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free | anno ottavo | numero cinquantanove | luglio - agosto duemilanove | www.exibart.com Si parla davvero troppo poco dei collezionisti. Non si analizza a sufficienza questa particolarissima figura in convegni, saggi, simposi, dibattiti pubblici. Soprattutto si manca nello specificare quanto sia peculiare il collezionismo italiano, assolutamente unico al mondo nel suo genere a livello internazionale per diffusione, cuore, atteggiamento e spirito. E non si tratta solo di registrare il fatto che i collezionisti italiani sono, in assoluto, i più presenti in tutti gli eventi anche più sperduti. Si tratta invece di sottolineare qualcosa di molto, molto più serio: in questa precisa fase storica i collezionisti stanno cambiando la faccia dell’offerta espositiva d’arte contemporanea del Paese. Nascono fondazioni a tutto spiano e, nella stragrande maggioranza dei casi, sono fondazioni di ‘derivazione collezionistica’. Guardiamo cosa succede a Roma: Sciarretta, Giuliani, Guastalla, Barzan e altri. Oggi fanno i mecenati, ma nascono e sono essenzialmente collezionisti. Oltre alle fondazioni di ricerca, come quelle che abbiamo citato, ci sono poi dei veri e propri musei privati che stanno nascendo e dei quali, tra l’altro, vi diamo ampia documentazione in questo numero tutt’altro che ‘estivo’. Tullio Leggeri ad Alzano Lombardo, i Lauro a Città della Pieve, Cecilia Bertoni a Lucca: sono tutte realtà nate da un substrato collezionistico. E non c’è neppure da dire che i privati reagiscono ad una latitanza del pubblico, perché se è vero che l’intervento di Stato, Regioni e Comuni nell’arte contemporanea non è così irresistibile, è altrettanto vero che gli enti pubblici investono nel settore un pelino di più di quanto non facevano anche solo una decina d’anni fa. Così ad un’offerta pubblica che pian pianino si rafforza, l’Italia assomma un’offerta espositiva privata che dimostra una vivacità inaspettata e per certi versi inspiegabile. Inspiegabile perché è inspiegabile che in un paese le cui grandi aziende se ne fregano di restituire qualcosa alla società che le ha fatte grandi (Bulgari, Caltagirone, Benetton, Diesel, Armani dove sono i vostri musei aziendali? Dove sono le vostre fondazioni? Perché esiste la Fondation Cartier e non esiste la Fondazione Bulgari?); in un paese dove i vantaggi fiscali nel regalare alla collettività un prodotto culturale sono nulli o negativi; insomma è inspiegabile che in un contesto simile vi siano dei privati cittadini che, nonostante tutto, fanno quello che stanno facendo. A occhio e croce c’è da iniziare a togliersi il cappello.