Exibart.onpaper n.53

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Sped. in A.P. 45% art. 2. c. 20 let. B - l. 662/96 - Firenze Copia euro 0,0001

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free | anno settimo | numero cinquantatre | novembre - dicembre duemilaotto | www.exibart.com Tutto cambia affinché nulla cambi. Va tutto bene madama la marchesa. La crisi, a noialtri, non ci riguarda. Il mercato tiene. Frieze sopra le aspettative, ArtVerona pure, Artissima meglio che mai, la Fiac non è fiacca. Fa spallucce, il mondo dell'arte, rispetto alla crisi internazionale che sta cambiando i connotati al mondo come lo conosciamo dalla fine degli anni Settanta a oggi. Fa finta di non capire. Si volta dall'altra parte. Come niente fosse. Beh, cari signori, se permettete iniziamo col farvi notare che se da voi non si è fatta ancora presente, chèz nous, nel palcoscenico tragicomico dell'editoria, la crisi è arrivata eccome. Le materie prime sono aumentate a dismisura - avete presente la carta che tenete in mano in questo momento? Ecco, appunto... -, le spese postali sono paradossali, gli affitti per sedi ed uffici non ne parliamo neppure. E questo è il problema di tutta l'editoria di settore (per la verità anche di quella fuori dal nostro settore). Sia quella freepress, ed eccoci qui, sia quella da edicola che sconta anche un calo del potere d'acquisto diffuso. E così si è diffuso, e questa è la triste storia delle ultime settimane, il credit crunch: le banche vogliono indietro i soldi prestati, e non ne danno più in credito perché han paura di non poterli riavere indietro. E la liquidità va a farsi benedire, anche perché chi compra la pubblicità ne beneficia oggi, ma paga domani, e domani è un eufemismo. Ma il credit crunch c'è dappertutto, dalla Polonia alla Spagna, dunque perché è più mordace da noi? Perché noi siamo l'Italia. Siamo il paese dei cento aeroporti, uno per ogni provincia, dove il sistema dei trasporti aerei però va a gambe all'aria. Siamo il paese dei cinquemila corsi di laurea, uno per ogni comune, dove l'università è un esempio chiarissimo e lampante di degrado e di fallimento didattico. Siamo il paese, ahinoi, anche delle mille riviste d'arte, con gli investimenti - quei pochi - in comunicazione da parte di enti e privati che vanno a disperdersi in un dedalo di particolarismi, amicizie, rapporti di buon vicinato, clientele, sprechi, simpatie, bassezze. Siamo davvero certi di volere tante riviste zoppicanti piuttosto che poche in salute? All'estero cosa succede? Non ve la sentite, è agli operatori qualificati e professionali che stiamo parlando (ci scuseranno i tanti lettori non addetti ai lavori), di guardare in faccia alla realtà e chiedervi, sommessamente, "quanti organi d'informazione può sostenere il mio settore?". Davvero non ve la sentite di direzionare i soldi che impiegate in comunicazione&pubblicità come fossero investimenti e non spese o, peggio, sostegno bonario ad attività amatoriali in nome di un ipotetico pluralismo che mortifica i professionisti? Non ve la sentite proprio di considerarvi un settore industriale vero, serio, che procede secondo dinamiche e logiche di business limpide e trasparenti? Bene, tra le quattro o cinque entità editoriali nel comparto arte che un sistema-paese come il nostro può sostenere, c'è anche Exibart. Con tutto quello che significa avere una web-tv che documenta in presa diretta il mondo dell'arte italiano, un sito web che è di fatto l'ansa quotidiana degli operatori del settore e di tutti gli appassionati (e l'ansia quotidiana di chi lavora venti ore al giorno per darvi tutte le notizie in tempo reale), una gamma di nuovi giornali - .wit, dedicato alla moda con un taglio assolutamente inedito per quel particolare ambito; Grandimostre, rivolto alle kermesse espositive più popolari e distribuito in tutti i musei più frequentati del paese. Entrambi disponibili agli abbonati! - che completano uno spettro contenutistico che va dall'archeologia ai giovani artisti. E con tutto quello che significa produrre un giornale con le caratteristiche di questo. Che, senza anticiparvi stavolta neppure un contenuto, vi invitiamo a sfogliare e compulsare. Ci farete sapere, poi, se abbiamo parlato da presuntuosi... (m. t.)


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