical treatment is also useful sometimes analgesia may be required if the patient is very painful: NSAIDS, Tramadol can be useful

chronic bacterial blepharitis

• •

Staphylococcus spp. and their toxins implicated in most cases of canine bacterial blepharitis both topical and systemic treatment may be required

demodicosis

Demodex canis

• • • • • • • •

this is a cigar shaped mite with 4 pairs of short stubby legs and a long abdomen long and short forms of the mite are reported the entire life cycle is spent on the skin transmission appears to occur from the bitch to her pups predisposition: certain breeds appear to be more at risk of developing demodicosis: West Highland White Terrier, Shar Pei small numbers of the mite are present in normal canine skin and hair follicles. demodicosis is a skin disease caused by excessive proliferation of these mites. it is unknown why in some cases this mite proliferates excessively to cause skin disease, but it is suspected that the condition is linked to an immunodeficiency

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adult dogs that develop demodicosis often have an underlying neoplastic condition, endocrinopathy and/or are receiving immunosuppressive therapy there are 2 forms of the disease: localized demodicosis generalised demodicosis the generalised disease can also be classified according to the age of onset

• • • • • • •

localised demodicosis: can develop at any age, but is often seen in young animals most cases will spontaneously resolve without any treatment alopecia, erythema and scaling are most commonly seen NON-PRUITIC – unless secondarily infected face especially around the eyes are commonly affected rarely spreads to become generalized

generalised demodicosis

• • • •

juvenile onset between 3 – 18 months old multiple areas of alopecia, erythema, scaling, crusting, hyperpigmentation. often have secondary infection

• • • •

adult onset over 4 years of age usually dog has underlying problem: neoplasia, endocrinopathy, or is receiving immunosuppressive treatment poor prognosis

• • • • •

diagnosis skin scrape hair plucks – much easier to perform around the eyes. Mount hairs on liquid paraffin and examine under low power you should be able to identify eggs (lemon shaped), juvenile and adult forms of the mites finding one adult may not be significant

• •

treatment most are non-pruritic but bacterial infection & self-trauma may create moist, erythematous lesions, antibiotic treatment is often required

• •

AVOID STEROIDS! even if they are itchy localized demodicosis: does not usually require acaricidal treatment as they will spontaneously regress, but should be monitored closely generalised demodicosis require acaricidal treatment amitrax (ALUDEX) and Advocate are the only licensed products in the UK. treatment course is long and should be continued until 2 negative scrapes/ plucks are obtained 4 weeks apart the animal is only classed as cured if it remains free of disease for 12 months

• • • • • • • • • • • • • • • •

dermatophytosis Microsporum canis is the most commonly isolated dermatophyte from dogs and cats in dogs other species of Dermatophyte may also be isolated. For example Trichophyton mentagrophytes and Microsporum gypseum & M.persicolor. highly contagious disease young animals are particularly at risk zoonosis clinical signs: areas of alopecia (often circular) +/- erythema and scale. folliculitis can be diffuse hair loss in cats the lesions are so variable with dermatophytosis that a fungal culture should form the baseline of any investigation for skin disease

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diagnosis Wood’s Lamp examination NB only 50% of Microsporum canis isolates will fluoresce, so it can’t be used to rule out dermatophytosis. false positives are often seen: topical treatments and scale will often fluoresce MUST SEE FLUORESCENCE OF THE HAIR SHAFT , it will be bright and apple green in colour the wood’s lamp must warm up for 10 minutes before the examination, otherwise it will not emit the correct frequency of light to cause fluorescence positive hairs can then be plucked for fungal culture

• • •

trichogram arthrospores can be seen on the hair shaft under direct microscopy with some species of dermatophyte. arthrospores are evident under high power, to the experienced clinician.

• •

fungal culture can use the McKenzie tooth brush technique. This is especially useful for sample around the eye. Brush the affected area with a clean and unopened or sterilized toothbrush, then submit this to the lab for culture hair plucks for fungal culture

• • • • • • • • •

treatment a combination of topical and systemic treatment is best. topical treatment will hasten resolution of clinical signs and reduce environmental contamination. miconazole: chlorhexidine (Malaseb®) containing shampoo is useful and licensed as an adjunctive treatment for dermatophytosis. Use with care around the eyes enilconazole (Imaverol®); licensed for use in dogs as a topical treatment systemic treatment: Itraconazole (Itrafungol®) is licensed for use in cats. no systemic anti-fungal agents are licensed for use in the dog: ketoconazole and itraconazole can be used

Malassezia dermatitis

• • • • •

Malassezia pachydermatis - most commonly isolated species from canine skin Malassezia is rarely seen in cats it is a single cell yeast with a thick cell wall on cytological preparations they often appear to be a snowman or peanut shape, because they are often budding certain breeds are predisposed to Malassezia dermatitis: Bassett hounds, WHWT, Cocker spaniels, English setters

• • •

clinical signs: pruritus, erythema and greasy exudate on the skin, if the problem is chronic then lichenification, hyperpigmentation and alopecia may be seen this is a common problem affecting the ears, muzzle and is often in facial folds try to identify and underlying cause

diagnosis: cytology from affected areas

treatment: there are many licensed antifungal preparations available, but as these products may potentially damage the eye Canesten® cream is the preferred treatment option in this area in severe cases systemic anti-fungal therapy may need to be considered with itraconazole and ketoconazole, although currently there is no licensed systemic anti-fungal agent for dogs

• • • • • • • • •

canine juvenile cellulitis synonyms: juvenile pyoderma, puppy strangles this is an uncommon granulomatous disorder affecting the face, pinnae and submandibular lymph nodes of puppies cause: unknown, but the response to glucorticoids, negative cultures and failure to identify causal agents on histopathology suggests an underlying immune dysfunction usually affects young puppies 3-16 weeks, but adult onset cases have been reported clinical signs: acute onset swelling of the face, especially the eyelids and muzzle many start with localised conjunctivitis and blepharitis marked submandibular lymphadenopathy within 48 hours the dogs develop pustules and papules on the face and especially the peri-ocular area. The lesions will then progress to fistula.

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this is a painful condition, but is not generally pruritic addition signs: pyrexia, anorexia, lethargy, joint pain in some cases lesions may also be seen on the trunk

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diagnosis differential diagnoses include: angioedema (early stages), cutaneous adverse drug reaction, staphylococcal infection, demodicosis cytology from purulent exudate reveals pyogranulomatous inflammation with no evidence of microorganisms clinical signs are very suggestive negative tissue culture biopsy

• • • • • • • • • • • • • • • • • • • •

• • • •

treatment early and aggressive treatment is required to minimise scarring immunosuppressive doses of corticosteroids prednisolone (2 mg/kg daily initially) normally at least 14 days of treatment. If the case is severe and there are trunk lesions longer courses of treatment may be required. if there is cytological evidence of infection then antibiotics should also be given simultaneously. this condition generally has a good prognosis although some cases will be left with scarring. allergic blepharitis and conjunctivitis may be associated with cutaneous adverse food reaction or atopic dermatitis difficult to determine if conjunctivitis is caused by primary allergic disease or is secondary to trauma associated with facial or eyelid pruritus IgE was rarely found in tear samples from atopic dogs with suspected “allergic conjunctivitis” atopic blepharitis and conjunctivitis atopy - inherited predisposition to develop a type 1 hypersensitivity (immediate) to environmental allergens immediate - type 1 hypersensitivity reaction - mediated by IgE allergens absorbed percutaneously and bound to epidermal Langerhan’s cells (LC’s) are APC’s- antigen presenting cells, which present allergen to T lymphocytes this leads to activation of Th2 cells that secrete cytokines favouring the production of allergen specific IgE which are bound to the surface of circulating basophils and tissue mast cells. When allergen crosslinks the surface bound IgE antibodies degranulation of the cells occurs with subsequent release of inflammatory mediators. results in overall increased numbers of mast cells, LC’s coated with IgE and CD4+ T cells (perivascular distribution), increasing sensitivity to antigen dramatically (1000 X) clinically variable severity conjunctivitis - chemosis/ serous ocular discharge/ conj. follicle formation blepharitis - eyelid erythema / excoriation / secondary bacteria infection with Staphylococcus spp. most commonly isolated

Score for discomfort Score 1. Score 2. Score 3. Score 4. Score 5.

• •

no apparent ocular discomfort occasional slight rubbing, no blepharospasm frequent rubbing, occasional blepharospasm frequent rubbing, blepharospasm, increased blink (ƒ >20/min) constant blepharospasm

treatment whichever the cause, topical steroids, NSAIDs and antihistamines have been used with some success when used locally whilst many dogs will improve when the skin disease is treated through the traditional means of allergen avoidance and reduction of inflammation using medication and/or allergen injection immunotherapy

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avoiding and reducing offending antigens desensitization (immunotherapy) pharmacological modification the use of topical antihistamines combined with weak sympathomimetic decongestants may provide symptomatic relief pheniramine/napthazoline (Naphcon-A®) topical weak corticosteroids prednisolone acetate 0.5 % (Predsol® drops) betamethasone sodium phosphate 0.1% (Betnesol® Eye Drops) mast cell stabilisers used extensively in people for forms of allergic conjunctivitis to prevent mast cell degranulation mast cells not thought to play as major a role in allergic reactions in animals’ eyes NSAID’s ketorolac – (Acular®)

immune mediated disease

• • • •

pemphigus foliaceus pemphigus erythematosus pemphigus vulgaris will cause various clinical signs including: crusting, ulceration, erosion, erythema, pustules and vesicles. The periocular region is often affected bullous pemphigoid SLE uveodermatological syndrome canine familial dermatomyositis medial canthal ulcerative blepharitis

• • • • • •

diagnosis is based on clinical signs, response to treatment, cytology and histopathology often now supported by immunohistopathology

most reliable results are obtained if biopsies are obtained after an appropriate antibiotics to clear secondary bacterial infections – the pathology associated with chronic secondary pyoderma can complicate the interpretation of the histopathology.

treatment is based on the use of immunosuppressive doses of steroids, azathioprine or ciclosporine

• • • • •

medial canthal ulcerative blepharitis breed predisposition: GSD, LH dachshund, poodle (toy and miniature) usually bilateral histopathology reveals lymphoplasmacytic infiltrates usually responsive to topical steroids which may be needed long term

• • •

deep bacterial pyoderma can have a similar appearance histopathology (± bacteriology) – to establish if pyoderma is present non responsive to antibiotic therapy if medial canthal ulcerative blepharitis

• • •

zinc responsive dermatosis zinc responsive dermatosis presents as alopecia, scale, erythema in the periocular area, but the extremities can also be affected. there are 2 syndromes: – syndrome 1: occurs in northern breed dogs such as the Siberian Husky and Alaskan Malamute. in this syndrome the deficiency is a genetic defect which leads to decreased absorption of zinc from the gastrointestinal tract – syndrome 2: this is less common and occurs usually in large breed puppies. This is usually due to reduced zinc bioavailablity. Excessive calcium supplementation in large breeds affects zinc absorption as do diets high in cereals.

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secondary skin infection is common treatment correct dietary problems if present zinc supplementation essential fatty acid supplementation. treat bacterial infection

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Investigation & management of structural eyelid disorders Eyelid anatomy The eyelids are formed by two laminae. The anterior lamina consists of the skin and a muscle layer principally containing the orbicularis oculi muscle, which is responsible for eyelid closure. The posterior lamina consists of the fibrous layer, which gives the eyelid its support and the innermost conjunctiva. In people the fibrous layer is dense and referred to as the tarsal plate or tarsus. This structure is poorly developed in the dog and as such the eyelid lacks the same degree of rigid mechanical support as is evident in people. The tarsal or meibomian glands lie within the fibrous tarsus and open onto the eyelid margin at the “gray line”.

The orbicularis oculi muscle encircles the globe in concentric bands and is responsible for eyelid closure. The opening of the normal palpebral fissure is not circular but ovoid due to the lateral and medial forces on the eyelids as illustrated below. The support for the eyelids is provided by the medial and lateral canthal ligaments, orbital septum and the retractor oculi angularis muscle in the dog. The medial canthal ligament is generally well formed, providing good support for the medial canthus, and preventing excessive lateral movement. In contrast the lateral canthal stability is much more variable and often poorly supported. The lateral canthus is supported by the lateral canthal ligament and by the lateral retractor anguli oculi muscle. The lateral retractor anguli oculi muscle lies extends from the crest of the zygomatic arch to the lateral part of the orbicularis ocular muscle. Deep to this muscle the poorly formed lateral canthal ligament extends from the lateral canthus to the orbital ligament.

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Entropion Entropion is an eyelid malposition in which the eyelid margin is rolled in and subsequently contacts the ocular surface. In dogs most entropion is developmental and associated with conformational defects in purebred dogs. Given the extreme variation in the range of canine head conformations it is not surprising that the specific anatomical features leading to entropion in a particular case are so varied. Understanding the evolution of the disease is central to correcting the many variants of the disease seen in the dog.

A simplistic but useful way to consider eyelid conformation in the dog is to view the globe and eyelid as a unit in which the globe “supports” the eyelids, holding them in the correct position. The globe needs to be of the correct size and position to support the eyelids. This is particularly true for dogs in which the eyelid lacks significant internal support in the form of the well developed rigid tarsal plate. In contrast the poorly formed tarsus of the dog offers little support leaving the eyelid rather “floppy”. It is understandable that if the globe is too small or set too far back in the orbit (enophthalmos) the eyelids will not be adequately supported. There will as a result be a tendency for the lower eyelid margin to rotate inwards over the orbital rim and contact the globe at an abnormal angle. In dogs with normal conformation the eyelids lie “flat” against the surface on the globe with the meibomian gland openings at the leading edge of the eyelid being visible; in this situation there is no entropion. When considering the anatomical positioning (between globe and eyelids) it is evident that many clinically normal dogs have some degree of entropion. In breeds such as the Chow Chow and Shar Pei the lower eyelid is often positioned at 90 degrees to the surface of the globe. Although clinically inapparent these dog has a 90 degree entropion.

If the globe is normal size and position then the defective anatomical positioning of the eyelid may be the result of eyelids which are too long or short, poorly supported (the medial and lateral canthal ligaments), or due to the overwhelming affects of excessive facial skin. Given the number of variables involved clinicians need a logical approach to the assessment of entropion cases. This allows the surgeon to choose corrective procedures, which address the specific factors leading to entropion in an individual patient.

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The following steps are a guide with regards to the approach to an individual case. • • • • •

Globe size and the degree of exophthalmos or enophthalmos Eyelid length Lateral canthal laxity Relation of lateral canthus to the insertion of the lateral canthal ligament Effects of facial skin on eyelid position

Globe size and degree of exophthalmos or enophthalmos The average axial length of the canine globe is approximately 19 to 21 mm with B scan ultrasound. Microphthalmia may be secondary to the arrest of development of the eye at various stages of growth of the embryonic optic vesicle. Interestingly in some breeds such as collies and the Shetland sheep dog there seems to have been selection towards smaller eyes. In contrast numerous inherited microphthalmic syndromes have been described in purebred dogs. Microphthalmia in these cases is invariable associated with multiple ocular defects (MOD) which may include cataract, colobomas (lack of ocular tissues e.g. eyelid, iris and sclera), and retinal dysplasia (retinal folds/detachment). Reduction in globe size may also be acquired (phthisis bulbi) and usually is the sequel to chronic intraocular inflammation or following severe trauma Enophthalmos may be primary (i.e. developmental/conformation) or follow orbital disease including… Conformational enophthalmos is often present in breeds with large broad skulls such as the mastiff breeds, St Bernard, Newfoundland and Rottweiler with large orbital spaces. The globe tends to relatively enophthalmic in these dogs, being positioned more posterior relative to the orbital rim. In some dolichocephalic breeds such as the Doberman pinscher and collies conformational entropion may also be seen. These dogs often have protrusion of the third eyelid and a “pocket syndrome” in which mucous and debris from the tear film tends to accumulate at the medial canthii, which may predispose to recurrent conjunctivitis.

In dogs with microphthalmia or conformation enophthalmos the globe is either too small or posterior to support the eyelids properly. Although there is no specific treatment for microphthalmia or conformational enophthalmos, recognition of their contribution to entropion is important. In both instances the eyelids are poorly supported by the globe and subsequently become inverted towards the globe. Whether or not this leads to clinical problems is dependant upon the degree of inversion and whether or not eyelid cilia are secondarily contacting the cornea.

Surgical correction in these cases involves resection of the anterior lamella of the eyelid to induce outward rotation of the eyelid margin. This is challenging to correct without exposing the ventral conjunctival sac, which may predispose to ongoing conjunctival inflammation or be considered cosmetically unacceptable by the owners.

Surgical options: Hotz-Celsus procedure

• • • • •

• • • •

Exophthalmos is commonly seen in brachycephalic dogs that have shallow orbits. The relatively anterior position of the globe creates many problems for eyelid function. This tight apposition of the globe and medial lower eyelid leads to functional problems relating to tear drainage. Close observation of the completeness of blinking in these breeds often reveals that complete eyelid closure is infrequent or non existent (lagophthamos). The medial canthus is relatively fixed by the medial canthal tendon so as the medial eyelids are displaced anteriorly by the globe the tension on the medial eyelids becomes directed posteriorly i.e. in the direction of the bony medial orbital rim. This abnormal force vector results in involution or the medial canthus and in-rolling of the medial lower eyelid which is invariable in brachycephalics. This leads to the common exposure related corneal pathology seen in these breeds with pigmentation and vascular keratitis often extending from the medial cornea towards the corneal axis. It is important to ask owner to observe whether or not eyelid closure occurs during when the dog is asleep as this may not be complete in dogs with more severe degrees of brachycephalia. Surgical treatments attempt to address the medial canthal entropion, medial lower lid entropion and other disorders encountered in brachycephalic dogs including lagophthalmos, hairy caruncle, nasal skin fold trichiasis and functional nasolacrimal system obstruction will be dealt with in the section

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Eyelid length • assess eyelid length: normal length to 33-35 mm

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Surgical options: surgeries to shorten lids normally involve lateral canthus (less complicated – avoid lacrimal ducts / third eyelid) – simple wedge excision – Kuhnt – Szymanowsky technique- modified by blastovics: further modified by Fox and Smith – described in the dig by Munger and Carter

Lateral canthal laxity • The medial canthus of the dog is typically firmly fixed by the medial canthal ligament to the medial bony orbital rim. This is readily appreciated by attempting to pull the lower eyelid laterally from the medial canthus; the medial canthus will normally not displace more than several millimeters laterally. • In contrast the lateral canthal stability is much more variable and often poorly supported. The lateral canthus is supported by the lateral canthal ligament which extends from the lateral canthus to the orbital ligament and by the lateral retractor anguli oculi muscle. Without this support the opening between the eyelids (palpebral fissure) is not drawn into the normal ovoid shape

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Surgery in these cases involves creation of addition lateral canthal support. Surgical options: Wyman’s lateral canthoplasty Lateral canthoplasty with suture

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Relation of lateral canthus to the insertion of the lateral canthal ligament

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Assessment should be made as to whether or not there is involution (inward rolling) of the lateral canthus. The lateral canthus should be visible as illustrated below

Cases of mild lateral canthal involution can easily be overlooked on cursory inspection. In such cases the presence of involution may only become fully apparent when the lateral canthus is “rolled out” so the true junction of the upper and lower eyelids can be visualized. When considering the pathogenesis of lateral canthal involution the direction of lateral canthal tension that is acting on the lateral canthus needs to be considered. Ideally the lateral canthus should be “pulled” in the same plane as the eyelids.

Along with conformational enophthalmos, breeds with large broad based skulls such as the Rottweiler and Golden retriever may also be predisposed to lateral canthal involution. This may be explained by the abnormal force vectors placed on the lateral canthus as examined in the anatomical studies performed by Robertson 1991 Assessment is made by palpating the orbital ligament and assessing its relationship to the lateral canthus in the conscious patient. Surgical options: – Robertson’s lateral canthal tendonectomy – Arrowhead modification of the Hotz-Celsus procedure – Wyman’s lateral canthoplasty – Lateral canthoplasty with suture

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Effects of facial skin on eyelid position

Surgical assessment Assess for the presence or absence of entropion • Close observation • Inducible entropion Close observation: the patient is viewed with good illumination without restraint at the start of the examination. This can be time consuming and frustrating especially in unruly or excitable patients. It is important to assess the patient with the head and neck in different degrees of flexion and extension. This is particularly important for patients with excessive loose facial skin, which may only induce entropion when the head and neck is flexed and the head down leading to the rostral sliding of the skin of the head. Having the patient on the table and viewing the eyes from below, as the head is lowers can help with this assessment If the dog is uncomfortable local anaesthesia drops should be instilled over a few minutes to remove the “spastic” component to the entropion, allowing a more accurate assessment of the degree of anatomical entropion.

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Inducible entropion: In some cases a history of intermittent ocular discomfort (blepharospasm, epiphora, facial rubbing and sometimes corneal ulceration) is present but no mechanical cause for the irritation can be identified. These are often unilateral and are associated with excessive periocular tear staining or secondary blepharitis due to chronic skin maceration and trauma. Pigmented skin at the eyelid margin may also have a whitish appearance due to hydration of the skin and depigmentation in the region of the entropion. To confirm the presence of inducible entropion the lower eyelid is pinched approximately 1 cm from the eyelid margin and gentle pulled up causing the eyelid margin to roll onto the surface of the eye. When released a normal eyelid will self correct within several blinks but patients suffering inducible entropion will not auto-correct with the eyelid remaining inwardly rolled and obvious ocular irritation. If the entropion does not correct itself within 3 to 4 blinks the entropion would be reversed by once again pinching the skin of the lower eyelid and manipulating the tissue so the eyelid margin is outwardly rolled.

General Surgery tips 1.

2.

3. 4. 5. 6.

Measure the eyelid with skin under minimal tension and mark with surgical pen. If measurements are used at surgery when skin stretched across the lid plate (i.e. eyelid skin is very elastic) this leads to inaccuracies in the assessment of the amount of skin to be excised Realistic outcomes – there is a pressure or expectation that the entropion surgery should correct the defects at one surgery. This is often unrealistic as the entropion may be complex and involve multiple – needing multiple surgeries. Furthermore there may be pressure not to charge the appearance of the dog – in which the facial folds and excessive skin are primary to the pathogenesis of the problems Use the simplest surgical procedure to address the factors contributing to the entropion. In reality a combination of several simple procedures will allow satisfactory outcomes in the majority of entropion cases. Treat eyelid surgery as microsurgery- use magnification and appropriate instruments. Be fastidious in your attention to haemostasis, tissue handling and apposition of wounds Stabilize lid with finger inserted under lid – the finger is inserted into the conjunctival sac (fornix) holding the eyelid completely taunt. Alternatively a Jaeger lid plate may be used. When you do this you tend to loose your bearings i.e. where was the entropion centred? – where will my first incision be? – to overcome this let the lid go and observe it in a relaxed fashion – this is when you want to mark the eyelid to delineate your first incision e.g. for a Celsus Hotz procedure mark the incision close to the eyelid margin – make a small skin “nick” with a No. 15 blade at the ends of the proposed incision and in the middle.

Surgical procedures Depending on the anatomical components contributing to the entropion an appropriate surgical plan can be made. Various scenarios will be considered along with the recommended surgical interventions. It will become apparent that many permutations of commonly used surgical techniques can be adapted to correct eyelid function in the vast majority of entropion cases. Entropion secondary to microphthalmia or conformational enophthalmos • • • • • • • • •

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The pathophysiological mechanisms leading to the entropion involves a lack of adequate eyelid support by a globe, which is too small or located to posterior to the eyelids. The globe position and size cannot be altered so correction of the entropion relies on eyelid eversion. The Hotz-Celsus procedure is the most commonly performed surgery for this form of entropion. Determining the amount of skin to be removed is critical to the success of the surgery Ideally this should be performed without sedation and on multiple occasions (admitting the patient the day before surgery allows multiple assessments to be made without the time restrains present during clinics) The following technique is recommended: So dog’s head is restrained with a hand under the chin minimizing any tension on the facial skin A finger is placed on the inverted eyelid 2 mm away from the surface of the eye. The eyelid is then gentle everted so the eyelid margin is visible (the eyelid skin is very elastic and excessive tension during eversion will lead to stretching of the eyelid skin and subsequent over-estimation of the amount of skin which needs to be removed) The distance from the finger tip to the eyelid margin is measured The amount of skin to be removed will equal to this measurement minus 2 mm

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Hotz-Celsus procedure – surgical tips

Get these as close as possible to the eyelid margin (i.e. <3mm) you only need enough space between the incision and the eyelid margin to place your sutures – and these will only be between 1-2 mm form the wound margin. Once these localizing nicks are made get the finger back in place so the eyelid is taunt and immobile- then joint the incisions- just go through the skin – no need to take muscle. This is the critical part of surgery (most of these fail because the initial incision is to far from the eyelid margin) - the rest in more standard – use the finger under the lid to taunt it for the second incision which is elliptical and joins the ends of the first incision usually ~ 3-4 mm at widest point depending on severity of entropion.

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Sutures – the first should be placed in middle of surgical wound. Use 6-0 Vicryl® or similar – I usually cut these flush with skin at 10 days rather than worrying too much about removal Use split thickness cutaneous sutures- better apposition ~ 1-2 mm from wound edge passing through he epidermal-dermal junction In dogs where u are concerned about blepharospasm post op (e.g. ulcerated painful eyes or certain breeds such as the Rottweiler then a few temporary tacking sutures which will be left in place for about a week can be very effective If there is a lot of eye pain / spasm after surgery this will be still encouraging spastic changes so use topical lubricants- Viscotears® frequently – maybe systemic NSAIDS and even a couple of doses of Ophthaine® for first 24 hrs (but no more)

Clinical case: 6 m red setter with entropion affecting the lower eyelid

A finger onto the lower eyelid 2 mm from the surface of the eye. The finger should be centered on the area of greatest eyelid inversion, which in this case represents the centre of the eyelids. This takes a great deal of patience as the dog’s protective reflexes will try and avoid such contact. Approaching from a ventral position will assist achieving this. This finger is held against the eyelid in this position. Note in this figure the finger appears greater than 2 mm away from the surface of the globe, which reflects the passive eversion of the eyelid due to the pressure of holding the eyelid in this position.

• appearance following gentle eversion of the eyelid.

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Quando il caso clinico diventa una sfida Cristian Falzone Med Vet, Dipl ECVN, Hertfordshire, UK

Come neurologi veterinari ci troviamo non di rado a dover affrontare casi clinici complessi, che talvolta rappresentano delle vere e proprie sfide. Quest’ultime possono giocarsi sul piano puramente clinico, ma anche diagnostico e quindi terapeutico. Localizzare il problema con l’esame clinico-neurologico è di fondamentale importanza, in primis per poter definire la lista delle diagnosi differenziali e quindi per decidere quale delle indagini collaterali è più indicata. In generale, pazienti con difficili/dubbie localizzazioni del problema neurologico sono: 1)pazienti con sintomatologia neurologica comune e/o simile a diverse aree del sistema nervoso, 2)pazienti con sintomatologia episodica e 3) pazienti non cooperativi. Nel caso di pazienti poco trattabili o aggressivi, l’esame neurologico si limita alla sola osservazione, che diviene pertanto di cruciale importanza: un’attenta valutazione di postura, andatura e comportamento può già da sola suggerire una localizzazione del problema al sistema nervoso, differenziare tra periferico e centrale, spinale e intracranico, toracolombare e cervicale, indirizzando infine la scelta di successive indagini diagnostiche. Nei gatti più frequentemente che nei cani, l’osservazione è talvolta l’unica cosa su cui è possibile ipotizzare una neuro-localizzazione e definire l’iter diagnostico. Le cose si complicano ancor più in tutti quei pazienti con sintomatologia episodica. In tali soggetti l’esame neurologico è molto spesso nella norma al momento della visita clinica e l’unico elemento su cui formulare l’iter diagnostico e/o la diagnosi rimane unicamente l’anamnesi, che per tale motivo deve essere quanto più scrupolosa e dettagliata. In queste circostanze è fondamentale, quando possibile, ricreare le condizioni che possano scatenare tali eventi parossistici o richiedere al proprietario di filmarli. Grazie ai filmati si può in primis stabilire se realmente si tratta di un problema neurologico, quindi si possono mettere in evidenza sintomi, che potrebbero altrimenti sfuggire al proprietario. Infine, il video può essere condiviso ed inviato ad altri colleghi per raccogliere ulteriori opinioni. Quanto ai casi con sintomatologia dubbia, è sufficiente pensare a quei pazienti con interessamento multifocale del sistema nervoso, centrale e/o periferico. In questi casi la localizzazione clinica del problema può essere particolarmente difficoltosa e dobbiamo ricorrere agli esami collaterali, i quali possono fornirci elementi utili per la localizzazione e la diagnosi corrette.

Le metodiche diagnostiche di cui disponiamo attualmente in neurologia veterinaria sono molteplici ed all’avanguardia. Nei “casi sfida” può essere necessario eseguire anche più di un test per il raggiungimento della corretta diagnosi (es., risonanza magnetica, elettromiografia, esame del liquido cefalorachidiano, ecc.); ciononostante, alcuni casi possono rimanere irrisolti. In quest’ultima evenienza, la risposta ad una determinata terapia potrebbe indirettamente aiutare nel raggiungimento di una diagnosi di sospetto. Va comunque aggiunto che in neurologia veterinaria mancano talvolta linee guida comuni nella scelta della terapia: ciò contribuisce potenzialmente a rendere ancor più problematico l’approccio al “caso sfida” (terapia medica vs terapia chirurgica, quale terapia medica, quale terapia chirurgica ecc.). Verranno presentati diversi casi clinici con esami neurologici e/o indagini diagnostiche (es., Risonanza Magnetica) di dubbia/articolata interpretazione, come spunto di discussione e riflessione. Si riportano di seguito alcuni casi a scopo esemplificativo: 1) Luna, Cavalier King Charles Spaniel (CKCS) femmina di quasi 2 anni, veniva riferita alla nostra attenzione per episodica incapacità a camminare, presente da circa 4 mesi. Tali episodi duravano da qualche minuto fino anche a mezz’ora, con frequenza in progressivo peggioramento: 2-3 episodi al giorno, 3-5 giorni alla settimana, al momento della visita. Luna era altresì normale lontano da questi episodi. In anamnesi remota non si segnalavano altre alterazioni significative ed il collega riferente aveva eseguito in più di un’occasione esami di laboratorio completi (esami sangue ed urine), che si erano rivelati sempre nei limiti della norma. Sospettando crisi algiche o di tipo epilettiforme, erano state prescritte in precedenza terapie con farmaci anti-infiammatori non steroidei e quindi con Fenobarbital, con scarsi/nulli risultati. Al momento dell’esame neurologico non si riscontravano particolari deficit. Si ponevano pertanto in diagnosi differenziale crisi di tipo epilettico o più verosimilmente, disturbi parossistici motori, quali l’ipertonicità del CKCS e si suggeriva al proprietario di filmare tali episodi, consideratane anche l’elevata frequenza. Il video fornitoci dalla proprietaria rilevava una rapida/progressiva incapacità a camminare sulle 4 zampe, con rigidità diffusa, evidente soprattutto a carico delle zampe posteriori; le zampe anteriori venivano spesso portate al di sopra della testa. La schiena risultava arcuata e lo stato del sensorio era inalterato.

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Sulla base di tali sintomi si emetteva diagnosi di sospetto di ipertonicità del CKCS, anche nota come iperexplexia o più comunemente come sindrome da caduta episodica. Tale disturbo si pensa abbia base genetica ed è stato riportato in soggetti di età variabile tra pochi mesi e pochi anni, anche se di solito i primi sintomi insorgono nel corso del primo anno di vita. Soggetti affetti da tale sindrome sembrano rispondere positivamente alle benzodiazepine ed in particolare al Clonazepam, alla dose di 0.5 mg/kg, ogni 8 ore. Luna è stata pertanto sottoposta a tale terapia con iniziale e importante miglioramento, tanto da indurre il proprietario a diminuire le somministrazioni del farmaco da tre a due al giorno. Purtroppo Luna ha sviluppato resistenza al Clonazepam in 4 mesi circa; tale farmaco resistenza è comunemente riportata in cani in terapia con benzodiazepine per diversi motivi. Il successivo incremento del dosaggio del clonazepam controllava solo parzialmente la severità degli episodi di Luna, che invece sembrava sempre più dormiente tra tali episodi, forse proprio per effetto collaterale del farmaco. Si interrompeva pertanto il Clonazepam e si instituiva una terapia con Acetazolamide al dosaggio di circa 10 mg/kg due volte al giorno. La risposta a tale terapia è stata sorprendente con riduzione quasi assoluta delle “crisi” e nessun deterioramento a distanza di circa un anno e mezzo. Non è ben chiaro il meccanismo di azione dell’acetazolamide in tale disturbo, anche se uno degli effetti potrebbe essere ricercato nell’incremento di insulina e glucagone che promuove lo spostamento di ioni potassio nelle cellule muscolari, con conseguente ripolarizzazione delle fibrocellule muscolari stesse e cessazione della attività muscolare prolungata. 2) Mac, Springer Spaniel di 6 mesi, veniva riferito per insorgenza acuta di zoppia al posteriore sinistro che perdurava da circa 5 giorni. Un esame radiografico delle zampe posteriori eseguito in anestesia generale non aveva evidenziato significative alterazioni. Una terapia a base di farmaci anti-infiammatori (Carprofen) istituita dal collega riferente aveva dato solo un lieve/parziale miglioramento. Al momen-

to dell’esame clinico-neurologico si rilevava una zoppia senza appoggio dell’arto posteriore sinistro con significativo dolore alla manipolazione/palpazione del piede. I cuscinetti plantari di tale zampa risultavano parzialmente più freddi e scuri dei controlaterali; la palpazione del polso femorale e metatarsale evidenziava un polso notevolmente debole a sinistra. Un problema neuromuscolare conseguente ad un disturbo vascolare a carico dell’arteria femorale sinistra veniva sospettato e si suggeriva ai proprietari un iter diagnostico consistente in un esame ematobiochimico completo di profilo coagulativo, esame delle urine, esame delle feci per ricerca parassiti, radiografie del torace, ecocardiografia, ecografia addominale e della zampa sinistra. Tutti i test effettuati risultavano nei limiti della norma, ad eccezione di un moderato incremento della creatinchinasi (CK) e dell’ecografia/eco-color doppler dell’arteria femorale sinistra: si evidenziava una marcata riduzione del flusso ematico nella porzione dell’arteria femorale in corrispondenza del terzo prossimale del femore. Due giorni più tardi si procedeva con esame di Tomografia Computerizzata (CT) ed angio-CT dell’arto affetto: ne risultava una quasi-completa assenza di flusso sanguigno nella porzione medio-prossimale dell’arteria femorale sinistra. In assenza di evidenti patologie concomitanti, si instituiva terapia medica sintomatica a base di Eparina e Clopidogrel rispettivamente per 15 e 30 giorni; veniva inoltre continuata la terapia anti-infiammatoria non steroidea ed iniziata terapia analgesica a base di Tramadolo. Si rivalutava quindi Mac a 15 giorni: al momento della visita di controllo si riscontrava un netto miglioramento con lieve zoppia e minima algia a carico dell’arto posteriore sinistro. A distanza di 11 mesi dall’esordio della sintomatologia, i proprietari riferiscono che Mac ha avuto una remissione completa della zoppia.

Indirizzo per la corrispondenza: Cristian Falzone Davies Veterinaty Specialists, Hertfordshire, UK

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Il cane/gatto ha un’ostruzione delle basse vie urinarie: la gestione chirurgica dell’emergenza e la terapia chirurgica Luca Formaggini Med Vet, Dormelletto (I)

Cateteri: DePezzer (terminale a fungo) oppure Foley (terminale a palloncino). Accesso alla vescica: sulla linea mediana in caso di celitomia oppure sul fianco in caso di procedura in emergenza oppure tramite tecnica laparoscopica. Il concetto è quello di inserire un catetere attraverso la parete addominale e la parete ventro-laterale della vescica in modo da drenare il flusso di urina verso l’esterno attraverso una via che non sia quella naturale dell’uretra. A termine dell’intervento si esegue una cistopessi alla parete addominale per stabilizzare il catetere e la vescica stessa e prevenire i danni (es uroaddome) derivanti da una prematura (auto-traumatismo) rimozione del catetere. Il catetere viene poi collegato ad un sistema chiuso di raccolta urine e mantenuto in sede finché necessario o fino ad intervento chirurgico definitivo.

ANAMNESI E VISITA CLINICA Gli animali colpiti da ostruzione urinaria vengono presentati per oliguria, stranguria e disuria da ore o giorni. Questi sintomi possono essere accompagnati o meno da emissione di urine. Più frequentemente nel gatto, il paziente viene presentato alla visita clinica per letargia, debolezza e shock. La visita clinica riflette il grado di compromissione cardio-vascolare e la presenza di una vescica distesa (dura o flaccida) alla palpazione addominale. Dal punto di vista metabolico questi pazienti possono essere in acidosi metabolica, ipovolemici e iperazotemici.

ESAMI COLLATERALI E STABILIZZAZIONE Nella prima fase gli esami necessari sono: microematocrito, proteine totali glicemia ed elettroliti (un occhio particolare al potassio). In seguito l’ideale sarebbe ematologia completa, biochimica ed esame delle urine. L’elettrocardiogramma potrebbe risultare molto utile nei pazienti con elevata concentrazione di potassio. La terapia medica in emergenza comprende: • fluidoterapia adeguata • correzione delle anomalie cardiache (se presenti) • correzione degli squilibri elettrolitici • rimozione dell’ostruzione Inizialmente una cistocentesi può aiutare la stabilizzazione rendendo in questo modo migliore lo stato metabolico del paziente che “sopporterà” meglio una eventuale successiva sedazione/anestesia. La maggior parte delle ostruzioni uretrali può essere by-passata con una cateterizzazione vescicale trans-uretrale con idro-retropulsione dei calcoli/tappi uretrali se presenti. Raramente, l’ostruzione richiede una risoluzione chirurgica in emergenza (cistostomia). Una volta che il flusso di urina viene ristabilito, il GFR (filtrazione glomerulare) aumenterà, si verificherà una diuresi post-ostruttiva e qualsiasi anomalia dell’acido-base ed elettrolitica ritornerà entro i limiti normali rendendo il paziente un buon candidato all’anestesia/chirurgia di solito entro le 24 ore.

TECNICHE CHIRURGICHE Cistotomia Indicazioni: quando calcoli uretrali sono stati spinti (idroretroplusione) in vescica. Sia nel cane sia nel gatto Commenti: preparare asetticamente anche prepuzio e pene; approccio per via celiotomica ed eseguire una cistotomia ventrale; lavaggi uretrali dalla punta del pene verso la vescica e non vice versa; contare i calcoli e (se troppi o troppo piccoli) eseguire una radiografia di controllo port-chirurgia con o senza contrasto; inviare i calcoli per analisi della composizione e colturale.

TECNICHE CHIRURGICHE Uretrotomia/stomia nel cane Indicazioni: l’uretrotomia è frequentemente utilizzata nei casi in cui l’ostruzione sia localizzata alla base dell’os penis; questa procedura utilizzata a livello di os penis spesso esita in stenosi, per cui non è consigliata a questo livello; l’incisione può essere lasciata guarire per seconda intenzione in 710 giorni o suturata con polidiossanone 4-0 o 5-0; si possono verificare emorragie nel post-operatorio che diventano più evidenti in caso di eccitazione sessuale o durante l’urinazione. L’uretrostomia permanente è indicata quando i cal-

TECNICHE CHIRURGICHE Cistostomia su tubo Indicazioni: diversione urinaria temporanea a seguito di riparazione uretrale, o in caso di stabilizzazione del paziente con ostruzione uretrale.

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coli sono a livello della doccia peniena e non si riesce a spostarli in vescica, in caso di stenosi secondarie a trauma, o in caso di gravi rotture uretrali e/o del pene. Scelta della sede per l’uretrostomia: nel cane, l’uretrostomia scrotale è la procedura di scelta quando il desiderio è quello di ottenere un’apertura permanente. La castrazione e l’oschectomia accompagnano questa procedura nel cane maschio; l’uretra scrotale è più larga e più distensibile rispetto a quella peniena e permette in questo modo l’eliminazione di calcoli ed evita la formazione di stenosi. Inoltre a questo livello l’uretra è più superficiale e meno circondata da tessuto cavernoso rendendo più semplice il controllo delle emorragie. Altre sedi di uretrostomia sono la prescrotale, la perineale, la sub-pelvica e la pre-pubica: queste sono indicate quando prossimalmente all’uretra scrotale si verificano lacerazioni irreparabili, stenosi o patologie neoplastiche. Punti chiave della tecnica: 1) oschectomia e castrazione con o senza cateterizzazione dell’uretra il più prossimale possibile 2) spostamento laterale del muscolo retrattore del pene e incisione sulla linea mediana del corpo spongioso dell’uretra e dell’uretra stessa (1-2 cmm di stoma a seconda della taglia del paziente) 3) sutura della mucosa uretrale alla cute con materiale monofilamento riassorbile (o non riassorbibile) 4-0 (raramente 3-0). Complicanze: forse un aumento delle infezioni ascendenti; emorragie fino a 10 giorni nel post-operatorio; infiltrazione di urina nel sottocute con cellulite localizzata e risentimento generale (SIRS/SEPSI).

LETTURE CONSIGLIATE Waldron DR, (2003), Textbook of Small Animal Surgery, 3rd ed, Slatter D, Saunders, Philadelphia, Vol 2, 1629-1637. Bjorling DE, (2003), Textbook of Small Animal Surgery, 3rd ed, Slatter D, Saunders, Philadelphia, Vol 2, 1638-1651. Buffington CAT, Chew DJ, DiBartola SP, (2003), Textbook of Small Animal Surgery, 3rd ed, Slatter D, Saunders, Philadelphia, Vol 2, 16511660. Bartges JW and Lane IF, (2003), Textbook of Small Animal Surgery, 3rd ed, Slatter D, Saunders, Philadelphia, Vol 2, 1661-1672. S. V Libermann, I. C Doran, C. R Bille, E. G Bomassi, E. P Rattez, (2011) Extraction of urethral calculi by transabdominal cystoscopy and urethroscopy in nine dogs. JSAP. vol. 52 (4) pp. 190-194. E Cooper, T Owens, D Chew et al, A protocol for managing urethral obstruction in male cats without urethral catheterization. J Am Vet Med Assoc December 1, 2010, Vol. 237, No. 11, Pages 1261-1266.. B Gerber, S Eichenberger, C Reusch, Guarded long-term prognosis in male cats with urethral obstruction. Journal of Feline Medicine & Surgery, 2008 vol. 10 (1) pp. 16-23. C Weisse, A Berent, K Todd, C Clifford, J Solomon: Evaluation of palliative stenting for management of malignant urethral obstructions in dogs. J Am Vet Med Assoc July 15, 2006. C Lekcharoensuk, CA Osborne, JP Lulich: Evaluation of trends in frequency of urethrostomy for treatment of urethral obstruction in cats. J Am Vet Med Assoc 2002 vol. 221 (4) pp. 502-505. Clarence A Rawlings, Elizabeth W Howerth, Mary B Mahaffey, Tim L Foutz, Shannon Bement, Chanda Canalis: Laparoscopic-assisted cystopexy in dogs. American Journal of VETERINARY RESEARCH, 2002 vol. 63 (9) pp. 1226-31. J.P Lulich, C.A Osborne, H Albasan, M Monga, J.M Bevan: Efficacy and safety of laser lithotripsy in fragmentation of urocystoliths and urethroliths for removal in dogs. J Am Vet Med Assoc 2009 vol. 234 (10) pp. 1279-1285. Jian-Tao Zhang, Hong-Bin Wang, Jiao Shi, Nan Zhang, Shi-Xia Zhang, Hong-Gang Fan: Laparoscopy for percutaneous tube cystostomy in dogs. J Am Vet Med Assoc 2010 vol. 236 (9) pp. 975-7. David C Grant, Tisha A M Harper, Stephen R Werre: Frequency of incomplete urolith removal, complications, and diagnostic imaging following cystotomy for removal of uroliths from the lower urinary tract in dogs: 28 cases (1994–2006) J Am Vet Med Assoc 2010 vol. 236 (7) pp. 1-4. Jonathan P Bray, Ronan S Doyle, Carolyn A Burton: Minimally Invasive Inguinal Approach for Tube Cystostomy. Vet Surg 2009 vol. 38 (3) pp. 411-416. A Beck, J Grierson, D Ogden, M Hamilton: Outcome of and complications associated with tube cystostomy in dogs and cats: 76 cases (19952006) J Am Vet Med Assoc 2007; 230:1184–1189. A Bernarde, E Viguier: Transpelvic Urethrostomy in 11 Cats Using an Ischial Ostectomy. Vet Surg 2004 vol. 33 (3) pp. 246-252. L. M Liehmann, R. S Doyle, R. M Powell: Transpelvic urethrostomy in a Staffordshire bull terrier: a new technique in the dog. JSAP (2010) 51, 325–329.

TECNICHE CHIRURGICHE Uretrostomia nel gatto Indicazioni e commenti in generale: ostruzione che non possono essere risolte con la cateterizzazione (in questo caso si parla di chirurgia d’emergenza); stenosi secondarie a trauma o ostruzione prolungata; neoplasie (rare); traumi. In generale la frequenza dell’intervento di uretrostomia nel gatto è diminuita drasticamente negli ultimi 10-15 anni, probabilmente per i progressi verificatasi nella conoscenza della patologia, nella diagnostica e nella terapia medica e dietetica; inoltre sono ben note le complicanze a breve e lungo termine legate a questa procedura chirurgica (emorragie, incontinenza legata al danneggiamento del nervo pelvico durante la dissezione, stenosi, infezioni subcliniche croniche). Per la descrizione della tecnica si rimanda al filmato mostrato durante la relazione o a testi specifici.

Address for correspondence: Luca Formaggini - Clinica Veterinaria Lago Maggiore C.so Cavour, 3 - 28040 Dormelletto (NO) Tel. 0322 243716 - Fax 0322 232756 - E-mail info@cvlm.it

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Aggiornamenti nella terapia del diabete mellito Federico Fracassi DVM, PhD, Ozzano dell’Emilia (BO)

cataratta, evitare l’ipoglicemia e trattare le eventuali patologie concomitanti. La terapia si basa su tre punti fondamentali: il trattamento di patologie concomitanti (es. infezioni delle vie urinarie, piodermiti, ecc.), la terapia insulinica (o ipoglicemizzanti orali) e la dieta. Dal momento che gli elevati livelli di progesterone durante il diestro nella cagna portano ad una intensa insulinoresistenza, tali soggetti dovranno essere sottoposti ad ovarioisterectomia nel più breve tempo possibile.

La prima causa di morte nei cani e gatti con diabete mellito non è la patologia di per se bensì la frustrazione del proprietario dell’animale diabetico. Una buona comunicazione con il proprietario è quindi di fondamentale importanza. Dopo aver stabilito la diagnosi è importante chiarire al proprietario di che malattia si tratti, come effettuare le iniezioni di insulina, come conservare l’insulina, quale tipo di alimento debba essere somministrato, in che quantità e con quale frequenza, come riconoscere i segni di ipoglicemia e come comportarsi nel caso questa si verifichi. Il proprietario deve essere messo in grado di monitorare i segni clinici con particolare riferimento alla quantità di acqua assunta (misurandola nelle 24 ore) e alla quantità di urine prodotte. Un’ottima procedura consiste nel fornire al proprietario delle istruzioni scritte che chiariscano tutti i punti fondamentali nella gestione del paziente diabetico. Il proprietario deve sentirsi coinvolto e motivato nel trattare il proprio animale. L’obbiettivo della terapia consiste nell’eliminare i segni clinici di diabete, prevenire o rallentare la formazione di

PATOLOGIE CONCOMITANTI Al fine di trattare adeguatamente il paziente diabetico è di fondamentale importanza riconoscere eventuali patologie concomitanti. Tali patologie possono infatti fortemente influenzare negativamente la risposta alla terapia insulinica. Anche semplici problemi, quali infezioni del tratto urinario, sono in grado di far rilasciare gli ormoni dello stress e determinare insulino-

TABELLA 1 - Cause riconosciute di inefficacia o resistenza insulinica in cani e gatti diabetici Cause legate all’insulina Insulina inattiva Insulina diluita (glargine) Somministrazione non corretta Dose inadeguata Effetto Somogyi Inadeguata frequenza di somministrazione Alterato assorbimento dell’insulina, specialmente con insuline ultralente Anticorpi anti-insulina

Cause legate a patologie concomitanti Farmaci diabetogeni (corticosteroidi!!) Ipercortisolismo Diestro (cagna) Acromegalia Infezioni (soprattutto del cavo orale e delle basse vie urinarie) Ipotiroidismo (cane) Ipertiroidismo (gatto) Insufficienza renale Insufficienza epatica Insufficienza cardiaca Glucagonoma (cane) Feocromocitoma Infiammazioni croniche (soprattutto pancreatite) Insufficienza pancreatica esocrina Grave obesità Iperlipidemia Neoplasia

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resistenza. In tabella 1 vengono riportate le principali cause di inefficacia o resistenza insulinica nel cane e nel gatto.

(NIDDM). Nonostante in commercio ve ne siano di molti tipi, in medicina veterinaria gli studi sono pochi e riguardano per lo più le sulfuniluree (glipizide). Nel cane il diabete è sempre insulino-dipendente (IDDM) con totale assenza di produzione insulina da parte del pancreas. Gli ipoglicemizzanti orali per funzionare necessitano di una residua funzionalità pancreatica e pertanto non sono indicati nella specie canina. Il glipizide è in grado di migliorare i segni clinici da iperglicemia in circa il 30% dei gatti diabetici. Il glipizide (da considerarsi sempre una seconda scielta) deve essere somministratato alla dose di partenza di 2,5 mg/gatto PO, SID con il pasto. Il monitoraggio terapeutico è simile a quello della terapia con insulina.

TERAPIA INSULINICA Negli ultimi anni le ditte farmaceutiche hanno progressivamente tolto dal commercio le insuline di origine animale (prevalentemente insuline suine o bovine) per sostituirle con insuline ricombinanti umane. Dal 2000, l’insulina umana è disponibile unicamente alla concentrazione di 100/U/ml. Solo il Caninsulin® è ancora formulato in 40 U/ml. È quindi essenziale utilizzare le siringhe adeguate al tipo di insulina. Le insuline possono essere ad azione rapida, intermedia o lenta. L’insulina rapida (es. Humulin R®) è in soluzione e può essere somministrata per via sottocutanea, intramuscolare o endovenosa. Questa viene riservata esclusivamente al trattamento della chetoacidosi diabetica attraverso la somministrazione endovenosa in infusione o in piccoli boli intramuscolari. Generalmente, nella terapia del diabete non complicato, si utilizzano insuline a lunga durata d’azione (glargine) o a intermedia durata d’azione (NPH, insulina isofano) o miste (Caninsulin®) con somministrazione sottocutanea. Caninsulin® è l’unica insulina registrata per uso veterinario. Si tratta di un’insulina mista di origine suina. Il 30% è ad azione rapida e il 70% ad azione ultralenta (PZI). Sia nel cane che nel gatto questa insulina deve essere somministrata ogni 12 ore. Si consiglia di iniziare con un dosaggio di 0,25-0,5 U/Kg BID, SC. Nel gatto si somministrano 1 U/gatto BID per soggetti <4kg e 2U/gatto BID per quelli >4 kg. L’insulina glargine (Lantus®) è una nuova insulina di sintesi. Glargine ha un pH di circa 4 e quindi poco solubile a pH fisiologico. Ciò permette la formazione di microprecipitati sottocutanei. Ciò consente un tardivo, prolungato e relativamente costante assorbimento di insulina dal sito di iniezione. La formazione dei microprecipitati dipende fortemente dal pH e la glargine non deve quindi essere diluita. Da studi su gatti sani e diabetici appare come la somministrazione ogni 12 ore permetta di ottenere un ottimo controllo glicemico. La dose raccomandata è la stessa della Caninsulin®. In uno studio condotto in Australia, l’utilizzo di questa insulina in associazione con una dieta a basso tenore di carboidrati e alto tenore proteico ha determinato la remissione del diabete in tutti gli 8 gatti in cui è stata utilizzata. Questa insulina, pur ottima nella specie felina, nel cane presenta un’efficacia terapeutica lievemente inferiore rispetto alla Caninsulin® (Fracassi et al 2010). Dopo aver istruito il proprietario è possibile dimettere l’animale con la terapia insulinica; in alternativa è possibile ospedalizzare il soggetto nel primo giorno di terapia misurando 3 volte la glicemia (ad esempio alle 11 a.m., alle 2 p.m. e alle 17 p.m.) al fine di rilevare un eventuale stato ipoglicemico (la glicemia non deve scendere al di sotto degli 80 mg/dl, altrimenti il dosaggio deve essere ridotto). Il soggetto andrà poi rivalutato settimanalmente.

Dieta (cane) Molti studi dimostrano che diete a basso tenore lipidico e alto tenore di fibra e carboidrati sono molto utili nel controllare la patologia nel cane. L’utilizzo di tali tipi di diete permette di ridurre il dosaggio di insulina, di abbassare i livelli glicemici nonché delle fruttosamine e dell’emoglobina glicata. I carboidrati di tali diete sono carboidrati complessi. È fondamentale evitare zuccheri semplici, infatti in tal caso gli zuccheri vengono assorbiti molto rapidamente, prima che l’insulina possa agire. Tali diete diminuiscono gli acidi grassi liberi, aumentano il numero di recettori per l’insulina, migliorano l’azione della stessa e fanno diminuire il colesterolo. L’elevato contenuto di fibra diminuisce l’iperglicemia postprandiale. Effetti collaterali di diete ad alto tenuto di fibra possono essere un aumento del numero delle defecazioni, costipazione e flatulenze. Uno studio condotto da Fleeman e coll (2009) mette in dubbio l’utilità di diete ad alto tenore di fibra, sostenendo che rispetto a una normale dieta di mantenimento l’elevato tenore di fibra non mostri particolari vantaggi nella gestione del diabete mellito canino.

Dieta (gatto) Solo negli ultimi anni è stata scoperta quale sia la dieta ottimale per i gatti diabetici. Recenti studi indicano infatti che nel gatto diete commerciali con alto tenore proteico e basso tenore di carboidrati (es. Diabetic Royal Canin®, m/d Hill’s® o DM Purina®) hanno effetti estremamente positivi sul controllo glicemico del gatto diabetico. Il gatto è infatti un carnivoro obbligato e quindi utilizza di preferenza le proteine rispetto ai carboidrati come fonte glucidica. È stato dimostrato come tali diete permettano di ridurre notevolmente l’utilizzo di insulina e siano associate con un elevato tasso di remissione del diabete.

Esercizio fisico L’esercizio fisico risulta importante nel mantenere un buon controllo glicemico e nel perdere peso nei soggetti obesi. L’esercizio fisico migliora inoltre l’assorbimento insulinico dal sito di iniezione, migliora la vascolarizzazione stimolando l’utilizzo di glucosio a livello muscolare. Nel cane l’esercizio deve essere preferibilmente effettuato negli stessi orari della giornata. L’esercizio fisico regolare permette di ridurre la dose di insulina. Il proprietario deve essere informato che durante l’attività fisica si può sviluppare ipoglicemia, pertanto, una fonte glucidica (ad es. miele)

Ipoglicemizzanti orali Gli ipoglicemizzanti orali vengono utilizzati nell’uomo per le forme di diabete mellito non insulino dipendente

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deve sempre essere a disposizione. Nel caso in cui il cane debba essere sottoposto ad un notevole esercizio improvviso (ad es. caccia) la dose di insulina di quel giorno deve essere ridotta del 50%.

tiroidismo danno valori di fruttosamine falsamente bassi e l’ipotiroidismo valori falsamente elevati. Il normale range va da 225 a 375 μmol/l. Molti proprietari sono soddisfatti della terapia quando le fruttosamine stanno in un range che va dai 350 ai 450 μmol/l. Valori >500 μmol/l indicano un inadeguato controllo glicemico e >600 μmol/l una grave carenza di controllo glicemico. Valori <300 μmol/l indicano episodi persistenti di ipoglicemia. Nel casi in cui i sintomi clinici persistano e le fruttosamine siano <400 μmol/l deve essere sospettato un effetto Somogyi.

VALUTAZIONE DEL TRATTAMENTO Nel primo periodo l’animale deve essere rivalutato settimanalmente fino alla determinazione del giusto dosaggio insulinico (solitamente circa 1 mese). Il proprietario andrà informato che grazie a tali controlli sarà possibile arrivare al controllo glicemico adeguato.

Effetto Somogyi L’effetto Somogy è il risultato della somministrazione troppo elevata di insulina che determina ipoglicemia (in genere glicemia <40mg/dl). Vengono allora attivati dall’organismo alcuni meccanismi di contro-regolazione (aumento della glicogenolisi, secrezione di catecolamine, glucagone, cortisolo e GH) che provocano un rialzo della glicemia per un aumento della produzione di glucosio (principalmente a livello epatico) e determinano una insulinoresistenza periferica. L’insulinoresistenza indotta può persistere fino a 3 giorni. Una volta constatato l’effetto Somogyi è importante ridurre il dosaggio insulinico del 30-50%.

Valutazione clinica La risoluzione della poliuria-polidipsia (PU/PD), un peso corporeo stabile, una conservazione dell’appetito e un buono stato generale si traducono clinicamente nel buon controllo del diabete mellito. I sintomi da ipoglicemia (abbattimento, anomala affaticabilità, tremori, convulsioni) devono essere ricercati sistematicamente.

Tecniche per il monitoraggio del controllo glicemico

Misurazione del glucosio urinario

L’indice più importante nel valutare il controllo glicemico è rappresentato dal grado di soddisfazione del proprietario in termini di risoluzione dei segni clinici e condizione generale di salute dell’animale. Il controllo è adeguato quando il proprietario è soddisfatto del trattamento, l’esame clinico risulta nella norma e il peso dell’animale è stabile.

La periodica misurazione della glicosuria e della chetonuria risulta utile soprattutto in animali con tendenza alla chetosi o all’ipoglicemia. L’entità della glicosuria non deve essere utilizzata come criterio per stabilire o variare la dose di insulina. L’assenza di glicosuria indica un dosaggio insulinico eccessivo e la chetonuria un controllo non adeguato del diabete.

Misurazione della glicemia Il momento migliore della giornata per valutare la glicemia risulta essere il mattino, prima della somministrazione dell’insulina e del pasto. Si esegue un prelievo ematico per la misurazione della glicemia (si può utilizzare un glucometro portatile validato per la specie nel quale andiamo ad utilizzarlo) e delle fruttosamine. Nella maggior parte dei soggetti ben controllati la glicemia risulta essere compresa fra i 150 e i 250 mg/dl. Una glicemia <150 mg/dl deve far sospettare la presenza di una possibile ipoglicemia nelle ore di massima azione dell’insulina. Se poi tale reperto è associato a un basso valore di fruttosamine (<350μmol/l) la dose insulinica deve essere ridotta. Solitamente gli incrementi e decrementi della dose insulinica devono essere del 10-20% della dose totale. Nel caso in cui la glicemia risulti elevata è di indubbia utilità l’esecuzione di una curva glicemica possibilmente associata al monitoraggio delle fruttosamine. Nell’animale andrà inoltre sempre valutata la presenza di possibili patologie concomitanti e il proprietario andrà interrogato per assicurarsi che somministri e conservi l’insulina in modo adeguato.

Curva glicemica L’esecuzione di una curva glicemica rappresenta uno degli elementi più importanti del controllo del paziente diabetico. La curva glicemica permette al clinico di giudicare l’efficacia della terapia insulinica attraverso la valutazione del calo della glicemia, del nadir (glicemia più bassa della giornata) e della durata d’azione della stessa. Se possibile, la curva glicemica dovrebbe essere eseguita ad ogni rivalutazione del paziente e soprattutto negli animali con scadente controllo glicemico o che sviluppano ipoglicemia. La curva glicemica può essere effettuata in clinica o a casa dal proprietario. La curva viene solitamente iniziata misurando la glicemia del mattino prima del normale pasto. Dopo il pasto e la somministrazione di insulina la glicemia viene nuovamente misurata ogni 2 ore fino al pasto della sera (un totale di 5-6 misurazioni). La glicemia viene misurata attraverso l’utilizzo di glucometri portatili. In commercio esistono numerosi tipi di glucometri che richiedono una piccola quantità di sangue (0,3-0,6μl) per la valutazione della glicemia. Tali glucometri sono prodotti per la medicina umana e solo alcuni sono stati validati nel cane e nel gatto. La maggior parte dei glucometri attualmente in commercio tendono a sottostimare i valori di glicemia. Il metodo da preferire per ottenere una goccia di sangue è quello della puntura della porzione interna del padiglione auricolare. Al fine di ottenere una goccia di sangue sufficiente alla determinazione del-

Fruttosamine Le fruttosamine sono proteine glicate e la loro concentrazione riflette la glicemia delle ultime 2-3 settimane. Più alta è stata la media glicemica nelle ultime settimane più elevato sarà il valore di fruttosamine. Il livello di fruttosamine non è influenzato dall’iperglicemia da stress. Ipoprotidemie e iper-

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la glicemia deve essere utilizzato un sistema che oltre a pungere permetta di creare il vuoto in contatto con la cute. Tale strumento viene utilizzato nell’uomo per prelievi alternativi al polpastrello ed è commercializzato dalla Bayer con il nome di MicroletTM Vaculance®. La maggior parte dei cani e dei gatti tollera molto bene tale tipo di procedura. Tale metodica di prelievo permette di eseguire curve glicemiche senza problemi in cani e gatti, sia in clinica che a casa, dopo aver istruito il proprietario. Il protocollo che normalmente viene seguito all’Università di Zurigo e all’Università di Bologna consiste nell’eseguire le prime 2-3 curve glicemiche in clinica per poi far fare le stesse a casa dal proprietario. Nelle curve glicemiche eseguite a casa l’animale è solitamente molto meno stressato, permettendo di ottenere valori glicemici molto più attendibili. Il proprietario porta o invia quindi la curva al veterinario per l’interpretazione della stessa. In clinica il sangue per l’esecuzione della curva glicemica può essere ottenuto anche dalla vena giugulare, dalla vena cefalica o dalla safena. Nella curva glicemica ideale la glicemia dovrebbe mantenersi in un range che va da 100 a 250 mg/dl. Solitamente (ma non sempre) il valore di glicemia più elevato è quello prima del pasto del mattino. Se il nadir risulta essere >150 mg/dl la dose deve essere aumentata mentre quando il nadir è <80 mg/dl la dose diminuita. Studi preliminari dimostrano che sia possibile monitorare la glicemia nell’arco della giornata in modo continuativo attraverso un sensore posizionato sotto cute. Al momento tali rilevatori risultano piuttosto costosi e ulteriori studi saranno necessari per dimostrarne i potenziali vantaggi clinici.

quenti sono solitamente rappresentate da errori del proprietario o da patologie concomitanti non riconosciute.

Prognosi La prognosi dipende dalla presenza e dalla reversibilità delle patologie concomitanti, dalla capacità dell’insulina nel far regredire i segni clinici ma soprattutto dalla collaborazione del proprietario. Se il diabete viene ben controllato il tempo di sopravvivenza non è molto differente rispetto a quello di un soggetto sano.

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Complicazioni nella terapia insulinica

• Ipoglicemia. L’ipoglicemia è la più comune complicazione della terapia insulinica. Normalmente si verifica in seguito all’aumento improvviso della dose, soprattutto in soggetti trattati con un’unica somministrazione giornaliera di insulina. Il proprietario deve essere istruito nel riconoscere tali sintomi (vedi sopra). Nel caso di ipoglicemia il proprietario deve somministrare del miele o dell’acqua zuccherata per bocca e contattare al più presto il veterinario. Non è prevedibile a quale livello glicemico si comincino a osservare i sintomi da ipoglicemia, dal momento che questo varia molto da soggetto a soggetto e dipende soprattutto da quanto velocemente si è instaurata l’ipoglicemia. Per fare un esempio, basti pensare che soggetti con insulinoma, perennemente ipoglicemici, possono essere asintomatici con valori glicemici di 20 mg/dl. Nel caso di episodi ipoglicemici la terapia insulinica deve essere sospesa fino a quando non ricompaiono iperglicemia e glicosuria. La terapia deve quindi essere ripresa con un dosaggio ridotto dal 25 al 50%. • Ricomparsa dei segni clinici. Nel caso in cui i segni clinici ricompaiano o non regrediscano bisogna tenere in considerazione i problemi riportati in tabella 1. Le cause più fre-

Address for correspondence: Federico Fracassi Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie, Università degli Studi di Bologna Via Tolara di Sopra 50, 40064 Ozzano dell’Emilia (BO) Tel 051 2097590 Fax 0512097593 E-mail: federico.fracassi @unibo.it

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La terapia della pancreatite acuta attraverso la valutazione di casi clinici Federico Fracassi DVM, PhD, Ozzano dell’Emilia (BO)

eventuali perdite con vomito e diarrea. Particolare attenzione andrà prestata al mantenimento dello stato elettrolitico dal momento che i soggetti con pancreatite tendono facilmente ad avere ipopotassemia.

INTRODUZIONE La pancreatite acuta è una comune patologia del cane che può manifestarsi in forma lieve o estremamente grave con potenziale esito letale. Nelle forme lievi possono venir meno i classici sintomi clinici quali il vomito e il dolore addominale, rendendo pertanto la diagnosi piuttosto difficile. La diagnosi si basa sull’individuazione della sintomatologia clinica in associazione ai reperti laboratoristici di base, sugli aspetti ecografici caratteristici e sulla misurazione della PLI. La valutazione delle concentrazioni di amilasi e lipasi è di poca utilità nella diagnosi di pancreatite dal momento che presenta una bassa sensibilità e specificità. L’esame ecografico è operatore dipendente e deve essere eseguito con uno strumento adeguato e da un ecografista esperto. Uno studio riporta una sensibilità di questa tecnica pari al 68%. Il TLI è un ottimo test per la diagnosi di insufficienza pancreatica esocrina ma non è un buon test per la diagnosi di pancreatite. Recentemente è stato messo a punto un test in grado di valutare la lipasi pancreatica specifica (PLI). Questo test è specie specifico (PLI canino cPLI e PLI felino fPLI) e sembra essere il più sensibile e specifico nella diagnosi di pancreatite.

Alimentazione Fino a poco tempo fa l’indicazione era quella di non alimentare l’animale per diversi giorni al fine di “far riposare” il pancreas. Non esiste evidenza scientifica che questo sia corretto e pertanto le indicazioni sono quelle di alimentare da subito i soggetti. L’unica controindicazione è rappresentata dai soggetti con vomito; tuttavia, dopo 12 ore di assenza di vomito è indicato iniziare ad alimentare il soggetto con un alimento a bassissimo tenore lipidico. Nei casi di anoressia prolungata (2-4 giorni) è indicata una nutrizione enterale (sondino nasale, esofageo o gastrico). Alcuni autori sostengono l’utilità di posizionare un sondino digiunale al fine di bypassare il pancreas.

Analgesia Nell’uomo la dolorabilità addominale viene riportata nel 90% dei soggetti con pancreatite. Nei nostri animali vengono indicate percentuali più basse (58% nel cane e 25% nel gatto). Nei nostri animali questi dati sono molto probabilmente falsati dal fatto che non siamo in grado di discriminare se vi sia o meno dolore addominale e molto probabilmente queste percentuali sono decisamente più alte. È opportuno considerare che ciascun cane e gatto abbia dolore addominale e dovrebbe essere trattato di conseguenza. Possono essere utilizzati differenti protocolli di analgesia. È possibile utilizzare butorfanolo (0,2-0,4 mg/kg IM o IV o SC q24h) fentanyl (inizialmente 4-10 mcg/kg IV e quindi 4-10 mcg/kg/h in infusione continua), lidocaina (via endovenosa o intraperitoneale), buprenorfina ed altri.

TERAPIA Al pari di quanto avviene per molte patologie, la terapia dovrebbe essere finalizzata alla rimozione dell’eventuale causa sottostante. Per tale motivo risulta di fondamentale importanza l’indagare la presenza di potenziali fattori di rischio quali la presenza di ipertrigliceridemia, ipercalcemia, ingestione di rifiuti, tossici o alimenti fortemente ricchi di lipidi, anestesie recenti o somministrazione di farmaci. Nel caso in cui l’animale risulti in terapia con farmaci in grado di indurre pancreatite, quando possibile, tali farmaci andrebbero sospesi o quantomeno sostituiti. Purtroppo molto spesso non è possibile identificare la causa scatenante.

Antiemetici L’utilizzo di antiemetici è controverso. Il bloccare il vomito può mascherare lo stato di evoluzione della patologia, privando il clinico di un importante mezzo di monitoraggio terapeutico. Nel caso in cui il soggetto, nonostante la terapia fluida e il gastroprotettore, continui a vomitare è opportuno somministrare un antiemetico. Farmaci quali il maropitant (Cerenia®), un antagonista della neurkinina 1 (NK1) somministrato SC alla dose di 1 mg/kg SC q24h o il

Terapia di supporto Un’adeguata fluidoterapia rappresenta il punto cardine nella terapia della pancreatite acuta. La fluidoterapia deve essere individualizzata secondo le esigenze del singolo paziente e la quantità calcolata sulla base dello stato di disidratazione, aggiungendo la quota di mantenimento e le

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Dolasetron (0,3-0,6 mg/kg IV, SC q12-24h) risultano solitamente estremamente efficaci nel controllo del vomito nei pazienti con pancreatite acuta. Nonostante non esista un’evidenza scientifica, alcuni autori sconsigliano l’utilizzo della metoclopramine. La metoclopramide è infatti un antagonista dopaminergico ed essendo la il flusso ematico pancreatico regolato da recettori dopaminergici questo tipo di terapia potrebbe non risultare indicata.

indicazioni chirurgiche riguardano soltanto gli ascessi pancreatici o le pseudo cisti che non tendono a regredire.

TRATTAMENTO DELLE FORME LIEVI-CRONICHE Forme lievi di pancreatite sono solitamente associate ad assenza di necrosi e minimi effetti sistemici con completa guarigione. Molti animali, probabilmente guariscono spontaneamente dopo qualche giorno di abbattimento e disappetenza, senza alcun intervento terapeutico. Altri soggetti possono presentare vomito, disappetenza e fastidio all’addome. Queste forme tendono a cronicizzare. Sfortunatamente sono pochissime le informazioni terapeutiche riguardanti la terapia di tali forme. Come nelle pancreatiti acute è opportuno cercare di eliminare l’eventuale causa sottostante. Nei soggetti con ipertrigliceridemia è opportuno utilizzare diete a basso contenuto lipidico. Un problema comune nelle persone con pancreatite cronica è rappresentato dal dolore addominale. Un possibile approccio terapeutico può essere quello di somministrare con l’alimento degli estratti di enzimi pancreatici (es. Triplase®). Nonostante questi soggetti non abbiano un’insufficienza pancreatica la somministrazione di questi enzimi può determinare un effetto feedback riducendo le secrezioni pancreatiche e probabilmente riducendo il fastidio addominale.

Somministrazione di plasma Il plasma contiene numerose sostanze quali fattori della coagulazione, inibitori delle proteasi (es α1-PI, α2-macroglobulina) e albumina che possono essere benefici in un soggetto con pancreatite. Nonostante la somministrazione di plasma venga suggerita da molti autori né in medicina umana né in medicina veterinaria è stato provato che la terapia abbia un’influenza sull’outcome dei pazienti con pancreatite acuta. È tuttavia un’opzione che va sicuramente tenuta in considerazione nei pazienti con concomitante/secondaria coagulazione vasale disseminata.

Antibiotici Raramente i cani con pancreatite presentano complicazioni infettive e pertanto non vi è evidenza che la terapia antibiotica sia utile nel management di questa patologia. La terapia antibiotica può eventualmente risultare utile nelle forme più gravi al fine di evitare una traslocazione batterica dall’intestino.

Antinfiammatori

BIBLIOGRAFIA

Non vi è indicazione che vi siano dei benefici riguardanti l’utilizzo di corticosteroidi o antinfiammatori non steroidei (FANS) nella terapia della pancreatite. Molti FANS sono stati inoltre riconosciuti come possibile causa di pancreatite e vanno pertanto evitati.

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Inibitori delle proteasi Nonostante siano in corso studi sull’utilizzo degli inibitori delle proteasi quali ad esempio l’aprotinina, ad oggi non vi è evidenza che questi siano utili nel trattamento della pancreatite.

Antiossidanti Esiste un unico studio sperimentale che ha dimostrato l’utilità del selenio nella gestione della pancreatite. È pertanto probabile che gli antiossidanti possano risultare utili nella gestione della pancreatite, tuttavia è ancora presto per poter considerare standard questo tipo di terapia.

Address for correspondence: Federico Fracassi Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie, Università degli Studi di Bologna Via Tolara di Sopra 50, 40064 Ozzano dell’Emilia (BO) Tel. 051 2097590 Fax 0512097593 E-mail: federico.fracassi @unibo.it

Intervento chirurgico Numerosi protocolli chirurgici sono stati proposti nel management della pancreatite acuta e cronica quali il lavaggio peritoneale, la pancrectomia parziale e la necrosectomia. Non esistono studi sistematici che dimostrino l’efficacia di tali procedure nel cane e nel gatto. Attualmente le eventuali

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Una gara contro il tempo: l'anestesia del politraumatizzato Paolo Franci Med Vet, Padova

lesioni, non tralasciando, magari tramite l’aiuto di collaboratori, un’anamnesi essenziale del paziente dal proprietario o da osservatori che forniscano informazioni sulla dinamica del trauma (Orsi 1996). In linea generale per la valutazione perioperatoria dovrebbero essere adottati indagini collaterali, che permettano di avere un esito nel più breve tempo possibile, implicando il minor spostamento e stress al paziente. In questa ottica l’utilizzo dell’ecografia, quando appropriata, dovrebbe essere sempre preferita alla radiologia. Oltre alle tecniche FAST per l’assessment addominale, l’ecografia può essere vantaggiosamente usata anche per il torace, consentendo accertamenti rapidi di versamento pleurico e pericardico, se non la verifica della contrattilità e della volemia cardiaca. Tuttavia le Rx toraciche possono rappresentare un’indagine necessaria che comunque deve avvenire in condizioni accettabili per il soggetto traumatizzato. Troppi cani e gatti muoiono nelle nostre radiologie per decisioni affrettate, prese in scenari in cui molto si sarebbe potuto ancora fare per stabilizzare il soggetto, rimandando il riscontro radiografico, che, ricordiamolo, non è mai terapeutico. Altro aspetto da mettere in evidenza, è che in soggetti instabili la pressione arteriosa è uno dei parametri peri-operatori più importanti. Considerando che in queste situazione, la pressione arteriosa rilevata con metodo non invasivo non è affidabile per molti motivi, l’ottenimento della pressione arteriosa con metodo diretto, previo cateterismo arterioso sarebbe grandemente raccomandabile. Purtroppo in veterinaria l’arteria normalmente coinvolta nel cateterismo è l’arteria dorsale del piede, che in soggetti piccoli e/o ipotesi può risultare difficilmente sfruttabile. In tal caso potrebbe essere necessario incannulare l’arteria femorale, il cui cateterismo è possibile con polso debole anche per via mininvasiva. La diffusione dell’uso dell’ecografia, da parte dell’anestesista veterinario, potrebbe in futuro permettere il cateterismo arterioso anche di altre arterie. Il paziente con trauma cerebrale è tra i più difficili e frustranti d’affrontare. Benché la diffusione di TAC e risonanze magnetiche, permetta di avere delle armi in più nella terapia d’urgenza.

INTRODUZIONE Un evento traumatico determina il ferimento di moltissimi animali ogni anno, parte di questi possono essere salvati solo da un pronto intervento chirurgico. L’anestesia per un paziente coinvolto in un trauma, è forse la sfida più alta della nostra specialità. La popolazione coinvolta in traumi di vario genere, si divide normalmente in 3 sottogruppi, coloro che muoiono immediatamente dopo il trauma, coloro che muoiono o morirebbero a distanza di qualche ora e, in fine, quelli che muoiono o morirebbero a distanza di giorni o settimane (Orsi 1996). In molti casi, quindi, la tempestività è il requisito fondamentale affinché questi soggetti non periscano. Per definizione il politraumatizzato è un soggetto che ha subito un trauma simultaneo di più regioni del corpo, mentre una di questi o la loro combinazione, mettono la vita del soggetto a repentaglio immediato (Krettek et al., 1998). D’altra parte ogni paziente che ha subito un trauma dovrebbe essere considerato un politraumatizzato, fino a che non siano state raccolte sufficienti evidenze che lo escludano (Orsi 1996).

VALUTAZIONE PRE-OPERATORIA E PREPARAZIONE Valutazione In emergenza non dovremmo affidarci all’approccio medico classico, che prevede una fase dedicata alla diagnosi ed una alla terapia. La valutazione del soggetto e la terapia, non solo dovrebbero essere contemporanee, ma la risposta agli iniziali interventi terapeutici dovrebbe essere utilizzati anche come strumento diagnostico. Altro concetto fondamentale in medicina d’urgenza, è ”l’emergency cicle”. Cioè non solo, la valutazione del paziente è contemporanea alla terapia, ma deve essere anche ripetuta ciclicamente. Perché il soggetto instabile, può avere variazioni anche notevoli, dei propri parametri in tempi molto brevi (Orsi 1996). La valutazione del paziente coinvolto in un trauma inizia con il triage e prosegue con l’ABC (vie aeree, respirazione, circolazione). È necessario garantire che queste funzioni siano adeguate prima di procedere alla fase successiva, dove si stabilirà (con il chirurgo) la natura e la portata di tutte le

Fluido-terapia Soggetti coinvolti in traumi importanti, sono quasi costantemente ipovolemici. Un catetere di grossa dimensio-

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ne dovrebbe essere posizionato in una vena di grosso calibro. Se le vene risultassero difficilmente localizzabili, anche tramite cut down della cute, potremo procedere all’inserzione di un ago di grosso calibro a livello della tibia prossimale. Tuttavia il catetere ideale in questi pazienti è quello posizionato in vena giugulare, ben fissato alla cute e di ampio calibro che permetta, tra l’altro, di monitorare la pressione venosa centrale. Le linee guida europee (Spahn et al., 2007), per il trattamento dei pazienti umani con emorragie maggiori conseguenti a trauma, consigliano di mantenere la normotermia in questi soggetti, con evidenze 1C (strong recommendation, low-quality or very low-quality evidence). Qualche autore ricorda l’importanza di somministrare fluidi riscaldati, in animali spesso ipotermici. Le linee guida sopracitate, suggeriscono, con evidenze scientifiche 2C (weak recommendation, low-quality or very lowquality evidence), che i pazienti con grave emorragia interna, siano solo parzialmente rianimati. Il target pressorio sistolico in questi soggetti sarebbe 80-100mmHg. Con lo stesso livello di evidenza scientifica è suggerito l’uso iniziale dei cristalloidi rispetto ai colloidi, anche se la letteratura è contraddittoria in questo campo. In medicina umana molta enfasi viene data alla correzione nei disturbi della coagulazione, conseguente al trauma e alle sue sequele (Spahn et al., 2007). In veterinaria la trasfusione di piastrine, plasma fresco congelato o di altri derivati del sangue non è attualmente diffusa. Quindi nella maggior parte dei casi la trasfusione di sangue intero è l’unico intervento di facile accesso.

essere una buona opzione, sia perché ben conosciuto in veterinaria, sia perché in recenti pubblicazioni ha mostrato di causare limitata depressione cardiovascolare, almeno nel paziente stabile (Silva et al., 2011). Qualora la situazione sia estremamente grave, con perdita di sangue > del 25% del volume circolante e pressione sistolica inferiore a 90mmHg, in letteratura umana si suggerisce di somministrare un anestetico in dosi necessarie a causare incoscienza e poi intubare semplicemente con un bloccante neuro-muscolare (Dutton 1998).

Pazienti con prevalente instabilità respiratoria. La sopravvivenza di questi soggetti dipende dalla capacità di rendere le vie aeree pervie e la respirazione efficace. La necessità di riconoscere prontamente i segni d’ostruzione delle vie aeree richiede una costante attenzione. Qualora un immediato controllo delle vie aeree sia indispensabile, la soluzione di prima scelta è l’intubazione diretta previa laringoscopia. Se l’intubazione non è possibile, l’inserimento in trachea di un ago-cannula di diametro opportuno, connessa ad una sorgente di ossigeno a 2,5-3,5 bar permetterà l’ossigenazione e anche la ventilazione del paziente, il tempo necessario a eseguire una tracheotomia d’urgenza. I protocolli farmacologici possono essere i più vari, il fine comune è quello di ridurre al minimo il tempo tra somministrazione dell’anestetico e controllo delle vie aeree (Dutton 2011).

Pazienti con trauma cranico L’anestesia deve causare la minima riduzione dell’ossigenazione del sangue, della perfusione cerebrale ed in generale impedire variazioni improvvise dei parametri cardiovascolari dovuti per esempio all’intubazione e allo stimolo chirurgico.

INDUZIONE E MANTENIMENTO DELL’ANESTESIA Per comodità potremmo dividere i soggetti traumatizzati, che necessitano d’immediato intervento chirurgico, in tre categorie: i soggetti con prevalente instabilità cardiovascolare, coloro che presentano prevalente instabilità respiratoria e coloro che hanno un trauma cranico. È ovvio che per sua natura il politraumatizzato presenta spesso, stati patologici complessi che possono coinvolgere molti apparati. Quindi la semplificazione sopra enunciata deve essere adattata alle esigenze del singolo soggetto.

BIBLIOGRAFIA Dutton RP 1998. “Anesthesia for trauma“ in Miller’s Anesthesia (6th edition) pp 2451-2459. Kazama T, Ikeda K, Morita K, et al. (2001) Relation between initial blood distribution volume and propofol induction dose requirement. Anesthesiology 94, 205-210. Krettek C, Simon RG, Tscherne H 1998. Management priorities in patients with polytrauma. Langenbeck’s Arch Surg 383: 220–227. Orsi L, 1996 Il Politraumatizzato Elsevier Milano. Silva L, Ribeiro LM, Bressan N, et al., 2011. Dogs mean arterial pressure and heart rate responses during high propofol plasma concentrations estimated by a pharmacokinetic model. Res Vet Sci. Jan 27. Spahn DR, Cerny V, Coats TJ, et al., 2007. Management of bleeding following major trauma: a European guideline. Critical Care 11, R17.

Pazienti con prevalente instabilità cardiovascolare In soggetti traumatizzati con funzione cardiovascolare instabile, può essere vantaggioso che l’induzione dell’anestesia avvenga a effetto, tramite infusione lenta come descritto in letteratura (Kazama et al., 2001). Il propofol può

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Cateteri extradurali: indicazioni, complicazioni, controindicazioni e problemi Davide Gamba Med Vet, Bergamo

Il dolore è un’esperienza fisica e psichica spiacevole dovuta ad un danno reale o potenziale dei tessuti o descritta in termini di tale danno (International Assosatiion for the Study of Pain, 1979). Indipendentemente dal suo successo o dalla tecnica, ogni intervento chirurgico provoca un danno dei tessuti e il rilascio di potenti mediatori dell’infiammazione e del dolore. Le sostanze rilasciate dal tessuto leso inducono nel paziente risposte ormonali da stress che favoriscono il deperimento dei tessuti (catabolismo), la coagulazione del sangue, la ritenzione idrica, immunosoppressione e stimolano un ipertono simpatico (tachicardia, centralizzazione del circolo e aumento di consumo di ossigeno). È ormai risaputo che le tecniche di anestesia locoregionale in particolare quelle in continuo sono le maggiormente efficaci per il controllo della risposta allo stress chirurgico durante l’intervento e per il dolore postoperatorio. Per la realizzazione dell’anestesia generale l’anestesista introduce il farmaco nel torrente ematico direttamente oppure facendolo passare prima attraverso la via respiratoria. In un caso o nell’altro egli ha la certezza matematica che l’anestetico raggiungerà il SNC dove effettuerà la sua azione. Invece nell’anestesia loco-regionale la certezza di aver posto l’anestetico proprio sul nervo o intorno al midollo spinale non è matematica. Infatti, rispetto all’anestesia generale dove la manualità occupa solo una minima parte del bagaglio culturale e di esperienza professionale, nell’anestesia loco-regionale, invece, una manualità ben consolidata e la perizia tecnica occupano un ruolo senz’altro maggiore e preminente. Quindi risulta chiaro come una grande percentuale di insuccessi e di fallimenti di ogni tipo di tecnica di anestesia locoregionale dipenda dall’esperienza dell’anestesista. A volte questa percentuale può essere diminuita quando l’anestesista, anche se esperto, viene indotto, durante la visita, a rinunciare ad una tecnica dopo attenta valutazione del paziente. Sicuramente è più facile rinunciare ad una tecnica quando esiste un’alternativa che offre risultati paragonabili. Da qui l’importanza di conoscere bene più di una tecnica loco-regionale.

commercio separatamente o in forma di vassoio completo. Il materiale minimo necessario prevede: • siringa per l’individuazione dello spazio peridurale; • ago peridurale appropriato; • catetere peridurale adeguato all’ago; • filtro antibatterico/antiparticelle. Due tipi di siringhe rispondono perfettamente allo scopo. Da una parte le siringhe in vetro, tradizionalmente le prime ad essere usate e le più recenti siringhe di plastica specialmente destinate a questo scopo, molto affidabili. Il vetro ha il difetto che se lo stantuffo viene imbrattato dal talco dei guanti ne può ridurre lo scivolamento. Le migliori sono quelle studiate e prodotte appositamente per la tecnica della perdita di resistenza. Sono dette LOR (acronimo inglese di “loss of resistance”) ed hanno un coefficiente di attrito interno bassissimo. Gli aghi debbono soddisfare alcune caratteristiche obbligatorie. Debbono avere buona capacità di penetrazione per poter attraversare strutture dense, come i legamenti interspinosi ed i legamenti gialli, senza traumatizzarli eccessivamente. Gli aghi particolarmente taglienti ed acuminati non sono indicati in quanto non permetterebbero di percepire facilmente i piani attraversati e possono facilmente forare la dura. Gli aghi a bisello corto evitano meglio questa evenienza. Il mandrino è anch’esso indispensabile e deve calzare bene nel lume occludendo perfettamente la punta; la punta dell’ago non deve trasportare materiale estraneo, come cellule epidermiche, negli spazi perimidollari, con “effetto biopsia”. L’ago più usato è quello di Tuohy, a bisello curvo, in quanto permette il facile inserimento di un catetere nello spazio peridurale. Poiché il foro del bisello si trova in un piano perpendicolare all’asse del rachide, l’ago deve essere introdotto più in profondità nello spazio peridurale con minor margine di sicurezza rispetto all’ago di Crawford. Questi aghi sono graduati in centimetri, per permettere la misurazione della profondità raggiunta. Il calibro dell’ago è essenziale. Il diametro interno deve essere sufficiente da permettere la libera progressione del catetere peridurale. Lo spessore della parete e la qualità dell’acciaio devono essere sufficienti ad assicurare un’adeguata rigidezza all‘ago. Ovviamente il rapporto tra diametro esterno e quello interno deve essere tale da sposare anche le esigenze del minimo traumatismo dei tessuti attraversati.

MATERIALE Il materiale necessario per la realizzazione un blocco peridurale prevede l’uso di diverse componenti, sterili, messi in

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I cateterini devono essere trasparenti per il vantaggio di una pronta identificazione di una puntura vascolare o subaracnoidea accidentale, in quanto il sangue o il liquor defluendo nel cateterino, possono essere identificati. Deve essere sufficientemente resistente ad evitare piegamenti o rotture all’interno dello spazio peridurale, senza essere traumatizzante per i vasi e per la dura madre. La sua estremità deve essere smussa, arrotondata e chiusa per facilitare l’avanzamento. Deve presentare delle centimetrature anulari colorate e radiopache per poterne valutare la profondità e controllare la posizione sia durante l’applicazione che dopo. Il calibro interno è inversamente proporzionale allo spessore della parete: più è sottile e maggiore esso sarà. Il posizionamento del catetere si effettua per via mediana (L7-S1), e per via paramediana. La scelta della via di approccio non modifica la tecnica. Passato il legamento giallo, il foro dell’ago viene orientato in un piano trasversale, abitualmente in direzione cefalica, in modo da permettere, almeno per i primi millimetri, la progressione del catetere lungo l’asse maggiore del rachide. La profondità di inserzione è evidenziata dalle marcature sul catetere, distanziate di 1 cm. Il catetere è quindi fatto avanzare di 2-3 cm ancora e nessuna ulteriore resistenza deve essere percepita. Una volta oltrepassato il foro dell’ago, non si deve ritirare mai il catetere in quanto esiste il rischio di recidere il catetere. Se occorre ritirarlo, per qualunque ragione, è l’insieme ago-catetere che deve essere ritratto in blocco. Se si desidera raggiungere un livello spinale lontano dal sito della puntura è inutile e controindicato sospingere il catetere ulteriormente: bisogna cambiare sito della puntura. L’ago peridurale viene poi ritirato delicatamente dalla mano dominante dell’anestesista, mentre l’altra mano tiene fermo in situ il catetere per evitarne ogni dislocazione. Il raccordo-connettore viene allora collegato all’estremità distale del catetere ed un ulteriore test di aspirazione viene effettuato. Un filtro antibatterico deve essere applicato sul connettore.

Le complicanze regionali sono la conseguenza diretta dell’interruzione della conduzione nervosa e sono tipiche dei blocchi midollari. La più frequente è l’ipotensione che può conseguire in genere ad un blocco del simpatico indotto dagli anestetici locali, ma può ugualmente essere il risultato di una depressione bulbare dovuta a sedativi ed anestetici locali o generali. Un’altra complicanza regionale è la paralisi respiratoria che può esser causata da volumi eccessivi di anestetico locale, specie nell’approccio epidurale toracico o ad una iniezione subaracnoidea accidentale (spinale totale) in corso di anestesie epidurali, ma anche di blocchi dei plessi prossimali, in particolare blocchi diretti del plesso lombare e i blocchi dei plesso brachiale. Un ritardo minzionale o una franca ritenzione urinaria, si può osservare dopo anestesia epidurale. Anche gli oppioidi dati per via intratecale o epidurale, provocano frequentemente ritenzioni urinarie, anche a basse dosi. Un altro degli errori umani più frequenti è l’iniezione intravasale accidentale di anestetico locale. È un’incidente che in alta percentuale capita se non si osserva la norma di sicurezza di aspirare, durante il blocco, per controllare che la punta dell’ago non sia capitato nel lume di un vaso. Ma è un’evenienza che può capitare anche in mani esperte: un frustolo tessutale o un coagulo possono operare un meccanismo a valvola e mascherare l’iniezione intravasale. Forti concentrazioni plasmatiche di anestetici locali provocano principalmente manifestazioni nervose centrali e complicanze cardiovascolari.

BIBLIOGRAFIA

COMPLICANZE

Naganobu K, Maeda N, Miyamoto T, Hagio M, Nakamura T, Takasaki M. (2004), Cardiorespiratory effects of epidural administration of morphine and fentanyl in dogs anesthetized with sevoflurane. J Am Vet Med Assoc, 224(1):67-70. Novello L, Corletto F. (2006), Combined spinal-epidural anesthesia in a dog. Vet Surg, 35(2):191-7. Gomez de Segura IA, Menafro A, García-Fernández P, Murillo S, Parodi EM. (2009), Analgesic and motor-blocking action of epidurally administered levobupivacaine or bupivacaine in the conscious dog. Vet Anaesth Analg, 36(5):485-94. Epub 2009 Jun 5.

Molte sono le complicanze locali che possono riguardare una anestesia loco-regionale. La causa di tali complicanze è da ricercarsi spesso nell’errore umano o nell’utilizzo di materiale non appropriato, insufficiente asepsi, scambio di soluzioni, mancato rispetto delle regole di sicurezza.

Indirizzo per la corrispondenza: Davide Gamba Tel. 349/8310474 E-mail: davidegamba@mac.com

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Blocchi periferici nella chirurgia ortopedica nell’arto posteriore Davide Gamba Med Vet, Bergamo

In questi ultimi cinque anni si è registrato un enorme sviluppo delle tecniche di anestesia loco-regionale, soprattutto nell’ambito della chirurgia ortopedica, con crescente interesse per i blocchi nervosi periferici. Una cospicua mole di evidenze scientifiche, infatti, ha dimostrato che i blocchi periferici sono in grado di garantire la stessa efficacia analgesica dei blocchi centrali, durante e dopo l’intervento chirurgico, ma con un controllo del dolore più specifico e selettivo e, soprattutto, con minori sequele indesiderate o complicanze. Basti pensare, in proposito, alla possibilità di utilizzare le tecniche di infusione perineurale continua per prolungare l’azione analgesica dei blocchi periferici nel periodo postoperatorio, senza quegli effetti collaterali che la somministrazione di farmaci analgesici o i blocchi centrali continui inevitabilmente comportano. Pertanto, l’elevato livello di sicurezza e la migliore analgesia garantiti da tali tecniche ne spiegano il crescente utilizzo. Questa relazione vuole chiarire quali sono le tecniche per ottenere un blocco dei nervi efficace per la chirurgia dell’arto pelvico evidenziando diversi approcci secondo il distretto anatomico interessato. La base fondamentale di partenza per iniziare con l’anestesia locoregionale è l’anatomia ed a maggior ragione i blocchi periferici necessitano di una conoscenza della stratigrafia delle strutture che l’ago del neurostimolatore attraverserà durante la ricerca del nervo da bloccare. La trattazione si concentrerà sull’elettrostimolazione, ma alcuni cenni all’utilizzo dell’ecografia non mancheranno. L’elettrostimolazione si basa sulla ricerca della componente motoria (Aα) di nervi con componente sensitiva (Aδ-C) e l’intensità di corrente (mA) è direttamente proporzionale alla distanza dal nervo. Non bisogna mai accontentarsi di una stimolazione non adeguata (mA sopra 0,3 o twitches non corretti) si deve iniettare tra 0,2-0,3 mA previo test di aspirazione ed avendo avuto l’accortezza di abbassare i mA fino a perdere lo stimolo evitando così un’accidentale iniezione intravascolare nel primo caso ed intraneurale nel secondo. Il nervo femorale io lo approccio posteriormente con il cane in decubito laterale prendo come repere l’ala dell’ileo e l’articolazione sacroiliaca. Passo lateralmente al corpo vertebrale di L7 cranialmente all’articolazione fino ad ottenere la classica contrazione del quadricipite.

Lo sciatico in maniera analoga viene approcciato sempre posteriormente con il cane in decubito laterale; si unisce con una linea ideale l’ala dell’ileo con la parte mediale della tuberosità ischiatica si incrocia poi la linea proveniente dal grande trocantere lungo l’asse del femore. La prima linea viene così divisa in due segmenti pressapoco uno il doppio dell’altro, il maggiore (segmento più craniale) viene diviso a metà e in quel punto medialmente all’ala dell’ileo si trova il nervo ancora con le componenti tibiale e peroneale accoppiate. Otterremo una estensione o flessione del tarso. Per quanto riguarda l’otturatorio la tecnica è analoga al femorale, va solamente cercato più medialmente ottenendo l’adduzione della coscia. I vantaggi di questa tecnica sono enormi: l’analgesia che otteniamo è paragonabile ai blocchi neuroassiali, analogamente la durata e l’intensità del blocco sono dettate dalla scelta dell’anestetico locale e dalla sua concentrazione che ci permette tra le altre cose di ottenere un’ottima miorisoluzione, particolare che rende molto gradita la tecnica all’ortopedico. Il blocco selettivo di un solo arto, il pronto recupero della deambulazione ed una curva di apprendimento relativamente veloce completano il quadro. A differenza dei blocchi centrali i blocchi periferici non hanno impatto emodinamico rendendoli così indipendenti dalla premedicazione; ad un cane premedicato con acepromazina non si potrà effettuare un’epidurale, ma un blocco sciatico-femorale si. Conoscere quindi più tecniche risulta fondamentale per poter aderire al meglio alle necessità del caso clinico che comprendono le volontà del chirurgo, il benessere dell’animale e la soddisfazione del proprietario che si vede riconsegnare il proprio cane perfettamente deambulante e con appetito. Come ogni tecnica non è scevra da complicazioni: danni neurologici diretti da trauma, iniezione vascolare accidentale, ematomi, tossicità da anestetico locale (cardio e neurotossicità) ed ultimo ma non meno importante lo spread epidurale. I blocchi periferici rispetto ad una anestesia generale classica danno una miglior analgesia nell’immediato post operatorio inoltre diminuiscono l’incidenza di nausea e vomito a fronte del tempo necessario per eseguirli, tempo che in mani esperte diventa trascurabile.

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Se paragoniamo i blocchi periferici a quelli neuroassiali i vantaggi sono quelli di non avere blocco motorio bilaterale, non abbiamo il rischio di ematomi o ascessi epidurali, evitiamo il rischio di ipotensione perioperatoria con qualità di analgesia paragonabile. Di contro abbiamo che con i blocchi periferici siamo costretti a punture multiple che aumentano il rischio di effetti collaterali e che le tecniche in continuo con catetere sono ancora da sviluppare in medicina veterinaria. L’Anestesia Locoregionale è un arte e, come tale, ha tra i suoi cultori chi è dotato di naturale talento e chi di volenterosa operatività. Ambedue necessitano di indispensabili conoscenze teoriche che supportino una felice manualità È dovere dell’anestesista diminuire il più possibile la risposta allo stimolo chirurgico e il dolore postoperatorio finché sia necessario. La tecnica è sicura se eseguita seguendo semplici accorgimenti, economica, adattabile a tutte le chirurgie dell’arto pelvico e di facile esecuzione. È bagaglio importante per migliorare la qualità dell’anestesia e del controllo del dolore postoperatorio. L’avvento delle tecniche in continuo sono il futuro.

BIBLIOGRAFIA Rasmussen LM, Lipowitz AJ, Graham LF. (2006), Controlled, clinical trial assessing saphenous, tibial and common peroneal nerve blocks for the control of perioperative pain following femoro-tibial joint surgery in the nonchondrodystrophoid dog. Vet Anaesth Analg, 33(1):49-61. Mahler SP, Adogwa AO.(2008), Anatomical and experimental studies of brachial plexus, sciatic, and femoral nerve-location using peripheral nerve stimulation in the dog. Vet Anaesth Analg, 35(1):80-9. Epub 2007 Aug 13. Campoy L, Martin-Flores M, Looney AL, Erb HN, Ludders JW, Stewart JE, Gleed RD, Asakawa M. (2008), Distribution of a lidocaine-methylene blue solution staining in brachial plexus, lumbar plexus and sciatic nerve blocks in the dog. Vet Anaesth Analg, 35(4):348-54. Epub 2008 Mar 19. Echeverry DF, Gil F, Laredo F, Ayala MD, Belda E, Soler M, Agut A. (2010), Ultrasound-guided block of the sciatic and femoral nerves in dogs: a descriptive study. Vet J, 186(2):210-5. Epub 2009 Sep 15.

Indirizzo per la corrispondenza: Davide Gamba Tel. 349/8310474 E-mail: davidegamba@mac.com

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Dolore e malattie del Sistema Nervoso: aspetti clinici e diagnostici Gualtiero Gandini DVM, Dr Ric, DECVN

che quali la febbre, anche molto alta, con conseguente disoressia, ma soprattutto dalle modificazioni imposte dal dolore. L’algia si manifesta in modo violento e diffuso, anche se a volte raggiunge una criticità espressiva a livello della regione cervicale: di qui l’atteggiamento di marcato emprostotono e falsa cifosi toracolombare. Il cane si presenta abbattuto ed estremamente riluttante al movimento. Quando costretto, si muove con estrema cautela, con passi corti e rigidi; la deambulazione è spesso accompagnata da tremori generalizzati o da veri e propri guaiti. Qualsiasi manipolazione da parte del veterinario è resa estremamente difficoltosa dalle reazioni di anticipazione e difesa, a volte anche molto intense. Il collo è mantenuto abbassato e rigido, il tono muscolare è aumentato e la palpazione o manipolazione della parte produce spesso evidenti reazioni di dolore. Nel cane le meningiti batteriche sono relativamente poco rappresentate, e sono la conseguenza di una diffusione embolico-metastatica sovente da altri focolai di infezione (ad esempio infezioni urinarie, prostatiche, dell’endocardio) o dall’estensione diretta da regioni adiacenti (seni; orecchie) o per ferite penetranti. Molto più frequente nella pratica clinica, è il riscontro della Meningite- arterite rispondente agli steroidi (Steroid responsive meningitis-arteritis; SRMA). Questa malattia è tuttora ad eziologia sconosciuta ma riconosce una patogenesi quasi certamente legata a fenomeni di iperreattività immunomediate. La SRMA è una malattia ad esordio tipicamente acuto/iperacuto che colpisce soprattutto i cani giovani (8-18 mesi di età), con predilezione per alcune razze (Boxer, Bovaro del Bernese, Beagle). La conferma del sospetto diagnostico, effettuato sulla rilevazione dei segni clinici precedentemente descritti, si basa sui risultati dell’esame del liquido cerebrospinale, caratterizzati da una marcatissima pleocitosi pressoché esclusivamente polimorfonucleata nelle fasi acute. Altra caratteristica della malattia è la pronta risposta alla terapia immunosoppressiva con corticosteroidi. La terapia deve essere mantenuta per diversi mesi, riducendo progressivamente le dosi del farmaco mentre il soggetto viene attentamente monitorizzato per valutare la comparsa di eventuali recidive. La SRMA riconosce infatti, soprattutto se trascurata dal punto di vista terapeutico (terapie con dosaggi non immunosoppressivi o mantenuti per brevi periodi), una spiccata tendenza alla recidiva. In letteratura

DOLORE E VISITA NEUROLOGICA Il cane o il gatto portati alla visita perché affetti da una sindrome algica diffusa (o da un dolore a difficile localizzazione), rappresentano sovente una sfida di non facile risoluzione per il veterinario. Il dolore è una condizione di grave disagio e sofferenza che produce una serie di rilevanti modificazioni fisiche e comportamentali. Per questo motivo, può essere estremamente difficile esaminare adeguatamente un animale in preda a sintomi algici perché il dolore, presente o evocato, produrrà reazioni di difesa e anticipazione che rendono pressoché impossibile una adeguata valutazione sintomatologica. Il dolore spesso sovrasta e cancella altri segni di utilità diagnostica. Di qui la difficoltà ad emettere una adeguata diagnosi clinica e impostare il successivo protocollo diagnostico e terapeutico. Situazioni di difficoltà interpretativa si manifestano non solo in presenza di dolore diffuso, ma anche in tutte quelle condizioni in cui il dolore è talmente marcato da essere di difficile localizzazione. Svariate patologie responsabili di sindromi algiche sono riferibili a branche della medicina veterinaria molto diverse tra loro per cui, in un corretto protocollo diagnostico, si impone la necessità di considerare ipotesi diagnostico-differenziali che debordano la conoscenza specialistica di un singolo settore.

IL DOLORE DIFFUSO – MENINGITI E MENINGOENCEFALOMIELITI Dal punto di vista del neurologo, le malattie che più frequentemente si manifestano con marcato dolore diffuso sono le meningiti. Le infiammazioni meningee “pure” sono riconosciute pressoché esclusivamente nel cane. Proprio perché il corredo sintomatologico si “limita” spesso alla manifestazione di una drammatica algia, non è sempre facile riconoscere i segni di un’affezione meningea. Più facile orientare la scelta quando, oltre ai sintomi dolorifici, sono presenti anche segni neurologici di diversa gravità, come nel caso delle meningomieliti, delle meningoencefalomieliti, delle estrusioni discali. I segni dell’infiammazione meningea, tipicamente ad esordio acuto, sono rappresentati da manifestazioni sistemi-

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sono descritti casi protratti, definiti forme croniche, in cui possono essere apprezzati anche segni neurologici. La prognosi è comunque generalmente favorevole. Altre patologie che devono essere poste in diagnosi differenziale con le meningiti sono le meningomieliti, gruppo di malattie caratterizzate dal contemporaneo interessamento delle meningi e del midollo spinale. La forma più conosciuta e più frequente è la Meningoencefalomielite granulomatosa (Granulomatous meningoencephalomyelitis; GME), anch’essa ritenuta la risultante di una risposta infiammatoria aberrante immunomediata. Al presente, dal momento che la diagnosi di GME è solo neuropatologica, si preferisce definire da un punto di vista clinico questo gruppo di malattie infiammatorie non sostenute da agenti infettivi “meningoencefalomieliti ad eziologia sconosciuta” (Meningoencephalomyelitis of unknown etiology; MUE) Forme sporadiche di meningoencefalomieliti sono rappresentate dalle forme micotiche (sostenute soprattutto da Criptococcus spp) e protozoarie (Toxoplasma e Neospora spp.). Infine, in diagnosi differenziale non devono essere trascurate quelle forme ad interessamento più localizzato, come ad esempio le discospondiliti o le paratopie del disco intervertebrale che, rendendosi alle volte responsabili di una drammatica sintomatologia algica, rendono molto difficile riconoscere la caratteristica focale della patologia.

brale, le neoplasie del corpo vertebrale, delle radici nervose e del midollo spinale. Importanti malattie da porre in diagnosi differenziale sono anche i traumi della colonna vertebrale e le meningomieliti, che speso si accompagnano a vivace dolore. Il protocollo di indagine, se si eccettuano le forme infiammatorie meningomielitiche per le quali si rende necessario l’esame del liquor, chiama principalmente in causa la diagnostica per immagini Le discospondiliti sono infezioni del disco vertebrale e delle limitanti dei corpi vertebrali (“endplates”). L’infezione, raramente primaria, è spesso la conseguenza della diffusione ematogena di batteri provenienti da altre sedi, quali la vescica, la bocca e le valvole cardiache. La discospondilite di norma si presenta come lesione singola, ma non è infrequente trovare lesioni multiple che colpiscono più dischi intervertebrali. Questa è la condizione con cui si presentano le rare discospondiliti micotiche. Oltre alla tipica sintomatologia algica, molto variabile per entità e dipendente nelle sue manifestazioni anche dalla sede della lesione, in una ridotta percentuale di casi è presente febbre, dimagrimento e anoressia. La radiografia del rachide, se non effettuata troppo precocemente, tipicamente mette in evidenza alterazioni delle limitanti dei corpi vertebrali, consistenti in lesioni vieppiù radiotrasparenti a margini irregolari circondate da una osteosclerosi reattiva periferica. Queste lesioni testimoniano il processo di lisi ossea e di distruzione del disco intervertebrale. Possono essere presenti concomitanti processi spondilosici. Il cane, specie se di razza condrodistrofica, è spesso oggetto di processi degenerativi del disco intervertebrale che esitano in estrusioni con conseguente interessamento compressivo delle strutture adiacenti. La sintomatologia che ne deriva è estremamente variabile per gravità, e va dalla sola iperestesia del tratto del rachide colpito fino alla paraplegia per gravi lesioni del midollo spinale. Le forme caratterizzate dalla sola iperestesia sono spesso le più difficili da diagnosticare e trattare con successo. Ancor oggi, troppo spesso i sintomi di una incipiente estrusione discale (tipicamente: falsa cifosi e addome retratto) sono scambiati per i segni di un problema gastroenterico e non adeguatamente trattato. La conseguenza è sovente un peggioramento drammatico delle condizioni cliniche per successiva compressione del midollo spinale. La diagnosi di iperestesia toracolombare da paratopia del disco intervertebrale rimane sovente una diagnosi clinica. La radiografia senza mezzo di contrasto non permette la conferma diagnostica e, agli occhi di molti proprietari, le condizioni cliniche non giustificano l’impiego di costose tecniche di diagnostica per immagini avanzata. Il trattamento di queste forme clinicamente lievi di estrusioni discali è la marcata limitazione del movimento dell’animale, eventualmente associata a terapia analgesica e antinfiammatoria. È assolutamente da scoraggiare l’impostazione di una terapia volta a ridurre la sintomatologia algica se non accompagnata da una importante riduzione della capacità di movimento del paziente. Le neoplasie che interessano il distretto toracolombare della colonna vertebrale, si differenziano dalle forme precedenti per una maggior sporadicità e per presentare esordi insidiosi e decorsi tendenzialmente progressivi. Le neoplasie

CIFOSI E ADDOME RETRATTO: L’APPROCCIO DEL NEUROLOGO La falsa cifosi e la retrazione dell’addome sono espressioni antalgiche di risposta ad uno stimolo dolorifico di diversa provenienza. Anche in questo caso, la medesima manifestazione sintomatologica può sottendere malattie che interessano apparati molto diversi, quali ad esempio l’apparato nervoso e l’apparato digerente. L’approccio clinico del neurologo all’animale che viene presentato per la summenzionata sintomatologia (ancora una volta molto più frequente nella specie canina), deve essere mirato a identificare la sede del dolore e a scoprire l’eventuale presenza di deficit neurologici, anche modesti. A questo fine, deve essere posta grande attenzione nella valutazione dell’andatura e della risposte propriocettive e posturali. Queste valutazioni non devono essere disgiunte da una attenta palpazione della regione del rachide lombare e toracico. Questa deve essere operata in modo attento, ordinato e sequenziale. È fondamentale mantenere il soggetto in posizione rilassata e non particolarmente costretta, appoggiando una mano sulla parte ventrale della parete addominale e effettuando con l’altra una delicata palpazione delle strutture adiacenti alla sommità dei processi spinosi, procedendo di norma in senso caudo-craniale. La palpazione deve essere effettuata dapprima applicando pressioni estremamente delicate: la mano sull’addome è volta a percepire repentine contratture addominali qualora la mano esplorante passi su un punto dolente. Diverse patologie di interesse neurologico possono produrre dolore toracolombare: tra le più frequenti è opportuno citare le discospondiliti, le paratopie del disco interverte-

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del corpo vertebrale sono diagnosticate sulla base dei reperti radiografici o di diagnostica per immagini avanzata (tomografia computerizzata [TC] o risonanza magnetica nucleare [RMN]) associati possibilmente ad una biopsia della parte. Nella specie felina le neoplasie, ed in particolare il linfoma e i tumori vertebrali, sono percentualmente più rappresentate rispetto al cane come causa di patologia spinale. Va infine sottolineato che anche le forme infiammatorie, quali ad esempio la GME, possono rendersi responsabili di severo dolore toracolombare. Per questi ultimi casi la diagnosi si ottiene accoppiando i risultati della diagnostica per immagini (in particolare della RMN, in grado di rilevare alterazioni compatibili con lesioni infiammatorie del tessuto nervoso) con quelli dell’esame del liquido cerebrospinale.

conseguente perdita di integrità della barriera ematoencefalica. Alterazioni del liquido cerebrospinale si ritrovano anche nelle forme di meningomielite. Il sospetto di GME è avvalorato dal reperto di una pleocitosi mista, da moderata a marcata, con prevalenza di elementi mononucleati. Non è scopo di questo breve sunto descrivere nel dettaglio le caratteristiche delle diverse patologie documentate con le differenti tecniche di diagnostica per immagini. Si ritiene invece opportuno riepilogare sinteticamente i limiti e le potenzialità diagnostiche insite in ciascuna tecnica. La radiografia convenzionale offre buone possibilità diagnostiche nei confronti delle discospondiliti e delle neoplasie vertebrali. Tipicamente, le discospondiliti producono le lesioni precedentemente descritte a livello dello spazio intervertebrale e delle adiacenti limitanti (endplates) dei corpi vertebrali. Le neoplasie dei corpi vertebrali non sempre presentano alterazioni radiograficamente apprezzabili. Queste sono evidenti soprattutto per le neoplasie primarie del tessuto osseo, quali gli osteosarcomi, e consistono in alterazioni della densità ossea, con aree radiotrasparenti alternate a regioni più radiopache per la reazione ossea circostante, e soprattutto in una perdita della definizione della corticale ossea, della demarcazione tra osso compatto e osso spugnoso ed eventuale invasione dei tessuti circostanti. La conferma del sospetto diagnostico di neoplasie del midollo spinale, delle meningi e delle radici dei nervi periferici, necessita invece sempre di tecniche di diagnostica per immagini avanzata. Un analogo ragionamento deve essere considerato per la diagnosi delle estrusioni e delle protrusioni del disco intervertebrale. La radiografia convenzionale dimostra solo segni indiretti di paratopia discale, purtroppo non utili ai fini della decompressione chirurgica della parte lesa. La sola radiografia convenzionale non è quindi in grado di confermare un sospetto diagnostico di paratopia discale. La mielografia per decenni ha rappresentato la tecnica ottimale per la documentazione di lesioni compressive del midollo spinale e ancor oggi è una tecnica largamente diffusa nel mondo veterinario. La mielografia consiste nella iniezione di un mezzo di contrasto iodato a livello di spazio subaracnoideo che produce una opacizzazione dello stesso e la visione, per contrasto, del midollo spinale. Tramite la mielografia è possibile documentare adeguatamente la presenza di compressioni extradurali, intradurali-extramidollari o intramidollari. Una paratopia discale è dimostrata dalla dislocazione dorsale dei binari del mezzo di contrasto e dal loro assottigliamento (fino alla totale scomparsa), a livello delle adiacenze dello spazio intervertebrale. Le neoplasie che interessano il canale vertebrale possono produrre lesioni con modalità compressive che comprendono i tre modelli precedentemente citati. È ormai generalmente accettato che Tomografia Computerizzata (TC) e Risonanza Magnetica Nucleare (RMN) possiedano una sensibilità maggiore della mielografia nel dimostrare la presenza di lesioni a carico delle strutture poste all’interno del canale vertebrale. In particolare, la TC possiede una risoluzione ottimale per la visualizzazione dei tessuti duri, mentre la RMN è in grado di visualizzare al meglio le strutture dei tessuti molli, in particolare del tessuto nervoso. Un altro elemento che deve essere sottolineato è che la TC è in grado di produrre immagini per sezioni tagliate su

MENINGITE, MENINGOENCEFALITE, DISCOPATIE: COME ARRIVARE ALLA DIAGNOSI La diagnostica collaterale e per immagini riveste un ruolo fondamentale nel protocollo di lavoro impostato per individuare la causa responsabile della sindrome algica. Per il neurologo, la lista delle possibili diagnosi differenziali cliniche a giustificazione della sintomatologia dolorifica è relativamente nutrita. Fondamentalmente, sono chiamati in causa processi infiammatorio/infettivi della colonna vertebrale, delle meningi e del midollo spinale, nonché lesioni compressive sulle meningi e sulle strutture adiacenti operate da processi degenerativi, traumatici o neoplastici. Nel protocollo di lavoro rivestono quindi una importanza fondamentale la diagnostica per immagini, volta ad individuare tutte le alterazioni morfologiche a carico delle strutture vertebrali e di quelle contenute all’interno del canale vertebrale, e l’esame del liquido cerebrospinale (LCS), elemento insostituibile per la conferma di lesioni infiammatorie altrimenti non evidenziabili con altre modalità diagnostiche. Di norma, gli esami del sangue (esame emocromocitometrico e profilo biochimico) non mostrano significative alterazioni, eccetto che per la presenza di leucocitosi anche marcata per le forme infiammatorie meningee e per le discospondiliti. L’acquisizione dei dati relativi ai parametri ematici si rivela però indispensabile ai fini di una corretta procedura anestesiologica, richiesta per il prelievo del liquido cerebrospinale, la mielografia o la diagnostica per immagini avanzata. Se il sospetto diagnostico indirizza fortemente verso una forma di infiammazione meningea, può essere opportuno anteporre ad altre indagini il prelievo e l’esame del liquido cerebrospinale. Questo viene di norma prelevato in anestesia generale dalla cisterna magna e, se alterato, può mostrare una imponente pleocitosi polimorfonucleata (anche 5000 cellule/μl; valore normale 0-5 cellule/μl) e un sensibile aumento del contenuto proteico. L’esame del liquido cerebrospinale non permette di differenziare adeguatamente la presenza di una SRMA o di una meningite batterica. L’esame colturale, per essere attendibile, richiede quantitativi di LCS che di norma non si riescono a prelevare. Queste modificazioni rispecchiano l’infiammazione delle meningi e la

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un solo piano dello spazio (di norma la sezione trasversa), mentre la rielaborazione dei dati per ottenere immagini sui piani sagittale e dorsale comporta una notevole perdita di qualità e di dettaglio. Al contrario, la RMN è in grado di elaborare immagini delle strutture indagate in sezioni trasverse, dorsali e sagittali. In particolare, alcune immagini ottenute con particolari sequenze (ad esempio sequenze T2-pesate) sono in grado di produrre una visualizzazione secondo un asse sagittale della colonna e del canale vertebrale con effetti simili (e a volte superiori) a quelli di una mielografia, evitando i rischi connessi all’iniezione del mezzo di contrasto a livello di spazio subaracnoideo. Non va infine dimenticato il grandissimo vantaggio della RMN di poter rappresentare con sufficiente dettaglio anche le strutture intramidollari. La RMN si rivela pertanto utile anche nella visualizzazione di lesioni infiammatorie e vascolari intraparenchimatose. La RMN si rivelerà quindi estremamente utile per confermare i sospetti diagnostici di paratopia discale, di GME e di neoplasie del midollo spinale, delle radici nervose e delle meningi. Di converso la TC mostra le sue migliori potenzialità nella conferma diagnostica delle lesioni ossee, siano esse di natura infiammatorio/infettiva, degenerativa o neoplastica. È opinione di chi scrive che la diagnosi delle paratopie discali effettuata tramite TC debba avvenire dopo iniezione del mezzo di contrasto iodato (mielo-TC) a livello di spazio subaracnoideo, al pari di quanto avviene in mielografia. Diversamente da quanto avviene con la RMN, lo spazio subaracnoideo non viene adeguatamente visualizzato con la TC senza l’ausilio del mezzo di contrasto: ne consegue che solo la mielo-TC offre la possibilità di apprezzare adeguatamente il livello di compressione sul midollo spinale operato da una paratopia discale. Al presente, il fattore limitante l’impiego di tecniche di diagnostica per immagini avanzata è rappresentato più dalla disponibilità sul territorio di centri diagnostici che dispongano di tali strumenti piuttosto che non da motivazioni legate al costo dell’indagine.

peso del corpo. Subito dopo, nella sequenza del movimento, l’arto controlaterale si fa invece carico del sostegno del peso e l’animale quasi ci affonda sopra. Nei casi più gravi, l’arto è tenuto addirittura sollevato dal suolo e non è in grado quasi di poggiare al suolo. Il deficit neurologico si esprime invece con una limitazione del movimento volontario di grado variabile. Se è relativamente facile riconoscere una monoplegia, caratterizzata dalla totale assenza di movimento volontario e dall’atteggiamento di dorsoflessione della mano, più difficile è cogliere la differenza tra una monoparesi di entità moderata e una zoppia. L’arto paretico non tende a sottrarre l’appoggio e il carico del peso: viceversa, specie se è colpito il nervo radiale, tende a cedere sotto il peso del corpo e a mantenere una postura con la mano dorsoflessa. Il passo è caratteristicamente ipometrico e può mostrare accenni di deficit propriocettivi, conclamantisi nella dorsoflessione spontanea del dorso della mano. L’arto colpito da monoparesi può presentarsi con masse muscolari ridotte di volume e ipotoniche, per effetto di una atrofia neurogena. Tipicamente, la monoparesi/plegia dell’arto anteriore è l’effetto di una avulsione traumatica del plesso brachiale. Vi sono però alcune importanti eccezioni che chiamano in causa patologie neurologiche, in cui la disfunzione legata alla malattia si manifesta con dolore e zoppia anziché con i tradizionali deficit neurologici, quali paresi e deficit propriocettivi. Le malattie che si rendono responsabili di questa sintomatologia che mima una patologia ortopedica sono fondamentalmente rappresentate dalle estrusioni discali lateralizzate e dai tumori delle radici nervose del plesso brachiale. Le estrusioni discali lateralizzate si possono rendere responsabili di una sintomatologia algica anche drammatica, ad insorgenza tipicamente acuta, caratterizzata da zoppia dell’arto colpito e rigidità cervicale. Questo complesso sintomatologico viene definito “root sign”, cioè segno della radice, in quanto dovuto alla compressione della radice nervosa che fuoriesce dal forame dello spazio intervertebrale colpito. La stenosi del forame produce la sofferenza della radice, che si manifesta con la già citata iperalgesia e con possibili deficit motori (paresi) e propriocettivi. Molto spesso non sono presenti altri deficit neurologici che possano aiutare il veterinario a orientare la diagnosi differenziale clinica e il successivo protocollo diagnostico. Il mezzo di elezione per la diagnosi delle estrusioni discali lateralizzate è rappresentato dalla RMN. Con questa tecnica di indagine è possibile dimostrare la degenerazione del disco intervertebrale, la sua paratopia e la compressione del foro intervertebrale, caratterizzata da una scomparsa del tessuto adiposo periradicolare. Ernie discali lateralizzate possono essere documentate anche con la mielografia e la TC. Opportune procedure chirurgiche di decompressione possono risolvere completamente la sintomatologia. Le neoplasie delle radici nervose sono tumori che originano dalle cellule delle guaine di rivestimento degli assoni. In passato definiti in base alle caratteristiche istologiche come neurofibromi, neurofibrosarcomi, e schwannomi, al presente queste neoplasie, particolarmente rappresentate nel cane, sono chiamate più semplicemente tumori maligni delle guaine di rivestimento dei nervi periferici per le caratteri-

IL NEUROLOGO E IL DOLORE DELL’ARTO TORACICO Il dolore dell’arto toracico del cane e del gatto si manifesta con una zoppia e una sottrazione dell’arto al carico del peso su di esso. La zoppia dell’arto anteriore è il risultato di diverse patologie ortopediche: la zoppia è infatti tipicamente il segno clinico rivelatore di una patologia di natura ortopedica a carico dell’arto colpito. È importante per il veterinario sapere distinguere adeguatamente tra una andatura che sia espressione di una zoppia e una che sia invece espressione di una monoparesi proprio perché, nella maggior parte dei casi, queste due alterazioni sottendono disfunzioni derivanti da apparati diversi. Nel primo caso, l’arto compie dei passi più brevi, la fase di appoggio è fortemente ridotta e l’animale mette in atto tutti i meccanismi, quali il cosiddetto “colpo di testa”, atti a sgravare il più possibile l’arto colpito dal peso del corpo. L’arto con zoppicatura, quando tocca il terreno, ha una breve fase di appoggio in cui l’animale contemporaneamente solleva la testa per spostare all’indietro il

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stiche di marcata anaplasia che ne rendono difficile la classificazione. Una delle sedi di più frequente riscontro di queste neoplasie è rappresentata dal plesso brachiale. La crescita è di norma centripeta, con coinvolgimento e infiltrazione delle altre radici del plesso brachiale. Questi tumori si rendono responsabili di una sintomatologia algica a esordio subdolo e a decorso cronico-progressivo. All’esame clinico, al rilievo della zoppia non segue il riscontro di anomalie di tipo ortopedico. In molti casi la palpazione dell’arto colpito e della regione ascellare produce una reazione algica. La risposta al trattamento antinfiammatorio e analgesico è dapprima relativamente buona per poi decadere in efficacia nelle fasi più avanzate della malattia. Quando la sintomatologia è protratta nel tempo, possono divenire apprezzabili altri segni quali l’atrofia muscolare neurogena delle masse muscolari innervate dalla radice interessata, la paresi, la diminuzione dei riflessi spinali sull’arto colpito. In casi particolari, può essere evidente anche una concomitante sindrome di Horner (miosi, enoftalmo, procidenza della terza palpebra) ipsilaterale e una diminuzione del riflesso pannicolare, per l’interessamento specifico delle radici nervose. Nei casi più protratti in cui si è verificata l’invasione del canale vertebrale, possono diventare apprezzabili deficit motori e propriocettivi anche a carico dell’arto posteriore ipsilaterale alla lesione. La diagnosi viene effettuata tramite l’impiego della diagnostica per immagini avanzata. La TC, ma soprattutto la RMN possono visualizzare le radici colpite dal processo neoplastico. La mielografia è utile solo in quei casi in cui il tumore abbia invaso il canale vertebrale, comprimendo il midollo spinale. Per la natura altamente maligna di queste neoplasie, la prognosi nel breve-medio periodo è purtroppo sfavorevole, anche quando si interviene radicalmente con l’escissione delle radici colpite e l’amputazione dell’arto.

getti colpiti da patologie ortopediche, sono sovente alterate in presenza di una sindrome locomotoria a origine nervosa, specie se questa origina dal midollo spinale. Particolare rilievo deve essere pertanto dato alla valutazione della integrità della propriocezione cosciente, soprattutto attraverso il test della dorsoflessione del piede. Al pari di quanto precedentemente esposto per l’arto anteriore, ci sono invece alcune patologie di pertinenza neurologica che producono una sintomatologia che potrebbe essere confusa con gli effetti prodotti da un problema a carico dell’apparato locomotore. I tumori maligni delle guaine di rivestimento dei nervi periferici precedentemente citati possono, seppur con minore frequenza rispetto alla localizzazione al plesso brachiale, interessare i nervi dell’arto pelvico. L’evoluzione della sintomatologia è tipicamente cronico-progressiva ad esordio insidioso. Accanto al dolore e alla zoppia, le neoplasie del nervo femorale sono caratterizzate da atrofia neurogena del muscolo quadricipite femorale, cedimenti e incapacità a sostenere il peso del corpo sull’arto colpito. Se la neoplasia interessa il nervo sciatico, si osserverà invece atrofia dei muscoli della loggia posteriore, ipometria dovuta all’incapacità di flettere adeguatamente l’arto e conseguente trascinamento sul terreno con consumo abnorme delle unghie. Anche in questo caso, la diagnosi viene effettuata tramite l’impiego della diagnostica per immagini avanzata. La TC, ma soprattutto la RMN possono visualizzare il nervo colpito dal processo neoplastico. L’elettromiografia e lo studio della velocità di conduzione nervosa possono confermare il sospetto diagnostico dimostrando alterazioni selettive a carico dei settori neuromuscolari interessati. La stenosi degenerativa lombosacrale, comunemente (anche se impropriamente) conosciuta anche come “sindrome della cauda equina”, occupa un ruolo estremamente rilevante tra le patologie che possono produrre dolore a carico del bipede posteriore. La stenosi degenerativa lombosacrale è il risultato delle ripetute sollecitazioni a carico dell’articolazione lombosacrale, che possono produrre una serie di alterazioni che, in ultima analisi, risultano nell’instabilità della giunzione stessa. La stenosi degenerativa lombosacrale è caratterizzata da dolore a carico della giunzione L7-S1, che si manifesta nella riluttanza a compiere tutti quei gesti che producono una brusca estensione di questa struttura, come ad esempio il saltare sulla macchina del proprietario o superare ostacoli quali muretti di adeguate dimensioni. La maggior parte delle stenosi degenerative lombosacrali si limita a provocare dolore in assenza di deficit neurologici. Il dolore può essere lateralizzato e manifestarsi su un solo arto, se la compressione si manifesta a livello foraminale sulla radice. L’algia è rilevata anche dalla postura della groppa, mantenuta sotto di sé, e dalla riluttanza a cambiare bruscamente posizione: l’animale può mostrare estrema cautela nell’atto di alzarsi, sdraiarsi o saltare; nei casi più gravi questi movimenti possono esitare nell’apprezzamento di guaiti e lamenti. La palpazione (complesso di manualità che induce una pressione e una iperestensione della giunzione LS) può evocare vivace fastidio cui l’animale tenta di sottrarsi. Nei casi più conclamati, sono evidenti anche deficit neurologici a carico del bipede posteriore, caratterizzati da ipometria,

IL NEUROLOGO E IL DOLORE DEL BIPEDE POSTERIORE Analogamente a quanto descritto per l’arto anteriore, anche il bipede posteriore è affetto, soprattutto nel cane, da una varietà di malattie ortopediche che producono dolore e difficoltà deambulatorie di vario grado. Anche in questo caso, vanno considerate in diagnosi differenziali alcune patologie che appartengono alla sfera di competenza del neurologo. Nella differenziazione tra patologie ortopediche e neurologiche che colpiscono il bipede posteriore è essenziale effettuare una buona valutazione dell’andatura. La maggior parte delle patologie del sistema nervoso produce infatti deficit di deambulazione distinguibili da quelli ortopedici. È essenziale sapere riconoscere e differenziare l’incoordinazione e la debolezza (paresi) dai deficit più francamente ortopedici, quali appunto la zoppia. Patologie cronico-progressive come la mielopatia degenerativa, vengono ancor oggi scambiate da molti veterinari per patologie di pertinenza ortopedica, almeno nelle prime fasi della malattia. Un attento esame dell’andatura dei soggetti colpiti rivela una incoordinazione (atassia) non giustificabile da malattie ortopediche. Le prove propriocettive, normali in sog-

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della giunzione L7-S1 impedendo così una adeguata documentazione dell’eventuale compressione. In aggiunta, la mielografia non è comunque in grado di documentare adeguatamente la eventuale compressione foraminale. I casi più lievi vengono di norma trattati con farmaci antinfiammatori e riposo. Alla ripresa del lavoro, può esserci una recrudescenza dei sintomi. Diverse tecniche di risoluzione chirurgica sono state proposte nel tempo. La più semplice propone la risoluzione della compressione attraverso una laminectomia dorsale. Quando viene documentata la presenza di instabilità, è preferibile attuare un intervento di stabilizzazione, di norma abbastanza indaginoso. Raramente si ottiene un recupero totale della funzione. Non va dimenticato che la giunzione lombosacrale è una delle localizzazioni più frequenti della discospondilite, per cui questa malattia deve essere posta in diagnosi differenziale con le altre malattie responsabili di algia del bipede posteriore.

paraparesi, modici deficit propriocettivi (elemento che diversifica le patologie toracolombari da quelle lombosacrali della cauda equina). La stenosi degenerativa lombosacrale colpisce soprattutto i cani di media-grossa taglia di media età in attività, in particolare appartenenti alla razza Pastore Tedesco. Le lesioni compressive che si producono sulla cauda equina possono essere dovute a ipertrofia dell’anello fibroso e protrusione del disco L7-S1, che può essere lateralizzata (“foraminopatia” per compressione di una radice spinale del nervo sciatico) o centrale. La conferma diagnostica di una patologia a carico della cauda equina non è sempre semplice: spesso, anche in questo caso, è necessario ricorrere alla diagnostica per immagini avanzata. La TC, ma soprattutto la RMN sono in grado di cogliere il livello di compressione della cauda sia che essa si verifichi a livello mediano, sia che essa sia lateralizzata. In particolare, la RMN è in grado di rilevare la presenza di compressione di un forame documentando la scomparsa del grasso epidurale periradicolare. La TC può documentare invece la presenza di esostosi a livello foraminale. La mielografia non è una tecnica attualmente più raccomandata in quanto molto spesso, soprattutto nei soggetti di grossa taglia, il cono midollare termina prima

Bibliografia richiedibile presso l’autore: gualtiero.gandini@unibo.it

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Approach to chronic vomiting in the cat Frédéric P. Gaschen Dr med vet, Dr habil, Dipl ACVIM (SAIM), Dipl ECVIM-CA, Louisiana, USA

OVERVIEW

BACKGROUND

Vomiting is a common reason for presentation of cats to veterinarians. Chronic vomiting can be a manifestation of diseases affecting the digestive tract or other organ systems. The diagnostic approach must be systematic in order to efficiently recognize and treat any underlying problem.

Vomiting is a prevalent problem in cats. Occasional episodes of vomiting in an otherwise healthy looking cat generally do not warrant a thorough work-up. However, if vomiting occurs more frequently or if other clinical signs are present, a more in-depth exam is recommended. In cats, vomiting can be associated with a wide variety of diseases, probably because of the high number of peripheral receptors located mostly in the abdomen that can stimulate the vomiting center in the brainstem in that species. Moreover, the close association between the vomiting center and the chemoreceptor trigger zone located on the floor of the 4th ventricle plays an important role when cats experience meta-

OBJECTIVES • To define a systematic approach to vomiting in cats • To review some of the frequently associated diseases using clinical cases

TABLE 1 - Frequent causes of vomiting in the cat Gastrointestinal (GI)

Outside GI

Stomach - infectious (viral, bacterial, parasitic) - obstructive (including bezoars) - adverse reaction to food (food intolerance or food allergy) - chronic gastritis (possibly with IBD) - gastric nematodes - gastric neoplasia - motility disorders

Abdominal - peritonitis (e.g. FIP) - liver diseases (including biliary tree) - pancreatitis (vomiting occurs less frequently in cats than in dogs) - diaphragmatic hernia - neoplasia

Small bowel - infectious (viral, bacterial, parasitic) - obstructive (including linear foreign body, intussusception) - adverse reaction to food (food intolerance or food allergy) failure - IBD - intestinal neoplasia - ileus (of different causes)

Metabolic - uremic syndrome - endocrine disease (hyperthyroidism, DKA) - drugs (antibiotics, NSAIDs) - toxins (toxic plants, etc.) - cardiomyopathy with congestive heart - dirofilariasis - sepsis - systemic mastocytosis Neurological - motion sickness - vestibular disorders - encephalitis - dysautonomia - increased intracranial pressure - psychogenic (excitation, fear, pain)

Colon - severe constipation

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bolic disorders or intoxications. Principally, it is helpful to differentiate between causes originating from the gastrointestinal (GI) tract and those from other organ systems.

enlarged thyroid glands. Additionally, cardiac auscultation may reveal gallop rhythm or other findings associated with thyroid toxicity. Although exceptions may occur, most hyperthyroid cats are 5 years of age and older. However, absence of palpable masses or cardiac changes is not sufficient to rule out hyperthyroidism. Finally, the abdomen must be thoroughly palpated to detect possible pain, space occupying lesions, intussusception, abnormal intestinal loops, kidneys of abnormal size, etc.

HISTORY AND PHYSICAL EXAM In cases requiring veterinary attention, a good history can be very helpful in tracking hints revealing the presence of diseases outside the GI tract. A detailed physical exam is performed to assess consequences of vomiting (dehydration, weight loss) and their severity, and search for additional clinical signs associated with vomiting such as icterus, anemia, etc. A thorough oral exam should always be performed, in particular in animals prone to play with potential linear foreign bodies (piece of string looping around the base of the tongue). Thorough palpation of the ventral neck on both sides of the trachea can help detect

ADDITIONAL DIAGNOSTIC TESTS Recommended ancillary tests may differ from patient to patient based on the information obtained from history and physical exam, and the likely anatomic localization of the problem causing vomiting (see figure 1). Useful tests in patients with suspect alimentary tract disease include diag-

Figure 1 - Algorithm for chronic vomiting in the cat.

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nostic imaging of the abdomen. Radiographs are always indicated in vomiting animals, as they are quite sensitive and specific for the diagnosis of intestinal obstructions (dilated small intestinal loops >12 mm in width) and linear foreign bodies (accordion-like, clumped pattern of the small intestine). If survey radiographs are not diagnostic in a cat suspected to have an obstructive lesion, radiographic contrast may be administered to allow better visualization. However the risk of aspiration of the contrast agent should be carefully weighed against the possible benefits from the study. Additionally, abdominal ultrasound can be very useful as a complement to radiographs: foreign bodies, intestinal masses, intussusceptions, abnormalities in wall layering and many more lesions can easily be detected by an experienced ultrasonographer. Cats with chronic vomiting, hyporexia and weight loss may suffer from adverse reaction to food or idiopathic inflammatory bowel diseases (IBD). If the cat’s condition allows it, switching to an elimination diet with a novel protein or to a hydrolyzed peptide diet may have both diagnostic and therapeutic value. Fecal parasitological exam should not be neglected (mostly to rule out the presence of intestinal worms, gastric worms such as Ollulanus tricuspis and Physaloptera rara are more of a diagnostic challenge). Finally, a full CBC and chemistry panel are useful to check for severe consequences of acute or chronic vomiting. Anemia, leukocytosis or leukopenia may be present in association with various diseases. Electrolytes may be depleted (hypokalemia) and hypoalbuminemia or panhypoproteinemia can be present. It is advisable to check serum cobalamin (vitamin B12) concentrations in cats with chronic intestinal disease, as it may be low, and the cat may require parenteral substitution therapy. In some instances all the above exams are either normal or inconclusive. If extra-GI causes could be excluded (see below) and the problem still seems to originate from the GI tract, gastro-duodenoscopy may be indicated to visualize the gastric and duodenal mucosa, and collect mucosal biopsies for histological analysis. Alternatively, exploratory abdominal surgery enables the surgeon to explore stomach and the whole bowel as well as the abdominal cavity, and to sample full thickness biopsies from abnormal looking gastric or intestinal segments or from other organs. For cats with disease likely originating outside the alimentary tract, a broad search must be initiated. Practically, a stepwise approach is meaningful. The first step consists of a minimal data base including CBC, chemistry panel and urinalysis, as well as retrovirus check and, if the

cat is older than 5 years of age and the signs fit, a serum thyroxin concentration. After these results are available, a more targeted approach based on the abnormalities detected in the lab work is often possible. Diagnostic imaging of thorax and abdomen (including abdominal ultrasound exam) can be very helpful to confirm or rule out diseases affecting the liver, the kidneys, possibly the pancreas or other organs.

BASIC THERAPEUTIC GUIDELINES Depending on the cat’s condition, treatment is initiated in some or all of the following categories: − Supportive treatment, essentially i.v. fluids, often with electrolyte replacement (e.g. potassium). − Symptomatic treatment: • antiemetics such as metoclopramide 0,3-0,5 mg/kg s.c. TID or as an i.v. constant rate infusion of 1-2 mg/kg in 24h, or maropitant (Cerenia®) at 1 mg/kg SC once daily (not registered for use in cats). • gastric mucosal protection: famotidine 0.5 mg/kg p.o. or s.c. once to twice daily. Other H2-blockers may be used as well such as ranitidine 0.5-2 mg/kg p.o. or s.c. BID. Consider adding sucralfate 0,5 g per cat TID to QID if erosive or ulcerated gastritis is suspected (hematemesis). • feed a bland or a hypoallergenic diet (see above). • finally, specific treatment cat be initiated when the disease has been identified.

REFERENCES & SUGGESTED READING Allenspach K., Chan DL. Antiemetic therapy. In August JR ed. Consultations in Feline Medicine. Saunders Elsevier. St. Louis. 2010, 232-239. Daminet, S. Vomiting, acute & vomiting, chronic. In: Côté, E. ed. Clinical Veterinary Advisor, Dogs and Cats. St. Louis, Mosby Elsevier, 2007, 1157-1160. Twedt DC. Vomiting. In: Ettinger SJ and Feldman EC ed. Textbook of Veterinary Internal Medicine. St. Louis, Saunders Elsevier, 2010, 195200. Zoran, D. The cat with signs of acute vomiting & the cat with chronic vomiting. In: Rand, J. ed. Problem-based feline medicine. Philadelphia: Elsevier Saunders, 2006; 630-690.

Address for correspondence: Frédéric P. Gaschen Louisiana State University School of Veterinary Medicine Baton Rouge, Louisiana, USA

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Feline pancreatitis: a persisting challenge Frédéric P. Gaschen Dr med vet, Dr habil, Dipl ACVIM (SAIM), Dipl ECVIM-CA, Louisiana, USA

The prevalence of pancreatitis among cats presented to veterinarians is not negligible. Since the early nineties the disease has been the object of much clinical research. However, despite these many years of research and accumulated experience, the diagnosis of feline pancreatitis, especially in its chronic form, remains a major challenge today. Moreover, there is no consensus on the best therapeutic approach. These facts contribute to an ongoing frustration when dealing with suspect cases.

an insignificant proportion of clinical cases. However, treatment of an existing underlying process may be enough to successfully treat pancreatitis. Cats with pancreatitis may also be affected with concomitant inflammatory bowel disease (IBD) and cholangiohepatitis. This is attributed to the peculiar anatomy of the pancreatic and bile ducts in felines that often merge together before reaching the duodenal papilla. As a result, the feline pancreas is exposed to an increased risk of bile reflux or ascending infection. The term “triaditis” describes the simultaneous presence of IBD, cholangiohepatitis and pancreatitis in the cat.

PREVALENCE Based on 2 studies identifying inflammatory lesions affecting the pancreas in necropsied cats, the prevalence of feline pancreatitis is between 1.3 and 3.5% in cats undergoing necropsy, which makes it a relatively common disease. In addition, 67% of cats autopsied in a recent study showed histological lesions in the pancreas. The prevalence of lesions of pancreatitis among apparently healthy cats reached 45%. More than half of necropsied cats had chronic changes whereas acute lesions represented only 6.1%. Some animals displayed simultaneous acute and chronic lesions. These data underscore the importance of chronic pancreatitis in the feline population, although most cases seem to remain clinically unnoticed. Several diseases can affect the pancreas in cats. Two forms of acute pancreatitis have been described, necrotizing pancreatitis and suppurative pancreatitis. Chronic pancreatitis is often recurrent and nonsuppurative, it may lead to exocrine pancreatic insufficiency. Pancreatic neoplasia is uncommon. It must be differentiated from pancreatic nodular hyperplasia, a benign degenerative disease of older cats.

CLINICAL SIGNS Unlike what is seen in dogs and humans, cats with pancreatitis are frequently presented with vague clinical signs. These include lethargy, decreased appetite, possibly with gradual onset of weight loss. Dehydration and hypothermia may also be present. Tachypnea, abdominal pain, vomiting, diarrhea and abdominal masses are less frequently reported. Clinical signs alone do not allow differentiating acute from chronic inflammation.

DIAGNOSTIC APPROACH CBC and chemistry panel are most useful to rule out diseases with similar clinical presentation. Pancreatic lipase immunoreactivity (fPLI) and abdominal ultrasound may deliver the most useful information about the pancreatic inflammation. Cats with pancreatitis may occasionally show nonspecific neutrophilia or non-regenerative anemia. Increased liver enzyme activity (ALT, GGT and ALP), or increased bilirubin and cholesterol are present in half to two thirds of cases. This may be due to cholestasis associated with concomitant liver disease (e.g. cholangiohepatitis or hepatic lipidosis) or to bile duct compression. Hyperglycemia is often due to stress, but some cats may also have concomitant diabetes mellitus. Hypocalcemia is a negative prognostic factor, particularly if the ionized calcium is below 1.0 mmol/l (reference range 1.2-1.4 mmol/l). Amylase and lipase activities have no diagnostic value in cats.

ETIOLOGY The natural causes of feline pancreatitis remain mysterious in most instances, although several associations have been described. They include trauma and associated ischemia (high rise syndrome, traffic accident), viral (FIP and FIV) or parasitic infections (Toxoplasma gondii, liver and pancreatic flukes), and intoxication with organophosphates. These associations are probably only responsible for

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Two specific tests have been developed in the last decade. They determine the immunoreactivity of serum trypsin (fTLI) and pancreatic lipase (fPLI). Feline TLI is not readily available in Europe. It is the test of choice for exocrine pancreatic insufficiency (EPI). fPLI is a promising test in the diagnosis of pancreatitis in the cat. Although clinical validation studies on a large scale are still lacking, several preliminary studies have shown the diagnostic potential of fPLI in cats. Diagnostic imaging is often an important part of the diagnosis of feline pancreatitis. Abdominal radiographs are usually not useful. Abdominal ultrasonography is the most interesting imaging modality; however its sensitivity and diagnostic specificity are good to average depending on the case. Detailed examination of the pancreas, particularly its left lobe, may be difficult in obese cats and those whose abdomen is painful or tense, or in the presence of large quantities of gas in the surrounding structures. Moreover, the value of information obtained depends heavily on the experience of the ultrasonographer who should have an excellent knowledge of abdominal anatomy. Acute pancreatitis is often characterized by enlargement and hypoechoic appearance of the pancreas. The surrounding mesentery may appear hyperechoic. Ultrasound offers the advantage of exploring the abdomen to look for concomitant diseases of liver, gastrointestinal tract or other abdominal organs. In addition, advanced techniques of harmonic power Doppler and the use of ultrasound contrast agents seem promising to increase the sensitivity of ultrasound and help differentiate pancreatic diseases of the cat. Histological analysis of pancreatic biopsies taken during exploratory laparotomy or laparoscopic examination remains the diagnostic standard to which other methods are compared. However, it has been shown that inflammatory lesions can be focal and difficult to identify at the time of surgery. Under such circumstances, cryptic sites of inflammation may be missed resulting in false negative results. On the other hand, clinically irrelevant lesions of chronic pancreatitis are present in an important proportion of healthy cats. In summary, the diagnosis of feline pancreatitis is best achieved by combining various diagnostic modalities that are all relatively imperfect when used separately. The advent of the feline PLI test provides a new interesting tool that must still be better validated.

phanol (0.1 mg/kg IV or 0.2-0.4 mg/kg sc every 4 to 6 hours) and buprenorphine (0.01-0.03 mg/kg SC or PO for transmucosal absorption every 8 to 12 hours) are two frequent choices in cats. Nutritional support is important and can be provided with enteral feeding. Vomiting should be controlled with antiemetics. In acute episodes, a fasting period of 1 to 2 days may be beneficial, but is not without risk of causing liver lipidosis. Esophagostomy or gastrostomy tubes are easy to place and offer a good solution for cats that don’t vomit. Commercial liquid diets are well tolerated despite their relatively high fat content. It is essential to start the diet gradually so as not to overload the stomach. The immediate goal is to feed the intestinal mucosa to prevent bacterial translocation. Partial or total parenteral nutrition is useful in severely debilitated cats. The use of anti-inflammatory drugs is controversial. Steroids appear contraindicated in acute pancreatitis. However, they have been used successfully in cats with chronic pancreatitis. They can cause a decrease in fPLI, suggesting a decrease in the inflammatory process. The doses of prednisolone used are 1 to 2 mg/kg orally every 12 to 24 h. Pancreatitis may cause hypocobalaminemia since the pancreas plays an important role in the absorption of vitamin B12. Serum cobalamin concentration can easily be determined, and replacement therapy should be initiated in case of hypocobalaminemia. The weekly cobalamin dose is 250 mg SC for 6 weeks; it is recommended to reassess the cobalamin levels monthly and adjust therapy accordingly. Finally, identified concomitant diseases must be treated with the same vigor as pancreatitis. Thus, it may be necessary to administer antibiotics in case of suppurative cholangiohepatitis, provide a hypoallergenic diet and corticosteroids in cases of IBD or to change the diet and consider treatment ACE inhibitors in cats with chronic kidney disease.

PROGNOSIS The prognosis of feline pancreatitis varies considerably from case to case. It depends on the severity and extent of the inflammatory process or the importance of necrotic foci. Cats with severe acute pancreatitis are subject to numerous complications and associated mortality can be quite high. Those suffering from chronic recurrent pancreatitis of mild to moderate severity obviously have a better prognosis. However, it is possible that chronic pancreatic disease eventually cause EPI or diabetes mellitus.

THERAPEUTIC APPROACH To date, there are no clinical studies evaluating treatment regimens for feline pancreatitis. Symptomatic therapy is indicated to correct dehydration and electrolyte disturbances, if present. It is important to prevent pancreatic ischemia to break the vicious circle of inflammation. During acute episodes severely affected cats may develop systemic complications, and aggressive treatment using synthetic colloids or plasma may be required. Cats do not show abdominal pain as clearly as dogs and humans. However, it is likely that abdominal pain significantly contributes to anorexia. Therefore, pain medication is often recommended, preferably using opiates. Butor-

REFERENCES Can be obtained from the author upon request (fgaschen@lsu.edu) Address for correspondence: Frédéric P. Gaschen Louisiana State University School of Veterinary Medicine Baton Rouge, Louisiana, USA

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Adverse food reactions in dogs and cats Frédéric P. Gaschen Dr med vet, Dr habil, Dipl ACVIM (SAIM), Dipl ECVIM-CA, Louisiana, USA

• Stress the clinical relevance and explain possible mechanisms of diet-responsive disease in dogs and cats with idiopathic chronic enteropathies • Review the treatment of AFR

OVERVIEW OF THE ISSUE Adverse reactions to food are common in dogs and in cats. They can elicit cutaneous and/or gastrointestinal manifestations. As shown in figure 1, adverse food reactions encompass disorders with an immunological basis (food allergy, also called dietary hypersensitivity or dietary sensitivity), non-immunologic reactions (food intolerance), and toxic reactions (intoxications). While intoxications are encountered frequently at least in dogs (e.g. garbage can gut gastroenteritis), they will not be discussed in further details. Food intolerance occurs probably relatively often in small animals, and is associated with a variety of gastrointestinal signs, most importantly diarrhea and/or vomiting. Food allergy is a common cause of cutaneous signs such as prutitus, and may occasionally be associated with gastrointestinal signs. However, in some instances, chronic vomiting and diarrhea may be the only clinical expression of food allergy. Generally, the importance of reactions to food in the etiology of canine chronic enteropathies should not be underestimated.

EPIDEMIOLOGY AND CLINICAL PRESENTATION In the United Kingdom 7.6% of dogs presented to a veterinary dermatology referral clinic were diagnosed with food allergy. These dogs represented approximately 1/3 of all those diagnosed with any type of allergy affecting the skin. In the numerous dermatological studies performed on this topic, the most frequent clinical signs were: generalized pruritus (in some cases with a preference for specific regions), recurring otitis externa, and secondary pyoderma. The prevalence of signs affecting the digestive tract among dogs with cutaneous adverse food reaction (CAFR) was as high as 31% in a multicenter study including 63 dogs with CAFR from Switzerland. However, earlier studies reported lower prevalence rates of GI signs (10-15%) AFR also play a non-negligible role as a differential diagnosis in dogs and cats with idiopathic chronic enteropathies. In a prospective study of 70 dogs referred for chronic diarrhea of more than 6 weeks duration, clinical signs resolved after 7-10 days in 39 (56%) of patients treated with a novel

OBJECTIVES OF THE PRESENTATION • Review the pathogenesis of adverse food reactions (AFR) in dogs and cats

Figure 1 - Proposed nomenclature for adverse reactions to food in dogs and cats.

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protein diet. It is likely that many of these patients with dietresponsive disease suffered from mild forms of idiopathic inflammatory diseases or from food intolerance. Dogs presented to dermatologists with cutaneous expression of food allergy are often young (one third to half the cases were 1 year or younger in several studies). Dogs with chronic enteropathies that were diet-responsive were younger than dogs with inflammatory bowel disease that required immune-suppressive steroid treatment (mean 3.5 vs. 7.5 years old). There is little evidence for breed predisposition or for heritability of canine food allergy, with the exception of Soft Coated Wheaten Terriers affected with protein-losing enteropathy. AFR is also a common rule out for cats presented with non-seasonal, persistent pruritus, especially if localized to the head and neck region. Miliary dermatitis, facial and neck dermatitis and otitis externa are frequently associated clinical signs. Simultaneous occurrence of gastrointestinal signs such as vomiting and diarrhea are occasionally reported. AFR is also a common differential for cats with chronic digestive diseases. In a prospective study of 55 cats with chronic idiopathic gastrointestinal problems, 27 cats responded to a novel protein diet.

most common allergens identified in spontaneously food allergic dogs may differ according to geographical location. They include cow’s milk, eggs, meat proteins from beef, and chicken, and plant proteins from corn, wheat and soybeans. In human beings, most food allergies are due to type I hypersensitivity reactions involving a Th2 immune response after exposure to the allergen, and the production of IgE. It appears that the situation is different in dogs, as serum allergen-specific IgE concentrations poorly correlate with results of elimination trial and dietary challenge tests (see below). Type I hypersensitivity caused by SC sensitization of canine “high IgE responders” with specific allergens may elicit food allergy in the dog. This laboratory model may be useful for studying food allergy in humans; however it does not appear to truthfully mimic the spontaneous canine disease. It is suspected that IgE-mediated may play a partial or even a negligible role in the pathogenesis of canine food allergy. Alternate hypotheses regarding the pathomechanism of food allergy in people and in pets have been given increasing recognition in the past few years. Increasing evidence supports that sensitization to allergens may occur through cutaneous exposure rather than across the GI mucosa. Bovine serum albumin has been identified a possible origin of beef allergy in the dog, and sensitization may occur at the time of vaccination. Recently, the International Task Force on Canine Atopic Dermatitis cited examples of atopy triggered by food allergens and underscored the overlap of clinical phenotype between atopy and food allergy in dogs.

PATHOGENESIS The current nomenclature for ARF in dogs and cats is shown in fig. 1. It appears that a high proportion of pets with CAFR have food allergy while only few dogs and cats with diet-responsive chronic GI disease do. By definition dogs and cats with food intolerance or with food allergy will show a relapse of their clinical signs after exposure to their original diet. However, in the study reporting a large proportion of diet-responsive enteropathies among dogs with chronic diarrhea, 31 of 39 diet-responsive dogs (79%) did not relapse when they were fed their original diet again after a 12 week long elimination trial with a novel protein diet. Similarly, 11 of 27 cats that were dietresponsive (41%) could be reintroduced to their original diet without triggering a relapse of clinical signs after 8-12 weeks of treatment with a novel protein diet. Possible explanations for this phenomenon include the hypothesis that the original diet may have exacerbated a mild underlying enteritis, colitis or enterocolitis in these pets. Advantages of the novel protein diet such as the higher bioavailability of nutrients (and its possible effect on the intestinal flora) and/or the optimized n3-n6 fatty acid ratio may have contributed to remission of the intestinal inflammation. Food intolerance is characterized by a non-immunologic reaction to food. There is little scientific data available in dogs and cats. Pharmacologic reactions include reactions to vasoactive amines (e.g. scromboid fish), metabolic reactions due to a lack of digestive enzymes to process specific nutrients (e.g. lactose), finally idiosyncratic reactions in response to substances such as food additives. The pathogenesis of food allergy is complex. The major food allergens are water-soluble glycoproteins that are 10-70 kD in size and fairly stable to heat, acid and proteases. The

DIAGNOSIS In dogs and cats, a diagnosis of AFR is traditionally confirmed by an elimination trial with exclusive feeding of a new diet made from a protein source to which the dog has not been previously exposed (novel protein diet) or made from hydrolyzed peptides too small to trigger an allergic reaction. Any deviation from this protocol must be avoided at all costs (e.g. feeding treats, table scraps, drugs coated with appetizing substances). Lack of owner compliance is probably the most important reason for misdiagnosis, especially in dogs and cats with skin problems. The gastrointestinal signs generally resolve rapidly after the dietary modification (often 1 to 2 weeks, even though some cases may require more time to show significant clinical improvement). However, cutaneous manifestations of food allergy typically resolve much slower, and dermatologists recommend using the elimination diet for a minimum of 6 to 8 weeks before ruling out CAFR. • Current diagnostic gold standard: the disappearance of (cutaneous or digestive) clinical signs when a dog is fed an elimination diet is only the 1st step in diagnosing food allergy. For such patients the designations AFR or dietresponsive disease are preferred. Relapse after a challenge with the original diet the pet was eating when showing clinical signs confirms the presence of either food intolerance or food allergy. The diagnostic confirmation of food allergy relies solely on a positive response to dietary challenge with suspected allergenic proteins (e.g. beef, lamb,

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pork, cow’s milk, corn, etc.). This usually occurs after a few days for digestive signs, and up to 2 weeks for cutaneous signs. Dietary challenges are frequently not favorably looked upon by dog and cat owners, and are often not performed in clinical practice. This is why several other diagnostic options for food allergy have been explored. Intradermal allergy testing: it was shown in several studies that this method was not helpful in the clinical diagnosis of spontaneous food allergy in the dog. Detection of serum immunoglobulins: in spontaneous canine food allergy the determination of serum antigenspecific IgE and IgG concentrations has led to disappointing results, even though the tests are widely available to the veterinary community (numerous false positives and negatives). Provocation tests on the gastric / colonic mucosa: solutions containing potential food allergens are deposited on the gastric mucosa or injected under the proximal colonic mucosa, and the mucosa is observed for a wheal and flare response during a few minutes. Concordance of the 2 tests with positive dietary challenge results was moderate (50% to 73%) in a colony of food allergic Soft Coated Wheaten Terriers. Additionally, these tests are cumbersome to perform and require general anesthesia and endoscopic equipment. Doppler ultrasonography of large mesenteric vessels: vasodilation and vasoconstriction of capillary beds in the intestinal mucosa directly influence quantity and quality of the blood flow through large mesenteric arteries (celiac and cranial mesenteric arteries). A prolonged vasodilation of the intestinal mucosal capillary beds could be indirectly documented in food allergic dogs after they had been challenged with food they were allergic to. The procedure does not require any special patient preparation, is generally well tolerated, and is very promising. However, the presence of an experienced ultrasonographer with good ultrasound equipment is essential.

Choice of the elimination diet A detailed dietary history is required to make the best possible choice of diet in animals with AFR. Novel protein diets are available as prescription only or over the counter. Prescription diets appear to be most reliable for the accuracy of their label listing the ingredients. Alternatively they can be home cooked as well. It is generally advisable to avoid protein sources that are phylogenetically related to the original protein source (i.e. dogs with suspect allergy to beef protein may cross react with venison, same with chicken and duck, etc.). Available veterinary hydrolyzed diets are only partially hydrolyzed in an effort to keep the product palatable and may retain some immunogenic properties. Several studies have shown that > 80% of dogs receiving a hydrolyzed diet did not react even though they were allergic to the basic protein source. Because up to 20% did not improve, a recent systematic review recommended avoiding hydrolysates based on the protein source likely to have triggered the dog’s allergy for best results.

Implementation of the elimination trial The pet’s owners need to be oriented in detail about the procedure they must follow, and the exclusion of all other foods including chewable medication. The essential importance of their total compliance must be stressed during the initial discussion. Compliance can easily become an issue during the long duration of the elimination trial for patients with suspect CAFR, and regular meetings between owners and veterinary team are recommended in order to maintain a good compliance.

Management of dogs and cats that responded to the elimination trial Owners only rarely accept to perform the dietary challenge necessary to confirm food intolerance of food allergy. However, a return to the initial food may be a viable option for diet-responsive chronic enteropathy, since studies have reported that high percentages dogs and moderate percentages of cats offered their original food do not relapse. In case of CAFR, it is advisable to keep avoiding the original protein source. Financial consideration may dictate a change from a prescription diet to an over-thecounter elimination diet. No matter what the motivation of the diet change is, it is essential to introduce modifications (food, treats) one at a time. Thus if a reaction occurs, the foodstuff responsible can be more easily confirmed.

PRACTICAL APPROACH Diagnosis of AFR is intimately intertwined with therapy since, in most cases, diagnosis is confirmed by a positive response to therapy (i.e. elimination diet). However, some of the non-seasonal cutaneous lesions compatible with CAFR may also be observed with other diseases such as bacterial, yeast or sarcoptes infections or even drug reactions. Otitis externa, a problem frequently associated with CAFR may have a variety of other causes as well. In such cases, initiating an elimination trial is always a good approach, however further diagnostics and treatment against concurrent diseases should not be neglected. In dogs and cats with chronic enteropathies of mild to moderate severity, initiation of an elimination trial is recommended as soon as endoparasites have been ruled out because diet-responsive disease is a frequent problem. However, AFR is unlikely if the GI signs do not subside within 2 weeks, and other differential diagnoses must then be explored such as antibiotic-responsive diarrhea or inflammatory bowel disease (IBD), which often causes clinical signs undistinguishable from AFR.

SELECTED REFERENCES Allenspach K et al. (2007): Chronic enteropathies in dogs: evaluation of risk factors for negative outcome. J Vet Int Med, 21, 700-708. Gaschen F and Merchant S (2011): Adverse food reactions in dogs and cats. Vet Clin North Amer Small Anim 41, 361-379. Guilford WG et al. (2001): Food sensitivity in cats with chronic idiopathic gastrointestinal problems. J Vet Int Med, 15, 7-13. Olivry, T, Bizikova P (2010). A systematic review of the evidence of reduced allergenicity and clinical benefit of food hydrolysates in dogs with cutaneous adverse food reactions. Vet Derm 21, 32-41.

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Gastrointestinal motility: why it matters Frédéric P. Gaschen Dr med vet, Dr habil, Dipl ACVIM (SAIM), Dipl ECVIM-CA, Louisiana, USA

The gastric antrum acts as a pump from which peristaltic waves originate while the gastric body acts as a high compliance reservoir. Contractions only occur when excitatory neurotransmitters such as acetylcholine are released in response to mechano- and chemoreceptors. The mechanical action of the antral pump is divided in 3 phases: (1) propulsion, (2) emptying of fine particles and mixing, and (3) retroplusion of particles > 1 mm and grinding. Gastric motility and emptying are modulated by gastro-gastric reflexes: for instance filling and distention of the gastric reservoir elicits excitatory reflexes stimulating antral contractions. Gastric emptying is inhibited by nutrients entering the small intestine (feedback control) through entero-gastric reflexes and release of intestinal hormones. Cholecystokinin (CCK) is released the duodenal epithelium upon presence of luminal HCl, amino acids and long-chain fatty acids. CCK reaches the stomach via bloodstream, causes relaxation of the gastric reservoir and reinforces enterogastric neural feedback. Other hormones such as glucagon-like peptide 1 (GLP-1) are released from the distal small intestine upon arrival of the chyme, and also exert a negative feedback on gastric emptying. Additionally, the rate of gastric emptying in dogs is modulated by the composition of the diet (e.g. moisture and fat, protein and carbohydrate content) and other factors such as stress and body size. Three physiologic motility patterns are described in the small intestine: peristaltic waves (aboral movement of chyme over long intestinal segments), stationary contractions (intestinal segmentation) and clusters of contraction (mixing and aboral movement of chyme). Diarrhea is usually associated with the occurrence of pathologic giant aboral contractions. In the large bowel frequently occurring colonic motor complexes mix the colonic content and slowly move it aborally. Finally, defecation is usually triggered by giant colonic contractions that occur at intervals of 10 h.

OVERVIEW OF THE ISSUE Motility is often the “missing link” in the complex equation of gastrointestinal (GI) health in dogs and cats. The prevalence of GI motility disorders in small animals cannot be precisely documented because obtaining a definitive diagnosis is often difficult, sometimes even impossible. However, it is thought that these disorders are of significant clinical importance. Examples of motility disorders include dysphagia, megaesophagus, disorders of gastric emptying, functional intestinal obstruction (ileus), megacolon and constipation. They may reflect secondary involvement of GI motility associated with a variety of diseases located outside the GI tract, including abdominal inflammation, immune-mediated diseases, metabolic diseases, etc. Alternatively, motility disorders may also result from primary GI disorders such as GI inflammation or neoplasia. Abnormal gastric motility may be associated with the potentially devastating gastric dilation-volvulus (GDV) syndrome of dogs. Finally, diseases affecting the autonomous nervous system do impact GI motility as well (e.g. dysautonomia).

OBJECTIVES OF THE PRESENTATION • To illustrate the importance of digestive motility disorders in canine and feline medicine. • To summarize the current state of our knowledge of abnormalities of gastric emptying and intestinal motility and to sum up the treatment modalities available to treat them.

PHYSIOLOGY OF GASTRIC EMPTYING AND INTESTINAL MOTILITY

DISORDERS OF GASTRIC EMPTYING

GI motility is the end result of a very complex series of events that starts with chewing food and ends with defecation. Smooth muscle activity is tightly regulated by neural impulses from the autonomic nervous system and by a variety of endocrine mechanisms. A very brief summary of these events as they pertain to swallowing and gastric emptying follows.

In human medicine, disorders of gastric motility are clearly defined by the Rome classification III. They include functional dyspepsia, disorders of eructation, and nausea and vomiting with no identifiable cause. The typical symptoms are pain, dyspepsia and heartburn, bloating and early post-

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prandial satiety. These signs are subjective and their interpretation can be difficult. These limitations have led to difficulty in timely recognition of disorders of gastric motility in dogs and cats.

emptying seemed normal. However, it is possible that a larger reduction of functional renal mass as is observed in clinical cases (>75%) may have negative effects on gastric motility. Finally, drugs such as opioid analgesics and anticholinergics may interfere with GI neurotransmitters and be at the origin of impaired motor function

Etiology Primary and secondary disorders of gastric emptying have been recognized. In small animals, most cases are likely due to problems originating in the gastrointestinal tract or in other organs, while primary functional disorders are rare. Slower gastric emptying occurs in dogs following circumcostal gastropexy performed after GDV. Gastric motility is impaired in the fasting and postprandial phases in these dogs. However, it has not been established whether this abnormal motility is the cause of GDV or a consequence of surgical treatment. Some rare cases of “pyloric stenosis� have been reported in young Siamese cats. The associated delayed gastric emptying was successfully treated by pyloroplasty or pyloromyotomy. The diagnosis of duodenogastric reflux (DGR) in dogs has been the subject of much controversy since this reflux may occur as a physiological event. Moreover, during the initial phase of vomiting, giant contractions of the duodenum occur and are followed by a relaxation of the pylorus which allows the reflux of duodenal chyme in the stomach. Therefore, most instances of vomiting are accompanied by some degree of DGR. However, a syndrome characterized by bilious vomiting, often before the morning meal, has been observed in apparently healthy dogs. Secondary abnormalities of gastric emptying are due to a wide variety of diseases that may affect gastric motility. Many gastrointestinal disorders can cause secondary disorders of gastric motility. Mechanical obstruction is a common cause of delayed gastric emptying. Chronic hypertrophic pyloric antropathy may delay or inhibit gastric emptying. The disease may be due to thickening of the antral mucosa, muscularis, or a combination of both. Young (brachycephalic breeds) or middle-aged males (miniature breeds) are more frequently affected. Recently, an association between the disease and upper respiratory tract stenosis was shown in brachycephalic dogs. Treatment is surgical (pyloroplasty), particularly when the disease is associated with delayed gastric emptying. Gastric or intestinal inflammation is a common cause of gastric motility changes. Therefore it is hardly surprising that parasites, gastric ulcers, food reactions and inflammatory bowel disease (IBD) are often accompanied by abnormal gastrointestinal motility. Acute canine pancreatitis is commonly associated with decreased gastric and intestinal motility. This can significantly complicate treatment and is probably caused by extension of the inflammatory process to stomach and duodenum which are in close proximity of the pancreas. Diabetes mellitus is the most common cause of impaired gastric emptying in humans. This complication of chronic diabetes is rarely observed in dogs and cats. However, hypoadrenocorticism is often accompanied by a decreased gastric motility. Moreover, abnormal small intestinal and colonic motility have been shown in dogs with ablation of 66% of renal mass and chronic renal disease, while gastric

Clinical signs The most common clinical sign is vomiting of more or less digested food, especially when it occurs long after food intake (e.g. > 10-12 h), when the stomach should be empty. Sometimes projectile vomiting may occur in the absence of a prodromal phase (nausea, salivation). The animal may be bloated and have pain on cranial abdominal palpation and/or signs of colic. Decreased appetite or anorexia, signs of nausea, increased belching, allotriophagia, or polydipsia may also be observed. Hematemesis suggests the presence of neoplasia obstructing the pylorus, gastric ulcer, or erosive resp. ulcerative gastritis.

Diagnostic approach Clinical examination and ancillary tests are designed primarily to detect any underlying disorders (such as obstructive processes that would require gastroscopy or gastrostomy). Presence of food in the stomach after prolonged fasting (eg more than 10-12 hours) suggests delayed gastric emptying. In the absence of obstruction, CBC, blood chemistry, urinalysis, and medical imaging are valuable aids. The various methods available to investigate gastric emptying have been recently reviewed. They aim at evaluating the gastric emptying and/or intestinal transit time of solid food, and include scintigraphy, radiographic contrast studies (barium meals, barium impregnated polyethylene spheres or BIPS), abdominal ultrasound, and gastric emptying breath test (13C-octanoid acid). All these methods are non-invasive, but all have potential pitfalls. Some require special equipment that can only be found at referral centers. Additionally, some techniques can only be performed after the animals have been manually or chemically restrained, a potential source of stress which may interfere with gastric motility. Radionuclide scintigraphy is recognized as the current gold standard. Radiographic studies are easily accessible in clinical veterinary practice. Liquid barium has been widely used to assess GI transit times and is adequate to evaluate liquid phase gastric emptying. The dose of barium suspension is 6 ml/kg in dogs and 10 ml/kg in cats and should be administered when the stomach is empty. Barium sulfate should be present in the duodenum by 15 minutes in the dog and by 5 minutes in the cat. The stomach should be free of barium after 1 to 4 hours in the dog and after 20 minutes in the cat. However, assessment of gastric emptying of liquids is an insensitive method, with the exception of mechanical obstructions due to foreign bodies or other space-occupying lesions obstructing the gastric or intestinal lumen. Mixing barium with food may better evaluate the solid phase of gastric emptying, however barium can easily separate from the test meal and cause the study to be unreliable. Barium-

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remain longer in the stomach. In addition, gastric emptying of fat is slower than that of proteins, which is slower than that of carbohydrates. Consequently, feeding liquid or semiliquid diet of low caloric density low in fat and protein should maximize gastric emptying. Finally, increased meal frequency and decreasing meal size are also useful. Dietary treatment of bilious vomiting (DGR) consists in feeding the dogs a light meal late at night. Use of prokinetic drugs may be beneficial in nonobstructive disorders of gastric emptying. Serotonergic drugs (cisapride, metoclopramide) act on 5-hydroxytryptamine (5-HT) receptors of different types. Metoclopramide (MCP) is often used as an anti-emetic for its inhibitory effects on dopamine receptors in the CRTZ of the medulla oblongata. In addition, MCP acts on 5-HT3 receptors (antagonist) and 5-HT4 (agonist). These effects stimulate contraction of smooth muscle cells of the stomach and intestine. In addition, the MCP increases the tone of the lower esophageal sphincter (LES). Cisapride (CSP) is a serotonergic drug that was withdrawn from the pharmaceutical market but is available as a generic from compounding pharmacies. The principal mode of action of CSP is its ability to bind to

impregnated polyethylene spheres (BIPSTM) have been used for evaluation of GI transit times in dogs and cats. They come in various sizes (from 1.5 to 5 mm diameter) and can easily be used in practice. However, correlation between gastric emptying of BIPS and the gold standard radioscintigraphy has been disappointing in dogs and in cats. This probably reflects the fact that BIPS > 2 mm are only emptied after all solid food has left the stomach during the interdigestive MMC.

Treatment Immediate treatment of any obstructive disease is imperative (surgery, gastroscopy). Therapy of functional, nonobstructive disorders of gastric motility is based on two main pillars: dietary modification and judicious use of prokinetic drugs. Proper diagnosis and treatment of any underlying disease that might affect gastric motility is an essential premise. Dietary modifications designed to facilitate gastric emptying are based on our knowledge of digestive physiology. First, gastric emptying of liquid food is faster than that of solid foods. Also, diets with high caloric density tend to

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5-HT4 receptors, and stimulate smooth muscle contractions. Erythromycin (EMC) is a macrolide antibiotic. At reduced doses, it exerts gastrokinetic effects similar to motilin. EMC triggers MMC type III, a motility pattern responsible for cleaning the stomach during the interdigestive phase. The administration of EMC stimulates gastric emptying without any attention to particle size. This early release of gastric contents can lead to “dumping” of insufficiently processed food in the small intestine. Furthermore, in cats, EMC increases the LES pressure. Acetylcholinesterase inhibitors increase the concentration of acetylcholine in the synaptic cleft between postganglionic myenteric neurons and smooth muscle cells of the stomach and intestine. They stimulate the activity of GI smooth

muscle. Ranitidine and nizatidine are two inhibitors of histamine receptor type 2. Although they are mostly used to decrease gastric acidity, their prokinetic effect is not negligible. All other H2 antagonists lack this prokinetic effect.

REFERENCES Can be obtained from the author upon request (fgaschen@lsu.edu) Address for correspondence: Frédéric P. Gaschen Louisiana State University School of Veterinary Medicine Baton Rouge, Louisiana, USA

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Chronic Enteropathies in Cats: the Good, the Bad and the Ugly Frédéric P. Gaschen Dr med vet, Dr habil, Dipl ACVIM (SAIM), Dipl ECVIM-CA, Louisiana, USA

Feline chronic enteropathies (CE) encompass several intestinal diseases. Cats with CE may not display all clinical signs traditionally observed in dogs. In particular, diarrhea is not always part of the clinical picture which may be dominated by anorexia and vomiting and their consequences. The most frequently encountered causes of CE in cats are summarized in table 1.

ous. Most cats are in good general condition. The clinical course is frequently waxing and waning. Cats affected with other forms of CE such as adverse food reactions, IBD and alimentary lymphoma are usually middle-aged to older animals, but the age range is wide and includes very young animals as well. The most commonly observed clinical signs are vomiting, anorexia, diarrhea and weight loss. However, some cats may have a normal to increased appetite and many cats, unlike dogs, will not have diarrhea at presentation. The signs are often waxing and waning, and the owners may seek veterinary attention only late in the course of disease. Abnormal findings on physical exam of cats with CE may include loss of body condition, dehydration, thickened bowel loops or abdominal pain.

CLINICAL PRESENTATION Feline CE may be classified as lower or upper GI based on clinical signs. Vomiting and weight loss suggest upper GI disease, while hematochezia, mucoid stool and signs of urgency are often attributed to lower GI disease. However, clinical signs alone are not enough to definitively localize disease. For instance, cats with small intestinal IBD often have secondary colonic inflammation. Therefore, it is often safer to assume the disease is diffuse when planning diagnostics and treatment. Tritrichomonas foetus infection is an exception to that rule of cautiousness, and is usually limited to the colon. T. foetus infections are seen with increased frequency in young cats exposed to other cats (e.g. shelter, cattery, shows, boarding facility). Affected cats show large bowel diarrhea with occasional fresh blood and mucus. The stool is generally semi-formed to cow-pie in consistency, and malodor-

DIAGNOSIS The clinical signs may be very non-specific, and the first step is to rule out diseases that may present with a similar clinical picture. Important differentials that may cause chronic vomiting and/or diarrhea include diseases originating outside the GI tract such as hyperthyroidism, diabetes mellitus, chronic kidney disease, liver disease, pancreatitis, and heartworm disease must be ruled out as needed. This

TABLE 1 - Most common causes of chronic enteropathies in cats Disease process

Specific disease

Location

Parasitism

Helminths

SB, LB

Protozoa (T. foetus, Giardia, Cryptosporidium sp.)

Giardia, Cryptosporidium: SB and/or LB - T. foetus: LB

Food intolerance

SB and/or LB

Food allergy

SB and/or LB

IBD

Intestinal infiltration with various inflammatory cells

SB and/or LB

Neoplasia

Alimentary lymphoma

SB (occasionally with LB)

Enteric infections

FeLV, FIV, FIP, Campylobacter

SB and/or LB

Adverse food reaction

SB: small bowel; LB: large bowel

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often requires a minimal database consisting of CBC, chemistry profile, serum thyroxin concentration and abdominal imaging (particularly ultrasound). Adverse food reactions are a frequent cause of chronic gastrointestinal signs. Therefore it is strongly recommended to initiate an elimination trial using a novel protein or hydrolyzed peptide diet before contemplating more invasive diagnostic procedures if the condition of the cat permits. If the patient does not improve within 1-2 weeks, additional diagnostics or treatment should be considered. In outdoor cats and other cats may have been exposed to parasites (multicat households), use of a broad-spectrum parasiticide should be considered. Diagnosis of giardiasis using direct fecal smears (trophozoites) or sugar solutions and flotation (cysts) may be difficult. Immunotests detect Giardia cyst antigen in feces and are helpful diagnostic tools. For T. foetus infections, direct smears of fresh, unrefrigerated feces have a low sensitivity (14%). Trichomonad culture is more sensitive (use a commercially available culture pouch) after incubation at 37C for 2 days or at 25C for 12 days. However, PCR performed on a stool sample has the highest sensitivity of all diagnostic methods for T. foetus. When other diseases have been ruled out and IBD and/or lymphoma are the most likely differential diagnoses. Abdominal ultrasound may be useful in evaluating the thickness and architecture of the small intestinal wall as well as other organs such as liver and pancreas which may be concomitantly involved. Finally, it is necessary to obtain intestinal biopsies for proper histopathological evaluation to differentiate between lymphocytic low-grade alimentary lymphoma (LL) and IBD. Both endoscopic mucosal biopsies and surgical full thickness biopsies are appropriate, and each sampling method has its strengths and weaknesses.

Adverse reactions to food Highly digestible, novel protein or hydrolyzed peptide diets are ideal. Improved absorption results in improved nutrition, decreased substrate available to intestinal bacteria, and decreased luminal osmotic potential. Some diets contain added omega-3 fatty acids in an effort to decrease substrate for inflammatory prostaglandins and leukotrienes. The addition of probiotics may be a treatment option for cats with IBD. Although probiotics may influence the intestinal bacterial flora in cats there are currently no objective data supporting clinical benefit.

2) THE BAD AND THE UGLY IBD Diet: see above. Immunomodulators/Antimicrobials: Antimicrobials may be helpful in treating undiagnosed pathogens, or decreasing bacterial antigen that may play a part in driving the pathogenic inflammation. The most commonly used antimicrobial in feline IBD is metronidazole, which also inhibits cellmediated immunity. The recommended dosage is 10-15 mg/kg PO BID (a lower dose than what is used to treat giardiasis, see above). The therapeutic range of metronidazole in cats is narrow, and caution is warranted with prolonged use of the drug. Observed clinical side effects are mostly neurological. Anecdotally, tylosine has been used for the management of colonic IBD in cats at a dose of 4080mg/kg/day PO in two divided doses. Like metronidazole, it has been suggested that tylosine may have the added benefit of anti-inflammatory effects. In patients with mild disease, a 3-4 week antimicrobial trial may be instituted before starting immune-suppressive therapy. Immune-suppressive/anti-inflammatory drugs: Immune suppressive therapy is the mainstay of IBD treatment. It is best initiated when histological evidence of intestinal mucosal infiltration is available, but could also be the final option of the empirical treatment sequence. Prednisolone is administered at a dose of 4 mg/kg PO (once daily or divided into two daily doses) for 10 days. Then the dose is reduced by one-half every 10-14 days. The final goal is to maintain the cat on the lowest effective dose, or even to consider discontinuation of steroid treatment. If the owner is unable to pill the cat, methylprednisolone acetate can be used at 10mg/kg SC q2-4 weeks, and tapered to q4-8 weeks, although repository steroids do not appear to be very successful in the authors’ experience and may cause more side effects. Other immune suppressive drugs used in refractory cases include chlorambucil and cyclosporine. Chlorambucil, a nitrogen mustard derivative, is generally used alone or in combination with prednisolone at a dosage of 2 mg P.O. per cat every other day (in cats > 4 kg body weight) or every 3 days (in cats < 4 kg body weight) and then tapered to the lowest effective dose. A CBC should be checked every 2-4 weeks for signs of myelosuppression. Although there are no published reports of cyclosporine use in cats with IBD, the dose generally recommended is approximately 5 mg/kg once daily (25 mg/cat). A search for underlying infectious diseases such as toxoplasmosis, FeLV and FIV is recommended prior to use of immune suppressive agents.

THERAPY 1) THE GOOD Protozoal infections Giardiasis responds well to metronidazole 25 mg/kg given BID for 7 days. The efficacy of fenbendazole (50 mg/kg daily for 5 days) is probably lower. Giardiasis is a rare problem in individually held cats. However, effective treatment of cats in catteries or shelters with a Giardia problem also requires decontamination of the environment with quaternary ammonium solutions. Additionally, cats should be bathed to eliminate Giardia cysts present in their hair coat. Treatment of T. foetus infections is more problematic. The disease usually resolves spontaneously within 2 years in almost 90% of cats, even though many of them remain PCR positive for fecal T. foetus. Ronidazole can be used at 30 mg/kg PO once daily for 2 weeks. Informed consent should be obtained prior to initiating treatment, as the drug is not approved for use in cats. Moreover, neurological side effects have been reported in a significant proportion of treated cats.

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Vitamin supplementation - It has been demonstrated that cobalamin (vitamin B12) deficiency may be a consequence of gastrointestinal disease due to decreased absorption in the ileum.5 This can easily be confirmed by evaluation of serum cobalamin concentration. B12 deficient cats may experience a delayed recovery, or treatment failure after immune suppressive therapy. Cobalamin must be administered SC to these patients at a dosage of 250 mg S.C. per cat. The injections are given weekly for 6 weeks, then every other week for 6 weeks and finally at monthly intervals.

PROGNOSIS OF IBD AND LYMPHOMA In one study, 37/47 cats (80%) with IBD treated with diet and prednisone had a positive response to treatment. Most owners were satisfied, although clinical signs did not completely resolve. Cats with severe histological lesions or eosinophilic inflammation may be more difficult to manage. In addition, failure to respond to treatment may indicate refractory IBD or lymphoma. Owners must understand that feline IBD is a disease that is managed and often not cured. LL usually is characterized by a high response rate (7590%) with a survival of 2 years or longer. The prognosis of LBL is less good with a median survival of 6-7 months.

Lymphoma LL is the most common form of alimentary lymphoma in cats and commonly causes diffuse neoplastic infiltration of the small and/or large intestinal mucosa over large segments. It is best treated with a combination of prednisolone (5-10 mg/cat/day PO) and chlorambucil (see dosing above). Vitamin B12 supplementation is often necessary. Lymphoblastic lymphoma (LBL) is frequently associated with intestinal masses and signs suggestive of intestinal obstruction. The treatment usually requires surgical excision followed by a more involved chemotherapy protocol based on a combination of cyclophosphamide, doxorubicin, vincristine and prednisone.

REFERENCES They can be obtained upon request (fgaschen@lsu.edu) Address for correspondence: Frédéric P. Gaschen Louisiana State University School of Veterinary Medicine Baton Rouge, Louisiana, USA

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Management of Difficult Cases of Canine and Feline IBD Frédéric P. Gaschen Dr med vet, Dr habil, Dipl ACVIM (SAIM), Dipl ECVIM-CA, Louisiana, USA

OVERVIEW OF THE ISSUE

APPROACH OF DOGS AND CATS REFRACTORY TO PREDNISO(LO)NE TREATMENT

A diagnosis of canine or feline inflammatory bowel disease (IBD) is reached after many other causes of chronic enteropathies have been ruled out. The prognosis of canine IBD is fair to guarded. In a retrospective study from Scotland, only 21 of 81 (26%) dogs with IBD were in complete remission after immune-suppressive treatment, while intermittent clinical signs were still present in 40 (50%), and 10 (13%) had to be euthanized due to refractory disease. Response to treatment was even worse in a prospective study of 70 dogs with chronic intestinal diseases from Switzerland, 11/21 dogs diagnosed with IBD (52%) were refractory to immune-suppressive doses of steroids. Nine of those (82% of refractory dogs or 42% of all dogs with IBD) were eventually euthanized due to treatment failure. A low serum albumin (< 2 g/dL) and/or cobalamin concentration were shown to be negative prognostic factors. However, a recent prospective study from the USA reported a remission rate > 80% in dogs with IBD after 3 weeks of treatment with prednisone or a combination of prednisone and metronidazole. The situation may not be as difficult in cats with IBD for which success rates of up to 80% were reported following immune-suppressive steroid treatment. However, intercurrent illness or severe intestinal inflammation may represent a therapeutic challenge in the feline species as well. This presentation will focus on the best course of action after failure of immune-suppressive prednisone treatment and the other treatment modalities used in dogs and cats refractory to the first line of treatment.

Immune-suppressive treatment with prednisone (dog) or prednisolone (cat) requires doses of 2-4 mg/kg/day PO (many clinicians opt to use 1-2 mg/kg BID). If dexamethasone is used, one eight (1/8) of the prednisone dose should be administered to account for the higher potency of dexamethasone (i.e. 0.25-0.5 mg/kg/day PO, SC, IV) Generally, treatment failure should prompt the clinician to review the diagnosis and ascertain that no mistakes or erroneous assumptions were made in the diagnostic process. Only a subset of dogs and cats with chronic intestinal disease suffer from IBD, and a systematic elimination of other causes is required before IBD can be suspected. Intestinal parasites (nematodes and protozoa), adverse food reactions, antibiotic responsive disease, (dogs), and low-grade alimentary lymphoma (cat) are examples of diseases that must be ruled out. In dogs glucocorticoid-dependent hypoadrenocorticism may cause chronic intermittent GI signs similar to those of chronic enteropathies and must be ruled out (it responds well to prednisone treatment, but relapses when the treatment is discontinued). In some cases immune-suppressive predniso(lo)ne treatment is initiated without documentation of intestinal histopathology due to financial constraints on the owners’ side. If a steroid treatment trial fails, histologic evaluation of intestinal biopsies is strongly recommended. The biopsy specimen can be collected endoscopically or during an exploratory celiotomy – both methods have their own advantages and disadvantages. The most important justification for histology is to rule out a neoplastic infiltrate. It is also useful to evaluate the magnitude of the intestinal mucosal inflammation based on the severity and type of the infiltrate and on the severity of the architectural mucosal changes. Finally, refractory IBD patients must be examined thoroughly to detect intercurrent diseases that may be at the origin of the lack of response to treatment. A significant proportion of cats and dogs with IBD may develop hypocobalaminemia due to involvement of the distal jejunum and ileum. Cobalamin deficiency negatively impacts numerous

OBJECTIVES OF THE PRESENTATION - To review possible cause for treatment failure in dogs and cats with IBD - To discuss available options for treatment of IBD cases refractory to immune-suppressive prednisone therapy

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otic responsive diarrhea and may have some immune-modulating effects on the intestinal mucosa. However, in a recent randomized controlled trial, dogs with IBD treated with prednisone and metronidazole did not have a better outcome than those treated with prednisone alone. Fluoroquinolones (e.g. enrofloxacin 10 mg/kg PO daily) are used in the treatment of histicoytic ulcerative colitis (HUC), a disease affecting mostly boxer dogs. HUC is due to an infection with entero-invasive E. coli that cannot be efficiently cleared by the dog’s macrophages. In cats with IBD, mucosa-associated bacteria (including Enterobacteriaceae and Clostridia) correlated with the severity of histological lesions and the number of clinical signs exhibited. Based on this information, cats with steroid-refractory IBD may benefit from treatment with fluoroquinolones. However there is no data to support this hypothesis and the potential side effects of enrofloxacin in cats must be considered before initiating treatment. Thiopurines: azathroprine may be used in dogs with steroid-refractory IBD, and in those that relapse when prednisone treatment is weaned off. It may also be combined to prednisone in the initial treatment of severe cases of IBD. The drug is generally well tolerated, but side effects include bone marrow suppression, hepatotoxicity and pancreatitis. Regular monitoring of CBC and biochemistry profile is advisable during the first weeks-months of treatment. The initial dose is 2 mg/kg daily for 3 weeks, then 1-2 mg/kg every 48 h. Up to 3 weeks of treatment may be necessary for the drug to reach maximal effect. Alkylating agents: chlorambucil is used with good success in conjunction with prednisolone in cats with low grade (small cell) alimentary lymphoma. It is a good addition to steroid treatment in cats with refractory IBD, and the dose is 2 mg/cat PO every 48 to 72 h. Side effects are rare and include bone marrow suppression. A CBC should be performed after a few weeks of treatment and repeated every 23 months or if the cat’s condition deteriorates (look for neutropenia). Cyclosporine is an inhibitor of T-cell function. In a 2006 study, pharmacokinetics of cyclosporine in dogs with IBD were not significantly different from those of normal dogs. Fourteen dogs with steroid-refractory IBD were enrolled, and 8 dogs (57%) went into complete remission within 4 weeks of cyclosporine treatment (5 mg/kg PO once daily). Additionally, 3 dogs experienced partial remission while 2 dogs did not respond and were euthanized. Furthermore, one dog relapsed after 14 weeks of initially successful treatment. Transient adverse effects were seen during the first 2 weeks of treatment in 5 dogs and included vomiting and loss of appetite in 4 dogs and hair coat changes and gingival hyperplasia in 1 dog. Most side effects responded to temporary discontinuation followed by dose-reduction. Cyclosporine treatment was discontinued in 8 of the 11 responders, which subsequently remained free of clinical signs. The owners of the remaining 3 dogs elected to continue treatment for several additional months, and the dogs remained apparently healthy. Cyclosporine has been anecdotically given to cats with refractory IBD as well with success (5 mg/kg once to twice daily).

processes in the intermediary metabolism and may cause a delayed or lacking response to immune-suppressive treatment. Subcutaneous supplementation is essential in these animals. The weekly cobalamin doses range from 250 μg for cats to 250-1500 μg for dogs (depending on the size). Furthermore, concomitant inflammation of the biliary tree and pancreas may be observed in cats with IBD (triaditis syndrome). Additional evaluation of liver and pancreas using CBC, chemistry profile, abdominal ultrasound, cytological evaluation of fine needle aspirates, pancreatic lipase immunoreactivity etc. may be necessary. Finally, histoplasmosis is a systemic fungal disease that may cause clinical signs of chronic enteropathy in dogs. Cytological evaluation of rectal scrapings or ultrasound-guided aspirates of enlarged mesenteric lymph nodes may show organismsladen macrophages. The use of clinical scoring systems to evaluate the severity of disease and the response to treatment may be valuable in difficult cases of canine or feline IBD. Two systems have been proposed for dogs. They compute data from the history and physical exam (CIBDAI – max 18 points) as well serum albumin (CCECAI – max 27 points) to grade the severity of disease. CIBDAI score > 9 or CCECAI score > 12 predicted negative outcome in one study. A similar system has recently been developed for cats as well which combines data from history and physical exam with endoscopic lesions, total serum protein and phosphorous concentrations as well as serum activity of ALT and ALP (FCEAI – max. 19 points).

DRUG THERAPY OF REFRACTORY IBD CASES Chronic immunosuppression may make dogs and cats more susceptible to developing severe infections after contact with pathogens or opportunistic pathogens. Few of the drugs mentioned below have been approved for use in canine or feline IBD. Other corticosteroids: budesonide is used by numerous clinicians to treat IBD. In humans, the drug is known to be locally efficient and undergo high first pass hepatic metabolism. Therefore, systemic complications of steroid treatment are less likely. However, it has been shown that the drug significantly influences the pituitary-adrenal axis in dogs. To date, budesonide use in dogs or in cats with IBD has not been evaluated critically and only anecdotical reports are available. Furthermore, there is no data on the pharmacokinetics of the drug in pets. The recommended doses are 0.5-3 mg/dog daily (depending on the dog’s size) and 0.5-1 mg/cat once daily. The drug must be re-formulated by a compounding pharmacist for use in cats and small dogs. Concurrent use with predniso(lo)ne is not recommended. Antimicrobials: based on our current understanding, the intestinal flora and its interactions with the innate immune system play a central role in the pathogenesis of IBD. Modification of the intestinal microbiome with antimicrobials is therefore a logical choice in the treatment of IBD. Metronidazole is an antimicrobial effective against many obligate anaerobes. It is used successfully in the treatment of antibi-

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Other immunosuppressive drugs such as mycophenylate mofetil, methotrexate and leflunomide have been used to treat immune-mediated or autoimmune diseases in dogs. Due to lack of data and possible side effects on the intestinal mucosa, their use for treatment of IBD in dogs cannot be recommended at this time. Special dietary therapy: management of dogs with severe IBD including cases associated with significant protein loss (secondary protein-losing enteropathy or PLE) may be a serious challenge, particularly when their appetite is decreased. Elemental diets that only contain free amino acids (including glutamine), carbohydrates and reduced fat administered via feeding tube provide the necessary nutrients with minimal risk of disease flare up (e.g. Vivonex TEN®, Peptamen HN®). Attention should be paid to the osmolality of the product. There are currently no reports documenting the benefits of this dietary treatment in pets.

CONCLUSION The morbidity and treatment failure rate in canine or feline IBD is not negligible. Reevaluation of the patient is the 1st step in the response to treatment failure. The objectives are to confirm the diagnosis of IBD and the lack of intercurrent diseases. A variety of treatment options are available for difficult cases of IBD in dogs and cats. However, the information available about many of these modalities is purely anecdotic and rigorous scientific studies are needed to identify the better options.

SELECTED REFERENCES Can be obtained from the author upon request (fgaschen@lsu.edu)

Address for correspondence: Frédéric P. Gaschen - Louisiana State University School of Veterinary Medicine - Baton Rouge, Louisiana, USA

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Ultrasonography and Radiography of Acute Gastrointestinal Disease Lorrie Gaschen DVM, PhD, Dr Med Vet, Dipl ECVDI, Louisiana (USA)

(mechanical) and functional. Obstructive ileus may be partial or complete. Partial Obstructions. Patients with partial obstructions tend to have a more chronic course of intermittent vomiting and diarrhea. Common causes include foreign bodies and strictures. Fasted (>12 hours) or anorectic animals should not have small bowel segments containing granular material resembling that of food content radiographically. Granular or more opaque small bowel contents may be detected in partial obstructions. The intestines in such cases may be mildly dilated (1-1.5 times the width of the second lumbar vertebral body) proximal to the obstruction or may even be of normal diameter. Because partial obstructions may be more difficult to diagnose radiographically than complete obstructions, complementary imaging procedures such as barium studies or ultrasound are often necessary for the diagnosis. Complete Obstructions. More severe dilation, usually with air, is seen in complete obstructions. The location of the obstruction can be either intraluminal (foreign bodies), extraluminal (adhesions, herniation, intussuceptions), or intramural (neoplastic wall infiltrations, granulomas). Dilation (1.5-2 times the width of the body of L2) is seen proximal to the site of obstruction and the segments distal to it usually appear empty and contracted. Due to this, the jejunal segments appear to have many varied diameters, some very dilated, others empty or small. This is due to the continued peristaltic activity in the distal segments. The dilated segments are often referred to as “sentinel loops”. Proximal duodenal or pyloric obstructions may show no radiographic abnormalities. Moreover, the entire gastrointestinal tract may actually appear completely empty after some hours due to recurrent vomiting. Functional Ileus. Another form of ileus that can be detected is a generalized and uniform mild intestinal dilation due to lack of peristaltic activity. This is known as adynamic, functional or paralytic ileus and results from an inhibtion of bowel motility. Functional ileus results in obstruction since the intestinal contents pool in the dependent areas of the gastrointestinal tract. Such an adynamic intestinal pattern can be due to the administration of pharmaceutical agents such as parasympatholytics and sedatives. Other causes are peritonitis, blunt abdominal trauma, electrolyte imbalance and enteritis of various causes.

INTRODUCTION Acute vomiting and diarrhea are two of the most common reasons that dogs and cats are presented to veterinarians. In addition to the clinical examination and laboratory database, survey radiographs and ultrasound are important diagnostic methods in dogs and cats with both vomiting and diarrhea. In patients with vomiting, radiography is important for rapid detection of bowel displacement and distension as well as for radiopaque foreign bodies. Both lateral and ventrodorsal radiographs should be performed. Dependent upon the radiographic findings, a combination of sonography and endoscopy may also be indicated. Sonography plays an ever increasingly important role in modern protocols for working up patients with acute gastrointestinal disorders. High frequency ultrasound probes (7.5 MHz and higher) are required to adequately assess the bowel walls. Both curved-array and linear-array probes can be used to examine the gastrointestinal tract of dogs and cats. For larger breed dogs, lower frequency, curved-array probes (5MHz) may be necessary to investigate the stomach. Linear-array probes are optimal for examining the small intestine in both dogs and cats. Sonography should always be performed prior to both endoscopy and barium contrast studies since both barium and intraluminal air will elicit artifacts that prohibit good visualization of the bowel wall with ultrasound.

ILEUS Ileus is a failure of intestinal contents to be transported and is recognized radiographically by the presence of dilated bowel segments. Survey abdominal radiographs should always be performed in vomiting animals suspected of having an ileus. Ultrasound alone in such instances does not allow a global view of the abdomen, is much more time-consuming and non-gastrointestinal causes of the dog’s clinical signs as well as any secondary abnormalities may be overlooked. The radiographic appearance of ileus is dependent on its duration, location and degree of obstruction. Acute or very proximal obstructions may show little intestinal dilation radiographically whereas chronic or more distally located ones will show more generalized dilation of the small intestines. The two major types of ileus are obstructive

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Detecting ileus with ultrasound. When abdominal radiographic findings are unclear, an obstruction cannot be ruled out or the radiographic findings do not explain the severity of the clinical signs, further diagnostic procedures are warranted. Ultrasonography has the advantage that it does not require ionizing radiation and can be used to inspect the small intestines for wall layering, thickness, dilation, peristalsis as well as for intraluminal, intramural, and extraluminal causes of obstruction. Lack of peristalsis occurring together with generalized dilation of the small intestines can be seen with functional ileus. Contractions can be observed in twodimensional real time imaging and approximately 5 contractions per minute is considered normal for the stomach and 13 for the small intestine. Radiolucent intestinal foreign bodies may be detected by ultrasound, especially when they cause mechanical obstruction. Solid material generally appears as a hyperechoic interface which casts an acoustic shadow from the intestinal lumen. Balls will have a round or curvalinear surface, peach pits are irregular, and bones generally have a smooth regular surface. Linear foreign bodies can sometimes be identified in plicated segments of small bowel. Foreign bodies tend to remain fixed in the same position and examinations repeated a short time later show that they have not moved. The finding of severe dilation of one or more segments of jejunum and the stomach together with empty, contracted bowel segments distally may indicate complete or partial obstruction. Care should be taken not to misinterpret a gasliquid interface in dilated bowel segments. These appear as linear, hyperechoic intraluminal structures with acoustic shadowing. However, the bowel will often have a similar diameter proximally and distally to this artefact. This is usually not the case with intraluminal foreign bodies causing obstruction. Localized mural infiltrations due to inflammation or neoplasia can slowly narrow the intestinal lumen. Some degree of intestinal dilation is present and solid foreign material such as small stones can collect proximal to the stricture. Ultrasonographically, neoplastic infiltrates produce intestinal wall thickening often with a loss of wall layering. Lymphoma is the most common intestinal tumor in cats but also occurs frequently in dogs. It commonly leads to either a symmetrical or asymmetrical, transmural, circumferential thickening. The wall layers are difficult to identify and the entire wall appears hypo- to anechoic. The infiltration of the intestinal wall may be solitary, diffuse, or multifocal and regional lymph nodes may be enlarged. Complete intestinal obstructions often do not occur. Intestinal carcinoma often produces a solitary intestinal mass as can polyps, leiomyomas, or leiomyosarcomas. Carcinomas tend to be annular, irregular infiltrations that invade the lumen and cause obstructions. Regional lymphadenopathy can also common-

ly be identified. Granulomatous infiltrations due to fungal infections may also cause diffuse or focal infiltration of the bowel wall and are difficult to distinguish from neoplasia ultrasonographically. Histoplasmosis, for example, can produce localized and severe wall infiltrations that resemble lymphoma. Jejunal smooth muscle hypertrophy has also been described in the cat and can also cause focal wall thickening but with maintenance wall layering is maintained. Because ultrasonographic appearance of the bowel wall alone is not sufficient for a definitive diagnosis, either full thickness biopsies, ultrasound-guided percutaneous biopsies, or fine-needle aspirates of the bowel wall are required for a definitive diagnosis. Complicated ileus. Complicated forms of ileus include bowel perforation with peritonitis, free air in the abdominal cavity, bowel ischemia due to thromboembolism, intussusception, or volvolus at the root of the mesentery. Linear foreign bodies can also lead to a complicated form of ileus. The presence of pneumoperitoneum together with abdominal effusion on an abdominal radiograph should alert the clinician that bowel perforation has occurred. The detection of free intraabdominal air may require the use of ventrodorsal horizontal beam radiography with the patient in left lateral recumbency. Free air can be detected just under the right abdominal wall and lateral to the duodenum. Volvulus or mesenteric thromboembolism are recognized by the presence of generalized, severely dilated and air-filled jejunal segments. Linear foreign bodies produce characteristic changes on abdominal radiographs in both cats and dogs. The small intestinal loops appear convoluted and gathered or clumped together at one site, usually in the mid-right abdomen and intraluminal gas bubbles appear asymmetrical and irregularly shaped. Ultrasonographically, the small intestinal segments will appear gathered up and the linear foreign material binding them together may be visualized in some cases. The surrounding mesenterium should be examined for increased echogenicity and free fluid, which could be indicative of rupture. Intestinal intussusception can usually be quickly diagnosed with ultrasound. Multilayered, concentric rings of bowel can be identified. The outer bowel segment is often thickened, edematous and hypoechoic. More normal appearing inner segments can be identified. Hyperechoic tissue representing invaginated mesenteric fat may also be detected. In older animals, careful examination of the affected bowel for nodular infiltrations of the bowel wall and regional lymphadenomegaly is important since underlying neoplastic disease may be responsible for the intussusception. Address for correspondence: Lorrie Gaschen Professor, Section of Diagnostic Imaging, Louisiana State University, Baton Rouge, USA

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Role of Radiography in Chronic Gastrointestinal Disease Lorrie Gaschen DVM, PhD, Dr Med Vet, Dipl ECVDI, Louisiana (USA)

Chronic gastrointestinal diseases may affect the esophagus, stomach and large and small intestines. Although abdominal sonography has replaced many radiographic techniques, the abdominal radiograph is still important in dogs and cats with chronic gastrointestinal disease. Abdominal radiographs can allow rapid detection of radiopaque foreign material within the esophagus, stomach or small intestine and determine if partial or complete obstruction is present. Masses involving the esophagus, stomach or intestine can be identified if large enough. Positive contrast studies are often necessary to detect disease in the esophagus, stomach or small intestines if survey radiographs are negative in animals with regurgitation, vomiting or chronic weight loss.

DIAGNOSIS OF DELAYED GASTRIC EMPTYING Chronic pyloric obstruction occurs either due to narrowing of the lumen due to wall infiltration or mechanical blockage of the orifice. Survey radiographs usually show some degree of gastric distention. Barium studies may help to identify pyloric obstructive disease. However, differentiating hypertrophic pyloric stenosis, from inflammatory infiltrates or neoplasia is often difficult since they all lead to narrowing of the pyloric orifice due to annular thickening, and appear similar radiographically. Detecting intraluminal filling defects at the pylorus is also possible. These may be due to foreign bodies, polyps, or severe inflammatory infiltrates and neoplasms. Gastric neoplasia is generally only diagnosed on survey radiographs when it is large enough and when the proliferative tissue is projected into the air-filled lumen. Lack of air in the stomach may cause mural lesions to be overlooked. Diffuse stomach wall infiltrations are even more difficult to diagnose radiographically. Mechanical obstruction due to pyloric foreign body, gastric neoplasia, pyloric hypertrophy, antral mucosal hypertrophy, and antral polyps can generally be ruled out with a combination of radiography, ultrasound, and endoscopy. The diagnosis of other causes of delayed gastric emptying can be more difficult. Sequential radiographic imaging methods are often required. These can be time consuming and require restraint or sedation, both of which can potentially affect the results. Radiographic methods employ either indigestible radiopaque markers, barium meals, or liquid contrast agents (barium or iodine-containing). Radioscintigraphy is now considered the method of choice for detection of delayed gastric emptying. However, it has been shown that water intake, meal size, food type (dry vs. canned) and kibble shape influence the rate of gastric emptying in cats. The rate of gastric emptying in normal animals depends mainly on the state of filling of the stomach and the type of contrast medium used as well as stress and sedation. Animals should be kept in a quiet environment during the study and should not be sedated if possible. Iodine containing contrast media have a much more rapid passage time than barium sulfate. Furthermore, a low dose of contrast medium may lead to longer emptying times. The dose of barium suspensions is 6

CHRONIC REGURGITATION Chronic diseases of the esophagus that lead to regurgitation, weight loss and respiratory diseases include megaesophagus, stricture, neoplasia, hiatal hernias and fistula and diverticulum formation. Esophagography with barium sulfate creams or suspensions are indicated when esophageal disease is suspected and survey thoracic radiographs are unremarkable. Generalized megaesophagus can be visualized by the presence of a dilated, gas-filled lumen along the entire length of the esophagus on survey radiographs. The tracheal stripe sign is present due to superimposition of esophageal and tracheal walls and the longus colli muscle ventral to the 5th and 6th thoracic vertebrae. The caudodorsal thorax may also appear hyperlucent due to the presence of air in the esophagus. Differential diagnoses for generalized dilation of the esophagus are numerous. In young animals it is most commonly idiopathic. In adults, central nervous system and neuromuscular disorders, such as myasthenia gravis, feline dysautonomia, polyneuritis, or polymyositis are more likely to be the cause. Endocrinopathies such as hypothyroidism or hypoadrenocorticism and toxicities, trauma, tetanus, and thymoma are additional differential diagnoses. Mechanical causes of generalized dilation can be due to foreign bodies and strictures located either intraluminally, murally, or periesophageally.

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ml/kg in dogs and 10 ml/kg in cats and should be administered when the stomach is empty. Barium sulfate should be present in the duodenum by 15 minutes in the dog and by 5 minutes in the cat. The stomach should be free of barium after 1 to 4 hours in the dog and after 20 minutes in the cat. The presence of food in the stomach prior to the examination will delay gastric emptying for up to 15 hours or even more (longer for dry than moist food).

tion (1.5-2 times the width of the body of L2) is seen proximal to the site of obstruction and the segments distal to it usually appear empty and contracted. Due to this, the jejunal segments appear to have highly variable diameters. This is due to the continued peristaltic activity in the distal segments. Feces may still be present in the colon depending on the duration of the obstruction. Proximal duodenal or pyloric obstructions may show no radiographic abnormalities. Distal jejunal obstructions may cause generalized dilation and resemble a functional ileus radiographically. Functional ileus. Another form of ileus that can be detected is a generalized and uniform mild intestinal dilation due to lack of peristaltic activity is seen radiographically. This is known as adynamic, functional, or paralytic ileus. Functional ileus results in obstruction since the intestinal contents pool in the dependent areas of the gastrointestinal tract. It may affect the stomach, small, and large bowel. Radiographically, the bowel segments may have a homogeneous soft tissue opacity when they are fluid filled or a mixed pattern of air and fluid may also be present. Such an adynamic intestinal pattern can be due to the administration of pharmaceutical agents such as parasympatholytics or sedatives. Other causes are peritonitis, blunt abdominal trauma, electrolyte imbalance, or enteritis of various causes. Dysautonomia is a disorder of the autonomic nervous system that can also lead to generalized dilation of the gastrointestinal tract in both dogs and cats. A complete obstruction in the distal jejunum or ileocecal level may also lead to the same radiographic appearance. Decreased peristalsis may be limited to the duodenum in the presence of pancreatitis.

SMALL INTESTINAL ILEUS Ileus is a failure of intestinal contents to be transported and is recognized radiographically by the presence of dilated bowel segments. Survey abdominal radiographs should always be performed in animals suspected of having an ileus. Ultrasound alone in such instances does not allow a global view of the abdomen, is much more time-consuming, and non-gastrointestinal causes of the dog’s clinical signs as well as any secondary abnormalities may be overlooked. The radiographic appearance of ileus is dependent on its duration, location, and type. Acute or very proximal obstructions may show little intestinal dilation radiographically whereas chronic or more distally located obstructions will show more severely dilated bowel segments. The two major types of ileus are obstructive (mechanical) and functional. Obstructive ileus may be partial or complete and be due to foreign bodies, torsion, volvulus, herniation causing strangulation, intussusception, adhesions, granulomas and neoplasms. Barium passage through the small intestines can be used to identify intraluminal, mural, or extramural obstructive and non- or partially obstructive lesions. However, it is a lengthy procedure and depending on the technique and experience of the clinician, may be difficult to interpret. Barium is also contraindicated prior to endoscopy or ultrasound, as it causes significant attenuation of sound and acoustic shadowing. Chronic, partial obstructions. Fasted (>12 hours) or anorectic animals should not have small bowel segments containing granular material resembling that of food content. Granular or more opaque small bowel contents may be detected in partial obstructions. The intestines in such cases may be mildly dilated (1-1.5 times the width of the second lumbar vertebral body) proximal to the obstruction or of normal diameter. Because fluid passes through the narrowed lumen, the contents remaining proximal to the partial obstruction become more dense and, therefore, radiographically more opaque. Complete obstructions. More severe dilation, usually with air, is seen in patients with complete obstructions. Dila-

REFERENCES Wyse CA, McLellan J, Dickie AM, Sutton DG, Preston T, Yam PS. A review of methods for assessment of the rate of gastric emptying in the dog and cat: 1898-2002. J Vet Intern Med 2003;17(5):609-621. Goggin JM, Hoskinson JJ, Kirk CA, Jewell D, Butine MD. Comparison of gastric emptying times in healthy cats simultaneously evaluated with radiopaque markers and nuclear scintigraphy. Veterinary Radiology & Ultrasound 1999;40(1):89-95. Agut A, Sanchezvalverde MA, Torrecillas FE, Murciano J, Laredo FG. Iohexol As A Gastrointestinal Contrast-Medium in the Cat. Veterinary Radiology & Ultrasound 1994;35(3):164-168. Lester NV, Roberts GD, Newell SM, Graham JP, Hartless CS. Assessment of barium impregnated polyethylene spheres (BIPS (R)) as a measure of solid-phase gastric emptying in normal dogs-comparison to scintigraphy. Veterinary Radiology & Ultrasound 1999;40(5):465-471.

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Radiography and Ultrasonography of Chronic Large Bowel Disease Lorrie Gaschen DVM, PhD, Dr Med Vet, Dipl ECVDI, Louisiana (USA)

increased soft tissue opacities caudally. Irregular or linear lucencies may be observed. If the ascending, transverse or descending colon is affected, loss of abdominal detail and free air may be identified radiographically. The perforated colon can potentially develop stricture, a diverticulum or stricture. Colorectal diverticula are rarely reported in dogs. Diverticula are due to tears in the muscular layer of the colon that allow the mucosa and submucosal to protrude through the defect. They can occur secondarily to perineal hernia or due to trauma and straining. Vaginorectal, urethrorectal and rectocutaneous fistulas have been described. Both diverticula and fistulas can be diagnosed by endoscopy or positive contrast studies. Fistula can be diagnosed by demonstrating a connection with positive contrast between the colon and the vagina, urethra or skin.

INTRODUCTION Constipation and diarrhea are the most common signs of large intestinal disease. Dietary, infectious and parasitic diseases are the most common causes of large bowel diarrhea in dogs. Survey radiographs are still important for recognizing situations where endoscopy might not be feasible such as with obstipation. Strictures may also prevent passage of the endoscope and contrast radiography may be the only means of diagnosing the extent and nature of disease. Ultrasound has also replaced much of the use of contrast radiography and is complimentary to survey radiography. The colon wall thickness and layering can be assessed in the near field of the transducer. The regional lymph nodes can also be examined which can be important for determining the extent of some lesions. Cross-sectional imaging of the large intestine can be advantageous especially for the intrapelvic portion. Dogs and cats with fecal incontinence may also benefit from cross-sectional imaging, either CT or MRI in order to examine the spinal cord and cauda equine. Sonographically, only the wall closest to the transducer can be clearly identified when artifacts due to gas and feces are present. The layers are much thinner than the small intestine and all of approximately equal thickness. Peristalsis is not detectable as in the small intestines. Wall thickness is approximately 2 mm or less in dogs and 1.7mm or less in cats, but will appear thicker or thinner based on the degree of distension. The wall of the empty colon will have a very irregular appearance which can be mistaken for infiltration or thickening.

ILEUS Megacolon is due to hypomotility and dilation of the colon resulting in constipation and obstipation. Common causes of megacolon include idiopathic, chronic constipation, nutritional or metabolic or mechanical. Idiopathic megacolon occurs more commonly in cats. Neurologic diseases include spinal cord disease (cauda equine syndrome, sacrococcygeal agenesis in Manx cats, dysautonomia and Hirschsprung’s disease). Radiographically, it is difficult to differentiate constipation and obstipation from megacolon. Distension of the colon can be recognized radiographically when its diameter is greater than three times that of the small intestines or greater than the length of L7. The opacity of the contents changes when long-standing obstipation and obstruction are present. The fecal balls will appear to have a bony or near-bony opacity. Rectal and anal strictures can occur secondarily to trauma, chronic inflammation and neoplasia and cause dilation of the colon. Contrast radiography can nicely show the length of the stricture, even if intrapelvic, an advantage over ultrasound. Ultrasound, however can better demonstrate the perirectal tissues in order to rule out a mass. Demonstration of a mass with lymphadenopathy makes neoplasia a likely diagnosis. Ultrasound can be performed from a perianal approach and guided tissue sampling can be performed.

ULCERS AND PERFORATION AND DIVERTICULUM FORMATION Colonic and rectal perforation has been described in dogs. It can occur following steroid therapy, dehiscence following colonic surgery, perforating foreign body, neoplasia and trauma. Depending on the site of perforation, either peritonitis or retroperitoneal loss of detail with free air may be observed. If the anus or rectum is involved, lucent striations may be present along the wall. Communication with the retroperitoneal space is possible with focal

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In patients with colitis the colon may or may not be distended. The fluid-filled colon will appear homogeneously soft tissue opaque, possibly with some gas bubbles. Other findings include a generalized gas-filled lumen. Occasionally emphysematous changes of the wall can be identified in patients with gas producing bacterial infections. Radiographically this appears as a lucent border at the serosal surface of the colon wall. Positive contrast examination in patients with severe colitis may show multifocal extension of the barium into the mucosa which can also be seen with diffuse neoplasia. In ulcerative colitis, an irregular mucosal-barium interface with extension of barium into the thickened colon wall can be observed. Because of the non-specific nature of this finding, histology is always required to make a definitive diagnosis. In chronic inflammatory disease, the colon length may actually become shortened. The colon may also have a corrugated appearance due to spasticity which does not resolve on repeat radiographs. This appearance can occur simply due to the administration of barium. Sonographically, the colon can be evaluated for wall thickening and loss of layering as well as regional lymphadenopathy, an advantage over survey radiography. Diffuse inflammatory bowel disease (IBD) with lymphocytic plasmacytic infiltration cannot always be detected sonographically. In IBD the wall layering is often preserved and normal to mild wall thickening may occur. Severe diffuse thickening of the colon wall may occur in ulcerative colitis, fungal infections and diffuse neoplastic processes such as lymphoma. The wall can be more than 8mm thick in cats with colonic adenocarcinomas

FOCAL WALL THICKENING Colorectal neoplasia such as polyps and carcinomas occur and usually lead to focal nodules or masses. Focal masses may also be due to benign polyps or granulomas. Adenocarcinomas generally cause a circumferential and focal thickening of the colon with stricture. Lymphosarcoma can also affect the large intestine and may appear focal or diffuse. Both carcinomas and lymphosarcomas occur in dogs and cats. Adenocarcinoma is the most common in cats with lymphosarcoma second. Leiomyosarcoma can also be found in the large intestine and has been described in the cecum. Depending on their size, masses may be difficult to identify on survey radiographs. Often there is air surrounding the lesion protruding into the lumen making it readily visible. Pneumocolonograms can be used to show soft tissue masses and strictures. If the mass is creating a stricture, the colon is often dilated cranial to it. In either negative or positive contrast studies, the wall of the colon is usually irregular and positive contrast may extend into the lesion when neoplasia is present. Strictures due to non-neoplastic causes or extramural compression generally maintain a smooth mucosal surface against the barium contrast. Ultrasound is currently the method of choice for diagnosing large intestinal tumors. Survey and contrast radiographs are frequently non-specific whereas ultrasound can show can show the exact location and extent of the mass. Limitations of ultrasound include intrapelvic lesions. Neoplastic masses generally cause disruption of the normal wall layering and the lumen can appear asymmetric and irregular. Mineralization may also be present and appear as multifocal hyperechoic structures with acoustic shadowing. Lymphoma generally has a very hypoechoic appearance of the thickened wall. However, mast cell infiltration and leiomyosarcomas can appear similarly. Both fungal and neoplastic disease can lead to focal masses and the ultrasonographic appearance is too non-specific to distinguish the two. Biopsies for histology are always required for a definitive diagnosis. The sublumbar lymph nodes are often enlarged and can be rounded and hypoechoic when colonic neoplasia is present. However, fungal infection can lead to lymphadenopathy also. Ultrasound-guided fine-needle aspiration with a 25gauge needle can be performed to obtain a cytologic diagnosis of intestinal masses.

REFERENCES

DIFFUSE THICKENING

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Neoplastic, inflammatory and infectious diseases can cause diffuse colon wall thickening. Inflammatory bowel disease (IBD), lymphosarcoma, pythiosis and histoplasmosis can lead to similar radiographic changes. However, wall thickening is typically not identified on survey radiographs.

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Ultrasonography of the Stomach for Chronic Vomiting Lorrie Gaschen DVM, PhD, Dr Med Vet, Dipl ECVDI, Louisiana (USA)

many ultrasonographic features of inflammatory disease but may include mineralization of the gastric wall. The mineralization is often diffuse and appears as a hyperechoic layer at the gastric mucosa. Gastric mucosal biopsy is required for a diagnosis due to the lack of specificity of ultrasound for differentiating benign from malignant disease. The following are ultrasonographic findings that can be associated with pyloric outflow obstruction: • Abnormal gastric contact with fluid and gas layers in the non-dependent portion and particulate matter in the dependent portion • Contractions that do not propel the content into the duodenum • Circumferential thickened of the antral or pyloric wall • Wall-associated mass at the antrum, pylorus or proximal duodenum • Extraluminal mass compressing the antrum or pylorus • Intraluminal foreign body obstructing the pylorus or proximal duodenum Gastric neoplasia typically leads to wall thickening and loss of layering, much like fungal infiltration. Neoplasms can also be pedunculated and protrude into the lumen, even causing obstruction of the pylorus. Leiomyoma, leiomyosarcoma, carcinoma and lymphosarcoma are the most common types of gastric neoplasia. Lymphoma appears characteristically as focal or diffuse transmural thickening with a hypoechoic wall with loss of wall layering and regional lymphadenopathy. Lymph nodes can become so large that they create a mid-abdominal mass. Gastric carcinoma leads to altered wall layering that appears as thick alternating hypo and hyperechoic layers and has been referred to as pseudolayering. The gastroduodenal junction should be examined ultrasonographically in vomiting dogs. Congenital hypertrophic pyloric stenosis and chronic hypertrophic gastropathy have a similar ultrasonographic appearance. Circumferential thickening (> 3 mm) of the muscularis layer can be recognized by a hypoechoic layer that appears like a ring in cross-section. In chronic hypertrophic gastritis the mucosa can also be thickened. The strong peristaltic contractions against the thickened pylorus can also be observed. These contractions fail to propel food through the pylorus and a reflux movement of the gastric contents can be seen and recorded on videotape or digital clips.

GASTRIC CAUSES OF CHRONIC VOMITING Primary gastric causes of chronic vomiting include diffuse inflammatory infiltration, neoplasia, foreign body, polyps, ulcers, pyloric hypertrophy, and delayed gastric emptying. Their diagnosis can be challenging and often requires a combination of radiography, ultrasound, and endoscopy. Thickening of the stomach wall is commonly associated with chronic vomiting and is probably one of the most commonly over-interpreted findings on survey radiographs. Because both negative and positive contrast radiographic studies of the stomach are very time consuming and can be difficult to interpret, currently, ultrasound and endoscopy are the methods of choice for imaging the stomach wall. Ultrasonographically, thickening of the stomach wall can be characterized as focal or diffuse, concentric or asymmetric. Attention to technique is necessary since oblique scanning of the stomach wall may lead to an artificially increased thickness and disruption of wall layering. Therefore, scanning in multiple planes perpendicular to the stomach wall is necessary to avoid this error. Focal thickening with disrupted wall layering may be caused by neoplasia, granulomas, and ulcers. Generalized thickening is more commonly seen with inflammatory disease but can also occur with diffuse neoplastic infiltration. Ultrasonographic changes are generally diffuse with wall thickening but no loss of wall layering. Thickening of the gastric wall is considered to be present when the wall thickness is greater than 5 mm in dogs and 3 mm in cats. Gastric wall thickening can occur with gastritis, edema, neoplasia, fungal disease, congenital hypertrophic pyloric stenosis and chronic pyloric hypertrophic gastropathy. Although ultrasonography is sensitive to gastric wall thickening, it lacks specificity. Therefore, gastric biopsy is required for a definitive diagnosis. Inflammatory diseases of the stomach include chronic gastritis due to diseases such as eosinophilic, lymphocytic and uremic gastritis. The stomach is usually distended with decreased peristaltic activity and fluid accumulation. The rugal folds may appear enlarged and blunted. Dogs with hypoproteinemia due to protein-losing enteropathy, may develop gastric wall edema. The gastric wall is usually thickened with rounded rugal folds which may also have altered wall layers. Uremic gastropathy has

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Gastric ulcers will lead to disruption of the mucosal surface and they usually cannot be diagnosed using survey radiographs alone. Their diagnosis requires a radiographic contrast study, ultrasound, or endoscopy. It is important to remember that ulceration of the stomach wall has various causes and that the stomach wall should be thoroughly investigated, preferably with ultrasound, for evidence of underlying disease. Ultrasonographically, benign ulcers appear as a localized wall thickening. Mucosal craters with an irregular surface and the adherence of gas bubbles may also be detected. Unfortunately, the presence of air, food, or lack of ultrasound beam penetration in large or obese dogs may make their detection difficult. Benign ulcers may appear similar to those associated with neoplasms. When the thickened stomach wall shows a loss of wall layering gastric neoplasia should be suspected. Ultrasound is used to identify non-radiopaque foreign bodies, pyloric hypertrophy or wall-associated masses that are obstructing gastric outflow. The pyloric region in dogs can be very difficult to visualize sonographically and often depends on the conformation of the patient. In cats, it is can be consistently identified. In most instances, foreign bodies have a hyperechoic surface with a strong acoustic shadow. The shape is variable and depends on the material involved. Wooden sticks, hard plastic and balls have different shapes, but all exhibit strong acoustic shadowing. Gastric trichobezoars can frequently be seen in cats and have a bright, hyperechoic surface with a clean acoustic shadow due to their compact nature. Food particles such as pieces of meat and kibble have variable appearance. The more physically dense the object and the smoother its surface, the brighter its reflective surface will appear and the cleaner its acoustic shadow. Because of the variable and sometimes confusion nature of gastric content, radiography should be used as a comparative diagnostic tool and the patient should be fasted and re-examined sonographically. Its detection depends on its extent and severity as well as patient conditions. Endoscopic ultrasound represents a new and alternative imaging modality for gastric lesions. High quality video endoscopes provide both optical and sonographic imaging of the gastrointestinal wall and of perigastric organs. A high frequency transducer can be placed in direct contact with the gastric wall allowing the mucosal surface of the entire stomach to be examined. Intestinal gas and obesity are no longer barriers to obtaining a high resolution image of the wall.

Endoscopic ultrasound can be used in combination with conventional endoscopy to examine the gastric wall and visualize the mucosa at the same time. This technique also allows more precise targeting of mucosal biopsies to regions of the wall that are abnormal in the sonographic image. Tumor extent can be precisely described with this method when transabdominal ultrasound proves difficult. Gastric intususception is rare. Gastrogastric, pylorogastric and gastroduodenal intussusceptions have been reported and can be difficult to diagnose sonographically. The cause often remains unknown but associations with vomiting and gastric masses have been suggested. Gastric distention and a luminal gastric mass or concentric wall layers are potential sonographic findings. Gastric intussusceptions can be misdiagnosed as masses due to the presence of a thickened and edematous and hypoechoic wall with indistinct layering.

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Address for correspondence: Lorrie Gaschen Professor, Section of Diagnostic Imaging, Louisiana State University, Baton Rouge, USA

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Small Intestinal Ultrasonography for Chronic Diarrhea Lorrie Gaschen DVM, PhD, Dr Med Vet, Dipl ECVDI, Louisiana (USA)

Ultrasonography has become a mainstay of diagnosing intestinal diseases in dogs and cats. Chronic diarrhea is a common presenting complaint of animals with small intestinal infiltrative disease. Using ultrasound to differentiate inflammatory from neoplastic infiltrative disease has been the focus of recent investigations. Differentiating inflammatory from neoplastic infiltration of the small intestine is crucial to choosing appropriate treatment strategies in dogs and cats. Ultrasonography is often one of the first diagnostic tools used for that purpose. Although overlap in the sonographic appearances of inflammatory and neoplastic infiltration make a definitive diagnosis with ultrasound difficult, awareness of features of both diseases is important for the accurate interpretation of the sonographic findings. Full thickness intestinal biopsy remains the gold standard for differentiating inflammatory from neoplastic disease of the small intestine. High resolution images are necessary for the recognition of detailed features of intestinal wall abnormalities in dogs and cats. Therefore, high frequency curved or linear array transducers with a minimum of 7.5MHz are required for accurate examination of the small intestinal wall and its associated layering. The entire intestinal tract should be assessed for wall thickness, layering, layer echogenicity, motility, peri-intestinal echogenicity, free fluid, regional lymphadenopathy, focal/multifocal or diffuse lesion distribution.

The sonographic abnormalities of inflammatory bowel disease (IBD) in cats are similar to those of dogs. Poor intestinal wall layer definition, focal thickening and large hypoechoic mesenteric lymph nodes are consistent with IBD. In cats, the muscular layer is often selectively thickened in IBD due to lymphoplasmacytic and eosinophilic infiltration. However, a thickened muscularis layer in the cat has also been associated with other disorders such as mechanical obstruction and lymphoma. Marked thickening of the muscularis layer may also be observed in cats with eosinophilic enteritis, a condition that has been reported to occur in association with feline hypereosinophilic syndrome. Chronic inflammatory disease in cats may also produce a distinct, thin, hyperechoic line within the mucosa which has been associated with fibrosis histopathologically. Lymphangiectasia can occur in dogs with IBD or a primary idiopathic disorder. The ultrasonographic diagnosis usually rests on the ability to demonstrate hyperechoic striations that are aligned parallel to one another and perpendicular to the long axis of the intestine. Little data is available concerning monitoring chronic enteropathies sonographically. A two-dimensional ultrasound score has been established for canine chronic enteropathies. The ultrasound score correlates to the canine inflammatory bowel disease clinical activity index (CIBDAI) at initial presentation of the patient when the disease is clinically active. However, improvement in the CIBDAI after treatment does not correlate to improvement of the ultrasound score upon follow-up examinations.

CHRONIC INFLAMMATORY DISEASE INFECTIOUS DISEASES

Although generally diffuse, inflammatory disease can also cause focal or segmental changes. It often leads to mild to moderate transmural thickening of the intestinal wall with preserved wall layering. The relative thickness of the layers may also change while the total wall thickness remains normal. Selective muscularis thickening can be due to idiopathic muscular hypertrophy of the smooth muscle layer of the intestine, and has been commonly observed in inflammatory conditions. The echogenicity of the mucosa may be altered in both lymphangiectasia and lymphoplasmacytic enteritis. Hyperechoic mucosal speckles and striations can be identified in inflammatory disease but are non-specific for the cause and severity.

Infectious causes of intestinal wall infiltration have sonographic findings similar to neoplasia. Non-neoplastic causes of intestinal masses include fungal infections with pythium and histoplasma, abscesses, cysts, hematomas, ulcers, intussusceptions and foreign body granulomas. A focal mass with loss of wall layering is most commonly associated with neoplasia; however, fungal infections may cause similar lesions. Pythiosis and histoplasmosis can lead to either intestinal wall thickening with pseudolayering, or transmural loss of layering or a focal mass. The distribution of fungal infection in the intestine can be focal or multifocal, but is usually not

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eccentric growth out of the intestinal wall through the serosa. They can appear as extraluminal masses also. Leiomyomas tend to be small and appear as a focal intramural hypoechoic thickening with loss of wall layering. Intestinal mast cell tumors are rare and are more common in cats than dogs.

diffuse. Histoplasmosis has been reported in the cat and can spread to the entire abdomen and lungs. Histology is required for differentiation between neoplastic and non-neoplastic masses of the intestines and lymph nodes.

INTESTINAL NEOPLASIA SELECTED REFERENCES

Focal intestinal wall thickening can be due to neoplastic and non-neoplastic lesions. Sonographic parameters such as lesion symmetry, distribution, degree of thickening and wall layering are most commonly used to distinguish inflammation from neoplasia. In dogs, wall thickness of neoplastic infiltrative lesions is statistically greater than that of nonspecific inflammatory disease (0.5-7.9 mm versus 0.2-2.9 mm, respectively). When loss of wall layering is identified sonographically, there is a 50 times greater likelihood of a diagnosis of neoplasia versus non-specific inflammation. The most common intestinal wall tumors in dogs are carcinomas, lymphoma, leiomyoma and leiomyosarcoma. In cats, the most common causes of neoplastic intestinal disease are lymphoma, mast cell tumor and adenocarcinomas. Alimentary lymphoma can be diffuse in both dogs and cats but most commonly occurs as a solitary, hypoechoic intestinal mass with transmural loss of wall layering. Lymphoma is the most common neoplastic cause of diffuse infiltration and wall thickening that can appear similar to inflammatory disease. Regional lymph nodes are commonly enlarged, rounded and hypoechoic. Thickening of the muscularis layer has been reported in inflammatory bowel disease and intestinal lymphoma in cats. Intestinal adenocarcinoma in dogs and cats appears sonographically as transmural thickening with complete loss of wall layering and regional lymphadenopathy. This appearance is very similar to that of alimentary lymphoma when it forms a mass. Intestinal smooth muscle tumors such as leiomyosarcomas often become very large and have an

Baez JL, Hendrick MJ, Walker LM, Washabau RJ. Radiographic, ultrasonographic, and endoscopic findings in cats with inflammatory bowel disease of the stomach and small intestine: 33 cases (1990-1997). J Am Vet Med Assoc 1999;215(3):349-354. Barr BS. Infiltrative intestinal disease. Vet Clin North Am Equine Pract 2006;22(1):e1-e7. Gaschen L, Kircher P, Stussi A et al. Comparison of ultrasonographic findings with clinical activity index (CIBDAI) and diagnosis in dogs with chronic enteropathies. Veterinary Radiology and Ultrasound 2008;49(1):56-64. Penninck DG, Smyers B, Webster CR, et al. Diagnostic value of ultrasonography in differentiating enteritis from intestinal neoplasia in dogs. Vet Radiol Ultrasound 44, 570-575. 2003. Penninck DG. Gastrointestinal Tract. In: Nyland T.G, Mattoon JS, editors. Small Animal Diagnostic Ultrasound. 2nd ed. Philadelphia: W.B. Saunders Co.; 2002. 227-230.Penninck DG, Webster CR, Keating JH. The sonographic appearance of intestinal mucosal fibrosis in cats. Vet Radiol Ultrasound 2010;51(4):458-461. Rudorf H, van SG, O’Brien RT, Brown PJ, Barr FJ, Hall EJ. Ultrasonographic evaluation of the thickness of the small intestinal wall in dogs with inflammatory bowel disease. J Small Anim Pract 2005;46(7): 322-326. Zwingenberger AL, Marks SL, Baker TW, Moore PF. Ultrasonographic evaluation of the muscularis propria in cats with diffuse small intestinal lymphoma or inflammatory bowel disease. Journal of Veterinary Internal Medicine 2010;24(2):289-292.

Address for correspondence: Lorrie Gaschen Professor, Section of Diagnostic Imaging, Louisiana State University, Baton Rouge, USA

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Doppler and Endosonography of the Gastrointestinal Tract Lorrie Gaschen DVM, PhD, Dr Med Vet, Dipl ECVDI, Louisiana (USA)

decreased resistance to flow in the downstream capillary bed of the gastrointestinal tract. The effect lasts 40 minutes in the celiac artery and 60 minutes in the cranial mesenteric artery and increased resistance to flow can be demonstrated at 90 minutes post-prandially in normal dogs during the recovery phase. Prolonged vasodilation at 90 minutes has been demonstrated in normal dogs eating a high fat diet compared with high protein and carbohydrate diets which have the same response as a normal maintenance diet. In dogs with proven food allergies that develop gastrointestinal signs, dietary provocation with the allergen resulted in prolonged vasodilation at 90 minutes post-prandially compared with provocation with non-allergens and the dog’s regular diet could be shown with the RI and PI. Abnormal hemodynamics have also been shown in dogs with chronic enteropathies due to other causes. This non-invasive ultrasound method shows promise for assessing hemodynamic pathophysiology in dogs with adverse reactions to food and chronic enteropathies due to other causes and further studies are required to determine the value of this technique in larger clinical populations.

IBD AND DOPPLER ULTRASONOGRAPHY Idiopathic inflammatory bowel disease (IBD) is probably the most common cause of chronic enteropathies in dogs. Currently, the diagnosis is based on clinical signs of chronic intermittent or persistent diarrhea and/or vomiting, with possible weight loss and/or decreased general condition combined with histological evidence of infiltration of the intestinal mucosa with inflammatory and/or immune cells. Established diagnostic tools include: routine laboratory investigations (CBC, biochemistry profile, urinalysis), parasitological and bacteriological analyses of fecal samples, 2D ultrasonographic examination of the abdomen (including intestinal wall thickness and layering, mesenteric lymph nodes etc.), gastroduodenoscopy and/or ileocoloscopy with sampling of mucosal biopsies or exploratory celiotomy and sampling of full thickness intestinal biopsies, and finally histopathological evaluation of the intestinal biopsy specimen. Doppler ultrasound provides a non-invasive method of assessing gastrointestinal hemodynamics in dogs and humans. Assessment of systolic and diastolic arterial blood flow in the large upstream arteries supplying the gastrointestinal tract is aimed at detecting abnormally increased or decreased resistance to flow to the intestinal capillary bed during digestion. The resistive and pulsatility indices (RI and PI, respectively) have historically been used to infer the degree of resistance to flow in downstream capillary beds. A lowered index indicates lowered resistance to flow and vice versa. The spectral waveforms of the celiac and cranial mesenteric arteries in normal dogs have been described as being of moderately high resistance in the fasted state (CMA RI= 0.803 ± 0.029, CA RI=0.763±0.025, CMA PI= 2.290±0.311, CA PI=1.962±0.216). The celiac and cranial mesenteric arteries feed two different capillary beds. The celiac artery supplies the upper gastrointestinal tract including the stomach and pancreas whereas the cranial mesenteric artery supplies the small intestines. Reference values for resistive index (RI) and pulsatility index (PI) in normal dogs both pre- and postprandial have been made available. The method involves measuring the RI and PI in the celiac and mesenteric arteries percutaneously at fasting (time 0) and at 20, 40, 60 and 90 minutes post-prandially. Vasodilation during digestion leads to decreasing Doppler indices and increasing diastolic blood flow velocity which infer

ABDOMINAL ENDOSCOPIC ULTRASOUND Endoluminal ultrasound (EUS) was developed in humans to overcome problems associated with transabdominal approaches to the gastrointestinal tract that include large penetration depths, presence of intestinal gas and obesity. The ultrasound endoscopea provides a combination of endoscopy and ultrasonography which allows the mucosal surface to be visualized optically and the intestinal wall layering and contiguous organs to be examined sonographically. In humans endoscopic ultrasonography is an accurate tool for staging malignant tumors of the esophagus, stomach, duodenum, rectum, major duodenal papilla, extrahepatic bile duct and pancreas. A standardized EUS examination technique of the canine abdomen is possible by using five anatomic landmarks. The

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(www.hitachi-medical-systems.com; www.fujinon.de; http://cf.olympus-europa.com/endo/home2.cfm).

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upper gastrointestinal tract and cranial abdominal organs can be examined. EUS in dogs allows excellent visualization of the stomach from the distal esophagus to the proximal duodenum, independent of patient size, thoracic confirmation, and body condition or luminal gas content. Due to the direct placement of the transducer on the stomach wall or with the aid of the inflated balloon acting as a standoff, gastric wall layering could be visualized with excellent resolution. EUS has potential for improving diagnostics of the gastrointestinal tract and assessment of wall layering when conventional transabdominal methods fail. However, the equipment has limited availability and will likely restrict its use. EUS Doppler evaluation of vascularity of the stomach wall can be better evaluated. In summary, endoscopic ultrasound allowed a more complete assessment of the stomach wall and draining lymph nodes as well as detection of increased mural vascularization in this series of five dogs. The canine and feline pancreas can be examined with endoscopic ultrasound. In large dogs or obese cats it has the advantage of being able to place the ultrasound transducer close to the pancreas to allow high resolution imaging of the parenchyma without interference with overlying gas or abdominal fat. Insulinomas can be identified in large dogs with endoscopic ultrasound that are difficult or impossible to detect using conventional transcutaneous ultrasound.

Potential veterinary indications for EUS of the thorax include dysphagia of unkown origin, tumor staging (evaluation of tracheobronchial lymph nodes), investigation and localization of radiographic soft tissue opacities that do not have contact with the thoracic wall or when pleural fluid is not present. Also, EUS can evaluate intrathoracic paravertebral masses, assess the vascularity of intrathoracic lesions with Doppler, examine infiltration of the esophageal wall, differentiate periesophageal vs. pulmonary masses and detect small amounts of pleural fluid. EUS-guided fineneedle aspirations of intrathoracic and esophageal lesions can also be performed.

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THORACIC ENDOSCOPIC ULTRASOUND This imaging modality provides detailed images of pathologic processes both within and outside of the esophageal wall. It has found most success in humans for staging of lung, gastric and esophageal cancer. Some of its success lies in the fact that it has been proven to be able to detect intrathoracic lesions such as lymph nodes too small to be seen with CT and MRI. Within the last 10 years the safety and efficacy of EUS-FNA has been demonstrated. Investigators are now seeking to exploit this tool for precision targeting of immune-based and viral-based therapeutic agents to specific sites. Not only do the applications of EUS continue to evolve, but the intrumentation does as well.

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Clinical Correlation of Thoracic Computed Tomography and Radiography Lorrie Gaschen DVM, PhD, Dr Med Vet, Dipl ECVDI, Louisiana (USA)

One of the greatest advantages of cross-sectional imaging modalities like computed tomography (CT) of the thorax compared to radiography is the lack of superimposition of structures. Since there is no summation involved as in radiography, CT provides superior resolution of anatomic structures. CT in dogs and cats is most commonly used for improved detection of subtle pulmonary lesions, to evaluate the thoracic barriers, for presurgical planning of thoracic mass or lung resection, to differentiate fluid accumulations from mediastinal or pleural masses and to detect thoracic foreign bodies and for CT-guided tissue sampling. It should always be used as a follow-up to thoracic radiographs where the indication for CT is often determined. CT is more widely available than ever before and that trend is likely to increase in veterinary medicine. Indications for magnetic resonance imaging of the thorax are starting to appear in veterinary medicine. However, CT remains at this time the modality of choice for examination of the thorax when thoracic radiography or ultrasound of the thorax is limited.

dal to cranial as any movement that occurs generally occurs with the diaphragm as the animal tries to breath against the closed anesthetic system. Images are acquired in cross section along the length of the animal and can be reconstructed in the dorsal and sagittal planes as well as in 3-D to aid in visualization and better understanding of the lesions exact location and appearance, especially for surgical planning.

EVALUATION OF THE LUNG AND AIRWAYS Now that helical CT scanners are more commonly available in the veterinary community, evaluation of the lung and airway is now an important indication for the CT examination. Indications include: Tracheal collapse, Bronchial obstruction, Lung lobe torsion, Pulmonary thromboembolism, Detecting pulmonary metastases, Interstitial lung disease. The lung parenchyma can be assessed subjectively and quantitatively. Hounsfield Units (HU) can be used to assess normal and abnormal lung densities. Normal lung densities have a mean value of approximately -700 to -850. Lung abnormalities are divided into linear, nodular, increased and decreased lung density. CT is an excellent modality to assess lower airway disease in dogs and cats. Bronchial wall thickening, bronchial luminal diameter (enlargement or collapse) and nodules related to the bronchi (mucus plugs) can be differentiated from pulmonary parenchymal disease which is difficult radiographically. Bronchial foreign material can also be detected. The attenuation of the lung helps to determine if hyperinflation and emphysema is present by assessing the HU numbers. Numbers less than -850 are diagnostic of increased air in the lung while numbers greater than -700 are indicative of infiltrative parenchymal disease. CT can assess tracheal collapse and the benefits include being able to see the entire trachea in cross section and appreciated variations in the trachea during respiration. Well-sedated animals or those under general anesthesia with very cranial positioning of the endotracheal tube can have the trachea examined. Extramural and intraluminal masses can be better detected with CT than radiography in many cases.

GENERAL CONSIDERATIONS AND PATIENT PREPARATION Conventional single, thick slice, older generation CT units are too slow and respiratory motion prevents good visualization of the lung and scan times are long. Thicker slices do not allow for good spatial resolution and small nodules can be missed. Multi-slice helical scanners allow contiguous slices to be made (4, 8, 16 slices or greater) at a time without interslice delay. Scans can also be acquired in thinner slices of 1-2 mm to provide high-resolution images. Because dogs and cats are scanned under anesthesia, atelectasis of the dependent lung can be problematic. Animals should never be manually restrained due to the greater radiation exposure levels compared with radiography. Animals should only be placed in ventral recumbency for the anesthetic induction, catheter placement, intubation, etc. and scanned in the same position when evaluation of the lung is the main interest. Dorsal recumbency is better, however, for disorders of the spine as there will be less motion artifact in that region in this position. Positive pressure ventilation and breath hold procedures are necessary to prevent motion artifact even with helical scanners. Patients should be scanned from cau-

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CT can confirm the pulmonary origin of a mass seen radiographically and detect small nodules not seen radiographically. Radiography remains the screening method of choice for pulmonary diseases and screening for metastases. However, CT is now preferred for detecting pulmonary metastasis. Nodules as small as 1-2 mm in size can be detected with high resolution CT whereas nodules must be 5-6mm in size to be detected on high quality radiographs. Metastases are often located in the periphery of the lung that makes their detection even more difficult with radiography. Nodules can be distinguished from vessels with CT but is more difficult radiographically. Idiopathic pulmonary fibrosis in some terrier breeds produces an interstitial pattern radiographically that is non-specific and has a ground-glass appearance of the parenchyma in CT as well as subpleural and peribronchial consolidations. Similar findings occur in cats with feline idiopathic pulmonary fibrosis. Multicentric lymphoma can also create a ground-glass appearance in CT, but there will generally be enlarged lymph nodes present as well. CT can better confirm pulmonary mineralization than radiography due to the ability to quantify lung attenuation (density) with HU numbers. Soft tissue ranges from 30-60 HU while mineralization has much greater values. The Thoracic Wall Indications include:Thoracic wall masses for pre-surgical planning, Soft tissue tumors for pre-surgical planning or radiation therapy planning, Determine intrathoracic involvement of thoracic wall disease The Pleural Space Indications include: Differentiate solid from fluid in animals with pleural effusion and/or masses, Spontaneous pneumothorax or reoccurring pneumothorax, Determine involvement of the pleura in pulmonary disease such as adhesions, thickening. Although radiography and ultrasonography usually suffice for making a diagnosis, CT can best detect small quantities of fluid that can make the lung appear opaque radiographically. Pleural thickening can best be recognized and sheets of adhesions in inflammatory or pyogranulomatous disease can be best detected. The presence of thickened pleura in these cases may change the therapeutic approach. If thoracotomy is performed, the presence of thickened pleura may make exploration of the thorax more difficult and knowledge of its presence prior to surgery can be helpful.

sion, thrombosis and aneurysms of the great vessels, Vascular anomalies such as persistent right aortic arch. Masses in the mediastinum can be due to neoplasia, abscesses, hemorrhage or fat. Cystic structures in the mediastinum can be differentiated from solid masses due the presence of a thin wall and fluid attenuating center. Mediastinal cysts are more common in dogs than cats and can appear as a mass radiographically. CT is sensitive to small amounts of fluid in the mediastinum, although this is a rare finding in dogs and cats as a sole disease. CT is an excellent imaging modality for esophageal neoplasia. It is especially indicated for determining the extent of disease for surgical planning (extent of lesion, presence of lymphadenopathy and pulmonary metastases).

LIMITATIONS OF CT CT is more sensitive for the detection of pulmonary nodules and greatly improves the ability to see details of the thorax compared to radiography. However, CT does not provide a specific diagnosis in the presence of masses, pulmonary nodules and lymphadenopathy. Differentiating neoplastic from pyogranulomatous, bacterial and fungal infections are not possible in many instances and further tissue sampling is often required. Once detected and its location determined, lesions can either be sampled via ultrasound or CT guidance. Ultrasound can be used in most cases. CT guided tissue sampling is reserved for lesions that cannot be visualized using sonography because they are too deep or adjacent to vital structures and obscured by the air-filled lung. Both fine needle and tru-cut sampling devices can be guided using CT. Cost and availability as well as user experience are important limitations of CT-guided tissue sampling. The need for general anesthesia may prevent its use in some patients. Intravenous contrast agent is often used to improve contrast and visualization of masses and may be contraindicated in some patients, although this is rare.

CONCLUSIONS CT is the method of choice for patients with unclear radiographic or sonographic findings of the thorax. Although it requires general anesthesia, multi-slice helical scanners suited for examination of the thorax, are rapid and anesthesia time is short. CT is the best modality for detecting metastases and for presurgical planning when thoracotomy is indicated.

THE MEDIASINUM Indications include:Detection of sternal, cranial mediastinal and tracheobronchial lymphadenopathy, Presurgical planning for removal of cranial mediastinal masses, Oesophageal masses, Determine cause of pneumomediastinum, Assess heart base tumors, Obstruction, compres-

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CCSM di tipo dinamico: diagnosi e trattamento chirurgico, esperienze personali Nicola Gasparinetti Med Vet, Zugliano,Vicenza

La spondilomielopatia cervicale caudale (CCSM, Caudal Cervical spondylomyelopathy) è una patologia neurologica di frequente riscontro che colpisce quasi esclusivamente i cani di grossa taglia e le razze giganti. I soggetti di età adulta anziana di razza Doberman sono la popolazione canina maggiormente rappresentata ma la patologia si riscontra anche in altre razze tra cui Rottweiler, Labrador R., Dalmata, Schnauzer G., Pastore Tedesco, Bovaro del Bernese etc. mentre è in genere nei primi anni di vita che la sindrome neurologica si manifesta nei soggetti di razza gigante come Alani e Mastiff. La patogenesi alla base della mielopatia cervicale è diversa nei due gruppi di razze sopra descritte, nella presente trattazione prenderemo in considerazione solo i soggetti a presentazione neurologica più tardiva considerando in particolare la diagnosi ed il trattamento chirurgico della spondilomielopatia cervicale caudale disco associata di tipo dinamico. La patogenesi della CCSM, quasi sicuramente su base multifattoriale, è ancora oggi per molti aspetti incompresa e dibattuta, così come la naturale progressione della patologia ed il trattamento terapeutico più appropriato che può essere conservativo o chirurgico. I segni clinici nei cani Doberman variano in base alla gravità, durata e grado di compressione dinamica che si instaura a livello cervicale ma difficilmente risultano sintomatici prima dei 5-6 anni di età. Spesso i proprietari non riconoscono e nemmeno sono in grado di datare, le prime alterazioni dell’andatura che colpisce precocemente gli arti posteriori, solo in un secondo momento se peggiora l’atassia e la paresi o insorge dolore cervicale il cane viene portato per una prima visita. Dermatiti di grado variabile conseguenti a leccamento delle estremità anteriori sono un riscontro frequente cosi come un discreto numero di soggetti risulta ipotiroideo, la malattia di von Willebrand risulta invece nella nostra casistica un riscontro raro. La sintomatologia neurologica, che più frequentemente riscontriamo, è una marcata atassia associata ad ipermetria degli arti posteriori con ipometria di grado variabile degli arti anteriori, ipotrofia muscolare più evidente a carico dei muscoli della spalla, il riflesso flessorio è quasi sempre diminuito, il dolore cervicale non è sempre presente. In alcuni soggetti, la minoranza, si assiste ad un improvviso peggioramento dello stato neurologico con evidente

cervicalgia, tetraparesi scarsamente deambulatoria, ma raccogliendo poi l’anamnesi risulta sempre chiaro come la cronicità della patologia fosse già presente da parecchie settimane. La diagnosi si basa sul segnalamento, anamnesi, esame neurologico completo, confermata con appropriate tecniche di diagnostica per immagini per escludere altre patologie neurologiche non frequenti quali discospondiliti e neoplasie. Negli ultimi anni la risonanza magnetica è considerata la tecnica di diagnostica avanzata più appropriata per la diagnosi di CCSM, la mielografia e la mielo-TC sono procedure diagnostiche da riservare ad un ristretto numero di pazienti selezionati. Le radiografie possono già evidenziare importanti alterazioni, le principali sono: gravi malformazioni vertebrali responsabili generalmente di compressioni midollari statiche, un caratteristico rimaneggiamento del profilo cranio ventrale della settima vertebra cervicale, collassamento dello spazio intersomatico etc. bisogna però ricordare che queste modificazioni sono a volte presenti anche in soggetti sani o ancora asintomatici. Il nostro attuale protocollo per un sospetto di CCSM disco associato di tipo dinamico prevede due momenti successivi l’indagine radiografica e la risonanza magnetica. L’esame di risonanza magnetica prevede che il cane da esaminare venga posizionato in decubito laterale con il collo in posizione neutrale, simil fisiologica, senza applicare alcuna trazione; in successione vengono eseguite due sequenze sagittali e trasverse pesate in T2 e T1 e a volte una sequenza 3D, quest’ultima per una migliore valutazione dei neuroforamina e delle radici nervose. Se non c’è chiara evidenziazione di dinamicità il collo viene posizionato in dorso flessione e vengono eseguite nuove acquisizioni, nei restanti casi la seconda parte dell’esame viene svolta con il collo in trazione. Le lesioni che si evidenziano con l’esame di risonanza sono varie e possono coinvolgere più distretti anatomici: i dischi intervertebrali patologici sono quasi esclusivamente i due compresi tra la quinta e la settima vertebra cervicale e la patologia può essere confinata ad uno spazio o comprenderli entrambi; può essere presente una protrusione discale singola o multipla o associata una estrusione molto spesso lateralizzata,ipertrofie del legamento flavum completano il quadro patologico di stenosi del canale rachidiano.

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Il trattamento chirurgico della patologia disco associata di tipo dinamico comprende tecniche diverse di distrazione e stabilizzazione, dopo aver effettuato un slot ventrale nello spazio o negli spazi intervertebrali da stabilizzare possono essere inseriti in alternativa a seconda della tecnica utilizzata un blocco di osso omologo sagomato, un tappo di cemento, un cage e successivamente possono essere applicati ai corpi vertebrali placche,cemento e viti a penetrazione mono o bi corticali. Viene descritto in questa sede l’intervento chirurgico sopra ricordato mediante l’utilizzo di un cage di fusione in uno o più spazi intervertebrali in 12 soggetti quasi esclusivamente di razza Doberman con follow up compreso da 3 a 15 mesi.

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Algoritmo diagnostico e terapeutico tramite casi clinici delle otiti più comuni nel cane e nel gatto Giovanni Ghibaudo Med Vet, Samarate (Varese)

a causare otite anche in un orecchio sano; quelle secondarie possono indurre un’otite ma solo in un orecchio già alterato. I fattori predisponenti sono quelli che aumentano notevolmente il rischio di insorgenza di otite, mentre i fattori perpetuanti sono quelli in grado di mantenere ed alimentare l’infiammazione aggravando l’espressione clinica ed impedendone la risoluzione (Tabella 1).

OTITI Con il termine di otite esterna si definisce un processo infiammatorio, acuto o cronico, del condotto uditivo esterno (CUE). Si definisce otite esterna cronica quando la sintomatologia sia presente da più di 4-5 settimane o nei casi in cui il soggetto manifesti episodi di recidiva. Il CUE è rivestito da cute che non differisce da quella riscontrabile nel resto della superficie cutanea dell’animale. Nello spessore del derma si trovano numerose ghiandole (ghiandole sebacee, presenti maggiormente nel tratto verticale, e ghiandole apocrine modificate o ghiandole ceruminose, che aumentano nel tratto orizzontale). Il cerume è il prodotto della secrezione di questi due tipi di ghiandole a cui si associa la desquamazione dello strato corneo dell’epidermide. L’otite esterna deve quindi essere considerata un capitolo della dermatologia veterinaria e le alterazioni patologiche frequentemente possono rappresentare una traduzione localizzata, isolata o meno, di una sottostante dermatosi. L’otite esterna è una patologia ad eziologia multifattoriale. Secondo la classificazione eziologica vengono identificate due categorie di cause in grado di dar luogo ad un’otite esterna: primarie e secondarie e due fattori che contribuiscono al mantenimento e al peggioramento dell’otite: predisponenti e perpetuanti. Le cause primarie sono sufficienti da soli

CASI CLINICI Attraverso 3 casi clinici si illustrano i punti fondamentali da identificare e prendere in considerazione dal punto di vista diagnostico e terapeutico. Durante la relazione si spiega quando e come affrontare le procedure citologiche, colturali e otoendoscopiche. L’identificazione e la gestione delle cause primarie dei casi illustrati permette di arrivare ad una efficacia gestionale nel tempo.

Indirizzo per la corrispondenza: Giovanni Ghibaudo Clinica Veterinaria Malpensa Samarate (Varese) E mail gioghi1@alice.it - www.ghibaudo.it

TABLE 1 - Sistema PSPP CAUSE PRIMARIE

CAUSE SECONDARIE

FATTORI PREDISPONENTI

FATTORI PERPETUANTI

Ipersensibilità

Batteri

Conformazione anatomica

Eccessiva produzione di cerume

Corpi estranei

Lieviti

Eccessiva umidità

Alterata o assente migrazione del cerume

Parassiti

Eccesso di pulizia

Conseguenza di trattamenti

Alterazioni patologiche progressive

Disordini della cheratinizzazione

Reazione da farmaco

Malattie ostruttive del condotto

Otite media

Malattie metaboliche

Malattie sistemiche

Malattie autoimmuni Malattie virali

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2011: novità e conferme nella diagnosi e terapia della dermatite atopica canina Giovanni Ghibaudo Med Vet, Samarate (Varese)

prima riguarda un nuovo pannello di criteri diagnostici (vedi tabella.1). Questi nuovi criteri di Favrot hanno una sensibilità e specificità maggiori (85% e 85%) rispetto ai quelli precedenti (49.3%, 80.2% di Willemse e 74.3%, 68.4% di Prelaud). I nuovi criteri per la DA canina possono essere utilizzati in medicina generale come ausilio per la diagnosi dai veterinari, tenendo presente che questi criteri non sono assoluti: un caso su cinque (20%) potrebbe essere mal diagnosticato, se questi parametri venissero applicati in senso stretto! Tuttavia, se si effettua un percorso diagnostico corretto escludendo prima le ectoparassitosi, le allergie alimentari, le allergie alle pulci e le infezioni cutanee, la specificità della diagnosi aumenta notevolmente 3. La seconda novità è, in realtà, una conferma: un recente lavoro svolto in diverse importanti strutture negli Stati Uniti, Australia ed Europa ha confermato la presenza di razze predisposte (Bichon frise, Boxer, Pastore Tedesco, West Highland White Terrier, Bull Terrier, Golden Retriever, Labrador Retriever ecc…) e una tipica distribuzione topografica delle lesioni associate alla dermatite atopica quali, ad esempio, le zampe (62%), il ventre (51%) (fig.2), le orecchie (48%) (fig.3) e il viso (39%) 4.

INTRODUZIONE La dermatite atopica canina è una malattia cutanea comune, cronica e recidivante; l’approccio diagnostico e terapeutico a questa malattia è cambiato nel tempo. Recenti studi randomizzati e controllati di elevato valore scientifico, hanno identificato le procedure diagnostiche e terapeutiche che con più alta probabilità possono fornire un miglioramento nella diagnosi e nella gestione della dermatite atopica nel cane.

PATOGENESI E DIAGNOSI La dermatite atopica (DA) è una dermatite infiammatoria, pruriginosa e allergica, geneticamente ereditata che si accompagna ad un quadro clinico tipico; associata ad anticorpi IgE, diretti più frequentemente verso allergeni ambientali (ma possono essere diretti anche verso allergeni alimentari). Questa è la nuova definizione che la International Task Force sulla DA canina ha coniato negli ultimi anni 1. Gli alimenti possono essere fattori scatenanti di una DA in alcuni soggetti ed inoltre l’allergia alimentare può presentarsi in molti modi inclusa la DA. Recentemente è stata identificata una dermatite atopiforme (atopic like dermatitis), una malattia della cute di natura infiammatoria e pruriginosa con un quadro clinico identico alla DA senza però anticorpi IgE documentabili (test allergologici negativi) (Halliwell 2006). Questa entità conferma che le IgE non sono necessarie per lo sviluppo dei segni clinici di DA. La DA è da considerarsi, quindi, una sindrome piuttosto che una malattia con diverse patogenesi, diversi fattori scatenanti e con simile quadro clinico. Altri fattori, oltre alle IgE, che sono importanti per lo sviluppo dell’atopia canina sono le anomalie nelle popolazioni linfocitarie (Th2/Th1), l’alterata reattività cutanea e le alterazioni nella barriera cutanea. In modo particolare nel cane, recenti studi sembrano confermare una patogenesi simile a quella dell’uomo: aumento della TELW (trans epidermal water loss o perdita trans epidermica – per vaporizzazione – dell’acqua) e una diminuzione della quantità di ceramidi che predispongono, con una esposizione cutanea ripetuta agli allergeni, alla sensibilizzazione 2. Due novità importanti sono da ricordare per quanto riguarda gli strumenti diagnostici in corso di dermatite atopica. La

TERAPIA L’International Task Force sulla dermatite atopica canina ha pubblicato recentemente un lavoro in cui indica le linee guida per il trattamento della malattia 5. Lavori clinici basati sull’evidenza scientifica hanno confermato l’elevata efficacia nella gestione del prurito allergico dei glucocorticoidi (prednisolone e metilprednisolone) e della ciclosporina per via orale. A questi farmaci si devono associare l’allontanamento fisico dell’atopico dagli allergeni ambientali (nei rari casi dove è possibile), la gestione delle infezioni secondarie (batteriche e da lieviti), terapie topiche basate sull’utilizzo di shampoo non aggressivi e idratanti cutanei. Mentre tra i farmaci che hanno mostrato un efficacia parziale sono menzionati i cortisonici topici (idrocortisone aceponato), gli inibitori della calcineurina topici (tacrolimo) gli antistaminici (clemastina, cloramfeniramina, cetirizina), gli acidi grassi essenziali (omega 3 e 6), la capsaicina topica, il misoprostolo, la pentossifillina ed estratti vegetali (Rhemannia glutinosa, Paeonia lactiflora e Glycyrrhiza uralensis). L’immuno-

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terapia o terapia desensibilizzante è utile in quanto si ha un miglioramento del prurito nel 60-70% dei soggetti allergici (con controllo dell’efficacia dopo il primo anno di terapia). Negli ultimi anni sono stati effettuati dei lavori clinici anche con sostanze nuove promettenti tra cui l’interferone gamma ricombinante canino 6, prodotti topici a base di ceramidi, acidi grassi essenziali e fitosfingosina. Mentre per ora non hanno dato buoni risultati l’utilizzo di immunoterapia per via orale e l’utilizzo di micobatteri uccisi per iniezione. Una terapia multimodale e personalizzata per ogni singolo soggetto allergico risulta, in conclusione, essere la gestione ottimale per la dermatite atopica nel cane.

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4.

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Indirizzo per la corrispondenza: Giovanni Ghibaudo Clinica Veterinaria Malpensa Samarate (Varese) E mail gioghi1@alice.it - www.ghibaudo.it

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Infezioni vertebrali: solo discospondiliti? Raffaele Gilardini Med Vet, Voghera (PV)

Le infezioni della colonna vertebrale sono processi suppurativi, settici causati da diversi microrganismi che raggiungono il focolaio di infezione essenzialmente attraverso quattro vie: - via ematogena - da infezione contigua - da traumi penetranti - via iatrogena (chirurgia o iniezioni) La muscolatura paravertebrale può essere colpita da ascessi o da processi flemmonosi provocati da ferite penetranti (morsi, proiettili, oggetti metallici) o da corpi estranei vegetali (spighette di graminacee o schegge di legno) o come complicanza settica di interventi chirurgici. Le spighette di graminacee sono un reperto frequente nei cani da lavoro. Esse penetrano nell’albero bronchiale durante la fase inspiratoria, guadagnano successivamente il cavo pleurico e seguendo il diaframma o attraversando il diaframma ed il peritoneo raggiungono la muscolatura sottolombare. Il processo può provocare sintomi come febbre, leucocitosi, inappetenza oppure determinare dolore sia muscolare che spinale e tragitti fistolosi più o meno lontani dal focolaio di partenza. L’infezione dalla muscolatura paravertebrale può diffondere alle vertebre ed/od allo spazio discale determinando spondiliti e discospondiliti, spesso multiple. Le spighette possono raggiungere la muscolatura paravertebrale anche attraverso lo spazio retroperitoneale dopo una penetrazione percutanea nella regione del fianco, inguinale e perineale. Nonostante l’applicazione di mezzi diagnostici come l’ecografia, la tomografia computerizzata e la risonanza magnetica, la ricerca chirurgica dei corpi estranei rappresenta una sfida e spesso una sconfitta. Le discospondiliti sono sicuramente la manifestazione più comune delle infezioni della colonna vertebrale, sono definite come infezioni del disco intervertebrale e delle vertebre contigue. La via ematogena viene considerata la più comune ma, oltre alla batteriemia, per lo sviluppo di una infezione vertebrale o discale, devono associarsi, probabilmente, altri fattori quali traumi maggiori o microtraumi (endogeni) o stati di immunodeficienza. I cani di taglia media e grande di ogni età sono i più colpiti, ma numerose segnalazioni indicano che anche cani di piccola taglia ed i gatti possono essere affetti da discospondiliti. Tutta la colonna vertebrale può essere colpita da uno o più focolai di dis-

Figura 1 - Discospondilite dello spazio L1-L2.

cospondilite, il tratto toraco-lombare ed in particolare lo spazio L7-S1 sono però quelli coinvolti con maggiore frequenza. Il dolore spinale è il sintomo più costante oltre alla diminuzione di appetito, la perdita di peso, il decadimento dell’aspetto generale e la riluttanza al movimento. L’ipertermia è spesso presente ma non costante. L’esame radiografico tipicamente evidenzia il collasso dello spazio intersomatico, la sclerosi e la lisi delle placche terminali vertebrali oltre ai fenomeni proliferativi ossei vertebrali. La diagnosi di discospondilite si basa sull’anamnesi, la presenza di segni clinici e di segni radiografici. A volte i segni clinici possono precedere di alcune settimane i segni radiografici ed esami come la scintigrafia ossea, l’esame TC o la Risonanza Magnetica possono evidenziare l’interessamento iniziale dell’osso o dello spazio discale. La Tomografia Computerizzata e la Risonanza magnetica sono utili per valutare eventuali compressioni sulle strutture nervose da parte del processo infiammatorio e l’estensione del processo ai tessuti molli. L’esame colturale di sangue ed urine dovrebbe essere routinario nei soggetti con discospondilite, oltre all’esame colturale di materiale prelevato dallo spazio discale colpito, al fine di individuare il germe responsabile e l’antibiotico ideale. Nella realtà solo metà circa delle emocolture od urocolture sono positive. L’osteomielite ematogena vertebrale è una entità patologica rara, sempre di natura infettiva, ma con caratteri diver-

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si rispetto alla discospondilite. Il processo, infatti, se di origine ematogena, inizia a livello della fisi caudale del corpo vertebrale e tende a manifestarsi prevalentemente negli animali giovani nei primi due anni di età. La localizzazione del processo a livello fisario, o meglio metafisario, è giustificata negli animali giovani dalla fitta rete capillare con anse strette che comportano rallentamenti del flusso ematico e tendenza da parte dei microrganismi ad arrestarsi in queste zone. Le vertebre lombari sono le più frequentemente colpite e l’esame radiografico evidenzia una perdita di definizione nella zona di passaggio tra metafisi ed epifisi seguita da sclerosi dell’osso spongioso, lisi ossea e collasso della zona fisaria accompagnato spesso da un conseguente rimodellamento dell’aspetto ventro-caudale della vertebra stessa. Le spondiliti, originano più frequentemente, da corpi estranei vegetali migranti, con le stesse modalità espresse per le discospondiliti. Gli empiemi epidurali o ascessi epidurali sono processi infiammatori settici, poco comuni, dello spazio epidurale del canale vertebrale. L’infezione può raggiungere lo spazio epidurale per diffusione ematogena dei microrganismi o per estensione di un processo settico contiguo. Nell’uomo sono riportati casi generati da diffusione ematogena, da processi di osteomielite o discite contigui e casi secondari a chirurgia spinale o a posizionamento di cateteri utilizzati per l’anestesia epidurale. Sempre nell’uomo la diagnosi si basa su una triade sintomatologica costituita da febbre, dolore spinale e rapido peggioramento neurologico con deficit che risultano permanenti nel 41-47% dei casi e con mortalità del 16%. Similmente, nei nostri animali, si assiste ad un processo settico nel canale vertebrale con accumulo di materiale raccolto in formazioni ascessuali o diffusamente esteso lungo il canale e tale da determinare oltre alla febbre ed al dolore spinale, anche deficit neurologici, spesso rapidamente progressivi e gravi quali paresi, paralisi con possibile associazione di disfunzioni vescicali. Gli empiemi rappresentano, a nostro parere, delle emergenze chirurgiche sia per l’andamento rapidamente progressivo, sia per la prognosi che è decisamente peggiore, nei casi non trattati in modo rapido e aggressivo. Gli agenti patogeni isolati in generale nei focolai di infezione spinali sono molti. Le forme batteriche più frequenti sono rappresentate da Staphilococcus intermedius e S. aureus oltre a Brucella canis, Streptococcus spp, Escherichia coli, Pasteurella multocida, Actinomyces viscosus, Nocardia spp, Mycobacterium avium, Proteus spp, Corynebacterium spp, Erysipelothrix rhusiopatiae ecc. In generale le forme micotiche sono più rare rispetto alle forme batteriche e Aspergillus spp è la forma micotica più comune, mentre altri miceti Paecilomyces varioti, Mucor spp e Fusarium spp. sono meno frequenti. La terapia antibiotica delle infezioni spinali in generale, si basa sul risultato degli esami colturali e dell’antibiogramma od in mancanza di questo viene attuata solitamente con Cefalosporine di prima generazione (Cefalessina), con eventuale associazione di antibiotici attivi sui batteri anaerobi nei

Figura 2 - Empiema epidurale del tratto toracico in risonanza magnetica.

casi di mancata risposta clinica al trattamento. Il trattamento antibiotico nelle discospondiliti e nelle spondiliti deve essere protratto per almeno 8 settimane (ma spesso si arriva a decine di settimane) ed associato ad antidolorifici e riposo assoluto. La prognosi delle discospondiliti è generalmente buona fatta eccezione per i casi avanzati in cui sono presenti segni neurologici gravi o nei casi in cui si rileva resistenza dei batteri alle terapie antibiotiche. La prognosi degli empiemi epidurali è riservata e probabilmente migliore nei casi trattati con chirurgia oltre a terapia antibiotica mirata. L’itraconazolo è il farmaco usato comunemente nei casi di Aspergillosi con prognosi che rimane comunque infausta nei casi in cui la localizzazione è diffusa a più sedi. Alcuni parassiti come Spirocerca lupi, Angiostrongylus vasorum, Neospora caninum, nel cane e Toxoplasmosi nel gatto sono stati segnalati in letteratura a livello spinale come causa di processi infiammatori caratterizzati da dolore e segni neurologici.

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“Giocando s’impara!” Il gioco: funzioni cognitive e terapeutiche Sabrina Giussani Med Vet Comportamentalista, Dipl ENVF, Busto Arsizio (VA)

rizzato da funzioni logiche, dalle memorie, dalle emozioni, dall’arousal, dalle rappresentazioni, dalle metacognizioni e così via) che poteva essere associato alle motivazioni descritte dagli etologi. Appare, così, il concetto di mente come struttura di organizzazione dei processi cognitivi: la visione mentalistica prende corpo da un insieme di fattori non strettamente connessi a performance riferibili alle cosiddette funzioni intellettive superiori (come ad esempio la coscienza) ma anche ai processi più elementari di esperienza e apprendimento (R. Marchesini).

INTRODUZIONE Per tutta la prima metà del Novecento, il concetto di black box è rimasto una sorta di tabù inviolabile. L’antropocentrismo in vigore a quell’epoca, imponeva di porre un confine ben definito tra l’uomo e l’eterospecifico: l’animale era considerato un automa mosso da pulsioni (interpretazione psicoenergetica, K. Lorenz) o da condizionamenti (interpretazione associazionista, B. Skinner), privo di un mondo interno capace di assegnare all’individuo una soggettività. L’approccio cognitivo non riguarda le prestazioni di alto profilo, non è un discorso sulla coscienza del cane ma investe il normale modo di affrontare un problema o un’esperienza di apprendimento da parte del cane (R. Marchesini). Il cane è portatore di una cognitività differente dalla nostra: non solo monitora il mondo attraverso dotazioni sensoriali specifiche non omologate sull’uomo ma elabora anche le proprie esperienze attraverso intelligenze altrettanto specifiche. Il cane è un animale sociale e tale carattere spicca su tutti gli altri al punto tale che da sempre l’uomo, quando ha voluto tratteggiare la fedeltà e l’immedesimazione nel gruppo, ha utilizzato il codice lupo – cane (R. Marchesini).

L’APPROCCIO COGNITIVO: IL MODELLO NEUROBIOLOGICO - COGNITIVO La rivoluzione informatica, che si è sviluppata nel corso degli anni 60, ha cambiato profondamente il modo di affrontare il tema dell’apprendimento. Compaiono i concetti di pacchetti di informazione (i programmi dei computer) acquisiti nei processi di apprendimento e di attività di elaborazione dei dati in ingresso (elaborazione). L’individuo quando apprende, non è passivo di fronte agli stimoli, ma ricerca attivamente ciò che può essere funzionale ai propri bisogni (R. Marchesini). Secondo l’approccio cognitivo, l’apprendimento utilizza e dà luogo a rappresentazioni cioè a schemi (set neurali) che processano gli imput secondo modalità preferenziali e precise. Inoltre, tali schemi sono in grado di essere modificati e reimpostati dal processo di apprendimento stesso. L’apprendimento, quindi, non produce automatismi ma arricchisce il sistema dotandolo di nuovi strumenti di conoscenza vale a dire allargando il suo possibile fronte esperienziale (piano prossimale di esperienza). Per la scuola cognitiva si deve parlare di una vera e propria costruzione dell’esperienza in funzione degli obiettivi conoscitivi del soggetto (R. Marchesini): ciò che il soggetto mette in atto in un momento particolare si definisce azione cognitiva caratterizzata da una componente elaborativa (operazioni cognitive o funzioni logiche, rappresentazioni e metacomponenti) e una componente posizionale (motivazioni, emozioni e arousal). L’approccio mentalistico considera il comportamento come la manifestazione della condizione della mente nel qui e ora: i comportamenti non sono entità separate o separabili ma l’espressione del sistema.

IL CANE HA UNA MENTE? Dagli anni 40, la spiegazione associazionista del processo di apprendimento sembrava presentare le prime difficoltà d’interpretazione. Tolman, grazie all’ipotesi dell’apprendimento latente, riuscì a dimostrare come fosse possibile realizzare un processo di apprendimento al di fuori dei rigidi principi associativi. Negli anni 60 cominciò a prendere piede l’idea che il comportamento fosse l’espressione di un complesso mondo interno, che deve essere conosciuto per individuare dei protocolli di apprendimento. Le interpretazioni pulsionali e associazioniste non solo non erano in grado di spiegare la multifattorialità del comportamento ma si dimostravano anche carenti nell’interpretazione delle dinamiche della complessità che dagli anni 70 la scienza ha riconosciuto anche ai sistemi abiotici (per esempio un uragano) e che non possono essere disattese nell’esplicazione di ciò che si manifesta come l’acme della complessità, il cervello (R. Marchesini). A partire da quegli anni, gli studiosi iniziarono ad ammettere l’esistenza di un mondo interno (caratte-

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canidi, dal coyote al lupo alla volpe fino alle razze domestiche di cane scomponendo l’etogramma in singoli moduli: la coda appena sollevata, le orecchie tese e così via. Quando l’Autore deve sintetizzare la propria visione del problema, ricorre a una definizione al negativo: “mentre siamo tutti capaci di riconoscere un gioco, la difficoltà di definire questo comportamento si rivela nel fatto che molti etologi sono tentati di descrivere cosa non è - non è un atto aggressivo, predatorio o riproduttivo - piuttosto che cosa è (M. Bekoff & C. Allen (2002) The Evolution of Social Play: Interdisciplinary Analyses of Cognitive Processes). Inoltre, se chi gioca lo fa consapevolmente oppure no (Bekoff & Allen, 1998), è ancora una questione aperta, che richiederebbe “semmai un’applicazione limitata della teoria della mente in un dominio molto specifico” (Bekoff & Allen, 2002). Il gioco appare come un comportamento complesso, non scatenato da uno stimolo, solitario o sociale, specie-specifico, a volte sessualmente dimorfico, che si modifica con l’età: il gioco tra adulti presenta modi e significati diversi del gioco tra cuccioli. Il gioco è un insieme di moduli comportamentali (aggressivi, sessuali, di fuga, predazione, comunicazione, alimentazione, di toeletta) spesso eseguiti con tempi accelerati o rallentati, ripetuti e accentuati fino a diventare paradossali, ma sempre mostrati al di fuori del loro contesto usuale. “I giochi imitano attività serie della vita senza raggiungere scopi seri …ma il loro scopo serio non potrebbe consistere proprio nel giocare?” (E.O.Wilson (1975) Sociobiology. The New Synthesi). Perché e come il comportamento di gioco è evoluto e si è mantenuto in specie così diverse per selezione naturale, è una domanda attuale (Spinka et al. (2002) Training for the unexpected) poiché è un comportamento non solo costoso in termini energetici ma anche rischioso (predazione, danni fisici per i suoi schemi motori atipici e improvvisati.) Robert Fagen (1974, 1981), confrontando le ricerche sul gioco in molti gruppi animali, ha evidenziato che esistono due orientamenti divergenti: da una parte i funzionalisti, che inquadrano il gioco tra i comportamenti che sviluppano e perfezionano in età precoce le future risposte adattative all’ambiente fisico e sociale della specie, dall’altra gli strutturalisti, alla ricerca di criteri generali fino a moduli e componenti minime comuni a gruppi animali e contesti differenti. “Il gioco è qualunque attività che sia esagerata o bizzarra o divertente, con nuovi moduli motori e nuove combinazioni di tali moduli, e che appaia all’osservatore priva di qualunque funzione” (C. Loizos (1967) Play in higher primates: a review).

L’IDENTITÀ DEL CANE Molto spesso si tende a considerare l’approccio cognitivo come una semplice aggiunta all’approccio tradizionale (istintivo o condizionato) e riferito a particolari performance complesse dell’animale come risolvere i problemi, analizzare una situazione, costruire degli strumenti e così via (R. Marchesini). Così facendo, la cognitività animale tende a essere vista come un’approssimazione a quella umana mentre il cane possiede una cognitività differente dalla nostra. Il cane è un animale sociale e tale carattere spicca su tutti gli altri: essere fortemente portato alle relazioni di gruppo significa molto più della semplice affermazione che il cane ama stare in compagnia. La socialità del cane è la sua dimensione di vita: essere un animale sociale e socio – riferito significa prima di tutto costruire dei rapporti molto stretti e delle assonanze, vale a dire che il cane cerca continuamente delle concertazioni e lì definisce il proprio posizionamento. La socio - referenza del cane lo porta a interessarsi al gruppo: il cane è interessato a tutto ciò che facciamo, non ci perde d’occhio, capta ogni variazione del nostro umore o nel nostro stile di vita, conosce le nostre abitudini e i nostri gesti (R. Marchesini). Se paragoniamo il modo di porsi di fronte ad un problema del cane e del gatto è possibile evidenziare un’importante differenza di approccio. Il cane cerca prioritariamente il milieu collaborativo, ragiona sulla base di rapporti tra soggetti in riferimento alle possibili dimensioni di relazione sociali. È concentrato cognitivamente sulla concertazione e non sulla soluzione: per prima cosa, guarda il proprio partner poiché è un virtuoso delle relazioni sociali portato a ragionare in termini di rapporti intersoggettivi. Quando ci riferiamo al cane parleremo, quindi, di intelligenza sociale (R. Marchesini).

CUCCIOLI, GIOCANDO S’IMPARA “Che cos’è il gioco? Nessun concetto comportamentale si è rivelato peggio definito, più elusivo, più controverso e persino più antiquato. Sappiamo intuitivamente che il gioco è un insieme di attività piacevoli, di natura spesso ma non solo sociale, che imitano attività serie della vita senza raggiungere scopi seri” (E.O.Wilson (1975) Sociobiology. The New Synthesis). A metà degli anni Settanta, la difficoltà del biologo evoluzionista Edward O. Wilson nel mettere a punto una definizione univoca del gioco, è indice di un’oggettiva osticità a inserirlo tra le molte componenti del repertorio comportamentale di una specie. In una prospettiva darwiniana, il primo approccio al problema è quello funzionale: perché il gioco si è evoluto? Quale è il suo valore adattativo? Giocare assicura dei vantaggi in termini di sopravvivenza e successo riproduttivo? Ma prima di tutto, cos’è il gioco? (L. Beani). Per formulare ipotesi e portare a termine esperimenti sul significato di un comportamento, è necessario dapprima definirlo in termini qualitativi e quantitativi, inserirlo in un etogramma, osservarne le modificazioni durante lo sviluppo di un organismo e confrontare specie diverse. I bambini giocano, e così anche altri primati … ma tutti i cuccioli giocano? Mark Bekoff ha studiato le sequenze di gioco nei

GIOCHI DI MOVIMENTO, GIOCHI CON OGGETTI E GIOCHI SOCIALI I giochi di movimento sono eseguiti da singoli individui, anche se, a volte, sono realizzati simultaneamente da più soggetti. Sono forme esagerate e ripetitive di normali movimenti locomotori-rotazionali, effettuati in assenza di prede, predatori, parassiti e anche di cospecifici” (Fagen, 1981). Il valore adattativo del gioco di movimento consiste nello sviluppare l’apparato muscolare e cardio-polmonare, nel favorire i processi di maturazione degli organi di senso e del

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sistema nervoso centrale (soprattutto il cervelletto, deputato al coordinamento motorio), nell’affinare la propriocezione, nell’acquisire la padronanza del proprio corpo e del mondo esterno in movimento (Martin & Caro, 1985). In questa prospettiva funzionale, il gioco assicura benefici immediati: facilita gli spostamenti nell’ambiente, il reperimento del cibo, la fuga dai predatori, le interazioni con i cospecifici. “Quando giovani ibex della Siberia (Capra ibex) in cattività scelgono con ostinazione come terreni di gioco i punti più scoscesi e impraticabili del recinto, non stanno “cercando guai”, ma si allenano per futuri percorsi di montagna” (Byers, 1998). Secondo l’ipotesi del surplus energetico (Burghardt, 1984), le corse dei cuccioli, dagli ungulati ai pulcini di razze domestiche, sarebbero direttamente influenzate da vincoli energetici: giocano molto cuccioli ben nutriti e protetti dalle cure parentali. Il ruolo del gioco come regolatore metabolico è oggi ancora in discussione (Nunes et al., 2004), mentre la maggior parte degli Autori concorda sul training fisico legato all’attività stessa. Apparentemente in molti mammiferi i maschi sono più coinvolti delle femmine nei giochi di movimento, solitari e di gruppo. “Se questo serva per allenamento, per migliorare l’abilità a competere tra rivali, o per una combinazione dei due, è difficile dirlo” (Caro, 1988). Numerosi esempi di giochi di movimento sono offerti dai bambini, addirittura prima che comincino a camminare: “il proprio corpo è il primo oggetto di cui il bambino dispone per non annoiarsi” (Emma Baumgarten, 2002). “Giocare significa muovere il corpo e manipolare un oggetto noto, muoversi in un ambiente noto in una maniera nuova. Esplorare significa apprendere riguardo a un nuovo oggetto o un ambiente estraneo. L’esplorazione finisce, e il gioco comincia, quando il cucciolo o il bambino smette di chiedersi Cos’è questo oggetto? Per domandarsi Cosa ci posso fare con questo oggetto? (Hutt (1979) Exploration and Play). Le specie che mostrano nel repertorio comportamentale naturale la manipolazione fine degli oggetti, per esempio perché si nutrono di alimenti protetti da un guscio (molti primati, il procione, la lontra, i corvidi, i rapaci e i pappagalli), fin da cuccioli sono predisposti a giocare con oggetti. Osservando in natura i cuccioli intenti a giocare con oggetti che trovano nell’ambiente si supporta l’approccio funzionalista: “nell’uomo e in altri primati il gioco con oggetti ha condotto all’invenzione di nuovi metodi di sfruttamento dell’ambiente” (Wilson, 1975). Grandi inventori di tecniche che si diffondono poi nella popolazione, la maggior parte delle volte dai sub adulti agli adulti, sono gli scimpanzé del Gombe Stream Reserve, osservati per tanti anni da Jane Goodall: “è facile osservare giovani scimpanzé che punzecchiano il terreno con un bastoncino per gioco, finché per caso non catturano un insetto. Questo rappresenta un rinforzo a perfezionare la tecnica. La famosa pesca delle termiti potrebbe essere nata un giorno per gioco” (Jane van Lawick-Goodall (1968) The behaviour of free-living chimpanzees in the Gombe Stream Reserve). Anche gli uccelli giocano con oggetti e mostrano giochi di movimento (Ortega & Bekoff, 1987), nonostante diventino adulti prima dei mammiferi e quindi abbiano meno tempo da dedicare al gioco e all’apprendimento in genere. “Poiché gli uccelli, a dif-

ferenza dei mammiferi, hanno la vista molto sviluppata e conducono vita aerea il gioco con oggetti e le acrobazie aeree sono comuni, mentre è più raro il gioco sociale. Rapaci, corvidi e certi pappagalli, i campioni di gioco tra gli uccelli, giocano come i primati e i carnivori” (R. Fagen (1981) Animal Play Behaviour). Nelle specie sociali il gioco con gli oggetti si complica: una pigna con dentro qualcosa che fa rumore, un sasso che rotola o un bastone, possono diventare un elemento aggregante per esempio in un gruppo di scimpanzé subadulti. “Durante un inseguimento o una lotta per finta, un giovane scimpanzé trascinava un ramoscello ricco di foglie o frutti e il fratello più piccolo cercava di sottrargli il giocattolo. Ogni volta che il piccolo stava per afferrare la fronda, l’altro, voltandosi appena, abilmente gliela sottraeva. Un giocattolo era un frutto rotondo dal guscio duro, e i compagni di gioco cercavano di portarselo via” (J. van Lawick Goodall (1968) The behaviour of freeliving chimpanzees in the Gombe Stream Reserve). Se la primatologa Jane Goodall insiste sul termine giocattolo, è perché la scena si ripete identica quando i bambini si aggregano intorno a un aquilone, un’automobilina, una bambola o qualcosa comunque da cullare (L. Beani). Questo tratto sessualmente dimorfico nella scelta dei giocattoli si ritrova anche in piccoli di macaca rhesus (Alexander & Hines, 2002). Con gli oggetti-simbolo entriamo nell’ambiguo spazio della cognizione animale: il gattino è consapevole di stare inseguendo una falsa preda, quando lo attiriamo dietro a un gomitolo? Probabilmente no. Ma questa coscienza dell’oggetto-simbolo quando entra davvero nei giochi dei bambini? Le nostre regole del gioco sono poi così diverse? (L. Beani) “Nel gioco il pensiero è separato dagli oggetti e l’azione nasce dalle idee più che dalle cose: un pezzo di legno comincia ad essere una bambola e un bastone diventa un cavallo” (L. VygotsKij (1966) Play and its role in the mental development of the child). Secondo J. Piaget il gioco con regole convenzionali e prestabilite è di natura competitiva, compare in età scolare ed è molto evoluto, mentre il gioco di fantasia (“facciamo finta che…”) rinvia a un codice e a ruoli più flessibili. Ma tra cuccioli che giocano insieme, esistono regole? (L. Beani) La corsa dei giovani cervi descritta da Fraser Darling non sembra frutto del caso, ma fa capo a una semplice regola, occupare la sommità di una collina: “il gioco del King–of–theCastle comincia quando un cerbiatto scala la collinetta e si solleva sugli arti posteriori. Questo sembra servire da invito, perché subito altri giovani cervi si staccano dalla madre e si mettono a correre verso la collinetta, che era logorata dalle impronte di molti piccoli piedi: era diventata un tradizionale luogo di gioco. Quando dico tradizionale, intendo che l’associazione della collinetta al precedente divertimento possa influenzare il comportamento degli animali verso una ripetizione dell’esperienza quando passano vicino a quel luogo. Ma ho visto cerbiatti arrivare da una distanza di oltre 50 m alla loro collinetta per cominciare a giocare!” (F. Darling (1937) A herd of red deer). Giochi sociali con regole molto simili – Segui il capo, King-of-the-castle -, sono descritti tra i giovani gorilla da George Schaller (1965) e Dian Fossey (1972) e tra cuccioli di scimpanzé da J. Goodall (1968). Un’altra forma di gioco sociale è la finta lotta,

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in cui i contendenti non riportano danni, i ruoli sono alterni, invertiti (il più forte perde) se le forze in gioco sono asimmetriche. “La scena inizia con un reciproco sollecitarsi a un gioco aggressivo, e l’invito consiste nell’uso esagerato, e un poco rallentato, delle posture di minaccia. Padre e figlio scherzosamente si provocano, ma è soprattutto il figlio, più piccolo e decisamente immaturo, che insiste: stuzzica con il naso una parte del corpo del padre, oppure stira il collo verso l’alto, levando il muso al cielo. Sono inviti alla lotta, segnali di dominanza. Il padre accetta il gioco e sapete che fa? Assume il ruolo del più debole. Scrive Walther nel suo rendiconto: si auto-handicappa. L’azione si movimenta includendo brevi fughe del padre inseguito dal cucciolo, e ogni fuga termina con la tipica lotta di spinte, collo contro collo dei giraffidi. Una lotta di spinte dove la forza, la mole contano. Ma sapete chi vince sempre? Il giovane!” (D. Mainardi (1988) L’etologia caso per caso). La lotta sopra descritta è “per finta”: infatti, è seguita da un comportamento coesivo, la reciproca toelettatura. Anche il self-handicapping del gioco sociale, il forte che si fa debole, è un modulo ricorrente nello scambio dei ruoli (Bekoff & Allen, 1998). La metacomunicazione, la comunicazione sulla comunicazione (Bateson, 1955), è un segnale che qualifica diversamente un altro segnale: nella sequenza descritta l’invito al gioco, la sfida asimmetrica del giovane, è un metasegnale. Anche Charles Darwin si era occupato di questo argomento, senza usare questo termine: “il mio cane, quando per gioco mi afferra la mano con i denti ringhiando, se morde e io gli dico Piano, piano! continua a mordermi, ma scodinzolando e accucciandosi sulle zampe anteriori sembra dirmi Non preoccuparti, è tutto un gioco!” (C. Darwin (1872) The expression of the emotions in men and animals). Il metasegnale che nei canidi di tutte l’età precede l’avvicinamento e il gioco si chiama “play-bow” (Bekoff, 1972), letteralmente “gioco-arco”, quella postura con zampe anteriori allungate in avanti, schiena inarcata e zampe posteriori tese, con cui i cani invitano a giocare. È un metasegnale anche“l’esibizione rilassata a bocca aperta” di Macaca fascicularis, che per il primatologo Van Hooff svolge lo stesso ruolo di un sorriso. Anzi, esisterebbe una filogenesi del sorriso, che ci porta a condividere con tanti altri primati questo segnale ludico e di nuovo ripropone per il gioco il problema dell’intenzionalità (L. Beani).

diverso significa attribuire all’animale una cittadinanza, riconoscergli cioè un ruolo e uno statuto nella relazione con l’uomo non sulla base del concetto di uguaglianza ma su quello di alterità (R. Marchesini). Secondo l’approccio zooantropologico, la relazione si differenzia dalla semplice interazione. La relazione è data dall’incontro/ confronto tra due soggetti basata su processi di interscambio, capace di costruire un legame, che determina delle modificazioni nello stato dei due partner. L’animale è accreditato come controparte sociale, come interlocutore, come soggetto, come diverso. L’animale partecipa alle situazioni relazionali poiché è in grado di assumere un ruolo e di comunicare nuovi contenuti: il cane non deve essere trasformato in un oggetto o in una macchina (reificazione) e non deve essere letto attraverso una proiezione dell’uomo (antropomorfizzazione). Da questo discende l’idea che la relazione con l’animale non può essere considerata intuitiva, ovvero raggiungibile attraverso un semplice processo proiettivo. La relazione va costruita con pazienza, umiltà, voglia di conoscere, capacità di mettersi sotto critica, disposizione all’ascolto e all’osservazione (R. Marchesini). Uomo e animale si incontrano “su specifiche frequenze” chiamate dimensioni di relazione. Tra queste è possibile evidenziare: • La dimensione affettiva (è caratterizzata da un interscambio di affettuosità, dalla valenza di protezione e di sicurezza, dal sentirsi accreditati e riconosciuti); • La dimensione ludica (è caratterizzata da una cornice di interscambio basata sul gioco, sulla finzione, sulla fluidità dei ruoli, sul divertimento, sulla distrazione);. • La dimensione epistemica (è caratterizzata dalla priorità delle direttrici di conoscenza, per la presenza d’interesse, di attenzione, riflessione, interscambio di sapere); • La dimensione sociale (riguarda il piacere di condividere, di non essere solo e di sentirsi aiutato, di costruire una performance in coppia, dalla capacità di agire in modo sincrono e di collaborare) L’area ludica è caratterizzata da una cornice di interscambio basata sul gioco, sulla finzione, sulla fluidità dei ruoli, sul divertimento, sulla distrazione, sulla conoscenza a basso regime di impegno. L’area ludica (R. Marchesini). si differenzia a sua volta nelle dimensioni: • Ludico performativa (caratterizzata dal gioco cinestesico, dall’alto livello di fisicità e di attivazione emozionale, dalla forte componente motivazionale); • Ludico cognitiva (caratterizzata dal gioco di finzione, dalla mobilità dei ruoli, dalla prevalenza dell’atto mentale e con bassa arousal); • Ludico comica (basata sul divertimento, sulla sollecitazione dell’area comica del soggetto, sul buon umore e sulla distrazione, sul piacere di ridere). Una delle dimensioni di base della relazione uomo – animale è quella affettiva: l’interscambio è basato sulla protezione, sulla rassicurazione, sull’offerta/ richiesta di aiuto, sulla condivisione emozionale. L’area affettiva mostra differenze d’espressione che variano secondo il ruolo assunto dal fruitore: epimeletico (offre protezione, cura, sicurezza, alimento), et – epimeletico (chiede protezione, conferme, sicurezza, alimento). Il partner umano mostra un comportamento protettivo nei confronti dell’animale assumendo il ruolo

LA RELAZIONE, LA DIMENSIONE LUDICA Alla base della convivenza con il cane e il gatto si pone la creazione di una corretta relazione fondata sul pieno riconoscimento delle rispettive diversità. La figura del Medico Veterinario è fondamentale in questo processo. La consapevolezza di appartenere a specie diverse comporta la conoscenza delle necessità dei nostri compagni. Il cibo, l’acqua e un riparo sono considerati fabbisogni fisiologici, primari per tutti gli esseri viventi. Gli animali possiedono anche fabbisogni di sicurezza e comportamentali poiché il cane e il gatto sono soggetti dotati di una mente, con attitudini ed emozioni capaci di costruire la propria esperienza nel mondo. Riconoscere un’identità sulla base del concetto simile/

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del genitore e mostra l’atteggiamento tipico dell’accudimento parentale. L’obiettivo della relazione è il bilanciamento delle diverse componenti (equilibrio della relazione). Le funzioni del gioco Secondo R. Marchesini, il gioco è un processo di apprendimento messo in atto attraverso moduli comportamentali fuori contesto senza un fine preciso. È un’espressione esagerata, in libertà, di alcuni comportamenti come per esempio l’abbaio e la corsa. I cani giocano per apprendere, per divertirsi (è un comportamento autogratificante), per rafforzare i legami sociali, per competere. È opportuno evidenziare che le attitudini di razza influenzano il modo in cui il cane gioca così come l’età, le esperienze precedenti e la personalità dell’individuo. Il gioco, nel cane e nel gatto, possiede funzioni cognitive, sociali e educative - terapeutiche: • Funzione cognitiva: stimola l’esplorazione e la curiosità, favorisce lo sviluppo psicomotorio, aumenta la consapevolezza del proprio corpo, favorisce l’accreditamento; • Funzione sociale: rafforza la relazione di coppia, migliora la comunicazione, sviluppa le capacità di collaborazione, aiuta a prevedere le intenzioni di chi si ha di fronte; • Funzione educativa e terapeutica: disciplina le motivazioni, rafforza le emozioni positive, stabilizza l’arousal. Attraverso il comportamento di gioco è possibile: • Esercitare l’esplorazione - il corpo del cane (informazioni sul proprio corpo e imparare a concentrasi/ attendere); - il corpo del partner umano (favorire la pro socialità); - l’ambiente (informazioni sull’ambiente e imparare a concentrarsi/ attendere; imparare a scovare/ cercare modellando la difesa e il possesso). • Esercitare la collaboratività (acquisire un risultato e imparare a delegare le responsabilità; imparare ad attendere). Il partner umano, spesso, suddivide le attività effettuate con il cane in gioco e lavoro: le differenze sono attribuite dall’essere umano al lavoro considerato come un sacrificio, serio e faticoso. Il gioco invece è divertimento, uno sfogo senza regole e privo di controllo. È opportuno evidenziare che il gioco è un’attività, con regole stabilite dalla coppia. Per giocare, inoltre, è necessario sapere “a che gioco stiamo giocando”: numerose incomprensioni nascono poiché il partner umano pensa di fare una cosa mentre il cane una differente. Per giocare è necessario essere in due! Per quanto riguarda la funzione educativa e terapeutica del gioco, le attività proposte devono essere stabilite in base all’assenza/ presenza di una malattia del comportamento (e quindi all’o-

biettivo terapeutico), all’età del cane, alle capacità fisiche del cane e del partner umano, alle “preferenze” della coppia. È opportuno ricordare che i giochi di lancio ripetuto (palla, bastone) aumentano il volume della motivazione predatoria favorendo il comportamento di inseguimento rivolto a qualsiasi essere vivente/ oggetto in movimento. Il gioco del tira e molla, realizzato come una competizione tra il partner umano e il cane, aumenta il volume della motivazione possessiva ed eleva l’arousal mentre la sequenza ripetuta più volte “seduto, terra, resta” può indurre fissità comportamentale. È possibile arricchire le conoscenze del partner umano e del cane proponendo e mostrando nuove attività ludiche: • I giochi di naso: ricerca olfattiva semplice, seguire una traccia olfattiva (controllo dell’arousal, concentrazione), trovare un oggetto (stimolare la memoria esplorativa, cooperazione, concentrazione), discriminare un odore; • La Mobility Dog modificata: barriere a terra (migliorano le capacità sensorio - motorie, percezione del sé nello spazio, gestione del treno posteriore, il corpo come palestra (esercizio sulla prosocialità), il problem solving (apprendimento per comprensione, andare oltre i modelli solutori a disposizione).

BIBLIOGRAFIA L. Beani, 2007, in: Infanzia e Memoria (a cura di M.Bresciani), Olschki, pp 135-147. R. Campan, F. Scapini, 2005, Etologia, Zanichelli, Bologna. K. Immelman, 1998, Introduzione all’etologia, Bollati Boringhieri, Torino. D. Mainardi, 1992, Dizionario di Etologia, Einaudi, Torino. A. Manning, M. S. Dawkins, 2003, Il comportamento animale, Bollati Boringhieri Torino. R. Marchesini, 2004, L’identità del cane, Apeiron editoria e comunicazione, Bologna. R. Marchesini, 2004, Canone di zooantropologia applicata, Apèiron Editoria e Comunicazione S. r. l., Bologna. R. Marchesini, 2005, Fondamenti di zooantropologia, Alberto Perdisa Editore, Bologna. R. Marchesini, 2007, Pedagogia cinofila - introduzione all’approccio zooantropologico -, Alberto Perdisa Editore, Bologna. R. Marchesini, 2008, Intelligenze plurime, manuale di scienze cognitive animali, Alberto Perdisa Editore, Bologna.

Indirizzo per la corrispondenza: Sabrina Giussani E-mail: sabrinagiussani@yahoo.it - Cell. 3331861226 www.veterinariocomportamentalista.it

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Check skin you have 15 minutes and ruling out fleas, the us experience Craig E. Griffin DVM, Dipl ACVD, California (USA)

Often the veterinarian is faced with a situation where a chronic skin case is scheduled for a fifteen minute appointment or is coming is for something else such as a vaccine with the additional comment of check skin. A complete history, physical and dermatologic examination along with cytology and skin scrapings is typically recommended by veterinary dermatologists. In most cases and especially chronic or recurrent cases there are often multiple components to the skin condition. Client education regarding multiple diseases as well as treatment options and plans need to be explained. These components and discussing all of them require time to complete likely 30 - 45 minutes by a veterinary dermatologist and will often overwhelm and confuse the typical client. There are key components to what makes this short often 15 minute appointment a success.

dogs skin. It is important the clients know immediately that you can “fix this� but it will not be instantaneous. 2. Set Up Expectations And Client Education Chronic pruritic diseases are usually going to be lifelong and the client needs to be aware of that as soon as chronic or recurrent pruritus is determined to be a problem. They need to know the cases are often complex with more than one contributing problem and the most important thing they must realize is you and they are a team. The goal is finding out what aspects contribute to their dogs problem and how best to manage the problem or problems. You will need to rule out certain possibilities and likely try several methods of control over their pets life. It will be critical for you to really see how things change with any given therapy and rechecks will be required and information that only they can supply as well examinations of the dog for subtle clues will be essential. As discussed the history is very important but is very subjective and dependent on owner observations and the skill of the clinician in questioning and training the owner. Training the owner to observe and make more accurate observations is an excellent way to improve on obtaining accurate subjective information. This information is given to the owner while the clinician does the dermatologic examination and during the time is may take the technician to prepare and or read samples for cytology and skin scrapings.

KEY COMPONENTS FOR SUCCESS 1. Be positive assure client the problem can be determined, 2. Set up expectations and educate the client. 3. Determine lesions present and their pattern, 4. Eliminate simple things first, the rest is dealt with on the follow up. 5. Go over the checklist of what to accomplish 6. Chronic or recurrent cases need follow up

Important physiologic principals you need to know for proper client education

1. Be Positive Most chronic or recurrent skin diseases are not going to be completely definitively diagnosed and controlled in one visit. In most of the cases the dog will have more than on disease or require tests that will take some time to get results and even then indicate more tests are needed or long term therapy and monitoring will be required. Often diet changes are indicated and determining the response to these may take several months. The first step in approaching the chronic case is to be positive and assure the owner that through a process that requires their input you can be successful in determining the problem and the best way to manage or treat it. Clients may become more frustrated when the veterinarian indicates they do not know what a dog has or starts off not being positive about how to determine what is bothering the

A threshold is defined as the point at which a physiologic or psychological effect begins to be produced. The level of mediators present in the skin that makes a dog pruritic is termed the pruritic threshold. This threshold is not a fixed level and it may be raised or lowered by a number of factors. Another important aspect of many pruritic dogs is that all or part of the pruritus results from an allergic disease. The allergic disease also has a threshold so that some levels of allergen presented to the dog may be tolerated without causing allergic inflammation. So when considering a food allergic dog pruritic may not occur until the dog eats enough of the food to stimulate an allergic reactions that results in enough mediator production to stimulate pruritus.

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Summation is the cumulative effect by which sequences of stimuli that are individually inadequate to produce a response are cumulatively able to induce the response. Again this is believed to be very important in contributing to the severity of pruritus. If a dog is itching from a low level of atopic dermatitis and then develops an infection now the additional level of mediators produced may result in more severe pruritus. It may also result in failure to respond to what was successful therapy for just the low level of allergic inflammation. This concept of summation applies to allergy as well so a dog may not react to the level of food it is eating until there is concurrent exposure to pollen the dog is sensitive to.

The three primary diseases that confound clinicians the most are atopic dermatitis, adverse food reactions and scabies which I like to refer to as the Big Three differential diagnoses. The fourth common pruritic disease is flea allergy dermatitis. FAD is less of a challenge to diagnose as it has the characteristic dorsal lumbar pattern which may also be present in AFR dogs. FAD is also important to recognize as it may occur concurrently with atopic dermatitis or AFR and can flare those diseases up when they are marginally controlled. This leads us to the key clinical features of the Big Four in table 1. The possibility of coexisting primary diseases should also be considered and though controversial up to 40% of AD appearing dogs with perennial symptoms are diet responsive and half of these have concurrent AFR and AD. The hardest to separate is atopic dermatitis from adverse food reaction and currently many even consider atopic dermatitis a clinical presentation that can be caused by both environmental and food allergens.

3. Determine lesions present The type of lesions present need to be determined and any that suggest demodex (follicular disease, casts, comedones) or scabies (papules, pinnal margin) will mean these need to be addressed with skin scrapings or trial therapy. Secondary causes of pruritus, especially microbial disease needs to be identified, typically with cytology from lesions suggestive of bacteria or yeast. Therefore cytology and possible skin scraping are the most common initial test and if positive often the only tests done in the first office visit. To save time the clinician should take the cytology samples and skin scrapings while doing the dermatologic examination then have a tech take the slides to be processed and ready for reading if they do not read the slide. Atopic dermatitis does not typically have crusted papules and their presence generally precludes this as the only diagnosis and therefore the only cause of pruritus. Pattern analysis of lesions as well as pattern of pruritus, especially when there are pruritic areas with no lesions is very helpful in determining the primary cause of pruritus.

4. Eliminate Simple Things First Cytology and skin scrapings determine if bacterial overgrowth, infections or demodex are present. Types of lesions and pattern suggest if flea allergy may be a problem or scabies should be ruled out. These five simple items are what should be addressed in the initial appointment and usual one or more will be found and need to be dealt with. The client should be educated that any of these simple items may cause itching and once they are eliminated then it is possible to determine if the pet has a primary chronic itchy disease or non itchy problem. At the follow up exam it will be important to know if the pet is still itchy, how itchy and the pattern of itching. It is helpful for them to let you know where the pet itches so you can determine if normal appearing skin is itchy.

TABLE 1 - Key differentiating clinical features of the BIG FOUR Feature

AD

AFR

Scabies

FAD

Age Onset

6 months –7 years

Any but increased when < 6 months

Any

Young

Breed

More in terriers, gold ret

Shar pei, lab ret, cocker spaniel, germ shep, English bulldog

Any

Any

Seasonal

Strongly suggestive

No

No

Yes, maybe

Papules

No

Variable

Yes

Yes

Otitis

External orifice, concave pinnae

Horizontal and vertical canal

Pinnal margin initially

No

Pinnal pedal reflex

Less than 10% if no otitis

Less than 10% if no otitis

Common

Neg

Sneeze

Yes

Yes

No

No

GI signs

No

No

No

No

Pruritic no lesions

Common

Occurs

Rare

Infreq

Dorsal Lumbar

No

Yes

Rare

YES

Elbows

Anterior elbow flex fold

Any

Lateral

Conjuctivitis

Yes 10-30%

Some, % unknown

No

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No


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The most common cause of itching in dogs with chronic pruritus is microbial disease and therefore this most often what must be determined first. In atopic dermatitis cases secondary pyoderma is present in approximately 80% of the cases and Malassezia in 35%. It may be even more prevalent based on how aggressively one looks for secondary infections. Diagnosis of infection is most often done with cytology. The presence of inflammatory cells or evidence of inflammatory cells such as strands of nuclear material along with bacteria is highly suggestive and most likely represents a pyoderma. Any intracellular bacterium found from skin cytology is diagnostic of pyoderma. If no inflammatory cells are present then bacterial overgrowth requires that there is an increase in numbers of bacteria present on the skin surface. The numbers I use are greater than 1 cocci or 0.5 rod per average oil immersion field. Once pyoderma, Malassezia or bacterial overgrowth is tentatively diagnosed it is helpful to determine how much it contributes to the pruritus. This is done by recognizing the microbial component and treating that without treating allergic disease or only temporarily treating allergy. This will allow on follow up with a client that has been educated about what to watch for the ability to determine how much pruritus resolves. This then allows one to establish the level and pattern of symptoms that result from the underlying primary pruritic disease. If there is no pruritus at the follow up then it is unlikely that atopic dermatitis is the primary disease as by definition it is pruritic. However the presence of pruritus needs to be established based on behavior of the pet and not the owners interpretation of what is significant pruritus

6. Chronic or recurrent cases need follow up The recheck examination is scheduled and the importance of this is again emphasized to the clients. Even if they think there dog is normal and responded with the treatments prescribed at this appointment it is best to come back for the follow up exam and be certain that no lesions or clues to a chronic problem go unnoticed.

Role of fleas in the pruritic dog Flea allergy dermatitis has already been discussed and is an important cause of chronic itchy dogs. In addition many dogs have both atopic dermatitis and flea allergy. How often they occur together is partly determined by the level of flea exposure. In general in regions of the world with greater flea burdens there is a higher incidence of concurrent flea allergy dermatitis, though not of atopic dermatitis. This has led to the suggestion that atopic dermatitis predisposes to the development of flea allergy dermatitis. What is less well documented is how often fleas aggravate atopic dermatitis in a dog that does not have flea allergy dermatitis. When one considers the pathophysiology of pruritus and atopic dermatitis it is apparent there are multiple mechanisms by which fleas may aggravate a clinical case. There is evidence that flea allergy is responsible for poorer response in the treatment of atopic dermatitis. Again exactly how this occurs is not known. There are cases of atopic dermatitis in dogs not positive by intradermal testing to fleas that respond better for the atopic dermatitis treatments when fleas are controlled. This suggests that any case of chronic pruritus, especially if not responding well to therapy, should have a trial of aggressive flea control to determine what role fleas may play in the response to therapy.

5. Go over checklist of what to accomplish If none of the simple things are present then you can move on to the probable allergic dog. One or more of these are often present in chronic skin cases and eliminating them and seeing what is left is often a simple thing to do and the first step in the approach to determining a cause and how best to control a chronic pruritic skin case. This is generally the main goal for the first appointment and as such it leads to the following check list in table 2.

Aggressive flea control Good flea control is generally considered effective for flea allergy in 80 to 90% of the cases. However, these study results need to be closely evaluated; for example, one study

TABLE 2 - Chronic Pruritic Dog Initial Appointment Checklist Item to check or complete

√

Solution/Plan/Treatment

Be positive

Explain things can be controlled if steps followed.

Establish lesions and pattern of pruritus

Derm exam, pruritus history and educating client about what to observe

Bacterial overgrowth

Topical antimicrobial therapy, possible systemic antibiotic

Pyoderma

Systemic antibiotic therapy

Malassezia

Systemic ketoconazole

Fleas

Flea control, possible avoidance techniques added

Scabies

Selamectin

Educate client about initial goals

Review findings and solutions for today

Recheck evaluation

Schedule appointment and goals at recheck

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√


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with 36 dogs had 31 complete a study with fipronil. Pruritus was graded on a scale of 0 to 2 (absent, mild, and intense, respectively. At initiation of the study, 18 dogs had mild pruritus and 18 had intense pruritus. By day 90, 1 dog still had intense pruritus, 12 had mild pruritus, and pruritus was absent in 18. However, the report states that 87% of dogs had good to excellent results. Whenever it is desirable to really rule out fleas as a significant contributor to pruritus then a trial of aggressive flea control is indicated. This trial should last 30-60 days depending on how well client follows the directions. The premise is that dogs that are prevented from having any flea bites will have signs related to fleas eliminated in 30 days. The trial involves keeping the affected animal indoors to the extent possible and avoiding outdoor locations that are likely to be sources of flea exposure or “hot spots”. It may include walking only on leashes, paved or concrete surfaces when possible, and grass areas that are not shaded. The goal is to prevent flea bites, so repellents—products that incapacitate fleas from feeding or rapid killing of fleas will result in the fewest bites and therefore less allergen exposure— should be used. For our purposes, rapid kill is when all fleas are dead within 4 hours. The two products, nitenpyram and spinosad, have been shown to provide this rapid flea kill. Very rapid flea killing products and occasionally permethrin for flea bite prevention (it has a repellant effect are used regularly to minimize the number of flea bites if a flea lands on an affected pet. Permethrin generally has a shorter flea repellent effect than its killing duration and usually needs frequent application.

Bathing and flea control Topical therapy is often recommended for allergic dogs and dogs with recurrent infections. Some cases are greatly benefitted and even controlled when bathed multiple times a week. Many specialists recommend routing bathing at 7-14 day intervals for cases of chronic pruritus or recurrent pyoderma. Often topical flea products are continued in these cases and this presents another problem. Multiple presentations have been made regarding the ability of topical flea products to still be effective following water immersion and some limited bathing protocols. In these non peer reviewed studies water immersion is generally defined as immersion in a tub filled with water for one minute time. Often the exact bathing protocol is unknown and many of the medicated shampoos have not been evaluated, and there is some evidence that different shampoos may vary in there effect. In these protocols there is some effect on the killing of fleas though not below the level to claim efficacy. The problem is just having efficacy, defined by greater than 90% fleas killed by 24 or 48 hours, does not equate to control of pruritus in the chronic allergic pruritic dog. There is no peer reviewed published material on the effects of bathing in control of pruritic dogs treated with topical flea products. Cases are seen where it appears that flea control with topical therapy is adversely affected by bathing or swimming. In these cases switching to systemic oral medication is effective in controlling the pruritus. Spinosad (Comfortis® Elanco) is a once monthly, oral, systemic, rapid flea killing product. Spinosad has become a favored product for controlling fleas in dogs with chronic pruritus.

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Novel Agents in the Treatment of Canine Otitis Externa Linda J.I. Horspool BVMS, PhD, Dipl ECVPT, MRCVS Boxmeer (NL) Allan Weingarten, DVM, New Jersey, USA

tain more water, such as creams, gels and solutions. Suspensions are generally favored by veterinarians because they provide good contact with, and distribution within, the ear canal and can easily be applied as drops.

INTRODUCTION Otitis externa is one of the most prevalent diagnoses in canine practice. Small inflammatory changes in the fragile microclimate of the skin in the external ear allow abnormal proliferation of commensal bacteria (Staphylococcus pseudintermedius) and yeast (Malassezia pachydermatis) or opportunistic invaders (e.g. Pseudomonas aeruginosa). This perpetuates inflammation and may eventually lead to significant proliferative pathologic changes. Perpetuating factors make resolution of otitis externa a significant challenge.

NOVEL AGENTS A novel ototopical suspension containing the glucocorticoid mometasone furoate monohydrate (0.1%), the fluoroquinolone antibiotic orbifloxacin (1%) and the triazole antifungal posaconazole (0.1%), (POSATEX®, Intervet/ Schering-Plough Animal Health1) has been developed for veterinary use. Mometasone furoate (MF) is a synthetic GC with high topical potency. It has a high affinity for and a long half-life at the GCR. MF is capable of inhibiting pro-inflammatory mediators at very low concentrations in vitro2 and in animal models3, where its potency has been shown to increase following repeated topical application, as well as in dogs with otitis externa.4 Only very low amounts of MF are found in plasma following ototopical application. MF is metabolized extensively and its metabolites are excreted in feces. There were no clinical signs or marked increases in liver enzyme activity following ototopical application of MF (as POSATEX) at one-, three- and five-times the recommended treatment dose for 21 days in healthy Beagle dogs. Although there was a slight decrease in resting serum cortisol concentration after 21 days in the highest dose group, these dogs could still respond well to ACTH stimulation. In addition, MF has been shown to have a good margin of adrenal safety following application to dogs with otitis externa.5 Orbifloxacin is a fluoroquinolone with a broad spectrum of concentration-dependent bactericidal activity. It is particularly well suited to treat the bacterial pathogens and secondary invaders typically encountered in canine otitis externa. Fluoroquinolones selectively inhibit bacterial nucleic acid synthesis by binding topoisomerase IV type II in Grampositive bacteria and to the A subunits of bacterial DNA gyrase in Gram-negative bacteria, disrupting the spatial arrangements of bacterial DNA, leading to rapid cell death.6 Orbifloxacin has minimum inhibitory concentration (MIC) ranges of 0.25-2 μg/ml7 (MIC90 1 μg/ml8) for coagulase-pos-

TOPICAL TREATMENT The majority of cases of otitis externa can be treated successfully with topical medication administered into a clean, dry external ear canal. These medications usually contain an antibiotic, antifungal and generally also a glucocorticoid (GC) in an appropriate vehicle. GCs are included to reduce inflammation allowing restoration of the normal environment of the ear canal. Broad-spectrum antibiotic and antifungal agents are included to eliminate the bacteria and yeast associated with otitis externa. The vehicle should ideally allow the active ingredients access to all parts of the ear canal, and provide prolonged contact with its epithelial lining. GCs enter cells and complex with specific glucocorticoid receptors (GCR) in the cytoplasm. The GC-GCR complex moves to the nucleus and binds to glucocorticoid response elements, leading to transcription and production of certain proteins that are known to have anti-inflammatory actions, e.g. lipocortin-1. GC inhibit both the early and late (healing, repair, and chronic proliferative reactions) stages of inflammation. Finally, GC decrease glandular secretions from the epithelial glands of the ear canal, making the ear canals a less favorable environment for bacteria and yeast to multiply. The potency of GC following topical application depends on agent, concentration, salt (lipid solubility) and formulation. Potency is directly related to the agonistic GCR affinity and retention in the target tissue but is also concentration related. Formulations that are oil-based, such as ointments and suspensions, are more potent than formulations that con-

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itive staphylococci, 2-16 μg/ml for Pseudomonas aeruginosa8, 0.016-0.12 μg/ml for E. coli7 and 1-8 μg/ml for Enterococcus faecalis7. The Clinical and Laboratory Standards Institute (CLSI) breakpoints for antimicrobial disk and dilution susceptibility tests for orbifloxacin are susceptible ≤1 μg/mL, intermediate 2-4 μg/ml and resistant ≥8 μg/ml. Orbifloxacin is absorbed slowly and moderately following ototopical application and is excreted predominantly unchanged, mainly in urine. The concentrations obtained are unlikely to result in systemic exposure of any toxicological significance. The clinical efficacy of fluoroquinolones can be predicted using pharmacokinetic/ pharmacodynamic (PKPD) surrogates, namely the ratio of the maximum concentration (Cmax) to MIC of around 8 to 12 and/or the area under the curve (AUC) to MIC of around 35 to 125 hours. The “mutant selection window” hypothesis postulates that resistance should develop only rarely when drug concentrations exceed the so-called mutant prevention concentration (MPC), which approximates to the MIC of the least susceptible mutant in a colony.9 Maintenance of concentrations above the MPC throughout the dosing interval prevents resistant mutant selection. Ototopical application of orbifloxacin (as POSATEX, 8.55 mg/mL1 or 267 μg/drop) establishes and maintains orbifloxacin concentrations at the site of infection that greatly exceed both MIC and MPC, even after potential dilution by exudate. Posaconazole is a novel triazole with a broad spectrum of activity. Azoles prevent the synthesis of a major component of fungal plasma membranes, by inhibiting the cytochrome P-450-dependent enzyme 14α-demethylase (14-sterol demethylase or CYP51A1) that is involved in ergosterol biosynthesis in yeasts and molds. This leads to the build up of toxic concentrations of metabolites, which disrupt both the cell membrane and organelles and leads to inhibition of fungal growth and fungal cell death. Posaconazole has excellent in vitro activity against a broad spectrum of fungal pathogens,10 and has been shown to be at least ten-times more effective than miconazole and clotrimazole against canine Malassezia sp. isolates.1,11 It is absorbed slowly and moderately after ototopical application, with the metabolites excreted principally in feces. Triazoles such as posaconazole have a greater affinity for fungal rather than mammalian cytochrome P-450 enzymes than other azoles, contributing to their improved safety profile.

externa. Dogs that had recently been administered ototopical (5 days), systemic antimicrobial (7 days) or systemic corticosteroid (4 weeks) treatment, as well as dogs with ear canal obstruction, ruptured tympanic membrane(s) or owned by clinic staff were excluded. Before treatment, physical and otoscopic examinations were carried out and odor, discomfort and/or swelling of the external ear canal, pinnal erythema, and exudate were awarded a score using numerical rating scales. In addition, specimens were collected for cytology and culture. The ear canal was then cleaned with physiologic saline or water. Dogs were allocated randomly to two treatment groups with the investigator blinded to treatment. Group 1 (n = 100) was administered the test product once daily for 7 days. Group 2 (n = 102) was administered a commercially available positive control product (Surolan®, Janssen Animal Health) twice daily according to the manufacturer’s recommended treatment dose for 7 days. Effectiveness and safety were evaluated on day 8 using physical and otoscopic examinations and cytology. For pivotal clinical variables the groups were compared using the Stratified Cochran-Mantel-Haenszel Rank Sum Test, stratified by site and by the WilcoxonMann-Whitney Exact Rank Sum. For non-pivotal variables, the groups were compared using Cochran-MantelHaenszel Chi Square Row Means Scores, stratified by site. Statistical significance was declared when p <0.05. Malassezia pachydermatis was observed in 84% of cases and bacteria (predominantly Staphylococcus pseudintermedius) were cultured from 62% of cases at inclusion. Treatment was successful in 94.4% of dogs from Group 1 and 94.3% of dogs from Group 2 (90% CI of difference between treatments -5.98% to 6.20%). The clinical cure rate was 83.6% in Group 1 and 68.3% in Group 2. The subjective clinical scores for odor, swelling, pinnal erythema and exudate improved with treatment in both groups (p >0.05). There was a significantly greater improvement in discomfort (pivotal variable) in Group 1 compared to Group 2 (p = 0.0029). The vast majority of dogs had no hearing deficit either before (94.9%) or following (98.7%) treatment. The investigator overall outcome evaluation (non-pivotal variable) was significantly better in Group 1 than in Group 2 (p = 0.0001). Five adverse events (three in dogs from Group 1 and two in dogs from Group 2) were reported during the study. The significantly greater improvement in discomfort in Group 1 was presumed to be due to the enhanced topical potency of MF and likely led to the better overall evaluation of this product.

FIELD EFFECTIVENESS AND SAFETY A positive-controlled clinical field study was conducted in first-opinion small animal practices in France, Belgium and Germany to examine the field effectiveness and safety of POSATEX in client-owned dogs with uni- (48%) or bilateral (52%) otitis externa.4 Dogs representing 52 different pure breeds and 31 mixed or unknown breeds (aged 0.3 to 14.3 years and weighing 3.2 to 68.0 kg), that were presented with clinical signs of otitis externa associated with both bacterial and yeast infections were included; around one-half of the cases were newly diagnosed with otitis

CONCLUSIONS POSATEX is intended as a treatment for otitis externa in dogs associated with susceptible strains of yeast (Malassezia pachydermatis) and bacteria. It has been demonstrated to be both safe and effective in the treatment of canine otitis externa associated with yeast (Malassezia pachydermatis) and bacteria when administered once daily for 7 days.

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Address for correspondence: Linda J. I. Horspool Global Technical Director Pharmaceuticals and Parasiticides, Global Companion Animal Business Unit, Intervet/Schering-Plough Animal Health, PO Box 31, 5830 AA Boxmeer, The Netherlands. Tel +31 485 587661 e-mail linda.horspool@sp.intervet.com Allan Weingarten Director Pharmaceutical Research, Intervet/Schering-Plough Animal Health, Summit, New Jersey 07901, USA.

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Adverse Food Reactions in Animals Hilary A. Jackson BVM&S DVD DipACVD MRCVS, Dermatology Referral Service, Glasgow, Scotland

Subsequent serum allergen specific IgE titres and positive intradermal and gastroscopic food sensitivity testing are described after sensitization. The pivotal question in consideration of these models is to what degree they mimic the naturally occurring disease?

INTRODUCTION Practising veterinarians all recognize animals in which pruritus, otitis or gastrointestinal symptoms are ameliorated by a change in diet and clinical signs will return after oral provocation with a previously fed dietary item. What is unknown however, in the majority of cases, are the mechanisms underlying this apparent adverse reaction to food and whether these cases truly represent a food allergy. The majority of allergic reactions to food in people are mediated by IgE and although this is assumed in the dog for example there is scant evidence to support this theory. Collection of objective data from client owned animals is challenging, especially when large numbers of animals would need to be examined to account for breed variations. Additionally selection of animals with an allergy to a specific foods can be time consuming and may not result in a homogenous population as some individuals are additionally sensitized to environmental allergens.

DOGS Spontaneous Dogs with reported in the literature with AFR have been identified by feeding limited antigen diet containing novel or hydrolysed proteins which is selected after detailed review of the individual’s dietary history. A challenge with previously fed foods is performed and clinical deterioration demonstrated. On the basis of these clinical observations we can only describe these animals as having dietary response disease. These papers are reviewed in my second lecture. Canine adverse food reactions (AFR) often looks clinically similar to canine atopic dermatitis (CAD). Although a sub-population of dogs with different clinical presentations and age of onset also appears to exist. In a Swiss study in which the allergic population was compared with all registered dogs, West Highland White Terriers, Rhodesian Ridgebacks and Pugs were predisposed. Gastrointestinal signs were more common in the population and clinical signs tended to develop earlier 48% <1 year as compared with 16% of dogs with CAD (Picco, Zini et al 2008)1. These findings are similar to a study carried out by the author in North Carolina (38% < 1year). Intradermal skin test reactivity to food antigens can be performed and circulating food allergen specific IgE can be measured in dogs with suspected food allergies although at this time these tests are unreliable in the diagnosis or prediction of canine food allergy. Whether this relates to the test methodology, allergens employed or the lack of IgE involvement in canine AFR is unclear. There is some evidence that AFR may be mediated by IgE in some dogs. Increased IgE specific to bovine serum albumin was identified in dogs with clinical hypersensitivity to beef but not in normal dogs (Ohmori et al 2005)2. Additionally, increased histamine release after food antigen specific stimulation of peripheral blood leucocytes harvested from affected dogs supports a role for for IgE (Ishida et al 2004)3.

Adverse food reaction: any clinically abnormal response attributable to the ingestion of food or food additive Food intolerance: abnormal physiological response to food with no immunological basis Food allergy: Immunologically mediated adverse food reaction.

What evidence would we require to be confident in a diagnosis of food allergy? 1. Repeatable improvement with a change in diet and relapse on challenge with previously fed food. 2. Allergen specific activation of the immune system associated with clinical deterioration. Probably most research in this area has been performed in the field using animal models. In general animal models of food sensitization have required non-physiological routes of allergen exposure (subcutaneous, intra-peritoneal etc) along with alum adjuvants. Dogs have been selected for high IgE antibody production following viral infection or immunization.

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Canine models

PIGS

The Maltese x beagle; dogs with naturally occurring food allergy at North Carolina State University. This colony was originally established to express an autosomal recessive glycogen storage disease. Dogs fed on a regular canine diet from weaning developed allergies to components of that diet, notably corn, soy, milk and pork. Food allergies manifest as pruritus of the feet, limbs, face, ears and ventrum as early as 4 months of age and within hours of ingesting specific proteins. An allergen specific IgE response has also been measured in these dogs after oral challenge leading us to conclude that, at least in this group of dogs food allergy is IgE mediated (Jackson et al 2003)4. Furthermore, treatment with oral cyclosporine failed to ameliorate that acute response to oral challenge with food allergen supporting a role for acute histamine release (Jackson)5. Non-physiological sensitisation of colonies of high IgE responder dogs to food antigens has facilitated by-pass of normal immune tolerance. The timing of sensitisation has been shown to be critical to the subsequent development of a robust IgE response. Predictable outcome measures (clinical and immunological) allow for the testing of novel therapeutic strategies such as testing the immunogenicity of genetically modified foods, or treatment strategies for nut allergies in man (Day 2005)6.

Pigs develop transient post-weaning allergy to soy allergens which can be prevented by pre-weaning feeding of soy protein in sufficient quantity. Pigs have also been used as an experimental model of food allergy as they develop cutaneous and enteric clinical signs similar to those in humans (Rupa et al 2009)8

RODENTS There are a number of rodent models which have been developed to study hypersensitivities to food allergens (Takeda & Gelfand 2009)9. Sensitisation is often performed parenterally combined with an adjuvant although oral sensitization has been described. Although much has been learned from these models there are limitations in translation to similar diseases in other species.

CLINICAL IMPLICATIONS Adverse food reactions are recognized as a clinical entity in client owned animals but good data supporting an immunological basis for this disease is lacking. Most robust information is derived from canine and rodent models which may not necessarily reflect the spontaneous disease in the companion animal population.

CATS Although AFR is recognized as a clinical entity in the cat the clinical dermatological manifestation can be variable. It has been suggested that facial pruritus may be more indicative of AFR but a recent large multicentre study did not support this theory. There does not appear to be a specific age of onset in this species. In one study 55 cats with GI and/or dermatological signs improved with dietary restriction and clinical signs recurred with provocation. Serum allergen specific IgE measurements had limited value as a screening test and gastroscopic food sensitivity testing was not helpful. (Guilford et al)7.

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4.

HORSES 5.

Adverse food reactions in the horse have not been demonstrated definitely although there is clinical testimony to the existence of the condition. Although classically AFR is considered a non-seasonal problem, seasonality may be recognized in this species dependent on grazing and feeding practices. The clinical presentation can be variable. The horse may present with focal or generalized pruritus and chronic urticaria. As for other species the diagnosis rests on demonstrating an improvement with dietary restriction and relapse on challenge.

6. 7.

8. 9.

245

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Controversies in the Diagnosis of Adverse Food Reactions Hilary A. Jackson BVM&S DVD DipACVD MRCVS, Dermatology Referral Service, Glasgow, Scotland

The selection criteria for most studies is a response to a LADT thus dogs with variable cutaneous signs are often included and additional systemic signs (GI, Seizures, sneezing) may be present. From this review a relapse of clinical signs within 14 days of challenge would be expected in the dog with AFR although it should be noted that in most cases the authors are relying on untrained client/ owner observation. For animals with IgE mediated food allergy one would expect the development of clinical signs within hours of challenge. Either the dogs included in these studies have heterogenous disease or immediate signs are being missed. Many studies did not report a follow up period to determine whether an improvement was sustained after diagnosis and whether dietary compliance was maintained. This is important as this author’s clinical experience suggests there are cases in which the initial diagnosis looked like AFR but the dog relapsed even on a strictly fed diet. Client and pet compliance is a major consideration when performing a LADT. Palatability and cost were cited as negative points in a trial with a hydrolysed diet (Loeffler et al 2004)3. Whereas the compliance was significantly reduced in another study when owners were asked to home cook for their pet (Tapp et al. 2002)4 Regarding selection of a maintainance diet for those dogs diagnosed with AFR the studies in cited in table 2 address this issue. Dogs included here have been diagnosed with AFR and are offered a limited antigen diet(s). In only one study (Beale and LaFlamme 2002) was it known whether dogs had previous sensitivities to the parent protein from which the new diet was derived. Whether previous exposure to proteins in the novel diets had been the case was not always reported. Interestingly White (1986) reported 6 dogs which were fine on a home cooked lamb and rice diet but did not tolerate a commercial lamb and rice diet. In no study was the limited antigen diet tolerated by all dogs.

LIMITED ANTIGEN DIETS A review of the literature regarding dogs with skin disease +/- other system involvement shows that publications regarding the use of limited antigen diets have employed these diets either in a) the identification of dogs with adverse food reactions (AFR, table 1) or b) to assess the tolerance of a test diet in dogs with confirmed AFR (table 2). For the purpose of this review publications involving client owned dogs have been analysed. Assuming that the limited antigen diet trial (LADT) and rechallenge is the gold standard for the diagnosis of CAD, from a clinical standpoint the important questions are as follows: 1. How long should the diet be fed? 2. Which diet should be selected? 3. How quickly might clinical signs recur after challenge? Regarding the length of time required to feed the diet a review of the literature, summarised in table 1, clearly shows a tendency over time for the period over which the diet is fed to increase. This might be attributed to clinical experience but is probably also influenced by a study performed by Rosser1 (1993) in which he reported that 13/51 dogs required more that 6 weeks on a LADT to achieve maximal improvement. It should be noted that the majority of these studies include dogs with additional hypersensitivities such as environmental or flea allergies. Pruritus and clinical signs associated with these hypersensitivities might be expected to fluctuate daily or seasonally and thus could influence assessment of the end point of the diet trial itself. Additional treatments are often given initially when a LADT is started and Chesney 2(2002) qualifies the length of the diet trial itself to be dependent on this factor. Outcome measures are variable but in most cases a reduction in pruritus is required and sometimes quantified although the reports in which a percentage reduction is cited do not elaborate as to how this measurement was achieved.

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TABLE 1 - Diets employed in the diagnosis of canine AFR Investigator

Diet

# dogs (confirmed diagnosis)

Duration of diet trial

Outcome measure

Relapse time after challenge

Follow up

White 1986

Home cooked

29

> 3weeks or 2 80-100% decrease pruritus weeks > treatment or other c/s

NR

6 months

Carlotti et al. 1990

Home cooked

33

> 3 weeks

70-80% ⇓ pruritus

12-72 hours

Harvey

Home cooked

25

> 3 weeks

Clinical improvement

2-14 days

Rosser 1993

Home cooked

51

1-10 weeks

Maximal improvement

1 hr-14 days

Denis & Paradis 1994

Home cooked

73

1-13 weeks

⇓ pruritus

NR

Patterson 1995

Commercial

20

4-8 weeks

⇓ Pruritus score

NR

Leistra et al.

Home cooked

40

6-10 weeks

100% ⇓ pruritus

1-3 weeks

6 months

Chesney 2002

Home cooked

19

4-9 weeks (treatment dependent)

Pruritus score

< 10 days

10 wks –12 months

Jeffers et al. 1991

Home cooked

13

3 weeks

Tapp et al. 2002

Home cooked

8

6 -8 weeks

> 50% improvement

NR

Jeffers et al. 1996

Home cooked

25

3-10 weeks

⇓ Pruritus

< 14 days

Biourge et al. 2003

Hydrolyzed commercial

58 (36*)

2 months

⇓ Pruritus score

NR

Loeffler et al. 2004

Hydrolyzed commercial

9

6 weeks

⇓ Pruritus

< 14 days

Loeffler et al. 2006

Hydrolysed 21 commercial Or Home cooked 35

> 4 weeks

⇓ Pruritus

2-7 days

Several months

< 5 days

NR

* Two dogs diagnosed with AFR but did not respond to the hydrolysed diet.

2. Intradermal testing a. One hundred dogs aged > 6 months were skin tested for environmental and food allergens; 48/100 reacted positively to food antigens. Twenty eight of these dogs underwent a LADT for 3 weeks. Three were confirmed with ARF. Additionally 35 dogs negative on serology underwent a LADT, six of these dogs were subsequently confirmed with AFR.(Kunkle & Horner 1992) b. Dogs selected for LB (see 5 below) also underwent intradermal testing; in 2/11 cases positive reactions were seen to beef on IDT and oral challenge.(Ishida et al 2004)

DIAGNOSTIC TESTING The gold standard against which diagnostic tests are measured is a LADT followed by demonstrating that on challenge with previously fed foods, the clinical signs recur. In most cases the clinician/ investigator has relied on the client’s observational skills to confirm a positive challenge. The time to relapse is not always specified, nor is the specific sampling time. 1. Prick testing a. One of the earliest (and most entertaining) reports by Schnelle in 1933 describes two dogs which were prick tested with various commercial allergens. They were found to be positive to salmon and subsequently developed clinical signs when fed the offending protein.

3. Allergen specific serology a. Serum from eight affected dogs confirmed by LADT and challenge was compared with serum from eight

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TABLE 2 - Diets trialled in dogs with known AFR Investigator

Diet

# dogs

# dogs intolerant

Duration of diet trial

Outcome measure

White* 1986

ALPO Chicken or lamb HC chicken & rice

26

6 (Lamb diet/ OK on HC lamb & rice)

2 weeks each diet

Recurrence c/s

Sousa et al. 2000

Purina HA

24

2

1 week

⇑ pruritus

Wagner & Horvath 1999

Pedigree Canine 16 selected protein 3

1

2 weeks

⇑ pruritus

Leistra et al. 2001

Chicken Venison Catfish (Waltham)

40

19 21 34

3 weeks

Rosser 2001

Exclude

19

1

30 days

Roudebush & Schick 1995

Prescription Diet d/d Lamb & rice (Hills)

20

3

18-60 days

Return of Clinical signs

Tapp et al. 2002 Eukanuba Response FP

8

4

NR

⇑ pruritus

Beale & Laflamme 2001

10 Known Sensitivity to soy/corn

2 weeks each diet (positive/ negative & test)

⇓ pruritus

Purina HA

1-21 days

1 day6 weeks

* Two dogs diagnosed with AFR but did not respond to the hydrolysed diet.

Exclude, DVM pharmaceuticals: pinto beans, oats, hydrolyzed casein & chicken liver. Purina Veterinary Diets HA-formula, Nestle Purina Co: hydrolysed soy & cornstarch Pedigree Canine Selected Protein 3: capelin & tapioca Waltham veterinary Diet, Pedigree selected protein: chicken and rice OR venison and rice OR catfish and rice Eukanuba Response FP: Prescription diet canine d/d canned. Lamb & rice. Hills

non-affected controls, one cat and one horse using a monoclonal ELISA for allergen specific IgE. Mild positives were registered in three of the canine controls. The sampling time post challenge was not specified. (Mueller & Tsohalis 1998) 4. PK & oral PK a. Serum from ten dogs with AFR confirmed with LADT and challenge was tested using the PK and oral PK test. An antigen specific response was not detected. (Hillier & Kunkle 1994) 5. Lymphocyte blastogenesis Eleven dogs with adverse food reaction confirmed by a LADT of up to eight weeks were selected, age > 1 year. Seven manifested clinical signs of pruritus and four had gastrointestinal signs. Six unaffected controls were employed. Lymphocyte blastogenesis was performed on two occasions. Once during elimination and once during provocation 1-21 days post challenge. In 9/11 affected dogs the lymphocyte blastogenesis was increased with antigen provication as compared with the normal controls.

CONCLUSION Both the pathogenesis and clinical presentation are poorly defined in the dog with AFR and the incidence of dogs with pure food allergy v food intolerance is currently unknown. Based on this literature review and to further investigate canine AFR the author offers the following suggestions: 1. Dogs undergoing LADT for diagnosis of AFR should be selected with similar clinical signs and a similar age of onset of disease. 2. Response to a LADT should be monitored with an objective scoring system 3. Dogs with concurrent hypersensitivities should be excluded thus the end point is complete resolution of clinical signs. 4. The response to dietary challenge should be monitored by a clinically trained observer 5. The placebo effect should not be underestimated and consideration should be given to performance of a random placebo controlled trial. 6. The timing of measurements of allergen specific IgE should relate to allergen exposure.

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Hypothyroidism in Dogs: a Diagnostic Challenge Hans S. Kooistra DVM, Dipl ECVIM-CA, Utrecht (NL)

Hypothyroidism is the clinical syndrome resulting from deficient production of thyroid hormone. In about 95% of cases of adult onset it is a primary thyroid disorder and in 5% or less it is due to TSH deficiency.

large breeds may be affected more frequently than those of small breeds, there is no pronounced breed predisposition. The incidence is equally distributed between males and females. 3 Thyroid hormones influence the function of almost all tissues of the body and thus the classical clinical picture of overt hypothyroidism involves manifestations from nearly all organ systems (Table 1). The time required for clinically appreciable effects differs considerably: lethargy may be noticed within a few months but skin changes can take almost a year. 4 Central to the clinical signs is usually a history of slowing of mental and physical activities. Most hypothyroid dogs have some degree of mental dullness, lethargy, and disinclination to exercise. These signs are gradual in onset, often subtle, and sometimes unrecognized by the owner until after treatment has been started. Among the observable changes in the hair and skin are alopecia (often with pigmentation), thick folding of the skin, and a puffy facial appearance. The thickening and puffiness are evidence of cutaneous mucinosis or myxedema, which is accumulation in the dermis of glycosaminoglycans and hyaluronic acid with associated edema. 5 Occasionally, hypothyroidism is associated with secondary skin infections, including Malassezia infections. 6,7 Table 1 lists the clinical manifestations by organ system. Changes in a single organ system sometimes dominate to the extent of obscuring the causative disease.8 Rarely, a hypothyroid dog is presented as an emergency in a comatose state. Routine laboratory examinations can reveal several hematological and biochemical abnormalities (Table 1). Both the nonregenerative anemia and the hyperglycemia are usually mild.

PRIMARY HYPOTHYROIDISM Pathogenesis In the spontaneous form a progressive autoimmune process leads to lymphocytic infiltration and disappearance of thyroid follicles. So-called idiopathic forms, in which there is thyroid atrophy without inflammatory infiltrate, are also thought to be the end result of an autoimmune disorder.1 The immune-mediated destruction is a slow process and clinical manifestations of thyroid hormone deficiency only become evident after destruction of >75% of the thyroid follicles. Although they may not be of great pathogenetic importance, autoantibodies against thyroglobulin (Tg) may serve as markers of autoimmune thyroiditis.2 Circulating antibodies against Tg are detected in over 50% of hypothyroid dogs. Antibodies against Tg form a heterogeneous group directed at several epitopes. When an epitope includes a hormonogenic site, an antibody can be directed against a fragment that contains T4 or T3. These Tg antibodies occasionally interfere with immunoassays used to measure the plasma concentrations of thyroid hormones, especially T3. Depending on the type of assay, antibodies recognizing epitopes of a thyroid hormone may cause either falsely elevated or lowered values.

Clinical manifestations Differential diagnosis Thyroiditis usually remains unnoticed, although very rarely transient signs of hyperthyroidism (mainly characterized by polyuria) have been observed. This is probably due to release of thyroid hormone into the circulation during an acute phase of destructive thyroiditis. Eventually most dogs with thyroiditis probably develop signs of thyroid hormone deficiency. Acquired primary hypothyroidism is mainly a condition of young-adult and middle-aged dogs. Although dogs of

Because the presenting symptoms of hypothyroidism can vary widely, a common pitfall in diagnosis is simply to overlook the possibility that the presented problems could be due to hypothyroidism. For example, it is not uncommon for dogs with hypothyroidism to be presented for attention to cardiopulmonology (lethargy misinterpreted as exercise intolerance) or orthopedics (locomotor disturbance). Lethargy, the most common sign of hypothyroidism, may be mis-

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TABLE 1 - Clinical manifestations of primary hypothyroidism in adult dogs System

Common

Less common or rare

Metabolism

Weight gain Appetite unchanged or reduced Cold intolerance

Low body temperature

Skin and Hair

Coat coarse and scanty Nonpruritic truncal alopecia starting over points of wear Mucopolysaccharide thickening of skin (myxedema)

Hyperpigmentation Secondary pyoderma Seborrhea

Cardiovascular

Bradycardia, weak peripheral pulse and apex beat Low voltage ECG (fig. 3.17)

Poor peripheral circulation Cool skin

Reproductive and Endocrine

Persistent anestrus Loss of libido Testicular atrophy

Gynecomastia Galactorrhea Polyglandular deficiency (Schmidt’s syndrome)

Neuromuscular

Lethargy and somnolence Stiff gait

Vestibular ataxia Head tilt (fig. 3.18) Facial nerve paralysis Lameness

Gastrointestinal

Diarrhea

Hematological

Nonregenerative anemia

Biochemical

Hypercholesterolemia Hypertriglyceridemia Mild hyperglycemia

Elevated creatinine kinase Hyponatremia Hyperkalemia

taken for metabolic (hepatoencephalopathy) or cerebrocortical disease (encephalitis, hydrocephalus). The atrophy of the skin and its adnexa must take into consideration such conditions as estrogen excess and hypercortisolism.

It was expected that introduction of a homologous immunoassays for plasma TSH in dogs would greatly aid and simplify assessment of the canine pituitary-thyroid axis by the paired measurement of T4 and TSH. It was hoped that a single blood sample would suffice to confirm the diagnosis of primary hypothyroidism by revealing a low T4 concentration in the presence of a high TSH concentration. However, using the TSH-stimulation test as the gold standard, it was found that in as many as one-third of dogs with primary hypothyroidism, plasma TSH concentration was not elevated.14 Frustration with the limitations of the available endogenous canine TSH assay caused most clinicians to resume using the TSH-stimulation test, 15 albeit now usually employing recombinant human (rh)TSH instead of bTSH. 16-18 In dogs with clinical signs of hypothyroidism, the combination of a low plasma TT4 and a clearly elevated plasma TSH concentration is diagnostic for primary hypothyroidism. When TT4 is low but TSH is within the reference range, a TSH-stimulation test can be performed. Methods not involving biochemical assessment of the pituitary-thyroid axis—such as a radionuclide scan or thyroid uptake measurement with 99mTcO4-, high-resolution ultrasonography, or even a thyroid biopsy—seem to be reliable for diagnosing primary hypothyroidism in dogs.19,20 In a study of 99m TcO4- uptake in dogs with primary hypothyroidism and nonthyroidal illness, there was no overlap in thyroid uptake at 45-120 minutes after injection.19 In high-resolution ultrasonography of the thyroid glands, loss of echogenicity,

Diagnosis As a measure of thyroid function, T4 has to be preferred over T3 because it is produced exclusively by the thyroid gland while T3 in plasma is largely derived by peripheral conversion. In most dogs with primary hypothyroidism, plasma concentrations of total T4 (TT4) and free T4 (fT4) are below the reference range. However, they can also be decreased in dogs without a thyroid disorder because of drugs or illness. The terms nonthyroidal illness and sick euthyroid syndrome have been introduced for this derangement of thyroid homeostasis. Consequently, the finding of a low basal plasma thyroid hormone concentration is of little diagnostic value. 9,10 For this reason stimulation tests using either TSH or TRH have been advocated. The TRH-stimulation test using measurement of plasma TT4 concentration does not distinguish with sufficient accuracy between dogs with hypothyroidism and those with nonthyroidal illness. 11 Until the end of the last century, primary hypothyroidism in dogs was diagnosed by the finding of a low plasma TT4 (and/or fT4) concentration insufficiently responsive to stimulation with bovine TSH (bTSH) 12,13

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homogeneity, and fusiform shape are particularly characteristic of primary hypothyroidism. 21,22 Demonstration of circulating antibodies to Tg indicates the presence of thyroiditis but provides no information about thyroid function. As indicated in the section on pathogenesis, the absence of antibodies against Tg does not exclude hypothyroidism. In addition, dogs with antibodies against Tg may have thyroiditis that has not yet resulted in hypothyroidism.

6. 7.

8.

9.

CENTRAL HYPOTHYROIDISM

10.

In central hypothyroidism the thyroids are not affected primarily but are deprived of stimulation by TSH. Histological examination reveals no loss of follicles but rather the characteristics of inactivity. The condition is rare compared with primary thyroid failure. Spontaneous causes include tumor of the pituitary or adjacent regions and head trauma. 23 The clinical picture is similar to that of primary hypothyroidism, although generally less pronounced. There may be lethargy and alopecia, but thickening of the skin is less pronounced. Not uncommonly, the lesion causing reduced TSH secretion is a hormone-secreting tumor, such as a corticotroph adenoma that is hypersecreting ACTH. The symptoms and signs arising from such a pituitary tumor may precede, accompany, and even obscure the manifestations of pituitary failure. In the presence of an ACTH-secreting tumor, central hypothyroidism may only become manifest after reversal of the associated hypercortisolism. The diagnosis of central hypothyroidism should be based on the demonstration of low concentrations of T4 and TSH in plasma. In secondary hypothyroidism, plasma T4 concentration increases in a TSH-stimulation test, although repeated stimulation may be necessary. A prerequisite for correct interpretation of these tests is the certainty that the low T4 (and TSH) concentrations are not caused by illness or drugs. In addition, diagnostic assessment should include (1) the secretion of other pituitary hormone and (2) the morphology of the pituitary and adjacent areas by diagnostic imaging.

11.

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Diagnosis of Hypercortisolism in Dogs and Cats Hans S. Kooistra DVM, Dipl ECVIM-CA, Utrecht (NL)

50% of dogs with hypercortisolism plasma thyroxine (T4) is decreased as a consequence of altered transport, distribution, and metabolism of T4, rather than due to hyposecretion. For a complete overview of the changes in routine laboratory data related to hypercortisolism the reader is referred to reference 2.

INTRODUCTION Hypercortisolism is a common condition in dogs and can be defined as the physical and biochemical changes that result from prolonged exposure to inappropriately high plasma concentrations of cortisol. This disorder is often called Cushing’s syndrome, after Harvey Cushing, the neurosurgeon who first described the human syndrome in 1932. This abstract will focus on the diagnosis of spontaneous hypercortisolism. In 80-85% of the spontaneous cases hypercortisolism is adrenocorticotropic hormone (ACTH)-dependent, usually arising from hypersecretion of ACTH by a pituitary corticotroph adenoma. The remaining 15-20% of cases of spontaneous hypercortisolism is ACTH-independent and results from autonomous hypersecretion of glucocorticoids by an adrenocortical adenoma or adenocarcinoma.

DIAGNOSIS OF HYPERCORTISOLISM The endocrine diagnosis of hypercortisolism depends on the demonstration of two principal characteristics of all forms of the condition: (a) increased production of cortisol, and (b) decreased sensitivity to glucocorticoid feedback. Measurement of a single plasma cortisol concentration has little diagnostic value because the pulsatile secretion of ACTH results in variable plasma cortisol concentrations that may at times be within the reference range. There are two ways to overcome this problem: (a) to test the integrity of the feedback system, and (b) to measure urinary corticoid excretion. In the first approach the sensitivity of the pituitaryadrenocortical system to suppression is tested by administering a synthetic glucocorticoid in a dose that discriminates between healthy dogs and dogs with hypercortisolism. A potent glucocorticoid such as dexamethasone is used so that the dose will be too small to contribute significantly to the laboratory measurement. In this so-called dexamethasone screening test or low-dose dexamethasone suppression test (iv-LDDST), 0.01 mg dexamethasone per kg body weight is administered intravenously. Blood for cortisol measurement is collected before, and 4 h and 8 h after dexamethasone administration. The finding of a plasma cortisol concentration exceeding 40 nmol/l at 8 h after dexamethasone administration, in dogs with physical and biochemical changes pointing to hypercortisolism, confirms hypercortisolism.(5) The measurements at 0 h and 4 h are not needed for the diagnosis per se but may be useful in the differential diagnosis. If the plasma cortisol concentration at either 4 h or 8 h is at least 50% lower than the 0 h value, the hypercortisolism is pituitary-dependent. The iv-LDDST can have a false positive result as a result of stress, for example due to the hospital visit and blood collection.6

CLINICAL MANIFESTATIONS OF HYPERCORTISOLISM Spontaneous hypercortisolism is a disease of middle-aged and older dogs, although, very rarely, it may occur as early as one year of age. There is no sex predilection. It occurs in all dog breeds with a slight predilection for small breeds such as dachshunds and miniature poodles. The incidence is much higher in dogs than in humans and cats and has been reported to be 1-2 cases per 1000 dogs per year.1 Many of the clinical signs can be related to the biochemical effects of glucocorticoids, namely increased gluconeogenesis and lipogenesis at the expense of protein. In dogs the cardinal physical features are centripetal obesity and atrophy of muscles and skin. Polyuria and polyphagia are also dominating features. The polyuria is known to be due to both impaired osmoregulation of vasopressin release and interference of the glucocorticoid excess with the action of vasopressin in the kidney. Abdominal palpation may reveal hepatomegaly. For a complete overview of the clinical signs related to hypercortisolism the reader is referred to reference 2. Increased plasma alkaline phosphatase (AP) activity is a frequent finding in dogs with hypercortisolism. This is mainly due to the induction of an isoenzyme having greater stability at 65oC than other AP-isoenzymes and therefore easily measured by a routine laboratory procedure.3 In about

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This iv-LDDST is increasingly replaced by the measurement of urinary corticoids. Because urine is stored and mixed in the bladder for several hours an integrated reflection of corticoid production is obtained, thereby adjusting for fluctuations in plasma concentrations. The urinary corticoids (largely cortisol) are related to the creatinine concentration in the urine, resulting in the urinary corticoid to creatinine ratio (UCCR). This test requires little time (from the veterinarian and the owner), is not invasive (no blood collection), and has a high diagnostic accuracy. In addition, the test procedure has the advantage of combining a test for basal adrenocortical function and a dynamic test for differential diagnosis (see below). To avoid the influence of stress, the urine for the UCCR determination has to be collected at home, at least one day after the visit of the veterinary clinic. Nonadrenal disease may also result in endogenous stress and elevated cortisol secretion and therefore high UCCRs in dogs that do not have a high degree of clinical suspicion should be interpreted with care. The owner collects a morning urine sample on two consecutive days and the UCCRs in these two samples are averaged. In our laboratory the basal UCCR in healthy pet dogs varies from 0.3 to 8.3 x 10-6.7 Another popular test to screen for hypercortisolism is the ACTH stimulation test. The main indication for the ACTH stimulation test is to test the adrenocortical reserve capacity, i.e. to diagnose adrenocortical insufficiency. Thus, the ACTH stimulation test can be used very well to diagnose iatrogenic hypercorticism. In cases of spontaneous hypercortisolism, ACTH stimulation may result in an exaggerated adrenal response, i.e., a higher plasma cortisol concentration than in healthy dogs. About 85% of dogs with pituitarydependent hypercortisolism have exaggerated cortisol responses to ACTH, while only about 55% of dogs with hypercortisolism due to adrenocortical tumor have such a result.(8) The main advantages of the ACTH stimulation test are its simplicity and the short duration of the test. However, the diagnostic accuracy for hypercortisolism of this test is less than that of the UCCR and the LDDST. Therefore, this test is no longer recommended in the diagnostic approach of dogs with hypercortisolism.9 When hypercortisolism has been confirmed it is necessary to distinguish between the different forms of the disease.

expression of glucocorticoid receptors. This explains why PDH of pars intermedia origin is resistant to suppression by dexamethasone. In other forms of spontaneous hypercortisolism the hypersecretion of cortisol is not dependent on pituitary ACTH and is therefore also not influenced by the administration of dexamethasone. The impaired sensitivity to glucocorticoid feedback in PDH due to an anterior lobe tumor can be demonstrated by performing a high-dose dexamethasone suppression test (HDDST). Two procedures are used, one employing plasma cortisol and the other employing the UCCR. In both, a decrease of more than 50% from baseline values confirms PDH.13 For the iv-HDDST, blood for measurement of plasma cortisol concentrations is collected immediately before and 3-4 h after intravenous administration of 0.1 mg dexamethasone per kg body weight. When UCCRs are used, the owner has to administer 3 oral doses of dexamethasone (0.1 mg per kg body weight) at 8-h intervals after collection of the second basal urine sample (see above). As mentioned earlier, the urine samples should be collected by the owner at home under conditions free of stress.7 When there is less than 50% suppression, the hypercortisolism may still be pituitary-dependent, due to either a pars intermedia tumor or a resistant anterior lobe tumor. Further differentiation requires measurements of plasma ACTH concentrations. In animals with PDH, plasma ACTH concentrations are not completely suppressed despite high plasma cortisol concentrations.14 When PDH has been proven, the pituitary gland can be detected by CT or MRI. Pituitary imaging is necessary if either hypophysectomy or pituitary irradiation is to be used for treatment, but also provides information with regard to the prognosis.15,16

HYPERCORTISOLISM DUE TO AN ADRENOCORTICAL TUMOR Hypersecretion of cortisol by an adrenocortical tumor (AT) cannot be suppressed by administration of dexamethasone. As indicated by either plasma cortisol concentration or the UCCR, resistance to suppression by a high dose of dexamethasone is, with similar probability, due to AT or dexamethasone-resistant PDH.(13) Hypercortisolism due to AT can be differentiated from nonsuppressible forms of PDH by measuring the plasma ACTH concentration. In addition, an AT is often readily detected by ultrasonography. Hence it is common practice in cases of nonsuppressible hypercortisolism to measure the plasma ACTH concentration and to perform ultrasonography of the adrenal glands. If an AT is found ACTH measurement is still useful. Plasma ACTH concentrations should be low. If not, further studies are warranted to determine if PDH is also present.17 The preferred procedures for imaging of the adrenal glands are MRI and CT. Ultrasonography is less expensive, requires less time, and usually no anesthesia, and so it is often used first even though it is more difficult to perform and to interpret than CT or MRI. Ultrasonography provides a good estimate of the size of the tumor and may reveal

PITUITARY-DEPENDENT HYPERCORTISOLISM In most cases ACTH-dependent hypercortisolism arises from hypersecretion of ACTH by a pituitary corticotroph adenoma. The ACTH excess may originate in both the anterior lobe and the pars intermedia of the pituitary gland. In about 75-80% of cases there is an adenoma in the anterior lobe.10,11 Despite decreased sensitivity to glucocorticoid feedback, the hallmark of Cushing’s syndrome, (a high dose of) dexamethasone can suppress ACTH secretion in most dogs with pituitary-dependent hypercortisolism (PDH) due to a corticotroph adenoma in the anterior lobe. The pars intermedia is under direct neural control, principally tonic dopaminergic inhibition,12 which suppresses the

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information about its expansion.18,19 Most ATs are unilateral solitary lesions, the two glands being affected about equally, but bilateral tumors occur in approximately 10% of cases.19-21 When an AT has been confirmed, the possibility of distant metastases should be considered. During abdominal ultrasonography the liver should be examined for metastases. If possible metastases are found, ultrasound-guided biopsy can be performed. Thoracic radiography or a CT scan of the thorax should be performed to exclude metastases in the lungs.

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Treatment of Hypercortisolism in Dogs Hans S. Kooistra DVM, Dipl ECVIM-CA, Utrecht (NL)

For many years the most common form of treatment of pituitary-dependent hypercortisolism in dogs has been use of the adrenocorticolytic drug o,p’-DDD. Some treatment schedules aim at selective destruction of the zona fasciculata and zona reticularis, sparing the zona glomerulosa. However, in 5-6% of the dogs in which this is attempted, the zona glomerulosa is also destroyed to such an extent that iatrogenic hypoadrenocorticism develops. Also, in more than half of the cases in which selective destruction is the aim, there are one or more relapses of hypercortisolism during treatment. 7 In order to circumvent these complications a treatment schedule has been devised with the aim of complete destruction of the adrenal cortices and substitution for the induced hypoadrenocorticism. 8,9 This nonselective destruction has been reported to be associated with fewer recurrences than with selective destruction. 10 Since the introduction of trilostane for the medical management of pituitarydependent hypercortisolism, o,p’-DDD is seldom used for this purpose. Its main use now is for the treatment of adrenocortical tumors. Trilostane is a competitive inhibitor of the 3β-hydroxysteroid dehydrogenase/isomerase system which is essential for the synthesis of cortisol and aldosterone. In dogs with pituitary-dependent hypercortisolism (PDH), trilostane has the potential of significantly reducing basal and ACTH-stimulated plasma cortisol concentrations. 11-16 Trilostane is absorbed rapidly from the gastrointestinal tract. Administration with food significantly increases the rate and extent of absorption. There is marked variation in the optimal dose and to avoid adverse effects due to overdosage, treatment is started at a relatively low oral dose of 2 mg/kg once daily. The dose is then adjusted according to the clinical response and the results of ACTH-stimulation tests. The efficacy of treatment is also monitored by measurements of plasma sodium, potassium, urea, creatinine, and liver enzymes.17 Within about a week on an appropriate dose of trilostane there is a clear reduction in water intake, urine output, and appetite, followed by improvement in the coat and skin, reduction of central obesity, and increased physical activity. Trilostane’s short duration of action may be responsible for the lack of improvement in some hyperadrenocorticoid dogs. 18 This may be remedied by twice daily administration, beginning at 1 mg/kg per dose.

TREATMENT OF PITUITARY-DEPENDENT HYPERCORTISOLISM AT THE PITUITARY LEVEL The treatment of pituitary-dependent hypercortisolism should be directed at eliminating the stimulus for cortisol production, i.e., the pituitary lesion causing excessive ACTH secretion. In the last decade experience has been gained with microsurgical transsphenoidal hypophysectomy in dogs and cats with pituitary-dependent hypercortisolism.1,2 With appropriate short-term and long-term substitution therapy this is an effective treatment. It can only be performed in specialized institutions with intensive perioperative care, and where imaging techniques such as CT and MRI can be used to define the location and size of the pituitary prior to surgery. When the surgeon has acquired the necessary experience, the results compare favorably with those of chemotherapy with o,p’-DDD. The main advantage for long-term survival, compared with therapy at the adrenal level (discussed below), is in avoiding the neurological problems that could eventually occur as a result of an expanding pituitary tumor. 3 Several attempts have been made to reduce pituitary hypersecretion of ACTH medically, but now that the disease is known to be of primary pituitary origin it is understandable that neuropharmacological approaches with an antiserotoninergic drug and a monoamine-oxidase inhibitor were unsuccessful. 4-6 The main indication for radiotherapy is to reduce the size of a pituitary tumor that is compressing the brain. Since it usually does not reduce sufficiently the hypersecretion of ACTH, additional therapy at the adrenal level (see below) is required.

TREATMENT OF PITUITARY-DEPENDENT HYPERCORTISOLISM AT THE ADRENAL LEVEL This consists of eliminating the glucocorticoid excess by bilateral adrenalectomy or by medical therapy. Total adrenalectomy achieves a complete cure of the hypercortisolism and the prognosis with glucocorticoid and mineralocorticoid replacement is good unless or until expansion of the pituitary tumor causes neurological problems.

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Trilostane can be used in cases of hypercortisolism due to functional adrenocortical tumors if neither adrenalectomy nor destruction of adrenocortical tissue with o,p’-DDD is an option. 19 It can also be used as palliative treatment in cases of metastasis of a functional adrenocortical tumor. 20 Treatment of pituitary-dependent hypercortisolism with trilostane may produce distinct changes in the ultrasonographic appearance of the adrenal glands. In most trilostanetreated dogs there is a clear increase in the thickness of the adrenal glands, due to the continuing stimulation by ACTH. Long-term trilostane treatment may result in adrenal glands with an irregular shape and a nodular appearance. 12,21,22 Overdosage of trilostane results in cortisol deficiency and sometimes even mineralocorticoid deficiency. 16, 17,23,24 If hypoadrenocorticism occurs trilostane must be stopped immediately and corticosteroid substitution started. In most cases adrenocortical function recovers sufficiently within a few weeks and substitution can be stopped, but some dogs require long-term substitution therapy. 16,17

required for complete destruction. o,p’-DDD is given daily for the first 5 days, thereafter on alternate days. The daily dose is divided into 3 or 4 portions and administered with food. On the third day, substitution therapy is begun with cortisone acetate (2 mg/kg per day), fludrocortisone acetate (0.0125 mg/kg per day), and sodium chloride (0.1 g/kg per day), all divided into at least two portions. If for any reason the dog cannot take or retain the tablets and salt two times in succession, injectable medications should be started. After 25 days of o,p’-DDD administration, a follow-up examination is made. The cortisone dose is reduced to 0.5-1.0 mg/kg per day, but is always doubled for one or two days in the event of anesthesia, severe physical stress, or injury. Complete adrenocortical destruction results in very low UCCRs in morning urine samples collected after omitting the cortisone and fludrocortisone administration on the preceding evening. The doses of fludrocortisone and salt are adjusted by measurements of plasma sodium and potassium. o,p’-DDD is then continued for at least 3 months at the same dose once weekly. Owner compliance is essential for successful chemotherapy with o,p’-DDD. The owner is instructed very clearly to stop giving o,p’-DDD if partial or complete inappetence develops, but, with equal emphasis, to continue adrenocortical hormone substitution and to contact the veterinarian, who may increase the cortisone substitution temporarily. If adrenalectomy or adrenocortical destruction with o,p’DDD is not an option, the adrenocorticostatic drug trilostane can be used. It has been used successfully in a dog with hypercortisolism due to a functional adrenocortical tumor19 and can also be used as palliative treatment in case of metastases of a functional adrenocortical tumor. 20

TREATMENT OF HYPERCORTISOLISM DUE TO A ADRENOCORTICAL TUMOR Treatment has two objectives: removal of the adrenocortical tumor and containment of hypercortisolism. When diagnostic imaging has revealed no metastases and it is likely that there is a resectable unilateral tumor, it should be removed by surgery. Successful removal of the affected adrenal will result in complete recovery without the need for lifelong medication. Because of the atrophy of the nontumorous adrenocortical tissue due to the longstanding glucocorticoid excess, glucocorticoid substitution is needed initially. After bilateral adrenalectomy lifelong substitution with a glucocorticoid and a mineralocorticoid is required, according to the treatment protocol for primary hypoadrenocorticism. Hypercortisolism due to adrenocortical tumor can also be treated medically. Drugs for this purpose are classified as adrenocorticolytic or adrenocorticostatic. Adrenocorticolytic drugs destroy adrenocortical cells and thereby reduce steroid synthesis, whereas adrenocorticostatic drugs interfere with steroidogenesis without cell damage. Administration of the adrenocorticolytic drug o,p’-DDD is often the treatment of choice in dogs in which tumor tissue cannot be completely removed surgically or when the disease recurs after adrenalectomy. It is also used in cases of metastasized adrenocortical tumor. Because of the potential of toxic effects of o,p’-DDD in both humans and animals, owners must be given careful instructions on how to recognize and respond to them. o,p’-DDD should preferably not be used in a household in which there is a pregnant woman or young child. The aim of o,p’-DDD treatment should be complete destruction of all adrenocortical cells and substitution therapy for the induced adrenocortical insufficiency. The treatment protocol for complete adrenocortical destruction consists of 25 days of oral administration of 50-75 mg o,p’-DDD/kg body weight per day. 8 In dogs of low body weight o,p’-DDD doses up to 100 mg/kg per day may be

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Address for correspondence: Hans Kooistra Department of Clinical Sciences of Companion Animals Faculty of Veterinary Medicine, Utrecht University, The Netherlands

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estrous cycle. In some middle-aged and older bitches sufficient amounts of GH may be released to result in acromegaly (and diabetes mellitus). Because progesterone levels in bitches during nonpregnant metestrus and pregnancy are similar, acromegaly can also be expected to occur during pregnancy, and recently the occurrence of this in two bitches was reported. 5 Administration of progestins may also give rise to GH excess and signs and symptoms of acromegaly. 6,7

INTRODUCTION Hypersecretion of growth hormone (GH) in the adult results in a syndrome characterized by overgrowth of connective tissue, bone, and viscera. The pituitary origin of the disease in humans was recognized in 1886 by Pierre Marie, who derived its name from the Greek words akron (extremity) and megas (large) for the characteristic enlargement of the hands and feet. In dogs and cats, as in humans, the GH excess can be caused by a somatotroph adenoma of the pituitary gland. In addition, dogs can develop the syndrome from progesteroneor progestin-induced hypersecretion of GH in the mammary gland. Finally, some of the physical and biochemical changes in dogs with primary hypothyroidism may be caused by GH excess resulting from the adenohypophyseal changes brought about by deficiency of thyroid hormone.

Clinical manifestations Canine acromegaly due to mammary GH typically begins 3-5 weeks after estrus and produces the same signs and symptoms characteristic of excess pituitary GH described above: thick folds of skin on the head and neck, fatigue, respiratory stridor, prognathism with widening of the interdental spaces, and abdominal enlargement due to visceromegaly. Initially, most of these changes regress following metestrus but with successive estrous cycles they become progressively more severe, until the full clinical picture develops. Early mild forms are usually primarily characterized by polyuria, polydipsia, sometimes polyphagia, and fatigue and snoring. The polyuria is without glucosuria unless diabetes mellitus also develops from the repeated exposure to GH excess. 8,9 Progestins used for estrus prevention can produce similar changes, especially when given frequently and in relatively high doses. A comparative study of the effects of two progestins revealed that they resulted in similar plasma concentrations of GH and IGF-I, and similar degrees of insulin resistance.10 Laboratory studies often reveal hyperglycemia and increased plasma alkaline phosphatase. The latter may be due in part to the glucocorticoid activity which is intrinsic to progestins. 11,12

EXCESSIVE PITUITARY GH Pituitary tumors that might have secreted excessive amounts of GH have been reported rarely in dogs,1-3 but only recently has GH hypersecretion been confirmed in an Italian dog with acromegaly and a somatotroph adenoma. 4 The recently described dog with acromegaly of pituitary origin had very pronounced characteristics of longstanding GH excess. The soft tissue overgrowth included thickening of the skin, particularly of the head and neck, and enlargement of the tongue with respiratory stridor. The osseous changes caused widening of the interdental spaces, increasing stiffness, difficulty in standing up, and neck rigidity—due to articular cartilage proliferation, periarticular periosteal reaction, and severe spondylosis deformans. Metabolic changes were manifested in polyphagia, weight gain, excessive panting, and polyuria and polydipsia. Laboratory examinations revealed normoglycemia with impaired glucose tolerance. The only other remarkable finding in routine blood examinations was mild anemia.

Differential diagnosis In pronounced cases the clinical features, including the specific medical history, are not easily confused with those of other diseases. However, in some dogs the metabolic changes lead to polyuria, polyphagia, and hyperglycemia

EXCESSIVE MAMMARY GH The release of GH from mammary tissue is a normal physiological process in dogs during the luteal phase of the

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which, together with the increase in abdominal size, may mimic the signs of hypercortisolism. Redundant folds of skin on the head and neck may also occur in primary hypothyroidism leading to GH excess.

REFERENCES 1. 2.

Diagnosis

3.

As in pituitary GH excess, measurement of plasma GH (at 10-min intervals) and of IGF-I will confirm the diagnosis. It is usually advisable not to delay treatment pending the laboratory results, for the sooner treatment is started, the greater the chance of preventing permanent diabetes mellitus (see below).

4.

5. 6.

Treatment 7.

Progestin-induced acromegaly can be treated effectively by withdrawal of exogenous progestins and/or by ovari(ohyster)ectomy. The animal may then change dramatically, due to the reversal of the soft tissue changes. The size of the abdomen decreases, as does the thickening of oropharyngeal soft tissues and thus the associated snoring. The bony changes appear to be irreversible but do not appear to cause problems to the animal. In cases in which the GH excess did not lead to complete exhaustion of the pancreatic ß cells, the elimination of the progesterone source by the ovari(ohyster)ectomy may prevent persistent diabetes mellitus. Serious problems can arise in dogs in which the progestin causing the acromegaly has been administered only recently, for its action may persist for several months. Progesterone-receptor blockers may be helpful, as they are known to lower plasma GH and IGF-I concentrations in canine acromegaly, 13 but there is as yet no long-term experience with their use. 14 Some caution seems warranted, for they also partially block glucocorticoid receptors.

8.

9.

10.

11.

12.

13.

14.

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Prognosis Address for correspondence: Hans Kooistra Department of Clinical Sciences of Companion Animals Faculty of Veterinary Medicine, Utrecht University, The Netherlands

Dogs with progestin-induced GH excess have a good prognosis following elimination of the progestin source. Diabetes mellitus resulting from the progesterone-induced GH excess is thereby also sometimes reversible.

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Primary Hyperaldosteronism in Cats An Underdiagnosed Disorder Hans S. Kooistra DVM, Dipl ECVIM-CA, Utrecht (NL)

Introduction: The mineralocorticoid aldosterone is synthesized exclusively in the outer zone, the zona glomerulosa, of the adrenal cortex and has two important activities: (1) It is a major regulator of sodium homeostasis and hence extracellular fluid volume, and (2) it is a major regulator of potassium homeostasis. In response to (a tendency to) hypovolemia, renin is released from the juxtaglomerular cells in the kidney. In the bloodstream renin acts upon its only known substrate, angiotensinogen, to form angiotensin I. This angiotensin I, which is physiologically inactive, is converted to angiotensin II by the action of a converting enzyme (ACE). One of the biological actions of angiotensin II is synthesis and release of aldosterone. In addition to angiotenson II, potassium and the pituitary hormone ACTH are involved in aldosterone secretion.

and, thus, in permanent blindness. It is therefore of paramount importance that the diagnosis is instantly made and an appropriate therapy is initiated at once. The etiology of feline systemic arterial hypertension may be quite diverse, and classically includes chronic renal disease, hyperthyroidism and hyperadrenocorticism. Only recently, primary hyperaldosteronism has been identified as an important cause of feline systemic arterial hypertension (Flood et al., 1999; Javadi et al., 2005). Feline primary hyperaldosteronism has long been considered a rare entity. Its incidence, however, may be underestimated (Ash et al., 2005; Javadi et al., 2005). Since feline primary hyperaldosteronism has been identified as a cause of progressive renal disease (Javadi et al., 2005), quite a number of hyperaldosteronism cases may in the past have been falsely attributed to progressive renal failure.

Primary Hyperaldosteronism (PHA) is a disorder of the adrenal cortex and can be divided in two main subtypes: an unilateral aldosterone-producing adenoma or adenocarcinoma (APA) and bilateral adrenal hyperplasia or idiopathic hyperaldosteronism (IHA)(Wheeler and Harris, 2003). Both subtypes result in elevated circulating aldosterone levels. The increased aldosterone secretion gives rise to increased potassium excretion in the urine and thus lowers the total body potassium concentration. In addition, it increases sodium absorption, which ultimately results in a higher circulating volume. Consequently, the main clinical symptoms of PHA are muscle weakness due to hypokalemia and arterial hypertension. Hypokalemia is, however, not always present in patients with PHA. Eventually the hypertension can cause failure of target organs like the heart, eyes and kidneys.

The occurrence of primary hyperaldosteronism may be suspected based upon a low plasma potassium concentration, high arterial blood pressure and/or indications for target organ failure. A specific diagnosis can be made by measuring plasma renin activity (PRA) and plasma aldosterone concentration (PAC) and determining the ratio between these two, i.e., the aldosterone/renin ratio (ARR). Recently, in cats the reference values of the aldosterone concentration (PAC) and renin activity in plasma (PRA) have been determined and published (Javadi et al. 2004). In case of primary hyperaldosteronism, diagnostic imaging of the adrenals is required to differentiate between an unilateral aldosterone producing adenoma or adenocarcinoma (APA) and bilateral adrenal hyperplasia or idiopathic hyperaldosteronism (IHA) (Rijnberk et al. 2001; Ash et al., 2005; Javadi et al., 2005).

Systemic arterial hypertension is a relatively common clinical entity in especially middle-aged to older cats. Arterial hypertension may lead to blinding ocular complications, resulting from hypertensive retinopathy, hypertensive choroidopathy and hypertensive optic neuropathy. In fact, ocular signs such as (recurrent) intraocular haemorrhage or acute blindness resulting from retinal detachment are often the reason for first presentation of these hypertensive patients to a veterinarian, and for the diagnosis to be frequently made by a veterinary ophthalmologist. If untreated, the hypertension-induced posterior segment lesions quickly result in irreversible damage to the retina and optic nerve

Therapy. Depending on the underlying pathology of the primary hyperaldosteronism, a number of interventions are available. For cats with unilateral adrenal neoplasia without demonstrable metastases, unilateral adrenalectomy is the treatment of choice. Cats with adrenocortical hyperplasia as well as cats with bilateral or metastasised adrenal neoplasia may benefit from administration of aldosterone antagonists, such as spironolactone (AldactoneÂŽ). However, in addition to spironolactone drugs which lower the arterial blood pres-

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sure (e.g. calcium blocking agents such as amlodipine) and potassium supplementation are often required to completely normalize blood pressure and the plasma potassium concentration.

melanocyte-stimulating hormone in healthy cats. Journal of veterinary internal medicine 2004; 18: 625-31. Javadi S, Djajadiningrat-Laanen SC, Kooistra HS, van Dongen AM, Voorhout G, van Sluijs FJ, van den Ingh TSGAM, Boer WH, Rijnberk A. Primary hyperaldosteronism, a mediator of progressive renal disease in cats. Domestic Animal Endocrinology 2005; 28: 85-104. Rijnberk A, Voorhout G, Kooistra HS, van der Waarden RJ, van Sluijs FJ, IJzer J, Boer P, Boer WH. Hyperaldosteronism in a cat with metastasised adrenocortical tumour. Veterinary Quarterly 2001; 23: 38-43. Wheeler MH, Harris DA. Diagnosis and Management of Primary Aldosteronism. World J. Surg. 2003; 27:627-631.

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Nuove tecnologie in ecocardiografia: conoscerle per comprendere meglio la fisiopatologia cardiovascolare Chiara Locatelli Med Vet, Milano

Da 30 anni l’ecocardiografia riveste un ruolo sempre più importante in medicina veterinaria nella diagnosi e nella gestione terapeutica delle cardiopatie congenite ed acquisite del cane e del gatto. Nell’ultimo decennio si sono sviluppate nuove tecnologie e modalità (Doppler tissutale, Strain, Strain Rate, ecocardiografia tridimensionale ed intracardiaca) che hanno reso possibile un notevole avanzamento diagnostico nonché una migliore comprensione della fisiologia e della fisiopatologia cardiovascolare.

L’enorme diffusione dell’ecocardiografia bidimensionale in questi ultimi decenni ha tuttavia “appiattito” in due dimensioni la nostra considerazione della direzione di contrazione delle fibre miocardiche, tanto da essere accettata nell’uso comune una descrizione delle fibre miocardiche del ventricolo sinistro in due principali gruppi: quelle longitudinali dirette dall’annulus mitralico all’apice e quelle circonferenziali responsabili della contrazione in senso radiale. È non a caso un cardiochirurgo (Francisco Torrent Guasp) che nel 1957 descrive le basi strutturali della funzione ventricolare illustrando la teoria della “helical ventricular myocardial band”. Egli descrive l’esistenza di un’unica banda ventricolare, disposta a doppia spirale, che parte dall’anello valvolare polmonare e che termina all’altezza dell’anello valvolare aortico. La scoperta che la contrazione ventricolare avviene attraverso una sequenza di attivazione che coinvolge tutta la banda ventricolare a partire dal loop esterno e che passa poi attraverso le fibre discendenti e quelle ascendenti del loop interno, coinvolgendo la sistole come la prima fase della diastole in un unico meccanismo attivo, ha costretto anche ad un ripensamento delle concezioni relative alla sistole e alla diastole. L’analisi della direzione spaziale della contrazione e del rilasciamento delle fibre della banda elicoidale eseguita con varie metodiche di diagnostica per immagini, dalla radiologia alla risonanza magnetica, ha ben dimostrato il meccanismo di torsione che queste fibre elicoidali impongono al ventricolo sia in sistole sia in diastole.

DOPPLER TISSUTALE (TDI) Nato alla fine degli anni 80 e proposto in veterinaria all’inizio degli anni 2000 il TDI è una tecnica ecocardiografica che consente di studiare la funzione ventricolare attraverso lo studio delle velocità dei movimenti miocardici. Il TDI misura velocità basse (massimo 15/20 cm al secondo) tipiche dei movimenti delle pareti cardiache. Esistono tre diverse modalità: color M-mode, color bidimensionale e Doppler pulsato.

STRAIN E STRAIN RATE Sul Doppler e sul TDI si sono basate anche le prime metodiche di studio della deformazione miocardica (Strain e Strain Rate TDI based). L’evoluzione delle tecnologie ha poi consentito di superare alcune limitazioni intrinseche del Doppler (angolo dipendenza) e proporre nuove modalità di calcolo di questi parametri (Strain e Strain Rate 2D based).

Strain e Strain Rate 2D based Solo con l’avvento dei sistemi 2D based si è avuta la possibilità di misurare lo strain (Sr) longitudinale, radiale e circonferenziale in modo non invasivo ed anche più semplice e meno costoso della MRI. Il principio fondamentale che differenzia tutti questi sistemi dal sistema TDI based è quello per cui l’algoritmo segue in ogni direzione del piano bidimensionale un punto preventivamente identificato, mentre il sistema TDI based si basa sulla misura della velocità alla quale si muovono i tessuti che incontrano i volumi campioni posti preventivamente in punti fissi. Le metodiche di Strain 2D based in questo momento disponibili sono dette di: Speckle Traking e di Border Tracking secondo il modo di funzionamento dell’algoritmo che analizza il flusso ottico.

Basi anatomiche e fisiologiche per l’analisi di Strain e Strain Rate 2D based Studi di anatomia e di fisiologia sulla contrazione miocardica hanno ad oggi chiarito senza dubbi la natura spiraliforme dell’orientamento e le direzioni di contrazione e di rilasciamento delle fibre muscolari cardiache. Da alcuni secoli, sin dall’epoca di Giovanni Antonio Borelli (1680) la contrazione ventricolare è stata descritta come un meccanismo di torsione dei fasci muscolari orientati in modo obliquo rispetto ad un asse longitudinale, atto ad ottimizzare l’eiezione.

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L’ECOCARDIOGRAFIA 3D

L’utilizzo dell’ecocardiografia transesofagea 3D in cardiologia interventistica veterinaria

L’ecocardiografia tridimensionale (3D) permette di visualizzare le strutture cardiache ed i grossi vasi in tre dimensioni e di valutare quindi in maniera più simile alla realtà l’anatomia cardiaca. La prima tecnica ecocardiografica 3D è stata la cosiddetta “ tecnica ricostruttiva” con la quale venivano acquisite una serie di immagini bidimensionali, a cui seguiva un’elaborazione dei dati ottenuti con conseguente visualizzazione delle immagini stesse in formato 3D. Tale processo dipendeva dalla localizzazione spaziale attraverso metodiche di “tracking” e di “locating” delle immagini bidimensionali. Le tecniche “ricostruttive” sono state abbandonate per la loro complessità, per l’insufficiente qualità delle immaging e perché, in quanto tecniche “offline,” non permettevano la visualizzazione delle immagini 3D in tempo reale. Il progresso tecnologico degli ultimi anni ha permesso lo sviluppo di un nuovo tipo di sonde che utilizza una matrice con approssimativamente 3000-6000 elementi e che permette la scansione di un volume tridimensionale attraverso la modalità “phased array”. La disposizione in forma di matrice degli elementi rende possibile l’orientamento del fascio di ultrasuoni sia lateralmente che in elevazione, anziché solo lateralmente come nei sistemi bidimensionali. L’acquisizione di un volume 3D si basa sulla scansione rapida di diverse linee negli assi perpendicolari: X – profondità; Y – deviazione laterale; Z – deviazione in elevazione. Le informazioni ottenute, in termini di ultrasuoni di ritorno, contribuiscono a formare un volume piramidale di dati. Il volume piramidale ottenuto contiene tutte le informazioni ecografiche che riproducono nelle tre dimensioni l’anatomia di tutta la struttura cardiovascolare contenuta. Da questo volume è possibile eseguire sezioni con qualsiasi orientamento spaziale e rivedere la porzione di interesse contenuta nel volume tridimensionale; l’immagine ottenuta con appositi software può essere ingrandita, elaborata, misurata e osservata in movimento. Nei più moderni sistemi ecocardiografici, sono disponibili diverse modalità di scansione 3D: live, zoom, full volume e color Doppler imaging.

L’ecocardiografia transesofagea bidimensionale (2D TEE) è ormai di uso comune nei laboratori di cardiologia interventistica umana. La capacità di valutazione delle strutture anatomiche e dei loro rapporti in modo continuo, costituisce un vantaggio rispetto alla sola angiografia. Anche in medicina veterinaria l’ecocardiografia 2D TEE è impiegata con successo nel monitoraggio di alcuni interventi come la chiusura del dotto arterioso pervio (PDA) e la valvuloplastica polmonare (VPP). L’introduzione della tecnologia 3D anche in ambito transesofageo (3D TEE) ha permesso la visualizzazione in tempo reale e in modo intuitivo delle strutture cardiache e del materiale endovascolare usato nelle procedure, superando i principali limiti della TEE 2D. Nell’ambito della cardiologia interventistica umana la 3D TEE ha dimostrato la sua utilità in diversi tipi di interventi: chiusura percutanea di difetti interatriali, persistenza del forame ovale, interventi percutanei sulla valvola mitralica e aortica nonché procedure elettrofisiologiche. Le prime esperienze del suo utilizzo nei laboratori di cardiologia interventistica veterinaria hanno messo in evidenza la sua concreta utilità durante alcune procedure interventistiche quali la chiusura del PDA e la VPP, nonché nella diagnosi di alcune complicazioni post VPP e di anomalie coronariche.

L’ECOCARDIOGRAFIA INTRACARDIACA (ICE) Utilizzata a partire dalla fine degli anni 80 in cardiologia interventistica umana nella guida di procedure coronariche ha guadagnato un posto via via più importante nel monitoraggio delle principale procedure interventistiche in sostituzione alla TEE 2D attraverso la visualizzazione bidimensionale interna della strutture cardiache.

L’utilizzo dell’ICE in cardiologia interventistica veterinaria Le prime esperienze nei laboratori di cardiologia interventistica veterinaria hanno messo in evidenza la sua utilità durante alcune procedure interventistiche (la chiusura PDA e VPP) e nella diagnosi differenziale del PDA.

L’utilizzo dell’ecocardiografia transtoracica 3D in cardiologia veterinaria Le prime esperienze nei laboratori di ecocardiografia veterinaria hanno dimostrato come il suo utilizzo possa offrire una visualizzazione delle strutture anatomiche normali e patologiche superiore all’ecografia bi dimensione restituendo all’anatomia cardiaca la terza dimensione.

Indirizzo per la corrispondenza: Chiara Locatelli Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Milano E-mail: chiara.locatelli@unimi.it

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Il veterinario e le aziende Marco Maggi Med Vet, Voghera (PV)

Prodotto importante = azienda importante è una similitudine dai contorni limitati. Permette di evidenziare solo la punta dell’iceberg ed impedisce al veterinario di apprezzare il mondo sommerso. Un mondo silenzioso, che si muove in punta di piedi. Un universo immenso, costellato da centri di ricerca, investimenti di capitale e lavoro quotidiano di migliaia di persone. L’obiettivo risiede nella ricerca di una nuova molecola, di una nuova formula alimentare o di una tecnica produttiva innovativa. L’obiettivo è prevenire, diagnosticare e curare ciò che sino ad ieri non era diagnosticabile, prevedibile o curabile; garantire una corretta compliance del proprietario con prodotti di semplice utilizzo ed una maggiore sicurezza per ridurre le probabilità di errore. Percepire tali obiettivi non è semplice. Molte aziende lo hanno compreso ed per questa motivo che sempre più spesso ricercano le collaborazioni con i veterinari impostando il rapporto su una reciproca consapevolezza. Serve lavorare ancora di più in tale direzione per arrivare ad una situazione di partnership riconosciuta e proficua.

Il mondo veterinario è un complesso ed intricato intreccio di figure professionali provenienti da esperienze lavorative differenti. Le aziende del farmaco, del parafarmaco, del petfood, di diagnostica strumentale ed altre ancora, sono parte integrante e funzionante di questo sistema, in un perfetto equilibrio tra missione e profitto. Alcune organizzate come multinazionali, altre con dinamiche più semplici, ma tutte comunque direttamente impegnate nel contribuire l’evoluzione del sistema veterinario. Un’evoluzione che si modella, per ovvie ragioni, sull’impronta dei differenti e rispettivi prodotti, di qualunque natura essi siano. Le immagini proiettate all’interno delle strutture veterinarie sono quindi, per la maggior parte delle aziende, in relazione alla natura stessa del prodotto veicolato. Ed è giusto che sia così. Credo sia importante sottolineare come molti di questi prodotti abbiano modificato, negli ultimi venti anni, il sistema clinico, diagnostico e terapeutico della veterinaria italiana. Ma è proprio in questo riconoscimento che risiede il limite percettivo del veterinario nei confronti dell’azienda.

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69° CONGRESSO INTERNAZIONALE MULTISALA SCIVAC RIMINI 27-29 MAGGIO 2011

Management terapeutico delle epatopatie del gatto Veronica Marchetti Med Vet, PhD, SPCAA-GE, Pisa

Per il corretto approccio alle epatopatie feline, può essere utile dividerle in infiammatorie, quali la colangite neutrofilica e la colangite linfocitica, e non infiammatorie di cui la lipidosi rappresenta la più frequentemente diagnosticata. Per un piano terapeutico idoneo è indispensabile avere una diagnosi di certezza che scaturisce solitamente da un esame citologico e/o istologico con informazioni su tipo ed entità di infiltrato infiammatorio e di alterazione parenchimale. Nella colangite neutrofilica, in assenza di un esame colturale batterico, eseguibile su bile ottenuta per colecistocentesi, è opportuno usare antibiotici che si concentrino nelle vie biliari e che siano efficaci sugli agenti eziologici più frequentemente coinvolti (E. coli, Str. spp., Clostr spp.). Gli antibiotici di prima scelta sono amoxicillina-ac. clavulanico (12,5 mg/kg), ampicillina (20 mg/kg/tid), enrofloxacina (5 mg/kg/die) o marbofloxacina (2 mg/kg/die), metronidazolo (10 mg/kg/bid); la terapia antibiotica deve essere mantenuta per un min di 4 sett.1,2 Nella colangite linfocitica il farmaco di prima linea per la terapia immunosoppressiva è il prednisolone (1-2 mg/kg/bid), ridotto nell’arco di 6-8 sett ed eventualmente mantenuto in modo pulsato. In assenza di una buona risposta, si possono usare agenti immunosoppressivi quali ciclosporina, clorambucile o metotrexate sebbene non ci sia letteratura scientifica al riguardo2. Nella patologia infiammatoria epatica, sia acuta che cronica, riveste un ruolo essenziale la terapia di supporto al fine di limitare 1) danni cellulari 2) infiammazione 3) progressione fibrotica del danno 4) carenze di bioelementi fondamentali. Per quanto il danno epatico sia multifattoriale, i radicali liberi sono determinanti nell’iniziazione e perpetuazione di questo e c’è il razionale per l’utilizzo degli antiossidanti. Fra questi interesse riveste l’N-acetilcisteina (70140 mg/kg/EV diluita in fisiologica), che fornisce gruppi sulfidrilici e i cui metaboliti stimolano la sintesi di glutatione e funzionano da scavengers dei radicali liberi. Recenti studi sulla colangite sclerosante dell’uomo hanno dimostrato l’efficacia del suo effetto mucolitico nel ridurre la viscosità della bile3. Utile è l’integrazione con α-tocoferolo (10 UI/kg/die), un antiossidante di membrana liposolubile che nella patologia colestatica può subire un ridotto assorbimento. La somministrazione contestuale di vitamina C può avere un effetto sinergico in quanto trasforma il tocoferolo ossidato in forma attiva; tuttavia la sua integrazione è discussa poiché può favorire i processi ossidativi legati a ferro e rame

ed il gatto è in grado di sintetizzarla. Opportuna è invece la somministrazione parenterale della vitamina K (0,5-2 mg/kg/bid) il cui assorbimento intestinale può essere ridotto, con allungamenti del PT e dell’aPTT ed una tendenza all’emorragia che può rappresentare un limite alle indagini bioptiche. Solitamente 2-3 somministrazioni sono sufficienti alla normalizzazione di questi parametri coagulativi4. Le vitamine idrosolubili sono stoccate normalmente nel fegato come coenzimi in elevate concentrazioni, ma in corso di epatopatia l’aumentata richiesta, la ridotta conversione di queste a forma attiva nonché il ridotto stoccaggio, possono richiedere la loro integrazione. Diversi studi hanno rilevato nel paziente felino una ipocobalaminemia, più frequente se con scadente stato di nutrizione e affetto da patologie del tratto gastroenterico, per cui si somministra vitamina B12 (250 μg/sett sc) fino a normalizzazione della cobalaminemia4,5. Un altro importante epatoprotettore ad effetto antiossidante è la silimarina, di cui la silibina è il flavonoide isomero più potente; la silimarina (20-50 mg/kg/die) inibisce la perossidazione lipidica degli epatociti, protegge il DNA controllando le specie reattive dell’ossigeno, aumenta il contenuto di glutatione epatico, rallenta la formazione di collagene e inibisce il leucotriene B4 riducendo l’attività delle cellule del Kupffer. La sua biodisponibilità orale è aumentata se complessata con la fosfatidilcolina, fosfolipide di membrana importante nel trasporto degli acidi biliari, che ha dimostrato di incrementare l’attività collagenasica epatica con effetto antifibrotico4. Azione antiossidante ha anche la S-adenosilmetionina (SAMe; 20-40 mg/kg/die) che, prodotta a partire dalla metionina, è coinvolta nella sintesi di fosfolipidi (effetto di protezione di membrana), nella sintesi di composti ad effetto antiossidante (glutatione) ed antinfiammatorio2,4. L’effetto antinfiammatorio si ottiene anche utilizzando l’acido ursodeossicolico (UDCA; 10-15 mg/kg/die), un acido biliare idrofilico non tossico, che oltre ad incrementare il flusso di bile, ha effetto antiossidante, antiinfiammatorio, antifibrotico e di miglioramento della funzionalità intestinale. È altresì vero che, da uno studio recente retrospettivo su colangiti linfocitiche, è stata evidenziata una mancanza di correlazione positiva fra la sopravvivenza di questi pazienti e la somministrazione di UDCA. Quindi, se da un lato ci sono i presupposti farmacodinamici per considerare l’UD-

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CA un farmaco chiave nella terapia di queste epatopatie, dall’altro sono necessari studi prospettici per poter verificare la sua reale efficacia2,4,6,7. Dal punto di vista nutrizionale i gatti con colangite spesso presentano disoressia, ma salvo complicazioni, tendono ad alimentarsi spontaneamente. La dieta dovrebbe contenere proteine molto digeribili e di elevato valore biologico (~40% del RER), carboidrati ~20-30% e grassi (soprattutto trigliceridi a media catena) non superiori al 20%, tenendo conto della colestasi e della enteropatia spesso associata. La lipidosi è un’epatopatia, in cui, oltre al dedicarsi alla patologia primaria sottostante quando presente, è fondamentale gestire lo stato di anoressia, disidratazione e squilibrio sistemico. La priorità terapeutica sarà rappresentata dalla somministrazione di fluidi, evitando glucosate che esacerbano l’intolleranza al glucosio di questi pazienti che hanno solitamente ipoinsulinemia. Poiché anche il metabolismo dei lattati può essere inadeguato, la scelta solitamente cade sulla soluzione fisiologica. L’ipopotassiemia è correlata alla mortalità ed il potassio va monitorato giornalmente ed opportunamente integrato in base alle concentrazioni (non più di 0,5 mEq/kg/h). Le integrazioni di potassio, così come quella di magnesio e fosforo possono, essere gestite anche per os in quanto le soluzioni per l’alimentazione enterale sono adeguatamente integrate. Un evento abbastanza comune è la comparsa di un’anemia da corpi di Heinz legata al danno ossidativo sui globuli rossi su cui si può intervenire con la somministrazione endovenosa di antiossidanti quali acetilcisteina. Quando sia possibile la via orale si può utilizzare SAMe e silimarina. È importante integrare anche vitamina B12 e vitamina K, alle stesse posologie sopradette, in quanto non è raro rilevare disturbi coagulativi e la B12 risulta ridotta nel 40% dei gatti affetti. Tra gli integratori, un particolare interesse scientifico è rivolto alla L-carnitina (250-500 mg/die per os o ev) che, sintetizzata dal fegato, svolge un ruolo essenziale nell’entrata degli acidi grassi nel mitocondrio dove avviene la ßossidazione con la produzione di acetil-CoA e quindi di energia. La mancata metabolizzazione dei grassi contribuirebbe, insieme alla lipolisi periferica e all’insufficiente utilizzo dai tessuti periferici, all’overload di trigliceridi negli epatociti. Per quanto ci siano le evidenze che la carnitina migliori l’ossidazione dei grassi e appaia correlata ad una maggior sopravvivenza, non è ancora assodata scientificamente la sua efficacia nella terapia della lipidosi. Spesso la chiave di risoluzione di questi casi risiede nell’alimentazione e nel controllo dell’anoressia. L’alimentazione enterale (tramite sondino nasale, sonda esofagostomica o gastrostomica) deve essere instaurata precocemente con una dieta a

contenuto proteico alto (30-40% del RER), lipidico moderato (~50%) e con carboidrati non eccedenti il 20%. È importante somministrare solo il 10-20% del RER il primo giorno, in 4-5 pasti, con incrementi giornalieri di ~10% per evitare la sindrome da refeeding legata alle ridotte dimensioni dello stomaco di questi pazienti2,4,8,9. L’utilizzo di antiacidi (ranitidina, famotidina) ed antiemetici (metoclopramide, maropitant) può essere utile, mentre la somministrazione di oressizzanti è discutibile soprattutto quando si prendano in considerazione benzodiazepine o ciproeptadina che nel gatto possono essere epatotossiche. Interessante pare essere l’impiego della mirtazapina (2 mg/gatto ogni 3gg), un α2-antagonista recentemente studiato nel gatto, con effetto serotoninergico, ma anche anti H1 e H2 10.

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Indirizzo per la corrispondenza: Veronica Marchetti Ospedale Didattico Veterinario Mario Modenato, Università di Pisa E-mail: v.marchetti@vet.unipi.it

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Eziologia, inquadramento clinico e diagnosi non strumentale delle neoplasie dell’urinario Laura Marconato Med Vet, Dipl ECVIM-CA (Oncology), Bologna (I)

za di metastasi si rendono evidenti prima di quelli urinari. In generale, al momento della diagnosi 16-48% di pazienti presenta metastasi a distanza (polmoni e visceri addominali). All’esame clinico è possibile rilevare presenza di massa addominale in 20-40% di casi. Non è inconsueto il riscontro di sindromi paraneoplastiche, tra cui osteopatia ipertrofica, leucocitosi neutrofila, febbre, policitemia, ipercalcemia maligna, parestesia toracolombare, anemia e dermatofibrosi nodulare in caso di cistoadenocarcinoma. I sintomi legati alla presenza di neoplasia vescicale sono soprattutto a carico di apparato urinario: ematuria, inizialmente intermittente poi continua, disuria, pollachiuria e incontinenza urinaria. Spesso è concomitante infezione delle vie urinarie di durata variabile con modesta e iniziale risposta ad antibiotici. In presenza di metastasi ossee, il dolore è il sintomo principale.

EPIDEMIOLOGIA ED EZIOPATOGENESI DI NEOPLASIE RENALI E VESCICALI Nel cane, i tumori renali sono secondi in ordine di frequenza, rappresentando 0,6-1,7% di tutti i tumori di apparato urinario, mentre nel gatto il linfoma renale è più frequente (0,5-0,7%), seguito da neoplasie vescicali. I tumori renali interessano soprattutto soggetti adulti o anziani, con età compresa tra 7 e 9 anni. La causa è sconosciuta e fattori ambientali rilevanti nell’uomo non sembrano giocare alcun ruolo eziopatogenetico negli animali domestici. I tumori vescicali sono rari, rappresentando < 2% tra tutte le neoplasie, ma tra i tumori dell’apparato urinario sono i più frequenti nel cane, mentre nel gatto sono secondi solo a linfoma renale. Il sesso più interessato è quello femminile per la specie canina, probabilmente da ricondurre all’atteggiamento naturale alla minzione. I cani maschi infatti tendono ad urinare più spesso per la marcatura del territorio e questo comporta più breve contatto tra mucosa vescicale e sostanze potenzialmente cancerogene presenti nelle urine. Cani castrati e cagne sterilizzate hanno maggior rischio di sviluppare tumori vescicali rispetto ad animali intatti, possibilmente a causa di alterazione di diametro uretrale associato a perdita di influenza ormonale. L’aumentata incidenza di neoplasie vescicali in alcune razze (ad esempio, terrier scozzese) può essere riconducibile a fattori genetici. Nel cane il rischio di neoplasia vescicale aumenta in maniera rilevante in seguito a esposizione ad antiparassitari, erbicidi, nitrosamine, ciclofosfamide e in soggetti obesi. In contrasto, sembra che il consumo regolare di verdure gialle o arancioni o verdi frondose, ricche di carotenoidi e retinolo, e l’assunzione di farmaci antinfiammatori non steroidei abbiano effetto protettivo.

DIAGNOSI NON STRUMENTALE L’iter diagnostico ha lo scopo di accertare la natura della lesione mediante diagnosi differenziale tra tumori e patologie non neoplastiche. La palpazione delicata dell’addome consente di riscontare massa addominale caudale oppure, più raramente, vescica ispessita. In caso di neoplasia uretrale, l’esplorazione rettale può evidenziarne il coinvolgimento in 20% di casi circa. La diagnosi non strumentale prevede l’esecuzione dei seguenti esami. Tra gli esami di laboratorio sono irrinunciabili emocromocitometrico e ematochimica. Riscontri comuni in caso di neoplasia renale sono anemia, soprattutto se è presente ematuria, policitemia e leucocitosi neutrofilica. L’ematochimica rileva spesso aumento di azotemia, creatinina e amilasi, ipercalcemia, ipergammaglobulinemia, e iperglobulinemia in caso di infezione cronica secondaria. L’esame del sedimento urinario consente di valutare la presenza di eventuali cellule tumorali esfoliate, sono inoltre spesso evidenti anche ematuria e proteinuria. Le urine devono essere raccolte preferibilmente per minzione spontanea oppure per cateterismo, mentre la cistocentesi non è consigliata per il rischio (in caso di neoplasia vescicale) di impianto iatrogeno di cellule tumorali lungo il tragitto dell’ago ed in corrispondenza di parete addominale. È impor-

INQUADRAMENTO CLINICO I tumori renali provocano sintomi per lo più aspecifici, come dimagramento, anoressia, depressione del sensorio, alterazioni del comportamento e febbre. Se il tumore è voluminoso oppure in caso di emoperitoneo sono frequenti: distensione addominale, presenza di dolore (addome acuto) e disoressia secondaria a compressione meccanica di massa su intestino. Sintomi urinari comprendono ematuria, disuria e pollacchiuria. Occasionalmente i sintomi legati alla presen-

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tante ricordare che in corso di patologia infiammatoria non neoplastica a carico di vescica, le cellule di transizione possono assumere aspetti displastici, dando problemi interpretativi. È dunque importante essere cauti nell’emissione di diagnosi di neoplasia in presenza di flogosi. È di recente acquisizione la possibilità di ottenere citoinclusi da campioni urinari diluiti in alcol 70% con rapporto 10:1, che previa disidratazione, vengono inclusi in paraffina e processati come pezzi istologici. Il grande vantaggio consiste nel poter applicare colorazioni immunoistochimiche. Esame citologico o biopsia ecoguidata di massa vescicale sono associate ad elevato rischio di impianto iatrogeno lungo il tragitto dell’ago. La citologia renale è particolarmente utile nel differenziare lesioni neoplastiche da infiammatorie e trattandosi di un esame poco invasivo è sempre consigliato. La valutazione istopatologica della massa resta la tappa cruciale per la diagnosi definitiva. I prelievi per la valutazione istopatologica possono essere raccolti per cistotomia, cistoscopia o biopsia tramite cateterismo cruento (anche eco-guidato), evitando, come già accennato, ogni contaminazione iatrogena. Oltre a valutazione morfologica, in qualche caso può essere necessario ricorrere a immunoistochimica (uroplachina III, citocheratina 7, citocheratina 20, survivina, COX-2). In medicina umana all’iter diagnostico si aggiunge la ricerca di marker tumorali. Anche in veterinaria sono stati definiti alcuni test dall’efficacia tuttavia ancora incerta. “Bladder Tumor Antigen Test” (BTA) è un esame che rivela la presenza di antigeni prodotti da tumore stesso oppure da membrana basale infiltrata da cellule tumorali. Il test si basa infatti sulla capacità di tumori vescicali invasivi di degradare la membrana basale nei suoi componenti (collagene di tipo IV, fibronectina, laminina e proteoglicani) e di formare quindi complessi proteici evidenziabili nelle urine. Questo test permette di distinguere cani con alterazioni vescicali da cani sani, senza però differenziare tra neoplasia e flogosi, dando quindi frequentemente falsi positivi in presenza di ematuria, proteinuria e glicosuria (reperti abbastanza comuni in corso di cistiti ed uretriti). Nonostante questi limiti, il test, se eseguito precocemente su cani a rischio, aiuta nella diagnosi precoce di TCC e quindi nella terapia tempestiva: risposta positiva indica infatti che esiste la necessità di ulte-

riori indagini diagnostiche, mentre risposta negativa indica che non è necessario procedere con ulteriori indagini, dal momento che TCC è escluso con sufficiente garanzia. La sensibilità di questo test è di 90%. Altro marker è fattore di crescita fibroblastico, peptide pro-angiogenico riscontrato nelle urine mediante tecnica ELISA, elevato in corso di TCC e basso in cani normali o con infezioni di vie urinarie.

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Indirizzo per la corrispondenza: Laura Marconato E-mail: lauramarconato@yahoo.it

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Trattamento medico dei tumori dell’urinario Laura Marconato Med Vet, Dipl ECVIM-CA (Oncology), Bologna (I)

2 ore successive il paziente non può urinare e deve cambiare decubito ogni 15 minuti. Il fallimento di questi protocolli è spesso legato a incapacità del farmaco di penetrare urotelio. La chemioterapia sistemica si avvale dell’utilizzo di diversi farmaci utilizzati in monochemioterapia o in combinazione. Risultati favorevoli sono stati ottenuti combinando doxorubicina a ciclofosfamide con sopravvivenza mediana riportata di 259 giorni, oppure antraciclina (doxorubicina o mitoxantrone) con sale del platino (cisplatino o carboplatino) con sopravvivenza mediana di 358 giorni. In diversi studi condotti sul cane, cisplatino somministrato in monochemioterapia alla dose di 60 mg/m2 per via endovenosa ogni 21 giorni in protocollo di diuresi determinava soltanto remissione parziale in alcuni casi (12-25%), con sopravvivenza mediana di 132-309 giorni. Tuttavia, anche in assenza di riposte oggettive in termini di misurazioni ecografiche, cisplatino può migliorare la sintomatologia ed i cani ricominciano ad urinare normalmente. Carboplatino somministrato per via endovenosa in monochemioterapia alla dose di 260-300 mg/m2 ogni 21 giorni ha mostrato risposta in termini di attività antitumorale < 10% con sopravvivenza mediana riportata di 132 giorni. Gemcitabina, utilizzata da sola o insieme ad altri chemioterapici, è ormai diventata molecola di prima scelta per il trattamento di tumori urogenitali dell’uomo. In cani con TCC, gemcitabina somministrata insieme a piroxicam determinava tasso di risposta di 26% con sopravvivenza mediana di 230 giorni. Molecole efficaci per il trattamento di rabdomiosarcoma sono doxorubicina e ciclofosfamide, D-actinomicina, vincristina e dacarbazina. L’interesse suscitato dagli inibitori di COX-2 nel trattamento di TCC nasce dall’osservazione di remissioni anche complete in alcuni cani sottoposti alla sola terapia con piroxicam per controllo del dolore. COX-2 non è espressa nell’epitelio di vescica normale, mentre è stata riscontrata in cellule di TCC, ad indicare suo possibile ruolo in cancerogenesi. Inibitori di COX sono farmaci promettenti e possono essere utilizzati da soli oppure in combinazione con chemioterapia. Sarebbe utile poter predire quali pazienti, in conformità a marcata espressione di COX-2 in campioni istologici o citoinclusi, benefici di terapia con piroxicam. A questo proposito è stato condotto uno studio, in cui però non si correlava marcata immunoreattività a COX-2 con risposta a far-

TUMORI RENALI La terapia dei tumori renali monolaterali è essenzialmente chirurgica con intento di radicalità. La radioterapia è raramente utilizzata e ha solo significato palliativo. La chemioterapia è indicata in caso di linfoma, mentre ha valore palliativo per gli altri tumori. A causa di precoce farmaco-resistenza (dovuta a elevata concentrazione di gP170), la chemioterapia è infatti raramente efficace ed il suo ruolo è quasi sempre palliativo. Molecole utilizzabili sono doxorubicina, eventualmente in combinazione con ciclofosfamide, gemcitabina, sali del platino, 5-fluorouracile. Il linfoma è, almeno in fasi iniziali, chemioresponsivo, ma sfortunatamente ha spesso prognosi infausta, poiché si accompagna a sintomi neurologici secondari a metastasi encefaliche e tende inoltre ad evolvere in forma generalizzata. In merito a emangiosarcoma renale, è possibile utilizzare protocolli che includono doxorubicina sia in monochemioterapia sia in polichemioterapia. Uno studio ha dimostrato che alcuni carcinomi renali esprimono COX-2 e questo offre il razionale scientifico per l’utilizzo terapeutico di farmaci anti-COX-2.

TUMORI VESCICALI In termini di sopravvivenza, diagnosi precoce e terapia multimodale rappresentano senza dubbio l’approccio più favorevole per i tumori vescicali. Dal momento che queste neoplasie sono invasive e tendono a metastatizzare, la terapia è sempre e soltanto palliativa. Attualmente i risultati più promettenti si ottengono combinando chemioterapia a terapia con farmaci antinfiammatori non steroidei, tuttavia sono incoraggianti i risultati preliminari di uno studio pilota in cui si associavano chemioterapia e radioterapia. La chemioterapia per carcinoma uroteliale (TCC) può essere utilizzata sia per via topica (locale) sia per via sistemica. La chemioterapia locale è indicata solo se il tumore è molto superficiale e non raggiunge strato muscolare. Chemioterapici efficaci per instillazione intravescicale sono mitomicina C, BCG, tiotepa, paclitaxel, 5-fluorouridina e gemcitabina. La procedura prevede svuotamento di vescica, poi instillazione del farmaco e, al fine di garantire massima esposizione di parete vescicale a chemioterapico, durante le

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maci inibitori di COX-2. In un lavoro, piroxicam somministrato in 34 cani con TCC, dava risposte incoraggianti riassumibili in 2 remissioni complete, 4 remissioni parziali, 18 stabilizzazioni e 10 progressioni tumorali, con sopravvivenza mediana di 180 giorni. In uno studio, se somministrato insieme a piroxicam, cisplatino dava risultati migliori in termini di percentuale di remissione (71%) rispetto a cisplatino utilizzato in monochemioterapia (<20%), anche se la sopravvivenza mediana era paragonabile (rispettivamente 246 giorni e 309 giorni). Trattandosi di due farmaci potenzialmente nefrotossici, è necessario monitorare costantemente funzionalità renale. Per ridurre tossicità renale, uno studio successivo valutava sicurezza ed efficacia di piroxicam e cisplatino somministrato alla dose di 40-50 mg/m2. Nonostante la dose ridotta, tossicità renale e gastroenterica erano considerate moderate/ gravi, e soltanto un cane otteneva remissione parziale. Anche carboplatino somministrato insieme a piroxicam dava in un gruppo di cani risposte favorevoli (5 remissioni parziali) senza nefrotossicità. In un altro studio condotto su 31 cani la percentuale di remissione raggiungeva 40%, anche se la sopravvivenza mediana non ne traeva particolare beneficio (196 giorni dalla diagnosi rispetto a 180 giorni con solo piroxicam e 132 giorni con solo carboplatino). La combinazione piroxicam- mitoxantrone (quest’ultimo somministrato per via endovenosa alla dose di 5 mg/m2 ogni 21 giorni per 4 trattamenti totali) dava risultati migliori rispetto a terapia con solo piroxicam, sia in termini di percentuale di risposta (36% contro 17%) sia di sopravvivenza mediana (291 giorni contro 180 giorni, rispettivamente).

Boria PA, Glickman NW, Schmidt BR, et al: Carboplatin and piroxicam therapy in 31 dogs with transitional cell carcinoma of the urinary bladder. Vet Comp Oncol, 3: 73, 2005. Chun R, Knapp DW, Widmer WR et al: Cisplatin treatment of transitional cell carcinoma of the urinary bladder in dogs: 18 cases (1983-1993). J Am Vet Med Assoc, 209: 1588, 1996. Chun R, Knapp DW, Widmer WR et al: Phase II clinical trial of carboplatin in canine transitional cell carcinoma of the urinary bladder. J Vet Intern Med, 11: 279, 1997. Greene SN, Lucroy MD, Greenberg CB et al: Evaluation of cisplatin administered with piroxicam in dogs with transitional cell carcinoma of the urinary baldder. J Am Vet Med Assoc, 231: 1056, 2007. Henry CJ, McCaw DL, Turnquist SE et al: Clinical evaluation of mitoxantrone and piroxicam in a canine model of human invasive urinary bladder carcinoma. Clin Cancer Res, 9: 906, 2003. Henry CJ: Management of transitional cell carcinoma. Vet Clin North Am Small Anim Pract, 33: 597, 2003. Knapp DW, Richardson RC, Chan TC et al: Piroxicam therapy in 34 dogs with transitional cell carcinoma of the urinary bladder. J Vet Intern Med, 8: 273, 1994. Knapp DW, Glickman NW, Widmer WR et al: Cisplatin versus cisplatin combined with piroxicam in a canine model of human invasive urinary bladder cancer. Cancer Chemother Pharmacol, 46: 221, 2000. Marconato L, Zini E, Lindner D et al: Combined gemcitabine and piroxicam in 38 dogs with transitional cell carcinoma of the urinary bladder: evaluation of toxicity and antitumor response. J Am Vet Med Assoc, 2011; 238(8):1004-10. Marconato L, Buchholz J, Nitzl D et al: Multimodal treatment approach for muscle-invasivetransitional cell carcinoma of the urinary tract: a pilot study in 5 dogs. Presentato al congress ESVONC 2011 Mutsaers AJ, Mohammed SI, DeNicola DB et al: Pretreatment tumor prostaglandin E2 concentration and cyclooxygenase-2 expression are not associated with the response of canine naturally occurring invasive urinary bladder cancer to cyclooxygenase inhibitor therapy. Prostaglandins Leukot Essent Fatty Acids. 72:181, 2005. Poirier VJ, Forrest LJ, Adams WM et al: Piroxicam, mitoxantrone, and coarse fraction radiotherapy for the treatment of transitional cell carcinoma of the bladder in 10 dogs: a pilot study. J Am Anim Hosp Assoc, 40: 131, 2004.

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Indirizzo per la corrispondenza: Laura Marconato E-mail: lauramarconato@yahoo.it

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Citologia epatica: passato, presente e futuro Carlo Masserdotti Med Vet, Dipl ECVCP, Spec Bioch Clin ITD, Brescia

CENNI DI MICROANATOMIA EPATICA. Il fegato è costituito da un rapporto complesso tra gli epatociti, un sistema di vascolarizzazione venosa ed arteriosa, provenienti rispettivamente dalla vena porta e dall’arteria epatica e da un sistema di capillari, che trasporta la bile dagli epatociti alla cistifellea ed all’intestino. Il sangue portale arterioso e venoso, proveniente rispettivamente dall’arteria epatica e dalla vena porta, scorre all’interno di vasi sinusoidi, delimitati da cellule endoteliali il cui citoplasma fenestrato permette il passaggio di soluti e molecole plasmatiche con diametro fino a ca. 1000 Å e che conseguentemente favorisce gli scambi metabolici con gli epatociti; le cellule endoteliali sono separate dagli epatociti dallo spazio di Disse, una sottile intercapedine supportata da un quantitativo minimo di fibrille collagene, soprattutto di tipo I e III, oltre che da molecole di proteoglicani o glicoproteine, quali fibronectina e laminina, complessivamente identificate con il termine di matrice extracellulare (ECM). A ridosso delle fenestrature dei capillari sinusoidi, nel versante vascolare, si localizzano le cellule di Kupffer, macrofagi epatici specializzati e rari elementi linfocitari, mentre nel lume dello spazio di Disse sono situate le cellule stellate, che immagazzinano vitamina A e rappresentano cellule effettrici nei processi di fibrosi e rari mastociti, soprattutto in corrispondenza dei segmenti centrolobulari. I vasi sinusoidi delimitano le filiere di epatociti, la cui superficie citoplasmatica effettua attivi scambi metabolici con il materiale plasmatico che filtra dalle fenestrature. Il sangue, scorrendo nei sinusoidi, e dopo aver operato gli scambi metabolici con gli epatociti, raggiunge il lume della vena centrolobulare, dal quale viene immesso nel circolo venoso epatico per uscirne tramite la vena epatica, che a sua volta si getta nella vena cava caudale. A fronte di un flusso ematico che percola i sinusoidi con direzione porto-centrale, esiste un flusso con direzione opposta, che trasporta invece la bile, uno dei principali prodotti di secrezione del fegato, dagli epatociti verso lo spazio portale, dapprima attraverso sottili canalicoli biliari tra gli epatociti, successivamente in piccoli dotti periportali delimitati da cellule cuboidali e da epatociti, detti canali di Hering, che raggiungono il vaso biliare localizzato nel contesto dello spazio portale e delimitato a sua volta da cellule cuboidali o colonnari.

citologici ed alterazioni istopatologiche corrispondenti hanno permesso di perfezionare i risultati dell’indagine citologica. Nello studio della citopatologia epatica è necessario anzitutto saperne riconoscere i limiti, poiché essa ha modesta applicazione pratica nella gestione di alcune malattie quali i disordini di circolo, alcune forme infiammatorie o nel riconoscimento delle alterazioni congenite, dove è necessaria la precisazione istologica. Il passato. Gli anni romantici della citologia veterinaria in Italia, tra la fine degli anni ottanta e novanta, sono stati caratterizzati dall’entusiasmo e dalla pervicacia dei suoi esecutori; purtroppo la citologia epatica si basava necessariamente su prelievi eseguiti su basi di anatomia topografica, che obbligavano l’esecuzione di prelievi di parenchima epatico senza il supporto dell’ecoguida e conseguentemente senza la possibilità di eseguire campionamenti mirati a lesioni focali od in aree di interesse patologico; inoltre erano modeste le conoscenze relative alle condizioni patologiche rilevabili con tecniche così sommarie. Su basi di questo tipo è stato in ogni caso possibile emettere considerazioni diagnostiche con l’esame citologico per alcune condizioni che coinvolgevano in toto il parenchima epatico, quali malattie infiammatorie suppurative settiche, degenerative, l’amiloidosi ed alcune neoplasie, quali il linfoma. Il presente. Lo stato attuale della citologia epatica riconosce nelle tecniche di prelievo ecoguidato ed all’approfondimento basato sul raffronto con i risultati della diagnostica istopatologica il suo supporto più importante. Il livello odierno di conoscenza ha permesso di approfondire i concetti relativi a molte condizioni basate su criteri morfologici. Alcuni esempi sono rappresentanti dalle seguenti considerazioni: - epatopatia vacuolare: anzitutto si precisa che le principali condizioni definite con questo termine in realtà non sono caratterizzate da una vacuolizzazione effettiva del citoplasma, se con questo termine si vuole identificare la presenza di compartimenti citoplasmatici delimitati da membrana. In realtà l’accumulo di glicogeno e di lipidi citoplasmatici, conosciuti con i termini di epatopatia steroidoindotta e di steatosi sono costituite da un accumulo citoplasmatico di materiale privo di contenimento membranario. Il significato fisiopatologico di queste condizioni è

CITOPATOLOGIA EPATICA. L’evoluzione scientifica, la conoscenza delle malattie epatiche e il raffronto tra quadri

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definito comunemente come “danno epatocellulare reversibile” ed associato a specifiche cause. condizioni di accumulo citoplasmatico di materiale granulare sono attualmente perfezionate da metodi di colorazione speciale che ne permettono la differenziazione precisa; su questa base è quindi possibile differenziare l’accumulo di pigmento lipofuscinico dal pigmento ferrico, dalla bile o dai granuli di rame. La verifica della natura dei pigmenti intracitoplasmatici ha ridimensionato il rilievo inerente la stasi biliare intracitoplasmatica, cui per lungo tempo sono stati attribuiti granuli di pigmento di altra natura. l’apoptosi e la necrosi sono condizioni mediate da numerose cause, tra cui l’ipossia, l’assorbimento di tossine, l’azione patogena di microrganismi ed i fenomeni immunitari. Morfologicamente l’apoptosi è caratterizzata da citoplasma eosinofilo di dimensioni diminuite e da nucleo picnotico, mentre la necrosi è rappresentata da accumulo di detrito cellulare e da perdita dei connotati cellulari. i quadri flogistici sono facili da riconoscere, benché si raccomandi sempre cautela nell’esclusione di possibili inquinamenti ematici e conseguentemente di un ruolo erroneamente flogistico attribuito a leucociti circolanti, talora numerosi; oltre a ciò è necessario tenere in debita considerazione la possibilità che in sede epatica si localizzino foci di mielopoiesi extramedullare. In generale comunque è facile riconoscere la flogosi suppurativa ed eventuali agenti eziologici responsabili, la flogosi eosinofilica e linfocitaria. le neoplasie epatiche sono frequente oggetto di indagine citologica e la valenza di questo metodo nella diagnosi è elevata, benché sussistano difficoltà oggettive nella distinzione tra forme nodulari iperplastiche, adenoma epatocellulare ed epatocarcinoma ben differenziato.

tamente sostituita dalle più solide basi diagnostiche fornite dall’istopatologia? Solo se la citologia dimostrerà di competere con il potere diagnostico dell’istopatologia, essa potrà far valere i suoi vantaggi innegabili, basati fondamentalmente sull’invasività minima, sui rischi moderati, sui tempi di realizzo e sui costi contenuti. Di seguito alcune condizioni che potrebbero rappresentare un campo di applicazione utile: - distinzione tra lipidosi micro e macrovescicolare; essendo la steatosi una condizione causata da numerose cause primarie, molto dissimili tra loro, questo campo di sviluppo, basandosi soprattutto sull’associazione con i rilievi clinici e laboratoristici, potrebbe contribuire all’identificazione di cause specifiche per le due condizioni. - distinzione tra noduli iperplastici, adenoma epatocellulare ed epatocarcinoma ben differenziato: tradizionalmente si descrivono le tre condizioni come di difficile distinzione morfologica, poiché caratterizzate da rilievi analoghi, ma dal riconoscimento delle quali dipendono comportamenti terapeutici ed attese prognostiche molto diverse; compito del citologo sarà quello di ottimizzare la valutazione morfologica ed individuare aspetti inediti, peculiari per ciascuna condizione che gli permettano l’emissione di considerazioni concrete nella distinzione tra le condizioni. - caratterizzazione della fibrosi: il patrimonio morfologico a disposizione del citopatologo è attualmente perfezionato dai caratteri di riconoscimento della fibrosi; i reperti relativi a questo processo patologico, di recente descrizione e meritevoli di approfondimento, sono costituiti dall’evidenza di cellule fusate che interconnettono lembi di epitelio epatocitario.

BIBLIOGRAFIA. A disposizione presso l’autore carlo.masserdotti@gmail.com

Il futuro. Quale futuro si prospetta per la citologia epatica in campo veterinario? Assumeranno importanza clinica gli sforzi tesi al miglioramento della diagnostica delle malattie epatiche tramite indagine citologica oppure essa verrà grada-

Indirizzo per la corrispondenza: Carlo Masserdotti E-mail: carlo.masserdotti@gmail.com

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Fibrosi epatica: il contributo della citologia Carlo Masserdotti Med Vet, Dipl ECVCP, Spec Bioch Clin ITD, Brescia Walter Bertazzolo, Med Vet, Dipl ECVCP, Lodi

INTRODUZIONE. I processi di fibrosi epatica rappresentano l’esito di numerose condizioni di flogosi cronica. Le cause sono numerose e gli esiti evidenziano fenomeni progressivi che possono condurre allo sviluppo di stati molto gravi quali la cirrosi epatica. Solo l’esame istopatologico del parenchima epatico è in grado di rilevare la presenza di fibrosi, benché talora si renda indispensabile l’utilizzo di colorazioni speciali, quali la Tricromica di Goldner, soprattutto per individuarne con precisione il grado e l’estensione. Tuttavia l’esecuzione dell’indagine istopatologica richiede interventi invasivi di prelievo, quali l’esecuzione di tecniche di biopsia chirurgica, oppure l’utilizzo di manovre di biopsia ecoguidata tramite ago tru-cut. Gli svantaggi di queste tecniche comprendono, nel primo caso, soprattutto la difficoltà nella gestione anestesiologica e chirurgica di pazienti critici e, nel secondo caso, l’esecuzione di campionamenti non diagnostici. Scarsi e aspecifici i dati pubblicati in ambito veterinario inerenti l’argomento: alcuni autori hanno segnalato aspetti di colestasi come unico segno citologico rilevato in corso di fibrosi, altri si limitano a descrivere la presenza di “fibrosi” in assenza di specifiche indicazioni morfologiche inerenti a tale rilievo. L’esame citologico, scarsamente invasivo e di facile esecuzione, può essere individuato come tecnica utile nel rilevare processi di fibrosi, fino ad oggi non ancora descritti dalla bibliografia veterinaria.

plasma poligonale o rotondeggiante interessato da fenomeni lievi di degenerazione di tipo glicogenosico o steatosico e talora dall’accumulo di pigmento di tipo lipofuscinico; sono presenti aspetti di stasi biliare extracitoplasmatica. Il nucleo è rotondo, lievemente dismetrico, a cromatina finemente irregolare mononucleolato. Gli epatociti si organizzano in lembi bidimensionali frequentemente interconnessi da ponti di cellule fusate, disposte in filiere mono o bicellulari, a citoplasma eosinofilo, talora ingombrato da granulazione eosinofila o nerastra e nucleo ovoidale a cromatina finemente dispersa; occasionalmente piccoli gruppi di epatociti risultano circondati da fasci di cellule fusate. In tutti i casi si rileva la presenza di cellularità flogistica in quantitativo variabile, rappresentata da granulociti neutrofili, da elementi linfoplasmocellulari, da macrofagi e da mastociti, quest’ultimi localizzati soprattutto in corrispondenza del decorso delle cellule fusate descritte. Nel Gruppo 2 sono stati arruolati 8 cani, i cui dati anamnestici, sintomatologici e la diagnosi istologica sono elencati in tabella n°2. I campioni citologici evidenziano ottima cellularità, costituita da epatociti a citoplasma rotondeggiante o poligonale, di aspetto basofilo finemente reticolato od interessato da fenomeni lievi (2 casi) o moderati (1 caso) di degenerazione glicogenosica o lipidosica (1 caso) e dall’accumulo di pigmento lipofuscinico (3 casi), organizzati in lembi bi-tridimensionali. In un caso sono stati individuati aspetti citologici di atipia, nuclei nudi e distribuzione degli epatociti in trabecole irregolari. In tutti i campioni sono stati rilevati numeri variabili di elementi flogistici, tra i quali rarissimi mastociti in due di essi. L’osservazione citologica dei cani-controllo non ha evidenziato presenza di cellule fusate, se non in numero estremamente esiguo ed in un unico campione. La valutazione comparativa tra i casi interessati da fenomeni di fibrosi ed i casi controllo, individua come dato fondamentale un numero significativamente superiore di cellule fusate osservate nel gruppo 1 rispetto al gruppo 2 (p<0,0001). A tale rilievo si aggiunge un numero significativamente più elevato di mastociti (p<0,0012) ed un numero inferiore di granulociti neutrofili (p<0,04) osservati nei casi interessati da fibrosi rispetto ai casi controllo. Per ogni campione istologico esaminato l’utilizzo della colorazione istochimica Tricromica di Goldner ha permesso di confermare i rilievi morfologici relativi a condizioni di fibrosi, identificabili nella presenza di fasci di tessuto con-

ESAME CITOLOGICO E COMPARAZIONE ISTOPATOLOGICA. Allo scopo di descrivere i caratteri citomorfologici della fibrosi epatica, sono stati analizzati gli allestimenti citologici provenienti dall’agoinfissione del parenchima epatico di 11 cani, affetti da epatopatia, per ognuno dei quali è stato eseguito campionamento bioptico e di cui l’esame istopatologico evidenziava fenomeni di fibrosi epatica. Come casi controllo sono stati valutati 8 cani interessati da condizioni cliniche non coinvolgenti il fegato (neoplasie, per le quali si richiedeva la stadiazione clinica tramite campionamento del tessuto epatico) od affetti da malattie epatiche, individuate tramite indagine clinica e rilievi di laboratorio (esame emocromocitometrico, esame biochimico, esame delle urine), dal cui esame istologico, non si rilevava la presenza di fenomeni di fibrosi. RISULTATI. L’osservazione citologica degli 11 cani evidenzia ottima cellularità, rappresentata da epatociti a cito-

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Figura 1 - Epatociti a citoplasma rotondeggiante debolmente basofilo e nucleo rotondo a cromatina compatta, interconnessi da ponti di cellule fusate a citoplasma eosinofilo e nucleo ovoide (May-Grünwald Giemsa; 100X)

ri, che ne identificano l’aspetto fusato, talora stellato, riconducibile ai tipi cellulari precedentemente elencati ed identificati nei processi fibrogenetici. L’analisi statistica sottolinea il numero significativamente maggiore (p<0,0001) di elementi fusati nel gruppo di cani con fibrosi rispetto al gruppo di controllo, avvalorato da una conta del numero degli epatociti simile per i due gruppi. A questi rilievi si associa il reperto particolarmente interessante relativo all’individuazione di elementi mastocitari; la bibliografia scientifica attribuisce a queste cellule un ruolo chiave sia nei processi di fibrosi sia in corso di fenomeni flogistici acuti. In particolare, in corso di fibrosi, essi promuovono la crescita dei fibroblasti e stimolano la produzione di matrice extracellulare da parte delle cellule stellate; è inoltre riconosciuto un loro ruolo importante nei processi di capillarizzazione sinusoidale. Il riscontro morfologico dei mastociti rappresenta, oltre ad un corollario morfologico dei processi di fibrosi, un motivo importante per ridimensionare la presenza di queste cellule nel parenchima epatico, soprattutto nei casi in cui si eseguono stadiazioni cliniche alla ricerca di metastasi splancniche di mastocitomi cutanei. I reperti morfologici descritti non sono in grado di fornire indicazioni circa l’estensione ed il grado di attivazione dei processi di fibrosi, per i quali è indispensabile l’indagine istopatologica.

nettivale di calibro variabile, che con tale metodo assumono colorazione verde brillante. DISCUSSIONE. La fibrosi epatica è identificata come incremento dei componenti della matrice extracellulare, tra i quali collagene, glicoproteine strutturali e proteoglicani e rappresenta un processo di riparazione cicatriziale parenchimale ad una varietà di stimoli flogistici, quali infezioni persistenti, reazioni autoimmuni, insulti chimici e danno tissutale11. I meccanismi di insorgenza e progressione prevedono tradizionalmente l’attivazione delle cellule epatiche stellate, dette anche cellule di Ito e la loro transdifferenziazione in miofibroblasti. Questa trasformazione conferisce alle cellule di Ito aspetto fusato, potenzialità contrattili, per incremento citoplasmatico di actina liscia, e capacità di secernere un ampio spettro di componenti della matrice extracellulare, numerose citochine pro ed antinfiammatorie e fattori di crescita; conseguentemente si innesca un’evoluzione complessa, che, dall’iniziale attivazione delle popolazioni cellulari descritte, attraverso la deposizione di matrice extracellulare, porta alla formazione di fasci di connettivo tra gli epatociti, che si evidenzia morfologicamente con sviluppi microanatomici variabili, rappresentati da estensioni porto-portali, sottese tra due spazi portali adiacenti, porto-centrali, sottese tra uno spazio portale ed il corrispettivo vaso centrolobulare o centro-centrali, sottese tra due aree centrolobulari. È definito con il termine di cirrosi, la progressione di un processo di fibrosi, che causa la conversione della normale architettura epatica in noduli irregolari e lo stabilirsi di anastomosi vascolari porto-centrali. Citologicamente questo studio identifica come markers attendibili di fibrosi epatica la presenza di elementi mesenchimali organizzati in fasci di calibro variabile, sottesi tra gruppi di epatociti; gli elementi descritti presentano caratte-

BIBLIOGRAFIA. A disposizione presso l’autore carlo.masserdotti@gmail.com

Indirizzo per la corrispondenza: Carlo Masserdotti E-mail: carlo.masserdotti@gmail.com

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Analisi morfologica dell’accumulo patologico citoplasmatico Carlo Masserdotti Med Vet, Dipl ECVCP, Spec Bioch Clin ITD, Brescia

INTRODUZIONE. L’epatocita è una cellula caratterizzata normalmente da citoplasma debolmente basofilo, finemente reticolato; alterazioni cromatiche o morfologiche del citoplasma sono un reperto relativamente frequente. L’analisi delle alterazioni morfologiche permette frequentemente di associare un determinato rilievo alle cause che lo hanno determinato; in altri casi invece è necessario individuare criteri oggettivi per il riconoscimento della sua natura. In questi casi oltre alla morfologia, ottenibile dalla tecniche routinarie di colorazione, può rendersi necessario l’utilizzo di colorazioni speciali: esse possono essere efficacemente realizzabili anche su campioni citologici fissati all’aria.

il danno mitocondriale su base tossica e alcune condizioni metaboliche quali il diabete e disordini a carico del metabolismo delle lipoproteine. Granuli di lipofuscina. Sono estremamente frequenti, identificabili nel fegato normale o in epatociti interessati da modesto danno reversibile ed aspecifico: essi sono prodotti come conseguenza della perossidazione dei lipidi provenienti dalle membrane di organuli citoplasmatici sottoposti a distruzione, quali soprattutto frammenti di reticolo endoplasmatico o vacuoli lisosomiali. Questo materiale può essere reperito anche nelle cellule di Kupffer, con caratteri morfologici e cromatici analoghi ed in questo caso viene definito con il termine di “pigmento ceroide”: esso si produce per processi del tutto analoghi, benché possa esprimere anche fenomeni di necrosi epatocitaria. Nei casi dubbi, quando è possibile confonderne la presenza con fenomeni di accumulo biliare citoplasmatico, la colorazione di Ziehl Neelsen conferisce loro un cromatismo basofilo.

MORFOLOGIA PATOLOGICA DELLE ALTERAZIONI CITOPLASMATICHE. Di seguito verranno descritti alcuni rilievi morfologici di frequente riscontro nella pratica citologica. Per ogni materiale descritto viene sottinteso che esso sia presente nel citoplasma in quantitativo superiore alla norma e sufficiente per renderlo morfologicamente rilevabile. Acqua. L’accumulo di acqua nel citoplasma è definito con il termine di “degenerazione idropica”; essa è rappresentata da rarefazione della basofilia citoplasmatica. Questa condizione consegue a modesto danno epatocellulare, generalmente determinato da condizioni tossiche od ipossiche, cui consegue un’alterazione membranaria ed una diminuzione nella capacità di controllare gli scambi idrici.

Ferro. Il ferro può accumularsi negli epatociti, sotto forma di granuli giallo-brunastri, o nelle cellule di Kupffer come zolle bruno nerastre, in conseguenza ad aumentato turn-over eritrocitario, emolisi o somministrazione esogena di ferro; esistono descrizioni bibliografiche che individuano fenomeni di accumulo di ferro citoplasmatico epatocitario come conseguenza di trasfusioni ripetute per lunghi periodi. È definita con il termine di “emocromatosi” una condizione clinicamente manifesta determinata dall’accumulo patologico di ferro nel citoplasma di alcuni tessuti, tra cui il fegato ed il muscolo.

Glicogeno. L’aumento del glicogeno citoplasmatico è virtualmente indistinguibile dalla degenerazione idropica e solo colorazioni speciali, quali il PAS ed il PAS D, ne permettono il riconoscimento. L’accumulo di glicogeno consegue generalmente ad iperincrezione di cortisolo o ad uso iatrogeno di corticosteroidi, tanto da conferire a questa condizione il termine di “epatopatia steroido-indotta”.

Rame. Tra le malattie da accumulo, la cosiddetta “hepatic copper toxicosis” rappresenta una grave condizione progressiva, causata da almeno tre meccanismi: un immagazzinamento patologico del rame citoplasmatico conseguente a disordini metabolici su base genetica, un’alterazione della capacità di escrezione, che avviene normalmente con la bile ed un’eccessiva assunzione alimentare. Tale accumulo determina gravi alterazioni del metabolismo dell’epatocita per effetto delle proprietà ossidative del rame e dell’azione dannosa di radicali liberi sui componenti cellulari; al danno epatocellulare possono conseguire alterazioni strutturali del parenchima epatico, quali necrosi focali, flogosi, fibrosi, sino allo sviluppo di epatiti croniche con insorgenza di

Lipidi. L’accumulo citoplasmatico di materiale lipidico, denominato steatosi, è facile da riconoscere poiché caratterizzato dall’accumulo di globuli acromatici a margini netti; si distingue una steatosi microvescicolare, costituita da globuli di diametro inferiore a quello nucleare, da una steatosi macrovescicolare, con globuli di diametro uguale o superiore a quello del nucleo. Sono numerose le cause di questo danno epatocellulare, tra cui il digiuno prolungato, l’ipossia,

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insufficienza epatica. In quanto malattia su base genetica essa è descritta come disordine autosomico recessivo nel Bedlington terrier e come epatopatia familiare in altre razze canine, tra le quali è stato descritto il West Highland Withe terrier, il Dobermann Pincher, il Labrador retriever, il Dalmata, e lo Skye terrier. Nel gatto, in un Siamese, è stato riportato un singolo caso di epatopatia con aumento della concentrazione epatica di rame: generalmente in questa specie animale lo sviluppo della malattia è estremamente raro. Sono almeno due i metodi per ottenere una diagnosi definitiva di malattia da accumulo di rame ed in entrambi i casi sono necessari frammenti bioptici di dimensioni idonee: la diagnosi istopatologica è basata sul riconoscimento dei granuli di rame intracitoplasmatici e sulla distribuzione delle lesioni; il riconoscimento del rame, quando morfologicamente dubbio o controverso, è ottenibile con la colorazione speciale di rodamina, che conferisce al rame stesso una tonalità arancio-rugginosa. La diagnosi tossicologica è un metodo complesso, non realizzabile nei laboratori convenzionali, che si basa su tecniche di assorbimento atomico. È scarsamente utilizzabile nella pratica clinica, soprattutto perché nel cane gli intervalli di riferimento sono molto ampi, tra le 150 e le 500 parti per milione su peso secco (ppm dw), benché alcuni report indichino range ancora più ampi, tra le 150 ppm dw e le 6800 ppm dw. I caratteri citologici dell’accumulo di rame sono caratterizzati dalla presenza di granulazione simil-cristallina a profilo angolato di cromatismo variabilmente basofilo. Nei casi dubbi la natura dei granuli citoplasmatici può essere confermata su campioni citologici con l’impiego della colorazione di rodamina, che conferisce loro un cromatismo bruno-rugginoso. La positività citoplasmatica non è diagnostica di intossicazione da rame ma semplicemente identifica un accumulo del metallo nei lisosomi: spetta alle valutazioni cliniche, alla distribuzione microanatomica ed infine eventualmente al dosaggio tramite metodi di assorbimento atomico attribuire un ruolo patogenetico al rilievo oppure considerarlo una conseguenza di malattie primarie diverse, quali, soprattutto la colestasi.

Bile. Raramente è possibile osservare accumulo di bile intracitoplasmatica, rappresentata da zolle irregolari bluverdastre; più frequente e facile da identificare è l’accumulo extracitoplasmatico, rappresentato da stampi ramificati di materiale verdastro, localizzati tra i profili delle membrane epatocitarie. In altri casi ancora l’accumulo di bile conferisce all’epatocita l’aspetto della cosidetta “feathery degeneration” rappresentata da rarefazione irregolare del citoplasma.Nei casi dubbi è necessario ricorrere a colorazioni speciali per il riconoscimento della bile, quale la Fouchet-Van Gieson. Inclusi eosinofili. Sono riconoscibili come piccoli globuli intensamente eosinofili, dispersi in piccolo numero nel citoplasma e sono ascrivibili ad accumulo di α1 anti-tripsina, di citocheratine degenerate (corpi di Mallory) di fibrinogeno o di immunoglobuline. Per il loro riconoscimento definitivo sono indispensabili indagini di tipo immunocitochimico od immunoistochimico. Inclusi ialini. Sono molto rari e sono rappresentati da globuli debolmente basofili a profilo rotondeggiante o poligonale; essi costituiscono un accumulo citoplasmatico di materiale proteinaceo proveniente dal plasma, come conseguenza di fenomeni ischemici, di shock o di danneggiamento epatocellulare; l’utilizzo delle principali tecniche di colorazione istochimica od immunoistochimica fallisce nell’attribuire loro una esatta natura. La microscopia elettronica è il mezzo ideale per riconoscerne le caratteristiche ultrastrutturali.

BIBLIOGRAFIA. A disposizione presso l’autore carlo.masserdotti@gmail.com

Indirizzo per la corrispondenza: Carlo Masserdotti E-mail: carlo.masserdotti@gmail.com

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Epatocarcinoma ben differenziato: una diagnosi difficile Carlo Masserdotti Med Vet, Dipl ECVCP, Spec Bioch Clin ITD, Brescia Michele Drigo, Med Vet, PhD, Padova

INTRODUZIONE. L’epatocarcinoma è la neoplasia epiteliale epatica più frequente, colpisce soprattutto il cane, di età media od anziana e più frequentemente il maschio della femmina, senza predisposizioni di razza. La bibliografia vigente sull’argomento concorda sul fatto che una diagnosi citologica corretta di epatocarcinoma non è sempre agevole, poiché esso, nelle sue manifestazioni morfologiche, può annoverare caratteri che rappresentano la conseguenza di gradi di differenziazione variabili, ed essere costituito oltre che da elementi epiteliali con evidenti aspetti di malignità, anche dalla proliferazione di epatociti di aspetto relativamente normale; addirittura esistono difficoltà oggettive nella diagnosi differenziale tra noduli iperplastici, adenoma epatocellulare e carcinoma epatocellulare ben differenziato. Sulla base di questa difficoltà, si rende necessaria la compilazione di criteri morfologici che permettano l’emissione di una diagnosi corretta, quando in un campione citologico mancano i classici criteri di atipia.

TABELLA 1 - Caratteri citologici valutati per ogni campione Caratteri citomorfologici

MATERIALI E METODI. L’obiettivo di questa relazione è di presentare una serie di criteri citomorfologici utili nella diagnosi dell’epatocarcinoma ben differenziato; a tale scopo sono stati selezionati quindici campioni citologici di tessuto epatico, proveniente da cani affetti da lesioni nodulari epatiche, la cui diagnosi istologica definitiva è stata appunto di epatocarcinoma ben differenziato; ogni campione è stato ottenuto tramite manovra di FNCS (Fine Needle Capillary Sampling) della massa epatica, utilizzando, sotto guida ecografica, un ago spinale di 25 Gauge; i campioni sono stati colorati con metodo di May Grünwald-Giemsa. Sulla base di dati precedentemente pubblicati in letteratura umana è stata compilata una lista di caratteri citomorfologici (Tabella 1); ogni campione è stato quindi sottoposto ad indagine morfologica ed alla valutazione di almeno 20 aree selezionate random a 400X attribuendo ad ogni campione citologico un valore quantitativo o qualitativo che esprimesse la manifestazione di ciascun carattere. A scopo comparativo sono stati prelevati e valutati analogamente 15 campioni citologici provenienti da tessuto epatico privo di alterazioni neoplastiche. Tutte e 15 le masse epatiche sono state escisse chirurgicamente e sottoposte a valutazione istologica; i 15 pazienti-controllo sono stati invece sottoposti a biopsia tramite tru-cut. I dati sono stati analizzati come frequenza di score; per ogni carattere citologico osservato è stata analizzata la differenza tra i due gruppi utilizzando il test non parametrico di Mann-Withney. È stato considerato significativo un valore di p<0.05.

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Sfondo

Detrito proteinaceo Fondo ematico Stampi di materiale biliare Necrosi Cellularità

Architetture

Trabecole Filiere Acini Disaggregazione Palizzate Fibrosi Assi capillari

Caratteri citoplasmatici

Basofilia citoplasmatica Lipofuscina Steatosi Glicogeno/acqua Inclusi citoplasmatici Anisocitosi N/C

Caratteri nucleari

Anisocariosi Distribuzione della cromatina Irregolarità del profilo nucleare Pseudoinclusi nucleari Eccentricità del nucleo Nuclei multipli Mitosi Nucleoli Nuclei nudi

Flogosi

Neutrofilica Macrofagica Linfoplasmocellulare Eosinofilica Mastocitaria


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RISULTATI. I criteri citologici risultati essere significativi nell’identificazione dell’epatocarcinoma ben differenziato sono la presenza di necrosi (5 casi su 15; p=0,016), disposizioni acinari (4 casi su 15; p=0,035) ed in palizzata (8 casi su 15; p=0,001), disaggregazione cellulare (3 casi su 15; p<0,001) e presenza di assi capillari tra i clusters epiteliali (5 casi su 15; p=0,016). La presenza di nuclei nudi che circondano i clusters (15 casi su 15; p<0,001), anisocariosi lieve (10 casi su 15; p=0,004), aumento del rapporto N/C (9 casi su 15; p<0,001) e nuclei multipli (9 casi su 15; p<0,001) sono risultati di grande importanza diagnostica, mentre altri criteri di atipia, quali basofilia citoplasmatica (p=0,277), irregolarità della distribuzione della cromatina (p=0,073), irregolarità del profilo nucleare (p=0,148) e presenza di mitosi (p=0,15) si sono rivelati statisticamente non significativi.

Figura 1 - Aggregati di epatociti neoplastici alla cui periferia si accumulano nuclei nudi.

DISCUSSIONE. La necrosi si presenta come detrito amorfo variabilmente eosinofilo disperso tra le cellule e, in corso di molte neoplasie, esita da fenomeni emorragici focali o da ipovascolarizzazione del parenchima neoplastico stesso. I criteri morfologici basati sul riconoscimento di architetture di tipo acinare od in palizzata sono verosimilmente basati su disposizioni cellulari aberranti, probabilmente derivanti dal tentativo delle cellule neoplastiche di delimitare canalicoli biliari, mentre lo sviluppo perivascolare individua soprattutto fenomeni di neoangiogenesi insita al parenchima neoplastico. La disaggregazione cellulare è analogamente un fenomeno derivante da processi di perdita della coesività. Tra i criteri individuati quale riferimento nella diagnosi dell’epatocarcinoma ben differenziato sicuramente spetta un ruolo di importanza primaria all’evidenza di nuclei nudi. Essi si dispongono in aggregati irregolari, talora in filiere o singolarmente dispersi attorno ai lembi di epitelio neoplastico; di essi è possibile apprezzare caratteri analoghi a quelli presenti nelle cellule intatte; questo rilievo è presente in tutti i casi di epatocarcinoma ed è un carattere già descritto in citopatologia umana, probabilmente conseguente a ressi citoplasmatica per indebolimento della costituizione cellulare dell’elemento neoplastico più che a fenomeni artifattuali. Un unico caso proveniente da fegato non neoplastico ha esibito la presenza di rari nuclei nudi dispersi, in associazione a fenomeni gravi di steatosi, che può rappresentare a sua volta causa di ressi citoplasmatica. Benché precedentemente sia stato dimostrato un aumento di epatociti binucleati all’aumentare dell’età del cane, alcuni epatocarcinomi esibiscono la presenza di rare cellule contenenti nuclei multipli, in genere superiore a due: rilievi analoghi di multinuclearità sono descritti nell’uomo anche in concomitanza a cause eziologiche virali od a fenomeni di displasia. Come precedentemente esposto, alcuni tra i criteri di malignità classica, quali basofilia citoplasmatica, irregolarità di distribuzione della cromatina e del profilo nucleare, numero di mitosi ma anche anisocariosi e presenza di nucleoli multipli o prominenti, non si sono rivelati di utilizzo pratico nel riconoscimento dell’epatocarcinoma ben differenziato, poiché generalmente assenti o, se presenti, non sufficientemente significativi se comparati con il fegato non neoplastico.

Alcuni aspetti morfologici, quali l’accumulo di materiale glicogenico, lipidico o lipofuscinico non risultano essere discriminanti né diagnostici e la loro incidenza non differisce statisticamente da campioni provenienti da fegati non neoplastici; analogamente altri aspetti morfologici sono privi di significatività statistica nella diagnosi dell’epatocarcinoma, ma sono meritevoli di un commento aggiuntivo. Occasionalmente (3 casi su 15) è stato possibile individuare rari inclusi citoplasmatici, identificabili soprattutto come globuli eosinofili di piccole dimensioni; il reperimento di globuli citoplasmatici è aspecifico senza una caratterizzazione di tipo immunocitochimico od immunoistochimico, poiché essi potrebbero essere espressione di accumulo citoplasmatico aberrante di materiali diversi, tra cui proteine di produzione epatocellulare, quali l’α-1 antitripsina ed il fibrinogeno o zolle di citocheratine alterate, quali i corpi di Mallory o ancora globuli ialini di origine plasmatici. La componente flogistica non presenta differenze significative tra i due gruppi analizzati benché il rilievo di una quota modicamente aumentata di mastociti, associata a ponti di cellule fusate nei campioni neoplastici sottolinea il ruolo di queste cellule nei processi di fibrosi. CONCLUSIONI. Il tentativo di fornire una base razionale per l’identificazione dell’epatocarcinoma verrà perfezionato nel prossimo futuro con un analogo tentativo di differenziarne i caratteri morfologici dall’iperplasia nodulare o dall’adenoma epatocellulare, allo scopo di formalizzare basi diagnostiche utili alla gestione terapeutica ed alla formulazione prognostica delle lesioni nodulari epatiche.

BIBLIOGRAFIA. A disposizione presso l’autore carlo.masserdotti@gmail.com

Indirizzo per la corrispondenza: Carlo Masserdotti E-mail: carlo.masserdotti@gmail.com

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Tumori epatici rari Carlo Masserdotti Med Vet, Dipl ECVCP, Spec Bioch Clin ITD, Brescia

INTRODUZIONE. Secondo la classificazione recentemente proposta dal WSAVA Liver Standardization Group (2006) i tumori epatici vengono suddivisi in: a) neoplasie epatocellulari, inclusa l’iperplasia nodulare b) neoplasie colangiocellulari c) carcinoide epatico ed epatoblastoma d) neoplasia mesenchimali e vascolari primarie e) neoplasie ematopoietiche f) neoplasie metastatiche

lobo epatico. Istologicamente si caratterizza per la proliferazione di elementi a morfologia variabile, da ben differenziata a marcatamente atipica, che determinano la formazione di trabecole irregolari, supportate da stroma connettivo ed alternate a spazi lacunari vascolari in assenza di aree portali o centrolobulari riconoscibili; perifericamente è possibile rilevare infiltrazione a carico del parenchima epatico circostante. Citologicamente l’esfoliazione fornisce elementi neoplastici, la cui morfologia, in dipendenza del grado di differenziazione della neoplasia spazia da cellule con aspetto ben differenziato, virtualmente simile a quelle normali a cellule interessate da aspetti di atipica marcati. Il colangiocarcinoma insorge generalmente dai colangiociti che delimitano i dotti biliari intraepatici. Dal punto di vista anatomo-patologico si caratterizza per la presenza di noduli singoli, più frequentemente multipli, a superficie ombelicata. È una neoplasia aggressiva che può sviluppare metastasi splancniche. Istologicamente la neoplasia si caratterizza per la proliferazione di strutture tubulari ed acinari disperse in stroma abbondante ed infiltranti diffusamente il parenchima circostante. Citologicamente si rileva l’esfoliazione di elementi epiteliali a citoplasma rotondeggiante o cuboidale, variabilmente basofilo, talora vacuolizzato, recante nucleo rotondeggiante dismetrico a cromatina grossolana, macronucleolato, in attività mitotica atipica: gli elementi neoplastici si organizzano in strutture microacinari od in filiere irregolari, talora in formazioni tubulari. Le neoplasie ematopoietiche evidenziano una commistione variabile di epatociti con cellule neoplastiche, che manifestano caratteri citomorfologici analoghi a quanto si rileva in altro organi o tessuti. Le neoplasie metastatiche manifestano i caratteri della neoplasia primaria.

L’iperplasia nodulare, l’epatocarcinoma ed il colangiocarcinoma sono le neoplasie relativamente più frequenti a carico del fegato. L’iperplasia nodulare è un disordine comune nel cane di età anziana, meno frequente nel gatto: essa si differenzia dai noduli rigenerativi poiché non si associa all’espressione di fenomeni cirrotici: non se ne conoscono le cause precise, benché la sua insorgenza sia attribuita a disregolazione locale dell’ormone della crescita. Dal punto di vista anatomo-patologico essa può presentarsi sotto forma di noduli singoli, più frequentemente multipli. Dal punto di vista istologico l’iperplasia nodulare è costituita da trabecole generalmente bicellulari di epatociti normoconformati od interessati da fenomeni di statosi o degenerazione glicogenosica, talora associate a spazi portali nel parenchima od in periferia; la lesione è generalmente priva di contenimento capsulare. Citologicamente l’agoaspirazione di noduli iperplastici fornisce generalmente epatociti normoconformati od interessati da accumulo citoplasmatico di materiale lipidico o glicogenosico:il quadro è virtualmente indistinguibile dall’aspirazione di fegato normale od interessato da fenomeni degenerativi aspecifici. L’adenoma epatocellulare è una neoplasia rotondeggiante, generalmente singola, priva di contenimento capsulare. è costituita da trabecole bi-tricellulari, attraversate da rari, occasionali spazi portali o vasi centrolobulari. Citologicamente esso si caratterizza per esfoliazione di epatociti normali, virtualmente indistinguibili da quelli normali. L’adenoma epatocellulare è una condizione relativamente rara, benché la difficoltà e talora l’arbitrarietà nel distinguerla dall’iperplasia nodulare e in alcuni casi dall’epatocarcinoma ben differenziato rendano difficilmente realizzabile la valutazione della sua reale incidenza. Il carcinoma epatocellulare è generalmente singolo ed all’atto della diagnosi coinvolge frequentemente un intero

TUMORI EPATICI RARI. Stabilite le caratteristiche morfologiche dei tumori relativamente più frequenti a carico del fegato, è possibile, su base citomorfologica, diagnosticare neoplasie rare basandosi sull’evidenza di aspetti non riconducibili a quanto descritto precedentemente. Il colangioma è una neoplasia rara in tutte le specie animali, descritta episodicamente nel cane e con maggiore frequenza nel gatto; insorge generalmente in età anziana e può essere asintomatico. Questa neoplasia si caratterizza per conferire un aspetto spugnoso al parenchima epatico interes-

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sato, che ecograficamente si traduce in un aspetto multiloculare della lesione; questa peculiarità è determinata microscopicamente dalla proliferazione di strutture tubulari, replete da materiale citrino, delimitate da linea singola di cellule cuboidali con nucleo rotondo. Citologicamente il campione si caratterizza, su fondo pulito o popolato da macrofagi occasionali, per scarsissima cellularità, rappresentata da elementi epiteliali a citoplasma cuboidale debolmente basofilo e nucleo rotondo a cromatina compatta, organizzati in lembi coesi bidimensionali, nel cui contesto manifestano focali disposizioni in palizzate regolari; è possibile rilevare la presenza di rari epatociti singoli dispersi o adesi agli aggregati di colangiociti neoplastici. Il colangioma deve essere distinto da condizioni non neoplastiche che possono mimarne l’aspetto macroscopico e microscopico, quali per esempio le cisti biliari singole o multiple, il complesso di Von Meyenburg, la malattia di Caroli e le manifestazioni della malattia policistica felina. Il carcinoide epatico è una neoplasia che insorge presumibilmente da cellule neuroendocrine localizzate nell’epitelio dei dotti biliari sia intraepatici che extraepatici, ma non si esclude che possa derivare da cellule progenitrici epatiche, denominate cellule ovali, che esibiscono molte delle caratteristiche morfologiche ed immunoistochimiche degli elementi neuroendocrini. Esso può manifestarsi clinicamente come massa unica o come noduli parenchimali multipli coinvolgenti uno o più lobi epatici ed il soggetto che ne è colpito accusa generalmente sintomatologia aspecifica. Il tessuto neoplastico è costituito dalla proliferazione di strutture tubulari e di formazioni a rosetta, supportate da sottili tralci connettivali. Dal punto di vista citologico il campione si caratterizza per l’esfoliazione di elementi a citoplasma a profilo rotondeggiante, di cui si apprezza talora la fine granularità, contenente nuclei rotondi od ovali, variabilmente dismetrici, a cromatina irregolare o compatta, occasionalmente nucleolati. Le cellule tendono a disporsi in aggregati bi-tridimensionali, nel cui contesto è possibile osservare conformazioni microacinari frequenti ed alla cui periferia possono accumularsi nuclei nudi. La

presentazione architetturale delle cellule deve porre in diagnostica differenziale la possibilità di un colangiocarcinoma, che condivide con il carcinoide la disposizione in formazioni microacinari e da cui in ogni caso è distinguibile per manifestare aspetti di atipia più marcati. Il carcinoide è una neoplasia aggressiva che tende a metastatizzare nella maggior parte dei casi. L’epatoblastoma è una neoplasia estremamente rara, descritta in bibliografia in un unico caso, relativo ad un cane anziano; segnalazioni di epatoblastomi sono riportate per la specie equina ed ovina. Recentemente sono state descritte le caratteristiche citomorfologiche di un caso di epatoblastoma in un puledro. Mielolipoma. Questa neoplasia è relativamente rara e descritta solo nel gatto o nei felidi selvatici. Si tratta di una neoplasia benigna, generalmente a localizzazione singola, meno frequentemente multifocale, costituita da un’area a margini compatti di tessuto adiposo, nel cui contesto si rileva la presenza di cellule ematopoietiche disperse. Citologicamente la lesione si caratterizza per la presenza di detrito lipidico, di aggregati di adipociti e per il riconoscimento di elementi ematopoietici di tipo mieloide od eritroide o trombocitoide in fasi maturative consequenziali. Neoplasie mesenchimali. I sarcomi epatici sono soprattutto espressione di estensioni metastatiche mentre quelli primari sono estremamente rari, rappresentati soprattutto dall’emangiosarcoma, benché esistano segnalazioni relative a linfangiosarcomi, osteosarcomi, rabdomiosarcomi o fibrosarcomi. I caratteri citologici non sono peculiari se si escludono i rilievi classici inerenti alle neoplasie mesenchimali.

BIBLIOGRAFIA. A disposizione presso l’autore carlo.masserdotti@gmail.com

Indirizzo per la corrispondenza: Carlo Masserdotti E-mail: carlo.masserdotti@gmail.com

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Le cardiomiopatie feline: quando le classificazioni ci vanno strette Francesco Migliorini Med Vet, Roma

Le malattie del miocardio sono le cardiopatie più frequenti nel gatto. La classificazione delle miocardiopatie in questa specie, ricalca quella proposta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nell’Uomo: • Cardiomiopatia ipertrofica: è caratterizzata dall’ipertrofia concentrica del miocardio ventricolare, non conseguente a aumenti del post carico (malattie valvolari, ipertensione sistemica,ipertiroidismo). • Cardiomiopatia dilatativa: si manifesta con insufficienza contrattile del muscolo cardiaco e conseguente dilatazione e ipertrofia eccentrica progressiva delle camere cardiache. • Cardiomiopatia restrittiva: è connotata da una fisiologia restrittiva al riempimento ventricolare con spessori miocardici normali e grave dilatazione atriale. • Cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro: degenerazione fibro adiposa del ventricolo destro con presenza di aritmie ventricolari. • Cardiomiopatie non classificate: tutti quei casi di cardiomiopatia che non rientrano nelle descrizioni precedenti.

La definizione di cardiomiopatia restrittiva è caratterizzata da un dato fisiopatologico che è la grave disfunzione diastolica ventricolare con marcato aumento delle pressioni di riempimento e conseguente dilatazione atriale. In questi pazienti non siamo in presenza di insufficienza contrattile del miocardio o di aumentati spessori miocardici. Dal punto di vista anatomo patologico questa malattia è caratterizzata dalla fibrosi endomiocardica che produce rigidità del muscolo cardiaco e, a volte obliterazione della camera ventricolare da parte di tessuto fibroso. Nei pazienti felini che avevano quadri ecocardiografici che si avvicinavano a quelli della cardiomiopatia restrittiva, ma non ne avevano tutte le caratteristiche, si preferiva parlare di forme non classificate. Questo ha creato una certa ambiguità tra la forma restrittiva e le non classificate. Altri autori introdussero poi il termine di “cardiomiopatia intermedia” per descrivere una forma che avesse alcune caratteristiche della cardiomiopatia ipertrofica e altre della dilatativa, aumentando in realtà la confusione nella definizione di cardiomiopatia non classificata. Un possibile e parziale chiarimento proviene da studi anatomopatologici che considerano due entità distinte che sono l’endomiocardite e la fibrosi endocardica del ventricolo sinistro. Nell’endomiocardite il cuore è aumentato di volume, si notano emorragie sub-endocardiche e materiale fibrinoso bianco grigiastro che ricopre l’endocardio ventricolare soprattutto a livello dei muscoli papillari e del tratto di efflusso sinistro. Il miocardio ventricolare appare infiltrato di linfociti, plasmacellule, macrofagi e neutrofili. L’endomiocardite è condizione che colpisce spesso gatti giovani sotto i 4 anni di età e, in questi pazienti è possibile rintracciare un evento stressante nei mesi precedenti la manifestazione clinica della malattia. I gatti con fibrosi endocardica del ventricolo sinistro, sinonimo anatomopatologico della definizione fisiopatologica di cardiomiopatia restrittiva, presentano aumenti di volume atriali, e grave ispessimento dell’endocardio che appare infiltrato di tessuto ialino, fibroso e di granulazione. Queste alterazioni anatomopatologiche causano e caratterizzano la fisiopatologia della cardiomiopatia restrittiva. Le due condizioni anatomo patologiche hanno in comune la localizzazione delle lesioni che prediligono i muscoli papillari e il tratto di efflusso sinistro. Questo fatto potrebbe

Esempi di forme non classificate nell’Uomo sono: la fibroelastosi, il miocardio non compatto, la disfunzione sistolica con dilatazione ventricolare lieve, le malattie mitocondriali. Oltre alle cardiomiopatie primarie esistono cardiomiopatie specifiche, causate quindi da fattori eziologici noti. Nel gatto è descritta la forma carenziale da taurina, che causa quadri ipocinetico dilatativi. La tireotossicosi, l’ipertensione sistemica associata o meno a insufficienza renale cronica, possono condurre a rimodellamenti del miocardio ventricolare e a forme di cardiomiopatie specifiche. Nella categoria delle cardiomiopatie non classificate rientrano quindi tutti quei casi in cui viene esclusa una causa nota provocante il danno miocardico, e i criteri morfo-funzionali delle cardiomiopatie primarie non sono sufficienti a descrivere il danno anatomico e le alterazioni fisiopatologiche che stiamo osservando. In realtà esiste una certa ambiguità nella definizione di cardiomiopatie non classificate nel gatto, e la loro connotazione è mutata nel corso del tempo. Spesso infatti il termine di cardiomiopatia non classificata viene accomunato a quello di cardiomiopatia restrittiva, creando quindi un’unica categoria comprendente entrambe le forme.

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rendere possibile che i due quadri siano due stadi diversi dello stesso fenomeno infiammatorio. Questa considerazione andrebbe dimostrata con studi anatomopatologici seriali e non è ancora stata confermata dalla letteratura. Altre forme di cardiomiopatia che possono creare imbarazzi classificativi, sono le forme così dette “end stage”. Esistono quadri di cardiomiopatie caratterizzate da insufficienza miocardica, dilatazione delle camere cardiache e ipertrofia eccentrica, che rappresentano l’esito di malattie miocardiche diverse. A volte le cardiomiopatie ipertrofiche sono accompagnate da ischemie cardiache provocate da diverse cause che agiscono singolarmente o in combinazione tra loro. Si possono infatti verificare occlusioni coronariche a seguito di arteriospasmo, tromboembolismo o ipertrofia della tonaca intima e media oltre all’incapacità del microcircolo coronarico di adeguarsi all’ipertrofia miocardica. In questi casi il miocardio ventricolare viene progressivamente sostituito da aree fibrotiche cicatriziali sub endocardiche, subepicardiche e trans murali. La conseguenza clinica e la manifestazione ecocardiografica è rappresentata da una progressiva riduzione della cinesia parietale e da un aumento dei volumi della camera ventricolare. Da una cardiomiopatia caratterizzata da ipertrofia concentrica e riduzione delle camere ventricolari, si passa quindi a un’altra forma nella quale prevale l’ipertrofia eccentrica e l’aumento dei volumi ventricolari. Questa forma è detta ESHCM (end stage hypertrophic cardiomyopathy), e si manifesta all’ecocardiografia come una forma ipocinetico dilatativa. Questa condizione fisiopatologica può verificarsi a seguito di stimoli cronici all’ipertrofia miocardica, ed essere quindi il punto di arrivo anche di cardiomiopatie secondarie come la tireotossica o l’ipertensiva. È chiaro come alla prima valutazione di una forma di questo genere, in assenza di una storia nota di cardiomiopatia ipertrofica o specifica, il clinico possa classificare questi quadri come forme dilatative ab origine. La distinzione tra una cardiomiopatia dilatativa primaria e la ES-HCM, può essere fatta solamente conoscendo la storia clinica del paziente e avendo eseguito ecocardiogrammi seriali che possano testimoniare l’evoluzione del danno miocardico.

È opportuno inoltre considerare quelle forme di miocardiopatie che derivano dalla sommatoria di un danno miocardico primario di lieve entità sul quale si sovrappone una forma secondaria. Pensiamo a quei pazienti portatori di forme asintomatiche di cardiomiopatia ipertrofica, che sviluppano durante la loro vita, malattie metaboliche in grado di indurre rimodellamento miocardico come l’ipertiroidismo o l’ipertensione sistemica. L’entità dell’ipertrofia miocardica e della disfunzione diastolica, deriveranno dalla sommatoria delle due condizioni, indipendenti tra loro ma sinergiche nell’evocare insufficienza cardiaca. In questi pazienti spesso conoscere il reale contributo dell’una o dell’altra condizione è possibile solo avendo eseguito esami ecocardiografici seriali durante l’intero ciclo vitale. È plausibile sospettare una forma “combinata” qualora risolvendo lo stato tireotossico o ipertensivo, il danno miocardico non si risolve ma permane. Concludendo, la categoria delle cardiomiopatie feline non classificate può essere molto ampia, soprattutto se non si dispone di una storia clinica o ecocardiografica del paziente, o se non è possibile ottenere informazioni anatomo patologiche sulla natura del processo morboso che stiamo osservando.

LETTURE CONSIGLIATE Kienle RD. Feline Unclassified and Restrictive Cardiomyopathy in Small Animal Cardiovascular Medicine, Kittleson MD, Kienle RD, 2008, Mosby. Stalis HI, Bossbaly MJ, Van Winkle TJ. Feline Endomyocarditis and Left Ventricular Endocardial Fibrosis. Vet Pathol 32:122-126 (1995). Feline myocardial disease. 1: Classification, pathophysiology and clinical presentation. Ferasin L. J Feline Med Surg. 2009 Jan;11(1):3-13. Cesta MF, Baty CJ, Keene BW, Smoak IW, Malarkey DE. Pathology of End-stage Remodeling in Family of Cats with Hypertrophic Cardiomyopathy. Vet Pathol 42:458 (2005).

Indirizzo per la corrispondenza: Francesco Migliorini E-mail: migliof@tiscali.it

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Ears: atopy and allergies, how can nutrition help? David Morgan BSc, MA, VetMB, CertVR, MRCVS, P&G Pet Care, Geneva (CH)

The canine ear consists of the pinna, external ear canal, middle ear and inner ear.1 The external ear canal is composed of auricular and annular cartilage. At the base of the pinna is the opening of the external ear canal (external auditory meatus) that leads into the vertical canal, the opening is formed by the proximal portion of the auricular cartilage which becomes funnel shaped at this point. The skin that covers the inner aspect (concave) of the pinna is more tightly attached to the auricular cartilage than the skin on the outside aspect (convex) of the pinna. Histologically, the external ear canal resembles the pinna, with skin lining the inner surface of the canal, however, in most breeds, hairs are fewer and do not extend the length of the ear canal. The focus of this article on ears and allergies is canine otitis externa which is defined as inflammation of the external ear canal (vertical and horizontal canals) that extends to the tympanic membrane.

affected,2 however unilateral OE can occur in cutaneous adverse food reactions and atopy.4,7 And, cutaneous adverse food reactions, and less commonly, atopic dermatitis (~3% of cases), may be manifested by OE only.4,7,8

CUTANEOUS ADVERSE FOOD REACTIONS Cutaneous adverse food reactions (CAFRs) in dogs are common but poorly understood9 and include food allergy (food hypersensitivity; immunologically mediated) and food intolerances (non-immunologically mediated). A variety of dermatological signs can be seen, including pruritus, papules, erythema, scaling, excoriations and erosions, pyotraumatic dermatitis, epidermal collarettes, pododermatitis, seborrhea and OE,7 and so the clinician should put CAFRs on their list of differential diagnoses in every case of OE. In a recent retrospective study in Italy the prevalence of CAFRs was assessed in 130 dogs.10 The prevalence of CAFRs in all dogs with dermatological signs was 12% and in 26% of dogs that only had signs for allergic disease (atopy, flea allergic dermatitis and CAFRs). Bilateral OE was present in 63% of CAFRs cases and was often found alongside the main clinical sign of generalised pruritus. Diet trials for making a diagnosis may be based on home cooked diets or commercially prepared dried or tinned (canned) wet foods. There are several commercial “hypoallergenic diets” on the market, which may be tried, if they do not contain the offending ingredients e.g. commercial diets containing a combination of a single protein and carbohydrate from; fish, rabbit, duck, venison, egg, potato, oats and rice. Hydrolyzed diets are also available with protein sizes of 3kDa and others with an average size of 12kDa, the small protein size is aimed at avoiding cross-linking IgE antibodies that are attached to mast cells, a crucial step needed to elicit an allergy. However, some dogs hypersensitive to an ingredient will react to the same partially hydrolyzed item11 and so the clinician should choose their diet bearing this in mind. The length of a diet trial is now recommended to be at least 6 weeks and up to 10-12 weeks.7 Any animal that improves on a restricted diet should be challenged with its original diet (including treats, scraps, biscuits, chews and supplements) and if a CAFR is involved then there will be an increase in pruritus within 7 to 10 days. Sequential food

OTITIS EXTERNA Canine otitis externa (OE) is a common and multifactorial cutaneous disorder that accounts for up to 20% of consultations in small animal practice2 and was second only to dental disease in prevalence in over 31,000 dogs.3 Histological changes in the external ear canal of dogs with OE include epidermal and follicular hyperplasia, dermal infiltration, less active sebaceous glands and grossly dilated ceruminous glands.

ALLERGIES AND OTITIS EXTERNA In a retrospective study of 100 OE patients, allergic dermatitis was the most common primary cause, accounting for 43% of cases.2 Atopic dermatitis was diagnosed in 8 patients (19% of all allergies) and cutaneous adverse food reaction in 2 dogs (5% of all allergies). The remaining 33 patients (76% of the allergy cases) could not be diagnosed due to poor owner compliance; however it was possible they were either atopic dermatitis or cutaneous adverse food reactions. Atopic dermatitis and, less often, cutaneous adverse food reactions, are generally recognized as the most common primary cause of canine OE4-6 with both ears commonly being

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challenges can then be done to try and identify individual ingredients that cause the CAFR. Long-term management of CAFR involves feeding a complete and balanced highly digestible limited antigen diet that does not contain the offending ingredients.7 The clinician therefore has a choice of different diets which should reflect studies on CAFR management; “At this time, however, there is no clear evidence of a superior benefit of hydrolysate-based compared to nonhydrolysed commercial diets, or of homemade over commercial diets”11

salmon & rice diet (diet A) only showed significantly less pruritus. Interestingly the supermarket diet (diet D) significantly reduced the CADESI score but had no effect on pruritus. Surprisingly, no significant changes were detected with the hydrolysed diet C for the CADESI or pruritus scores. This led the authors to summarise “Based on the results of this study, changing the diet of dogs with atopic dermatitis may be a useful adjunctive therapeutic measure in addition to conventional therapies.” The clinical benefit of the fish & potato diet is thought to be linked to being an omega-3 fatty acid enriched diet. These fatty acids are metabolised to less inflammatory tissue mediators. Additionally, protein quality, lipid content and digestibility may also play a role in helping improve the skin’s integrity and repair. The future of canine AD and nutritional intervention, alongside topical applications, could be targeted at correcting the abnormalities of the skin barrier function by using lipid preparations. Nutrition’s role in skin health has been established,18,19 and oral supplementation with essential fatty acids increase skin essential fatty acids, reduces Trans Epidermal Water Loss (TEWL) and improves skin barrier function.20 A recent study showed that repeated topical application of a lipid preparation to non-lesional skin in atopic dogs led to a significant increase in lipid lamellae in the deepest part of the stratum corneum and to the release of lipid material at the junction between the stratum granulosum and stratum corneum;21 though, the clinical benefit, if any, was not reported. However, therapy to improve the skin barrier could combine both topical and systemic therapy (e.g. oral fatty acids) and therefore nutrition could play a central role in systemic delivery of these lipids.

ATOPIC DERMATITIS Atopic dermatitis (AD) is a complex multifactorial disease in which both genetic and environmental factors play an important role. In a recent Italian study atopy’s prevalence accounted for 14% of all dogs with dermatological signs and 30% of allergic cases (which included concurrent atopy in 19% of dogs with CAFR).10 In healthy dogs an intact skin barrier is critical to prevent desiccation from excessive water loss and penetration of exogenous substances detrimental to the body. The main responsibility for assuming this protective role lies with the outer most epidermal layer, the stratum corneum, a zone composed of cornified keratinocytes (corneocytes) surrounded by complex lipid lamellae.12 An impaired skin barrier function is thought to be crucial for allergic sensitization in AD as it may lead to increased allergen penetration that in turn favours a Th2-dominated response. In dogs both pinna are noted as being one site for demonstrating lesions of AD13 (bilateral otitis externa occurs in 55-80% of AD cases)14 particularly the ventral (concave) pinna alongside other areas (e.g. chin, periocular region, ventral neck, axilla, groin, flank, feet, antebrachium and under the tail).14 Thus, it is conceivable that the distribution of lesions in AD may be due to the fact that these sites appear to be more prone to the epicutaneous absorption of allergens. As the epicuteanous route of allergen exposure has been demonstrated to be the most single most important of the routes for sensitization and development of lesions, these findings may help shed light to explain the characteristic distribution of AD lesions. 15 Management of canine AD involves multiple modalities of treatment and the reader is advised to refer to other references for medical options.16 Diet is an important component of any treatment regimen and was evaluated in a multi-centered, double-blinded, randomised study that evaluated the clinical response to an 8 week period of feeding one of three veterinary diets marketed for dogs with atopic dermatitis and one supermarket diet.17 Fifty dogs were included and the three veterinary diets evaluated were a selected protein diet based on salmon & rice (diet A), a selected protein diet based on fish & potato (diet B) and a hydrolysed soy diet (diet C). The supermarket control diet was diet D. The results showed that after 8 weeks on the veterinary diets, both the Canine Atopic Dermatitis Extent and Severity Index (CADESI-30) and pruritus scores of dogs assigned to the fish & potato diet were significantly decreased and it was the only diet to significantly improve both scores, whereas dogs assigned to the selected

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Address for correspondence: David Morgan Eukanuba Communications Manager Procter & Gamble Pet Care, 47 Route de Saint Georges, 1213 Petit Lancy-1, Geneva Phone +41 22 709 6673 - E-mail: morgan.dm@pg.com

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Gestione e terapia chirurgica delle masse occupanti spazio in cavità pelvica Daniela Murgia Med Vet, Dipl ECVS, MRCVS, Zugliano (VI)

In medicina veterinaria il riscontro di masse intrapelviche occupanti spazio è infrequente e non sono molti gli studi riportati in letteratura riguardanti queste patologie. Si definisce intrapelvica una massa quando più del 50% del suo asse longitudinale si localizza caudalmente il pettine pubico o cranialmente il margine posteriore del forame otturatorio. Tali masse possono avere origine istologica differente a seconda delle strutture coinvolte. Possono essere di derivazione colon-rettale, cervico-vaginale, prostatica, uretrale, linfoide, neurale, vascolare o ancora originare dal tessuto adiposo. In letteratura sono stati descritti alcuni casi di granulomi da cemento extraosseo intrapelvici come complicazioni di interventi di protesi d’anca sia in umana che in veterinaria. Il PMMA in questi pazienti accede al cavo pelvico tramite difetti della parete mediale acetabolare e porta a formazione di granulomi di varie dimensioni. Il granuloma può così causare lesioni a carico degli organi intrapelvici o a carico delle strutture neurovascolari e deviazioni o compressioni. A livello colon-rettale si riscontrano prevalentemente leiomiomi, leiomiosarcomi e carcinomi mentre fibromi, leiomiomi, leiomiosarcomi, emangiosarcomi coinvolgono spesso la cervice-vagina. A livello prostatico si riscontrano più frequentemente carcinomi, ascessi e cisti paprostatiche; a livello uretrale ci si trova comunemente di fronte a carcinoma transizionali. Metastasi linfonodali di carcinoma delle ghiandole apocrine dei sacchi paranali a carico dei linfonodi iliaci, ipogastrici e sacrali, come anche tumori della guaina mielinica e lipomi possono esitare in grandi masse intrapelviche. Di norma la presenza di una lesione occupante spazio in cavità pelvica comporta la deviazione o la compressione delle strutture anatomiche adiacenti. Ciò spiegherebbe la comparsa di sintomi come dischezia, tenesmo rettale e difficoltà mintoria in questi pazienti. Ematochezia, sanguinamento vaginale o zoppie possono essere ulteriori sintomi riscontrabili. La palpazione rettale si rivela essere di ottimo ausilio nella valutazione preoperatoria in quanto consente di identificare la presenza di strutture più o meno dure in consistenza, liscie o lobulate, dorsalmente o ventralmente al retto e potenzialmente stenosi o deviazioni rettali. Un’indagine radiografica dell’addome caudale generalmente conferma la presenza di tali masse sospettate clinicamente ma spesso non né identifica precisamente l’origine. Scansioni TC ed RM aiutano a riconoscere correttamente

l’organo d’origine e possono pertanto fornire informazioni importanti per la pianificazione chirurgica. TC ed RM rivelano caratteristiche che ci indirizzano verso la scelta corretta del piano terapeutico da perseguire. Tali informazioni riguardano le dimensioni, la consistenza (massa solida o massa cistica), l’omogeneità/disomogeneità, l’aspetto dei margini (regolare o irregolare), la presa di contrasto, la presenza di calcificazioni intralesionali e l’invasività della massa nei tessuti circostanti con coinvolgimento o meno osseo. In uno studio retrospettivo del 2010 si è visto che l’aspetto eterogeneo della massa identificato su scansioni TC con mezzo di contrasto è l’unica caratteristica che può essere associata a comportamento biologico maligno. Tutte le informazioni che ci vengono fornite da una diagnostica avanzata eseguita con TC ed MR ci aiutano nella scelta dell’approccio chirurgico che deve fornire necessariamente un’esposizione adeguata del cavo pelvico. La scelta della tecnica più indicata per il trattamento chirurgico di masse intrapelviche occupanti spazio può essere difficoltosa. Abbiamo a disposizione tecniche che implicano l’apertura del canale pelvico mediante l’incisione o la distrazione dei segmenti ossei del pavimento del bacino quali la sinfisiotomia pubica, l’osteotomia pubica e l’osteotomia ischio-pubica bilaterale. La sinfisiotomia pubica consiste in un’osteotomia sagittale della sinfisi pubica eseguita con sega oscillante. I due margini pubici vengono poi delicatamente e progressivamente distratti mediante l’utilizzo di un divaricatore intercostale di Finocchietto. Questo accesso consente una buona esposizione di tutto il cavo pelvico, ma è necessario porre attenzione a non lesionare le strutture anatomiche direttamente sottostanti la sinfisi, come l’uretra, quando si taglia l’osso. In genere è possible inserire il proprio ditto o uno scollaperiostio non tagliente per separare i tessuti molli intrapelvici dalla base ossea pubica. La cateterizzare del paziente in modo da rendere l’uretra ben riconoscibile può essere un valido aiuto. L’osteotomia pubica, al contrario della sinfisiotomia, consente solamente un accesso limitato alla regione più craniale pelvica e si consiglia di ricorrere a questa tecnica in caso di masse occupanti lo spazio della cavità più anteriore. Ci sono però casi in cui l’esposizione necessaria deve essere maggiore rispetto a quella garantita dalle due tecniche sopra descritte. In questi pazienti è possible ricorrere ad un’osteotomia ischio-pubica bilaterale.

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Di fronte a masse pelviche che coinvolgono colon e retto è necessario ricorrere all’amputazione del segmento intestinale interessato. L’amputazione può essere eseguita mediante enterectomia ed anastomosi successivamente a sinfisiotomia pubica oppure mediante pull-through rettale transanale oppure ancora mediante un approccio addominale caudale combinato a pull-thorugh transanale. Quast’ultima tecnica si sostituirebbe alla sinfisiotomia pubica e può essere utilizzata quando la massa interessa la porzione medio-craniale del retto estendendosi al colon discendente. Infine è importante ricordare la possibilità di ricorrere alla omentalizzazione o alla marsupializzazione di grosse masse cistiche. L’omentalizzazione garantisce un drenaggio continuo di tali masse mediante l’inserimento e fissazione al loro interno di una porzione di omento, che ne reduce così le dimensioni. La marsupializzazione rappresenta una seconda modalità di drenaggio di masse cistiche. Prima di omentalizzare o marsupializzare una massa pelvica cistica chiaramete è necessario comprenderne la natura. La marsupializzazione è una tecnica semplicemente applicabile in quei pazienti che presentano grosse cisti paraprostatiche che raggiungono la regione perineale evidenziandosi come tumefazione laterale all’ano. La gestione di queste lesioni, anche se intrapelviche non richiede un’approccio diretto al cavo pelvico, è infatti possibile intervenire a livello perineale suturando la parete incisa della formazione cistica alla superfice cutanea. La cisti in questo modo viene svuotata dal suo contenuto e gradualmente si reduce di dimensioni fino a scomparire. Come abbiamo visto esistono diversi approcci potenzialmente applicabili nella gestione delle masse pelviche. La preferenza dell’una o dell’altra tecnica si deve in prima istanza basare sul grado di confidenza personale con la metodica. Non si deve però trascurare l’importanza che natura istologica e informazioni riguardanti le caratteristiche della massa forniteci dalle indagini radiologiche più avanzate hanno e devono avere nella nostra scelta.

Veterinary Surgery, 20, 2, 118-121, 1991 Tale approccio richiede una particolare attenzione a non lesionare il n. otturatore che si trova a livello del margine craniale del forame otturatorio ed evidenziato una volta scollati e sollevati i muscoli adduttori. L’osteotomia ischio-pubica bilaterale rappresenta sicuramente un approccio più invasivo rispetto alle altre tecniche; tuttavia si è visto che pazienti sottoposti a questo tipo di intervento sono in grado di deambulare già un paio di giorni dopo la chirurgia con manifestazioni di dolore di diverso grado. La descrizione della sintesi osteotomica viene spesso fatta suggerendo l’utilizzo di filo metallico ortopedico da far passare attraverso dei fori nella base ossea preparati precedentemente all’ostetomia. Il filo metallico garantisce una buona stabilità della sintesi oseea. In realtà, in uno studio del 2008 si è visto che anche l’utilizzo di polidiossanone fornisce ugualmente buoni risultati. Il pube e l’ischio infatti sono segmenti ossei del bacino che di norma non vengono sottoposti a carichi eccessivi di peso durante la deambulazione, non necessitano pertanto della stabilità che in genere viene garantita dall’uso di filo metallico. Tuttavia, non bisogna dimenticare l’influsso che il peso del paziente può avere sulla guarigione. Pertanto, cani di grossa taglia possono sicuramente beneficiare di una fissazione con cerchiaggi metallici, mentre in pazienti di minori dimensioni il polidiossanone può essere sufficiente. Le osteotomie del pavimento del bacino di norma guariscono in 2-3 mesi se adeguatamente stabili. Ritardi nel consolidamento osseo si possono verificare nel caso in cui il paziente non sia stato tenuto sufficientemente a riposo, per almeno 6 settimane. Si è visto inoltre che la compromissione dell’apporto vascolare osseo dovuto allo scollamento delle masse muscolari è causa di ritardo nella guarigione, di comparsa di infezioni e sequestri. È pertanto importante rispettare il più possible i tessuti molli adesi alla base ossea conservando le connessioni muscolari dei segmenti ossei osteotomizzati.

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Indirizzo per la corrispondenza: Daniela Murgia danieladvmmurgia@web.de - daniela.murgia@aht.org.uk

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Dottore, questo alimento è adatto al mio animale? Pier Paolo Mussa Med Vet, Dipl ECVCN, Torino Liviana Prola, Med Vet, Torino

Una domanda che frequentemente i proprietari di animali da affezione si pongono o pongono al veterinario è la seguente: cosa c’è veramente negli alimenti preconfezionati? Essa sottintende ovviamente un altro quesito, anch’esso frequente: detti alimenti sono sicuri ed efficaci? È evidente che una risposta esaustiva e seria non può che basarsi su criteri oggettivi. Le leggi attuali ci forniscono degli strumenti che permettono una prima valutazione, non completa, ma comunque utile. Essa potrà essere integrata da ulteriori informazioni fornite dalle ditte produttrici e da conoscenze scientifiche oggi disponibili. Il primo passo parte dalla lettura dei cartellini annessi alle confezioni. Essi devono riportare, in base alle leggi attuali, i seguenti dati: • denominazione dell’alimento (completo, complementare o destinati a particolari fini nutrizionali). Per «mangimi completi» si intendono i prodotti che, “per la loro composizione, sono sufficienti per una razione giornaliera”, in grado quindi di coprire i fabbisogni nutritivi degli animali cui sono destinati. Viceversa i «mangimi complementari» assolvono questa funzione solo se sono associati ad altri alimenti per animali. Un esempio: una scatoletta o vaschetta a base di soli tonno e riso in genere non è “completa” in quanto manca sicuramente di alcuni minerali e probabilmente di altri nutrienti (vitamine, fibre..). I mangimi destinati a particolari fini nutrizionali o dietetici devono “soddisfare esigenze nutrizionali specifiche di animali il cui processo digestivo, di assorbimento o il cui metabolismo sono o rischiano di essere alterati temporaneamente o in forma irreversibile…”. • specie o categoria animale alla quale l’alimento è destinato (ad esempio: cane in mantenimento, cucciolo, anziano ecc..), • elenco degli ingredienti (in ordine decrescente di quantità); gli ingredienti possono essere dichiarati per categorie (es. cereali, carni e derivati..) oppure per singolo alimento (es. mais, riso, farina di carne di pollo, polpa di bietola, lieviti..). Essi devono essere elencati in ordine decrescente, quindi: al primo posto quello presente in quantità maggiori, all’ultimo quello presente in quantità minore. La conoscenza del valore nutritivo dei singoli ingredienti permette un primo giudizio di merito (es. il riso è più digeribile del frumento e dell’orzo, ma il suo indice glicemico è più elevato; la carne di pollo è più ricca di acidi

grassi essenziali di quella di bovino; i lieviti apportano molte vitamine del gruppo B ecc…), • contenuto in umidità, proteine, grassi, ceneri, fibre; con l’aiuto delle tabelle dei fabbisogni si può avere un orientamento sulla loro copertura e, se necessario, si può calcolare l’apporto energetico del prodotto, indispensabile per procedere ad un corretto razionamento. La dichiarazione del contenuto in umidità non è obbligatoria per i mangimi che ne contengano più del 5% e meno del 14% (in pratica quelli secchi). Il calcolo dell’apporto energetico è semplice: si sommano i valori di cui sopra ed il totale viene sottratto a 100; il risultato è la percentuale di estrattivi inazotati. Essi, assieme alle proteine devono essere moltiplicati per 3,5, mentre la percentuale in grassi sarà moltiplicata per 8,5. La somma dei risultati ottenuti fornirà il contenuto in energia metabolizzabile di 100 gr del prodotto tal quale. • eventuale contenuto in vitamine ed oligoelementi (sono elencati quelli aggiunti al prodotto per compensarne le carenze e le relative quantità); ulteriori informazioni in merito alla eventuale protezione delle vitamine, al tipo di sale utilizzato o alla chelatura dei minerali possono servire ad approfondire le conoscenze sulla loro biodisponibilità e resistenza al deterioramento; • eventuali additivi aggiunti, con la specifica della categoria, del tipo e della quantità. Tra i più frequenti: ANTIOSSIDANTI: evitano il processo di ossidazione nell’alimento. Naturali: vitamina E, vitamina C, acido citrico, olio di rosmarino. Sintetici (da E300 a E322): i più largamente usati (anche nell’alimentazione umana) sono BHT (E321) e BHA (E320), che mantengono fra l’altro la freschezza degli aromi; essi sono soggetti a limitazioni quantitative. COLORANTI (da E100 ad E199): servono più all’occhio del compratore che all’animale. CONSERVANTI (da E200 ad E299): il loro fine è quello di rallentare il deterioramento del cibo causato da batteri, lieviti e muffe. ADDENSANTI: servono ad aumentare la viscosità degli alimenti; ne esistono di naturali (come le carragenine, la gomma di guar, l’agar agar) e artificiali, come i polifosfati (E450 a, b, c oppure E450, E451). EMULSIONANTI: sostanze che rendono possibile la formazione o il mantenimento di una miscela omogenea. Gli

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stabilizzanti servono a mantenere stabile la consistenza del prodotto, trattenendo l’acqua ed evitando che questa favorisca lo sviluppo di microrganismi. ESALTATORI DI SAPIDITÀ: (da E600 a E699). il glutammato monosodico, impiegato anche nei dadi da brodo per esaltare il sapore di carne, è forse quello più conosciuto. AROMATIZZANTI: donano agli alimenti specifici odori e sapori. • modalità di impiego e dosaggi. Le quantità consigliate sono finalizzate a situazioni medie e pertanto possono discostarsi notevolmente dalla realtà e dalle esigenze di singoli individui. L’azione professionale del Veterinario è quindi quella di calcolare le dosi più adeguate ad ogni soggetto. Senza entrare in dettagli eccessivi, possiamo brevemente delineare la procedura operativa da seguire. Prima fase: anamnesi volta ad accertare le condizioni ambientali in cui vive l’animale (spazi, temperatura, ricoveri, presenza di stimoli esterni o di altri animali..), l’indole e l’attività fisica, l’indice di condizione corporea, il peso, le abitudini alimentari, l’età Seconda fase: calcolo del fabbisogno energetico di mantenimento con la seguente equazione: kcal EM = 110 x Peso 0,75 ed eventuale sua correzione in funzione dei parametri di cui sopra. Ad esempio la permanenza al freddo (0 C°) può far aumentare il fabbisogno del 10%, la nevrilità e l’attività fisica lo possono incrementare dal 20% al 50% e più. Dividendo le calorie così calcolate per le calorie apportate da 1 gr di alimento si otterranno i grammi di cibo occorrenti a quel determinato animale. Terza fase: controllo dell’indice di condizione corporea e del peso a distanza di un mese; esso servirà a correggere gli errori insiti nel sistema di cui sopra e ad effettuare gli eventuali aggiustamenti delle quantità di cibo da somministrare Alcuni dati sono facoltativi, ad esempio il contenuto in calcio e fosforo o il contenuto in energia

determinato mangime per un periodo ininterrotto di almeno 6 mesi sia sufficiente a produrre eventuali effetti indesiderati ed a renderli percepibili. La prova viene effettuata su un numero statisticamente significativo di soggetti appartenenti alla categoria cui il mangime è destinato (adulti, cuccioli, femmine allattanti..). Vengono controllati i parametri più cruciali quali l’andamento del peso, i consumi alimentari, lo stato sanitario degli animali (visita veterinaria, esami del sangue...).

COME SI PUÒ ARTICOLARE IL GIUDIZIO L’esame dei dati previsti dalla legge non permette un giudizio esaustivo, ma consente comunque di ottenere delle informazioni utili, a patto che si conoscano l’apporto nutritivo degli ingredienti ed i fabbisogni nutritivi degli animali. Il giudizio è facilitato quando gli ingredienti sono elencati come singole materie prime e quando esiste una integrazione completa di vitamine ed elementi minerali. Le materie prime di origine animale derivano dalla filiera destinata all’alimentazione umana e sono quindi sottoposte a severi controlli sanitari da parte dei Veterinari ispettori e delle autorità competenti. I dati analitici rappresentano una indispensabile piattaforma di giudizio, ma anche quando sono perfettamente allineati ai fabbisogni, non permettono una valutazione definitiva. Per poterla effettuare occorre conoscere il quantitativo di alimento consumato dall’animale (condizionato dal grado di appetibilità, da fattori individuali e dal proprietario), la sua percentuale di utilizzazione digestiva e l’effetto sullo stato di nutrizione e di salute Incrociando le varie informazioni fornite dal cartellino è possibile formulare un primo giudizio, che potrà essere approfondito con l’esame di ulteriori dati forniti dalla ditta produttrice e con il riscontro pratico derivante da un suo corretto utilizzo. A questo proposito si dovrà attuare quanto suggerito sopra in merito alle modalità di impiego ed al dosaggio, sensibilizzando adeguatamente il cliente al rispetto delle norme impartite. Come per tutte le altre attività professionali, anche per questa, la casistica personale consentirà di acquisire una esperienza che permetterà di sveltire le operazioni e di fornire risposte motivate alle frequenti richieste dei proprietari.

COSA NON È OBBLIGATORIO MA POTREBBE SERVIRE Ai fini professionali alcuni dati, di cui la legge non impone la dichiarazione, qualora disponibili, potrebbero essere molto utili per approfondire il giudizio sul prodotto: contenuto in aminoacidi, acidi grassi, vitamine e minerali non integrati; tipo di fibra (solubile, insolubile, dietetica); risultati di prove di digeribilità o di altre prove effettuate. A proposito di queste ultime, la AAFCO (Association American Feed Control Official) ha messo a punto un protocollo che si basa sul presupposto che una alimentazione esclusiva con un

Indirizzo per la corrispondenza: Dipartimento produzioni animali Facoltà di Medicina Veterinaria Università di Torino

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Il cane/gatto ha ostruzione delle alte vie urinarie: la gestione chirurgica dell’emergenza; terapia chirurgica Stefano Nicoli Med Vet, Modena

L’ostruzione delle alte vie urinarie, e in particolare l’ostruzione ureterale, è un evento di difficile diagnosi e trattamento nella clinica del cane e del gatto. L’eziologia vede al primo posto l’urolitiasi seguita dalle ostruzioni iatrogene, congenite e neoplastiche. La diagnosi è complessa in quanto l’ostruzione ureterale non è accompagnata da sintomi specifici. Talvolta asintomatici, i pazienti spesso presentano segni vaghi quali vomito, anoressia, riduzione del peso corporeo, stranguria. Se l’ostruzione determina innalzamento della BUN si può osservare la comparsa di ulcere della mucosa orale. Alla palpazione addominale a volte è possibile apprezzare la presenza di un rene ingrandito rispetto al controlaterale. Nel cane spesso è presente dolore al rene interessato, conseguente ad infiammazione capsulare o a pielonefrite che si associa alle ostruzioni ureterali in un gran numero di pazienti (fino al 77% in un recente studio). Il gatto con pielonefrite può presentare pallore delle mucose e anemia. Gli esami ematobiochimici possono evidenziare iperazotemia, iperfosfatemia, iperpotassiemia, iper o ipocalcemia, trombocitopenia e neutrofilia (nel cane) associata a pielonefrite. La diagnosi si avvale dell’aiuto fondamentale di radiologia ed ecografia. Spesso è possibile evidenziare la presenza di calcoli radio-opachi lungo il decorso ureterale con una semplice radiografia diretta dell’addome. L’esame radiografico ci consente anche di stimare il numero e la posizione degli uroliti, e se la patologia coinvolge solo uno o entrambi gli ureteri. La valutazione ecografica dell’addome consente di documentare la presenza di idronefrosi e idrouretere, di evidenziare la presenza di contenuto dalle caratteristiche anomale all’interno della pelvi (piuria) e di stabilire il punto esatto dell’ostruzione. Consente inoltre di valutare la vascolarizzazione del rene dilatato, la cui completa assenza è un indice prognostico estremamente negativo nei confronti della possibilità di recupero dell’organo. Sicuramente utile la valutazione radiografica con mezzo di contrasto anche se va ricordato che, in caso di ostruzione ureterale completa, l’aumento conseguente della pressione intrapelvica riduce o annulla completamente il passaggio di mezzo di contrasto attraverso il parenchima renale, rendendo vano lo studio. In questi casi è necessario ricorrere ad una tecnica differente: la pielografia anterograda percutanea. Con il paziente in sedazione viene inserito, sotto controllo ecografico, un ago all’interno della pelvi renale. Attraverso l’ago viene prelevato il materiale presente, che potrà essere in

seguito analizzato, quindi viene iniettato mezzo di contrasto in misura uguale al 50% del volume di urina precedentemente prelevato. Vengono scattate immagini immediatamente e dopo 5 e 15 minuti. Se possibile, l’utilizzo della fluoroscopia consente di visualizzare in tempo reale il flusso di urina e il punto in cui l’uretere è ostruito. Purtroppo a segni clinici così vaghi si associa la necessità di intervenire a risolvere l’ostruzione quanto prima. L’aumento di pressione intrapelvico causato dall’evento ostruttivo porta ad una riduzione immediata del GFR (glomerular filtration rate) ossia della funzionalità renale. Se l’ostruzione è solo transitoria, una volta risolta il GFR può tornare alla normalità, ma in caso di ostruzione permanente l’incidenza sulla funzionalità del rene coinvolto assume connotazioni drammatiche. Secondo alcuni autori un ostruzione completa di una settimana determina la diminuzione permanente del GFR pari al 35%; se l’ostruzione rimane per 14 giorni il GFR diminuisce del 54%. Questo può indicarci l’effettivo carattere di urgenza nel trattamento di queste patologie. Per trattamento non si intende la gestione squistamente chirurgica o comunque non solo quella; la necessità prioritaria è quella di ridurre la pressione all’interno della pelvi renale e di farlo il prima possible. Questo spesso si scontra con le condizioni metaboliche dei soggetti colpiti che sconsigliano decisamente di sottoporre questi paziente ad anestesie prolungate e a sedute chirurgiche. Inoltre, per la gestione chirurgica corretta delle patologie ureterali, è necessario utilizzare strumentari, quali mezzi di ingrandimento, ferri da microchirurgia, fili di diametro adeguato (8-0; 9-0) che spesso non sono a disposizione. Il trattamento medico va iniziato immediatamente dopo aver fatto diagnosi ed è volto a portare il paziente nelle migliori condizioni al fine di subire un intervento chirurgico. La fluidoterapia dovrebbe iniziare con approccio aggressivo tenendo in costante controllo il peso corporeo, la concentrazione degli elettroliti e la pressione venosa centrale, questo per evitare il sovraccarico di fluidi. Il fluido di scelta di partenza dovrebbe essere soluzione fisiologica allo 0.9% o meglio se 0.45%; in pazienti che lo consentono (assenza di patologie cardiache) si possono associare diuretici osmotici. Questo migliora le condizioni del paziente ma non risolve l’ipertensione all’interno della pelvi. I cateteri da nefrostomia possono essere utilizzati a questo scopo. Questi cateteri (detti anche pig-tail) sono caratterizzati dall’avere al loro estremo una sorta di ricciolo che

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una volta inseriti li mentiene in posizione e dalla possibilità di essere posizionati per via transcutanea sotto controllo ecografico. Una volta in sede questi drenano l’urina direttamente dalla pelvi e la veicolano all’esterno, risolvendo immediatamente l’ipertensione pelvica e permettendo la corretta funzionalità al rene coinvolto. Una volta inseriti e mantenuti in sede dal pig tail, devono essere fissati alla cute e connessi ad un sistema di raccolta chiuso per evitare l’insorgenza di infezioni ascendenti. Questa tecnica ci regala tempo, prezioso per preparare adeguatamente il paziente senza rischiare di perdere funzionalità renale. La chirurgia ureterale è una manualità molto complessa a causa delle dimensioni delle strutture da trattare – basti pensare che le dimensioni medie del lume ureterale di un gatto adulto sono di 1,2 mm – e richiede l’utilizzo di tecniche e strumenti tipici della microchirurgia. Necessitano mezzi di magnificazione, e se per approcciare l’uretere di cani di medie o grandi dimensioni è sufficiente l’uso di loupe con ingrandimento 4X, per lavorare su ureteri di gatti e cani di piccola taglia è necessario il microscopio operatorio. Le tecniche variano in relazione alla causa ostruttiva, si va dall’ureterotomia per l’asportazione di un ureterolita all’anastomosi termino-terminale quando si renda necessaria l’asportazione di un tratto di uretere, fino al reimpianto in vescica quando l’ostruzione interessa il terzo distale dell’uretere. Talvolta non è necessario agire direttamente sull’uretere ma è sufficiente “sbrigliarlo” e liberarlo dallo spazio retroperitoneale. È il caso di quelle forme, molto ben descritte in umana ma non altrettanto in veterinaria, che vanno sotto il nome di Fibrosi Retroperitoneale. L’eziologia poco chiara – in umana si parla di fibrosi retroperitoneale idiopatica – determina infiammazione cronica dello spazio retroperitoneale con formazione di lacerti di fibrina che possono intrap-

polare l’uretere e causarne inginocchiamento ed occlusione. In questi pazienti la chirurgia consiste nel liberare tutto l’uretere dai legami che lo costringono, al fine di ripristinarne la pervietà. La chirurgia ureterale è inoltre caratterizzata dalle molte complicanze, in alcuni report si arriva al 50% di pazienti con necessità di reintervento. Le complicanze vanno dalla formazione di edema localizzato nel sito di chirurgia, alla riostruzione per recidiva di litiasi, fino alla formazione di urinoma per la mancata impermeabilità della sutura o alla stenosi nel punto in cui è stata eseguita l’ureterotomia. La maggior parte di queste complicanze avvengono nell’immediato periodo post operatorio ed è per questa ragione che questi soggetti devono rimanere ricoverati e sotto attenta osservazione per un tempo che va dalle 48 alle 72 ore. In tempi recenti è stata introdotta, nel trattamento delle patologie ureterali, una tecnica da lungo tempo nota ed utilizzata in urologia umana: lo Stenting Ureterale. Lo stent utreterale è un catetere di materiale biocompatibile che viene posizionato all’interno del lume ureterale e mantenuto in posizione da due riccioli – da cui il nome “doppio pig-tail” o “doppio j” – utilizzato come adiuvante al fine di prevenire e limitare le complicanze. È stata descritto il posizionamento per via chirurgica, per via percutanea sotto controllo fluoroscopico e per via cistoscopica e sembra che il suo uso riduca di fatto l’incidenza delle complicanze anche se necessitano ulteriori studi al fine di definirne limiti e possibilità d’utilizzo.

Indirizzo per la corrispondenza: Stefano Nicoli E-mail: sn-cvp@libero.it stefano.nicoli@unito.it

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Trattamento chirurgico di tumori renali e ureterali Stefano Nicoli Med Vet, Modena

I tumori renali primari sono rari nel cane e nel gatto e per la maggior parte sono maligni e di origine epiteliale. Il tipo maggiormente descritto nel cane è il carcinoma tubulare, seguito da carcinoma a cellule di transizione, carcinoma e sarcoma anaplastico, fibroma, emangiosarcoma, linfoma e nefroblastoma. Nel gatto il tumore più comunemente descritto è il linfoma renale. Colpiscono per lo più animali anziani senza particolare predisposizione di razza o sesso. I segni clinici sono spesso aspecifici: vomito, anoressia e letargia. L’ematuria non è un segno costante ed è presente solo quando la neoplasia colpisce anche la pelvi. La diagnosi si basa su metodiche strumentali quali ecografia, che permette di evidenziare alterazione morfologica del parenchima renale; radiologia con contrasto e TC diretta e con contrasto che consente di valutare la diffusione della neoplasia nonché di procedere ad una stadiazione precisa. Il trattamento è sostanzialmente chirurgico e si basa sulla asportazione in toto di rene e uretere corrispondente (nefroureterectomia). Il trattamento chirurgico deve essere eseguito seguendo con attenzione le regole della chirurgia oncologica. In corso di nefrectomia queste possono causare sostanziale modifica della tecnica convenzionale. I vasi devono essere isolati ed allacciati precocemente (le vene prima delle arterie) toccando il meno possibile la neoplasia (quindi il rene). L’isolamento e l’allacciatura dei vasi renali deve perciò avvenire mediante approccio ventrale, spesso più complesso rispetto al classico approccio “retroperitoneale” che richiede il ribaltamento dell’organo sul piano mediano. Va ricordata la necessità di eseguire una doppia legatura sulla arteria renale al fine di scongiurare il pericolo di emorragie tardive. Le due legature devono essere eseguite una con tecnica classica (quella più vicino all’aorta, l’altra con tecnica transfissa “ad 8”. Durante l’exeresi il rene deve essere mantenuto il più possibile isolato dagli altri organi addominali per evitare disseminazione di cellule neoplastiche. L’isolamento avviene mediante garze laparotomiche inumidite. A volte la neoplasia può superare la capsula renale e causare invasione locale sulla muscolatura addominale o sull’omento. In quel caso tutto il tessuto coinvolto deve essere asportato con il rene. Anche l’uretere deve essere seguito fino al suo ingresso in vescica, legato e scontinuato nel punto di ingresso ed asportato con il rene. Al termine della chirurgia si osserva il teatro chirurgico alla ricerca di eventuali piccole emorragie. L’utilizzo del lavaggio addominale è controverso in quanto,

secondo alcuni autori, questo sarebbe deleterio poiché potrebbe disseminare cellule esfoliate. In caso di tumori rotti, al contrario, il lavaggio deve essere lungo ed accurato. Dal punto di vista linfatico il rene drena nei linfonodi lombo-aortici che devono essere controllati ed asportati se aumentati di volume. In alcuni pazienti l’evento patogeno colpisce l’unico rene funzionante. Questi pazienti ovviamente non possono essere sottoposti a nefrectomia totale. In alcuni selezionatissimi casi si può ricorrere a nefrectomia parziale anche su un organo colpito da neoplasia. Se la neoplasia è di piccole dimensioni e colpisce un tratto di parenchima facilmente isolabile (i poli renali) si può asportare solo la porzione interessata, con adeguato margine. La tecnica consiste nell’isolare la porzione da asportare dal resto dell’organo mediante una serie di punti trapassanti coinvolgenti l’intero spessore del rene in modo da ridurre drasticamente la perdita ematica dalla superficie di taglio. L’exeresi avviene con l’utilizzo del bisturi asportando anche una porzione di tessuto normale. Le piccole perdite ematiche residue vengono controllate con legature o mediante elettrocauterio. Nel caso in cui la linea di taglio abbia coinvolto la pelvi questa deve essere ricostruita al fine di ripristinarne l’impermeabilità con materiale di sutura monofilamento assorbibile di piccolo diametro. Al termine la superficie di taglio viene protetta con la capsula renale, se non coinvolta dalla patologia, o con l’omento. Nonostante questa tecnica non segua in nessun modo le regole della chirurgia neoplastica, può essere presa in considerazione con finalità palliative, in quanto consente di asportare comunque la neoplasia seppur con margine inadeguato e di bloccare l’ematuria eventualmente presente, in pazienti che non possono essere sottoposti ad asportazione dell’organo in toto. La prognosi in questi soggetti è riservata in quanto il potenziale metastatico è elevato (solitamente metastasi polmonari). Diverse fonti segnalano come sopravvivenza media di 16 mesi in caso di carcinoma, 9 mesi in caso di sarcoma e 6 mesi in caso di nefroblastoma. La percentuale di metastasi polmonari presenti al momento della diagnosi è del 16% mentre sale al 77% al momento del decesso. Il linfoma del gatto non è trattato chirurgicamente ma mediante chemioterapia. Le forme neoplastiche primarie che colpiscono l’uretere sono estremamente rare nel cane e nel gatto. Sono state descritte forme benigne quali leiomioma e polipi e forme maligne ma la totalità dei casi in letteratura non supera il

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numero di venti. Più frequenti sono coinvolgimenti ureterali da neoplasie a carico di organi attigui (es trigono) o dello spazio retroperitoneale. In tutti i casi le forme neoplastiche che colpiscono direttamente o indirettamente l’uretere esitano in ostruzione ureterale subtotale o totale. Analogamente a quanto descritto riguardo al rene, il coinvolgimento di un uretere in una patologia neoplastica avviene con sintomatologia clinica poco rilevante. La sintomatologia diventa, al contrario, molto evidente se vengono coinvolti entrambi gli ureteri, come spesso avviene in caso di neoplasia diffusa dello spazio retroperitoneale. I gatti con ostruzione ureterale vengono presentati con segni vaghi quali anoressia, vomito, diminuzione dell’appetito e calo ponderale. Poliuria, polidipsia e ulcerazioni orali compaiono in pazienti azotemici. I cani con ostruzione ureterale vengono presentati con segni di disuria (incontinenza, stranguria, ematuria, poliuria, pollacchiuria) e segni di debolezza sistemica (vomito, inappetenza, depressione, letargia). La diagnosi di ostruzione ureterale neoplastica si basa sulle indagini strumentali. L’ecografia e la radiologia, in particolare gli studi contrastografici, consentono di evidenziare ostruzioni ureterali di diverso grado e di pianificare l’intervento terapeutico più corretto. La terapia deve mirare a ripristinare per quanto possibile la funzionalità dell’apparato escretore. Questo talvolta non è possibile a causa di neoplasie che coinvolgono rene e uretere e in tal caso ciò che rimane da fare è la nefroureterectomia. Nei casi che lo consentono possono essere utilizzate tecniche maggiormente conservative, quali asportazione e reimpianto ureterale se la lesione coinvolge il terzo distale dell’uretere oppure asportazione della neoplasia e anastomosi termino-terminale. Recentemente è stato descritto l’utilizzo anche nel cane e nel gatto di stent ureterali che consento-

no il passaggio di urina anche in presenza di condizioni ostruttive. Questi presidi sono utilizzati da molti anni in urologia per il trattamento palliativo di neoplasie ureterali, molto più frequenti in patologia umana. Si tratta di cateteri di materiale plastico biocompatibile caratterizzati dall’avere le estremità arricciate a “coda di maiale” da cui il nome “doppio pig tail”. L’evoluzione in merito al materiale e alle dimensioni sempre più ridotte – sono oggi in commercio stent del diametro di 2,5 french, quindi 0,6 mm circa – consentono il loro utilizzo anche nei nostri pazienti. Vengono posizionati all’interno del lume ureterale, bypassando l’ostruzione, con le due estremità posizionate all’interno dell apelvi renale e della vescica rispettivamente. I due riccioli mantengono lo stent nella posizione corretta consentendogli di svolgere l’azione palliativa di veicolo di urina e di mantenerla nel tempo. L’urina viene veicolata in misura minore per via diretta attraverso il lume ureterale e per la maggior parte per capillarità lungo la parete dello stent. Molto di recente è stato descritto il loro utilizzo come palliativi nelle neoplasie del trigono in 12 cani. (Berent A. et al: JAVMA, vol 238, No 8, April 15, 2011). Altri studi preliminari mostrano quanto l’utilizzo degli stent ureterali sembri essere molto efficace nel trattamento delle patologie che colpiscono questo distretto nel cane e nel gatto. Per questo motivo ulteriori studi sono necessari al fine di comprendere appieno le potenzialità e i limiti di questa tecnica tecnica.

Indirizzo per la corrispondenza: Stefano Nicoli E-mail: sn-cvp@libero.it stefano.nicoli@unito.it

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Vaccini per la leishmaniosi canina Gaetano Oliva Med vet, Dr Ric, Napoli

Le possibili strategie per il controllo della LCan sono inquadrabili in tre punti ritenuti fondamentali: a) lotta agli insetti vettori e prevenzione dalla puntura; b) vaccinazione degli cani sani; c) eliminazione degli cani infetti/ ammalati. Nonostante le terapie anti-Leishmania non consentano la guarigione parassitologica dei cani infetti, l’eliminazione degli stessi appare una soluzione non proponibile per motivi etici ed in virtùdel ruolo sociale del cane nei paesi occidentali. Deve essere comunque sottolineato che nei paesi nei quali tale strategia è stata applicata, i risultati sulla diminuzione dell’incidenza della malattia nell’uomo sono apparsi contraddittori e non giustificativi dell’adozione di tale metodo. La prevenzione dalla puntura dei flebotomi vettori è una profilassi che dovrebbe essere sempre applicata, indipendentemente dall’uso di farmaci o vaccini che non possono mai essere considerati risolutivi del problema in assoluto.

gere individui sani inoculando loro materiale proveniente da ulcere di persone infette. Questa metodica di uso comune in molte popolazioni euroasiatiche (leishmanizzazione), è stata migliorata ottenendo preparazioni di parassiti ottenuti in coltura ed uccisi con diversi metodi. Altre varianti prevedono l’utilizzazione di lisati parassitari autoclavati. Tali vaccini sono stati utilizzati sia con adiuvanti (BCG) che senza, ed anche a scopo terapeutico, da soli o in combinazione con antimoniali. L’efficacia profilattica consiste esclusivamente, e non in tutti gli individui, in una attenuazione nello sviluppo di forme cutanee particolarmente aggressive e deturpanti. In questa categoria, pertanto, sono compresi pressoché esclusivamente vaccini testati per la protezione delle forme cutanee e mucocutanee umane antroponotiche e zoonotiche, sia nel vecchio (L. tropica e L. major) che nel nuovo mondo (complesso L. mexicana).

VACCINI STUDIATI PER LA LEISHMANIOSI CANINA

VACCINI DI 2ª GENERAZIONE Vaccini vivi modificati

La classificazione attualmente accettata per i vaccini contro le leishmaniosi divide tali presidi secondo lo schema riportato nella tabella acclusa, che tiene conto sia dell’andamento cronologico delle sperimentazioni sia delle caratteristiche biologiche dei vaccini stessi.

Questa categoria di vaccini prevede l’uso di parassiti vivi modificati geneticamente (Leishmania spp. “knock out”) in modo da perdere alcuni geni essenziali alla loro replicazione e persistenza e causare infezioni abortive, autolimitanti, che comunque stimolano la risposta immunitaria. Una variante è rappresentata dall’uso di “leishmanie suicide”, parassiti nel cui genoma vengono inserite sequenze geniche esprimenti sensibilità ai farmaci o che promuovono l’apoptosi. L’uso di questi vaccini, relativamente promettente in alcuni trial preliminari, è ad oggi non accettato per motivi etici.

VACCINI DI 1ª GENERAZIONE Il concetto di vaccinazione per la leishmaniosi dell’uomo è relativamente “antico” e deriva dalla possibilità di proteg-

Classificazione dei vaccini anti-Leishmania Vaccini di 1ª generazione

Vaccini di 2ª generazione

Vaccini di 3ª generazione

Parassiti uccisi

Vaccini vivi modificati

Vaccini a DNA

Lisati di parassiti autoclavati (AL)

Vaccini che usano batteri o virus ricombinanti come carriers di antigeni

Vaccini basati su antigeni della saliva dei flebotomi

Mix di parassiti vivi ed uccisi

Antigeni purificati di Leishmania

Vaccini sintetici

Antigeni ricombinanti

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Quando addizionato con una doppia dose di adiuvante, il vaccino mostra notevoli proprietà immunoterapeutiche. Recenti lavori, infine, hanno dimostrato come l’elevata efficacia del vaccino sia ascrivibile anche all’adiuvante utilizzato, capace di evocare una risposta Th1 nel sito d’inoculazione, in seguito all’evento infiammatorio provocato (bradichinino-dipendente). Il secondo antigene di notevole interesse è il LiESAp, prodotto di escrezione/secrezione ottenuto da colture di Leishmania infantum, composto da proteine di circa 54 kd. Questo prodotto, addizionato con MDP (Muramyl Dipeptide) come adiuvante è stato testato in Fase III in due distinti studi, dei quali uno preliminare (6 cani) ed uno sicuramente più ampio (404 cani arruolati nel Sud della Francia). I risultati dello studio, senza dubbio incoraggianti (VE 92%) risentono in maniera fortemente negativa della scarsissima incidenza registrata nei due anni di follow up che non consente di trarre conclusioni definitive sulla reale efficacia del vaccino. Recentissimamente è stato registrato un vaccino in Europa (CaniLeish®), la cui composizione antigenica è simile a quello utilizzato nello studio prima citato e che senza dubbio offre nuove ed interessanti prospettive. I dati che hanno consentito la registrazione del vaccino saranno disponibili nei prossimi mesi.

Vaccini che utilizzano batteri o virus geneticamente modificati come veicoli In questa categoria ricadono i vaccini basati sull’uso di batteri e virus vivi modificati, capaci di esprimere antigeni parassitari ad elevato potere immunogeno nell’organismo ospite. Allo stesso modo, i vaccini basati su tali sistemi traggono vantaggio dalla stimolazione del sistema immune da parte degli stessi microrganismi usati come carrier. Gli antigeni più frequentemente espressi da batteri (mutanti di Salmonella typhimurium, BCG) sono GP63 (L. major)29, LCR1 (L. chagasi) e KMP-11 (antigene del kinetoplasto). Tra gli antigeni espressi da virus (Vaccinia virus) sono G46/M2/PSA-2 (proteina di superficie dei promastigoti) e, soprattutto, un antigene di Leishmania spp. che è stato utilizzato in numerosi trial sperimentali ed in diverse formulazioni vaccinali: antigene LACK (analogo parassitario del recettore per la kinasi dei mammiferi). L’antigene LACK, espresso da Vaccinia virus ha dimostrato di possedere un’attività protettiva nel cane nei confronti dell’infezione da L. infantum. Tale risultato, ottenuto in 16 beagle infettati sperimentalmente è correlato all’assenza di sviluppo di segni clinici, a bassi titoli anticorpali e all’attivazione di una risposta immunitaria di tipo Th1.

Antigeni ricombinanti Vaccini basati su antigeni purificati di Leishmania

La possibilità di sintetizzare proteine ricombinanti da utilizzare come singoli elementi o in combinazione (poliproteine; proteine chimeriche), associati ad adiuvanti o veicolati da batteri, ha dato luogo ad una vasta letteratura basata su prove sperimentali eseguite su modello murino. Nonostante i risultati incoraggianti ottenuti in Fase III e nonostante la selezione sia avvenuta pressoché da tutte le specie di Leishmania, nessuno dei prodotti utilizzati ha superato la Fase II ad eccezione di una proteina chimerica (Leish-111f) formata dall’unione di tre antigeni di Leishmania (TSA; LmSTI1; LeIF) che è stata provata in Fase III nel cane. Lo studio, condotto in Italia su 45 cani seguiti per tre anni e riceventi tre dosi di vaccino/anno per i primi due anni, prevedeva l’uso della proteina chimerica in associazione ad adiuvante (Adjuprime). Nonostante le buone evidenze ottenute in precedenti studi in laboratorio, l’efficacia protettiva del vaccino in condizioni naturali è risultata pressoché nulla.

Numerose proteine e lipofosfoglicani dotati di potere immunogenetica sono stati selezionati da diverse specie di Leishmania per uso vaccinale. A questa categoria appartengono due antigeni che sono state sperimentati con risultati molto favorevoli nel cane (Fase III). Il primo è conosciuto come FML (Fucose-Mannose-Ligand), una frazione glicoproteica che arricchita con un saponine (Quillaja saponaria (QS)21; aldeide contenente saponine deacilate di QS) come adiuvante, è stato il primo vaccino registrato per la leishmaniosi canina (Leishmune®) e commercializzato attualmente in Brasile. Numerosi lavori, a cominciare dal 2002, hanno dimostrato l’efficacia protettiva del vaccino in studi di Fase III, variabile tra 92 e il 95%. Secondo gli Autori, l’efficacia del vaccino è soprattutto diretta nell’evitare severe forme cliniche, anche se esistono altri studi volti a dimostrare l’efficacia del vaccino nel rendere “non infettanti” i cani vaccinati. Alcuni dati recentemente pubblicati, infatti, dimostrerebbero la capacità di Leishmune® di agire come un “transmission blocking vaccine”, in virtù dell’aumento dei linfociti CD4 e CD21 e dei tassi anticorpali IgG2 nel sangue periferico dei cani vaccinati. Esperimenti eseguiti sia in vitro che in vivo sui flebotomi che eseguivano il pasto di sangue da cani vaccinati, hanno dimostratoun’inibizione di circa l’80% nella capacità dei promastigoti di legarsi all’intestino degli stessi insetti.

VACCINI DI 3ª GENERAZIONE Vaccini a DNA Senza dubbio la tecnologia del cDNA (DNA complementare) veicolato da vettori (plasmidi) rappresenta un’innovazione nel campo dei vaccini. Il cDNA veicolato nelle

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cellule dei mammiferi stimola potentemente la risposta immune. Questi prodotti sono solitamente molto stabili, altamente riproducibili ed hanno un relativo basso costo di produzione. Allo stato attuale, nessun prodotto è stato testato oltre le Fasi III, anche se moltissimi vaccini hanno mostrato in laboratorio risultati molto promettenti, alcuni dei quali anche nel cane. Gli antigeni più studiati sono di solito quelli già ottenuti con la tecnica del DNA ricombinante di cui al capitolo precedente; di questi, alcuni sono stati selezionati come potenziali candidati per la vaccinazione nel cane. In particolare possono essere ricordati gli antigeni LACK, Cpa+CPb, KMP11, NH36 e FML.

Vaccini basati su antigeni della “saliva” dei flebotomi e vaccini sintetici Esistono ormai sufficienti dimostrazioni scientifiche che assegnano ad alcune componenti della “saliva” dei flebotomi proprietà immunomodulanti, quasi sempre di tipo favorente l’attecchimento del parassita. In base a ciò, sono stati realizzati vaccini anti- MAXADILAN e anti-SP15 (due antigeni “salivari”) che hanno dimostrato una discreta efficacia nel topo in seguito ad infezione sperimentale. La costituzione dei futuri vaccini anti-Leishmania, probabilmente, terrà conto anche di queste nuove teorie, senza dubbio molto affascinanti.

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Approccio clinico alle sindromi vestibolari del coniglio da compagnia Valentina Papa Med Vet, Dott Ric, Roma

I disturbi del sistema vestibolare sono relativamente frequenti nel coniglio. La conoscenza dell’anatomia funzionale e della fisiologia è molto importante per l’interpretazione corretta dei segni clinici e per la localizzazione della lesione. Le sindromi vestibolari sono caratterizzate da alterazione della postura della testa, atassia asimmetrica, nistagmo e/o strabismo. Il sistema vestibolare è costituito da una componente periferica, situata nell’orecchio interno, e una centrale, a livello del tronco encefalico. Questo apparato è responsabile dell’equilibrio, della postura e del normale orientamento del corpo in funzione della forza di gravità. Nell’orecchio interno si trovano i recettori delle creste ampollari (nei canali semicircolari) e quelli delle macule (nel sacculo e nell’utricolo) che rispondono rispettivamente ai movimenti rotatori e alle accelerazioni e decelerazioni lineari. La stimolazione di questi recettori genera un potenziale d’azione nelle fibre afferenti del nervo vestibolo-cocleare (VIII nervo cranico) che, passando attraverso il meato acustico interno, raggiunge il tronco encefalico. Molte di queste fibre si distribuiscono a livello dei nuclei vestibolari nel tronco encefalico, e da qui si portano ai motoneuroni inferiori dei muscoli del collo e degli arti, a livello dei nuclei del III, IV e VI nervo cranico, che innervano i muscoli extraoculari, e alla formazione reticolare. Altre fibre afferenti invece si portano direttamente al cervelletto tramite i peduncoli cerebellari caudali. I segni clinici di una disfunzione del sistema vestibolare periferico sono determinati da patologie a carico dell’orecchio interno o del nervo vestibolo-cocleare. I riscontri clinici comprendono testa ruotata, atassia, riposizionamento propriocettivo normale, nistagmo orizzontale e/o rotatorio, strabismo ed eventuale paralisi del nervo facciale, che decorre sulla superficie esterna della bolla timpanica. Le diagnosi differenziali includono principalmente patologie infiammatorie-infettive (otite media e/o interna), patologie traumatiche a carico delle bolle timpaniche, patologie tossiche (farmaci ototossici) o neoplastiche. Le disfunzioni del sistema vestibolare centrale, che riflettono il coinvolgimento dei nuclei vestibolari nel tronco encefalico, includono depressione del sensorio, testa ruotata, atassia, tetraparesi, deficit della propriocezione, strabismo, eventuale coinvolgimento di altri nervi cranici (soprattutto il nervo trigemino) o del cervelletto. Frequentemente si riscon-

tra nistagmo verticale o un nistagmo caratterizzato dal variare del movimento dei bulbi oculari al variare della posizione della testa. Le principali diagnosi differenziali in caso di sindrome vestibolare centrale includono patologie infiammatorie-infettive (Encephalitozoon cuniculi, Listeria monocitogenes, Toxoplasma gondii), traumatiche, tossiche (avvelenamento da piombo) e neoplastiche. L’approccio diagnostico alle sindromi vestibolari è strettamente correlato alla localizzazione neuroanatomica della lesione. L’otoscopia permette di visualizzare il canale auricolare e la membrana timpanica, valutandone integrità e trasparenza. In alcune razze, come nel coniglio ariete, l’esame ispettivo può risultare difficoltoso a causa delle caratteristiche anatomiche dell’orecchio esterno. Inoltre, in caso di otite esterna, la presenza di cerume e/o di essudato purulento, o la stenosi del condotto auricolare causata dalla l’iperplasia dei tessuti circostanti possono impedire la visualizzazione della membrana timpanica. In caso di otite esterna o di perforazione della membrana timpanica è possibile prelevare materiale da destinare all’esame citologico, batteriologico e colturale. Le radiografie del cranio devono essere effettuate in anestesia generale con l’animale posizionato correttamente. Lo studio deve includere radiogrammi in proiezioni dorso-ventrale o ventro-dorsale, obliqua di 40° destra e sinistra, rostro 40° ventro-caudodorsale. Queste proiezioni permettono di valutare forma, dimensioni e radiopacità delle bolle timpaniche senza la sovrapposizione di altre strutture ossee. Poiché l’esame radiografico non è una tecnica sufficientemente sensibile per la diagnosi delle patologie dell’orecchio medio e interno, l’esame di elezione è rappresentato dalla scansione tomografica (TC) del cranio. La TC consente di ottenere immagini di sezioni trasverse (assiali) del corpo, ottenute con l’uso di raggi X mediante elaborazione del computer. Questa tecnica, eseguita sul paziente sottoposto ad anestesia generale, permette una rapida acquisizione delle immagini, evita la sovrapposizione di strutture anatomiche e fornisce una migliore immagine dei tessuti molli rispetto alla radiologia tradizionale. In caso di otiti medie e/o interne questa tecnica di diagnostica per immagini permette di individuare ispessimenti e irregolarità della bolla timpanica, presenza di materiale iperdenso nella bolla e sclerosi dell’osso petroso. Utilizzando una modalità specifica per i tessuti molli e somministrando del mezzo di contrasto iodato la TC può fornire infor-

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mazioni sulle patologie a carico dei tessuti molli. A causa dello spessore dell’osso temporale, che determina artefatti nell’acquisizione delle immagini, la TC mostra dei limiti nella esplorazione della fossa posteriore dell’encefalo, dove è localizzato il tronco encefalico. Per lo studio dei tessuti molli è preferibile utilizzare la risonanza magnetica (RM) che permette di valutare il cranio nei tre piani dello spazio e fornisce informazioni sia sul parenchima cerebrale che sul contenuto della bolla timpanica. La TC e la RM idealmente risultano complementari nello studio delle patologie vestibolari nel coniglio. Tuttavia la necessità di sottoporre l’animale ad anestesia generale, il costo della diagnostica per immagini avanzata e la limitata disponibilità delle attrezzature necessarie spesso rendono l’iter diagnostico non completo. L’esame del liquido cefalorachidiano è utile soprattutto nella valutazione delle patologie infiammatorie e infettive del sistema nervoso intracranico. Il prelievo viene effettuato in anestesia generale posizionando un ago spinale nello spazio subaracnoideo a livello della cisterna magna. Il liquor normale dei conigli contiene un quantitativo di cellule inferiore a 7 cellule/μl e proteine inferiori a 0,6 gr/l. Nei soggetti con sindrome vestibolare centrale e positività sierologica per E. cuniculi è stato evidenziato un modico aumento del contenuto proteico e della conta cellulare, oppure conta cellulare nella norma con aumento della concentrazione proteica (dissociazione albuminocitologica). La terapia medica in caso di sindrome vestibolare periferica causata da otite media e/o interna prevede la somministrazione di antibiotici sulla base del risultato dell’esame batteriologico e dell’antibiogramma. In mancanza di tali riscontri è stata proposta una terapia prolungata (4 settimane o più) con cloramfenicolo (30-50 mg/kg SC, PO q12h), enrofloxacin (5 mg/kg PO q12h) o trimetoprim-sulfadiazina. Se la membrana timpanica è perforata, può essere utile la somministrazione otologica di enrofloxacin 5% e sulfadiazina argentica all’1%, mentre va evitata l’istillazione di sostanze potenzialmente ototossiche come clorexidina o iodopovidone anche se in soluzione diluita. La terapia antibiotica può eventualmente essere associata alla somministrazione di meclizina, una piperazina antistaminica con azione anticolinergica centrale che sembra agire sulla zona chemorecettoriale, sebbene non esistano studi scientifici della reale utilità di tale farmaco nel coniglio.

La terapia chirurgica è destinata solo ad alcuni casi selezionati di soggetti affetti da sindrome vestibolare periferica e prevede l’osteotomia della bolla timpanica tramite approccio ventrale o laterale, valutando attentamente le possibili complicazioni che comprendono paralisi del nervo facciale, formazioni di fistole e disfunzione del nervo ipoglosso. La conoscenza dell’anatomia funzionale del sistema vestibolare e un accurato esame neurologico sono essenziali per l’interpretazione dei segni clinici, per la corretta localizzazione neuroanatomica della lesione, per stilare le diagnosi differenziali, per stabilire un iter diagnostico corretto, per una accurata interpretazione della diagnostica per immagini e per un approccio medico e/o chirurgico.

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Indirizzo per la corrispondenza: Valentina Papa Clinica delle emergenze veterinarie (CEV) Viale Etiopia 16, Roma E-mail: valentina_papa @ hotmail.it

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Gestione farmacologica e non del dolore cronico del cane e suoi riflessi sulla qualità della vita Anna Pasquini Med Vet, Dr Ric, SPCAA, San Piero a Grado (PI)

Giovanni Cardini Professore Ordinario di Clinica Medica, San Piero a Grado (PI)

Un notevole interesse scientifico ed un numero crescente di pubblicazioni si sono occupati negli ultimi anni della gestione del dolore, ed in particolare del dolore cronico, nel cane.1,2 Il dolore cronico infatti non rappresenta solo un’estensione temporale del dolore acuto, ma assume caratteristiche qualitative completamente diverse che necessitano un approccio professionale mirato. Esso non può essere considerato un sintomo ma una malattia che rende il cane inabile fisicamente ed emotivamente, provoca cambiamenti del comportamento, riduce sensibilmente la qualità della sua vita ed inoltre incide fortemente sul proprietario. 2,3,4,5 Vengono di seguito riportati e brevemente discussi i risultati di uno Studio Osservazionale, da poco concluso, che si è svolto in Italia con lo scopo di raccogliere, con il contributo dei veterinari e dei proprietari, informazioni sulle modalità del riconoscimento del dolore, sulla gestione farmacologica e sui suoi riflessi sulla qualità di vita dell’animale. Un precedente studio epidemiologico sull’attitudine dei medici veterinari italiani alla gestione del dolore negli animali da compagnia aveva messo in evidenza un forte interesse da parte dei veterinari alla gestione e trattamento del dolore pur riconoscendo la necessità di acquisire informazioni supplementari su questo argomento. 6 Nell’indagine, sono stati inclusi cani affetti da osteoartrite (OA), una tra le più comuni cause di dolore cronico nel cane, interessando oltre il 20% dei cani adulti; in questo caso un efficace controllo della sintomatologia dolorosa equivale a garantire un ottimo livello di qualità di vita. 5,7,8,9 Per poter controllare efficacemente il dolore cronico nel cane è necessario in primo luogo individuare la sua presenza e riconoscerne il più precisamente possibile l’entità. In questo studio è stato utilizzato un questionario “Canine Brief Pain Inventory” (CBPI), messo a punto nel 2007, per misurare, con il coinvolgimento del proprietario, il grado di dolore cronico nei cani con OA. Il CBPI è stato validato per valutare la presenza di dolore e la sua intensità ed anche la sua interferenza con la qualità della vita (QV). 2 Lo studio ha avuto una durata complessiva di circa 12 mesi, sono state coinvolte cliniche e ambulatori veterinari distribuiti su tutto il territorio nazionale. In ogni struttura sono stati selezionati da un medico veterinario incaricato,

cani (senza limitazioni di razza, sesso, età) che mostravano al momento della visita la presenza di OA, caratterizzata da dolore e che non avevano ricevuto fino a quel momento alcuna terapia farmacologica. I controlli si sono svolti presso la struttura veterinaria in cui è avvenuta la prima visita (T0), dopo 7 (T7), 30 (T30), 60 (T60) e, facoltativamente, 90 giorni (T90). Sono stati raccolti 170 casi di cui oltre il 50% riguardanti cani di grande taglia, di età compresa tra 6 e 12 anni, colpiti da OA in varie sedi: anca, ginocchio, colonna, gomito, spalla e piede, in ordine decrescente. Ogni cane incluso nello studio al termine della prima visita è stato sottoposto ad una terapia prescritta liberamente dal medico veterinario. Durante ogni visita il veterinario ha proceduto alla valutazione del dolore in base ad una scala VAS. Alla prima visita e nei giorni di controllo al proprietario è stato consegnato un questionario riguardante l’intensità del dolore e l’interferenza di questo con la QV che doveva essere compilato in ogni parte, in presenza del medico veterinario. Il veterinario, in base agli esiti della visita e degli esami ha potuto decidere in scienza e coscienza, se e quale terapia prescrivere al paziente. Il veterinario ogni volta ha indicato il nome commerciale ed il principio attivo del farmaco eventualmente prescritto, la posologia e la durata del trattamento; inoltre erano chiaramente riportate eventuali altre indicazioni suggerite, ad es. riposo, movimento ed alimentazione o altri trattamenti coadiuvanti o concomitanti. L’analisi statistica dei dati provenienti dalle valutazioni dei veterinari e dai questionari compilati dai proprietari, è stata condotta mediante analisi della varianza per misure ripetute con effetto random sui soggetti. La significatività è stata valutata al livello del 5% con un test bilaterale. Le elaborazioni sono state effettuate mediante l’impiego del Software R (The R Project for Statistical Computing, http://www.r-project.org/). La presenza di dolore nel cane ha mostrato una diretta connessione con la sua qualità di vita. È stata infatti evidenziata una rilevante correlazione positiva tra intensità del dolore e QV, sia che la valutazione fosse stata effettuata dal veterinario (DOLV) sia che fosse stata apprezzata dal proprietario (DOLP). I giudizi relativi a DOLV e DOLP presentano una correlazione tra loro anche se si rileva una maggio-

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re coerenza tra DOLP e QV valutata dallo stesso proprietario, rispetto a quella emersa tra DOLP e DOLV. Una stretta collaborazione tra veterinario e proprietario è uno dei punti chiave per la riuscita del trattamento del dolore cronico nel cane, per una corretta valutazione del dolore e, soprattutto, per la sua interferenza con la QV. Il veterinario possiede gli strumenti e le competenze per formulare una corretta valutazione del dolore nel cane ma evidenzia ancora una scarsa attitudine a considerare le conseguenze che questo comporta sulla sua qualità della vita. Il proprietario diventa perciò una figura determinante, in quanto non sostituibile nella raccolta di informazioni individuabili solo nella vita quotidiana. Tali informazioni, necessarie ad identificare e quantificare il dolore nel paziente canino devono essere raccolte in modo univoco e metodico. Alcune discrepanze di valutazione tra DOLP e DOLV suggeriscono l’opportunità di trasmettere, da parte del veterinario a favore del proprietario, una maggior conoscenza e sensibilizzazione per riconoscere la presenza di dolore e far sì che sia il proprietario stesso a portare all’attenzione del clinico comportamenti che meritano approfondimento ed eventualmente l’intervento terapeutico analgesico per garantire in presenza di un confermato stato di dolore cronico il raggiungimento di una migliore QV. È stata chiaramente evidenziata l’importanza di intraprendere un trattamento la cui efficacia è stata confermata in termini di diminuzione dell’intensità dolorifica e quindi di miglioramento della QV. Tale effetto si manifesta fino al tempo T30, al quale segue una fase di stabilizzazione. La somministrazione di un trattamento farmacologico, scelto tra le diverse specialità disponibili, esplica un significativo effetto sulla diminuzione del dolore che incide sul miglioramento della QV. Un significativo controllo del dolore con conseguente miglioramento della QV si verificava già alla prima visita dopo l’arruolamento, ossia al tempo T7, qualunque fosse il principio terapeutico utilizzato. La manifestazione dell’efficacia di un trattamento farmacologico antinfiammatorio e/o analgesico si esprime in una fase di attacco anche inferiore a sette giorni, alla quale segue, nel periodo di mantenimento, una linearità di azione. La scelta delle varie opzioni terapeutiche a T0, lasciata liberamente al veterinario, ha riflettuto la propensione terapeutica attuale con un largo uso dei FANS, un iniziale e significativo utilizzo dell’analgesico centrale (Tramadolo), una diffusa associazione delle due classi terapeutiche ed un certo uso dei corticosteroidi. 6,7,8 Sono state individuate 46 diverse sequenze terapeutiche di cui una costituita da 11 soggetti sempre trattati con tramadolo, un’altra costituita da 6 soggetti sempre trattati con FANS, una terza costituita da 3 soggetti sempre trattati con associazione ed un’ultima costituita da 12

soggetti mai trattati farmacologicamente. Il 32.5% (38/117) del totale dei cani sono stati trattati continuativamente per almeno 60 giorni di cui il 52.6% (20/38) con lo stesso farmaco. Tra questi ultimi, il gruppo più numeroso è quello trattato con Tramadolo (55.0% (11/20)), seguito da quelli che assumevano FANS (30% (6/20)) e associazione Tramadolo+FANS (15% (3/20)). Il gruppo più numeroso di cani trattati continuativamente per almeno 60 giorni con lo stesso farmaco è quello trattato con tramadolo forse per la maggiore maneggevolezza e tollerabilità di questo terapico nel lungo periodo o anche per un diverso approccio clinico, più specificatamente e miratamente analgesico. La diffusa e precoce interruzione dei trattamenti ha evidenziato però una scarsa attitudine del veterinario al trattamento a lungo termine del dolore cronico mentre si rivela la necessità di affrontare il dolore come entità da riconoscere e combattere in modo sistematico ed efficace nel tempo, nell’ottica del mantenimento di un buon stato di salute inteso anche come adeguato livello di QV.

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Indirizzo per la corrispondenza: Anna Pasquini - Giovanni Cardini Dipartimento di Clinica Veterinaria, Università di Pisa, Via Livornese lato monte, San Piero a Grado (PI) Tel. 0502010100

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Diagnosi eziologica di scompenso cardiaco Marco Poggi Med Vet, Imperia (I) Stefano Oricco, Med Vet, Imperia (I)

Gli esami di laboratorio possono talvolta contribuire alla diagnosi eziologica: la presenza di anemia in un soggetto con soffio, la presenza di policitemia in corso di shunt destrosinistro o l’alterazione degli ormoni tiroidei in corso di cardiomiopatie possono essere elementi da tenere in considerazione durante l’iter diagnostico. Ma il contributo più importante è da attribuire agli esami strumentali, in particolare, l’esame ecocardiografico consente una valutazione accurata di diametri, spessori, geometria e cinetica del ventricolo sinistro e il Doppler permette di studiare il riempimento ventricolare e di ottenere informazioni emodinamiche non invasive correlate alla cardiopatia sottostante4. La radiografia toracica è il metodo più utilizzato per la diagnosi di scompenso cardiaco ed è considerato il “gold standard” anche se sensibilità e specificità possono diminuire in corso di patologie polmonari5; la radiografia più difficilmente ci consente di raggiungere una diagnosi eziologica certa6. L’elettrocardiogramma e l’esame Holter in corso di aritmie sono i principali strumenti di diagnosi. I pazienti con SC sottoposti ad esame ecografico possono essere suddivisi in due gruppi principali: soggetti con SC e disfunzione sistolica e soggetti con SC e funzione di pompa relativamente conservata. Lo SC con disfunzione sistolica si verifica in soggetti con cardiomiopatia dilatativa, displasia aritmogena del ventricolo destro, miocardite, tachicardiomiopatia, ecc..; cardiomiopatie ipertrofica, restrittiva e ipertensiva, stenosi sub-aortica, ecc sono responsabili di una disfunzione diastolica. Molte patologie cardiache con SC e disfunzione diastolica possono esitare, in fase tardiva, in una disfunzione sistolica ed essere difficili da differenziare da quelle con disfunzione sistolica primaria: una cardiomiopatia ipertensiva ad evoluzione ipocinetico dilatata, una stenosi subaortica in afterload mismatch, una cardiomiopatia dilatativa e una tachicardiomiopatia possono risultare simili ecograficamente, avere aritmie simili e alterazioni totalmente sovrapponibili degli indici di funzione sistolica, nonostante l’eziologia totalmente differente. Nell’uomo, in cui la principale causa di SC con disfunzione sistolica è rappresentato dalla cardiopatia ischemica, si utilizzano dei test più o meno invasivi (studio coronarografico invasivo, ecostress con dobutamina) per determinare la presenza o meno

Lo scompenso cardiaco (SC) è una condizione fisiopatologica che si verifica quando il cuore non è più in grado di soddisfare i fabbisogni metabolici dell’organismo o è in grado di farlo, ma a scapito di un aumento delle pressioni di riempimento ventricolare1. Lo SC si può manifestare con sintomi da riduzione della portata (ipoperfusione), principalmente in condizioni di SC acuto (shock cardiogeno), o, più comunemente nelle forme croniche, con sintomi di tipo congestizio (edema polmonare, ascite o versamento pleurico). In base a queste caratteristiche possiamo classificare lo SC in acuto o cronico, anterogrado o retrogrado. Si possono utilizzare altri termini descrittivi come SC destro o sinistro, indicando il coinvolgimento di una circolazione rispetto ad un’altra2. Una patologia cardiaca diagnosticata durante una visita o un esame strumentale non presuppone necessariamente che vi sia SC, mentre è vero il contrario: lo SC è il risultato finale di una malattia cardiaca3. La diagnosi di SC è prima di tutto di tipo clinico; lo SC in un soggetto cardiopatico si evidenzia attraverso una serie di sintomi e segni: dispnea, tachipnea, tachicardia, sincope, aumento del TRC, mucose pallide, estremità fredde, polso giugulare, ecc.. questi potranno essere ulteriormente studiati attraverso una radiografia, un elettrocardiogramma o un’ecocardiografia. La diagnosi eziologica di SC è il risultato di un corretto iter diagnostico di cui l’esame ecografico è spesso il cardine. Il segnalamento ci può orientare ipotizzando una cardiopatia congenita in un cucciolo con un soffio o una cardiomiopatia dilatativa in un dobermann adulto con episodi sincopali, senza che questi indizi limitino il percorso diagnostico. L’anamnesi può essere d’aiuto se il paziente con SC, in passato, era già stato sottoposto a visite o esami cardiologici o per eventuali sintomi che si sono verificati prima della visita es. sincopi. La visita clinica, in particolare, l’auscultazione e la palpazione del polso possono avvicinarci alla diagnosi eziologica dello SC: un soffio continuo sotto l’ascella sinistra e un polso ampio possono essere causati da un dotto arterioso pervio, una riduzione dei toni e un polso paradosso da un versamento pericardico con tamponamento cardiaco, un soffio eiettivo importante con un polso piccolo da una stenosi subaortica severa.

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precoce; in futuro la possibilità di disporre di una diagnosi molecolare per molte malattie permetterà di identificare i soggetti a rischio portatori della mutazione e, quando possibile, intervenire prima della comparsa della malattia8. In conclusione, la diagnosi eziologica in cardiologia si raggiunge attraverso un percorso clinico e strumentale in cui l’esame ecografico è un elemento fondamentale. Attualmente esiste la possibilità di trattare in modo definitivo alcune patologie congenite come la stenosi polmonare o il dotto arterioso persistente: questi difetti possono essere risolti con metodiche interventistiche mini-invasive per via percutanea come, allo stesso modo, alcuni disturbi del ritmo possono essere risolti tramite l’ablazione del focolaio ectopico responsabile della genesi dell’impulso anomalo. Il raggiungimento di una diagnosi eziologica è essenziale per una gestione appropriata dell’insufficienza cardiaca e in alcuni casi per prevenirne l’insorgenza.

di malattia coronarica nei quadri di SC con dilatazione e ipo/dis-cinesia ventricolare4; sempre in medicina umana lo studio del ventricolo destro è molto importante nella diagnosi eziologica di SC: un paziente con cardiomiopatia dilatativa può avere una disfunzione e dilatazione bi ventricolare e un soggetto con dilatazione e aneurismi a carico del ventricolo destro può essere affetto da una forma avanzata di displasia aritmogena del ventricolo destro; nei pazienti ischemici, al contrario, è più facile che vi sia una disfunzione limitata al ventricolo di sinistra7. In medicina veterinaria si stanno diffondendo sempre di più nuove metodiche che consentano al cardiologo di identificare con maggiore precisione la causa dello SC; in aritmologia l’applicazione del sistema Holter e, negli ultimi anni, lo studio elettrofisiologico e la mappatura delle aritmie hanno consentito di individuare numerose patologie, non diagnosticabili con un semplice elettrocardiogramma di superficie, e di applicare ad alcune di queste una terapia definitiva. Nell’ambito dell’ecocardiografia, nuove metodiche come lo studio del Doppler tissutale e, soprattutto, lo strain e lo strain rate potrebbero, in futuro, migliorare notevolmente la valutazione della funzione sistolica e consentire al cardiologo clinico di differenziare con più facilità alcune condizioni che tuttora, all’esame tradizionale, appaiono sovrapponibili. La patologia cardiaca più frequente nel cane è l’endocardiosi mitralica; per questa malattia, più che la diagnosi eziologica di SC (che molto spesso, nei cani di piccola taglia, si raggiunge già prima di effettuare l’esame ecocardiografico), è importante la stadiazione clinica. Il clinico deve sapere, per esempio, se c’è uno SC esclusivamente sinistro o se c’è già una condizione di ipertensione polmonare secondaria al sovraccarico (ipertensione polmonare post-capillare); oltre che ai fini prognostici, la stadiazione è importante per una corretta impostazione della terapia medica. Per altre patologie genetiche l’anamnesi familiare ed alcuni esami di screening permettono una diagnosi eziologica

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Giochiamo? Esempi pratici di gioco con il cane Marzia Possenti Med Vet, Comportamentalista, Cassano d’Adda (MI)

Il gioco è un elemento fondativo della relazione fra individui e come tale riveste una funzione fondante della relazione con il proprio cane. Gli esempi di gioco riportati riguardano unicamente il gioco interspecifico, ovvero quello fra cane e uomo: per ogni gioco verranno esposte le regole, le metodiche e le implicazioni relazionali. Ci sono alcune regole che valgono per ogni gioco, e l’ignorarle determina una perdita di efficacia e di significato del gioco stesso: • Un gioco bello dura poco: prolungare eccessivamente un gioco aumenta il rischio che il cane lo trovi ripetitivo, noioso, poco interessante, trasferendo anche a chi lo ha proposto queste caratteristiche. Il gioco termina quando il cane ha ottenuto un grande successo, è soddisfatto e si sta divertendo. • Segnali di fine e d’inizio: ogni gioco dovrebbe iniziare con un segnale convenuto, che indichi il desiderio del conduttore di giocare con il cane. Non esiste un segnale unico, ognuno può definire il proprio, ripetendolo prima d’iniziare a giocare con il cane. In questo modo il segnale acquisterà, con il tempo, il significato d’invito al gioco, predisponendo cane e uomo ad un’attività piacevole e divertente. Anche il termine del gioco dovrebbe essere segnalato al cane. È importante che questo segnale sia molto diverso da altri cui il conduttore potrebbe attribuire significato simile, ma che in realtà sono molto diversi soprattutto come portato emozionale. Molte persone tendono ad utilizzare il “basta!” come modo per dire al cane che si è finito di giocare, ma la componente emozionale di questo segnale è di solito fortemente negativa e punitiva, poiché legata a fastidio e senso di disagio. Meglio utlizzare una parola completamente diversa ed un movimento che non richiami alla mente del cane una sgridata: aprire i palmi delle mani e muoverli di fronte al cane pronunciando la parola “finito” può essere una valida alternativa. È fondamentale indicare al cane che si è finito d’interagire con lui, altrimenti potrebbe sentirsi abbandonato senza preavviso. Questa incoerenza comunicativa genera spesso confusione nel cane, che ha una continua aspettativa d’interazione con il gruppo famigliare e riduce, a volte anche molto, i suoi spazi personali. In questo senso il finito può essere letto anche come un “libero” facilitando l’autonomia del cane rispetto al gruppo di appartenenza.

• Le emozioni contano: il gioco dev’essere piacevole, divertente in ogni momento. È di fondamentale importanza leggere lo stato emotivo del cane in ogni momento del gioco, evitando le emozioni negative e favorendo quelle positive. Il continuo adattarsi all’altro, anche emozionalmente, cementa una relazione in modo estremamente efficace e duraturo: in questo senso è bene che le emozioni predominanti durante il gioco siano sempre estremamente positive. • Nuovo è più bello: la ripetitivà è nemica dell’attenzione. Proporre sempre gli stessi giochi, senza attuare neppure una modifica alla sequenza o alla metodica, rende il gioco noioso, prevedibile e quindi meno interessante. Lo stesso gioco può essere proposto in cornici, contesti, modalità diversi per renderlo sempre nuovo. È altresì fondamentale non fissare una sequenza di gioco identica ogni volta che si gioca con il cane, l’effetto migliore che si possa ottenere in questo caso, è di essere anticipati, preceduti dal cane, che effettuerà il passaggio successivo del gioco mentre noi siamo ancora uno, due, tre passaggi indietro. Questa situazione comunica al cane che il suo partner è lento, noioso, prevedibile e, in definitiva, poco intelligente. • Progettare prima di giocare: meglio prevedere più attività diverse da proporre al cane, per non farci trovare impreparati qualora le trovasse noiose, troppo difficili, troppo facili, ecc. anche il contesto in cui un gioco viene effettuato è importante: se si tratta di un gioco che richiede concentrazione e che viene effettuato per la prima volta è bene scegliere un ambiente tranquillo, con pochi stimoli, che favorisca la concentrazione del cane. • La frustrazione non è divertente: ogni gioco dev’essere adeguato alle capacità mentali ed emozionali del cane. Presentare un gioco troppo difficile ha l’unico effetto di provocare frustrazione nel cane, che arriva ad ignorare il gioco perché non è in grado di effettuarlo. Se le emozioni provate durante un gioco vengono trasferite alla figura che lo ha proposto offrendo giochi difficili assumiamo un ruolo frustrante e negativo per il cane. Giochi di naso: si tratta di giochi che richiedono una forte concentrazione da parte del cane, che deve ottenere informazioni dalll’olfatto e quindi, necesariamente, deve abbassare il livello di attivazione emozionale cerebrale (arousal). La ricerca olfattiva può partire da un semplice lancio di pre-

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mi in cibo in terra, prima su di una superficie liscia, che li renda visibili, per poi passare a una superficie via via più “mimetica”, che nasconde i premi in modo che il cane possa utilizzare unicamente l’olfatto, e non la vista, per trovarli. I premi devono essere adeguati, sia come numero che come tipologia, al cane che si vuole coinvolgere: il profumo deve attirare il cane, la dimensione e l’intensità della scia olfattiva lasciata dev’essere tanto maggiore quanto minori sono le capacità di concentrazione del cane, mentre invece il numero di premi andrà aumentando al crescere della sua capacità di mantenere l’attenzione. Poiché si tratta di giochi che richiedono concentrazione è bene iniziare a farli in ambienti poco stimolanti, con poche distrazioni, per aumentare gradatamente il numero e l’intensità degli elementi distraenti nel contesto, man mano che il cane migliorerà le sue capacità di concentrazione. Per comprendere se realmente il cane sta seguendo una pista olfattiva e non sta localizzando i premi con la vista è sufficiente notare se il naso rimane in terra o se il cane alza continuamente la testa. Anche la distanza di lancio dei premi va aumentate gradualmente. Un altro passo avanti consiste nell’insegnae al cane l’aspetta, allontanarsi per posizionare uno o più premi, tornare da lui e chiedergli di cercare. Questa attività è molto più complicata sia per il cane che per il conduttore, poiché richiede ottime doti comunicative per spiegare al cane cosa si desidera da lui, per comprendere se si trova a suo agio durante l’attesa e per motivarlo durante la ricerca senza alzare eccessivamente il suo livello di arousal. È di fondamentale importanza che il cane non consideri l’aspetta come una costrizione, ma che la individui come una parte del gioco. In questo senso non è sufficiente che il cane rimanga seduto ad aspettare mentre il conduttore si allontana di un passo da lui per far decidere di aumentare la distanza. Il cane deve trovarsi a suo agio mentre il conduttore di allontana, soltanto allora si può aumentare la distanza. Se non si considera lo stato emozionale del cane durante l’allontanamento questo diviene un obbligo a restare fermo mentre si viene abbandonati e la posizione seduta perde il suo significato tipico di calma e riflessione per acquisire un alone fortemente negativo d’imposizione e sofferenza. Mobility dog modificata: si tratta, assieme al corpo come palestra, del gioco comunicativo per eccellenza. Dal punto di vista dell’apprendimeto della comunicazione dell’altro può essere comparato ai giochi sociali fra cani. La mobility infatti è un’attività in movimento, che richiede un continuo e sottile adattamento all’altro per essere giocata. Si tratta di un percorso ad ostacoli in cui il conduttore guida il cane con il proprio corpo indicando, spostandosi incoraggiando. Durante l’intero percorso l’attenzione di ogni membro della coppia dev’essere senpre centrata sull’altro. Lo scopo non è agonistico, non importa la velocità di esecuzione ma la felicità della coppia che gioca, che deve sentirsi a suo agio in ogni momento. Per poter giocare questo gioco cane e uomo hanno bisogno di una somestesi e una cinestesi ottimale, devono essere coscienti in ogni momento della posizione di ogni parte del proprio corpo e di come essa si stia muovendo, anche in relazione alle altre parti. È possibile iniziare a cimentarsi in questa attività anche durante una semplice passeggiata, utilizzando gli arredi urbani o l’ambiente campe-

stre come percorso ad ostacoli. Un panettone di cemento, dei paletti, degli alberi, una panchina possono diventare parte di un percorso sempre diverso da fare assieme al proprio cane. La motivazione a collaborare viene fortemente incentivata da questo tipo di giochi, poiché è soltanto con la perfetta ed armoniosa collaborazione di cane e conduttore che è possibile giocarli. Anche in questo caso il mantenimento di un livello medio di arousal è fondamentale, così come la capacità di concentrare l’attenzione del cane sul conduttore e viceversa. L’uso dei gesti è importantissimo, così come la riduzione al minimo delle parole perché esse acquistino significato. Se al termine di un ostacolo il conduttore deve mantenere l’attenzione del cane, che si sta rivolgendo altrove, un suono di richiamo potrà essere efficace soltanto se non si sarà perso in un eccesso fraseologico. Anche l’uso dei premi va sapientemente dosato, mettendoli in terra o somministrandoli dalla mano a seconda del comportamento del cane. I premi in terra possono essere utili per far conoscere un nuovo ostacolo al cane, oppure in caso di cani che tendono a mantenere eccessivamente l’attenzione sulle mani come fonte di cibo, e che magari tendono ad afferrarle o esplorarle in continuazione con questo scopo. Man mano che l’intesa aumenta il premio in cibo sarà sempre più ridotto. Corpo come palestra: questo tipo di giochi è volto a favorire la conoscenza del corpo dell’uomo da parte del cane. Si tratta di un ottimo esempio di esercizio di prosocialità, laddove il corpo umano diviene parte del gioco e viene esplorato dal cane favorendo l’esperienza positiva e divertente. Anche in questo caso cinestesi e somestesi sono fondamentali per ottenere una buona comunicazione, per evitare di essere invadenti nei confronti del cane, per essere efficaci nella comunicazione. Si può iniziare sedendosi in terra e mettendo dei premi sulla gambe o attorno ad esse. Poi si passerà a indicare con i gesti al cane dove si vorrebbe che passasse. Si tratta di un magnifico gioco da far fare ai bambini, meglio se giocato in due più il cane: un bambino fa l’ostaoclo e l’altro lo posiziona e conduce il cane ad esplorarlo, poi i ruoli fra i due bambini si invertono. Problem solving collaborativi: non si tratta dei problem solving tradizionali, in cui il conduttore prepara il gioco di fronte al cane glielo presenta e lascia che sia egli a risolverlo da solo. In questi giochi cane e uomo collaborano per risolvere un rompicapo. Il gioco più semplice può consistere in un bicchiere di carta o plastica che viene rovesciato in terra sopra ad un premio. Il conduttore incita il cane a cercare, lo aiuta posizionando il premio a metà fuori dal bicchiere o sollevando parzialmente il bicchiere mentre il cane lo annusa, in modo da favorire l’individuazione della soluzione. È importante adatare il gioco al cane, ai suoi interessi, al suo livello di autoefficacia e di arousal. È fondamentale mantenere un livello di arousal intermedio per favorire il ragionamento e quindi la soluzione del problema, quindi è importante evitare l’utilizzo di oggetti che posono eccitare eccessivamente un cane. Alcuni cani amano distruggere la plastica e quindi un bicchiere di plastica potrebbe non essere l’oggetto ideale sotto cui nascondere un premio, altri hanno una motivazione competitiva molto forte e, una volta afferrato il bicchiere, tentano di trasformare il gioco in una lotta per il suo possesso. In questo caso è bene munirsi di

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due bicchieri e, appena il cane solleva il primo, dirgli bravo e immediatamente, prima che si distragga, nascondwere un altro premio sotto il secondo bicchiere, per poi prendere il primo quando il cane non è più interessato ad esso e riproporre il gioco di nuovo. Se un cane è timoroso e teme i rumori si può utilizzare un panno di stoffa invece di un bicchiere, che farà rumore quando rovesciato. In questi giochi è fondamentale osservare attentamente il cane per comprendere se si trova eccessivamente in difficoltà: se così fosse il conduttore deve immediatamente ridurre la difficoltà del gioco per evitare che il cane entri in frustrazione e rinunci a giocare oppure elevi eccessivamente l’arousal.

In conclusione ogni gioco ha un potenziale relazionale ed educativo fortissimo, ma se non viene effettuato correttamente, seguendo le regole del gioco, può ottenere effetti esattamente opposti a quelli attesi, danneggiando invece che rafforzando la relazione uomo-cane. Il gioco è solanto una metamotivazione, un passepartout per la relazione con il cane: quale porta aprirà dipende da come esso viene eseguito.

Indirizzo per la corrispondenza: Marzi Possenti - E-mail: grayne@tiscali.it

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Minimally Invasive Surgery in Orthopaedics: Practical Tips Antonio Pozzi DMV, MS, Dipl ACVS, Florida (USA)

In the last decade there has been an evolution in the techniques used for plating bone fractures. The development of new approaches and techniques to bone plating greatly depends on the shift of the AO-ASIF technique from direct reduction and rigid fixation, to biologic internal fixation using indirect reduction techniques. The traditional principles of internal fixation have evolved to emphasize that the blood supply through the soft tissues and bone is the most important aspect in fracture care, leading to a restatement of the principles: Atraumatic soft tissue technique through appropriate surgical approaches; 1. Atraumatic soft tissue technique through appropriate surgical approaches; 2. Atraumatic reduction and fixation techniques are mandatory. Reduction needs to be anatomical but only axially aligned in the diaphysis and the metaphysis. Anatomical reduction is required for intra-articular reductions; 3. Appropriate construct stability. The joint surfaces require anatomical reduction with absolute stability. The majority of diaphyseal fractures are treated with relative stability techniques; 4. Early active motion can also be carried out because fixation is stable enough to allow functional aftercare.

The plate is inserted through one of the insertion incisions and tunneled along the periosteal surface of the bone, spanning the fracture site. Screws are applied at the proximal and distal ends of the plate through the insertion incisions or if necessary, through additional stab incisions. Screws are not placed in the holes located in the central portion of the plate, which is often positioned over the fracture. 1. Appropriate case selection is crucial to the success of MIPO. As with any technique, not all fractures are amenable to percutaneous plate stabilization. Although MIPO is most applicable to comminuted diaphyseal or metaphyseal fractures which may not be amenable to anatomic reduction, the technique can be utilized in some simple transverse fractures. Although the MIPO technique can be applied to proximal limb fractures, we have found that femoral and humeral fractures are typically more challenging to reduce using indirect techniques than antebrachial and crural fractures. Other clinical cases that can be treated with MIPO are delayed/viable non-union with good alignment, fractures that can be reduced closed (i.e. simple fractures of the radius) and 2. Indirect reduction is crucial for MIPO. To minimize soft tissue trauma indirect reduction is performed. Most commonly an external device providing distraction is necessary to perform indirect reduction. We have used successfully both linear and circular fixators to distract and reduce the fracture. An intramedullary Steinmann pin can be used to assist with reduction and alignment of the fracture. The tip of the pin is blunted before the pin is introduced into the distal fracture segment, allowing enough force to be applied to achieve distraction of the proximal and distal fracture segments. Distraction by this method is very effective at stretching out contracted muscles and returning the fractured bone to original length. The pin can be left in place if desired, or can be removed once appropriate reduction is achieved. Femoral and humeral fractures may be amenable to MIPO after using an intra-medullary pin, femoral distractor or traction table to achieve reduction and alignment of the fracture. When using a distractor it is recommended to align the proximal and distal fragments axially (rotational alignment) before placing the distractor. This step will minimize the need for more rotational corrections.

It is evident that the principles have not changed, but have become more refined and defined with regards to mechanics, biology and technique. The amount of injury to the bone and soft tissue is the sum of injuries caused by the trauma and surgery. The surgical injury consists of the damage caused by the approach, the reduction and the fixation. One strategy to minimize surgical trauma is to insert the bone plate through small skin incision without an open approach. This technique is called minimally invasive plate ostesynthesis (MIPO). Minimally invasive techniques can also be applied to other types of osteosynthesis such as lag screws, pins and interlocking nails. In that case it is called minimally invasive osteosynthesis (MIO). Percutaneous plating involves the application of a bone plate without making an extensive surgical approach to expose the fracture site. The bone segments are reduced using indirect reduction techniques. Small plate insertion incisions are made at each end of the fractured bone and an epi-periosteal tunnel is made connecting those incisions.

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3. Appropriate pre-operative planning is an essential component of the MIPO technique. Pre-contouring of the plate based on the contra lateral intact bone can facilitate reduction if non-locking screws are used to pull the bone segments to the plate. Locking screws can be added after alignment is achieved. 4. Atraumatic technique during tunneling.

cessfully performed for femoral, humeral and tibial fractures. The fractures are reduced under fluoroscopic guidance using manipulation. Then the pins are inserted through small skin incisions. Articular fractures that can be reduced with a closed technique are good condidates for percutaneous fixation with lag screws and pins.

As with most techniques, there are both advantages and disadvantages associated with MIPO. Operative time is reduced compared to anatomic reconstruction once familiarity with the procedure is developed. Minimally invasive procedures carry less risk of soft tissue complications and potentially of bacterial infection in comparison to open reconstruction procedures due to less soft tissue trauma. The fracture hematoma is not removed at surgery and may contribute to increased rate of callus formation. Fractures stabilized with MIPO should heal in a similar manner to fractures stabilized with external skeletal fixation applied in a closed fashion, but would require less patient and fixator care in the post-operative convalescence period. There are some obvious disadvantages associated with MIPO. The technique can be technically challenging to learn and apply. MIPO may not be suitable for simple fractures and articular fractures which require precise anatomic reduction and compression. MIPO does not allow direct visualization of the fracture site, therefore, access to intra-operative fluoroscopy or radiography greatly facilitates the surgical procedure. Other minimally invasive techniques for fracture fixation include percutaneous pinning for growth plate fractures, lag screw application for articular fractures and percutaneous interlocking nail application. The principles that have been discussed for MIPO can be applied in most cases to MIO. Percutaneous pinning for growth plate fractures can be suc-

REFERENCES Palmer RH. Biological osteosynthesis. Vet Clin North Am Small Anim Pract 1999; 29: 1171-85. Perren SM. Evolution of the internal fixation of long bone fractures. The scientific basis of biological internal fixation: choosing a new balance between stability and biology. J Bone Joint Surg Br 2002; 84: 1093-110. Gautier E, Sommer C. Guidelines for the clinical application of the LCP. Injury 2003; 34 Suppl 2: B63-76. Borrelli J, Prickett W, Song E, et al. Extraosseous blood supply of the tibia and the effects of different plating techniques: a human cadaveric study. J Orthop Trauma 2002; 16: 691-5. Schmokel HG, Hurter K, Schawalder P. Percutaneous plating of tibial fractures in two dogs. Vet Comp Orthop Traumatol 2003; 16: 191-5. Pozzi A, Lewis DD. Surgical approaches for minimally invasive plating osteosynthesis in dogs. Vet Comp Orthop Traumatol 2009, 22(4):316320. Hudson C*, Pozzi A, Lewis DD. Introduction to minimally invasive plating osteosynthesis in dogs. Vet Comp Orthop Traumatol 2009, 22(3):175182. Guiot LP, Dejardin LM. Prospective evaluation of minimally invasive plate osteosynthesis in 36 nonarticular tibial fractures in dogs and cats. Vet Surg 2011, 40(2); 171-182.

Address for correspondence: Antonio Pozzi University of Florida College of Veterinary Medicine Gainesville, Florida, USA

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Cruciate Ligament Injury in the Trauma Patient Antonio Pozzi DMV, MS, Dipl ACVS, Florida (USA)

The stifle is a complex, diarthrodial, synovial joint that allows motion in three planes The round femoral condyles articulate with the flat tibial condyles with a range of motion that goes from 125째 in extension to 155째 in flexion. Unlike the hip, the bony congruency between the femoral condyle and the tibial plateau adds little to the stability of the stifle. Rather, the strong cruciate and collateral ligaments primarily, and the menisci, the capsule and the musculature secondarily, constitute the stabilizers of the stifle. These structures and muscles around the knee constitute a complex biomechanical system in which the tibia can move with respect to the femur in many planes and support high loads. The CCL originates from the medial aspect of the lateral femoral condyle and inserts to the cranio-medial aspect of the tibial plateau. The caudal cruciate ligament originates from the lateral aspect of the femoral condyles and inserts to the caudo-lateral tibial plateau. The collateral ligaments extend respectively from the lateral and medial femoral condyle to the lateral and medial tibial condyles. The medial collateral ligament is taut in extension, with only the caudal portion of the ligament becoming lax in flexion. The lateral collateral ligament is also taut in extension; however, its entire bulk becomes lax as the joint is flexed. In extension, the ligaments are primary restraints preventing varus and valgus angulation, and they limit internal and external rotation of the tibia. In flexion, the cranial portion of the medial collateral ligament remains taut and prevents external rotation of the tibia, whereas the relaxation of the lateral collateral ligament allows the tibia to rotate internally, with further rotation limited by the cruciate ligaments. A derangement or luxation of the stifle causes severe joint stability and abnormal joint motion because of the multiple ligaments that are involved. Unlike isolated cranial cruciate ligament injuries, stifle luxation occurs as the result of significant trauma. The traumatic event usually involves the animal getting its leg entrapped in a hole, fence or other structure and falling or twisting the limb. The cranial cruciate ligament CrCL, caudal cruciate ligament (CdCL), medial collateral ligament (MCL) and lateral collateral ligament (LCL) may be affected. Additionally, joint capsule, menisci, and muscular insertions can be damaged. In all reported cases, the CrCL is involved and most also involve the CdCL. MCL and LCL involvement frequently is present but the incidence of each depends upon the report. Usually at least three ligaments are involved.

Diagnosis is made based on palpation and radiographic appearance. Dogs are usually non weight-bearing lame on the affected limb and there is considerable soft tissue swelling involving the periarticular structures. It is important to palpate for ligamentous laxity/instability. When evaluating a suspected luxated stifle, it is useful to hold the joint in extension and apply varus and valgus stresses gently to test the collateral ligaments. Cranial and caudal drawers are also elicited in the usual manner. Palpating for caudal drawer is sometimes difficult but frequently dogs with ruptured caudal cruciate ligaments can have their tibial tuberosity positioned caudal to the patella. Medial and lateral stress should be applied to the joint to assess collateral stability. Careful assessment of routine radiographic views should be performed, looking specifically for gross displacement and the presence of bony avulsion fragments. Stressed views are also useful to document collateral ligament instability. Definitive diagnosis of all involved structures cannot be made until the stifle is explored surgically. Surgical treatment of MLI of the stifle must be tailored to the specific intra and peri-articular damage present. The goal should be to establish a stable knee with isometric motion throughout its normal range. Additionally, an attempt should be made to appose torn ligaments and to repair and preserve meniscal function if possible. Collateral ligament repair is best achieved by placing screws at the original origin and insertion sites of the torn collateral. It is important to place the screws such that binding of the joint does not occur during motion (cam effect). Using the original attachment sites when possible avoids this. Lateral (and possibly medial) fabellar-tibial sutures are placed to stabilize the stifle in the absence of the CrCL. A medial and lateral patella-fibular head/caudal tibial suture is placed to stabilize the stifle in the absence of a CdCL. All necessary sutures are preplaced and then tied individually with an assistant holding the limb in a functional, anatomically correct position. Generally, the collateral ligament sutures are tied first, followed by the CrCL and the CdCL, being careful not to over-tighten an distort normal stifle alignment. Monofilament suture is recommended. Joint capsule tears are most easily treated prior to suture placement. Although some surgeons disagree, most recommend stifle immobilization for a period of 2-4 weeks using a lateral splint, hinged external skeletal fixator, or transarticular

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Other techniques such as TPLO and intra-articular techniques have been also used successfully. 5. Application of a hinged (ideally) transarticular external fixator is recommended to protect the repair and to allow early (2-4 weeks) joint mobilization and physiotherapy. The precise application of the hinged at the level of the center of motion of the stifle is crucial to allow free joint motion. The fixator is applied laterally with 3 pins in the femur and 3 pins in the tibia. Temporary fixation of the stifle in correct position while applying the fixator can be accomplished using a transarticular pin. Some surgeons prefer to leave the pin in position for a few weeks. 6. We generally recommend to start passive range of motion around 3 weeks after surgery, and to release the hinge around 6 weeks. In most cases the fixator is removed around 6-8 weeks. During this period the dog may receive Adequan to protect the cartilage during prolonged immobilization.

external skeletal fixator. Full athletic activity should not be attempted until 3 to 4 months after surgery. Although rare, another clinical presentation of cruciate injury following a trauma is distal femoral condylar fractures with involvement of the cruciate ligaments.

Surgical Guidelines for Luxated Stifle: 1. Early treatment (any luxation is an orthopaedic emergency!): joint explore, reduction of the luxation and stabilization. 2. Primary repair of menisci and joint capsule. Accurate joint explore is important to evaluate all the intra-articular strauctures. In some cases a tibial tuberosity osteotomy may be beneficial to improve joint exposure. The medial meniscus is commonly avulsed from the craniomedial aspect of the joint capsule, while the lateral meniscus may be avulsed from the femur (caudal meniscofemoral ligament). Non-absorbable (or slow to absorbs) suture is recommended for meniscal repair. Horizontal or vertical mattress can be placed through the meniscus and the joint capsule, and tied outside the joint capsule. Joint capsule is closed and repaired. 3. Repair of the collateral ligaments is performed using prosthetic material such as Fiberwire, Fibertape or leader line. The remnants of the ligaments are always repaired first if possible. Screws and washer, bone anchors (corkscrew, swivel lock, push lock) can be used to anchor the suture to the femur and tibial. 4. Surgical stabilization for CrCL rupture. Different techniques can be performed successfully. In most cases an extracapsular technique can be successful. In these cases periarticular fibrosis develops rapidly because of the soft tissue trauma and the early immobilization after surgery.

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Address for correspondence: Antonio Pozzi University of Florida College of Veterinary Medicine Gainesville, Florida, USA

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Revision of Cranial Cruciate Ligament Stabilization Techniques Antonio Pozzi DMV, MS, Dipl ACVS, Florida (USA)

Cranial cruciate ligament (CrCL) insufficiency is a common cause of hind limb lameness in dogs that results in osteoarthritis of the stifle and often leads to meniscal injury. CrCL insufficiency alters stifle and hind limb kinematics resulting in cranial tibial translation, increased internal rotation, and adduction of the tibia, especially during the stance phase of the gait cycle. One of the most widely used techniques for extracapsular stabilization is a modification of the procedure described by DeAngelis and Lau. The lateral fabellotibial suture technique involves passing prosthetic material around the fabella of the lateral head of the gastrocnemius muscle then through a hole or holes made in the proximal tibia. Loosening of the prosthesis in the early postoperative period, prior to functional adaptation of the stifle, results in joint laxity and persistent instability, which contributes to the progression of osteoarthritis and potentiates meniscal injury. Elongation in the stabilization system can occur by stretching or rupture of the prosthetic material, slippage or failure of the knot or crimp clamp securing the free ends of the prosthesis, or stretching or failure of the proximal or distal attachment sites. Recently, two new non-absorbable multifilament ultra high molecular weight polyethylene suture materials, FiberWire and FiberTape (Arthrex Vet Systems, Naples, FL, USA), have been advocated for extracapsular stabilization of the CrCL-deficient stifle based on these materials’ purportedly superior mechanical characteristics. These polyethylene sutures were found to be stronger and stiffer than nylon leader material, and the use of crimps significantly decreased elongation under cyclic loading for both FiberWire and FiberTape. These new prosthesis are used in bone tunnels techniques for the theoretical advantage of improved isometry and increased strength. Other common surgical stabilization techniques for the CrCL-deficient stifle include tibial osteotomies such as TPLO and TTA. The TPLO aims to provide dynamic cranio-caudal stifle stability during the stance phase of gait by reducing the slope of the tibial plateau. TTA aims at reducing the angle between the patellar tendon and the tibial plateau to about 90 degrees, and therefore neutralizing the cranial tibial shear force. There are only a few reports that have investigated the clinical outcome after TPLO or TTA and the incidence of complications. In these reports there is minimal discussion on revisions of these complications. Regardless surgical

technique, a percentage of dogs undergoing surgical stabilization of the CrCL-deficient stifle will require revision surgery. However, there are also several conditions that do not require surgical treatment but resolves with conservative management. Here we will focus on conditions that may require surgery.

MENISCAL INJURY One of the most common causes of a revision surgery is meniscal injury. Postliminary medial meniscal tears are defined as meniscal tears that occur after the index (initial) surgical procedure, and may be a result of residual stifle joint instability. Latent tears are those that are present at the index procedure, but are not identified due to a failure of diagnosis at the time of surgery. These tears may result in persistent lameness and require additional surgical treatment. The incidence of postoperative (including both postliminary and latent) meniscal injury has been reported for several surgical techniques, and it varies between 2.8 % and 17.4 %. Clinical manifestation of postoperative meniscal injury usually occurs within the first 4 months after surgery, and in most cases requires surgical intervention. Meniscal treatment by resection of the injured area of the meniscus (partial or segmental meniscectomy) resolves the lameness in less than 4 weeks in most cases. Both medial and lateral meniscus should be carefully evaluated because both medial and lateral tears have been reported. Meniscal release can decrease the incidence of postliminary meniscal injury and should be considered if the rate of this complication is too high.

INFECTION Another common reason for revision surgery is implantassociated infection. For both extra-capsular techniques and osteotomies, infection can develop immediately after surgery as acute infection or present as low-grade infection associated with an implant (weeks to several years post-surgery). In all cases of surgical infection it is recommended to remove the implant, collect samples for culture and start

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immediately antibiotics. In most cases of infection the joint needs to be explore and debrided. When infection is associated with an extra-capsular technique implant removal is imperative and antibiotics therapy may not be effective until the implant is removed. In most cases, following extra-capsular prosthesis removal there is enough peri-articular fibrosis to stabilize the joint without the need of additional stabilization. However, in cases of early infection after surgery a staged stabilization technique may be required.

include orthogonally placed plates (medial and caudal or cranial plates) or combination of plates and external fixator. In general it is preferred to use internal fixation

PERSISTENT INSTABILITY Instability is rarely the primary and only cause of lameness. In most cases instability is associated with other problems that may require revision (i.e. meniscal injury). An additional challenge is to quantify joint instability. Unfortunately we use crude tests such as cranial drawer and tibial thrust that cannot mimic dynamic stability during motion. For this reasons it is important to not overrate these tests and be cautious with their interpretation. Although several dogs with gross instability can have a good outcome after conservative treatment, stabilization may be indicated in some cases. Dogs that would benefit of surgical stabilization are those that had a failure in the early postoperative period, before developing enough periarticular fibrosis. I would also recommend revision in large active dogs, unless advanced osteoarthritis is already present.

FIXATIONS FAILURES Fixation failures of osteotomies are relatively uncommon if appropriate surgical technique and planning are performed. TPLO locking plates have improved the ease of the technique and the stability of the fixation. However, it is important to follow the basic principles of TPLO: 1. Position osteotomy to preserve tibial tuberosity and enough bone for plate fixation; 2. Center the bone plate in the middle of the proximal fragment to screw purchase; 3. Compress osteotomy (load sharing). The cases where a revision is required following a fixation failure are challenging because of the size of the fragment that requires fixation. Strategies for revision of these cases

Address for correspondence: Antonio Pozzi - University of Florida College of Veterinary Medicine Gainesville, Florida, USA

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Algorithm for Meniscal Treatment: a Case-Based Approach Antonio Pozzi DMV, MS, Dipl ACVS, Florida (USA)

Meniscal injury in the dog is most commonly associated with ligament injury of the stifle joint. The reported incidence varies from 50 to 90%. Damage to the menisci can be either acute or degenerative and usually involves the caudal and medial portions of the medial meniscus. The medial meniscus is firmly attached to the tibia by the medial collateral ligament, the synovium, and the meniscal ligaments. As a result, during drawer movement and weight bearing the caudal pole may become entrapped between the femoral and the tibial condyle and therefore may tear due to the shear stress applied on the longitudinal and radial fibers.

MENISCAL TEARS CLASSIFICATION Meniscal tears have been classified into 5 different types (see Fig. 1A and 1B). Vertical longitudinal tears: include bucket handle tears, short vertical tears and incomplete vertical tears. Incomplete vertical tears can be diagnosed only with careful probing. Bucket handle tears are the most common type of tear and may be seen as multiple tears in the same meniscus. Bucket handle tears may present displaced (see Fig. 1A) or minimally displaced (see Fig. 1B). Oblique or flap tears: may be single or double, and include parrot beak tears. They usually start as vertical tears, become bucket handle tears, and then tear completely at either handle end and become a single or double flap (see Fig. 1C). Radial tears: more commonly occur in the lateral meniscus and they may propagate if left untreated (see Fig. 1D). Horizontal or horizontal cleavage tears: less common than other tears. Incomplete horizontal tears can be difficult to diagnose and may go undiagnosed in many cases (see Fig. 1E). Degenerative tears. These tears can be seen with any type of tear, but most commonly from delayed treatment and chronic trauma from walking on injured menisci. Often they may present with the caudal pole folded cranially, after chronic femoro-tibial subluxation (see Fig. 1F).

A: displaced bucket handle tear

B: minimally displaced bucket handle tear

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C: oblique or flap tear

D: radial tear

E: horizontal cleavage tear

F: folded caudal pole

Meniscal Treatment

tear in association with a meniscal tear, arthroscopy or an open arthrotomy is usually performed. The following techniques for treatment of meniscal injuries will be explained in detail. They include partial, total meniscectomy and caudal pole hemimeniscectomy. Meniscal repair is under investigation. Preliminary data suggest that arthroscopic meniscal repair may be indicated in tears in the red or red-white zone of the meniscus. These zones are the most abaxial or peripheral regions of the meniscus and receive better blood supply than the axial region. Based on the landmark paper by Arnoczky and preliminary biomechanical results a vertical longitudinal tear involving the red zone should be repaired, while a tear in the white zone should be resected.

In veterinary orthopaedics, treatment of the meniscus in a patient with CCL rupture remains a controversial topic of discussion. It has been suggested that after CCL surgical repair the medial meniscus may subsequently tear if left intact potentially due to remaining instability. Currently the standard of care is directed toward performing partial or complete meniscectomy if the meniscus is torn, or doing a prophylactic meniscal release or caudal pole hemimeniscectomy if the meniscus is intact. First, the clinician should diagnose if there is meniscal pathology, and classify the type of tear. This can be done by MRI, CT arthrogram, ultrasound, arthroscopy or open arthrotomy. If the clinician has a high suspicion of a CCL

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First, the position of the meniscus is assessed. Commonly a portion or the entire caudal pole of the medial meniscus may be folded cranially, suggesting a displaced bucket handle, a flap or a peripheral detachment tear. Often degenerative tears may present with a folded caudal pole, suggesting chronic femoro-tibial subluxation. Initially the meniscus is visualized to evaluate the gross aspect. Exposure should be optimized using retractors, stifle distractor and flexion or extension as needed. In stable stifles with a partial CCL rupture the caudal pole of the meniscus may not be visualized with a cranio-medial arthrotomy. In case the caudal pole cannot be evaluated, the surgeon should debride the CCL or perform a caudo-medial approach to the stifle. It should be emphasized that the caudal pole of the medial meniscus is the most common site of injury, thus should be evaluated carefully for the presence of tears. After visualization of the inner rim and femoral surface of the meniscus, probing should be performed to evaluate regions that cannot be visualized and to find non-displaced tears. The palpation with the probe (see Fig. 2) should be performed to assess the integrity of both femoral and tibial surfaces and the meniscal attachments. Irregularities on the surface and hooking of the probe suggest an incomplete or non-displaced bucket handle tear. Hooking of the probe at the periphery of the meniscus may suggest a peripheral detachment, but should be interpreted carefully because the edge of the caudal pole is only loosely attached to the joint capsule by the coronal ligament. After diagnosing a bucket handle tear, the rest of the meniscus should be evaluated for multiple tears that can be easily missed. It is easier to resect the bucket handle tear and reevaluate the remnant of the meniscus with the probe. This is important if a partial meniscectomy is performed. Late meniscal injuries after TPLO may originate from meniscal tears that were missed at the first evaluation.

TABLE 1 - Indications for meniscal resection Procedure

Indication

Partial Meniscectomy

All meniscal tears that allow preservation of the rim

Segmental (caudal hemi-) meniscectomy

Caudal meniscal tears where functional rim cannot be preserved

Total meniscectomy

All meniscal tears involving more than caudal aspect and rim cannot be preserved

Decision making in meniscal treatment is complex because it is influenced the type of approach, surgeon’s experience and stabilization technique. However. It may be simplified by remembering a simple principle of meniscal surgery: “Any functional meniscal tissue should be preserved”. Table 1 presents the indication of each type of meniscectomy, and emphasize that the extent of meniscal resection depends on the severity of the meniscal tear.

Meniscal Examination The meniscus should be thoroughly examined during arthrotomy or arthroscopy to diagnose meniscal tears that may cause persistent lameness if left untreated. A good knowledge of the normal meniscus is mandatory. The surgeon, to evaluate all regions of the meniscus should use visualization and palpation with an arthroscopy probe (see Fig. 2).

Figure 2B

Figure 2A Figure 2 - (A) Arthroscopic evaluation of the meniscus: probing a complete bucket handle tear; (B) probing of a vertical longitudinal tear.

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4. Diagnosis of degenerative tears: degenerative tears are common in dogs. They are frequently associated with complex and horizontal tears. A degenerative tear is diagnosed based on the appearance and its response to probing. Degenerative tears can present with fraying of the free edge, centrally located horizontal tears, fringe tags and extensive fibrillation of the meniscus. The meniscus is frequently yellow, and has lost its bright white appearance. It is also soft and may collapse between femoral and tibial condyle during flexion-extension. These meniscal lesions are almost invariably accompanied by cartilage lesionschanges ranging from softening to subchondral loss in the most severe cases.

Meniscal Evaluation 1. Exposure: At first the meniscus is exposed to evaluate its gross appearance. Exposure should be optimized using retractors, stifle distractor, flexion or extension and varus and valgus stresses as needed. In stable stifles with a partial CCL rupture the caudal pole of the meniscus may not be visualized with a cranio-medial arthrotomy. In case the caudal pole cannot be evaluated, the surgeon should debride the CCL or perform a caudomedial approach to the stifle. It should be emphasized that the caudal pole of the medial meniscus is the most common site of injury, thus should be evaluated carefully for the presence of tears. 2. Meniscal Evaluation (observation): The position of the meniscus is assessed. Commonly a portion or the entire caudal pole of the medial meniscus may be folded cranially, suggesting a displaced bucket handle, a flap or a peripheral detachment tear. Often degenerative tears may present with a folded caudal pole, suggesting chronic femoro-tibial subluxation. The meniscus may be in its normal position and may look normal. However, careful probing should be performed to rule out vertical longitudinal tears. At this stage it is also useful to elicit tibial subluxation to evaluate meniscal stability. Peripheral tears and bucket handle tears may displace cranially as the tibia subluxates. 3. Meniscal Evaluation (probing): After visualization of the inner rim and femoral surface of the meniscus, probing should be performed to evaluate regions that cannot be visualized and to find non-displaced tears. The use of a probe (Fig. 6) to palpate the meniscus increases the sensitivity for diagnosing meniscal pathology. The palpation with the probe should be performed to assess the integrity of both femoral and tibial surfaces and the meniscal attachments. Irregularities on the surface and hooking of the probe suggest an incomplete or non-displaced bucket handle tear. Hooking of the probe at the periphery of the meniscus should be interpreted carefully because the edge of the caudal pole is only loosely attached to the joint capsule. The probe is also used to evaluate the consistency of the meniscus. A soft meniscus may have a degenerative tear or an horizontal cleavage tear. After diagnosing a bucket handle tear, the rest of the meniscus should be evaluated for multiple tears that can be easily missed. This is important if a partial meniscectomy is performed.

KEY POINTS •

improve the exposure of the meniscus using retractors, distractors and flexion and extension of the stifle joint as needed; apply valgus/external foot rotation to distract the medial compartment, and varus/internal foot rotation to evaluate the lateral meniscus; 50 to 80% of the meniscus can be exposed in most cases while holding the limb at about 110-130 degrees. However, flexion angle may vary depending on the morphology of the dog; consider the steepness of the tibial plateau angle when the scope port is selected: dogs with steeper tibial plateau angle require a more proximal arthroscopy port; use a caudo-medial approach to the stifle joint if the caudal pole cannot be visualized and evaluated with the craniomedial arthrotomy; similarly use a caudal medial arthroscopy port if necessary (for diagnosis and treatment); carefully probe the meniscus to diagnose more challenging tears, including non-displaced or incomplete bucket handle tears and peripheral detachment; after debriding a bucket handle tear, reevaluate the meniscus with the probe to avoid missing a double bucket handle tear.

Partial or Segmental (hemi-) Meniscectomy? Most injuries of the medial meniscus involve the caudal pole, which may present with minimally displaced tears or be folded forward under the femoral condyle. In this position it becomes crushed as a result of the pressure of the

Figure 3 - Meniscal probe (Arthrex).

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Figure 4 - Caudal pole hemimeniscectomy.

Figure 5 - Total meniscectomy.

femoral condyle. The recommended treatment for caudal pole meniscal injury is caudal pole hemimeniscectomy (see Fig. 4). After medial or caudo-medial arthrotomy the peripheral rim of the caudal pole of the medial meniscus is separated from synovial membrane and the meniscus is radially transected at the level of the medial collateral ligament. Then the caudal meniscotibial ligament is transected and the caudal pole is excised. This procedure is also used as a prophylactic procedure by some surgeons. By removing the caudal pole of a grossly intact meniscus the surgeon prevent late meniscal injury because it eliminates completely the source of injury. However, the load transmission role of the menisci depends upon the integrity of the menisci. Although a meniscus-like structure forms from the synovial membrane after caudal pole hemimeniscectomy in 3 to 6 months, this does not prevent the development of secondary osteoarthtitis. Total meniscectomy is defined as removal of the entire meniscus (see Fig. 5). After separating the medial meniscus from the peripheral synovial membrane the caudal and cranial meniscotibial ligaments are transected and the meniscus is excised. Advantages of this procedure include removal of tears of the meniscus that are not visualized and opening an access to the vascular capsular attachments, which allows regeneration. The disadvantages are the increase in contact stress, a greater degree of osteoarthritis and a loss of stability. Total meniscectomy, once the standard treatment for all types of meniscus tears, is now rarely indicated. Only occasionally is a meniscus so severely and extensively damaged that it is necessary to remove the entire meniscus. As noted through the work of Fairbank, total meniscectomy is not a benign operation. Cox et al found that meniscectomies in canine knees lead to gross and microscopic degenerative changes. They also noted that partial meniscectomies lead to less severe degenerative changes. They believed that there was a direct relationship between the degree of degenerative change and the amount of meniscus removed.

Figure 6 - Partial meniscectomy.

Meniscal tears that do not extend to the peripheral rim, may be treated in a more conservative way than a total meniscectomy. A partial meniscectomy is the removal of a damaged section of the meniscus, while preserving the cranial and caudal meniscotibial ligaments (see Fig. 6). When performing a partial meniscectomy through an arthrotomy, adequate exposure is facilitated with suction and by using the levering maneuver described previously. The surgeon grasps the section of the meniscus to be excised and then excises the remaining attachments. Preservation of an intact peripheral rim results in development of less severe osteoarthritis than that associated with complete meniscectomy. While performing a partial meniscectomy, the surgeon should preserve the meniscal attachments to the tibia. Partial meniscectomy will preserve some of the load distribution function of the meniscus only when the meniscotibial ligaments are preserved. Address for correspondence: Antonio Pozzi - University of Florida College of Veterinary Medicine Gainesville, Florida, USA

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Selection of Treatment for Cranial Cruciate Ligament Insufficiency: Osteotomy or not Antonio Pozzi DMV, MS, Dipl ACVS, Florida (USA)

femoro-tibial contact area and associated increased peak contact pressures. When 90° patellar tendon-to-tibial plateau angle was obtained (this required mean advancement of 13.5 ± 1mm), TTA restored normal femoro-tibial contact parameters. Conversely, TPLO failed to restore normal femoro-tibial contact pressure patterns(femoro-tibial contact area remained smaller and peak contact pressures were positioned more caudally on the tibial plateau, when compared with CrCL intact stifles). These findings suggest that TPLO does not reestablish normal joint biomechanics following leveling the tibial plateay to 6°. Progression of osteoarthrosis in dogs treated by TPLO may be partly caused by an abnormal cartilage pressure distribution.

Cranial cruciate ligament disease (CrCLD) is a leading cause of lameness in the dog. Surgical treatment is advised for most dogs with CrCLD. A wide array of surgical techniques has been described for CrCLD dogs. They can be divided into static-constraint or dynamic-constraint (geometry-altering) methods. Two of the most commonly performed geometry-altering techniques are tibial plateau leveling osteotomy (TPLO) and tibial tuberosity advancement (TTA). Extra-capsular techniques are another common technique used for stabilizing a CrCLD stifle.

BIOMECHANICAL COMPARISON (TPLO/TTA)

SURGICAL COMPARISON

It was originally suggested that the goal of TPLO was to level the tibial plateau slope (TPS) relative to the tibial long axis. However, it may well be that this method, like the TTA, reduces cranial tibial thrust by positioning the TPS 90° to the patellar tendon in the extended stifle position of the weightbearing dog. If so, the TPLO moves the tibial plateau to meet the patellar tendon force, whereas for TTA, the force is moved to meet the tibial plateau. In either case, it appears that the end result is the same: the TPS and the patellar tendon become oriented at ~ 90° to each other. It has been suggested that the TPLO may tend to over-correct this goal. Conversely, in clinical practice and from review of in vitro mechanical studies, it appears that with currently available advancement instrumentation some dogs may be under-corrected using TTA. The under-correction, yet to be demonstrated, may be due to the variability in muscle co-contraction or in proximal tibial conformation among patients undergoing surgical treatment. Stifle conformation may also influence rotational stability, which is not statically provided by TPLO or TTA. However, reduction of tibial subluxation may reestablish a normal femorotibial alignment despite the presence of rotational laxity. Further studies needs to evaluate if in vivo dynamic stability can be achieved with TPLO or TTA. Recent in vitro mechanical studies conducted at the University of Florida have shown that cranial tibial subluxation and internal tibial rotation associated with CrCL transection causes a caudal shift in femoro-tibial contact, reduced

TPLO requires considerably more soft tissue elevation around the proximal tibia than does TTA. This may explain the tendency for TTA-treated dogs to regain limb use slightly sooner than TPLO-treated dogs. There is, however, a trend amongst experienced TPLO surgeons toward reduced or no elevation of soft tissues lateral and caudal to the tibia in recent years. While both techniques are advanced procedures requiring strict attention to detail, surgeons experienced with each method tend to regard TTA a simpler technique to master. The TTA implants are typically made of titanium and have a slender profile in comparison to the more bulky TPLO implants most often made of stainless steel. Thus, medial swelling of the proximal tibial region is more usually more prominent in TPLO-treated than in TTA-treated dogs. Conversely, the prominent tibial tuberosity following TTA is, on occasion, objectionable to pet owners. The debate of which technique is superior has not been, and likely, never will be resolved. When one considers the myriad of variables presented to the surgeon such as patient size, activity level, tibial and femoral conformation, degree of CrCLD, concurrent joint pathology, etc it seems unlikely that any single technique would be the “best” for all patients. However, each technique has potential advantages and disadvantages that when applied to specific conditions inherent to the individual patient that may make one technique a logical treatment selection over the other.

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plateau angle with currently available instrumentation that is limited to a 12mm wide spacer cage. Failure to adequately advance the tibial tuberosity could risk residual lameness associated with persistent postoperative stifle instability. In addition, dogs with tibial plateau angle in excess of 35° have a conformational deformity of the stifle joint that place it in a relative angle of hyperextension despite the limb itself not being in the extended position. The TTA does address this conformational deformity.

BIOMECHANICAL COMPARISON (EXTRA-CAPSULAR TECHNIQUES/ TIBIAL OSTEOTOMIES) The biomechanical goal of the extracapsular techniques is to neutralize cranial subluxation and internal tibial rotation of the tibia to allow periarticular fibrosis to develop. Although this fibrosis is often seen as a negative effect of chronicity, it should be interpreted as a normal adaptation of the joint to the instability caused by the CrCL insufficiency. The extra-capsular techniques may facilitate this adaptation by “keeping the femoro-tibial joint in close-to-normal alignment” during healing. Unfortunately, failure of the fixation may occur due to excessive activity and loosening of the implant. The major biomechanical limitation of the extra-capsular techniques is the location of their attachment points. The points of anchorage of lateral suture, for example, are not advantageous for controlling cranio-caudal tibial translation, but are better suited for neutralizing internal tibial rotation. Extra-capsular techniques are sensitive to repetitive high loads: increased level of activity will consistently cause loosening of the prosthesis. However, despite increased instability, the functional outcome may be good to excellent, suggesting that other factors such as in vivo kinematics should be considered. Because of the increased risk of failure in very active dogs, extra-capsular techniques are not recommended (personal experience) for active dogs that may stretch or break the prosthesis before adaptation is achieved. In contrast, dogs of different sizes with a sedentary life may be excellent candidates for extra-capsular techniques.

Angular and Torsional Tibial Deformity - While both procedures are somewhat focused upon reducing cranial tibial thrust instability, loss of CrCL constraint function also puts the stifle at risk of rotational instability. Angular and/or torsional tibial deformity, when present, may contribute to this rotational instability. Because TPLO involves an osteotomy that isolates the proximal articular surface (stifle) from the distal surface (hock), it permits 3-dimensional reorientation of the tibial conformation. That is to say, tibial varus/valgus and/or internal/external torsional deformity can be treated via manipulation of the TPL osteotomy whereas it would require a separate osteotomy if required at the time of TTA. In some cases additional rotational stability can be provided by an extracapsular repair technique, such as lateral suture or Tightrope CCL. Patellar Luxation requiring Tibial Tuberosity Transposition - When CrCLD is complicated by concurrent patellar luxation requiring tibial tuberosity transposition, TTA permits medial or lateral transposition of the isolated tibial crest at the same time that advancement is performed. In contrast, with TPLO, the tibial crest is attached to the remainder of the tibia such that it cannot be medially or laterally transposed independent of the sagittal plane of the tibia unless an additional osteotomy were made. This additional osteotomy adds considerable complexity to the procedure.

CASE SELECTION (TPLO/TTA/EXTRA-CAPSULAR TECHNIQUES/ARTHROSCOPY)

Patient Size - The dimensions of the TTA cage spacer (maximum 12mm width and XX mm overall length) may limit its application in giant breeds of dogs. Methods to augment the TTA procedure in these situations have been described, but add considerable complexity to the procedure.

Low Versus High Patellar Tendon Insertion Point - The shape of the proximal tibia, tibial tuberosity and associated patellar tendon insertion varies considerably between dogs. When performing a TTA, a low (or distal) patellar tendon insertion point upon the tibial tuberosity tends to force the surgeon to use a smaller fixation plate and there is less bony support for the cage spacer. In contrast, when performing TPLO, a low insertion point is favorable as it allows greater tibial plateau rotation while still preserving bony buttress support of the tibial tuberosity. Thus, a low insertion point may favor use of TPLO over that of TTA. A high (proximal) insertion point may favor TTA as it allows the use of a larger TTA plate and provides bony support for the cage spacer, but with TPLO would risk rotation of the tibial plateau to a point below the patellar tendon insertion (putting the tibial tuberosity at risk of fracture due to loss of bony buttress support).

The Highly Unstable Knee - Complete CrCL tear in the absence of surrounding periarticular fibrosis often causes extreme stifle instability. This is in stark contrast to the stifle that is inherently stable by surrounding fibrosis and/or significant remaining CrCL integrity. While both TPLO and TTA reduce strain on the CrCL, the advisability of leaving remaining CrCL fibers intact is debated. Because in clinical practice, a 90° patellar tendon-tibial plateau angle is seldom achieved with TTA (despite preoperative planning), residual stifle instability can be seen following TTA-treatment of the highly unstable stifle in the author’s (RP) clinical experience. A similar situation can arise following TPLO and with either technique the surgeon must be prepared to supplement with a static-constraint technique when deemed necessary.

Excessive Tibial Plateau Slope/Hypoplastic tibial tuberosity - In cases where there is some combination of excessive tibial plateau slope and/or hypoplastic tibial tuberosity, it may not be feasible to accomplish a 90° patellar tendon-tibial

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While each method has inherent advantages and disadvantages, case selection for each method is often dictated by surgeon preference and anecdotal observations. When conscientiously performed, each method can be used to consistently restore limb use of the majority CrCL-deficient dogs to a near-normal state.

ticular fibrosis, a surgical stabilization may not be needed. Instead, joint evaluation and meniscal treatment may be indicated more than a TPLO, TTA or extra-capsular technique.

Address for correspondence: Antonio Pozzi University of Florida College of Veterinary Medicine Gainesville, Florida, USA

The Stable Knee - Chronic CrCL rupture can cause progressive periarticular fibrosis and functionally stabilize the joint. In advanced stages of osteoarthritis and periar-

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Bone Plating: How Do I Choose Type, Length and Screw Position? Antonio Pozzi DMV, MS, Dipl ACVS, Florida (USA)

Plates and screws are versatile implants for different methods and techniques of fracture fixation. Potentially, all types of fracture could be fixed with plates and screws. However, it is important to understand the indications for the different types of plating techniques, and to be aware of the available types of plates. Complications are most commonly related to surgical technique and poor selection of the implant. Common implant-related mistakes include selecting an undersized or a short plate, placing the screws in the fracture line, creating a stress riser with a single empty hole at the fracture site, and using a weak implant in buttress function.

bridges the fracture gap, is generally less rigid than bone and reduces, but does not abolish, fracture motion. A certain degree of micro-motion is necessary for healing. However, excessive motion may be detrimental especially in simple fractures. Splinting is a more flexible method of fixation and is intended for use in multi-fragmentary fractures in the metaphyseal and diaphyseal regions of a long bone. The implants that are generally used as internal or external splints include the interlocking nail, bridge or buttress plates and external fixators. Fixation techniques that aim at relative stability are often associated with biological internal fixation. Splinting (or bridging) a multi-fragmentary fracture gap allows minimal disruption to, and implant spanning of, the fracture hematoma which is responsible for healing. In contrast, to achieve absolute stability, a direct reduction of each fragment is necessary, which disrupts the hematoma and the soft tissues around the fracture. The indications for using techniques that achieve absolute or relative stability differ according to fracture location, fracture configuration, soft tissue conditions and vascularity of the bone. Simple fractures can be anatomically reconstructed, and are therefore good candidates for compression plating. In contrast, comminuted fractures should be treated with splinting. Osteotomies are considered like simple fractures and are treated with compression fixation. Articular fractures should be anatomically reconstructed with compression devices (lag screws). When selecting the type of fixation, careful evaluation of the potential for anatomical reconstruction and compression should always be done. For example; fractures that may initially appear as simple, reconstructable fractures, may instead have enough small fragments to prevent adequate compression. Because the success of the technique depends on the precision of the reduction and the degree of stabilization, the type of plate is a major factor. Generally, medium to large compression plates (2.7 mm or larger) can achieve a substantial compression. However, smaller plates like 2.0 mm DCP plate, VCP plates or finger plates may not develop sufficient interfragmentary compression and may predispose to gap healing. Slower bone healing may challenge the implant more than expected, and increase the risk of failure. If compression cannot be achieved, a splinting method may be appropriate also for a simple fracture.

1. THE CHOICE OF ABSOLUTE OR RELATIVE STABILITY: INDICATIONS FOR COMPRESSION VERSUS SPLINTING METHOD USING BONE PLATES The term stability is defined as the load-dependent displacement of the fracture surfaces. Stability in fracture fixation is a spectrum from absolute to relative. The concepts of absolute and relative stability in fracture fixation are critical to selecting the type of plate and technique of plating. Absolute stability is achieved when the fracture surfaces are compressed with a lag screw or with a compression plate. Preloading the bone and creating a certain amount of deformation in the fracture gap provides interfragmentary compression. The reconstructed bone column is a major contributor to the stability of the construct and bears the main load. No relative motion between fragments is present. As a result of these conditions direct bone healing by osteonal remodeling occurs. The advantage of absolute stability in fracture fixation is that it is a safe method of achieving highly stable constructs, if the fracture patterns allow an anatomical reconstruction. Achieving compression across the fracture is important in protecting the plate from failure. The disadvantage of techniques achieving absolute stability is that they require open direct reduction and they are associated with bone devitalization. Relative stability is observed in fractures that are not completely reconstructed and are fixed by a splint (internal or external). A splint is considered any fixation device that

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Compression

Splinting

Simple fractures

+

+/-

Comminuted fractures

-

+

Osteotomies

+

+

Aticular fractures

+

-

achieve stability by creating friction between the plate and the bone. The implant consists of a plate-like device and locking head screws which together act as an internal fixator. The locking of the head screw into the hole gives the screws axial and angular stability, relative to the plate. Because the stability of the fixation construct does not depend on friction between plate and bone, the bone-screw threads are unlikely to become stripped during insertion. The fixed-angle connection between the screw and the plate clearly offers improved long-term stability. The fixed-angle connection neutralizes the tilting of the screw in the hole. Subsequently, it becomes very difficult for the plate to fail by “pull-out” because the screws cannot be sequentially loaded or pulled out. Locking plates have both mechanical and biological advantages. Because the compression between plate and bone is unnecessary, the periosteal blood supply under the plate remains intact. Preservation of the periosteal vessels may improve healing and decrease the risk of cortical bone necrosis and infection. Another advantage is that the plate does not need to be perfectly contoured, because the bone is not “pulled towards” the plate while tightening the screw. For this reason, locking plates are often used for minimally invasive plate osteosynthesis (MIPO), which involves closed reduction and percutaneous fixation of the fracture. Different locking devices are available, but they all share the concept of fixed-angle device. Some plates may have combination holes that allow placing a conventional screw in compression, neutralization or a locking screw. With increasing availability of new internal fixation devices, the surgeon frequently faces the decision of which type of plate to use. All fractures can be successfully repaired with both conventional and locking plates. However, there are fractures that may benefit from a fixed-angle fixation device, while others may benefit from a compression plate. In general a bone-plate construct with a locking plate provides more stability than a conventional plate when applied in a splinting method. A locking plate may be beneficial for some challenging clinical cases with small fracture segments, poor bone quality, multiple limb injuries and in very large dogs. However, the mechanical properties of the plate are not influenced by the locking system. In other words, the locking system does not decrease the risk of plate failure, which still greatly depends on the area of moment of inertia of the plate. A locking plate may be an excellent choice for periprosthetic fractures because it allows using monocortical screw at the level of the prosthesis (total hip replacement, limb sparing). Another application of locking devices is biological internal fixation, and especially MIPO. In these cases the plate can be approximately contoured and does not require being against the bone. With the locking plate, reduction is not lost after tightening the screws, as it would occur with a poorly contoured conventional plate. In some cases conventional plates, or combination plates that allow both locking and compression (LCP, ALP), are an appropriate choice. In most cases a simple fracture should be treated with the goal of absolute stability using a compression device. Both DCP and LCP are appropriate choices because they allow interfragmentary compression. Metaphyseal fractures can be fixed with anatomically pre-shaped

It is now well accepted that absolute stability, which was originally thought to be necessary for almost all fractures, is mandatory only for articular fractures and only when it can be achieved without damage to the blood supply and soft tissues. The importance of soft tissue care should apply to every technique and stage of fracture fixation. Even when doing an open direct reduction, an effort should be made to minimize the trauma to the soft tissues around the fracture and the periosteum.

2. THE CHOICE OF THE TYPE OF PLATE: LOCKING VERSUS NON-LOCKING PLATES In the last two decades a multitude of plate types and concepts have been described and proposed, in an attempt to decrease the complications of bone plating. The development of new implants and techniques have followed a shift in emphasis of AO philosophy from anatomical reconstruction and absolute stability to anatomical alignment, appropriate stability and atraumatic soft tissue techniques. Concurrent to this change in emphasis in internal fixation, new implants have been developed to fulfill the requirement of these new techniques. Internal fixators, locking plates or angular stable devices, consist of a plate-like implant and locking head screws. Internal fixators have some major differences from conventional plates. Understanding the mechanical properties of the locking plates and the conventional plates is important for choosing the appropriate implant. Conventional non-locking plates achieve stability from the friction that develops between plate and bone as the screw is tightened. Tightening the screw compresses the plate onto the surface of the bone producing friction. If the force exerted on the bone while the patient is walking exceeds the friction limit, relative shearing displacement will occur between the plate and the bone, causing a loss of reduction between the bone fragments, or loosening of the screws, or both. Conventional plates, including dynamic compression plates (DCP) and limited contact dynamic compression plates (LC-DCP) allow compression of bone fragments utilizing the dynamic compression holes. When the compression screws are inserted eccentrically into the end of the oval hole (far from the fracture), the lower hemi-spherical part of the screw head meets the dynamic compression incline of the compression hole. This interaction between the screw head and the compression incline results in fracture compression during screw tightening. The first plate that functioned as a fixator (Zespol system) was developed in 1970 in Poland. Since then, multiple plates have been developed, but all of them share the concept of angular stability. An internal fixator or locking plate does not

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plates with locking holes. However, if the plate is not preshaped and the locking holes are not placed according to the anatomical region, a conventional plate allows more precise placement of the screws. When deciding whether or not to use the locking plates, the following considerations should be made: 1. Fracture location and configuration; 2. Soft tissue conditions; 3. Is a plate or an interlocking nail appropriate? 4. Is the plate combined with other implants? 5. Availability of implants, instruments, and intraoperative imaging; 6. Surgeon’s preference and personal experience.

short segment with concentrated stress. When the innermost screws are further away from the fracture site, the working length of the plate is greater, allowing bone deformation, gap motion and better distribution of stress in the plate. To achieve a greater working length and a sufficient number of screws on either side of the fracture it is necessary to use long plates. Considering that on each side of the fracture there should be three screws and two empty holes, plates of 10 holes or more should be used most of the time. Long plates not only help in overall fracture stability, but also reduce internal plate stress with less likelihood of fatigue failure. As bending stress is distributed over the long segment of the plate without screws, the stress per unit is low which reduces the risk of plate breakage. In short comminuted fractures fixed with bridging plate and screws close to the fracture, stress concentrates in the short segment with empty holes bridging the fracture. As a consequence, the short segment of the plate where stress concentrates breaks more easily due to fatigue. The risk of mechanical failure can be reduced if longer plates are used, despite short zone of comminution, so that stress is deliberately distributed over a proportionately longer section of the plate. This is accomplished by fixing the plate ends, well away from the fracture. This method of fixation of the plate is applicable in biological internal fixation because the plate spans the fracture site, and the screws are only placed at the ends of the plate. An important advantage of using long plates in internal splinting is that it provides the construct with a certain degree of flexibility. Micro-motion in the presence of the appropriate fracture environment promotes fracture healing by callus formation. Callus formation is both faster and more reliable than primary bone healing. This is particularly important when dealing with comminuted fractures. Long plating with fewer screws and a long working length is the most common method of plate fixation to achieve relative stability. Relative stability is more appropriate for biological internal fixation, and MIPO. Relative stability relies on providing sufficient stability at the fracture site while allowing some micromotion, so as to promote rapid and reliable bone healing. The knowledge of the mechanical properties of the plates and the interaction of screws and plate allow the surgeon to “customize” the construct to the patient, based on the fracture configuration and location, the age and size of the animal, and any factor that may affect bone healing.

3. WHAT IS THE IDEAL LENGTH OF THE PLATE? The selection of the appropriate length of the plate is a very important step in the preoperative plan. The plate length depends on the fracture pattern and the function that the plate is intended to serve. To maximize implant stability in bridging plating, long plates with fewer screws should be used to decrease the lever arm and distribute the bending forces. Two values have been used to determine the length of the plate to be used: 1. Plate span ratio is the quotient of the plate length and overall fracture length. Empirically, the plate span should be more than 2-3 in comminuted fractures and more than 8-10 in simple fractures. This means that the plate length should be either 2-3x or 8-10x the length of the fracture, respectively. 2. Plate-screw density is the quotient formed by the number of screws inserted and the number of plate holes. Empirically, values below 0.5 have been recommended. This means that fewer than half of the plate holes should be occupied. It is also important to define the working length of a plate, which is the distance between the innermost screws of the plate. The number and position of the screws is a major determinant of the stability and the mechanical properties of the construct. Two screws in each main fragment are the minimal number required to maintain the bone-implant construct from a purely mechanical point of view. However, loosening of one screw will cause overloading of the other screws, resulting in failure of the whole construct. By increasing the number of screws there is a decrease in the magnitude of load on each screw, and therefore a reduced risk of pull-out. However, more screws weaken the bone. Hence, it is important to find a balance with the appropriate number of screws. It is generally recommended to use three screws on either side of the fracture against bending, and four screws per fragment against torsion. The position of the screws influences the stiffness of the bone-implant construct and stress distribution in the plate. Minimizing the distance between the nearest screws on either side of the bone fragments (also called working length) increases stiffness and reduces gap motion at the fracture. With a short working length the stress is concentrated and there is higher risk of implant failure from cyclic fatigue of the

CONCLUSION The selection of the plate is a major factor in the success of the fracture repair. First, the surgeon should decide if he/she wants to achieve relative or absolute stability. Relative stability is best applied to comminuted fractures, while absolute stability is the first choice in simple fractures. However, simple fractures have also been successfully treated with relative stability. Secondly, it is necessary to choose the size and length of implant. A general rule is that with comminuted fractures the plate should span from one metaphysis to the other, and in simple fractures, four cortices should be engaged at either side of the fracture.

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Advances in Elbow Dysplasia in Dogs Antonio Pozzi DMV, MS, Dipl ACVS, Florida (USA)

Elbow dysplasia is the most common cause of thoracic limb lameness in dogs. Elbow dysplasia is an umbrella term grouping four developmental disease processes of the elbow joints of dogs: fragmented coronoid process (FCP), ununited anconeal process (UAP), osteochondritis dissecans of the medial aspect of the distal humeral condyle (OCD) and elbow incongruity (INC). FCP is the most frequently diagnosed form of elbow dysplasia. It is most commonly first recognized in growing, large and giant breed dogs between seven and nine months of age. Bernese Mountain dogs, Labrador retrievers and Golden retrievers are the breeds most commonly affected.1-3 Males are more commonly affected than females, although this may be a reflection of differential rate of growth.1 Resultant elbow osteoarthritis is the third most common orthopedic condition affecting adult dogs, after conditions affecting the coxofemoral and stifle joints. Clinical signs usually reported in dogs with FCP include stiffness or a stilted forelimb gait, most obvious when first rising or after prolonged rest or vigorous exercise. Bilateral involvement is common in which case lameness may be difficult to detect.4 These dogs often stand with the elbow adducted and the antebrachium externally rotated (supinated) in a presumed attempt to shift weight away from the affected medial compartment to the lateral compartment of the elbow joint. Joint effusion may be present on physical examination. Pain is often elicited during maximal flexion, firm supination in moderate flexion, deep digital pressure over the insertion of biceps brachii tendon on the ulna and extension of the elbow joint.5 These limb manipulations may increase the degree of lameness transiently after the examination. Disease of the medial coronoid process and changes associated with the articulating medial aspect of the distal humeral condyle (trochlea) are the most common pathologic changes noted surgically.4,6 Lesions noted on the medial coronoid process at surgery include cartilage malacia, fibrillation, fissuring and erosion and on histopathology subchondral bone microfissuring and erosion are noted.7 Erosive cartilage lesions, often referred to as ‘kissing lesions’, frequently develop on the articulating surface of the trochlea of the humeral condyle, in association with medial coronoid pathology. ‘Kissing lesions’ are much more likely to occur when there are displaced fragments of the medial

coronoid process rather than in dogs with non-displaced fissures, indicating that both may be due to an underlying pathologic incongruity.4 Treatment of FCP by either conservative management, surgical removal of fragments by either arthrotomy or arthroscopy or corrective osteotomies has yielded similar outcomes.1,8-9 Irrespective of the method of treatment elected, osteoarthritis of the elbow progresses and the prognosis for a return to normal function is guarded. A total elbow replacement procedure may be required in severe cases of elbow osteoarthritis.5 While the etiopathogenesis of UAP and OCD are understood, there is no uniform agreement regarding the etiopathogenesis of FCP. FCP is an inherited trait, although the genes responsible have yet to be identified.10-12 Abnormal endochondral ossification of the coronoid process, abnormal bone structure or abnormal biomechanics of the elbow joint have been proposed as potential mechanisms. Histopathological studies of elbows affected by FCP have demonstrated that these lesions are non-healing fractures, likely a result of repetitive excessive loading.7 Fragmented coronoid process (FCP) was first identified in dogs by Olsson in 1974. 13 It was initially believed that FCP, like OCD of the humeral condyle, was a manifestation of osteochondrosis or a disturbance in endochondral ossification.1,13 However it has since been substantiated that FCP is not a manifestation of osteochondrosis, but instead is a result of supraphysiologic loading, cumulating in fatigue failure and microfracture formation in the trabecular subchondral bone of the craniodistal tip or the radial incisure of the medial coronoid process.5,7,14 Despite extensive research over the past three decades, the exact etiopathogenesis of FCP has yet to be elucidated and remains controversial, although abnormal biomechanics of the elbow resulting in this supra-physiologic loading of the medial coronoid process are considered the most likely cause. Elbow incongruity refers to a malalignment of the articulating surfaces of the bones composing the elbow joint. There are two main types of joint incongruity; physiologic and pathologic. Physiologic incongruity in the elbow joint occurs where the trochlear notch of the elbow has a small concave incongruence that allows more equal stress distribution under high load and ensures better nutrition of the articular cartilage.15-16 Such incongruence is not thought to

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be involved in the development of FCP. Pathologic incongruity refers to humero-ulnar conflict resulting in increased load concentrated in the area of the medial coronoid process. The main current biomechanical theories proposed to cause humero-ulnar conflict and resultant supraphysiologic loading of the medial coronoid process include static elbow incongruity (radio-ulnar length disparity), dynamic elbow incongruity (radio-ulnar longitudinal incongruence), ulnar trochlear notch geometric incongruity, primary rotational instability of the radius and ulna relative to the distal humerus and musculo-tendinous mismatch.5 Whether pathologic incongruity itself is the cause of forelimb pain and lameness is difficult to determine as it is usually associated with FCP.17 Radio-ulnar step incongruity occurs due to disparate growth of the paired radius and ulna during skeletal development. In the case of a short radius, increased contact pressure has been reported in the area of the tip of the medial coronoid process in cadaveric studies of radii shortened experimentally18 and FCP has been induced by premature closure of the distal radial physis and resultant radial shortening (Figure 1C). Radio-ulnar incongruity may be a dynamic state, only occurring at certain joint positions or during elbow loading. Diagnosis of radio-ulnar incongruity during arthroscopy has been reported to have a higher diagnostic value than radiography and computed tomography (CT), as dynamic incongruity may be observed. Dynamic elbow incongruity may be present transiently during the development of elbow dysplasia but resolved by the time of diagnosis, making identification difficult. Geometric incongruity, resulting in an elliptical ulnar trochlear notch that is too constrained to accommodate the humeral condyle, is another proposed etiology (Figure 1B). Theoretically, this anomaly would cause increased pressure to occur on both the anconeal process and the medial coronoid process and both FCP and UAP could occur in the same joint. However, the incidence of UAP and FCP occurring in the same elbow is low and following three-dimensional digitizing studies and those examining the radius of curvature of the ulnar trochlear notch in breeds typically affected compared with those unaffected with FCP, it is considered unlikely that the conformation of the ulnar trochlear notch alone is responsible for clinical disease. Primary rotational instability of the radius and ulna in relation to the humerus has been proposed as a cause of FCP. The articular circumference of the radial head is greater than the corresponding circumference of the radial notch of the ulna which allows axial rotation or pronation and supination of the antebrachium. Primary rotational instability may occur during degrees of pronation and supination of the antebrachium, resulting in lateral shear and excessive loading of the medial coronoid process between the radial head and the medial humeral condyle. The effect of pronation and supination on the contact mechanics and three-dimensional kinematics of the elbow joint has not yet been investigated. The forces transmitted by articular cartilage are the sum of ground-reaction forces and those resulting from the action of musculo-tendinous units. The elbow has a high degree of inherent congruency and during a normal range of motion, the majority of the articular cartilage is in direct contact and

transmitting force. The measurement of contact areas is useful to determine the pressure experienced by articular cartilage and underlying subchondral bone. The larger the overall contact area, the greater the distribution of forces and the lower the peak pressures experienced by the articular cartilage. The development of osteoarthritis depends on the degree of disruption of physiologic load transmission across the articular cartilage surface. Minor changes in normal joint contact stresses may result in cartilage degeneration. Therefore treatment for FCP should aim to restore normal joint contact mechanics, which are currently poorly understood. Previous cadaveric forelimb models have evaluated relative articular contact areas in axially-loaded normal elbows. Polymethyl methacrylate (PMMA) was applied to elbow joint surfaces prior to loading the forelimb with 10 - 12.5 N/kg at an elbow flexion angle of 135º. Following loading, water-soluble paint was applied to the joint surfaces and photographs were obtained. Computer-assisted image analysis was performed to determine the areas void of PMMA that stained with water soluble paint. Three distinct contact areas were identified, including the medial coronoid process. There was no evidence of a surface radio-ulnar incongruity. A physiologic concave incongruity was identified in the normal trochlear notch. There was no change in contact area or location with increasing axial load, although the magnitude of the load applied may have been insufficient to demonstrate a load-dependent change. Two similar studies utilizing colored PMMA were subsequently performed to evaluate the effect of radial shortening, resulting in a static radioulnar step incongruity, with treatment by corrective ulnar ostectomy and humeral osteotomies on contact patterns in normal elbows. The induction of a radio-ulnar step incongruity resulted in a decrease in the combined radio-ulnar contact area, insinuating an increase in local pressure with concentration of forces on the lateral edge of the medial coronoid process. These results lend weight to the theory of radio-ulnar incongruity as a cause of FCP. Solid casting techniques, although repeatable, produce only qualitative data and may underestimate or fail to adequately evaluate some contact regions. Trans-articular force maps of normal elbows and normal elbows following humeral osteotomies have been generated using tactile array pressure sensors. The mean force and force distribution across the proximal radius and ulnar articular surfaces were determined. In normal elbows, approximately 50% of the load transferred through the elbow joint was transmitted through the proximal ulnar contact surface. Abnormalities that increase this load may result in FCP. The exact contact force, contact area, peak and mean contact pressure and peak pressure location could not be obtained from the data supplied by these sensors. I-scan sensors have been investigated for the use in determination of contact mechanics of joints. When comparing Fujifilm pressure sensitive film (standard tool for measuring joint contact mechanics in orthopedic research) with the I-scan system, the I-scan has improved accuracy and repeatability in the measurement of contact area, pressure and force. I-scan sensors will allow us to measure contact force, contact area and peak contact pressure and calculate mean contact pressure.

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In-vivo kinematic studies of the forelimb of dogs at a walk and trot have been reported in two dimensions. The simultaneous investigation of in-vitro three-dimensional kinematics and contact mechanics of normal elbows to determine the effect of elbow position on joint biomechanics has not been investigated. Following the establishment of this cadaveric model to evaluate normal elbows, the contact mechanics and three-dimensional kinematics of elbows affected by FCP and the effect of corrective surgical procedures will be evaluated.

because of severity of cartilage disease of the medial compartment at the time of presentation, there is a rationale and a clinical need for alleviation of pain and, if possible, amelioration of disease progression. Many of these patients are young and total elbow arthroplasty or elbow arthrodesis represent suboptimal therapeutic choices either because of potential complications or potentially poor functional outcome. In vitro studies of normal canine elbows have mapped force distribution across the humero-radial and humeroulnar joints and found approximately 50:50 distribution (Mason, 2005) with three distinct contact areas in the elbow joints of normal dogs (Preston, 2000). There is a radial contact area located on the caudo-medial aspect of the proximal radial articular surface with its longest dimension orientated medio-laterally; a second located on the medial aspect of the distal articular surface of the trochlear notch and extending to the lateral edge of the medial coronoid and a third contact area is located on the cranio-lateral surface of the proximal trochlear notch (Mason, 2005). Initial studies looked at the merits of both a wedge osteotomy and a sliding humeral osteotomy for force redistribution using a mid-diaphyseal humeral osteotomy. The primary goal of osteotomies for the management of osteoarthritis is the redistribution of force through the lateralisation of contact areas and pressure. Load distribution across an articular surface is a result of force and contact area. Medial opening wedge osteotomy or lateral sliding osteotomy (lateral translocation of the proximal humeral diaphysis with respect to the elbow) had been proposed to elicit lateral shifting of the load axis. Increased lateralisation of the proximal humeral segment was achieved by shimming – placing spacers either beneath the proximal end of a medially applied bone plate to force the segment laterally, or placing a wedge between the ends of a mid humeral osteotomy, widest medially. In vitro, this resulted in reduction of force on the cranio-medial edge of the radial head and an increase in contact on the lateral edge. Lateral sliding osteotomy of 4 and 8 mm was compared to wedge osteotomy of 10 and 20 degrees (Mason, 2003). Force at the proximal articular surface of the ulna decreased after lateral sliding humeral osteotomy of 8 mm by 28%. It was proposed that a similar osteotomy performed clinically may be useful in the management of coronoid disease and medial compartmental osteoarthritis by decreasing pain and increasing protential for fibrocartilage healing of the articular surfaces. It was noted that the technique would increase loading of periarticular tissues and that the results of such alteration were uncertain such that iatrogenic injury to the soft tissues surrounding the joint should be avoided. Novel osteotomies have been recently described and are under investigation. The aim of these osteotomies is to achieve similar results to the sliding humeral osteotomy (shift in compartmental pressure) but with a less invasive procedure. A proximal ulnar ostotomy has been developed by Ingo Pfeil and Slobodan Tepic with the goal of causing a valgus tilt of the distal ulna and therefore of the limb. Early clinical results are promising, with resolution of lameness in some severe cases. A similar proximal ulnar osteotomy aiming at rotating the proximal ulnar to create supination has been investigated at the University of Florida. Cadaveric

END STAGE ELBOW OSTEOARTHRITIS Commonly recognised lesions associated with medial coronoid disease are typified by cartilage malacia, fibrillation, fissuring and erosion in addition to subchondral bone micro-cracks and fragmentation. Frictional erosion of the medial humeral condyle (‘kissing lesion’) is frequently associated with coronoid disease whilst osteochondrosis of the medial aspect of the humeral condyle may give rise to lesions of osteochondritis dissecans. This plethora of pathology and ensuing full thickness cartilage erosion with subchondral bone exposure in the region defined by the medial coronoid process and medial aspect of the humeral condyle has been referred to as medial compartment disease (MCD). Elbow incongruity such as radio-ulnar step defects, humeroulnar incongruence/conflict, varus deformity of the humerus or imbalance between skeletal and muscular mechanics may contribute to medial compartment syndrome of the elbow joint in dogs. Pathology of the lateral aspect of the elbow joint is far less commonly observed. Non-surgical treatment of elbow osteoarthritis should always be considered as the first treatment option. Conservative treatment of osteoarthritis is based on 4 major components: 1) weight loss/control, 2) controlled low-impact activity; 3) NSAIDS; 4) chondroprotection. More recent additions to these treatments include physical therapy (a type of controlled low-impact activity), acupuncture, and intra-articular injection of hyaluronic acid, steroids, platelets enriched plasma or autologous conditioned plasma or stem cells. While medical treatment of osteoarthritis is well accepted and has been evaluated in several clinical studies, very few data are available for the most recent treatment modalities. Surgical treatments may include radial or ulnar osteotomies to address perceived incongruity, removal of free fragments and cartilage debris, debridement of lesions and subchondral micro-picking. Osteochondral Autograft Transfer System (OATS™, Arthrex, Naples FL) allows resurfacing of lesions associated with OCD. Osteotomy of the ulna may lead to varus deformity of the limb and subsequent increased load on the medial compartment (Mason, 2003). Radial osteotomy protocol is yet to be well defined and thus-far has produced variable results. None of these techniques are applicable in cases of advanced elbow arthrosis and regardless of the technique employed, arthrosis is progressive. In cases where even these newer techniques are unlikely to result in a favourable clinical outcome because of chronicity of the lesions or

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studies have shown a decrease in medial compartment pressure and an increase in lateral compartment pressure. Clinical cases have not been performed yet. Both techniques are attractive because of their minimal surgical approach and technical ease. Clinical data are needed for validating both techniques. Another options for end stage elbow osteoarthritis include uni- or bi-compartmental arthroplasty. The data available for elbow arthroplasty is still scarce compared to total hip replacement. Total elbow replacement such as the Iowa total elbow or the TATE elbow replacement (both from Biomedtrix) offer semi-constrained implants with cemented or cementless fixation. The early results of the TATE are promising, but further long-term studies are needed. The main limitation of the elbow arthroplasty is that if revision surgery following catastrophic failure is needed, arthrodesis or amputation may be the only options. A more recent surgical option for medial compartment disease consists of a resurfacing prosthesis which aims at eliminating the medial compartment collapse and bone-to-bone contact caused by advanced medial OA. This procedure is called CUE (form Arthrex Vet System). Although few cases have been performed, the initial results are promising with good to excellent return to activity and minimal morbidity.

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Address for correspondence: Antonio Pozzi University of Florida College of Veterinary Medicine Gainesville, Florida, USA

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Disturbi della motilità gastrointestinale e scelta dell'alimentazione Liviana Prola Med Vet, Dr Ric, Torino

La velocità con cui il cibo transita attraverso l’apparato gastro-enterico è una variabile che può essere influenzata sia da fattori intrinseci all’animale sia da caratteristiche proprie della razione somministrata. Pertanto, nei pazienti in cui la motilità gastro-intestinale sia compromessa, è possibile, tramite strategie alimentari, cercare di migliorarne la sintomatologia. Normalmente, lo stomaco ha un tempo di svuotamento che va dalla 6 alle 8 ore per il cane e dalle 4 alle 6 ore per il gatto (Twedt, 2005). La velocità di svuotamento è influenzata dalla formula, dal contenuto in nutrienti, dalle dimensioni del pasto e dalla mole somatica dell’animale (Nelson et al., 2001). Pasti di grosse dimensioni causano un tempo di svuotamento maggiore e il cibo secco viene allontanato dallo stomaco più lentamente rispetto all’umido (Goggin et al., 1998). I liquidi, ovviamente, lasciano lo stomaco più rapidamente rispetto ai solidi, grazie ad un’osmolalità inferiore, questo significa che, tra i liquidi, l’acqua è quella che lascia lo stomaco più rapidamente mentre i liquidi con un osmolalità maggiore (poiché contenenti dei nutrienti) danno dei tempi di svuotamento gastrico maggiori (Fleming, 1997). Inoltre, una temperatura dell’alimento compresa tra quella ambiente e quella corporea è in grado di ottimizzare lo svuotamento gastrico. Infine, uno studio recente sulla misurazione a lungo termine della motilità gastrica, tramite telemetria passiva, ha rilevato differenze significative nei pattern di motilità postprandiale tra Labrador e Beagle ma sono necessari ulteriori approfondimenti sulla variabilità di razza legata alla motilità gastrica (Burger et al., 2006). Nel caso in cui il problema di dismotilità sia ancora più craniale, perciò legato all’esofago, anche la posizione con cui l’alimento e l’acqua vengono somministrati può avere un ruolo; il passaggio nello stomaco può essere facilitato dal posizionamento delle ciotole in una posizione rialzata e/o mantenendo il cane in una posizione verticale appena dopo i pasti (Guilford e Matz, 2003). Di seguito, valuteremo quali sono i principi nutritivi da tenere maggiormente sotto controllo nei pazienti affetti da disturbi della motilità gastrointestinale. Acqua - La temperatura dell’acqua deve essere compresa tra quella ambientale e quella corporea poiché l’acqua fredda ritarda lo svuotamento gastrico. In caso di costipazione, soprattutto nel gatto, può essere utile somministrare un cibo con un’umidità ≥ 75% al fine di determinare un’assunzione ottimale di acqua con l’alimento.

Energia - dal punto di vista pratico, è consigliabile utilizzare una razione caratterizzata da un’elevata densità energetica (> 400 kcal/100 g di alimento) in modo da fornire tutta l’energia di cui l’animale necessità in una quantità di alimento relativamente ridotta. Grassi - livelli lipidici troppo elevati determinano, a livello duodenale, un’aumentata produzione di colecistochinina che ritarda lo svuotamento gastrico. D’altra parte una certa quantità di lipidi nella razione permette di somministrare quantità più ridotte di cibo e garantisce una certa appetibilità (necessaria nel caso di sintomi quali nausea). Pertanto, i livelli lipidici consigliati sono compresi tra il 12 e il 15% (sulla sostanza secca - SS) nel cane e tra il 15 e il 25% (sulla SS) nel gatto. Fibra - Il termine “fibra” si riferisce a molteplici composti categorizzati come carboidrati complessi. Siccome sotto questa categoria ricadono composti con caratteristiche profondamente diverse fra loro, possiamo tranquillamente affermare che questi principi nutritivi rappresentano l’elemento nutrizionale che riveste una maggiore importanza nella regolazione della motilità gastrointestinale. Le diverse categorie di fonti fibrose sono ancora classificate a seconda della loro rapidità di fermentazione e della loro solubilità in acqua. In linea generale si può affermare che le fonti di fibra più fermentescibili producono maggiori quantità di acidi grassi a catena corta (SCFA) e più gas. Inoltre, queste fonti di fibra sono caratterizzate da una maggiore solubilità e da una maggiore capacità di legare l’acqua. L’inclusione della fibra nell’alimentazione del cane e del gatto ha delle funzioni particolari poiché determina la corretta funzionalità intestinale poiché normalizza la motilità (Burrows et al., 1982) e rappresenta il substrato per la produzione microbica degli SCFA che costituiscono l’elemento nutritivo per i colonociti. Molti cibi umidi contengono agenti gelificanti come gomme o idrocolloidi (al fine di migliorare la presentazione dell’alimento). Le fonti di fibra solubile che danno formazione di gel dovrebbero essere evitate nel caso di pazienti affetti da ritardato svuotamento gastrico poiché aumentano la viscosità del contenuto gastrico, ritardando lo svuotamento (Russell e Bass, 1985; Burger et al, 2006). Invece, aumentati livelli di fibra insolubile (es. crusca, cellulosa), nel gatto, non hanno effetto sullo svuotamento gastrico (Armbrust et al., 2003).

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Altri Autori ritengono importante il rapporto tra fibra rapidamente fermentescibile e lentamente fermentescibile (Kritchevsky, 2001). Pertanto, il livello consigliato (espresso come fibra grezza) in caso di pazienti affetti da ritardato svuotamento gastrico è inferiore al 5% (sulla SS). D’altra parte, la fibra solubile che dà origine alla formazione di masse vischiose e gelatinose (es. psyllium, gomma di guar, pectine) può essere sfruttata, con ottimi risultati, in tutti i disturbi di ipermotilità in cui sia necessario rallentare il transito e legare l’acqua in eccesso o nel caso di costipazioni che traggono beneficio dal aumento della percentuale di umidità all’interno delle feci. Nel management della costipazione, sia la fibra solubile che quella insolubile ha una primaria importanza. Il livello di fibra consigliato per i pazienti predisposti alla costipazione deve essere almeno del 7% (espresso come % di fibra grezza sulla SS).

BIBLIOGRAFIA Armbrust LJ, Hoskinson JJ, Lora-Michiels M, et al. Gastric emptying in cats using foods varying in fiber content and kibble shapes. Veterinary Radiology and Ultrasound 2003; 44: 339-343. Burger DM, Wiestner T, Montavon PM, et al. Long-term measurement of gastric motility using passive telemetry and effect of guar and cellulose as food additives in dogs. Journal of Veterinary Medicine A: Physiology, Pathology, and Clinical Medicine 2006; 53(2): 85-96. Burrows CF, Kronfeld DS, Banta CA, et al. Effects of fiber on digestibility and transit time in dogs. Journal of Nutrition 1982; 112: 1726-1732. Fleming CR. Physiology of the gastrointestinal tract: As applied to patients receiving tube enteral nutrition. In: Rombeau JL, Rolandelli RH, et al, eds. Clinical Nutrition; Enteral and Tube Feeding. Philadelphia. PA: WB Saunders Co, 1997; 12-22. Goggin JM, Hoskinson JJ, Butine MD, et al. Scintigraphic assessment of gastric emptying of canned and dry diets in healthy cats. American Journal of Veterinary Research 1998; 59: 388-392. Guilford WG, Matz ME. The nutritional management of gastrointestinal tract disorders in companion animals. NZ Vet J 2003; 51: 284-291. Kritchevsky D. Dietary fiber in health and disease. In: Advanced Dietary Fibre Technology. Oxford, UK: Blackwell Science Ltd, 2001; 151. Nelson OL, Jergens AE, Miles KG, et al. Gastric emptying as assessed by barium-impregnated polyethylene spheres in healthy dogs consuming a commercial kibble ration. Journal of the American Animal Hospital Association 2001; 37: 444-452. Russell J, Bass P. Canine gastric emptying of fiber meals: Influence of meal viscosity and antroduodenal motility. American Journal of Physiology 1985; 249: G662-G667. Twedt DC. Gastric or gastrointestinal motility disorders. In: Tilley LP, Smith FWK, eds. The 5-Minute Veterinary Consult, 3rd ed. Baltimore, MD: Lippincott Williams & Wilkins, 2004: 494-495.

Vitamine e minerali - quando esista una sintomatologia che determini perdite di liquidi attraverso il tratto gastroenterico è importante verificare l’apporto di potassio, cloruri e sodio. Nel caso di stati patologici cronici, la perdita continua di acqua attraverso il tratto gastro-enterico determina la perdita soprattutto di vitamine idrosolubili (vitamine del gruppo B). Le proteine non hanno un ruolo specifico nella regolazione della motilità mentre per alcuni carboidrati (es. lattosio) è descritto l’utilizzo nel caso di costipazioni per la loro caratteristica di richiamare acqua nel lume intestinale. Riassumendo, la regolazione della motilità gastrointestinale attraverso mezzi nutrizionali è da considerarsi un argomento con interessanti sviluppi che richiede, però, approfondimenti ulteriori considerando il fatto che sono coinvolte variabili sia biologiche che chimiche che fisiche.

Address for correspondence Liviana Prola Facoltà di Medicina Veterinaria di Torino

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Marketing Fundamentals Tim Puddle Managing Director, UK

The changes to the environment that the veterinary profession operates in demands that a modern practice is able to effectively communicate what it has to offer its pet owning customers. In this context a veterinary practice manager and owner needs to understand the fundamentals of Marketing as part of their management ‘toolkit’ and the presentation is an introduction to the subject by taking a practical approach for veterinary clinics. It will put this management discipline into the context of the practice philosophy (or practice vision and mission) and examine some simple definitions of Marketing and cover key aspects such as the Marketing Mix (the 4 P’s and the 7 P’s), targeting specific pet owner groups and the role of market research. The presentation will use examples from both inside and outside of the veterinary profession to provide a clear overview of Marketing and highlight how practice managers and owners can work with other team members to achieve the objective of delivering professional standards of pet healthcare profitably whilst satisfying pet owner requirements. The next part of the presentation will focus on marketing professional services and highlight the differences between professional services firms and typical businesses. The global professional services sector grew from $107 billion in 1980 to $911 billion in 2000 due to the increasing demand for the services of lawyers, consultants, accountants and other service-providers. Although most of this growth has come in business to business areas the common factor with the veterinary profession is that of expert advice being the most important driver in the growth of the sector. A veterinary practice does not sell its services to other businesses but it does sell its professional advice to pet owners and there are some learnings to be gained from examining the broader professional services sector. In a typical business market

some companies will look to gain a competitive advantage from offering a low-cost option (e.g. Aldi, Ryanair) to its customers but as the key costs in a professional services firm are the people most practices seek to gain a competitive advantage through establishing differences which are valued by their customers. This part of the presentation will examine the strategic options for a veterinary practice to develop its business through marketing itself to pet owners, including the products and services it offers, the geographic spread, the approach to customer service and the level of fees charged to pet owners. The final part of the presentation looks at promotional strategies. In the past a veterinary practice advertised its services by simply putting up a brass plate outside its premises and the pet owning clients were happy just to visit ‘the vet’ when their pet had a problem. The modern practice must take a more proactive approach to inform pet owners about the many services and products that it has to offer to both cure and prevent disease. It also has to communicate clearly why pet owners should visit their specific practice, highlighting its unique differences and how their pet will be in better health after a visit to the practice. The purpose of the marketing communications or promotional strategies can be broadly separated into two overall objectives, firstly to retain existing customers, encouraging responsible pet care which will grow their visit and purchase frequency and secondly to attract new customers. These two objectives, customer retention and customer attraction require different promotional strategies and a different approach to the use of public relations, advertising, loyalty rewards and website content. The presentation uses examples to highlight the typical strategies that are deployed by veterinary practices and how to gain the most impact from the resources put into these approaches.

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Retailing for Vet Practices Tim Puddle Managing Director, UK

This presentation is about how veterinary practices can more effectively sell its products and services to customers. Although a veterinary practice is not a shop it does however retail many products and services to customers and in some practices the non-professional income (e.g. drug, pet food and other sales) can be nearly a half of all income. The retail area of the practice is therefore crucial in terms of its sales but also in terms of its impression on the pet owners to ensure that it correctly communicates the practice values and professional expertise. The management of this retail area

requires a professional approach so that it is an integral part of the practice and its purpose to promote pet health care. In addition this retail area is also an important source of income and there are many ways that it could be further developed for the beneďŹ t of the pets, the owners and the practice which will avoid losing sales to alternative retailers (e.g. supermarkets, pet shops). Insights and examples from both inside and outside of the veterinary profession will help you to identify opportunities to improve your retail offer in an increasingly competitive environment.

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Connecting with Customers Tim Puddle Managing Director, UK

How much do we understand about how our customers act and buy veterinary products and services and what can we learn from successful businesses who do understand their customers which are outside of the veterinary profession? This presentation will examine how non-veterinary retailers in Europe systematically collect and use information about their shoppers to adjust their product ranges, promotions and customer service. Although there is less information available about pet owners shopping habits in the veterinary profession it is correspondingly much easier in a smaller, more personal environment to interact and observe customers in order to gain a working understanding of what is important

to them and how to improve your offer to them. After all it is key to remember that much of business success comes from developing positive relationships with your existing customers and finding out ways to look after them better. The presentation will encourage the adoption of a customer mindset within the practice and it will cover subjects such as the different customer missions when visiting a practice, typical customer journeys, the key contact points and how to make the most of these contacts. The result of a better understanding of customers’ needs will be increased customer satisfaction and loyalty and higher profits from an improved matching of products and services to customers needs.

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Helping Practices to Be More Commercial and Profitable Tim Puddle Managing Director, UK

more focused on preventative care to keep pets healthy but they may have also lost the exclusivity to prescribe and sell medicines. The rise of veterinary groups and specialisation in practice has meant that pet owners are now faced with a wider choice of veterinary practices and they are also becoming more demanding in their expectations of communication and service from all their service-providers including veterinary practices. There are a number of tools and techniques that the veterinary practice can employ to help it to both manage the costs and drive sales. A simple balanced scorecard can be adopted to provide a ‘dashboard’ of measures in the key areas of the practice (people, clinical operations, finance, customer service, community). The sigmoid curve can act as a stimulus to look for new ideas to grow the practice from other veterinary practices, from other professions, from other businesses and from the people within the practice. The presentation will include examples from both commercial and professional sectors.

A veterinary clinic is a professional practice and the traditional view is that it is different to a normal commercial business whose principal aim is to make a profit by producing and selling products and services which satisfy its customers. However, every veterinary practice must make a profit to survive and to be able to invest in the development of its people, facilities, equipment and service to customers. There are two principal ways to increase profits, to cut the costs of practice (rent, salaries, utility bills etc.) and/or to increase the sales of practice services and products to its customers. Ideally, the modern practice must focus on controlling its costs at the same time as looking for ways to increase its sales to customers. The traditional model of a veterinary practice where the principal focus was the application of clinical knowledge and skills has now evolved into many different forms of practice due to the enormous changes that have occurred in the past 20 years. Veterinary practices have taken on board new drugs, clinical equipment and techniques and are now

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Misurazione della pressione arteriosa durante l'anestesia: sopravvalutata o realmente utile? Roberto Rabozzi Med Vet, Vasto (CH)

Esiste inoltre un sistema di regolazione di autocontrollo del flusso regionale presente in tutti i distretti circolatori, tranne che nel polmone, finalizzato a mantenere costante il flusso d’organo all’interno di un range di oscillazione della PA. I limiti dell’intervallo di autoregolazione e l’entità della costanza di flusso variano da organo a organo. Il meccanismo di base dell’autoregolazione è la risposta miogena; aumenti della PA innescano la contrazione della muscolatura vasale in modo indipendente dall’innervazione autonoma. Nell’autoregolazione, il vaso si comporta in maniera passiva fino ad un certo valore di pressione oltre il quale reagisce costringendosi. Di particolare interesse in anestesia è il sistema di autocontrollo renale. Nel cane vi è una concomitante autoregolazione tra flusso renale (RBF) e velocità di filtrazione glomerulare (GFR) con valori di PA compresi tra 80 e 160 mmHg. Il valore medio del limite inferiore di autoregolazione del RBF nel cane è di 65 (±1) mHg con un ampio range di oscillazione (61-71 mmHg). Il valore medio nel cane del limite inferiore di autoregolazione della GFR si attesta invece a 80 (±3,5) mmHg con range tra 71 e 87 mmHg.1 Ciò si traduce in importanti ripercussioni cliniche: il GFR infatti diminuisce con valori di MAP inferiori a 80 mmHg e cessa completamente per valori inferiori a 40 mmHg. Oltre alla notevole variabilità nel valore di autoregolazione renale nel cane sveglio, altre condizioni quali l’effetto dei farmaci anestetici, l’uso di vasoattivi o le condizioni d’organo, possono ulteriormente aumentare le differenze interindividuali nei valori di autoregolazione renale. L’ipotensione in anestesia, generalmente definita come un valore di pressione arteriosa sistolica (SAP) e media (MAP) inferiore rispettivamente a 90 e 60 mmHg, è il valore a cui seguono delle rapide risposte barocettoriali; è un evento abbastanza frequente in anestesia e dipende dall’azione combinata dei farmaci anestetici sia sulla funzione ventricolare (diminuzione dell’inotropismo) che sulle resistenze periferiche (vasodilatazione e diminuzione del preload). La reale incidenza in anestesia dipende sia dal tipo di tecnica anestetica usata, che dalle variabili del paziente da sottoporre ad anestesia. Nell’uomo può variare dal 10 al 25 % nel paziente sano in anestesia generale, fino ad arrivare a valori superiori al 40 % nel paziente in anestesia integrata (epidurale con anestesia generale). Ogni paziente presenta inoltre un diverso rischio atteso di ipotensione intraoperatoria a seconda delle sue variabili di presentazione (peso, età, clas-

INTRODUZIONE Le prima descrizione nell’uso della misurazione della pressione arteriosa (PA) in anestesia risale già ai primi anni del novecento (Cushing 1901). Ai giorni nostri il monitoraggio della PA è incluso tra gli standard minimi di sicurezza in anestesia, sia nelle linee guida delle associazioni di anestesia umana (ASA),, che nelle linee guida della società americana di anestesia veterinaria (ACVA). La misurazione della PA è finalizzata a mantenere un’adeguata perfusione regionale. La PA rappresenta uno degli indici più comunemente usati per valutare la funzione cardiocircolatoria, ed il suo valore è direttamente proporzionale sia al volume di gittata cardiaca per minuto (CO), che al valore delle resistenze periferiche (SVR). Le resistenze periferiche totali (SVR) sono principalmente modulate dal sistema neurovegetativo. La regolazione a breve termine è controllata in prima istanza dal sistema nervoso attraverso tre elementi: i barocettori, i chemocettori ed il riflesso ischemico centrale. Il sistema dei barocettori rappresenta il mezzo di controllo istantaneo e permanente della PA ed è di particolare interesse in anestesia poiché è principalmente modulato dall’azione dei farmaci anestetici. Nel soggetto sveglio la forza idrostatica trans-murale, sia a livello del sistema resistivo che a livello del sistema capacitante, è captata rispettivamente dai barocettori carotidei ed aortici (recettori di alta pressione), e dai recettori volemici atriali destri (recettori a bassa pressione). Queste afferenze raggiungono successivamente i centri di risposta situati nel tronco cerebrale. Maggiore è la forza trasmurale e maggiore è la frequenza di scarica dei pressocettori. In corso di ipotensione arteriosa vi è una diminuzione della loro frequenza di scarica con conseguente riduzione dell’attività vagale ed un aumento di quella simpatica (tachicardia e vasocostrizione compensatoria). La risposta ad un aumento della PA determina invece una riduzione dell’attività adrenergica ed un aumento relativo del tono parasimpatico (bradicardia riflessa). In corso di anestesia il grado di risposta evocabile dal sistema barocettoriale viene ridotto in misura variabile a seconda del farmaco anestetico usato. Il sistema vasomotorio renale agisce a medio termine sulla regolazione della pressione arteriosa, e comprende un sistema vasocostrittore, il sistema renina-angiotensina, ed un sistema vasodilatatore, il sistema bradichinine-chinine.

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sificazione ASA, paziente in emergenza/urgenza, etc). In anestesia veterinaria la reale incidenza del fenomeno varia a seconda della sensibilità della tecnica di monitoraggio e della definizione adottata di ipotensione. In una recente analisi retrospettiva su 1281 cani sottoposti ad anestesia generale l’evento ipotensivo è stato descritto nel 38% dei pazienti.2 Una percentuale simile è inoltre descritta anche in corso di anestesia integrata spinale – generale nel cane; una recente valutazione retrospettiva sulla sicurezza della tecnica ha evidenziato una percentuale di ipotensione del 29 %.3 Il limite categorico di ipotensione pericolosa per la perfusione regionale del paziente generalmente proposto in letteratura (< 60 mmHg MAP) dovrebbe essere interpretato in base a variabili legate sia al paziente che al tipo di chirurgia. Nell’anestesia del paziente pediatrico la pressione arteriosa considerata come ottimale, dovrebbe essere valutata in relazione alla progressiva maturazione del sistema neurovegetativo. Per un paziente di 3 mesi la pressione arteriosa media da sveglio è già prossima ai 60 mmHg, mentre a fine maturazione del neurovegetativo (7-8 mesi) l’aumento delle resistenze periferiche porta ad avere una MAP nel soggetto sveglio, superiore a 90 mmHg. Anche le esigenze chirurgiche influenzano i limiti di pressione definibili come ottimali in anestesia. Inoltre essendo la perfusione regionale funzione non solo della pressione (PA) ma anche del flusso (CO), in corso ad esempio di bradicardia (bassa gittata cardiaca), anche mantenere una MAP di poco superiore ai 60-65 mmHg potrebbe comunque non garantire un adeguato apporto di ossigeno ai tessuti. Esistono inoltre delle condizioni di rischio che possono compromettere la perfusione regionale. Sia l’aumento della pressione venosa o della pressione intraddominale (IAP) possono compromettere la perfusione regionale pur in presenza di una adeguata PA sistemica. Bisogna infatti ricordare come nel calcolo della pressione di perfusione degli organi addominali la MAP deve essere corretta secondo la formula MAP - 2(IAP). Anche nel cane come nell’uomo sono descritti casi di anuria secondari ad aumenti anche moderati di IAP.4

costino in modo significativo dal corretto valore (validazione di una misura). Tutte le recenti comparazioni dei metodi di misura della pressione arteriosa con metodo oscillometrico indiretto versus la misurazione diretta della PA con catetere arterioso hanno fallito nella validazione di questa misura secondo le recenti linee guida dell’ACVIM, sia nel soggetto in anestesia che nel paziente critico.5-6 La valutazione con metodica doppler della PA, pur disponendo potenzialmente di una migliore accuratezza nella determinazione della PA sistolica verso i metodi oscillometrici, presenta delle chiare limitazioni pratiche nella rilevazione continuativa della PA in anestesia. La misura della PA con metodo invasivo, pur con le giuste cautele per la possibile imprecisione del valore della pressione sistolica a causa degli eventuali fenomeni di risonanza della linea d’infusione, è attualmente il “gold standard” per la misurazione sia della PA diastolica che media nel cane ed è il miglior aiuto per l’anestesista nel prendere le corrette decisioni terapeutiche sull’emodinamica perioperatoria.

BIBLIOGRAFIA 1.

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STRUMENTI DI MISURA DELLA PRESSIONE ARTERIOSA IN ANESTESIA Un sistema di misura per essere considerato utile e poter essere utilizzato per prendere decisioni terapeutiche dovrebbe presentare un errore di precisone (eccessiva varianza della misura rispetto alla media campionaria di riferimento) ed un errore di accuratezza (eccessiva differenza tra valore medio campionario e valore di riferimento) che non si dis-

Kirchheim H. R., Ehmke H.,. Hackenthal E,. Lfiwe W, and. Persson P. (1987) Autoregulation of renal blood flow, glomerular filtration rate and renin release in conscious dogs Pfliigers Arch 410:441-449. Redondo JI, Rubio M, Soler G, Serra I, Soler C, Gómez-Villamandos RJ. (2007) Normal values and incidence of cardiorespiratory complications in dogs during general anaesthesia. A review of 1281 cases J Vet Med A Physiol Pathol Clin Med. Nov;54(9):470-7 Sarotti D, Rabozzi R, Corletto F. (2011) Efficacy and side effects of intraoperative analgesia with intrathecal bupivacaine and levobupivacaine: a retrospective study in 82 dogs. Vet Anaesth Analg. May; 38(3):240-51. Conzemius MG, Sammarco JL, Holt DE, Smith GK. (1995) Clinical determination of preoperative and postoperative intra-abdominal pressures in dogs. Veterinary Surgery May-Jun;24(3):195-201. Wernick M, Doherr M, Howard J, Francey T. (2010) Evaluation of high-definition and conventional oscillometric blood pressure measurement in anaesthetised dogs using ACVIM guidelines. J Small Anim Pract. 2010 Jun;51(6):318-24. Bosiack AP, Mann FA, Dodam JR, Wagner-Mann CC, Branson KR. (2010) Comparison of ultrasonic Doppler flow monitor, oscillometric, and direct arterial blood pressure measurements in ill dogs. J Vet Emerg Crit Care 20(2):207-15.

Indirizzo per la corrispondenza: Roberto Rabozzi - c/o Clinica Veterinaria dell’Adriatico Via Ciccarone 119/E - Vasto (CH) - Tel. 0873-60965 E-mail rob.rabozzi@gmail.com www.clinicaveterinariaadriatico.it

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Complicazioni emodinamiche durante le anestesie neuroassiali: incidenza e gestione Roberto Rabozzi Med Vet, Vasto (CH)

lungamento del sistema di conduzione e del periodo refrattario del nodo Atrioventricolare (NAV), può favorire l’insorgenza di blocchi atrioventricolari di diverso grado. Anche l’azione di pompa del cuore, è influenzata dall’estensione craniale del blocco simpatico, con riduzione della forza contrattile miocardica che comunque non raggiunge, nel soggetto sano, valori pericolosi per la vita del paziente. Questi effetti combinati portano, nei cani con TEA in anestesia generale, una riduzione della frequenza cardiaca e della forza contrattile (dp/dt) che può variare dal 15 al 30% rispetto ai soggetti di controllo con sola anestesia generale.1 Il medesimo studio dimostra inoltre che la TEA integrata all’anestesia generale determina la depressione dei meccanismi di compenso (assenza di tachicardia compensatoria). Chiari vantaggi, documentati sia nell’uomo che su animali da esperimento, come l’aumento del flusso di sangue endocardico per inibizione dei fenomeni di vasocostrizione coronarica o la diminuzione dei danni riperfusivi post-ischemici, nel cane devono ancora trovare evidenza di utilità in ambito clinico. Inoltre sono necessari studi che dimostrino in veterinaria un miglioramento dell’outcome perioperatorio dei nostri pazienti. La vasodilatazione sistemica (diminuzione del preload) associata alla diminuzione dell’outflow simpatico a livello cardiaco (diminuzione contrattilità e bradicardia) possono comportare un deficit acuto di perfusione coronarica che in presenza di bilancio neurovegetativo contraddistinto da un ipertono parasimpatico (dovuto alla simpaticolisi), possono esitare in asistolia (riflesso di Bezold-Jarish). Gran parte dei casi, di arresti cardiaci in corso di anestesia spinale riportati nell’uomo (0,03-0,06%), sono probabilmente da attribuirsi a tale riflesso. Non esistono dati sulla reale incidenza nella popolazione veterinaria di questo fenomeno in anestesia neuroassiale, anche se sono stati fino ad ora descritti sia casi di transitoria asistolia in corso di anestesia extradurale che gravi bradiaritmie.2-3 Una recente valutazione retrospettiva sull’incidenza di moderata ipotensione in corso di spinale in anestesia generale nel cane, non ha mostrato significative differenze rispetto alla frequenza di eventi attesi nell’anestesia spinale nell’uomo (in entrambe le popolazioni meno del 30%).4

INTRODUZIONE L’anestesia neuroassiale, ottenuta con somministrazione di anestetico locale (AL) nello spazio epidurale (anestesia epidurale) e/o nello spazio subaracnoideo (anestesia spinale), è una tecnica di facile esecuzione che garantisce un ottimo controllo della risposta endocrino-metabolica allo stress chirurgico intraoperatorio e una migliore analgesia post-operatoria rispetto all’infusione di farmaci analgesici per via sistemica. A differenza dell’uomo, ove tali tecniche sono eseguite con o senza sedazione/anestesia generale, nel cane e gatto solitamente vengono associate ad anestesia generale (anestesia integrata). La somministrazione di anestetico locale a livello rachideo, oltre che a determinare la deafferentazione nocicettiva delle strutture somatiche e viscerali di interesse chirurgico, comporta anche una denervazione simpatica in grado di provocare effetti emodinamici indesiderati. Una limitata estensione del blocco simpatico permette all’organismo di mantenere una buona omeostasi pressoria grazie a meccanismi di compenso che determinano un aumento relativo delle resistenze periferiche (vasocostrizione compensatoria) nelle regioni corporee non interessate dal blocco anestetico. Nell’uomo l’entità degli effetti cardiovascolari è proporzionale all’estensione del blocco anestetico ed alla capacità del paziente di conservare ed attivare i meccanismi di compenso fisiologici. Nel cane un blocco delle fibre simpatiche craniali a T5 può comportare l’inattivazione dei centri di controllo pressori simpatici e quindi determinare ipotensione. ùUn’ampia estensione del blocco simpatico, per migrazione craniale dell’anestetico (tra T1 e T5), comporta inoltre degli importanti effetti fisiologici sul sistema di controllo neurovegetativo della frequenza cardiaca. Il blocco delle fibre cardiache pregangliari e quindi delle fibre cardio-accelleratrici comporta una consistente riduzione della frequenza cardiaca (bradicardia). In corso di Anestesia Epidurale Toracica (TEA) è stato evidenziato un’importante alterazione dell’elettrofisiologia cardiaca con incremento del potenziale d’azione monofasico ed aumento del periodo refrattario ventricolare in cani sperimentali. Tutte queste alterazioni possono determinare un’azione di protezione per le aritmie ventricolari. Viceversa il pro-

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Bisogna inoltre evitare altri errori metodologici che possono comportare gravi complicazioni emodinamiche. L’esecuzione del test di aspirazione, per escludere una somministrazione intravascolare, è particolarmente importante quando si usano farmaci come la bupivacaina, la ropivacaina o la Lbupivacaina. La fibrillazione ventricolare (FV), preceduta da severa ipotensione, è la causa di morte sia nei modelli sperimentali che nell’uomo in caso di somministrazione intravascolare di AL. Altri fenomeni elettrici possibili e che solitamente possono precedere la FV, sono l’allungamento del tempo PR, lo slargamento del QRS a causa del blocco dei canali del calcio in fase diastolica, mentre l’allungamento del tempo QT è inerente alla perturbazione dei canali del potassio. La somministrazione intravascolare di lidocaina o mepivacaina alla dose programmata epidurale o spinale, determina una concentrazione plasmatica ampiamente al di sotto della dose cardiotossica, provocando solo un conseguente fallimento del piano di analgesia programmato in assenza di effetti collaterali significativi. In caso di somministrazione di AL per via intravascolare con raggiungimento della soglia plasmatica cardiotossica, le percentuali di successo della rianimazione per bupivacaina racemica, levobupivacaina, ropivacaina e lidocaina sono rispettivamente del 50%, 70%, 90% e 100%. Durante la rianimazione di un arresto o di una FV determinata da tossicità sistemica da AL, oltre il massaggio cardiaco è possibile somministrare una emulsione di acidi grassi (intralipid 20%) in bolo a 4 ml/kg seguito da un’infusione a 0.5 mL/kg/min per 10 minuti meglio se con adrenalina per aumentare la pressione di perfusione coronarica. 5

PREVENZIONE E TERAPIA DELLE COMPLICANZE EMODINAMICHE Il miglior modo per evitare la depressione emodinamica in corso di anestesia neuroassiale è limitare, ove possibile, l’ampiezza del blocco alle sole zone interessate dallo stimolo chirurgico ed eseguire la tecnica solo in pazienti esenti da significativi riduzioni basali del preload (ipovolemia). La contemporanea simpaticolisi del pool venoso splancnico e del tratto toracico dovrebbe sempre essere evitata. L’ipotensione può comunque essere controllata con l’uso di farmaci vasopressori. L’efedrina, in quanto venocostrittore, è sicuramente un farmaco utile in corso di anestesia neuroassiale poiché è in grado di reclutare una parte del pool venoso splancnico ed aumentare il ritorno venoso. La debole attività come vasocostrittore arterioso alle dosi solitamente usate nel cane (25-100 mcg/kg) ed il rapido instaurarsi del fenomeno di tachifilassi per esaurimento dell’azione adrenergica indiretta già dopo 2-3 boli, lo rendono però utile solo come farmaco di primo intervento. Un reale ed efficace ripristino delle resistenze periferiche sistemiche si ottiene solo con l’uso o di un farmaco vasocostrittore puro come la noradrenalina o un farmaco misto ad attività α-β recettoriale come la dopamina. La diminuzione del preload dovrebbe essere contrastata con il rapido rimpiazzo volemico ottenuto con soluzioni di cristalloidi o colloidi. In caso di profonda bradicardia, l’eccesivo tono parasimpatico può essere controllato con la somministrazione di atropina IV e/o l’uso di β agonisti come l’adrenalina. L’uso di tecniche maggiormente selettive come il catetere epidurale o l’anestesia spinale selettiva e unilaterale con soluzioni ipo/iperbariche dovrebbe essere sempre preferita a dosi elevate di AL isobarico a livello spinale o all’epidurale con grandi volumi di AL a livello lombo-sacrale. In corso di anestesia epidurale la mancata verifica del corretto spazio anatomico prima della somministrazione di AL può portare a pericolosi sovradosaggi a causa dell’accidentale somministrazione subaracnoidea. Molto rara, ma sempre possibile, durante i tentativi di ricerca dello spazio epidurale, è l’accidentale somministrazione di parte di AL a livello subdurale. Nel caso di mancata evidenziazione di liquor ed una inaspettata estensione craniale, soprattutto del blocco sensitivo e simpatico, e contemporanea depressione cardiovascolare, si può formulare un sospetto clinico di iniezione subdurale. Il quadro a volte è simile ad una anestesia spinale totale (blocco completo del simpatico toracico con bradicardia e ipotensione, depressione respiratoria per paralisi muscoli respiratori, fenomeni neurologici transitori come l’Horner o di Shiff-Sherrington) ma con un onset generalmente piu lento e una risoluzione del blocco più rapida. Sono comunque descritti anche blocchi subdurali ad estensione ampia e con rapido onset degli effetti collaterali.

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Indirizzo per la corrispondenza: Roberto Rabozzi - c/o Clinica Veterinaria dell’Adriatico Via Ciccarone 119/E - Vasto (CH) - Tel. 0873-60965 E-mail rob.rabozzi@gmail.com www.clinicaveterinariaadriatico.it

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Le comunicazioni oro nasali acquisite; principi diagnostici e chirurgie semplici in una sede anatomica complessa Mirko Radice Med Vet, Desio (MI)

ture dentali, fratture mascellari, abrasioni e contusioni facciali14-15. Le comunicazioni oronasali derivanti da problemi dentali possono presentarsi con lieve scolo nasale, alitosi e starnuti; per arrivare nei casi più gravi a rigurgito e difficoltà respiratorie importanti, con tosse e respiro stertoroso, possibile preludio di una polmonite ab ingestis3. Se la lesione è invece legata a folgorazione, sono sovente presenti danni alle labbra, alle arcate mascellari e mandibolari, oltre che al palato.3-16

INTRODUZIONE Le comunicazioni oronasali rappresentano delle comunicazioni patologiche tra cavità orale e cavità nasale. Possono essere di origine genetica o la conseguenza di patologie in partenza dalla cavità orale o nasale. Possono svilupparsi a livello del margine alveolare mascellare o coinvolgere il palato. Dal momento in cui si instaurata la lesione, è possibile il passaggio di liquidi e solidi dalla cavità orale alla cavità nasale,1-2 occorrenza che favorisce lo sviluppo di complicanze quali: riniti croniche e polmoniti ab ingestis.2-3-4 In presenza di parodontopatie gravi del canino mascellare, il versante palatale risulta essere la sede maggiormente interessata dalla formazione di comunicazioni oronasali. Lo scopo del trattamento sarà rivolto ad un precoce ripristino della naturale separazione delle due parti anatomiche. Nell’ambito di questa relazione non vengono trattate le comunicazioni oronasali di origine genetica, ma verranno prese in considerazione tecniche chirurgiche che possono essere impiegate anche per la risoluzione di tali difetti.

DIAGNOSI Se la lesione è estesa, la diagnosi può essere facilmente stabilita con una semplice ispezione del cavo orale e con il paziente vigile. Nel caso invece di lesioni molto piccole, si possono rendere necessarie la sedazione del soggetto e la valutazione tramite specilli e sonde17. L’inoculazione di una soluzione di lavaggio, previa intubazione e zaffatura della faringe, evidenzia in corso di fistola oronasale la fuoriuscita del liquido attraverso la narice2. L’indagine radiografica risulta meno utile per la valutazione delle comunicazioni oro/nasali, pur essendone sempre consigliabile la sua realizzazione allo scopo di valutare: variazione della trabecolatura ossea, dimensione del difetto osseo, presenza di eventuali corpi estranei radiopachi.17 La rinoscopia può essere presa in considerazione quando si abbia il sospetto della presenza di corpi estranei non radiopachi. Infine l’utilizzo dell’esame tomografico può risultare utile per una miglior valutazione del difetto osseo e per stabilire con maggior chiarezza il piano di trattamento.

EZIOLOGIA L’eziologia delle comunicazioni oronasali, sul margine alveolare, è principalmente legata alla presenza di patologie dentali: parodontopatie, lesioni endodontiche o esiti di pregresse estrazioni5. La presenza di una delle suddette patologie porta ad una lisi del sottile osso alveolare posto tra l’apice radicolare e le cavità nasali e alla conseguente formazione di una comunicazione oronasale. Per quanto concerne invece i difetti localizzati a livello palatale, essi sono principalmente legati ad eventi traumatici: lotte fra animali6-7, colpi d’arma da fuoco8-9, corpi estranei10-11, traumatismi da malocclusione (linguoversione dei canini mandibolari)12-13, traumi da caduta (High-rise syndrome in cats)14-15 ed in fine folgorazioni3-16.

GESTIONE DEL PAZIENTE Deve prendere in considerazione diversi fattori, primo fra tutti la causa della lesione. Nelle forme traumatiche si dovrà porre particolare attenzione alle eventuali concomitanti lesioni toraciche, addominali o alla presenza di fratture splancnocraniche, in particolare a carico di quelle aree anatomiche che, come la bibliografia riporta, sono principalmente coinvolte nel corso di traumi: sinfisi e articolazione temporomandibolare.15 È inoltre consigliabile attendere 4872 ore, prima di intervenire chirurgicamente, sia per stabi-

SINTOMI Variano in base alla gravità e all’eziologia delle lesioni. Le forme traumatiche sono generalmente associate a epistassi e/o emottisi, alterazioni dell’occlusione dentale, frat-

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lizzare il soggetto sia per delineare meglio le eventuali aree di necrosi18. In soggetti con traumatismi splancnocranici sono di fondamentale importanza due fattori: il controllo del dolore e una rapida ripresa della somministrazione di cibo. Non è possibile trattare in maniera dettagliata queste due parti, rimandiamo dunque ai testi specifici sulla terapia del dolore e sulla nutrizione parenterale. Nel caso di lesioni derivanti da folgorazioni, la bibliografia riporta tempi di attesa anche di 2-3 settimane, prima che si delineino completamente le aree necrotiche.18

6.

7. 8. 9.

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TRATTAMENTO

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La bibliografia riporta un numero significativo di tecniche impiegate per la risoluzione di questi difetti: • Tecniche conservative15-20 • Semplice sutura dei margini21 • Tecniche a lembi (mono-bipeduncolati, palatali, muco gengivali, vomerali, mucocutanei, miofasciali)22-23 • Tecniche osteogeniche (per distrazione, con innesti ossei)24 • Tecniche con innesti cartilaginei (innesto di cartilagine auricolare)25 • Tecniche protesiche (con leghe o materiali resinosi)26 In questa relazione vengono prese in considerazione le tecniche considerate “più semplici da attuare”, per tipologie di comunicazioni oronasali, che frequentemente ci troviamo ad affrontare nella pratica quotidiana. Un particolare interesse viene posto alle strutture anatomiche, alla metodica diagnostica, ai passaggi chirurgici ritenuti essenziali per la buona riuscita del nostro intervento chirurgico.

13. 14. 15. 16.

17.

18.

19. 20. 21. 22.

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Indirizzo per la corrispondenza: Mirko Radice Ambulatorio Veterinario Dentalvet - Via Milano 195, Desio (Mi) Tel: 338/3074414 - E-mail:dentalvet@alice.it

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Lesioni cutanee perioculari: dermatologia od oftalmologia? Casi clinici Antonella Rampazzo Med Vet, Dipl ECVO, Torino

Per la parte di oftalmologia vengono presentati 4 casi clinici che illustrano le più frequenti manifestazioni perioculari per le quali viene richiesto l’intervento dell’oculista. Il primo caso clinico riguarda l’epifora. Un Barboncino maschio di 6 anni viene presentato per una grave blefarite conseguente a un altrettanto grave epifora. L’esame oftalmologico rileva un globo normale ma l’assenza dei punti/canali lacrimali in entrambi gli occhi. La terapia medica della blefarite può controllare le infezioni secondarie dovute alla macerazione della palpebra, ma solo la terapia chirurgica è risolutiva. Quest’ultima dipende dal tipo di agenesia/ipoplasia dei punti lacrimali/canale lacrimale, e in caso di completa assenza dei punti lacrimali/canale lacrimale può essere una chirurgia complessa e non sempre risolutiva. Il secondo caso clinico riguarda la blefarite. Un Gordon Setter maschio di 5 anni presenta una grave blefarite a carico delle palpebre superiori e moderata blefarite a carico delle palpebre inferiori. I globi oculari sono altrimenti nella norma. Le diagnosi differenziali comprendono una blefarite batterica piogranulomatosa, stafilococcica, allergica, immuno-mediata (gruppo del pemfigo), rogna demodettica e sarcoptica, leishmaniosi, e micosi. Tra le indagini diagnostiche vengono effettuate la citologia e l’istologia, che riscontrano un infiltrato linfoplasmacellulare non suggestivo di una causa eziologica specifica. La cultura non permette di riscontrare crescita batterica. Un tentativo terapeutico effettuato con cefalessina 25 mg/kg BID per 3 settimane e steroidi orali (prima alla dose di 2 mg/kg e poi di 1 mg/kg) ha dato un lieve e temporaneo miglioramento. La manifestazione clinica è recidivata per alcuni mesi per poi scomparire quando la proprietaria ha cambiato il percorso abituale della passeggiata. È cosi stato formulato il sospetto di una forma di allergia da contatto (verso un tipo di pianta o un prodotto chimico usato in agricoltura). Il terzo caso clinico riguarda le patologie immunomediate. Un Akita Inu femmina sterilizzata di 9 anni viene presentata al servizio di dermatologia per una grave dermatite emorragica nella regione della testa. Oltre all’esame dermatologico, è stato eseguito un esame oftalmologico per escludere la presenza di uveite e/o corioretinite. Sono stati inoltre eseguiti un esame emocromocitometrico e biochimico completo, titoli anticorpaili per Leishmania, E.

canis, Anaplasma, ANA, e un istologico. L’esame obiettivo generale era nella norma. L’esame dermatologico ha rilevato la presenza di un’alopecia e desquamazione sui fianchi e sul dorso, oltre alle lesioni di dermatite essudativo emorragica della testa. I globi oculari non presentavano uveite o corioretinite. Le diagnosi differenziali comprendevano cause autoimmuni (i.e. VKH, pemfigo, seboadenite), allergia da farmaco, dermatite batterica e altre forme infettive. L’animale era gravemente trombocitopenico e presentava un titolo anticorpale debolmente positivo per Leishmania, tuttavia le Leishmanie non sono state trovate né all’osservazione istologica né tramite PCR sul campione bioptico. Il referto istologico è stato di seboadenite. L’ipotesi diagnostica è stata di adenite sebacea e trombocitopenia. La terapia è stata effettuata con doxiciclina 10 mg/kg SID per 3 settimane, cefalessina 20 mg/kg BID per 3 settimane, prednisolone 1,5 mg/kg SID per 2 giorni, poi 1 mg/kg SID fino all’aumento dei trombociti (circa 1 mese e poi gradualmente interrotto) e ciclosporina A 5mg/kg SID per 3 mesi. I sintomi sono migliorati e così anche la trombocitopenia. A causa della terapia immunosoppressiva è stato consigliato di valutare l’eventuale comparsa di segni clinici di leishmaniosi e di ripetere i titoli anticorpali circa un mese dopo la sospensione delle terapie. I proprietari sono stati avvisati della possibilità di recidiva della seboadenite, nel qual caso si sarebbe potuta ricominciare la ciclosporina A (o trattare con lavaggi regolari e vitamina A sistemica) se non fossero comparsi segni clinici di leishmaniosi. La causa della trombocitopenia non è stata chiarita. Il caso è stato perso per il follow up. Il quarto caso clinico riguarda le neoplasie. Un gatto europeo maschio sterilizzato di 8 anni è stato presentato per una recidiva di un tumore palpebrale. Il tumore era stato diagnosticato istologicamente come un neurofibroma. Data la natura localmente invasiva del tumore, è stata consigliata un’asportazione con ampio margine sano, tentando di salvare il globo oculare. Compito dell’oftalmologo è valutare quale sia la plastica palpebrale più adatta a conservare una funzionalità palpebrale che permetta di non sacrificare l’occhio. È stata eseguita una plastic ad H. Non ci sono state recidive e le palpebre hanno conservato il loro ruolo di protezione oculare.

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Trattamento chirurgico dei tumori vescicali ed uretrali Giorgio Romanelli Med Vet, Dipl ECVS, Milano (I)

Per tumori della parete laterale, la vescica è semplicemente asportata è suturata. Nei cani maschi può essere necessario resecare una parte della prostata. Inoltre, se necessario, l’uretere può essere tagliato e reimpiantato in una sede diversa Bisogna porre articolare attenzione a non occludere entrambe le arterie vescicali caudali. Inizialmente i cani hanno necessità di urinare più frequentemente ma riguadagnano una completa continenza nel giro di 4-6 settimane.

INTRODUZIONE Il trattamento dei tumori del tratto urinario inferiore è tradizionalmente basto sul trattamento chemioterapico associato o meno a terapia con antinfiammatori o a radioterapia e la chirurgia è solitamente usata quasi esclusivamente come citoriduzione o in caso di ostruzione. Ciononostante, in casi selezionati, il trattamento chirurgico ha una sua utilità nel trattamento delle neoplasie vescicali ed uretrali.

Cistectomia interna Questa tecnica è particolarmente importante per tumori benigni o a basso grado e per il rabdomiosarcoma. La vescica è incisa lungo l’asse maggiore, aperta e la parete è tagliata a spessore parziale attorno alla base della neoplasia, prestando attenzione a non danneggiare vasi importanti sulla superficie viscerale, e poi suturata.

TERAPIA CHIRURGICA Tradizionalmente la chirurgia ha un ruolo limitato nel trattamento dei tumori vescicali del cane e del gatto. Infatti, vista la loro invasività e la capacità di infiltrare precocemente la muscolatura, l’uso della resezione superficiale cistoscopia seguita da una terapia topica non è efficace nei nostri animali anche se è la tecnica di scelta negli uomini con neoplasia vescicale non invasiva In medicina umana i tumori vescicali invasivi sono trattati mediante cistectomia totale seguita dalla ricostruzione con una vescica ileale ortotopica. Nel cane e nel gatto, anche se tecnicamente eseguibile, il metodo è limitato dalla necessità di “spremere” meccanicamente la vescica. Ciò malgrado, sono state sviluppate un certo numero di tecniche con il fine di rimuovere parzialmente o completamente la vescica e l’uretra mantenendo la funzione dell’apparato urinario

Cistectomia trigonale Questa tecnica è basata sul lavoro di Saulnier-Troff e collaboratori. Brevemente, si esegue una resezione completa circonferenziale dell’area trigonale, facendo estrema attenzione a preservare, mediante “stripping” serosale, le branche dell’arteria vescicale caudale che nutrono l’apice. Quindi si esegue un’anastomosi termino-terminale tra la parte rimanente della vescica e l’uretra e si reimpiantano i due ureteri Ci sono solo 2 casi riportati ma entrambi hanno riguadagnato una completa continenza dopo una pollachiuria transitoria.

(Prostato)cistectomia radicale con reimpianto colonico

CISTECTOMIE “CONTINENTI”

Con questa tecnica, il colon funziona da serbatoio per le urine. La vescica e, se necessario, la prostata sono asportate e si esegue una anastomosi termino laterale fra gli ureteri ed il colon. Sono riportate molte complicanze che includono infezioni del tratto urinario, colite e anomalie metaboliche da riassorbimento di urina. Per questa ragione tale tecnica non è più consigliata.

Cistectomia parziale La cistectomia parziale è indicata per tumori localizzati all’apice vescicale, sulla parete laterale o a piccola base d’impianto. In caso di neoplasia apicale, una pinza non traumatica è applicata sul corpo, l’apice è resecato e la parte è suturata attorno al pallone di un catetere di Foley che è mantenuto per 4-6 giorni.

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CISTECTOMIE “INCONTINENTI”

CONCLUSIONI

(Prostato)cistouretrectomia radicale e anastomosi uretrobiureterale/ colpobiureterale

Esistono molte possibilità di esecuzione di una asportazione completa di vescica, prostata ed uretra ma non ci sono serie pubbicalte su grossi numeri e i dati disponibili sono troppo limitati per valutare i risultati in termini di efficacia e sopravvivenza. La nostra esperienza con la cistectomia completa è buona sia in termini di risultati sia di accettazione del proprietario ma la maggior parte dei pazienti muore per metastasi. Sfortunatamente il ruolo di una chemioterapia adiuvante in questi casi è sconosciuto.

Queste tecniche sono indicate cani che non sono trattabili mediante cistectomia conservativa, preferibilmente di piccola taglia e di buon carattere visto che dovranno portare un pannolino per il resto della loro vita. La vescica e, se necessario, la prostata sono rimosse e si esegue un’anastomosi termino-terminale a Y fra i due ureteri e l’uretra. Nella femmina l’anastomosi si realizza con il moncone uterino. Nei cani maschi, la rimozione di vescica e prostata può lasciare un moncone di uretra troppo corto per poter eseguire una sutura senza tensione. In questi casi si può interporre un segmento di piccolo intestino fra gli ureteri e l’uretra. Si posizionano 2 cateteri ureterali che sono rimossi dopo 6-8 giorni.

BIBLIOGRAFIA Gilson SD, Stone EA. Surgically induced tumor seeding in eight dogs and two cats. J Am Vet Med Assoc. 1990 Jun 1;196(11):1811-5. Stone EA, Withrow SJ, Page RL, Schwarz PD, Wheeler SL, Seim HB 3rd. Ureterocolonic anastomosis in ten dogs with transitional cell carcinoma. Vet Surg. 1988 May-Jun;17(3):147-53. Saulnier-Troff FG, Busoni V, Hamaide A. A Technique for Resection of Invasive Tumors Involving the Trigone Area of the Bladder in Dogs: Preliminary Results in Two Dogs. Veterinary Surgery 37:427-437, 2008.

Anastomosi cisto-uterina Questo tipo d’intervento è indicato nelle femmine con neoplasia uretrale senza interessamento vescicale. L’uretra è resecata in prossimità della vagina (può essere necessaria un’osteotomia pubica) che è suturata. Si esegue poi un’anastomosi termino-terminale fra il collo vescicale e l’utero o la porzione più craniale della vagina. Si lascia in situ un catetere di Foley per 6-8 giorni.

Indirizzo per la corrispondenza: CVN - Via Lampugnani, 3 - 20014 Nerviano (MI)

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Diagnostica per immagini delle neoplasie dell’apparato urinario Federica Rossi Med Vet, SRV, Dipl ECVDI, Sasso Marconi (BO)

Le metodiche di imaging che possono essere utilizzate in caso di sospetta neoplasia renale sono la radiologia diretta, la radiologia con mezzo di contrasto, l’ecografia e le metodiche avanzate (TC e RM). A seconda del settore anatomico coinvolto, le diverse metodiche possono dare migliori o peggiori risultati, che dipendono dalla dimensioni, dalla sede delle strutture indagate, dalle attrezzature a disposizione e dall’esperienza dell’operatore.

grafia e metodiche avanzate. Rimane tuttavia un ruolo della radiologia con mdc nella pratica clinica, soprattutto per lo studio dell’uretra, perché talvolta aiuta a localizzare la sede di una ostruzione in modo rapido e con mezzi diagnostici economici. L’urografia discendente consente di identificare con certezza la sede, le dimensioni, la forma e la struttura del rene (corticale, midollare, pelvi). Le masse renali determinano una alterazione della normale dimensione, forma e struttura del rene, deformando i margini dell’organo, provocando distorsione, e/o compressione delle sue parti e alterata distribuzione del mezzo di contrasto. Questi aspetti non sono tuttavia specifici per neoplasia, perché anche altre lesioni del rene (cisti, ascessi, ematomi, infarti) possono determinare aspetti radiografici simili, pertanto il caso va approfondito con altre metodiche. Se la filtrazione renale è compromessa, il mezzo di contrasto viene scarsamente filtrato e il risultato dell’esame può essere subottimale. Per questo motivo, l’urografia discendente è stata attualmente sostituita dall’esame ecografico addominale, più rapido, meno invasivo e più informativo. L’utilizzo della cistografia positiva o con doppio contrasto può essere utile se l’ecografia non è disponibile. La metodica con doppio contrasto da maggiori informazioni sullo stato della parete vescicale. In caso di neoplasia, si visualizzano irregolarità ed ispessimento focale della parete della vescica, difetti di riempimento radiolucenti, sessili o peduncolati. In caso di TCC, spesso la lesione è localizzata nella regione del trigono vescicale, ma va ricordato che si possono avere anche lesioni in sede atipica o lesioni multiple. In diagnosi differenziare vanno considerate lesioni infiammatorie (cistite polipoide) o altri difetti di riempimento causati per esempio da coaguli. La tecnica di prima scelta in caso di sospetta ostruzione uretrale causata da neoplasia è l’uretrografia positiva, che mostra difetti di riempimento che restringono e rendono irregolare il lume e la superficie della mucosa uretrale. In diagnosi differenziale va considerata una grave lesione infiammatoria (uretrite ulcerativa) che tuttavia è molto più rara.

RADIOLOGIA DIRETTA: è la metodica di primo screening. Nonostante attualmente si tenda ad utilizzare sempre di più l’ecografia come primo approccio per lo studio delle vie urinarie, l’esame radiografico diretto dell’addome mantiene la sua importanza in quanto consente una valutazione di insieme dell’addome, dello scheletro e della porzione caudale del torace e può fornire importanti indicazioni per la gestione del paziente oncologico, per esempio evidenziare una lesione scheletrica non sospettata e potenzialmente metastatica. In caso di neoplasia renale si può evidenziare un aumento di volume di uno o di entrambi i reni. I tumori del rene, tranne il linfoma, producono di solito un aumento di volume irregolare dell’organo con perdita della normale forma e margini irregolari, talvolta possono essere presenti aree di mineralizzazione. Non sempre i reni sono visibili con la radiologia diretta, soprattutto il rene destro può essere difficile da identificare a causa della sua posizione più craniale e del contatto diretto con il fegato. In caso di neoplasia che causa ostruzione delle vie urinarie, la vescica si può presentare dilatata, anche i reni possono essere aumentati di volume se è presente idronefrosi. Il collo vescicale ed il tratto prossimale dell’uretra possono essere ispessiti e meno visibili, presentare una radiopacità eterogenea, con eventuali aree di mineralizzazione. I linfonodi sottolombari possono essere ingranditi. Raramente la radiologia diretta da informazioni sulle neoplasie uretrali, a meno che queste non coinvolgano l’osso del pene. Lo studio radiografico della pelvi, può mettere in evidenza aree di mineralizzazione lungo il decorso dell’uretra, linfoadenomegalia sottolombare ed eventuali lesioni scheletriche.

ECOGRAFIA: è la tecnica di imaging che, causa la ampia disponibilità e la enorme potenzialità di indagine addominale fa da padrone nello studio delle neoplasia dell’apparato urinario. Le neoplasie renali si presentano come masse solide

RADIOLOGIA CON MEZZO DI CONTRASTO: in passato era la metodica più informativa per lo studio delle vie urinarie, oggi molte di questi studi vengono sostituiti da eco-

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di aspetto omogeneo o eterogeneo, con eventuale componente cistica o necrotica, che alterano la normale forma dell’organo e ne scompaginano la struttura. L’ecografia consente di distinguere tra masse solide e lesioni cavitarie benigne (cisti o ascessi renali). Possono essere presenti aree di mineralizzazione e versamento retro peritoneale. L’utilizzo della metodica Doppler, o uno studio con mezzo di contrasto ecografico, possono essere molto utili per valutare lesioni di piccole dimensioni corticali, che presentano talvolta ecogenicità molto simile al tessuto circostante. In diagnosi differenziale con le neoplasie renali primarie vanno considerate lesioni infiammatorie (granulomi, ascessi) o ematomi riorganizzati, che tuttavia sono molto più rari. Le metastasi renali spesso coinvolgono la corticale ed appaiono come noduli con ecogenicità variabile. Come sempre, il prelievo eco-guidato dalla lesione consente di raggiungere la diagnosi definitiva. In caso di TCC vescicale l’ecografia della vescica mostra una lesione sessile della parete che aggetta nel lume, tipicamente localizzata nella regione del trigono, che ispessisce ed altera la normale stratificazione della parete. La lesione spesso si estende verso il tratto prossimale dell’uretra e coinvolge lo sbocco degli ureteri, in questo caso si associano idrouretere e idronefrosi mono- o bilaterali. L’ecogenicità della lesione è variabile. Quadri di neoplasia possono essere associati ad infezioni delle vie urinarie e presenza di calcoli, e per questo motivo la valutazione ecografica può essere difficile e deve essere sempre prudente. La diagnosi finale richiede un prelievo, che in questi casi non deve essere effettuato mediante campionamento trans-addominale ma mediante cistoscopia o cateterismo cruento eco guidato trans-uretrale. L’ecografia consente visualizzare parte dell’uretra, in particolare il tratto prossimale sia nel maschio e nella femmina e nel maschio anche la porzione distale alla curvatura ischiatica. In caso di neoplasia, la parete dell’uretra è ispessita ed irregolare, spesso sono presenti piccole aree di mineralizzazione. È importante valutare i linfonodi regionali e tutti gli altri organi addominali alla ricerca di lesioni compatibili con metastasi o altre lesioni concomitanti. Un limite dell’ecografia è la difficile valutazione della reale estensione della neoplasia all’interno della pelvi. Per avere questa informazione, si deve ricorrere ad altre metodiche di imaging (TC o RM).

METODICHE AVANZATE (TC O RM) TC ed RM offrono i vantaggi delle metodiche tomografiche e consentono di studiare con molta precisione la lesione, risultando indispensabili per una accurata stadiazione e scelta terapeutica. Sono in grado di confermare la sede della lesione ed aggiungere importanti informazioni che riguardano le dimensioni, i margini, i rapporti rispetto ai tessuti ed organi circostanti e ai vasi. La somministrazione del mezzo di contrasto da informazioni riguardo la vascolarizzazione della massa e il grado di infiltrazione dei vasi adiacenti. In caso di massa renale, per esempio, prima di qualsiasi chirurgia, vanno studiati i rapporti della lesione con i vasi limitrofi (vena ed arteria renali, vena cava caudale ed aorta). Lo studio con il mdc fornisce inoltre indicazioni qualitative della filtrazione del rene controlaterale, dato importante da conoscere prima di procedere ad una eventuale nefrectomia. Il marcato enhancement della corticale renale è utile per evidenziare lesioni focali ipodense, per esempio metastasi renali, che talvolta sono difficili da identificare con l’ecografia. TC ed RM sono utili nella valutazione prechirurgica anche di pazienti con neoplasia della vescica, soprattutto per stabilire l’estensione della neoplasia verso l’uretra e il grado di coinvolgimento del grasso perivescicale e degli ureteri. La valutazione si estende ai linfonodi regionali, agli altri organi addominale ed al torace (in caso di TC), per identificare eventuali lesioni compatibili con metastasi e selezionare i candidati chirurgici.

LETTURE CONSIGLIATE 1. 2. 3.

Thrall DE (2007) Textbook of Veterinary diagnostic radiology, WB Saunders, 5° edizione, Philadelphia, 556-591. Nyland TG, Mattoon JS (2002), Small Animal Diagnostic Ultrasound. Saunders, Filadelfia, II edizione, cap. 9. Penninck DG, d’Anjou MA (2008): Atlas of small animal Ultrasonography, Blackwell Publishing, 1° edizione, 339-383.

Indirizzo per la corrispondenza: Federica Rossi Clinica Veterinaria dell’Orologio e Centro Oncologico Veterinario Sasso Marconi (Bologna) - Tel. e fax: 051 6751232 – 051 6751871 chiccarossi@yahoo.it, www.clinicadellorologio.it, www.centroncologicovet.it

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Cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro nel Bulldog Inglese Roberto A. Santilli Med Vet, Dipl ECVIM-C.A. (Cardiology), Samarate (VA) I Luigi Bontempi, Med Vet, Samarate (VA) I

La cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro (CAVD) è stata per la prima volta descritta nei cani di razza Boxer. Il grado istopatologico è rappresentato dall’atrofia della parete libera del ventricolo destro, regionale o diffusa, con sostituzione fibroadiposa transmurale, in presenza di un ventricolo sinistro e di un setto interventricolare normali. All’esame macroscopico, il versante destro del cuore mostra tipicamente un colorito giallo-biancastro, tale da suggerire sostituzione fibroadiposa del miocardio; sospetto confermato al taglio delle regioni di efflusso e afflusso del ventricolo destro, che appaiono di aspetto lardaceo e con positività alla transilluminazione parietale. Sono spesso presenti aneurismi parietali nel tratto indicato come triangolo della displasia (tratto di efflusso, afflusso e apice del ventricolo destro) sempre in concomitanza a dilatazione ventricolare di vario grado. Frequente è il riscontro d’ispessimento endocardico, coincidente con la presenza di aneurismi, mentre il miocardio residuo è visibile solo a livello delle trabecole, che appaiono assottigliate, con spazi intertrabecolari allargati, presenza di fissurazioni profonde responsabili dell’aspetto “a pila di piatti” all’angiografia e all’ecografia. Le alterazioni miocardiche sono in questa razza diffuse a differenza dei Bulldog Inglesi dove assumono aspetto segmentario. In questa razza è infatti caratteristico il rilievo di aneurismi del tratto di efflusso del ventricolo destro con protrusione della parte distale e atrofia miocardica. Il ventricolo sinistro, il setto interventricolare e gli atri sono spesso normali, solo in fase avanzata si può riscontrare una dilatazione dell’atrio destro o scompenso biventricolare. L’esame istologico in corso di CAVD indica con certezza il fronte d’onda dell’avanzamento della displasia dagli strati subepicardici all’endocardio. La dispersione di rari miociti sani, elettricamente attivi, nel contesto della sostituzione fibroadiposa rende ragione del ritardo della trasmissione dell’impulso intraventricolare, della persistenza di potenziali tardivi, nonché dell’insorgenza di circuiti di rientro con possibile morte improvvisa aritmica. Una marcata sostituzione adiposa non è sufficiente a supportare diagnosi di CAVD; essenziale è il rilevamento di zone di fibrosi, di degenerazione delle miocellule intrappolate nelle aree fibrotiche e di processi miocarditici atriali e ventricolari.

EZIOPATOGENESI La cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro è una malattia ereditaria causata nella maggior parte delle forme descritte da mutazione dei geni che modificano le proteine desmosomiali. Una forma ereditaria di CAVD associata a morte improvvisa è stata descritta nei cani di razza Boxer con trasmissione autosomica dominante a penetranza variabile. In questi cani è stata descritta mutazione del gene della striatina insieme ad una riduzione dell’espressione del recettore rianodinico cardiaco, della calstabina-2 cardiaca e della proteina di giunzione connessina 43.

PRESENTAZIONE CLINICA I cani di razza Bulldog Inglese con CAVD sono portati all’attenzione del veterinario solitamente per shock cardiogeno ipocontrattile o più raramente per sincope. Caratteristico è il rilievo di tachicardia ventricolare monomorfa con morfologia a tipo blocco di branca sinistro, carattere incessante e con frequenza di scarica media intorno ai 250 bpm. Il monitoraggio Holter rivela la presenza di numerosi complessi ventricolari prematuri a tipo blocco di branca sinistro, singoli e organizzati in coppie, triplette, tachicardie monomorfe spesso a carattere sostenuto e diverse forme alloritmiche. L’analisi con elettrocardiogramma ad alta definizione mostra con elevata frequenza i potenziali tardivi. L’esame ecocardiografico permette di evidenziare il classico aneurisma del tratto di efflusso del ventricolo destro con protrusione diastolica e assottigliamento della parete ventricolare. Spesso si riscontra dilatazione atriale destra che può fungere da substrato per aritmie sopraventricolari quali il flutter dipendente dall’istmo di Cosio o diverse forme di tachicardia atriale focale. L’esame radiografico nella proiezione latero-laterale mostra segni d’ingrandimento della silhouette cardiaca con prominenza del bordo ventricolare destro ed aumento del contatto bordo-sternale. Nella proiezione dorso-ventrale si rileva la prominenza del cono arterioso e la dislocazione sinistra dell’apice cardiaco. La peculiare presenza di aneurismi segmentari del tratto di efflusso spiega l’insorgenza di tachicardie ventricolari

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con caratteristiche elettrocardiografiche specifiche dimostrate mediante studio elettrofisiologico: tachicardie ventricolari con asse supero-inferiore e manifestazione del QRS a tipo blocco di branca sinistro con frequenza di scarica superiore ai 250 bpm. In base all’apparizione del complesso QRS in derivata I le tachicardie ventricolari si possono dividere in due gruppi: il primo con DI positiva e il secondo con DI negativa. In accordo con lo studio elettrofisiologico e con le caratteristiche delle tachicardie ventricolari idiopatiche del tratto di efflusso destro riscontrate in modelli animali, le tachicardie ventricolari con DI positiva hanno origine dalla zona posteriore del tratto di efflusso, mentre con DI negativa hanno origine dalle zone anteriori. La presenza di incisure dell’onda R nelle derivate inferiori (DII, DIII, aVF) suggerisce un’origine delle tachicardie ventricolari dalla parete libera del tratto di efflusso, mentre l’aVL negativa è presente in corso di tachicardie ventricolari con un’origine più distale dalla valvola polmonare. Spesso nei Bulldog Inglesi colpiti da CAVD è possibile il riscontro di tachicardie sopraventricolari da macrorientro (flutter atriali dipendenti dall’istmo di Cosio) e tachicardie atriali focali ad elevata frequenza ventricolare che possono precedere o coesistere con le aritmie ventricolari ed indurre quadri di tachicardiomiopatia.

BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA

TERAPIA

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La terapia della CAVD si basa sulla somministrazione di farmaci per il trattamento dell’insufficienza cardiaca quando presente (furosemide, ACE-inibitori e pimobendan), di farmaci antiaritmici della classe III (sotalolo 1.53,5 mg/Kg bid os, o amiodarone 15 mg/kg PO bid per 2 di, poi 5-10 mg/Kg PO bid), di NEFA Ω3 2 gr. al giorno di olio di pesce. L’ablazione con radiofrequenza delle tachicardie sopraventricolari e delle tachicardie ventricolari nei cani Bulldog Inglesi con CAVD segmentaria è accompagnata ad un buon tasso di successo e ad un ottimo followup in assenza di recidive.

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Indirizzo per la corrispondenza: Clinica Veterinaria Malpensa - Viale Marconi, 27 . 21017 Samarate, Varese, Italy Tel. 0331-228155 (3) - Fax. 0331-220255 - E-mail: r.santilli@ecgontheweb.com - Pagina Web: www.ecgontheweb.com

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L’anestesia della gestante (per o non parto cesareo) Diego Sarotti Med Vet, Cuneo

è dovuta in parte all’impossibilità di confrontare i lavori pubblicati in letteratura che utilizzano endpoint differenti e in parte per il ruolo di confounding factors sull’outcome neonatale della condizione della madre e dei feti al momento del taglio cesareo. Possiamo comunque ricavare dagli studi finora pubblicati alcune importante informazioni: l’impiego del tiopentale aumenta l’incidenza di mortalità neonatale rispetto al propofol-3, la ketamina è associata a peggiore vitalità neonatale rispetto al propofol, l’isoflorano è l’anestestico associato alla maggiore vitalità neonatale tra gli anestetici generali-2. Nel cane per quanto riguarda l’utilizzo di tecniche locoregionali esiste un solo studio prospettico su un numero limitato di casi che compara la vitalità neonatale ottenuta impiegando tecniche di anestesia generale e un protocollo di anestesia epidurale previa sedazione con clorpromazina e che dimostri la superiorità dell’anestesia epidurale-4. Un ‘altro studio retrospettivo su larga scala non evidenzia invece differenze di sopravvivenza fra cucciolate nate da cesareo effettuato in anestesia generale con propofol e isoflorano o in anestesia generale con propofol e isoflorano ma con l’ausilio di anestesia epidurale-3. Gli autori precisano che la mancanza di differenza potrebbe essere legato alla scelta non randomizzata dei soggetti da sottoporre ad epidurale. Non esistono al momento pubblicazioni su un numero significativo di casi che contemplino l’utilizzo di un anestesia spinale nel cane, eccetto un case report su un singolo caso-5 che dimostrano la fattibilità della tecnica e la descrizione di 22 casi di cesareo eseguito in spinale all’interno di una studio prospettico sull’anestesia spinale nel cane-6. Da queste prime esperienze cliniche l’anestesia spinale risulta essere una tecnica perseguibile perché garantisce una ottima analgesia intra e postoperatoria senza un’elevata incidenza di ipotensione intraoperatoria. Inoltre è in grado di determinare una certa riduzione dei livelli di isoflorano espirato al momento dell’estrazione (0,7%-0,5% range di ET iso) rispetto all’utilizzo del solo alogenato. Il management del piano ipnotico da associare ad anestesia spinale rimane un punto chiave di primaria importanza per evitare la depressione respiratoria dei neonati. La dose di propofol dovrebbe essere ottimizzata per poter garantire l’intubazione senza stimolazione adrenergica, ma nello stesso tempo per ridurre al minimo la porzione di farmaco che passa la placenta. Purtroppo in assenza di premedicazioni o prein-

PARTE INTRODUTTIVA L’anestesia in corso di taglio Cesareo rappresenta per l’anestesista veterinario una sfida complessa. Le esigenze della gestante (analgesia e stabilità emodinamica) e quelle del feto (ottimale perfusione uterina e minimo azione depressiva da parte dei farmaci anestetici) sono difficilmente ottenibili contemporaneamente. Con l’utilizzo dell’anestesia generale di fatto risulta impossibile anestetizzare la madre senza anestetizzare il feto. La permeabilità placentare permette un passaggio per gradiente di concentrazione di tutti i farmaci anestetici (ad eccezione dei bloccanti neuromuscolari) dalla madre al feto, la maggiore sensibilità del feto ai farmaci normalmente utilizzati rispetto alla madre (per esempio gli oppiacei) aumenta il rischio di depressione respiratoria alla nascita e il fenomeno dell’intrappolamento ionico dovuto alla differenza di Ph tra madre e feto tende a trattenere nel feto i farmaci che dovrebbero per gradiente ritornare nel circolo materno. In Medicina Umana in corso di Cesareo l’anestesia locoregionale centrale (epidurale con catetere o spinale single shot o combinata) è la tecnica d’elezione perché garantisce una migliore vitalità fetale e da una diminuzione di mortalità materna e neonatale rispetto alle tecniche di anestesia generale-1. Nel cane e nel gatto risulta invece quasi sempre impossibile effettuare una anestesia locoregionale centrale senza l’ausilio di anestesia generale o di una sedazione e di fatto ciò che è semplice nel’uomo diventa complicato e difficile. Purtroppo la bibliografia veterinaria in materia è molto scarsa e poche sono le evidenze scientifiche che dimostrino la superiorità di un protocollo anestesiologico.

STATO DELL’ARTE Il protocollo anestesiologico per il taglio cesareo nel cane probabilmente più diffuso risulta quello che utilizza propofol in induzione e isoflorano come mantenimento-2. Altri protocolli sono routinariamente usati nella pratica ma non sono supportati da nessuna pubblicazione che ne dimostri i maggiori benefici in termini di diminuzione di mortalità neonatale o miglioramento della vitalità alla nascita. La difficoltà a giungere a conclusioni su quale protocollo anestesiologico migliori la vitalità e la sopravvivenza dei cuccioli

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duttori il bolo di propofol necessario per l’induzione nella cagna gravida è abbastanza elevato (4-8 mg Kg-1). Al fine di ridurre tale dose l’utilizzo di un preinduttore dovrebbe essere preso in considerazione. Tra questi l’uso degli alfa2 agonista sono stati oggetto di dibattito negli ultimi anni. Non è chiaro se i vantaggi della medetomidina nel ridurre il dosaggio degli altri farmaci anestetici e la possibilità di reversare il suo effetto con l’uso di atipamezolo siano superiori rispetto all’azione negativa sulla perfusione uterina. Nell’uomo tempi brevi tra induzione dell’anestesia generale e l’estrazione del neonato sono associati ad una migliore vitalità neonatale score migliore. Nel cane non vi è alcuna evidenza che questo fattore abbia un grande peso sulla vitalità neonatale. Alcuni autori suggeriscono empiricamente di effettuare l’estrazione dei cuccioli a 20 minuti con l’intento di permettere una ridistribuzione del propofol effettuato in induzione dal feto alla madre. Nel cane non è nota la costante intercompartimentale madre e feto del propofol e in assenza di questo dato non è possibile valutare come il bolo di propofol si distribuisca e di conseguenza quale sia il momento migliore per estrarre i cuccioli.

L’anestesia spinale in corso di Cesareo presenta allo stato attuale ragionevoli margini di sicurezza e ripetibilità garantendo ottima stabilità cardiovascolare ed un rapido risveglio in assenza di dolore anche se i suoi vantaggi possono essere vanificati da una non adeguato management del piano di anestesia generale.

BIBLIOGRAFIA 1.

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3.

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PROSPETTIVE FUTURE 6.

Allo stato attuale grandi speranze sono riposte nell’utilizzo del remifentanil. Questo oppiaceo a brevissima durata d’azione è in grado di garantire analgesia alla madre e dimezzare la dose in induzione del propofol e la MAC dell’isoflorano. I primi risultati clinici sono incoraggianti anche se la farmacocinetica e farmacodinamica sul feto sono in buona parte sconosciuti nel cane.

Hawkins JL, Koonin LM, Palmer SK, Gibbs CP (1997), Anesthesiarelated deaths during obstetric delivery in the United States, 19791990. Anesthesiology 86(2):277-84. Moon PF, Erb HN, Ludders JW, Gleed RD, Pascoe PJ (1998), Perioperative management and mortality rates of dogs undergoing cesarean section in the United States and Canada. J Am Vet Med Assoc 213: 365-9. Funkquist PM, Nyman GC, Lofgren AJ, Fahlbrink EM (1997): Use of propofol-isoflurane as an anesthetic regimen for cesarean section in dogs. J Am Vet Med Assoc 211: 313-7. Luna SP, Cassu RN, Castro GB, Teixeira Neto FJ, Silva JR, Lopes MD (2004): Effects of four anaesthetic protocols on the neurological and cardiorespiratory variables of puppies born by caesarean section. Vet Rec 154: 387-9. Sarotti D (2005), Elective Spinal anaesthesia for Caesarean Section in a Staffordshire Bull Terrier. Veterinary Regional anaesthesia and Pain Medicine. Vol 3, Num 2. Sarotti D., Rabozzi R. and Corletto F. (2011), Efficacy and side effects of intraoperative analgesia with intrathecal bupivacaine and levobupivacaine: a retrospective study in 82 dogs. Veterinary Anaesthesia and Analgesia, 38: 240-251.

Indirizzo per la corrispondenza: Diego Sarotti Centro Veterinario Fossanese (CN) - diego.sarotti@libero.it

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Epidurale versus spinale: così vicine cosi lontane Diego Sarotti Med Vet, Cuneo

L’anestesia spinale e quella epidurale rappresentano due diverse tecniche di anestesia loco regionale centrale in grado di bloccare la conduzione nervosa a livello del midollo spinale. In medicina umana la popolarità delle due tecniche, ha subito negli anni diversa fortuna in relazione ai miglioramenti del materiale tecnico utilizzato e delle pubblicazioni scientifiche che ne supportavano la sicurezza e l’efficacia. Con il passare del tempo, dagli anni 50 ad oggi, la disponibilità di aghi spinali sempre più sottili e atraumatici con punta a matita, ha permesso la drastica riduzione dell’incidenza di cefalea postoperatoria. Di conseguenza la popolarità della spinale è notevolmente aumentata a scapito dell’epidurale. I tentativi nell’uomo di stabilire quale delle due tecniche in assoluto sia migliore, non ha evidenziato una netta superiorità di una sull’altra-1. Nelle singole procedure è necessario che l’anestesista in relazione alle sue abilità, al tipo di chirurgia e al paziente scelga la tecnica migliore. L’anestesia epidurale presenta il vantaggio di consentire il blocco metamerico, lo spazio intervertebrale per la puntura viene scelto in relazione all’area anatomica interessata dalla chirurgia. Nell’uomo il raggiungimento dello spazio epidurale con un ago di Tuohy, viene normalmente seguita dall’inserimento di un catetere che garantisce un adeguamento della dose di anestetico alle esigenze del paziente e un controllo del dolore postoperatorio ottimale. L’anestesia epidurale così eseguita permette di ridurre al minimo necessario la dose di AL e di conseguenza il rischio di tossicità sistemica da anestetico locale. Questo ha fatto si che la tecnica epidurale single shot sia caduta, con il passare degli anni, in disuso, perché imponeva la scelta di una dose totale di anestetico locale a priori e non ad effetto. La notevole variabilità interindividuale dello spread dell’anestetico locale iniettato nello spazio epidurale (dipendente non solo dal volume dello spazio stesso, ma anche dallo spazio che in esso è occupato dal grasso e dai vasi) si traduceva in una scarsa ripetibilità dell’effetto con rischi maggiori di fallimenti o di sovradosaggi. L’assenza del catetere epidurale, faceva venir meno inoltre il grande vantaggio del controllo del dolore postoperatorio e di fatto l’analgesia finiva con la risoluzione del blocco sensitivo dato dall’anestetico locale. L’anestesia spinale invece è una tecnica più semplice e meno costosa, che consiste nell’iniezione dell’anestetico locale direttamente nel liquido cefalorachidiano. Permette di ridurre notevolmente il rischio di tossicità sistemica e garan-

tisce l’instaurarsi di un blocco, almeno in linea teorica, più profondo ed omogeneo rispetto a quello ottenuto con la tecnica epidurale. Secondo uno studio condotto da Curatolo et al.-2 nell’uomo, la sola anestesia spinale sarebbe in grado d’inibire completamente il fenomeno della sommazione temporale a stimoli dolorifici ripetuti, mentre l’epidurale non sarebbe in grado di farlo in tutti i pazienti. Per contro l’anestesia spinale nell’uomo presenta una certa imprevedibilità dello spread craniale che può portare ad un aumento di rischio ipotensivo per vasodilatazione periferica da simpaticolisi. Tuttavia l’uso di soluzioni iperbariche ha ridotto ad un quarto il rischio di eventi ipotensivi, permettendo un migliore controllo dello spread craniale e il blocco selettivo solo della regione anatomica da sottoporre a chirurgia-3. L’aumento dei tempi di preparazione del paziente (12-20 minuti) necessari per la fissazione dell’anestetico locale con soluzioni iperbariche sono ampiamente compensati dalla riduzione dei tempi necessari per la dimissione del paziente. Per quanto riguarda la durata dell’analgesia postoperatoria l’anestesia spinale è inferiore rispetto all’utilizzo di un catetere epidurale, ma in linea teorica superiore alla tecnica epidurale single shot. L’iniezione sub aracnoidea, insieme all’anestetico locale, di un oppiaceo idrosolubile come la morfina garantisce una buona analgesia per le 20-24 ore postoperatorie, con minor effetti collaterali rispetto all’uso di oppiacei per via sistemica. Nel taglio cesareo della donna l’anestesia spinale rappresenta la tecnica attualmente più utilizzata. Tra gli anestesisti umani la tecnica è particolarmente apprezzata per il rapido instaurarsi del blocco, la semplicità di esecuzione e il rapido recupero funzionale postoperatorio anche se non è stata dimostrata una sua superiorità rispetto al catetere epidurale. Nel cane l’anestesia epidurale è la tecnica più diffusa e prevede l’esecuzione di una puntura single shot eseguita nello spazio lombosacrale-4. La tecnica così eseguita, se può essere per certi versi più sicura, per quanto riguarda il rischio di danni neurologici, perde le sue caratteristiche peculiari, in primis la possibilità di effettuare un blocco segmentale, poi di testare la dose di anestetico locale ad effetto ed in fine la possibilità di fornire un‘analgesia postoperatoria continua. I motivi della sua popolarità sono legati alla sua facilità di esecuzione e ad alcuni studi pubblicati che ne dimostrano la sicurezza-4 e la migliore efficacia nel controllo del dolore postoperatorio rispetto all’anestesia generale-5. Per quanto

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riguarda l’efficacia analgesica intraoperatoria non esistono studi specifici e anche l’incidenza di fallimenti procedurali dell’epidurale e la curva di apprendimento della tecnica non è nota. Sono descritti in letteratura casi singoli di effetti collaterali maggiori (l’empiema epidurale, ematoma epidurale, casi di grave ipotensione e bradicardia, spinali totali per iniezione subaracnoidea, crisi convulsive e ipotensione da iniezioni intravascolari, danni neurologici transitori e permanenti) ma non è specificato l’incidenza che queste hanno sul numero totale delle procedure eseguite. L’anestesia spinale nel cane è una tecnica più giovane che comincia ad essere supportata dai primi studi clinici. È stata riportato che il fallimento procedurale scende sotto il 10% dopo 66 tentativi. Questo dimostra come l’esecuzione dell’anestesia spinale nel cane possa raggiungere una accettabile ripetibilità, molto simile a quella ottenuta nell’uomo. Inoltre il controllo dell’esecuzione della tecnica, propria dell’anestesia spinale (la fuoriuscita di liquido cefalo rachidiano attesta il raggiungimento dello spazio sub aracnoideo), ne garantisce una maggiore affidabilità, rispetto all’anestesia epidurale che è invece caratterizzata da un certo grado di incertezza del corretto posizionamento della punta dell’ago nello spazio epidurale, qualora non si utilizzi il controllo radiografico o IB. Dai primi dati pubblicati sull’anestesia spinale nel cane-6 particolarmente interessante risulta l’esecuzione dell’anestesia spinale con bupivacaina 0,5% iperbarica e morfina per la chirurgia ortopedica dell’arto posteriore-7. L’utilizzo di una soluzione iperbarica ha permesso di ridurre il rischio di RC intraoperatoria al disotto del 10%. Questo risultato è stato possibile anche per l’utilizzo di un criterio di scelta del

dosaggio che tiene conto contemporaneamente del peso e della lunghezza della colonna.

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Indirizzo per la corrispondenza: Diego Sarotti - Centro Veterinario Fossanese (CN) E-mail: diego.sarotti@libero.it

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All you Wanted to Know About Adrenal Disease in Ferrets - Part 1 & 2 Nico J. Schoemaker Dipl ECZM-Avian, Dipl ECZM-Small Mammal, Utrecht (NL)

Adrenal disease can refer to changes to the adrenal cortex and/or to the adrenal medulla. The most common form of adrenal medulla pathology is a phaeochromocytoma. The most common form of adrenal disease in ferrets is hyperadrenocorticism, also referred to as adrenocortical disease, in which the adrenal cortex is affected. The outermost layer of the adrenal cortex is the zona glomerulosa, which produces mineralocorticoids (primarily aldosterone). The zona fasciculata consists of an outer and inner part, and produces glucocorticoids (cortisol and corticosterone) and androgens. The most interior zone is the zona reticularis. This zone contains the smallest cells of the adrenal cortex and produces primarily androgens. Thus, in principle, three distinct syndromes may arise in adrenocortical hyperfunction: hyperaldosteronism, hypercortisolism, and hyperandrogenism. Primary hyperaldosteronism or Conn’s syndrome is the most common form of hyperadrenocorticism in cats. Hypercortisolism or Cushing’s syndrome is the most common form of hyperadrenocorticism in dogs, and also occurs frequently in humans. In these species, hypercortisolism most frequently results from excessive secretion of adrenocorticotropic hormone (ACTH) by a pituitary adenoma. ACTH-independent hypercortisolism may be due to excessive secretion of glucocorticoids by a benign or malignant adrenocortical tumor. However, ACTH-independent hypercortisolism may also occur as a result of expression of aberrant or overactive eutopic hormone receptors. In humans, various membrane-bound receptors, functionally coupled to steroidogenesis, have been reported, including gastric inhibitory polypeptide, catecholamine, vasopressin, serotonin and luteinizing hormone (LH) receptors. LHdependent hypercortisolism has been reported in several women. In addition to LH-dependent hypercortisolism, virilizing and feminizing LH-dependent adrenal tumors have been reported in humans. In neutered pet ferrets hyperandrogenism is the most common form of hyperadrenocorticism. In ferrets, plasma androstenedione, 17-hydroxyprogesterone and oestradiol concentrations are increased. It has been reported that approximately 85% of ferrets with hyperadrenocorticism have enlargement of one adrenal gland without atrophy of the contralateral adrenal gland. In the other 15% of cases bilateral enlargement is

present. After surgical removal of a unilateral adrenal tumor, the disease commonly recurs due to involvement of the contralateral adrenal gland. The adrenal glands have been histologically classified as (nodular) hyperplasia, adenoma and adenocarcinoma. The histological diagnosis, however, does not provide information on functionality of the tumor, nor does it provide any prognostic information. No relationship has been found between pituitary and adrenal tumors in ferrets. At this stage, pituitary tumors should be regarded as incidental findings. Different etiologies have been suggested for the high occurrence of hyperadrenocorticism in ferrets. These include (early) neutering of ferrets, housing ferrets indoors, and genetic background. In recent years, evidence has been gathered that increased concentrations of gonadotropins, which occur after neutering (due to the loss of negative feedback), stimulate the adrenal cortex, eventually leading to an adrenocortical neoplasm. The most import evidence van be found in the fact that the depot gonadotropin-releasing hormone (GnRH)agonists leuprolide acetate and deslorelin have been used successfully in the treatment of this disease6, 7, and that luteinizing hormone (LH) receptors have been detected in the adrenal cortex of ferrets. These receptors are considered to be functional, because plasma concentrations of adrenal androgens increase after intravenous injection of a GnRH agonist4. There remains debate, however, if the neutering has to take place at an early age for this disease to occur. In the USA ferrets are commonly neutered at an age of 6 weeks. In the Netherlands most pet ferrets are neutered between 6 and 12 months of age. Since the prevalence of hyperadrenocorticism in Dutch ferrets is approximately 0.55% (95% confidence interval: 0.2 – 1.1%), it is likely that this disease is just as common in the Netherlands as it is in the USA3. The age at which ferrets are neutered is therefore not likely to have an influence in the development of these tumors. The hypothesis that ferrets which are being kept indoors have a higher chance of developing hyperadrenocorticism compared to ferrets housed outdoors is in line with the above mentioned hypothesis. Ferrets which are kept indoors will be more under the influence of light - and thus gonadotropins than ferrets which are housed outdoors. This applies to neutered as well as intact ferrets.

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A genetic background can play a role in the etiology of this disease as well. In the USA, a specific breeding facility, which provides an estimated 80% of all American ferrets, has been blamed for the high occurrence of hyperadrenocorticism in American ferrets. If this claim would be accurate, than why is the prevalence of hyperadrenocorticism so high in the Netherlands, where ferrets do not have the same genetic background as ferrets from this facility? Although the breeding facility cannot be blamed for the high incidence of hyperadrenocorticism in ferrets, this does not mean that a genetic background for the disease is not possible. In humans three different hereditary syndromes have been recognized in which multiple endocrine neoplasms are seen (MEN1, MEN2a and MEN2b). Since insulinomas and adrenal gland tumors are frequently seen simultaneously in ferrets, a condition similar to MEN in humans may exist. Research at the University of California in Davis has shown that the MEN-gene does not play a role in the development of adrenal disease in ferrets. Clinical signs of hyperadrenocorticism in ferrets include symmetrical alopecia, vulvar swelling in neutered female ferrets, recurrence of sexual behavior after neutering, urinary blockage in males (due to peri-prostatic or peri-urethral cysts), occasional mammary gland enlargement in female ferrets, and pruritus. The skin is usually not affected, although some excoriations may be seen. Polyuria and polydipsia are reported in ferrets with hyperadrenocorticism. It is not clear, however, whether adrenal hormone production is responsible for these signs, or if these (elderly) ferrets have concurrent kidney disease. When considering predisposing factors, age appears to be an important factor. In the United States diagnosis of hyperadrenocorticism in ferrets is already possible at an age of 2 years. In the Netherlands, however, most cases of hyperadrenocorticism are seen in ferrets older than 3 years of age. Although initial reports suggested that the majority of ferrets with adrenocortical disease were females, a Dutch study could not confirm this sex predilection3. In the authors practice there is actually a tendency of seeing more male than female ferrets with hyperadrenocorticism. The most important differential diagnoses for a ferret with signs of hyperadrenocorticism are a non-ovariectomized female or a ferret with active remnant ovaries. Severe alopecia and pruritus in a ferret, however, can also been seen due to a food allergy/intolerance. Although many advanced techniques can be used in diagnosing hyperadrenocorticism in ferrets, the clinical signs remain the most important. Further confirmation can sometimes be obtained by palpating a (tiny) firm mass craniomedial to the cranial pole of the kidneys, representing the enlarged adrenal gland(s). The right adrenal gland is more difficult to palpate due to the overlying right caudate process of the caudate liver lobe. Hormones that are commonly elevated are androstenedione, estradiol, and 17-hydroxyprogesterone. For reference values it is very important that these are established in the laboratory that analyzes the sample, as they may vary greatly depending on the assay used. Elevation of one or more of these hormones is considered to be diagnostic. However, plasma concentrations of androstene-

dione, estradiol, and 17-hydroxyprogesterone in intact female ferrets are identical to those in hyperadrenocorticoid ferrets2. It is therefore likely that this hormone panel does not aid in differentiating between a ferret with hyperadrenocorticism and one with an active ovarian remnant. The author therefore does not measure these hormones for the diagnosis of this disease. ACTH stimulation tests and dexamethasone suppression tests – as commonly used in dogs with Cushing’s syndrome - are not diagnostic in ferrets. In addition, plasma concentrations of ACTH and α-MSH in hyperadrenocorticoid ferrets were found to be identical to those from healthy neutered ferrets. It was concluded that these hormones, therefore, could not aid in diagnosing hyperadrenocorticism in ferrets. Plasma cortisol concentrations have - just as in dogs - been found to be of no use for the diagnosis of hyperadrenocorticism in ferrets. In dogs, it has become standard to measure the urinary corticoid-creatinine ratio (UCCR), in combination with a high dose dexamethasone suppression test (HDDST). An increased UCCR has also been found in ferrets with adrenocortical disease. The HDDST demonstrated that the hyperadrenocorticism is of adrenal and not pituitary origin5. This is in agreement with the fact that no functional pituitary tumors have been found in hyperadrenocorticoid ferrets. Although the UCCR is elevated in ferrets with adrenocortical tumors, the UCCR is considered to be of no diagnostic value because this ratio is also increased in intact ferrets during the breeding season, and in ferrets with an active ovarian remnant. The most useful tool in diagnosing hyperadrenocorticism in ferrets is abdominal ultrasonography. One has to remember, however, that with this technique only the size of abdominal organs is visualized. This technique does not provide any information on hormone release. It is therefore possible that only one adrenal gland is enlarged, while both adrenal glands contribute to the androgen release. Ultrasound is especially of great value prior to surgery, if you want to determine which adrenal gland is affected, or if an ovarian remnant is present. In this way the owner can be informed about the potential surgical risks that may be encountered. Another advantage of this technique is that other abdominal organs can be evaluated during the same procedure. It is difficult to distinguish an adrenal gland from an abdominal lymph node. By using specific landmarks, however, the adrenal glands can fairly easily be detected in nearly 100% of the cases. The left adrenal gland is located lateral to the aorta, at the level of the origin of the cranial mesenteric and celiac arteries. The right adrenal gland is more difficult to locate. Since this adrenal gland lies adjacent to the caudomedial aspect of the caudate process of the caudate liver lobe, the liver may be used as an acoustic window. The three major vessels (aorta, portal vein and caudal vena cava) in that area are located. The vena cava is the most lateral and dorsal of the three. In addition, the portal vein has a much wider diameter compared to the caudal vena cava. The right adrenal gland is attached to the dorsolateral surface of the caudal vena cava, at the level of and/or immediately cranial to the origin of the cranial mesenteric artery. The adrenal glands of ferrets with hyperadrenocorticism have a signifi-

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cantly increased thickness, have a rounded appearance, a heterogeneous structure, an increased echogenicity, and sometimes contain signs of mineralization1. When attempting to treat a ferret with hyperadrenocorticism, the most ideal treatment would be a combination of surgery and placement of an implant containing deslorelin (a depot GnRH analogue). Many different factors influence the eventual choice of treatment. An owner may decline surgery based on criteria such as the age of the ferret, presence of concurrent disease (cardiomyopathy), risk of surgery when the right or both adrenal glands are involved, and financial limitations. When an owner chooses for only surgery, gonadotropin release will persist, resulting in continued stimulation of the remaining adrenal gland. Autonomous production of steroids by the adrenal gland may result in loss of response to treatment with a depot GnRH agonist. Surgical removal of the adrenal glands will be discussed separately. Although the author is not in favor of removing bilateral adrenocortical tumors, different surgical protocols have been proposed. Many advise to leave part of an adrenal gland behind, while others advise to remove both adrenal glands. It would seem likely that hypoadrenocorticism would occur after removing both glands, but this seems to occur only in a minority of cases. Accurate diagnosis of an addisonian crisis, including an ACTH stimulation test to confirm the diagnosis, has not been published. It appears, however, that short term treatment with cortisone and fludrocortisone is sufficient in most cases. The most effective drugs at this moment are the depot GnRH-agonists of which leuprolide acetate (Lupron Depot, TAP Pharmaceutical Products Inc.) is the most well known. Deslorelin is another pharmaceutical GnRH-analogue. This drug is commercially available as implant for chemical castration of male dogs (Suprelorin®, Virbac, France). Advantages of these implants over leuprolide acetate are that the drug does not need to be reconstituted, lasts much longer than the depot injections, are registered for use in animals, and are much cheaper. These implants have been used in ferrets with hyperadrenocorticism and are considered to be very effective. It is considered by the author the drug of choice. Approximately 10% of ferrets seem to develop adrenal carcinomas after 1.5 to 2 years of treatment7. More research will be necessary to determine why these tumors are seen, and how high the frequency actually is. It may seem strange that a depot GnRH-agonist is used in ferrets with hyperadrenocorticism, when the increased release of GnRH and gonadotropins, which occur after neutering, are responsible for the disease in the first place. To understand the mechanism behind this treatment, it is important to know that pituitary and hypothalamic hormones are released in a pulsatile fashion. Gonadotropins are only released when GnRH is secreted in pulses. The depot GnRH-agonist overrides the pulsatile release, thereby blocking the release of gonadotropins. The administration of a depot GnRH agonist therefore results in an initial single release of gonadotropins followed by baseline concentrations. Melatonin has also been proposed as therapeutic option for hyperadrenocorticoid ferrets. Mink which receive such

an implant develop appealing thick furs. This has also been reported in ferrets. Melatonin supposedly suppresses the release of GnRH. Researchers showed in the early eighties of the last century that ferrets, which were kept under 8h light: 16 h darkness (8L: 16D), would come into estrus only 7 weeks later than ferrets exposed to long photoperiods (14L: 10D). It is therefore debatable if melatonin is indeed capable of suppressing the release of gonadotropins. Clinical improvement, however, is seen in hyperadrenocorticoid ferrets either receiving 0.5 mg melatonin daily PO or an implant containing 5.4 mg melatonin. In the study in which melatonin was given orally, however, hormone concentrations, in general, rose and the tumors continued to grow. This treatment may therefore pose a risk to the ferrets as their condition deteriorates, which remains unnoticed by the owner. Another point to consider is that melatonin can be purchased in drugstores. Home-medication with melatonin may therefore delay the initial presentation of ferrets with hyperadrenocorticism to veterinarians. As described above, the most common medical treatment option for ferrets with hyperadrenocorticism is the use of a depot GnRH agonist. Ketoconazole and mitotane (o,p’DDD) are well known drugs for treating hypercortisolism in dogs and humans. These drugs have also been tried in ferrets, but both were not considered very effective and should therefore be considered obsolete. In recent years Trilostane (Vetoryl®, Arnolds Veterinary Products / Dechra Veterinary Products), a 3β-hydroxysteroid dehydrogenase (3β-HSD) blocker, has become an important drug for treating pituitary-dependent hyperadrenocorticism in dogs. Since 3β-HSD is necessary for the synthesis of androstenedione and 17-hydroxyprogesterone it is tempting to speculate that this drug would be very effective in treating ferrets with hyperadrenocorticism. In a pilot study 5 mg Trilostane was given orally once daily to a ferret with hyperadrenocorticism. Within a month the owner complained that the alopecia and vulva swelling in the ferret increased. Plasma hormone analysis showed a decreased 17-hydroxyprogesterone concentration, but increased concentrations of androstenedione, estradiol and dehydroepiandrosterone sulfate. These results can be explained by the fact that a decrease of 3β-HSD may lead to an activation of 17,20lyase, and thus the androgen pathway. In another hyperadrenocorticoid ferret in which the depot GnRH agonist did not seem to work anymore, no improvement was seen after a month of treatment with trilostane. The hormone concentrations in this ferret did not decrease or increase in this ferret during the treatment with trilostane. More research is therefore necessary before this drug can be safely used in ferrets.

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ADDITIONAL READING Nico Schoemaker’s PhD thesis on Hyperadrenocorticism in Ferrets can be found online at: http://igitur-archive.library.uu.nl/dissertations/2003-1128094343/inhoud.htm Address for correspondence: Nico J. Schoemaker DVM, PhD, Dip. ECZM (small mammal & avian) Dipl. ABVP-Avian - Division of Zoological Medicine, Faculty of Veterinary Medicine, Utrecht University, Utrecht, the Netherlands

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Use of Deslorelin as an Alternative Option to the Ferret Surgical Sterilization Nico J. Schoemaker Dipl ECZM-Avian, Dipl ECZM-Small Mammal, Utrecht (NL)

Surgical castration of ferrets (Mustela putorius furo) is common practice in the USA and various European countries. Although in male pet ferrets (hobs) there is no medical need for castration, they are mainly castrated to prevent reproduction, to reduce interspecies aggression enabling them to be kept in groups, and to decrease the intensity of the musky odor produced by the sebaceous glands8. Hyperadrenocorticism is a common disease in neutered pet ferrets. The syndrome differs from hyperadrenocorticism in other species, such as humans and dogs, in that glucocorticoid excess is much less pronounced in ferrets. Instead, in ferrets the disease is characterized by excessive adrenal production of sex steroids, giving rise to vulvar swelling in neutered female ferrets (jills), recurrence of sexual behavior in neutered hobs, and alopecia8. It has been hypothesized that increased concentrations of gonadotropins, which occur after neutering due to the loss of negative feedback, persistently stimulate the adrenal cortex resulting in adrenocortical hyperplasia and tumor formation. Strong support for this hypothesis may be found in the fact that the depot GnRH-agonists, leuprolide acetate and deslorelin, can be used successfully to treat ferrets with hyperadrenocorticism12, 13, and that LH-receptors (LH-R) have been detected in the adrenal glands of ferrets with hyperadrenocorticism. These receptors were considered to be functional because plasma concentrations of adrenal androgens increased after intravenous injection of a GnRH-agonist7. Based on these findings it has been proposed to search for alternatives for surgical castration in ferrets. One of the possible alternatives for surgical castration is the continuous administration of a GnRH analogue. The results of the use of these analogues differ, however, among the different species. In dogs and cheetahs continuous administration of a GnRH analogue suppresses spermatogenesis2, 10. In the bull, however, continuous administration of a GnRH analogue leads to basal LH concentrations which are higher than in control animals, possibly explaining their concurrent increased plasma testosterone concentrations3. In addition, testis volume is also increased, and more round spermatids were found in the seminiferous tubules1. In marmoset monkeys and wallabies plasma testosterone concentrations remain within the normal range during the use of a long-acting GnRH agonist4, 5.

In search for a suitable alternative two studies were performed. The initial study was carried out with male ferrets, kept under laboratory conditions, to evaluate whether the deslorelin implant would be suitable as alternative for surgical castration. In this study the effect of treatment with the depot GnRH-agonist implant, containing 9.4 mg deslorelin, on plasma testosterone and gonadotropin concentrations and concurrent testes size, spermatogenesis, the typical musky odor, and the interspecies aggression and sexual behavior was investigated. Twenty intact hobs (1 - 2 yrs of age) were divided into 3 groups. Ferrets from Group 1 (n=7) were surgically castrated. Ferrets from Group 2 (n=7) were given a deslorelin implant, while ferrets from Group 3 (n=6) received a placebo implant. Plasma testosterone concentrations were below the detection limit of the assay in the ferrets with the deslorelin implants. The testis size in these ferrets was also very small compared to those from group 3. As expected, plasma LH and FSH concentrations rose significantly in the surgically castrated ferrets compared to the intact ferrets, while in the ferrets with the deslorelin implants a decrease in concentrations was seen. According to a human test panel, ferrets which had received the deslorelin implant smelled the least. Normal germ cells were found in the testis from the ferrets with the placebo implants, while no normal germ cells could be found in the testis from the delorelin group. Finally, ferrets from the deslorelin group showed less agonistic behavior compared to the ferrets from the surgically castrated group and those from the placebo group during confrontations test. The ferrets from the deslorelin group also showed less neckgripping. The deslorelin implant therefore addresses all issues related to the desire to surgically castrate male ferrets, and can be seen as a suitable alternative for surgical castration in ferrets9, 11. Based on the study described above we felt confident to perform a second study in which Suprelorin6ÂŽ (a implant containing 4.7 mg deslorelin) was given to 72 male and 60 female privately owned ferrets. The effect of the implant was evaluated over a period of 2 years. The great majority of owners was very satisfied with the effect of the implant. The implant seems to work for 2 years in ferrets, but the results need some further evaluation. During this study, it was also evaluated whether an oral dose of 2 mg medroxyprogesteron acetate given 2 days prior to placement of the Suprelorin6ÂŽ implant would prevent

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estrus. The turned out, not to be the case. Estrus duration after implantation was usually no longer than 2 weeks, which was considered acceptable by the owners. Based on the above finding we conclude that Suprelorin6® can be considered a suitable alternative for surgical castration in ferrets. Whether the implant indeed reduces the incidence of adrenal disease in ferrets needs further investigation.

6.

7.

8.

9.

REFERENCES 10. 1.

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5.

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Address for correspondence: Nico J. Schoemaker DVM, PhD, Dip. ECZM (small mammal & avian) Dipl. ABVP-Avian - Division of Zoological Medicine, Faculty of Veterinary Medicine, Utrecht University, Utrecht, the Netherlands

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Pubblicità sanitaria Marco Viotti Med Vet, Torino

Bisogna cercare di capire che cosa intendiamo per pubblicità. Sostanzialmente è un mezzo per promuovere quelli che sono i servizi offerti dalla nostra struttura al fine di consolidare e\o aumentare la clientela. In ambito sanitario fino al 2005 vi era assoluto rigore e pochi erano i mezzi utilizzabili, poi dopo la legge Bersani si è diffusa la voce che le regole pubblicitarie fossero abolite in toto e che quindi ogni forma di pubblicità fosse accettabile. Così non è! Infatti il D. Leg. 145/2007 dispone che “La pubblicità deve essere palese, veritiera e corretta. Il Codice Deontologico Fnovi, coerentemente al disposto di legge, prevede che la pubblicità debba essere corretta, trasparente e veritiera, e che sia vietata la pubblicità non palese (ovvero la pubblicità occulta o subliminale). I medici veterinari e associazioni professionali devono soggiacere dunque anche al disposto del Codice Deontologico e delle linee guida Fnovi sulla pubblicità sanitaria. Assistiamo però sempre più a un proliferare di pubblicià in puro stile commerciale che mal si addicono alla libera professione del medico veterinario; dobbiamo quindi chiarire cosa sia permesso e cosa no.

durata, presso strutture pubbliche o private, le metodiche diagnostiche e/o terapeutiche effettivamente utilizzate, certificate negli aspetti quali-quantitativi dal direttore o responsabile sanitario; - nell’indicazione delle attività svolte e dei servizi prestati dovranno restare escluse le attività manifestamente di fantasia o di natura meramente reclamistica, che possono attrarre i clienti sulla base di indicazioni non veritiereattività di consulenti operanti nella struttura; - comunicazioni dedicate all’educazione sanitaria in relazione alle specifiche competenze del professionista; - l’indirizzo di svolgimento dell’attività, gli orari di apertura, le modalità di prenotazione delle visite e degli accessi ambulatoriali e/o domiciliari, l’eventuale presenza di collaboratori e di personale con l’indicazione dei relativi profili professionali; può essere pubblicata una mappa stradale di accesso allo studio o alla struttura; Risultano invece non consentite un insieme di informazioni che possiamo riassumere brevemente in: - la pubblicazione di notizie che rivestono i caratteri di pubblicità personale surrettizia, artificiosamente mascherata da informazione sanitaria; - la pubblicazione di notizie che sono lesive della dignità e del decoro della categoria o comunque eticamente disdicevoli.

Per obbligo deontologico dobbiamo inserire: - nome e cognome; - il recapito professionale; - l’Ordine professionale presso cui è iscritto e il numero di iscrizione

Possiamo quindi concludere che la pubblicità sanitaria non è così libera come potrebbe sembrare a una lettura superficiale delle norme ma fortemente vincolata al codice deontologico che deve essere la nostra prima guida professionale e di cui non dobbiamo mai dimenticarci di tenerne conto.

Possiamo poi integrare tali informazioni con: - il curriculum degli studi universitari e delle attività professionali svolte e certificate anche relativamente alla

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Pituitary Dwarfism: Diagnosis and Therapy Annemarie M.W.Y. Voorbij DVM, Utrecht (NL)

Hans S. Kooistra DVM, Dipl ECVIM-CA, Utrecht (NL)

due to GH deficiency. Lhx4 was excluded as a candidate gene for pituitary dwarfism in German shepherd dogs, because linkage analysis revealed no co-segregation between the dwarf phenotype and a DNA marker in the Lhx4 gene region.6 Leukemia inhibitory factor (LIF), a pleiotropic cytokine, and its receptor (LIFR) play a modulating role in the ontogeny of the adenohypophysis. Consistent with the phenotype of German shepherd dwarfs, transgenic mice with pituitary overexpression of LIF display severe dwarfism and cystic cavities in the adenohypophysis. Because there was no allelic association between a polymorphic microsatellite marker in the near vicinity of the LIFR gene and the dwarfism phenotype, LIFR was excluded as a candidate gene for pituitary dwarfism in German shepherd dogs.7 In a recent study, the gene that holds the mutation that causes pituitary dwarfism in German shepherd dogs was identified. A genome-wide scan was conducted with over 300 microsatellite markers on two families of German shepherd dogs in which dwarfism occurred. One marker displayed complete linkage with the dwarf phenotype. The chromosomal area in which this marker is located was finemapped with 7 more microsatellite markers in 23 German shepherd dwarfs. All dwarfs were found to display complete linkage with one chromosomal area. The multipoint lod score for this region was 9.8. One obvious candidate gene is located in the critical region. However, the coding sequence of this gene was not mutated in the dwarfs. The dwarfism appeared to be associated with deletion of a repetition from a reiterated DNA sequence. We suggest that this deletion is directly responsible for the pituitary dwarfism.

INTRODUCTION The development of the adenohypophysis is a highly differentiated process that is tightly regulated by the coordinated actions of numerous transcription factors. During embryogenesis, the adenohypophysis develops from Rathke’s pouch, which arises from the oral ectoderm. The individual hormone secreting cells emerge from this pouch in a sequential order. Of the adenohypophyseal endocrine cells, the corticotropic cells are the first to develop. Any defect in the development of the pituitary gland may result in a form of isolated or combined pituitary hormone deficiency. In dogs, congenital GH deficiency or pituitary dwarfism is the most striking example of pituitary hormone deficiency. Pituitary dwarfism has been mentioned to occur in different dog breeds, including the Carelian bear dog and Saarloos wolfhound. However, the condition is encountered most often in German shepherd dogs. German shepherd dwarfs have a combined deficiency of GH, TSH, PRL, and the gonadotropins. In contrast, ACTH secretion is preserved in these animals.1, 2

PATHOGENESIS Pituitary dwarfism is known as a simple, autosomal, recessive inherited abnormality.3 Because ACTH secretion is unaffected in the German shepherd dwarfs, it was supposed that a mutation of a gene encoding a transcription factor that precludes effective expansion of pituitary stem cells after the differentiation of the corticotropic cells is the cause of this disorder. Several genes have been investigated as candidate genes for the mutation. The candidate genes investigated first were POU1F1 (previously known as Pit-1) and Prop1. In humans and mice, mutations in these genes lead to phenotypes similar to those described in German shepherd dogs. The involvement of these genes in canine pituitary dwarfism was excluded by DNA sequence and segregation analysis.4, 5 At a later stage the involvement of transcription factor gene Lhx4 was investigated. In humans, a splice site mutation of Lhx4 has been identified in patients with short stature

CLINICAL MANIFESTATIONS Pituitary dwarfism can lead to a wide range of clinical manifestations and not all dwarfs display the same clinical signs and symptoms. The most common clinical manifestations are marked growth retardation, retention of secondary hairs (puppy hair coat) with concurrent lack of primary hairs, and bilateral symmetrical alopecia. Other often-encountered

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manifestations are skin problems such as hyperpigmentation, scales, and bacterial infections.8, 9 In addition, a pituitary cyst can be identified in most dwarfs.10

good option is the use of porcine GH. Administration of porcine GH will not result in the formation of antibodies, because the amino acid sequence of porcine GH is identical to that of canine GH.9 Whether therapy will lead to linear growth of the dwarf is dependent on the status of the growth plates at the time that treatment is started. A beneficial response in the skin and hair coat usually occurs within 6 to 8 weeks of the start of therapy.8

DIAGNOSIS Combined anterior pituitary function test Although the physical features of pituitary dwarfism may seem obvious, the definite diagnosis of pituitary dwarfism should rely on evaluation of pituitary responsiveness to provocative testing, i.e., challenging the adenohypophyseal cell types by stimulation with four releasing hormones: GHreleasing hormone (GHRH), corticotropin-releasing hormone (CRH), thyrotropin-releasing hormone (TRH), and gonadotropin-releasing hormone (GnRH).2, 9, 11

Alternatively, long-term treatment with medroxyprogesterone acetate (MPA)10 or proligestone13 can be used, since progestins are able to induce the expression of the GH gene in the mammary gland of dogs.

Ghrelin stimulation test

Thyroid hormone

Another test to determine the responsiveness of the somatotropic cells is the ghrelin stimulation test. Ghrelin is a potent stimulator of GH release in dogs. In young dogs it is an even more potent stimulator than GHRH.12

The secondary hypothyroidism should be treated with synthetic levo-thyroxine.

Progestins

PROGNOSIS Diagnostic imaging

Without proper treatment, the long-term prognosis is poor. By the age of 3 to 5 years the animal has usually become a bald, thin, and dull dog. At this stage owners usually request euthanasia for their dog.14 Although the prognosis improves significantly when dwarfs are properly treated with levo-thyroxine and either porcine GH or progestins, their prognosis still remains guarded. This grim scenario further stresses the need to use the DNA-test in potential breeding animals.

The morphology of the pituitary may be investigated with computed tomography or magnetic resonance imaging. In most German shepherd dwarfs, an intrapituitary cyst can be identified at a young age, and the size of this cyst gradually enlarges during life.10 Because healthy dogs may have pituitary cysts as well, a definitive diagnosis of pituitary dwarfism cannot be based solely upon the presence of pituitary cysts.9

REFERENCES Genetic test

1.

Based on the elucidation of the mutation that causes pituitary dwarfism, a DNA-test could be developed. With this test, not only dwarfs, but also carriers of the mutation can be identified. Today, this DNA-test is only performed at Utrecht University.

2.

3.

4.

TREATMENT 5.

Heterologous GH The most logical option would be to treat the dwarfs with canine GH. Unfortunately, this is not possible, since canine GH is not available for therapeutic use. Another option is the use of heterologous GH. In the past, there have been attempts to treat pituitary dwarfs with human GH. Not only is this a very expensive therapy, formation of antibodies directed against human GH also precludes its use. A

6.

7.

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Address for correspondence: Department of Clinical Sciences of Companion Animals, Faculty of Veterinary Medicine, Utrecht University, The Netherlands E-mail: A.M.W.Y.Voorbij@uu.nl

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L'anestesia per la chirurgia toracica e l'ernia diaframmatica Luca Zilberstein Med Vet, PhD, Dipl ECVAA, Maison Alfort (F)

chée, bronches majeures …jusqu’aux bronchioles terminales). Ces dernières ne contiennent pas d’alvéoles et aucun échange gazeux ne s’effectuera à leur niveau. Elles constitueront, donc, un espace mort (i.e. volume d’air qui ne participe pas aux échanges gazeux), dit Anatomique. L’air contenu dans les alvéoles non perfusées, (heureusement un volume dérisoire chez le sujet vigile et en bon état de santé) constituera l’espace mort Alvéolaire. Ces deux volumes, ensemble, sont appelés: espace mort Physiologique. Ils peuvent changer en fonction de différentes variables: physiopathologiques et iatrogènes (ventilation artificielle par exemple).

INTRODUZIONE: A COSA SERVE LA VENTILAZIONE ALVEOLARE? La première fonction des poumons est de permettre à l’oxygène contenu dans l’air (21%) d’enrichir le sang veineux et d’évacuer le dioxyde de carbone produit par l’organisme. Parallèlement les poumons sont aussi des sites de métabolisation pour certaines molécules, ils filtrent certains matériaux de la circulation et agissent comme réservoir pour le sang. Leur fonction principale reste celle d’interface pour les échanges gazeux de l’organisme et donc de régulation de ce délicat équilibre dynamique. L’oxygène et le CO2 traversent la subtile interface alvéole/capillaire par diffusion passive. Ceci signifie que leur gradient de pression entre les deux surfaces sera le « moteur » de ce passage. Le flux d’air arrivera à cet endroit magique (l’alvéole), suivant les voies aériennes supérieures et inférieures (tra-

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Quelques rappels de physiologie Les poumons sont situés à l’intérieur de la cavité thoracique en équilibre entre les forces élastiques du parenchyme pulmonaire (contractantes) et celles de la paroi thoracique (expansives). Ces deux forces opposées sont reliées par l’espace intrapleural (presque virtuel). A la fin d’une expiration normale, le volume contenu dans les poumons représente la capacité fonctionnelle résiduelle (FRC) et la différence entre la pression alvéolaire et celle intra-pleurale représente la pression transpulmonaire. Ce gradient est fondamental lors de la respiration physiologique et nous verrons que ce mécanisme sera fortement modifié lors d’une ventilation artificielle. Physiologiquement (sauf les oiseaux…) l’inspiration est un processus actif et l’expiration passif (en suivant les forces élastiques cumulées pendant l’acte actif).

Circulation pulmonaire La circulation pulmonaire et celle systémique sont en série avec le même flux. En revanche la circulation pulmonaire n’a pas les mêmes résistances et travaille à basse pression. C’est pour cela que tout changement de pression intrathoracique se traduira en une altération de la circulation pulmonaire plus ou moins marquée. La circulation bronchique représente normalement 1% du débit cardiaque. A cause des faibles résistances locales, les pressions intra pulmonaires sont seulement le 20% de celles systémiques. La pression systolique dans l’artère pulmonaire est de 25 mmHg et la diastolique de 10 mmHg, pour descendre 8 mmHg de moyenne dans les capillaires. Ces valeurs ne sont pas redistribuées uniformément, mais elles suivent un gradient dépendant de la force de gravité terrestre. Cela veut dire que physiologiquement il y aura des zones pulmonaires où les alvéoles seront ventilées mais non perfusées (espace mort) et, parallèlement, d’autres opposées à celles-ci où les alvéoles seront perfusées mais non ventilées (shunt). En médecine humaine la recherche a permis de répartir les poumons en trois zones de pression bien identifiées. Malheureusement, en médecine vétérinaire les choses ne sont pas si bien précisées. Aujourd’hui, surtout grâce aux études du Pr. Yves Moens, nous connaissons comme dans l’espèce équine ce phénomè-

Phases de la ventilation spontanée •

Au repos la pression intra-alvéolaire est la même que la pression atmosphérique. La pression intra pleurale est de -5 cmH2O. Aucun mouvement de gaz n’est présent. Pendant l’inspiration la pression intrapleurale descend (expansion thoracique) jusqu’à - 8 cmH2O. Cette force est transmise à l’alvéole et sa pression descend à – 1 cmH2O. L’air sera donc inspiré et descendra les voies aériennes jusqu’aux alvéoles. Le phénomène s’arrêtera lorsque la pression intra-alvéolaire sera équivalente à celle atmosphérique. Expiration. Lorsque les forces d’inspiration actives s’arrêteront, les forces élastiques cumulées garantiront le retour. La pression intrapleurale augmentera (moins négative) et celle intra-alvéolaire deviendra positive (+ 1 cmH2O). L’air sortira des poumons jusqu’à un nouvel équilibre (pression intrapleurale - 5 cmH2O)

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ne est dramatiquement accentué et peut devenir un sérieux danger pour le bien être de l’animal en anesthésie générale et sous ventilation artificielle. Le même danger représente un des challenges les plus stimulants pour la recherche scientifique. Normalement chez un individu sain et vigile, l’organisme peut adapter sa propre circulation pulmonaire par des micros réglages locaux (NO, ET-1, TXA2, …), mais avec certaines drogues (i.e. les halogénés), ce phénomène est altéré. Il en résultera que tous les problèmes cités pourront librement se manifester sur un animal en anesthésie générale. Il faut quand même dire, pour ne pas être trop dramatique et plus réaliste, que normalement chez les petits animaux domestiques (chien, chats, …) souvent ce phénomène ne représente pas un problème clinique.

Rapport Ventilation-Perfusion Une disparité entre la ventilation et la perfusion alvéolaires (shunt/espace mort) est à l’origine de tous les troubles de diffusion des gaz intrapulmonaires. Ce rapport (ventilation/perfusion) détermine la concentration et donc la pression partielle de l’O2 et du CO2 dans le sang. Si se rapport est élevé, alors la PO2 alvéolaire sera élevée et la PCO2 basse. Au contraire si le rapport est bas alors la PO2 alvéolaire sera basse et la PCO2 élevée. Cela naturellement se réfère à la moyenne sur les poumons en entier, car les différences locales peuvent fortement interférer avec le système.

La ventilation La ventilation mécanique est utilisée comme support à la fonction pulmonaire lors d’une incompétence de celle-ci. Tous les ventilateurs couramment employés gonflent les poumons lors d’une inspiration. Ce phénomène est régi par une simple équation, dite: Equation du Mouvement. Cette équation affirme tout simplement que la quantité de pression nécessaire à l’inflation des poumons dépend des: Résistances, Compliance, Volumes Courants et Flux (débits) inspiratoires. Bien que la ventilation artificielle soit absolument indispensable dans de nombreuses situations d’anesthésie ou de soins intensifs, il faut reconnaître et savoir gérer tous les effets indésirables, voir adverses, provoqués par cette situation non physiologique.

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mène et le rendent, dans certaines situations, inutile (I.E. surdistension des alvéoles ventilées et augmentation de l’espace mort alvéolaire au détriment de la circulation sanguine). La stricte surveillance de la Paw (ou de la PIP) sera absolument indispensable dans toutes les situations, surtout celles à risque.

Quelques souvenirs… Le système en pression négative qui facilite l’expansion pulmonaire et le retour veineux, au cours d’une ventilation artificielle, est interrompu. La pression intra-thoracique moyenne est souvent positive, particulièrement lors de l’utilisation d’une PEEP (Positive End Expiratory Pressure). Ces fluctuations positives vont fortement interférer au niveau cardio-vasculaire avec les bénéfices apportés par la ventilation alvéolaire. Quatre facteurs principaux seront à l’origine des variations de la pression moyenne des voies aériennes (Paw). • Niveau de pression inspiratoire (PIP) • Niveau de pression expiratoire (PEEP) • Rapport entre l’inspiration/expiration (I : E) • Forme de la courbe de pression inspiratoire

Ventilation Par ventilation on sous-entend tous les mouvements des gaz à travers le poumon. Le volume courant (VT) est la quantité de gaz respirée à chaque souffle. Celle-ci multipliée par la fréquence respiratoire (fb) nous donnerait le volume-minute (VE). Donc: VE = VT x fb

Normalement la ventilation artificielle devrait être telle que la pression positive puisse rouvrir les alvéoles collabées et ensuite les maintenir ouvertes en améliorant l’oxygénation. Cependant, différents mécanismes patho-physiologiques (surtout dans l’espèce équine) réduisent l’avantage de ce phéno-

La ventilation peut être soit espace mort (VD), soit ventilation alvéolaire (VA). La ventilation minute sera, donc, la somme des deux:

VE = VD + VA

A cela il faudra rajouter l’espace mort Mécanique (i.e. volume rajouté par les circuits aux deux autres)

Ce paramètre devra être tenu en forte considération lors d’une ventilation artificielle, car on pourra s’on servir lors d’un besoin d’hyperventilation.

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L’ampleur de cette réduction sera encore plus importante si elle est associée à une grande Paw, une grande compliance pulmonaire et une hypovolémie. La pression positive influence les performances cardiaques par différentes moyennes : • Réduction du retour veineux et du remplissage du cœur droit. • Augmentation des résistances vasculaires pulmonaires. • Diminution de la post-charge ventriculaire gauche. Le phénomène plus grave concerne la diminution du retour veineux. Quand la pression ventilatoire intratoracique dépasse certaines valeurs, l’empêchement mécanique pour que le sang de la grande circulation puisse retourner dans l’atrium droit, est fortement présent. La situation est directement dépendante de la volémie du patient. Si on ne peut pas diminuer la Paw (pour des problèmes respiratoires), on peut améliorer la situation en augmentant la volémie du patient ou sa contraction cardiaque (utilisation des inotrôpes positives).

Atélectasie L’atélectasie peut facilement être la complication d’une ventilation, alors que le volume insufflé résulte être insuffisant par rapport à la capacité pulmonaire (Paw trop bas). Une obstruction des voies aériennes (par exp. du mucus) produira le même effet. Une sage utilisation d’une PEEP pourra régler cet inconvénient, voir le résoudre.

Barotrauma Ce traumatisme est produit par une sur-insufflation des alvéoles au-delà de leurs capacités. L’emphysème interstitiel, le pneumomédiastin, l’emphysème sous-cutané et le pneumothorax peuvent être la grave conséquence de cette mauvaise procédure. De l’instant où la mesure de la pression locale (dans les différentes alvéoles) est pratiquement irréalisable, il sera fondamental de prêter attention à la PIP. Cette pression doit être réglée en fonction de l’animal, de sa situation clinique et de ses besoins en terme de ventilation. Même si la taille et la race du patient joue un rôle important, une bonne règle générale sera d’utiliser toujours une PIP inférieure à 30 cm H2O pour les sujets de grande taille et adultes. Certains ventilateurs peuvent travailler en modalité « Pressure Control », ce qui veut dire qu’on peut contrôler la pression avec laquelle on travaille. L’avantage est qu’on ne pourra pas être surpris par un barotraumatisme si on a bien réglé notre ventilateur (même chez les patients néonatals).

Effets rénaux C’est une conséquence directe de la situation précédente. Toutes les situations d’hypovolémie et baisse du débit cardiaque peuvent amener à des diminutions du débit rénal et, par conséquent, à des insuffisances pré-rénales. On décrit, en médicine humaine, certains effets de la ventilation sur le ADH et ANP qui pourraient jouer un rôle dans cette problématique, mais aucune confirmation vétérinaire sur ce sujet n’est disponible à ce jour.

Pneumonie

Effets gastro-entériques

Toutes les infections nosocomiales sont possibles lors de l’utilisation inadéquate (sans désinfection) des circuits respiratoires, ventilateurs inclus. Heureusement, sauf dans des cas particuliers, les animaux domestiques ne semblent pas être aussi sensibles aux infections pouvant se transmettre par cette voie, comme pour les humains. Cependant une bonne discipline hygiénique (filtres, nettoyages, etc.…) devrait être la bonne règle dans chaque clinique.

Le seul problème pourrait être la sur-distension de l’estomac comme suite d’une insuffisance d’étanchéité sur le ballon de la sonde endo-trachéale.

Effets neurologiques Tous les traumatisés crâniens requièrent une grande attention. Notre ventilation (même si dans le but de réduire la capnie et diminuer la pression intra-crânienne) peut augmenter le volume sanguin intra-crânien et sa pression par simple réduction du retour veineux. Une fois de plus, il sera encore fondamental de régler au mieux notre Paw.

Toxicité de l’oxygène Il ne faut pas oublier que l’oxygène est fortement toxique (c’est un comburant), quand il est utilisé de manière inadéquate. Heureusement ce problème est relativement rare en médicine vétérinaire, car la plupart des ventilations à 100% de O2 ne dépassent jamais les 24h.

CONCLUSION Grâce à l’évolution de la thérapeutique chirurgicale, la ventilation mécanique est de plus en plus utilisée en médicine vétérinaire. Son importance et son besoin sont absolument évidents. Parallèlement, l’évolution et la disponibilité des matériaux (ventilateurs d’utilisation facile et à un juste prix) permettent à la plupart des passionnés vétérinaires de s’équiper et recourir à cette pratique sans hésitation.

Effets cardiovasculaires On a déjà anticipé, lors de la discussion de la Paw, que toute ventilation mécanique réduit le débit cardiaque.

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Cependant, la ventilation artificielle est par définition anti physiologique et provoque une série de répercussions cardio-respiratoires non négligeables. Les ventilateurs modernes cherchent tous de réduire cet inconvénient en respectant au maximum la physiologie respiratoire. La recherche de l’optimum est en pleine course. Avant de se lancer dans le magnifique univers de la ventilation mécanique, il sera indispensable d’avoir une bonne connaissance de tous les effets qu’on imposera à notre patient, effets négatifs inclus. Seulement avec cette « base de

données » on pourra comprendre et utiliser les différentes thérapies ventilatoires.

Bibliographie John B. West, Pulmonary Pathophysiology, Lippincott Williams 7 Wilkins. John B. West, Respiratory Physiology, Lippincott Williams 7 Wilkins. Dean R. Hess; Robert M. Kacmarek, Mechanical Ventilation Mc Graw Hill. Lawrence Martin, All You really need to know to interpret Arterial blood Gases Lippincott Williams 7 Wilkins. Ian Power; Peter Kam, Physiology for the anaesthetist Arnold.

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Segni clinici cutanei e sistemici suggestivi di una endocrinopatia: dermatologia o medicina interna? (Caso clinico II) Eric Zini PD, Phd, Dipl ECVIM-CA, Novara

Nei piccoli animali, ed in particolare nel cane, esistono diverse malattie del metabolismo che si associano a manifestazioni cutanee importanti. Alcune di queste malattie sono relativamente comuni, come l’iperadrenocorticismo e l’ipotiroidismo, mentre altre sono molto rare, come la sindrome epatocutanea. Nonostante la diagnosi possa sembrare ovvia in diversi casi, nella clinica pratica spesso si incontrano delle difficoltà. Di seguito sono descritti due casi clinici rappresentativi di interesse dermatologico con importanti risvolti di medicina interna.

vie biliari appaiono pervie. I restanti organi addominali appaiono normali per forma, dimensioni e morfologia. Indagini supplementari: il test di soppressione con desametazone a basso dosaggio indica una normale soppressione dopo 4 ore ed una mancata soppressione dopo 8 ore. Il test di stimolazione con ACTH sintetico mostra un’eccessiva secrezione di cortisolo dopo 90 minuti. Diagnosi e terapia: si diagnostica l’iperadrenocorticismo, complicato da una cistite batterica. Si prescrive trilostano, terapia antibiotica e farmaci anti-ipertensivi. I sintomi clinici, quali poliuria e polidipsia, la polifagia, nonché l’incontinenza urinaria migliorano dopo 1-2 settimane. L’ipertensione sistemica è controllata entro la prima settimana di terapia. Dal punto di vista cutaneo si osserva un primo miglioramento a distanza di 6 settimane. L’alopecia si risolve dopo circa 3-4 mesi dall’inizio della terapia. Nota: molti cani con iperadrenocorticismo sono ipertesi1. La proteinuria nei cani con iperadrenocorticismo, se di origine renale, può essere conseguente ad ipertensione arteriosa o conseguente a patologia glomerulare. I cani con iperadrenocorticismo possono avere glomerulopatie mesangiali1. Spesso i cani con iperadrenocorticismo presentano cistiti batteriche, quale conseguenza dell’eccesso di cortisolo2.

Caso clinico IIa Segnalamento: cane di razza meticcia, maschio castrato, di 8 anni, con peso corporeo di 7 kg. Anamnesi: il cane manifesta poliuria e polidipsia da circa 7 mesi, polifagia da circa 4 mesi. Da 2 settimane sembra incontinente. Da 3 mesi il cane ha iniziato a perdere il pelo in modo diffuso ed in particolare a livello di addome. Il cane da qualche tempo tossisce, sia a riposo che durante l’esercizio. Visita clinica: il cane presenta alopecia ed un assottigliamento della cute. La muscolatura addominale appare flaccida. La pressione sistolica arteriosa, misurata con metodica Doppler, è di 190 mm Hg. L’esame fisico è altrimenti normale. Esami del sangue: all’emocromo si osserva lieve neutrofilia matura con linfopenia ed eosinopenia assolute. Il profilo biochimico mette in evidenza un aumento della fostatasi alcalina (8x), della GPT (4x), della GOT (3x), del colesterolo e dei trigliceridi, nonché un lieve aumento della glicemia (glucosio 140 mg/dl). La concentrazione sierica delle fruttosamine è normale. Esame delle urine ed urinocoltura: le urine hanno un peso specifico di 1014, il sedimento è silente ed il rapporto proteine-creatinina urinaria è di 1.2. L’urinocoltura evidenzia E. coli. Esame radiografico del torace: si osservano mineralizzazioni bronchiali; il parenchima polmonare è altrimenti normale. Esame ecografico addominale: le ghiandole surrenali appaiono di dimensioni aumentate (spessore della ghiandola sinistra 8 mm e della ghiandola destra 9 mm); il fegato è soggettivamente aumentato di dimensioni, iperecogeno e le

Caso clinico IIb Segnalamento: cane di razza meticcia, femmina sterilizzata, di 8 anni, con peso corporeo di 20 kg. Anamnesi: il cane ha iniziato a perdere il pelo da circa 2 mesi, soprattutto in corrispondenza della coda ma anche su tutto il corpo. Il pelo sembra più secco. Il cane è meno vivace e si stanca velocemente durante l’esercizio fisico. Visita clinica: la cute, in corrispondenza delle aree alopeciche, si presenta più scura e secca. La mucosa orale è lievemente pallida. L’esame fisico è altrimenti normale. Esami del sangue: all’emocromo si osserva una lieve anemia (ematocrito 35%) normocromica, normocitica e non rigenerativa. Il profilo biochimico mette in evidenza un aumento del colesterolo (2x) ed un lieve aumento dei trigliceridi, nonché della creatinina (1.6 mg/dl; normale < 1.5 mg/dl). Esame delle urine: le urine hanno un peso specifico di 1023, il sedimento è silente.

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Esame radiografico del torace: nei limiti della norma. Esame ecografico addominale: gli organi addominali appaiono normali per forma, dimensioni e morfologia. Indagini supplementari: il T4 libero ed il T4 totale sono diminuiti. Il TSH è aumentato. Diagnosi e terapia: si diagnostica l’ipotiroidismo. Si prescrive levotiroxina. Il cane dopo 1-2 settimane di terapia è più vivace. Dal punto di vista cutaneo si osserva un primo miglioramento a distanza di 4 settimane. L’alopecia si risolve dopo circa 3 mesi dall’inizio della terapia. La creatininemia a 3 mesi è normale. Nota: nei cani ipotiroidei le alterazioni di laboratorio sono poche3. I cani con ipotiroidismo pur potendo avere danni renali subclinici quale conseguenza della riduzione del volume di filtrato glomerulare indotta dalla carenza di ormoni tiroidei, raramente hanno aumenti delle concentrazioni sieriche di creatinina4.

BIBLIOGRAFIA 1.

2.

3.

4.

Ortega TM, Feldman EC, Nelson RW, et al. Systemic arterial blood pressure and urine protein/creatinine ratio in dogs with hyperadrenocorticism. J Am Vet Med Assoc, 1996; 209: 1724-1729. Nichols R. Complications and concurrent disease associated with canine hyperadrenocorticism. Vet Clin North Am Small Anim Pract, 1997; 27: 309-320. Boretti FS, Breyer-Haube I, Kaspers B, et al. Clinical, hematological, biochemical and endocrinological aspects of 32 dogs with hypothyroidism. Schweiz Arch Tierheilkd, 2003; 145:149-56: 158-159. Gommeren K, van Hoek I, Lefebvre HP, et al. Effect of thyroxine supplementation on glomerular filtration rate in hypothyroid dogs. J Vet Intern Med, 2009; 23: 844-849.

Indirizzo per la corrispondenza: Eric Zini - Clinic for Small Animal Internal Medicine, University of Zurich (Switzerland) - Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie, Università di Padova, Istituto Veterinario di Novara

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COMUNICAZIONI BREVI Le comunicazioni sono elencate in ordine alfabetico secondo il cognome dell’autore presentatore.

SHORT COMMUNICATIONS Short communications are listed in alphabetical order by surname and then in chronological order of presentation.


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TREATMENT OF CANINE LEISHMANIASIS: A 24-MONTHS PARASITOLOGICAL AND CLINICAL FOLLOW-UP IN DOGS TREATED WITH MILTEFOSINE AND ALLOPURINOL G. Ariti, DVM, PhD1,2, M. Bizzeti, DVM, PhD, Associate professor2, F. Mancianti, DVM, PhD, ECVP, Full Professor1, L. Mugnaini, DVM, PhD1 1 Dipartimento di Patologia Animale, Profilassi ed Igiene degli Alimenti, Pisa, Italia 2 Dipartimento di Clinica Veterinaria – Università di Pisa, Pisa, Italia Tipologia: Ricerca Originale Area di interesse: Leishmaniosi Aim of Work. The treatment of canine leishmaniasis is an integral part of the disease’s control and the first choice drug is represented by pentavalent antimonials. For these drugs the onset of resistance has been recorded, furthermore they have to be administered twice daily parenterally, making the treatment cumbersome. Miltefosine has been licensed from 2007 in Europe as oral solution at 2% (Milteforan®) and is employed at a dosage of 2 mg/Kg once daily for 28 days. It is compulsory the association with allopurinol (10 mg/kg) for at least 6 months. The data from literature about the efficacy of this treatment are ambiguous. A 12-months study carried out by Manna et al., (2009) in an endemic area showed that the association miltefosine and allopurinol does not eliminate the parasites. Conversely, further similar studies (Mateo et al. 2009; Mirò et al., 2009; Woerly et al., 2009) reported an improvement of the clinical signs and a good leishmanicidal efficacy of the drug. The present paper reports the results of a similar investigation in dogs living in a leishmaniasis medium-endemic area, with a long term follow-up. Material and Methods. Fourteen dogs with clinical signs were treated with a combination of miltefosine and allopurinol at the above reported dosages. At the start of the therapy and at 1, 3, 6, 9, 12 and 24 months all the dogs were investigated for haematochemical values, for specific antibodies (by IFAT) and for parasitic DNA by PCR on blood and conjunctival swabs. Results. Four dogs out of 14 died for renal failure, only one of them (dog 13) had a renal impairment at the beginning of the treatment. After 6 month of therapy, the other dogs showed a progressive clinical improvement, including a decrease in antiLeishmania antibody titres. Four dogs (29%) became sero-negative. Blood and conjunctiva PCR of these animals became negative. At 24 months a relapse was evident in 4/10 dogs. Complete elimination of Leishmania parasites was not observed in any subject. Two dogs had a second course of treatment after 6 months, which also failed to eradicate the parasite. Conclusion. Our results are in agreement with data reported by Manna et al., (2009), who did not observe aetiological/clinical cure. Miltefosine has a long half-life and so a propensity for selection of resistant forms (Croft SL et al., 2006). Resistance to miltefosine may emerge easily during treatment, due to single point mutations. Decrease in drug accumulation is the common denominator in all miltefosine resistant Leishmania lines studied to date (Maltezou, 2010). Resistant promastigote clones have been generated in the laboratory. Resistance was stable after withdrawal of drug pressure and was conferred to the amastigote stage indicating that resistant parasites are able to establish infections in vivo and that the resistance could persists in vivo (Seifert et al., 2007). For these reasons this treatment should be critically evaluated in veterinary medicine also, considering that an extensive use of a poor effective drug can select resistant parasites. References 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.

Croft SL, Sundar S, Fairlamb AH. (2006). Drug resistance in leishmaniasis. Clin Microbiol Rev. 19(1):111-26. Maltezou HC. (2010). Drug resistance in visceral leishmaniasis. J Biomed Biotechnol. Rev. 2010:617521. Manna L, Vitale F, Reale S, Picillo E, Neglia G, Vescio F, Gravino AE. (2009). Study of efficacy of miltefosine and allopurinol in dogs with leishmaniosis. Vet J. 182(3):441-5. Mateo M, Maynard L, Vischer C, Bianciardi P, Mirò G. (2009). Comparative study on the short term efficacy and adverse effect of miltefosine and meglumine antimonite in dogs with natural leishmaniosis. Parasitol Res 105:155.162. Mirò G, Oliva G, Israel C, Canavate C, Mortarino M, Vischer C, Bianciardi P.(2009). Multi-centric and controller clinical field study to evaluate the efficacy and safety of the combination of miltefosine and allopurinol in the treatment of canine leishmaniosis. Vet. Dermatol 20:397-404. Seifert K, Pérez-Victoria FJ, Stettler M, Sánchez-Cañete MP, Castanys S, Gamarro F, Croft SL. (2007). Inactivation of the miltefosine transporter, LdMT, causes miltefosine resistance that is conferred to the amastigote stage of Leishmania donovani and persists in vivo. Int J Antimicrob Agents 30:229-235. Woerly V., Maynard L, Sanquer A, Eun HM.(2009). Clinical efficacy and tolerance of miltefosine in the treatment of canine leishmaniosis. Parasitol Res 105(2): 463-9.

Corresponding Address: Dott. Gaetano Ariti - Università di Pisa, Facoltà di Medicina Veterinaria, Dipartimento di Patologia Animale Profilassi e Igiene degli Alimenti, Viale delle Piagge 2, 56100 Pisa (PI), Italia - Cell 328/0653867 - E-mail ariti@vet.unipi.it

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CONFRONTO TRA DUE DIVERSI PROTOCOLLI A BASE DI DOXORUBICINA PER IL TRATTAMENTO ADIUVANTE DELL’EMANGIOSARCOMA A SEDE BIOLOGICAMENTE MALIGNA NEL CANE L. Beatrice, DVM 1, R. Finotello, DVM, Resident Medical Oncology 2, D. Stefanello, DVM, PhD 3, E. Zini, DVM, PhD, DECVIM 4, G. Bettini, Prof, DVM 5, A. Poli, Prof, DVM, DECVP 6, V. Marchetti, DVM, PhD 2, L. Marconato, DVM, DECVIM- CA (Oncology) 1 1 Animal Oncology and Imaging Center, Hünenberg, Switzerland 2 Ospedale Didattico Veterinario, Mario Modenato, Pisa, Italy 3 Dipartimento Scienze Cliniche Veterinaria, Sezione Clinica Chirurgica, Milano, Italy 4 Clinic for Small Animal Internal Medicine, Vetsuisse Faculty, University of Zürich, Zurigo, Italy 5 Department of Veterinary Public Health and Animal Pathology, University of Bologna, Ozzano Emilia, Italy 6 Dipartimento di Patologia Animale, Profilassi e Igiene degli Alimenti, Pisa, Italy Tipologia: Original Research Area di interesse: Oncology Scopo del lavoro. L’emangiosarcoma (HSA) che origina da sottocute, muscoli o visceri ha, nel cane, comportamento biologico aggressivo, caratterizzato da invasività locale ed elevato potenziale metastatico.1 Comunemente i cani sono sottoposti a chirurgia e chemioterapia adiuvante con protocolli a base di doxorubicina.2-4 La prognosi è da considerarsi infausta, con tempi di sopravvivenza di 6-8 mesi.1-4 Scopo di questo lavoro era confrontare il protocollo storico doxorubicina-ciclofosfamide [D-C] con un nuovo regime a base di doxorubicina-dacarbazina [D-DTIC] (più dose-intenso, come dimostrato da intensità di dose per sommazione [SDI]), valutandone tossicità, vantaggi in tempo a metastatizzazione (TTM) e sopravvivenza. Materiali e metodi. Sono state riviste le cartelle cliniche di cani con HSA confermato istologicamente, completamente stadiati e sottoposti ad asportazione chirurgica e chemioterapia adiuvante. Si estrapolavano i seguenti dati: caratteristiche di tumore, tipo di trattamento, tossicità, TTM e sopravvivenza. I cani erano inclusi in 2 gruppi: nel gruppo 1 cani trattati con D-C, nel gruppo 2 cani trattati con D-DTIC. Cani con HSA dermico erano esclusi. Tutti i cani erano sottoposti a restaging dopo 2 cicli di chemioterapia e al termine della stessa. La tossicità era determinata secondo le linee guida VCOG.5 Per entrambi i gruppi si valutavano TTM e sopravvivenza, utilizzando l’analisi Kaplan-Meier seguita dal test logrank. Risultati. Si includevano 16 cani: 9 trattati con D-C e 7 con D-DTIC. Nel gruppo 1, erano inclusi 7 HSA splenici, 1 renale e 1 sottocutaneo, tutti in stadio II secondo WHO. In tutti i casi, la rimozione chirurgica risultava radicale. D-C era somministrata 7-10 giorni dopo chirurgia. SDI mediana ricevuta corrispondeva a SDI attesa. Due cani sviluppavano tossicità midollare (grado 1 e 3) e 4 cani tossicità gastroenterica (grado 1-3). Nel gruppo 2 erano inclusi 4 HSA splenici, 1 renale, 1 mesenteriale ed 1 sottocutaneo. Quattro cani erano in stadio II e 3 in stadio III secondo WHO. Istologicamente, 2 cani mostravano margini chirurgici radicali e 5 margini incompleti. D-DTIC era somministrata 7-10 giorni dopo chirurgia. SDI mediana ricevuta corrispondeva a SDI attesa. Cinque cani sviluppavano tossicità midollare (grado 2-4), 2 cani sviluppavano tossicità gastroenterica (grado 1 e 2). Otto di 9 cani inclusi nel gruppo 1 sviluppavano metastasi dopo un periodo mediano di 90 giorni. Quattro di 7 cani inclusi nel gruppo 2 sviluppavano metastasi dopo un periodo mediano di 365 giorni. TTM tendeva ad essere maggiore nel gruppo D-DTIC (p= 0.094). Tutti i cani del gruppo 1 erano morti alla fine del lavoro, 7 dei quali per cause correlate a HSA, con sopravvivenza mediana di 90 giorni. Quattro dei 7 cani del gruppo 2 erano morti alla fine dello studio per cause correlate a HSA, con sopravvivenza mediana di 480 giorni. Tre cani erano vivi dopo 450, 465 e 585 giorni. Si osservava un trend verso sopravvivenza più lunga in cani trattati con D-DTIC (p= 0.066). Conclusioni. Seppur non statisticamente significativa, la combinazione D-DTIC in una serie retrospettiva di cani con HSA biologicamente aggressivo mostrava un trend verso TTM e sopravvivenza più lunghi rispetto a cani trattati con D-C, nonostante i cani nel gruppo D-DTIC avessero margini sporchi (5 su 7) e metastasi alla diagnosi (3 su 7). Nonostante ciclofosfamide e dacarbazina siano entrambe agenti alchilanti, il secondo farmaco presenta un meccanismo d’azione differente. Infatti, mentre ciclofosfamide inibisce principalmente la sintesi di DNA e solo in misura minore quella di RNA e proteine, dacarbazina inibisce tutte e 3 le sintesi in ugual misura.6 Inoltre, dacarbazina mostra intensità di dose frazionata maggiore rispetto a ciclofosfamide, risultando complessivamente in SDI maggiore se combinata a doxorubicina.6 Anche se associata a tossicità maggiore, la combinazione D-DTIC era generalmente ben tollerata, e non richiedeva alcuna riduzione di dose ai cicli successivi. Seppur preliminari, tali risultati sono incoraggianti e devono essere esplorati in futuri studi prospettici. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6.

Thamm DH: Hemangiosarcoma. In: Withrow & MacEwen’s Small Animal Clinical Oncology, 4th ed., 2007, pp: 785-795. Sorenmo KU, Baez JL, Clifford CA, et al: F. Efficacy and toxicity of a dose-intensified doxorubicin protocol in canine hemangiosarcoma. J Vet Intern Med. 2004;18: 209-13. Ogilvie GK, Powers BE, Mallinckrodt CH, Withrow SJ. Surgery and doxorubicin in dogs with hemangiosarcoma. J Vet Intern Med. 1996; 10:379-84. Sorenmo KU, Jeglum KA, Helfand SC. Chemotherapy of canine hemangiosarcoma with doxorubicin and cyclophosphamide. J Vet Intern Med. 1993; 7:370-6. Veterinary Cooperative Oncology Group. Veterinary cooperative oncology group- common terminology criteria for adverse events (VCOG-CTCAE) following chemotherapy or biological antineoplastic therapy in dogs and cats v1.0. Vet Comp Oncol, 2004; 2:194-213. Marconato L: Agenti alchilanti. In: Principi di chemioterapia in oncologia, Poletto editore, 2009, pp: 93-113.

Indirizzo per corrispondenza: Dott.ssa Laura Marconato, Rothusstrasse 2, 6331 Hünenberg (ZG), Switzerland - E-mail lauramarconato@yahoo.it

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VALUTAZIONE DEL POSSIBILE RUOLODELLE PULCIDEL CANE E DEL GATTO COME VEICOLATORI DI ARTROSPORE DI FUNGHI DERMATOFITI M. Beccati, DVM, PhD1, A. Peano, DVM, Ricercatore2, M. Franc, DVM, Professore3 1 Libero Professionista, Capriate San Gervasio (Bergamo), Italia 2 Facoltà Medicina Veterinaria Dip. Produzione, Epidemiologia, Ecologia, Grugliasco (Torino), Italia 3 Facolta Medicina Veterinaria, Tolosa, Francia Tipologia: Ricerca Originale Area di interesse: Dermatologia Scopo del lavoro. I dermatofiti sono funghi patogeni causa di patologie dermatologiche nel cane e nel gatto. Sono di notevole interesse per la pratica ambulatoriale veterinaria anche perché sono trasmissibili all’uomo. Gli elementi infettanti di questi funghi si chiamano artrospore. Il contagio può essere di tipo diretto, da animale ad animale o da animale ad uomo, o indiretto, attraverso oggetti o l’ambiente contaminato. Diversi studi hanno dimostrato la possibilità di “contaminazione” da parte di queste spore dei più svariati oggetti (cucce, coperte,trasportini ecc.) e ambienti (ambulatori veterinari, allevamenti, gattili/canili, negozi ecc.). Alcuni insetti (Musca domestica) o parassiti (pidocchi, acari ecc.) sono stati nel tempo studiati nel loro ruolo di carrier potenziali di spore di dermatofiti con prove in vitro e in vivo. Recentemente è stato dimostrata la possibile persistenza per alcuni giorni di spore di dermatofiti su mosche allevate. Molto poco si sa del possibile ruolo delle pulci come potenziali disseminatori di spore di dermatofiti. Lo scopo del lavoro consiste nel valutare e validare una metodica di ricerca di spore di dermatofiti sulle pulci. Effettuare una ricerca di campo per verificare la prevalenza di pulci positive a dermatofiti in diversi contesti ambientali (gatti di proprietà, gatti d’allevamento, di gattile) e valutare la capacità di trasporto di artrosporespore dermatofitiche in pulci asettiche allevate in laboratorio. Materiali e metodi. Nella prima parte dello studio 128 pulci sono state prelevate da cani e gatti con metodiche di pettinamento. Tali pulci sono state tritate, omogeneizzate e sospese in soluzione sterile salina e successivamente messo in coltura su terreni Mycobios Selective Agar (Biolife) per 14 giorni a 25° di temperatura. Nella seconda parte dello studio le pulci asettiche provenienti da laboratorio sono state liberate in box contenenti pellicce bovine infette con T. mentagrophytes e mantenute nella suddetta area per due giorni. Successivamente anche per il secondo studio gli insetti sono stati prelevati e messi in coltura su terreni MSA. Risultati. Per quanto riguarda lo studio su pulci proveniente da cani e gatti, dalle colture sono state ottenute colonie di funghi di diverse specie, ma non dermatofitiche. Nel secondo studio le pulci originalmente asettiche, dopo soggiorno in area potenzialmente infetta hanno prodotto colonie positive per funghi dermatofiti. Inoltre va sottolineato come la coltura del pelo di bovino in aree dove precedentemente non si era posta la colonia infettante si siano contaminate successivamente. Conclusioni. Le pulci collezionate sia in vivo(provenienti da animali) che in vitro(provenienti da laboratorio) hanno evidenziato la capacità di trasporto di spore fungine. Ulteriori studi in corso (in vivo e vitro) potranno evincere se la quantità di spore trasportate siano in grado di sviluppare una patologia dermatologica. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10.

Cabañes FJ, Abarca ML, Bragulat MR, Castellá G (1996) Seasonal study of the fungal biota of thefur of dogs. Mycopathol 133(1):1-7. Cafarchia C, Romito D, Sasanelli M, Lia R, Capelli G, Otranto D (2004). The epidemiology of canine and feline dermatophytoses in southern Italy. Mycoses 47(11-12):508-513. Cafarchia C, Romito D, Capelli G, Guillot J, Otranto D (2006). Isolation of Microsporum canis from the hair coat of pet dogs and cats belonging to pet owners diagnosed with M. canis Tinea. Cafarchia C, Lia RP, Romito D, Otranto D (2009). Competence of the housefly, Musca domestica, as a vector of M. canis under experimental conditions. Med Vet Entomol. 23 (1):21-5. De Hoog GS, Guarro J, Gené J, Figueras MJ. Atlas of clinical fungi. Utrecht, The Netherlands: Ceentralbureau voor Schimmelcultures, and Reus, Spain: Universitat Rovira i Virgili, 2000. Elston DM, Do H.What’s eating you? Cat flea (Ctenocephalides felis), Part 1: Clinical features and role as a disease vector. Cutis. 2010, 85(5): 231-6. Gallo MG, Lanfranchi P, Poglayen G, Calderola S, Menzano A, Ferroglio E, Peano A (2005a). Seasonal 4-year investigation into the role of the alpine marmot (Marmota marmota) as a carrier of zoophilic dermatophytes. Med Mycol 43(4):373–379 Gallo MG, Tizzani P, Peano A, Rambozzi L, Meneguz PG (2005b) Eastern cottontail (Sylvilagus floridanus) as carrier of dermatophyte fungi. Mycopathologia 160(2):163-166. Sargison ND, Thomson JR, Scott PR, Hopkins G (2002) Ringworm caused by Trichophytonverrucosum—an emerging problem in sheep flocks. Vet Rec 150:755-756. Scott and Miller. Veterinary Dermatology, Saunders, 2000.

Indirizzo per corrispondenza: Dott. Massimo Beccati - Centro Medico Veterinario Adda, Via Roma, 3, 24042 Capriate San Gervasio (BG), Italia Tel 02/90962787 - Cell 388 3563468 - E-mail addavet@libero.it

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ASPETTI MICROSCOPICI DELLA PROSTATA NEL FURETTO INTERO DOPO TRATTAMENTO CON DESLORELINA P. Bo, DVM, Spcaa 1, N. De Sordi, Tecnico di laboratorio 2, A. Grandis, DVM, Phd 2 1 Libero Professionista, Bologna, Italia 2 Dipartimento di scienze mediche veterinarie, facoltà di medicina veterinaria, università di Bologna, Bologna, Italia Tipologia: Ricerca Originale Area di interesse: Animali esotici Scopo del lavoro. La castrazione chirurgica dei furetti negli ultimi anni è stata messa in relazione all’insorgenza di malattia surrenalica. Questa patologia, infatti, si osserva quasi esclusivamente negli animali sterilizzati ed è dovuta all’ipersecrezione da parte delle ghiandole surrenali delle gonadotropine. L’impiego dell’impianto di deslorelina, analogo sintetico del GnRH, prevede, dopo un’iniziale stimolazione, il blocco dell’ipofisi con un’interruzione temporanea (anche due anni)1 della produzione di questi ormoni, facendo così regredire i caratteri sessuali primari e secondari. Si osservano quindi: blocco della fertilità, calo dell’odore muschiato e dell’aggressività, riduzione del periodo di calore prolungato nella femmina1, nonché miglioramento di eventuali patologie surrenaliche2,3. Scopo di questo lavoro è quello di valutare gli aspetti microscopici della prostata nel furetto intero dopo trattamento con deslorelina, comparandoli anche con quelli del furetto intero e castrato chirurgicamente. Materiali e metodi. Per lo studio sono stati impiegati un furetto maschio intero, quattro sterilizzati chirurgicamente ed un furetto sterilizzato chimicamente da un anno mediante impianto di deslorelina, deceduti per patologie non riguardanti l’apparato urogenitale. Per evidenziare macroscopicamente la prostata è stata effettuata una dissezione in decubito laterale destro con asportazione della parete laterale sinistra e dell’arto omolaterale. Tutte le osservazioni venivano documentate mediante fotocamera digitale e le immagini ottenute sono state elaborate al computer. Inoltre, sul soggetto intero, su due furetti sterilizzati e sul soggetto con impianto, la prostata è stata immediatamente asportata e fissata in liquido di Bouin, disidratata, chiarificata, inclusa in paraffina e quindi tagliata in sezioni seriali di dieci micrometri. I vetrini così ottenuti sono stati colorati con tricromica di Masson ed in seguito osservati al microscopio ottico. Risultati. La prostata nel soggetto intero risulta essere una ghiandola tubuloalveolare composta, circondata da tessuto fibromuscolare da cui originano trabecole di diverse dimensioni che suddividono il parenchima ghiandolare in lobuli irregolari. Gli alveoli mostrano un lume ampio all’interno del quale sporgono alcune creste. L’epitelio è prismatico o batiprismatico con cellule il cui nucleo è disposto alla base. Nei furetti sterilizzati chirurgicamente, il tessuto ghiandolare è rappresentato da adenomeri tubuloalveolari di varie dimensioni, disseminati in un abbondante stroma fibromuscolare. Gli alveoli mostrano un lume più o meno ristretto contenente scarso secreto e rivestito da un epitelio cubico o basso. Nel soggetto sterilizzato chimicamente la componente ghiandolare si riduce considerevolmente a favore dello stroma fibromuscolare. Infatti, sono evidenti numerose isole di tessuto ghiandolare formate da alveoli di piccole dimensioni, a lume ridotto o addirittura non evidente, circondate da uno sviluppato tessuto fibromuscolare. Conclusioni. Il rilascio costante e prolungato di basse dosi di deslorelina (GnRH analogo) da parte dell’impianto agisce sopprimendo il funzionamento dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi, portando al blocco della sintesi e/o del rilascio delle gonadotropine FSH ed LH con conseguente soppressione della fertilità dell’animale trattato. L’azione della deslorelina pare quindi indurre una regressione ghiandolare più marcata rispetto a quella evidenziata con la castrazione chirurgica. Pur tenendo conto della reversibilità del suo effetto, tale impianto, oltre ad offrire una valida alternativa sia alla sterilizzazione chirurgica sia alla terapia delle patologie surrenaliche2,3, potrebbe costituire una possibilità di trattamento per le patologie prostatiche. Bibliografia 1. 2. 3.

Schoemaker NJ “Alternative for surgical castration in ferrets” Proceedings of 7th EVSSAR Congress, May 2010, Louvain-La-Neuve, Belgium. Schoemaker NJ et al. “Current and future alternatives to surgical neutering in ferrets to prevent hyperadrenocorticism” Vet. Med. 2005; 100:484-496. Vagner RA et al. “Clinical and endocrine responses to treatment with deslorelin acetate implant in ferrets with adrenocortical disease” AJVR 2005; 66:910914.

Indirizzo per corrispondenza: Dott. Pierfrancesco Bo - Studio Veterinario Associato Dr. Bo - Dr. Genocchi, Via Della Libertà 5, 40059 Medicina (BO), Italia Tel. 051/857362 - E-mail: fraecol@libero.it

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USO DEI SOFTWARE NELLE STRUTTURE VETERINARIE: QUALI SONO E COSA OFFRONO B. Borgarello, Med Vet, libero professionista, Moncalieri TO Area di interesse: Practice Management Scopo del lavoro. Cercare sul mercato italiano quali siano i software gestionali per strutture veterinarie presenti e cosa offrano. Contemporaneamente delineare delle linee guida che aiutino il veterinario e le strutture veterinarie nella scelta del software migliore. Materiali e metodi. L’evoluzione delle strutture veterinarie ha portato alla necessità o meglio all’indispensabilità di avere un software per gestire i dati clinici, economici e a volte fiscali con cui veniamo a contatto tutti i giorni. Sono partito da un concetto: se voglio un software lo cerco su google (se una ditta produce software e non è nella prime sei pagine di google forse non conosce il posizionamento)! Dopo l’analisi dei risultati delle prime 6 pagine di google alla ricerca del termine “software veterinario” ho contattato tutte le società produttrici si software che comparivano nei risultati. Ho deciso di comparare in modo estremamente oggettivo i vari prodotti trovati e di creare uno schema di necessità-risposte da applicare allo studio. Vediamo quali sono i software presenti nella pagine di google (alcuni erano inesistenti)e quali di questi hanno dato la loro disponibilità al confronto (in ordine alfabetico):

EASYVET2 FORVET MELAMPO PONGO STUDIOMED STUDIOV VETERYCOM VETPET VETWIN

: : : : : : : : :

disponibile disponibile disponibile disponibile disponibile disponibile disponibile disponibile disponibile

Dopo di che sono stati esclusi i software che non potevano essere utilizzati nelle strutture veterinarie. Dei programmi rimanenti sono stati valutati una serie di parametri e requisiti standard e confrontati con le necessità delle varie tipologie di strutture veterinarie. Ho cercato di creare una griglia per individuare le necessità delle singole strutture e come abbinare queste alla scelta del miglior software gestionale. Conclusioni. I produttori di software per veterinari, quelli aperti al confronto, sono tutti dotati di una buona professionalità e disponibili a modulare i loro prodotti alle necessità dei clienti. Le caratteristiche e le peculiarità dei singoli software si possono integrare e sposare bene con le necessità delle diverse tipologie di strutture presenti sul territorio nazionale. L’analisi delle necessità e dei fabbisogni personali permangono alla base per la creazione dell’algoritmo utile alla scelta del software gestionale ideale.

Indirizzo per corrispondenza: Dott. Bartolomeo Borgarello - Strada Genova 174, Moncalieri (TO) E-mail: borgarello@clinicaborgarello.it

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UTILIZZO DEI SOCIAL NETWORK IN AMBITO VETERINARIO: ESPERIENZA DI UN COLLEGA B. Borgarello, Med Vet, Libero professionista, Moncalieri TO Area di interesse: Practice Management Scopo del lavoro. L’utilizzo dei social network rappresenta la nuova frontiera del web, dopo anni di comunicazione accentrata su concetti push si è giunti al dover accettare l’evoluzione verso un concetto molto più pull. La relazione vuole raccontare l’esperienza vissuta da un collega che, appassionato di informatica e di internet si è lanciato, dopo corsi e aggiornamenti, verso il mondo di facebook. La cronistoria della creazione di una pagina facebook con l’evoluzione cognitiva del come si deve utilizzare un social. A volte la voglia di fare, l’esiguità del badget a disposizione portano a commettere grandi errori nella creazione dei propri spazi divulgativi online. L’analisi dell’utilizzo di FB con l’analisi degli errori che si commettono più comunemente. Esistono regole precise per apparire sul più diffuso social network mondiale: per utilizzarlo è necessario conoscerle attentamente. Come usare facebook: lo studio delle regole basilari per apparire correttamente su FB, i pro e i contro dei “profili personali” e della “pagine”, cosa si rischia ad apparire nel modo sbagliato. Misticismo e deontologia a confronto nel web odierno fatto di relazioni, di rapporti e di falsi preconcetti portano il mondo della scienza a mal relazionarsi con i nuovi target comunicativi. Un work in progress che racconta gli errori ed i rischi che si corrono con un posizionamento errato, una presenza scorretta contro i vantaggi di una presenza coerente, giornaliera e conforme alle regole nel mondo dei social network.

Indirizzo per corrispondenza: Dott. Bartolomeo Borgarello - Strada Genova 174, Moncalieri (TO) E-mail: borgarello@clinicaborgarello.it

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ANALISI SPAZIO-TEMPORALE DEI CASI DI LEISHMANIOSI CANINA IN PROVINCIA DI RIMINI NELL’ULTIMO DECENNIO E. Brianti, Med Vet, PhD1, M. Parigi, Med Vet2, G. Poglayen, Med Vet, Dipl EVPC2, J. Rosati, Med Vet2, D. Salvatore, Biotec2, E. Napoli, Med Vet1, G. Tasini, Med Vet3, R. Baldelli, Biol2 1 Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria, Università di Messina, Messina, Italia 2 Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie, Alma Mater Studiorum, Università di Bologna, Bologna, Italia 3 AUSL di Rimini, Dipartimento di Sanaità Pubblica, Area di Sanità Pubblica Veterinaria, Rimini, Italia Tipologia: Ricerca Originale Area di interesse: Leishmaniosi Scopo del lavoro. La leishmaniosi canina (LCan) è una delle più rilevanti e diffuse patologie parassitarie nei Paesi del Mediterraneo con importanti riflessi zoonotici. Negli ultimi due decenni in Italia è stato registrato un progressivo incremento dell’incidenza della malattia, associato alla diffusione della stessa verso alcune regioni settentrionali precedentemente ritenute non endemiche (Maroli et al., 2008). L’importanza sanitaria di questi fenomeni ha indotto a sperimentare nuovi sistemi di sorveglianza, avvalendosi anche dell’ausilio delle moderne tecnologie di Geographical Information Systems (GIS), con lo scopo di implementare sia l’attività di sorveglianza sia quelle di risk-assessment e decision making (Brianti et al., 2007). Nel 2007, la Regione Emilia-Romagna, nell’ambito di un progetto di sorveglianza delle malattie trasmesse da vettori, ha avviato un programma sperimentale di sorveglianza della LCan. In questo studio sono descritti e analizzati alcuni dei risultati ottenuti nel corso di tale attività allo scopo di definire i pattern spazio-temporali dell’infezione nella popolazione canina di proprietà nella provincia di Rimini e presentare, nel contempo, l’innovativo approccio metodologico utilizzato. Materiali e metodi. L’attività di sorveglianza è stata condotta, nel periodo 2000-2010, in cani di proprietà residenti in provincia di Rimini, nel cui territorio insiste un focolaio ormai storico di LCan (Baldelli et al., 2001). I casi di LCan inclusi nello studio derivano da specifiche indagini epidemiologiche, dall’attività diagnostica del laboratorio di sierologia del Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie (UNIBO), dalla segnalazione volontaria da parte dei medici veterinari liberi professionisti e dalle segnalazioni pervenute all’AUSL di Rimini. Il criterio utilizzato per la validazione dei casi faceva riferimento alla metodica diagnostica: sono stati considerati i casi di LCan identificati principalmente con metodiche sierologiche (IFI e ELISA) e/o molecolari (PCR). Per ciascun caso sono state raccolte le principali variabili relative a segnalamento, anamnesi e stato clinico. Per alcuni soggetti è stato possibile inferire anche sull’origine dell’infezione, suddividendo i casi in autoctoni ed importati. La spazializzazione è stata ottenuta in ambiente GIS mediante geocoding dell’indirizzo di residenza. Infine, per correggere le differenze nella frequenza dei casi, dovute esclusivamente alla diversa consistenza delle popolazioni a rischio, per ciascun poligono comunale è stato calcolato il valore del Rapporto di Incidenza (IR) per 100 cani/anno (Thrusfield, 1995). Risultati. In totale, tra gennaio 2000 e giugno 2010 sono stati individuati 287 casi di LCan su una popolazione canina di proprietà stimata in 39325 soggetti per la provincia di Rimini (fonte Anagrafe Canina Regionale). La maggior parte delle segnalazioni è pervenuta dalle strutture veterinarie private (92,3%). Suddividendo le notifiche per anno è stato osservato un trend in aumento solo per le notifiche effettuate dai liberi professionisti che ha raggiunto il valore massimo nel 2008 con la notifica di 44 casi. L’origine di infezione è stata accertata solo per 97 casi, di questi la maggior parte era autoctona, tuttavia, per 35 è stata ipotizzata un’origine d’infezione “importata”. L’analisi spaziale della distribuzione dei casi di LCan ha evidenziato una densità media di 2,1 casi/km2 con aggregazione massima di 9,7 casi/km2 nel comune di S. Giovanni in Marignano. I valori di IR più elevati (0,20-0,76) sono stati osservati nei comuni meridionali della provincia sia sul versante costiero sia nella parte collinare al confine con la Regione Marche. Conclusioni. I risultati ottenuti nel corso dell’attività di sorveglianza confermano la presenza del focolaio di LCan in provincia di Rimini. I pattern spazio-temporali osservati indicano che questo focolaio oltre ad essere stabile mostra una graduale espansione. È interessante notare che i valori di densità dei casi per km2 e di IR osservati in alcune aree della provincia di Rimini sono similari a quelli registrati in regioni meridionali iper-endemiche (Otranto et al., 2007). Preoccupante è inoltre la costante introduzione di casi importati che si sommano a quelli autoctoni. L’approccio metodologico utilizzato in questo progetto si è dimostrato sufficientemente valido, inoltre, l’ausilio delle tecnologie GIS ha consentito una rapida rappresentazione geografica dei casi, l’analisi spazio-temporale degli stessi e la produzione di output cartografici digitali di facile condivisione e aggiornamento. Tutti questi elementi, oltre a rientrare nel concetto stesso di sorveglianza, consentono la valutazione, in tempo reale, del rischio sanitario e la pianificazione di adeguati interventi di controllo, facendo intravedere un sistema di notifica che possa finalmente far emergere il problema leishmaniosi nella sua reale dimensione epidemiologica. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5.

Maroli et al. 2008. Trop Med Inter Health, 13: 256-264. Brianti et al. 2007. Vet Research Comm, 31: 213-215. Baldelli et al. 2001. Parassitologia, 43: 151-153. Thrusfield M. 1995. Veterinary Epidemiology. Blackwell Science Ltd, London, UK. Otranto et al. 2007. Vet Parasitol, 144: 270-278.

Indirizzo per corrispondenza: Dr. Emanuele Brianti - Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria, Università di Messina, Polo Universitario Dell’Annunziata, 98168 Messina (ME), Italia - Tel. 090/3503716 - E-mail: ebrianti@unime.it

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UTILITÀ DELLO STENT URETERALE PER LA RISOLUZIONE DELLE OSTRUZIONI DELLE ALTE VIE URINARIE NEL CANE G. M. Gerboni, Dr Med Vet 1, M. Brusati, Dr Med Vet 1, G. Capra, Dr Med Vet 1, S. Scarso, Dr Med Vet 1, M. Olivieri, Dr Med Vet 1, G. P. Carrafiello, DM 2 1 Clinica Veterinaria Malpensa, Samarate (VA), Italia 2 Università dell’Insubria, Dip. radiologia, Varese (VA), Italia Tipologia: Caso Clinico Area di interesse: Diagnostica per immagini Introduzione. L’ostruzione meccanica dell’uretere può originare da un impedimento al flusso intraluminale, da una lesione murale o da una compressione extraluminale. Le cause più comuni di una ostruzione ureterale negli animali da compagnia sono la presenza di calcoli, neoplasie, traumi, infiammazione, fibrosi, stenosi congenite, stritture acquisite e coaguli. Lo scopo di questo lavoro è di valutare l’efficacia del posizionamento di stents ureterali per via anterograda percutanea in due cani con ostruzione ureterale monolaterale murale e in un cane con ostruzione ureterale bilaterale extraluminale Descrizione del caso. Il primo paziente era un cane Bovaro delle Fiandre, femmina di 13 anni, riferito per stadiazione di mastocitoma cutaneo. Gli esami di laboratorio mostravano aumento della creatininemia (2,7 mg/dl) e dell’uremia (41 mg/dl). All’esame ecografico dell’addome emergeva un quadro di idronefrosi e idrouretere sinistro determinato dalla presenza di una struttura ecogenica sub-occludente il tratto prossimale dell’uretere. Il cane non presentava sintomatologia clinica, pertanto si decideva di effettuare controlli ecografici seriali. Nei mesi successivi si evidenziava un aumento di estensione della lesione ureterale, con progressivo aumento dell’idronefrosi e dell’idrouretere, e aumento dell’azotemia. Il secondo paziente era un cane meticcio, maschio di 10 anni, riferito per tenesmo rettale e anoressia. Gli esami di laboratorio mostravano lieve aumento della creatininemia (1,69 mg/dl) e dell’uremia (130 mg/dl). All’esame radiografico si notava prostatomegalia. L’ecografia addominale evidenziava la presenza di una lesione sub-occludente il tratto distale dell’uretere sinistro con idrouretere e dilatazione pelvica ipsilaterale. Si notava, inoltre, una lesione ad ecostruttura disomogenea e parzialmente mineralizzata a carico del lobo prostatico destro e linfadenopatia degli iliaci. L’esame citologico eseguito in queste stesse sedi rivelava un quadro di carcinoma prostatico e diffusione metastatica carcinomatosa a carico dei linfonodi. Il terzo paziente era un cane meticcio maschio di 12 anni, affetto da neoplasia infiltrativa del colon, riferito per tenesmo rettale e anoressia. Gli esami di laboratorio mostravano aumento della creatininemia (7,14 mg/dl) e dell’uremia (223 mg/dl). All’esame ecografico si evidenziavano idronefrosi ed idrouretere bilaterale con linfadenopatia dei digiunali. Nei tre casi veniva eseguita una pielografia percutanea anterograda per valutare il grado di estensione e la gravità dell’ostruzione ureterale. In accordo con i proprietari si decideva di posizionare uno stent ureterale monolaterale per ridurre la sintomatologia clinica e ripristinare un corretto efflusso urinario. Veniva utilizzato un kit da stent ureterale che comprendeva uno stent Percuflex dotato di coils in entrambe le estremità, della lunghezza di 20 cm e diametro di 6 F,ed un filo guida da 0,038” Amplatz Super Stiff (Boston Scientific). La procedura veniva effettuata in anestesia generale con il cane in decubito laterale. Dopo il posizionamento percutaneo eco-assistito di un introduttore da 6 F all’interno della pelvi renale dilatata, si effettuava, sotto visione fluoroscopica, l’inserimento del filo guida all’interno dell’uretere fino ad ottenere l’accesso in vescica. Sul filo guida veniva inserito lo stent ureterale e lasciato in sede. Conclusioni. Nei primi due cani l’introduzione di uno stent ureterale apportava un miglioramento clinico dei pazienti, con risoluzione dell’idronefrosi e dell’idrouretere. Controlli seriali radiografici ed ecografici, hanno permesso di monitorare i pazienti e verificare il corretto posizionamento dello stent nei mesi successivi. Nel terzo paziente, l’applicazione dello stent apportava beneficio solo nei giorni seguenti la procedura. Il progredire della causa compressiva esterna e dell’iperazotemia, portava alla decisione di effettuare l’eutanasia del paziente. I risultati ottenuti dall’applicazione percutanea anterograda di uno stent ureterale nei pazienti con ostruzione monolaterale murale, hanno evidenziato la potenzialità terapeutica della procedura. Tuttavia appropriati criteri di selezione del paziente sono indispensabili per comprendere il futuro di questa tecnica mini-invasiva, come dimostrato dall’inefficacia della metodica nel paziente con ostruzione ureterale bilaterale da causa extraluminale. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5.

E.M.Hardie et al, Vet Clin Small Anim,2004;34:989-1010. R.B.Dyer et al, Radiographics,2002;22:1005-1022. R.B.Dyer et al,Radiographics,2002;22:503-525. J.K.Reichle et al, Vet Radiol Ultrasound,2003;44:433-437. D.Rghi et al, Radiol Med, 2010;115:S190-S194.

Indirizzo per corrispondenza: Dott.Ssa Marta Brusati - Clinica Veterinaria Malpensa, Viale Marconi 27, 21017 Samarate (VA), Italia Tel. 0331 228155 - E-mail ecografia@cvmalpensa.it

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NODULO EPATICO IN UN GATTO: LIPIDOSI O TUMORE? G. Cancedda, DVM1, M. Fioretti, DVM2, E. Lepri, DVM, PhD, Dipl. ECVP3 1 Libero professionista, Carbonia, Italia 2 Libero professionista, Milano, Italia 3 Dipartimento scienze biopatologiche e igiene delle produzioni animali e alimentari, Facoltà di Medicina Veterinaria, Perugia, Italia Tipologia: Caso Clinico Area di interesse: Citologia Introduzione. La lipidosi epatica rappresenta una delle epatopatie più comuni del gatto, presentandosi in forma diffusa (lipidosi primaria idiopatica) o, più raramente, focale localmente estesa (lipidosi secondaria), talora simil-nodulare; ques’ultima forma può essere concomitante ad altri problemi come diabete mellito, colangioepatite, ipertiroidismo o tumori1. Al contrario i tumori epatici sono rari, rappresentando l’1-3% dei tumori del gatto, e tra questi i carcinomi epatocellulari (CEC) sono ancor più rari; essi si presentano per lo più in forma nodulare massiva (50-80%), sebbene siano descritte forme multinodulari (16-25%) o diffuse (0-20%)2. I CEC possono assumere aspetti istologici diversi, con modelli architetturali di riferimento (trabecolare, adenoide e solido) cui tuttavia non corrispondono differenze prognostiche3. Descrizione del caso. Il caso si riferisce ad un gatto europeo comune maschio castrato di 14 anni, indoor, portato a visita per anoressia, dimagrimento e vomito ricorrente da diversi giorni. All’esame fisico il soggetto presentava abbattimento, disidratazione, pelo scadente con abbondante desquamazione. Gli esami ematobiochimici mostravano emoconcentrazione ed aumento di bilirubina, ALT e AST, mentre le ALP restavano entro il range di riferimento. All’esame ecografico addominale era evidente un notevole ingrossamento della porzione marginale del lobo sinistro con una voluminosa formazione nodulare disomogeneamente iperecogena non capsulata e varie altre piccole formazioni nodulari disseminate nel parenchima con aspetto ecografico analogo. Dalla massa principale furono eseguiti prelievi eco-guidati con ago da 25G, ed allestiti diversi campioni; i preparati risultarono adeguatamente cellulari e composti da una popolazione quasi esclusiva di epatociti prevalentemente isolati o in piccoli gruppi; le cellule avevano dimensioni variabili, nucleo rotondo centrale ipercromatico e ampio citoplasma contenente macro e micro vacuoli a margini netti e contenuto otticamente vuoto. Alcune cellule mostravano citoplasma omogeneo ed intensamente basofilo, contenente un singolo vacuolo di grandi dimensioni che dislocava il nucleo alla periferia, conferendo alle cellule un aspetto “ad anello con castone”; queste ultime cellule avevano nucleo grande ovale con singolo nucleolo evidente centrale e moderati caratteri di atipia. Il sospetto diagnostico fu di lipidosi epatica, ma il valore delle ALP nella norma e la forma ecograficamente delimitata ad una formazione nodulare voluminosa lasciava spazio anche ad altre diagnosi differenziali possibili, tra cui una lesione neoplastica. Il soggetto fu messo in terapia sintomatica e di sostegno per qualche settimana, ma le condizioni progressivamente ingravescenti ne imposero l’eutanasia. All’esame necroscopico fu evidenziata una voluminosa formazione nodulare di 3 cm di diametro, non delimitata non capsulata con centro infossato a livello del lobo sinistro; la massa aveva aspetto lardaceo e friabile, con vari focolai di necrosi ed emorragia al suo interno; erano anche presenti piccole formazioni nodulari disseminate al resto del parenchima. Dalla massa principale furono allestiti preparati citologici per impronta e preparati istologici previa fissazione in formalina. I preparati citologici mostrarono un quadro del tutto sovrapponibile a quello osservato sui preparati ottenuti per aspirazione; istologicamente il tessuto mostrava uno stravolgimento dell’architettura lobulare epatica con assenza degli spazi portali e presenza di filiere epatocitarie solide composte da numerose file di epatociti con nucleo rotondo centrale, citoplasma abbondante e riccamente vacuolizzato, minimi caratteri di atipia ed attività mitotica modesta. Sulla base dei rilievi anatomoistopatologici fu emessa una diagnosi di carcinoma epatocellulare a cellule vacuolizzate (c.d. “lipid rich” carcinoma). Conclusioni. Il carcinoma epatocellulare a cellule chiare “lipid-rich” rappresenta una modificazione morfologica del CEC caratterizzata dall’accumulo di lipidi nel citoplasma delle cellule neoplastiche; esso è descritto in medicina umana e non presenta differenze biologiche rispetto alle altre varianti di CEC, ma può porre problemi notevoli di differenziazione delle cellule neoplastiche vacuolizzate da epatociti steatosici, soprattutto a livello di diagnosi citologica4. Anche negli animali domestici alcuni carcinomi epatocellulari possono essere interamente formati da cellule vacuolizzate contenenti lipidi o glicogeno3. In rari casi la vacuolizzazione citoplasmatica può essere tanto intensa da porre la diagnosi differenziale nei confronti di lesioni degenerative come la lipidosi epatica felina, generalmente diffusa ma che occasionalmente può presentarsi in forma localizzata similnodulare; le due lesioni tuttavia hanno prognosi e gestione clinica radicalmente diverse e la loro differenziazione è determinante. Il presente caso sottolinea questa possibile difficoltà diagnostica. Bibliografia 1. 2. 3. 4.

Maxie (Ed) Jubb, Kennedy and Palmer’s Pathology of Domestic Animals. Saunders, 2007. Withrow and MacEwen Small Animal Clincal Oncology. Saunders 2007. Meuten DJ (Ed) Tumors of Domestic Animals. Iowa State Press, 2002. Mitchell CM e Sturgis CD. Lipid-Rich Hepatocellular Carcinoma in Fine-Needle Aspiration Biopsy. Diagnostic Cytopathology 2008, 37 (1); 36-37.

Indirizzo per corrispondenza: Dott. Giorgio Cancedda, Via Veneto, 8, 09013 Carbonia (CA), Italia Tel. 0781/660165 - Cell. 328/3539041 - E-mail: cancedda.gio@tiscali.it

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RADIOTERAPIA DEI TUMORI NASALI DEL CANE. PRIME ESPERIENZE DI TRATTAMENTO COMBINATO CON INIBITORI DELLA COX-2 S. Cancedda, DMV, MS1, M. Vignoli, DMV, PhD, SRV, Dipl. ECVDI1,2, V. F. Leone, DMV, Dott. San. Qual. Prod. Anim., Spec. Pat. Tec. Avic.1, P. Laganga, DMV1, F. Rossi, DMV, SRV, Dipl. ECVDI1,2, R. Terragni, DMV, MS, SPCAA1,2, C. Rohrer Bley, DMV, Dipl. ACVR-Radiation Oncology1,3 1 Centro Oncologico Veterinario, Sasso Marconi (Bologna), Italia 2 Clinica Veterinaria Dell'Orologio, Sasso Marconi (Bologna), Italia 3 Sez. Radio-Oncologia,Vetsuisse Faculty - Università di Zurigo, Zurigo, Svizzera Tipologia: Ricerca Originale Area di interesse: Oncologia Scopo del lavoro. I tumori nasali sono localmente aggressivi e caratterizzati da un alto tasso di recidiva locale.1-3 Per questo tipo di neoplasie sono stati proposti differenti tipi di terapia (chirurgia, chemioterapia, terapia fotodinamica) ma il trattamento di elezione è rappresentato dalla radioterapia.2-3 I tumori nasali esprimono i recettori della ciclossigenasi-2 (COX-2).4 Scopo di questo lavoro è di descrivere e analizzare i risultati ottenuti con i nostri protocolli radioterapici e valutare le prime esperienze fatte con terapia combinata con antiCOX-2 nel trattamento dei tumori nasali del cane. Materiali e metodi. In questo studio vengono considerati 20 cani con diagnosi istologica di neoplasia nasale trattati mediante radioterapia conformazionale, nel periodo compreso tra maggio 2009 e febbraio 2011. Tutti i casi sono stati sottoposti a visita clinica ed adeguata stadiazione (esami ematici, biopsia della lesione, TC total body o radiografie del torace ed ecografia addominale, FNA dei linfonodi regionali). La pianificazione del trattamento è stata effettuata mediante utilizzo di un sistema computerizzato 3D. 15 pazienti sono stati trattati con protocollo palliativo di 5x6 Gy o 10x3 Gy (dose totale 30 Gy). Il trattamento curativo è stato effettuato in 5 pazienti, ha previsto 12-16 frazioni ed una dose totale di 45.6 – 52.8 Gy. Per i pazienti anziani e in stadio tumorale avanzato si è preferito impostare un protocollo palliativo. In 10 cani, la radioterapia è stata combinata con un inibitore selettivo della COX-2, firocoxib 5 mg/kg al giorno per via orale. Sono stati effettuati controlli clinici a 3 settimane, 3, 6 e 9 mesi dalla fine della radioterapia. Risultati. I casi trattati presentavano un’età media di insorgenza della neoplasia di 9.8 anni (range 7 – 15 anni) e in prevalenza erano femmine (n=11). I sintomi più frequenti sono stati scolo nasale (68%), starnuti (63%) ed epistassi nel 41% dei casi. La diagnosi istologica è stata di carcinoma in 15 casi e sarcoma in 5 casi. Il follow-up per tutti i casi ha una durata mediana di 243 giorni con 12 casi in remissione parziale/completa e 15 pazienti ancora vivi. Al momento dell’analisi dei dati, la mediana di intervallo libero da progressione della malattia è di 310 giorni (95% CI: [242, 378]) e la sopravvivenza mediana di 511 giorni (95% CI: [151, 871]). La tossicità acuta, valutata secondo il VRTOG “Acute Radiation Morbidity Scoring Scheme”, su cute/pelo, mucose/cavità orale e occhi5 in 14 casi è stata di grado 1 (lieve) e in 6 casi di grado 2 (moderata). Al momento attuale, visto il notevole numero di casi ancora vivi, non è possibile valutare statisticamente fattori prognostici come ad esempio stadio tumorale, deformità facciale, epistassi ed il breve follow-up non consente di valutare l’utilità degli inibitori della COX-2 riguardo i tempi di sopravvivenza. Conclusioni. La radioterapia per i tumori del naso e dei seni nasali è considerato oggi il trattamento d’elezione. Il trattamento determina un lungo periodo di controllo del tumore, prolunga e migliora la qualità di vita in questi pazienti. I protocolli curativi sono più intensi e presentano più effetti collaterali, per cui sarebbero da riservare ai soggetti più giovani o con neoplasie in stadi non avanzati, con l’intento di prolungare i tempi di controllo locale. I trattamenti palliativi, oltre a prolungare i tempi di sopravvivenza, determinano un netto miglioramento della sintomatologia associata a questi tumori e grazie agli effetti collaterali ridotti, garantiscono un’adeguata qualità di vita.6 La prospettiva è di valutare se un trattamento combinato con un inibitore selettivo della COX-2 può migliorare il controllo e la qualità della vita di questi pazienti. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6.

Northrup NC, Etue SM, Ruslander DM, et al. Retrospective study of orthovoltage radiation therapy for nasal tumors in 42 dogs. J Vet Intern Med 2001;15:183-189. Adams WM, Kleiter MM, Thrall DE, et al. Prognostic significance of tumor histology and computed tomographic staging for radiation treatment response of canine nasal tumors. Vet Radiol Ultrasound 2009;50:330-335. Adams WM, Miller PE, Vail DM, et al. An accelerated technique for irradiation of malignant canine nasal and paranasal sinus tumors. Vet Radiol Ultrasound 1998;39:475-481. Kleiter M, Malarkey DE, Ruslander DE, et al. Expression of cyclooxygenase-2 in canine epithelial nasal tumors. Vet Radiol Ultrasound 2004;45:255-260. Ladue T, Klein MK. Toxicity criteria of the veterinary radiation therapy oncology group. Vet Radiol Ultrasound 2001;42:475-476. Buchholz J, Hagen R, Leo C, Ebling A, Roos M, Kaser-Hotz B, Rohrer Bley C. 3D-conformal radiation therapy for palliative treatment of nasal tumors: retrospective analysis and prognostic factors in 38 dogs. Vet Radiol Ultrasound 2009; 50(6):679-83.

Indirizzo per corrispondenza: Dott.ssa Simona Cancedda - Centro Oncologico Veterinario, Via San Lorenzo 1/4, 40037 Sasso Marconi (BO), Italia Tel. 0516751871 - E-mail: simcancedda@tiscali.it

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TRATTAMENTO A CIELO CHIUSO DELLE FRATTURE DEL CONDILO OMERALE NEL CANE F. Cappellari, DVM, PhD1, L. A. Piras, DVM1, A. Boero Baroncelli, DVM1, B. Peirone, DVM, PhD1 1 Dipartimento di Patologia Animale, Facoltà di Medicina Veterinaria, Grugliasco (TO), Italia Tipologia: Caso clinico Area di interesse: Ortopedia Scopo del lavoro. Descrizione di una tecnica chirurgica per il trattamento a cielo chiuso di fratture a carico del condilo omerale nel cane e analisi retrospettiva dei risultati ottenuti. Materiali e metodi. Sono state analizzate retrospettivamente le cartelle cliniche e le radiografie di pazienti di specie canina affetti da frattura a carico del condilo omerale e trattati chirurgicamente a cielo chiuso presso l’Ospedale Didattico di Veterinaria di Grugliasco (To) nel periodo compreso tra gennaio 2009 e dicembre 2010. L’estremità distale dell’arto da trattare veniva legata con una benda e successivamente protetta con del Vetrap. Con il paziente in decubito dorsale, l’arto da trattare veniva sospeso legando la benda ad un gancio ancorato sul soffitto. L’arto veniva trazionato progressivamente abbassando il tavolo operatorio in modo da ottenere una riduzione della frattura per ligamentotassi1. Si eseguiva un controllo radiografico in proiezione caudo-craniale per valutare il grado di riduzione ottenuta. La riduzione del focolaio di frattura veniva completata applicando una o due pinze da riduzione a punta tra la porzione laterale e quella mediale del condilo omerale. Una volta ottenuta un’adeguata riduzione (presenza di uno scalino a livello della superficie articolare inferiore a 1,5 mm), si procedeva con la fissazione della frattura. Inizialmente veniva inserito un filo di Kirschner (K) transcondilare parallelo al piano articolare; l’esame radiografico permetteva di verificare il corretto posizionamento dell’impianto. Il filo di K veniva lasciato lungo ed era utilizzato come guida per l’orientamento della vite. Dopo aver praticato una piccola incisione cutanea sul versante laterale adiacente al punto di introduzione del filo di K, si procedeva praticando il foro di scorrimento avendo cura di applicare sulla punta da trapano un limitatore di profondità. Si inseriva il guidapunte all’interno del foro di scorrimento, si procedeva all’esecuzione del foro sulla porzione mediale del condilo e si inseriva una vite ad effetto compressivo di lunghezza adeguata. Nei pazienti giovani si interponeva una rondella metallica per aumentare la superficie di contatto tra testa della vite e osso sottostante. Si procedeva alla rimozione delle pinze e la sintesi veniva completata con l’introduzione di un filo di K antirotazionale. I fili di K venivano piegati, tagliati ed addossati all’osso. L’esame radiografico postoperatorio permetteva di valutare il grado di riduzione, la compressione e il posizionamento degli impianti. I pazienti venivano sottoposti a controllo clinico e radiografico in un periodo compreso tra le tre e le cinque settimane dopo l’intervento. Verificata la consolidazione veniva eseguita la rimozione degli impianti. Risultati. Sono stati trattati con questa metodica sette pazienti. Sei soggetti erano di età compresa tra i tre e i cinque mesi, mentre uno era di cinque anni di età. La frattura era secondaria a un evento traumatico in tutti i casi. La diagnosi radiografica era di frattura a carico della porzione laterale del condilo omerale in sei casi e della porzione mediale del condilo omerale in un caso. In due casi era presente una scheggia a livello dell’epicondilo laterale. L’esame radiografico del gomito controlaterale risultava normale in tutti i pazienti. Il tempo trascorso tra l’evento traumatico e la chirurgia variava da uno a sei giorni. Gli impianti impiegati sono stati: vite da 2,0 mm in un caso, vite da 2,7 mm in due casi e vite da 3,5 mm nei restanti quattro casi. La riduzione veniva giudicata anatomica in quattro casi, mentre nei restanti tre lo scalino presente a livello del focolaio di frattura del condilo omerale era compreso tra 0,5 mm e 1,5 mm e veniva giudicato accettabile. In tutti i casi il recupero funzionale è stato rapido e la guarigione del focolaio di frattura è stata ottenuta in un periodo compreso tra le tre e le cinque settimane. Le complicanze postoperatorie riscontrate sono state: formazione di un sieroma (1 caso), allentamento del filo di K transcondilare (1 caso) e calcificazione dei tessuti molli periarticolari (1 caso). I mezzi di sintesi venivano rimossi in un periodo compreso tra le tre e le 18 settimane. In un paziente non è stato possibile rimuovere la rondella che risultava coperta da tessuto osseo. Discussione e conclusioni. I vantaggi di trattare una frattura a cielo chiuso includono: minimo disturbo della vascolarizzazione e dei tessuti molli circostanti, minor rischio di infezioni e rapido recupero funzionale. Il principale svantaggio è rappresentato dall’impossibilità di un’adeguata visualizzazione della riduzione ottenuta, che può essere ovviato utilizzando un apparecchio radiografico o un fluoroscopio2. È importante analizzare attentamente il quadro radiografico del gomito controlaterale per escludere la presenza di cause predisponenti alla frattura condilare quale l’ossificazione incompleta del condilo omerale (IOHC)2. Nei tre casi in cui non è stata ottenuta una riduzione anatomica erano passati fino a sei giorni tra il trauma e il trattamento chirurgico. Come riportato in letteratura la presenza di ematoma, l’interposizione di tessuti molli e la contrattura muscolare possono determinare una difficoltà nella riduzione2. Pertanto una chirurgia tempestiva è indicata per ottenere buoni risultati nel trattamento di fratture articolari. Ciononostante è comunque indicato tentare un trattamento a cielo chiuso di una frattura articolare a patto che sia possibile verificare la riduzione ottenuta; qualora non fosse possibile ottenere un risultato adeguato è indicato eseguire una riduzione e fissazione a cielo aperto. Il limite maggiore di questo studio è rappresentato dall’assenza di controlli radiografici a lungo termine volti a valutare l’eventuale sviluppo di malattia articolare degenerativa. Bibliografia 1. 2.

Gupta A. The treatment of Colles’ fracture. Immobilisation with wrist dorsiflex. J Bone Joint Surg 1991; 73B: 312-5. Cook JL, Tomlinson JL, Reed AL. Fluoroscopically guided closed reduction and internal fixation of fractures of the lateral portion of the humeral condyle: prospective clinical study of the technique and results in ten dogs.

Indirizzo per corrispondenza: Dott. Fulvio Cappellari - Facoltà di Medicina Veterinaria di Torino, Corso De Nicola, 62, 10129 Torino (TO), Italia - Tel. 011/6709164 - Cell. 347/0753610 - E-mail: fulvio.cappellari@unito.it

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INCIDENCE OF SUPRAVENTRICULAR AND VENTRICULAR ARRHYTHMIAS IN A COHORT OF LEONBERGER DOGS C. Chervier, DVM1, T. Ribas, DVM1, P. Thireau, DVM1, B. Rannou, DVM, Dipl. ACVP2, J. Cadoré, DVM, Dipl. ECVIM1, P. Oliveira, DVM3, I. Bublot, DVM1 1 Internal medicine, Ecole Nationale Veterinaire de Lyon, VetAgroSup, Marcy l’Etoile, France 2 Clinical Pathology, Ecole Nationale Veterinaire de Lyon, VetAgroSup, Marcy l’Etoile, France 3 Clinica Veterinaria Gran Sasso, Milano, Italia Work type: Original Research Topic: Cardiology Purpose of the work. The aim of this prospective study was to evaluate the incidence of arrhythmias in a small cohort of Leonberger dogs with a history of one death from congestive heart failure secondary to dilated cardiomyopathy (DCM) associated with atrial fibrillation (AF) and episodes of very rapid ventricular tachycardia. Materials and used methods. A total of 20 dogs were enrolled in the study, of which 17 were females and 3 were males. Age and weight varied from 2.8 to 10.7 years (6.8±2.7) and from 50 to 82 kg (61.6 + 7.9) respectively. All dogs were evaluated prospectively. A complete echocardiographic examination was performed on each dog (n=20) in order to exclude congenital heart disease and evaluate myocardial function. The echocardiographic examinations were performed in right and left recumbence according to the American Society of Echocardiography standards and guidelines. A 24-hour Holter monitoring was also performed on each dog (n = 20) and a blood sample was collected (n = 19) to measure cTnI concentration. Outcomes. Arrhythmias: Supraventricular arrhythmias were observed in 14 dogs. The total number of supraventricular ectopic complexes [APCs] ranged from 1 to 555/24h, with 4 dogs presenting with 150 to 550 APCs/24h. AF was observed in 4 dogs. The mean heart rate in these dogs ranged from 101 to 131 bpm and all presented with a maximum heart rate of 250 bpm. Ventricular arrhythmias were observed in 17 dogs and included single ventricular ectopic complexes [VPCs] with occasional bigeminy, doublets, triplets, episodes of slow ventricular tachycardia [VT], episodes of rapid VT and R/T phenomenon. 3 dogs presented with more than 1000 VPCs/24h (range: 1156 to 10182). One of these dogs displayed frequent episodes of rapid ventricular tachycardia (> 300 bpm with R/T phenomenon). Echocardiographic findings: Echocardiographic signs of mild systolic dysfunction were observed in 3 of the 4 dogs with AF. These dogs presented with a shortening fraction comprised between 20% and 25%. All the remaining dogs presented with normal echocardiographic examinations. cTnI: cTnI levels were increased in all dogs with AF and in many dogs presenting with a significant number of APCs and/or VPCs. Conclusions. To our best knowledge, the incidence and characteristics of dilated cardiomyopathy in the Leonberger breed has yet to be described. This breed is closely related to the Newfoundland, one of its ancestor breeds, in which occult and overt dilated cardiomyopathy has been fairly studied and characterized as a dominant autosomal trait. The presence of arrhythmias has been observed in association with DCM and may be the first sign of disease in various breeds. The preliminary results of this study reveal the presence of a considerable amount of supraventricular (APCs and AF) and ventricular arrhythmias (singles, doublets, triplets, VT, R/T) as well as concomitant increases in cTnI in a colony of clinically healthy Leonberger dogs. These findings may emphasize the presence of DCM in this cohort of dogs and encourage a long-term follow-up of these dogs in order to characterize the evolution and expression of the disease throughout time, and determine the predictive value of the presence of these arrhythmias for the development of DCM. Bibliography 1. 2. 3.

Menaut P, Bélanger MC, Beauchamp G, Ponzio NM, Moïse NS. Atrial fibrillation in dogs with and without structural or functional cardiac disease: A retrospective study of 109 cases. J Vet Cardiol. 2005 Nov;7(2):75-83. A Tidholm; L Jönsson; Dilated cardiomyopathy in the Newfoundland: a study of 37 cases (1983-1994) J Am Anim Hosp Assoc. 1996 Nov-Dec;32(6):46570. Dukes-McEwan J. Dilated cardiomyopathy (DCM) in Newfoundland dogs. Proceedings of the American College of Veterinary Internal Medicine Forum; May 24–27; Seattle (WA). Lakewood (CO): American College of Veterinary Internal Medicine 2000:118-119.

Corresponding Address: Dr. Cindy Chervier - Ecole Nationale Ve’te’rinaire De Lyon Internal Medicine, 1 Avenue Bourgelat, 69280 Marcy L’etoile, France E-mail c.chervier@vetagro-sup.fr

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I KIT AMBULATORIALI (DTM) PER L’ISOLAMENTO DEI FUNGHI DERMATOFITI: QUALE VALORE NELLA DIAGNOSI? E. Chiavassa, DVM1, M. Pasquetti, DVM2, A. Peano, DVM, PhD3 Dip. Produzioni Animali, Epidemiologia ed Ecologia - Facoltà di Medicina Veterinaria,Torino, Italia 2 Dip. Produzioni Animali, Epidemiologia ed Ecologia - Facoltà di Medicina Veterinaria, Torino, Italia 3 Dip. Produzioni Animali, Epidemiologia ed Ecologia - Facoltà di Medicina Veterinaria, Torino, Italia 1

Tipologia: Ricerca Originale Area di interesse: Dermatologia Scopo del lavoro. Definire le condizioni di utilizzo (campione da utilizzare e temperatura d’incubazione) e i criteri interpretativi (viraggio, tempo di viraggio e aspetto macroscopico della colonia) di kit colturali a viraggio di colore DTM (Dermatophyte Test Medium) con lo scopo di fornire un algoritmo identificativo colturale che permetta di distinguere i più comuni dermatofiti del gatto e del cane (Microsporum canis, Microsporum gypseum e specie del Trichophyton mentagrophytes complex) dai funghi contaminanti non patogeni. Materiali e metodi. Sono stati analizzati 57 campioni (spazzolini, peli,croste) di 33 gatti e 24 cani. Una parte del campione, senza essere stata selezionata, è stata seminata su terreno DTM (serie A). Della restante parte è stato scelto il materiale “significativo” (peli alterati ecc…) ed è stata seminato in quattro serie di piastre: serie B (DTM a temperatura ambiente), serie C (DTM a 25 °C), serie D (DTM a 37 °C), serie E (Mycobios Selective Agar, contenente cloramfenicolo, gentamicina e cicloexemide a 25 °C) e utilizzata, in questo studio, come “Gold Standard”. I campioni sono stati controllati giornalmente per 14 giorni. L’esame è stato eseguito sia a livello macroscopico che microscopico. Sono stati valutati il viraggio di colore e la sua rapidità, il tempo di crescita e la morfologia delle colonie. Risultati. Nella serie A, 48 campioni hanno sviluppato viraggio (12 funghi contaminanti, 28 dermatofiti, 8 dermatofiti e funghi contaminati), 9 non hanno sviluppato viraggio; nella serie B, 41 campioni hanno sviluppato viraggio (5 funghi contaminanti, 34 dermatofiti, 2 dermatofiti e funghi contaminati), 11 non hanno sviluppato viraggio; nella serie C, 47 campioni hanno sviluppato viraggio (5 funghi contaminanti, 37 dermatofiti, 5 dermatofiti e funghi contaminati), 5 non hanno sviluppato viraggio; nella serie D, 27 campioni hanno sviluppato viraggio (3 funghi contaminanti, 22 dermatofiti, 2 dermatofiti e funghi contaminati) 30 non hanno sviluppato viraggio. Nella serie E (gold standard) 44 piastre sono risultate positive per dermatofiti. I dermatofiti isolati erano: M.canis, M.gypseum e T.mentagrophytes. Il tempo medio, espresso in giorni, di sviluppo delle colonie di dermatofiti e di funghi contaminanti era per la serie A di 6 e 7,1; per la serie B 5,4 e 7,5; per la serie C 4,1 e 7,2 e per la serie D 4,5 e 7. Il tempo medio di viraggio, espresso in giorni, per colonie di dermatofiti e funghi contaminanti era per la serie A di 5,9 e 8,8; per la serie B 5,3 e 9,6; per la serie C 4,2 e 8,9 e per la serie D 4 e 7,8. Conclusioni. Un maggior numero di dermatofiti (42 piastre su 44 del Gold Standard), una maggior rapidità di crescita (4,1 giorni) e di viraggio di colore è stato riscontrato nelle piastre della serie C, seminate con materiale sottoposto ad accurata selezione e incubate in termostato a una temperatura costante di 25°C. Le piastre incubate a temperatura ambiente hanno permesso la crescita di dermatofiti in un numero più limitato (36/44 per le serie A e B) e dopo un maggior numero di giorni di incubazione (6 e 5,4 giorni). Una temperatura ambientale elevata non favorisce lo sviluppo di dermatofiti (24/44 serie D). Per quanto riguarda le piastre incubate a temperatura ambiente, a fronte di una sensibilità uguale (36/44), la serie A presenta un maggior sviluppo di contaminanti (20/57 totali) dovuta alla mancata selezione e sovrabbondante quantità di materiale seminato. Il viraggio di colore (i terreni DTM hanno al loro interno un indicatore di pH, il rosso fenolo) indotto dai dermatofiti che tendono ad utilizzare prima le proteine del mezzo determinando un aumento del pH, risulta essere un parametro incostante poiché molte specie non patogene causano un viraggio. È utile valutare il tempo di viraggio correlato al tempo di crescita, che deve essere per i dermatofiti anticipato o contemporaneo allo sviluppo di colonie visibili e posticipato per i funghi contaminanti (uno o più giorni dopo). La serie C ci permette di distinguere meglio le colonie di dermatofiti dai funghi contaminanti, il viraggio è rispettivamente di 4,2 e 8,9 giorni. Il colore delle colonie, verde/grigio/nero, di aspetto compatto, per la quasi totalità dei contaminanti, rispetto al colore bianco/giallo, aspetto stellato, per le colonie di dermatofiti, rappresenta un utile parametro di giudizio. I dermatofiti non hanno mai colore scuro (verde, bluastro, grigio, nero ecc.). In conclusione è di fondamentale importanza per uno sviluppo ottimale dei dermatofiti un’incubazione a 25 °C, e per limitare la crescita di funghi inquinanti l’accurata selezione del materiale cutaneo da seminare. L’analisi giornaliera dello sviluppo di viraggio rappresenta un valido parametro per distinguere funghi patogeni (viraggio precoce) e funghi contaminanti. I parametri analizzati rappresentano un utile ausilio interpretativo, ma l’identificazione definitiva deve comunque basarsi su un’analisi microscopica delle colonie. Per i casi dubbi, è opportuno fare riferimento ad un laboratorio specialistico. Bibliografia Carroll HF. Evaluation of dermatophyte test medium fordiagnosis of dermatophytosis. Journal of the American Veterinary Medical Association 1974; 165: 192-5. Guillot J, Latie L, Deville M et al. Evaluation of dermatophyte test medium RapidVet-D. Veterinary Dermatology 2001; 12: 123-7. Robert R, Pihet M. Conventional methods for the diagnosis of dermatophytosis. Mycopathologia 2008; 166:295-306

Indirizzo per corrispondenza: Dott.ssa Elisa Chiavassa, Via Luigi Cibrario 61, 10143 Torino (TO), Italia Tel. 011/7428011 - Cell. 393/0218919 - E-mail: elisac_85@hotmail.it

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APLASIA SEGMENTALE DELLA VENA CAVA CAUDALE IN UN FURETTO: DIAGNOSI ECOGRAFICA D. Della Santa, DMV, PhD, Dipl. ECVDI, E. De Felice, DMV, S. Scoccianti, DMV Clinica Veterinaria 24 Ore, Firenze, Italia Tipologia: Caso Clinico Area di interesse: Diagnostica per immagini Introduzione. L’aplasia (segmentale o totale) della vena cava caudale è una malformazione congenita di raro riscontro nel cane e nel gatto e, alla nostra conoscenza, non è mai stata segnalata nel furetto. Descrizione del caso. Un furetto maschio castrato, albino di sei anni è stato condotto alla visita clinica per abbattimento e anoressia di recente insorgenza. Clinicamente il soggetto mostrava algia alla palpazione addominale caudalmente all’ipocondrio sinistro dove si percepiva con chiarezza la presenza di una voluminosa formazione intraaddominale prominente sulla superficie addominale. Altro rilievo clinico anormale osservato è stato il diradamento della pelliccia sulla coda. L’ecografia addominale ha evidenziato una voluminosa ciste renale semplice sinistra con diametro di circa 34 mm e una piccola ciste renale semplice corticale destra. Il surrene sinistro è risultato lievemente megalico con presenza di una lesione nodulare ipoecogena (diametro: 4,5 mm) a livello del polo craniale. Nella ricerca del surrene destro non è stata evidenziata la vena cava caudale preepatica, ma un vaso venoso retroperitoneale destro localizzato dorsalmente e a destra dell’aorta (identificabile con una vena azygos destra particolarmente prominente) che, cranialmente, attraversava il diaframma parallelamente all’aorta. Il surrene destro non è stato identificato nella sua normale posizione anatomica. Entrambe le vene renali confluivano nella vena azygos. A livello epatico è stato visualizzato un vaso venoso, anatomicamente compatibile con la porzione epatica della vena cava caudale, al cui interno confluivano le vene epatiche. Cranialmente questo vaso continuava a livello intratoracico fino all’atrio destro. I rimanenti organi addominali sono risultati nei limiti della norma. Sulla base delle dimensioni della lesione cistica evidenziata in sede ecografica, dell’algia evidenziata alla palpazione e del sospetto iperadrenocorticismo, è stato deciso di eseguire una laparatomia con nefrectomia sinistra ed eventualmente surrenalectomia. Dopo l’esecuzione della nefrectomia si è cercato di individuare i surreni ma non è stato possibile identificarli nella loro sede anatomica normale. Era tuttavia presente una struttura unica di sospetta natura ghiandolare localizzata ventralmente all’aorta e apparentemente risultante dalla fusione delle due ghiandole surrenali: questa risultava essere composta da una porzione sinistra con asse maggiore paramediano e una porzione destra disposta perpendicolarmente. I rischi connessi all’asportazione chirurgica di un tessuto ghiandolare anomalo con anatomia vascolare sconosciuta hanno fatto optare per la gestione medica del sospetto iperadrenocorticismo. Al termine dell’intervento chirurgico è stato dunque impiantato un microchip di deslorelina da 4,7 mg (Suprelorin, Virbac) a livello sottocutaneo. Ai controlli post-operatori il furetto ha mostrato un netto miglioramento delle condizioni generali con recupero dell’appetito e un progressivo infoltimento del pelo sulla coda. Cinque mesi dopo l’intervento chirurgico il furetto era asintomatico. Conclusioni. Nel cane l’aplasia della vena cava caudale è spesso un rilievo incidentale osservato in pazienti indagati per motivi non correlati; talvolta può essere associato ad altre patologie congenite quali shunt portosistemici o situs inversus. In presenza di una aplasia segmentale associata a continuazione craniale della vena cava nella vena azygos, è stata segnalata la possibile insorgenza di trombosi venosa profonda. Alla nostra conoscenza questa è la prima segnalazione di un’aplasia della vena cava caudale preepatica in un furetto. In questo caso il paziente non presentava alcuna sintomatologia riferibile alla malformazione vascolare. Poiché la vena cava caudale preepatica è il principale punto di riferimento per l’identificazione ecografica del surrene destro nel furetto, la sua aplasia può renderne difficile l’individuazione. Chirurgicamente i surreni nel furetto appaiono come piccole formazioni ovalari, di colore scuro, immerse nel tessuto adiposo perirenale e vengono di norma localizzati impiegando il polo craniale del rene ipsilaterale come punto di repere. In questo caso l’individuazione intraoperatoria di entrambi i surreni è apparsa più complicata del solito per l’assenza di due ghiandole surrenaliche propriamente formate e posizionate. Si ritiene dunque plausibile che all’anomalia vascolare possa essere correlata anche quella topografica/morfologica delle ghiandole surrenaliche, cui non sembra essere stata associata un’alterazione funzionale fino a che non si sono avuti i primi sintomi correlabili al sospetto iperadrenocorticismo. Bibliografia Segmental aplasia of the caudal vena cava in a dog. Harder MA, Fowler DD, Pharr JW e coll. Can Vet J 2002; 43: 365-368. Imaging diagnosis: azygous continuation of the caudal vena cava with and without porto caval shunting. Fischetti AJ, Kova J. Vet Radiol Ultrasound 2008; 49: 573-576. Computed tomographic and magnetic resonance imaging features of canine segmental caudal vena cava aplasia. Schwarz T, Rossi F, Wray JD e coll. J Small Anim Pract. 2009; 50: 341-9.

Indirizzo per corrispondenza: Dott. Daniele Della Santa, via Senese 259/B, 50124 Firenze (FI), Italia - E-mail danieledellasanta@yahoo.it

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RELATIONSHIP BETWEEN URINE SPECIFIC GRAVITY AND URINE OSMOLALITY IN CATS A. Di Bella, DVM, CertSAM, MRCVS 1,2, A. Cauvin, BVMS, CertSAM, CertVR, Dip ECVIM-CA, MRCVS 2, C. Maurella, DVM 3, A. Witt, DVM, ACVIM 5, D. Church, BVSc, PhD, MACVSc, MRCVS 4 1 NKR Veterinary Specialists, Blue Bell Hill, Kent, UK 2 VRCC, Southfields, Essex, UK 3 Osservatrio Epidemiologico BEAR Instituto Zooprofilattico Piemonte, Liguria e Valle D’Aosta, Torino, Italy 4 Royal Veterinary College, London, UK 5 Private Practitioner, -, USA Work type: Original Research Topic: Internal Medicine Purpose of the work. Evaluation of urine concentration is an important clinical tool to assess kidney function. The most accurate method to evaluate urine concentration is osmolality1, however osmometers are relative expensive and they are not easy use in practice1, 2. Therefore it is routine practice to assess urine concentration with specific gravity (USG). Only one study has been conducted to the best of our knowledge to correlate feline USG and urine osmolality, this included a limited number of cats (eleven) before and after surgical-induced renal failure6, with most of the measurements taken after the surgical procedure. Our study has been conducted to demonstrate that urine osmolality in cat has a direct relationship with USG measured with refractometer. Materials and used methods. Healthy pet cats were recruited for the study. All underwent a full physical examination and a health screen that included haematological and biochemical panel as well as serum thyroxine levels on the first day of hospitalisation. Chemical urinalysis was performed at least in one occasion. Cats were included if no clinically significant abnormalities were found on these examinations. USG was measured by a hand-held refractometer calibrated each time with pure water. Urine osmolality was measured by the freezing point depression technique on an osmometer.The statistical unit was the single urine sample. Data have been entered in an ad hoc database and demographic variables have been registered as well as data from the labs. Data have been cleaned and checked for Normality. To evaluate the reliability of the two repeated continuous measurements (USG vs. osmolality); the Intraclass Correlation Coefficient was calculated by means of the Variance analysis. Outcomes. Thirty-one cats were included in the study. For each cat 4 urine samples were analysed with the two methods for a definitive 124 samples. The two measurements appeared significantly correlated and the Intraclass Correlation Coefficient (ICC) showed a very high value (0.93, 95%CI 0.87-1). The results of the mixed effect regression model showed the strong correlation between the two different type of tests as well (?=48.7 95%CI 43.4-54). It appeared clear that neither the age of the cat nor the single individual had an effect on the association between the two tests; in fact the values of ?= -12.4 (95%CI -30.65.8) and of ?=0.10 demonstrated that the relationship remained significant after the adjustment for both age and individual. Conclusions. Osmolality is the measure of solute concentration, defined as the number of osmoles of solute per litre of solution. Osmolality of a solution is dependent only on the number of particles (osmoles) present in the solution. Measurement of urine osmolality is the “gold standard” for urine concentration determination in human medicine4. The USG is the ratio of density of the urine compared to pure water at a constant temperature. Therefore specific gravity of a solution is not only affected by number of particles but also by their molecular mass present in the same solution. In normal urine mainly substances with small molecular size (e.g. NaCl and urea) are present and substances with large and heavy molecules (e.g. glucose, albumin) are not usually found. Therefore the use of specific gravity in clinical practice in most of the instances is justified. We elected to use handle refractometer in our study to measure the USG as this is the most common method to measure USG in practice. Our study revealed a direct relationship between urine osmolality measured by osmometry and USG measured by refractometry. In our study all of the cats were healthy and none of them had glycosuria or proteinuria detected by dipstick and none of the cats received a contrast medium intravenous during or before the study. As demonstrated in a previous human study5 it is likely that the presence of high-molecular-weight solute would affect the USG more than osmolality. In conclusion our study gives some evidences about the reliability to measure urine concentration in cat with handle refractometer compared with urine osmolality that still is considered the gold standard method in human medicine. Bibliography 1. 2. 3. 4. 5. 6.

R.A. Green, Perspectives of Clinical Osmometry. Veterinary Clinics of North America Vol. 8, No 2, pp 287-299 (1978). H.E.Hendricks, J.J. De Bruijne, W.E.Van De Brom. The clinical refractometer: a useful tool for the determination of specific gravity and osmolality in canine urine Tijdschr.Diergeneesk Vol.103, No 2, pp 1065-1068 (1978). O. Dossin, C. German, J.P. Braun. Comparison of the techniques of evaluation of urine dilution/concentration in the dog. J.Vet.Med A 50, 322-325 (2003). V.M. Chadha, U. Garg, U.S. Alon. Measurement of urinary concentration: a critical appraisal of methodologies. Pediatric Nephrology 16, pp 374-382 (2001). G.C. Voinescu, M. Shoemaker, H. Moore, R. Khanna, K. D. Nolph The relationship between urine osmolality and specific gravity The American Journal of The Medical Sciences Vol. 323, No 1, pp 39-42 (2002). Ross LA, Finco DR. Relationship of selected clinical renal function tests to glomerular filtration rate and renal blood flow in cats. American Journal Veterinary Research. 1981; 42 (10): 1704-1710.

Corresponding Address: Dr. Andrea Di Bella - NKR Veterinary Specialists, 5 Rutledge Close, RM16 3G Orsett Essex, United Kingdom Phone +331375893589 - E-mail dibella_andrea@yahoo.co.uk

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ACCURATEZZA DIAGNOSTICA DELLA CITOLOGIA PER LA DIAGNOSI DELLE NEOPLASIE SURRENALICHE M. Didier, Medico Veterinario 1, W. Bertazzolo, Medico Veterinario, Dipl ECVCP 2,3, U. Bonfanti, Medico Veterinario, Dipl ECVCP 4, S. Rossi, Medico Veterinario, Dipl ECVCP 5, M. E. Gelain, Medico Veterinario, Dipl ECVCP 6, L. Giori, Medico Veterinario 6, G. Avallone, Medico Veterinario, Dipl ECVP 6, P. Roccabianca, Medico Veterinario, Dipl ECVP 6 1 Laboratorio di Analisi Veterinario “Bitta”, Stradella(PV), Italy 2 Ospedale Veterinario Città di Pavia, Pavia, Italy 3 Clinica Veterinaria Tibaldi, Milano, Italy 4 Accelera, Nerviano(MI), Italy 5 Istituto Veterinario di Novara, Novara, Italy 6 Dip. di Patologia Animale, Igiene e Sanità Pubblica - Università degli Studi, Milano, Italy Tipologia: Ricerca Originale Area di interesse: Citologia Scopo del lavoro. La diagnosi differenziale tra neoplasie della corticale e della midollare del surrene (feocromocitomi) basata sui rilievi clinici, di diagnostica per immagini e di laboratorio, può risultare complessa. Tale difficoltà è particolrmente spiccata in quei casi paucisintomatici o di neoplasie non secernenti (cosiddetti incidentalomi), in cui le alterazioni clinico-patologiche non sono indicative di sindromi specifiche (es. Sindrome di Cushing). L’esame citologico per ago-aspirazione potrebbe rappresentare un metodo mini-invasivo alternativo all’esame istopatologico. Lo scopo del presente lavoro è di valutare l’accuratezza diagnostica della citologia nella differenziazione tra neoplasie corticosurrenali e feocromocitomi. Materiali e metodi. Venivano ricercati nel database di uno degli autori (WB) i casi di neoplasia surrenalica con diagnosi citologica confermata mediante istologia, provenienti da pazienti canini e felini. Venivano inclusi nel presente lavoro solo quei campioni citologici ed istologici che risultavano disponibili per una revisione. La revisione istologica veniva effettuata indipendentemente da due patologi “board-certified”. Solo i casi con diagnosi istologica concorde venivano inclusi nello studio. I campioni citologici venivano sottoposti a revisione indipendente ed alla cieca, a 4 patologi clinici con diversi livelli di esperienza. Le chiavi citomorfologiche per la diagnosi differenziali tra neoplasie corticosurrenali e feocromocitomi erano forniti dall’unico autore a conoscenza di tutti i dati clinicopatologici (WB). Veniva infine valutata l’accuratezza diagnostica di ciascun patologo clinico (numero di diagnosi corrette/numero casi totali). Risultati. 30 casi di neoplasie surrenaliche confermate istologicamente venivano individuati. 17 di questi soddifacevano i criteri di inclusione e venivano arruolati. I criteri citomorfologici per una diagnosi di neoplasia corticosurrenalica erano: presenza di cellule da singole a coesive, con margini cellulari distinti, ampio citoplasma basofilo microvacuolizzato; nuclei rotondi paracentrali con cromatina reticolare/grossolana e nucleoli talora prominenti; basso rapporto nucleo/citoplasma; possibile ematopoiesi extramidollare. Quelli di feocromocitoma erano: nuclei nudi su fondo amorfo basofilo, talora disposti in file o in pattern acinari; rare cellule integre di aspetto rotondeggiante (aspetto plasmocitoide), moderato/scarso citoplasma incolore, nuclei rotondi/ovali, di aspetto monomorfo, con cromatina fine/reticolare e nucleoli poco evidenti; elevato rapporto nucleo/citoplasma. Utilizzando i criteri diagnostici forniti all’inizio dello studio, l’accuratezza complessiva dell’esame citologico nella differenziazione tra neoplasie corticosurrenaliche e feocromocitomi risultava essere del 94% (2 patologi clinici con ridotta esperienza in citologia diagnostica) e del 100% (2 patologi clinici con elevata esperienza in citologia diagnostica). Conclusioni. L’esame citologico appare avere buona accuratezza diagnostica nella diagnosi differenziale tra neoplasie corticosurrenaliche e feocromocitomi. I patologi clinici con maggiore esperienza risultavano avere un’accuratezza diagnostica maggiore, sebbene anche i citologi con esperienza ridotta hanno presentato un grado di accuratezza soddisfacente. Sulla base di questi dati preliminari, l’esame citologico potrebbe rappresentare uno step diagnostico estremamente utile nella differenziazione tra i due tipi di neoplasie surrenaliche, in particolare in quei casi con riscontri clinici e di laboratorio dubbi e poco specifici. Bibliografia Raskin & Meyer. Canine and Feline Cytology: A colour Atlas and Interpretative Guide. Saunders-Elsevier, 2009.

Indirizzo per corrispondenza: Dott.ssa Martine Didier, Via Pietro Mascagni 20, 20122 Milano (MC), Italia Tel. +393382442873 - +393382442873 - E-mail: martinedidier@hotmail.com

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UTILIZZO DI REMIFENTANIL AD ALTO DOSAGGIO DURANTE L’ANESTESIA GENERALE PER IL PARTO CESAREO NEL CANE: VALUTAZIONE DELLA VITALITÀ DEI NEONATI ED EFFETTI EMODINAMICI SULLA MADRE G. Dravelli, DVM1, R. Rabozzi, DVM2 Clinica Veterinaria Vezzoni, Cremona, Italy 2 Clinica Veterinaria dell’Adriatico, Vasto, Italy 1

Tipologia: Ricerca Originale Area di interesse: Anestesia Scopo del lavoro. L’anestesia generale per il parto cesareo (PC) dovrebbe determinare un corretto piano anestetico della madre, preservare una buona perfusione dell’utero ed evitare depressione cardiorespiratoria dei feti. Nell’uomo l’uso di Remifentanil (REMI) garantisce una buona stabilità emodinamica e un’adeguata analgesia nella madre, senza determinare depressione fetale1. Nel cane non esistono studi che abbiano valutato gli effetti di questo oppioide ad azione ultra-rapida sulla madre e sui cuccioli. È stato invece dimostrato che un’infusione ad alti dosaggi di REMI (1 μg kg-1 min-1) possa determinare una diminuzione della MAC dell’isofluorano (ISO) del 63%.2 Finalià di questo studio clinico prospettico è valutare l’utilizzo di alti dosaggi di REMI con basse concentrazioni di anestetico generale nel PC elettivo del cane. Materiali e metodi. Lo studio ha incluso cagne gravide presentate per PC elettivo, previo consenso informato del proprietario. I soggetti sono stati sottoposti ad ultrasonografia addominale per valutare la vitalità fetale. Un catetere venoso è stato posizionato in entrambe le vene cefaliche e nell’arteria metatarsale dorsale. Ogni soggetto prima dell’induzione ha ricevuto 15 ml kg1 EV di colloidi (1000 ml/h). Previo inizio del monitoraggio ECG e della pressione arteriosa invasiva (IBP), è stata somministrata una dose di 20 μg kg-1 di atropina EV seguita da un’infusione di 1-1,5 μg kg-1 min-1 di REMI. Dopo 5 minuti l’anestesia è stata indotta con propofol 2–3,5 mg kg-1 in 20 secondi anticipata da preossigenazione; la trachea è stata intubata e il soggetto è stato ventilato meccanicamente garantendo la normocapnia. L’anestesia è stata mantenuta con ISO in O2 al 100%. La concentrazione di ISO espirata (ETiso) è stata regolata in modo da trovare la minima concentrazione che fornisse al paziente miorisoluzione, assenza di riflesso palpebrale e mancata risposta motoria allo stimolo dolorifico. La velocità di infusione del REMI è stata variata in accordo allo stimolo algico. L’ipotensione è stata definita come MAP < 60 mmHg, trattata con somministrazione rapida di fluidi ed efedrina 50 μg kg-1. Sono stati monitorati in continuo e registrati ogni 5 sec: FC, IBP, ETCO2, Etiso. Per l’analisi dei dati post hoc si sono definiti i seguenti eventi: basale, pre-induzione, post-induzione, pre-incisione, incisione cute, esteriorizzazione utero, estrazione cuccioli (inizio, metà e fine) e post estrazione. Per valutare la vitalità dei cuccioli a 1 e 5 minuti dall’estrazione è stato compilato un punteggio APGAR con scala da 0 a 14, validato nel cane3. Sono stati indagati PH, PCO2, HCO3 e lattati a campione tramite prelievo giugulare all’estrazione. È stata registrata la mortalità a 2, 48 ore e 1 sett. Le variabili non parametriche sono descritte come mediana (range). Risultati. Sono state incluse 20 cagne (10 Labrador, 7 Golden, 1 Boxer, 1 Segugio, 1 Pastore Tedesco), età 5(2-8) anni, peso 38(26-45)Kg. Il dosaggio di propofol è stato di 2,5(2-3,5) mg kg-1. La velocità d’infusione di REMI pre-induzione è stata di 1,2(1-1,5)μg kg-1 min-1. Durante gli eventi incisione, esteriorizzazione utero, inizio, fine estrazione e post-estrazione le velocità d’infusione di REMI sono state 1(0,8-1,2), 0,8(0,6-1), 0,6(0,2-0,8) 0,6(0,4-0,8) 0,6(0,6-1)μg kg-1 min-1 con Etiso 0,66(0,56-0,8), 0,68(0,59-0,85), 0,67(0,58-0,84) 0,65(0,55-0,82), 0,75(0,65-0,85)%. FC e MAP agli eventi basale, pre-induzione, post-induzione, pre-incisione, incisione cute, estreriorizzazione utero, inizio, metà, fine estrazione e post-estrazione, sono stati rispettivamente di 129(101-190), 133(104-170), 125(98-157), 112(74-151), 111(75-150), 108(78-150) 107(72-150) 121(72-163), 118(70-157), 113(71-180)bmp e 106(91-125), 115(94-130), 80(65-99), 75(65-95), 75(66-94), 79(65-98), 75(6895), 68(58-90), 77(62-84), 71(50-85)mmHg. L’ipotensione si è verificata in 3 soggetti durante l’estrazione e in 1 soggetto post estrazione per grave emorragia uterina. All’esame ecografico preoperatorio dei 142 cuccioli, 140 sono risultati vitali, mentre 2 risultati con assenza di battito. Il numero totale di cuccioli estratti vivi sono stati 140 con APGAR ad 1 e 5 minuti di 12(6-12) e 14(13-14). Solo 8 su 140 (5,7%) riporta APGAR < 10 a 1 min ma nessun cucciolo ha richiesto rianimazione. I campioni di sangue analizzati sono stati 27. PH, HCO3, PCO2, e lattati sono stati di 7,22(7,11-7,31), 55,75(35-70,9)mmHg, 23,8 (19,627,8)mmol/L, 2,6(3,8-1,4)mmol/L. A 2, 48 ore e 1 sett la mortalità è stata di 0/140(0%), 1/140(0,71%), 2/140(1,42%). Conclusioni. L’utilizzo di alti dosaggi di REMI con basse concentrazioni di ISO per L’anestesia generale nel PC si è dimostrata una tecnica semplice e sicura. Ha determinato una buona stabilità emodinamica nella madre senza creare depressioni cardiorespiratorie nei feti. Gli elevati punteggi APGAR e lo stato acido-base dei neonati indicano l’assenza di sofferenza fetale e una buona vitalità all’estrazione, a differenza di ciò che è riportato in letteratura per tecniche di aneatesia generale nel PC.3,4 La mortalità è risultata inferiore rispetto a quella descritta (10-30%) in altri studi.3,4 Bibliografia 1. 2. 3. 4.

R E Kan et al: Anesthesiology 1998; 88(6):1467–1474. LG Michelsen et al: Anesthesiology 1996; 84(4):865-872. D Groppetti et al: Theriogenology 2010; 74(7):1187-1196. DG Stephen: Textbook of small animal surgery, D H Slatter ed 3. 2003:1517.

Indirizzo per corrispondenza: Dott.ssa Giulia Dravelli - Clinica Veterinaria Vezzoni, Via Massarotti 60/A, 26100 Cremona (CR), Italia Tel. 0372 23451 - Cell. 333/6238862 - E-mail: dgiulia@alice.it

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DIAGNOSI E MANAGEMENT TERAPEUTICO DI UN CASO DI IPERLIPEMIA PRIMARIA IN UN CANE V. Marchetti, DVM, PhD, SPCAA 1, A. Pasquini, DVM, PhD, SPCAA 1, G. Favilla, DVM 1, F. Valentini, DVM, MS 1 1 Facoltà di Medicina Veterinaria, Pisa, Italia Tipologia: Caso Clinico Area di interesse: Gastroenterologia Introduzione. L’iperlipemia può essere la conseguenza di anomalie lipidiche primarie1-2 (meno comuni) o secondarie1-2 ad altre condizioni. Queste ultime comprendono patologie endocrine, pancreatiti, colestasi, nefropatie proteino-disperdenti, obesità e diete ad elevato contenuto lipidico. Nel cane sono stati evidenziati diversi tipi di iperlipemia primaria come l’ipercolesterolemia idiopatica1-2 (Briard) e l’iperlipoproteinemia idiopatica o primaria1-2 (Schnauzer Nano ed altre razze). Di seguito riportiamo un caso di iperlipemia riconosciuta come primaria e responsiva alla terapia (dieta a basso tenore di lipidi e fibrati). Descrizione del caso. Cane, meticcio, FS, 5 anni, 18 Kg, asintomatico in visita per controllo routinario; anamnesi remota di enteropatia dieto-responsiva. Il profilo ematobiochimico rileva ipercolesterolemia (675 mg/dL IdR 50-265 mg/dL) ipertrigliceridemia (1452 mg/dL IdR 66-110 mg/dL) persistenti ed eritrocitosi. Si prescrive terapia dietetica e si propongono ulteriori accertamenti diagnostici: digiuno esteso sino a 20 ore, esame urine completo, rx, eco addome, profilo tiroideo, cortisolo/creatinina urinari e lipasi pancreatica. Poiché non si rileva nessuna alterazione si emette il sospetto di iperlipemia primaria secondaria a deficit della lipoproein-lipasi. Secondo quanto riportato in letteratura1-2, soggetti con deficit della LPL presentano un aumento delle ß-migranti (VLDL-LDL). La somministrazione di eparina induce il rilascio endoteliale e stimola l’attività della LPL riducendo tale incremento.3-4-5 Si esegue quindi contestualmente alla determinazione di colesterolo e trigliceridi plasmatici elettroforesi delle lipoproteine su due campioni di plasma in EDTA prelevato prima e dopo 10 minuti da somministrazione di eparina sodica EV (90 UI/Kg). I due tracciati lipoproteici risultano sovrapponibili con un incremento della frazione a-2 e la presenza di un unico picco preß-ß che permane nonostante la somministrazione di eparina. Oltre alla dieta si inserisce un’integrazione con acidi grassi ?-36-7 (200 mg/Kg) e fibrati10 (gemfibrozil 200 mg/DIE). Dopo circa un mese dall’inizio della terapia abbiamo riscontrato una riduzione sia di colesterolo (452 mg/dL IdR 150-265 mg/dL) sia di trigliceridi (234 mg/dL IdR 66-110 mg/dL). Conclusioni. L’iter diagnostico ha permesso di escludere le più comuni cause di iperlipemia1-4: diete ad elevato contenuto lipidico, iperlipemia post-prandiale, colestasi ostruttiva, diabete mellito, iperadrenocorticismo, pancreatite acuta, ipotiroidismo, sindrome nefrosica e ipercolesterolemia idiopatica. Il metodo elettroforetico, pur non essendo un esame di routine, viene proposto come un metodo valido per la separazione delle lipoproteine, di ausilio diagnostico e nel monitoraggio terapeutico8-9. Il lipidogramma del cane mostra notevoli differenze rispetto a quello dell’uomo e deve essere interpretato in base alla morfologia del grafico, all’ampiezza dei campi di competenza e agli intervalli di riferimento in % di ogni frazione. Nel cane le lipoproteine HDL sono quelle maggiormente presenti e le principali frazioni lipoproteiche individuate nel cane mediante elettroforesi corrispondono ai seguenti picchi del tracciato12: a1 che corrispondono prevalentemente alle HDL2 e HDL3, a2 alle HDL1, pß alle VLDL, ß alle LDL e k ai chilomicroni. La mancata risposta alla somministrazione di eparina con il persistente picco nelle ßmigranti conferma il sospetto diagnostico di deficit della LPL. La riduzione dei livelli plasmatici di colesterolo e trigliceridi conferma la risposta terapeutica ad ?-3 e fibrati associati a dieta low fat. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11.

Schenck P.A et al., L’iperlipemia nel cane: cause e trattamento nutrizionale in Enciclopedia della nutrizione clinica del cane e del gatto, Ed. Royal canin 2008 Schenck PA, et al., Lipoprotein lipase and hepatic lipase activity in dogs with primary hyperlipoproteinemia. J Vet Intern Med 2002; 16(3): 386 Justin D. Thomason, et al., “Hyperlipidemia in dogs and cats”, Veterinary Medicine, Sep. 1 2007 Stockham S., et al., Fundamental of veterinary clinical pathology, Ed. Blackwell 2008 Whitney MS. Et al., Evaluation of hyperlipidemias in dogs and cats. Semin Vet Med Surg (Small Anim) 1992; 7: 292-300 Bauer JE, Responses of dogs to dietary omega-3 fatty acids. J. Am. Vet. Med., Dec 1 2007; 231 (11): 1657-61 LeBlanc CJ et al., Effect of dietary fish oil and vitamin E supplementation on hematologic and serum biochemical analytes and oxidative status in young dogs. Vet Ther. 2005; 6(4): 325-40 Bauer J.E., et al., Comparative lipid and lipoprotein metabolism. Vet. Clin. Pathol. 1996; 25: 49-56. Bauer J.E., et al., Lipoprotein-mediated transfer of dietary and synthesized lipids and lipid abnormalities of dogs and cats. J. Vet. Med. Ass. 2004; 224 (5): 668-75 Stalenhoef A.F.H., et al., The effect of concentrated n-3 fatty acids versus gemfibrozil on plasma lipoproteins, low density lipoprotein heterogeneity and oxidizability in patients with hypertrygliceridemia, Atherosclerosis 2000; 153: 129–138 Pasquini A., et al., Plasma lipoprotein concentrations in the dog: the effects of gender, age, breed and diet, J. of Ani. Phy. and Ani. Nutri., 2008; 92: 718722.

Indirizzo per corrispondenza: Dr. Gianluca Favilla, Via Goito, 133, 57100 Livorno (LI), Italia Tel. 0586/814895 - Cell. 393/1437221 - E-mail: gianluca.favilla@gmail.com

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TRATTAMENTO CON ATRACURIO BESILATO ENDOURETRALE IN CANI E GATTI CON RITENZIONE URINARIA CAUSATA DA DEFICIT DEI MOTONEURONI SUPERIORI F. Galluzzi, Med Vet 1, F. De Rensis, Med Vet, PhD 2, G. Spattini, Med Vet, PhD, DECVDI 1 1 Clinica Veterinaria Castellarano, Castellarano (RE), Italia 2 Dipartimento di Salute Animale, Università degli Studi di Parma, Parma, Italia Tipologia: Ricerca Originale Area di interesse: Neurologia Scopo del lavoro. L’atracurio besilato (AB) è un farmaco bloccante neuromuscolare non depolarizzante che compete con l’acetilcolina e si lega ai recettori nicotinici della giunzione neuromuscolare provocando paralisi della muscolatura striata.¹ L’ipotesi del lavoro è che l’AB, somministrato per via endouretrale, sia in grado rilassare la muscolatura striata uretrale e facilitare la minzione tramite compressione manuale della vescica in cani e gatti con ritenzione urinaria causata da deficit dei motoneuroni superiori. Materiali e metodi. Da gennaio 2007 ad ottobre 2010 è stato effettuato uno studio prospettico su 32 pazienti affetti da ritenzione urinaria causata da una lesione al motoneurone superiore. Gli animali sono stati divisi casualmente in 2 gruppi di 16 pazienti ciascuno: gruppo T, composto da 12 cani (10 maschi e 2 femmine sterilizzate) e 4 gatti (4 maschi di cui 3 castrati) trattati con AB e gruppo C, di controllo, composto da 11 cani maschi e 5 gatti (5 maschi di cui 3 castrati). La diagnosi è stata formulata in base all’anamnesi, esame fisico (in particolare dimensioni e tono della vescica), esame neurologico, esame emocromocitometrico, profilo biochimico, esame delle urine, ecografia dell’apparato urinario e radiografie. In tutti i pazienti è stata cateterizzata l’uretra per escludere ostruzioni da cause meccaniche. Nessun paziente è stato sedato. Sui pazienti del gruppo T è stata compressa manualmente la vescica per un tempo massimo di 60 secondi per cercare di ottenere un flusso di urina. In base alla difficoltà incontrata nella compressione vescicale è stato assegnato un punteggio progressivo da 0 a 7: 0 esprime uno svuotamento vescicale estremamente facile; al contrario, 7 indica una vescica incomprimibile e l’impossibilità o quasi di ottenere un flusso di urina. Successivamente è stata utilizzata una siringa da 5 ml (Omnifix® Luer Lock) per diluire 0,2 ml di AB (Tracrium®, fiale da 10 mg/1 ml) con soluzione fisiologica fino a raggiungere un volume di 4 ml (concentrazione di principio attivo pari a 0,5 mg/ml). Con questa soluzione è stata eseguita una infusione intrauretrale utilizzando un catetere vescicale Sovereign® in polipropilene per i cani maschi, di Foley (Surgivet®) in silicone per le cagne e Buster® senza mandrino in polietilene in tutti i gatti. Con il paziente in decubito laterale destro, la punta del catetere uretrale è stata lubrificata con gel contenente lidocina 1% (Luan®) ed è stata inserita in uretra per 0,5-2 cm (secondo la taglia del paziente). La soluzione contenente AB è stata introdotta in uretra avendo cura di comprimere il prepuzio o la vagina tra due dita per impedire il riflusso della soluzione verso l’esterno. Questa posizione è stata mantenuta per 5 minuti, dopodiché è stato retratto il catetere e si è tentato lo svuotamento manuale della vescica assegnando un nuovo punteggio. Dosaggi utilizzati: 2 ml x i gatti ed i cani di peso inferiore a 10 kg, 3 ml x i cani di peso compreso tra 10 e 20 kg e 4 ml per i cani di peso superiore a 20 kg. Il procedimento (compressione manuale della vescica prima e dopo il trattamento intrauretrale con AB) è stato ripetuto dopo 12 ore ed i punteggi relativi alla difficoltà incontrata nello svuotare la vescica manualmente sono stati confrontati mediante paired T student test. Nel gruppo C è stato seguito il medesimo protocollo con l’eccezione che il trattamento intrauretrale è stato effettuato solo una volta utilizzando solo soluzione fisiologica. Risultati. Rispetto al controllo, lo score relativo alla compressione vescicale manuale è migliorato in 15 (94%) pazienti dopo il primo trattamento con AB. Nel gruppo trattato con AB la differenza tra il punteggio prima e dopo il trattamento è stata significativa (6.01±0.6 vs 2.9±1.1;n=16) (P<0.05) mentre questa differenza non è stata osservata nel gruppo C (= 6.28±0.84 vs 5.84±0.81; n=16) different (P=0.21). Quando sono state confrontate le differenze di punteggio tra il gruppo trattato e quello di controllo la differenza è stata significativa (3,7±0.3 per i tratttati e 0.3±0.5 per i controlli; P<0.05). Conclusioni. Lesioni a carico del motoneurone superiore provocano ritenzione urinaria con una vescica difficilmente comprimibile.² AB è un derivato del curaro caratterizzato da bassa liposolubilità per cui può attraversare le membrane biologiche solo in piccola quantità.³ Noi pensiamo che AB, somministrato per via intrauretrale, possa attraversare la mucosa per gradiente di concentrazione in virtù del suo dosaggio, del tempo di contatto (5 minuti) e del volume della soluzione, quest’ultimo in grado di distendere la mucosa uretrale ed ottenere un miglior contatto tra farmaco ed urotelio. In questo studio l’AB è stato efficace nel ridurre le resistenze uretrali provocando il rilassamento della muscolatura striata uretrale e facilitando significativamente lo svuotamento vescicale. Bibliografia 1. 2. 3.

Martinez EA, Keegan RD: Muscle Relaxants and Neuromuscular Blockade. In: Tranquilli WJ, Thurmon JC, Grimm KA: Veterinary Anesthesia and Analgesia. Blackwell Publishing, 2007, pp 419-437. Lane IF. Diagnosis and management of urinary retention. Vet Clin North Am Small Anim Pract 2000;30:25-57, v. Review. Crescenzo G, Ormas P. Farmaci attivi sul sistema nervoso somatico. In: Carli, Ormas, Re, Soldani, eds. Farmacologia Veterinaria. 1th ed. Napoli: Idelson-Gnocchi, 2008;267.

Indirizzo per corrispondenza: Dott. Franco Galluzzi, Via Fuori Ponte 1/1, 42014 Castellarano (RE), Italia Tel. 0536/859701 - Cell. 338/5069138 - E-mail: edoardoalberto@libero.it

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ENCEFALITOZOONOSI IN UN CONIGLIO G. Guerreschi, DVM 1, A. F. Bertazzolo, DVM, PhD 1 1 Clinica Veterinaria Tibaldi, Milano, Italia Tipologia: Caso Clinico Area di interesse: Animali esotici Introduzione. Riferiamo il caso di Bete, coniglio nano ariete (Oryctolagus cuniculi), 1,4 kg, M, 4,5 aa. presentato in clinica per testa ruotata. Descrizione del caso. Il paziente, mai vaccinato e vive in appartamento, alla visita evidenzia depressione del sensorio, testa ruotata a sinistra e ariflessia dei nn trigemino e facciale bilaterale associati ad un lieve nistagmo orizzontale. Tali sintomi sono compatibili con una forma di sindrome vestibolare periferica (otiti medie) o centrale (forme infettivo/infiammatorie o neoplastiche a livello encefalico). Il paziente viene ricoverato in Clinica; si applica un catetere venoso (G24) nella vena safena laterale per somministrare fluidi e una terapia antibiotica (enrofloxacin 5 mg/kg). Nonostante il ricovero il paziente manifesta peggioramento della sintomatologia e viene proposta un’indagine TC per valutare l’encefalo e le bolle timpaniche. L’anestesia viene indotta con iniezione im di ketamina (10mg/kg) e acepromazina (0,05mg/kg) e mantenuta con isofluorano e ossigeno mediante mascherina. L’esame TC eseguito in condizioni basale e dopo somministrazione ev di MDC organo iodato (omnipaque® 300) a 600 mg I/Kg. Lo studio mette in evidenza una lesione encefalica di forma grossolanamente globosa (diam. circa 7mm) posta in sede occipitale sinistra in stretti rapporti di contiguità con i rivestimenti meningei della regione e con il tentorio del cervelletto, che presenta marcato incremento in fase contrastografica. A questo si associa una moderata disomogeneità del restante parenchima encefalico e un quadro di concomitante grave otite monolaterale destra. L’alterazione osservata in sede occipitale non permette di escludere un’ipotesi neoplastica dalle caratteristiche tomodensitometriche riferibili a quelle di un meningioma. Per completezza dell’indagine, appurata l’assenza di segni evidenti di ipertensione intracranica, viene prelevato LCR dalla cisterna magna. I proprietari prima dell’esito delle indagini decidono per l’eutanasia del soggetto. Viene prelevata la neoformazione encefalica per l’esame istopatologico. Esito: Meningoencefalite da linfocitaria perivascolare a granulomatosa non suppurativa, interessante meninge ed encefalo. Causata da E. cuniculi (principale), Toxoplasmosi, Herpesvirus, larva migrans da Baylisascaris. Conclusioni. L’E. cuniculi appartiene al filum Microspora, parassita obbligato intracellulare del coniglio, roditori, cani, cavalli, volpi1 e primati3. Può infettare l’essere umano HIV positivo e causare una patologia sistemica spesso fatale. L’infezione è trasmessa orizzontalmente per contatto diretto o contaminazione ambientale3 e le spore escrete per via urinaria3. Nel coniglio i siti preferiti sono SNC, reni e occhi e i sintomi clinici possono presentarsi separatamente o associati. A livello di SNC, spesso acuti, sindrome vestibolare (circling, nistagmo e rotolamento), head tilt, atassia, convulsioni, paresi, tremori della testa e alterazioni comportamentali (aggressività, automutilazioni)3. A carico degli occhi uveite facoclastica, mono o bilaterale e cataratta3. Ai reni nefrite interstiziale cronica con inappetenza, perdita di peso, letargia e disidratazione3 e con IRC, anemia e osteodistrofia per fratture patologiche ossa lunghe. La diagnosi si basa sul test sierologico, ma gli anticorpi indicano la presenza di un’infezione cronica da E. cuniculi, ma non stabilisce se l’organismo è l’agente causante la patologia. La diagnosi definitiva ante-mortem considera i sintomi neurologici, l’esame oftalmologico, la sierologia e l’esclusione delle altre patologie. Nell’uomo la metodica PCR su secrezioni e fluidi corporei, risulta sensibile e specifica e conferma la presenza del patogeno. Nel coniglio questa metodica è poco valutata. L’istologia presenta lesioni a cervello, cervelletto e reni: meningoencefaliti granulomatose focali non suppurative e nefriti interstiziali segmentali con quadro di fibrosi2. La ricerca delle spore intracellulari può essere eseguita post-mortem in sezioni di reni e cervello ma avendo piccole dimensioni, con le colorazioni ematossilina-eosina, sono difficili da evidenziare3. Il microscopio elettronico è considerato la tecnica migliore per evidenziare le spore. Allo stato attuale non risultano lavori relativi all’utilizzo della TC, o di altre tecniche diagnostiche di secondo livello, per valutare le alterazioni da encefalitozoonosi. Il LCR prelevato dalla cisterna magna (0,7-1ml) ed esaminato presenta pleocitosi linfomonocitaria con predominanza di linfociti e aumento delle proteine, quadro tuttavia presente anche in encefaliti virali, protozoarie, immunomediate o nel linfoma del SNC. Non vi sono farmaci specifici per la cura dell’E. cuniculi. A volte glucocorticoidi e enrofloxacin, o ossitetracicline o fenbendazolo ha permesso il 50% delle guarigioni3. In medicina umana il farmaco più efficace contro la microsporidiosi è l’albendazolo3. Nel coniglio l’albendazolo è bel tollerato, ma è embriotossico e teratogeno. Suter et al.8 ha trattato alcuni conigli infetti con fenbendazolo; l’esame del tessuto cerebrale, a fine terapia, non ha isolato alcuna forma parassitaria. L’uveite facoclastica è trattata con desametazone e ossitetraciclina associati, per via sistemica e topica. La rimozione chirurgica delle lenti, associata al trattamento farmacologico, ha fornito buoni risultati6. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6.

Snowden KF, Lewis BC, Hoffman J, Mansell J, 2009, Encephalitozoon cuniculi infections in dogs: a case series; J. Anim. Hosp. Assoc; 45: 225-231. Kunzel F, Gruber A, Ticky A, Edelhofer R, Nell B, Hassan J, Leschnik M, Thallammer JG, Joachim A, 2008, Clinical syntoms and diagnosis of encephalitozoonosis in pet rabbits; Vet. Par, 151:115-124. Kunzel F, Joachim A., 2010; Encephalitozoonosis in rabbits; Parasitol Res, 106: 299-309. Guendalini A, Ratto A, 1996; Phacoclastic uveitis in the rabbit: a case report; The Eur. Journ. Of Compan. Anim. Pract; vol VI (1), aprile, 39-41. Jass A, Matiasek K, Henke J, Kunchenhoff H, Hartmann K, Fischer A, 2008: Analysis of cerebrospinal fluid in healthy rabbits and rabbits with clinically suspected encephalitozoonosi; The Vet. Rec, 162, 618-622. Suter C, Muller-Doblies OU, Hatt JM, Deplazes P, 2001; Prevention and treatment of Encephalitozoon cuniculi infection in rabbits with fenbendazolo; Vet. Rec. 148: 478-480.

Indirizzo per corrispondenza: Dott. Giorgio Guerreschi, Via A. Righi 45, 20035 Lissone (Mb), Italia Cell. 338-8271143 - E-mail: giorgiovet1960@libero.it

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NUOVO PROTOCOLLO RADIOTERAPICO PER IL TRATTAMENTO DELLE NEOPLASIE PRIMARIE INTRACRANICHE P. Laganga, DMV 1, F. Rossi, DVM, SRV, DECVDI 1,2, V. F. Leone, DVM, Dr. San. Qual. Prod. Anim., Spec. Tec. Pat. Avic 1, S. Cancedda, DVM, MS 1, R. Terragni, DVM, SPCAA 1,2, M. Vignoli, DVM, SRV, DECVDI, PhD 1,2, C. Rohrer Bley, DVM, DACVR (Radiation Oncology) 1,3 1 Centro Oncologico Veterinario, Sasso Marconi, Italia 2 Clinica Veterinaria dell’Orologio, Sasso Marconi, Italia 3 Sez. Radio-Oncologia, Vetsuisse Faculty, Zurigo, Svizzera Tipologia: Ricerca Originale Area di interesse: Neurologia Scopo del lavoro. Nel cane, la radioterapia è il trattamento di elezione per i tumori intracranici non aggredibili chirurgicamente.1-3 In letteratura sono riportati diversi protocolli, con dosi totali variabili da 28 a 52,5 Gy, somministrate in 10-17 frazioni.2,3 Dosi elevate aumentano la probabilità di controllo tumorale, anche se il rischio di danni cerebrali (necrosi) è maggiore. Per ridurre la probabilità di insorgenza di effetti collaterali sul tessuto cerebrale sano circostante, è fondamentale pianificare il protocollo terapeutico frazionando la dose totale in piccole dosi e garantire un posizionamento accurato e ripetibile del paziente. L’obiettivo di questo lavoro è di presentare i risultati di nuovo protocollo di radioterapia effettuato in un gruppo di cani affetti da neoplasia intracranica. Materiali e metodi. Sono stati inclusi tutti i pazienti con neoplasia intracranica trattati al Centro Oncologico Veterinario nel periodo compreso tra maggio 2009 e febbraio 2011. La diagnosi di neoformazione intracranica è stata ottenuta mediante studio TC o RM. Prima del trattamento, è stata effettuata una TC in cui il cane era posizionato all’interno di un sistema di immobilizzazione personalizzato. Le immagini TC sono state utilizzate per il planning della radioterapia, effettuato con un programma di trattamento tridimensionale dedicato. Tutti i pazienti, posizionati all’interno del sistema di immobilizzazione individuale, sono stati trattati utilizzando fasci di fotoni con energia di 6 MV (Acceleratore Lineare Clinac (Varian)). Il protocollo prevedeva una dose totale compresa tra 45 e 50 Gy, suddivisa in 20 frazioni di 2,25–2,5 Gy, somministrate quotidianamente per 4 settimane consecutive. La scelta della dose totale e della dose giornaliera è stata fatta in base al volume della neoplasia e del tessuto normale circostante incluso nel campo. Sono stati effettuati controlli clinici a 3 settimane dalla fine della radioterapia e successivamente ogni 3 mesi. A tutti i pazienti è stata consigliata una TC di controllo a distanza di 6 mesi dalla fine del trattamento. Risultati. 17 cani hanno risposto ai criteri di inclusione. L’età media del gruppo era di 8,5 anni (range 6-13). In base alle caratteristiche di imaging, in 8 casi è stata formulata una diagnosi presunta di meningioma. Le altre lesioni osservate erano compatibili con neoplasia di origine gliale (n=5), tumori ipofisari (n=3) e neoplasia dei plessi corioidei (n=1). Tutti i cani erano stati presentati con sintomatologia neurologica, che comprendeva: esclusivamente crisi convulsive (n=8), convulsioni associate ad altri sintomi neurologici (n=1), oppure sintomi neurologici in assenza di crisi convulsive (n=8). I sintomi neurologici più frequentemente osservati includevano: depressione del sensorio, atassia, deviazione della testa, maneggio, cecità. Tutti i cani che presentavano convulsioni erano trattati con farmaci anticonvulsivanti, inoltre in 9 casi prima della radioterapia è stato effettuato un trattamento con steroidi. In tutti i soggetti, si è osservato un rapido miglioramento della sintomatologia già durante la radioterapia, con progressiva risoluzione dei sintomi neurologici (nonostante la sospensione del trattamento steroideo) e/o riduzione della frequenza delle crisi convulsive. In 6 casi, 2/3 mesi dopo la fine della terapia, sono stati notati lievi effetti collaterali (classificabili come early delayed), transitori e responsivi ai corticosteroidi. In 5 soggetti è stata effettuata una TC di controllo a 6 mesi dalla fine della radioterapia, che ha dimostrato una riduzione del volume superiore al 50% rispetto al volume iniziale. Ad oggi, la mediana di follow up è di 287 giorni. 14 cani sono ancora vivi. 3 soggetti hanno presentato una recidiva della sintomatologia neurologica, pertanto sono stati soppressi. Statisticamente, il tempo di sopravvivenza medio è di 412 (SE 30 giorni). Conclusioni. Il protocollo da noi scelto abbina una elevata dose totale (45-50 Gy) ed un elevato numero di frazioni (20). L’esperienza in un gruppo di 17 cani trattati in questo modo, ha messo in evidenza che: 1. il protocollo è stato ben tollerato, con rapido miglioramento della sintomatologia clinica. 2. che, considerando il follow up a nostra disposizione, il tasso di sopravvivenza è simile a quello riportato in letteratura2,3 3. che nei casi in cui abbiamo avuto l’opportunità di effettuare una TC di controllo a 6 mesi dall’inizio della radioterapia, si è evidenziata una significativa riduzione di volume della lesione intracranica. Bibliografia 1. 2. 3.

Yoshikawa H, Mayer MN. External beam radiation therapy for canine intracranial meningioma. Can Vet J. 2009 Jan;50(1):97-100. Axlund TW, McGlasson ML, Smith AN. Surgery alone or in combination with radiation therapy for treatment of intracranial meningiomas in dogs: 31 cases (1989-2002). J Am Vet Med Assoc. 2002 Dec 1;221(11):1597-600. Bley CR, Sumova A, Roos M, Kaser-Hotz B. Irradiation of brain tumors in dogs with neurologic disease. J Vet Intern Med. 2005 Nov-Dec;19(6):849-54.

Indirizzo per corrispondenza: Dott.ssa Paola Laganga - Centro Oncologico Veterinario, Via S. Lorenzo 1/4, 40037 Sasso Marconi (BO), Italia Tel 0516751871 - E-mail laganga@centroncologicovet.it

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PIANO DI CONTROLLO DELLA LEISHMANIOSI CANINA IN EMILIA ROMAGNA Lombardini A.1, Natalini S.1, Santi A.2, Dell’Anna S.2, Renzi M.2, Calzolari M.2, Galletti G.2, Maioli G.2, Martini E.1, Tamba M.2 1 Regione Emilia-Romagna - Servizio Veterinario e Igiene degli Alimenti 2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna Tipologia: Ricerca Originale Area di interesse: Leishmaniosi Scopo del lavoro. In Emilia Romagna (ER) è attivo dal 2007 un Piano di controllo della Leishmaniosi canina (Lcan) finalizzato alla conoscenza della diffusione della malattia sul territorio regionale (distribuzione di flebotomi, cani infetti e casi umani). Nel corso del triennio 2007-2009 tutti i canili della regione sono stati censiti, georiferiti e suddivisi in 4 classi di rischio sulla base della presenza/assenza del vettore e di cani infetti1. Le attività di controllo e prevenzione di Lcan all’interno dei canili sono definite sulla base della classe di rischio assegnata. Il piano prevede anche misure di sorveglianza veterinaria attiva da svolgere in seguito alla segnalazione di casi umani e il coinvolgimento dei veterinari libero-professionisti (LP) nella segnalazione di nuovi casi di Lcan sui cani di proprietà. In questo lavoro si riportano i risultati delle attività nel periodo 2007-2010. Materiali e metodi. Nel corso del 2010 in tutti i canili sono state mantenute le attività previste dalle classi di rischio assegnate: sorveglianza passiva, monitoraggio nuove introduzioni, controllo di cani sentinella, terapia sui cani infetti, misure di profilassi e sorveglianza entomologica. Numerosi veterinari LP hanno collaborato al piano, prelevando campioni di sangue da cani di proprietà con sintomi compatibili con Lcan e segnalando alla AUSL competente i nuovi casi rilevati nel corso dell’attività ambulatoriale. In seguito a segnalazione di casi umani è stata effettuata la sorveglianza entomologica e, dove possibile, il prelievo sui cani di proprietà presenti nel raggio di 300 metri. I sieri prelevati dai cani sono stati esaminati mediante immunofluorescenza indiretta (IFI) con cut-off pari a 1:1602. Per i cani positivi sono state raccolte le informazioni anagrafiche e anamnestiche, utilizzando schede standardizzate. I cani con titolo pari a 1:40 o 1:80, considerati dubbi, sono stati ricontrollati dopo 6 mesi. Il monitoraggio entomologico nei canili si è svolto quindicinalmente da giugno a ottobre di ogni anno, mediante l’impiego di trappole adesive non attrattive (sticky traps), posizionate in stazioni fisse di campionamento3. Nelle vicinanze dei casi umani la ricerca del vettore è stata svolta con trappole attrattive (CDC). Risultati ottenuti. Nel periodo 2007-2010 la sorveglianza sierologica nei canili ha interessato complessivamente 79 strutture e 14.822 cani, di cui 329 sono risultati IFI positivi (prevalenza 2,22%, IC 95%: 1,99% – 2,47%). Dalle 263 schede anamnestiche raccolte è emerso che il 56% dei cani infetti non presenta sintomatologia clinica. La sorveglianza entomologica ha individuato la presenza di Ph. perniciosus e Ph. perfiliewi in 36 canili su 71 esaminati (50,7%). La sorveglianza attiva mediante cani sentinella ha evidenziato 14 sieroconversioni in 13 canili, 11 delle quali riconducibili alla stagione epidemica 2009. Nell’ambito della sorveglianza passiva su cani di proprietà, sono stati esaminati 144 cani sospetti, di cui 8 (5,5%) sono risultati positivi. I veterinari LP hanno complessivamente segnalato 42 nuovi casi, nel 62% delle segnalazioni i soggetti infetti presentavano sintomi riferibili a Lcan. In conseguenza della segnalazione di 12 casi umani, sono stati esaminati 73 cani di proprietà, nessuno dei quali è risultato positivo. In 4 casi delle province di BO, RE e FO è stata rilevata la presenza di Ph. perniciosus e Ph. perfiliewi. Conclusioni. Alla fine del 2010 è stato possibile calcolare la prevalenza di Lcan nei canili della regione ER. Le sieroconversioni hanno interessato le province di MO, BO, FE e RN, confermando la presenza dell’infezione in alcune delle zone già storicamente sede di focolai autoctoni di Lcan4. Il piano ha consentito l’aggiornamento delle mappe di rischio, che permettono la valutazione di misure adeguate per ridurre la diffusione della Lcan nella popolazione canina e possono fornire un supporto alla gestione e prevenzione dei casi umani. Il coinvolgimento dei veterinari LP ha permesso di individuare nuovi casi e di approfondire la conoscenza della reale diffusione della malattia sul territorio regionale. Le attività del piano sono state confermate per il triennio 2011-2014. Bibliografia 1. 2 3. 4.

Dell’Anna S, Renzi M, Calzolari M, Galletti G, Maioli G, Rugna G, Martini E, Tamba M, Sorveglianza della leishmaniosi nei canili dell’Emilia Romagna. Risultati preliminari 2007-2009. Atti II Congr. Int Leishmaniosi canina. Pisa 2010. Gradoni L, Gramiccia M, Khoury C, Maroli M, Linee guida per il controllo del serbatoio canino della Leishmaniosi viscerale zoonotica in Italia. Rapp.ISTISAN 04/12, 2004. Maroli M, Bigliocchi F, Khoury, I flebotomi in Italia: osservazioni sulla distribuzione e metodi di cattura. Parassitol. 1994;36:251-264. Capelli G, Baldelli R, Ferroglio E, Genchi C, Gradoni L, Gramiccia M, Maroli M, Mortarino M, Pietrobelli M, Rossi L, Ruggiero M, Monitoraggio della leishmaniosi canina in nord Italia: aggiornamenti da un network scientifico Parassitol. 2004;46:193-197.

Indirizzo per corrispondenza: Dott. Silvano Natalini - Regione Emilia-Romagna Servizio Veterinario e Igiene degli Alimenti Viale Aldo Moro 21, 40121 Bologna (BO), Italia Tel. 051/5277384 - Cell. 3474184282 - E-mail: SNatalini@regione.emilia-romagna.it

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ESPRESSIONE DELLA COX-2 NEL SARCOMA FELINO POSTVACCINALE G. E. Magi, BSc, PhD 1, S. Tappatà, BSc 2, G. Renzoni, BSc, PhD, Full Professor 1, G. Rossi, BSc, Assistant Professor 1 1 Scuola di Scienze Mediche Veterinarie Università di Camerino, Matelica, Italia 2 Ambultario Veterinario San Marone, Civitanova Marche, MC Tipologia: Ricerca Originale Area di interesse: Oncologia Scopo del lavoro. La COX-2 è un’isoforma inducibile dell’enzima cicloossigenasi (COX), che viene espressa in particolare nei tessuti infiammati e in quelli neoplastici. La COX catalizza la conversione dell’acido arachidonico in eicosanoidi, prostaglandine, trombossani e prostacicline. Queste sostanze producono effetti in molti processi fisiologici e patologici. L’isoforma COX2, a differenza della COX-1, non è espressa costitutivamente, ma può essere indotta da oncogeni, citochine, fattori di crescita ed ipossia1,2. In diversi tumori umani3 e in alcune neoplasie del cane e del gatto4-7 è stata dimostrata una sovraepressione di COX2. Vari studi genetici e clinici hanno dimostrato che l’up-regulation di COX-2 è uno dei fattori che regola la cancerogenesi1-3. Il presente studio ha voluto indagare l’espressione della COX-2 nel sarcoma postvaccinale del gatto. Materiali e metodi. Sono stati esaminati 31 casi di sarcoma postvaccinale, classificati secondo lo schema proposto da Couto et al. (2002) che prende in considerazione i seguenti criteri: differenziazione cellulare, attività mitotica e presenza di necrosi. Di questi, 7 sono stati classificati come grado I, 13 come grado II e 7 come grado III. L’espressione della COX-2 è stata analizzata attraverso esame immunoistochimico con tecnica ABC-perossidasi utilizzando un anticorpo policlonale (Santa Cruz, M-19). Per ogni campione preso in esame si è proceduto ad una valutazione semi-quantitativa della reazione, attraverso la percentuale di cellule positive, a cui è stato assegnato un punteggio (< 5% = 0; 5-25% = 1; 26-50% = 2; 51-75% = 3; > 75% = 4) e attraverso l’intensità della reazione colorimetrica, considerata come debole, moderata o forte e con punteggio rispettivamente di 12-3. Infine ad ogni caso è stato assegnato uno score, frutto del prodotto tra le due variabili. I punteggi da 1 a 4 sono stati considerati a bassa espressione di COX-2, da 5 a 7 ad espressione intermedia, uguale o maggiore di 8 ad alta espressione. La specificità della reazione dell’anticorpo usato è stata valutata attraverso l’utilizzo di un peptide bloccante l’anticorpo stesso. A tal fine le sezioni di controllo sono state messe ad incubare con l’anticorpo precedentemente incubato con il peptide bloccante corrispondente all’epitopo riconosciuto dall’anticorpo. Risultati. Trenta casi (97%) sono risultati immunopositivi a COX-2. L’anticorpo usato si è dimostrato, grazie all’impiego del peptide bloccante, altamente specifico. Lo score di espressione è variato da basso (12/30; 40%), a intermedio (9/30; 30%), ad alto (9/30; 30%). L’intensità della reazione è variata da moderata a forte e l’immunopositività è stata osservata principalmente a livello citoplasmatico con aspetto diffuso. Non sono state osservate correlazioni tra lo score di COX-2 e la gradazione istologica. Conclusioni. In questi ultimi anni diversi gruppi di ricerca hanno messo in relazione la presenza della COX-2 con la cancerogenesi. I risultati di questo studio dimostrano come la COX-2 sia espressa in quasi tutti i casi di sarcoma felino postvaccinale esaminati (30/31, 97%). L’alta percentuale di casi positivi osservata è sovrapponibile con quanto osservato precedentemente negli studi riguardanti i carcinomi mammari felini5,7. Per quanto riguarda eventuali correlazioni tra lo score di espressione e il grado istologico dei tumori qui studiati, non sembra, almeno in via preliminare, che ci sia un rapporto tra questi due elementi; nei casi con grading più alto difatti non è stata riscontrata una più alta espressione di COX-2. I risultati di questo studio suggeriscono che la COX-2 può svolgere un ruolo importante nello sviluppo del sarcoma felino postvaccinale, pertanto gli inibitori della COX-2 potrebbero risultare potenzialmente efficaci in chemioterapia. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.

Wang MT, Honn KV, Nie D. (2007) Cyclooxygenases, prostanoids, and tumor progression Cancer Metastasis Rev. 26:525-34. Greenhough A, Smartt HJ, Moore AE, Roberts HR, Williams AC, Paraskeva C, Kaidi A. (2009). The COX-2/PGE2 pathway: key roles in the hallmarks of cancer and adaptation to the tumour microenvironment. Carcinogenesis. 30: 377-86. Singh-Ranger G, Salhab M, Mokbel K. (2008) The role of cyclooxygenase-2 in breast cancer: review. Breast Cancer Res Treat. 109: 189-98. Mohammed SI, Khan KN, Sellers RS, Hayek MG, DeNicola DB, Wu L, Bonney PL, Knapp DW. (2004) Expression of cyclooxygenase-1 and 2 in naturally-occurring canine cancer. Prostaglandins Leukot Essent Fatty Acids. 70: 479-83. Millanta F, Citi S, Della Santa D, Porciani M, PoliA. (2006) COX-2 expression in canine and feline invasive mammary carcinomas: correlation with clinicopathological features and prognostic molecular markers. Breast Cancer Res Treat 98: 115–120. DiBernardi L, Doré M, Davis JA, Owens JG, Mohammed SI, Guptill CF, Knapp DW. (2007) Study of feline oral squamos cell carcinoma: potential target for cyclooxygenase inhibitor treatment. Prostaglandins Leukot Essent Fatty Acids. 76: 245-50. Sayasith K, Sirois J, Doré M. (2009) Molecular charcaterization of felina COX-2 and expression in feline mammary carcinomas. Vet Pathol. 46: 423-9. Couto SS, Griffey, M, Duarte PC, Madewell BR (2002). Feline vaccine-associated fibrosarcoma: morphological distinctions. Vet Pathol. 39: 33-41.

Indirizzo per corrispondenza: Dott. Magi Gian Enrico, Via Elpidiense Sud 34, 63014 Montegranaro (FM), Italia Cell 339/4335637 - E-mail g_enricovet@hotmail.com

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TRASMISSIONE VERTICALE DI LEISHMANIA INFANTUM IN UNA CUCCIOLATA F. Ibba, Medico Veterinario 1, P. Manca, Biologo 1 1 Libero Professionista, Capoterra, Italia Tipologia: Caso Clinico Area di interesse: Leishmaniosi Introduzione. Leishmania infantum, agente causale della leishmaniosi canina, è un protozoo trasmesso da insetti vettori appartenenti al genere Phlebotomus. La trasmissione verticale di questo patogeno è stata spesso ipotizzata ma solo nel 2009 è stato confermato l’avvenuto passaggio materno fetale in una cucciolata. Si trattava però di soggetti nati morti in seguito ad una gravidanza portata a termine. Il caso in oggetto rappresenta invece, per i dati in nostro possesso, del primo caso dimostrato di trasmissione verticale non perinatale. Descrizione del caso Bora è un cane di razza setter, femmina intera, di 3 anni, nella quale viene diagnosticata una infezione da Leishmania infantum, secondo i criteri stabiliti dal GSLC, grazie alla presenza di sintomi clinici e alterazioni clinicopatologiche compatibili con leishmaniosi ed evidenziazione citologica di amastigoti in sede linfonodale. Il cane viene sottoposto a terapia leishmanicida con sali d’antimonio e allopurinolo per trenta giorni, e una volta ottenuta una remissione sintomatologica e laboratoristica completa viene mantenuto in terapia continuativa con il solo allopurinolo. A distanza di 6 mesi dalla diagnosi la cagna si accoppia e si instaura una gravidanza che viene interrotta mediante ovarioisterectomia. L’intervento chirurgico, suggerito dal veterinario curante ed accettato dal proprietario, viena eseguita alla data supposta del 35° giorno di gestazione. Al momento della chirurgia, condotta secondo tecniche standard, l’utero viene asportato integro. Solo in un secondo momento, a intervento concluso, viene dissezionato con strumentario sterile al fine di estrarre intatti i cuccioli non vitali. A questo punto, sempre in maniera da evitare qualsiasi tipo di contaminazione, viene campionata la milza intera da ciascuno dei quattro cuccioli. Alla madre viene contestualmente eseguito un aspirato midollare. I prelievi delle quattro milze campionate e del midollo appartenente alla madre vengono sottoposti a PCR Real Time per la ricerca di Leishmania infantum dal laboratorio di biologia molecolare mediante amplificazione e quantificazione con metodica identica per tutti i campioni usando uno strumento Lightcycler system della Roche. Il campione di midollo appartenente alla madre risultò contenere dieci alla terza copie di DNA PCR di Leishmania per microlitro di estratto, ed anche i campioni di milza di tre cuccioli su quattro risultarono positivi, uno con un titolo di 10 alla terza e altri due con un titolo di 10 alla seconda DNA PCR di Leishmania sempre per microlitro di estratto. Conclusioni. In questo particolare caso è possibile affermare che la via di trasmissione verticale della leishmaniosi canina è un evento possibile, anche se rimane da chiarire il peso epidemiologico del fenomeno e la meccanica attraverso cui ciò sia possibile. Nel caso oggetto di questa comunicazione possiamo concludere che l’infezione del prodotto del concepimento sia avvenuta ben prima del parto (prima del trentacinquesimo giorno di gestazione) e che quindi sono da escludere la contaminazione legata a traumi e scambi di materiale subìti durante il travaglio. Non è altresì possibile stabilire se l’infezione dei cuccioli, una volta portata a termine la gravidanza, debba necessariamente esitare in malattia conclamata oppure possa andare incontro a guarigione spontanea. A questo riguardo va fatto notare, inoltre, come la quantità di leishmanie conteggiata raggiunga solo in un cucciolo il titolo di 10 alla terza copie di DNA PCR di leishmania per microlitro di estratto come nella madre. Bisogna comunque tenere presente che nel caso della madre si tratta di midollo emopoietico e non di milza, per cui i due valori possono non essere confrontabili. Ulteriori studi andranno eseguiti su più ampia scala sia per determinare l’incidenza della trasmissione verticale di leishmania e la sua importanza epidemiologica, sia per identificare i motivi della differente carica parassitaria ritrovata nei cuccioli. Bibliografia First report of vertical transmission of Leishmania (Leishmania) infantum in a naturally infected bitch from Brazil. Da Silva SM, Ribeiro VM, Ribeiro RR, Tafuri WL, Melo MN, Michalick MS. Vet Parasitol. 2009 Dec 3;166(1- 2):159-62. Epub 2009 Aug 15. Disseminated Leishmania infantum infection in two sibling foxhounds due to possible vertical transmission. Gibson-Corley KN, Hostetter JM, Hostetter SJ, Mullin K, Ramer-Tait AE, Boggiatto PM, Petersen CA. Can Vet J. 2008 Oct;49(10):1005-8.

Indirizzo per corrispondenza: Dott. Fabrizio Ibba - Ambulatorio Veterinario Dr. Ibba Fabrizio Strada 40 N. 5 Località Poggio Dei Pini, 09012 Capoterra (CA), Italia Tel. 070/725552 - Cell. 3339116263 - E-mail: palmasoriano@tiscali.it

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RICOSTRUZIONE PREPUZIALE PER GRAVI PERDITE DI SOSTANZA: 3 CASI F. Massari, DMV 1,2, G. Romanelli, DMV, Dipl ECVS 1,2 1 Libero professionista, Nerviano (MI), ITALIA 2 Clinica Veterinaria Nerviano, Nerviano (MI), ITALIA Tipologia: Ricerca Originale Area di interesse: Chirurgia Scopo del lavoro. La ricostruzione del prepuzio, dopo exeresi di neoplasie maligne, è raramente riportata. Ad oggi l’indicazione terapeutica adeguata risulta essere l’amputazione peniena, come unica tecnica che permetta di ottenere buoni risultati dal punto di vista funzionale e oncologico.3,4 Un lavoro del 1990 riportava la ricostruzione del prepuzio seguendo più step a seguito di una lesione traumatica.1 Lo scopo del nostro lavoro è quello di valutare l’efficacia e la funzionalità di un patch di mucosa orale e di un lembo assiale epigastrico caudale per la ricostruzione del prepuzio dopo exeresi ad ampi margini di neoplasie maligne. Materiali e metodi. Cani maschi di razza e taglia diversa con neoplasie maligne a carico del prepuzio (n=3) Tutti i pazienti sono stati anestetizzati e preparati asetticamente a livello prepuziale, addominale e in cavità orale. Posti in decubito dorsale si è proceduto all’exeresi neoplastica mantenendo 3 cm lateralmente ed un piano fasciale sottostante, asportando percentuali diverse di prepuzio. Successivamente, dopo aver cambiato la strumentazione chirurgica, è stato preparato il lembo dell’arteria epigastrica caudale comprendendo le ultime due mammelle. Se la neoformazione asportata era localizzata su un lato del prepuzio si è proceduto a isolare il lembo in sede controlaterale per non danneggiarne la vascolarizzazione. Si è quindi prelevato un lembo di mucosa labiale di dimensioni sufficienti per rivestire il pene. Le piccole emorragie dalla sede di prelievo sono state controllate con elettrobisturi, senza suturare i margini di escissione. La mucosa orale prelevata è stata ripiegata a 360° attorno al pene e suturata alla porzione prepuziale rimasta con del polidiossanone 4-0. Accertatisi che l’apertura fosse sufficientemente ampia è stato ruotato e suturato il lembo epigastrico, previa applicazione di un drenaggio in aspirazione attiva. Nel primo postoperatorio sono stati valutati il fastidio nell’urinare e nell’alimentarsi. I pazienti sono stati ricontrollati a 10 giorni per la rimozione dei punti esterni e alla ricrescita del pelo. Sono stati analizzati i margini chirurgici delle neoformazioni asportate e valutata la eventuale recidiva locale. Risultati. Tre pazienti sono rientrati nei criteri di scelta: 1 Yorkshire castrato di 7 anni, un Chow Chow di 4 e 1 Golden Retriever di 5, entrambi interi. La neoformazione prepuziale è stata in 2 casi un mastocitoma G2 (recidivante nello Yorkie) e un fibrosarcoma G1 in seconda recidiva (Chow Chow). La neoformazione era leggermente spostata sulla destra nel Golden, sulla sinistra nel Chow Chow e sull’ostio prepuziale nello Yorkie, rispettivamente di 31, 20 e 26 mm di diametro maggiore. Il lembo epigastrico caudale preparato è stato in 2 casi sinistro (Golden e Chow Chow) ed in 1 destro (Yorkie). La mucosa orale è stata prelevata in tutti i casi dal labbro superiore destro. L’angolo di rotazione per i 3 lembi epigastrici è stato di 90° verso sinistra per lo Yorkie, 60° e 80° verso destra per il Chow Chow ed il Golden. Lo Yorkie nel postoperatorio ha manifestato un leggero fastidio nell’urinare, risoltosi con il posizionamento di un catetere di Foley per 2 giorni. Nessun fastidio è stato riportato nei restanti pazienti. Tutti i cani sono stati dimessi in terza giornata, alla rimozione del drenaggio. A 10 giorni i lembi risultavano perfettamente adesi, senza segni di necrosi. La funzionalità urinaria era in tutti i cani soddisfacente. A 3 mesi nel Chow Chow è stato segnalato un leggero rialzamento del labbro dal quale era stata prelevata la mucosa ed una ricrescita del pelo all’interno del prepuzio senza che questo provocasse reale fastidio. Nel Golden si è dovuto intervenire 3 mesi dopo per allargare l’ostio prepuziale a causa di una leggera stenosi. I margini istologici sono tutti risultati indenni e i pazienti, ad oggi, in ottime condizioni generali senza segni di recidiva locale 50, 305 e 1640 giorni dopo la chirurgia rispettivamente per lo Yorkie, il Chow Chow ed il Golden. Conclusioni. La ricostruzione del prepuzio in seguito a grosse perdite di sostanza è complicata.1 La sola segnalazione a conoscenza degli autori riporta l’utilizzo di mucosa orale per la copertura di un difetto post traumatico e una gestione chirurgica lunga nel tempo.1 A differenza del caso clinico pubblicato, l’utilizzo associato del lembo epigastrico ha permesso una guarigione rapida e senza segni di necrosi tissutale. In medicina umana è dimostrato come anche in caso di neoplasia maligna sia meglio conservare l’anatomia prepuziale per un buon funzionamento dell’apparato urinario senza dover ricorrere all’amputazione peniena.2 Nonostante il numero ridotto di pazienti trattati, la tecnica è stata applicata a soggetti di diversa conformazione per valutarne la versatilità, risultando essere una buona alternativa alla amputazione peniena in caso di neoplasia maligna prepuziale. Bibliografia 1. 2. 3. 4.

Smith MM, Gourley IM Preputial reconstruction in a dog J Am Vet Med Assoc 1990 May 1;196(9):1493-6. Haseebuddin M, Brandes SB The prepuce: preservation and reconstruction Curr Opin Urol 2008 Nov;18(6):575-82. Slatter DH Textbook of Small Animal Surgery 3rd ed. Saunders p.1540 Fossum TW Small Animal Surgery 3rd ed. Elsevier p.774

Indirizzo per corrispondenza: Dott. Federico Massari - Clinica Veterinaria Nerviano, Via Lampugnani 3, 20014 Nerviano (MI), Italia Cell. 339/4848578 - E-mail: fidomas@hotmail.com

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OVARIECTOMIA LAPAROSCOPICA: 34 CASI S. Mastromattei, DMV Clinica Veterinaria Roma Sud, Roma, Italia Tipologia: Ricerca Originale Area di interesse: Chirurgia Scopo del lavoro. La sterilizzazione è una chirurgia frequente nelle cagne. Tradizionalmente l’ovarioisterectomia (OVH) viene eseguita mediante una celiotomia mediana, e le complicanze relative sono state descritte.1 Nel 1985 è stata introdotta l’ovariectomia (OVE), l’ovarioisterectomia laparoscopica e video-assistita nel cane. Questa procedura si sta diffondendo molto velocemente ed è ampiamente accettata per i vantaggi che presenta.2 Il nostro studio è basato sull’utilizzo della tecnica laparoscopica nell’ovariectomia delle pazienti, mettendo a confronto vantaggi e svantaggi. Materiali e metodi. Nel periodo compreso, da Maggio 2009 a Gennaio 2011, sono state ovariectomizzate in laparoscopia (LP) 34 soggetti di diversa età, razza e peso corporeo, sono stati esclusi pazienti con elevato rischio anestesiologico e che richiedevano ovarioisterectomia. La tecnica LP utilizzata nello studio è stata duplice: in 10 soggetti (GR 1) sono state create due porte d’ingresso per i trocar, in 14 soggetti (GR 2) tre porte. In tutti i soggetti la prima incisione è stata eseguita 1-2 cm craniale all’ombelico, sul margine del muscolo retto dell’addome;3 per via smussa è stata esposta la linea alba ed è stata eseguita un’incisone di circa 1 cm /0.5 cm con bisturi lama n 11. Successivamente è stato introdotto il trocar, collegato con l’insufflatore per l’introduzione di Co2 nella cavità addominale. Dopo aver indotto pneumoperitoneo, nel GR 1 è stata eseguita una sola incisione 3-4 cm caudalmente all’ombelico, l’ovaio è stato immobilizzato sulla parete addominale lateralmente; nel GR 2 è stata fatta una terza incisione 6-7 cm caudalmente all’ombelico per l’introduzione della pinza da presa. In entrambi i casi l’ovaio è stato rimosso previa cauterizzazione e taglio con forbici metzenbaum.3-4 Risultati. In tutte le pazienti abbiamo eseguito solo ovariectomia in LP. Le difficoltà operatorie associate all’elevata quantità di grasso della borsa ovarica sono state riscontrate in cagne superiori ai due anni. La curva di apprendimento ha influenzato la durata dell’intervento: nei primi casi il tempo chirurgico è variato tra 35-45 minuti per ridursi a 15 -20 minuti nei successivi. In 4 cani è stata lesionata la milza durante l’introduzione del primo trocar, complicanza comunque irrisoria. Tutte le pazienti sono state dimesse mediamente un’ora e mezzo dopo la chirurgia. Conclusioni. La scelta di eseguire OVE o OVH è un argomento molto contrastato in medicina veterinaria. Uno studio che confronta l’OVE e l’OVH, nelle complicanze chirurgiche a breve termine (emorragia intraddominale, sanguinamento della vagina, legatura degli ureteri, sindrome del residuo ovarico e granuloma del moncone) e a lungo termine (endometriti e piometra, formazione di tumori uterini, incontinenza dello sfintere uretrale e aumento di peso) dimostra che non sono dissimili i due trattamenti; per questo l’OVE è la procedura di scelta in pazienti senza patologie preesistenti.5 In LP questa procedura viene eseguita in tempi brevi e con dolore post operatorio ridotto rispetto ad una celotomia, inoltre è un metodo sicuro soprattutto nei piccoli cani per un minor impatto chirurgico.6 In medicina umana l’isterectomia viene abitualmente eseguita in LP, ed è dimostrato che ci sono minime complicanze intraoperatorie, minor sanguinamento e minor dolore post chirugico.7 Tra gli svantaggi riportiamo: il costo dell’apparecchiatura e la curva di apprendimento. In relazione a quest’ultima è stato dimostrato che dopo la decima chirurgia si ha una maggior manualità, con una curva di apprendimento comunque ripida.6 Tra le complicanze riportiamo: l’enfisema subcutaneo, l’emorragia del peduncolo, la lacerazione d’organo e la lesionare della milza con l’introduzione del 1° trocar.6-7 La triangolazione usata in LP, per eseguire gastropessi, cistopessi e rimozione dei calcoli, può essere sostituita durante OVE con l’ancoraggio dell’ovaio alla parete dell’addome che previene inavvertiti movimenti durante la cauterizzazione.4-8 Premesso che il tempo chirurgico varia in base all’esperienza del chirurgo e alla qualità dello strumentario, e considerando vantaggi e svantaggi descritti sopra, l’OVE in LP è la tecnica d’elezione per la sterilizzazione delle cagne di tutte le età e razze. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.

Mayew P, Cimino Brown D: Comparison of Three Techniques for Ovarian Pedicle Hemostasis During Laparoscopic-Assisted Ovariohysterectomy; Vet Sur 36:541-547, 2007. Wildt DE, Lawler DF: Laparoscopic sterilization of the bitch and queen by uterine horn occlusion; Am J Vet Res 46:864-869, 1985. Timotthy C, McCarthy: Veterinary Endoscopy for the Small Animal Practitioner; Ed 2005 p 378-379. Lhermette P, Sobel D: BSAVA Manual of Canine and Feline Endoscopy and Endoscurgery; Ed 2008 p 169-170. Van Goethem B, Schaefers-Okkens A, Kirpensteijn J; Making a Rational Choice Between Ovariectomy and Ovariohysterectomy in the Dog: A Discussion of Benefits of Either Technique; Vet Surg 35:136-143, 2006. Culp W T, Mayehen P, Brown D:The Effect of Laparoscopy Versus Open Ovariectomy on Postsurgical Activity in Small Dogs; Vet Surg 38:811-817, 2009. Davidson E. B., Moll H.D., Payton M. E.: Comparison of Laparoscopic Ovariectomy and Ovariohisterectomy in Dogs; Vet Surg 33:62-69, 2004. Duprè G., Fioribianco V., Skalicky M., Gultiken N., Serhat S., Findik M.: Laparoscopic Ovariectomy in Dogs:Comparison Between Single Portal and Two-portal Access; Vet Surg 38:818-824, 2009.

Indirizzo per corrispondenza: Dott.ssa Silvia Mastromattei, Via Di Sale’, 34 - Int.11, 00044 Frascati (RM), Italia Cell. 347/3077162 - E-mail: silvia.mastromattei@libero.it

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APPLICAZIONE DEL PIANO REGIONALE DI CONTROLLO DELLA LEISHMANIOSI CANINA NEL TERRITORIO DELL’ASL DI BOLOGNA-ANNO 2010 F. Matteucci, DVM 1, B. Spaggiari, DVM 1, A. Marliani, DVM 1, O. Melloni, DVM 1, S. Natalini, DVM 2 1 Azienda Unità Sanitaria Locale, Area di Sanità Pubblica Veterinaria, Bologna, Italia 2 Regione Emilia Romagna, Servizio Veterinario e Igiene degli Alimenti, Bologna, Italia Tipologia: Ricerca Originale Area di interesse: Leishmaniosi Scopo del lavoro. Scopo del lavoro è presentare i risultati dell’applicazione del Piano Regionale di controllo della leishmaniosi canina per il 2010 sul territorio dell’ASL di Bologna (ASL BO). Materiali e metodi. Nel 2010 il Piano Regionale, che già prevedeva azioni di sorveglianza e controllo nelle strutture di ricovero per cani, è stato ampliato con la sorveglianza passiva sui cani di proprietà e attiva in seguito alla segnalazione di casi umani1. Nel territorio dell’ASL BO i Servizi Veterinari hanno attuato la sorveglianza mediante indagini sierologiche, entomologiche, collaborazione col Servizio di Igiene Pubblica e stimolando il coinvolgimento dei veterinari LP. La sorveglianza sierologica è stata effettuata mediante raccolta di dati anagrafici ed anamnestici (modulistica allegata al Piano), prelievo di sangue e test di immunofluorescenza indiretta. Sono stati considerati positivi titoli = 1:1602 e dubbi = 1:40/1:80 (ricontrollati dopo 6 mesi). Nei canili, già inseriti in una delle 4 classi di rischio in base alle attività del triennio precedente, è stato testato un numero prestabilito di cani sentinella nel periodo febbraio-maggio, oltre a tutti i soggetti in ingresso. Il monitoraggio entomologico è stato eseguito mediante l’utilizzo di trappole adesive (sticky traps) nei canili in classe 4 e trappole attrattive CDC nelle zone di sorveglianza in seguito a caso umano3. Risultati. CANILI: Dei 13 canili esistenti nel territorio della ASL BO, 8 sono in classe 1, (presenza di cani sieropositivi e del vettore). In tali strutture vengono sistematicamente testati i cani in ingresso e le sentinelle. I rimanenti 4 canili sono in classe 4 (assenza di sieropositivi e del vettore). In tutti e 13 i canili vengono comunque applicate misure antivettoriali ai soggetti ospitati, come misura preventiva trattandosi di zone endemiche. Su un totale di circa 1100 cani presenti, nel corso del 2010 sono stati diagnosticati 22 casi di positività e 40 casi dubbi. Tutti i cani positivi sono sottoposti a trattamento farmacologico secondo un protocollo terapeutico deciso dal sanitario del canile. I cani positivi o dubbi possono andare in adozione previa sottoscrizione di consenso informato che garantisca l’impegno del proprietario per i necessari adempimenti. CANI DI PROPRIETÀ: Il coinvolgimento dei veterinari LP ha portato nel 2010 ad un incremento delle segnalazioni di casi di leishmaniosi in cani di proprietà principalmente nei territori di Bologna Sud (collina e montagna) e Città. In 11 comuni delle zone collinari sono stati testati complessivamente 156 cani di proprietà (di cui 33 a seguito di segnalazione di caso umano) su una popolazione canina stimata di circa 17000 individui, evidenziando un totale di 6 positivi e 9 dubbi. Nel comune di Bologna sono state effettuate 4 segnalazioni di cani positivi. Ai proprietari dei cani positivi sono state impartite prescrizioni relative al trattamento farmacologico sotto controllo del veterinario LP di fiducia, all’utilizzo di misure antivettoriali ed al ricovero notturno del cane durante il periodo di attività del vettore. CASI UMANI: Nel 2010 sono stati segnalati 5 casi di leishmaniosi viscerale, 3 nel distretto Bologna Sud e 2 nel distretto Bologna Città. Per tre di questi è probabile un’origine non autoctona. In un caso l’indagine entomologica ha rivelato la presenza del vettore (Ph. perfiliewi) nelle zone limitrofe al focolaio, mentre nessuno dei 43 cani finora testati nelle zone di sorveglianza è risultato positivo o dubbio. Per due casi le indagini sono ancora in corso. Conclusioni. Per quanto riguarda i CANILI la situazione appare favorevole: nel 2010 anche i focolai autoctoni evidenziati nel triennio precedente appaiono non più attivi. Le misure antivettoriali individuali, il monitoraggio dei nuovi ingressi e la terapia dei soggetti positivi garantiscono il mantenimento del controllo dell’infezione. Le segnalazioni di casi nei CANI DI PROPRIETÀ sono avvenute principalmente in territori storicamente sensibili al problema. La possibilità di richiedere analisi di conferma gratuite per il proprietario del cane, il ruolo fondamentale nella gestione del cane positivo in seguito alle raccomandazioni prescritte dai Servizi Veterinari, in assenza di provvedimenti coattivi nei confronti del proprietario, ed il contributo diretto all’aggiornamento costante delle mappe di rischio sono importanti elementi per il coinvolgimento dei veterinari LP. Implementare tale partecipazione anche negli altri territori mediante attività di formazione in collaborazione con l’Ordine è tra gli obiettivi del 2011, unitamente a campagne d’informazione rivolte ai cittadini e finalizzate ad una corretta conoscenza delle problematiche connesse alla leishmaniosi. Per quanto riguarda le azioni intraprese a seguito di CASI UMANI, occorre preventivamente valutare la situazione epidemiologica ovvero il livello di rischio del territorio, nonché sensibilizzare la cittadinanza per ottenere collaborazione nelle indagini sierologiche. Bibliografia 1. 2. 3.

Dell’Anna S, Renzi M, Calzolari M, Galletti G, Maioli G, Rugna G, Martini E, Tamba M. Sorveglianza della leishmaniosi nei canili dell’Emilia Romagna. Risultati preliminari 2007-2009. Atti II Congr. Int. Leishmaniosi canina. Pisa 2010. Gradoni L, Gramiccia M, Khoury C, Maroli M. Linee guida per il controllo del serbatoio canino della Leishmaniosi viscerale zoonotica in Italia. Rapp.ISTISAN 04/12, 2004. Maroli M, Bigliocchi F, Khoury C. I flebotomi in Italia: osservazioni sulla distribuzione e metodi di cattura. Parassitol. 1994;36:251-264.

Indirizzo per corrispondenza: Dott.ssa Francesca Matteucci - ASL Bologna, Via G.Di Vittorio 16, 40038 Vergato (BO), Italia Tel. 0516740132 - E-mail: fr.matteucci@ausl.bologna.it

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DUE CASI DI NEVO EPIDERMICO VERRUCOSO INFIAMMATORIO LINEARE NEL CANE M. Monaco, Med Vet 1, C. Brachelente, Med Vet, Dipl ECVP, PhD 2, A. Fondati, Med Vet, Dipl ECVD, PhD 3, L. Mechelli, Med Vet 2 1 Libero professionista, Roma, Italia 2 Sezione di Patologia e Igiene delle Produzioni Animali e Alimentari, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Perugia, Perugia, Italia 3 Libero professionista, Padova e Roma, Italia Tipologia: Caso Clinico Area di interesse: Dermatologia Introduzione. Il nevo epidermico verrucoso infiammatorio lineare (ILVEN) è un difetto congenito della corneogenesi caratterizzato, sia in medicina veterinaria che umana, dalla presenza di lesioni lineari, singole o multiple, eritematose, desquamative e crostose accompagnate da prurito e frequentemente distribuite lungo le linee di Blaschko. Nel cane ne sono stati descritti finora 4 casi. Descrizione del caso. Lesioni lineari desquamative e crostose con alopecia, eritema, iperpigmentazione ed erosioni sono state osservate in un cane meticcio femmina di 3 mesi di età (caso 1) ed in un Labrador retriever maschio di 3 anni di età (caso 2). Gran parte di queste lesioni erano distribuite lungo le linee di Blaschko. Nel caso 1 le lesioni cutanee erano multiple, accompagnate da prurito, e comparse a 3 settimane di età mentre nel caso 2 si osservava una unica lesione lineare comparsa circa 3 mesi prima della visita. Le lesioni nel caso 1 erano localizzate su parte dorsale della testa, collo e torace ventrale, ascella sinistra, arti posteriori e anteriori e cuscinetti plantari anteriori. Nel caso 2 la lesione era localizzata sull’ascella destra. L’esame con lampada di Wood, i raschiati cutanei, gli esami microscopici del pelo e gli esami colturali per dermatofiti hanno dato esito negativo in entrambi i casi. Gli esami citologici cutanei hanno evidenziato neutrofili con cocchi intracellulari e rari macrofagi nel caso 1 e materiale ematico e neutrofili nel caso 2. Nel caso 2 sono stati eseguiti esami ematologici ed elettroforesi delle proteine sieriche, entrambi risultati nella norma, ed il titolo anticorpale anti-Leishmania specifico (IFAT) è risultato negativo. Entrambi i cani sono stati sottoposti a terapia antibiotica, sistemica nel caso 1 e topica nel caso 2, con risposta moderata. Sono state quindi eseguite biopsie cutanee. L’esame istopatologico delle biopsie cutanee ha mostrato in entrambi i casi grave iperplasia dell’epidermide con melanosi, intensa ipergranulosi e marcata ipercheratosi orto- e paracheratosica. Era presente inoltre vacuolizzazione citoplasmatica dei cheratinociti in tutto lo spessore dell’epidermide. Nel derma superficiale e medio (periannessiale) si osservava un infiltrato da perivasale ad interstiziale costituito da neutrofili, linfociti, plasmacellule, e da un numero inferiore di istiociti e mastociti. Nelle sezioni provenienti dalle biopsie del caso 1 erano presenti inoltre marcata ipercheratosi orto- e paracheratosica follicolare con follicolite luminale neutrofilica. Le lesioni cliniche e istopatologiche sono state considerate suggestive di ILVEN. La ricerca di Papillomavirus mediante tecniche immunoistochimiche, utilizzando un anticorpo policlonale di coniglio nei confronti del Papillomavirus bovino tipo 1 (BPV-1) è risultata negativa. Nel caso 1 è stata somministrata vitamina A alla dose di 500 UI/kg per via orale ogni 24 ore per 1 mese con lieve miglioramento. Non si conosce il decorso del caso 2. Conclusioni. Le caratteristiche cliniche ed istologiche osservate in questi casi sono sovrapponibili a quanto riportato nei casi di ILVEN precedentemente descritti nel cane. Tuttavia, l’intensa desquamazione e la marcata ipercheratosi orto- e paracheratosica follicolare osservate nel caso 1 potrebbero ricordare la paracheratosi follicolare congenita. D’altra parte, la presenza di lesioni nei cuscinetti plantari, sprovvisti di follicoli piliferi, e l’assenza di vacuolizzazione citoplasmatica nei cheratinociti dello strato corneo, rendono la diagnosi di paracheratosi follicolare meno probabile. A nostra conoscenza, la ricerca di Papillomavirus non era stata finora riportata nell’ILVEN del cane. In questi casi è stato eseguito un esame immunoistochimico per ricerca del virus, in quanto l’aspetto clinico ed istologico dell’ILVEN è simile a quello di alcune lesioni cutanee indotte da Papillomavirus nel cane. L’utilizzo di un anticorpo anti-Papillomavirus bovino è stato possibile poiché è stato dimostrato che questo anticorpo è in grado di dare reazione crociata con i Papillomavirus causa di lesioni cutanee nel cane. Il risultato negativo dell’esame non consente di escluderne la presenza, dato che la sensibilità delle tecniche immunoistochimiche è inferiore a quella riportata per le tecniche biomolecolari, non applicate in questi 2 casi. Bibliografia Gross TL, Ihrke PJ, Affolter VK: Skin diseases of the dog and the cat. Clinical and Histopathologic diagnosis. Oxford, Blackwell Science Ltd, 2005. Lewis DT, Messinger LM, Ginn PE and Ford MJ. A hereditary disorder of cornification and multiple congenital defects in five Rottweiler dogs. Veterinary Dermatology 9 (1): 61-72, 1998. White SD, Rosychuk RAD, Scott KV, Hargis AM and Trettien A. Inflammatory Linear Verrucous Epidermal Nevus in four dog. Veterinary Dermatology 3 (3): 107-114, 1993.

Indirizzo per corrispondenza: Dott.ssa Moira Monaco, Via Cervia 60, 00054 Fregene (RM), Italia Cell. 334/3475853 - E-mail: moiramonaco@tiscali.it

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UTILIZZO DI PALMITOILETANOLAMIDE MICRONIZZATA IN UN CASO DI GASTROENTEROCOLITE EOSINOFILICA FELINA G. Pengo, DVM, LP 1, A. Miolo, DM 2 Clinica Veterinaria Sant’Antonio, Madignano (Cremona), Italy 2 Centro di Documentazione e Informazione Scientifica (CeDIS) Innovet, Saccolongo (Padova), Italy 1

Tipologia: Caso Clinico Area di interesse: Gastroenterologia Introduzione. La gastroenterocolite eosinofilica del gatto è una forma di malattia infiammatoria gastrointestinale (IBD, Inflammatory Bowel Disease), causa di vomito, diarrea, anoressia e perdita di peso1,2. Sebbene l’eziopatogenesi non sia stata chiarita, si considera che l’IBD dipenda da più fattori, tra cui la perdita della tolleranza ad antigeni ambientali (cibo e flora batterica commensale), l’attivazione del sistema immunitario locale e le alterazioni della barriera epiteliale intestinale3. I più recenti criteri diagnostici per la IBD sono: (a) la presenza di sintomi gastroenterici (es. diarrea) da più di 3 settimane, con esclusione di altre possibili cause di flogosi; (b) la parziale o mancata risposta a terapie sintomatiche e/o dietetiche; (c) il tipo di infiltrato infiammatorio, in base al quale si identifica la forma specifica di flogosi4. Il trattamento si basa su terapie dietetiche ad eliminazione, piuttosto che sull’impiego di immunosoppressori (cortisonici), chemioterapici (clorambucile), antimicrobici (metronidazolo) e complementi come probiotici, prebiotici ed acidi grassi5. Descrizione del caso. Balley è un gatto di razza Sphynx, maschio castrato, di 2 anni di età e 4 kg di peso, condotto a visita per una diarrea cronica insorta 3 mesi prima. L’animale non aveva dimostrato alcun miglioramento né con il cambio della dieta, né in seguito a somministrazione di antiparassitari e probiotici. La terapia a base di spiramicina/metronidazolo (Stomorgyl® 2, Merial, 1 mg/kg/bid per 15 giorni) e la somministrazione di metilprednisolone (Medrol Vet®, Pfizer, 0,8 mg/kg/sid per 10 giorni) non avevano portato a remissione sintomatologica. Alla visita clinica, l’esame fisico generale è normale, a parte un leggero calo di peso (400 gr) non accompagnato, però, da perdita dell’appetito. Il profilo ematobiochimico e l’esame di urine e feci risultano nella norma. Il proprietario riferisce una diarrea di frequenza media giornaliera pari a 4 evacuazioni, con feci di consistenza molto soffice e frammiste a muco e sangue. I sintomi corrispondono al punteggio 2 della scala di valutazione dell’enteropatia cronica nel gatto FCEAI (Feline Chronic Enteropathy Activity Index)6. Viene eseguita indagine endoscopica e prelievo di biopsie a tutto spessore lungo tutto il tratto digerente. L’istologia consente di formulare diagnosi di gastroenterocolite cronica diffusa a componente infiammatoria mista e presenza di cellule eosinofiliche. Vista la refrattarietà ai precedenti trattamenti, si propone al proprietario la somministrazione orale di Palmitoiletanolamide (PEA) micronizzata (Redonyl®efacap, Innovet) al dosaggio di 25 mg/kg/die per 30 giorni. Già dopo 7 giorni, le feci riacquistano frequenza e consistenza normali (punteggio 0 della scala FCEAI), e si mantengono tali anche dopo 30 giorni dall’inizio del trattamento con PEA. Conclusioni. PEA è un acil-lipide endogeno, appartenente alla famiglia delle aliamidi, prodotto in risposta a danni tissutali con finalità protettive7. L’impiego di PEA nei piccoli animali è noto da tempo per gli effetti antinfiammatori ed antalgici7. In Gastroenterologia è stato recentemente dimostrato che PEA aumenta marcatamente in svariate condizioni infiammatorie croniche sia nell’uomo (es. colite ulcerosa)8 che in modelli sperimentali9,10. I livelli di PEA risultano inoltre ridotti in concomitanza di un aumentato transito intestinale11. Infine, si è recentemente dimostrato che la somministrazione sistemica di PEA in animali con colite normalizza la motilità intestinale in maniera significativa e dose-dipendente11. Tali effetti sono probabilmente riconducibili alla capacità di PEA di controllare la degranulazione dei mastociti enterici e, dunque, il rilascio di mediatori coinvolti nell’infiammazione e nel dolore intestinale, nonché nei disturbi funzionali associati12,13. Alla luce di quanto detto, l’interesse del caso descritto è legato sia all’osservazione della rapida regressione della diarrea dopo somministrazione di PEA, sia al possibile impiego della molecola nelle condizioni infiammatorie croniche intestinali del gatto, in cui i mastociti della mucosa gastroenterica svolgono un ruolo patogenetico primario14. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14.

Willard MD. J Feline Med Surg. 1999; 1(3):155-64. Jergens AE, Willard MD. In: Ettinger SJ, Feldmann EC, Textbook of Veterinary Internal Medicine, Saunders WB, 2000, pp. 1182-1238. Jergens AE. J Feline Med Surg. 2002; 4(3): 175-78. Day MJ et al. J Comp Pathol. 2008; 138 (Suppl 1):S1-43. Trepanier L. J Feline Med Surg. 2009;11(1): 32-8. Jergens AE et al. A J Vet Intern Med. 2010;24(5):1027-33. Re G et al. Vet J. 2007;173(1):23-32. Darmani NA et al. Neuropharmacology. 2005; 48(8): 1154-63. D’Argenio G et al. J Mol Med. 2007; 85(5): 523-30. Borrelli F, Izzo AA. Best Pract Res Clin Endocrinol Metab. 2009; 23(1): 33-49. Capasso R et al. Br J Pharmacol. 2001; 134(5): 945-50. Ramsay DB et al. Gastroenterol Hepatol. 2010; 6(12):772-7. Bischoff SC. Semin Immunopathol. 2009; 31(2): 185-205. Kleinschmidt S et al. Vet Immunol Immunopathol. 2010;137(3-4):190-200.

Indirizzo per corrispondenza: Dott.ssa Alda Miolo - Cedis - Centro di Documentazione e Informazione Scientifica Innovet Italia S.R.L. Veterinary Innovation, Via Einaudi 13, 35030 Saccolongo (PD), Italy - Tel 049 80 15 583 - Cell 346 804 5730 - E-mail cedis@innovet.it

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BIODISPONIBILITÀ ED “EFFETTO ENTOURAGE” DELLA PALMITOILETANOLAMIDE IN CANI BEAGLE 1

S. Petrosino, PhD 1, P. Brazis, DVM, PhD 2, A. Puigdemont, PhD 3, V. Di Marzo, PhD 1 Endocannabinoid Research Group, Istituto di Chimica Biomolecolare, CNR, Pozzuoli (Na), Italy 2 Univet, Barcelona, Spain 3 Dept Farmacología, Universitat Autònoma de Barcelona, Barcelona, Spain Tipologia: Ricerca Originale Area di interesse: Alimentazione e Nutrizione

Scopo del lavoro. La palmitoiletanolamide (PEA) è un lipide endogeno, presente in molte fonti alimentari di origine animale e vegetale1,2, e dotato di importanti effetti antinfiammatori3-6. In vitro, è in grado di ridurre il rilascio di mediatori pro-infiammatori e pruritogeni da parte di mastociti di cane7; somministrata per via orale, si è dimostrata ridurre segni e sintomi in vari disordini allergico-infiammatori8-10. Molti sono i meccanismi proposti per spiegare tali effetti; uno di questi, il cosiddetto “effetto entourage”, prevede che PEA agisca potenziando gli effetti protettivi esercitati da altri composti endogeni, gli endocannabinoidi11-13. Scopo del presente studio è analizzare la biodisponibilità plasmatica di PEA somministrata in dose singola a cani Beagle ipersensibili ed indagarne gli effetti sui livelli plasmatici degli endocannabinoidi. Materiali e metodi. Quattro cani Beagle di peso medio 14±0,6 kg, con ipersensibilità spontanea all’Ascaris suum, tenuti a digiuno dalla sera precedente, sono stati trattati con una dose singola di PEA ultramicronizzata (30 mg/kg os). Prima del trattamento e dopo 1, 2, 4 e 8 ore dalla somministrazione, è stato effettuato un prelievo di sangue dalla vena cefalica dell’avambraccio di ciascun soggetto. Il campione è stato raccolto in provette con aggiunta di EDTA, centrifugato a 3000 rpm per 10 min ed il plasma è stato immediatamente congelato in azoto liquido e conservato a -80°C fino all’analisi quantitativa di PEA e degli endocannabinoidi: anandamide (AEA), 2-arachidonoil-glicerolo (2-AG), oleoiletanolamide (OEA). Tale analisi è stata condotta tramite cromatografia liquida accoppiata alla spettrometria di massa mediante ionizzazione chimica a pressione atmosferica (LC-APCI-MS). I dati sono stati statisticamente analizzati paragonando le medie ± errore standard medio ed utilizzando l’analisi della varianza (ANOVA) seguita dal test di Bonferroni mediante il software Sigmastat®. Un valore di P minore di 0,05 è stato assunto come statisticamente significativo. Risultati. I livelli plasmatici di PEA sono risultati significativamente più alti rispetto al valore basale (11,1±2,9 pmol/ml), dopo 1 ora (54,4±8,0 pmol/ml) e 2 ore (59,1±9,9 pmol/ml) dalla somministrazione orale di PEA. Tale incremento era accompagnato da un significativo aumento di 30-40 volte nei valori plasmatici di 2-AG, nel medesimo intervallo di tempo. I livelli plasmatici di PEA e 2-AG tornavano ai valori basali dopo 4 ore dal trattamento. I livelli di AEA e OEA non si discostano significativamente dai valori basali in nessuno dei tempi considerati. Conclusioni. Questo studio fornisce la prima dimostrazione che la PEA, somministrata per via orale, viene assorbita nel cane ed induce un aumento dei livelli circolanti di 2-AG. Dal momento che il 2-AG è parte integrante del sistema endocannabinoide e concorre a determinarne gli importanti effetti protettivi14, la capacità della PEA di aumentarne i livelli (“effetto entourage”), come dimostrato nel presente studio, potrebbe rendere conto, almeno in parte, del ruolo benefico giocato dalla PEA in vari disordini di natura allergico-infiammatoria8,13. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14.

Schmid HH. et al. N-acylated glycerophospholipids and their derivatives. Prog Lipid Res. 1990;29(1):1-43. Chapman KD. Occurrence, metabolism, and prospective functions of N-acylethanolamines in plants. Prog Lipid Res. 2004; 43(4):302-27. Costa B. et al. Therapeutic effect of the endogenous fatty acid amide, palmitoylethanolamide, in rat acute inflammation: inhibition of nitric oxide and cyclo-oxygenase systems. Br J Pharmacol. 2002; 137(4):413-20. Wise LE. et al. Evaluation of fatty acid amides in the carrageenan-induced paw edema model. Neuropharmacology 2008;54(1):181-8. Loverme J et al. The search for the palmitoylethanolamide receptor. Life Sci. 2005;77(14):1685-98. De Filippis D. et al. Levels of endocannabinoids and palmitoylethanolamide and their pharmacological manipulation in chronic granulomatous inflammation in rats. Pharmacol Res. 2010;61(4):321-8. Cerrato S. et al. Effects of palmitoylethanolamide on immunologically induced histamine, PGD2 and TNFa release from canine skin mast cells. Vet Immunol Immunopathol. 2010;133(1):9-15. Re G. et al. Palmitoylethanolamide, endocannabinoids and related cannabimimetic compounds in protection against tissue inflammation and pain: Potential use in companion animals. Vet J. 2007; 173(1):23-32 . Petrosino S. et al. Protective role of palmitoylethanolamide in contact allergic dermatitis. Allergy. 2010;65(6):698-711. Cerrato S. et al. Inhibitory effects of PEA on cutaneous allergic inflammation induced in Beagle dogs. Allergy. 2010; 65 (Suppl. 92):595-6. De Petrocellis L. et al. Palmitoylethanolamide enhances anandamide stimulation of human vanilloid VR1 receptors. FEBS Lett. 2001;506:253-6. Di Marzo V. et al. Endocannabinoids and related compounds: walking back and forth between plant natural products and animal physiology. Chem Biol. 2007;14(7):741-56. Petrosino S. et al. N-palmitoylethanolamine: Biochemistry and new therapeutic opportunities. Biochimie. 2010;92(6):724-7. Di Marzo V. The endocannabinoid system: its general strategy of action, tools for its pharmacological manipulation and potential therapeutic exploitation. Pharmacol Res. 2009;60(2):77-8.

Indirizzo per corrispondenza: Dott.ssa Stefania Petrosino - Cnr - Consiglio Nazionale Delle Ricerche Istituto Di Chimica Biomolecolare, Via Campi Flegrei 34, 80078 Pozzuoli (NA), Italia - E-mail spetrosino@icmib.na.cnr.it

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VARIATION OF PROTEINURIA IN DOGS AFFECTED BY LEISHMANIASIS TREATED WITH MEGLUMINE ANTIMONIATE AND ALLOPURINOL: 53 CASES M. Pierantozzi, Med Vet, PhD, 1, X. Roura, Med Vet, PhD, Dipl ECVIM-CA, 3, S. Paltrinieri, Med Vet, PhD, Dipl ECVCP, 2, M. Poggi, Med Vet, 4, A. Zatelli, Med Vet, 1 1 Clinica Veterinaria Pirani, Reggio Emilia, Italy 2 Università degli Studi di Milano, Milano, Italy 3 Università di Barcellona, Barcellona, Spain 4 Clinica Veterinaria - Centro Veterinario Imperiese, Imperia, Italy Tipologia: Ricerca Originale Area di interesse: Leishmaniosi Introduction. Canine leishmaniasis (CanL)-associated proteinuric nephropathy is characterized by glomerular damage primarily attributed to glomerular deposition of circulating immune complexes.1 Results of previously published studies suggest that, in dogs, persistent proteinuria is associated with greater frequency of renal morbidity and mortality.2 A recent study demonstrated a potential reno-protective activity of allopurinol decreasing proteinuria and preventing progression of renal disease in dogs with leishmaniasis and glomerulonephritis.3 Objective. The aim of the study was to investigate whether the degree of proteinuria, evaluated by urine protein-to-creatinine ratio (UP:C), in leishmaniotic dogs classified in clinical stage C according to the staging of Canine Leishmaniasis Working Group,4 changes during anti-protozoan treatment with meglumine antimoniate (MA) and allopurinol (A). Furthermore, we evaluated the variations and correlations between serum concentration of albumin, globulin, total protein and A/G before and after treatment. Material & Methods. Medical records (2006-2010) of the Clinica Veterinaria Pirani (Italy), Veterinary Teaching Hospital of the Universitat Autònoma de Barcelona (Spain) and Centro Veterinario Imperiese (Italy) were reviewed to identify proteinuric leishmaniotic dogs, irrespective of their azotemic status, treated with the combination MA + A for a period ranging between 4 to 8 weeks. Dogs recruited for this study fulfilled the following inclusion criteria: a)diagnosis of leishmaniasis established by clinicopathological abnormalities; b)positive serology for L. infantum and detection of Leishmania amastigotes in lymph node or bone marrow aspiration smears or detection of parasite DNA using PCR; c)negative serology for E. canis and Dirofilaria immitis; d)complete urinalysis, with inactive sediment, and determination of the UP:C just before and after the anti-Leishmania treatment; e)treatment with MA (75-100 mg/kg SC q24h) in combination with A (20 mg/kg PO q24h) for 4 to 8 weeks. Dogs should not have been treated with ACE-inhibitors and/or angiotensin receptor blocker in the 2 months prior to and throughout the anti-Leishmania treatment period. Dogs with clinical signs and clinicopathological findings consistent with neoplastic, endocrine and genetic (inherited nephropathies known or suspected) diseases correlated with proteinuria, were excluded. Results. Before treatment, a significant negative correlation was found between UP:C and both serum albumin concentration (P=0.029, r=-041) and A/G ratio (P=0.006, r=-0.39) and a significant positive correlation was found between UP:C and total globulin (P=0.027, r=0.31). No correlations between UP:C and total protein were found (P=0.062, r=0.27). UP:C, total protein and globulin significantly decreased after treatment, compared with pre-treatment values. Conversely, albumin and the A/G ratio recorded after treatment were significantly higher than those recorded just before treatment. For all parameters, pre-and post-treatment values were always significantly correlated to each other (P<0.001 for all). After treatment: 7 proteinuric or borderline proteinuric dogs (13.4%) became non-proteinuric, 12 proteinuric dogs (22.6%) became borderline proteinuric. 12 dogs (22.6%) modified their IRIS stage based on values of serum creatinine and UP:C. Conclusions. The laboratory findings detected before treatment (hyperproteinemia, hypoalbuminemia, hyperglobulinemia, decreased A/G ratio, proteinuria) are consistent with those previously reported by other authors on CanL.5 The hyperproteinemia caused by hyperglobulinemia observed in this study, corroborates the findings of other Authors who reported that in some leishmaniotic dogs there is an increase in total protein levels due to a greater production of antibodies. Similar to that reported in a recent study,2 the anti-Leishmania treatment reduces the magnitude of proteinuria; nevertheless, in contrast to the aforementioned study, which shows the reduction of proteinuria after 6 months of administration of A, our results show a significant reduction of UP:C after 4-8 weeks of treatment. This result may be related to the mechanism of action of 2 drugs used: the combined use of MA and A could lead to a more rapid reduction of parasitic load, and consequently of the circulating immune complexes that affect the kidneys. In conclusion, is plausible to suggest that is useful, to stage the proteinuric leishmaniotic dog according with the IRIS staging system,6 at the end of the anti-Leishmania treatment in order to correctly identify the dogs that need anti-proteinuric therapy and optimize the conditions for monitoring the therapeutic efficacy. References 1. 2. 3. 4. 5. 6.

Lopez R, et al. JVetMedB 1996;43:469-474. Jacob F, et al. JAmVetMedAssoc 2005;226:393-400. Plevraki K, et al. JVetInternMed 2006;20:228-233. Paltrinieri S, et al. JAmVetMedAssoc 2010;236:1184-1191. Koutinas AF, et al. JAmAnimHospAssoc 1999;35:376-383. www.iriskidney. com/pdf/IRIS2009_Staging_CKD.pdf.

Corresponding Address: Dott. Marco Pierantozzi - Clinica Veterinaria Pirani, Via Vladimir Majakovskij 2/n, 42100 Reggio Emilia (RE), Italy - E-mail mp@clinicaveterinariapirani.it

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TENDINOPATIA NON MINERALIZZATA DEL MUSCOLO SOVRASPINATO: QUADRO CLINICO, DIAGNOSI E TRATTAMENTO L. A. Piras, DVM 1, A. Tomba, DVM 2, F. Cappellari, PhD 1, M. Olivieri, PhD 2, B. Peirone, PhD 1 1 Dipartimento di Patologia Animale, Università degli Studi di Torino, Torino, Italia 2 Libero professionista, Malpensa, Italia Tipologia: Ricerca Originale Area di interesse: Ortopedia Scopo del lavoro. Le tendinopatie del muscolo sovraspinato sono frequentemente descritte in Medicina Umana e riportate anche in Veterinaria. Il tendine patologico è spesso interessato da mineralizzazioni, tuttavia sono descritti in letteratura 10 casi di tendinopatia in assenza di mineralizzazione1. Fattori predisponenti risultano essere: età, attività, traumi e ipossia secondaria a ipovascolarizzazione. L’obiettivo di questo lavoro è l’analisi retrospettiva di cinque casi di tendinopatia in assenza di mineralizzazioni del muscolo sovraspinato. Materiali e metodi. Sono state analizzate retrospettivamente le schede cliniche di cani riferiti all’Ospedale Veterinario Didattico di Torino fra aprile2009 e dicembre 2010 a causa di artralgia scapolo-omerale. Sono stati inclusi in questo lavoro i pazienti sottoposti a esame radiografico, risonanza magnetica e chirurgia. La risonanza magnetica è stata effettuata utilizzando un magnete aperto da 0.23 T, Paramed; i pazienti sono stati sottoposti ad anestesia generale e posizionati in decubito laterale. È stata applicata una bobina, flessibile o rigida, in corrispondenza della regione scapolo-omerale, mantenendo l’arto in posizione neutra. Sono state acquisite sequenze FSE T2, GFE T2, STIR GFE T2 e SE T1-pesate orientate nei tre piani dello spazio. Sono state prese in esame le seguenti strutture: cartilagini articolari, spazio articolare, tendine del bicipite brachiale e relativa guaina tenosinoviale, i tendini dei mm. sovraspinato, infraspinato e sottoscapolare, muscoli, legamenti gleno-omerali e capi ossei. Nei casi in cui la RM ha confermato il sospetto diagnostico di tendinopatia del muscolo sovraspinato, si è proceduto al trattamento chirurgico, mediante artroscopia di spalla seguito da accesso cranio-laterale e splitting del tendine del muscolo sovraspinato. Risultati. Cinque soggetti rispondevano ai criteri di inclusione. L’età media era 3 anni (intervallo, 1.5-7 anni). Quattro soggetti erano di sesso maschile, uno di sesso femminile. L’arto destro era interessato in tre casi,il sinistro in due casi. Le razze erano cosìdistribuite: Terrier russo, Pastore tedesco, Pastore dell’Asia centrale, Beagle e American Staffordshire. I pazienti presentavano sintomatologia da un periodo di tempo variabile da 1 a 6 mesi (media 3 mesi). In tutti i casi era stato precedentemente effettuato un trattamento conservativo con riposo e somministrazione di FANS, senza miglioramento nella sintomatologia. La visita clinica evidenziava algia alla flessione della spalla, l’esame neurologico era negativo. L’esame radiografico era nella norma e l’esame del liquido sinoviale era nella norma. L’esame RM ha messo in evidenza in tutti i pazienti un aumento patologico di segnale nelle immagini STIR GFE T2-pesate in corrispondenza del tendine del muscolo sovraspinato nella sua inserzione sul trochitere omerale, associato ad una variabile e disomogenea iperintensità nelle sequenze FSE T2-pesate, compatibile con edema. In due pazienti è stato ipotizzato un aumento delle dimensioni del tendine stesso, non confermato mediante confronto con il controlaterale ed è stata evidenziata una modica compressione della guaina tenosinoviale del tendine del bicipite brachiale, non associata a dislocazione mediale del tendine stesso. In 3 pazienti è stata anche effettuata l’atroscopia che ha evidenziato alterazioni macroscopiche a carico del tendine del muscolo sottoscapolare, tuttavia in uno solo di questi pazienti corrispondevano alterazioni di segnale in risonanza. In tutti i pazienti è stato eseguito lo “splitting” chirurgico del tendine del m. sovraspinato, secondo la tecnica descritta da LaFuente1. Nel periodo post-operatorio tutti i pazienti hanno manifestato miglioramento della sintomatologia clinica, con recupero soddisfacente entro 1 mese. In due casi si è osservata insorgenza di sieroma a livello dell’accesso chirurgico. Conclusioni. La zoppia secondaria ad algia scapolo-omerale può essere di difficile diagnosi data la presenza di più strutture tendinee e legamentose. Per una diagnosi corretta è fondamentale seguire un preciso iter diagnostico, che prevede: esame clinico, esame radiografico, esame liquido sinoviale e risonanza magnetica. La diagnosi di tendinopatia del m.sovraspinato può essere formulata anche mediante esame ecografico, tuttavia la risonanza magnetica consente di valutare tutte le strutture che partecipano alla stabilizzazione dell’articolazione scapolo-omerale, oltre alle cartilagini articolari. L’esame artroscopico si è dimostrato fondamentale per escludere lesioni a carico del tendine del m.bicipite e consentire la valutazione del m.sottoscapolare, del legamento collaterale mediale e laterale. Il trattamento chirurgico, semplice e di rapida esecuzione, permette un soddisfacente recupero funzionale. Bibliografia 1. 2.

Lafuente MP, Fransson BA, et al: Surgical treatment of mineralized and nonmineralized supraspinatus tendinopathy in twenty-four dogs. Vet Surg 38(3): 380-7, 2009. Fransson BA, Gavin PR, Lahmers KK: Supraspinatus ten- dinosis associated with biceps brachii tendon displacement in a dog. J Am Vet Med Assoc 227:1429-1433, 2005

Indirizzo per corrispondenza: Dott.ssa Lisa Adele Piras - Università di Torino, Viale Leonardo da Vinci 44, 10095 Grugliasco (TO), Italia Tel. 0172/44506 - Cell. 347/5365436 - E-mail: lisa.piras@unito.it

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UTILIZZO DELL’IMPIANTO DI DESLORELIN PER IL CONTROLLO DELL’ATTIVITÀ OVARICA DELLA CONIGLIA M. C. Pisu, DVM1, A. Andolfatto, DVM 2 1 Libero professionista, Torino, Italy 2 Libero professionista, Torino, Italy Tipologia: Ricerca Originale Area di interesse: Animali Esotici Scopo del lavoro. Nella coniglia intera la patologia che ha l’incidenza maggiore è l’adenocarcinoma uterino: si tratta di un’evoluzione spontanea e maligna dell’iperplasia endometriale cistica, dovuta a stimolazione costante dell’endometrio da parte degli estrogeni. Proprio a causa dell’elevata incidenza di questa patologia, viene consigliata la sterilizzazione precoce entro 1-2 anni di età. Purtroppo, per paura dei rischi anestesiologici, molti proprietari evitano la sterilizzazione. Negli ultimi anni è stato messo in commercio un impianto sottocutaneo a rilascio prolungato di Deslorelin (Suprelorin® 4,7mg; Virbac), indicato per la soppressione temporanea della produzione di testosterone nel cane maschio. Il Deslorelin ha una potenza 7 volte superiore al GnRH endogeno, è più stabile e possiede una maggiore affinità per i recettori cellulari specifici per tale ormone. Questo lavoro riporta i dati di uno studio effettuato allo scopo di valutare l’efficacia di tale farmaco nella soppressione dell’attività ovarica nella coniglia e la durata del suo effetto terapeutico. Materiali e metodi. Sono state trattate 6 coniglie con età compresa fra i 5 e gli 8 mesi e con peso compreso 1,2 e 2 Kg. Tutte le coniglie al momento del trattamento avevano raggiunto la pubertà. Le pazienti sono state accuratamente visitate e hanno mostrato un ottimo stato di salute generale e nessun problema all’apparato riproduttore, durante la visita è stato anche effettuato un prelievo emocromo e profilo ematobiochimico completo e nessuna delle pazienti ha evidenziato valori al di fuori dai ranges di norma. L’impianto di Deslorelina è stato inserito, dopo disinfezione, nella regione infra-scapolare. Ai proprietari è stato chiesto di osservare ogni possibile cambiamento comportamentale degli animali ed è stato fissato un primo controllo dopo 20 giorni seguendo i dati in letteratura che indicano sia per le cagne che per le gatte in tale data l’effetto del farmaco come completo. In 4 soggetti al 20° giorno è stato anche effettuato un dosaggio degli estrogeni plasmatici, il prelievo è stato poi ripetuto all’8°e al 15°giorno e ad ogni controllo le coniglie sono state accuratamente visitate. Il prelievo in 28° giornata è stato inoltre utilizzato per effettuare un ematobiochimo di controllo. Una delle 2 pazienti alle quali non era stato possibile dosare gli estrogeni, dopo circa 40 giorni dall’inserimento ha mostrato segni comportamentali riconducibili ad un possibile innalzamento estrogenico. Per appurarlo è stato dosato il livello di ormoni in quell’occasione. La sesta coniglia, purtroppo, viene semplicemente seguita a livello clinico e comportamentale senza possibilità di dosaggi ormonali per decisione dei proprietari. Dopo il controllo al 36° giorno si è concordato con i proprietari di riportare le pazienti per i normali richiami vaccinali, ma di avvisare immediatamente se avessero notato qualsiasi alterazione che potesse far pensare ad una ripresa dell’attività gonadica. L’impianto è stato inserito alle prime coniglie da oltre 8 mesi e alla fine del 6° e del 7° mese sono stati effettuati prelievi per dosaggi di controllo. Alle altre 2 pazienti l’impianto è stato inserito da 4 e da 2 mesi. Risultati. I proprietari di tutte le pazienti hanno riferito la scomparsa degli atteggiamenti tipici della presenza attiva di estrogeni entro 30 giorni dall’inserimento dell’impianto di Deslorelina. Al controllo in 20° giornata tutte le coniglie testate sono risultate in eccellente stato di salute, non è stata rilevata alcuna reazione nel punto di inoculo e il dosaggio degli estrogeni plasmatici ha evidenziato livelli inferiori a quelli basali(< 4pg/ml). Le stesse condizioni si sono evidenziate al controllo in 28° e 36° giornatae i genitali esterni non hanno evidenziato alterazioni. Nella paziente che aveva evidenziato alterazioni comportamentali i dosaggi ormonali hanno però confermato l’efficacia del farmaco poiché presentava un livello di estradiolo di 3.4 pg/ml: convivendo con una altra coniglia trattata probabilmente il comportamento era dovuto ad un tentativo di sovvertire la gerarchia. Le coniglie sono poi state seguite per i normali controlli in occasione delle vaccinazioni e non si sono mai evidenziate alterazioni ai genitali esterni, e le condizioni generali di salute sono sempre risultate ottime. Le prime 4 pazienti trattate, ricontrollate alla fine del 6° e del 7° mese hanno evidenziato l’effetto della Deslorelina era ancora attivo poiché gli estrogeni plasmatici restavano al di sotto dei 3pg/ml. Al momento nessun soggetto trattato ha ancora ripreso la normale funzionalità ovarica. Conclusioni. L’impianto di Deslorelina si è mostrato efficace nel sopprimere l’attività ovarica in tutte le soggette trattate, non è però al momento possibile avere dati sulla reale durata dell’efficacia, ma è ipotizzabile un periodo di almeno 8-10 mesi. Non essendosi riscontrato nessun effetto collaterale nè alterazioni ematobiochimiche, il Suprelorin® 4,7 può essere ritenersi applicabile anche nella coniglia e potrebbe quindi rivelarsi un valido metodo di soppressione temporanea dell’attività ovarica anche in questa specie. Bibliografia 1. 2.

Bishop C.R., “Reproductive medicine of rabbits and rodents”, Vet Clin Exot Anim, 2002. Pisu, Romagnoli “Utilizzo dell’impianto di Deslorelin per il controllo dell’attività ovarica della gatta” SCIVAC Milano 2011 11-13 marzo.

Indirizzo per corrispondenza: Dott.ssa Maria Carmela Pisu - Ambulatorio Veterinario, Corso Francia, 19, 10138 Torino (TO), Italy Tel. 011/7650570 - E-mail: mariacarmela.pisu@vierreci.it

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ESPRESSIONE EMATICA DI CITOCHINE PROINFIAMMATORIE E ANTINFIAMMATORIE IN CANI BRACHICEFALI CON SINDROME RESPIRATORIA OSTRUTTIVA L. Rancan, DVM, Fellowship 1, M. Albertini, DVM, PhD, associate profesor of physiology 2, S. Romussi, DVM, PhD, associate profesor of surgery 3, P. García, DVM, PhD, associate profesor of surgery 4, E. Vara, BD, PhD, Professor of Biochemistry and Molecular Biology 1, M. Sanchez de la Muela, DVM, PhD, associate profesor of surgery 4 1 Dept. of Biochemistry and Molecular Biology III, Faculty of Medicine, Complutense University, Madrid, Spain 2 Dept. of Animal Pathology, Faculty of Veterinary, University of Milan, Milan, Italy 3 Dept of Clinical Veterinary Science, Faculty of Veterinary, University of Milan, Milan, Italy 4 Dept of Medicine and Surgery, Faculty of Veterinary, Complutense University, Madrid, Spain Tipologia: Ricerca Originale Area di interesse: Chirurgia Scopo del lavoro. È da tempo conosciuta e descritta una sindrome respiratoria ostruttiva che colpisce i cani appartenenti a razze brachicefale (BAOS) che consiste in un insieme di alterazioni morfologiche e funzionali a carico delle vie respiratorie superiori, inferiori e del sistema digerente1-4. L’ostruzione delle vie respiratorie alte presente in questi soggetti è una conseguenza delle alterazioni anatomiche e funzionali a cui si è arrivati con la selezione genetica5. Tale ostruzione provoca uno stress a carico delle cartilagini laringee le quali perdono rigidità strutturale collassando medialmente. Questo collasso riduce drasticamente il diametro delle vie aeree causando uno stato di ipossia che può portare a morte per soffocamento6. Anche l’infiammazione e lo stress ossidativo/nitrossidativo risultanti dallo stato d’ipossia ricorrente che si verifica in questi casi, così come la riossigenazione, potrebbero essere coinvolti nel danno tissutale7. Lo scopo del presente studio era (a) studiare i livelli di alcuni mediatori infiammatori in cani afflitti da BAOS con l’obbiettivo di poter analizzarne un possibile ruolo in questa sindrome, (b) studiare la relazione tra i livelli dei mediatori infiammatori e la gravità del quadro clinico. Materiali e metodi. In questo studio di tipo prospettico si scelse di arruolare cani brachicefali (CB) visitati tra Marzo 2009 e Gennaio 2010 presso la Sezione di Clinica Chirurgica dell’Ospedale Clinico Veterinario (HCV) dell’UCM. 17 CB, tutti di razza pura, vennero inclusi: 9 maschi interi e 8 femmine di cui 2 sterilizzate. L’età media era di 3,3 aa (11 mm-7 aa). Bulldog Inglese (n8) e Francese (n4) erano le razze più comunemente rappresentate. 10 Beagles, 5 maschi e 5 femmine, di 2-3 aa, tutti sani, vennero usati come gruppo controllo (CC). Dopo aver centrifugato (3000 x g, 10 min) si separò il plasma e si congelò a 30°C fino all’analisi biochimica. I livelli plasmatici delle citochine IL-1ß, TNFa, IL-6, IL-17, IL-10 e IL-13 si misurarono utilizzando kit ELISA specifici. CB si suddivisero in 3 gruppi in funzione dell’esame clinico (1: non sintomatici; 2: moderatamente sintomatici; 3: gravemente sintomatici). Si effettuò poi un confronto tra i risultati ottenuti nei CB che richiedevano un trattamento medico e quelli che, data la gravità del quadro clinico, richiedevano un trattamento chirurgico immediato. L’analisi statistica è si realizzò mediante comparazione delle medie con metodi non parametrici, utilizzando il test di Kruskal-Wallis seguito, qualora significativo, dal test di Mann-Whitney, esprimendo i risultati come Media±SEM. Risultati. La concentrazione plasmatica di TNFa e IL-17 risultò significativamente più alta nei CB rispetto ai CC (p<0,01) ed un ulteriore aumento si osservò nei soggetti che richiedevano un intervento chirurgico immediato (p<0,05). Curiosamente anche i valori di IL-10 e IL-13 risultarono esser significativamente aumentati nei CB rispetto ai CC (p<0,05) ma mentre l’aumento di IL-10 era correlato con il quadro clinico, IL-13 risultava significativamente aumentata solo nei CB grado 1. Non si osservarono significative differenze nei valori di IL-1ß e IL-6. Conclusioni. I risultati mostrarono che, negli animali con BAOS, si producono alti livelli plasmatici di citochine antinfiammatorie e proinfiammatorie e che l’aumento sembra correlato alla gravità clinica del quadro. Questo ne suggerisce un ruolo nell’evoluzione delle manifestazioni patologiche similarmente a quanto avviene in medicina umana per patologie paragonabili8. BAOS appare quindi non come un processo locale, come fino ad oggi considerato, bensì come un insieme di modificazioni di carattere locale che, tramite la produzione di mediatori infiammatori, si traducono in alterazioni sistemiche. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.

Hendricks J, 1992. Brachycephalic airway syndrome. Veterinary Clinics of North America: Small Animal Practice 22, 1145-1153. Hobson H, 1995. Brachycephalic syndrome. Seminars in Veterinary Medicine and Surgery (Small Animal) 10, 109–114. Parnell N, 2005. Diseases of the throat. In: Textbook of Veterinary Internal Medicine, sixth ed. Elsevier, Missouri, USA, pp. 1197–1204. de Carvalho AD; de Araujo ACP et al. 2010: Brachycephalic syndrome - nostril stenosis in dog. Acta Scientiae Veterinariae 38 (1): 69-72. Koch DA, Arnold S, et al PM 2003: Brachycephalic syndrome in dogs. Compendium on continuing education for the practicing veterinarian 25 (1): 48-55. Pink J, Doyle R et al 2006. Laryngeal collapse in seven brachycephalic puppies. Journal of Small Animal Practice 47, 131-135 McGuire M, MacDermott M et al Effects of chronic episodic hypoxia on rat upper airway muscle contractile properties and fiber-type distribution. Chest 2002;122:1012-7. Hoshino T, Kato S et al. 2007 “Pulmonary inflammation and emphysema: role of the cytokines IL-18 and IL-13.” Am J Respir Crit Care Med 176(1): 49-62.

Indirizzo per corrispondenza: Dott.ssa Lisa Rancan - Universitdad Complutense, Facultad De Medicina, Departamento De Bioquimica Y Biologia Molecular III, Avenida Complutense S/N, 28040 Madrid, Spain Tel. 0034693591948 - 0034693591948 - Cell. 00393497138530 - 00393497138530 - E-mail: lisa_rancan@hotmail.com

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SERUM CORTISOL EVALUATION IN DOGS NATURALLY INFECTED BY EHRLICHIA CANIS: PRELIMINARY DATA M. C. Hoeppner Rondelli, Veterinarian, Specialist, Post-graduate student 1, C. R. Freschi, Veterinarian, Post-graduate student 1, P. Bongiovanni Catandi, Graduate student 1, A. Pinto Ribeiro, Veterinarian, MSc, PhD 1, R. Zacarias Machado, Veterinarian, PhD, Professor 3, M. Tinucci Costa, Veterinarian, PhD, Professor 2 1 Faculty of Agrarian and Veterinarian Sciences,São Paulo State University,UNESP, Jaboticabal-São Paulo, Brazil 2 Small Animal Clinics and Surgery Department, São Paulo State University, UNESP, Jaboticabal-São Paulo, Brazil 3 Veterinary Pathology Department, São Paulo State University, UNESP, Jaboticabal-São Paulo, Brazil Work type: Original Research Topic: Internal Medicine Purpose of the work. Infections or inflammation activate organic reactions mediated by cytokines released by the immune system cells, inducing adrenocorticotropic hormone (ACTH) and glucocorticoids release (BUCKINGHAM et al., 1992). In a direct or an indirect way, these cytokines stimulate the hypothalamic-pituitary-adrenal axis in order to inhibit or modulate the disease process through the immunosuppressive effects of glucocorticoids (LEAL et al., 2003). Ehrlichiosis is a severe disease in dogs which may lead to death both for the hematological abnormalities (thrombocytopenia, leukopenia and medullary hypoplasia of bone marrow) and for the clinical complications, explained for its catabolic character, in acute, subclinical and chronic phases (LAPPIN, 2006). Thus, the aim of this work was to evaluate the hormonal entirety of adrenal glands through the occurrence of serum cortisol abnormalities in dogs naturally infected by Ehrlichia canis, submitted to the ACTH stimulation test. Materials and used methods. In this study, 9 dogs with clinical history suggestive of ehrlichiosis and confirmative laboratorial tests as complete blood count (showing leukopenia and thrombocytopenia), positive serology (Dot-ELISA) and positive nested-PCR for Ehrlichia canis were used and constituted the group of sick dogs (Group sick dogs – SD). Still, 3 healthy dogs, with normal hematology, negative serology and negative nested-PCR for the parasite were used as control (Group healthy dogs – HD). Dogs that either had other diseases or received corticosteroids during the previous 60 days were excluded. All dogs were submitted to the ACTH stimulation test by the morning, after dietary fasting overnight. Serum cortisol was measured by radioimmunoassay immediately before and one hour after the ACTH administration (5μg/kg IV). Cortisol levels were evaluated by analysis of variance for repeated measurements followed by Bonferroni’s multiple comparisons test (p<0.05). Outcomes. All dogs of group SD presented suggestive clinical signs of ehrlichiosis, thrombocytopenia (from 50000 to 128000 platelets, mean of 94444), and 77.7% of them presented leukopenia (from 3500 to 9600 leukocytes, mean of 5422). Anti-E. canis antibody titles ranged from 1:320 to 1:640 (mean title 1:533) and nested-PCR was positive for all dogs of this group. Serum cortisol values pre-ACTH ranged from 7.3 ng/mL to 42.7 ng/mL in group SD and from 23.1 ng/mL to 65.6 ng/mL in group HD. Values post-ACTH ranged from 79.7 ng/mL to 182 ng/mL in group SD and from 140.5 ng/mL to 150.2 ng/mL in group HD. Serum cortisol values were significant at pre and post-ACTH moments in both groups. Preliminary results of this study have shown that ehrlichiosis in dogs seems not to decrease adrenal glands activity. Conclusions. Studies related to endocrine abnormalities in canine ehrlichiosis are rare, especially those ones evaluating serum cortisol. In one of these studies, basal serum cortisol was measured once in dogs with ehrlichiosis and there was no significant abnormality in relation to the normal range for the species (KUMAR et al., 2006). In this same study, though, ACTH stimulation test was not performed, which is the recommended test for cortisol evaluation (LEAL et al., 2003), because this hormone may vary due to environmental and physiological aspects (BUSH, 2004). The adrenal stimulation with ACTH has occurred properly in both groups in the present study. Although there was no significance in cortisol levels pre and post-ACTH stimulation between groups, these levels were prone to being lower in group SD in comparison to group HD. But, at least at this moment of the study, adrenal glands have shown competence to produce cortisol in dogs with naturally acquired ehrlichiosis before the ACTH stimulation test. Evaluations pre and post-stimulation with ACTH are being performed in more dogs naturally infected by E. canis, in different clinical stages of the disease. Bibliography BUCKINGHAM, J.C., SMITH, T., LOXLEY, H.D. The control of ACTH secretion. In: James VHT, ed. The Adrenal Gland, 2.ed. NY: Raven Press, Ltd., 1992:131-38. BUSH, B.M. Hormônios. In: Interpretação de Resultados Laboratoriais para Clínicos de Pequenos Animais. São Paulo: Roca, 2004. 290-308. KUMAR, A., VARSHNEY, J.P., VARSHNEY, V.P. Endocrine dysfunction in chronic severe Ehrlichiosis with or without Babesiosis in dogs. Veterinary Research Communication, 30. 2006. 911-916. LAPPIN, M. R. Erliquiose Canina. In: NELSON, R.; COUTO, G. Medicina Interna de Pequenos Animais. 3.ed. Rio de Janeiro: Elsevier, 2006. p.1229 – 1231. LEAL, A.M.O. et al. Adrenocortical Hormones ans Interleukin Patterns in Paracoccidioidomycosis. The Journal of Infectious Diseases, 187-124-7. 2003.

Corresponding Address: Dott.ssa Mariana Cristina Hoeppner Rondelli - São Paulo State University - UNESP, Pedro Marques Avenue, 235, Jardim Universitário, Jaboticabal/São Paulo/14882-222, Brazil Phone 55 16 3203 9082 - Mobile 55 16 8168 0271 - E-mail marianarondelli@hotmail.com

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ALTERATA FUNZIONALITÀ MACROFAGICA IN CANI BOXER AFFETTI DA COLITE ISTIOCITARIA ULCERATIVA (HUC) G. Rossi, DVM, PhD, Professor 1, S. Scarpona, BSc 1, G. Pengo, DVM 3, E. Bottero, DVM 4, K. Allenspach, DVM, PhD, FVH, ECVIM, Professor 2, G. Magi, DVM, PhD 1 1 School of Veterinary Medical Sciences, University of Camerino, Camerino, ITALY 2 Department of Veterinary Clinical Sciences, The Royal Veterianry College, University of London, London, UNITED KINGDOM 3 Clinica Veterinaria S. Antonio, Strada Statale 415 km 38,5 n. 6 - Madignano (CR), Cremona, ITALY 4 linica Veteerinaria Albese, Vivaro (CN), Cuneo, ITALY Tipologia: Ricerca Originale Area di interesse: Gastroenterologia Scopo del lavoro. La colite istiocitaria ulcerativa (HUC) è una malattia intestinale progressiva1, 2, 4, 5 su base infiammatoria, che viene diagnosticata prevalentemente nei cani di razza Boxer1. Le lesioni che caratterizzano la HUC sono principalmente rappresentate da una forte infiltrazione infiammatoria della parete colica, di tipo piogranulomatoso, dominata da macrofagi PASpositivi in aspetto epitelioide. Queste cellule infiltrano in maniera transmurale la parete del colon suggerendo un grave difetto nei processi di immunoregolazione a carico dei cani colpiti. Materiali e metodi. Sono state prelevate 8 biopsie coliche da 10 cani Boxer, rispettivamente 5 cani HUC positivi e 5 cani sani. I proprietari dei cani utilizzati in questo studio hanno firmato un consenso informato e lo studio è stato approvato dal Comitato etico dell’Università degli Studi di Camerino. Le biopsie, fissate in formalina e incluse in paraffina, sono state sezionate in maniera seriale e quindi analizzate utilizzando un set di anticorpi volti a valutare la presenza di macrofagi nell’ambito dell’infiltrato infiammatorio parietale (MAC 387 mAb, Abcam), i livelli di espressione di NFKb (anti-NFKb pAb, Zymed) e l’indice apoptotico della popolazione macrofagica (TUNEL - Promega). Parallelamente è stato effettuato uno studio “in vitro” a partire dai monociti isolati dal sangue periferico degli stessi cani; le cellule sono state isolate utilizzando il metodo di Bøyum e poste in coltura O-N in un medium contenente Phorbol Myristate (PMA), Lipopolisaccaride batterico (LPS) o Muramyl Dipeptide (MD). È stata quindi valutata la capacità dei macrofagi, stimolati e non con PMA, di ridurre il NitroBlu di Tetrazolio (NBT) tramite la metodica di Park modificata da Szczylik. I macrofagi stimolati con LPS o MD sono stati inoltre utilizzati per analisi di RT-PCR al fine di amplificare i trascritti delle interleuchine TNF-a, IFN-?, TGF-ß, IL-1ß, IL-4 e IL-12. Risultati. Nei cani Boxer HUC+ è stato possibile osservare elevati livelli di espressione ed attività di NF-Kb nelle cellule epiteliali e nei macrofagi; una elevata percentuale di macrofagi positivi sono risultati anche apoptotici. Dallo studio in vitro, effettuato in parallelo, è stata osservata una ridotta capacità di ridurre l’NBT da parte dei macrofagi provenienti dai Boxer HUC+, PMA stimolati e non, rispetto ai valori ottenuti dai macrofagi dei cani sani usati come controlli. In aggiunta a questi dati, i macrofagi derivanti dai cani HUC+ hanno mostrato un differente pattern di citochine prodotte rispetto ai macrofagi dei cani controlli, quando stimolati con LPS e MD. In particolare i macrofagi di cani HUC+ esprimevano bassi livelli di IFN-? ed elevati livelli di TGF-ß /IL-4. Conclusioni. L’elevato indice apoptotico dei macrofagi infiltranti la parete colica dei Boxer HUC+ appare strettamente legato agli elevati livelli di NF-kb in forma fosforilata espressi dalle medesime cellule. Questo dato risulta in stretta correlazione alla maggiore sensibilità dei macrofagi dei cani HUC+ all’azione dell’LPS e degli altri prodotti batterici. Questa differente sensibilità, osservata anche nei pazienti affetti da morbo di Crohn3, 6, è confermata in vitro tramite il test NBT effettuato sui macrofagi derivanti dai cani HUC+, stimolati e non, anche in termini di differente pattern citichinico prodotto rispetto ai cani Boxer di controllo. Questo stato immunologico, valutato in maniera quantitativa in vitro, riflette fedelmente la situazione di immunodeficienza osservata in vivo su tessuto e consistente in un difetto dell’attività macrofagica. Bibliografia 1.

2. 3. 4. 5. 6.

Simpson K.W. Histiocytic Ulcerative Colitis: Infectious or Immune Mediated?- 2006 World Congress Proceedings. 31st World Small Animal Association Congress, 12th European Congress FECAVA, & 14th Czech Small Animal Veterinary Association Congress, Prague, Czech Republic, 11-14 October, 2006. Hostutler R et al. Antibiotic-responsive histiocytic ulcerative colitis in 9 dogs. J Vet Intern Med. 2004,18:499-504. Kleessen B, et al. Mucosal and invading bacteria in patients with inflammatory bowel disease compared with controls. Scand J Gastroenterol. 2002,37:1034-41 Van Kruiningen, H. J., I. C. Civco, and R. W. Cartun. 2005. The comparative importance of E. coli antigen in granulomatous colitis of Boxer dogs. Apmis 113:420-425. Van Kruiningen, H. J., R. J. Montali, J. D. Strandberg, and R. W. Kirk. 1965. A granulomatous colitis of dogs with histologic resemblance to Whipple’s disease. Pathol Vet 2:521-544. Watanabe T et al. NOD2 is a negative regulator of Toll-like receptor 2-mediated T helper type 1 responses. Nat Immunol. 2004,5,800-8.

Indirizzo per corrispondenza: Dott. Giacomo Rossi - University of Camerino Department of Veterinary Science, Physiopathology and Immunopathology 62032 Camerino (MC), Italy - Tel. 0737-403458 - Cell. 3407719670 - E-mail giacomo.rossi@unicam.it

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VALUTAZIONE PRELIMINARE DEL RUOLO DELLA PAROXONASI E DI ALTRI PARAMETRI INFIAMMATORI COME INDICATORI DI REMISSIONE CLINICA IN CANI TRATTATI PER LEISHMANIOSI G. Rossi, DVM, PhD 1, F. Ibba, DVM 2, E. Buffoli, DVM 1, A. Giordano, DVM, PhD, dipl. ECVCP 1, S. Paltrinieri, DVM, PhD, dipl. ECVCP 1 1 Sezione di Patologia Animale e Parassitologia, Dipartimento di Patologia Animale, Igiene e Sanità Pubblica Veterinaria, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Milano, Milano, Italia 2 Libero professionista, Cagliari, Italia Tipologia: Ricerca Originale Area di interesse: Leishmaniosi Scopo del lavoro. A fronte di protocolli diagnostici1 e terapeutici2 consolidati, non è ancora stato standardizzato il protocollo ideale per il monitoraggio a breve termine dei pazienti trattati per leishmaniosi canina (LCan)(2). Mentre è noto il ruolo prognostico di alcuni analiti, soprattutto legati alla funzionalità renale, infatti non sono stati definiti né i marker che meglio potrebbero predire in tempi brevi la risposta alle terapie né la tempistica da seguire per ottenere informazioni precoci in questo senso. La LCan genera una marcata risposta infiammatoria che si rispecchia nell’iperproteinemia, nell’ipergammaglobulinemia3 e nell’aumento delle proteine di fase acuta4. Il monitoraggio dell’entità dell’infiammazione nel tempo potrebbe quindi fungere da fattore prognostico, come già dimostrato per alcune delle proteine di fase acuta5. Tra queste ultime può risultare utile la valutazione dell’attività della paraoxonasi (PON1) proteina di fase acuta negativa, recentemente studiata nel cane, che riflette non solo lo stato infiammatorio ma anche lo stress ossidativo che in corso di LCan risulta aumentato6. Questo studio ha lo scopo di valutare in via preliminare, su un campione ridotto di casi, se le variazioni nel tempo di alcuni marker infiammatori, e in particolare dell’attività di PON1 possono essere utili come indicatori di remissione clinica nella LCan trattata farmacologicamente. Materiali e metodi. La casistica comprendeva nove cani di razza ed età variabili, naturalmente infetti da leishmania con differente sintomatologia e differente gravità. Criteri di inclusione nello studio: diagnosi di LCan confermata tramite test citologici, sierologici e PCR, assenza di trattamenti antinfiammatori/leishmanicidi prima dell’inclusione nello studio, assenza di altre patologie interferenti. Al momento dell’inclusione nello studio (T0) sono stati effettuati un esame emocromocitometrico, esami ematochimici di routine (proteine tot, albumine, colesterolo, trigliceridi, ALP, ALT, GGT, BUN, creatinina, bilirubina tot., amilasi, glucosio, calcio) ed è stata valutata la proteinuria. Sono stati inoltre indagati i seguenti markers infiammatori: proteina C reattiva (CRP), PON1, elettroforesi delle sieroproteine. I cani sono stati trattati con antimoniato di N-metilglucamina (100 mg/kg sc per un mese) e allopurinolo (10 mg/kg bid per os). I markers infiammatori sopra citati sono stati valutati al 3° giorno dall’inizio della terapia (T1), a una settimana (T2) e settimanalmente per tempi variabili tra 4 (T5) e 6 settimane (T7). Risultati. Ad eccezione di un paziente, che mostrava una lesione localizzata, tutti i pazienti presentavano sintomi sistemici (linfoadenomegalia, dimagramento, lesioni cutanee) anche se in nessun caso era presente iperazotemia. Due dei 9 cani non hanno risposto alla terapia e sono deceduti prima della fine del trattamento mentre in 7 casi è stata osservata una remissione della sintomatologia intorno alla seconda-terza settimana. Al momento della diagnosi i soggetti che non hanno risposto alla terapia mostravano una minore attività paraoxonasica, una maggiore concentrazione di CRP e per quanto riguarda il profilo elettroforetico ipoproteinemia e un minore rapporto A/G dovuto sia ad ipoalbuminemia che ad aumento delle alfa2 e, in minor misura, delle gamma-globuline. Nei cani che non hanno risposto alla terapia tali alterazioni restano stabili nel tempo, mentre nei cani che hanno risposto alla terapia si assisteva a una normalizzazione dell’attività di PON1 dopo 3-7 giorni (ad eccezione di un soggetto con sospetta insufficienza epatica), della concentrazione di CRP dopo circa 3-4 settimane, e dei parametri elettroforetici dopo circa un mese (solo il rapporto A/G, pur innalzandosi, non rientrava mai nella norma). Conclusioni. I risultati sembrano indicare che la prognosi migliore si abbia nei soggetti che presentano un quadro infiammatorio meno marcato al momento della diagnosi e che la PON1 fornisca informazioni più precoci rispetto ad altri biomarker circa la probabilità di remissione clinica in corso di terapia per LCan. Data la natura del tutto preliminare di questo studio sarà importante verificare in futuro la sua applicabilità a un campionamento più esteso. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6.

Paltrinieri et al. Guidelines for diagnosis and clinical classification of leishmaniasis in dogs. JAVMA 236(11):1184-91;2010. Oliva et al. Guidelines for treatment of leishmaniasis in dogs. JAVMA 236(11):1192-98;2010. Riera et al. Serological and parasitological follow-up in dogs experimentally infected with Leishmania infantum and treated with meglumine antimoniate. Vet Parasitol 84:33-47;1999. Martinez-Subiela et al. Serum concentrations of acute phase proteins in dogs with leishmaniasis. Vet Rec 150(8):241-4;2002. Martinez Subiela S, Ceron JJ. Evaluation of acute phase protein indexes in dogs with leishmaniasis at diagnosis, during and after short-term treatment. Vet Med –Czech, 2005; 50: 39-46. Paltrinieri et al. Serum concentrations of the derivatives of reactive oxygen metabolites (d-ROMs) in dogs with leishmaniosis. Vet J 186:393-5;2010.

Indirizzo per corrispondenza: Dott. Gabriele Rossi - Università Degli Studi Di Milano Dipartimento Di Patologia Animale, Igiene E sanità Pubblica VeterinariaSez. Patologia Generale, Via Celoria, 10, 20133 Milano (MI), Italia - Tel 02/50318103 - E-mail gabriele.rossi@unimi.it

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ALCOLIZZAZIONE DELLA GHIANDOLA SURRENALE DEL FURETTO: TECNICA, INDICAZIONI E LIMITI P. Selleri, Med Vet, Dott di Ric 1, A. Nicoletti, Med Vet 2 1 CVS - Clinica per Animali Esotici, Roma, Italia 2 CVS - Diagnostica per Immagini, Roma, Italia Tipologia: Caso Clinico Area di interesse: Animali esotici Introduzione. I furetti sviluppano frequentemente patologie a carico delle ghiandole surrenali. L’alcolizzazione può essere considerata una tecnica alternativa nei casi in cui le altre terapie non possono essere proposte. Descrizione del caso. Le ghiandole surrenali del furetto sono frequentemente interessate da processi patologici.1 La comunità scientifica ha proposte diverse terapie per il controllo dei sintomi dell’iperadrenocorticismo, sia di tipo medico che di tipo chirurgico.2 Le terapie di tipo medico sono finalizzate al controllo dei sintomi ma non possono prevenire la diffusione di eventuali metastasi. Le terapie mediche più frequentemente consigliate sono basate sull’impiego di analoghi del GnRH che inibiscono l’asse ipofisi-surrene determinando il miglioramento o la scomparsa dei sintomi della malattia. La rimozione chirurgica dell’intero parenchima della ghiandola interessata dal processo neoplastico è l’unica procedura che può garantire la prevenzione della diffusione di metastasi. Nella maggior parte dei casi l’ablazione completa della ghiandola determina la scomparsa dei sintomi ma la rimozione chirurgica di una sola ghiandola non può essere considerata un’alternativa alla terapia medica. La tecnica di alcolizzazione di tessuti patologici è stata impiegata in molti casi della medicina umana e veterinaria.3 L’obiettivo dell’alcolizzazione è quello di determinare una necrosi del parenchima patologico e conseguentemente una diminuzione o arresto della produzione di quegli ormoni responsabili della comparsa sella sintomatologia. Questa tecnica non deve essere intesa come alternativa alle terapie mediche o chirurgiche ma deve essere considerata per la scarsa invasività che richiede e per i rischi più limitati rispetto ad una intervento di surrenalectomia. Questa alternativa deve essere presentata nella rosa di alternative al proprietario quando altre terapie non possono essere applicate. La ghiandola surrenale si presta particolarmente alla tecnica di alcolizzazione perché è circondata da una capsula che consente di limitare la fuoriuscita dell’alcol e quindi prevenire la necrosi anche dei tessuti circostanti. Questa tecnica è molto vantaggiosa nei soggetti cardiopatici e in quelli affetti da patologie la cui gravità è tale che una sedazione di durata e profondità maggiore e una laparotomia potrebbero risultare pericolose per la vita dell’animale. L’alcolizzazione della ghiandola surrenale mediamente richiede una sedazione la cui durata non supera i 10 minuti. Il furetto viene posto in decubito laterale destro o sinistro a seconda di quale è la ghiandola interessata e di dove è posizionata. La cute viene rasata e preparata sterilmente. È consigliabile impiegare una sonda lineare ad alta frequenza dotata di una guida da biopsia. Identificata la ghiandola, un ago spinale da 25 G viene inserito al centro del parenchima. A seconda della grandezza della ghiandola viene iniettata una quantità di alcol etilico sterile che può variare da 0,05 ml a 0,2 ml. Quando l’alcol viene iniettato l’operatore può identificarlo facilmente perché molto ipoecogeno e decidere se sospendere o ripetere l’operazione. Quando si intende alcolizzare la ghiandola surrenale destra, in rari casi, per evitare che inserendo l’ago si comprometta l’integrità della vena cava caudale può essere consigliabile inserire l’ago facendolo passare attraverso il lobo epatico. Nell’arco degli ultimi 8 anni, nel nostro centro abbiamo impiegato questa tecnica in oltre 40 casi di entrambi i sessi. Se l’alcolizzazione ha avuto successo dopo 2 settimane circa i sintomi regrediscono. Nel 30% dei casi è stato necessario eseguire la procedura una seconda volta per poter avere la completa remissione dei sintomi. Non abbiamo mai avuto incidenti fatali. Una sola volta un furetto ha mostrato segni clinici riferibili al dolore. Questa tecnica non può garantire la totale distruzione della neoplasia. Conclusioni. Il medico veterinario deve poter offrire l’alcolizzazione come alternativa quando l’animale non è in grado di sopportare altri tipi di terapie o quando i proprietari non possono affrontare interventi troppo costosi. Bibliografia 1. 2. 3.

Rosenthal KL. Adrenal gland disease in ferrets In Vet Clin North Am Small Anim Pract 1997;27:401-418. Zatelli A, D’Ippolito P, Bonfanti U, Zini E. 2007: Ultrasound-assisted drainage and alcoholization of hepatic and renal cysts: 22 cases. JAAHA, Mar-Apr; 43, 112-116. Weiss CA, Scott MV. Clinical aspects and surgical treatment of hyperadrenocorticism in the domestic ferret: 94 cases.

Indirizzo per corrispondenza: Dott. Paolo Selleri, via della Valle snc, 00067 Morlupo (RM), Italia Tel. 06/8273512 - Cell 338/5407051 - E-mail: pseller@tin.it

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FRATTURA ATRAUMATICA DELL’EPIFISI DELLA TESTA DEL FEMORE NEL GATTO 1

A. F. Sontuoso, DVM 1, M. Biondi, DVM 1 Ospedale Veterinario Gregorio VII, Roma, Italia Tipologia: Caso Clinico Area di interesse: Ortopedia

Introduzione. La frattura atraumatica dell’epifisi della testa del femore (o epifisiolisi) è una patologia a carico del treno posteriore che può essere causa di dolore e zoppia in assenza di un evento traumatico. È conseguente alla chiusura ritardata dell’epifisi in presenza di una disarchitettura dei condrociti. Tale patologia va inclusa tra le diagnosi differenziali nel momento in cui ci siano le giuste indicazioni di segnalamento e anamnesi. Nel seguente lavoro è descritto il caso clinico di Macchia, un gatto affetto da epifisiolisi bilaterale. Descrizione del caso. Macchia un gatto soriano comune europeo di 1 anno e mezzo, maschio, castrato all’età di 6 mesi che pesa 6,2 Kg, vive in casa con libero accesso all’esterno. I proprietari riferiscono la comparsa di zoppia al posteriore sinistro 4 mesi prima. Il collega che ha visitato il gatto a una settimana dall’insorgenza della zoppia ha effettuato rx delle anche in proiezione ventrodorsale standard e prescritto una terapia con condroprotettore, confinando il gatto in ambiente casalingo. Dopo circa un mese dall’inizio della terapia il gatto è stato riportato dal collega per una maggiore riluttanza al movimento ed è stata ripetuta una rx. Alla visita clinica da noi eseguita il gatto si presenta in buone condizioni generali. All’esame obiettivo particolare si evidenzia ipotrofia del treno posteriore, algia bilaterale ad estensione ed abduzione delle anche. Dalle radiografie eseguite dal collega risulta: nella prima un distacco fisario a livello della testa del femore sinistro e moderata lisi del collo del femore, mentre sull’anca destra è ancora visibile la linea radiotrasparente della fisi di accrescimento. Dal secondo controllo si evidenzia lisi anche a livello dell’anca destra. Le radiografie suggeriscono come diagnosi differenziali l’epifisiolisi e la frattura di Salter Harris; il fatto che la seconda lesione risalga al periodo in cui il gatto è stato rilegato in casa, ci fanno propendere per la prima ipotesi. Viene dunque proposta la resezione della testa e del collo del femore. Gli esami preoperatori ematologici e biochimici, e il profilo coagulativo, risultano nella norma ed i test sierologici ELISA per FIV e FeLV negativi. In fase preoperatoria vengono eseguite una proiezione standard ventrodorsale e una proiezione a “rana” delle anche nelle quali si apprezzano scivolamento della testa sul collo e lisi in entrambe le articolazioni in particolare sulla destra. Si è ritenuto opportuno intervenire prima sull’arto destro poiché la sintomatologia e le alterazioni radiografiche appaiono più marcate. Macroscopicamente la testa del femore appare connessa al collo femorale pur con un imponente rimaneggiamento; tale reperto si discosta da quanto osservato in corso di Salter Harris di tipo 1. L’esame istologico del campione anatomico asportato conferma il sospetto diagnostico. Il referto riferisce l’esito di frattura che appare “sostituita” da tessuto fibrocartilagineo con condrociti irregolarmente sovrapposti e iniziali fenomeni di mineralizzazione. A un mese dall’intervento i proprietari riferiscono un netto miglioramento delle attività motorie; si riscontra un aumento del range di movimento dell’anca operata rispetto la controlaterale. Conclusioni. L’epifisiolisi è ampiamente descritta in medicina umana, dove sono principalmente colpiti adolescenti di sesso maschile in sovrappeso. Nel gatto sono maggiormente colpiti soggetti tra i 12-21 mesi di età e il 90% dei casi è rappresentato da maschi sovrappeso castrati precocemente. L’età in cui si effettua la castrazione può rappresentare uno dei fattori predisponenti in quanto l’orchiectomia prepuberale prolunga il tempo della chiusura delle fisi di accrescimento fino a 24 mesi. Un’ipotesi che mette in relazione obesità ed epifisiolisi potrebbe essere rappresentata da un’alterazione del metabolismo dell’insulina, importante survivor factor per i condrociti. Pochi casi sono descritti in letteratura veterinaria nel gatto, tuttavia tale patologia potrebbe essere sottostimata e non diagnosticata. Il segnalamento, l’anamnesi, i segni clinici e lo studio radiografico rappresentano degli step importanti per la diagnosi clinica, che verrà confermata solo dall’istologia della testa del femore. Bibliografia Burke J: Physeal dysplasia with slipped capital femoral epiphysis in a cat. Can Vet Journal 44 (3): 238-239, 2003. Craig LE: Physeal Dysplasia with slipped capital femoral epiphysis in 13 cats. Vet Pathol 38: 92-97, 2001. Forrest LJ, O’Brien RT, Manley PA: Feline capital physeal dysplasia syndrome. Vet Radiology & Ultrasound 40: 672, 1999. Isola M, Baroni E, Zotti A: Radiographic features of two cases of feline proximal femoral dysplasia. Journal of Small Animal Practice 46: 597-599, 2005. Isola M, Meggiolaro S, Ratto A, Crestani C, et al: Clinical- pathological findings in two cats with splipped capital femoral epiphysis. Comp Clin Pathol (19): 107-113, 2010. McNicholas Jr WT, Wilkens BE, Blevins WE, Snyder PW, et al: Spontaneous femoral capital physeal fractures in adult cats: 26 cases (1996-2001). JAVMA 221 (12): 1731-1736, 2002. Newton AL, Craig LE: Multicentric physeal dysplasia in two cats. Vet Pathol 43: 388-390, 2006. Weisbrode Se, McGavin MD, Zachary JF et all: Bone and joints. Pathologic basis of veterinary diseases, 4th edn. Mosby Elsevier, St. Louis, MI: 1041-1105, 2007.

Indirizzo per corrispondenza: Dott. Antonio Fernando Sontuoso - Ospedale Veterinario Gregorio VII, Piazza di Villa Carpegna 52, 00165 Roma (RM), Italia E-mail: antoniosontuoso@gregoriovii.com

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COLLATERALI AORTICO-POLMONARI ASSOCIATI A CARDIOPATIE CONGENITE I. Spalla, DVM 1, C. Locatelli, DVM, PhD 1, O. Domenech, DVM, ECVIM-CA 2, A. Mavropoulou, DVM, PhD 3, R. Bussadori, DVM 2, M. C. Crosta, DVM 2, C. Quinatavalla, DVM, PhD 3, P. Brambilla, DVM, PhD 1, C. Bussadori, DVM,DM, PhD, ECVIM-CA 2 1 Universita degli studi di Milano, Milano, Italia 2 Clinica Veterinaria Gran Sasso, Milano, Italia 3 Universita degli studi di Parma, Parma, Italia Tipologia: Caso Clinico Area di interesse: Cardiologia Introduzione. La presenza di comunicazioni anomale a carico della circolazione sistemica-polmonare è stata riportata nel cane come diagnosi differenziale del dotto arterioso pervio (PDA), in quanto il reperto caratteristico in letteratura è un soffio continuo ascellare sinistro. La diagnosi definitiva è stata effettuata in sede intraoperatoria (angiografia o visualizzazione diretta). I report pubblicati hanno sempre presentato questi difetti congeniti come singoli, a differenza della cardiologia pediatrica, dove sono segnalati in associazione a Tetralogia di Fallot (TdF) e atresia della polmonare. Descrizione del caso. Da gennaio 2010 a febbraio 2011 è stata effettuata la diagnosi di collaterale aortico-polmonare (CAoP) in 4 pazienti riferiti per il trattamento di cardiopatie congenite. Caso numero 1. Cavalier King Charles Spaniel, maschio,8 mesi. Diagnosi di PDA (soffio continuo ascellare sinistro), riferito per chiusura percutanea del dotto. All’angiografia si osservano numerose comunicazioni fistolose a partenza dall’aorta discendente e toracica associate a PDA. L’ecografia trans esofagea(TEE) ed intracardiaca confermano la presenza di CAoP identificando diversi flussi turbolenti continui al’interno dell’arteria polmonare(AP). Caso numero 2. Terranova, femmina, 3 mesi. Soffio continuo ascellare sinistro. L’ecocardiografia preoperatoria individua la presenza di PDA associato a stenosi subaortica e a CAoP (flusso turbolento continuo in AP associato al flusso transduttale), confermata dalla TEE intraoperatoria. Successivamente alla chiusura del dotto, non si rileva alcun soffio continuo all’auscultazione. Caso numero 3. Cavalier King Charles Spaniel, maschio, 1 anno. Diagnosi di stenosi polmonare, riferito per valvuloplastica (VPP). Soffio olosistolico sul focolaio polmonare. All’ecografia preoperatoria si osserva una lieve dilatazione del ventricolo sinistro; la TEE individua un flusso turbolento continuo a livello dell’AP sinistra. Si esegue angiografia sinistra e si rileva la presenza di un vaso anomalo, compatibile con CAoP. Si procede alla dilatazione con pallone, alla valutazione post VPP non si rileva alcun soffio continuo. Caso numero 4. Border Collie, femmina, 2 mesi. Riferito per chiusura chirurgica di PDA con marcato sovraccarico volumetrico sinistro ed edema polmonare. Soffio continuo ascellare sinistro. Durante la legatura chirurgica, viene individuato un vaso anomalo associato al PDA, caratterizzato da andamento tortuoso, che mette in comunicazione aorta discendente e AP sinistra. Si procede alla legatura del dotto e del vaso anomalo. Il paziente viene dimesso senza alcuna complicazione, non si rilevano soffi continui. Conclusions. Al momento attuale in letteratura veterinaria non esiste univocità nella nomenclatura delle CAoP: sono state definite rami aberranti dell’arteria bronco esofagea e shunt arterovenosi. La prima definizione richiama l’anatomia dei collaterali aortici, essendo l’arteria broncoesofagea un collaterale della 5°arteria intercostale presente nel cane ma non nell’uomo, mentre la seconda implicherebbe una comunicazione di tipo artero-venoso che non rispecchia la reale anomalia vascolare descritta,in quanto artero-arteriosa(flusso continuo in AP). Nel cane il quadro clinico mimava la presenza di un PDA; al contrario, nei casi da noi riportati, i CAoP sono risultati reperti occasionali associati ad altre patologie cardiache congenite. L’eziologia dei CAoP rimane ancora poco definita; in medicina umana questi difetti sono associati a TdF e atresia polmonare, condizioni di ipossia che potrebbero favorire la formazione di comunicazioni accessorie per mantenere una adeguata ossigenazione. La presenza di queste anomalie vascolari è stata anche repertata in associazione ad alterazioni polmonari, quale la displasia broncopolmonare; in particolare, si è repertata la scomparsa di CAoP successivamente alla stabilizzazione del quadro respiratorio e alla chiusura del PDA in neonati prematuri. I casi presentati sono i primi descritti associati a cardiopatie congenite nel cane; durante la valutazione cardiologica, non si devono pertanto escludere CAoP associate a PDA e SP e considerarle nel diagnostico differenziale. L’esatta prevalenza di queste comunicazioni deve ancora essere valutata, anche in patologie cardiache complesse quale TdF. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.

Malik et al. Aberrant Branch of the Bronchoesophageal Artery Mimicking Patent Ductus Arteriosus in a Dog. JAAHA 1994;30,162-4. Yamane et al. Aberrant Branch of the Bronchoesophageal Artery Resembling Patent Ductus Arteriosus in a Dog. J Vet Med Sci 2001;63(7),819-22. Fuji et al. Arteriovenous shunts resembling patent ductus arteriosus in dogs: 3 cases. J Vet Card 2009;11,147-51. Skinner, Silove. Aortopulmonary Collateral Arteries mimicking symptomatic ductal shunting in a preterm infant. Br Heart J 1995;74,93-4. Ing, Laskari, Bierman. Additional Aortopulmonary Collaterals in patients referred for coil occlusion of a patent ductus arteriosus. Cath and Cardiovasc Diag 1996;37,5-8. Birnbacher et al. Echocardiographic evidence of aortopulmonary collaterals in premature infants after closure of ductus arteriosus. Am J Perinatol 1998;15(10), 561-5. Leach et al. Coil embolization of an aorticopulmonary fistula in a dog. J Vet Card 2010;12(3),211-6.

Indirizzo per corrispondenza: Dott.ssa Ilaria Spalla - Universita degli Studi di Milano, Via Celoria 10, 20122 Milano (MI), Italia Tel. 347/2214999 - E-mail: ilaria.spalla@unimi.it

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UN CASO DI IPERALDOSTERONISMO PRIMARIO IN UN GATTO EUROPEO CON UN ADENOMA MONOLATERALE DELLA CORTICALE SURRENALICA 1

M. Tittozzi, Medico veterinario 1 Libero professionista, Formia, Italy

Tipologia: Caso Clinico Area di interesse: Medicina interna Introduzione. L’aldosterone è un ormone mineralcorticoide ed è sintetizzato esclusivamente nella zona più esterna della corticale surrenalica, la zona glomerulosa. Ha due importanti attività: 1) è il principale regolatore dell’omeostasi del sodio e del fluido extracellulare 2) è il principale regolatore dell’omeostasi del potassio. Nel gatto, l’iperaldosteronismo primario (PHA), detto anche Coon’s syndrome, è un raro disturbo della corteccia surrenalica probabilmente sotto diagnosticato nella normale pratica clinica, infatti solo 35 casi sono attualmente segnalati in letteratura. Dai dati disponibili, è stato stimato che solo lo 0,03% della popolazione felina, sviluppa un tumore surrenalico primario (rappresentante lo 0,2 % di tutti i tumori felini). I disturbi della corticale surrenalica possono dividersi in due sottotipi: a) gli adenomi e adenocarcinomi secernenti mono o bilaterali (APA), b) l’iperplasia bilaterale delle surrenali o iperaldosteronismo idiopatico(IHA).L’aumento dei livelli di aldosterone porta all’aumento dell’escrezione di potassio nelle urine e di conseguenza una diminuzione della concentrazione di potassio presente nell’organismo. Inoltre, il riassorbimento del sodio a livello renale porta ad un aumento del volume ematico circolante ed ipertensione arteriosa. Descrizione del caso. È stato condotto alla nostra osservazione per accertamenti diagnostici, un gatto europeo, maschio castrato, di 15 anni d’età e del peso di 3kg. I proprietari riferivano una sintomatologia acuta, meno di 24 ore, con irrigidimento del collo,abbattimento, andatura incerta, poliuria. All’esame clinico il gatto presentava un’evidente ventroflessione del collo associata ad un’andatura rigida su tutti gli arti ed atteggiamento plantigrado in stazione. L’esame neurologico dei nervi cranici e periferici è risultato nella norma, midriasi bilaterale, l’esame del fondo dell’occhio era nella norma. La temperatura corporea era di 37,8°C, l’auscultazione dei campi polmonari e del cuore rilevava un soffio sistolico sul focolaio mitralico di 4/6 d’intensità, la pressione arteriosa massima misurata con metodo doppler era pari a 240 mmHg. Si procedeva ad ulteriori accertamenti quali: esami ematobiochimici, elettroforesi delle proteine sieriche, un’emogasanalisi venosa, il TT4 (tiroxina totale), l’esame chimico fisico urine con sedimento urinario e la chimica urinaria,una sierologia elisa per Fiv/FeLV, uno studio radiografico del torace, un’ecografia addominale. L’emogramma mostrava un’anemia normocitica e normocromica (Hct 23%, Hb 7,20 g/dl, MCV 43,05 fL, MCH 13,53 pg), non rigenerativa (reticolociti aggr. 32984/microL) e la presenza di una neutrofilia matura senza alterazioni morfologiche. Il profilo biochimico e l’emogasanalisi evidenziavano una grave ipokaliemia (K+ 2,2 mEq/L), acidosi respiratoria compensata (ph 7,32, pCO2 57,2mmHg, HCO3 29,7 mEq/L), CPK 1956 IU/L, SAA 2,3 microg/ml, ferro totale 44 microg/dL. All’esame delle urine il peso specifico era pari a 1019, l’Osmolalità urinaria 990 mosm/KG, lieve proteinuria (pu/cu 0,6), presenza di ematuria ed emoglobinuria, FeK+(%) 60,75, TTKG 15,71. Lo studio ecografico dell’addome evidenziava la presenza, a carico della ghiandola surrenalica sx, di una neoformazione finemente iperecogena delle dimensioni di 3,05 cm x 2,16 cm. I restanti organi risultavano nella norma. Conclusioni. Il riscontro della grave ipokaliemia, associata all’ipertensione arteriosa sistemica, la rigidità muscolare, la ventroflessione del collo e il riscontro di una neoformazione a carico del ghiandola surrenalica di sx, hanno fatto emettere diagnosi di probabile iperaldosteronismo primario legato alla presenza di un tumore della corticale surrenalica secernente aldosterone. Il follow up del soggetto è stato complessivamente di 5 mesi, poi il rapido peggioramento delle condizioni cliniche e morte per insufficienza renale cronica. I proprietari hanno dato il consenso alla necroscopia ed ai prelievi bioptici degli organi. L’esame istopatologico della neoformazione permetteva di emettere definitivamente diagnosi di adenoma monolaterale della corticale del surrene sx (APA). È attualmente in corso immunoistochimica per differenziare definitivamente un tumore della corticale surrenalica secernente esclusivamente aldosterone. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.

Ash R A, Harvey A M, Tasker S (2005)Primary hyperaldosteronism in the cat:a series of 13 cases.J Feline Med and Surg 7(3),173-182. Javadi S,Djajadiningrat-Laanen SC,Kooistra HS,Van Dongen AM,Voorhout G,van Sluijs FJ,van den Ingh T S G A M, Boer W H, Rijnberk A (2005)Primary hyperaldosteronism,a mediator of progressive renal disease in cats. Domest Anim Endocrinol 28(1),85-104 Flood SM, Randolph JF, Gelzer ARM, Refsal K. Primary hyperaldosteronism in two cats. JAAHA 1999; 35: 411-6. Rijnberk A, Voorhout G, Kooistra HS, van der Waarden RJ,van Sluijs FJ, IJzer J, Boer P, Boer WH. Hyperaldosteronism in a cat with metastasised adrenocortical tumour. Vet. Quarterly 2001;23:38-43. Wheeler MH, Harris DA. Diagnosis and Management of Primary Aldosteronism. World J. Surg. 2003;27: 627-631. Withrow Stephen J, and David M. Vail. Small Animal Clinical Oncology. St Louis:Saunders Elsevier, 2007. Gunn-Moore D. Feline endocrinopathies. Vet Clin North Am Small Anim Pract 2005; 35:171-210. Robert Shiel, Carmel Mooney Diagnosis and management of primary hyperaldosteronism in cats JAAHA 43:209-214(2007)

Indirizzo per corrispondenza: Dott. Massimo Tittozzi - Ambulatorio Veterinario S. Pietro, Largo Berlinguer, 17, 04023 Formia (LT), ITALY Tel. 0771/266753 - E-mail: info@centroveterinariosanpietro.com

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TRATTAMENTO COMBINATO CON CEMENTO DA OSSO E RADIOTERAPIA CON MEGAVOLTAGGIO PER UNA CISTI ANEURISMATICA IN UN CANE M. Vignoli, Dr. Med. Vet., PhD, SRV, Dipl. ECVDI 1,2, I. Espirito Santo, studente 2, F. Rossi, Dr. Med. Vet., SRV, Dipl. ECVDI 1,2, F. Rao, Dr. Med. Vet. 1, E. Caleri, Dr. Med. Vet. 1, S. Cancedda, Dr. Med. Vet., MS 2, F. Valentini, Dr. Med. Vet., MS 2, C. Rohrer Bley, Dr. Med. Vet., Dipl. ACVR-RO 3,2 1 Clinica Veterinaria dell’Orologio, Sasso Marconi (BO), Italia 2 Centro Oncologico Veterinario, Sasso Marconi (BO), Italia 3 Sez. Radio-Oncologia, Università di Zurigo, Zurigo, Svizzera Tipologia: Caso Clinico Area di interesse: Diagnostica per immagini Introduzione. Le cisti aneurismatiche sono considerate patologia rara nell’uomo, rappresentano l’1-2% dei tumori ossei primari1 e sono raramente descritte negli animali2. La natura della cisti aneurismatica è dibattuta, da alcuni autori considerata patologia benigna non neoplastica3, da altri tumore osteoaggressivo litico benigno e a rapida crescita1. L’eziologia e la patogenesi non sono ben conosciute, tuttavia, potrebbe risultare da una malformazione artero-venosa come conseguenza di un’altra condizione primaria (trauma, tumore osseo o distrofia fibrosa dell’osso); è riportata una predisposizione ereditaria nel Doberman Pinscher3,4. Nell’uomo, il trattamento include radioterapia, curettage chirurgico da solo o con trapianto di midollo osseo oppure resezione chirurgica se in sedi particolari quali coste o fibula. A causa dell’alto rischio di recidiva, sono stati proposti come adiuvanti: iniezione di cemento da osso (polimetilmetacrilato), crioterapia, fenolizzazione, embolizzazione arteriosa, iniezione di steroidi e calcitonina, trapianto di osso2,3. Nel cane è riportato il trattamento con curettage chirurgico e riempimento della cavità con cemento da osso3. L’obiettivo di questo lavoro è stabilire l’efficacia di una terapia combinata con cemento da osso e radioterapia adiuvante nel trattamento di una cisti ossea aneurismatica in un Irish Wolfhound. Descrizione del caso. Un cane di razza Irish Wolfhound, maschio, di circa 11 mesi di età è stato riferito per una lesione litica della metà distale dell’ulna di destra. Clinicamente il soggetto presentava zoppia di II/III grado. Alla palpazione era presente una tumefazione dura e dolente nella metafisi distale dell’ulna destra e una piccola tumefazione sulla cresta tibiale sinistra. È stato eseguito un esame radiografico del torace, della tibia e dei gomiti/avambracci. Radiologicamente erano presenti un entesiofita tibiale e una ampia lesione ulnare, che si presentava litica ed espansiva, con grave assottigliamento delle corticali e presenza di sottili setti all’interno della cavitazione radiotrasparente. Non si evidenziava reazione periostale o tumefazione dei tessuti molli circostanti. La diagnosi radiografica comprendeva la cisti aneurismatica e in diagnosi differenziale un tumore a cellule giganti o osteoclastoma. La biopsia, eseguita con ago di Jamshidi da 8G, ha messo in evidenza, nella cavità, la presenza di liquido brunastro e ha confermato la diagnosi istopatologia di cisti aneurismatica. Il soggetto è stato quindi sottoposto a trattamento TCguidato con cemento da osso per vertebroplastica. Il cane è stato preparato per la procedura sul tavolo TC come per una normale procedura chirurgica. Attraverso la guida TC, è stato inserito un ago da biopsia ossea, sfruttando lo stesso passaggio creato durante la precedente biopsia e attraverso il quale è stato iniettato il cemento da osso sterile (polimetilmetacrilato e bario). Eseguita la procedura, si è ripetuto la TC di controllo per verificare la posizione del cemento e due radiografie per il confronto con quelle prechirurgiche. A 24 ore dalla procedura il cane ha mostrato un lieve peggioramento della zoppia, scomparsa completamente il giorno successivo. Dopo 8 giorni è iniziata la terapia radiante. La dose totale somministrata è stata di 30G, suddivisa in 10 frazione da 3 Gy, utilizzando una tecnica con elettroni da 12 MeV. Conclusioni. Il trattamento delle cisti ossee aneurismatiche è reso necessario dalla frequente insorgenza di complicanze, tra cui fratture ossee, trasformazione neoplastica e metastasi o recidive post-trattamento1,5,6 Nell’uomo, la letteratura riporta un controllo locale del 65-90% (trattamento con polimetilmetacrilato) e del 75-92% (radioterapia)1. A nostra conoscenza, questo è il primo caso di cisti ossea aneurismatica nel cane trattata con associazione di cemento da osso e radioterapia ed il primo caso dove il cemento da osso viene iniettato con tecnica mininvasiva TC-guidata. La nostra ipotesi è che un trattamento combinato possa controllare più a lungo la patologia ed evitare le complicazioni descritte. Un adeguato follow up è necessario per giudicare completamente il risultato della tecnica. La tecnica descritta potrebbe risultare utile in futuro per trattare sarcomi ossei primari. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6.

Feigenberg Sj, Marcus Rb, Zlotecki Ra et al.. Megavoltage Radiotherapy For Aneurysmal Bone Cysts. 2001, Int. J. Radiation Oncology Biol. Phys., 49(5):1243-1247. Langley-Hobbs SJ. Diseases and disorders of bone. In: Houlton JEF, Cook JF, Innes JF, Langley- Hobbs SJ, BSAVA Manual of Canine and Feline Musculoskeletal Disorders. BSAVA, 2006. Pp 34-49. Sarierler M, Cullu E, Yurekli Y, Birincioglu S. Bone Cement Treatment For Aneurysmal Bone Cyst In A Dog. 2004, J. Vet. Med. Sci., 66(9):1137-1142. Dernell Ws, Ehrhart Np, Straw Rc, Vail Dm. Tumors Of The Skeletal System. In Withrow & Macewen’s, Small Animal Clinical Oncology. Saunders Elsevier. Fourth Edition, 2007. Pp. 570- 571. Barnhart MD. Malignant Transformation of an Aneurysmal Bone Cyst in a Dog. 2002, Veterinary Surgery, 31(6):519–524. Van de Luijtgaarden ACM, Veth RPH, Slootweg PJ et al.. Metastatic potential of an aneurismal bone cyst. 2009, Virchows Arch., 455:455-459.

Indirizzo per corrispondenza: Dott. Massimo Vignoli - Clinica Veterinaria dell’Orologio/Centro Oncologico Veterinario, Via Gramsci, 1/4, 40037 Sasso Marconi (BO), Italia - Tel. 051/841099 - Cell. 335/1310116 - E-mail: maxvignoli@alice.it

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POSTER I poster sono elencati in ordine alfabetico secondo il cognome dell’autore presentatore. Posters are listed in alphabetical order by surname and then in chronological order of presentation.


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LEISHMANIOSI: UNA PRESENTAZIONE DAVVERO ATIPICA! V. Abate, DMV1,2 Libero Professionista, Roma, Italy 2 Tierklinik Birkenfeld, Internal Medicine, Frankfurt, Germany 1

Tipologia: Caso Clinico Area di interesse: Leishmaniosi Introduzione. La Leishmaniosi è una malattia zoonotica trasmessa da vettori (gen. Phlebotomus )il cui agente patogeno è un protozoo del genere Leishmania; è una grave patologia sistemica che presenta una variabilità sintomatologica elevatissima. Descrizione del caso. Pongo è un setter inglese di anni 7, maschio, castrato; regolarmente vaccinato e trattato per ectoparassiti, portato in visita per una lesione nodulare sulla lingua. Alla visita il paziente non presenta alterazioni cliniche, T 39°C, leggero stato di agitazione, mucose rosee. Viene eseguito un ago aspirato della lesione, un esame emato-biochimico ed un’elettroforesi delle proteine. All’esame citologico il campione, fortemente ematico, sembra suggestivo di mastocitoma presso un laboratorio e di plasmocitoma, presso un altro. A livello ematologico si evidenzia leucocitosi e rialzo lieve delle alfa e delle gamma globuline (18% range max 17%). Si effettua anche un’ecografia addominale, per escludere il coinvolgimento di altri organi, che risulta nella norma. Si decide di asportare il nodulo e di eseguire un esame istologico più accurato, poco convinti della diagnosi citologica. Il campione viene inviato nuovamente in due laboratori e dopo un attento esame e diverse sezioni, si evidenziano inclusi di amastigoti di Leishmania. Viene eseguita la titolazione con una positività di 1:160 ed un esame delle urine con PU/CU che risulta lievemente alterato (0,6 range max 0,5). Il paziente dopo circa 5 giorni, già in terapia con antibiotici ad ampio spettro, presenta febbre T39,5°C, riluttanza al movimento e scarso appetito. Si decide di iniziare il protocollo anti-Leishmania con Antimoniali alla dose di 50 mg/kg BID e Allopurinolo alla dose di 10 mg/kg BID. Dopo 2 settimane di terapia il paziente è migliorato e non presenta sintomi; dopo 4 settimane si esegue un controllo ematologico, urinario ed ecografico. L’esame ematologico è nella norma (azotemia borderline), elettroforesi normale; il PU/CU invece è peggiorato (1,0) e si evidenzia la presenza di rari cristalli di xantina nelle urine. All’esame ecografico si evidenzia un nodulo di 1,2 cm, ipoecogeno, a livello di polpa splenica e piccole calcificazioni bilaterali renali. La terapia con Allopurinolo viene ridotta a 5mg/kg BID, si introduce un ACE inibitori e una dieta commerciale per patologia renale. L’antimoniale viene sospeso. La lesione splenica viene monitorata ogni 2 settimane per 2 mesi, ritenendola direttamente collegata alla Leishmaniosi o a fenomeni di tipo rigenerativo. Dopo due mesi, eco graficamente il nodulo non presenta variazioni di ecogenicità o ecostruttura suggestive di evoluzione, bensì si presenta aumentato di volume,di circa 2 cm di diametro. Si esegue un ago aspirato, purtroppo non diagnostico. Pongo intanto è aumentato di peso, non manifesta sintomi, emato-biochimico nella norma e PU/CU migliorato (0,5). Si decide di procedere con la splenectomia e successivo esame istologico. La diagnosi di laboratorio è di linfoma di I grado. Viene eseguita anche un’indagine radiografica del torace che risulta negativa. Il paziente a 6 mesi dalla prima diagnosi sembra completamente guarito: elettroforesi nella norma, assenza di sintomi o lesioni e la terapia viene sospesa. Dopo circa 2 mesi, Pongo viene portato in visita per uno scolo nasale monolaterale, mucoso e denso, disappetenza e abbattimento. All’esame citologico del materiale si evidenziano rari batteri (cocchi), rare cellule infiammatorie e materiale proteico sul fondo. Vengono eseguiti esami del sangue, elettroforesi, viene instaurata una terapia antibiotica con Enrofloxacina 5mg/kg SID ed effettuata un’endoscopia per escludere corpi estranei o neoformazioni (risultata negativa). L’elettroforesi si presenta di nuovo alterata con ipergammaglobulinemia marcata. Avendo escluso altre cause e, non rispondendo alla terapia antibiotica, si deduce che si tratti di una forma di rinite da Leishmania e si decide di cominciare un nuovo protocollo terapeutico, con Miltefosina 2 mg/kg per 4 settimane, data la presenza di calcificazioni renali. Dopo 1 mese dalla fine della terapia viene ripetuto un check up completo: esami del sangue, elettroforesi, urine PU/CU, ecografia addominale. Tutto nella norma, compreso un miglioramento significativo delle calcificazioni renali. Dopo 6 mesi dall’ultimo trattamento Pongo è in ottime condizioni; è ancora in terapia con Ace inibitori, dieta renale, e profilassi con Permetrina spot on ogni 3 settimane. Conclusioni. Il caso descritto sottolinea come la presentazione di questa malattia possa essere atipica, rendendo la diagnosi difficile e soprattutto come, le complicazioni associate alla patologia, influiscano sulla scelta e l'efficacia del trattamento. Bibliografia 1. 2. 3.

Leishmaniosi canina: recenti acquisizioni su epidemiologia, implicazioni cliniche, diagnosi, terapia e prevenzione. Autori Vari, Edizioni EV in collaborazione con il G.S.L.C (Gruppo di Studio sulla Leishmaniosi Canina) 2010. Ikeda-Garcia FA, Lopes RS, Ciarlini PC, et al. Evaluation of renal and hepatic functions in dogs naturally infected by visceral Leishmaniosis submitted to treatment with Meglumina Antimoniate. Res Vet Sci 2007. Oliva G, Gradoni C, et al. Multi-centre and controller clinical field study to evaluate the efficacy and safety of the combination of Miltefosin and Allopurinol in the treatment of canine Leishmaniosis. Vet Dermat. 2008.

Indirizzo per corrispondenza: Dott.ssa Viviana Abate - Libero Professionista, Roma, Via Quirino Majorana 178, 00152 Roma (RM), Italia Cell. 347/9539635 - E-mail: viv.a@inwind.it

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UN GRAVE CASO DI INTOSSICAZIONE DA NAPROSSENE IN UN CANE 1

M. Bucci, Dott. 1, P. Franci, Dott. 1, M. Isola, Prof. 1 CIRSOV Ospedale Veterinario Didattico, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi di Padova, Padova, Italia Tipologia: Caso Clinico Area di interesse: Medicina interna

Introduzione. Il naprossene è un antinfiammatorio non steroideo e benché non sia comunemente utilizzato nel cane, la letteratura presenta reports in cui sono descritti i suoi effetti collaterali nell’uso clinico1,2,3. Questo, a nostra conoscenza, è il primo case report che descriva gli effetti acuti di una così grave intossicazione da naprossene in un cane. Descrizione del caso. Amina, cane meticcio, femmina sterilizzata, età 10 anni, peso 30 kg, fu portata in visita perché da circa 24 ore era molto depressa, inappetente, anurica e aveva avuto due episodi di vomito. Per quattro giorni ad Amina era stata somministrata per errore una compressa da 550 mg di naprossene sodico (Synflex) ogni 12 ore. Alla visita era depressa, riluttante a muoversi, mucose asciutte, pallide e itteriche, TRC di 4 secondi, frequenza cardiaca 180 b min e 32 atti respiratori per minuto, temperatura corporea 39,6°C, NIBP 82/50-media 53 (metodo oscillometrico). L’addome era palpabile ma dolente. Subito dopo la visita sono stati eseguiti un’ecografia addominale, un esame emocromocitometrico, un profilo biochimico e coagulativo e un emogas analisi. L’esame ecografico addominale evidenziava un versamento addominale corpuscolato, un marcato aumento di spessore della parete gastrica e un’ipoecogenicità parenchimale del fegato. Il versamento, mostrava la presenza di numerosi granulociti neutrofili degenerati e batteri intracitoplasmatici. L’esame emocromocitometrico evidenziava un’anemia normocitica-normocromica (RBC 5,26 mil/μl, HCT 36,8%, HGB 12,0 mg/dL, MCV 70 fL, MCHC 33,5 g/dL), un leucogramma da consumo (WBC 4,3 x 1000/μl) con spostamento a sinistra e la presenza di neutrofili tossici. Il profilo biochimico mostrava un aumento della bilirubina (3,06 mg/dL), dell’urea (133 mg/dL), della creatinina (3,65 mg/dL), di AST (199 UI/L) e ALP (333 UI/L), del fosforo (10,5 mg/dL) e della proteina C reattiva (11,22 mg/dL). Il profilo coagulativo rivelava un aumento del tempo di protrombina (10,8 sec) e del tempo di tromboplastina parziale attivata (15,3 sec). L’emogas analisi evidenziava uno stato di acidosi metabolica (pH 7,29, pCO2 30 mmHg, HCO3- 14,4 mmol/L). Il sospetto diagnostico fu di peritonite settica con insufficienza renale acuta anurica ed epatopatia con ittero. La terapia comprese: una fluidoterapia continuativa, cefazolina 25mg kg-1 EV ogni 8 ore, metronidazolo 10 mg kg-1 EV ogni 24 ore, omeprazolo 1 mg kg-1 EV ogni 24 ore, maropitan 1 mg kg-1 SC ogni 24 ore. Una laparotomia esplorativa confermò la presenza dell’ulcera gastrica perforata che venne ridotta chirurgicamente. La grave ipotensione arteriosa fu trattata con dopamina a 6-10 μg kg-1 min. Questa, unitamente alla fluidoterapia permise il ripristino di una normale produzione di urina. Le condizioni di Amina migliorarono e dopo 10 giorni di degenza fu dimessa in buone condizioni di salute, sebbene fossero ancora presenti alcune alterazioni del profilo emato-biochimico: RBC 4,14mil/μL, IR 1.03, WBC 14,6 x 1000/μL, bilirubina 1,32 mg/dL, ALP 441 UI/L, albumine 1,9 mg/dL, RCP 2,03 mg/dL. Dopo 3 mesi, sebbene le condizioni cliniche fossero completamente ristabilite persisteva una lieve anemia normocitica-normocromica (RBC 5,34 mil/μL, HCT 35,5%, HGB 12,2 g/Dl, MCV 66,3 fL, MCHC 34,4 g/dL). Conclusioni. Negli Stati Uniti l’Animal Poison Control Center mette al primo posto i FANS come causa di intossicazione da farmaci negli animali domestici. Il naprossene può essere particolarmente tossico per il cane perché in questa specie ha un’emivita molto più lunga (45-92 ore) rispetto a quella che ha nell’uomo e i dosaggi terapeutici sono più bassi (1.2-2,8 mg Kg-1 die)4,5. Rispetto ai casi di intossicazione da naprossene riportati in letteratura il nostro presenta alcuni aspetti originali: la dose assunta (18,33 mg kg-1 di naprossene ogni 12 ore pari a 36,66 mg kg-1 al giorno per 4 giorni consecutivi), la rapidità e la gravità con cui è insorta la sintomatologia e l’anemia scarsamente rigenerativa che si è protratta almeno fino a 3 mesi dall’assunzione del naprossene. L’anemia è stata descritta come effetto collaterale dell’ulcerazione gastrica in seguito all’assunzione dei FANS, quale risultato del sanguinamento dell’ulcera6. Nel nostro caso l’anemia non sembra essere ascrivibile a una forma emorragica, vista la scarsa presenza di sangue nel versamento addominale, l’assenza di melena post-operatoria, la modesta attività reticolocitaria (IR 1,03), la diminuzione del numero di globuli rossi a dieci giorni dall’intossicazione e la persistenza dell’anemia dopo 3 mesi. A nostro avviso è presumibile pensare che l’anemia scarsamente rigenerativa, sia espressione, almeno in parte, di un danno diretto al midollo osseo in accordo con quanto descritto per altri FANS7. È interessante segnalare come all’origine dell’intossicazione vi fu l’errore del farmacista che, nonostante la prescrizione chiaramente leggibile, consegnò ai proprietari di Amina il Synflex anziché il Synulox. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.

Gfeller RW, Sandors AD. J Am Vet Med Ass. 1991;198(4):644-646 Daehler MH. J Am Vet Med Ass. 1986;189(6):694-695. Gilmour MA, Walshaw R.. J Am Vet Med Ass. 1987;191(11):1341-1432 Frey HH, Rieh B. Am J Vet Res. 1981;42(9):1615-1617. Zeck R, et al. Arch Int Pharmacodyn Ther. 1993;325:113-28 Stanton ME, Bright RM. J Vet Intern Med. 1989;3:238-244. Weiss DJ, Klausner JS. J Am Vet Med Assoc. 1990; 196(3):472-475.

Indirizzo per corrispondenza: Dott. Massimo Bucci, Via V. Pinelli 12, 35124 Padova (PD), Italia - Cell 347/9504729 - E-mail massimobucci@inwind.it

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CRYSTAL VIOLET STAIN FOR ACETATE TAPE IDENTIFICATION OF MICROSPORUM CANIS MACROCONIDIA L. Cornegliani, dr. dipl ECVD 1, S. Colombo, dr. dipl ECVD 2, A. Vercelli, dr. dipl Ces Derm 1 1 Ambulatorio veterinario associato, Torino, Italia 2 Via Felice Musazzi 21, Legnano (MI), Italia Work type: Original Research Topic: Dermatology Purpose of the work. Identification of Microsporum canis macroconidia cultured on Sabouraud’s agar is usually performed using acetate tape impression stained with Lactophenol Blue (LB). Crystal Violet (CV), the first component of Gram stain, is able to stain Malassezia yeasts with intense purple colour, thus improving our ability to detect yeasts. The aim of this study was to compare CV stain to LB stain in respect to their ability to detect Microsporum canis macroconidia on acetate tape impressions from culture plates. Materials and used methods. Ten Sabouraud’s agar plates inoculated with Microsporum canis were selected. From each plate, two acetate tapes were obtained from the centre and the periphery of dermatophytes colonies. Two drops of CV were put on a glass slide and covered by acetate tape. The excessive amount of stain was removed by pressing the tape on the slide with a piece of paper. The same procedure was carried out for LB. The slides stained with either CV or LB were microscopically examined in a blinded fashion. Ten high power fields (40X) were evaluated for each slide and macroconidia were counted. Calculation was executed with SPSS17 using paired sample T test; a P value <0.05 was considered significant. Outcomes. The mean number of macroconidia/high power field was calculated for each group of slides, and results were similar (mean for CV: 17.7; mean for LB: 17.5). Paired sample T test resulted with a P value >0.05.The difference between the two groups was not significant and data obtained were comparable. Conclusions. The use of CV stain was proven to be reliable, quick and easy to perform and comparable to LB stain. The main advantage of CV over LB was related to the colour intensity of CV stain, that may improve the microscopic detection and identification of macroconidia. Bibliography Van Cutsem J. Rochette F: Mycoses in domestic animals. Janssen Research Foundation, 1991. p31. Quinn P.J., Carter M.E., Markey B., Carter G.R.: Clinical Veterinary Microbiology, Wolfe 1998, p. 617. Cornegliani L, Vercelli A: Uso della colorazione Cristal violetto per l’identificazione dei lieviti appartenenti al genere Malassezia in dermatologia veterinaria. Veterinaria 1, 19-22, 2004.

Corresponding Address: Dott.ssa Luisa Cornegliani, ambulatorio veterinario associato, 10135 Torino (To), Italia Cell. 338/8536035 - E-mail: lcornegliani@libero.it

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5 CASI CLINICI DI TRICOMALACIA MIDOLLARE NEL PASTORE TEDESCO G. Ghibaudo, Dott. Med. Vet. 1, F. Albanese, Dott. Med. Vet. 2, L. Bomben, Dott. Med. Vet. 3, G. Pasquinelli, Dott. Med. 4 1 Clinica Veterinaria Malpensa, Samarate (VA), Italia 2 Clinica Veterinaria L’Arca, Napoli (NA), Italia 3 Clinica Veterinaria Madonna di Rosa, San Vito Al Tagliamento (PN), Italia 4 Ospedale S. Orsola, Bologna (BO), Italia Tipologia: Caso Clinico Area di interesse: Dermatologia Introduzione. Le anomalie del fusto pilifero, sebbene rare nella specie canina, sono state riportate in corso di vari disordini dermatologici: la tricoressi nodosa, la tricoptilosi, le displasie legate al colore del mantello e più recentemente la tricomalacia midollare. Descrizione del caso. Cinque cani di razza pastore tedesco, 4 maschi e una femmina, di età compresa tra 1 e 8 anni e provenienti da diverse zone d’Italia, sono stati portati alla visita dermatologica per la presenza di aree di mantello, di ampiezza variabile, caratterizzate dalla riduzione della lunghezza del pelo in sede interscapolare e/o sul dorso; ad una osservazione macroscopica i peli primari si presentavano fratturati e quindi più corti. A parte il problema dermatologico i cani non manifestavano altre lesioni cliniche o sintomi sistemici. In tutti i soggetti le alterazioni del mantello sono state osservate nel periodo primaverile. Sono stati effettuati raschiati cutanei superficiali e profondi multipli, l’esame con lampada di Wood, l’esame microscopico del pelo ed un esame colturale micologico (terreno DTM- Sabouraud) che hanno dato esito negativo per la ricerca di ectoparassiti e dermatofiti. I peli campionati per l’esame microscopico non si asportavano con facilità. L’esame del pelo al microscopico ottico ha evidenziato la presenza di marcate alterazioni del midollo caratterizzate da vacuolizzazioni di diverse dimensioni nonché numerose fratture longitudinali del fusto pilifero che conferivano al pelo un aspetto sfrangiato. Le fratture longitudinali si presentavano sia singole al centro del pelo ed estese per brevi tratti, sia multiple separando il fusto in più frammenti lineari e paralleli. Per meglio caratterizzare le alterazioni evidenziate al microscopio ottico, sia i peli patologici che quelli normali di uno dei cinque soggetti, sono stati, previa identificazione allo stereo-microscopio, sottoposti ad indagine ultrastrutturale mediante microscopia elettronica a scansione (SEM). La SEM dei peli patologici ha confermato la presenza di fratture longitudinali ed ha inoltre evidenziato sottili fenditure longitudinali sulla cuticola che rappresentano zone di minore resistenza in corrispondenza delle quali si verifica la frattura del pelo. La SEM delle sezioni trasversali del pelo, come osservato all’esame con microscopio ottico, ha confermato la presenza di marcate alterazioni morfologiche della midollare caratterizzate da vacuoli di dimensioni variabili e di forma anomala rispetto a quelli presenti nei peli sani esaminati; inoltre sono state evidenziate fessurazioni che, dalla periferia della midollare, si estendevano alla regione corticale fino a raggiungere la cuticola. In base al segnalamento, al quadro clinico ed alle indagini di microscopia elettronica è stata emessa diagnosi di tricomalacia midollare del pastore tedesco. In tutti i soggetti si è verificata la risoluzione spontanea delle lesioni nell’arco di alcuni mesi e in 3 soggetti si è verificata una recidiva l’anno successivo. Conclusioni. La tricomalacia midollare è un’entità clinica di cui ci sono solo poche segnalazioni in letteratura e che interessa esclusivamente cani di razza pastore tedesco, giovani/adulti senza predisposizione di sesso. Da un punto di vista anatomopatologico, la condizione interessa esclusivamente il fusto pilifero in cui si verifica un aumento volumetrico dei vacuoli della midollare cui consegue una riduzione della loro consistenza (malacia), da cui il termine “tricomalacia”. Gli esiti di questa grave alterazione anatomica della midollare sono la frattura del fusto pilifero che tende a separarsi lungo il suo asse longitudinale ed a spezzarsi ad altezze diverse. Dette alterazioni del fusto pilifero si esprimono clinicamente con lesioni multifocali caratterizzate da peli più corti rispetto a quelli delle aree adiacenti sane e che pertanto fanno assumere alle aree interessate dal problema una falso quadro di alopecia. Le lesioni interessano principalmente i peli localizzati nell’area interscapolare e dorsale del tronco. La cute sottostante non è infiammata e gli animali non presentano prurito. La causa della tricomalacia è ad oggi ancora sconosciuta ma la sua esclusiva osservazione in cani di razza pastore tedesco e nel periodo primaverile, suggeriscono possibili influenze genetiche ed ambientali stagionali. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6.

Ghibaudo G., Pasquinelli G. Tricomalacia midollare in un cane pastore tedesco. Summa. Numero 3, pag. 57-60, Aprile 2010. Hargis AM, Brignac MM, Al-Bagdadi AK, Muggli F, Mundell A.: Black hair follicular dysplasia in black and white Saluki dogs: differentiation from color mutant alopecia in the Doberman pinscher by microscopic examination of hairs. Vet Dermatol; 2:69–83. 1991. Miller WH Jr.: Colour dilution alopecia in Doberman pinschers with blue or fawn coat colours: a study on the incidence and histopathology of this disorder. Vet Dermatol; 1:113–122. 1990. Scott DW, Miller WH Jr, Griffin CE.: Muller & Kirk’s Small Animal Dermatology VI. Philadelphia: WB Saunders, 2001, pp 108–1124. Scott DW, Rothstein E.: Trichoptilosis in 3 golden retrievers. Canine Pract; 23:14–16. 1998. Tieghi C., Miller W.H.Jr, Scott D.W., Pasquinelli G.: Medullary trichomalacia in 6 German shepherd dogs. Can Vet J Volume 44,: 132-136. 2003.

Indirizzo per corrispondenza: Dott. Giovanni Ghibaudo - Clinica Veterinaria Malpensa, Via A. De Gabrielli, 19, 61032 Fano (PU), Italia Cell 340/1577480 - E-mail gioghi1@alice.it

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STAPHYLOCOCCUS PSEUDINTERMEDIUS RESISTENTE ALLA METICILLINA: QUALCOSA DI PIÙ DI UN SEMPLICE STAFILOCOCCO DEL CANE RESISTENTE AI β-LATTAMICI 1

L. Guardabassi, Prof. 1, G. Ghibaudo, Dott. Med. Vet. 2 Department of Veterinary Disease Biology, Faculty of Life Sciences, University of Copenhagen, Frederiksberg C, Danimarca 2 Clinica Veterinaria Malpensa, Samarate (VA), Italia Tipologia: Ricerca Originale Area di interesse: Dermatologia

Scopo del lavoro. L’obiettivo del lavoro era quello di valutare la prevalenza di portatori sani di ceppi meticillino-resistenti di Staphylococcus aureus (MRSA) e Staphylococcus pseudintermedius (MRSP) nei medici veterinari. Gli autori prendono spunto dai risultati del lavoro per fare una valutazione complessiva delle anomalie genetiche ed epidemiologiche dei cloni di MRSP che sono recentemente emersi nella popolazione canina in Europa1. Materiali e metodi. In occasione del congresso annuale della SIDEV tenutosi a Cremona nel maggio del 2010, tamponi nasali prelevati da 128 veterinari furono analizzati usando procedure standard per l’isolamento selettivo e l’identificazione di stafilococchi tramite test fenotipici e PCR2. DNA estratto da S. aureus e S. pseudintermedius fu utilizzato per amplificare il target genetico responsabile per la resistenza alla meticillina (mecA)3 nonché per la tipizzazione molecolare tramite il metodo “spa typing” e multilocus sequence typing (MLST)1, 4-5. Limitatamente ai ceppi meticillino-resistenti, la sensibilità agli antibiotici fu testata a mezzo di microdiluzione in brodo6. Risultati. Dei 128 veterinari partecipanti allo studio, 34 (27%) risultarono positivi a S. aureus e 5 (4%) a S. pseudintermedius. Fra i 34 individui positivi allo S. aureus, solo 2 (2%) erano portatori di MRSA. In contrasto, tutti gli individui positivi allo S. pseudintermedius erano portatori di MRSP. I cinque ceppi MRSP appartenevano ai cloni ST71 e ST160, che sono stati precedentemente associati a casi d’infezione nel cane. Due portatori di MRSP furono sottoposti ad un nuovo campionamento e risultarono essere ancora positivi a distanza di un mese. Mentre gli MRSA erano sensibili a tutti gli antibiotici non appartenti al gruppo dei ß-lattamici, gli MRSP erano resistenti alla clindamicina, l’eritromicina e i sulfamidici potenziati in aggiunta ai ß-lattamici. Inoltre i ceppi appartenti al clone ST71 erano ulteriormente resistenti all’amikacina, la gentamicina, l’enrofloxacina e la marbofloxacina. Conclusioni. Sorprendentemente gli MRSP sono più frequenti colonizzatori della cavità nasale dei medici veterinari e più resistenti agli antibiotici rispetto agli MRSA, che sono microrganismi multiresistenti adattati all’ospite umano. La prevalenza del 4% di MRSP osservata in questo campione di veterinari dermatologi è inaspettatamente elevata in base ai seguenti fattori: i) l’occorrenza di S. pseudintermedius nell’uomo è rara; ii) gli MRSP sono emersi di recente nel cane (furono riportati per la prima volta in Europa nel 2006); e iii) apparentemente nessuno dei veterinari risultò essere portatore di ceppi sensibili alla meticillina. Questi risultati avvalorano l’ipotesi che i cloni di MRSP che si stanno diffondendo nella popolazione canina abbiano proprietà genetiche ed epidemiologiche particolari rispetto ai ceppi meticillino-sensibili normalmente presenti nel cane. Il lavoro suggerisce che i veterinari specializzati nella dermatologia dei piccoli animali sono una categoria a rischio per la colonizzazione da MRSP. Vista la rapida diffusione di questi batteri e il crescente numero d’infezioni riportate nell’uomo7-9, lo sviluppo e l’attuazione di misure specifiche per il controllo delle infezioni ospedaliere da MRSP è diventato un elemento di primaria importanza sia per prevenire l’occorrenza d’infezioni ospedaliere nei pazienti che per ridurre i rischi di transmissione zoonosica nel personale veterinario. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9.

Perreten, V., K. Kadlec, S. Schwarz et al. 2010: Clonal spread of methicillin-resistant Staphylococcus pseudintermedius in Europe and North America: an international multicentre study. J. Antimicrob. Chemother. 65, 1145-54. Sasaki, T., S. Tsubakishita, Y. Tanaka et al. 2010: Multiplex-PCR method for species identification of coagulase-positive staphylococci. J. Clin. Microbiol. 48, 765-9. Zhang, K., J. Sparling, B. L. Chow et al. 2004: New quadriplex PCR assay for detection of methicillin and mupirocin resistance and simultaneous discrimination of Staphylococcus aureus from coagulase-negative staphylococci. J. Clin. Microbiol. 42, 4947-55. Harmsen, D., H. Claus, W. Witte et al. 2003: Typing of methicillin-resistant Staphylococcus aureus in a university hospital setting using a novel software for spa-repeat determination and database management. J. Clin. Microbiol. 41, 5442-5448. Moodley, A., M. Stegger, N. L. Ben Zakour et al. 2009: Tandem repeat sequence analysis of staphylococcal protein A (spa) gene in methicillin-resistant Staphylococcus pseudintermedius. Vet. Microbiol. 135, 320–6. Clinical and Laboratory Standards Institute (CLSI) 2008: CLSI approved standard supplement M31-A3. In Performance standards for antimicrobial disk and dilution susceptibility tests for bacteria isolated from animal. Wayne (PA). Campanile, F., D. Bongiorno, S. Borbone et al. 2007: Characterization of a variant of the SCCmec element in a bloodstream isolate of Staphylococcus intermedius. Microb. Drug Resist. 13, 7-10. Kempker, R., D. Mangalat, T. Kongphet-Tran, and M. Eaton, 2009: Beware of the pet dog: a case of Staphylococcus intermedius infection. Am. J. Med. Sci. 338, 425–7. Stegmann, R., A. Burnens, C. A. Maranta, and V. Perreten, 2010: Human infection associated with methicillin-resistant Staphylococcus pseudintermedius ST71. J. Antimicrob. Chemother. 65, 2047-8.

Indirizzo per corrispondenza: Prof. Luca Guardabassi - Department of Veterinary Disease Biology, Faculty of Life Sciences, University of Copenhagen, Stigbøjlen 4, 1870 Frederiksberg (C), Danimarca - Tel +45-35332745 - +45-35332745 - E-mail lg@life.ku.dk

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UN CASO DI EHRLICHIOSI FELINA 1

F. Ibba, DVM 1 Libero Professionista, Capoterra, Italia Tipologia: Caso Clinico Area di interesse: Medicina interna

Introduzione. Ehrlichia è un genere di batteri appartenente all’ordine Rickettsiali trasmesso da artropodi. L’infezione da Ehrlichia Canis è stata ampiamente descritta nel cane, mentre segnalazioni nel gatto sono state riportate solo più recentemente negli Stati Uniti, in Francia, in Brasile, in Svezia, e in Spagna. Il caso presentato riguarda un gatto comune europeo la cui infezione da ehrlichia canis è stata dimostrata mediante tecniche di biologia molecolare. Si tratta, a nostra conoscenza, del primo caso descritto in Italia. Descrizione del caso. Il caso riguarda Mio, un gatto comune europeo maschio castrato, di un anno e mezzo di età, casalingo ma residente in vicinanza di un maneggio nei dintorni di Cagliari, in Sardegna. Il gatto era stato regolarmente sottoposto a un piano vaccinale non comprendente FeLV, mentre l’applicazione di antiparassitari era solo saltuaria. Il gatto fu portato a visita per anoressia, riluttanza al movimento e comportamento insolitamente aggressivo. Alla visita si potevano rilevare modica linfoadenomegalia, ipertermia elevata (41°C), iperestesia diffusa, particolarmente appendicolare e paraspinale. La citologia linfonodale rivelava una iperplasia reattiva aspecifica. In base all’anamnesi riportata dai proprietari venne inizialmente ipotizzato un episodio traumatico e il gatto venne sottoposto a terapia antibiotica (amoxicillina/clavulanato) e antiinfiammatoria (prednisolone). Il giorno dopo, visto il perdurare dell’ipertermia e della dolorabilità diffusa è stato ritenuto opportuno indagare più approfonditamente il caso. La terapia antibiotica veniva proseguita per due giorni fino all’ottenimento dei risultati degli esami di laboratorio, con l’aggiunta di clindamicina, la terapia steroidea veniva invece scontinuata e sostituita con un FANS (meloxicam), senza ottenere nessun miglioramento clinico. L’emocromo mostrava leucocitosi moderata sostenuta da un aumento numerico dei neutrofili, che allo striscio mostravano frequenti segni di tossicità, e soprattutto trombocitopenia confermata dalla stima microscopica. L’MPV risultava aumentato. Radiografie del torace escludevano la presenza di danni scheletrici e di alterazioni intratoraciche, in addome si evidenziava soltanto coprostasi legata verosimilmente alla riluttanza al movimento. Viene eseguito anche un profilo biochimico che mostra parametri epatorenali nella norma, nessuna alterazione del quadro elettrolitico, e un marcato aumento del CPK. L’esame delle urine mostrava un peso specifico di 1040, sedimento inattivo, ma PU/CU elevato (0,74). L’elettroforesi delle sieroproteine appariva alterata con picchi in alfa2 e in beta. Il gatto è stato testato per FIV e FeLV, che sono risultate negative, e per Toxoplasmosi, ugualmente negativa (IgM e IgG). La PCR su sangue in EDTA ha invece permesso di identificare la presenza di Ehrlichia Canis. In conseguenza di ciò si è optato per la somministrazione di doxiciclina alla dose di 10mg/Kg BID. Dal giorno dopo la prima somministrazione la sintomatologia scompare quasi completamente, il gatto ricomincia ad alimentarsi e a muoversi. La guarigione è completa dal terzo giorno. Conclusioni. Sebbene infrequente, l’infezione del gatto da parte di Ehrlichia Canis andrebbe inserita nelle diagnosi differenziali di gatti affetti da febbre e iperestesia, che appare il quadro sintomatologico più comunemente riportato in letteratura. La trombocitopenia pare invece più frequente in presenza di Anaplasma Phagocytophilum, ma nel caso da noi riportato ha costituito invece un importante reperto clinicopatologico che ha suggerito l’inserimento dell’ehrlichiosi felina, nonostante la sua relativa rarità, in diagnosi differenziale. Rimarchevole anche l’assoluta assenza di anemia. Prima di questo non ci risultano segnalati in Italia altri casi di malattia felina sicuramente attribuibili a Ehrlichia Canis. Bibliografia Assessment of feline ehrlichiosis in central Spain using serology and a polymerase chain reaction technique. Aguirre E, Tesouro MA, Amusategui I, RodríguezFranco F, Sainz A. Ann N Y Acad Sci. 2004 Oct;1026:103-5. Ehrlichia canis as an infectious agent in cats. Ortuno A, Gauss CB, Garcia F, Gutierrez JF. J Vet Med B Infect Dis Vet Public Health. 2005 Jun;52(5):246-8. Problem-based feline medicine. Jacquie Rand. 2006, pagine 547-548 (Michael Lappin). Molecular evidence supporting Ehrlichia canis-like infection in cats. Breitschwerdt EB, Abrams-Ogg AC, Lappin MR, Bienzle D, Hancock SI, Cowan SM, Clooten JK, Hegarty BC, Hawkins EC. J Vet Intern Med. 2002 Nov-Dec;16(6):642-9.

Indirizzo per corrispondenza: Dott. Fabrizio Ibba - Ambulatorio Veterinario Dr. Ibba Fabrizio Strada 40 N. 5, Località Poggio Dei Pini, 09012 Capoterra (CA), Italia Tel 070/725552 - Cell 3339116263 - E-mail palmasoriano@tiscali.it

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EFFETTO DELL’ADELMIDROL VEICOLATO IN COMPLESSO TGP (TRANSCUTOL E GLICOLE PROPILENICO) NELL’INFIAMMAZIONE CRONICA CUTANEA M. T. Cipriano, MSc 1, D. De Filippis, MSc, PhD 1, D. V. Maria Federica, MSc (Biol) 2, T. Iuvone, MSc, PhD 1 1 Endocannabinoid Research Group, Dipartimento di Farmacologia Sperimentale, Facoltà di Farmacia, Università di Napoli Federico II, Napoli, Italy 2 Centro di Documentazione e Informazione Scientifica (CeDIS) Innovet, Milano, Italy Tipologia: Ricerca Originale Area di interesse: Dermatologia Scopo del lavoro. Adelmidrol è un analogo della palmitoiletanolamide, dotato di caratteristiche fisico-chimiche che lo rendono particolarmente adatto all’applicazione topica. Precedenti studi hanno dimostrato che il trattamento locale con adelmidrol modula la degranulazione dei mastociti cutanei di cane (1), ed esercita effetto antinfiammatorio, riducendo il rilascio di mediatori mastocitari, in un noto modello sperimentale di infiammazione cronica (2). In clinica, l’applicazione topica di adelmidrol 2% si è dimostrata attiva nel ridurre segni e sintomi di dermatite atopica in pazienti pediatrici (3). La permeazione trans-epidermica e la permanenza nel sito di applicazione sono fattori cruciali per il successo di una terapia topica. Transcutol è un solvente biocompatibile che, specie se utilizzato insieme a co-solventi, quali il glicole propilenico, è in grado di: (A) incrementare notevolmente la penetrazione trans-epidermica dei principi attivi contenuti in formulazione; (B) creare una sorta di serbatoio del principio attivo nel sito di applicazione (4,5). Scopo del presente lavoro è quello di valutare l’effetto dell’applicazione topica di adelmidrol veicolato in TGp (Transcutol e glicole propilenico) e confrontarlo con l’effetto di adelmidrol iniettato direttamente nel sito infiammatorio, in un modello sperimentale di infiammazione cronica: il granuloma da carragenina. Materiali e metodi. Tutti gli esperimenti sono stati condotti su ratti maschi Wistar, di 200-220 g di peso, nel rispetto delle direttive del Consiglio della Comunità Europea, ed in ottemperanza al progetto approvato dagli organi competenti. Agli animali (n= 6-8 per ciascun gruppo) sono state impiantate sottocute e sul dorso, in anestesia generale, due spugnette in poliestere sterili, di peso e dimensioni costanti, imbevute di lambda-carragenina (1% p/v). Subito dopo l’impianto, un gruppo di animali è stato trattato con una singola applicazione topica di adelmidrol 2% in TGp, in corrispondenza della spugnetta (50 microl/cm2). Un secondo gruppo ha ricevuto adelmidrol 2% sciolto in acqua distillata, iniettato direttamente nella spugnetta (20 mg/ml/100microl). L’applicazione topica di TGp e l’iniezione di acqua distillata nella spugnetta sono serviti come controllo. Il tessuto granulomatoso formatosi intorno alla spugnetta è stato rimosso 96 ore dopo l’impianto ed è stato pesato. Il peso del granuloma, inteso come misura della sua formazione e dunque della risposta infiammatoria, era l’endpoint primario dello studio. L’elaborazione statistica dei risultati è stata effettuata mediante l’analisi della varianza ad una via ANOVA ed il test di Bonferroni per i confronti multipli. Un valore di P minore di 0,05 è stato assunto come statisticamente significativo. Risultati. La singola applicazione topica di adelmidrol in TGp riduceva la formazione del granuloma del 48% rispetto al granuloma non trattato. L’effetto era statisticamente significativo (P<0,01). L’applicazione del veicolo (TGp) non aveva effetto significativo sul peso del granuloma. L’effetto antinfiammatorio esercitato dall’applicazione di adelmidrol in TGp è risultato paragonabile a quello ottenuto con adelmidrol sciolto in acqua ed iniettato direttamente nella spugnetta. Tale trattamento riduceva la formazione del granuloma del 42% rispetto al granuloma non trattato (P<0,01). Conclusioni. I risultati ottenuti dimostrano che il veicolo TGp conferisce all’adelmidrol, applicato per via topica, un effetto antinfiammatorio sovrapponibile a quello ottenuto iniettando adelmidrol direttamente nel sito infiammatorio. Ciò presumibilmente dipende dalle caratteristiche funzionali di questo veicolo. Il complesso TGp, infatti, è in grado di aumentare la permeazione e, contemporaneamente, l’accumulo di adelmidrol nel sito di applicazione (4,5). I risultati suggeriscono l’utilità dell’applicazione topica di formulazioni contenenti adelmidrol in TGp in quei disordini cutanei caratterizzati da processi infiammatori cronici, come, ad esempio, la dermatite atopica. Ulteriori studi sono in corso per paragonare l’effetto dell’applicazione topica di adelmidrol in TGp versus applicazione topica di adelmidrol in acqua. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5.

Abramo F et al. Mast cell morphometry and densitometry in experimental skin wounds treated with a gel containing adelmidrol: a placebo controlled study. Wounds. 2008;20(6):149-57. De Filippis D et al. Adelmidrol, a palmitoylethanolamide analogue, reduces chronic inflammation in a carrageenin-granuloma model in rats. J Cell Mol Med. 2009;13(6):1086-95. Pulvirenti N et al. Topical adelmidrol 2% emulsion, a novel aliamide, in the treatment of mild atopic dermatitis in pediatric subjects: a pilot study. Acta Dermatovenerol Croat. 2007;15(2):80-3. Godwin DA et al.Influence of Transcutol CG on the skin accumulation and transdermal permeation of ultraviolet absorbers. Eur J Pharm Biopharm. 2002; 53(1):23-7. Yazdanian M, Chen E. The effect of diethylene glycol monoethyl ether as a vehicle for topical delivery of ivermectin. Vet Res Commun. 1995;19(4):309-19.

Indirizzo per corrispondenza: Dott.ssa Teresa Iuvone - Università Degli Studi Di Napoli Federico Ii Dipartimento Di Farmacologia Sperimentale, Via Domenico Montesano, 49, 80131 Napoli (NA), Italia - E-mail iuvone@unina.it

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TRE CASI CLINICI DI FERITE TRAUMATICHE DELLA TESTA E DEL COLLO NEL CANE: CICATRIZZAZIONE PER SECONDA INTENZIONE D. Barlocco, DVM, LP 1, B. Borrani, DVM, LP 2, P. Pasini, DVM, LP 3, A. Miolo, DM 4 1 Libero Professionista, Genova, Italy 2 Libero Professionista, Città di Castello (Perugia), Italy 3 Libero Professionista, Casier (Treviso), Italy 4 Centro di Documentazione e Informazione Scientifica (CeDIS) Innovet Italia Srl, Saccolongo (Padova), Italy Tipologia: Caso Clinico Area di interesse: Chirurgia Introduzione. I traumi esogeni (es. investimenti, morsi) sono causa frequente di ferite nel cane e nel gatto1. Non tutte queste lesioni sono però uguali, e la loro gestione terapeutica viene scelta in base alla valutazione di fattori tra cui l’entità della contaminazione microbica e della perdita di cute e tessuti molli, la presenza di necrosi, il grado del danno vascolare e l’esposizione di strutture di importanza critica come nervi ed ossa2. Varie tecniche di chirurgia complessa (es. lembi o innesti cutanei) rappresentano opzioni molto valide, ma, specie nel caso di ferite sporche ed infette, si opta per un trattamento a ferita aperta prima di un’eventuale ricostruzione3,4. La guarigione per seconda intenzione viene solitamente coadiuvata da agenti topici, atti a promuovere le fasi di formazione del tessuto di granulazione, riepitelizzazione e contrazione, essenziali per il buon andamento di questa opzione di chiusura5,6. Di seguito si descrivono 3 casi di ferite traumatiche nel cane, a carico della testa e del collo, gestite come lesioni aperte con l’utilizzo topico di un gel riepitelizzante a base di adelmidrol (2%) (Repy®gel, Innovet), associato, in 2 dei 3 casi, ad un dressing interattivo occlusivo non aderente, formulato come idrogel a base di glicerina (Repy®dress, Innovet). Descrizione del caso. Caso 1. Un segugio italiano a pelo forte, maschio, di 5 anni, viene portato a visita per ferita da morso estesa a gran parte del muso, con ingente perdita di sostanza, infezione e necrosi. Dopo revisione chirurgica, lavaggio e disinfezione della ferita, si applica il dressing non aderente, mantenuto in situ da un bendaggio flessibile non compressivo, e sostituito ogni 3 giorni per i primi 14 giorni e, in seguito, una volta alla settimana. Viene iniziata antibioticoterapia con cefadroxil (20 mg/kg/os/bid/30gg). Al quinto giorno, in coincidenza della comparsa del letto di granulazione, si associa al dressing il gel riepitelizzante contenente adelmidrol, applicato due volte al giorno fino a cicatrizzazione completa. In 40ma giornata, si effettua la sutura dei due lembi in cui risultava diviso il labbro superiore sinistro. Dopo 2 mesi, si osserva la restituito ad integrum dell’area lesa. Caso 2. Un cane meticcio, maschio, di 6 anni, viene condotto a visita per una profonda ed estesa ferita da morso nella regione del collo, a margini non giustapposti e notevole grado di infezione e necrosi. Dopo revisione chirurgica e pulizia, si procede all’applicazione topica giornaliera del gel riepitelizzante. Il paziente è sottoposto ad antibioticoterapia con ceftriaxone 30 mg/kg/IM/12h e, poi, con cefadroxil 20 mg/kg/os/bid/10gg. Dopo 15 giorni, si osserva la comparsa di un letto di granulazione regolare ed omogeneo e, dopo 21 giorni, la ferita si presenta notevolmente ridotta per marcata contrazione. Dopo 50 giorni, si osserva la formazione di una cicatrice piana, senza segni di retrazione rispetto ai piani sottostanti. Caso 3. Uno Shih-Tzu, femmina, di 11 anni, viene condotto a visita per un ampio ascesso, formatosi tra la base dell’orecchio destro e l’angolo laterale dell’occhio destro, in seguito ad un morso trascurato. Tre giorni dopo il drenaggio, la zona interessata si presenta notevolmente necrotica ed infetta, anche per la presenza di una concomitante infezione auricolare da Malassezia. Dopo la rimozione dell’escara, si procede ad applicazione giornaliera del gel riepitelizzante associato al dressing non aderente, per favorire il controllo della produzione essudativa. Il paziente è sottoposto ad antibioticoterapia (clindamicina, 11 mg/kg/os/die/15 gg). Dopo 2 settimane, l’area lesa si presenta notevolmente ridotta e ricoperta di tessuto di granulazione omogeneo per colore e struttura. La contrazione della ferita si completa nell’arco di 40 giorni. Conclusioni. I 3 casi clinici descritti illustrano i risultati ottenuti con l’utilizzo di agenti topici nella guarigione per seconda intenzione di ferite traumatiche del cane. L’azione del gel riepitelizzante è da imputarsi ad adelmidrol: un’aliamide ad applicazione topica, in grado di regolare la funzionalità del mastocita cutaneo7,8, una cellula direttamente implicata nel controllo delle fasi cicatriziali9,10. Nei casi 1 e 3, l’associazione del gel con un dressing interattivo non aderente si è rivelata utile nel mantenere la corretta idratazione ed umidità del letto della ferita,da una parte, e controllare l’eccessiva produzione di essudato, dall’altra. In conclusione, con la nostra esperienza abbiamo osservato l’utilità degli agenti topici impiegati, in termini di supporto alla guarigione per seconda intenzione, unitamente alla loro minima invasività, semplicità di applicazione e basso impatto economico sul proprietario. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10.

Fowler D, Williams JM. Manual of canine and feline wound management reconstruction. BSAVA Manual ed., 1999 AmalsadvalaT, Swaim SF. Vet Clin North Am Small Anim Pract. 2006; 36(4):693-711 Swaim SF. Proceedings 5th VWHA Meeting. 2001, May 10-12, Hannover Pope ER. Vet Clin North Am Small Anim Pract. 2006; 36(4):793-817 Swaim SF. Tijdschr Diergeneeskd. 1987; 112(Suppl 1): 41S-47S Fahie MA, Shettko D. Vet Clin North Am Small Anim Pract. 2007; 37(3):559-77 Abramo F et al. Wounds. 2008; 20(6): 149-57 De Filippis D et al. J Cell Mol Med. 2009; 13(6): 1086-95 Noli C, Miolo A. Vet Dermatol. 2001; 12: 303-13 Ng MF. Int Wound J. 2010; 7(1):55-61

Indirizzo per corrispondenza: Dott.ssa Alda Miolo - Cedis – Centro di Documentazione e Informazione Scientifica Innovet Italia S.R.L. Veterinary Innovation, Via Einaudi 13, 35030 Saccolongo (PD), Italy - Tel 049 80 15 583 - Cell 346 804 5730 - E-mail cedis@innovet.it

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CALCOLOSI URETERALE DELLA CAVIA (CAVIA PORCELLUS) E TRATTAMENTO CHIRURGICO: BREVE STORIA DI UN SUCCESSO S. Rota, DVM 1, L. Tarricone, DVM 2 1 Libero Professionista, Roma, Italia 2 Ambulatorio Veterinario Dott. Tarricone, Polesella (RO), Italia Tipologia: Caso Clinico Area di interesse: Animali esotici Introduzione. Nella cavia la formazione di calcoli urinari è relativamente comune e la frequenza di tale patologia si rivela più elevata nelle cavie di età superiore ai due anni e mezzo e nelle femmine. I calcoli si possono localizzare a livello ureterale, renale, vescicale o uretrale. Per quanto concerne i segni clinici, questi dipendono dalla localizzazione e dalla grandezza dei calcoli: quelli nel basso tratto urinario, vescica e uretra, possono essere associati ad ematuria, stranguria e disuria, quelli ureterali provocano notevole algia e i segni clinici più evidenti possono appalesarsi con inappetenza e ridotta attività. La diagnosi si basa sull’esame radiografico: i calcoli nella cavia sono infatti composti da sali di calcio, calcio fosfato o ossalato, che li rendono radiopachi e visibili alla radiografia. L’eziopatogenesi è poco conosciuta, ma è collegata alla concentrazione di ioni e all’aggregazione di cristalli. L’urina della cavia è alcalina, con un PH superiore a 8,5, e contiene diversi cristalli di calcio. Non esistono diete efficaci per lo scioglimento dei calcoli. I principali fattori di rischio sono un’alimentazione ricca di calcio e alti livelli di vitamina D, pertanto modificazioni della dieta possono risultare utili per ridurre il contenuto di calcio e ossalato nell’urina. L’eccesiva escrezione di calcio può essere correlata ad un suo iperassorbimento intestinale. Descrizione del caso. Gigio, cavia MC di 3 anni e otto mesi: i proprietari riferiscono la presenza di ematuria comparsa da circa 2 settimane. Alla visita il paziente appare vigile, l’EOG nella norma, con GFO conservate a parte la presenza di ematuria. Pertanto si è ritenuto di procedere con l’EOP dell’apparato urinario. Alla palpazione i reni e la vescica risultavano normali, non dolenti, l’Rx invece evidenziava la presenza di due corpi radiopachi di alcuni millimetri di dimensioni nel tratto prepelvico dorsalmente alla vescica. Si è quindi proceduto all’ecografia che ha rilevato un aumento di dimensioni dell’uretere di destra associato ad idronefrosi ipsilaterale. Essendo i trattamenti medici insoddisfacenti, ci si è orientati ad un approccio chirurgico. Si è dapprima effettuato un prelievo ematico per la valutazione dei parametri emato-biochimici e poi si è programmato l’intervento. La preanestesia viene eseguita con Fentanyl 0,025 mg/kg, Medetomidina 0,2 mg/kg, Midazolam 1 mg/kg miscelati nella stessa siringa per via intramuscolare. L’induzione è stata ottenuta tramite mask down con isofluorano crescente dal 2% al 5%. Ottenuto il piano di anestesia voluto si è tornati al 2% sempre con O2 al 100%. Si è proceduto, poi, con una laparotomia mediana classica dall’ombelico al pube. Visualizzato l’uretere e il punto di sub-occlusione con l’aiuto del microscopio chirurgico si è inciso a valle dell’ostruzione per rimuovere i due calcoli e creare l’anastomosi dei due monconi ureterali separati. Prima di suturare la breccia operatoria sono state eseguite prove di tenuta della sutura e di pervietà dell’uretere inoculando soluzione fisiologica sterile. Richiusa la breccia è stato risvegliato il paziente. I calcoli prelevati sono stati spediti al laboratorio per essere analizzati. Il follow-up a distanza di 30, 60, 90 giorni è risultato normale e la pervietà dell’uretere è risultata normale all’ecografia. Conclusioni. L’esito dell’analisi dei calcoli tramite spettrometria ad infrarossi è il seguente: dimensioni 4x3 mm, color beige, superficie ruvida, consistenza dura, composti per più del 90% da carbonato di calcio e per meno del 10% da apatite di carbonato. Anche se a tutt’oggi non risulta esservi un trattamento medico efficace, in letteratura è riportato l’uso del citrato di potassio (75 mg/kg ogni 12 ore) che sembrerebbe ben tollerato anche se ancora non è stato testato sulle cavie. L’uso del citrato di potassio servirebbe per ottenere l’inibizione della cristallizzazione dei calcoli e ridurrebbe la saturazione urinaria dei sali di calcio. Si è ritenuto il caso degno di attenzione oltre che per la tecnica chirurgica, per l’insolita localizzazione, nonché per il sesso del soggetto. Bibliografia 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9.

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Indirizzo per corrispondenza: Dott. Simone Rota, Via Alberto Cadlolo, 15/A, 00136 Roma (RM), Italia Tel. 06/35348385 - Cell. 349/1043845 - E-mail: simovet@hotmail.it

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PNEUMOMEDIASTINO SPONTANEO IN UN CANE PROBABILMENTE SECONDARIO A FIBROSI POLMONARE C. Spigolon, DVM 1, D. De Lorenzi, DVM, PhD, SCMPA, ECVCP 1, D. Bertoncello, DVM 1 1 Clinica veterinaria privata San Marco, Padova, Italia Tipologia: Caso Clinico Area di interesse: Medicina interna Introduzione. Con il termine pneumomediastino si intende la presenza di aria libera all’interno dello spazio mediastinico; viene definito spontaneo quando non è causato da fattori traumatici noti siano essi accidentali o secondari a procedure mediche. A nostra conoscenza in bibliografia veterinaria sono descritti solo due casi di pneumomediastino spontaneo (PS) nel cane e nessun caso di PS secondario a patologia polmonare cronica. Descrizione del caso. Micky, cane di razza yorkshire terrier maschio intero di 4 anni, viene riferito per un consulto a causa di un enfisema sottocutaneo e pneumomediastino. Micky era stato portato a visita alcune settimane prima per tosse trattata, con apparente successo, con terapia antibiotica ad ampio spettro. A distanza di circa 10 giorni dalla sospensione della terapia il paziente venne riportato a visita per presenza di pneumoderma nella regione del collo e le radiografie eseguite evidenziarono un grave pneumomediastino. Micky venne quindi sottoposto a terapia antibiotica e steroidea, con apparente miglioramento della qualità di vita e diminuzione della velocità di formazione dello pneumoderma; venne eseguita inoltre un’incisione della cute nella regione del collo per permettere il drenaggio dell’aria. A causa del perdurare dello pneumoderma e dello pneumomediastino il paziente fu riferito alla nostra struttura per un approfondimento diagnostico con la finalità di individuare la causa della perdita aerea nel mediastino. Alla visita il cane presenta tachipnea (60 atti/min) con pattern costrittivo, tachicardia (150 battiti/minuto) temperatura corporea nella norma (38.7°C) e grave pneumoderma presente nelle regioni del collo, della testa, del torace, dell’addome e degli arti. L’anamnesi permetteva di escludere procedure iatrogene traumatiche (intubazioni, chirurgie di qualsiasi natura, inserimento di cannule o cateteri, etc) ma non eventuali traumi di altra natura vivendo il cane parte della sua vita in un parco di grandi dimensioni. Dopo gli esami ematobiochimici, delle urine ed un radiogramma toracico che mostrava un quadro sovrapponibile a quello documentato nei precedenti radiogrammi, fu eseguito un esame endoscopico mediante il quale furono escluse rotture esofagee, delle prime vie aeree, di trachea e bronchi; il lavaggio bronco alveolare eseguito rilevò un quadro riferibile a malattia infiammatoria aspecifica. Per escludere completamente la natura traumatica dello pneumomediastino, si decise di effettuare un esame di tomografia computerizzata, che evidenziò enfisema interstiziale, pneumopatia diffusa di natura da accertare, pneumomediastino e pneumoderma. A seguito dei riscontri tomografici si decise di eseguire un’esplorazione chirurgica del mediastino tramite sternotomia mediana con scopo di eseguire biopsie polmonari e applicare un drenaggio mediastinico. Durante l’intervento i polmoni mostravano numerose estese aree di atelettasia e i lobi coinvolti avevano consistenza parenchimatosa; da 3 aree distinte venivano prelevati campioni di tessuto e il torace veniva richiuso more solito dopo avere inserito un drenaggio nel mediastino craniale fatto uscire alla base del collo, come descritto in medicina umana. Nel post-operatorio l’animale fu collegato ad un sistema di aspirazione continua che in pochi giorni permise di eliminare completamente la formazione dello pneumoderma. La qualità di vita dell’animale migliorò molto, sebbene nei controlli radiografici successivi il quadro di pneumomediastino rimanesse pressoché invariato. Dopo sei giorni dall’applicazione il drenaggio mediastinico smise di drenare aria, fu quindi rimosso e il cane venne dimesso con una diagnosi istologica di polmonite interstiziale cronica associata a fibrosi polmonare. Lo pneumoderma si ripresentò dopo circa 2 settimane dalla dimissione e il cane venne soppresso per volontà del proprietario. Conclusioni. Lo PS in medicina umana è una condizione non comune e auto-limitante, che colpisce prevalentemente soggetti giovani. I principali fattori predisponenti sono eccessi di tosse, esercizio fisico intenso, asma, fumo di sigaretta e manovra di Valsava. La presentazione clinica iniziale è rappresentata da dolore toracico acuto, tosse e dispnea seguiti da enfisema sottocutaneo nella regione del collo. La causa è sempre una rottura alveolare e la patogenesi di questa patologia è molto complessa e ben conosciuta nell’uomo; l’aria che si libera dagli alveoli rotti passa nell’interstizio causando enfisema interstiziale e, attraverso “vie di fuga” peribronchiali e/o perivascolari, arriva all’ilo polmonare e nel mediastino. Da qui, l’aria si distribuisce lungo le guaine vasali del collo causando enfisema sottocutaneo a livello di testa, collo e dorso. Uno dei meccanismi descritti nell’uomo, prevalentemente segnalato in soggetti anziani, prevede come causa scatenante la fibrosi polmonare: la diminuita elasticità polmonare causa un notevole aumento della pressione negativa interstiziale in fase inspiratoria con conseguente rottura alveolare e fuoriuscita di aria a livello mediastinico. Nell’uomo, come nel caso qui descritto, il decorso clinico è generalmente infausto. Bibliografia Sgambato F. et al. Lo pneumomediastino o enfisema mediastinico: meccanismi fisiopatologici e contributo iconografico Europ Respir News 9:5-23, 2001. Jones BR et al. Spontaneous pneumomediastinum in the racing Greyhound. J Small Anim Pract. Jan;16(1):27-32, 1975.

Indirizzo per corrispondenza: Dott.ssa Claudia Spigolon, Via Sorio 114/C, 35100 padova (PD), Italia Tel. 0498561098 - E-mail: c_spigo@yahoo.it

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APPROCCIO CHIRURGICO ALLE ULCERE DEL PIASTRONE DELLE TESTUGGINI PALUSTRI: TECNICA DI OTTURAZIONE CON UN COMPOSITO FOTOPOLIMERIZZABILE NANOIBRIDO G. Vespia1, Dott, G. Insacco2, Dott, F. Spadola3, Dott Libero Professionista (Rc).2 Centro Regionale Recupero Fauna Selvatica e Tartarughe Marine Fondo Siciliano per la Natura e Museo Civico di Storia Naturale, Comiso (Rg). 3 Laboratorio di Metodologie Veterinarie Applicate alla Fauna Esotica e Selvatica, Dipartimento di Scienze Sperimentali e Biotecnologie Applicate, Facoltà di Medicina Veterinaria di Messina 1

Tipologia: Ricerca Originale Area di interesse: Animali Esotici Scopo del lavoro. Lo scopo del lavoro è di procedere al trattamento delle ulcere da SCUD utilizzando un composito nanoibrido fotopolimerizzante di derivazione odontoiatrica realizzando un parallelismo tra SCUD e carie dentaria. Sia la carie che la SCUD, rappresentano un’ulcera del tessuto duro ad opera delle attività enzimatiche batteriche che, grazie a soluzioni di continuo di scuti e/o smalto dentario, colonizzano e si approfondano favorendo la reazione locale dell’ospite e generando la patologia. Materiali. Lidocaina al 2% ad instillazione continuata (analgesia e termodispersione per lafresatura); fresa a rosetta al carburo di tungsteno per la rimozione del tessuto necrotico, fresa diamantata per la creazione di una base più ampia; strumentario manuale per la rimozione degli scuti danneggiati; per la mordenzatura è stato utilizzato Total Etch® e per il bonding l’adesivo fotoindurente monocomponente Heliobond®; l’otturazione è stata eseguita con il composito fotoindurente nanoibrido radiopaco Tetric EvoCeram® colore A3 (possibilità di scegliere la tonalità cromatica ottenendo otturazioni invisibili tramite la codifica cromatica A-D della scala Vita®); lampada fotopolimerizzatrice wirless 1000 nW per la polimerizzazione; enrofloxacin soluzione al 2,5%. Metodi. Sono state visitate 204 testuggini palustri provenienti da allevamenti e dal CRFS di Comiso (RG) (generi: Trachemys,, Pseudemys, Pelodiscus, Emys). La diagnosi è stata effettuata sulla base dei segni clinici patognomonici, ed è stata riscontrata la SCUD in 74 soggetti, di questi 33 affetti dalla forma cutanea superficiale localizzata e caratterizzati da lesioni singole sono stati sottoposti a terapia. Posto in decubito il soggetto, preparato il campo operatorio secondo arte e rimossi i residui di scuto attorno alla lesione, si è instillata lidocaina cloridrato al 2%, con una sonda è stata valutata la profondità della lesione e con un ablatore è stato allontanato il materiale necrotico, si è courettato con una fresa a rosetta montata su micromotore il tessuto necrotico fino a raggiungere il tessuto sano sotto continua instillazione di lidocaina cloridrato al 2%. Si è perfezionato la forma della cavità con una fresa diamantata per ottenere una superficie idonea all’applicazione del composito quindi si è detersa la cavità neoformata con una soluzione a base di clorexidina per eliminare i residui della fresatura. Asciugata la parte si è proceduto con la mordenzatura dei bordi della cavità con Total Etch® mantenuto per circa 1 minuto, quindi abbiamo irrigato con soluzione sterile per allontanare i residui di H3PO4. Si è applicato il bonding Heliobond® nella cavità preparata e si è polimerizzato con un ciclo di lampada fotopolimerizzatrice wirless 1000 nW. L’ultima fase è stata la preparazione del composito Tetric EvoCeram® colore A3, si è prelevata una modesta quantità di materiale con una spatolina e, con un otturatore, si è zeppata la cavità, applicato il primo strato di composito, si è proceduto con un ciclo di lampada fotopolimerizzatrice per indurire il materiale. L’operazione è stata ripetuta fino al completo riempimento della cavità e livellamento dell’otturazione. Alla fine dell’intervento gli animali sono stati posti in un contenitore pulito e asciutto e monitorati per le 12 ore successive, quindi è stata loro somministrata una prima dose di enrofloxacina in soluzione al 2,5%, ed è avvenuta la liberazione dei soggetti nell’ambiente di provenienza senza ospedalizzazione. La terapia antibiotica si è protratta nei 6 giorni successivi ogni 48 ore. Risultati. Il follow-up a 60 giorni evidenziava il composito rigettato spontaneamente nel 80% dei soggetti con buona ricrescita dell’osso e degli scuti sottostanti. Nel rimanente 20% dei soggetti con lesioni più profonde il composito era ancora ritenuto. A 90 giorni si osservava l’espulsione della protesi nel 100% dei soggetti. Negli animali trattati si è avuto il 100% di guarigione della lesione trattata. Conclusioni. Questa tecnica, ha la possibilità di eliminare qualsiasi terapia che prevede l’applicazione di antibiotici e/o disinfettanti a livello locale, utilizzando solo una copertura antibiotica sistemica e per un tempo limitato (6 giorni) così da diminuire il carico di farmaci che l’organismo animale deve eliminare, sopperisce alle necessità d’immediato reinserimento dell’animale nell’ambiente, a lunghe, costose e non sempre efficaci terapie antibiotiche locali garantendo un risultato esteticamente impeccabile e funzionalmente ineccepibile per l’animale Bibliografia Avanzi M., Crosta L., Peccati C. (2008): Patologie della cute e della corazza in Diagnosi e terapia delle malattie degli animali esotici, ed. UTET. Mader D.R. (2006) Reptile Medicine and Surgery. Saunders Elsevier, Second Editions. Martino P.A., Paglierini E., Bogni M., Zanella A. (2001): Septicemic Cutaneous Ulcerative Disease nei testudinati: Principali specie microbiche isolate e loro sensibilità agli antibiotici. Atti LV Congresso S.I.S. VET. 169-170.

Indirizzo per corrispondenza: Filippo Spadola - E-mail: fspadola@unime.it

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EFFECT OF DIETARY SUPPLEMENTS IN REDUCING PROBABILITY OF DEATH FOR UREMIC CRISES IN CKD DOGS (MASKED RCCT) A. Zatelli, Med Vet, 1, M. Pierantozzi, Med Vet, PhD, 1, P. D’Ippolito, Med Vet, 1, M. Bigliati, Med Vet, 3 E. Zini, Med Vet, Dipl. ECVIM-CA, 2 1 Clinica Veterinaria Pirani, Reggio Emilia, Italy 2 Università di Zurigo, Zurigo, Switzerland 3 Istituto Farmaceutico Candioli, Torino, Italy Work type: Original Research Topic: Internal Medicine Purpose of the work. There is a consensus to use dietary modification in dogs affected by CKD.1-4 Feeding a renal diet (RD) in dogs with spontaneous CKD had beneficial effects on uremia and mortality rate compared to a maintenance diet.1 Phosphate retention and renal secondary hyperparathyroidism are common complications of CKD,2-4 and hyperphosphatemia is associated with the development of renal lesions in dogs and cats.2-4 In humans and cats, oral supplementation with compounds such as chitosan has been advocated to control hyperphosphatemia and to reduce azotemia.4-8 Clinical studies in cats have demonstrated a renoprotective effect of dietary phosphate restriction with chitosan.7However, whether this holds true for dogs has not been assessed. Aim of the study was to evaluate the efficacy of 2 commercial oral (Renal® and Renal advanced®), in reducing mortality rate related to uremic crises in dogs affected by CKD (IRIS stages =2) fed a RD. Materials and used methods. A masked RCCT was performed. Informed consent was signed by dog owners. History, physical examinations, BW and BCS, CBC, biochemical profile, urinalysis, UPC ratio, hemogasanalysis, and indirect blood pressure measurements were collected. All dogs underwent abdominal ultrasonographic examination. Dogs of any age were included if presenting serum creatinine >1.4 mg/dL that did not increase or decrease by 20% or more within 4 wks from initial determination.4 Dogs were excluded if affected by inflammation/infection of the genitourinary tract, cardiac disease, neoplasia and endocrinopathies. Dogs with AP3 substage received amlodipine (0.1 to 0.5 mg/kg, q24h).2-4 Dogs with serum albumin =2 g/dL received acetylsalicylic acid (2 mg/kg, q24h).4 Following inclusion, all dogs started a RD. After 4 wks dogs were re-evaluated, performing all above laboratory and instrumental analyses, and allocated to group A (placebo), B (Renal®) or C (Renal® + Renal advanced®). The 3 supplements were formulated as powders with identical colours and contained in the same package. After assignment to group A, B or C, dogs were reassessed between wk 4 and 8. Thereafter, examinations were scheduled every 4 mts and up to 44 wks of treatment, or earlier if worsening of clinical signs was noted. Dogs characteristics were compared at the time of group assignment using the Mann-Whitney nonparametric test. Kaplan-Meier followed by logrank test was used to compare rates of death due to uremic crisis between groups. Statistical analysis (significance: p<0.05) was performed using the intention-to-treat principle. Outcomes. 43 dogs were enrolled, mean age 5 yrs (10 mts-13 yrs), 27 females (22 spayed), 15 males (1 castrated). BW was 23.3 kg (2.5-71.5). 15 dogs were allocated in group A, 16 in group B, and 12 in group C. At the time of allocation there was no statistical difference between groups with regard to signalment, physical examination findings, and hematological or serum biochemical results. Compared to group A, the use of oral supplements decreased chance of death in both group B (p=0.038) and C (p=0.041)(Logrank p=0.016). By the end of the study, 9/15 (60%) dogs in group A were dead, against 4/16 (25%) in group B and 4/12 (33%) in group C. Non-renal causes of death included one case in A and B groups. Conclusions. In the present study all dogs were fed a RD, and the mean serum creatinine concentration at the time of randomization was 5.9, 4.9 and 5.0 mg/dL, in group A, B and C, respectively. 12/16 (75%) dogs in group B, and 8/12 (66.6%) in group C were alive after 336 days, compared to 6/15 (40%) dogs in the group A, suggesting that chitosan together with alkalinizing agents are useful in maintaining long-term good clinical conditions in azotemic dogs. Bibliography 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.

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Indirizzo per corrispondenza: Dott. Andrea Zatelli - Clinica Veterinaria Pirani, Via Vladimir Majakowskij 2/N, 42100 Reggio Emilia (RE), Italy E-mail az@clinicaveterinariapirani.it

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