Exibart.onpaper n.61

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free | anno ottavo | numero sessantuno | novembre - dicembre duemilanove | www.exibart.com Transitiamo dentro la più grande crisi economica da ottant’anni a questa parte, ci dicono. Prendiamo atto, ma poi pensiamo che se una crisi è una cosa brutta, una crisi sprecata è una cosa bruttissima. I periodi di debolezza economica sono infatti utilissimi per adeguare i prodotti, i processi e soprattutto le modalità operative. Per migliorare, insomma, il proprio approccio alla produzione (di beni, di servizi, di cultura...). E allora, negli scorsi mesi, “non sprecare la crisi” è stato un po’ un mantra tra economisti illuminati e pensatori à la page. L’Italia la crisi l’ha ampiamente sprecata: nessuna riforma delle pensioni, della giustizia, nessuna riforma in senso meritocratico. È passato il tipico ragionamento al contrario secondo cui, visto che c’è la crisi, non è opportuno infierire con riforme profonde. E il mondo dell’arte? La sensazione è che la crisi l’abbia sprecata anche lui, alla grande. Ammesso e non concesso che vera crisi vi sia stata. Non vi è stata una sana “pulizia” in nessuno dei tasselli che compongono il mosaico del “sistema” italiano e internazionale. Non sono diminuiti, anzi sono forse aumentati, i collezionisti. Alcuni di loro, addirittura, hanno ulteriormente investito aprendo spazi, musei privati, fondazioni. Non è stata fatta selezione negli spazi espositivi privati, anzi si è continuato ad aprire nuove gallerie, seppur con ritmi leggermente inferiori alle annate precedenti. Quanto alle riviste, il nostro paese sta dando il peggio di sé dimostrando quello stesso campanilismo vetero-provinciale che moltiplica l’offerta a dismisura. E le fiere? Vi risulta che la crisi-più-profonda-dal-Ventinove abbia consigliato agli organizzatori di fondersi, di fare massa critica, di diminuire la quantità dell’offerta aumentandone la qualità e il potere contrattuale all’estero? Niente di tutto questo: restiamo l’unico tra i grandi paesi industrializzati ad avere quattro (!) fiere d’arte con velleità internazionali. La Germania e gli States non più di due; solo una per Francia, Spagna, Regno Unito e Svizzera. Come la mettiamo? Ancora: i premi. La moltiplicazione ha del patetico, con esiti discutibili, con premiazioni pilotate nell’ambito del più squallido pressappochismo nostrano, secondo il quale non solo il risultato viene accomodato, ma non ci si cura neppure di nascondere la magagna. Insomma, una vera orgia di denaro sotto forma di gallerie, fondazioni, fiere, premi . Proprio uno scenario da Ventinove, non c’è che dire... In tutto questo, neppure un cenno di cambiamento delle modalità operative, nessun segnale nella direzione delle cose che realmente servirebbero al sistema (un fisco più equo, una meritocrazia vera nell’assegnazione dei ruoli chiave in musei e istituzioni, una riforma radicale della formazione accademica, una governance sostenibile per gli spazi pubblici), nessuna tendenza - come dice Alfredo Sigolo in un articolo che troverete all’interno - a smetterla di “fare mondi” e a iniziare a “pensare mondi”. Già, perché questa millantata crisi neppure è servita a far tornare in auge critici e teorici, che continuano invece a esser surclassati dai curatori (o dalle piattaforme curatoriali, santiddio che locuzioni!). Ci ritroveremo ad accogliere il 2010 con una crisi che non avrà fatto il suo lavoro e con un settore che non ha mosso un dito per sfruttarne il passaggio. Non un bel viatico per entrare negli anni ‘10 di questo strano, indecifrabile secolo. (m. t.)


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