Lo specchio del cervello

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LO SPECCHIO DEL CERVELLO

Carlo Perfetti

Silvano Chiappin

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LO SPECCHIO DEL CERVELLO Carlo Perfetti Silvano Chiappin

Š 2009 per le immagini Silvano Chiappin Grafiche Turato edizioni via Pitagora, 16/A - Rubano (PD) tel.: 049 630933 mail: ermestu@tin.it ISBN:

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Indice

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La mano, gli oggetti, gli esercizi Maria teresa Agati, Fumagalli

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Questa è la mano Shozo Miyamoto

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Un’avventura unica Pietro Menegozzo

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Introduzione Carlo Perfetti

20 Parlare della mano 34 La mano e il corpo 50 Interpretare la mano 74 Riabilitazione 86 Conclusioni

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Oggetti per esercizi riabilitativi

La mano, gli oggetti, gli esercizi

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a riabilitazione è medicina (scienza), l’impresa è lavoro (economia), la fotografia (talvolta)arte. La fotografia può, a volte, essere piegata alle esigenze della scienza, agli interessi dell’impresa: può spiegare, rendere visibili elementi speciali propri della riabilitazione, i corpi,gli oggetti, gli esercizi e rendere suggestivo per i possibili consumatori ciò che l’impresa produce. Ho visto la bozza di questo nuovo libro di Perfetti e Chiappin ed, ancora una volta, ogni convinzione, ogni categorizzazione è stata travolta. Catturata da un intreccio inestricabile di pensieri, memorie, idee, saperi non c’è separazione tra quello che le mani possono rappresentare per un riabilitatore, per un malato, per un artista, per una persona. Il susseguirsi di parole ed immagini mi ha portato dentro un mondo complesso e mirabile dove le mani raccontano l’uomo e la sua interazione col mondo e suggeriscono territori conosciuti e inesplorati, tanto fuori di noi quanto interiori. Cosa può avere a che fare un’impresa (l’economia!) con tutto questo? Proprio niente, se non avvicinarsi in punta di piedi per far sì che molti possano tenere tra le loro mani questo piccolo tesoro che ci racconta che non può esserci separazione tra persona, mondo, oggetti ed esercizi, riabilitazione.

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Maria teresa Agati, Fumagalli


Questa è la mano

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uesto libro di scienza, piccolo e bello, rimarrà a lungo nella memoria come la testimonianza di un pensiero scientifico innovativo del prof. Perfetti; la mano come la mente. Il fotografo Silvano Chiappin è riuscito a fissare nelle immagini il profondo senso di quest’ idea. Spero proprio che il valore di questo libro venga compreso dai pazienti e dai loro riabilitatori di tutto il mondo. In occasione della pubblicazione di questo bel libro, vorrei presentare agli amici italiani brani di due noti poeti giapponesi. Io lavoro e lavoro Ma la mia vita rimane nella miseria Immobile e silenzioso non so far altro Che contemplar la mia mano. Takuboku Ishikawa “Questa è la mano” La percepisco Prima ancora di pronunciare la parola “mano” Mi va bene tenere profondamente questa sensazione Chuya Nakahara

Shozo Miyamoto Associazione Giapponese per Studi di Esercizio Terapeurico Conoscitivo

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Comune di Santorso

Un’avventura unica

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on c’è due senza tre. Di fronte alla nuova fatica editoriale della “strana coppia” Chiappin-Perfetti non può non tornare alla mente il vecchio adagio che porta in sé un passato e un percorso già fatto. Sì, perché sfogliando le pagine, leggendo i testi, osservando le foto si intuisce che il libro nasce da lontano. Alla base vi è infatti la collaborazione tra un artista e uno scienziato che è cresciuta nel tempo e si è già concretizzata con altre due importanti pubblicazioni. Chiappin e Perfetti ci hanno dunque abituati al connubio foto – parole come modo per vincere la sfida di raccontare tematiche legate al mondo della riabilitazione neurocognitiva: tematiche certo non facili ma che i due autori riescono a rendere comprensibili anche ai non addetti ai lavori, addirittura riuscendo a far emergere dimensioni esistenziali fondamentali che l’approccio neurocognitivo richiama. In questo terzo libro Chiappin e Perfetti raccontano il rapporto mente – mani accompagnandoci, noi profani, in un mondo inesplorato ma che via via ci appare intenso e profondo, interessante e stimolante. È l’arte che incontra la medicina, la scienza che riesce a farsi immagine: un’avventura unica con la quale anche questa volta i due autori ci hanno conquistato.

Pietro Menegozzo Sindaco di Santorso

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Introduzione

Carlo Perfetti Silvano Chiappin

1. Uno specchio ? È la terza volta che fotografo e riabilitatore collaborano per dar vita ad un libro fotografico che possa rappresentare lo spunto o più spunti per una discussione sull’uomo e sui prodotti del suo sistema. (Perfetti, Chiappin, Borgo 2007. Perfetti e Chiappin 2008) Questa volta è la mano a rappresentare argomento di elaborazione e di confronto tra chi di questo segmento corporeo ha visto soprattutto gli effetti disastrosi di una lesione a carico del cervello ed ha provato a ridurne la gravità attraverso l’esercizio e chi le attività delle mani ha analizzato come manifestazioni culturali, tentando di fissarne in uno scatto fotografico proprio questo loro far parte delle tecniche del corpo, come direbbe Marcel Mauss (Mauss,1965). Già la copertina con quella sua prima immagine invita a pensare che, nonostante il titolo, la ispirazione del libro vada ricercata più nella

terra che non nel cielo e che le mani di cui si parla siano piuttosto le mani sporche di argilla del lavoratore etiopico, piuttosto che non le mani botticelliane o canoviane piene di grazia e di eleganza, sì, ma enormemente distanti dalla interazione col mondo, dall’impegno a conoscerlo e ad identificarsi con esso. Questo non vuol dire cancellare la pittoresca immagine di Napier che deve essere ritenuta valida sopratutto per indicare che nulla accade nella mente che non possa essere ritrovato nella analisi delle attività della mano, ma anche viceversa. Occorre però tener conto del fatto che nella realtà la mano e la mente non si specchiano perché non possono specchiarsi essendo entrambi la stessa struttura, ma soprattutto occorre rimeditare la metafora di Napier per arrivare a domandarsi come è possibile che una mano, che è un segmento del corpo costituito da un insieme di pelle, ossa, tendini, muscoli diventi qualcosa di così tanto significativo per

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l’essere umano da essere definita “specchio del cervello”. La scelta della immagine di copertina sta anche ad indicare la convinzione degli autori che, se si vuole di parlare della mano all’interno della vita dell’uomo, il discorso deve essere quanto mai concreto. Non bisogna dimenticarsi che sulla mano sono state scritte migliaia di inutili liriche, astratte e piagnucolose. Bisogna in ogni caso partire dalle sue azioni, cioè dalla sua attività e dal senso di questa non solo, si badi bene, come capacità di spostamenti articolari o di contrazioni muscolari coordinate, ma come attività volta ad organizzare un rapporto col mondo che sia funzionale alla modificazione del sistema uomo stesso. Per collocare la mano entro questa ottica non possiamo trascurare il fatto che la mano è cultura, la mano è mente, la mano è libertà e solo all’interno di questi parametri le sue attività hanno qualche speranza di poter essere utilmente e significativamente interpretate. Questo è il tentativo al quale è dedicato il testo e che gli autori intendono condurre con la collaborazione del lettore. 2. La mano è cultura. Le opere d’arte figurativa tradizionali possono rappresentare una conferma di quanto la attività della mano e la sua raffigurazione possano essere dipendenti dalla visione del mondo dell’epoca e dell’autore. Si osservi ad esempio

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la celeberrima deposizione di Pontormo conservata in Santa Felicita, si guardino le mani del Cristo e si provi a fare il confronto con quelle di un quadro di Velasquez altrettanto famoso che rappresenta la donna che cuoce l’uovo al tegamino. Senza dubbio alcuno queste ultime mani appaiono a chiunque molto più realiste a differenza di quelle pontormiane che sembrano più astratte e quasi fuori della realtà (se ne può addirittura contare una in più, che alcuni critici hanno voluto veder come la mano di Dio). Si tratta in entrambi i casi di mani raffigurate perfettamente dal punto di vista anatomico e funzionale; la differenza che si percepisce tra le due raffigurazioni è da attribuirsi al fatto che i due pittori, vivendo in due epoche diverse e facendo parte di ambienti socialmente e religiosamente diversi, avevano una visione del mondo completamene diversa. E questo si traduce anche in una diversa rappresentazione di questa parte del corpo e delle sue attività. La stessa testimonianza può essere ritrovata anche in immagini cinematografiche. Provate a ricordare le mani di “Hiroshima mon amour”, film estremamente coinvolgente di A. Resnais, e provate a confrontare le numerosissime, e fondamentali per la comprensione del film, rappresentazioni delle mani di E. Rivas con quelle delle mani di C. Chaplin nel film “La febbre dell’oro” nella famosissima scena dello scarpone divorato alla maniera di un piatto di spaghetti. Il tema delle situazioni è analogo e le


modalità dei movimenti delle mani sottolineano in entrambi i casi una delle grandi paure della civiltà borghese: l’incubo della fine imprevista (lo scoppio della bomba atomica nel primo e la fame nel secondo film) la raffigurazione delle mani è assai diversa. Questa differenza può forse essere attribuita al fatto che i due autori avevano diverse visioni del mondo e diversa partecipazione sociale alle problematiche che questa imponeva. Tutto questo vuol dire che non si può tentare di analizzare la motilità, la strutturazione e quindi i diversi significati della mano nello svolgersi delle sue funzioni, se non si tiene conto del legame che esiste tra questo segmento ed il modo di vedere il mondo, il modo di dare significato all’esistenza, attraverso le credenze, i pregiudizi e le ideologie che una persona ha elaborato nel corso della sua vita. E di questo il testo non ha potuto non tener conto... questo è un primo invito e un primo compito per il lettore attento. Il senso più profondo delle fotografie e del testo non sarebbe comprensibile senza questa considerazione preliminare. Cosa hanno in comune, ma anche e soprattutto in cosa si differenziano le mani di Pontormo e quelle di Velasquez, quelle di Resnais e quelle di Chaplin? Cosa hanno in comune e in cosa si differenziano, e a questo il lettore è invitato a dirigere la sua attenzione, le mani tanto frequentemente fotografate, per motivi di sopravvivenza, dallo stesso fotografo Chiappin

durante una delle tante manifestazioni della nostra civiltà occidentale (matrimoni, comunioni, esibizioni di vario genere) e quelle del contadino etiope che costruisce il suo vaso di argilla o del guerriero papuasico che “stampa” la sua mano sulla corteccia dell’albero? 3. La mano è mente. Non si può tentare di comprendere il profondo significato della attività della mano se non si tiene conto del rapporto che questo segmento, attraverso tutte le funzioni alle quali partecipa, ha con la mente dell’uomo. Parlare di mano vuol dire infatti parlare anche, e soprattutto, della mente, cioè della capacità di sentire, pensare, provare... e soprattutto vuol dire tentare di rappresentare assieme alla mano anche il rapporto corpo-mente che sta alla sua base. Se ci si limitasse a parlare o a fotografare la mano solo a partire dal suo essere un insieme di muscoli, cute e legamenti, o anche di riflessi e di centri nervosi, ben poco capiremmo del senso di questo segmento. La mano è qualcosa, molto di più, di una serie di strutture anatomiche anche se estremamente raffinate: la mano è la mente. Con ogni probabilità, sotto questo aspetto, i parametri che deve tener presente il riabilitatore, per svolgere correttamente il suo lavoro, sono quelli stessi che il fotografo non può trascurare quando affronta il problema di una fotografia che sia significativa dal punto di vista emotivoespressivo. In questo caso infatti l’intenzione

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non è solo quella di mostrare il movimento della mano, ma è anche, ben più complessa da porre in atto, quella di trasmettere all’osservatore anche il suo messaggio sul vissuto del soggetto fotografato). Significativo a questo proposito quanto successo alcuni anni fa. Ne parla l’ingegner Marcello Sestito in un suo libro dedicato alla mano, che prende lo spunto ed il titolo dalla città di Pentedattilo (Sestito, 2004). Nel capitolo “Il paradigma della mano” Sestito riferisce che: “Venerdì 25 settembre 1998 il mondo assiste al primo trapianto di una mano, l’equipe medica di Lione con la presenza dell’italiano Marco Lanzetta, opera il trapianto sul paziente neozelandese Clint Hallam di 48 anni, ma, a dimostrare di quanto la mano sia percepita come corpo estraneo dal nuovo soggetto, il signor Hallam decide in seguito, non senza sofferenza, di espellere l’organo trapiantato”. A commento di quanto riferito, Sestito cita un articolo di Umberto Galimberti pubblicato in quei giorni dal quotidiano la Repubblica. Il filosofo riferendosi sempre al fatto sopra citato osserva “Si tratta di quella mentalità per cui noi siamo sempre meno individui e sempre più una sommatoria di organi come le macchine lo sono di congegni, per cui l’idea illuministica dell’“uomo macchina”, che tanta reazione e rifiuto aveva suscitato, adesso non desta il minimo scalpore. Quello che a suo tempo non riuscì alla filosofia oggi riesce alla medicina. Lo

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sguardo che la scienza ha sull’uomo non si solleva di un palmo dalla anatomia da cui questa scienza è nata” e questo grazie ad “un sapere conseguente che ci invita pensarci scientificamente come pezzi accostati, intercambiabili e buoni per tutti. Questa mentalità che mi riduce il mio corpo a generico organismo, che toglie alla mia corporeità questa sfera di appartenenza così intima, ebbene, questa mentalità che la medicina diffonde è devastante per la nozione di individuo a tutto vantaggio di organismo generico”. C’è però da domandarsi se la responsabilità di quanto accaduto sia davvero da addossare alla ignoranza da parte dei chirurghi di Lione dei principi filosofici citati da Galimberti, cosa possibile, oppure se la responsabilità del fallimento della nuova tecnica sia da attribuire a quanto è stato “fatto al” malato dal punto di vista riabilitativo. Si trattava infatti di esercitazioni miranti esclusivamente al rinforzo muscolare, di stiramenti per mantenere o raggiungere una”escursione articolare” sodisfacente e di stimoli elettrici (elettroterapia), cioè di attività fisiche effettuate su di un corpo ritenuto esclusivamente fisico. È più credibile invece, che il lavoro sperimentale del chirurgo non abbia portato ai risultati attesi in quanto è stato trascurato completamente il fatto che le attività della mano, oggetto del trattamento riabilitativo, dovevano essere interpretate come attività mentali del soggetto e come tali trattate


ed esercitate. Si può dire così che Clint Hallam abbia ricevuto un intervento riabilitativo insignificante, dannoso o per lo meno dimezzato, rivolto cioè ad una sola metà di quanto doveva essere recuperato. A dimostrazione di questo vale la pena di ricordare che poco tempo dopo (2000) una nostra equipe di Insbruck guidata da Susanne Oberleit, ha avuto l’opportunità di riabilitare un paziente operato di trapianto bilaterale di mani da una equipe chirurgica tedesca. A differenza del malato di Lione il signor Kelz, questo è il nome del malato, trattato dal nostro gruppo ha recuperato a pieno la funzionalità delle due mani tanto che attualmente riesce a svolgere quasi normalmente tutte le attività nelle quali le mani sono abitualmente coinvolte (Lattacher, 2000). Cosa ha distinto i due trattamenti fino a raggiungere risultati talmente diversi? Non potrebbe essere che il nostro gruppo ha consentito al signor Kelz di re-inserire tendini muscoli e tutte le altre strutture anatomiche trapiantate, all’interno dei suoi processi mentali? Non può darsi che il diverso risultato sia dovuta al fatto che la nostra equipe ha trattato la mano ritenendola parte della mente e quindi rivolgendosi non a muscoli o tendini, ma alla unità mente-corpo come si manifesta attraverso i movimenti della mano? È interessante tentare di analizzare quanto contraddistingue i due diversi modi di fare riabilitazione per comprendere cosa è che ha

determinato il recupero o la perdita della motilità della mano. Si vedrà che questa analisi può servire anche, oltre che per rendersi conto delle ragioni di un in diverso tipo di riabilitazione, anche per comprendere la natura delle differenze tra i diversi modi di porsi in relazione con l’uomo e col suo mondo attraverso la macchina fotografica. a. Attualmente gli studiosi, salvo rare eccezioni, non credono più ad una netta separazione tra corpo e mente, non credono più, cioè, che nell’uomo si possano trovare a convivere due sostanze una fisica ed una mentale: si ritiene che le due sostanze siano poi una sola, il problema sta nel capire in che modo fisico e mentale, corpo e mente, convivano per determinare il modo di esistere di quel determinato soggetto impegnato nel mondo in un determinato modo. La divisione tra corpo e mente, della quale viene attribuita, senz’altro ingiustamente, la responsabilità a Cartesio, è stata superata da tanti studiosi che fanno uso del concetto di “incorpamento” (embodiment), per dire che la mente è contenuta nel corpo. Per meglio dire, se l’uomo avesse una mano e un corpo strutturati in modo diverso vivrebbe la sua vita in modo diverso, in quanto organizzerebbe il suo rapporto con gli oggetti in maniera diversa. Anche suoi concetti sono strutturati in un certo modo perché la evoluzione lo ha dotato di una mano (il ragionamento deve essere allargato a tutto il corpo e non solo alla mano, ovviamente) strutturata in

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un certo modo e perché la sua organizzazione gli permette di elaborare il suo rapporto con la natura in un certo modo, di sentire, di conoscere e di provare certe invece che certe altre. Il rapporto mente-corpo ha sempre rivestito una notevole importanza nella evoluzione della pratica medica. Occorre infatti ricordare che la nascita della medicina moderna e quindi anche della riabilitazione è nata proprio dalla proclamazione di questa netta separazione, come risulta dalla dichiarazione fatta circa trecento anni fa da Marcello Malpighi ritenuto uno dei padri della medicina italiana. Malpighi, facendo ricorso ad una interessante, ma sopratutto interessata metafora, descriveva in questo modo il compito del medico: “non sapendo io il modo di operare dell’angelo, ma la struttura del molino, intenderei detto moto et attione e, sconcertandosi il molino, cercherei di riparar le rote o la loro composizione guasta, tralasciando l’indagare il modo di operare dell’angelo movente”. Il senso della sua teorizzazione era che il medico (e più tardi anche il riabilitatore) di fronte ad un corpo malato (la rota del molino) non deve andare a preoccuparsi dell’angelo movente, cioè dei problemi della mente (per lui irraggiungibili e quindi abbandonati alle cure della religione), ma limitarsi ad aggiustare “le rote” del mulino o “la loro composizione”. A partire da queste basi si è venuta a sviluppare la medicina (all’inizio infatti si parlava di iatromeccanica) e conseguentemente la ria-

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bilitazione. Non a caso la maggior parte delle metodiche riabilitative tuttora di moda fanno riferimento alle caratteristiche fisiche del corpo, ai muscoli e alla loro capacità di consentire sforzi sempre più intensi, alle articolazioni e alla loro capacità di compiere escursioni sempre più ampie e per ottenere questi risultati (valutabili correttamente solo attraverso la misura di parametri quantificabili) viene proposto l’uso di mezzi esclusivamente fisici, sacchetti di sabbia, pesi, molle, stimoli elettrici e così via, rifiutando ogni riferimento alle operazioni mentali che stanno al di sotto di ogni comportamento. Dell’essere umano malato viene data importanza solamente a quanto sia valutabile fisicamente e quantificabile matematicamente. Come se si potesse interpretare il movimento di un uomo o insegnargli a muoversi correttamente senza tener presente cosa sta al di sotto del movimento che deve essere appreso. Come se di fronte alla fotografia della mamma che gioca affettuosamente col bambino a pagina 56, si potesse comprendere il senso più profondo dei movimenti delle mani senza tentar di avanzare ipotesi sulle intenzioni,delle sensazioni e delle emozioni delle persone raffigurate, o come se il fotografo dovesse limitarsi a raffigurare solamente lo spostamento delle dita e del polso, prescindendo da ogni tentativo di comprendere e di far comprendere l’esperienza che i soggetti stanno vivendo in quel momento. Ben poche sarebbero le sue e le nostre possibilità di dare


il giusto valore la scena sul piano espressivo, si tratterebbe infatti esclusivamente di fotografie degne di figurare in un libro di tecnica cinesiologica. Ma ben poco si potrebbe anche comprendere della attività che stanno svolgendo i polpastrelli delle dita della mamma e del bambino impegnati, attraverso i loro recettori ed i loro micromovimenti, nella percezione e nella interpretazione dei reciproci sentimenti attraverso il contatto dei loro corpi. b. La medicina tradizionale ritiene di far parte delle “scienze naturali”, cioè di doversi occupare solo di quanto sia “obiettivo”, cioè visibile e quantificabile, cancellando dai suoi interessi tutto quanto non lo sia. Vengono così esclusi dagli interessi del medico, continuando a seguire le indicazioni di Malpighi, tutti gli aspetti sensoriali, cognitivi ed emotivi che, essendo soggettivi, non sono direttamente obiettivabili e non possono essere quantificati. Se si pensa, però, che il medico deve interagire con un uomo e non con una macchina e che inizia invece, così gli viene insegnato, a costruire il suo rapporto con l’uomo che gli si affida cancellando ogni interesse per tutto quello che l’uomo può sentire, provare o pensare, cioè quanto di più umano caratterizza anche la patologia, c’e davvero da domandarsi se il medico “scienziato” stia curando un uomo o riparando una macinino da caffè. Per un approccio riabilitativo questo atteggiamento sicuramente non basta.

Tra l’altro anche le neuroscienze, quelle rigorose discipline scientifiche che cercano di studiare il sistema nervoso in funzione del comportamento dell’uomo, recentemente hanno iniziato ad interessarsi alla esperienza cosciente, alla coscienza, all’intenzionalità, cioè ad una serie di capacità umane che fino a pochi anni fa venivano trascurate in quanto soggettive e lasciate allo studio di filosofi e psicologi. Quando si parla di esperienza non si fa riferimento solo alla esperienza immediata, ma anche alla capacità che ha l’uomo di immagazzinare le esperienze, e successivamente di rielaborarle in funzione della organizzazione del comportamento. Entro questo ambito si colloca uno dei più importanti strumenti della riabilitazione rappresentato dalla immagine motoria, cioè della capacità che l’essere vivente ha di sentirsi protagonista di un movimento non eseguito, ma solo pensato. L’immagine è uno strumento potentissimo che permette al riabilitatore di attivare il cervello senza chiedere al malato di muoversi, evitando cioè di richiedere al malato di attivare un movimento che in quel momento non riesce a fare. L’immagine motoria è uno strumento soggettivo, che permette di ottenere modificazioni senza alcun dubbio obiettivabili del sistema nervoso centrale, di ottenere un cambiamento concreto del comportamento del soggetto basandosi esclusivamente sulla attivazione di operazioni mentali.

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c. La concezione del corpo e della mano come di una macchina costituita da tanti pezzi, assemblati tra loro in maniera fissa, ha portato come conseguenza che si è potuto ritenere lecito e corretto prendere in considerazione, un singolo segmento corporeo con la speranza di poter ottenere risultati da questo interessameto settoriale. Il senso del trattamento riabilitativo è dato proprio dallo studio del rapporto tra i diversi “pezzi”, più che dall’intervento sul singolo elemento. Così come il senso di una fotografia della mano deriva non dalla posizione o dalla attività del singolo dito, ma dal rapporto tra le diverse dita, tra queste e il palmo, tra la mano e il polso e gli altri segmenti corporei, che, anche se non direttamente visibili, vengono resi deducibili da una efficace rappresentazione. Le mani del vasaio di pagina 58 rendono con efficacia la fatica del lavoratore proprio perche dalla loro raffigurazione si possono dedurre la posizione e l’impegno del corpo intero. Ancora una volta è opportuno domandarsi se la strutturazione di queste relazioni avvenga a livello dei muscoli e delle articolazioni della mano stessa, oppure se vengano elaborate ad opera dei diversi livelli del sistema nervoso centrale. Ancora una volta, però, tale domanda risulta malposta, in quanto non permette alcuna risposta. Ancora una volta infatti, queste relazioni sono testimonianza della unità interattiva corpo-mente.

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d. Un altro elemento che caratterizza un modo neurocognitivo di studiare la mano sia per il fotografo che per il riabilitatore è rappresentato dal confronto tra spontaneità ed organizzazione. Solo i recuperi più facili avvengono per via spontanea; nella massima parte dei casi è necessario che il riabilitatore intervenga ad organizzare la esperienza cosciente elaborata dal paziente proponendogli esercizi che guidino il suo sistema verso le modificazioni ricercate. Lo stesso problema è presente nella ripresa fotografica dei movimenti della mano: solo apparentemente il fotografo coglie atteggiamenti casuali e spontanei, in realtà il fotografo impegnato nella trasmissione di un messaggio per lui significativo coglie all’interno del movimento il momento che in questo senso più gli interessa, con l’intento di attirare l’attenzione del lettore sugli aspetti della mano che a lui interessa evidenziare. Così come accade per la raffigurazione del rapporto della madre col bambino di pagina 42 per la quale, di tutta l’azione il fotografo ha identificato il momento in cui le mani della madre agivano in direzioni opposte nei confronti del corpo del bambino in opposizione alla direzione del movimento del capo attraverso il collo per facilitare il compimento dell’atto di affetto: è con tutto il corpo, attraverso il suo coinvolgimento totale, che la mamma dirige le sue intenzioni verso il bambino


e. Esistono due tipi di studiosi osservatori della natura (e quindi anche di fotografi) che sono stati definiti come “classici” e “romantici”. Gli scienziati classici sono quelli che sezionano il corpo in tanti pezzi, li analizzano “ obiettivamente” con precisione, poi alla fine tentano di spiegare il corpo, i suoi movimenti e le sue malattie rimettendoli tutti insieme. Gli scienziati romantici (e anche i fotografi di questo tipo) ritengono invece che sia più importante il comprendere che non lo spiegare. Per comprendere non è essenziale analizzare pezzo per pezzo, ma è necessario identificare il valore (sensoriale, cognitivo ed emotivo) che quel determinato movimento o la sua modificazione indotta dalla patologia ha per il soggetto. Ma per attuare questa strategia di conoscenza è fondamentale il ricorso al linguaggio della persona della quale si intende parlare. La soluzione del problema tra scienza classica e scienza romantica sta nel fatto che l’osservazione del soggetto per essere concreta ha bisogno di tutti e due le modalità. Il bravo riabilitatore, ed anche il bravo fotografo, non possono limitarsi alla osservazione “in terza persona”, occorre che nel loro operare si sforzino di tener conto anche di quanto l’attività da registrare fotograficamente o da recuperare attraverso l’esercizio rappresenta in termini emotivi e cognitivi per la persona della quale intendono occuparsi. Si provi a pensare alla comprensione dello stato d’animo della bambina che saluta attraverso il vetro della finestra

nella fotografia estremamente coinvolgente di pagina 50, che non può essere frutto di una osservazione condotta asetticamente sulla base della valutazione di elementi fisici. Il fotografo banalmente normale, come il riabilitatore normale, si occupa del soggetto dopo averlo osservato solamente “in terza persona”, proprio come se dovesse fotografare o riabilitare un insetto da riprodurre per un libro di testo di entomologia. 4. La mano è libertà. Per comprendere il senso del concetto di libertà all’interno di un discorso sulla attività della mano occorre fare riferimento alle possibilità di scelta presenti nella organizzazione del sistema uomo. Il sistema uomo, come tutti i sistemi, è costituito da tanti elementi. Questi sono collegati tra di loro da relazioni che entro certi limiti risultano variabili in conseguenza delle operazioni svolte dal sistema stesso. È proprio la variabilità di queste relazioni che permette l’apprendimento, l’adattamento alle mutate condizioni del mondo esterno e l’adeguamento alle diverse situazioni. Di fronte alla stessa situazione e allo stesso oggetto lo stesso individuo può comportarsi in maniera diversa, cioè può atteggiare la sua mano (e con essa tutto il corpo) in diverse posizioni a seconda del rapporto che gli fa comodo assumere con quell’oggetto in quella situazione. Sono le richieste che derivano dalla necessità di intera-

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gire col mondo esterno, con la loro variabilità, spesso imprevedibile, che guidano il sistema uomo a regolare, spesso in maniera del tutto nuova, le relazioni tra i diversi elementi che lo costituiscono. Solo in questo modo è garantita la possibilità di adattarsi al mondo esterno, che è estremamente vario e mutevole. È attraverso una serie di processi interattivi, che possono essere definiti in diversi modi (coemergenza, conoscenza, apprendimento, …) che è permesso al sistema uomo, entro certi limiti, di riorganizzarsi ogni volta. Sono in ogni caso le informazioni derivate dal rapporto mondo-soggetto che modificano costantemente l’uomo. In altre parole, l’interazione/conoscenza serve a “costruire” quelle informazioni che servono per costruire il sistema. Parlando di informazioni alcuni studiosi preferiscono fare ricorso al termine “costruire”, anziché a quello di raccogliere, in quanto costruire sta a significare che le informazioni non sono contenute, già pronte, all’interno della realtà, ma che vengono derivate dal tipo di interazione, cioè dal rapporto che si instaura, anche attraverso i movimenti della mano, tra il sistema uomo e il mondo. In questa ottica si può quindi tentare di interpretare i movimenti della mano come facenti parte di quelle operazioni che servono per interagire con il mondo al fine di costruire le informazioni che a loro volta servono per modificare il sistema uomo.

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Se si ritiene valido questo modo di vedere, non è più possibile continuare a studiare la mano, come si è fatto sino ad ora, come un insieme di tendini, muscoli, ossa e ligamenti, facendo esclusivo riferimento alle forze che questi riescono ad esprimere e trascurando la finalità ultima del suo lavoro: la interazione conoscitiva. È questa infatti che determina la elaborazione di forze e spostamenti e che permette di costruire informazioni diverse a seconda di quelle che sono le necessità del sistema in quel determinato momento e in quel determinato contesto. All’interno di questo modo di vedere viene ad assumere significato concreto il concetto di libertà biologica applicato alla organizzazione di un sistema vivente. È esperienza comune che se, ad esempio, si prende in mano un oggetto si può essere in grado di rispondere a diverse domande: quale è il suo peso, quale la sua superficie (se è liscio o ruvido) quali le sue caratteristiche spaziali (se è più o meno lungo). La possibilità di porre in atto diverse modalità di conoscenza nei confronti dello stesso oggetto e delle sue diverse caratteristiche è consentita dal fatto che l’uomo può atteggiare le dita (supportate da tutto il corpo) sull’oggetto in una maniera anziché in una altra, può effettuare pressioni diverse, anche diversificate, tra le diverse dita, può combinare diversamente, anche in maniera innovativa, i movimenti delle diversi segmenti che compongono la mano. Ma per potere rispondere a questo compito, fon-


damentale per la vita dell’uomo, il segmento mano deve godere di una certa libertà di scelta tra le diverse possibilità di movimento che concedono di costruire le differenti informazioni. Basti pensare alle enormi varietà di movimenti che sono possibili anche per il singolo dito (pensare al polpastrello del dito indice che si muove sopra un oggetto) ed anche alla possibilità di combinarsi tra loro in maniere diverse concessa alle diverse dita, o alle dita nelle relazioni col polso e col palmo. Si provi a pensare alla enorme libertà di creare, entro certi limiti, anche nuove combinazioni mai attivate prima. Proprio questa notevole variabilità dei movimenti della mano, associata a quella, altrettanto notevole, di tutto del corpo, fa sì che il corpo rappresenti una fonte di informazione altrettanto importante della vista. Perché questo sia possibile occorre che la attività del corpo e della mano non siano né costituite esclusivamente da stereotipi preprogrammati, né legate rigidamente a programmi preimpostati da attivare automaticamente di fronte ad un determinato oggetto o tipo di realtà. La scienza ufficiale ha sempre tentato in ogni modo di minimizzare ogni possibilità di scelta a lungo e a breve termine all’interno delle strutture biologiche. Il sistema nervoso centrale infatti è sempre stato visto e presentato come una struttura precostituita fin dalla nascita e passibile solo di peggioramenti dovuti

a malattie o a processi di invecchiamento che venivano a ridurre più o meno drasticamente il numero delle cellule. È da attribuirsi a questo pregiudizio il mancato impegno di studio della plasticità del sistema nervoso e della variabilità delle connessioni al suo interno che fino a qualche tempo fa hanno caratterizzato gli studi neurobiologici. Per quanto riguarda più specificamente la applicazione di questo pregiudizio (che potrebbe essere definito “anti libertario”) alla organizzazione dei movimenti della mano, può essere significativo fare riferimento alla storia della cosiddetta “area motoria primaria”, cioè di quella piccola parte della corteccia cerebrale attraverso la quale il cervello invierebbe i suoi “ordini” al corpo attraverso la contrazione muscolare. La storia di questa area ha inizio quando nel 1870 due fisiologi tedeschi (Frisch e Itzig) si accorsero che, stimolando, la corteccia cerebrale del cane ottenevano delle contrazioni muscolari di diversi segmenti del corpo. Questa può essere ritenuta una scoperta eccezionale, perché fino a quel momento tutti gli studiosi erano convinti che il cervello fosse la sede dell’anima o del pensiero, non avesse localizzazioni ed avesse un rapporto col corpo solo indiretto. Sulla base di questa scoperta ebbe inizio la elaborazione di nuovi concetti per quanto riguarda il rapporto tra cervello e movimento ed in particolare il movimento della mano. In particolare il proble-

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ma era rappresentato dalla domanda : ma quali parametri del movimento della mano sono rappresentato nella corteccia del cervello? Venne così sviluppata ad opera di fisiologi e di neurochirurghi una teoria definita “ homunculare” che proponeva che in una piccola parte di cervello (area motoria primaria, area 4) fossero contenuti tutti i movimenti del corpo dell’uomo, e che questi fossero rappresentati secondo una organizzazione corrispondente alla loro disposizione nella realtà (in una maniera definita “somatotopica”: sarebbe cioè rappresentato una specie di ometto posto a testa in basso le cui parti corrispondono alla rappresentazione di movimenti) in modo ordinato e una volta sola. Le dimensioni della rappresentazione di ogni segmento erano ritenute in rapporto alla importanza e alla raffinatezza dei suoi movimenti, per cui l’”homunculus” motorio (così era definita questa struttura) possedeva una rappresentazione molto estesa della mano, mentre erano quasi del tutto assenti la rappresentazione del piede, del tronco e della spalla. Sulla base di questa teoria si è ritenuto per tanti anni che nella corteccia motoria fossero rappresentati, già preconfezionati, tutti i movimenti possibili per l’uomo. Si credeva quindi che nel cervello esistesse una sorta di vocabolario dei movimenti possibili e che questi fossero già programmati fin dalla nascita: per questo l’area dedicata alla mano sarebbe stata più ampia delle altre, perché doveva contene-

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re un numero maggiore di movimenti. Se così fosse stato, la liberta concessa al corpo e ai suoi moviementi sarebbe stata molto limitata, consistendo esclusivamente nella possibilità di accoppiare questo o quel movimento con determinate situazioni/ interazioni con la realtà. Mentre sarebbe stata del tutto assente la possibilità di creare nuove forme di movimento. Gli studi più recenti, a partire dagli anni ’80 hanno condotto in una direzione diversa. Numerosi studiosi hanno dimostrato, infatti, che l’homunculus così organizzato era una invenzione o per lo meno una esagerazione non corrispondente del tutto alla realtà: non esiste infatti nessun “omino a testa in giù”, così come non esiste un vocabolario già confezionato di movimenti belli e pronti. L’area motoria, più che a una rappresentazione preconfezionata di tutti i movimenti concessi ai diversi segmenti corporei, rappresenta una sorta di mosaico costituito da tessere, ciascuna delle quali corrisponde solo grossolanamente ad un segmento. Lo stesso segmento può essere rappresentato più volte in zone diverse della area motoria e tutte le volte in maniera diversa, cioè in rapporto con diverse possibilità motorie. Questo probabilmente è in rapporto con le diverse attività che possono essere svolte dallo stesso segmento. Già questa prima possibilità organizzativa consente una prima possibilità di scelta. Ma ancor più importante, dal punto di vista della libertà concessa dalla biologia è che sia all’in-


terno di ogni tessera del mosaico, tra i diversi elementi che la costituiscono, sia tra le diverse tessere possono essere attivate una serie infinita di combinazioni. Non sarebbero cioè rappresentati movimenti già preconfezionati, ma solo possibilità virtuali di un numero infinito di combinazioni, che possono essere scelte dal soggetto per avere un rapporto di tipo diverso con l’ambiente che lo circonda. Se così non fosse il soggetto non potrebbe costruire attraverso i movimenti della mano le informazioni necessarie a partire dalla presenza di un mondo esterno sempre vario e variabile, non sarebbe libero di comprendere lo stessa realtà e ad assegnarle significati diversi a partire dai diversi parametri che possono essere presi in considerazione. Ancora più interessante dal punto di vista della liberta della organizzazione è che è stato dimostrato (e questo già da tempo, solo che non aveva ricevuto nessun rilievo) che nell’area motoria le connessioni delle diverse strutture cellulari non sono assolutamente fisse, cioè se in un certo momento la stimolazione di un certo gruppo di cellule dell’area motoria evoca un determinato movimento, la stimolazione dello stesso punto dopo pochi minuti stimoli può evocare un movimento diverso. Probabilmente, essendo cambiate le intenzioni, la coscienza, le aspettative del soggetto, cambia anche, in rapporto a queste, il significato di quella singola cellula situata nell’area definita motoria.

(Naturalmente la libertà biologica della mano e dell’uomo non è legata solo alle possibilità consentite dalla biologia all’area motoria, vedi ad esempio in Jacono e Perfetti (2009, i. c. s.) il problema dei mondi intermedi). Tutte queste considerazioni stanno a dimostrare la ragionevolezza della ipotesi che la organizzazione biologica del movimento consente all’uomo livelli di libertà assai elevati, e che questi vengano poi notevolmente abbassati e spesso messi in crisi dalla organizzazione sociale e dalla stessa cultura che poi è una emanazione di questa, che tendono a tradurre in stereotipi obbligati quelle attività che lasciate libere di attuarsi potrebbero mettere in difficoltà la sua sopravvivenza. E questo è l’ ultimo e il più importante messaggio del testo. Provi il lettore a guardare la fotografie del testo, tutte, e a domandarsi come prima cosa: ma in questo momento come viene costruito il rapporto col mondo attraverso la mano, e che significato potrà rivestire questa interazione col mondo? Anche in questo caso il lettore attento può provare ad usare come chiave di lettura delle fotografie la libertà biologica del movimento umano. E, dopo essersi domandato : ma cosa dice in questo momento la attività della mano fotografata al cervello del soggetto, provi a domandarsi come riesca la mano a svolgere questo compito e soprattutto se lo potrebbe ugualmente svolgere nel caso che il suo repertorio fosse limitato a poche contrazioni stereotipate.

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PARLARE DELLA MANO

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Tanto è stato scritto sulla mano dell’uomo e sui suoi movimenti: la mano che prega, che indica, che saluta, la mano che tocca e che sente, la mano che sposta e modifica il mondo… Descrizioni, colori, suggestioni di diverso carattere e con diverse finalità … Da interpretazioni di tipo fantastico, ideologico, religioso, fino ad analisi di tipo meccanico, fisico, basate sulla elencazione di muscoli e ossa, di tendini e ligamenti, oppure di tipo funzionale a partire dalla illustrazione delle attività riflesse nelle quali è coinvolta, fino alla capacità di esprimere i più raffinati sentimenti, fino a quella di obbedire ad una volontà tuttora troppo“misteriosa”. Dalla mano specchio (del cervello) alla mano organo (del tatto) una serie di ipotesi abbastanza suggestive, abbastanza credibili, spesso messe in piedi per dimostrare che la differenza tra l’homo sapiens e gli animali si basava proprio sulla conformazione o sulle abilità che l’evoluzione le aveva procurato.

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La mano che fa La mano può dirigersi verso il mondo esterno e i suoi oggetti con lo scopo di modificarne la conformazione, la posizione o i rapporti tra loro. Si parla allora di “azioni di tipo transitivo”. Secondo molti si tratta della attività più importante della mano dell’uomo. Questa possibilità che ha l’uomo di modificare la natura ne avrebbe garantito la sopravvivenza e gli avrebbe permesso di evolvere verso livelli di complessità superiore rispetto agli altri animali anche attraverso la costruzione di strumenti e di macchine attraverso i quali sarebbe riuscito ad accrescere notevolmente il suo potere sulla natura. Troppo spesso questa attività è stata diretta, più che a modificare, a devastare la natura, più che al sodisfacimento di bisogni naturali alla sopraffazione ed allo sfruttamento di altri esseri umani.

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La mano che esprime La mano può dirigersi con i suoi movimenti verso altri esseri viventi per esprimere sensazioni, emozioni, comandi. Questa modalità dell’agire di tipo comunicativo è sempre legata nel suo svolgimento alla cultura ed al modo di vedere il mondo dei soggetti coinvolti. Basti pensare alla peculiarità dei diversi gesti di saluto per la civiltà di ogni popolo, ai diversi modi di significare del corpo attraverso i diversi tipi di danza. Azioni di tipo espressivo possono essere compiute anche attraverso l’uso di strumenti, basti pensare al ricorso agli strumenti musicali o anche a strumentazioni che permettono i più disparati grafismi fino alla pittura più astratta. Attraverso questi l’uomo riesce ad esprimere dalle emozioni più delicate alla violenza più estrema. Tutti questi strumenti richiedono il ricorso a movimenti più o meno raffinati della mano e di tutto il corpo per poter raggiungere i loro risultati.

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La mano che conosce La mano può fare ricorso al suo movimento per conoscere gli oggetti del mondo, non solo, ma anche il proprio corpo, ed il corpo degli altri Questa l’attività può essere ritenuta la più importante per lo sviluppo dell’uomo. Molti studiosi, infatti, ritengono che il corpo dell’uomo e la sua mente vengano riorganizzati in continuità per tutto il corso della vita proprio attraverso la attività di interazione che il corpo, e la mano in particolare, svolgono nei confronti dell’ambiente. Sarebbero infatti le informazioni che vengono costruite attraverso questo contatto che plasmano il sistema uomo intervenendo sulla plasticità dei tessuti ed in particolare su quella del sistema nervoso centrale. Questa attività di conoscenza non può avvenire senza la presenza di movimenti organizzati, che permettono alla mano di atteggiarsi sugli oggetti in maniera da costruire quelle informazioni di cui il soggetto ha bisogno per mantenere la propria autonomia. Costruire informazioni dal contatto con un oggetto significa essere capaci di cogliere le differenze tra quell’oggetto e altri, oltre che tra le diverse caratteristiche dello stesso oggetto. Si

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capisce che un oggetto è una penna e non un bastone, se si riesce a differenziare le caratteristiche dell’uno dall’altro. Si riesce a capire che è proprio la mia penna se si riesce a differenziare determinate caratteristiche della mia penna, conformazione, lunghezza, dimensioni, ruvidezza della superficie, rispetto alle altre penne. Non è difficile capire quali siano le caratteristiche del mondo esterno che consentono alla mano di individuare anche a occhi chiusi la natura del mondo col quale viene a contatto. Ad esempio la superficie, il peso, le distanze, la consistenza, la temperatura. La mano può essere vista (assieme all’altra mano ed assieme al corpo intero) come un perfezionatissimo strumento di misurazione e soprattutto di valutazione caratterizzato dalla sua estrema dinamicità ed adattabilità.

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La mano che prova La analisi delle attività nelle quali viene coinvolta la mano con i suoi movimenti non sarebbe completa se non si tenesse conto anche degli aspetti affettivo- emotivi che caratterizzano le azioni nelle quali la mano è coinvolta. La mano , infatti, permette di sentire il mondo e di conoscerlo, ma permette contemporaneamente di provare determinate emozioni nello svolgimento di tutte le azioni. Basti pensare alla comune stretta di mano ed al diverso tipo di emozioni che può dare. Si provi ad immaginare la stretta di mano vigorosa per suggellare un patto tra due clienti o l’incontro tra due amici. Si pensi alle sensazioni che può dare una stretta di mano accademica tra due persone di un certo riguardo che vengono presentate in una occasione importante. Si provi infine a confrontare quanto provato in queste due situazioni con la emotività che accompagna questa stessa azione che si svolga tra due persone che attraverso la stretta di mano vogliono comunicare all’altra la propria simpatia e i propri desideri. La mano, grazie alla dinamicità delle sue attività motorie, alla raffinatezza della sua sensibilità ed alle sue possibilità organizzative permette di esprimere , fare, conoscere, e provare in maniera assai differente da quanto possa essere permesso da tutti gli altri segmenti corporei. Per parlare della mano è necessario interpretare adeguatamente queste componenti delle sue diverse azioni. 32 32


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LA MANO E IL CORPO

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La comprensione del significato della mano, dei suoi movimenti, della sua sensibilità, delle sue funzioni può essere agevole solo che venga analizzata né più né meno che come una parte, un segmento, del corpo del quale fa parte. Occorre quindi tener conto anche dei significati che l’intero corpo può assumere per la vita dell’uomo (ad esempio quelli biologici), delle sue caratteristiche (strutturali ad esempio) che permettono questa significatività, delle sue peculiarità funzionali (sensoriale, cognitiva, emotiva). Basilare per questa assegnazione di sensoè il riconoscimento dello stretto rapporto/ sovrapposizione, meglio sarebbe dire della identificazione, del corpo e della mente, tanto che molti studiosi definiscono la mente come “embodied”, che in italiano viene malamente reso come “incorpata”. Bisogna però tener conto che questo “incorpamento “ deve essere riferito a tutti i segmenti del corpo ed alle loro specificità: la mente quindi è “incorpata” nella mano, nel piede, nel tronco, nel cervello...

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L’unità interattiva corpo-mente entra in gioco nelle situazioni nelle quali l’uomo deve interagire con il mondo, con gli oggetti che lo compongono,ed anche con il proprio corpo, al fine di costruire una serie di informazioni indispensabili per la sopravvivenza del sistema uomo stesso. Per svolgere in maniera significativa queste operazioni interattive il sistema uomo è dotato di una serie di “superfici recettoriali”, cioè superfici corporee che sono in grado di dare significato di informazione a quegli elementi che più interessano nel mondo esterno. Queste superfici, che possono essere fatte corrispondere ai diversi sensi, permettono all’uomo di entrare in rapporto col mondo in maniera assai complessa. Le superfici recettoriali che il sistema uomo ha a disposizione rappresentano infatti la base della vista, dell’udito, dell’olfatto, del gusto, del tatto e dalle sensazioni corporee. Attraverso di esse l’uomo dialoga con il mondo e partecipa attivamente alle diverse situazioni interattive, modificandosi in maniera adeguata nei confronti delle informazioni che devono di volta in volta essere costruite.

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Per comprendere meglio il senso della mano all’interno del corpo è indispensabile anche riflettere sul motivo per cui il sistema uomo ha a disposizione tante superfici recettoriali diverse tra di loro. Può essere utile a questo proposito interrogarsi sulle caratteristiche della superficie recettoriale rappresentata dal corpo, per comprendere quali la rendano diversa dalle altre superfici e che significato rivestano per lo svolgimento delle sue funzioni. La retina rappresenta la superficie recettoriale che permette di dialogare visivamente con il mondo. È considerata di solito la più importante tra le superfici recettoriali ed è assimilabile ad una sfera la cui forma e curvatura devono rimanere sempre identiche: se la retina si modificasse, come succede, ad esempio, nel distacco di retina, non permetterebbe più una visione precisa del mondo e il sistema non sarebbe in grado di dare il giusto senso al reale e di permettere una corretta conoscenza visiva del mondo entro il quale l’uomo si trova ad operare

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La superficie recettoriale somestesica (del corpo) dell’uomo, della quale fa parte la mano, ha a disposizione, rispetto a quella visiva, una proprietà diversa che prende il nome di frazionamento. Si tratta cioè della capacità di orientare le parti che la compongono in direzioni diverse per permettere loro di raccogliere le informazioni necessarie durante il rapporto con gli oggetti. Questa capacità è resa possibile dalla presenza di articolazioni, che consentono ai diversi segmenti in cui è diviso il corpo numerosissime possibilità di spostamento in direzioni diverse, cioè che permettono la attuazione meccanica del frazionamento, e dalla presenza di muscoli che producono la forza necessaria perché questo sia possibile e corretto nei confronti degli oggetti. Nell’uomo, queste possibilità motorie sono più notevoli rispetto agli altri animali e questo viene interpretato da diversi studiosi come la conseguenza di due caratteristiche tipiche del corpo dell’uomo.

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a) Un movimento per essere più complesso e più libero, nel senso che non è stereotipato, ha bisogno di maggiori possibilità di controllo da parte del sistema che lo produce. Il raggiungimento della possibilità di un numero maggiore di frazionamenti estremamente raffinati, come accade per la mano dell’uomo, ha reso necessario quindi un aumento quantitativo ed un perfezionamento delle sensibilità che servono per il loro controllo accurato. Occorre ricordare che la sensibilità tattile-cutanea, fondamentale per il controllo dei movimenti della mano, non è diretta solamente verso l’esterno in rapporto a modalità informative tattili, ma anche verso l’interno (cinestesi). La cute cioè manda al sistema nervoso centrale oltre ad informazioni relative alle superfici degli oggetti del mondo esterno, anche informazioni relative alla situazione interna del corpo, cioè alle posizioni ed agli spostamenti delle sue articolazioni e dei suoi dei suoi segmenti. b) La seconda caratteristica del corpo dell’uomo, probabilmente in rapporto alla medesime necessita di controllo, può apparire abbastanza strana. Desmond Morris, un antropologo, ha definito l’uomo come “la scimmia nuda”, cioè ha attirato l’attenzione sul fatto che il suo corpo non ha peli, ed ha avanzato una serie di ipotesi, non del tutto convincenti per spiegare questo fatto da un punto di vista funzionale.

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A differenza di quanto proposto da Morris possiamo avanzare l’ipotesi che una cute priva di peli consenta una più raffinata sensibilità cutanea e sia pertanto più funzionale per la elaborazione ed il controllo di movimenti più complessi e raffinati. Una cutepriva di peli risulta infatti più facilmente stirabile e sollevabile in pieghe rispetto a quella sulla quale si impiantano i peli, che, essendo più consistente (basti pensare al cuoio), risulta più difficilmente modificabile dai movimenti del corpo concedendo quindi una minore frazionabililità. La “nudità” dell’uomo rispetto agli animali sarebbe funzionale, secondo questa ipotesi, per permettere un frazionamento più specifico e selettivo al fine di percepire differenze sempre più raffinate tra gli oggetti con i quali entra in rapporto.

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Il frazionamento, però, non rappresenta una caratteristica esclusiva della mano. Esso è presente per tutta la superficie corporea, è evidenziabile infatti sia per il tronco che per il gomito che per il piede. Quindi un riferimento limitato a questo concetto, senza alcun distinguo e differenziazione, non può rendere conto di tutte le peculiarità della mano. Quello che caratterizza le diverse parti del corpo non è rappresentato infatti da una generica capacità di frazionamento, ma dal rapporto tra le loro modalità ed il significato funzionale che queste assumono nella acquisizione di informazioni. Il corpo dell’uomo è suddiviso in tanti segmenti dotati di possibilità di frazionamento diverse. Queste consentono quindi al sistema di interagire col mondo secondo modalità diverse e procedere quindi alla costruzione di conoscenze diverse, anche nel medesimo ambiente. Basti pensare alla differenza tra i frazionamenti della mano e quelli del piede e della colonna vertebrale ed ai diversi tipi di informazione per i quali sono funzionali.

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INTERPRETARE LA MANO

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Indagare sulla specificità della mano della mano equivale a chiedersi perché l’uomo ha bisogno della mano. Perché la natura non si è limitata a mettere a disposizione dell’uomo, ad esempio, un uncino anziché un segmento articolato secondo ben precise modalità? O anche: perché la mano (ed il corpo) è dotata di sensibilità tattile sostenuta da abilità motorie estremamente raffinate? Non sarebbe stata sufficiente una mano esclusivamente motoria posta al servizio e sotto il controllo della vista? Cosa aggiunge il tatto alle altre modalità percettive, sia generali che specifiche? È abbastanza banale rispondere che la interazione col mondo, permessa attraverso i frazionamenti del segmento mano, è ben diversa (dal punto di vista informativo) sia da quelle che si possono percepire con la vista, sia anche da quelle che si possono percepire attraverso gli altri segmenti corporei.

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Le stesse domande possono allora essere riformulate. Quali sono le informazioni delle quali la mano consente specificamente la costruzione? (cioè che non possono essere elaborate del tutto, o altrettanto agevolmente, attraverso i frazionamenti di altri segmenti). Qual è il significato della costruzione di queste informazioni per il sistema-uomo? Come possono essere organizzati i diversi frazionamenti? Quali processi cognitivi sono permessi da questi frazionamenti e dalla loro organizzazione? Allo stato attuale è possibile individuare all’interno della motricità della mano un certo numero di meccanismi che possono essere definiti informativi, in quanto concedono un rapporto col mondo differenziato, dal punto di vista della dinamica informativa, rispetto a quello permesso sia dagli altri segmenti corporei, sia dall’occhio attraverso la vista, sia dalle altre superfici recettoriali.

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Si tratta di “meccanismi informativi di base” e come tali devono essere studiati (non come somma di contrazioni muscolari o come schemi “cinesiologici”) che vengono elaborati dalla unità interattiva corpo-mente, quando il sistema ha bisogno di costruire informazioni che richiedono l’intervento specifico della mano. 1. Uno dei più importanti meccanismi interattivi, specifico della mano, è rappresentato da quella che può essere definita “esplorazione avvolgente”. A differenza della percezione visiva, la percezione somestesica della mano può infatti estendere le capacità percettive del sistema anche “dietro l’angolo”. Mentre la vista non consente di percepire quello che si trova dietro la superficie frontale dell’oggetto della visione, la struttura della mano rende possibile non limitarsi alle superfici frontali, ma estendere le possibilità percettive anche alle aree posteriori dell’oggetto del quale risulta necessaria la conoscenza.

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2. La mano con la sua motricità consente di percepire, sia pure con una certa approssimazione, ma sempre con maggior precisione rispetto alla vista, oggetti posti al di sotto di superfici che li nascondono alla vista, purché queste siano modificabili da parte delle dita. Immaginate di trovarvi di fronte ad una serie di oggetti posti sotto una coperta: la vista non consentirebbe assolutamente di riconoscerli, e probabilmente non potrebbero essere riconosciuti nemmeno passando sopra il lenzuolo il gomito o la schiena. Però passando la mano sopra il lenzuolo con una pressione adeguata il riconoscimento degli oggetti diviene abbastanza agevole ed è possibile anche descriverne buona parte dei dettagli. Anche in questo caso è possibile per il sistema uomo estendere il suo ambito di conoscenza a problemi relativi alla costruzione di informazioni che la vista non può permettere di affrontare e risolvere.

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3. Una delle più specifiche capacità percettive consentite dalla motilità della mano è rappresentata dalla possibilità variare in maniera notevole la estensione della superficie attraverso la quale effettuare la esplorazione. A seconda del problema che il soggetto deve risolvere è possibile, ad esempio, ridurre la superficie esplorante ad un solo polpastrello oppure ampliarla a tutta la mano. Questo consente vantaggi dal punto di vista meccanico, ma anche, e soprattutto, da quello attentivo: ben diverso sarà concentrare la attenzione su mezzo centimetro di superficie esplorante o distribuirla invece a tutta la superficie della mano. Attraverso questo meccanismo la mano può fare ciò che la retina non può e cioè modificare le dimensioni del suo rapporto col mondo. Quando si parla di “tatto attivo” e conseguentemente di intenzionalità non si può trascurare questo meccanismo: intenzionalità è anche sapere scegliere tra una superficie esplorante di uno o di venti centimetri in rapporto alle conoscenze che risultano più utili al sistema in quel determinato momento.

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4. Questa ipotesi di studio è confermata in maniera ancor più evidente dal quarto dei meccanismi sino ad ora identificati: l’integrale motorio della mano deriva dalle relazioni che possono essere instaurate tra una serie di elementi relativamente indipendenti, liberi cioè di combinarsi tra loro in maniera estremamente variabile per permettere la acquisizione di un numero praticamente infinito di informazioni. Questo dato, al quale deve ancora essere assegnato il dovuto rilievo, forse anche dagli stessi neurofisiologi che lo hanno evidenziato, permette di estendere il problema della motilità della mano e della sua specificità anche a regioni del l sistema nervoso che tradizionalmente non erano ritenute coinvolte nella organizzazione motoria della mano. Infatti non è sufficiente che chi vuole studiare il significato della mano e dei suoi movimenti faccia riferimento alla chinesiologia tradizionale. È indispensabile invece che si tenti di elaborare un nuovo modo di studiare il movimento cioè una cinesiologia di tipo neurocognitivo. Il tentativo dovrà tener conto del fatto che corpo e mente rappresentano una unità interattiva e che il movimento può essere compreso solo facendo riferimento a questa unità i cui elementi sono inscindibili.

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5. Un altro meccanismo interattivo Ăˆ rappresentato dalla possibilitĂ per le diverse dita di assumere un ruolo diverso nella soluzione dei problemi legati alla interazione col mondo. Ad esempio in una manipolazione bimanuale è facilmente riscontrabile che, mentre le prime due dita svolgono di solito un compito di percezione tattile, le ultime due svolgono un compito di sostegno. Bisogna però tener presente che questi ruoli non sono fissati e predeterminati.

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6. Un altro meccanismo può essere rappresentato dalla estrema creativitĂ concessa dal sistema nervoso alla elaborazione di relazioni tra gli elementi esploranti. Le dita della mano sono in grado di modificare il rapporto tra di loro in maniera estremamente innovativa anche di fronte allo stesso oggetto e allo stesso compito. Questo meccanismo disponibile per tutta la mano e non solo per dita in gran parte si basa sulle caratteristiche dell’area motoria sottolineate da Schieber, che ha dimostrato come i collegamenti tra i neuroni dell’area motoria siano estremamente variabili nello spazio e nel tempo...

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7. Chi si propone di comprendere il significato della mano e dei suoi frazionamenti deve tener presente che la specificitĂ della mano dal punto di vista motorio non si fonda solo sulle caratteristiche della motilitĂ delle dita, ma che una analisi esauriente deve comprende anche il contributo dato alla indipendenza dei movimenti delle dita ed alla loro innovativitĂ da meccanismi ancora poco studiati che consentono il frazionamenti del palmo della mano. Questo infatti può essere in grado di svolgere sia un lavoro comune nei confronti di tutte le dita , quando svolgono compiti analoghi, sia un lavoro differenziato nel quale il palmo della mano si fraziona coerentemente con i frazionamenti delle diverse dita. Questi movimenti sono stati fino ad ora interpretati come contrazioni di accompagnamento, quasi di tipo posturale. Ăˆ da ritenersi invece che svolgano un ruolo primario assai importante anche dal punto di vista percettivo.

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8. Fondamentale tra i meccanismi informativi risulta la modificabilità del polpastrello, in relazione sia alla percezione tattile, , sia alle istruzioni che la sensibilità della mano dà ai fini della regolazione dei movimenti dell’intero corpo. Anche una osservazione superficiale della forma del polpastrello permette di considerare i rapporti tra la sua forma e la sua funzione. La forma di cono gli concede la possibilità di essere facilmente modificato da qualsiasi tipo di pressione, della quale il polpastrello sarà in grado di definire l’entità ed anche la direzione in maniera assai precisa. Gli studiosi hanno poi analizzato il tipo di sensibilità giungendo alla conclusione che il polpastrello è particolarmente sensibile al riconoscimento delle rugosità presenti sulle superfici da esaminare. Secondo alcuni studiosi la cute del polpastrello sarebbe particolarmente ricca di terminazioni nervose specifiche per definire con estrema facilità la consistenza degli oggetti. Essi mettono questo dato in relazione alla possibilità di riconoscere , attraverso la sua consistenza, lo stato di maturazione dei frutti raccolti per motivi alimentari che altrimenti, con la sola vista non potrebbe essere riconosciuta.

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9. È inutile inoltre sottolineare che la corretta motilità della mano e la sua possibilità di partecipare all’integrale informativo del corpo in maniera spesso fondamentale richiede anche la collaborazione del polso, del gomito e della spalla e che il contributo di queste articolazioni non può essere ritenuto stereotipato, ma deve essere in ogni caso specificamente organizzato nei confronti dei meccanismi sopra elencati.

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RIABILITAZIONE

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Gli elementi presi in considerazione nei capitoli precedenti possono essere utili a tutti coloro che, per qualsiasi motivo, intendono analizzare la attività della mano. Sia per chi la deve riprodurre, attraverso la fotografia, con l’intento di far comprendere all’osservatore concetti da lui ritenuti importanti, sia per chi, come il riabilitatore, deve provvedere al recupero delle capacità perse in seguito ad una lesione che colpisca il sistema nervoso centrale o gli apparati muscolo scheletrici periferici. Una prima conseguenza delle argomentazioni riportate, relative alla identità tra mano e mente, è rappresentata dal fatto che in entrambi i casi, sia che si tratti della lesioni di un tendine, sia che si tratti della lesione di una area del cervello, non si potrà fare a meno di coinvolgere nell’esercizio programmato per il recupero la partecipazione della mente sotto forma di processi cognitivi, di intenzionalità, di esperienza cosciente, di rappresentazione. Fondamentale risulta però la maniera con la quale questi elementi vengono tenuti presenti nell’esercizio ed la

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... Si oppone alla tua sorte una tua mano, Ma l’altra, vedi, subito t’accerta Che solo puoi afferrare Bricioli di ricordi G. Ungaretti


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previsione del significato che potrà assumere l’esercizio nei confronti delle operazioni mentali del soggetto che deve recuperare. Non ha senso agire per recuperare in qualsiasi modo la forza muscolare , o la possibilità per una articolazione di essere mossa liberamente. Non ha senso neppure cercare ad ogni costo il movimento attraverso la stimolazione di attività riflesse se queste non fanno riferimento alla esperienza cosciente del soggetto ed ai suoi processi cognitivi (memoria, attenzione...). Ben poco valore riveste poi la esposizione del soggetto a sedute di terapia fisica (ad esempio a stimolazioni elettriche di diverso tipo). La mano è mente e come tale deve essere considerata anche in occasione dell’esercizio terapeutico. Una seconda conseguenza di quanto esposto nei capitoli precedenti riguarda il ruolo da attribuire alla “sensibilità” del segmento mano nello svolgimento delle attività progettate dal riabilitatore in funzione del recupero. Se, come suggerito nel primo capitolo la funzione fondamentale della mano è rappresentata dalla conoscenza

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... mano che ancor oggi mi assomigli quando esploro superfici senza luce in cerca di spigoli e sporgenze che diano il senso delle cose L. Erba


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del mondo che circonda l’uomo, è evidente che l’esercizio non potrà non tener conto del fatto che il miglior modo per coinvolgere l’intero sistema uomo nel tentativo di recuperare qualsiasi attività, sia rappresentato dal porre il malato di fronte ad un compito conoscitivo, per risolvere il quale deve attivare una serie di operazioni mentali giudicate significative per la riorganizzazione del sistema. Ogni esercizio, pertanto, deve contenere la richiesta di entrare in relazione con determinati oggetti nella maniera più opportuna per conoscerli o per identificarne determinati aspetti. La richiesta, per stimolare in maniera corretta i processi che portano alla conoscenza, deve assumere la forma di un problema alla quale il soggetto deve trovare una soluzione attraverso la motilità della mano. La difficoltà del problema e della attivazione della attivazione delle operazioni mentali richieste dalla soluzione deve essere proporzionata nei confronti delle capacità attuali di ogni soggetto. È naturale che il problema posto dall’esercizio dovrà esser risolto dal malato con l’aiuto del terapista, diversificato caso per

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Solo un mano d’angelo intatta di sè, del suo amore per sè, potrebbe offrirmi la concavità del suo palmo perché vi riversi il mio pianto A. Merini


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caso in relazione al tipo di patologia e alla gravita della situazione. Ogni esercizio, quindi, deve rappresentare un problema che per essere risolto ha bisogno della attenzione del malato nei confronti di determinati contenuti sensitivi. È ovvio che, proprio perché si tratta di attività di tipo conoscitivo la cui proposta viene effettuata per stimolare il soggetto alla elaborazione di determinati complessi di meccanismi, è opportuno che il terapista conosca o almeno abbia fondate ipotesi sui meccanismi nei quali viene coinvolta la motilità della mano nei processi di conoscenza. Il terapista dovrà pertanto stimolare la motilità della mano a riconoscere oggetti o caratteristiche di oggetti, che non possano essere riconosciuti attraverso la vista. Il soggetto quindi svolgerà la sua esercitazione ad occhi chiusi, oppure in situazioni che rendano inutile il contributo della vista (riconoscere dietro l’angolo, sotto il lenzuolo). La interpretazione del significato dei movimenti della mano e la identificazione dei meccanismi informativi di base risulta necessaria per individuare altre modalità di esercitazione. Potranno così essere

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Mi tieni nelle tue mani e mi leggi allo stesso modo di un libro. Sai ciò che io ignoro e mi dici le cose che non mi dico. Mi conosci in te più che in me stesso J. Sabines


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progettati esercizi che prevedano compiti conoscitivi diversi a seconda della dita delle quali deve essere recuperata la funzione. Particolare importanza assumono poi gli esercizi che richiedono come necessarie per svolgere il compito di riconoscimento particolari e specifiche relazioni tra le diverse dita, ad esempio compiti di riconoscimento di lunghezze di oggetti, che richiedono relazioni tra pollice e indice, relazioni di confronto di superfici orientate diversamente che richiedono particolari relazioni tra il primo dito e le altre cinque… In ogni caso dovrà essere dedicata particolare attenzione al contributo che il corpo, al di là della mano, dà alla effettuazione dei riconoscimenti richiesti: il terapista quindi deve programmare non solo il ruolo delle cinque dita e del palmo, ma anche quello del polso del gomito e della spalla , in certi casi anche del tronco e degli arti inferiori. La massima attenzione dovrà ricevere il significato che assumono le richieste effettuate, nei confronti del polpastrello delle dita coinvolte, spesso infatti è proprio da questo che dipendono le modalità di coinvolgimento di tutto il corpo.

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Non ha l’ottimo artista alcun concetto c’un marmo solo in sé non circoscriva col suo coperchio, e solo a quello arriva la man che ubbidisce all’intelletto M. Bonarroti


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CONCLUSIONE

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La mano è stata da sempre considerata elemento fondamentale per la evoluzione della specie umana ed è stata ritenuta la protagonista di ogni attività lavorativa e di ogni progresso umano per la sua capacità di costruire e di utilizzare strumenti sempre più efficaci per la trasformazione della natura. Purtroppo, però, l’uomo ha interpretato il suo lavoro, svolto inizialmente solo attraverso la mano (poi attraverso strumenti ispirati al lavoro della mano ed infine a macchinari sempre più poderosi e sempre più disumani) esclusivamente come un momento di modificazione (di sfruttamento) della natura per i propri interessi immediati, trascurando in maniera sempre più grave, e colpevole, la possibilità di fare ricorso alla attività della mano e di tutto il corpo ai fini della modificazione di sé stesso, del proprio cervello e della propria mente. Il rapporto che l’uomo sta intrattenendo con la natura della quale fa parte, non è più amichevole e limitato agli atti necessari per la sopravvivenza. Occorre, tra l’altro, tener presente che, a differenza di quanto è permesso agli altri animali, il lavoro dell’uomo infatti possiede un alto potere trasformativo nei confronti della natura. La distruzione della natura in atto è la conseguenza prima di questo

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modo innaturale di intendere il lavoro umano. Parallelamente si è concretizzata l’altra conseguenza, altrettanto grave per il futuro dell’uomo, rappresentata dalla perdita dei connotati conoscitivi della attività della mano e del corpo. In coerenza con questa strategia l’uomo ha costruito apparecchiature sempre più complesse e complicate che richiedono sempre meno la attività specifica della mano, e in conseguenza di ciò il suo vivere non assegna più alcuna importanza alle conoscenze acquisibili attraverso i frazionamenti della mano. Si vive in un mondo nel quale l’uomo non ha più bisogno del suo corpo. Anche la mano non ha più alcuna funzione. L’unica possibilità, se una ce ne ancora, di sopravvivenza della specie umana è di tornare al significato originario della mano e del corpo. Tornare a vedere il lavoro esclusivamente in funzione della possibilità di modificare costantemente sé stessi evitando di trasformare e rispettando al massimo la natura che ci circonda.

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Osserva il grande antropologo Leroi Gurhan che “esiste fin da ora a livello degli individui, se non della specie umana, il problema della regressione della mano. Poca importanza avrebbe che diminuisse la funzione di questo organo se tutto non stesse a dimostrare che la sua attività è in stretto rapporto con l’equilibrio delle zone cerebrali che le interessano. Non sapere far nulla con le proprie mani non è cosa preoccupante a livello della specie, perché passeranno molti millenni prima che regredisca un sistema motorio così antico, ma sul piano individuale è ben diverso: non avere abilità con le proprie dita equivale a fare a meno di una parte del pensiero normalmente e filogeneticamente umano”.

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BIBLIOGRAFIA Galimberti U.: L’uomo nuovo con i ricambi, la Repubblica, 25 sett 1998. Lattacher S.: Bombenopfer Theo Kelz, Freya,2000. Mauss M.: Le tecniche del corpo, in Teoria generale della magia, Einaudi, 1965 Oberleit S., Barbach M., Kaiser C.: L’esercizio treapeutico conoscitivo in un caso di trapianto bilaterale delle mani, Riab. Neurocogn. Perfetti C., Chiappin S.: Una emozione chiamata dolore, edizioni del centro studi, 2008. Perfetti C., Chiappin S., Borgo C.: Il corpo, la storia, la vita, edizioni del centro studi, 2007. Perfetti C., Jacono M. : Mondi intermedi, recupero ed esercizio terapeutico, I.C.S. Sestito M.: L’architettata mano. Pentedattilo palmo di pietra, Rubbettino, 2004.

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Silvano Chiappin, fotografo da sempre. Nasce a Santorso tra mucche e galline, in una famiglia di 16 persone tra cui 9 donne. La sua passione è alimentata dalla costante ricerca di nuove esperienze e dal desiderio di conoscere persone e luoghi (Uccio il vagabondo). Collabora e lotta con grafici ed editori, finchè incontra il prof. Perfetti (famosa la citazione: ”Perfetti non è perfetto, ma esige la perfezione da chi è imperfetto, così le cose risultano sempre perfette”). Tra discussioni, scontri e riunioni egli tenta una mediazione e anche se inizialmente l’impresa sembra ardua o quasi impossibile, alla fine si rivela valida e positiva. Vive nella sua casa cinquecentesca patriarcale, senza patriarchi, con tre meravigliose donne che riescono con difficoltà a sopportarlo. Attualmente sogna un dammuso nell’isola di Pantelleria, dove trascorrere piacevolmente il tempo con il pescatore Antonio e gozzovigliare con i propri amici.

Carlo Perfetti, neuropsichiatra e riabilitatore. Ha elaborato un approccio originale alla riabilitazione che lo ha posto in contrasto con colleghi ignoranti e presuntuosi. Per sfuggire alla loro frequentazione ha instaurato efficaci collaborazioni con neurofisiologi, filosofi, linguisti, psicologi, antropologi... Ha riscontrato invece gravi difficoltà nel tentativo di collaborare col fotografo Silvano Chiappin. Dopo due tentativi aveva già deciso di rinunciare, quando una notte gli è apparsa in sogno “la bambina della finestra” (vedi pagina 50), che, a nome della sua tribù, gli ha spiegato che senza di lui il loro Silvano-sciamano (Silvà nun se lassà) chissà cosa avrebbe combinato... E allora... ecco il risultato! Attualmente vive in Caprio di sotto con quattro mucche invaghite di Marino e cinque galline voraci, fortunatamente controllate dalla Gabriella. Dedica il suo tempo libero al cenacolo “Mondi intermedi, a merenda con Cezanne” assieme a N. Pesenti, S. Scogg e Larita R.

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