La Repubblica degli Animali 1-2019

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NUMERO 1 / 2019

ORGANO DI INFORMAZIONE UFFICIALE ATAV

L’EDITORIALE

Benvenuti a tutti i nuovi lettori

La Laser Terapia. Possiamo applicarla sugli animali?

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ai sentito parlare degli effetti curativi della terapia laser? Ci sono forti prove scientifiche che la luce può penetrare la pelle e le membrane cellulari ed entrare nei mitocondri (le fabbriche che producono energia della cellula). Lì, l’energia luminosa viene convertita in adenosina trifosfato (ATP), la forma di energia che la cellula utilizza per la guarigione (1). Si tratta di un effetto fotochimico paragonabile alla fotosintesi nelle piante, in cui la luce viene assorbita da una foglia e subisce una modifica chimica per fornire energia alla pianta. continua a pagina 3

Vorrei congratularmi con voi per il tempo che avete dedicato alla vostra formazione e allo sviluppo professionale. Il nostro intento è quello di tenervi aggiornati sui più recenti progressi infermieristici, medici e scientifici che andranno a beneficio non solo vostro e dei vostri colleghi, ma anche dei clienti, degli studenti e dei pazienti. continua a pagina 2

ALL’INTERNO

• Immobilizzazione preoperatoria delle lesioni ortopediche instabili • RAC, reazioni avverse al cibo nel cane. Patogenesi e aspetti clinici • Il morso di vipera: sintomi e trattamento • PCR ed ELISA. Conosciamo i test di laboratorio • Il paziente diabetico, cane e gatto

GLI ULTIMI ARTICOLI

• Gestione e contenimento del gatto non collaborativo • Anestesia nel cane e nel gatto • La gestione del gatto in clinica • Small animal coma scale: la gestione del trauma cranico • La fluidoterapia nel cane e nel gatto • La gestione infermieristica degli animali geriatrici

TRASFUSIONE DI SANGUE INTERO NEL CANE a pagina 4

LA FORMAZIONE CONTINUA DELL’ATAV a pagina 5

I TELOMERI: COSA SONO E A COSA SERVONO a pagina 6

• Norma UNI. Definita la figura del Tecnico Veterinario • Animali anziani. Un aiuto professionale e psicologico


Benvenuti a tutti i nuovi lettori Sarà proprio la vostra dedizione ad alimentare l’entusiasmo per la professione, e la consapevolezza pubblica delle vostre competenze favorirà il rispetto e l’apprezzamento per i risultati ottenuti dall’assistenza veterinaria, incoraggiando un maggior numero di persone ad aderire al settore. Siete voi che oggi, più di chiunque altro, state facendo in modo che la professione del tecnico veterinario continui a prosperare e abbia un futuro brillante. Spesso mi piace ricordare ai miei studenti che sono al top del loro gioco quando studiano per ottenere il titolo professionale. Quello che non hanno, ossia l’esperienza, lo compensano con la dedizione e la passione, e dopo la certificazione devono lavorare sodo per rimanere aggiornati sui progressi nel nostro settore. Nei decenni in cui l’infermieristica veterinaria ha preso piede come professione propria, sono stati fatti passi da gigante e ora non è raro vedere applicati piani di cura per un animale come quelli che si vedrebbero per gli esseri umani. Possiamo davvero essere orgogliosi della ricerca che ha portato avanti la pratica infermieristica veterinaria, ma, cosa ancora più importante, dovremmo essere lieti di aver contribuito a implementare questi progressi in tutta la nostra professione. Dai più grandi ospedali didattici, ai più piccoli studi remoti in tutto il mondo, siamo in grado di condividere le nuove conoscenze in modo rapido e completo. La ragione di questo successo è semplice: è la dedizione alla formazione continua. Il nostro impegno per lo sviluppo professionale continuo ha

avuto un impatto significativo sul progresso della professione. Soprattutto oggi, anche i più piccoli studi professionali hanno abbondanti opportunità per far progredire le loro conoscenze con webinar, forum professionali, corsi online e faccia a faccia, e adesso finalmente anche nel nostro paese abbiamo un magazine dedicato alla professione del tecnico. Queste occasioni danno ad ogni professionista l’opportunità di fare la differenza. Accedendo regolarmente a queste risorse, un tecnico veterinario ha la possibilità di cogliere nuovi spunti da informazioni aggiornate che possono essere successivamente condivise con i suoi colleghi, implementate nella pratica e promosse all’interno della struttura dove opera. È una sorta di circolo vizioso: la soddisfazione sul lavoro può influenzare il nostro entusiasmo per la formazione, ma è importante comprendere che le opportunità educative forniscono anche benefici personali, aiutando a ringiovanire e alleviare

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la fatica professionale che può derivare da lunghe ore di lavoro in una professione pesante e a volte stressante come quella del tecnico veterinario. Inoltre, molte di queste opportunità offrono anche la possibilità di riconnettersi con i vecchi colleghi o di incontrare nuovi amici. Questa connessione sociale e il sostegno comunitario possono essere vitali per mantenere la prospettiva e trovare un equilibrio tra lavoro e vita familiare. Anche per questo motivo, la formazione continua è vantaggiosa. L’Atav, Associazione Tecnici Asiliari Veterinari, è l’organo che maggiormente contribuisce a questa opportunità, poiché finalizzata proprio all’educazione scientifico-professionale dei propri iscritti, oltre che al riconoscimento, all’affermazione e alla tutela della categoria dei tecnici veterinari. Inoltre, attraverso l’Associazione avrete la possibilità di essere parte attiva all’interno di questo progetto, sottoponendo alla commissione scientifica i vostri contributi scritti inerenti lo svolgimento della professione del tecnico veterinario o tutti quei quesiti cui finora nessuno è stato in grado di fornire una risposta adeguata. Forse, mentre state leggendo questo articolo, potete vedere l’opportunità di condividere qualcosa che conoscete. Forse si tratta di una rivista, di scrivere un articolo o di organizzare una riunione tra infermieri. Qualunque cosa sia, farà la differenza e potete essere orgogliosi di contribuire a una fiorente comunità professionale.


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La Laser Terapia. Possiamo applicarla sugli animali? LE ORIGINI In un certo senso, non dovremmo sorprenderci che la luce abbia potere. Sappiamo tutti che la luce solare può uccidere i batteri – Niels Ryberg Finsen ha vinto il Premio Nobel in medicina e fisiologia nel 1903 per quella scoperta. Anche se la tecnologia laser è stata inventata nei primi anni ’60, recentemente il campo è esploso con studi che dimostrano gli effetti curativi della terapia della luce, più precisamente chiamata terapia fotobiomodulazione (PBMT). Centinaia di studi peerreviewed dimostrano che la PBMT può promuovere la rigenerazione dei tessuti, ridurre l’infiammazione e alleviare il dolore nei tessuti molli come muscoli, tendini e legamenti (2). Negli ultimi anni numerosi studi hanno rivelato che la PBMT può migliorare condizioni neurologiche e psicologiche difficili da trattare come ictus, lesioni cerebrali traumatiche, morbo di Parkinson e depressione (3). Ora vi sono prove crescenti che la PBMT può effettivamente migliorare la forza muscolare e le prestazioni sportive. Sembrerebbe difficile da credere. Diamo un’occhiata più da vicino a questi studi.

LE DOMANDE PIÙ FREQUENTI Quali forme di luce possono essere utilizzate per la PBMT? Solo la luce nelle lunghezze d’onda dell’infrarosso o del vicino infrarosso (da 600 a 1064 nm) può essere convertita dalla cellula in energia. Queste lunghezze d’onda di luce possono essere prodotte da laser o LED. La differenza principale tra i due è che i laser producono più fotoni e sono tutti puntati in una direzione, mentre i LED producono meno fotoni che vengono emessi multidirezionalmente. Questa è una vasta gamma di lunghezze d’onda. Fa una differenza quale lunghezza d’onda scelgo? In generale, più lunga è la lunghezza d’onda, più la luce penetra nel tessuto più in profondità. Poiché la PBMT è un tipo di terapia, come si misurano le dosi? Nel dosaggio con la luce, usiamo un’unità di energia chiamata joule (J). Un watt (W), o

1000 milliwatt (mW) di potenza, produce un joule al secondo. Così, un tipico laser con una potenza di 500 mW produrrà un joule ogni 2 secondi. D’altra parte, una luce LED in una serie di luci di vacanza ha una potenza di circa 70 mW, quindi ci vorranno circa 14 secondi perché una di queste luci produca un joule di energia. Quando si applica la terapia della luce ad un tessuto, descriviamo l’esposizione alla dose in J/cm2. Studi sugli effetti del PBMT sulle prestazioni Ricordate quella Gerarchia delle Prove, in cui le prove migliori consistono in revisioni sistematiche di studi clinici randomizzati? Si dà il caso che uno di questi studi esamini gli effetti della PBMT sulle prestazioni sportive (4). Quanto è grande? Quello studio ha esaminato 46 studi clinici randomizzati, controllati con placebo, che includevano 1045 partecipanti. Ha concluso che la PBMT può aumentare la massa muscolare acquisita dopo l’allenamento e diminuire l’infiammazione e lo stress ossidativo nei muscoli. Essi postulano che questi effetti sono legati al fatto che la PBMT è nota per aumentare

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Trasfusione di sangue intero ed emocomponenti nel cane

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er trasfusione ematica s’intende la somministrazione endovenosa di sangue intero, di emocomponenti o di emoderivati. Il sangue intero è sangue che non ha subito la separazione nei suoi componenti. Esso può essere frazionato e si possono trasfondere le diverse componenti del sangue (emocomponenti), tra i quali i più frequentemente usati sono il concentrato di eritrociti e il plasma. L’uso di emocomponenti consente la somministrazione della sola frazione ematica deficitaria, riducendo l’esposizione del paziente ai componenti ematici non necessari con conseguente riduzione dei rischi trasfusionali. Di seguito, i principali prodotti ematici con i relativi usi: I prodotti eritrocitari sono rappresentati da: • Sangue intero (WB) • Sangue Fresco (fresh whole blood, FWB) • Sangue Conservato (stored whole blood, SWB) • Concentrato di eritrociti (packed rec blood cells, PRBC) Il sangue intero (WB) Il sangue intero fresco è il sangue utiliz-

zato entro 6 ore dalla donazione. Questo viene trasferito in apposite sacche trasfusionali che contengono anticoagulante specifico (Citrato Fosfato Destrosio (CPD), Citrato Fosfato Destrosio, Adenina 1 (CPDA1), AS-1 (Adsol®),AS-3 (Nutricel®),AS-5 (Optisol ®), il quale mantiene inalterati tutti i componenti (globuli rossi, piastrine, globuli bianchi, fattori della coagulazione, proteine plasmatiche). Una sacca da trasfusioni standard per il cane (450 ml ca.) contiene 63 ml di anticoagulante (rapporto tra anticoagulante e volume ematico pari a 1:7). Il sangue intero fresco contiene all’interno i fattori coagulativi labili, quindi è indicato nella terapia di pazienti affetti da emorragie da traumi, trombocitopenie, emofilia. In esso sono contenuti anche i fattori coagulativi stabili, per cui può essere somministrato in caso di avvelenamenti da rodenticidi. Bisogna ricordare che il sangue intero perde progressivamente la funzionalità dei fattori della coagulazione durante la conservazione. Dopo 6 ore dal prelievo, nel sangue intero fresco si inattivano i fattori labili della

coagulazione e le piastrine, mentre restano inalterati i globuli rossi, i fattori della coagulazione stabili e le proteine plasmatiche. Le sacche di sangue conservato devono essere mantenute in posizione verticale, ad una temperatura compresa tra 1° e 6°C in apposite emoteche dotate di registratore di temperatura, per massimo 28 giorni. Queste frigoemoteche devono essere usate esclusivamente per conservare unità ematiche e le sacche devono essere massaggiate almeno tre volte a settimana per risospendere i componenti precipitati e/o eventuali coaguli. Inoltre, le sacche presentano pori, per cui possono assorbire eventuali inquinanti, batterici o chimici, presenti nell’ambiente. Le indicazioni per la trasfusione di WB e SWB sono simili, fatta eccezione per la mancanza dei fattori labili della coagulazione e delle piastrine nel sangue intero conservato che non lo rendono indicato per la terapia dei pazienti affetti da malattia di von Willebrand ed emofilia A, piastrinopenia, piastrinopatia. La trasfusione di sangue intero è indi-

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La formazione continua Atav

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omenica 27 maggio si è svolta a Rimini, presso il Palacongressi, una esaltante giornata formativa avente come argomento “Il compito del tecnico veterinario nel pronto soccorso”. Grande l’affluenza, alta l’attenzione dei partecipanti e i commenti entusiastici. Tutto il gruppo di coordinamento dell’Atav ha messo a segno l’ennesimo successo grazie alle capacità organizzative e di selezione dei relatori, nel caso specifico il dott. Ferdinando Tripaldi e la dott.ssa Linda Perissinotto, che hanno contribuito fortemente al risultato ottenuto, hanno offerto alla platea una giornata formativa dettagliata sull’argomento e ricca di suggerimenti preziosi per lo svolgimento del lavoro del tecnico veterinario, con grande disinvoltura e capacità di coinvolgimento essendo loro stessi fautori della Professione. Tante sono state le domande, numerose le testimonianze dei soci che hanno voluto riferirci l’emozione e la soddisfazione per l’accoglienza ricevuta per la qualità del corso erogato e dei successi ottenuti dall’Atav. Lavorare con dedizione ma soprattutto con passione, senza mai perdere di vista l’obiettivo dell’associazione, significa ren-

Mettersi insieme è un inizio, rimanere insieme è un progresso, lavorare insieme è un successo Henry. Ford

dere accessibile la formazione a tutti i tecnici veterinari, promuovendo la cultura, la formazione, l’informazione e la crescita personale. Sono i volti luminosi dei partecipanti e le strette di mano calorose, i sorrisi larghi e le numerose richieste di iscrizione alla nostra associazione che ci fanno capire che stiamo procedendo nella giusta direzione.

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Nell’occasione abbiamo presentato la rivista RDA, mezzo di comunicazione solo per tecnici veterinari,attraverso cui esprimere preparazione, professionalità e sapere. Invitiamo tutti i tecnici veterinari a sostenerci, a credere nella nostra mission e a fare della nostra idea una grande occasione per tutti.


I telomeri: cosa sono e a cosa servono

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no studio collaborativo di ricercatori canadesi e statunitensi ha dimostrato che i cani con telomeri più lunghi vivono più a lungo (1). Cosa sono i telomeri, mi chiedete? Beh, sono capsule poste all’estremità di ogni filamento di DNA, che proteggono i cromosomi del cane, come le aghette, le punte di plastica all’estremità dei lacci delle scarpe. Senza le aghette, i lacci delle scarpe si consumano e non possono più svolgere il loro lavoro. Allo stesso modo, senza telomeri i fili di DNA si danneggiano e le cellule del cane non possono fare il loro lavoro.

LA DIVISIONE CELLULARE Le cellule devono dividersi perché i nostri cani siano sani. Il problema è che ogni volta che una cellula si divide, viene tagliato un pezzo di telomero. Questo è il motivo per cui le cellule alla fine muoiono dopo essersi replicate più volte. Tutto ciò che fa sì che una cellula si divida più spesso aumenterà il tasso di invecchiamento di quella cellula. E naturalmente, quando le cellule invecchiano, lo stesso vale per il cane che è composto da quelle cellule.

I ricercatori hanno misurato la lunghezza dei telomeri nelle cellule del sangue periferico di 175 cani di 15 razze diverse; hanno poi analizzato le lunghezze dei telomeri in base ai dati di mortalità provenienti da una meta-analisi di 74.556 cani (2) e hanno scoperto che la lunghezza dei telomeri è un forte predittore della durata media di vita. Questo risultato ha un valore p di < 0,0001, il che significa che c’è una probabilità del 99,99% che i risultati non siano dovuti solo al caso. È interessante notare che lo studio ha anche dimostrato che i cani perdono il DNA telomero dieci volte più velocemente degli esseri umani, il che è coerente con il fatto che i cani vivono circa 1/10 della stessa durata della vita delle persone; e che i cani maschi perdono la lunghezza dei telomeri leggermente più velocemente delle femmine, il che è vero anche negli esseri umani. Si noti, tuttavia, che questo studio ha mostrato correlazione, non causalità. La correlazione potrebbe essere dovuta ad altri fattori, come la taglia della razza, che è stata anche correlata alla durata della vita della razza. In-

fatti, la correlazione tra la taglia della razza e la durata della vita potrebbe essere correlata a sua volta alla lunghezza dei telomeri. Se ci si pensa, un levriero irlandese moltiplica il suo peso circa 112 volte per raggiungere la taglia adulta (3). Ciò significa che queste cellule stanno subendo molti cicli di divisione cellulare, tagliando ogni volta pezzi di telomeri. Al contrario, uno Yorkshire Terrier moltiplica il suo peso alla nascita solo 26 volte per raggiungere l’età adulta. Teoricamente, il cane più piccolo manterrebbe la sua lunghezza telomero più a lungo, e quindi vivrebbe più a lungo. Inoltre, lo studio ha dimostrato che le razze con telomeri di lunghezza media inferiore avrebbero una maggiore probabilità di morte per malattie cardiovascolari, respiratorie, gastrointestinali e muscolari. Questo ha senso, perché questi tessuti hanno un tasso molto elevato di divisione cellulare. Al contrario, le razze con telomeri di lunghezza media corta non avrebbero maggiori probabilità di morire a causa di condizioni neurologiche, il che ha senso anche perché il tessuto neurolo-

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Immobilizzazione preoperatoria delle lesioni ortopediche instabili

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immobilizzazione ha lo scopo di evitare un ulteriore danno dei tessuti molli colpiti e alleviare il dolore e il disagio del paziente. I bendaggi devono essere applicati con estrema attenzione, poiché un bendaggio errato può causare conseguenze quali tumefazione dell’arto, abrasioni cutanee, necrosi ischemica. L’applicazione di un bendaggio è importante anche nel postoperatorio per proteggere la breccia chirurgica e immobilizzare selettivamente articolazioni o parti molli del corpo dell’animale.

LE PIÙ COMUNI METODICHE DI BENDAGGIO ROBERT-JONES Questi bendaggi, e le relative modificazioni, sono le tecniche di fissazione esterna più comunemente usateper stabilizzare un arto pre o post intervento ortopedico, soprattutto per trattamento di lesioni distali al ginocchio o al gomito. Per eseguirle servono: nastro adesivo, imbottitura di cotone, garza e Vetrap. La differenza tra la Robert-Jones originale e quella modificata risiede solo nello spessore dello strato di imbottitura di co-

tone, che nell’originale è di 9-15 cm, nella modificata è meno spessa. Lo spesso strato di cotone consente di stabilizzare l’arto fratturato senza causare compromissione vascolare. Esecuzione: • tricotomizzare l’arto colpito fino alla punta delle dita; • sulle superfici craniali e caudali del piede, dal carpo/ tarso fino ad un punto posto a 15 cm oltre le dita, applicare le strisce di nastro adesivo. Avvolgere quindi il cotone, dalla punta delle dita alla parte media dell’omero/femore, fino a raggiungere lo spessore di 9-15 cm (per la R-J originale) assicurandosi che le unghie del terzo e quarto dito siano visibili per valutare eventuali tumefazioni; • applicare 2-3 strati di benda elastica intorno al cotone per comprimerlo; • applicare il Vetrap sulla superficie esterna. STECCHE METALLICHE A DOCCIA Sono usate soprattutto per stabilizzare

fratture del tratto distale di radio e ulna, del carpo e del tarso, del metarcarpo e metatarso e delle falangi. Si tratta di stecche in alluminio o in plastica, di diverse dimensioni e lunghezza. Per eseguirle servono: stecca metallica a doccia, nastro adesivo, imbottitura da ingessatura, garza, Vetrap. Esecuzione: • tricotomizzare l’arto; • applicare delle strisce di nastro adesivo dal carpo/tarso alla punta delle dita, lasciando le estremità libere di sporgere per 15 cm oltre le unghie; • applicare l’imbottitura da gessi, in quantità appena sufficiente ad evitare abrasioni ma non spesso, partendo dalla punta delle dita procedendo a spirale, ed estenderla prossimalmente per 2,5 cm oltre la parte prossimale della stecca; • applicare la benda elastica sul cotone; • porre la stecca di dimensioni appropriate e fissarla in sede con nastro adesivo o direttamente con il Vetrap.

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RAC, reazioni avverse al cibo nel cane. Patogenesi e aspetti clinici

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er RAC si intendono tutte le reazioni avverse al cibo, che vengono ulteriormente distinte in tossiche e non tossiche. Le forme tossiche sono dose-dipendente, possono interessare tutti i soggetti di tutte le età e sono causate da sostanze normalmente presenti negli alimenti, come i solfossidi nell’aglio o le metilxantine nella cioccolata, o che compaiono a seguito della lavorazione o contaminazione dell’alimento, come le aflatossine nel mais. Le RAC più frequenti ma ancora poco conosciute sono invece quelle non-tossiche, che sono causate dalla sensibilità individuale nei confronti di alcuni alimenti. Queste forme di RAC possono essere distinte in due sottogruppi, sebbene molto difficili da distinguere clinicamente: intolleranze alimentari: quando si tratta di reazioni non immunologiche, che possono essere enzimatiche (intolleranza al lattosio per carenza di lattasi), farmacologiche (shock anafilattico per presenza di amine vasoattive nell’alimento) o indefinite; allergie alimentari: quando causate da risposte immunologiche specifiche nei confronti di specifici alimenti.

Prevalenza Secondo gli ultimi studi, la prevalenza della RAC nel cane con segni clinici di dermatite è compresa tra il 7,6% e il 26%. Sembra, inoltre, esserci una particolare predisposizione di razza, che interessa soprattutto Labrador retriever, West Highland White terrier, Boxer, Rhodesian ridgeback e Carlino, tutti generalmente di età inferiore a un anno o superiore a 6 anni. Secondo diversi studi sembra esserci anche un’importante componente genetica. Definizione di allergene alimentare Un alimento, crudo o processato, è una sostanza destinata all’alimentazione. Un allergene alimentare è un antigene (solitamente una proteina, ma possono anche essere apteni chimici) presente nell’alimento che può determinare una risposta immunologica specifica. Alcuni allergeni danno segni clinici solo se ingeriti crudi, ma la maggior parte dà reazioni anche dopo la cottura. Solo le proteine sufficientemente grandi possono agire come allergeni; nell’uomo, ad esempio, gli allergeni ali-

mentari hanno un peso molecolare superiore ai 10 kDa. Nel cane finora quelli conosciuti sono ancora pochi, ma quasi tutti con peso molecolare superiore ai 20 kDa. Un allergene alimentare viene riconosciuto da anticorpi specifici, ma alcuni allergeni possono avere epitopi simili o uguali fra loro, causando fenomeni di cross reattività. L’”epitopo” (o determinante antigenico) è quella piccola parte di antigene che lega l’anticorpo specifico; la singola molecola di antigene può contenere diversi epitopi riconosciuti da anticorpi differenti. Quando c’è cross-reattività, un anticorpo specifico per un antigene reagisce anche con altri allergeni che con il primo condividono degli epitopi, causando sintomi clinici. Si ipotizza che il rischio maggiore di cross-reattività sia tra quegli alimenti tassonomicamente correlati tra loro, come alimenti provenienti da mammiferi come manzo, agnello, latte bovino, cervo, maiale e coniglio, o da specie aviarie, come pollo, tacchino, anatra e uova. Il fenomeno di cross reattività è stato descritto nel cane anche tra il pomodoro e il cedro giapponese.

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Il morso di vipera: sintomi e trattamento

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morsi di serpente possono causare danni tissutali molto gravi, oltre a numerosi effetti sistemici. Il veleno è un insieme di enzimi, proteine e peptidi, la cui composizione varia a seconda della specie di serpente. In Italia sono presenti 18 specie di serpenti, tra queste solo cinque appartengono al genere Vipera e sono: Vipera ammodytes, Vipera aspis, Vipera berus, Vipera ursinii eVipera walser. • Vipera ammodytes: è forse la più caratteristica tra le specie elencate per via dell’evidente corno presente sulla parte più rostrale del cranio dell’animale. La distribuzione in Italia è limitata al NordEst, mentre in Europa si diffonde tra la Turchia e l’Azerbaijan. • Vipera aspis: è la vipera più comune in Italia, il suo areale si estende in tutte le regioni, dal Trentino alla Sicilia a esclusione della Sardegna. Possiede una sottospecie molto famosa, Vipera aspis francisciredi, presente in Italia settentrionale, Svizzera, Croazia e Slovenia. • Vipera berus: comunemente nota con il nome di “marasso”, è tra le specie più diffuse a nord del Po; si ritrova anche in Cina, Corea del Nord e in prossimità del Circolo Polare Artico.

• Vipera ursinii: una delle vipere più rare e più minacciate del nostro Paese. In Italia è presente esclusivamente nelle alte praterie dell’Appennino Centrale. • Vipera walser: è l’ultima vipera “scoperta” in Italia, essendo stata elevata a specie solamente nel 2016. È difficile distinguere la Vipera walser dalla V. berus. Quando ci si ritrova dinnanzi a un serpente, è buona regola quella di ignorare l’animale: i serpenti infatti non cercano il confronto con l’uomo e tendono a fuggire appena viene data loro l’opportunità di farlo.

CARATTERISTICHE Le caratteristiche delle vipere sono la testa triangolare, con pliche piccole e irregolari, le fossette facciali localizzate tra le narici e gli occhi e le pupille ellittiche, simili a quelle del gatto domestico. I denti veleniferisono cavi, retrattili (a cerniera) e situati sulla parte rostrale della mascella. La lunghezza del corpo, che risulta tozzo, può arrivare massimo a 90 cm.

I serpenti più innocui, almeno in Italia, tendono invece ad avere un capo di forma più allungata e affusolata, meno distinguibile dal collo e con placche grandi, lisce e irregolari, la pupilla è circolare e il corpo è affusolato. Ci sono però in Italia due eccezioni: • il Telescopus fallax, un serpente dalle abitudini notturne che si può trovare nell’estremo Nord-Est. Presenta la pupilla orientata in senso verticale e le sue tossine, nonostante sia dotato di veleno, sono innocue; • il Malpolon monspessulanus, un lungo serpente lamprofide dall’indole aggressiva, ma dal veleno dalla bassa reattività e dalla dentizione opistoglifa, che presenta la pupilla rotonda. Il periodo in cui sono in maggiore attività è la mattina presto o verso la sera, soprattutto nei mesi primaverili ed estivi.

IL MORSO Le ferite prodotte dal morso di vipera sono caratterizzate da due forellini, prodotti dai denti veleniferi, mentre le ferite

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Il paziente diabetico, cane e gatto

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nche i cani e i gatti possono soffrire di diabete: ovvietà per noi del settore, ma non per i proprietari che non sanno che questa malattia, come in umana, è legata agli alti livelli di glucosio nel sangue e che dà luogo a diverse complicanze che possono mettere a rischio la vita Dagli ultimi studi risulta che ci sia una somiglianza tra il diabete mellito nell’uomo, nel cane e nel gatto e, anche se gli aspetti da chiarire sono ancora molti, viene usata la classificazione umana per facilitare il riconoscimento e la differenziazione tra le varie forme della patologia. L’Expert Committee on the Diagnosis and Classification of Diabetes Mellitus of the American Diabetes Association, operando in stretta collaborazione con l’OMS, ha definito il diabete mellito come “un gruppo di malattie metaboliche caratterizzate da iperglicemia riconducibile a difetti nella secrezione dell’insulina, nell’azione dell’insulina o di entrambe”. L’iperglicemia si manifesta quando la secrezione di insulina manca o è inadeguata per il grado di resistenza insulinica, inizialmente compensata da un iniziale aumento della secrezione di insulina. Nel lungo periodo questo non è più possibile.

La mancanza assoluta o relativa di insulina ha, infatti, effetti gravi sul metabolismo dei carboidrati, dei grassi e delle proteine.

CAUSE DI IPERGLICEMIA La prima causa di iperglicemia è un ridotto ingresso di glucosio nei muscoli e nel tessuto adiposo; l’assorbimento intestinale di glucosio non è compromesso, come anche l’apporto di glucosio al sistema nervoso, ai reni e ai globuli rossi. La seconda e potenzialmente più importante causa di iperglicemia è l’incontrastata produzione di glucosio nel fegato attraverso i processi di gluconeogenesi e glicogenolisi. Il glucagone, come anche altri ormoni dello stress, contribuiscono ad aumentare la produzione di glucosio. Quando la capacità dei reni di riassorbire il glucosio supera il limite massimo, il glucosio passa nelle urine provocando diuresi osmotica; questa viene compensata da un incremento dell’ apporto idrico (polidipsia), mentre la perdita di energia è compensata da un incremento dell’ ap-

porto di cibo. Alterazioni del metabolismo lipidico svolgono un ruolo importante nello sviluppo del diabete. La mancanza di glucosio e di insulina causano un’accelerazione del catabolismo dei lipidi e la maggiore disponibilità di glicerolo velocizza la gluconeogenesi epatica. I NEFA vengono trasportati nel fegato, dove vengono convertiti in acetilCoA, in quantità che può essere superiore al fabbisogno di ATP. Ciò induce la produzione di corpi chetonici, con possibile conseguente chetoacidosi. L’aumento degli acidi grassi causa anche una maggiore sintesi epatica di trigliceridi e lipoproteine a densità molto bassa (VLDL); a ciò consegue steatosi epatica e iperlipidemia. Il metabolismo proteico risulta anch’esso alterato, causando una ridotta sintesi delle proteine e un’aumentata proteolisi. La presenza di una maggiore disponibilità di aminoacidi accelera ulteriormente la gluconeogenesi epatica, portando a un equilibrio azotato negativo, con perdita di massa muscolare e dimagrimento.

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PCR ed ELISA. Conosciamo i test di laboratorio

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ella pratica di tutti i giorni, che sia all’interno di una clinica attrezzata o di un ambulatorio, i medici veterinari eseguono quotidianamente, con il supporto dei tecnici veterinari, prelievi ematici con i quali saranno svolti degli esami specifici di supporto a una diagnosi. Tra questi troviamo esami quali la metodica PCR e il test ELISA.

POLYMERASE CHAIN REACTION La reazione a catena della polimerasi (PCR, dall’inglese Polymerase Chain Reaction) è un esame fatto per moltiplicare (amplificare) e rilevare specifiche sequenze di DNA. Questa è una tecnologia che è utilizzata principalmente nell’ambito di test diagnostici finalizzati a individuare sequenze virali o batteriche in campioni di sangue, fluidi o tessuti. I campioni utili da prelevare e mandare in laboratorio possono essere vari, tra questi troviamo: sangue intero in K3EDTA, midollo in K3EDTA, aspirato linfonodale, liquido cefalo-rachidiano, umor acqueo, biopsia cutanea, tampone oculo-congiuntivale, tampone nasale, tampone buccale, aspirato midollare, aspirato linfonodale,

versamento, urine, feci, tampone fecale, liquido articolare, ecc. Questo tipo di esame è particolarmente efficace nel momento in cui si vogliano diagnosticare particolari patologie sia nel cane che nel gatto, come ad esempio: • leishmania • coronavirus • borrelia • bordetella • calicivirus • ehrlichia • rickettsia • panleucopenia (parvovirus) • fiv/felv • toxoplasma gondii Affinché l’esame risulti il più accurato possibile, è necessario identificare una sequenza specifica di DNA, esclusivo del microrganismo in esame, e determinarne la sequenza molecolare. L’efficacia di questo esame è data dalla sua specificità e capacità di moltiplicare anche una sola specifica sequenza di DNA di un campione di grandi dimensioni, ne risulta così che il

test della PCR è particolarmente utile per identificare le infezioni occulte o lievi. Per eseguire il test viene posto un campione in una provetta contenente un enzima polimerasi termostabile e alcuni primer specifici per il DNA bersaglio. Nel caso in cui i primer isolano la specifica sequenza desiderata di DNA, la polimerasi ne realizza milioni di copie attraverso un processo che coinvolge ripetute denaturazioni, riassociazioni ed estensioni da primer della proteina. A questo punto si esegue un’elettroforesi in gel e la sequenza amplificata viene visualizzata tramite colorazione con etidio bromuro. Per alcuni microrganismi da rilevare, la tecnologia PCR deve essere modificata. Enzyme-linked immunosorbent assay Un altro test usato nella diagnostica di laboratorio è il test ELISA. Questo nome è un acronimo derivato dall’espressione inglese enzyme-linked immunosorbent assay (saggio immuno-assorbente legato ad un enzima). Si tratta di un versatile metodo d’analisi immunologica usato in biochimica per rilevare la presenza di

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Gestione e contenimento del gatto non collaborativo

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a manipolazione del gatto durante le attività cliniche può purtroppo non essere sempre serena, sia dal punto di vista dell’animale che dell’operatore che lo ha di fronte, e talvolta la visita dal veterinario può trasformarsi in una brutta esperienza per tutti, non ultimo il proprietario, che in alcuni casi può anche sviluppare un ricordo negativo della struttura veterinaria. Il gatto spaventato, dolorante o non socializzato con gli umani può dimostrare in vari modi la sua aggressività, ed è dotato di almeno due armi molto potenti: gli artigli anteriori e i denti del carnivoro obbligato. È proprio la conformazione dei suoi denti a rendere il morso così “pericoloso”: essendo affilati e appuntiti possono in alcuni casi lacerare l’epidermide e penetrare nei tessuti a livello profondo, inoculando un gran numero di batteri. Questi infettano la ferita anche se può sembrare superficiale, dal momento che come segno visibile spesso sono osservabili soltanto due piccoli puntini nell’area di perforazione dei canini. Nell’80% dei casi sono le mani ad essere colpite(1), e la loro conformazione anatomica aumenta ancora di più la pericolosità del morso: articolazioni, nervi, legamenti e tendini sono infatti ab-

bastanza superficiali, e la lesione potrebbe addirittura coinvolgerli, in casi molto sfortunati. Per un medico o un tecnico veterinario, un infortunio di questo tipo può spesso rendere difficile, quasi impossibile svolgere il proprio lavoro, e può dimostrarsi necessario un ciclo di antibiotici e antidolorifici. L’operatore veterinario quindi, consapevole di questi rischi, reagisce spesso con ansia davanti al gatto non collaborativo, esacerbando la tensione nella stanza e aumentando ancora di più lo stress del paziente, che in alcuni casi può reagire talmente male da rendere necessaria una sedazione o addirittura la rinuncia alla prestazione veterinaria. Come è possibile allora riuscire a convincere il gatto a mantenere la calma? Partendo dal presupposto che purtroppo non sempre è possibile e non sempre dipende dalle capacità del tecnico veterinario, e che a volte la procedura in sedazione o in anestesia totale eseguita dal medico è l’unico modo per portare avanti l’indagine diagnostica, verranno di seguito elencate alcune strategie per la buona riuscita della visita.

CONTENIMENTO DI BASE Se il gatto ringhia, soffia e mostra segni di nervosismo ma resta fermo, può darsi che sia soltanto spaventato. È fondamentale che le persone nella stanza (operatori e proprietari) si mantengano calme. Se il proprietario è particolarmente ansioso in alcuni casi è meglio invitarlo a uscire. Evitare rumori forti, movimenti bruschi, tenere un tono di voce basso, assicurarsi che porte e finestre siano perfettamente chiuse. Posizionare sul tavolo, a portata di mano, una coperta o un asciugamano, e aprire lentamente il trasportino. Afferrare il gatto saldamente per la collottola, cercando di evitare in seguito di mollare la presa: potrebbe infatti succedere che l’animale tolleri il primo tentativo, ma per nessun motivo sia poi disposto a permettere di essere toccato nuovamente. Questo accade perché il gatto […] riconosce intorno a sé una sorta di campo, detto campo di aggressione, la cui dimensione varia a seconda dello stato emozionale e fisiologico del soggetto. Si

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Anestesia nel cane e nel gatto

Focus sulla fase pre-anestetica e sugli effetti degli agenti usati in premedicazione

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anestesia, per definizione, comporta la perdita di coscienza, il rilassamento muscolare, l’analgesia e l’abolizione dei riflessi autonomi, il che consente di poter eseguire sull’animale procedure diagnostiche o terapeutiche. Per anestesia bilanciata s’intende l’uso congiunto di diversi composti per ridurre le dosi di ciascuno di essi, con lo scopo di ridurre gli effetti collaterali. Valutazione pre-anestetica Riveste un’importanza particolare, in quanto è dai risultati di questi esami che verrà scelto il protocollo anestesiologico. Questa valutazione permetterà di conoscere lo stato fisiologico del paziente per scegliere il protocollo anestesiologico migliore, fare una previsione delle eventuali complicazioni, fare una valutazione del rapporto rischio-beneficio e fornire al proprietario le giuste informazioni. Il primo step è la racconta dell’anamnesi del paziente, l’esame obiettivo ed eventuali esami complementari. Esiste un sistema di classificazione del rischio anestesiologico, chiamato ASA (American Society of Anesthesiologists).

I parametri fondamentali da raccogliere durante l’anamnesi interessano: • Specie • Razza • Età • Sesso • Peso Per quanto riguarda la specie, nel gatto il rischio anestesiologico è lievemente superiore. Le predisposizioni di razza, invece, interessano sia gatti che cani. Anche l’età è fondamentale. Gli animali giovani < 1 anno hanno capacità metaboliche e sistemi di regolazione degli apparati cardiovascolare e respiratorio in pieno sviluppo, con termoregolazione poco efficace. Inoltre, potrebbero avere patologie congenite non ancora evidenti. Gli animali anziani invece, hanno metabolismo ed escrezione spesso inefficienti, con masse muscolari ridotte, il che incide sulla distribuzione del farmaco anestetico. Per quanto riguarda il sesso, il fattore determinante è la presenza di gravidanza, che riduce del 25-40% la dose ne-

cessaria di anestetici gassosi. Il peso e la taglia dell’animale sono invece fondamentali per determinare la dose degli anestetici. L’anamnesi deve comprendere anche una raccolta di informazioni circa lo stato di salute del paziente: Presenza di patologie concomitanti. Assunzione di farmaci che possono interferire con alcuni anestetici: diuretici (interrompere la somministrazione la mattina dell’anestesia per evitare rischi di ipovolemia e ipokaliemia), tramadolo (evitare la somministrazione in associazione a farmaci che aumentano i livelli di serotonina, per evitare rischio di sindrome serotoninergica, con ipertermia, diarrea, agitazione ecc), selegilina (= a tramadolo), clomipramina (evitare associazione con tramadolo/petidina per sindrome serotoninergica), fenobarbital, fitoterapia iperico/erba di San Giovanni (no con tramadolo, petidina, selegilina, clomipramina per sindrome serotodinenrgica). Eventuale somministrazione prece-

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La gestione del gatto in clinica

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gatti sono animali predisposti per indole al rapporto “lotta o fuga”, soprattutto nei confronti di chi li manipola durante una visita o un ricovero, ovvero i tecnici veterinari. Comprendere il comportamento felino può essere utile per instaurare con loro un rapporto empatico che permette a tutto lo staff medico/tecnico di effettuare una visita più completa possibile. I gatti sono capaci di vivere in modo del tutto efficiente come creature isolate, ma hanno interazioni sociali complesse e mutevoli. Sono sia predatori che prede: danno la caccia a roditori, uccelli, conigli, insetti, ma possono essere loro stessi preda di animali più grandi. Infatti, quando sono spaventati, manifestano una risposta difensiva per proteggersi, che può erroneamente essere interpretata come aggressività. Non dimentichiamo che i gatti sono carnivori obbligati, cosa che ha influenzato molte caratteristiche di questi animali: la particolare dentazione, l’assenza di amilasi salivari, la dimensione dello stomaco, la velocità di transito del cibo, il comportamento venatorio, l’abitudine a mangiare da soli e la struttura sociale. I gatti sono anatomicamente e fisiologi-

camente adattati a nutrirsi di 10-20 piccoli pasti al giorno. Tuttavia, se stressati, tendono a rifiutare l’alimento. Sono dei cacciatori solitari, non fanno branco, e l’istinto di cacciare è indipendente dal bisogno di nutrirsi, per cui, anche se hanno cibo a disposizione, potrebbero comunque andare alla ricerca di uccelli o topi. Sono molto sensibili agli stimoli olfattivi, infatti quando si strofinano sulle nostre gambe è solo per conservare un odore che indichi l’appartenenza della colonia. In situazioni che ritengono pericolose tendono a scappare, facendo affidamento sulla risposta di “lotta o fuga” o su quella adrenalinica. In genere, preferiscono fuggire ed evitare il pericolo piuttosto che combattere. Se gli viene data l’opportunità, infatti, i gatti scelgono di evitare lo scontro e mantenere le distanze dagli altri animali (uomo compreso), che non appartengono al loro gruppo sociale, attraverso indicazioni olfattive, come marcare il territorio con l’urina e con le secrezioni delle loro ghiandole odorifere.

SEGNALI TATTILI Quando si afferra il gatto per la collottola si compie un gesto che somiglia molto ad un tentativo di dominio durante una lotta. Questo infatti è un segnale usato in tre diverse situazioni: il trasporto di un gatto giovane, il rapporto sessuale o come mezzo per dominare un altro gatto durante uno scontro. Viceversa, lo sfregamento, la toelettatura e il “fare la pasta” indicano reazioni amichevoli.

SEGNALI OLFATTIVI L’epitelio olfattivo del gatto può arrivare fino a 20 cm2. I segnali olfattivi vengono lanciati con le urine, con lo sfregamento delle guance verso gli oggetti/individui, graffiando per lasciare odori con le ghiandole dei cuscinetti e con le feci. Questi stimoli permettono una comunicazione a distanza senza interagire direttamente.

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Small animal coma scale: la gestione del trauma cranico

COS’È IL TRAUMA CRANICO? Con il termine “trauma cranico” si intende qualsiasi lesione traumatica situata a livello della testa, anche se, convenzionalmente, ci si riferisce soprattutto a traumi che coinvolgono l’encefalo. Le cause di trauma cranico nei nostri animali possono essere causati da: • Incidenti automobilistici • Cadute dall’alto • Morsi • Lesioni accidentali o dolose causate da corpi contundenti o armi da fuoco Dobbiamo ricordare che, a differenza dell’uomo, nei nostri pazienti vaste aree cerebrali, corticali e sottocorticali, non sono così determinanti per l’espletamento di funzioni vitali compatibili con una buona compatibilità di vita; di conseguenza, in presenza di un trauma cranico bisogna essere pazienti e perseverantinell’attendere i risultati terapeutici, che spesso sono buoni anche in presenza di lesioni gravi.

FISIOPATOLOGIA Dopo un trauma cranico possiamo avere due danni: 1. Danno primario: causato direttamente dall’agente traumatico; potremmo avere: • commozione cerebrale: l’encefalo è protetto dalla scatola cranica e dalle meningi, ed è circondato dal liquido cefalorachidiano. Se sottoposto ad un’accelerazione, può subire uno scuotimento, con perdita temporanea della sua funzionalità e dello stato di coscienza dell’animale. Dato che non è associata a un danno organico, la commozione cerebrale non lascia sequele neurologiche; • contusione cerebrale: qui abbiamo un’azione lesiva diretta sull’encefalo; si sviluppa quindi edema, emorragia e conseguente ematoma (anche se negli animali è piuttosto raro, rispetto all’uomo); • lacerazione cerebrale: l’agente traumatico crea una scontinuazione del parenchima cerebrale in

quanto penetra nella scatola cranica. 2. Danno secondario: consegue al danno tissutale causato dal danno primario. In seguito all’edema e all’emorragia causate dal danno primario, si creano delle aree ischemiche e ipossiche. In carenza di ossigeno, si ha una deplezione di ATP necessario al funzionamento delle pompe di membrana. Si ha quindi accumulo intracellulare di sodio e calcio che causano aumento intracellulare di liquido e depolarizzazione delle membrane cellulari, tra cui quelle dei neuroni. Si innesca così un complesso meccanismo che porta a un grave danno di membrana e morte cellulare. L’insieme di danno primario e danno secondario portano a edema cerebrale, con aumento della pressione intracranica, condizione che può portare alla morte. Il suo controllo, sia da parte dei meccanismi compensatori fisiologici, sia delle nostre manovre terapeutiche, risulta fondamentale.

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La fluidoterapia nel cane e nel gatto

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onoscere la quantità corretta di fluidi da somministrare ad un paziente è di vitale importanza per i tecnici veterinari. La fluidoterapia possiede numerose indicazioni e finalità. Si realizza con due categorie di fluidi, i cristalloidi e i colloidi, che possono essere somministrati per diverse vie. Lo scopo della fluidoterapia è reintegrare le perdite di liquidi e ripristinare un circolo efficace, ma allo stesso tempo correggere disturbi elettrolitici e acido-base o somministrare farmaci.

IDRATAZIONE Il primo step è valutare lo stato di idratazione e di perfusione del paziente, per sapere quanti fluidi somministrare. L’acqua costituisce circa il 60% del peso corporeo ed è distribuita in tre spazi: • intracellulare (67%) • interstiziale (25%) -> comparto extracellulare • intravascolare (8%) -> comparto extracellulare L’acqua può passare liberamente attraverso la maggior parte delle membrane cellulari tramite precisi meccanismi basati prevalentemente sull’osmolarità dei tre

spazi. L’osmolarità di un liquido è dato dalla presenza-assenza di piccole molecole come gli elettroliti, il glucosio e l’urea. Essa deve essere mantenuta uguale e costante all’interno dei vari compartimenti liquidi, che sono separati da una membrana semipermeabile. Il suo aumento comporta un passaggio di acqua dal compartimento meno concentrato verso quello più concentrato, provocando un aumento della pressione, appunto, osmotica. Essa dipende dalla quantità di queste piccole molecole, per cui, per misurarla, bisogna avvalersi di uno strumento in grado di misurare le concentrazioni di sodio, glucosio o dell’urea. Normalmente, l’osmolarità ematica è di circa 300 mOsmol/L e si misura con la seguente formula:

Osmol= 2 x [Na]+glucosio (mg/dl)/18+BUN (mg/dl)/2,8 Come si evince dalla formula, è soprattutto il sodio l’elemento che più contribuisce all’aumento dell’osmolarità, poiché è

l’elettrolita più presente nello spazio extracellulare. All’aumento della concentrazione del sodio, si ha un aumento del richiamo di acqua dagli spazi in cui esso è meno concentrato (ad esempio lo spazio intracellulare) verso quelli in cui è più concentrato (ad esempio lo spazio interstiziale). Quando tale aumento si verifica nello spazio intravascolare, si avrà un richiamo di acqua dallo spazio interstiziale e, se tale movimento non è sufficiente a ripristinare una pari osmolarità, si avrà un richiamo di acqua anche dallo spazio intracellulare. Il sodio è stato usato anche per classificare il tipo di disidratazione. Possiamo avere: • disidratazione isotonica: quando i valori di sodio ematico sono compresi tra 140-150 mEq/L per il cane e 150-160 mEq/L per il gatto (valori nei range); si verifica quando vi è una continua introduzione di soluzioni ipotoniche (ad esempio bevendo acqua) così che il sodio extracellulare si diluisce fino a valori inferiori alla normalità;

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La gestione infermieristica degli animali geriatrici

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n tempi passati, i proprietari di animali anziani andavano dal veterinario solo quando la sintomatologia e la condizione del loro animale era così evidente da non lasciargli altra scelta. Consideravano quei sintomi dovuti semplicemente alla vecchiaia e quindi non c’era la spinta di trovare una cura per il proprio animale, ma la soluzione era solamente quella di porre fine alle sue sofferenze, optando eventualmente per l’eutanasia. Tuttavia, il crescere dell’informazione medica sulla tutela e il benessere degli animali ha fatto in modo che aumentasse nei proprietari l’interesse riguardo la salute dei loro amici a quattro zampe in età avanzata. Solitamente i clienti instaurano con i loro animali dei legami molto forti, specialmente quando hanno trascorso insieme un lungo periodo di vita. Ed è questo aumento di informazione e coscienza da parte dei proprietari che oggi spinge gli stessi a cercare sempre più l’assistenza e la cura migliore.Allo stesso tempo, ciò ha fatto sì che ci fosse anche una richiesta maggiore di strutture pronte ad accogliere gli animali per aiutarli a vivere l’ultima fase della loro vita. La crescita di questa domanda ha portato naturalmente anche a

un conseguente aumento della conoscenza medica in diversi campi, mettendo a disposizione metodi diagnostici più avanzati, nuove opzioni terapeutiche insieme a una maggiore educazione su come riconoscere già da subito alcuni segni clinici delle patologie legate all’età del cane. Di conseguenza, le strutture veterinarie sono portate ad accogliere nelle loro degenze un numero sempre maggiore di pazienti geriatrici preparando in maniera specifica anche il personale infermieristico, affinché sia pronto ad affrontare e aiutare il paziente e il suo proprietario. I pazienti geriatrici devono avere una assistenza maggiore; loro hanno una capacità ridotta ad adattarsi ai cambiamenti, recuperano più lentamente e perciò i tecnici veterinari devono essere pronti ad affrontare tali esigenze e specialmente essere in grado di parlare con i proprietari per spiegare come possano gestire al meglio in ambiente domestico il loro animale da compagnia. Si avranno così proprietari più attenti anche a catturare minimi particolari che potranno riportare al medico veterinario.

COMPROMISSIONE DEI SENSI Uno dei fattori legati all’età è sicuramente una compromissione dello stato del sensorio: diminuiscono vista e udito. Mentre alcuni animali possono comportarsi in maniera tranquilla in un ambiente casalingo, quando si trovano in un ambiente non familiare, come quello di un ricovero, confusionale, chiassoso, circondato da persone e odori che non conosce, possono diventare nervosi e tendere all’aggressività. Pazienti con ridotta capacità sensoriale vanno maneggiati con modi più gentili e delicati, è necessario avvicinarsi con tranquillità senza movimenti bruschi, fare sentire la nostra voce per metterli a loro agio. Sono proprio questi piccoli accorgimenti da parte del tecnico veterinario che aiutano il paziente a vivere meglio la sua permanenza nel ricovero e rendono il lavoro più semplice a tutto il personale. Ricordiamoci sempre che un paziente collaborativo ci rende il lavoro più semplice e per fare ciò abbiamo bisogno di dedicare un po’ di

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Norma UNI. Definita la figura del Tecnico Veterinario

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a norma UNI (Ente Italiano di Normazione e Unificazione) è entrata in vigore il 19 ottobre 2018 e definisce i requisiti di conoscenza, abilità e competenza della figura del Tecnico Veterinario, ossia di colui che presta assistenza tecnica all’attività medico-veterinaria. Si chiama “Prassi di Riferimento UNI/PdR 45:2018” e rientra nel Quadro Europeo delle Qualifiche (EQF). Ma di cosa si tratta esattamente? È un documento che inquadra in maniera più dettagliata la figura del Tecnico Veterinario e delle sue mansioni, definendolo come colui che assiste il Medico Veterinario, secondo le sue istruzioni, durante l’erogazione delle prestazioni medico-chirurgiche, nell’organizzazione della struttura e nella gestione del rapporto con il cliente e il suo animale, mettendo in atto le linee organizzative dettate dal Medico Veterinario relative all’andamento generale della struttura, coadiuvando lo stesso nell’attività professionale”. L’ingresso del Tecnico Veterinario all’interno del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) dei dipendenti degli Studi Professionali era già stato formalizzato nel 2015. Attualmente questa figura professionale è inquadrata nel CCNL per i dipendenti

degli studi professionali, ai livelli 4 e 4s, anche se molti di coloro che oggi svolgono funzione infermieristica nelle strutture veterinarie non hanno ancora un’adeguata preparazione specifica né una certificazione di competenze acquisite per svolgere questo lavoro, e sono inquadrati come operai o braccianti agricoli o tecnici generici. Qual è lo scopo della norma UNI? Uniformare la formazione e le competenze del Tecnico Veterinario attraverso un documento che ne definisce i livelli di conoscenza e abilità. Secondo la norma UNI, infatti, il profilo professionale del Tecnico Veterinariodeve tenere in considerazione diverse variabili: · la finalità, ossia lo scopo fondamentale del profilo professionale · le principali attività, ovvero gli ambiti specifici su cui il profilo professionale deve influire · i requisiti in termini di conoscenze (pratiche e teoriche), abilità (cognitive e pratiche) e competenze, necessari per adempiere all’attività in modo efficace

· le aree di competenza: accoglienza − approntamento di spazi e strumenti di trattamento clinico e chirurgico − assistenza alle procedure clinico-chirurgiche − trattamento e gestione documenti clinici e amministrativocontabili − supporto organizzativo. Tra le competenze risulta fondamentale sapersi gestire autonomamente, secondo le istruzioni che vengono fornite, in un contesto di lavoro che è sempre in continua evoluzione. E rientra anche tra i compiti del Tecnico Veterinario sorvegliare il lavoro di routine di altri, assumendo una certa responsabilità per la valutazione e il miglioramento delle attività. La certificazione L’organismo indipendente per l’accreditamento dei percorsi formativi per Tecnici Veterinari è ACOVENE(Accreditation Committee for Veterinary Nurse Education), di cui fanno parte FECAVA (Federation of Companion Animal Veterinary Associations) e UEVP (Union of European Veterinary Practitioners). Lo scopo è proprio

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Animali anziani. Un aiuto professionale e psicologico

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n Italia i proprietari di animali domestici sono ben 36 milioni. Di questi, una buona percentuale riguarda cani e gatti in età senile che hanno esigenze diverse rispetto ai conspecifici di diversa età. Spesso però gli stessi proprietari non si rendono conto dei bisogni dei loro animali e non li ritrovano dal loro medico veterinario nella struttura di referenza. Le puppy class, per esempio, sono degli incontri realizzati specificatamente per i cuccioli ed è un servizio sempre più presente e offerto dalle strutture veterinarie. Allo stesso modo, sarebbero essenziali dei servizi che aiutino a educare i proprietari alla gestione del paziente in età senile. In UK esistono già molti programmi in tal senso, che offrono dei risvolti positivi tanto alla sfera professionale quanto ai pazienti stessi, poiché li aiutano a vivere meglio e più a lungo. Di conseguenza sono gli stessi proprietari a richiedere sempre più servizi di alta qualità finalizzati al benessere del loro animale da compagnia.

OSPIZI PER ANIMALI Studi recenti sulla popolazione del nostro paese indicano che un numero sempre più alto di persone è proprietario di un animale in età senile che richiede servizi mirati al suo benessere. La soluzione, quindi, potrebbe

trovarsi nella creazione di “ospizi” nei quali personale medico e infermieristico specializzato offre servizi di qualità nella cura di determinate condizioni cliniche. Si tratta di animali che hanno bisogno di cure particolari (come nel caso di Insufficienza renale cronica, problemi cardiaci di non facile gestione casalinga, neoplasie, ecc.) e che necessitano di terapie a lungo termine, con diete specifiche e cure palliative, ossia cure che combattono provvisoriamente il dolore o altri sintomi, e che allontanano il più possibile le conseguenze della malattia, così da poter garantire loro una migliore qualità di vita. Una struttura di questo tipo avrebbe personale altamente qualificato che si occupa a 360 gradi di questi pazienti e che si preoccupa di aiutare e accompagnare in questo percorso anche il proprietario, cercando di formarlo il più possibile a una eventuale gestione casalinga. Così facendo si sensibilizza il proprietario su quelle che sono le reali esigenze del suo animale, su quanto sia possibile fare e quando sia necessario, purtroppo, prendere una decisione definitiva. Occorre pensare che non tutti i proprietari sono preparati a superare e capire certi

momenti. E ciò significa che mentre con alcuni sarà più semplice, altri avranno bisogno di maggiori attenzioni e supporto affinché capiscano e assorbano tutte le informazioni che vengono loro date. Purtroppo ci sono sempre dei casi per i quali non ci possono essere delle cure risolutive; le ragioni possono essere le più svariate, a partire da una situazione già difficile del paziente sino ad arrivare alla mancata disponibilità finanziaria del proprietario di sostenere quel tipo di spese. In qualunque caso, l’imperativo è pensare sempre al benessere del paziente, scegliendo la soluzione migliore affinché non soffra e continui a vivere al meglio.

LE CURE PALLIATIVE Ci sono, poi, casi in cui si ha un cambio delle aspettative di vita del paziente, che arriva a una fase terminale perché non ci sono più cure per lui. Ed è proprio in questo momento che si passa dal dare una cura a fornire un supporto tanto per l’animale, al quale bisogna assicurare meno sofferenze possibile, quanto al proprietario che si troverà a dover prendere una decisione difficile. Bisogna in-

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