Teatri : cittĂ
U-BOOT Fabio Tidili
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Indice 5
Introduzione
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Parte I teatri : città
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Spazi scenici e luoghi urbani. Come la scenografia interpreta la città Premessa Rinascimento: la scenografia come espressione dell’architettura 1500: le architetture cittadine come luoghi teatrali 1600, 1700: scorci cittadini tridimensionali 1900: la scenografia come luogo della sperimentazione architettonica Tempi moderni
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Architettura, teatro, città. Casi di studio:
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Mondi traslati Scenografia per lo spettacolo Utopia di Luca Ronconi, Gae Aulenti, 1974 Poetica e progetto Preesistenza e scenografia Movimento Movimento del pubblico Movimento delle scene Struttura fissa Percorsi
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Il teatro di Aldo Rossi e la costruzione effimera della città Teatro del Mondo, Aldo Rossi, Venezia, 1979 Poetica e progetto I solidi puri teatro compatto architettura flottante
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Il teatro e la baia Kursaal, Rafael Moneo, San Sebastian, 1989 Auditorium e Centro congressi, Estudio Barozzi Veiga, Aguilàs Murcia, 2004 Contesto e teatro Massa e recinto
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Macchina Teatrale Wyly theater, OMA/REX, Dallas, 2009 Architettura come meccanismo Macchina teatrale Configurazione spaziale
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KKL Centro culturale e congressuale, Jean Nouvel, Lucerna, Svizzera, 1998 Poetica e progetto Rapporto con il contesto
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La scelta progettuale La copertura Spazio scenico Almere Masterplan Masterplan, Rem Koolhaas - Floris Alkemade, Almere, Olanda,1994-2005 Almere Stad Un nuovo waterfront
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Un teatro sull’acqua Teatro e centro culturale de Kunstlinie, Sanaa, Almere, Olanda,1998 Orizzontalità contro verticalità La neutralità del costruito Esperienza della consapevolezza
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Il teatro tra cielo e terra Teatro Cervantes, Ensamble studio, Città del Mexico, Mexico, 2013 Poetica e progetto Rapporto con il contesto La scelta progettuale La copertura Spazio scenico
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Parte II Luogo e progetto: Cagliari e il suo fronte portuale
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Il porto di Cagliari. Storia e trasformazioni Il periodo Pisano Il periodo Aragonese Il periodo Sabaudo
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via Roma, da cortina muraria a fronte porticato sul mare La successione di domini Le fortificazioni Struttura urbana medievale Periodo di stallo e ripresa Cagliari senza mura La formazione dei palazzi in linea e portici Va Roma spazio pubblico
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Il futuro del porto antico di Cagliari. Considerazioni sul piano regolatore Un piano per il porto di Cagliari Il ruolo del PRP Interventi previsti dal piano nel porto storico
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Parte III Relazione di progetto
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Introduzione A cura di Prof. Marco Lecis
In passato l’idea di città si è spesso rispecchiata nella forza icastica di alcuni dei suoi luoghi: sia luoghi intenzionalmente progettati, figure delle istituzioni e della comunità, sia luoghi formatisi spontaneamente e riconosciuti a posteriori. La città aveva propriamente le sue scene e l’esperienza stessa della scenografia teatrale è stata, in alcune epoche, banco di prova privilegiato per la definizione delle figure urbane. Con le trasformazioni del secolo corso, città e teatro hanno rotto i loro confini tradizionali, dilatandoli e ibridandoli con nuove dimensioni spaziali, nuove pratiche d’uso e di lettura delle loro realtà. Il teatro ha perso centralità nella cultura urbana, ha ridotto la sua forza di rappresentanza civile, ma non ha consumato del tutto la capacità di reinterpretare e trasfigurare i temi della città, riacquistando potere di suggestione attraverso il dialogo con altre poetiche performative. Questo lavoro di tesi ha come obbiettivo la ridefinizione urbana di luoghi della città rimasti a margine della sua vita civile e vuole realizzare la loro riconfigurazione a partire da una vocazione scenica. Questa vocazione non è intesa soltanto nella traduzione immediata in un edificio o allestimento teatrale, ma come interpretazione delle potenzialità di un luogo in quanto compiuta figura urbana, scena capace di dare spazio e immagine riconoscibile alla vita che vi si svolge. Servendo quella vita e stimolandone le dinamiche, fuori da un’interpretazione univoca o monofunzionale, alla ricerca di un intreccio di usi che tenga insieme le attività pratiche con le aspirazioni simboliche e culturali. L’area prescelta per l’esercitazione è quella del porto storico di Cagliari. Questo luogo, per lungo tempo fortificato, definiva l’immagine della città dal mare come piazzaforte, insediamento compiuto e protetto. Con la demolizione delle cortine di difesa e la creazione della palazzata porticata e del viale della via Roma, il luogo cambia radicalmente, quasi rovesciando il senso della sua immagine. Il nuovo rapporto diretto tra i moli e il quartiere di Marina è però presto compromesso dalla involuzione del viale in strada ad alto scorrimento e dalla trasformazione delle grandi tecnologie portuali, che portano all’esclusione dei cittadini da questi spazi. Oggi il porto storico e l’approdo al mare sono luoghi separati dalla città, di cui si sente necessaria la riappropriazione: una riappropriazione che può avvenire attraverso l’insediamento di una molteplicità di funzioni e il disegno di spazi dal carattere urbano, al di là di una destinazione solo turistica e monodimensionale.
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teatri : cittĂ
Spazi scenici e luoghi urbani. Come la scenografia interpreta la città Premessa Rinascimento: la scenografia come espressione dell’architettura 1500: le architetture cittadine come luoghi teatrali 1600, 1700: scorci cittadini tridimensionali 1900: la scenografia come luogo della sperimentazione architettonica Tempi moderni
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Didascalie 1. Tavoletta di Urbino raffigurante La CittĂ Ideale,1490. Tempera su tavola di autore sconosciuto, conservato nella Galleria Nazionale delle Marche a Urbino. 2. Cortile Palazzo Pitti, Firenze. 3. Teatro di Vicenza progettato da Andrea Palladio, 1580.
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Spazi scenici e luoghi urbani. Come la scenografia interpreta la città A cura di Eleonora Uras
Premessa Architettura e scenografia sono discipline affini. Nel corso del tempo hanno sovrapposto e incrociato i propri ambiti servendo insieme la vita dell’uomo e definendo tanto gli spazi reali quanto quelli immaginati. La relazione tra le due discipline ha avuto carattere differente a seconda delle epoche, in alcuni momenti si sono disputate il primato della ricerca nel disegno delle città e nella definizione dei nuovi stili, in altri la distanza tra le due è cresciuta relegando il progetto delle scene teatrali al puro ambito dell’illusionismo. La relazione tra architettura e scenografia è dunque di grande ricchezza e complessità: di seguito saranno descritti alcuni dei suoi momenti più significativi.
Rinascimento: la scenografia come espressione dell’architettura Nel Rinascimento architettura e scenografia erano inscindibili per quanto riguarda i disegni e la rappresentazione dello spazio architettonico. La misura dell’influenza reciproca la ritroviamo concretamente nei dipinti delle città ideali del periodo storico. Se si parte dal presupposto che nel Rinascimento si identifica il fenomeno “dell’invenzione” del teatro come ancora oggi lo conosciamo, con l’insieme delle componenti architettoniche e scenografiche che partono ed evolvono dai modelli classici greci e latini, si può affermare che furono principalmente due i fattori fondamentali che lo resero possibile: la scoperta della prospettiva e la ricerca e progettazione della città ideale. La prospettiva agevolò gli architetti ma anche gli scenografi, in quanto la scenografia rese possibile la rappresentazione del bozzetto cartaceo delle scene e la cura della realizzazione prospettica sul palcoscenico. Contemporaneamente nel Rinascimento si sentì l’esigenza di progettare delle città perfette per far fronte ai problemi sanitari e organizzativi della città e migliorare di conseguenza l’ordine urbano, queste soluzioni tuttavia non vennero mai realizzate per motivi economici e pratici, possiamo dire che rimasero “vive” solo nell’ ambito teatrale grazie alla scenografia e ai suoi bozzetti.
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Didascalie 4. Scena ad angolo: costruzione prospettica, Ferdinando G. Da Bibiena 5. Scena ad angolo per lo spettacolo il “Didio Giuliano�, Ferdinando G. Da Bibiena, 1687
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1500: le architetture cittadine come luoghi teatrali Nel 1500 i ruoli si invertono perchè fu l’architettura che andò in aiuto alla scenografia infatti, in un momento dove i fondali dipinti e la loro mono dimensione non soddisfacevano più il pubblico, fu l’architettura stessa la protagonista scenica di numerose rappresentazioni. Palazzi ducali, come il Palazzo Pitti di Firenze, divennero protagonisti di opere uniche e sorprendenti come quella di Bernardo Buontalenti e della realizzazione dello spettacolo Neumachie che prevedeva che i cortili dei palazzi ducali, ricoperti da cinque piedi di acqua, diventavano veri e propri mari e dove il pubblico poteva assistere a autentiche battaglie navali1. L’indiscussa importanza dell’architettura in scena in questo periodo è sottolineata inoltre da un fenomeno scenografico unico e eccezionale: Il Teatro Olimpico di Vicenza dell’architetto Andrea Palladio. Egli fu capace di ideare un connubio perfetto tra le due discipline tenendo conto di tutte le componenti che le caratterizzano e che sono imprescindibili. Il progetto era costituito da una spettacolare scena prospettica, tutt’ora intatta, realizzata con materiali lignei e stucchi che rendevano l’idea di realtà architettonica all’interno della scena; questo fu possibile grazie alla progettazione di una via principale che costituiva il punto di fuga da cui, per ogni lato, si diramavano tre cunicoli e questo faceva si che l’occhio dello spettatore fosse convinto di essere davanti ad un vero scorcio cittadino.
1600, 1700: scorci cittadini tridimensionali Nel periodo successivo che va dal 1600 al 1700 l’arte della scenografia ritrovandosi un passo indietro rispetto all’architettura del periodo fece lo sforzo di potenziare il suo progresso accantonando la resa bidimensionale della scena per una resa tridimensionale, questo tentativo non fu del tutto compiuto con successo. Questo secolo fu segnato dalla nascita dell’opera cantata e dalla modifica dei luoghi teatrali per mano degli architetti che modificarono la forma stessa della struttura teatrale, si passò infatti da una tipologia classica al “teatro all’italiana” o teatro barocco. Questa nuova architettura si caratterizzava dalla rimozione delle gradinate per gli spettatori, sostituite da numerosi palchetti che venivano orientati verso la scena, anch’essa arricchita da una maggiore profondità spaziale. Il teatro di maggior influenza e importanza architettonica realizzato in questo secolo fu il Teatro Farnese, realizzato da Giovan Battista Aleotti ed inaugurato nel 1628, un Teatro capace di emulare e superare gli espedienti precedenti2. La parte più innovativa della struttura fu proprio il palcoscenico, nel quale il boccascena venne elaborato in maniera tale da essere il filtro tra gli spettatori e il mondo teatrale rappresentato sul palcoscenico, questo fu possibile grazie all’aggiunta di colonne elaborate che arricchivano in maniera decisiva il senso di tridimensionalità e profondità. Negli stessi anni la scenografia tentava di consolidare il salto dal bidimensionale al tridimensionale cerando di portare elementi architettonici all’interno della scena, un promotore di questo tentativo fu l’architetto Ferdinando Galli da Bibbiena
Note 1 . Silvana Sinisi, Isabella Innamorati, Storia del teatro. Lo spazio scenico dai greci alle avanguardie, Mondadori, Milano, 2003, p.89. 2 . Ivi, p.115.
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Didascalie 6. Edward Gordon Craig, sreens (schermi), 1912 7. Bozzetto scenografico per “ I prigionieri”, Ivo Pannaggi, 1925 8. Scenografia dello spettacolo “ Le cocu magnifique ”, Ljuòv Popòva, Mosca, 1922
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che, capendo l’esigenza di rendere reale la scena, inventò “la scena per angolo”. Questa costituì un radicale cambiamento rispetto alle scene prospettiche viste sino a quel tempo: la prospettiva infatti non era più centrale, con un unico punto di fuga, ma era a più punti di fuga3; questi ultimi non erano centrali ma laterali in modo tale da permettere alle strutture scenografiche poste sul palco di essere oblique, in modo da rappresentare quasi realisticamente angoli di architetture cittadine. Questa complessità fu possibile grazie alla presenza di porzioni di architetture, lasciando alla fantasia dello spettatore la restante parte degli edifici.
1900: la scenografia come luogo della sperimentazione architettonica Nel 1900 la scenografia, avendo abbandonato il fondale dipinto a favore di una maggiore tridimensionalità, ritornò protagonista e anticipatrice di idee architettoniche future. All’inizio del secolo lo scenografo Adolphe Appia ebbe delle intuizioni architettoniche che precedettero idee architettoniche che caratterizzarono la storia dell’architettura solo diversi anni dopo. Le sue scene erano caratterizzate da forme pure dichiaratamente riconducibili all’ambito architettonico come rampe e scale, utilizzate in maniera talmente innovativa che ricreavano sulla scena veri e spazi architettonici moderni, del tutto distinti dal passato, e allo stesso tempo anticipatrici degli spazi del futuro4; il tutto fu arricchito da un uso sapiente della luce, che smise di essere usata solo per mero mezzo necessario all’uomo e, come avviene nei progetti architettonici, divenne parte integrante del progetto scenografico arricchendo gli spazi di un valore aggiunto. Con Appia l’architettura ebbe per la prima volta il vero ruolo da protagonista sul palcoscenico perché elementi comuni come le scale e i dislivelli divennero il fulcro della scena e ne scandivano i tempi e il ritmo dell’opera. Analogamente alla figura di Appia vi fu un altro scenografo in grado di ricreare scene architettoniche moderne e progressive rispetto alla reale architettura del periodo storico: Gordon Craig. Egli con l’invenzione degli screens, costituiti da parallelepipedi mobili di svariate altezze, rese possibile per la prima volta, la realizzazione di mille scene con l’ausilio di pochi elementi scenici5. Gli screens, essendo mobili, si collocavano sulla scena in base alle esigenze teatrali dell’opera e di quel preciso momento e perciò potevano ricreare scene sempre differenti. Successivamente negli anni del Futurismo, influenzato dal dinamismo dallapredilezione per la velocità e dalle macchine come espressione della civiltà moderna, la scenografia divenne nuovamente il mezzo più immediato e economicamente raggiungibile per la trasmissione dei pensieri architettonici di questa corrente. Architetti come Ivo Pannaggi e Luciano Baldassarri si cimentarano di proposito nella scenografia applicando i loro ideali all’interno della scena teatrale. Nelle loro opere è possibile notare tutti i canoni che caratte-
Note 3. Ivi, p.138. 4. Ivi, p183. 5. Ivi. p.191.
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Didascalie 9. Scenografia dello spettacolo Orpheus, Adolphe Appia, Hellerau 1913
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rizzavano il movimento futurista: la ricerca dinamica del movimento, il richiamo all’astratto, l’abbandono del reale, l’uso attento e sperimentale dei colori.
Di seguito al movimento Futurista, dopo la guerra, vi fù un’altra corrente architettonica stilistica che usò la scenografia come mezzo di propaganda: il Costruttivismo. Tale corrente trova spunto dal Futurismo ma lo rielaborò per riequilibrarne gli eccessi. Il teatro dopo la guerra assunse il ruolo di moderatore e venne assunto come spazio comunitario investito di valore pedagogico per gli spettatori6. Le rappresentazioni scenografiche del costruttivismo misero in atto pensieri architettonici scarsamente realizzati dal vero come l’utilizzo di materiali nuovi quali metallo, vetro, legno gomma utilizzati per strutture dichiaratamente costruttiviste7, un esempio fu “Le cucù magnifique” di Ljubov Popova, dove l’allestimento consistette nella realizzazione architettonica astratta di un castello/fabbrica composto da parti fisse e parti mobili utilizzato al meglio dagli attori con capriole e altri movimenti.
Tempi moderni L’architettura e la scenografia si influenzano anche nei giorni nostri, sono numerosi infatti gli architetti che decidono di mescolare le due discipline usando la scenografia come espediente per manifestare il proprio linguaggio architettonico al pubblico ma soprattutto come piattaforma su cui sperimentare nuovi linguaggi.Tra questi Aldo Rossi fu uno dei più suggestivi: egli vedeva l’architettura come un teatro e viceversa, il teatro per lui fù sempre una grande fonte di ispirazione, era il luogo in cui poteva sperimentare nuove tecniche e nuovi linguaggi architettonici. Lo stesso Rossi affermava: “il teatro è molto simile all’architettura perché riguarda una vicenda; il suo inizio il suo svolgimento e la sua conclusione. Senza vicenda non vi è teatro e non vi è architettura. È anche commuovente che ognuno viva una sua piccola parte”. Nel 1986 curò l’allestimento scenografico per il teatro di Ravenna per l’opera Lucia di Lammermoor, in essi la scenografia era costituita da più livelli che si susseguivano creando una profondità adatta a una reale prospettiva. Tutte le strutture rappresentavano edifici architettonici tra i più svariati, così la scenografia andava a confondersi con i veri tetti della città integrandosi quindi perfettamente con il contesto. L’ambientazione all’esterno del giardino della reggia dei Ravenswood fornisce all’architetto l’occasione per indagare il tema della piazza come simbolo dell’evoluzione urbana8. La scena era un perfetto incontro tra architetture sceniche e le vere mura della Rocca Brancaleone, l’apertura centrale analoga a una porta regia non si poneva come asse di simmetria poiché era affiancata da un lato da una piccola finestra e dall’altro lato da una porta. Al di la della Rocca si innalzavano guglie, torri, comignoli e finestre artefatte. Rossi sapeva che la vera essenza di una rappresentazione scenografica è sempre la vita che essa ha nella
Note 6. Ivi, p.226. 7. Franco Mancini, L’evoluzione dello spazio scenico,dal naturalismo al teatro epico, Dedalo, Bari.2002, p. 142. 8. Silvia Cattiadoro, Architettura scenica e Teatro urbano, Editore Franco Angeli, 2007, p. 79.
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Didascalie 10. Scenografia dello spettacolo “ Lucia di Lammermoor ”, Aldo Rossi, Ravenna, 1986 11. Scenografia per lo spettacolo “ Lo schiaccianoci ”, Mario Botta, Zurigo, 1992
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memoria degli spettatori, al di fuori dei tempi della rappresentazione e sapeva anche che si trattava di frammenti che il ricordo prova invano a ricomporre. Essendo il teatro un luogo adatto alla sperimentazione, anche Mario Botta ci si cimentò. Egli affermava che “il testo in se non mostra nulla, si limita a raccontare”9. Ma è proprio per questo aspetto che lo scenografo ha il permesso di rappresentare tante realtà distinte che possono andare anche al di la del racconto stesso; per Botta infatti, anche nel teatro come nelle sue architetture, è indispensabile l’utilizzo di forme concrete e ridotte ma arricchite da valori simbolici e astratti. Per questo comune punto di vista delle due discipline accettò all’inizio degli anni ’90 di collaborare con il coreografo Bernerd R. Bienert, con il quale ripensò e modificò le ambientazione dei balletti più famosi come lo Schiaccianoci. Nel palcoscenico le forme non sono più il mezzo per raccontare il rapporto tra architettura e natura, ma diventano simboli che si organizzano nel vuoto10. Nell’allestimento dello Schiaccianoci del 1992 “Botta ci obbliga ad un esercizio paziente di attenzione ai segni utilizzati e alle loro metamorfosi”11. Sul palcoscenico vi erano forme semplici ma d’impatto come coni, cubi, prismi, abbinate però a forme morbide come una sfera e un fondale, caratterizzato da un tessuto che trasmetteva un senso di magia natalizia grazie ad una superficie riflettente arricchita da dei minimi movimenti. L’acutezza del progetto di Botta stava nell’abbinare ai volumi in scena dei movimenti che rendessero ogni quadro differente e che potessero evocare immagini allo spettatore. Anche l’architetto Frank Gehry, che ritornò al teatro Walt Disney Concert Hall da lui progettato a Los Angeles, utilizzò la scenografia come linguaggio espressivo del proprio stile; l’architetto infatti realizzò la scenografia per il Don Giovanni, messo in scena nel maggio 2012. Gehry pensò che il palcoscenico dovesse essere come una natura morta in movimento nello spazio scenico, la scenografia venne realizzata attraverso l’utilizzo di alcune piattaforme bianche, poste a diversa altezza creando così numerosi livelli che gli attori potevano sfruttare per tutta la durata dell’opera, grazie anche a dei macchinari che permettono il movimento delle stesse pedane. Il tutto circondato da immensi fogli bianchi accartocciati che, grazie ad un uso intelligente della luce, creano un atmosfera surreale. Anche Gehry riuscì a creare una scenografia che rispecchiasse il suo linguaggio architettonico, dove le linee non sono linee rette ma spezzate, che formano figure astratte e permettono all’ osservatore di dargli una figurazione con la sua immaginazione. “Il teatro non ha perciò bisogno di un artista che lo decori ma di un architetto che lo costruisca. A tale artista il teatro offre infinite possibilità. Quando affermo che esso ha bisogno di un artista costruttivo non voglio perciò affermare che debba essere architetto. Egli può essere tanto uno scultore che un pittore che un architetto, se riesce ad intendere l’elemento fondamentale che costituisce il teatro, cioè l’azione, e aspira a risolvere questo problema con soluzioni ritmiche”12.
Note 9. Sakellaridou I., Werner A.M. Mario Botta poetica dell’architettura, Rizzoli, 2000, p. 214. 10. Silvia Cattiadoro, Architettura scenica e Teatro urbano, editore Franco Angeli, 2007, p. 64. 11. Gresleri G., Mario Botta. Luce e gravità. Architetture 1993-2003, Catalogo della mostra a Padova. 12. Aleksàndr Tairov, Storia e teoria del “Kammernhy” Teatro di Mosca , traduzione E. Fulchignoni, Roma, 1942.
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Didascalie 12. scenografia per lo spettacolo “ Il Don Giovanni ”, Frank Gehry, Los Angeles, 2012
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Bibliografia Silvana Sinisi, Isabella Innamorati, Storia del teatro. Lo spazio scenico dai greci alle avanguardie, Mondadori, Milano, 2003. Franco Mancini, L’evoluzione dello spazio scenico,dal naturalismo al teatro epico, Dedalo, Bari 2002. Silvia Cattiadoro, Architettura scenica e Teatro urbano, Editore Franco Angeli, 2007. Sakellaridou I., Werner A.M. Mario Botta poetica dell’architettura, Rizzoli, 2000. Gresleri G., Mario Botta. Luce e gravità. Architetture 1993-2003, Catalogo della mostra a Padova, Compositori, 2003.
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teatri : città
Architettura, teatro, città. Casi di studio: Mondi traslati Scenografia per lo spettacolo Utopia di Luca Ronconi, Gae Aulenti, 1974 Il teatro di Aldo Rossi e la costruzione effimera della città Teatro del Mondo, Aldo Rossi, Venezia, 1979 Il teatro e la baia Kursaal, Rafael Moneo, San Sebastian, 1989 Auditorium e Centro congressi, Estudio Barozzi Veiga, Aguilàs Murcia, 2004 Macchina Teatrale Wyly theater, OMA/REX, Dallas, 2009 KKL Centro culturale e congressuale, Jean Nouvel, Lucerna, Svizzera, 1998 Almere Masterplan Masterplan, Rem Koolhaas - Floris Alkemade, Almere, Olanda,1994-2005 Un teatro sull’acqua Teatro e centro culturale de Kunstlinie, Sanaa, Almere, Olanda,1998 Il teatro tra cielo e terra Teatro Cervantes, Ensamble studio, Città del Mexico, Mexico, 2013
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Didascalie 1. Viste interne della scenografia per lo spattcolo “Utopia ”, Gae Aulenti, 1974 2. Pianta della scenografia per lo spattcolo “ Utopia ”, Gae Aulenti, 1974
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Mondi traslati Scenografia per lo spettacolo Utopia di Luca Ronconi, Gae Aulenti, 1974 A cura di Eleonora Uras
Poetica e progetto Tra il 1974-1975 l’architetto Gae Aulenti e il regista Luca Ronconi studiarono e progettarono un nuova tipologia di scatola teatrale per lo spettacolo Utopia di Aristofane, rielaborando 5 soluzioni differenti1. Questo esperimento fondava le basi su un sentimento di innovazione e cambiamento; secondo i Loro presupposti il teatro doveva aumentare le sue potenzialità comunicative con lo spettatore cercando di inserire quest’ultimo all’interno del meccanismo teatrale per renderlo maggiormente coinvolto. In tutte e cinque le prove sceniche il luogo si trasformava in uno spazio cinetico e mutevole all’interno della stessa rappresentazione teatrale. In questo caso si prende in esame l’ultimo progetto, il quinto; tale rappresentazione era quella ipoteticamente più realizzabile rispetto alle altre in quanto prevedeva la costruzione degli spazi all’interno di architetture industriali e fieristici, presenti in tante città, ma anche se i presupposti c’erano tutti questa proposta, per ragioni economiche, non venne mai realizzata2. Il progetto inseriva tutte le tematiche e i luoghi citati nel testo teatrale come la strada: caratterizzata da un lungo corridoio; la città: rappresentata probabilmente dalle gradonate mobili e la casa . Il pubblico sarebbe stato sistemato sui due lati delle scalinate verso la strada e avrebbe assistito agli spostamenti
Preesistenza e scenografia Sulla base di quanto detto sulla nuova visione di spettacolo che aveva Ronconi, è inevitabile soffermarci sul punto di partenza che rese possibile tali ragionamenti sul luogo e sulla dinamicità, essa infatti era possibile soltanto se per prima cosa veniva annullato lo stereotipo del luogo stesso della rappresentazione liberandolo dalle misure e tipologie prestabilite. Questa nuova concezione di spettacolo e spettatore avrebbe fatto si che si potessero superare i problemi che nascono da una determinata architettura, portando questa al servizio dello spettacolo e non viceversa. In questo caso anche se Gae Aulenti rispettava l’edificio in cui sarebbe stato inserito il suo lavoro scenografico, in un certo modo se ne separava rendendo l’apparato scenografico dichiaratamente indipendente dall’involucro architettonico. La scenografia di Gae Aulenti risulta essere l’astrazione di un atto costruttivo complesso dipendente dall’architettura, dagli spazi, nel quale dimensioni, proporzioni e forme volumetriche generano un modello platonico e non un illusione mimetica dello spazio da rappresentare.
Note 1 Cinque Utopie, in “Lotus international”, n. 17, Dicembre, 1977, p. 78. 2 Ivi p. 82.
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Didascalie 3. Col colore rosso è indicata l’area di pertinenza del pubblico 4. Col colore rosso è indicata nelle sezioni la scenografia che scorre lungo la strada
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Movimento Il secondo punto che caratterizza il progetto gaulentiano è il dinamismo e il rifiuto alla staticità di oggetti e persone. Questo concetto, apparentemente astratto, prevedeva, da parte del regista, una progettazione dettagliata delle azioni dello spettacolo da rappresentare, ma non solo quelle che dovevano fare gli attori per la scena, ma anche i movimenti che avrebbe dovuto fare il pubblico durante lo spettacolo stesso. Il luogo scenico venne analizzato attraverso spostamenti e deformazioni visive ottico-prospettiche che avrebbero permesso una riflessione su ciò che è la città e ciò che potrebbe essere; Ronconi affermava che la “segreta contraddizione su cui si regge ogni messa in scena è quella di essere una sorta di architettura senza fondamenta o quantomeno dotata di fondamenta paradossalmente mobili”3.
Movimento del pubblico Gli spettatori sarebbero stati invitati a seguire gli attori e la scena spostandosi in punti diversi delle gradonate, cambiando perciò il loro punto di vista degli attori e dell’apparato scenografico, il movimento avrebbe proiettato la mente dello spettatore dentro lo spettacolo stesso a cui stava assistendo aumentandone così esponenzialmente il coinvolgimento.
Movimento delle scene ll movimento del pubblico sarebbe andato però di pari passo col movimento della scenografia stessa, infatti il progetto poneva al centro del lungo e vuoto corridoio due gradonate poste frontali fra di loro e laterali rispetto al pubblico che, attraverso dei movimenti lungo tutto il corridoio centrale, avrebbero scandito e distinto i diversi momenti dello spettacolo allo spettatore.
Struttura fissa Nel progetto scenografico non tutto prevedeva un movimento, infatti la gran parte del progetto sarebbe stato caratterizzato da due gradonate poste frontalmente e separate dall’ampio corridoio, da uno cubo scatolare fornito di tre pianti sui cui avrebbero recitato gli attori e una terza gradonata che avrebbe circondato questa architettura scenica. Questi impianti sarebbero stati fissi e avrebbero fatto da cornice indispensabile per il movimento delle due gradonate mobili lungo tutto il corridoio.
Note 3. Silvia Cattiadoro, Architettura scenica e Teatro urbano, editore Franco Angeli, 2007, p. 59.
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Didascalie 5. Prosprettiva dell’intero progetto dove è messo in evidenza il blocco scenografico scorrevole 6. Col colore rosso in ordine, da sinistra verso destra, sono indicati: la strda, la piazza e la casa
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Percorsi Nel progetto di Gae Aulenti, come si vede dai disegni, sono i percorsi che creano la gerarchia degli spazi e le loro distinzioni, essi sono costituiti da numerose rampe di scale che avrebbero permesso al pubblico di collocarsi a diverse altezze e punti delle due gradinate destinate a loro, infatti l’ampio corridoio centrale, libero da ogni ostacolo, sarebbe stato destinato esclusivamente alla scenografia e ai suoi movimenti lungo di esso e non alla percorrenza del pubblico.
Bibliografia Cinque Utopie, in “Lotus international� n. 17, Dicembre, 1977. Silvia Cattiadoro, Architettura scenica e Teatro urbano, Editore Franco Angeli, 2007.
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Didascalie 1. Composizione geometrica per associazione di solidi puri. L’utilizzo dell’ archetipo e di figure facilmente riconoscibili rende l’edificio di semplice lettura inoltre si inserisce in modo armonico rispetto al contesto. 2 Prospetto con ombre che mette in luce, ancora una volta la composizione volumetrica e il tavolato esterno. 3. Sezione che evidenzia il dispositivo teatrale. Nello spazio centrale si trova lo spazio scenico e gli spalti, mentre le torri laterali sono a uso del distributivo.
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Il teatro di Aldo Rossi e la costruzione effimera della città Teatro del Mondo, Aldo Rossi, Venezia, 1979 A cura di Francesca Roggero
Poetica e progetto Con il teatro del mondo, realizzato per la Biennale di Architettura di Venezia del 1980, Aldo Rossi traduce la sua passione per il dispositivo teatrale in un oggetto dalle proporzioni geometriche precise e riconoscibili e che poggiato sull’acqua diventa un’architettura della Laguna veneziana. Il progetto del Teatro del Mondo, così come ciascuna produzione di Rossi, è la risposta lineare alla poetica dell’architetto che enuncia già nel 1966 ne “L’architettura della città”, un testo che ha avuto una grande fortuna e che definisce l’idea fulcro di fatto urbano. I fatti urbani possono essere ricondotti ai protagonisti della formazione della città ovvero la strada, il palazzo, il monumento, e che la caratterizzano formalmente nella sua unicità per la loro qualità architettonica, in senso assoluto e in relazione alla memoria che questi evocano. Un esempio pratico lo dobbiamo al Palazzo della Ragione di Padova: “Quando si visita un monumento di questo tipo si resta sorpresi da una serie di questioni che ad esso sono intimamente legate; e soprattutto si resta colpiti dalla pluralità di funzioni che un palazzo di questo tipo può contenere e come queste funzioni siano per così dire del tutto indipendenti dalla sua forma e che però è proprio questa forma che ci resta impressa, che viviamo e percorriamo e che a sua volta struttura la città” 1.
I solidi puri Affascinato dalla studio della forma, dalla forma riconoscibile che stimola la nostra memoria a trovare familiarità con l’oggetto architettonico, i fatti urbani diventano opera d’arte, degli unici, assoluti e riconoscibili come tali. Nella pratica, il compito della realizzazione del massimo fatto urbano, il monumento, è assegnata alla geometria elementare, a quei solidi puri (parallelepipedo, piramide, prisma ottagonale, sfera) tanto cari a Boullée, personaggio determinante nelle influenze teoriche di Rossi . Fissati i pochi elementi essenziali e formalmente definiti, prosegue con associazioni libere attraverso la rielaborazione del già detto, già visto, già fatto, secondo il sistema invenzione come imitazione.
Note 1. Aldo Rossi, L’architettura della città, Quodlibet Abitare, Milano, 2011 (prima edizione 1966).
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Didascalie 4, 5, 6. foto storiche del teatro che galleggia nelle acque veneziane 4. L’estrema punta di Venezia, la Darsena e il Teatro del mondo durante la Biennale del 1980 5. Il teatro si inserisce perfettamente nel contesto, tra le architetture tradizionali veneziane. 6. Il teatro naviga sul mar Adriatico, muovendosi dalla sua collocazione scelta per la Biennale, alla ex-Jugoslavia
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teatro compatto Quello che deriva è un edificio a pianta centrale costituito da un parallelepipedo, elemento principale della composizione e dell’impianto, che ospita lo spazio scenico e lo spazio per gli spettatori. Complementari come dei contrafforti si connettono ad esso altri due parallelepipedi dedicati al distributivo illuminato da aperture finestrate poste sui prospetti laterali. Sovrastante il corpo centrale è il tamburo a pianta ottagonale, che chiude la struttura e che contribuisce a conferire una forte impronta geometrica precisa e ordinata all’intero edificio. Lo studio compositivo del coronamento è affidato ad una sfera e una bandierina, elementi che garantiscono la presenza del fatto effimero, ironico, dedicato allo spazio della rappresentazione, lo spazio dove finisce l’architettura e inizia l’immaginazione. Il teatro progettato risulta ridotto di dimensioni e di capienza, e quindi ottimale per spettacoli più diretti e privati. Il risultato è quello di un edificio che risponde nel dettaglio alle aspettative teoriche di Aldo Rossi: riconoscibile, determinato, un edifico compatto e solido.
architettura flottante La struttura del teatro è riconducibile ad una barca, lignea come da tradizione, che galleggia nella punta estrema di Venezia in una chiara citazione ai teatri temporanei dei carnevali settecenteschi. L’edificio viene costruito nel cantiere navale di Fusina su una struttura di acciaio fatta da tubi innocenti e trasportato con un rimorchiatore. Il teatro del mondo viaggia come la più comune delle barche e alla fine della Biennale si sposta verso l’allora Jugoslavia per essere poi ricostruito a Genova, seppur rimanendo nella memoria storica come il teatrino veneziano.
Bibliografia Aldo Rossi, L’architettura della città, Quodlibet Abitare, Milano, 2011 (prima edizione 1966). Marco Biraghi, Storia dell’Architettura contemporanea II 1945-2008, Piccola Biblioteca Einaudi. Alberto Ferlenga, Aldo rossi opera completa III 1993-1996, Electa, Milano, 1996. Arduino Cantafora, Poche e profonde cose, in “Casabella” n° 654, p. 4. Antonio Monestiroli, Aldo Rossi e la tendenza, in “Casabella” n° 831, p. 138.
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Didascalie 1. Vista generale della città di San Sebastiàn. L’edificio illuminato alla sinistra della foce del fiume Urumea è il Kursaal di Rafael Moneo. Le facciate digradanti e la composizione per solidi sono il mezzo con cui l’architetto riesce nell’intento di evocare la solidità dei promontori, quasi i blocchi affiorassero dal mare come rocce. 2. Planimetria generale San Sebastiàn. L’edificio è evidenziato in rosso, così come i promontori, sottolineando l’importanza degli elementi caratteristici del paesaggio naturale al momento della composizione dell’edificio stesso. 3. Vista generale città di Aguilàs. Il solido bianco che costituisce l’edificio è perfettamente inserito a cavallo della baia e tra gli edifici. 4. Planimetria generale Aguilàs. Vedi fig. 2.
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Il teatro e la baia Kursaal, Rafael Moneo, San Sebastian, 1989 Auditorium e Centro congressi, Estudio Barozzi Veiga, Aguilàs Murcia, 2004 A cura di Gabriele Floris
Contesto e teatro Il rapporto tra i teatri, il tessuto cittadino e il paesaggio è in numerosi casi il fattore fondante del progetto dell’architettura dell’edificio teatrale. Rafael Moneo ed Estudio Barozzi/Veiga realizzano rispettivamente due casi emblematici di questo tema: l’auditorium e centro congressi Kursaal a San Sebastian e l’auditorium e centro congressi di Aguilas, entrambi posizionati con l’intento preciso di mediare tra paesaggio e città. Moneo partecipa al concorso presentando un progetto che inserisce due masse di vetro traslucido entro un basamento di pietra e calcestruzzo, in riva al mare e prospicente il fiume Urumea. Il concept di progetto nasce dall’analisi delle caratteristiche naturali della linea di costa del golfo di Biscaglia: baie, insenature, promontori e lunghe spiagge sono una presenza costante, dando al territorio una determinata configurazione, che l’edificio vuole richiamare. In tal senso l’architetto dice: “la proposta è quella di far sembrare i blocchi dell’edificio come delle rocce alla foce del fiume”1. L’edificio entra a far parte del paesaggio naturale, rimanendo un ambito altro dall’impianto della città stessa, rispettandone il tessuto, ponendosi come nuovo punto focale della linea di costa, dal quale è possibile avere un punto di osservazione privilegiato dei promontori che cingono la baia di San Sebastian2. Il risultato è un’anticamera urbana che lega l’edificio al contesto urbano e che non deve far pensare ad una sostituzione degli elementi della composizione tipici della disciplina come il rapporto del progetto con il tessuto urbano solo ed esclusivamente a favore di elementi di rapporto con il paesaggio, mad ad una forte capacità di interpretare ciò che il pittoresco suggerisce sulla relazione con la natura, la topografia, formalizzando un ordine di rappresentare in architettura i valori dell’altro. “Il pittoresco è un tipo di composizione che è vicino alla natura senza essere identificato come naturale. Scegliere di rappresentare la natura , creare un artefatto che usa elementi naturali o l’aspetto delle sue forze, non è direttamente associato con la natura stessa”3. La città di Aguilas, affacciata sul mare di Alboràn, la parte più occidentale del Mediterraneo, è inserita in una serie di baie e promontori che generano l’idea progettuale da cui son partiti gli architetti per le forme del progetto: chi dovesse arrivare alla città spagnola dal mare, per approdare al porto, avrebbe la possibilità di vedere l’edificio come uno scoglio, modellato dalle intemperie e
Note 1. “El Croquis”, Rafael Moneo 1967-2004, p. 385. 2. “La figura retorica della roccia abbandonata[...] rende possibile naturalizzare i segni, nascondere la sua vera natura, e provvedendo una certa interpretazione di ciò che è visibile nasconde infine tutte le interpretazioni alternative.Il collegamento tra paesaggio e non architettura viene visualizzato con facilità come prodotto del Minimalismo e della Land Art”, da Luis Rojo de Castro, Hidden Discoveries/ Overlapping Discoveries, in “El Croquis”, Rafael Moneo 1967-2004 p. 385. 3. Sidney K. Robinson, Inquiry Into the Pictoresque, The University of Chigago Press, Chicago, 1991.
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Didascalie 5. Spazio a tutt’altezza tra il recinto realizzato in curtain-wall vetrato e la sala dell’auditorium del Kursaal di Rafael Moneo. 6. Vista generale del contesto naturale entro cui la città di Aguilàs ha la fortuna di trovarsi: l’edificio teatrale genera una serie di interessanti rapporti sia con la massa del costruito che con quella dei promontori e delle alture retrostanti.
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dall’acqua del mare4. L’edificio si erge compatto sul lotto oblungo, destinando una parte dello spazio di quest’ultimo ad una funzione pubblica di scalinata e di punto di osservazione sul mare, quasi fosse una platea per la scena naturale circostante, su cui prosegue la massa compatta dell’edificio.
Massa e recinto Entrambe le architetture vedono la condensazione di un certo numero di funzioni entro un volume compatto, che viene tuttavia impostato secondo due differenti principi: il Kursaal di Moneo, racchiude le sale di auditorio entro due volumi compatti che fuoriescono dal basamento entro il quale sono realizzate tutte le sale da conferenza, i negozi, i ristoranti, gli atri e le aule annesse5. Il progetto di Aguilas si prensenta come una massa unica, levigata, scavata e chiusa da grandi vetrate che aprono viste sul mare e sui promontori circostanti, così come nel progetto di Moneo, dove il rapporto visivo tra il contesto e gli ambienti interni dell’edificio è espletato con l’apertura di finestre che tagliano il basamento in punti predeterminati che aprono sul paesaggio, portando chi dovesse accedere alle sale a sostare davanti alle aperture e intravedere i promontori ed il mare. Le sale dell’edificio del Kursaal sono realizzate secondo un processo di perimetrazione di spazi: prima la sala da concerto, successivamente cinta dagli spazi di accesso e percorrenza, a loro volta racchiusi dalla pelle esterna realizzata in vetro. L’effetto di dilatazione spaziale di questo vuoto risultante le successive perimetrazioni è ottenuto grazie al posizionamento asimmetrico della sala centrale rispetto al perimetro esterno vetrato, dando grande respiro ad un lato, compattando e restringendo l’altro dandogli il carattere di semplice passaggio. La genesi del progetto quindi parte dal posizionamento di solidi su una piattaforma. Per un instante quest’azione pone nella stessa posizione entrambi i solidi che sembrano essere una ripetizione seriale l’uno dell’altro. In realtà essi derivano da una composizione bilanciata che non si rifà ad una semplice duplicazione dello stesso oggetto, bensì all’evidenziazione di una serie di elementi che permettono di legare con forza la forma astratta dei blocchi con il contesto circostante, un rapporto tra progetto e contesto costruito. Questi elementi sono molto simili a quelli della scultura Minimalista ove l’artista usa una serie di parametri in un sistema di ripetizione di azioni su oggetti che non sono di produzione immediata dell’artista, ma vengono dalla vita di tutti i giorni. Un esempio è l’opera di Jasper Johns “Untitled (Ale Cans)”, 1960, smaltata e ricoperta in bronzo per replicare l’aspetto e la forma degli oggetti iniziali, dando loro un carattere di peculiarità6,7. L’auditorium di Aguilas lavora secondo un principio differente: esso è una massa solida posizionata in riva al mare, un unicum entro il quale ottenere tutti gli spazi per le funzioni di teatro e annessi. Il processo compositivo porta gli architetti B/V a ottenere tali spazi con una serie di scavi di volume, giungendo a spazi a doppia altezza, tutt’altezza o aperture di viste verso l’esterno, pur entro una griglia in pianta ottenuta dal disegno planimetrico del contesto circostante8.
Bibliografia
El Croquis, Rafael Moneo 1967-2004. Massimo Ferrari, Profilo Barozzi-Veiga, in ”Casabella”,n° 847, 2015. Rafael Moneo, Competition Summary, Dic. 1989. Luis Rojo de Castro, Hidden Discoveries/Overlapping Discoveries in El Croquis : Rafael Moneo 19672004. Rosalind Kraus, Sculpture in the Expanded Field, The originality of the Avant Garde and other Modernist Myths, New York MIT Press, 1978. Sidney K. Robinson, Inquiry Into the Pictoresque, The University of Chigago Press, Chicago, 1991.
Note 4. In “Casabella” 847, Profilo Barozzi Veiga pp. 70-71. 5. In “El Croquis”, Rafael Moneo 1967-2004, p. 380. 6 Rosalind Kraus, Sculpture in the Expanded Field, The originality of the Avant Garde and other Modernist Myths, New York MIT Press, 1978, p. 245. 7. In ogni caso l’architettura del Kursaal non è solo riconducibile ad un processo compositivo Minimalista visto il carattere logico e opposto all’arbitrarietà della composizione. 8. Massimo Ferrari, in “Casabella” 847, Profilo-Barozzi Veiga, p. 70.
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Didascalie 7. Planimetria centro congressi di Aguilàs, in rosso sono evidenziati gli spazi ottenuti dal progressivo svuotamento della massa dell’edificio a favore di spazi di percorrenza e di distribuzione: accessi, vuoti a tutt’altezza e lobby d’ingresso. 8. Processo compositivo dell’edificio. Posta la massa sul lotto essa viene progressivamente modellata per farle assumere le forme decise sul lato ove è posta la città, rispettandone il carattere geometrico, laddove sui fronti prospicenti il litorale essa viene levigata fino ad ottenere due vele. Il resto della massa viene progressivamente svuotato con un processo di asportazione per creare gli spazi interni dell’edificio.
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Didascalie 9. Planimetria Kursaal; Schema planimetria Kursaal: il tracciamento delle linee che individuano le dimensioni simmetriche dei blocchi teatro e recinto permette di apprezzare lo stratagemma progettuale che sposta la massa del blocco teatro su un fianco del perimetro esterno del recinto. Questo ha come risultato un effetto di dilatazione spaziale sul fianco sinistro della sala, permettendo di inserirvi i corpi scala che uniscono i differenti livelli del complesso entro un unico spazio a tutt’altezza caratteristico. 10. Schema compositivo Kursaal: Piattaforma di base su cui vengono successivamente inserite le masse dei corpi teatro e i rispettivi recinti.
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Didascalie 1. Biblioteca di Francia, Parigi, 1989 2. Centro d’arte e tecniche multimediali ZKM, Karlsruhe, 1989 3. Wyly theater, Dallas, 2001
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Macchina Teatrale Wyly theater, OMA/REX, Dallas, 2009 A cura di Giacomo Garau
Architettura come meccanismo Il Wyly theatre può essere considerato traguardo di un processo che Koolhaas ha sviluppato definendo i progetti di concorso per la Biblioteca di Francia a Parigi e per il Centro d’arte e tecniche multimediali ZKM, a Karlsruhe, entrambi nell’89. I due progetti, definiti “autonomi, generici e globali”1, pur essendo a scale differenti, individuano nella struttura architettonica l’ elemento dominante di progetto. Nella Biblioteca, intesa come macchina per immagazzinare cultura, dove i differenti pezzi sono disposti dentro un telaio ben definito. Nel Centro d’arte e tecniche multimediali ZKM la sovrapposizione di destinazioni d’uso e attività, non sarebbe stata possibile senza l’impiego intensivo di scale mobili, rampe, ecc., responsabili della vitalità di uno spazio in cui si condensano i principi dell’architettura di Koolhaas sintetizzabile in “architettura è azione”2. Egli presenta inoltre un’architettura che “promuove uno stato di congestione a tutti i livelli possibili e sfrutta tale congestione per ispirare e sostenere particolari forme di relazione sociale, che insieme formano la cultura della congestione”3. I concetti di congestione e densità sono pienamente sviluppati in uno dei suoi testi Delirious New York:“Tutto il potenziale latente nel grattacielo come tipo è fruttato in un capolavoro della cultura della congestione, quel ‘condensatore sociale costruttivista’ che si è materializzato a Manhattan”4. I costruttivisti russi hanno trattato il tema dei condensatori sociali e successivamente l’hanno tradotto nei loro disegni avanguardisti. Koolhaas sottolinea il reale concetto di condensatore sociale, inteso come edificio capace di provocare nelle persone una reazione intensa e positiva, effettivamente materializzato nei grattacieli di NY. Egli aggiunge: “l’indeterminatezza del grattacielo suggerisce che nella Metropoli non è possibile abbinare funzioni specifiche a luoghi determinati”5. Cercherà infatti, dove possibile, di tenere a giusta distanza funzione e luogo, sottolineando come l’architettura sia molto legata al programma e all’azione. Programma in quanto definito come categoria che consente la costruzione di edifici indeterminati e aperti, capaci di non limitare la libertà d’azione.Azione intesa come uso che le persone faranno dell’ architettura. Si deve giungere a definire una struttura, come descritta da Koolhaas stesso parlando del Centro d’arte e tecniche multimediali ZKM, “capace di generare densità, sfruttare la prossimità, provocare tensione, massimizzare la frizione, orga-
Note 1. Rafael Moneo, Inquietudine teorica e strategia progettuale nell’opera di otto architetti contemporanei, Mondadori Electa, 2005. 2. Ibidem. 3. Rem Koolhaas, Delirious New York: A retroactive Manifest for Manhattan, New York, Oxford University Press, 1978 (trad. it. a cura di Marco Biraghi, Delirious New York. Un manifesto retroattivo per Manhattan, Milano, Electa, 2001). 4. Ibidem.
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AboveHouse
BackOfHouse
BackOfHouse
Chamber
CHAMBER
FrontOfHouse
BelowHouse
REHEARSAL
ROOM ROOPTO
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OFFICES COSTUME SH
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PATRON’S LOUN
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COSTUME SHOP
BALCONY FLY
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PERFORMANCE CHAMBE
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MECHANIC
AL SPACES
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nizzare gli spazi intermedi, promuovere la filtrazione, sostenere l’identità e stimolare la suggestione, il programma intero è incorporato all’interno di un unico container di 43x43x58 metri”6. L’ultimo stadio di questo processo è il teatro di Dallas dove l’edificio può identificarsi in una vera e propria macchina teatrale.
Macchina teatrale Nei teatri convenzionali la sala vera e propria è di solito “imprigionata” all’interno di una corona di spazi di servizio: Gli spazi frontali d’accoglienza (atrio, foyer, biglietteria, guardaroba, caffetteria) e spazi retrostanti di servizio (retropalco, montaggio scenografie, uffici). Il nuovo edificio progettato da REX|OMA dedicato al teatro di prosa e inserito all’interno della nuova grande area per le arti sceniche, il Dallas Center for the Perfoming Arts, rovescia questa organizzazione spaziale, applicando verticalmente le diverse funzioni, disposte quindi su 11 piani. Così la sala teatrale può presentarsi in diverse configurazioni, estendendosi verso l’esterno, dal quale è sempre visibile attraverso un’ ampia superficie vetrata. La sala viene così “liberata” disponendo gli spazi d’accoglienza sotto di essa e gli ambienti di servizio al di sopra della torre scenica. L’accesso al teatro avviene attraverso un ampio piano inclinato che, dalla strada, scende verso il foyer; da qui gli spettatori salgono poi verso la sala attraverso due strette scale in leggera penombra. Il volume verticale del teatro alterna così funzioni rivolte al pubblico, come il lounge del quinto piano o il centro pedagogico dell’ottavo, alle attività specifiche del teatro. Al nono piano una terrazza si apre verso la città, svelando il paesaggio urbano di Dallas. L’articolazione di doppie o triple altezze e di livelli sfalsati è occultata dalla pelle esterna, che invece comunica una sensazione unitaria, quasi scultorea dell’edificio. 466 elementi tubolari di sezione variabile, realizzati in alluminio estruso e alti oltre 30 metri fasciano il volume, contribuendo a un’immagine slanciata, che con il suo scintillio metallico ricorda il linguaggio dei grattacieli statunitensi degli anni ‘60. Gli ascensori, che in fondo come lo stesso Koolhaas considera in “Delirious New York” sono gli elementi tecnici alla base dell’architettura verticale propria degli Stati Uniti, sono collocati esternamente, addossati alla facciata est: il loro movimento incessante è un’ulteriore affermazione della natura meccanica di questo progetto.
Configurazione spaziale Il nucleo del progetto è la torre scenica, definita “superfly tower”. Oltre a movimentare le scenografie, la torre si caratterizza per una serie di balconate retrattili, che permettono di aumentare la capienza disponibile per il pubblico a seconda delle circostanze. Le sedute semoventi e l’utilizzazione di sistemi meccanici automatizzati permet-
Note 5. Rem Koolhaas, Delirious New York: A retroactive Manifest for Manhattan, New York, Oxford University Press, 1978 (trad. it. a cura di Marco Biraghi, Delirious New York. Un manifesto retroattivo per Manhattan, Milano, Electa, 2001). 6. Rem Koolhaas, S, M, L, XL: Small, Medium, Large, Extra-Large, Monacelli Press, 2006.
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Flat Floor
Sandwich
Proscenium
Traverse
Studio Theater
Arena
Bipolar
Thrust
Didascalie 4. Differenti configurazioni della sala. Ciò rende cosi possibile generare differenti tipologie di spazio a seconda della performance richiesta.
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tono di riconfigurare interamente il teatro in una sola giornata e con un gruppo ridotto di addetti. Le pavimentazioni del palco e del proscenio sono volutamente grezze, in modo da poter essere modificate senza danni: si può perforare, inchiodare e dipingere libera mente in modo che qualsiasi configurazione sia possibile.L’intero piano terra, quello della sala, è libero da pilastri grazie a un sistema di sei “supercolonne” e di muri in cemento. Il perimetro della sala teatrale è realizzato con una speciale parete in vetro, che contiene al suo interno il sistema di tendaggi per l’oscuramento totale, in modo da garantire la massima trasparenza e allo stesso tempo l’isolamento acustico.
Bibliografia Rem Koolhaas, Delirious New York: A retroactive Manifest for Manhattan, New York, Oxford University Press, 1978 (trad. it. a cura di Marco Biraghi, Delirious New York. Un manifesto retroattivo per Manhattan, Milano, Electa, 2001). Rem Koolhaas, S, M, L, XL: Small, Medium, Large, Extra-Large, Monacelli Press, 2006. Rem Koolhaas, Junkspace, Per un ripensamento radicale dello spazio urbano, a cura di G. Mastrigli, Quodlibet, Macerata, 2006. Rafael Moneo, Inquietudine teorica e strategia progettuale nell’opera di otto architetti contemporanei, Mondadori Electa, 2005. ZKM Centre for Art and Media Technology, Karlsruhe, Germany, 1989 in “El Croquis”: 53+79: Rem Koolhaas-OMA 1987-1992, Madrid, 1998, pp. 118-135. DEE & CHARLES WYLY THEATRE in “El Croquis”131/132: Rem Roolhaas-OMA 19962006, Madrid, 2007, p. 38. .
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Didascalie 5. Sequenza di immagini durante la riconfigurazione del teatro. Si passa da uno spazio completamente aperto alla cittĂ , ad una sala teatrale di oltre 600 posti (Ripresa frontale)
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Didascalie 6. Sequenza di immagini durante la riconfigurazione del teatro. Si passa da uno spazio completamente aperto alla cittĂ , ad una sala teatrale di oltre 600 posti (Ripresa zenitale)
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Didascalie 1. Lo spazio pubblico coperto che si crea al ingresso del auditorium, si noti l’affaccio sul lago, e lo skyline dei palazzi storici di lucerna, i quali vengono incorniciati da Jean Nouvel attraverso lo sbalzo della grande copertura. 2. Le passerelle sospese che uniscono i diversi blocchi del KKl sono uno degli elementi fondamentali del progetto di J.N. dalla foto emerge anche l’utilizzo di diversi materiali.
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KKL Centro culturale e congressuale, Jean Nouvel, Lucerna, Svizzera, 1998 A cura di Fabio Tidili
Poetica e progetto Il centro culturale e congressuale di Jean Nouvel, sorge a ridosso del lago di Lucerna, una vicinanza al lungolago che ha influenzato notevolmente la fase compositiva. Riunisce sotto un unico piano di copertura tre corpi principali, separati al primo piano con “linee d’acqua” che creano una giardino d’acqua. Il KKL non mostra la complessità della propria struttura, l’articolazione della propria consistenza, è nascosta all’interno di corpi compatti e astratti.
Rapporto con il contesto Jean Nouvel sembra ispirarsi al Fun Palace (1960-64) di Cedric Price, progettando un edificio composto da più elementi, nello specifico tre stabili, collegati con una sequenza di passaggi a filo d’acqua al piano terra e aerei tramite passerelle in metallo o in legno. In concomitanza con i corsi d’acqua nella copertura si creano dei tagli che illuminano le intercapedini generando una continua interazione tra acqua e luce. Per ciascun fronte del complesso studia una configurazione differente a seconda dell’affaccio: i fronti nord ed est sono aperti al lago con l’utilizzo di materiali permeabili e colorati, cortine vetrate, passaggi sospesi a vista; i fronti ovest e sud sono sistemi chiusi, appaiono opachi o traslucidi. I prospetti sono destinati a proteggersi o ad aprirsi alla città a seconda del punto in cui ci si trova. Sul lato orientale la concert hall viene affiancata a degli spazi semi-coperti, concepiti in modo da a creare degli spazi interclusi di aggregazione1. L’involucro della sala concerti si discosta dagli altri due edifici poichè ha un maggior rilievo plastico dato da un gioco di contrasti. Sul fronte nord i primi due livelli sono completamente vetrati, diversamente i livelli superiori appartengono ad un sistema scatolare chiuso, infine l’ultimo livello è una fascia aperta, una terrazza per vedere la città; da qui si percepiscono i sostegni della copertura e gli assi degli ascensori. Oltre la vetrata dei primi due livelli si trova il foyer, con al centro la doppia scalinata che porta ai piani superiori e ai lati della sala i due ascensori. Lo spazio è scandito dalla strutture metalliche verniciate di rosso che contrastano con il rivestimento in legno della sala. Al centro della copertura, stretta tra la concert hall e il centro congressi, è dislocata la sala polivalente, una penisola lambita su tre lati dall’acqua. Al contrario degli altri due edifici la facciata è una struttura “spugnosa” che si configura attraverso il grande vuoto centrale delimitata dalla grande parete scura3.
Note 1. Pierluigi Nicolin, KKL Lucerna, in ”Lotus” n° 836, 2000, pp. 9-15. 2. Pierluigi Fiorentini, Teatri e auditori, Quaderni di architettura dell’Ance, Edilstampa 2004 pp. 66-72. 3. Orietta Lanzarini, Teatri e luoghi per lo spettacolo, Electaarchitettura, 2008, pp. 52-67.
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PIANTA LIVELLO 0
Didascalie 3. Pianta tipo, in evidenza i tre blocchi che costituiscono il centro culturale, uniti soltanto dalle passerelle, la copertura fa si che si legga come un unica grande struttura, dalla pianta notiamo inoltre i due canali d’acqua che dividono gli ultimi due blocchi.
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La scelta compositiva Caratteristica principale è la grande copertura, portatrice di molteplici significati; compositivi, funzionali e simbolici: è protettiva, sporgendo a sbalzo per circa 20 metri, riporta ad una certa “unità” la composizione, vista da lontano rende il tutto più dinamico poiché si configura come una lastra priva di spessore, definisce la piazza sottostante, riflette le vibrazioni dell’acqua grazie al intradosso in alluminio.
Spazio scenico La concert hall, lunga 46 metri con 1840 posti, è stata realizzata in collaborazione con lo scenografo J. Le Marquet e dell’esperto di acustica R. Johnson, si distribuisce attraverso quattro balconate e una platea inclinata raggiungibile attraverso corridoi paralleli al corpo del teatro. La sala risponde alla proporzione 2:1 di una shoesbox, nonostante questo l’elevata altezza dà l’idea di una sala stretta e particolarmente allungata, la sensazione di distanza tra spettatore e orchestra e ridotta dal orientamento di ogni posto a sedere, orientato verso il direttore d’orchestra, si creano cosi dei posti unici tra di loro4. Nei piani superiori alla platea, le pareti perimetrali sono rivestite da pesanti pannelli rotanti, sopra il palcoscenico troviamo un articolato pannello di legno per le luci.
Rapporto con il contesto Il progetto si deposita come corpo estraneo nel contesto che li circonda con la sua geometria esatta, il trait d’union tra l’edificio e il paesaggio è fissato dalla copertura, un “ala aeronautica” che si libra sull’acqua e frappone un frammento di orizzonte tecnologico tra il lago, la città e la corona delle vette alpine. Il progettista condizionato dai caratteri del genius loci, e dalle prescrizioni normative edilizie, modifica la configurazione del waterfront in modo tale da introdurre l’acqua al interno del edificio5.
Bibliografia Pierluigi Nicolin, KKL Lucerna, in “Lotus International”, 2000, p.836. Pierluigi Fiorentini, Teatri e auditori, Quaderni di architettura dell’Ance, Edilstampa 2004. Orietta Lanzarini, Teatri e luoghi per lo spettacolo, Electaarchitettura, 2008, Díaz Moreno, Cristina y García Grinda, in“Elcroquis” , n°112-113, Editorial Gustavi Gili, 2002. L’architettura. Cronache e storia 521, marzo1999. Jean Nouvel Luzern, in “Edition Architekturegalerie Luzern”, Luzern 1998. Maurizio Vogliazzo, Semplicità complessa/Culture Centre in Lucerne, in “L’Arca”, n° 135, marzo/march 1999.
Note 4. Orietta Lanzarini, Teatri e luoghi per lo spettacolo, Electaarchitettura, 2008, pp. 52-67. 5. Díaz Moreno, Cristina y García Grinda, in “El croquis”, n° 112-113, Editorial Gustavi Gili, 2002 pp. 231-236.
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Didascalie 4. Schema assonometrico, scomposizione degli elementi costitutivi del progetto, la grande piazza, i tre blocchi con le differenti funzioni, e la grande copertura.
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Didascalie 5. Sezione trasversale, si puo notare la forma della grande copertura e lo sbalzo sulla grande piazza, al di sotto l’auditorium. 6. prospetto ovest e nord, due differenti affacci verso la citta, il primo più chiuso attraverso l’utilizzo di una “pelle” metallica il secondo più aperto al waterfront.
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Didascalie 1. Vista aerea del quartiere di Almere Stad durante l’attuazione del masterplan. 2. In rosso sono evidenziati i nuovi edifici che avranno differenti funzioni: commerciali, uffici, musei, teatri, residenze, ospedali e scuole.
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Almere Masterplan Masterplan, Rem Koolhaas - Floris Alkemade, Almere, Olanda,1994-2005 A cura di Alessia Assorgia
Almere Stad La città di Almere nasce alla fine degli anni ‘70 dalle terre sottratte al mare dell’IJsselmeer, ad est di Amsterdam, secondo i modelli delle città giardino di Lelystad, città sul Polder, o Bijlmer, cittadina a sud-est di Amsterdam, modelli che subirono molte critiche per un’urbanistica alienante e mistificante, infatti, il principio fondante della città era quello di dar vita ad un tessuto urbano senza particolari riferimenti topografici, costituito da più nuclei. Il primo dei quali è Almere Haven, costruito sull’acqua alla fine degli anni ’70, seguito da Almere Stad e da Almere Buiten negli anni ’90. Almere Stad, a differenza del complicato Haven, presenta una semplice maglia ortogonale dove i percorsi a scacchiera sono generati da un asse centrale che parte dalla stazione e sfocia nel lago Weerwater. Almere quindi si configura come una perfetta città satellite che si appoggia alla città madre e ne dipende direttamente, sia economicamente sia per l’assenza di servizi primari, quali: scuole, punti vendita, spazi pubblici, banche, servizi alla residenza e sanitari. Nel tempo la città, o quello che era stato in parte realizzato, si è evoluta e alcuni nuclei non sono rimasti indipendenti tra di loro, come in progetto, ma hanno iniziato ad interagire e a crescere anche dal punto di vista economico diventando incontrollabili.
Un nuovo waterfront Nell’arco di otto anni, benchè solo una parte dell’impianto cittadino sia stato realizzato, emerse subito l’inadeguatezza del progetto, in questo modo la pubblica amministrazione si propose di indire un concorso ad inviti per la realizzazione di un nuovo centro civico con spazi culturali, commerciali e ricreativi che, insieme ad un nuovo centro affari, potesse trasformare la città in un catalizzatore sociale e farla elevare dal livello di una città dormitorio. Al concorso vinse lo studio di OMA, rappresentato dall’architetto Floris Alkemade, il suo progetto prevedeva di implementare l’economia cittadina, la riduzione della dipendenza dalle vicine città (Amsterdam, Utrecht) e aumento della popolazione da 150.000 abitanti a 300.000 abitanti complessivi. Il progetto viene realizzato per il centro di Almere Stad e ricalca un grande tassello quadrato della città, che si affaccia direttamente sul lago Weerwater. Le analisi pre-progettuali di OMA hanno messo in evidenza la connessione tra il tessuto esistente e lo sviluppo
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Didascalie 3. Immagine del plastico di progetto. 4. Organizzazione del nuovo tessuto urbano e la disposione degli edifici.
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di aree nuove, il rapporto con il lago, l’inadeguatezza dei collegamenti con il Centrum e le aree residenziali limitrofe, la coesistenza dell’area residenziale con l’inquinamento causato dall’immediata vicinanza dell’A6 e l’integrazione dell’area industriale De Steigner. Lo sviluppo dell’economia e la riduzione della dipendenza dalle altre città è ottenuta tramite la scelta di dotare il centro cittadino di funzioni come un business centre, servizi sanitari, una casa dello studente, uffici, un istituto universitario/superiore, un teatro e centro culturale, un commissariato, un centro commerciale con cinema, supermarkets, negozi al dettaglio, megastores, ristoranti ecc. Gli assi che dominavano il progetto iniziale sono stati trasformati e non tagliano più il centro in maniera simmetrica, sono stati deviati e ne sono stati scelti degli altri uno dei quali attraversa diagonalmente il nuovo centro cittadino, mentre l’altro affianca il nuovo centro cittadino e va a sfociare direttamente sul lago. Inoltre, vi è la separazione programmatica tra percorsi pedonali, ciclabili e strade riservate al servizio pubblico mentre le automobili sono volutamente tenute al di fuori del centro, questo ha consentito di collocare in un piano rialzato le attività commerciali e culturali, che a loro volta, fanno da base alla fascia residenziale. Per progettare i vari edifici sono stati chiamati all’appello molteplici studi di architettura tra i quali Sanaa e Christian de Portzamparc.
Bibliografia 1. M. Desvigne, Almere Waterfront, in “Lotus International” n°150, 2012, pp 8-11. 2. R. Capezzuto, La città di Koolhaas, in ”Domus” n° 844, 2002, pp. 30-43. 3. M. Provoost, Ducthtown: a city centre design by OMA, NA Publishers, Amsterdam,1999. 4. H. Ibellings, Nei Paesi Bassi: sei quartieri abitativi modello, in “Casabella” n° 603, 1993, pp. 24-35. 5. M. Tadi, Almere Centrum & Almere Buiten & Gewild Women, in “Abitare” n°417, 2002, pp. 188-191.
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Didascalie 1. Assonometria del complesso, in rosso le tre sale, rispettivamente da: 1000, 400 e 250 posti. 2. Vista esterna sul lago Weerwater.
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Un teatro sull’acqua Teatro e centro culturale de Kunstlinie, Sanaa, Almere, Olanda,1998 A cura di Alessia Assorgia
Orizzontalità contro verticalità Il teatro e centro culturale di Almere si estende sul lago Weerwater, ricalcando perfettamente i contorni di un molo esistente come se fosse un pezzo di città, un isolato, che ripercorre la configurazione del costruito e si instaura sull’acqua. All’orizzontalità del contesto entrano in contrasto le sale del teatro che emergono a differenti altezze dal resto della struttura che invece si sviluppa omogeneamente su un unico piano. La soluzione messa a punto dallo studio prevede quindi una grande piattaforma quadrata di 100 metri di lato che si estende per intero all’interno del lago. La struttura viene occasionalmente bucata da patii di diversa grandezza, i tre volumi dalle differenti dimensioni e altezze corrispondono al teatro principale destinato ad accogliere fino a 1.050 persone, all’auditorium minore con 350 posti a sedere, e alla più piccola “performance room” pensata per 150 spettatori. La forma, oltre ad essere un’allusione al resto della città, rispecchia ed esalta il programma funzionale. È stata concepita in modo tale da favorire l’interazione tra gli artisti professionisti e gli amatori, includendo i due programmi funzionali all’interno di un unico volume, facendo in modo, però, che la dicotomia sia esplicita dalla forma dell’edificio, in rapporto allo stesso tempo con la superficie orizzontale del bacino artificiale sul quale l’opera sarà realizzata e con la massa costruita del nuovo waterfront. L’edificio al suo interno, oltre alle sale teatrali, vede una distribuzione omogenea delle funzioni come: music room, ensemble, pop music studio, percussion studio, computer room, sound studio, photograph-video studio, painting studio e graphic studio.
La neutralità del costruito Il rapporto tra interno ed esterno, tra costruito e naturale, è stato gestito in maniera neutra seguendo la filosofia dello studio giapponese, configurando una planimetria priva di gerarchie, dove ogni elemento spaziale riveste la medesima importanza. Ogni singolo elemento con la sua autonomia geometrica partecipa in eguale misura alla costruzione dell’insieme e viceversa. “Muoversi all’interno dell’edificio diventa come attraversare, in una sequenza sempre mutevole, serie di stanze, aperte e chiuse, grandi e piccole, fino a riscontrare a dispetto dell’apparente uniformità della pianta, una qualità specifica degli spazi disposti lungo il perimetro dell’edificio in rapporto diretto con l’acqua”1. Gli interni sono trattati con una leggerezza formale, dove si ha l’alternanza di soli due elementi: uno
Note 1. L. Diffuse e M. Tesse, Sanaa: bellezza disarmante, Universale Architettura 168, Torino, 2007, p. 86.
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Didascalie 3. Pianta dell’intero edificio che ricalca quasi perfettamente i contorni del molo, lasciando solamente uno spazio di servizio per l’organizzazione delle sale. Dalla pianta emerge l’articolazione degli spazi che vengono distribuiti in maniera neutrale e senza alcuna gerarchia, lasciando al visitatore la piena libertà di scegliere i propri percorsi. 4. Vista verso l’esterno del piccolo auditorium.
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opaco e uno trasparente e degli unici colori che sono il bianco e il grigio. Sia gli elementi sia i colori sono utilizzati per rappresentare al massimo la neutralità del costruito verso la naturalità dell’esterno, infatti, nelle aule che si affacciano sul lago, l’acqua è protagonista interpretato quasi come un elemento costruttivo. L’assenza di gerarchia nell’edificio, obiettivo principale e perseguito in tutti i suoi elementi costitutivi, è ottenuta attraverso la dispersione di elementi equivalenti. Sejima e Nishizawa traducono il programma funzionale fino a estrarne quel minimo comune denominatore che permette la più semplice associazione possibile di condizioni spaziali per ciascuna delle attività. Questa serie di soggetti ambientali minimi è poi organizzata in una rete di mutue relazioni che genera la configurazione spaziale. Quelli di Sejima e Nishizawa sono spazi immersivi in cui la percezione del movimento del corpo nello spazio coinvolge il soggetto alla ricerca dei propri limiti, dei propri contorni e dell’esperienza degli altri soggetti che condividono lo stesso spazio. Anche il tema dei flussi circolatori è portato alle estreme conseguenze e partecipa alla costruzione del carattere dell’edificio, all’organizzazione funzionale e compositiva. Vengono realizzate configurazioni concatenate in maniera semplice capaci però di proporsi come sistemi altamente complessi se considerati nell’insieme. Spesso le relazioni tra i sistemi di movimento e gli ambienti si dissolvono determinando la diffusione del sistema connettivo in una concatenazione continua di esperienze dove al visitatore è lasciata la libertà d’interpretazione.
Esperienza della consapevolezza Uno spazio neutro, non gerarchico, senza accenti formali nel quale l’esperienza della profondità è generata dalla tensione tra le relazioni alterate che intercorrono tra gli oggetti, tra il corpo e lo spazio. Lavorando sulle variazioni in profondità degli elementi architettonici, stratificando in sequenze percettive oggetti dalla trasparenza studiata, minimizzando all’estremo lo spessore dell’elemento opaco, aumentando inverosimilmente quello di un oggetto trasparente e creando spazi dalle relazioni dimensionali del tutto anomale si induce il visitatore in uno stato alterato della percezione nel quale egli non ritrova i parametri con cui misura normalmente l’ambiente. Si tratta di un’esperienza intensa dello spazio indotta dall’uso di un vocabolario semplice fatto di astrazione, monocromatismo, assenza di gerarchia. Tale intensità determina l’offerta di una modalità di fruizione dello spazio rilassata e di un’esperienza fluida dell’architettura. I progettisti in questo modo ridimensionano automaticamente il proprio ruolo, ammettendo e ricercando una duplice intelligenza distributiva. “L’intelligenza degli utenti contemporanei, del loro ruolo attivo non solo di performers nello spazio costruito, ma anche di editors in grado di post-produrre l’offerta iniziale dell’ambiente architettonico. L’intelligenza dell’architettura di spazi concepiti principalmente per attivare queste potenzialità”2. Anche l’assenza di corridoi all’interno della costruzione è la conferma della regola utilizzata nei progetti dell’attivazione dell’utenza, il sistema della circolazione è affidato alla modalità in cui la gente disegna i propri percorsi attraverso le stanze determinando le
Note 2. L. Diffuse e M. Tesse, Sanaa: bellezza disarmante, Universale Architettura 168, Torino, 2007, pp. 21-25.
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Didascalie 5. Rappresentazione grafica tipica dello studio Sanaa dove si percepisce la successione degli spazi. 6. Vista dal lago verso l’interno dell’edificio. 7. Corridio perimetrale utilizzato come smistamento dei flussi e percorrenza di un lato dell’edificio, da qui si percepisce lo stretto legame con l’elemento acqua.
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connessioni tra un ambiente e l’altro. L’attenzione a questo tema è perseguita dallo studio anche a costo, o con il preciso intento di, negare l’espressione di qualsiasi cosa possa definire una visione architettonica personale o ideologica. L’assenza di gerarchia nell’edificio, obiettivo principale e perseguito in tutti i suoi elementi costitutivi, è ottenuta attraverso la dispersione di elementi equivalenti. Sejima e Nishizawa traducono il programma funzionale fino a estrarne quel minimo comune denominatore che permette la più semplice associazione possibile di condizioni spaziali per ciascuna delle attività. Questa serie di soggetti ambientali minimi è poi organizzata in una rete di mutue relazioni che genera la configurazione spaziale. Quelli di Sejima e Nishizawa sono spazi immersivi in cui la percezione del movimento del corpo nello spazio coinvolge il soggetto alla ricerca dei propri limiti, dei propri contorni e dell’esperienza degli altri soggetti che condividono lo stesso spazio. Anche il tema dei flussi circolatori è portato alle estreme conseguenze e partecipa alla costruzione del carattere dell’edificio, all’organizzazione funzionale e compositiva. Vengono realizzate configurazioni concatenate in maniera semplice capaci però di proporsi come sistemi altamente complessi se considerati nell’insieme. Spesso le relazioni tra i sistemi di movimento e gli ambienti si dissolvono determinando la diffusione del sistema connettivo in una concatenazione continua di esperienze dove al visitatore è lasciata la libertà d’interpretazione. Il tema strutturale nel caso di Almere non è mai individuabile singolarmente, ma collabora strettamente con la definizione programmatica del progetto e con l’obiettivo fissato in origine. È costituito da una piastra di acciaio che lavora come una colonna all’interno del muro, sistemata nell’intercapedine e rivestita nei due lati dai diversi materiali. La variazione di questi ultimi da un significato diverso a ciascuna parete soprattutto agli ambienti che si affacciano sul lago. È quindi chiara la volontà di non separare le partizioni interne dalle strutture e di creare una sequenza di materiali differenti. In ciascuna delle partizioni alcune zone sono struttura, altre sono finiture trasparenti o opache, altre sono impianti e altre ancora sono luce mantenendo tutti lo stesso spessore standard. Il senso generale del progetto sta nella sovrapposizione simultanea di programma, griglia geometrica, scelte strutturali e aspetti impiantistici 3.
Bibliografia L. Diffuse e M. Tesse, Sanaa: bellezza disarmante, Universale Architettura 168, Torino, 2007. Y. Hasegawa, Kazuyo Sejima + Ryue Nishizawa SANAA, Electa, Firenze, 2005. AA. VV., Sejima Nishizawa SANAA 1995-2000, El Croquis, Madrid, 2004. G. Crespi, Un teatro sull’acqua, in “Casabella” n° 757, 2007, pp. 26-37. S. Casciani, Intervista a Kazuyo Sejima, in “Domus”n° 969, 2013, pp. 28-37. M. Biagi, De Kunstlinie, in “Casabella” n° 790, 2010, pp. 4-17.
Note 3. L. Diffuse e M. Tesse, Sanaa: bellezza disarmante, Universale Architettura 168, Torino, 2007, p. 35.
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Didascalie 1. Immagine che mostra lo spazio pubblico coperto che si crea al di sotto della copertura, si noti il rapporto della pensilina con le altezze degli altri edifici. 2. Immagine che mostra due dei quattro appoggi per la copertura, e le “lame� che la compongono, si noti il rapporto tra la quota zero e la prima lobby del teatro.
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Il teatro tra cielo e terra Teatro Cervantes, Ensamble studio, Città del Mexico, Mexico, 2013 A cura di Fabio Tidili
Poetica e progetto Lo studio di architettura spagnolo Ensamble studio per la progettazione del nuovo teatro Cervantes in Città del Messico prende inspirazione dalla tradizione atzeca, sia per le forme della grande copertura in acciaio, ispirato al monolite in basalto raffigurante il dio sole, sia per lo sviluppo degli spazi utili, distribuiti verticalmente al di sotto della quota zero attraverso terrazzamenti I lavori per il progetto del Teatro Cervantes, iniziano nel 2013, l’area di progetto è già definita dalle grandi costruzioni residenziali e commerciali Telcel e dal volume e il museo Soumaya che sviluppano i loro possenti volumi verticali, definendo in modo rigoroso lo spazio,. Il nuovo masterplan per il quartiere di Plaza Carso concepisce il quartiere come una città nella città, considerata la più grande riqualificazione dell’America latina prevede la trasformazione da vecchio quartiere industriale a importante polo commerciale, residenziale e culturale.
Rapporto con il contesto Antón García Abril non cerca l’interazione tra i volumi circostanti ma cerca piuttosto di interagire con il cielo, ma soprattutto con il sole, attraverso l’interazione dei suoi raggi. La scelta di creare uno spazio completamente ipogeo indica la volontà del progettista di non rapportarsi con il contesto ma di lasciare in superficie un luogo pubblico coperto, che funga da “esca” per i passanti, attraverso le forme della copertura cerca un equilibro con il contesto circostante1.
La scelta compositiva L’architetto spagnolo Antón García-Abril definisce lo spazio attraverso la grande copertura metallica, la riconciliazione di una pianta isotropica ortogonale e bidirezionale con la variabilità delle inclinazioni e dello sviluppo in sezione delle grandi lame, fa apparire la copertura come un monolite piatto che fluttua nel area in cerca di un rapporto tra terra e cielo2. Dal punto di vista visivo è la potenza dello spazio vuoto, lo spazio vero e proprio è sotterraneo, il teatro infatti è l’ultimo di quattro piani sotterranei, ci si arriva attraverso scale mobili, il
Note 1. Francesco Dal Co, Mexico Global, in “Casabella”, n° LXXVIII aprile 2014, 836 p. 9-15. 2. Francesco Garutti, Cervantes Theater, in “Abitare”, n° 522, 2012, p. 72-83.
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Didascalie 3. Pianta della copertura, si possono notare gli appoggi asimmetrici. 4. Pianta tipo, si noti l’area del foye, il livello della platea e lo spazio scenico.
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“sentiero” non lineare della discesa fino all’ultimo piano permette che il pubblico passi per tutti e quattro terrazzi e perda la percezione del area circoscritta dalla Dovela3. La luce oltrepassa la copertura arrivando fino al ultimo livello, le terrazze infatti sono sfalzate tra loro permettendo una buona illuminazione naturale all’interno dello “scavo del teatro.
La copertura La copertura piana in metallo è un gioco di incastri, costituita da grandi lame che si intersecano tra di loro in modo da permettere l’attraversamento della luce nei vari momenti della giornata, non ha solo un valore simbolico, protegge dall’acqua le lobby sottostanti grazie alle diverse inclinazioni delle lame è alla lastra in vetro che poggia sul estradosso della pensilina. La struttura piana appoggia su quattro pilastri con differenti forme plastiche, aventi una distribuzione asimmetrica rispetto alla pianta si crea così un equilibrio bilanciato dal punto di vista funzionale4.
Spazio scenico La progettazione del teatro è stata affidata all’ architetto José de Arimatea Moyao, la sala è strutturata per ospitare qualsiasi tipo di rappresentazione teatrale. La sala principale ha come dimensioni 24 per 24 metri, la sua configurazione spaziale varia, a seconda dell’uso desiderato. Può essere un teatro convenzionale, con le sedute nella platea, uno spazio piatto, con la rimozione delle sedute, o una sala costituita da diversi piani sfalsati in altezza, grazie a dei piani mobili che si alzano e si abbassano.Il boccascena misura 15 metri e il proscenio fisso è alto 15 metri.5 Mentre la scena è di 13 metri di profondità, i suoi lati di sei metri a destra e sei a sinistra. Il pavimento in legno con botola permettono il montaggio di ogni tipo di scenografia. La sala ha un totale di 1.400 posti, 677 sono stati collocati sulla platea, la quale è composta dalla somma delle sette piattaforme che si muovono attraverso dei pistoni idraulici, che permettono le diverse configurazioni dello spazio.
Bibliografia Francesco Dal Co, Mexico Global, Casabella LXXVIII aprile 2014, 836. Francesco Garutti, Cervantes Theater, Abitare 522, 2012. Garcia Abril, Cervantes Theater, The Plan 67, 2013. L’architettura. Cronache e storia 521, marzo/march 1999 Jean Nouvel Luzern, Edition Architekturegalerie Luzern, Luzern 1998 Maurizio Vogliazzo, “Semplicità complessa/Culture Centre in Lucerne”, L’Arca 135, marzo/march 1999.
Note 3. Garcia Abril, Cervantes Theater, in “The Plan” n° 67, 2013, pp. 52-67. 4. Francesco Dal Co, Mexico Global, in “Casabella” n° LXXVIII aprile 2014, 836, pp. 9-15. 5. Francesco Garutti, Cervantes Theater, in “Abitare” n° 522, 2012, pp. 72-83.
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Didascalie 5. Il rapporto tra i volumi di Placa Carso con lo spazio del teatro, concepito come un vuoto nel cuore di uno dei più estesi sviluppi edilizi di Città del Messico. 6. Schema, lo svilluppo delle lobby, i differenti livelli del teatro, l’architetto si ispira alle costruzioni atzeche, diversi terrazzamenti, i quali prendono luce attraverso lo spazio a tutta altezza che definisce l’ultima lobby.
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Didascalie 7. Sezione longitudinale, in evidenza la copertura con i rispettivi appoggi asimmetrici, inoltre si vedono i livelli del teatro, la balconata e la parte inferiore della platea e lo spazio occupato dalla torre scenica. 8. Esploso assonometrico, si notano gli appoggi della copertura, gli spazi aperti in cui la luce penetra arrivando fino al ultimo livello del teatro
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Luogo e progetto. Cagliari e il suo fronte portuale
Il porto di Cagliari. Storia e trasformazioni Il periodo Pisano Il periodo Aragonese Il periodo Sabaudo via Roma, da cortina muraria a fronte porticato sul mare La successione di domini Le fortificazioni Struttura urbana medievale Periodo di stallo e ripresa Cagliari senza mura La formazione dei palazzi in linea e portici Va Roma spazio pubblico Il futuro del porto antico di Cagliari. Considerazioni sul piano regolatore Un piano per il porto di Cagliari Il ruolo del PRP Interventi previsti dal piano nel porto storico
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Didascalie 1. Planimetria città di Cagliari XIV sec. 2. Vista volo d’uccello basata sulla Cosmografia Universalis. Inchiostro su carta.
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Il porto di Cagliari. Storia e evoluzione A cura di Fabio Tidili
Le vicende storiche che vedono come protagonista il porto di Cagliari hanno inizio nel XI secolo, il periodo che va dal VII al XI secolo noto come periodo alto-giudicale non ci permette di tracciare una linea storica ben definita, per due motivi: la scarsa documentazione diretta a noi pervenutaci, e lo spostamento della popolazione avvenuta tra il VIII e XI a causa delle invasione saracene. La trasformazione da semplice città con porto, a citta portuale, inizia con il medioevo e con l’arrivo dei mercanti toscani e genovesi, i quali intensificano i traffici commerciali, costruiscono le aree di aggregazione e di distribuzione delle merci. Inizia cosi per il porto la sua lenta evoluzione, che influenzerà tutto l’aggregato insediativo adiacente alla via Roma. Il porto di Cagliari, denominato Lapola, dal nome medioevale dell’attuale quartiere della Marina, fu sotto il governo pisano per due secoli, il quale ebbe una posizione di preminenza rispetto al governo di Genova, infatti dei Giudici di Cagliari ottennero esenzioni daziarie, svariate concessioni che gli permisero di prendere il controllo del porto di Bagnaria o de Gruttis, i due nomi sono collegati ad alcune caratteristiche dell’area, il Bagnaria e da ricondurre al latino balneum usato per indicare alcuni edifici adibiti a bagni e edifici termali, il secondo de Gruttis deriva dalle numerose grotte rinvenute nell’ attuale viale Bonaria1. In quest’area vi edificarono un intera colonia mercantile, con depositi per le merci e alloggi per il personale, quache decennio dopo fu edificato il Castrum Callari nella parte sovrastante.
Il periodo Pisano La rocca a fine duecento è abitata soprattutto dai mercanti di origine pisana, residenti o cittadini cagliaritani i quali controllavano e dirigevano gli scambi e le attività commerciali, la popolazione sarda si sviluppa soprattutto nei borghi al di fuori del Castrum con attività artigianali al servizio dei traffici commerciali pisani. Il porto fu munito di bastioni di difesa, una torre difendeva la darsena, inoltre si provvide a recintare lo specchio d’acqua con una robusta palizzata in legno capace di attutire l’impeto del mare. L’area adiacente al porto non era un vero e proprio insediamento definito, era per lo più una grande spiazzo non strutturato, segnato dal attraversato dei carri e degli animali che divideva il Castrum dal porto. Con Pisa, ebbe inizio un periodo di grande floridezza per il porto di Cagliari,
Note 1.Pinuccia F. Simbula, Il porto nello sviluppo economico della città medioevale, in “G.Ortu, Cagliari tra passato e futuro”, CUEC 2004, Cagliari.
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Didascalie 3. Planimetria città di Cagliari XVIIsec. 4. Cagliari vista dal mare, incisione, XVIII sec. 5. La flotta francese bombarda Cagliari durante la tentata invasione dell’isola da parte delle truppe della giovane Repubblica Francese il 28 gennaio1793, con lo scopo di unificare Corsica e Sardegna. Le fortificazioni della città giocano un ruolo fondamentale nel respingere gli invasori.
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poiché esso era non solo lo sbocco degli svariati prodotti del retroterra, ma costituiva anche il punto cruciale per i traffici nel Mediterraneo sud-occidentale, che facilitava assai le relazioni commerciali della Repubblica coi mercati dell’Italia meridionale, della Sicilia e dell’Africa settentrionale e vi facevano anche scalo le navi che provenivano dalle coste del Levante ed erano dirette ai mercati di Francia e di Spagna. Dal XIII al XIV secolo il porto segue un ordinamento burocratico differente da quello della città, il Breve Portus Kallaretani, il più antico statuto portuale, il quale constava di 68 capitoli che disciplinavano tutta la vita economica ed amministrativa del porto sardo, dalle funzioni dei consoli ai diritti e doveri dei mercanti pisani, dalle esportazioni dei prodotti isolani al controllo dei carichi delle navi, dei pesi e delle misure dello stoccaggio.
Il periodo Aragonese Al periodo pisano subentra poi quello aragonese-spagnolo, nel 1327 il governatore spagnolo Bernat de Boixadors progetto l’ampliamento del area antistante al porto, con l’intento di creare un vero e proprio quartiere da popolare con coloni iberici, l’edificazione della lapola e la sua trasformazione da appendice del castello nel 1332. Sempre in quegli anni inoltre, risale la progettazione della nuova darsena, che portò successivamente alla costruzione di un sistema di strade ben articolato parallele al porto tagliate perpendicolarmente dalla vie d’accesso al Castello, in questo spazio trovarono posto, case, magazzini e depositi, i vari uffici del personale del porto, gli uffici della dogana e successivamente gli uffici delle saline. Sempre per mano spagnola fu costruito il Moletto della Sanità, nel punto centrale del porto, esso appare già nella pianta di Cagliari del sec. XIV inserita nella Forma Kalaris dello Scano. Nel periodo spagnolo il porto conservava la struttura portante pisana, si presentava quindi con i due moli uno a ponente e uno a levante uniti da una banchina dietro la quale si estendeva la plaḉa del port, a delimitare lo specchio d’acqua, presente sempre la palizzata formata da pali consolidati da traversi. La conferma di questa struttura è rappresentata dalla fonte iconografica di Sigismondo Arquer, il suo disegno fu da esempio per la rappresentazione di Dionigi Scano. La città nella prima metà del cinquecento aveva ancora un carattere medioevale, le sue fortificazioni erano inadeguate, nel 1552 l’ingegnere militare Rocco Cappellino progetto la risistemazione dei bastioni, l’abbassamento delle mura e la costruzione di forti scarpate, speroni e rivellini, mentre per il porto l’intervento prevedeva la costruzione di un baluardo nel molo est a difesa della palizzata. Il successivo progetto di Giorgio Palearo prevedeva l’inclusione del porto all’interno del sistema difensivo del quartiere marinaio, e la fortificazione del molo centrale, e la costruzione di un piccolo fortino nel molo est. Il progetto per motivi finanziari non venne realizzato, si opto per il progetto più economico del fratello Jacopo Palearo, che prevedeva la fortificazione del
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Didascalie 6. Planimetria città di Cagliari, particolare quartiere Marina, 1842. 7. Vista della “Via a Mare” della vecchia cagliari in una cartolina d’inizio novecento. 8 Vista città di cagliari presa dal colle di Bonaria. Fine 1800.
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quartiere marina, il completamento del baluardo del molo e la costruzione di un fortino del molo est, soltanto ai primi del seicento lo scalo cagliaritano presenta le fortificazioni del progetto, cosi come ci viene rappresentato dal ingegner Domenico Bruno con la plantas de todas la fortalezas, abbiamo due grossi baluardi a protezione della marina, ad ovest quello di Sant’Agostino ad est quello di Gesus, sul muro parallelo alla darsena si apre la cosiddetta porta della città, l’ingresso al quartiere marina. Una nuova porta invece viene aperta sulle mura che proteggono il molo est, la palizzata medioevale è stata demolita per favorire la manovra delle navi in entrata e in uscita, al centro del porto sorge un lungo molo di legno probabilmente per le piccole imbarcazioni2. Nel 1640 Cagliari entra a far parte della squadra delle galere del regno di Sardegna, il viceré, il marchese del Castel Rodrigo fa varare un nuovo progetto per l’adeguamento del porto per la sosta delle grandi galere, e all’approvvigionamento del personale3. Il progetto prevedeva l’abbandono del vecchio specchio d’acqua per via del suo basso fondale a favore di una più capiente darsena, nel versante orientale a ridosso del antico molo di legna, (oggi di fronte al palazzo Enel) In questo modo l’antico porto poteva essere utilizzato dalle piccole imbarcazione mentre la nuova darsena per galere più grandi che richiedevano un fondale con profondità maggiore, adiacente le mura della marina invece vengono costruiti due forni e spazi adibiti alla conservazione del arsenale. L’amministrazione del porto rispondeva al Consiglio del regio patrimonio del governo vice regio, le spese per la manutenzione delle strutture portuali e i salari degli addetti erano ripartiti tra l’amministrazione reale e la città.
Il periodo Sabaudo Nel XVIII secolo la struttura del porto di Cagliari rimane invariata al progetto del marchese Castel Rodrigo, la citta antistante al porto manteneva un aspetto medioevale, le case povere, costruite con materiali leggeri, anche i palazzi della nobiltà si confondevano con un edilizia privata dimessa priva di un carattere architettonico. Nonostante lo posizione strategica, Cagliari non aveva ancora uno scalo all’ altezza, la fortuna del sistema cagliaritano era data esclusivamente dalle marinerie straniere che prelevavano le materie prime e le smerciavano in tutto il mediterraneo, gli armatori isolani non avevano le capacità di spingersi in altri scali ed attingervi risorse. Si decise allora tra il 1744 e il 1792 di far fare un salto di qualità dal punto di vista commerciale, rafforzando le opere di difesa militare dello scalo, rendendo più funzionali le strutture della darsena e costruiti nuovi capienti magazzini di stoccaggio. Nel grande molo centrale sorgeva la casa della sanità ove si controllavano i documenti delle imbarcazioni e si ritirava la posta in arrivo, accanto si trovava
Note 2.Pinuccia F. Simbula, Il porto nello sviluppo economico della città medioevale, in “G.Ortu, Cagliari tra passato e futuro”, CUEC 2004, Cagliari. 3. Mattone A., Una finestra sul mediterraneo. Il porto di Cagliari nel età moderna, in “G.Ortu, Cagliari tra passato e futuro”, CUEC 2004, Cagliari.
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Didascalie 9. Planimetria città di Cagliari, particolare quartiere Marina, 1885. 10. Vista della nuova situazione della Via Roma post abbattimento fortificazioni: il quartiere di Marina si rivela, senza alcun filtro come una serie di facciate povere, un retro che la città dovrà modificare, rinnovandosi come il nuovo prospetto sul mare. 11.Cartolina del 1905 raffigurante i “picciocchedusu de crobu”, bambini atti al trasporto di merci di piccola taglia con cesti. Allo stesso tempo nella foto è possibile apprezzare il nuovo molo sanità, spoglio ora che le fortificazioni sono state abbattute e, al contempo, si percepisce la presenza della piantumazione al centro della Via Roma. Sullo sfondo il prospetto del palazzo della dogana.
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la dogana del formaggio che riscuoteva i dazi della pastorizia, più distante il magazzino nel quale i bastimenti scaricavano la polvere da sparo. Nel 1848 con la fusione perfetta di tutti i territori degli Stati di Terraferma il porto di Cagliari risulta essere ancora inadeguato, era privo di mezzi di salvataggio, di un cantiere per la riparazione delle imbarcazioni in avaria, di un faro che potesse orientare le imbarcazioni alla scalo, e di una gru per le operazioni di scarico e carico. Risalgono al 1858-1860 i primi progetti di ampliamento e di modernizzazione del porto, tra il 1867 e il 1876 vennero demoliti bastioni e la porta del molo, tra il 1882 e il 1890 furono realizzati i primi lavori, il rifacimento del molo sanità, la costruzione delle edificio della dogana è il capiente capannone per il deposito delle merci. Alla fine dell’Ottocento, l’ingegner Edmondo Sanjust fu chiamato alla costruzione della sezione marittima del Genio Civile di Cagliari4. A lui si deve la redazione, nel 1882, del “Piano Regolatore Generale” che prevedeva importanti opere di ampliamento e modernizzazione del porto di Cagliari, sulla traccia di precedenti idee e progetti, che però non erano mai stati realizzati. Solo nel 1890 vengono realizzate tali opere: dopo otto anni di lavoro, furono portati a termine i lavori per la costruzione del Molo di Levante, la trasformazione del vecchio moletto centrale nel Pontile della Sanità e il prolungamento della riva del lungomare Roma sino a 80 metri a nord-ovest del pontile da sbarco. Inoltre dal 1889 al 1903 era stato avviato un altro ciclo di lavori che portò alla costruzione del Molo di Ponente e delle banchine di S. Agostino, raccordanti la radice del nuovo molo con la sommità della sponda d’attracco nord-orientale, banchinata entro il 18905. Il porto così organizzato aveva infatti il grave inconveniente di essere poco protetto dai venti di libeccio; a causa dell’imboccatura troppo ampia, tali venti producevano un forte moto ondoso e di conseguenza una risacca così forte da costringere le navi a lasciare gli ormeggi ed ancorarsi ad una certa distanza dalle banchine. Anche i venti nord-occidentali producevano altri perturbamenti nella zona orientale del porto. Per cercar di eliminare i gravi svantaggi dell’esposizione e per adeguare il porto alle sempre crescenti esigenze del traffico, una Commissione governativa predispose, sin dal 1905, un nuovo Piano Regolatore, che prevedeva il prolungamento del Molo di Levante, l’avanzamento delle banchine di S. Agostino e Via Roma e la costruzione di un nuovo Molo di Ponente che, partendo dalla riva sinistra del canale di S. Gilla, presso il Ponte della Scafa, e svolgendosi per 1700 metri, da NW a SE, avrebbe conseguito il duplice scopo di creare un vasto avamporto e di invertire il settore di traversia, rivolgendo la nuova imboccatura del porto a scirocco. Dovettero però passare vent’anni, anche a causa della forzata interruzione per il primo conflitto mondiale (1915-1918), affinché il progetto entrasse nella fase esecutiva. I lavori furono iniziati solo nel 1925, e tre anni dopo risultavano già completati il prolungamento del Molo di Levante e l’avanzamento delle banchine di S.
Note 4. Pinuccia F. Simbula, Il porto nello sviluppo economico della città medioevale, in “G.Ortu, Cagliari tra passato e futuro”, CUEC 2004, Cagliari. 5. Mattone A., Una finestra sul mediterraneo. Il porto di Cagliari nel età moderna, in “G.Ortu, Cagliari tra passato e futuro”, CUEC 2004, Cagliari.
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Didascalie 12. Planimetria città di Cagliari, particolare quartiere Marina, anni ‘90 XIX sec. 13. Vista aerea città Cagliari e Porto, 1921.
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Agostino. Nel frattempo veniva ultimato anche il prosciugamento del vasto acquitrino giacente ai piedi del Colle di Bonaria, che fu colmato e sostituito da un ampio tratto piano (Su Siccu), protetto verso il mare da una diga lunga 1600 metri circa, a sua volta protetta da una scogliera artificiale. A questa diga, vicino allo sbocco del Canale di S. Bartolomeo, venne più tardi radicato il Pennello del sale. Fu aggiunto, nel 1937, il nuovo Molo di Levante, lungo circa 600 m e diretto da E ad W in modo da racchiudere la Darsena adibita al carico del sale prodotto dalle attigue Saline di Stato. Portata a termine nel 1938 la costruzione della lunga diga foranea detta Nuovo Molo di Ponente; trasformato quello vecchio in Molo Sabaudo, largo 60 metri; sistemati i piazzali adiacenti al bacino di Ponente; scavati vasti settori dell’avamporto sino a metri 5,50 di profondità e arricchite, infine, le sovrastrutture murarie e meccaniche, il porto fu reso adatto allo svolgimento di un notevole traffico. Il ventennio 1920-1939 aveva visto una notevole ripresa dell’Isola caratterizzata da numerose attività e iniziative, il movimento commerciale marittimo, che fu uno dei segnali principali di quel risveglio, aveva registrato un incremento deciso e continuo. Ad arrestarlo furono le incursioni aeree del 1943 arrecarono gravissimi danni all’attrezzatura portuale. Le banchine della Darsena, del molo della Sanità, della calata di S. Agostino e della piccola stazione marittima si trasformarono in un informe cumulo di macerie. La rimozione delle macerie e la ricostruzione delle opere distrutte furono condotte con notevole celerità e portate a termine nel 1949, incrementando inoltre le attrezzature meccaniche con altre gru e prolungando le banchine di Via Roma e della Darsena di 35 metri.
Bibliografia Pinuccia F. Simbula, Il porto nello sviluppo economico della città medioevale, in “G.Ortu, Cagliari tra passato e futuro”, CUEC 2004, Cagliari. Mattone A., Una finestra sul mediterraneo. Il porto di Cagliari nel età moderna, in “G.Ortu, Cagliari tra passato e futuro”, CUEC 2004, Cagliari. Artizzu F. , Il porto, in “Aa.Vv., Cagliari Quartieri storici, Marina, Silvana editore 1989, Cagliari”. Documento autorità portuale.
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Didascalie 12.Vista di Via Roma e del Porto, Cartolina inizio ‘900 13. Cartolina d’inizio novecento raffigurante il tratto iniziale di Via Roma: è perfettamente percebile come fosse ancora concreta la possibilità di realizzare un secondo portico sul lato mare della strada. 14. Vista aerea dell’intero porto antico di Cagliari, 1943 prima dei bombardamenti di febbraio.
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Didascalie 17. Via Roma nel 1943, martoriata dalle bombe. 18. Vista della città nel 1880 dal molo Sanità. 19. Foto attuale della città che riprende la vista del 1880 dal molo Sanità.
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Didascalie 20. Carta indicante i danni causati dai bombardamenti. Nelle campiture rosse sono indicati i danni di grave entitĂ , laddove il retino a graticcio indica i danni di lieve entitĂ . 21. Anno 1943. Gli Alleati arrivano in Sardegna. Sono evidenti i pesanti danni subiti dagli edifici della palazzata in seguito ai bombardamenti effettuati prima dello sbarco.
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Didascalie 22. Anni 50. Il porto vede la costruzione sulla superficie del molo Sanità di un deposito realizzato in cls armato. Questa struttura rimane sino al giorno d’oggi trasformata nell’attuale Stazione Marittima. 23. Vista generale del porto di Cagliari nel1953. Si nota la nuova costruzione, sul molo Sanità, di un nuovo edificio in calcestruzzo, con una volta a botte.
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Didascalie 1. Vista a volo d’uccello della città di Cagliari secondo lo schema della vista realizzata dal Munster nella Cosmografia Universalis, p. 621, XVI secolo. Raffigura Cagliari storica con la sua cortina muraria, le torri e le porte d’accesso ai quartieri. Fuori dalle mura si riconoscono alcune costruzioni, e verso il mare, il porto. 2. Cagliari che viene espugnata dal mare, facendosi susseguire da una lunga serie di domini durante la sua storia.
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Via Roma, da cortina muraria a fronte porticato sul mare A cura di Francesca Roggero
La successione di domini Cagliari ha una storia antichissima che inizia con gli insediamenti nuragici e che prosegue per quasi tutto il suo corso con il succedersi di dominazioni di popoli esterni a quello sardo. Dal periodo Fenicio-Punico-Cartaginese, attraversa la dominazione Romana, Vandalica e Bizantina per dar posto a quella Pisana nel medioevo succeduta poi da quella Aragonese-Spagnola per concludersi con quella Sabauda. Soltanto dal XIX sec Cagliari incomincia a essere governata da personaggi locali che ne cambiano l’assetto in modo definitivo.
Le fortificazioni La dominazione Pisana è quella che attribuisce a Cagliari una connotazione rintracciabile anche oggi, facendola diventare da quel momento sino ai successivi cinque secoli una città fortezza a carattere quasi esclusivamente militare. La scelta strategica dei pisani è quella di fortificare quello che al tempo come oggi è il cuore di Cagliari, un’area di circa venti ettari a forma trapezoidale, sfruttando la struttura morfologica del terreno quindi il colle su cui giace castello, lo strapiombo naturale verso est e il piano inclinato verso il mare a conclusione di Marina. L’intera area viene prima delimitata da una cortina muraria e poi potenziata con la costruzione di tre torri, San Pancrazio e dell’Elefante nell’area più alta e poi quella del Leone a sud, che metteva in comunicazione Castello con l’area portuale permettendo l’ingresso delle merci che arrivavano dal mare; in corrispondenza delle torri infatti si trovavano le porte della città, ciascuna cinta a sua volta da mura, fossi, ponte levatoio e porta falsa. Sotto la dominazione pisana “Cagliari diventa una roccaforte imprendibile in uno dei più splendidi esempi di architettura militare del Medioevo” 1. Nel corso del Trecento e del Quattrocento gli Aragonesi fanno diventare Cagliari scalo delle rotte del Mediterraneo, occupandosi di costruire infrastrutture adeguate agli scali commerciali e implementando le fortificazioni e quindi la linea difensiva cagliaritana. La crescita dell’efficienza del porto produce un conseguente sviluppo del suo quartiere ausiliario, Lapola, che ospitava le residenze dei lavoratori del porto, operatori economici e finanziari, pescatori del golfo, marinai come anche degli scrivani, ristoratori, bottai e trasportatori di vino.
Note 1. Ilario Principe, Le città nella storia. Cagliari, Editori Laterza, Bari, 1981. D. Scano, Storia dell’arte in Sardegna dal XI al XIV secolo, Cagliari, 1907, pp. 345-80. S. Rattu, Bastioni e torri della città di Cagliari. Contributo alla storia militare ed alla sistemazione urbanistica della zona, Torino, 1939.
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Didascalie 3. I “Pensieri intorno al miglioramento del Porto di Cagliari� del console inglese in Sardegna, William Craig, databili al 1860, contengono la sistemazione a portici dei futuri largo Carlo Felice e via Roma, in seguito alla demolizione delle mura, al potenziamento del porto e alla costruzione della strada ferrata. I portici erano agibili superiormente tramite una terrazza. Cagliari, Archivio storico del Comune, Stampe, 1 A 11.
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Struttura urbana medievale Come in tutti i centri marittimi italiani, la struttura urbana di Marina era caratterizzata da un sistema a griglia dove le strade si posizionano in maniera parallela e perpendicolare al porto. Tra quelle perpendicolari la principale per la sua connotazione commerciale è Carrer Barcelona (via Barcellona) seguita verso ovest da Carrer Moras (via Napoli) e Carrer de Sanct Leonart (l’attuale via Baylle). La strada centrale che segue l’andamento della linea del mare è l’attuale via Sardegna, sormontata per via della morfologia del territorio da quella che oggi è Via Manno, l’allora S’arroga ‘e Sa Costa. Centro nevralgico dell’attività religiosa è la parrocchia di Eulalia costeggiata da S’arroga ‘e Gesus nonché l’odierna Via Cavour. Punto di riferimento dello spazio pubblico è la piazza del Porto chiamata in origine Plaza de la Lapola. L’intero quartiere è delimitato da tre confini molto precisi che sono la linea del mare a sud, la rocca del Castello a nord, e tutt’intorno le fortificazioni che servivano a impedire qualsiasi sbarco non autorizzato nonché alla difesa militare del territorio.
Periodo di stallo e ripresa Il secolo XVII porta con sé diverse difficoltà per la città di Cagliari: la crisi delle attività portuali è accompagnata da una forte pestilenza che decima la popolazione a cui segue un periodo di carestia. Il dominio Sabaudo avvantaggia una strategia di difesa militare a discapito della centralità commerciale che aveva avuto sviluppo nei secoli precedenti, così Cagliari, come l’intera isola, perde la sua posizione di centralità marittima del Mediterraneo, non aggiornando la flotta e seguendo le nuove normative marittime che non agevolano il commercio. Questo declino si ripercuote immediatamente nello sviluppo della Marina. Pur rimanendo il quartiere più popolato della città, cade nella trascuratezza mostrando chiaramente questo nuovo stato decadente. Per la crescita economica bisogna aspettare quasi due secoli, nell’ ‘800 via Barcellona si riappropria della sua posizione di spicco e viene scelta per l’inserimento del primo sistema di illuminazione di lanterne ad olio della città. Nei primi decenni del secolo la città ha ancora una configurazione fortificata: le mura che la attorniano costituiscono un chiaro ostacolo naturale alla sua espansione ma descrivono anche un chiaro segno di limite della città. Questo limite determinava in maniera estremamente spontanea un fuori le mura, uno spazio con una sua definizione regolato da un programma comunale di concessione enfiteutiche, che permetteva il continuo uso del suolo pubblico e dunque della sua manutenzione. L’area regolata dalle concessione enfiteutipoteva essere costruita, rispettando le normative vigenti tra le quali quella che regolava l’altezza dei fabbricati inferiore a quella delle mura.
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Didascalie 4. Vista panoramica di Cagliari dal mare. Si nota la mancanza della cinta muraria abbattuta negli anni immediatamente precedenti. Il profilo è definito dalla scansione delle case a schiera, prima di essere sostituite dal progetto unitario della palazzata moderna. 5. Litografia della planimetria di Cagliari, 1885, ormai priva della fortezza muraria.
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Cagliari senza mura La prima vera trasformazione di Cagliari in città moderna avviene tramite il Piano Regolatore di Gaetano Cima del 1858-1861. Il piano prevedeva il progetto di una nuova struttura urbana, respingendo per sempre l’assetto militare della città tramite l’abbattimento delle porte e la conseguente apertura della città verso l’esterno. Il conseguente affaccio diretto della città, e in particolare della Marina, verso il porto e il mare introduce il grande tema del progetto dello spazio che sostituisce le mura: è proprio in questo momento storico che viene avanzata l’idea di una strada adiacente a tutto il quartiere e definita architettonicamente da una palazzata omogenea che corre su tutta la strada nuova. La primissima proposta di questa idea progettuale era stata presentata dal console inglese a Cagliari negli anni 1846-1866, William Craig. La sua proposta consisteva nell’abbattimento delle fortificazioni murarie e il posizionamento di una serie di palazzi sovrastati da una terrazza che ne avrebbero determinato l’arteria centrale della città, arteria che oggi si può riconoscere nella via Roma e nel Largo Carlo Felice. A causa di problemi economici che affliggevano le casse comunali, la demolizione della cortina muraria inizia soltanto qualche decennio più tardi, facendo rallentare radicalmente l’intervento di Cima e conseguentemente anche il suo successo. Nel 1880 viene approvato dalla Giunta Comunale il progetto di una “perfetta linea intieramente compiuta: dalla Darsena al piazzale della stazione andando a finire nella strada di circonvallazione fra la casa Cocco e la stazione, avendo un lastricato molto distante dalla linea dei fabbricati” 2. Tale direttiva viene poi aggiornata nel Regolamento edilizio del 1892 che prevedeva che “nessun fabbricato potrà erigersi nella via Roma, se non sulla linea del marciapiede, munito di portici aperti al pubblico passaggio costruiti con quelle dimensioni e norme che verranno presentate dalla Giunta Comunale” 3. Con l’inizio del nuovo secolo via Roma acquisisce un disegno e un ordine: da un lato è definita dalla scansione dei portici e dall’altra da un’ampia zona verde adibita a passeggiata ombreggiata da pioppi. Le carreggiate stradali sono segnate dai binari per i tram a vapore poi sostituiti da quelli elettrici e dalle guide di granito per i carri. Le automobili inizieranno a circolare dagli anni venti, così come i sistemi di illuminazione pubblica si trasformano dai fanali a gas ai sistemi più moderni. Il valore di via Roma viene accresciuto inoltre dal riposizionamento del nuovo Municipio, che nel 1896 per la prima volta nella storia di Cagliari viene spostato dal quartiere di Castello, secondo il progetto di due professionisti torinesi: l’architetto Annibale Rigotti e l’ingegnere Crescentino Caselli.
La formazione dei palazzi in linea e portici La Rinascente E’ l’edificio che chiude l’angolo di Via Roma con il largo Carlo Felice. Realizzato tra il 1925 e il 1930 si estende per un area pari a tre case a schiera e si estende
Note 2. Aa. Vv. , Cagliari. Quartieri storici. Marina, Silvana editoriale, Milano, 1989, p. 125. 3. Ibidem.
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Didascalie 6, 7, 8, viste di Via Roma in diversri anni 6. 1876. Porta di Sant’Agostino, vista dal Molo Sanità. Si vede ancora una prematura edificazione. 7. 1905. Via Roma si trova nella sua fase intermedia: le mura sono state abbattute, la città si apre verso il mare ed è già presente il disegno della passeggiata ombreggiata da pioppi. Sta venendo a delinearsi la linea su cui poi si ergerà il portico. 8. 1955. La rappresentazione è di una Cagliari moderna, con la palizzata assestata, la via porticata, la via stradale asfaltata per mezzi a gomma., la passeggiata con le palme e i binari per il tram.
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in altezza su cinque livelli, retti da pilastri rivestiti a bugnato e irregolarmente alternati a colonne. Cornici e timpani in stile manierista ornano le aperture del secondo e terzo piano, mentre nel quarto si vedono bucrani e festoni. Il palazzo è ritmato da alcuni avancorpi, uno dei quali si completa con un timpano che conclude l’attico, l’unico piano con aperture ad arco. Prima di essere utilizzati dai grandi magazzini, l’edificio ha ospitato l’albergo Excelsior Miramare, il cinema Astra Supercinemam e il cinema Iris. Palazzo Magnini II, Palazzo Magnini I e Putzu-Spano, Palazzo Garzia-Vivanet, Palazzo Leone-Manca, Palazzo Devoto, Palazzo Fercia-Pisano Vascellari-Beretta e Puxeddu, Palazzo Ravenna Tutti i suddetti palazzi seguono uno schema dal linguaggio architettonico coerente: pilastri, spesso a bugnato, alternati alle colonne reggono gli archi su cui poggiano i piani sovrastanti, scanditi da lesene e cornici marcapiano che formano l’intelaiatura delle aperture, alcune delle quali con balconi e timpani. Talvolta sfalsati sui diversi livelli, non mancano elementi costruttivi decorati a rilievo. Alcuni dei palazzi nascono dall’accorpamento di più lotti delle case a schiera preesistenti come rivela il loro disegno in planimetria, sebbene la resa finale risulti ordinatamente unitaria. Palazzo del consiglio Comunale Situato su una superficie estesa sulla riunione di quattro isolati che hanno chiuso lo sbocco al mare della via Arquer, l’edificio è l’ultimo inserito nella palizzata ed è stato terminato nel 1988. Il primo concorso non aveva dato risultati soddisfacenti durante la fase di costruzione. Di conseguenza agli inizi degli anni ’80 è stato bandito un nuovo concorso-appalto vinto da dieci professionisti diversi coesi in un unico gruppo. L’edificio si sviluppa su una superficie di 3200mq per 50000mc. La struttura si regge su pilastri a sezione triangolare che nella via Roma forma un porticato architravato su cui si innalza il prospetto chiuso da vetrate progressivamente aggettanti. Questo corpo è raccordato dall’altro che si affaccia sulla via Sardegna mediante il volume centrale contenente la sala consiliare. La pianta, disposta ad H, segue le differenze di quota fra le due vie, disegnando una piazza pubblica al suo pian terreno. Case a schiera Le case a schiera sono le costruzioni rimaste della via San Francesco ottocentesca. Il loro andamento risulta dunque indipendente dal progetto unitario della via, come dimostra chiaramente il loro avanzare rispetto al filo del porticato. Si tratta di tre lotti a due piani con una cornice terminale che nasconde le coperture a spioventi. Palazzo INA già Zamberletti Costruito negli anni 50 ha sostituito il palazzo Zamberletti, uno dei primi edifici dell ‘800 scomparso a causa dei bombardamenti del 1943. Pur riprendendo la tipologia del palazzo a portici, questi sono semplicemente retti da piedritti senza collarino e più elevati rispetto all’altezza costante degli altri porticati.
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Note 9. Palazzata di via Roma A. La Rinascente, B. Palazzo Magnini II, C. Palazzo Magnini I e Putzu-Spano, D Palazzo Garzia-Vivanet, E Palazzo Leone-Manca, F. Palazzo Devoto, G. Chiesa di San Francesco da Paola, H. Palazzo Fercia-Pisano Vascellari-Beretta e Puxeddu, I. Palazzo del consiglio Comunale, L. Case a schiera, M. Palazzo Ravenna, N. Palazzo I.N.A.
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La sua particolarità si palesa inoltre nell’assenza dei balconi e delle decorazioni in prossimità dlle aperture. Eretto su sei livelli, ha il piano più elevato arretrato rispetto al filo della facciata a formare un attico.
Va Roma spazio pubblico Alla fine degli anni trenta via Roma ha la sua identità, la successione di palazzi è terminata, e i suoi portici scandiscono la sosta lavorativa dei cagliaritani tra negozi e bar. Dall’altra parte della strada la passeggiata lungo il porto è colorata dalle foglie dei pioppi poi sostituiti dal ficus retusa e successivamente dalle palme dopo i bombardamenti della Seconda Guerra mondiale. Nonostante l’attacco durante la guerra, via Roma rimane quasi illesa e ricostruita nelle parti colpite. Alla fine degli anni Sessanta il suo assetto è molto simile a quello odierno: i filobus che hanno sostituito i mezzi su rotaie, e il palazzo della Darsena, collocato in maniera simmetrica rispetto al palazzo Zamberletti, divenuto ormai un corpo estraneo rispetto alla dinamica della strada, demolito. “La via Roma era stipata di gente che non si capiva bene dove andasse, cosa facesse in quell’ora afosa, mentre il sole, nascosto dietro cumuli di nuvole, la accendeva di giallo, rosso, arancione, verde, turchino. Anche le facciate dei palazzi e le torri più alte del castello con le case stipate, stratificate tra i ciuffi di palme e di agavi e i contrafforti dei bastioni medievali, si tingevano di quei colori fantastici che presto si sarebbero spenti lasciando la citta’ sotto un cielo di ametista.” 4 Il sistema di via Roma garantisce alla città allora come oggi, uno spazio pubblico continuo servito da attività commerciali che restituiscono a la Marina la vivacità scritta nella sua storia.
Bibliografia Pinuccia F. Simbula, Il porto nello sviluppo economico della città medioevale, G.Ortu Cagliari tra passato e futuro, CUEC 2004, Cagliari Mattone A. Una finestra sul mediterraneo. Il porto di Cagliari nel età moderna, G.Ortu Cagliari tra passato e futuro, CUEC 2004, Cagliari Artizzu F. Il porto, in AA.VV Cagliari Quartieri storici, Marina, Silvana editore 1989, Cagliari Documento autorità portuale Ilario Principe, Le città nella storia. Cagliari, Editori Laterza, Bari, 1981 Silvia Martelli, Oltre le mura. Cagliari tra ottocento e novecento, edizioni Cuec, Cagliari, 1993 Aa. Vv., Cagliari. Quartieri storici. Marina, Silvana editoriale, Milano, 1989 G. Spano, Guida della città e dintorni di Cagliari, Cagliari, 1861 Marco Cadinu, Cagliari. Progetto e forma della città storica, edizioni Cuec, Cagliari, 2008
Note 4. Giuseppe Dessì, Paese d’ombre, 1972.
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Didascalie 1. Vista aerea del porto di Cagliari e della cittĂ . In primo piano, partendo da destra, il molo della Capitaneria di Porto e della SanitĂ . 2. Vista del porto storico di Cagliari dalla cittĂ verso il mare con il proprio sistema di moli.
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Il futuro del porto antico di Cagliari. Considerazioni sul piano regolatore Piano Regolatore Portuale, Porto di Cagliari , Cagliari, 2008 A cura di Alessia Assorgia
Un piano per il porto di Cagliari “Predisporre un progetto per un porto è come riprogettare l’intera città e il suo territorio, ridefinirne l’immagine complessiva, le relazioni funzionali e spaziali tra le 1 diverse parti, il loro ruolo e le loro specifiche prestazioni.” Dall’analisi della storia di una qualsiasi città portuale emergono, al di la della specificità dei singoli casi, diversi livelli di realtà che nel tempo si sono tra loro intersecati, stabilendo gerarchie provvisorie nelle quali si sono di volta in volta rappresentati i principali caratteri della società e dell’economia delle diverse epoche. Predisporre, quindi, un piano urbanistico per un porto significa anche cercare di chiarire i caratteri futuri dell’economia, della città e della società futura. Due temi sono di fondamentale importanza nella redazione di un piano per il futuro del porto e per la relativa città: il primo attiene alle relazioni funzionali tra porto e città e il secondo alle relazioni spaziali. Entrambi non dovrebbero essere osservati in modi riduttivi e risolti in termini di titoli di proprietà, poiché solo una visione restrittiva e incapace di cogliere i diversi strati dell’esperienza urbana può confinare il problema del rapporto tra porto e città a una lotta che si esaurisce nella sottrazione di alcuni pochi metri quadri rispettivamente al porto o alla città. Il suolo della città e quello del porto hanno una propria importanza, le attività urbane si collocano spesso a cavallo tra le attività portuali e quelle più tipicamente urbane, tra la ricerca e lo sviluppo, tra la conservazione e l’innovazione. Nel caso specifico di Cagliari, dove il PRP ha provveduto alla collocazione di attività industriali in un’altra zona, al di fuori della città storica per motivi logistici e funzionali, il porto è tutt’ora un grande spazio caratterizzato da una carenza di funzioni ben precise che determinano una conseguente assenza di gerarchie degli spazi. In questo modo il porto e la città si configurano come due entità a se stanti. L’assenza di azioni precise da parte del PRP per affrontare il problema del legame città-porto implica il suo perdurare, l’analisi dello stato di fatto e di progetto ha evidenziato la necessità di integrare le funzioni unicamente portuali con altre di tipo sociale. Sono diverse le azioni necessarie oltre a quelle funzionali, per esempio: calibrare gli spazi, le corsie di servizio al porto, i flussi veicolari e pedonali, le zone di sosta, di verde, di attraversamento dell’intera area e dalla città al porto. Tutte argomentazioni che non sono state trattate nella redazione del PRP e poca attenzione è stata rivolta alla zona antistante al quartiere della Marina, che occupa un ruolo fondamentale all’interno di questo complesso sistema
Note 1. Aa. Vv., Piano, porto, città: l’esperienza di Genova, Stefano Boeri (a cura di), Skira, Milano,1999, pp. 80-83.
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Didascalie 3. La cittĂ vista dal mare e il dispiegarsi del fronte di via Roma. 4. La differenza di scala tra la cittĂ storica e i mezzi di servizio del porto.
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e che potrebbe essere la chiave di volta per tutto il sistema portuale, infatti, per quest’area gli unici interventi ammessi sono quelli della ristrutturazione o demolizione e ricostruzione degli edifici presenti sul Molo Sanità e sul Molo Dogana con la funzione di attività di supporto alla nautica da diporto e turistico-ricettive.Tutto ciò però non è sufficiente, bisogna affrontare il tema in modo globale, interpretare radicalmente il rapporto città-porto e occupare il suolo in termini architettonici in modo tale da poter rendere ciò che si realizzerà un vero e proprio catalizzatore sociale.
Il ruolo del PRP La legge n. 84/1994 rappresenta, oltre che il quadro normativo di riferimento ai fini della redazione del Piano Regolatore Portuale, una profonda rivoluzione culturale nella pianificazione dei porti, nella relativa attività imprenditoriale, ma soprattutto nel rapporto con le città che costituiscono l’immediato riferimento. Il PRP, infatti, è indicato come uno strumento di pianificazione economica e territoriale che regola: l’evoluzione qualitativa e quantitativa dei traffici marittimi, le relazioni funzionali e spaziali, e il collegamento con il territorio circostante. Seguendo questa linea si discosta dalla precedente interpretazione razionalista che lo vedeva come solo strumento per la programmazione dei lavori marittimi. Il motivo principale che ha dettato l’esigenza di una revisione profonda del ruolo dei porti storici è dovuto, principalmente, alla rapida evoluzione delle tecnologie di trasporto delle merci per via marittima e al costante mutamento della città stessa. Nel caso specifico di Cagliari, essendo una città storicamente portuale e dotata di un porto internazionale, dove avviene la movimentazione di circa 45 milioni di tonnellate all’anno di merci, si è trovata spesso a dover mediare con la configurazione urbanistica storica che è entrata spesso in contrasto con le nuove esigenze portuali. In molti casi, però, la pressione delle strutture urbane al confine dell’area portuale ha in pratica reso impossibile l’adeguamento della stessa alle nuove necessità, evidenziando come le moderne tecnologie di movimentazione delle merci abbiano, di fatto, interrotto la relazione funzionale che esisteva tra città e porto. Da ciò la necessità, applicando uno schema adottato recentemente in molte città portuali, di realizzare, in tratti costieri più idonei, le nuove infrastrutture e proporre, al contempo, interventi di ristrutturazione e rivitalizzazione del fronte mare esistente, con l’obiettivo di creare una maggiore integrazione con le aree al contorno. Nel caso della città di Cagliari si è scelto di trasferire in tratti costieri più idonei le nuove infrastrutture (come ad esempio nel Porto Canale ormai divenuto operativo nel suo ruolo di terminale di transhipment) e allo stesso tempo l’attuazione di interventi di ristrutturazione del fronte mare esistente, con l’obbiettivo di creare una maggiore integrazione del porto storico con la città. Il progetto della ristrutturazione del porto storico di Cagliari prevede il recupero delle banchine di via Roma per la nautica da diporto e per le funzioni turistico ricreative, ciò implica la risoluzione dei problemi di traffico locale e di attraversamento garantendo continuità tra lo spazio dei portici e delle banchine.
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Didascalie 5. La suddivisione in zone del porto storico. 6. Il molo Sanità con l’attuale stazione marittima oramai in disuso.
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Interventi previsti dal piano nel porto storico Nello specifico il porto storico di Cagliari nel PRP è suddiviso in 3 zone principali denominate zone C, D ed E, che corrispondono rispettivamente al molo Ichnusa, dal molo della Dogana al molo Sanità e dal molo Sabaudo al molo Rinascita. Nella zona C è stato realizzato recentemente un terminal crociere e in questo momento in disuso, ma nell’area è prevista la realizzazione di parcheggi sotterranei o seminterrati. Oltre all’accesso veicolare, la zona avrà un collegamento pedonale sia con le aree portuali prospicienti Via Roma, attraverso un ponte mobile tra il Molo Capitaneria ed il Molo Dogana. La zona D, area prospiciente al quartiere la Marina, rappresenta il fronte portuale sulla Via Roma e quindi la zona di maggior interesse sia dal punto di vista storico che per la sua forte interrelazione con le strutture urbane. Per quest’area oltre all’attrezzamento delle darsene con degli ormeggi per la nautica da diporto, è in progetto la ristrutturazione o la demolizione e ricostruzione dei fabbricati localizzati sul Molo Sanità e sul Molo Dogana, con destinazioni per attività a supporto della nautica da diporto e turistico-ricettive con la possibilità di realizzare dei parcheggi sotterranei sotto i nuovi edifici. È anche prevista la demolizione dell’attuale edificio della Capitaneria di Porto, già presente nel precedente PRP, necessaria per dare continuità al lungomare e valorizzare la prospettiva di avvicinamento al Porto storico lungo l’asse di Viale Colombo. In sostituzione sarà realizzato, in prossimità del Molo Bestiame (radice del Molo Ichnusa), un fabbricato di pari volumetrie da destinare a nuova sede dell’Autorità Portuale e a uffici per lo svolgimento delle funzioni direzionali e di rappresentanza della Capitaneria di Porto. L’ultima zona invece ha sempre posseduto una funzione prevalentemente commerciale, ma l’ipotesi di Piano prevede la realizzazione di un terminal Ro.Ro. misto, passeggeri e merci. Tale funzione necessita la presenza di una stazione marittima che sarà realizzata sul molo Sabaudo, in posizione baricentrica rispetto agli attracchi per navi passeggeri e accoglierà anche gli uffici della Dogana e della Direzione marittima.
Bibliografia Aa.Vv., Piano Regolatore Portuale di Cagliari, Cagliari, 2008 Aa. Vv., Piano, porto, città: l’esperienza di Genova, Stefano Boeri (a cura di), Skira, Milano,1999
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Teatri : cittĂ
U-BOOT Fabio Tidili
U-BOOT a cura di Fabio Tidili
Il porto antico di Cagliari è una vasta area non definita rimasta ai margini della città a causa prevalentemente della sezione stradale a più corsie che lo separa dal fronte di via Roma. Ad oggi il porto è privo di servizi e funzioni aperte ai cittadini, non mancano aree in disuso, ed è attraversato da una passeggiata incompleta che mal collega la città al water front. Il laboratorio di tesi affronta il tema di riconfigurazione di quest’area diventata un margine abbandonato della città, attraverso la definizione di un luogo a vocazione scenica che si propone non solo come spazio culturale e di aggregazione sociale, ma anche come polo attrattivo per la città, che abbatte conseguentemente i limiti di via Roma in modo da restituire la vicinanza della città al suo mare. L’area del porto scelta per il progetto è il Molo Sanità sul quale oggi è presente l’ex Stazione Marittima: un padiglione ormai privo di funzioni e abbandonato a se stesso. Il progetto si configura come una proposta per far interagire il molo con la città, in una soluzione urbanistica concreta che riconsegna al centro urbano una parte della città abbandonata a se stessa per troppi anni. L’idea è stata quella di ricollegare non solo visivamente ma anche fisicamente una delle arterie principali di Cagliari, la palazzata di Via Roma con il porto, a partire dal ripensamento della sezione stradale che li separa: sia quella adiacente al porticato che quella a scorrimento veloce. Diminuendo il flusso dei veicoli nella parte antistante la via Roma attraverso il restringimento delle carreggiate, è stato possibile studiare un ampliamento dell’attuale passeggiata intermedia, ombreggiata da palme e dotata di comode sedute pubbliche. Abbandonando la sua odierna funzione di parcheggio, diventa così una doppia passeggiata pedo-
nale trasversale al molo, con una differente quota rispetto a quella della palazzata di circa 1,5 metri, cui si accede attraverso una rampa e una serie di scale. Il collegamento tra la passeggiata e il molo è possibile tramite un sovrappasso a livello che oltrepassa la sezione stradale a scorrimento veloce che in prossimità del molo Sanità si abbassa di circa 4,5 metri. Un sottopasso per le vetture a motore su gomma alla quota di 6 metri sotto il livello pedonale, permette di creare un asse che collega visivamente e fisicamente le due aree. Quest’asse rimane libero da costruzioni o ingombri per tutta l’estensione del molo in modo tale da permettere un continuo traguardo diretto verso la città così come dalla città verso il molo e dunque verso il porto. La scelta progettuale infatti è stata quella di liberare completamente il molo dalle preesistenze e da eventuali volumi che avrebbero ostacolato la vista, e di scegliere pochi e puntuali interventi, esaltando determinati punti focali attraverso giochi di incorniciamento del paesaggio dovuti ai tagli orizzontali delle pergole.Tutte le funzioni principali sono state inserite al di sotto del livello del molo, assecondando la volontà di “abitare” il molo e costruendo al suo interno un teatro con annessi locali, servizi e un’area commerciale. Il molo in superficie è definito principalmente da setti e da tagli; i primi sorreggono le tre pergole in metallo, sono costituiti da una pelle metallica semi-trasparente collegata ai pilastri scatolari e hanno uno spessore di 70 cm per una lunghezza di 12 metri. I setti non sostengono solo le coperture ma identificano anche i blocchi scala per gli accessi alle funzioni che si trovano all’interno del molo e definisco il perimetro dei due blocchi in superficie: nel più piccolo dei due troviamo la torre scenica del teatro, i
blocchi scala di sicurezza, un laboratorio annesso al teatro; diversamente il blocco più grande contiene al suo interno i blocchi scala per l’area sottostante, un’area informazioni e un punto ristoro. Entrambe le facciate dei due blocchi utilizzano lo stesso linguaggio: rimangono il più possibile aperte all’ambiente circostante tramite l’uso di materiali trasparenti come il vetro e schermate da una serie di brisesoleil. Elemento caratterizzante del molo sono le coperture, tre pergolati di dimensioni differenti che garantiscono l’ombra nello spazio pubblico che viene a delinearsi sulla quota zero del molo. Gli elementi di metallo orizzontali oltre che dai setti sono sostenuti tra di loro tramite tiranti in acciaio. Lo spazio ipogeo disegnato prende luce dai sette patii distribuiti per tutta la superficie organizzata da una composizione svariata di setti che definiscono e strutturano lo spazio. I vari servizi si distribuiscono lungo un asse che vede come traguardo finale il teatro, mentre intorno a quest’asse si snodano i punti ristoro ed enogastronomici. Collocato sull’estremità del molo verso il mare, si trova il teatro con una sala dalla composizione spaziale classica che mantiene le proporzioni di una shoesbox, per una capienza di 670 persone. Al teatro si accede attraverso il foyer fornito dei servizi accessori fondamentali: la biglietteria, il guardaroba, i bagni. Gli spazi funzionali alle attività teatrali che esulano quelle del pubblico hanno un’area riservata a cui si accede attraverso un disimpegno dall’impianto teatrale stesso: qui troviamo i camerini, che acquisiscono luce naturale da un patio, l’area di scarico a cui si arriva tramite una rampa che permette il passaggio dei camion per carico/scarico delle attrezzature, la zona amministrativa, i magazzini e i laboratori.
L’area enogastronomica utilizza come riferimenti funzionali i progetti di Eataly di Milano e Roma, nondimeno il Mercato Centrale di Firenze e il Mercato di Santa Caterina a Barcellona. All’interno di questo spazio sono dislocate diverse botteghe artigianali locali per il consumo e la vendita di alimenti, una scuola di cucina e i depositi merci per le botteghe, oltre che i servizi igienici. Lo schema spaziale è definito dai setti che identificano le diverse botteghe e distribuiscono lo spazio e dai grandi patii che garantiscono l’illuminazione all’intero progetto.
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4 Sezione longitudinale
5 Assonometria