MCT - il Museo del Cioccolato di Torino: uno Scenario Post-Industriale per Barriera di Milano

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POLITECNICO DI TORINO Corso di Laurea Magistrale in Architettura per il Progetto Sostenibile a.a. 2017/2018

Tesi di Laurea Magistrale

uno

MCT - il Museo del Cioccolato di Torino Scenario Post-Industriale per Barriera di Milano

Relatori:

Candidato:

prof.ssa Manuela Rebaudengo prof.ssa Valeria Minucciani

Fabrizio Trimboli

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Dicembre 2017



INDICE 1.0 - Introduzione

p. 4

2.0 - Descrizione del Caso Studio 2.1 - Il contesto urbano

p. 7

2.2 - L’edificio e il suo isolato

p. 21

3.0 - La Scelta della Destinazione Finale 3.1 - L’analisi dei competitori locali e la scelta del tipo di museo

p. 44

3.2 - Il cioccolato e la sua importanza per Torino

p. 52

3.3 - I musei del cioccolato in Italia e in Europa

p. 59

4.0 - Il Progetto Architettonico 4.1 - Il concept

p. 67

4.2 - Il progetto definitivo e l’allestimento museale

p. 75

4.3 - La demolizione selettiva e la gestione dei rifiuti da C&D

p. 93

4.4 - La sostenibilità dei materiali e la riqualificazione energetica

p. 99

5.0 - Valutazione della Sostenibilità Economica dell’Investimento 5.1 - Il costo di costruzione

p. 115

5.2 - Il costo dell’allestimento museale

p. 128

5.3 - La definizione dell’investimento totale

p. 133

5.5 - La costruzione del Piano Economico Finanziario per la gestione

p. 136

6.0 - Conclusioni

p. 151

• Bibliografia

p. 152

• Sitografia

p. 153

• Ringraziamenti

p. 155

• Allegati

P. 157


MCT - il Museo del Cioccolato di Torino - uno Scenario Post-Industriale per Barriera di Milano

1.0 - Introduzione Se il recupero del patrimonio industriale torinese appare oggi come una tematica affrontata e dibattuta già da molti anni, l’occasione di incontrare professionisti locali che tuttora si confrontano concretamente con progetti di questo tipo ci porta a pensare che il tema non abbia trovato adeguata risoluzione. Se per di più pensiamo alla qualità del progetto di architettura che può persino essere incrementata dalla spazialità dei contenitori ereditati dal secolo precedente, troviamo tutti i presupposti per l’interesse verso un tema attuale, relativamente al contesto locale, e soprattutto concreto. L’occasione si è presentata nel momento in cui alcuni soggetti privati hanno deciso di acquistare un fabbricato, ormai in disuso da qualche anno, adiacente al Museo Ettore Fico (MEF). Come vedremo nel primo capitolo, si tratta dell’edificio di matrice industriale risalente ai primi anni 50 del ‘900 che un tempo formava un unico grande volume con gli spazi del MEF. Esso ospitò prima la I.N.C.E.T. (Industria Nazionale Cavi Elettrici) e poi la Società S.I.C.M.E. Motori (Società Industriale Costruzioni Meccaniche ed Elettriche), fino alla recente dismissione. Inoltre, l’edificio di nostro interesse è stato occupato dal 2010 al 2015 dalla Wolmer S.r.l. (rivendita di tappeti e tessuti). Il contenuto di questa tesi di laurea magistrale sarà proprio il progetto di recupero e rifunzionalizzazione della sede dismessa della Wolmer a Barriera di Milano (Torino, Via F. Cigna 112). I soggetti che hanno acquistato l’edificio intendono trasformalo per inserirvi una nuova funzione a carattere espositivo-museale. Essi hanno più o meno le idee chiare sul tipo di museo da realizzare, che per motivi di riservatezza non comunichiamo in questa sede. Hanno dunque richiesto al progettista del MEF un progetto di recupero del fabbricato e la sua riconversione in nuovo spazio espositivo privato per Torino. Ai fini didattici elaboreremo una risposta progettuale coerente con gli obiettivi della com-

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mittenza, immaginando la definizione del tipo di museo e dei suoi contenuti. Attraverso le analisi, vedremo infatti come si è arrivati alla decisione di progettare il Museo del Cioccolato di Torino. Simuleremo una reale condizione professionale in modo da avvicinarci il più possibile al confezionamento di un progetto concreto, realizzabile ed in linea con la specifica realtà territoriale. L’obiettivo è quello di generare un nuovo polo museale a Barriera di Milano, immaginando un’offerta culturale congiunta ma diversificata. L’utente avrà qui la possibilità di acquistare un biglietto cumulativo per la visita di due mostre molto differenti tra loro ma altrettanto interessanti. In tal senso, l’isolato con i suoi vuoti ex industriali ben si presta alle potenzialità di espansione continua di attività espositive di vario genere, andando nella direzione di un grande polo a servizio della cultura. Non bisogna inoltre dimenticare la possibile sinergia con il vicino isolato della ex I.N.C.E.T., dove tra gli spazi industriali già trasformati troviamo l’apertura a fine 2017 di un grande centro dei sapori. Sintetizzando, abbiamo a che fare con due grandi isolati sopravvissuti alle recenti demolizioni che, se per il momento sono stati trasformati con funzioni prevalentemente commerciali e terziarie, con qualche isolata occasione di attività culturali e innovative, rappresentano un’occasione importante di riqualificazione del difficile quartiere di Barriera di Milano, attuabile attraverso le leve della cultura e dell’intrattenimento. I contributi disciplinari di cui ci si è avvalsi per lo sviluppo del tema, così come di tutte le sue varie sfaccettature, sono architettura degli interni, allestimento museale e valutazione della sostenibilità economica del progetto. Grazie a questi, nonché grazie alle relazioni con altri ambiti disciplinari, è stato possibile disegnare nel dettaglio gli spazi del museo e definirne gli aspetti economici e di gestione. Oltre agli strumenti classici attualmente impiegati nella progettazione, ci si è avvalsi dell’utilizzo di un software di tipo BIM (Building Information Mode-


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ling) al fine di ottimizzare il processo e gestire in maniera adeguata tutte le informazioni del progetto. Come vedremo, tale aspetto si è rivelato particolarmente utile per il tema della gestione dei rifiuti da demolizione, per la precisa quantificazione dei nuovi materiali di progetto, per la redazione del computo metrico estimativo e per la verifica della sostenibilità dei materiali attraverso la rispondenza ad alcuni criteri contenuti nel nuovo documento sui “Criteri Ambientali Minimi” (CAM). Premessa fondamentale per l’attendibilità dei dati è la costruzione di un modello tridimensionale il più possibile aderente allo stato di fatto dell’edificio. A tal proposito bisogna precisare che il primo lavoro svolto per la presente tesi di laurea è stato proprio quello del rilievo completo del fabbricato, sia attraverso metodi diretti che indiretti. La possibilità di prendere parte alle operazioni di rilievo presenta il vantaggio aggiuntivo di una migliore conoscenza dell’oggetto da trasformare. Come se non bastasse, il fatto di aver svolto il tirocinio curricolare in una sede collocata a pochi metri dall’isolato ha consentito di entrare in contatto con la realtà urbana e sociale con cui la nuova opera dovrà necessariamente relazionarsi. Se a prima vista il volume degli elaborati prodotti per la parte di progettazione sembra superare quello della disciplina primaria della presente tesi, nel corso della lettura ci si renderà conto del ruolo guida delle discipline economiche in tutto il processo. A prescindere dalle elaborazioni grafiche, la sostenibilità economica del progetto rappresenta la chiave di lettura privilegiata per il Museo del Cioccolato di Torino. Essa guiderà per prima cosa le scelte compositive generali e, passando attraverso il controllo degli aspetti di dettaglio, condurrà fino alle ipotesi per una gestione sostenibile del museo negli anni successivi alla sua realizzazione. Le discipline estimative sono state dispiegate parallelamente alle varie fasi di progettazione, a partire dalla definizione delle opere da demolire. Andando oltre al loro semplice smaltimento, si è immaginato

di poter ottenere dei ricavi per l’avvio ad operazioni di recupero/riciclo. Dopodiché, sempre in base al duplice obiettivo di sostenibilità economica ed ambientale, sono stati selezionati i nuovi materiali e componenti edilizi, ricercando il corretto equilibrio tra l’incidenza in termini monetari e le caratteristiche di eco-compatibilità. Proprio la ricerca di tale equilibrio ha condotto ad un progetto architettonico diverso da molti esercizi didattici in cui la sostenibilità compare a livello teorico, con la conseguenza della creazione di una realtà solamente immaginata. L’idea alla base del lavoro che verrà presentato nelle pagine seguenti è che il concetto di sostenibilità, tanto complesso e soggetto a diverse interpretazioni possibili, possa essere concretamente soddisfatto solamente in relazione alle specificità del contesto locale e delle sue caratteristiche economico-sociali. Se si prescinde dalle condizioni economiche e dal segmento di mercato si rischia di rendere l’operazione meramente ipotetica. Il nostro obiettivo è quello di ideare un buon progetto di architettura in grado di rispondere alle esigenze della committenza privata, che rispetti tutte le norme previste, presenti un impatto ambientale contenuto, offra una valida esperienza culturale e personale per gli utenti, ma soprattutto risultando effettivamente realizzabile ed economicamente sostenibile nel suo contesto di origine. La risposta ad un simile compito non può che avvalersi delle discipline economico-estimative come utile strumento per il controllo e la valutazione. Infine, si precisa che il tema della trattazione che stiamo per affrontare deriva dal tirocinio curricolare svolto a partire da Marzo del 2017 presso lo studio tecnico di architettura e design dell’architetto Alex Cepernich, progettista del Museo Ettore Fico di Torino (Via F. Cigna n° 114).

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Capitolo 2.0 Descrizione del Caso Studio


Fabrizio Trimboli

2.1 - Il contesto urbano Come è noto, il punto di partenza di un qualsiasi percorso narrativo che abbia come fine ultimo il progetto di architettura è la localizzazione. Solo tramite la spiegazione delle complesse dinamiche urbane che hanno interessato il sito in questione, delle sue attuali caratteristiche e dei rapporti che esso intrattiene con la composizione sociale dell’area, è possibile leggere ed interpretare correttamente un progetto architettonico, sia pur di dimensioni relativamente contenute, che nasce da un prodotto della storia torinese per divenire attualità. Tale prodotto si colloca, non per caso, nel quadrante nord-orientale della Città di Torino e più precisamente nel quartiere di Barriera di Milano, all’interno della sesta Circoscrizione (fig. 1). L’isolato che contiene il fabbricato industriale dismesso che sarà oggetto di recupero e rifunzionalizzazione nel presente lavoro, ha come affaccio principale l’asse infrastrutturale foraneo di Via Francesco Cigna, nel tratto occupato dai numeri civici che vanno dal 110 al 116. Qui ha sede il Museo Ettore Fico che, confinando su un lato con la ormai inutilizzata sede della “Wolmer S.r.l.”, rappresenta l’incipit dell’intero percorso progettuale che stiamo per affrontare. La posizione dell’isolato coincide pressappoco con l’inizio del tratto di area del passante ferroviario denomi-

fig. 1 - Carta di sintesi delle Circoscrizioni di Torino, rielaborazione grafica (Fonte: http://www.comune.torino.it/ geoportale/)

nato “Spina 4”. A partire dall’approvazione del Piano Regolatore Generale disegnato da Vittorio Gregotti e Augusto Cagnardi nel 1995, la maggior parte dei recenti sforzi in ambito urbanistico hanno riguardato i progetti di trasformazione della Spina Centrale, ovvero di tutte quelle aree urbane che corrispondono al tracciato del passante ferroviario che attraversa la città da Largo Orbassano a Corso Grosseto. Ad oggi, dei progetti per la Spina 4, che occupa l’ultimo tratto verso Nord delle aree di trasformazione del passante, possiamo solamente vedere realizzato il nuovo parco urba-

fig. 2 - Veduta interna del Parco Aurelio Peccei (Fonte: http://www.architetturaincitta. it/)

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MCT - il Museo del Cioccolato di Torino - uno Scenario Post-Industriale per Barriera di Milano

no dedicato ad Aurelio Peccei, sorto sulle rovine del sito industriale che un tempo ospitava la Fiat Iveco Telai, con una superficie di circa 43.000 metri quadrati (fig. 2). Il parco di Spina 4 comprende inoltre il nuovo complesso residenziale in affaccio su via Francesco Cigna, progettato dall’architetto torinese Giorgio Rosental, che fronteggia l’isolato della ex S.I.C.M.E. (fig. 3). Se le previsioni per il futuro dell’area mirano alla trasformazione dei lotti di Spina 4 con la speranza di miglioramento di una vasta porzione di città attualmente marginale e sconnessa, un peso ancora maggiore riveste il piano per il collegamento dell’area di trasformazione corrispondente all’ “ex Scalo Vanchiglia” con la stazione ferroviaria Rebaudengo Fossata (Variante n° 200 del Piano Regolatore Generale) (fig. 4). Infatti i decenni a venire saranno interessati dalla re-

fig. 3 - Fotografia del complesso residenziale di Spina 4, parzialmente realizzato (Fonte: http://www.museotorino.it/site/ gallery)

alizzazione della seconda linea della metropolitana che, attraverso un tracciato di circa quindici chilometri, connetterà la parte meridionale della città (Mirafiori) con il quadrante settentrionale, fino al Parco Sempione, senza considerare il prolungamento in direzione San Mauro-Pescarito. Si tratta dunque di un nuovo piano della mobilità che interessa in modo sostanziale l’ambito di progetto che

fig. 4 - Rappresentazione del progetto per la Variante n° 200 del Piano Regolatore Generale di Torino (Fonte: http://www.vicini.to.it/vicini/2015/04/piano-particolareggiato-regaldi-parte-la-grande-trasformazione-della-zona-nord-di-torino/)

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Fabrizio Trimboli

stiamo affrontando. Infatti, sarà possibile raggiungere la stazione Rebaudengo Fossata dall’isolato oggetto di intervento in soli undici minuti a piedi, data la breve distanza tra i due punti (circa novecento metri). Attualmente i collegamenti con il centro città e con la linea uno della metropolitana sono garantiti principalmente dalle linee di bus che passano dalla stazione “XVIII Dicembre” e dalla linea ferroviaria che unisce Torino Rebaudengo Fossata con Torino Porta Susa. Il nuovo piano infrastrutturale comporterà una serie di miglioramenti per il cuore di Barriera di Milano, sia in termini di rapidità dei trasporti pubblici, sia in termini di valorizzazione delle aree. Occorre quindi valutare la scelta localizzativa del progetto al centro del presente studio, non tanto in relazione alle odierne caratteristiche dell’ambito urbano, ma piuttosto nel quadro cronologico delle complesse trasformazioni che lo interesseranno nei prossimi decenni e delle quali abbiamo accennato i potenziali effetti positivi. Effetti che conferiranno, un giorno, nuovo respiro a quelle aree che fino ad oggi sono rimaste fuori dai programmi di rigenerazione; aree marginali e periferiche dove le dinamiche più moderne del vivere torinese cedono il passo a forti problematiche sociali ed economiche. Nello specifico, Barriera di Milano è nota per alcuni episodi di micro-criminalità, per il degrado urbano ed altri problemi come prostituzione e spaccio, attività presenti in tutti i grandi agglomerati urbani, in special modo nelle aree periferiche. Tutto ciò ha contribuito a consolidare la percezione del quartiere da parte degli outsider come luogo non sicuro ed inospitale, probabilmente anche a causa della composizione demografica della popolazione residente. Questa sembra essere il riflesso delle ondate migratorie iniziate a partire dalla fine del XIX secolo, dovute all’attestarsi di numerosi stabilimenti industriali lungo i grandi assi infrastrutturali (come via F. Cigna), tra cui Fiat Grandi Motori, la Fiat Ferriere, il Gruppo Finanziario Tessile, la Manifattura Tabacchi ecc..

“Dal punto di vista socio-demografico, il territorio è caratterizzato da un’elevata incidenza della popolazione straniera residente, proveniente per lo più dal continente africano e dai paesi nuovi membri dell’Unione europea. Si tratta di un’immigrazione stabile, con una composizione bilanciata per sesso e formata per lo più da nuclei familiari giovani con figli: insieme al quartiere Aurora, l’area presenta la più alta concentrazione di minori stranieri su tutta la città.” 1

Tuttavia, Barriera di Milano è un quartiere dalla forte identità culturale e negli ultimi anni numerose associazioni ed eventi hanno contribuito a rafforzare questo senso di appartenenza. Sul territorio sono attive circa cinquanta associazioni no profit e attività culturali private. Il comitato “Urban Barriera” rappresenta lo strumento più efficace nel panorama urbano, volto ad innescare processi di miglioramento, diffondere conoscenza, tramandare memorie locali e in generale promuovere eventi ed iniziative a carattere sociale. Si tratta di un “Programma Integrato di Sviluppo Locale” (PISU) che si è occupato di 31 interventi sul territorio in un arco temporale di circa due anni (fig. 5). Degno di nota è il progetto “B-ART”, lanciato nel 2014 da Urban Barriera per la riqualificazione di alcuni luoghi del quartiere attraverso lo strumento della street art, sotto forma di grandi murales commissionati agli artisti vincitori del concorso di idee. Tra gli interventi di rigenerazione messi in atto dal programma, il più importante è sicuramente la riqualificazione dell’isolato ex INCET, compreso tra Via Cigna, Via Banfo, Via Cervino e Corso Vigevano. Esso, collocato in prossimità dell’isolato oggetto della presente ricerca, era un sito industriale appartenuto alla Società Anonima Ing. Virginio Tedeschi (fabbrica di cavi elettrici), la cui attività cessò nel 1968 con la conseguente dismissione di grandi superfici. Il programma Urban Barriera contribuì al recupero di buona parte dei fabbricati dell’isolato e all’insedia-

1 - http://www.comune.torino.it/urbanbarriera/index.shtml

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GLI INTERVENTI DI RIQUALIFICAZIONE FISICA DEL PROGRAMMA URBAN

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fig. 5 - Mappa degli interventi di riqualificazione fisica del programma Urban Barriera (Fonte: http://www.comune.torino.it/urbanbarriera/progetto/index.shtml)


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mento di nuove funzioni tra cui attività commerciali, residenze, una nuova stazione dei Carabinieri, un centro polifunzionale e “Open Incet”, dedicato allo sviluppo di impresa, oltre alla risistemazione delle aree esterne. Data la vicinanza e le affinità dal punto di vista delle funzioni insediate ed insediabili, l’isolato Incet non può che rappresentare una potenzialità per il progetto di cui ci stiamo occupando, con la futura possibilità di instaurare relazioni tra i due siti, magari al punto da poterli considerare come unicum a servizio di cultura, arte ed intrattenimento. Per concludere il quadro dei caratteri positivi presenti a livello locale non possiamo che citare il Museo Ettore Fico come propulsore attivo di iniziative ed eventi comunitari. Questa istituzione già da alcuni anni, oltre ad ospitare mostre permanenti e temporanee, prevede nel proprio programma una serie di laboratori didattici in collaborazione con le scuole locali e mette a disposizione spazi per le associazioni di quartiere. Si tratta dunque di operazioni volte all’approfondimento di tematiche sociali, che contribuiscono in maniera sostanziale alla conservazione dell’identità di quartiere, così come della memoria locale. Una volta presentata la panoramica generale di Barriera di Milano per ciò che attualmente rappresenta e per ciò che potenzialmente potrebbe rappresentare in futuro grazie ai piani di trasformazione previsti, sembra doveroso occuparsi delle caratteristiche morfologiche dell’area di progetto. Ciò permette, da un lato di comprenderne la struttura in relazione agli eventi storici che hanno contribuito alla sua formazione, dall’altro di inquadrare con maggiore dettaglio la porzione micro-urbana entro la quale si inserisce l’isolato della sede dismessa della S.I.C.M.E.. Per prima cosa, un’analisi delle linearità condotta su base cartografica (fig. 6) permette di individuare due sistemi dominanti: quello delle assialità che attraversano il quartiere in direzione Sudovest-Nordest, che provengono dal centro cittadino e si dirigono all’esterno del nucleo urbanizzato, e quelle che le tagliano più o

meno perpendicolarmente. Le prime rappresentano le cosiddette assialità foranee, in virtù del fatto che fungono principalmente da collegamento tra aree urbanizzate diverse e distanti tra loro. Nel nostro caso troviamo un sistema di assi che proseguono la direzionalità della griglia strutturante il centro della città storica; esse formano il limite oltre il quale le porzioni di tessuto urbano cominciano a subire rotazioni rispetto alla maglia dominante. Nello specifico, Corso Giulio Cesare nasce in corrispondenza di Porta Palazzo e attraversa Barriera di Milano, per poi connettersi alla A4 Torino-Trieste; esso costituisce la prima porta settentrionale della città, arrivando da Milano. Il secondo asse strutturante è Corso Vercelli che nasce oltre il fiume Dora Riparia, all’incrocio con Corso Emilia e si dirige verso Settimo Torinese, con conseguente connessione dei territori del Basso Canavese. Anche se non foranea, troviamo la grande assialità di Via Francesco Cigna, che prende piede all’incrocio con Corso Regina come prolungamento di Corso Valdocco e si riconnette a Corso Vercelli in prossimità del Parco Sempione Est. Ultima linea di questo sistema, ma non per importanza, è il tracciato del passante ferroviario, denominato Spina Centrale, di cui abbiamo già avuto occasione di trattare all’interno dello stesso capitolo. Esso rappresenta una forte cesura nel tessuto urbano che tuttavia, in quanto punto focale delle prossime proposte urbanistiche, diverrà con buona probabilità punto di forza per l’intera città. Attualmente garantisce il collegamento ferroviario tra i territori meridionali (stazione ferroviaria di Moncalieri) e le aree settentrionali della Città Metropolitana di Torino (a partire da Settimo Torinese), passando per le stazioni cittadine Torino Porta Susa e Torino Rebaudengo Fossata. Occorre inoltre sottolineare che, nella stessa direzione, poco oltre Corso Grosseto, inizia il Raccordo Autostradale Torino–Caselle e di conseguenza la connessione con l’aeroporto. I tre grandi limiti orizzontali del presente ambito di analisi sono invece, a partire

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fig. 6 - Mappa della viabilitĂ urbana, base: carta tecnica di Torino, scala nominale 1:5.000, rielaborazione grafica (Fonte: http://www.comune.torino.it/geoportale/)

da Sud: il Fiume Dora Riparia; Corso Vigevano (poi Corso Novara); Corso Grosseto (poi Via Sandro Botticelli) ed infine il Fiume Stura di Lanzo. La schematizzazione dei tracciati e dei limiti fisici del territorio appe-

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na descritta ci pone di fronte ad una triplice valenza concettuale. Per prima cosa consente di circoscrivere un preciso ambito all’interno del quale si colloca l’oggetto della trasformazione; possiamo infatti riconoscere una


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fig. 7 - Carta del tessuto edilizio, base: carta tecnica di Torino, scala nominale 1:5.000, rielaborazione grafica (Fonte: http://www.comune.torino.it/geoportale/)

precisa porzione di territorio delimitata dalle assialità sopra citate e notare come questo “fazzoletto urbanizzato” contenga elementi di variazione morfologica rispetto alle aree limitrofe: si tratta dunque dell’input necessa-

rio per iniziare a trattare il tema dei pieni, ovvero del costruito, ovvero del tessuto edilizio. In secondo luogo, la schematizzazione ha offerto la possibilità di “agganciare” l’ambito ristretto di analisi all’intero sistema delle

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complesse reti che governano tanto la mobilità urbana, quanto quella extraurbana. Infine, proprio lo studio dei flussi può portarci ad una maggiore comprensione delle ragioni storiche dell’allineamento di consistenti volumi a destinazione produttiva lungo alcuni di questi grandi assi collocati nel quadrante settentrionale di Torino, con particolare attenzione al patrimonio dismesso di Via Francesco Cigna. Passando all’analisi del costruito a scala urbana, condotta tramite carta tematica (fig. 7), possiamo anzitutto notare come a Nord, oltre il Fiume Dora Riparia, il tessuto cominci a frammentarsi, in alcuni casi cambi orientamento rispetto all’ortogonalità dei tracciati del nucleo storico e subisca variazioni differenziali di densità. Il cambio di rotazione più evidente è sicuramente quello che prende avvio dalla traccia del Cimitero Monumentale di Torino. Esso, compare per la prima volta nella “Carta” del Rabbini risalente alla seconda metà del XIX secolo (fig. 8). Tale carta documenta l’espansione della Città a Nord-Est nel momento in cui iniziano ad insediarsi attività produttive e di servizio oltre Porta Palazzo, mentre Barriera di Milano vede i primi opifici tessili (anni ‘40 – ‘50) e oltre il confine della cinta daziaria trovano posto le attrezzatu-

re di servizio come il Cimitero. Questo grande impianto va ad allinearsi ad uno degli assi storici più importanti della Città di Torino, ovvero il Viale del Regio Parco che conduceva all’omonima area di proprietà della Dinastia Sabauda e che permetteva di raggiungere la Manifattura Tabacchi. L’orientamento di questo asse ha determinato tutta la successiva urbanizzazione, andando a connotare il tessuto di Borgo Rossini, Barriera e Borgo del Regio Parco e dello Scalo Vanchiglia. La porzione orientale di edificato si raccorda alla Barriera di Milano all’intersezione con gli assi paralleli a quella che era la Strada Reale d’Italia (attuale Corso Vercelli). L’edificato torna così ad assumere la direzionalità dell’impianto del centro storico per poi mutare nuovamente andamento ad Ovest, oltre la netta cesura del passante ferroviario, risalente alla seconda metà del XIX secolo. Il secondo passaggio cruciale consiste nel “Piano Regolatore e di Ampliamento” del 1906 (fig. 9), dove la città si espande fino a saturare la superficie territoriale compresa tra la Dora e la cinta daziaria. Si tratta di un piano rivolto allo sviluppo industriale, come dimostrato dai nuovi tracciati delle infrastrutture viarie e ferroviarie, tra cui la nuova derivazione di Vanchiglia. Se per la regione del Regio Parco il nuovo disegno è caratterizzato da

fig. 8 - Carta topografica dei contorni di Torino, geometra Antonio Rabbini, 1867, ASCT, Collezione Simeon, serie D, n.1812 (Fonte: Maspoli, R., Spaziante, A. (a cura di). (2012). Fabbriche, borghi e memorie. Processi di dismissione e riuso post-industriale a Torino Nord. Firenze: Alinea editrice s.r.l.. p. 95.)

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slarghi ed intersezioni diagonali, che conferiscono la trama “stellare” tuttora riconoscibile, per Barriera di Milano il piano prevede gli assi in direzione Sud-Ovest Nord-Est analizzati in precedenza (Via Cigna, Corso Vercelli, Corso Palermo e Corso Giulio Cesare) con spazi pubblici alle intersezioni. “Nella “Barriera di Milano”, viene sostanzialmente confermata la maglia più stretta dei borghi extra murari di “Monte Rosa” e “Monte Bianco”, con quella perdita dell’ortogonalità degli isolati che già aveva connotato lo sviluppo della fascia su Dora del quartiere Aurora-Rossini, mentre il resto dell’ampliamento è scandito da isolati irregolari di grande dimensione, atti a promuovere l’insediamento industriale.” 2

Infine, nella fascia compresa tra la ferrovia industriale a Nord, via Cigna e via Bologna avverrà una frammentazione dei grandi isolati tale da generare un tessuto misto con tipologia continua in cortina edilizia. A questo punto appare chiaro come l’analisi morfologica dello stato di fatto tentata all’interno di questo capitolo possa essere spiegata quasi esclusivamente tramite il piano del 2 - Maspoli, R., Spaziante, A. (a cura di). (2012). Fabbriche, borghi e memorie. Processi di dismissione e riuso post-industriale a Torino Nord. Firenze: Alinea editrice s.r.l.. p. 96.

1906. I successivi sviluppi del XX secolo riguardano principalmente un addensamento delle aree definite dall’impianto di inizio Novecento e la specializzazione funzionale di certi luoghi. Vediamo ad esempio come via Bologna e via Cigna diventino le infrastrutture privilegiate per l’insediamento delle attività manifatturiere, proprio a causa della prossimità dei tracciati ferroviari. Nella seconda metà del secolo, oltre ad una sempre maggiore densità edilizia, l’urbanizzazione prosegue verso Nord in direzione dei comuni dell’area metropolitana (fig. 10). Agli anni ’50 e ’60 si possono far risalire i nuovi quartieri operai e i progetti di edilizia residenziale pubblica che snaturano le tipologie costruttive tipiche dell’isolato torinese attraverso la costruzione di “palazzine” pluripiano disposte “a pettine” o “a stecca”. I tasselli finali di questa evoluzione storica sono rappresentati dalla fase di dismissione degli stabilimenti a partire dagli anni ’80 e quella più recente di trasformazione appartenente al XXI secolo. Gli esempi più noti di quest’ultimo periodo, già citati in precedenza, sono gli isolati ex I.N.C.E.T. ed ex S.I.C.M.E., i magazzini generali “Docks Torino-Dora” e il nuovo parco di Spina 4 sorto sul comprensorio Fonderie FIAT/Telai Iveco, già SIMA (Società Industrie Metallurgiche e Acciaierie).

fig. 9 - Pianta della Città di Torino coll’indicazione del Piano Unico Regolatore e di Ampliamento, 1906, ASCT, Serie 1K14, all. n. 3, tav. n. 5. (Fonte: Maspoli, R., Spaziante, A. (a cura di). (2012). Fabbriche, borghi e memorie. Processi di dismissione e riuso post-industriale a Torino Nord. Firenze: Alinea editrice s.r.l.. p. 96)

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fig. 10 - Tavoletta IGM, montaggio, edizione 1968 (Fonte: Maspoli, R., Spaziante, A. (a cura di). (2012). Fabbriche, borghi e memorie. Processi di dismissione e riuso post-industriale a Torino Nord. Firenze: Alinea editrice s.r.l.. p. 99.)

Per concludere l’analisi del contesto a scala urbana (operazione indispensabile di qualsiasi intervento di architettura) possiamo osservare l’elaborazione grafica di una vista a volo d’uccello dell’area d’intervento (fig. 11). Alla luce dei fatti sopra descritti, la lettura della rappresentazione prospettica risulta immediata: essa restituisce la comprensione delle complessità che reggono e strutturano tutta l’area inLA CITTÀ FUTURA

dustriale di Barriera di Milano (frammentazione e vuoti urbani), così come la duplice contrapposizione dell’edificato residenziale consolidato da una parte (regolarità), e quello delle aree ancora da trasformare della Spina Centrale dall’altra. Ecco che il progetto di recupero e rifunzionalizzazione della ex Wolmer viene a ricadere nel nucleo di un’area all’interno della quale passato, presente e futuro si intrec-

LA CITTÀ INDUSTRIALE

LA CITTÀ CONSOLIDATA

fig. 11 - Vista a volo d’uccello del contesto urbano di progetto, rielaborazione grafica su base fotografica da “Google Earth Pro™ servizio generazione mappe”

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ciano, senza soluzione di continuità, in modo particolarmente evidente. Altra chiave di lettura applicabile all’analisi territoriale del sito di progetto è quella della dismissione industriale. Così si è espresso Enrico Confienza a proposito del tema del riuso delle aree ex industriali: “[…] parti di città realizzate in epoche anche molto diverse che a seguito della mutata situazione economica e industriale sono diventati luoghi non più produttivi e come tali abbandonati. Questo percorso di dismissione delle aree produttivo-industriali è cominciato già alla fine degli anni ’70, conoscendo il suo apice in epoche diverse a seconda dei paesi.” 3

In Italia, il dibattito su cosa fare dell’enorme patrimonio industriale dismesso, resosi disponibile nell’arco di un solo decennio, è iniziato con un certo ritardo e più precisamente con l’improvvisa chiusura dello stabilimento FIAT del Lingotto a Torino nel 1982. Da qui, si sono susseguite fasi in cui è prevalsa l’opzione di demolizione totale dei fabbricati in disuso oppure di recupero e rifunzionalizzazione. Quest’ultima, appare come necessaria conseguenza del riconoscimento di un valore storico-sociale a questi contenitori, dando così avvio a tutta una serie di interventi di recupero che arrivano fino ai giorni nostri e tra i quali possiamo annoverare il progetto della presente tesi di laurea. A Torino, l’estensione di questo patrimonio al 1989 è documentata da una carta che lo suddivide in base alla superficie di calpestio (fig. 12). Un’analisi più recente mostra invece come gli ex siti industriali nel 2012 siano stati quasi completamente recuperati e/o riconvertiti (fig. 13). Il fatto che in quest’immagine la quasi totalità dei siti sia etichettata come “non più dismesso” non significa che all’interno degli isolati sopravvissuti alle demolizioni non vi siano ancora fabbricati o loro porzioni di matrice industriale che si 3 - Maspoli, R., Spaziante, A. (a cura di). (2012). Fabbriche, borghi e memorie. Processi di dismissione e riuso post-industriale a Torino Nord. Firenze: Alinea editrice s.r.l.. p. 14.

fig. 12 - Impianti industriali dismessi a Torino al 1989, Dansero E. 1993 (Fonte: De Rossi, A., Durbiano, G. (2006). Torino 1980-2011: la trasformazione e le sue immagini. Torino: Allemandi. p. 26.)

trovano in attesa di nuova destinazione. Infine, per restringere il campo d’indagine possiamo osservare alcune elaborazioni grafiche (fig. 14 – fig. 15 – fig. 16 – fig. 17) che riflettono la situazione degli edifici industriali di Barriera di Milano in quattro differenti epoche, come di seguito individuate: l’urbanizzazione (1910); la densificazione industriale (1950); la dismissione industriale (1980); la trasformazione post-industriale (2012). L’ultima fase mostra chiaramente come l’impianto attuale dell’area di progetto sia conseguenza diretta di questo susseguirsi di fasi, in un ambito dove la vocazione industriale è stata tra le più accentuate della Città. Se fino ad ora i vari temi dell’analisi del contesto sono stati affrontati utilizzando la lente della dimensione urbana, un approccio analitico di tipo scalare non può che condurre all’approfondimento delle caratteristiche intrinseche del quartiere. Questa volta, più che gli aspetti morfologici, storici e viabilistici, l’attenzione ricadrà sui servizi e le attrezzature attualmente presenti a livello micro-urbano. Infatti, la loro conoscenza risulta fondamentale nel momento in cui si

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fig. 13 - “Comune di Torino. In 23 anni (1989-2012) il riuso quasi completo di 128 aree industriali dismesse.� (Fonte: Maspoli, R., Spaziante, A. (a cura di). (2012). Fabbriche, borghi e memorie. Processi di dismissione e riuso post-industriale a Torino Nord. Firenze: Alinea editrice s.r.l.. p. 33.)

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fig. 14, 15 - Fabbricati industriali in Barriera di Milano, Borgo Dora e Borgata Aurora al 1910 (urbanizzazione) e 1950 (densificazione industriale) (Fonte: Maspoli, R., Spaziante, A. (a cura di). (2012). Fabbriche, borghi e memorie. Processi di dismissione e riuso post-industriale a Torino Nord. Firenze: Alinea editrice s.r.l.. pp. 112, 113.)

fig. 16, 17 - Fabbricati industriali in Barriera di Milano, Borgo Dora e Borgata Aurora al 1980 (dismissione) e 2012 (trasformazione) (Fonte: Ivi, pp. 114, 115.)

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fig. 18 - Servizi e attrezzature di quartiere, base: carta tecnica di Torino, scala nominale 1:1.000, rielaborazione grafica (Fonte: http://www.comune.torino.it/geoportale/)

decide di inserire una nuova funzione in un qualsiasi contesto urbanizzato. Nei casi migliori, esse possono tessere relazioni con il nuovo oggetto ed arricchirlo. Osservando la carta “Servizi e Attrezzature di Quartiere” (fig. 18) si può anzitutto notare la eterogeneità nella densità edilizia. A fare da spartiacque è proprio l’asse di Via F. Cigna: esso separa la parte occidentale che un tempo ospitava i grandi stabilimenti industriali, demoliti a seguito della dismissione degli anni ’80 del secolo scorso, da una porzione di città (ad Est) consolidata, formatasi come conseguenza delle strategie del già citato piano del 1906. Quest’ultima parte conserva una tipologia costruttiva in cortina edilizia chiusa, con destinazione commerciale ai piani terra in affaccio sulle vie e residenziale ai piani superiori. Si tratta quindi di una configurazione tipica di molte aree della città che differisce dal centro storico per forma e dimensione degli isolati. Tuttavia, l’asse di Via F. Cigna

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non ci appare come netta cesura tra queste due zone ben distinte a causa dei due isolati di matrice industriale che si allineano al suo sedime dalla parte orientale. Stiamo parlando degli stabilimenti ex S.I.C.M.E. ed ex I.N.C.E.T. che rappresentano l’ultimo tassello di espansione industriale verso Est oltre la cinta daziaria (attuale Corso Novara), relativamente a Barriera di Milano. I due isolati in questione appaiono quindi come erosione del netto perimetro dell’urbanizzazione densa del quartiere. La suddivisione del riquadro di analisi in due zone caratterizzate in modo così differente deve necessariamente avere delle ripercussioni sul sistema dei servizi. Il dato forse più evidente riguarda le attività commerciali: l’eredità dei vuoti industriali è ora occupata da grandi “scatoloni commerciali” che hanno sfruttato proprio la dimensione fuori scala degli isolati e la totale assenza di vincoli, mentre il nucleo più antico del quartiere continua a basarsi su un


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sistema commerciale composto da attività di dettaglio allineate lungo i principali assi viabilistici. Altre conseguenze derivate dai modelli urbanistici sono la dotazione di aree verdi e i parcheggi pubblici. Ovviamente una maggiore densità edilizia coincide con la difficoltà di inserire aree a verde pubblico nel tessuto e, nel nostro caso, possiamo riscontrarne una totale assenza. La parte occidentale presenta invece tre tipologie di aree verdi: quelle private, poste all’interno delle corti residenziali; quelle pubbliche ma non fruibili, come i ritagli di verde dovuti al progetto della nuova viabilità e quelli di risulta disegnati con l’unico scopo di soddisfare le dotazioni minime richieste dalle schede d’ambito; infine, il verde pubblico accessibile ed attrezzato che, nel nostro caso, coincide esclusivamente con il grande Parco di Spina 4. Per quanto riguarda i parcheggi pubblici (gratuiti in tutta l’area), da una parte troviamo quelli allineati ai bordi della viabilità di quartiere, dall’altra le aree a parcheggio dei grandi supermarket e centri commerciali. Proseguendo nell’analisi, occorre trattare il tema della mobilità di quartiere che sembra privilegiare gli spostamenti su mezzi a motore. Infatti, i percorsi ciclabili sono quasi del tutto assenti o, nella maggior parte dei casi, sono costituti da brevi tratti sconnessi rispetto ad un più ampio sistema di mobilità ciclo-pedonale. I trasporti pubblici sono garantiti dalle linee di bus che percorrono Corso Vigevano, Via F. Cigna e Corso Vercelli. Su Corso Vigevano troviamo la linea 49 (corso Bolzano, Torino - via Lombardia, Settimo Torinese), la 77 (Corso Cadore, Torino - via Sandre, Venaria) e la 46 (Corso Bolzano, Torino - Via Lombardore, Torino / Viale Europa, Leinì). Quest’ultima attraversa Via F. Cigna ed è la sola presente sull’asse. Infine, Corso Vercelli è servita dalle linee 50 (Piazza del Donatore di Sangue, Torino - via Delle Querce, Falchera) e 51 (Corso Bolzano, Torino - Park Stura, Torino). La distanza media tra le fermate dei trasporti pubblici è di circa duecento/duecentocinquanta metri, risultando quindi facilmente

raggiungibili a piedi da ogni punto dell’area. Per concludere, ricordiamo che a meno di un chilometro di distanza dal Museo Ettore Fico si trova la stazione ferroviaria cittadina Torino Rebaudengo Fossata che permette di raggiungere Torino Porta Susa in meno di cinque minuti.

2.2 - L’edificio e il suo isolato Dopo aver trattato il tema del contesto urbano sotto i vari aspetti, senza la pretesa di aver esaurito la moltitudine delle analisi possibili e, in accordo con il processo scalare della progettazione, passiamo ora alla descrizione dell’isolato oggetto di intervento, per poi focalizzare l’attenzione sullo stato di fatto dell’edificio di nostro interesse. La costruzione dei primi fabbricati sull’area risale ai primi anni del ‘900, prevedendo un uso misto del suolo sull’asse di Via Valprato. Negli anni ’10 dello stesso secolo, l’edificato si estende verso Via Cervino con fabbricati di servizio e tettoie. Al 1925 risale invece la costruzione di depositi e scuderie in affaccio su Via F. Cigna, che verranno sopraelevate a due piani fuori terra nel 1939. Negli anni ’50, a seguito dei danni bellici, l’isolato vede consistenti interventi edilizi, fino ad arrivare al progetto dello stabilimento industriale di proprietà della I.N.C.E.T. (Industria Nazionale Cavi Elettrici), su disegno dell’ingegner Aldo Marini, con permesso di costruire rilasciato in data 22 Giugno 1955 (fig. 19). Tuttavia, è possibile riconoscere solo negli anni ’60 del XX secolo un vero e proprio punto di svolta: durante questo periodo si raggiunge un’elevatissima densità edilizia, fino alla quasi totale occupazione dei cortili interni (caratteristica che ancora oggi connota l’isolato) e lo stabilimento I.N.C.E.T. viene acquistato dalla Società S.I.C.M.E. Motori (Società Industriale Costruzioni Meccaniche ed Elettriche) nel 1965, con conseguente trasferimento della sede operativa in Via F. Cigna 114. L’azienda, nata nel 1955 sull’onda del boom economico che stava investendo Torino e l’Italia intera nel Dopoguer-

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fig. 19 - Fotografia su Via F. Cigna dal numero civico 116, anno 1955 (Fonte: http:// www.museofico.it/museo/storia/)

ra, era specializzata nella costruzione di macchine per la smaltatura di fili di rame. La famiglia Accati, proprietaria dell’impresa, fece una scelta localizzativa strategica per la nuova sede. In linea con quanto esposto nel paragrafo precedente, l’elemento trainante per l’insediamento di grandi stabilimenti industriali nell’area fu sicuramente la prossimità della linea ferroviaria che collega il centro di Torino con Milano; oltre alla disponibilità di grandi lotti di terreno liberi disegnati dal Piano del 1906. I rapporti personali della famiglia Accati portarono all’assunzione nella S.I.C.M.E. di Primo Levi, che vi rimase con il ruolo di chimico fino al 1966. “Entro il 1968 la fabbrica conosce un importante ampliamento dei locali, allo scopo di adeguare la propria struttura alle sempre maggiori pulsioni dei mercati nazionali e internazionali nei quali l’azienda ha ormai acquisito un ruolo di leader nel settore: viene quindi costruita la grande navata con imponenti vetrate alle estremità, da quel momento in poi elemento caratterizzante dell’intero complesso industriale.” 4 4 - http://www.museofico.it/museo/storia/

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Fu proprio questo ampliamento che diede all’isolato la sua struttura definitiva, tuttora riconoscibile. Le fasi successive consisteranno principalmente in piccoli interventi sugli esterni, abbandono di locali, cambi di destinazione d’uso di alcune porzioni, passaggi di proprietà ecc., senza però incidere in maniera forte sull’assetto formale del costruito. La S.I.C.M.E. continuò la propria attività in Via F. Cigna fino al 2004, quando la solidità finanziaria dell’azienda venne meno e si dovette presentare istanza di fallimento. A questo punto l’impresa venne rilevata e messa all’asta; provvedimento che ebbe come conseguenza un periodo di lotte, occupazioni e proteste. Infine, un ex dipendente riuscì ad acquistare l’azienda e trasferì la sede operativa a Druento, dove ancora oggi si trova la “SICME-Italia Impianti”. A partire dal 2006 (fig. 20 – fig. 21), grazie all’alta densità edilizia e il buono stato conservativo, l’isolato fu oggetto di recupero e rifunzionalizzazione su buona parte del costruito. Si passò così da una destinazione prevalentemente produttiva ad un mix funzionale più articolato, coerente alla suddivisione dei fabbricati per schiere. In par-


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fig. 20 - Fotografia su Via F. Cigna dal numero civico 114, anno 2006 (Fonte: Archivio Edilizio della Città di Torino, Sezione Edilizia Privata, Piazza San Giovanni n° 5)

fig. 21 - Fotografia su Via F. Cigna dal numero civico 114, anno 2010 (Fonte: Archivio Edilizio della Città di Torino, Sezione Edilizia Privata, Piazza San Giovanni n° 5)

ticolare, si insediarono quelle attività in grado di trarre vantaggio dalla struttura dei grandi spazi industriali, come terziario avanzato, commerciale medio-grande e attività culturali private. Inoltre, tra il 2009 e il 2014, venne ideato e realizzato il progetto per il Museo Ettore Fico, grazie all’architetto Alex Cepernich (progettista) e Andrea Busto (attuale direttore del museo) (fig. 22 – fig. 23 – fig. 24 – fig. 25 – fig. 26 – fig. 27). Esso venne

insediato in una porzione del capannone principale della ex S.I.C.M.E., caratterizzato da uno sviluppo lineare parallelo a Via Cervino di circa cento metri. Inizialmente, questo fabbricato era costituito da un solo piano fuori terra e si trattava di uno spazio indiviso formato da tre campate larghe circa dieci metri ciascuna, con copertura a shed. Come già sottolineato, tra il 1967 e il 1968, la campata posta più a Nord fu sopraelevata, formando la

fig. 22 - Fotografia dall’esterno della navata del Museo Ettore Fico (Fonte: http:// www.museofico.it/museo/mef/)

fig. 23 - Fotografia interna del Museo Ettore Fico, spazi espositivi al piano terra (Fonte: http://www.museofico.it/museo/ mef/)

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fig. 24 - Fotografia interna del Museo Ettore Fico, spazio espositivo al piano primo (Fonte: http://www.museofico.it/museo/mef/)

fig. 25 - Fotografia della facciata del Museo Ettore Fico, Via F. Cigna 114 (Fonte: http://www.cepernich.it/)

fig. 26 - Fotografia dell’isolato di intervento, anno 2012 (Fonte: http://www.museofico.it/wp-content/uploads/2016/07/ report.pdf)

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fig. 27 - Fotografia dell’isolato di intervento, anno 2015 (Fonte: http://www.museofico.it/wp-content/uploads/2016/07/ report.pdf)


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fig. 28 - Fotografia interna della navata principale del fabbricato ex S.I.C.M.E., anno 2006 (Fonte: Archivio Edilizio della Città di Torino, Sezione Edilizia Privata, Piazza San Giovanni n° 5)

fig. 29 - Fotografia della facciata del Museo Ettore Fico dopo i primi interventi di demolizione, anno 2014 (Fonte: http:// www.museofico.it/museo/storia/)

grande navata ben visibile da Via F. Cigna (fig. 28 – fig. 29). Tale navata, a due piani fuori terra, coincide con gli spazi dell’attuale Museo Ettore Fico, mentre le restanti due, che conservano la struttura originaria degli anni ’60, formano il lotto di intervento del presente progetto di tesi (fig. 30 – fig. 31). Qui, dal 2010 al 2015, trovò sede la Wolmer S.r.l. (rivendita di tappeti e tessuti) che trasformò il fabbricato per adeguarlo alle finalità espositive dei prodotti commerciali. Gli interventi riguardarono principalmente le finiture e la suddivisone di alcuni spazi con tramezzi leggeri, senza modificare l’assetto originario dell’edificio. Infine, il fabbricato è rimasto inutilizzato per circa un anno, fino al suo acquisto nel 2016 da parte di un soggetto privato che intende riconvertirlo con funzioni espositivo-museali, attualmente in fase di progettazione, con incarico affidato allo stesso progettista del Museo Ettore Fico.

bricati ad un piano fuori terra (principalmente lungo Via F. Cigna) a due nella maggior parte delle aree dell’isolato ed infine a tre in pochi punti isolati. Il disegno delle coperture prevede l’utilizzo degli shed tipicamente industriali, oppure coperture classiche a falde inclinate in pochissimi casi o ancora, di tre differenti tipi di tetto piano: in alcuni casi non è praticabile ed è utilizzato esclusivamente per l’alloggiamento di impianti di servizio o per l’installazione di collettori solari; in altri si configura come terrazza praticabile scoperta, attrezzata e non; oppure presenta vere e proprie sopraelevazioni utilizzate come loft residenziali con pertinenze esterne (lungo Via Cervino). I prospetti (con sviluppo su strada di circa 480 metri) sono scanditi da edifici industriali multipiano a schiera, con ossatura in cemento armato e, in particolare: con finestrature bipartite e rientranze in corrispondenza deli accessi su Via Cervino, tranne in alcuni fabbricati minori posti all’angolo con Via A. Banfo; tripartizione delle aperture, su due livelli lungo Via Valprato, tranne che all’incrocio con Via F. Cigna, dove si trova una concessionaria d’auto ad un piano fuori terra, con grandi vetrine in affaccio sulla via; bipartizione delle finestre su due livelli, senza rientranze, lungo via A. Banfo, ad esclusione della sede di un’azienda informatica verso Sud dove troviamo aperture a nastro; infine su Via F. Cigna i prospetti as-

Una volta delineato sinteticamente il quadro cronologico entro cui si inserisce l’isolato, passiamo alla descrizione delle sue attuali caratteristiche. Esso, come già accennato, assume la forma di quadrilatero irregolare, delimitato da Via Cervino a Sud, Via F. Cigna ad Ovest, Via Valprato a Nord e Via A. Banfo ad Est (fig. 32). La tipologia costruttiva è in cortina edilizia continua, con saturazione quasi completa delle aree interne. L’edificato passa da fab-

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fig. 30 - Fotografia interna dell’edificio oggetto di intervento, anno 2006 (Fonte: Archivio Edilizio della Città di Torino, Sezione Edilizia Privata, Piazza San Giovanni n° 5)

fig. 31 - Fotografia interna dell’edificio oggetto di intervento, anno 2010 (Fonte: Archivio Edilizio della Città di Torino, Sezione Edilizia Privata, Piazza San Giovanni n° 5)

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fig. 32 - Ortofoto con inquadramento dell’isolato oggetto di intervento, rielaborazione grafica su base fotografica da “Google Earth Pro™ servizio generazione mappe”

sumono caratterizzazioni differenti a seconda delle destinazioni d’uso, rimanendo però ad un piano fuori terra fino all’incrocio con Via Cervino. L’isolato di intervento presenta un volume lordo di costruito di circa 135.000 metri cubi, su una superficie territoriale d’ambito di 13.610 metri quadrati, dei quali solamente 780 non occupati da fabbricati, generando un rapporto di copertura del 94%. L’altissima densità edilizia è inoltre dimostrata dal valore dell’indice di fabbricabilità territoriale (Ift), che si aggira intorno a 10 m3/m2. A livello normativo, l’ambito “5.11 SICME” è individuato dal Piano Regolatore vigente come “Zona Urbana di Trasformazione” destinata a servizi (fig. 33). Risulta particolarmente importante per il progetto di recupero della ex Wolmer il seguente aspetto normativo: “Il mutamento delle norme di piano (Variante n. 160 al PRG, DCR n. 5910831, 24 marzo 2006) con l’ammissione di mix funzionali ha permesso di promuovere il rapido riuso di contenitori industriali senza le trasformazioni di Ambito previste , ammettendo, inoltre la monetizzazione delle aree per servizi (50%) in alternativa alla cessione gratuita (Variante n. 38 al PRG, DG n. 21-1376, 1 aprile 2006). Si prospetta anche il riuso in forme di residenza innovativa.” 5 5 - Maspoli, R., Spaziante, A. (a cura di). (2012). Fabbriche, borghi e memorie. Processi di dismissione e riuso post-industriale a Torino Nord. Firenze: Alinea editrice s.r.l.. p. 138.

Le attività attualmente insediate sono perlopiù terziario e commerciale in egual misura, attività culturali tra cui il Museo Ettore Fico e una galleria espositiva privata, alcuni uffici tra cui uno studio di architettura e, per concludere, qualche loft residenziale non ancora abitato (fig. 34). A ciò vanno aggiunti gli spazi di matrice industriale al momento non utilizzati, tra cui la vecchia sede della Wolmer S.r.l.. Proprio di quest’ultima passiamo ora all’analisi dello stato di fatto e delle sue caratteristiche costruttive. Il fabbricato di progetto, come già accennato, è assimilabile ad un parallelepipedo di larghezza pari a circa 20 metri, profondità circa 100, per un’altezza di 7 metri dal suolo. Esso è disposto con il lato più lungo parallelo a Via Cervino e si sviluppa in profondità nel lotto, a partire dal prospetto in affaccio su Via F. Cigna, dove il parallelepipedo viene tagliato diagonalmente dall’asse stesso della via. L’edificato confina verso Nord con Il Museo Ettore Fico (la cui navata in origine apparteneva ad un unico capannone industriale), nella parte meridionale dell’isolato con la manica continua a due piani fuori terra che prospetta l’isolato ex I.N.C.E.T. (su Via Cervino) e infine, verso Est con un edificio dalla forma affusolata, disposto perpendicolarmente, che ad oggi ospita la galleria espositiva privata “Gagliardi Art System”. Al “contenitore” principale, circondato su tre lati da spazi appartenenti ad altre proprietà, se ne connette uno minore con innesto perpen-

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fig. 33 - Scheda dell’ambito “5.11 SICME” ed estratto di PRG, Tavola n° 1 Azzonamento (scala nominale 1:5.000), rielaborazione grafica (Fonte: http://www.comune.torino.it/ geoportale/prg/cms/

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fig. 34 - Ricostruzione schematica tridimensionale dell’isolato oggetto di intervento con indicazione delle principali destinazioni d’uso presenti e loro quantificazione in termini di volume lordo di costruito

dicolare che sfocia su Via Cervino. Si tratta di un solo piano fuori terra dell’altezza di 6,85 metri, per buona parte soppalcato, destinato a magazzino ad entrambi i livelli e collegato da una scala di servizio in calcestruzzo armato gettato in opera (fig. 46 – fig. 47 – fig. 48 – fig. 49). Tale accesso laterale si trova in corrispondenza del numero civico 20/A di Via Cervino e corrisponde ad una porzione di prospetto formato da due campate (fig. 37): una di queste è occupata da finestre bipartire in continuità con le adiacenti, mentre l’altra è una rientranza nel volume edificato dalla quale si può accedere al fabbricato, tramite la saracinesca a tutta altezza che veniva utilizzata per il carico e lo scarico della merce, oppure tramite porta pedonale esterna che funge anche da uscita di sicurezza. Il Secondo piano sopra il magazzino di pertinenza della Wolmer è occupato da un loft con terrazza finale in copertura, attualmente in attesa di compravendita. Passando invece al prospetto in affaccio su Via F. Cigna, notiamo come la regolarità della cortina edilizia si perda, per cedere il passo ad un diverso tipo di facciata per ogni lotto. La porzione di nostro interesse è caratterizzata dalla

presenza di tre grandi vetrine espositive e un ingresso con bussola, chiusa da una serranda metallica avvolgibile (fig. 35 – fig. 36). La facciata si presenta molto semplice e scarna, con pareti lisce intonacate, lesene in corrispondenza dei pilastri e fascia marcapiano a segnare la trave di bordo del solaio di copertura. Elemento ben visibile nella sua composizione è la mancanza di simmetria, dovuta all’unione mal riuscita di due tipologie di prospetto diversamente disegnate. La parte verso il Museo Ettore Fico è sovrastata da una mensola a sbalzo in calcestruzzo armato e presenta un coronamento in continuità con il disegno del prospetto sottostante, mentre l’altra parte risulta priva di lesena centrale e il suo coronamento appare non decorato e leggermente più basso di quello adiacente. Infine, le vetrine sono protette da un profilato metallico HEA sostenuto da tubi in acciaio ancorati al suolo, con lo scopo di evitare eventuali effrazioni con mezzi a motore. Una volta definiti i bordi del sistema, possiamo passare alla descrizione del volume principale. Il primo tratto dello spazio interno, a partire dall’ingresso di Via F. Cigna, è un ambiente destinato a spazio vendi-

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ta dalla Wolmer, illuminato dalle tre grandi vetrine delle quali abbiamo parlato in precedenza e sovrastato da un solaio piano in calcestruzzo armato, rinforzato con grandi travi ribassate (fig. 38). La navata posta più a Sud è interrotta per due campate da un blocco che si eleva fino alla copertura, dove al piano terra trovano posto la cassa, alcuni laboratori e uffici (fig.40 – fig. 41), un locale tecnico per i quadri elettrici, servizi igienici (fig. 42) e il vano scala (fig. 50). Superato questo blocco, si giunge al grande ambiente open space con copertura a shed, tipica degli edifici industriali degli anni ’50 e ’60 (fig. 43 – fig. 44). Allo stato attuale, tutte le strutture di sostegno degli shed non sono visibili a causa del controsoffitto in cartongesso realizzato per l’adeguamento all’ultima destinazione d’uso del fabbricato. Uniche strutture visibili sono i pilastri della parte centrale, sui quali poggia una trave prefabbricata (foderata con cartongesso) e i pilastri della navata Sud. Verso il Museo Ettore Fico si trova una via di fuga che attraversa in lunghezza tutto l’edificio per arrivare all’uscita di sicurezza su strada, realizzata con partizioni leggere in cartongesso. L’ambiente, privo di illuminazione ed aerazione naturale, offre una percezione “schiacciata” per via del controsoffitto continuo, impostato ad un’altezza di tre metri dal piano finito del pavimento. Circa verso metà lunghezza dello spazio principale indiviso, una porta di sicurezza a due ante conduce al magazzino che si estende fino a Via Cervino. Tutti i locali del piano terra sono finiti con pavimentazione in piastrelle ceramiche, zoccolino in ceramica e pareti intonacate. I servizi igienici presentano rivestimenti ceramici a parete per un’altezza di 2,10 metri e le porte interne, ad eccezione di quelle di sicurezza, sono tutte in legno. Passando per il vano scala si possono raggiungere alcuni ambienti di servizio posti al primo livello e più precisamente: un laboratorio da 135 metri quadrati (fig. 51 – fig. 52); spogliatoio, antibagno e due bagni per il personale maschile; spogliatoio, antibagno e due bagni per il personale

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femminile. Se bagni e spogliatoi hanno finiture identiche a quelle del piano sottostante, il locale laboratorio si differenzia per l’uso di un pavimento vinilico adesivo ad effetto parquet, zoccolino in pvc e controsoffitto continuo in cartongesso a chiusura delle falde delle due coperture non praticabili poste all’ultimo livello. Salendo ancora per la scala, costruita con elementi monolitici in pietra e parapetto in ferro lavorato, si arriva al livello della terrazza. Prima ancora delle aree esterne, troviamo un disimpegno e la centrale termica, racchiusi insieme al vano scala in un piccolo volume costruito che emerge dal corpo principale dell’edificio (fig. 53). Il piano di copertura è composto da un terrazzino di 9 metri quadrati all’esterno della centrale termica, una terrazza di 150 metri quadrati adiacente a quella del Museo Ettore Fico (fig. 56), una copertura a due falde con struttura in latero-cemento e manto in pannelli “sandwich” forata da due piccoli lucernari (fig. 55), un tetto inclinato ad una sola falda con medesima stratigrafia (fig. 55), ed infine, le quattro file di shed a copertura del volume principale (fig. 57). Le due file corrispondenti alla navata Nord hanno sviluppo lineare pari a 78 metri, mentre le altre due si interrompono a contatto con il vano scala e sono lunghe circa 68 metri. Esse sono coperte da un manto in lamiera metallica con isolante termico interposto nelle parti opache e lastre in policarbonato alveolare trasparente nelle parti progettate per l’ingresso della luce naturale. Ad ogni campata è visibile un elemento in calcestruzzo armato, coperto da scossalina metallica, che funge da irrigidimento del sistema e collegamento tra gli shed. Tutte le parti piane delle aree esterne di copertura sono impermeabilizzate tramite guaina bituminosa a uno o più strati, così come la base dei muretti perimetrali. Possiamo inoltre notare la presenza sulla terrazza di un chiller (fig. 54) per il condizionamento dell’aria, collegato alla centrale termica tramite tubi di mandata e ripresa in acciaio inox. A proposito delle dotazioni impiantistiche, occorre ricor-


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dare che l’edificio possiede un impianto termico misto aria-acqua a ventilconvettori, con generatore di calore costituito da caldaie a gas, situate nella centrale termica all’ultimo piano. L’unità di trattamento aria per il controllo di indoor air quality e umidità relativa interna è invece posta in un locale tecnico del piano terra, nel vertice nord-orientale del fabbricato. Esso dispone inoltre di un impianto elettrico completo e funzionante, con corpi illuminanti incassati nei vari controsoffitti e di impianto idrico-sanitario per i servizi igienici. Riassumendo, l’edificio della ex Wolmer, allo stato di fatto, ha a disposizione 2185 m2 di superficie calpestabile al piano terra e 7213 m3 di volume netto; 359 m2 e 1239 m3 al piano primo; 23 m2 e 91 m3 in copertura (aree esterne escluse); per un totale di 2567 m2 e 8543 m3. Si precisa che le caratteristiche dimensionali appena esposte godono di un discreto livello di precisione, dovuto a due fattori: la metodologia di rilievo adottata e la costruzione di un modello digitale BIM. Le operazioni di rilievo sono state condotte con tecniche dirette per le parti interne del fabbricato, con l’ausilio di distanziometro laser e rotella metrica, mentre per le facciate è stata utilizzata la tecnica del fotopiano (raddrizzamento geometrico). Inoltre le operazioni di restituzione dello stato di fatto hanno previsto la verifica puntuale dei disegni tecnici riportati nella pratica edilizia di “Denuncia Inizio Attività” presentata dalla Wolmer S.r.l. e approvata in data 12 Febbraio 2010, conservata presso l’archivio edilizio del Comune di Torino. La costruzione del modello BIM (Building Information Modeling) ha permesso da un lato di verificare la coerenza generale del rilievo, dall’altro di semplificare le successive fasi di calcolo. Come sappiamo, questa tecnologia consente di estrapolare in maniera agevole tutte le informazioni relative ad opere in demolizione e in costruzione, ma anche superfici, volumi e altri dati dimensionali. Per fare ciò, è stato necessario imputare nel modello tridimensionale una serie di caratteristiche dell’edificio come stra-

tigrafie, materiali di finitura, serramenti ecc.. Per concludere questo primo capitolo, si ricorda che qualora si volessero approfondire gli aspetti della rappresentazione dello stato di fatto si può fare riferimento agli elaborati grafici contenuti nelle tavole 2.0, 2.1 e 2.2, allegate alla presente relazione. Nelle pagine seguenti si riporta parte della documentazione fotografica acquisita in fase di rilievo, per una migliore comprensione delle caratteristiche dell’edificio (da fig. 35 a fig. 57).

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fig. 35 - Fotografia della facciata su Via F. Cigna, rilievo dello stato di fatto, 28/04/2017

fig. 36 - Fotografia della facciata su Via F. Cigna, rilievo dello stato di fatto, 28/04/2017

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fig. 37 - Fotografia della facciata su Via Cervino, rilievo dello stato di fatto, 19/04/2017

fig. 38 - Fotografia dello spazio vendita all’ingresso, piano terra, rilievo dello stato di fatto, 25/07/2016

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fig. 39 - Fotografia verso lo spazio principale dall’ingresso, piano terra, rilievo dello stato di fatto, 25/07/2016

fig. 40 - Fotografia di uno spazio ad uso ufficio, piano terra, rilievo dello stato di fatto, 25/07/2016

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fig. 41 - Fotografia del disimpegno del blocco destinato a laboratori e uffici, piano terra, rilievo dello stato di fatto, 25/07/2016

fig. 42 - Fotografia dei servizi igienici, piano terra, rilievo dello stato di fatto, 25/07/2016

fig. 43 - Fotografia dello spazio principale open space, piano terra, rilievo dello stato di fatto, 25/07/2016

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fig. 44 - Fotografia dello spazio principale open space dopo la rimozione dei pannelli del controsoffitto, piano terra, rilievo dello stato di fatto, 18/07/2017

fig. 45 - Fotografia delle strutture in calcestruzzo armato della copertura a shed, piano terra, rilievo dello stato di fatto, 18/07/2017

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fig. 46 - Fotografia del magazzino con accesso da Via Cervino, piano terra, rilievo dello stato di fatto, 25/07/2016

fig. 47 - Fotografia del magazzino con accesso da Via Cervino, piano terra, rilievo dello stato di fatto, 25/07/2016

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fig. 48 - Fotografia del magazzino con accesso da Via Cervino, piano primo (soppalco), rilievo dello stato di fatto, 25/07/2016

fig. 49 - Fotografia del magazzino con accesso da Via Cervino, piano primo (soppalco), rilievo dello stato di fatto, 25/07/2016

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fig. 50 - Fotografia del vano scala, piano secondo (livello terrazza), rilievo dello stato di fatto, 25/07/2016

fig. 51 - Fotografia del laboratorio al piano primo, rilievo dello stato di fatto, 25/07/2016

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fig. 52 - Fotografia del laboratorio al piano primo, rilievo dello stato di fatto, 25/07/2016

fig. 53 - Fotografia esterna del vano scala e centrale termica, piano secondo (livello terrazza), rilievo dello stato di fatto, 25/07/2016

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fig. 54 - Fotografia della terrazza principale, piano secondo (livello terrazza), rilievo dello stato di fatto, 25/07/2016

fig. 55 - Fotografia delle coperture del laboratorio al primo piano, piano secondo (livello terrazza), rilievo dello stato di fatto, 25/07/2016

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fig. 56 - Fotografia della terrazza principale dal Museo Ettore Fico, piano secondo (livello terrazza), rilievo dello stato di fatto, 25/07/2016

fig. 57 - Fotografia della copertura a shed dello spazio principale, piano secondo (livello terrazza), rilievo dello stato di fatto, 25/07/2016

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Capitolo 3.0 La Scelta della Destinazione Finale


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3.1 – L’analisi dei competitori e la scelta del tipo di museo Dopo aver inquadrato nel corso del primo capitolo il caso studio, partendo dalla scala urbana e territoriale fino ad arrivare a quella del singolo fabbricato di cui ci stiamo occupando, iniziamo qui a trattare gli aspetti legati alla progettazione. Ovviamente, il primo passo non ha ancora nulla a che fare con la fisicità dell’oggetto ma riguarda la scelta della destinazione d’uso. Come accennato nell’introduzione, si è scelto di simulare una condizione realmente avvenuta tra alcuni soggetti privati, interessati alla trasformazione della sede della ex Wolmer. Tali soggetti hanno acquistato il fabbricato nel 2016, attraverso una trattativa conclusa con un valore di 1.850.000 euro, con l’obiettivo di recuperare il contenitore di matrice industriale e rifunzionalizzarlo attraverso destinazioni espositivo-museali. Se nella realtà essi hanno in mente il tipo di museo da realizzare, andando a costituire una funzione fissata per il professionista incaricato della progettazione architettonica, ai fini del presente progetto di tesi di laurea magistrale si è ritenuto opportuno redigere un’analisi per capire quale tipologia museale fosse più indicata. Per motivi di privacy non è possibile, in questa sede, comunicare precisamente le intenzioni della proprietà. Simuleremo dunque la richiesta da parte della committenza di realizzare un museo recuperando quello specifico edificio (già acquistato) e ci occuperemo di comunicare, a seguito di un’indagine condotta alla scala urbana, quale potrebbe essere la precisa caratterizzazione di questo spazio espositivo. Come sappiamo, nella maggior parte dei casi le strutture museali sono opere pubbliche e seguono precise regole tanto nella realizzazione quanto nella loro gestione. Il caso qui presentato sarà invece un museo di tipo privato, realizzato senza l’ausilio di una collaborazione con il soggetto pubblico ma prevedendo ovviamente la possibilità di contributi a fondo perduto sia iniziali che in fase di esercizio. Occorre precisare che, pur trattandosi di un‘opera privata, il

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progetto rispetterà tutte le indicazioni relative agli standard museali. Si delinea in questo modo un modello economico-amministrativo molto vicino a quello del Museo Ettore Fico, con il quale si immagina una possibile collaborazione. Così il direttore Andrea Busto si espresse in un’intervista, a proposito delle questioni economiche del museo: “Veniamo ai costi: si parla di 3 milioni di euro. Una cifra incredibilmente bassa se messa a confronto con operazioni simili in città e in altri luoghi d’Italia. Come ci siete riusciti? E visto che parliamo di soldi: che budget avrai a disposizione per la programmazione nel 2015? Questo è un museo privato che non ha attinto al denaro pubblico. In questo momento di crisi sarebbe stato impossibile attivare un meccanismo di finanziamento diverso da quello delle proprie forze. Così, assunto il ruolo di amministratore – avevo già avuto un’esperienza simile con la ristrutturazione e la gestione di Villa Giulia a Verbania -, ho applicato la regola sempre valida del “buon padre di famiglia”, che non dilapida ma spende bene ciò che ha. E oggi, che il mercato offre molto, si possono ottenere ottimi prezzi e risultati. Per la programmazione delle mostre 2014/2015 e per la gestione del museo ho in budget circa 700mila euro, ma sono costi variabili che potranno subire variazioni nel corso dell’anno.” 6

L’idea di realizzare un nuovo museo in adiacenza ad uno esistente non deve essere interpretata come errore di valutazione della possibile concorrenza. Infatti il concept è quello della creazione di una sorta di polo museale, ipoteticamente estendibile nel corso del tempo a tutti i vuoti ancora presenti nella vecchia fabbrica di cavi elettrici. È inoltre possibile considerare il progetto come vero e proprio ampliamento del Museo Ettore Fico, con relazioni sia fisiche che gestionali. Sarebbe infatti interessante offrire la possibilità di acquistare un biglietto 6 - Marco Enrico Giacomelli (a cura di). (4 Settembre 2014). Museo Ettore Fico. Una mega-kunsthalle apre a Torino. Torino: http:// www.artribune.com/attualita/2014/09/ museo-ettore-fico-una-mega-kunsthalle-apre-a-torino/.


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cumulativo per la visita di entrambe le mostre, come avviene ormai in moltissimi poli museali italiani ed esteri. L’idea è quella di realizzare su piccola scala un centro destinato alla cultura nel difficile quartiere di Barriera di Milano, come possibile occasione di riqualificazione ed innovazione, sorto dall’eredità di un secolo disegnato dall’industria. Nel momento in cui si decide di inserire una specifica funzione in un dato contesto, occorre verificare quali siano i reali competitori locali. Nel nostro caso è stata presa in considerazione l’offerta culturale relativa a spazi espositivi nel Comune di Torino. La scelta dei confini entro cui circoscrivere l’analisi risulta fondamentale in un’indagine di questo tipo. Si è scelto di limitarla ai confini amministrativi della città di Torino, immaginando che al di fuori il livello di competizione sia scarsamente significativo per il nostro museo. Tuttavia si sono tenuti in considerazione alcuni importanti spazi espositivi dell’area metropolitana torinese per evitare di proporre una funzione culturale attualmente già soddisfatta nell’immediato intorno territoriale. L’analisi è stata condotta identificando tutti i musei della città e registrandone: collocazione urbana; descrizione dell’offerta in termini di oggetti esposti e attività; categoria museale di appartenenza. Nello specifico, sono state individuate sette categorie in grado di coprire la totalità dei competitori presenti e sono: arte moderna e contemporanea; musei aziendali e societari; arte antica, storia e archeologia; ecomusei urbani; musei tematici; arte sacra; scienza e tecnica. La tabella riportata nelle pagine seguenti (fig. 58 – fig. 59 – fig. 60) può essere utilizzata come strumento immediato per la verifica dell’offerta culturale specifica per i musei nella città di Torino. Essa infatti contiene il nome del museo, l’indirizzo, una descrizione delle sue caratteristiche e una lettera identificativa della categoria. Al fondo di questa tabella (fig. 61), un riepilogo permette di vedere la ripartizione percentuale, in base alla categoria di appartenenza, dei 58 musei selezionati

per l’analisi. Come si evince dal grafico, la maggior parte appartengono alla categoria “C” della quale fa parte, ad esempio, il Polo dei Musei Reali di Torino. A seguire troviamo in egual numero i musei tematici che prevedono un’esposizione mirata ad uno specifico tema centrale (ad esempio il Museo della Frutta Francesco Garnier Valletti), quelli che si occupano di scienza e tecnica e quelli di arte moderna e contemporanea tra cui il Museo Ettore Fico. Gli ecomusei urbani sono solamente sei e corrispondono alle varie Circoscrizioni, ad eccezione della numero uno e della sette. Al fondo della classifica troviamo una categoria particolare composta esclusivamente dal Museo della Sindone e il Museo Diocesano. Per quanto riguarda invece la distribuzione di questi oggetti sul territorio (fig. 62) si possono avanzare alcune considerazioni che mettono in relazione tipologia e localizzazione. Quella più evidente, oltre che ovvia, è la concentrazione dei musei appartenenti alla categoria “C” nel nucleo storico della città, insieme a quelli religiosi (categoria “F”). Ciò avviene normalmente in tutte le grandi città, dove i musei a carattere storico sono spesso quelli di più antica fondazione e occupano i luoghi significativi per la memoria locale. Anche se fuori dal centro storico torinese, il museo della “Basilica di Superga e Reali Tombe di Casa Savoia” rappresenta uno dei più importanti del contesto storico-culturale e non può che ricadere in un luogo da sempre ritenuto strategico e simbolico. Gli ecomusei urbani sono invece omogeneamente distribuiti in funzione del fatto che la loro sede coincide con i limiti delle circoscrizioni cittadine. La categoria “scienza e tecnica” risente spesso della collocazione delle sedi universitarie per cui li troviamo quasi tutti all’interno dell’area di fondazione romana della città oppure intorno al Parco del Valentino. AI contrario, per i quattro musei aziendali presenti non è possibile rintracciare un logica distributiva, essendo legati a specifici organismi privati. Infine i musei tematici e di arte moderna/contemporanea sono quelli

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fig. 58 - Tabella di analisi dei competitori locali, i musei di Torino (parte I)

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fig. 59 - Tabella di analisi dei competitori locali, i musei di Torino, (parte II)

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fig. 60 - Tabella di analisi dei competitori locali, i musei di Torino, (parte III)

fig. 61 - Analisi dei competitori locali, i musei di Torino, riepilogo finale e ripartizione percentuale in base alla categoria museale

maggiormente distribuiti sul territorio comunale. Essi, in particolare quelli di arte contemporanea, trovano luoghi adatti anche in aree periferiche e magari in contenitori ex industriali sopravvissuti alle demolizioni, come accaduto per la Fondazione 107 (capannone industriale degli anni ’50), la Fondazione Merz (ex centrale termica Officine Lancia) e, come sappiamo, il

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Museo Ettore Fico. Osservando in generale la distribuzione dei musei sulla mappa, emerge che la loro concentrazione è localizzata in quattro principali aree: il centro storico, il tracciato della spina centrale, l’area intorno al Parco del Valentino insieme al tratto pre-collinare che lo fronteggia e infine, la zona del Lingotto. Se la parte meridionale della cittĂ , fino al fiume


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Dora Riparia, presenta un gran numero di strutture museali, oltre questo limite fisico il loro numero si riduce ad appena sei. La collocazione di un nuovo museo nella periferia Nord di Torino può dunque essere letto come un tentativo di portare arte e cultura proprio laddove è presente in misura ridotta. Un discorso a parte deve essere fatto per le gallerie d’arte private (fig. 63). Esse sono state considerate come competitori locali anche se ad un grado inferiore rispetto ai musei, proprio per via della differente offerta culturale che sono in grado di generare. Ve ne sono 81 all’interno del Comune di Torino e loro distribuzione denota un’altissima concentrazione nella zona centrale storica, qualche caso isolato nelle aree centro-meridionali, due gallerie in zona Parella e quattro a Barriera di Milano. Oltre a musei e gallerie d’arte esistono anche altri oggetti legati alla cultura in grado di generare competizione a livello locale, come ad esempio teatri, sedi di associazioni culturali o spazi per eventi, mostre e convegni. Essi tuttavia non sono stati classificati data la loro scarsa rilevanza nella formulazione di un criterio per la scelta del tipo di museo da progettare. La definizione di un quadro che comprenda il vasto patrimonio culturale torinese non è di semplice fattibilità. Tuttavia l’analisi sopra esposta mette il progettista di fronte ad una panoramica generale degli spazi espositivi con cui dovrà confrontarsi durante il processo decisionale. Ciò sembra oltremodo utile in quanto restringe il campo delle alternative possibili e, partendo dalla situazione odierna, supporta l’ideazione di un prodotto innovativo da proporre. In aggiunta, il fatto di aver legato le attività espositivo-museali al loro contesto urbano permette di evitare sovrapposizioni o scenari conflittuali. Per prima cosa, tramite un metodo basato sull’esclusione motivata di alcune categorie di musei si è arrivati alla scelta definitiva della tipologia. Infatti, non sarebbe possibile inserire nel fabbricato della ex Wolmer un museo di arte moderna e contemporanea per la ovvia pre-

senza del Museo Ettore Fico, ad eccezione del caso di un suo effettivo ampliamento, che risulta non coerente alla richiesta della committenza. Un museo di tipo aziendale o societario riguarda invece una richiesta mirata da parte di un ente privato al fine di esporre un patrimonio storico-documentario in suo possesso o più semplicemente raccontarne la storia. Esso può essere utilizzato anche come strumento di promozione o, nel peggiore dei casi, come ostentazione del successo raggiunto. Non avendo a che fare in questa sede con aziende o società interessate allo sviluppo di un contenitore museale, la categoria non può che essere immediatamente scartata. Altrettanto non pertinente è il caso dell’ecomuseo urbano che nutre finalità molto differenti, oltre ad essere già presente per la sesta circoscrizione. Da ultimo, tutti i musei a carattere storico, appartenenti alle categorie “C”, “F” e “G” rappresentano una diretta conseguenza di un patrimonio o collezione esistenti, escludendo la possibilità da parte di un soggetto privato di realizzarne uno “dall’oggi al domani”. A questo punto, sembra che la scelta debba necessariamente ricadere su un museo tematico e qui si pone un secondo ostacolo, ovvero la selezione stessa del tema espositivo. Dopo una lunga fase di ricerca della possibile soluzione, guardando anche a contesti internazionali, si è giunti ad una risposta convincente solo dopo essersi chiesti quale aspetto della cultura torinese, della sua storia e delle sue tradizioni, non fosse ad oggi espresso attraverso una comunicazione efficace nei confronti del pubblico. Al contrario, ciò è avvenuto per temi quali l’automobile o il cinema, grazie al forte significato simbolico e storico che essi possiedono nei confronti della città, trovando adeguata rappresentazione in due tra i musei cittadini più visitati. Diretta conseguenza di questo ragionamento è la stata la formulazione dell’ipotesi di incentrare il nuovo spazio espositivo sul tema del cioccolato. È infatti noto il ruolo che questo prodotto alimentare rivestì nella storia torinese e in modo parti-

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fig. 62 - Analisi dei competitori locali, i musei di Torino, collocazione urbana

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fig. 63 - Analisi dei competitori locali, le gallerie d’arte di Torino, collocazione urbana

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colare per la dinastia dei Savoia, come avremo modo di approfondire nel corso del paragrafo successivo. Va ancora detto che imperniare un’esposizione, permanente o temporanea che sia, sul cibo risulta oltremodo attuale in una società che inizia a considerarlo non più solamente come bisogno elementare ma piuttosto come aspetto culturale del genere umano. Ne è esempio eclatante l’Esposizione Universale di Milano 2015 dedicata al tema dell’alimentazione, intitolata “Nutrire il pianeta, energia per la vita”. A supportate la scelta di sviluppare un museo del cioccolato a Torino nell’isolato un tempo occupato dalla S.I.C.M.E., accorre il progetto di trasformazione dell’isolato I.N.C.E.T. in un grande polo legato al settore del “food&beverage”. Per approfondimenti si rimanda all’articolo di Sarah Scaparone, pubblicato il 12 Novembre 2017 da La Stampa e intitolato: “L’ex stabilimento diventa il maxi polo dei sapori. A Torino apre al pubblico Edit, un nuovo locale multifunzione. Dal birrificio alle cucine condivise e gli chef Costardi Bros“ 7. Infine, una ricerca condotta a posteriori rispetto alla scelta del tema espositivo ha rivelato come altri professionisti locali abbiano avanzato proposte simili, a conferma della rilevanza delle tematiche messe in campo per la città. Un esempio è il progetto non realizzato dell’architetto Giorgio Rosental per un piccolo museo del cioccolato lungo le rive della Dora Riparia, in Spina 3 (1998)8. Si tratta del primo tassello di un “parco del gusto”. Il progetto si sviluppa su due piani e prevede un bar, una sezione storico-culturale, una con i vecchi macchinari, una sezione botanica, una sala convegni, oltre ad ampie terrazze in affaccio sul fiume. 7 - Sarah Scaparone (a cura di). (12 Novembre 2017). L’ex stabilimento diventa il maxi polo dei sapori. A Torino apre al pubblico Edit, un nuovo locale multifunzione. Dal birrificio alle cucine condivise e gli chef Costardi Bros. Torino: http://www.lastampa.it/2017/11/12/ societa/lex-stabilimento-diventa-il-maxi-polo-dei-sapori-7x1xxYO9JYRsvR8Lv53kDI/ pagina.html. 8 - http://www.studiorosental.it/progetti/

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3.2 – Il cioccolato e la sua importanza per Torino Progettare un museo del cioccolato significa anzitutto conoscere la storia di questo prodotto alimentare e comprenderne il significato in relazione ai vari periodi del passato in cui esso rivestì un ruolo di una certa importanza. Per di più, progettarlo per la città di Torino richiede di rintracciare quelle relazioni che lo elevano al ruolo di elemento simbolico ancora oggi riconosciuto a livello internazionale. Le varie implicazioni dovute all’inserimento di questo genere voluttuario ad un certo punto della storia torinese, si riflessero nelle epoche successive fino ad arrivare alla sua produzione su scala industriale, per poi terminare con la dismissione delle fabbriche di cioccolato che lasciarono alcuni “contenitori” vuoti nel tessuto della città. Alla fine di questo racconto vedremo quale retaggio sia rimasto nella cultura odierna, sia in generale che con un occhio di riguardo per la città di Torino, nonché l’evoluzione del significato del cioccolato nelle accezioni più moderne. Se la parola tedesca “Genußmittel” (genere di consumo voluttuario) ha a che fare con l’idea di provocare godimenti paradisiaci in chi ne faceva uso, solo attraverso l’abbinamento ad un altro termine, questa volta di origine anglosassone, ovvero “stimulants” è possibile comprendere il significato storico di prodotti come spezie, caffè, cioccolato, tabacco, alcol ecc.. Il secondo termine infatti esprime bene la funzione di questi stimolanti come assunzione di sostanze in grado di indurre reazioni nell’organismo umano, svolgendo un vero e proprio “lavoro”. È nell’abbinamento lavoro-voluttà che si spiega la grande diffusione di questi prodotti in molte società europee, soprattutto a partire dal XVII secolo. È inoltre noto come l’introduzione di certi generi alimentari in Europa sia dovuta alle scoperte coloniali oltreoceaniche del XVI secolo, ma quel che qui interessa sottolineare è il fatto che essi vennero a soddisfare esigenze nuove in contesti culturali ormai


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mutati. Se il caffè viene considerato bevanda alla moda nel ‘600 e ‘700, con centro di diffusione localizzato in alcuni paesi dell’Europa nordoccidentale come Inghilterra, Olanda e Francia, divenendo bevanda simbolo della borghesia, alla cioccolata toccò una sorte molto differente. Per essa è possibile riconoscere il centro di maggiore diffusione nell’Europa meridionale e in particolare in due paesi tenacemente legati al mondo cattolico: Spagna e Italia. “Se il caffè passa per una bevanda nordica e protestante, la cioccolata va considerata come il suo contrapposto cattolico e meridionale.“ 9

Per fare chiarezza, il cacao è il nome della pianta e delle sue bacche, di antica origine messicana. Esso cresce spontaneo nei bacini dell’Orinoco e del Rio delle Amazzoni già dal 6.000 a.c. e venne coltivato dalla civiltà dei Maya, poi dai Toltechi e dagli Aztechi. Per il popolo Maya era definito “cibo degli Dei” (Theobroma) ed era consumato esclusivamente dalle classi nobili sotto forma di bevanda composta da acqua calda e cacao. Varie credenze popolari attribuiscono origini divine alla comparsa del cacao ed esaltano le sue proprietà. Più tardi venne anche consumato come bevanda a base di polvere di cacao e spezie. I semi di cacao erano inoltre utilizzati come moneta dal popolo azteco. Il termine cacao compare per la prima volta nel 1605 in una descrizione botanica dei frutti, poi sostituito nel 1753 da Carlo Linneo in Theobroma Cacao. I semi arrivarono in Europa nel 1528 grazie a Ferdinando Cortez mentre la sua importazione cominciò a diffondersi verso la seconda metà del secolo. Invece con il termine di cioccolata si intende il prodotto conosciuto a partire dal XVI secolo e principalmente ottenuto dalla lavorazione del cacao. Essa di regola è composta da cacao, zucchero, cannella e vaniglia anche 9 - Schivelbusch, W. (1999). Storia dei generi voluttuari: spezie, caffè, cioccolato, tabacco, alcol e altre droghe. Milano: Bruno Mondadori. p. 93.

se la composizione degli ingredienti può variare in base a periodo e luogo geografico. Nel XVII e XVIII secolo si vendeva in forma solida, incartata in tavolette o cubetti ma si consumava in forma liquida come bevanda calda sciolta in acqua o latte, spesso con l’aggiunta di vino. Fin dal ‘600 erano note le sue proprietà chimiche, infatti si tendeva a vederla negativamente rispetto al caffè per la mancanza di azione stimolante sull’organismo ma era apprezzata per l’alto valore nutritivo. Proprio a questa caratteristica si deve la sua diffusione in Italia e Spagna e la spiegazione del forte legame con il mondo cattolico. Nei periodi di digiuno della classe ecclesiastica essa veniva consumata come surrogato alimentare. Infatti grazie al principio che un liquido non interrompe il digiuno, divenne una bevanda molto importante per i paesi cattolici. Tuttavia, da quando gli spagnoli la portarono in patria all’inizio del XVI secolo, rimase per circa cento anni successivi un fatto esclusivamente spagnolo, conosciuta solo nei possedimenti olandesi e italiani. “Nel corso di questo secolo la cioccolata assume la identità spagnola, dapprima come bevanda “da digiuno”, e in seguito come bevanda alla moda a livello mondiale. Presso la corte di Madrid, la cioccolata divenne uno status symbol.” 10

Non è un caso infatti che l’attuale Museo del Cioccolato di Barcellona sia uno dei più importanti e conosciuti a livello europeo. Con la data del 1615, che coincide con il matrimonio di Anna d’Asburgo (cresciuta a Madrid) con Luigi XIII, la cioccolata arriva alla corte francese, perdendo il suo carattere ispanico per divenire simbolo della nuova aristocrazia europea. Ecco che nel XVII e XVIII secolo la bevanda incarna lo spirito dell’Ancien Régime, contrapponendosi all’uso del caffè, soprattutto per le sue proprietà stimolanti, da parte della classe bor10 - Schivelbusch, W. (1999). Storia dei generi voluttuari: spezie, caffè, cioccolato, tabacco, alcol e altre droghe. Milano: Bruno Mondadori. p. 99.

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ghese. Se infatti la giornata tipica di un borghese dell’epoca era dedita al lavoro, quella di un aristocratico sfociava nell’ozio. La cioccolata veniva consumata dalla classe aristocratica preferibilmente a colazione, nel boudoir e quasi sempre a letto, in posizione rilassata, come preparazione ad una giornata dedita al “dolce far niente”. Questo aspetto è ben evidenziato dalla pittura rococò che vedeva nella colazione aristocratica a base di cioccolata una delle scene preferite e più rappresentative dello spirito del tempo. Il famoso quadro di Pietro Longhi (fig. 64) rappresenta la padrona di casa insieme ad abate e cicisbeo nell’atto della colazione mattutina in camera da letto. Altro esempio è una pittura di Nicholas Lancret dove, in modo rilassato ed informale, si mette in scena la toilette mattutina della classe aristocratica. Infine si ricorda la tela di Jean Michel Moreau (fig. 65) che mostra il “lever con cioccolata” del padrone di casa. Altro aspetto interessante è il collegamento tra cioccolata ed erotismo. Se a livello figurativo questo appare nello spirito erotico-giocoso delle scene, ancor più marcata è l’opinione diffusa nel XIX secolo secondo cui il cioccolato sarebbe un afrodisiaco: “Essa nutre il corpo e la potenza virile, rappresenta la corporeità barocco-catto-

fig. 64 - Pietro Longhi, La Cioccolata del Mattino, 1775-1780, olio su tela, 60 x 47 cm (Fonte: https://commons.wikimedia. org/wiki/File:Pietro_Longhi_0250.jpg)

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fig. 65 - Jean-Michel Moreau le Jeune, Le Lever, 1789, olio su tela (Fonte: https:// sophia.smith.edu/blog/fys199-01f12/luxury-objects-in-the-age-of-marie-antoinette/le-bureau-and-le-bureau-plat/) lica contro l’ascesi protestante.” 11.

Questa contrapposizione può anche essere spiegata con la diffusione di due tipi differenti di locali nella Londra di fine ‘600: i Caffè dal carattere borghese-puritano e le “Sale” o “Case” della cioccolata come punti di incontro dello stile bohème. La storia della cioccolata per come l’abbiamo finora definita termina insieme alla caduta dell’Ancien Régime. Nel 1820 l’olandese Van Houten scoprì un nuovo procedimento per ottenere il cacao. Egli estrasse dai grani di cacao gran parte dell’olio contenuto, rendendolo meno nutriente ma più digeribile. In questo modo la polvere fu la nuova forma di commercializzazione. Con il XIX secolo il cioccolato subì quindi una democratizzazione, ovvero cominciò ad essere consumato soprattutto dai bambini, e in generale prescindendo dalla classe sociale di appartenenza. La sua produzione e diffusione par11 - Schivelbusch, W. (1999). Storia dei generi voluttuari: spezie, caffè, cioccolato, tabacco, alcol e altre droghe. Milano: Bruno Mondadori. p. 100.


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tì proprio da quei paesi protestanti, come Olanda e Svizzera, che fino a quel momento ne erano rimasti esclusi. In Svizzera viene messo a punto il cioccolato al latte, mentre l’Olanda diviene uno dei maggiori produttori di cioccolata, commercializzata nella principale forma di stecche o tavolette. Se fino al secolo precedente questo prodotto alimentare fu considerato simbolo di status e del potere dominante, la nuova classe borghese tese a ridicolizzarlo o più semplicemente a considerarlo come bene alimentare adatto a donne e bambini: proprio coloro che dal potere e dalla responsabilità erano esclusi. Nel secolo successivo il cioccolato diventerà un prodotto sempre più diffuso nel mondo e la sua produzione porterà il nome di grandi marchi commerciali, soprattutto in ambito Svizzero. A gestire questo mercato saranno appunto le grandi multinazionali del settore alimentare, sempre più impegnate in azioni di marketing tese all’affermazione di marchi di eccellenza e facilmente identificabili. Facciamo ora un passo indietro per focalizzare l’attenzione sulla storia del cioccolato torinese, per noi ancor più importante degli aspetti generali sinora visti. La cioccolata arrivò a Torino alla fine del XVI secolo e più precisamente con il matrimonio del 1585 tra Carlo Emanuele I di Savoia e Caterina d’Austria, infante di Spagna, figlia di Filippo II. Con essa arrivarono a Torino molte delle usanze della corte spagnola tra le quali quella di consumare la cioccolata come bevanda, soprattutto per la prima colazione. La testimonianza dell’uso e del consumo di cacao nella corte torinese è riportata nei cosiddetti conti della Real Casa, attualmente conservati presso l’Archivio di Stato di Torino. Nei conti sono registrate le forniture di cacao, zucchero, vaniglia, cannella e delle cosiddette tazze da cioccolata. Inoltre uno specifico settore dell’organizzazione di corte composto da almeno dieci persone, a partire dagli ultimi decenni del Seicento e per tutto il Settecento, era dedicato a “confettureria, frutteria e pasticceria”. Nelle carte si cita anche, già nel Seicento,

un ufficio della cioccolata. Solo durante il XVIII secolo si verifica l’utilizzo del cioccolato nell’accezione maschile del termine, ovvero come prodotto solido derivato del cacao. Questo era consumato nella Corte Sabauda ma veniva prodotto al di fuori da appositi “fabbricatori di cioccolato” ovvero maestri artigiani specializzati nella sua produzione. Essi aspiravano all’ottenimento del titolo di fornitori reali, con il conseguente permesso di esporre fuori dalla propria bottega le “armi regie”, come avvenuto per il noto caso del cioccolataio Carlo Ema, la cui famiglia rimase fornitore esclusivo per tutto il secolo. Degno di nota è l’atteggiamento con cui il cioccolato di corte, richiesto in grandi quantità, veniva inviato a Lione e Parigi come dono, oppure accompagnava il sovrano e i principi nei loro viaggi all’interno dello Stato Sabaudo. Come abbiamo visto all’inizio del paragrafo, in questo periodo il consumo di cioccolato rimane un atto di prestigio, previsto solo per la grande nobiltà. Tuttavia a Torino, come dimostrato dalla presenza della bottega degli Ema in via Santa Teresa nel XVIII secolo, la vendita del cioccolato si allarga con anticipo alla popolazione, già a partire dal Seicento, con la diffusione dei cosiddetti coffee houses. La documentazione disponibile per il Settecento non consente ancora di stilare una lista di “fabbricatori di cioccolato”, anche perché questo veniva prodotto dalle più note corporazioni di confetturieri e pasticcieri insieme ad altri prodotti. Al contrario, analizzando la “Statistica delle Arti e Manifatture” del 1822 possiamo stabilire la presenza a Torino di 19 cioccolatai che producevano cioccolato per poi commerciarlo sia all’interno dello Stato Sabaudo che all’esterno. Senza riportare una precisa quantificazione numerica, si può affermare che all’interno dello Stato Sardo giungessero importanti quantità di cacao, destinate alla produzione di cioccolato normale, alla vaniglia e alla cannella. Infine, senza volontà sciovinistiche, bisogna riconoscere che la diffusione del cioccolato in Svizzera, della quale non sia hanno informazioni precise, risulta in

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qualche modo legata alla tradizione torinese o perlomeno si può parlare di reciproche influenze. Un’ipotesi delega alla presenza delle guardie svizzere alla Corte di Torino nel Seicento, l’importazione del cioccolato nel paese confinante. È inoltre documentato che già dalla metà del Settecento ci fu un’acquisizione progressiva delle tecniche di lavorazione del cacao da parte di emigranti stagionali bleniesi (Valle di Blenio, Svizzera). Nello stesso periodo si stabilirono a Berna due importanti produttori di cioccolato, Tobler e Lindt, formatisi grazie agli artigiani italiani. Un altro esempio è dimostrato dal fatto che alla scuola torinese di cioccolato si formò François-Louis Cailler, fondatore nel 1819 della prima fabbrica svizzera a Vevey (fig. 66). Il marchio Cailler esiste tuttora ed è legato alla famosa invenzione del cioccolato in forma di tavoletta. Sempre nel corso del XIX secolo si ha l’invenzione che rese ancor più celebre Torino per la sua arte nella cioccolateria. Nel 1865 Torino viveva il suo primo anno di non capitale, dopo il trasferimento a Firenze, e attraversava un periodo di forte crisi

politica, economica e sociale, durante il quale si verificarono persino rivolte sanguinose.

fig. 66 - Manifesto pubblicitario Cailler, primi del ‘900 (Fonte: https://images-na.ssl-images-amazon.com/images/I/41xb3M3SclL.jpg)

12 - Chiapparino, F., Romano, R. (a cura di). (2007). Il cioccolato: Industria, mercato e società in Italia e Svizzera (XVIII-XX sec.). Milano: Angeli. p. 15.

“La città pullulava di cittadini senza lavoro e l’amministrazione municipale cercava di provvedere al contingente, mentre elaborava i piani per un nuovo tipo di sviluppo. Ebbene, nel carnevale del 1865, il municipio finanziò con 5.000 lire la Società di Gianduia, nata da pochissimo tempo per iniziativa di alcuni cittadini, per organizzare, durante il carnevale, «una festa da ballo a benefizio speciale degli operai senza lavoro». Il cioccolato torinese non si trasferiva e, anzi, si presentava con un nuovo prodotto, combinando cacao e nocciole e iniziando un lungo cammino che avrebbe trovato il suo culmine di prestigio internazionale con la Nutella di Ferrero.” 12

Questo nuovo prodotto, legato appunto alla maschera carnevalesca torinese, iniziò ad essere prodotto nel 1865 da Caffarel, divenendo una delle più famose fabbriche di cioccolato della città e non solo. Già nel 1826, a seguito dell’invenzione di una macchina per raffinare la pasta di cacao, Pier Paul Caffarel iniziò la produzione su larga scala, ponendo le basi per lo sviluppo successivo. Alcuni cronisti sostengono inoltre che la pasta di Gianduia nacque da un necessità economica del momento. Con il Blocco Continentale emanato da Napoleone Bonaparte nel 1806, il costo delle materie prime aumentò notevolmente causando non poche difficoltà di rifornimento ai cioccolatieri piemontesi. Come reazione, i maestri del cioccolato pensarono di unire al cacao un altro ingrediente locale, la “nocciola tonda gentile” tipica della regione delle Langhe, in modo da ridurne il quantitativo, creando inaspettatamente il prodotto dolciario più importante della storia di Torino. A questo cominciò ad affiancarsi l’uso della cioccolata calda sia all’interno dei cafè, sia nelle famiglie borghesi e poi, ancor più importante il Bicerìn, una bevanda composta da cioccolata calda, latte e caffè


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fig. 67 - Locandina del gruppo Caffarel Prochet & C. (Fonte: http://www.corriere.it/14_ottobre_10/luserna-san-giovanniquelli-che-gianduiotto-questione-fede-9ad65d3c-4fa1-11e4-8d47-25 ae81880896.shtml?refresh_ce-cp)

che a partire dal 1840 divenne la consumazione caratteristica del mattino. Sempre durante il XIX secolo, i centri di produzione artigianali del cioccolato, cominciarono ad abbandonare i processi di lavorazione manuale e ad utilizzare le prime impastatrici meccaniche e macchine azionate da forza motrice, anche se, come sappiamo, in paesi come Francia e Olanda lo sviluppo industriale avvenne con molto più vigore che non in Italia. La già citata Caffarel sfruttò la forza idraulica

fig. 68 - Latta di cacao solubile della fabbrica Talmone di Torino (Fonte: http:// www.museoarteurbana.it/cioccolato-talmone/)

del torrente Pellerina e nel 1826 si fuse con la Prochet Gay & C. per formare la Caffarel Prochet (fig. 67), una delle ditte tecnologicamente più avanzate del settore in quegli anni. Nella seconda metà dell’Ottocento altre fabbriche cominciarono a specializzarsi nell’area tra le quali Talmone, Gruber, Cailler, Baratti, Risso, Beata e Perrone, Moriondo e Gariglio, Querio e Leone, contribuendo alla diffusione in ambito europeo della fama torinese nel settore della cioccolateria. Infatti, l’interesse per questo prodotto, a Torino e nel resto d’Italia, è tale da spingere molti industriali a trasformare i loro cotonifici o industrie meccaniche in fabbriche di cioccolato. A testimonianza dell’innovazione tecnologica intrapresa dai piemontesi, la fabbrica di Michele Talmone (fig. 68) insediata a Borgo San Donato nel 1850 fu la prima ad essere dotata di macchinari azionati a vapore. Verso la fine del secolo i maestri artigiani torinesi, forti dell’esperienza maturata ormai da secoli di sperimentazione nel settore, introdussero nuovi prodotti sul mercato tra cui le uova di cioccolato. Parallelamente in Svizzera, invenzioni come il cioccolato al latte (1878) e fondente (1879) diedero avvio ad uno sviluppo industriale forse ancor più marcato che nella penisola. Con il nuovo secolo le tradizioni artigianali iniziano a cedere il passo ad una produzione sempre più industriale e su larga scala, spostando il centro verso quei paesi economicamente

fig. 69 - Interni dei laboratori della fabbrica di cioccolato e confetti della Società Anonima Venchi & C. (Fonte: Ronchetta, C., Trisciuoglio, M. (a cura di). (2008). Progettare per il patrimonio industriale. Torino: Celid. p. 18.)

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più sviluppati. A tal proposito, la Michele Talmone fu acquistata nel 1905 dalla società svizzera Tobler, e poi nel 1924 dal finanziere Riccardo Gualino confluendo nell’Unica (Unione Nazionale Industrie Cioccolato e Affini). Quest’ultima fu fondata in seguito alla fusione di sei ditte: Michele Talmone, Moriondo e Gariglio, Fabbriche Riunite Galatine Biscuits e Affini, Dora Biscuit, Idea e Ferdinando Bonatti. La Talmone si trasferì nel 1929 in un nuovo grande stabilimento situato in Corso Francia, nucleo di quella che divenne, con altre aziende, la Venchi-Unica in Piazza Massaua (fig. 69). Intanto agli inizi del secolo troviamo i primi tentativi di produzione artigianale di Pietro Ferrero che darà avvio nel primo dopoguerra a quella che diventerà una delle maggiori multinazionali italiane del settore dolciario. Gli anni ’50 del Novecento rappresentano il consolidamento dell’industria dolciaria italiana, soprattutto grazie all’aumento senza precedenti dei consumi, e vedono l’affacciarsi sul mercato (ormai divenuto internazionale) di nuovi grandi marchi specializzati nella produzione di cioccolato o nel suo utilizzo come prodotto secondario. Tra gli anni ’50 e ’70 possiamo inoltre assistere allo sviluppo delle cinematrografia industriale. Si tratta di uno strumento pubblicitario figlio degli anni del boom economico, utilizzato da alcune grandi aziende come Perugina (1956)13, Motta (1958) e Ferrero (1969) per comunicare con un pubblico sempre più vasto. Il cinema industriale era quindi un mezzo di comunicazione intermedio tra il documentario tecnico e la comunicazione pubblicitaria che, nel nostro caso, portava il destinatario del messaggio a “visitare” gli stabilimenti di produzione accompagnato da una voce narrante. Gli anni ’70 videro una crisi generale che coinvolse anche il settore dolciario ma il volume delle vendite riprese nel decennio successivo, con caratteristiche molto simili alla situazione attuale. Per concludere, se le tradizioni artigianali sembrano or13 - http://archiviomemoria.comune.perugia. it/picture.php?/1031

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mai un ricordo lontano, negli anni ’90 tutta una serie di piccoli e piccolissimi produttori, come la Peyrano di Torino, sembra riacquisire nuova forza in alcuni mercati, anche esteri. Veniamo ora alla ricerca dell’eredità culturale lasciata dagli avvenimenti storici fin qui narrati. Con il fenomeno delle dismissioni degli stabilimenti industriali sul finire del XX secolo, a Torino chiusero anche molte delle fabbriche di cioccolato sopravvissute alla concorrenza delle grandi multinazionali. Ne sono esempi l’isolato che ospitava lo stabilimento Venchi (poi Opificio Militare) di Corso Regina Margherita n°16, ancora in attesa di trasformazione; la fabbrica di cioccolato Tobler tra via Aosta e via Parma, riconvertita nel 2009 ad uso residenziale dopo importanti interventi edilizi; la demolizione del grande impianto della Venchi-Unica nei pressi di Piazza Massaua, del quale rimane traccia solamente nella toponomastica delle aree verdi del nuovo complesso residenziale. A perpetuare la tradizione della cioccolateria torinese invece rimangono molti piccoli produttori di antica fondazione oppure nati di recente con l’intento di recuperarne la memoria. Tra questi citiamo il Gruppo Spes che dal 1970 produce cioccolato artigianale e attualmente possiede due punti vendita all’interno della città. Parlando invece dei grandi produttori, la Caffarel continua tuttora la propria attività, seppur dislocata a Sesto San Giovanni, con punti vendita in tutta la penisola. Lo stabilimento

fig. 70 - Fotografia dell’edizione 2015 dell’evento CioccolaTò (Fonte: http:// www.cioccola-to.it/2015/)


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prevede anche la possibilità di visite guidate nei reparti produttivi come strumento sia pubblicitario che educativo. Oltre alle attività produttive rimaste, la città di Torino dimostra un legame forte con il tema del cioccolato tramite il noto evento CioccolaTò (fig. 70) che dal 2011 ha avuto ben cinque edizioni annuali. Si tratta di un grande evento pubblico organizzato con il patrocinio della Città di Torino, della Città Metropolitana di Torino, della Regione Piemonte, di Unioncamere Piemonte e della Camera di Commercio di Torino, che nel 2015 ha raggiunto la quota di circa 340.000 visitatori in due weekend. Senza entrare nei particolari, l’evento mette in campo i migliori maestri artigiani del cioccolato, designer e artisti di vario genere e organizza mostre, laboratori e altre attività connesse al tema. Possiamo quindi affermare che, dato l’interesse dimostrato dal riversarsi per le strade della città di un così elevato numero di persone interessate al tema del cioccolato in tutte le sue possibili sfaccettature, l’idea dell’apertura di un museo del cioccolato a Torino sembra trovare non pochi riscontri concreti. Occorre anche precisare che la trasposizione di alcuni temi toccati dall’evento in forma stabile all’interno di un museo potrebbe allargare il potenziale bacino di utenza. Infine sembra questa l’occasione per dotare la città di Torino di un contenitore che divenga diretta espressione di un carattere tanto importante per la sua storia, come emerso dalle pagine precedenti.

3.3 - I musei del cioccolato in Italia e in Europa In seguito alla scelta di progettare un museo del cioccolato per la città di Torino e dopo aver analizzato le ragioni storiche atte a giustificare un simile tema espositivo, non resta che chiedersi, ancor prima delle definizione oculata dei suoi contenuti, se esistano altri musei di questo tipo. La ricerca è stata condotta guardando al contesto europeo, pur sapendo che esistono diversi musei del cioccolato in altri con-

tinenti, soprattutto nei paesi dell’America Latina, culla della pianta di cacao. Lo scopo è quello di osservare i vari modi con cui lo stesso tema può essere presentato e valutare il successo di alcune scelte espositive. Inoltre, le schede di presentazione dei principali musei del cioccolato europei, riportate qui di seguito, rappresentano un utile strumento progettuale che consente di capire quali e quanti spazi inserire, la dimensioni possibili della sale, alcune strategie sul percorso espositivo e in generale i temi che vengono messi in campo quando si parla di cacao e cioccolato. Esse consentono anche di orientare gli aspetti economici, tenendo conto del rapporto tra l’offerta espositiva di un certo museo e il prezzo del biglietto di ingresso, oltre a fornire dati indicativi quali ad esempio il numero di visitatori raggiunti in un anno. Grazie all’analisi seguente, sarà possibile comporre un progetto che non ripeta banalmente ciò che è già stato fatto in spazi simili di altre città europee ma presenti un modo innovativo di esporre il tema del cioccolato. Nel paragrafo successivo vedremo come alcuni dei contenuti e delle strategie dei casi studio qui presentati entreranno a far parte della prima fase di definizione dei contenuti del nuovo museo torinese. 1) Perugia (Italia) - Casa del Cioccolato Perugina (fig. 71): “Nato per con-

tenere parte del vasto Archivio Storico Buitoni Perugina®, tuttora sotto la tutela della Soprintendenza dei Beni Culturali, il Museo raccoglie immagini, curiosità, rarità, aneddoti, confezioni e filmati di un dolce secolo di storia imprenditoriale italiana. Un secolo tutto da “assaporare” in una golosa visita guidata, dalla materia prima alle tecniche di lavorazione, dalle origini del cacao fino ai dolci segreti dei capolavori di cioccolato, compresi quelli del mitico Bacio® Perugina®.” 14. Oltre al museo

sono previste degustazioni, la visita dell’impianto produttivo, corsi di cucina, attività didattiche, la possibilità di svolgere eventi sia pubblici che privati e naturalmente di acquistare i prodotti dell’azienda. È situato all’interno 14 - https://www.perugina.com/it

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fig. 71 - Fotografia dell’interno della Casa del Cioccolato Perugina (Fonte: http://turismo.comune.perugia.it/poip/casa-del-cioccolato-perugina)

dello stabilimento produttivo in una frazione del Comune di Perugia (San Sisto). Vanta circa 60.000 visitatori all’anno. Aperto da Lunedì a Venerdì dalle ore 9:00 alle 17:30 e Sabato dalle 10:00 alle 16:00. Prezzi: intero 9,00 € ridotto 7,00 € - gruppi 5,00 €. 2) Modica (Italia) – Casa del cioccolato di Modica (fig. 72): collocato nel centro storico della città, il piccolo museo illustra la storia e le caratteristiche del cioccolato modicano attraverso pannelli esplicativi, oggetti e sculture di cioccolato realizzate da artisti locali. Aperto tutti i giorni dalle ore 10:00 alle 20:00 15.

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di piante esotiche. In una sala a parte si trova “l’annusario” con 44 varietà di cacao presenti, mentre le restanti parti del museo sono dedicate alla storia dell’azienda. Prima di terminare la visita è possibile approfittare dello spaccio vendita. Sono anche possibili degustazioni, cene, bagni di cioccolato e trattamenti benessere. Aperto da Giovedì a Domenica dalle ore 11:00 alle 20:00 16.

3) Vicoforte (Italia) – La Cioccolocanda (fig. 73): si tratta di un museo privato, gestito da un’azienda cioccolatiera attiva da tempo nel territorio piemontese. Si trova nel centro storico del piccolo paese, in un edificio ex residenziale. Vengono illustrate le fasi di lavorazione del cacao ed è possibile frequentare corsi di cucina e pasticceria. La prima sala contiene un megaschermo, una serie di pannelli illustrativi e un piccolo vivaio interno dove vengono coltivate alcune specie

4) Birmingham (Inghilterra) - Cadbury World (fig. 74): la mostra si svolge nei locali recuperati dell’omonima fabbrica di cioccolato inglese fondata nel 1794. Essa è famosa più che altro per l’aspetto ludico della visita, con una vasta offerta di attività, soprattutto per i bambini. Nel 1995 raggiunse la cifra di 250.000 visitatori in un anno. Il percorso inizia con una parte espositiva dove si racconta la storia del cacao e del cioccolato tramite pannelli esplicativi e ambientazioni a tema. In seguito si passa nell’area dimostrazioni dove si apprendono le tecniche di produzione e infine c’è la possibilità di cenare nel ristorante adiacente alla biglietteria. Aperto da Lunedì a Domenica con orari variabili.

15 - http://www.scoprimodica.it/cosa-vedere/i-musei/museo-del-cioccolato/

16 - https://www.cioccolocanda.it/it/


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fig. 72 - Fotografia dell’interno del Museo del Cioccolato di Modica (Fonte: http:// www.cioccolatomodica.it/storia3.html)

fig. 73 - Fotografia dell’interno della Cioccolocanda di Vicoforte (CN) (Fonte: https://www.cioccolocanda.it/it/)

fig. 74 - Fotografia dell’interno di una sala di Cadbury World (Fonte: https:// www.cadburyworld.co.uk/exploreattraction/purple-planet)

fig. 75 - Fotografia dell’interno del Choco Story Prague (Fonte: http://www.prvnikrok.cz/www_old/clanky/obrazky/1394/ DSC_0082.JPG)

fig. 76 - Fotografia dell’interno del Choco Story Paris (Fonte: https://www.vivaparigi.com/wp-content/uploads/2014/09/ museo-cioccolato-parigi.jpg)

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Prezzi: intero 16,75 € - ridotto 12,3 €17. 5) Praga (Repubblica Ceca) – Choco Story Prague (fig. 75): oltre a raccontare la storia del cacao e del cioccolato sotto tutti i punti di vista, il museo prevede la possibilità di frequentare workshop, di assaggiare i vari prodotti nella formula “all you can eat” e offre attività per gruppi e scuole. Il museo si colloca in un palazzo storico nel centro di Praga. Aperto da Lunedì a Domenica dalle ore 9:30 alle 19:00. Prezzi: intero 11,15 € - ridotto 7,50 € 18. 6) Parigi (Francia) – Choco Story Paris, Musée du Chocolat (fig. 76): l’offerta culturale proposta è pressoché identica a quella del Choco Story Prague. Il percorso di visita ha una durata di 1,3 h. L’edificio che lo ospita si trova all’interno del II Arrondissement parigino. Aperto da Lunedì a Domenica dalle ore 10:00 alle 18:00. Prezzi: intero 11,00 € - ridotto 8,00 € 19. 7) Amburgo (Germania) – Chocoversum (fig. 77): la visita dura circa 90 17 - https://www.cadburyworld.co.uk/en 18 - http://www.choco-story-praha.cz/?lang=en 19 - http://www.museeduchocolat.fr/

minuti e in ogni fase si cerca di coinvolgere direttamente il visitatore. Sono presenti i macchinari storici della produzione del cioccolato, schermi e pannelli esplicativi della storia di cacao e cioccolato. Alla fine del percorso si trova un punto vendita. È situato nel nucleo storico della città di Amburgo. Aperto da Lunedì a Venerdì dalle ore 10:15 alle 16:00 e Sabato e Domenica dalle 10:15 alle 17:00. Prezzi: 10,00 € 20. 8) Colonia (Germania) - Schokoladenmuseum (fig. 78): il museo si sviluppa su circa 4.000 m2 di superficie e contiene 100.000 oggetti. Trova posto in un grande edificio sulla punta settentrionale del vecchio porto di Colonia. Esso ripercorre tutta la storia del cacao e del cioccolato dalle civiltà precolombiane ad oggi esponendo stampe, reperti, macchinari, argenterie ecc. Offre anche il “Chocolate Cinema”, dove vengono mostrati gli spot pubblicitari “dolci” dal 1926 fino ai giorni nostri. Il percorso inizia in una serra tropicale dove si coltivano molte specie di “Theobroma cacao” per poi passare ad una grande fontana di cioccolato. Al secondo piano un maestro artigiano esegue dimostrazioni per gli spettatori. Aperto da Lunedì 20 - https://www.chocoversum.de/en/

fig. 77 - Fotografia dell’interno del Chocoversum di Amburgo (Fonte: http://www. lebensmittelzeitung.net/news/media/12/Chocoversum-Hamburg-110682.jpeg)

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fig. 78 - Fotografia dell’interno dello Schokoladenmuseum di Colonia (Fonte: https:// c1.staticflickr.com/6/5467/8756027943_23c9f14998_b.jpg)

fig. 79 - Fotografia dell’interno del Museu de la Xocolata di Barcellona (Fonte: https://nit.pt/wp-content/uploads/2017/08/6512bd43d9caa6e02c990b0a82652dca-11. jpg)

a Venerdì dalle ore 10:00 alle 18:00 e Sabato e Domenica dalle 11:00 alle 19:00. Prezzi: intero 11,50 € - ridotto 7,50 € - gruppi da 6,50 € a 10,00 € 21. 9) Barcellona (Spagna) – Museu de la Xocolata (fig. 79): espone i macchinari di produzione del passato, rac21 - http://www.schokoladenmuseum.de/en/

conta la storia del cacao e del cioccolato e ne presenta le forme artistiche connesse all’uso. Si compone di sale espositive, audiovisivi, negozio-caffetteria e servizi. Si organizzano eventi sia pubblici (come visita didattica per le scuole e corsi di cucina per gli adulti) che privati, con la possibilità di affittare un giardino e alcune sale. La sua collocazione urbana è nel cuore

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MCT - il Museo del Cioccolato di Torino - uno Scenario Post-Industriale per Barriera di Milano

fig. 80 - Fotografia dell’interno del Museo del Cioccolato di Astorga (Fonte: http://www.aytoastorga.es/export/sites/ aytoastorga/galerias/imagenes/turismo/ mucha4.jpg)

medievale della città. Aperto da Lunedì a Sabato dalle ore 10:00 alle 19:00 e la Domenica dalle 10:00 alle 15:00. Prezzi: intero 6,00 € - ridotto 5,10 € 22.

di un negozio d’epoca, una “CÁMARA DE LAS MARAVILLAS” ispirata a quelle del XVI – XVII secolo, una sala sulle origini di cacao e cioccolato, una dedicata alla produzione del cioccolato, una sala polifunzionale con sistemi audiovisivi indicata per eventi, laboratori e attività. Al livello superiore di trovano: una sala dedicata al consumo del cioccolato, una alla pubblicità, una alle famiglie cioccolatiere del territorio, una contenente stampe e litografie d’epoca e infine il negozio con area per le degustazioni. L’edificio si colloca ai bordi del nucleo denso del piccolo paese di Astorga. Aperto da Martedì a Sabato dalle ore 10:30 alle 14:00 e dalle 16:30 alle 19:00 e la Domenica dalle 10:30 alle 14:00. Prezzi: singolo 4,00 € - gruppi 3,00 € 23.

10) Astorga (Spagna) – El Museo del Chocolate de Astorga (fig. 80): Espone utensili e oggetti legati alla storia della produzione del cioccolato: tostini, pietre per la raffinazione, rulli, madie, mortai, stampi e macchinari degli inizi del XIX secolo. Comprende una sala degustazioni, una riproduzione

11) Bruxelles (Belgio) – Musee du cacao et du chocolat (fig. 81): racconto della storia del cacao tramite manifesti, video, pannelli esplicativi e degustazioni. Viene anche spiegato il sistema di coltivazione e la trasformazione della materia prima in cioccolato. È prevista una dimostrazione da parte di un maestro artigiano del cioccolato. Si trova in un palazzo storico nel

22 - https://irbarcelona.it/musei-barcellona/ museo-del-cioccolato/

23 - http://www.aytoastorga.es/turismo-y-ocio/MUCHA/index.html

fig. 81 - Fotografia dell’interno del Musee du cacao et du chocolat di Bruxelles (Fonte: http://choco-story-brussels.be/fr/le-musee)

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Fabrizio Trimboli

fig. 82 - Fotografia dell’interno della Maison Cailler a Broc-Gruyère (Fonte: https://cailler.ch/en/maison-cailler/la-chocolaterie-suisse/)

fig. 83 - Fotografia dell’interno del Museo del Cioccolato Alprose a Caslano (Fonte: https://www.ticino.ch/pictures/infoturistica/verybig4/2766_B.jpg)

cuore di Bruxelles. Aperto da Lunedì a Domenica dalle ore 10:00 alle 16:30. Prezzi: individuale intero 6,00 € - individuale ridotto 5,00 € o 3,50 € - gruppi da 3,00 € a 8,00 € 24.

alle 17:30 e Sabato e Domenica dalle 09:00 alle 16:30. Prezzi: intero 2,70 € - ridotto 0,90 € - gratuito per i gruppi.

12) Broc-Gruyère (Svizzera) - Maison Cailler (fig. 82): visita guidata dell’omonima fabbrica di cioccolato svizzera della durata di 1,5 h. Si organizzano atelier e workshop ed è presente una piccola esposizione inerente la storia del cioccolato svizzero. Aperto tutti i giorni dalle ore 10:00 alle 16:00. Prezzi: intero 11,00 € - ridotto 8,20 € gruppi da 2,70 € a 8,20 € 25. 13) Caslano (Svizzera) – Museo del Cioccolato Alprose (fig. 83): “Oltre a

illustrare la storia e l’origine del cioccolato e, in particolare, del cioccolato svizzero, il museo ha in serbo una particolare attrazione per i visitatori: vedere dal vivo le diverse fasi di trasformazione nella produzione del cioccolato e osservare come la massa liquida venga creata, versata nello stampo e infine confezionata. E infine, naturalmente, può anche essere assaggiata. Se poi si risveglia la voglia di deliziose specialità al cioccolato, i visitatori le possono acquistare come loro aggrada nel negozio interno al museo.” 26. Il museo

si trova all’interno dello stabilimento produttivo Alprose di Caslano. Aperto da Lunedì a Venerdì dalle ore 09:00 24 - http://choco-story-brussels.be/ 25 - https://cailler.ch/en/maison-cailler/ la-chocolaterie-suisse/

Guardando ora il complesso dei musei del cioccolato presentati, possiamo anzitutto notare come il prezzo del biglietto di ingresso si aggriri quasi sempre intorno ai 10/12 euro. Ciò ovviamente dipende dalle condizioni economiche del Paese in cui si trova. Il termine che più ci interessa per applicare confronti economici, è il museo Perugina. Esso infatti si trova in Italia, si sviluppa su ampie superfici espositive, raccoglie un corposo repertorio storico legato al cioccolato e prevede attività di vario tipo. Il costo del biglietto intero è di 9,00 euro per cui, date le caratteristiche di similtudine rispetto al museo in progetto, questo dato può essere utilizzato come soglia di partenza per tarare il giusto compenso per l’offerta culturale proposta. Altra osservazione possibile sulle schede dei musei del cioccolato è la distinzione tra quelli che privilegiano gli aspetti ludici del tema e quelli che ne esaltano i dati storici. La volontà per il museo torinese è quella di creare il giusto compromesso, evitando racconti noiosi o eccessi da parco divertimenti. Infine, tra tutti i musei analizzati, sembrano mancare molte delle connessioni più moderne ed attuali con il tema di allestimento; aspetti che il museo del cioccolato di Torino intende esaltare.

26 - http://www.alprose.ch/it/museo/

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Capitolo 4.0

Il Progetto Architettonico


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4.1 - Il concept Come abbiamo visto nel capitolo precedente, le potenzialità del tema del cioccolato sono molteplici e mettono in campo tutta una serie di oggetti o storie che lo saldano alla città di Torino. Il progetto dell’MCT (Museo del Cioccolato di Torino) tenta di tener conto delle influenze recepite in ambito europeo, delle connessioni con la specifica storia torinese e in generale di tutte le manifestazioni artistiche connesse all’uso del cioccolato. Il nuovo museo vuol essere un contenitore in grado di guidare il visitatore nella scoperta di questo genere alimentare tanto importante per la città, in tutte le sue manifestazioni, sia artistiche che culinarie. La difficoltà nel tenere insieme tutti i temi che potrebbero rientrare nel percorso espositivo, si palesano con forza ancor maggiore nel momento in cui si pensa all’organizzazione concreta degli spazi del museo. Infatti, oltre agli ambienti espositivi, esso deve prevedere tutta una serie di spazi serventi, coerentemente disegnati in relazione al percorso e il tutto deve scontrarsi con la complessità che deriva dal recupero di un fabbricato esistente. Mentre nei musei progettati ex novo si ha la possibilità di realizzare facilmente quella flessibilità distributiva che la destinazione funzionale stessa richiede, nel caso di adattamento di una vecchia fabbrica degli anni ’50, trasformata più volte nel corso del tempo, questa operazione richiede non pochi sforzi. A ciò si deve aggiungere la volontà, già espressa in precedenza a livello di intenti, di connettere gli spazi dell’MCT con quelli del Museo Ettore Fico, in modo da ampliare l’offerta culturale proposta. Il concept di partenza si pone a monte della progettazione preliminare degli spazi e si potrebbe definire come metaprogetto del percorso espositivo (fig. 83). Esso consiste in una rappresentazione diagrammatica in cui le funzioni principali da inserire nel museo sono ordinate in modo sequenziale e collegate tra loro (attraverso l’uso delle frecce) da reciproche relazioni

fig. 83 - Metaprogetto del percorso espositivo

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spaziali. Dall’ingresso dell’MCT si arriva direttamente nell’atrio, all’interno del quale verrà inserita la reception/ biglietteria. Questo spazio dovrà essere collegato, da un lato al Museo Ettore Fico in modo da connettere le due biglietterie e dall’altro con un negozio per la vendita dei prodotti di cioccolato, che svolga anche le funzioni di gelateria e caffetteria. Sempre in relazione all’atrio di ingresso occorre inserire i servizi igienici per il pubblico e il guardaroba. In seguito troveremo la soglia che divide lo spazio perno appena descritto dall’inizio vero e proprio del percorso espositivo. La prima o le prime sale sono concepite per introdurre il tema del cioccolato e fare tutte quelle premesse necessarie per permettere al visitatore di comprendere efficacemente i tasselli successivi della mostra. Se questa prima parte tocca il tema in modo generico, la seconda sala è pensata per focalizzare immediatamente l’attenzione sulla trama di relazioni che il discorso ampio intrattiene con la storia più minuta della città. Il focus su Torino rappresenta un vero punto di forza del museo, pertanto non può che porsi nelle fasi iniziali del percorso, quando l’attenzione del visitatore tipo è ancora ad un livello ottimale. Coerentemente con la strategia di creare un “percorso obbligato con possibilità di scelta”27, la sala successiva rappresenta un possibile approfondimento incentrato sulla prima declinazione artistica del cioccolato: la scultura. Come dimostrato dal già citato evento CioccolaTò e da alcuni musei simili in Europa come quello di Barcellona, il cioccolato può essere scolpito a mano per formare oggetti plastici anche molto espressivi. L’idea è quella di proporre un’intera sala in cui grandi opere scultoree siano riprodotte con questo materiale “alternativo”, sostituendo virtuosamente all’aspettativa del bianco, caratteristica dominante di molti stanze scultoree rinascimentali, quella del colore del cioccolato. Il 27 - Minucciani, V. (2012). Pensare il museo: dai fondamenti teorici agli strumenti tecnici. Rivoli (TO): CET. p. 55.

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percorso prosegue per arrivare finalmente al “climax” cioè il momento saliente dell’esposizione. Questo dev’essere formato da una grande sala in cui si mettono in mostra i pezzi migliori della collezione. Tale spazio dovrebbe essere in grado di creare meraviglia e riportare in alto il livello di attenzione che rischia di essere calato in seguito al sopraggiungere di due pericoli sempre presenti: noia e fatica. Allo spazio espositivo principale si connetteranno inoltre altri approfondimenti possibili per i visitatori più interessati. Questa scelta progettuale deriva dal concetto di non far coincidere percorso e tragitto ma di avere delle sovrapposizioni parziali. Infatti, se il tragitto rappresenta la via più celere che porta dall’ingresso all’uscita, il percorso si sviluppa ulteriormente con deviazioni e approfondimenti. “Questo è anche un possibile caso d’una distinzione programmatica in base alle utenze: assegnare al tragitto l’incarico di guidare i non specialisti in un giro panoramico ed introduttivo delegando, invece, al percorso (più attento e specifico) il compito di ‘scortare’ i visitatori più curiosi e preparati, permette di elaborare due diversi momenti complementari che possono coinvolgere un maggior numero di persone ed utenze diverse.”28

Già nel 1934, durante il Primo Convegno Internazionale di Museografia svoltosi a Madrid, emerse l’importanza del pubblico e della sua varietà come dato di input fondamentale per la progettazione del percorso espositivo. Considerare le fasce di utenza significa offrire la possibilità a qualsiasi visitatore di apprendere le nozioni offerte dalla mostra con tempi e modalità proprie, e di far coincidere l’esperienza di visita con i propri interessi personali. In effetti il pubblico non può essere semplificato come unico e ideale ma bisogna tener conto della sua eterogeneità, in modo da avvicinarsi ad un modello quanto più realistico possibile. Si prese anche coscienza del pericolo di concetti come noia e fatica, che rischiano spesso di vanificare gli sforzi fatti dal progetti28 - Ibidem.


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sta. Ritornando ai dettagli del nostro metaprogetto, il passo successivo del percorso consiste nel laboratorio, pensato per assolvere a due specifici compiti. Il primo è quello di portare il visitatore alla scoperta dei macchinari storici impiegati nella lavorazione del cacao e si potrebbe definire con il nome di “factory tour”. Il secondo consiste nella possibilità di assistere a dimostrazioni in tempo reale eseguite da maestri artigiani nella preparazione di piatti a base di cioccolato e cacao. Per l’utente sarà come entrare in una vera fabbrica di cioccolato ed assistere in prima persona alle fasi di produzione. L’inserimento del laboratorio a questo punto del percorso consente di alleggerire la visita e preparare alle fasi successive. Direttamente collegata ad esso, ma in un ambiente separato per evitare contrasti nel percorso di visita, troviamo l’area didattica pensata per le attività pratiche di scuole e gruppi con fasce d’età minori. Sempre in adiacenza al laboratorio è previsto l’inserimento di una sala per la degustazione dei prodotti preparati sul momento. Qui gli utenti di qualsiasi fascia di età possono sedersi e gustare le specialità offerte dal museo, creando occasioni di socializzazione e al tempo stesso, consentendo una pausa dalla fatica. In seguito all’appagamento del visitatore, sia dal punto di vista fisico (degustazione) che intellettivo (assenza di concetti da recepire), il percorso può proseguire con la seconda declinazione artistica principale del tema: la pittura. Una sorta di galleria mostrerà al pubblico la grande quantità di quadri che riguardano cioccolato e cacao. Un ultimo approfondimento è previsto anche in questa fase, grazie alla sala multimediale, destinata al cinema e alla televisione. Se nel paragrafo 3.2 abbiamo visto la comparsa della cinematrografia industriale come mezzo pubblicitario utilizzato dalle grandi aziende produttrici di cioccolato, il cinema tradizionale presenta ancor più connessioni con il tema. Alcuni tra gli esempi più noti sono il film degli anni ‘70 “Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato” piuttosto che la pelli-

cola romantica “Chocolat” uscita nel 2000. In aggiunta, la sala è pensata per contenere alcuni aspetti ludici del tema, realizzati tramite un corposo apparato di dispositivi multimediali in grado di coinvolgere direttamente il visitatore. Una volta conclusa la galleria dedicata alla pittura, la mostra fissa vera e propria termina, generando tre possibilità. Una riguarda la visita di un’eventuale mostra a tema allestita in uno spazio flessibile appositamente realizzato. Questo, quando non contiene mostre temporanee, può essere utilizzato come spazio per eventi, anche privati. Altra possibilità è quella di raggiungere la terrazza, fisicamente connessa con quella del Museo Ettore Fico, per trovare un luogo di relax e loisir, che offre anche la possibilità, quando il tempo meteorologico lo permette, di organizzare eventi, feste e banchetti. Infine, il visitatore ha la possibilità di recarsi verso l’uscita, passando nuovamente attraverso l’atrio e il negozio per l’eventuale acquisto di prodotti. Nel percorso appena descritto, ingresso ed uscita coincidono, formando un circuito anulare a diverse velocità. Il metaprogetto trova parte delle strategie progettuali adottate nello schema dell’architetto tedesco Manfred Lehmbruck (1913–1992) (fig. 84) sulla visita al museo come rappresentazione teatrale. Questo modello, non adatto a tutti i tipi di esposizioni, considera lo svolgimento del percorso come similitudine della narrazione let-

fig. 84 - Schema di Manfred Lehmbruck della visita al museo come rappresentazione teatrale (Fonte: Minucciani, V. (2012). Pensare il museo: dai fondamenti teorici agli strumenti tecnici. Rivoli (TO): CET. p. 120.)

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teraria. In effetti, lo spettatore assiste a ciò che viene presentato subendo alterazioni temporanee del suo stato emotivo. Queste alterazioni sono più o meno accentuate a seconda del momento della narrazione stessa. L’organizzazione della mostra basata su un simile modello consente di tener conto della variabilità dei livelli di attenzione dello spettatore in modo da agire attivamente affinché rimangano a valori accettabili. Inoltre la decompressione che segue il momento del climax, dove lo stato tensionale raggiunge il suo culmine, lascia il tempo al visitatore di elaborare quanto visto precedentemente e pone le basi per una riflessione, fonte di arricchimento personale, che dovrebbe continuare anche a mostra terminata. Ecco che la sequenza con cui vengono presentati i contenuti del museo gioca un ruolo imprescindibile per le successive fasi di progettazione architettonica degli spazi. A questo punto, sembra doveroso abbandonare le rappresentazioni dia-

grammatiche per approdare ad una loro trasposizione negli spazi reali del contenitore a nostra disposizione. La serie di schizzi di progetto qui riportata utilizza le tecniche compositive sinora viste rendendole utile materia progettuale da applicare, quando possibile, alla nuova organizzazione architettonica del fabbricato della ex Wolmer. Partendo dal piano terra (fig. 85), troviamo l’ingresso su Via F. Cigna che conduce nell’atrio. Esso penetra nel fabbricato per una profondità pressoché identica a quella dell’atrio del MEF. I due spazi di snodo sono messi in comunicazione tramite la demolizione di una porzione di parete nei pressi della biglietteria. Qui il visitatore potrà acquistare il biglietto cumulativo per la visita di entrambi i musei, oltre a gadget e oggetti vari. In relazione all’atrio dell’MCT possiamo vedere il negozio/gelateria/caffetteria che sfrutta l’affaccio su Via F. Cigna e alcuni spazi del blocco servizi esistente in modo da ricavare un magazzino/ laboratorio e uno spogliatoio con ser-

fig. 85 - Schizzo di progetto della fase preliminare, pianta piano terra

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vizio igienico annesso per il personale. Il negozio è quindi pensato per funzionare come organismo autonomo rispetto al museo, con la possibilità di entrarvi senza necessariamente prendere parte alla mostra. Il blocco servizi contiene inoltre un locale tecnico, il guardaroba in affaccio sull’atrio e i servizi igienici per il pubblico, naturalmente divisi tra maschili e femminili. Una volta varcata la soglia adiacente alla biglietteria, ci si trova nella prima sala espositiva dedicata alla storia del cacao e del cioccolato. Essa costituisce l’introduzione al tema di cui abbiamo parlato nella spiegazione del metaprogetto. In questa sala troveranno dunque posto tutta una serie di oggetti, pannelli, monitor e vetrine che racconteranno le origini del cacao e la sua storia nel corso dei secoli, fino ad arrivare al cioccolato per come attualmente lo conosciamo. In seguito all’introduzione, un portale segna il passaggio verso il cuore dell’esposizione, conducendo alla sala dedicata alla città di Torino. Qui al centro della stanza, un modello tridimensionale della città di Torino realizzato in cioccolato solido, farà da deviatore del

percorso di visita. Una campata dell’edificio verrà invece compartimentata per generare la sala della scultura, dove il visitatore potrà “perdersi” tra le statue di cioccolato. Terminato l’approfondimento si entra in un grande spazio open space (climax) dove possiamo trovare una struttura a forma di gianduiotto al cui interno si possono svolgere attività di gaming e realtà virtuale simulata. Nello stesso luogo, una sorta di piazza coperta fungerà da luogo per le dimostrazioni di maestri cioccolatieri e per l’esposizione delle possibilità culinarie connesse all’uso del cioccolato. L’ultimo settore espositivo al piano terra è il grande laboratorio al cui interno si trovano i macchinari storici della produzione sia artigianale che industriale e dove si possono svolgere attività didattiche. Per quanto riguarda gli ambienti di servizio, lo spazio che sfocia su Via Cervino è utilizzato come magazzino/ deposito opere e permette di raggiungere direttamente gli spazi espositivi. Un corridoio che si sviluppa a partire dal magazzino e termina nel blocco servizi, funge da via di fuga. Questa confluisce nel nuovo vano di-

fig. 86 - Schizzo di progetto della fase preliminare, pianta piano primo

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MCT - il Museo del Cioccolato di Torino - uno Scenario Post-Industriale per Barriera di Milano

stributivo verticale che verrà progettato per rispondere al requisito di sicurezza in caso di incendio. Ancora in adiacenza al magazzino, il vano scala esistente consente di raggiungere gli uffici di gestione collocati al piano superiore. Ritornando ora al percorso di visita, nel laboratorio troviamo le scale di accesso al piano primo (fig. 86), costituito da un soppalco di nuova costruzione, progettato per raccordare il piano terra con lo spazio che sovrasta il magazzino e con il primo piano del blocco servizi. Non appena percorse le scale sia ha la possibilità di degustare i prodotti del laboratorio per poi immettersi nella galleria espositiva dedicata alla pittura. Essa sfrutta lo spazio corrispondente alla via di esodo del piano terra. Un possibile approfondimento è rappresentato dalla sala multimediale che sfrutta lo spazio soprastante il magazzino. Il soppalco ha inoltre la funzione di permettere al visitatore di riorientarsi rispetto al piano terra. Infatti, nel progetto di un museo è buona norma consentire al pubblico, ad un certo istante della visita, di guardare il percorso compiuto da un nuovo punto di vista esterno.

Avere una visione complessiva dello spazio consente inoltre di valorizzare il contenitore di matrice industriale, la cui composizione si basa proprio sulla linearità a lungo raggio. Al termine della galleria, si arriva nel blocco distributivo dove si hanno tre possibilità di scelta: continuare la visita nello spazio flessibile qualora preveda una mostra temporanea in quel momento; ritornare al piano terra per concludere la visita ed avviarsi verso l’uscita (passando per il negozio); salire al piano superiore per raggiungere la terrazza. Lo spazio flessibile per eventi e mostre al piano primo è formato da una porzione di solaio esistente e da un ampliamento che sovrasta il negozio. Il visitatore qui ha nuovamente la possibilità di affacciarsi sul piano terra, in questo caso per guardare l’atrio di ingresso. L’ambiente è dotato di servizi igienici, situati in corrispondenza di quelli del piano sottostante. Proseguendo all’ultimo livello (fig. 87) si trova, oltre alla centrale termica, la grande terrazza utilizzabile per eventi e banchetti o più semplicemente come area relax. La connessione diretta con lo spazio esterno del Museo

fig. 87 - Schizzo di progetto della fase preliminare, pianta delle coperture

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Ettore Fico permette un raddoppio dello spazio per esigenze particolari. Qui si conclude effettivamente il percorso di visita; dal blocco distributivo si giunge nell’atrio al piano terra, nei pressi del guardaroba, con la possibilità di acquistare i prodotti del negozio per poi uscire dal punto di partenza. Un ultimo disegno mostra il progetto per la facciata su Via F. Cigna del nuovo museo (fig. 88). Se il prospetto del Museo Ettore Fico appare semplice e lineare, in accordo con il concept di lavagna sulla quale poter scrivere delle mostre in corso e cancellare con facilità, quello del Museo del Cioccolato di Torino cambia completamente direzionalità per “portare all’esterno” l’inclinazione della copertura a shed. L’intento è quello di palesare all’esterno la struttura dell’edificio industriale, in modo da generare nella mente dello spettatore che osserva la facciata, un’immagine assimilabile alla percezione spaziale che proverà all’interno del museo durante la visita. Il fatto di utilizzare il disegno degli shed, visti in sezione trasversale, proiettandoli idealmente sulla facciata esterna, rappresenta un artificio concettuale che valorizza il contenitore industriale stesso. Se la facciata allo stato di fatto tace sulla composizione del fabbricato che si nasconde nella profondità del lotto, il

progetto tenta di portar fuori i suoi caratteri. Questo viene fatto non in maniera diretta ma velata dalla complessità del disegno di prospetto. Sarà sufficiente richiamare visivamente le inclinazioni della copertura interna per far notare (più o meno consapevolmente) al visitatore, una volta entrato nel museo, che la composizione della facciata, dapprima incomprensibile e quasi misteriosa, si riaggancia ai caratteri strutturali dell’architettura esistente. Per quanto riguarda la materialità della facciata, essa prevede tre differenti livelli di opacità. Due “pesanti” corpi laterali, quasi per nulla trasparenti, si agganciano alle porzioni adiacenti di prospetto, deviando l’occhio dell’osservatore verso il cuore della facciata, caratterizzato da una maggiore trasparenza. Quest’ultimo è formato dalla parte bassa (trasparenza massima) che ospita l’ingresso al museo e dalla porzione superiore semitrasparente. In sommità si intravede la terrazza arredata, schermata da un pergolato. Infine, occorre precisare che gli schizzi mostrati, accompagnati dalla descrizione testuale, rappresentano la prima fase di progettazione preliminare dell’MCT ma differiscono parzialmente dalla soluzione definitiva che vedremo nelle pagine seguenti (si vedano le tavole 4.0 – 4.1 – 4.2).

fig. 88 - Schizzo di progetto della fase preliminare, prospetto su Via F. Cigna

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Se il disegno della facciata deriva in qualche modo dalle linee compositive che definiscono lo spazio interno, lo stesso principio viene adottato per la realizzazione delle partizioni interne (fig. 89). Queste infatti vengono tagliate in vario modo nella parte sommitale per seguire l’inclinazione della copertura del volume principale. Osservando il progetto in planimetria si può notare come il disegno delle sale del museo appaia regolare e in linea con la posizione delle strutture esistenti del fabbricato. Tuttavia, solo osservando una sezione trasversale o un disegno tridimensionale ci si rende conto del motivo che regge tutta la composizione. L’esaltazione di queste semplici linee inclinate (30° - 60°) riprese dagli shed industriali, tentano di valorizzare il contenitore museale, conferendogli nuova forza visiva e movimento rispetto alla semplice linearità ripetitiva. I setti appaiono quindi come ritagli casuali di carta, disposti in modo da creare gli spazi necessari. Ad un centinaio di metri circa da

Via F. Cigna, la parete di fondo dell’edificio richiama la facciata e si pone quale elemento di chiusura del sistema appena descritto. Inoltre, mentre l’organizzazione dei setti si pone trasversalmente rispetto all’asse longitudinale del fabbricato, la parete di compartimentazione della via di fuga, sulla quale si trova la galleria pittorica, segue la linearità inclinandosi di qualche grado rispetto alla verticale. Tale stratagemma crea una percezione di tensione nello spettatore e induce al movimento nella direzione del percorso di visita. In sostanza, tale parete funge da linea guida che detta il senso di movimento, mentre le sale, pensate per la sosta e lo studio, generano una decelerazione del percorso. Per concludere, la fig. 90 mostra l’ultimo step concettuale prima di passare all’illustrazione del progetto architettonico definitivo. Essa rappresenta il programma funzionale di sintesi. Come si può notare dall’immagine, il museo contiene cinque macro-fun-

fig. 89 - Schema compositivo che spiega i rapporti tra la forma delle nuove opere in progetto e le strutture esistenti del fabbricato.

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zioni principali e in particolare: l’atrio la cui funzione di perno distributivo è già stata spiegata precedentemente; l’attività commerciale composta dallo spazio vendita e somministrazione del negozio oltre a tutti i suoi spazi accessori; gli uffici di gestione dove trovano posto tutte le figure professionale che reggono l’amministrazione del museo, a partire dal direttore; gli spazi serventi ovvero vani distributivi, servizi igienici, locali tecnici, vie di fuga e disimpegni; gli spazi espostivi veri e propri. A proposito di questi ultimi, occorre precisare che al piano primo, due porzioni di solaio sono da considerarsi ampliamenti interni. In base al regolamento edilizio della Città di Torino: “È definita ‘soppalco’ la superficie ottenuta mediante l’interposizione parziale di una struttura orizzontale in uno spazio delimitato da pareti, quando la superficie soprastante e quella sottostante alla struttura menzionata non vengono chiuse per ricavare nuovi vani; la superficie netta del soppalco, anche se distribuita su più livelli, non può superare 1/2 della superficie netta del vano in cui esso è ricavato.” 29 29 - http://www.comune.torino.it/regolamenti/302/302.htm

fig. 90 - Programma funzionale della versione definitva del progetto

Si riporta qui di seguito la verifica della prescrizione per la superficie dei soppalchi: • Superficie netta del vano espositivo principale= 1178 m2 • Superficie soppalco= 163.2 m2 (<589 m2 – VERIFICATO) • Superficie netta atrio + negozio= 282 m2 • Superficie soppalco= 120 m2 (<141 m2 – VERIFICATO)

4.2 – Il progetto definitivo e l’allestimento museale Nel corso di questo paragrafo ci occuperemo della presentazione del progetto definitivo da un punto di vista generale, in modo da mostrare l’esito del nuovo museo. Seguendo un processo descrittivo inverso, torneremo ad occuparci in seguito di tutte le questioni tecniche e di dettaglio. In sostanza si mostra ora il risultato per approfondire in seguito i modi attraverso i quali è stato raggiunto. Per i disegni tecnici ed altri dettagli progettuali, si vedano le tavole allegate 4.0, 4.1 e 4.2. Anzitutto, si può affermare che il progetto definitivo del Museo del Cioccolato di Torino risulta assolutamente coerente con l’impianto generale mostrato dagli schizzi di concept del paragrafo precedente. Ciò deriva dal fatto che, fin dalle prime fasi, la progettazione è stata intervallata da momenti di verifica concreta delle possibilità realizzative. Le differenze tra le due fasi progettuali emergeranno gradualmente durante l’illustrazione del percorso museale finale. Entrando nell’MCT ci si trova immediatamente nel grande atrio (222 m2) dal quale è possibile raggiungere tutta una serie di spazi e funzioni che vi ruotano attorno (fig. 91). Per prima cosa, in adiacenza alla parete confinante con il Museo Ettore Fico, troviamo una serie di divanetti trapezoidali ritagliati in base a una linea, materializzata da una variazione cromatica della pavimentazione. Questo asse genera un cono prospettico che guida l’occhio dell’osservatore, appe-

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MCT - il Museo del Cioccolato di Torino - uno Scenario Post-Industriale per Barriera di Milano

fig. 91 - Render interno di progetto, atrio / reception / guardaroba

na entrato nel museo, verso il portale che definisce la soglia di inizio degli spazi espositivi. Il disegno di questa linea non è casuale ma rappresenta la specchiatura (visibile in pianta) di un segno forte appartenente all’atrio del MEF. In effetti questo aspetto si palesa nel momento in cui, superati i divanetti dell’MCT, si raggiunge la biglietteria. Qui un grande portale mette in comunicazione le due istituzioni museali e offre la possibilità di un’offerta culturale congiunta. Anche il disegno del bancone della biglietteria deriva dall’uso di un asse di simmetria e tale stratagemma compositivo contribuisce a rafforzare il carattere di interdipendenza tra i musei, andando in direzione della già citata volontà di creare una sorta di polo culturale. Alle spalle della biglietteria, una parete a tutt’altezza in policarbonato alveolare bianco, divide l’atrio dall’ambiente che ospita la mostra permanente e la sua semitrasparenza lascia intravedere l’allestimento in modo da invitare il visitatore ad entrare. Inoltre, guardan-

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do lo spazio della biglietteria a partire dall’ingresso, si nota come una fonte diafana lo inondi di luce naturale. Questo avviene per circa metà della lunghezza dell’atrio a causa dell’innesto di due shed esistenti. Al contrario, la metà di atrio verso l’ingresso presenta un intradosso piano senza illuminazione zenitale. Questo aspetto progettuale, basato su un impiego ricercato della luce naturale, ha lo scopo di enfatizzare il punto di fuga prospettico che corrisponde all’inizio dell’esposizione e quindi sottolineare l’importante ruolo delle questioni culturali del museo. La parete del blocco servizi, rivestita da pannelli in lamiera forata a maglia esagonale dello stesso tipo utilizzato per la facciata e i parapetti interni, ospita una finestra in affaccio sul guardaroba e una porta di chiusura del corridoio predisposto per i visitatori che terminano il percorso di visita. Quest’ultima è inquadrata da due pilastri di nuova costruzione che hanno la funzione di sostegno strutturale della passerella al livello della


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terrazza. Accostate alla parete, troviamo anche due vetrine lineari dove si immagina di esporre stampe e documenti che raccontano la storia dell’edificio industriale nelle fasi precedenti alla rifunzionalizzazione. Questa funzione accessoria dell’atrio, visibile anche nei grandi pannelli appesi alla parete opposta, consente ai visitatori di ricevere informazioni sul contenitore che li ospita, prima di prendere parte alla mostra fissa. La parete in lamiera presenta anche il logo concepito per il nuovo museo (fig. 92). Esso reca l’acronimo del museo accompagnato dall’inserimento di due simboli legati in modo indissolubile: il gianduiotto e la silouette della Mole Antonelliana. In adiacenza all’atrio, nella porzione di spazio che si affaccia su Via F. Cigna, troviamo il negozio (70 m2) per l’acquisto dei prodotti di cioccolato, che svolge anche le funzioni di gelateria e pasticceria artigianale. Questo organismo indipendente, è formato principalmente dalla parte pubblica arredata con bancone lineare ad angolo, vetrine espositive refrigerate e tavolo per la consumazione. Lo spazio è sovrastato dall’ambiente flessibile del piano primo, che si affaccia direttamente sull’atrio, diviso solamente da un parapetto in acciaio. Il retro ospita un laboratorio di produzione da 42 m2, un magazzino-dispensa (22 m2) e uno spogliatoio per il personale con annesso servizio igienico. Infine, un

disimpegno consente di raggiungere direttamente il vano scala per l’eventuale rifornimento di alimenti ai piani superiori, nel caso la terrazza o lo spazio flessibile ospitino eventi e banchetti. Il vano distributivo di nuova concezione, ricavato nella stessa posizione di quello precedente (demolito), consente di raggiungere il piano primo e il livello della terrazza, anche attraverso l’ascensore a norma per disabili. Sempre nel blocco servizi, si trovano un locale tecnico per i quadri elettrici (11 m2), il guardaroba con apposite armadiature (27 m2) e i wc divisi per genere, accessibili direttamente dall’atrio. La parte femminile è dotata di due servizi standard e uno per i disabili mentre quello maschile ha in aggiunta due orinatoi a muro. Il disimpegno dei servizi igienici contiene un ripostiglio per il deposito delle attrezzature necessarie alla pulizia. Prima di parlare delle varie sale espositive, occorre ancora precisare che atrio, negozio e laboratorio sono provvisti di aerazione ed illuminazione naturali grazie ai serramenti in alluminio a taglio termico della facciata su Via F. Cigna. Per gli altri locali del blocco servizi, il requisito è soddisfatto esclusivamente tramite l’impianto di condizionamento e ricambio aria del quale parleremo in seguito. Varcando il “gate” in policarbonato traslucido, una bussola aperta su un

fig. 92 - Logo del Museo del Cioccolato di Torino

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lato immette i visitatori nella prima sala espositiva (fig. 93), dedicata a storia e origini di cacao e cioccolato (193 m2). Come già spiegato, questa sala ricavata in due campate del fabbricato, funge da introduzione generale al tema. La stanza contiene, nella parte iniziale, tre vetrine basse illustrate da pannelli espositivi fissati a parete. Al loro interno dovrebbero trovare posto tutti quegli oggetti, stampe e illustrazioni pensate per raccontare l’origine e la diffusione del cacao nel mondo, i suoi utilizzi nel corso della storia e una descrizione botanica della pianta. Qui possiamo anche trovare cabosse e fave di cacao delle varietà più disparate. Nella seconda parte, un tavolo interattivo permette all’utente, ad esempio, di entrare nel vivo dei processi di lavorazione del cacao e del cioccolato. Egli può interagire direttamente con il monitor touch screen per selezionare gli aspetti specifici del tema più aderenti ai suoi interessi personali. La sala, al pari delle successive, contiene anche alcu-

ni quadri o stampe applicate a parete, significative per lo specifico tema che affronta. Nei pressi del tavolo interattivo, una porta di sicurezza immette nella via di esodo (108 m2) che si estende in lunghezza dal laboratorio al vano distributivo verticale. Come già accennato, questo corridoio, compartimentato con materiali rispondenti ai requisiti di resistenza in caso di incendio, svolge due ulteriori funzioni: la prima è quella di consentire lo spostamento delle opere dal magazzino-deposito allo spazio espositivo, mentre la seconda è quella di connettere gli uffici di gestione con l’atrio, senza passare per la mostra. Sopra alla via di fuga, un soppalco forma il piano di calpestio per la galleria pittorica che si sviluppa longitudinalmente lungo tutto il volume principale. Ritornando alla prima sala, possiamo infatti notare che la galleria si affaccia in qualsiasi punto sul piano terra. La possibilità di affaccio da un punto di vista sopraelevato e il parapetto in acciaio con lamiera forata esagonale,

fig. 93 - Render interno di progetto, “Storia e Origine di Cacao e Cioccolato”

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rappresentano due caratteristiche già incontrate per lo spazio eventi visibile dall’atrio. Come già accennato, la parete che divide la via di fuga dalle sale al piano terra, è costituita da un solido in cartongesso inclinato di qualche grado rispetto alla verticale. Nel caso della prima sala, lo spazio generato dall’inclinazione è stato utilizzato per l’inserimento di una vetrina espositiva a disegno, a tutt’altezza. Essa ospita gli oggetti di dimensioni maggiori relativi al tema introduttivo, come ad esempio gli attrezzi storici artigianali utilizzati per la lavorazione del cioccolato grezzo. Infine, mettendosi alle spalle del tavolo interattivo e guardando verso le sale successive, si può osservare come una serie di portali in sequenza, segnino un asse prospettico di profondità, disegnato per lasciar intravedere al visitatore ciò che lo attende nel proseguimento del percorso. Si tratta di una sorta di enfilade, utile all’accelerazione del percorso di visita nella navata Sud. Si configurano così due differenti modalità di fruizione dello spazio: la navata Sud induce il visitatore al movimento in senso longitudinale mentre quella Nord, formata da sale autonome, si presta alla sosta e all’approfondimento. Come mostrato nel concept, i setti di divisione delle sale sono “ritagliati” nella parte sommitale in base alle due inclinazioni dominanti riprese dalla copertura a shed. Questa sovrasta tutto il volume principale, senza soluzione di continuità, fornendo luce naturale zenitale alle sale. Gli shed sono tamponati da serramenti in policarbonato alveolare bianco in modo da fornire agli ambienti un’illuminazione diffusa. Ciò evita il pericolo di abbagliamento e fornisce le condizioni ottimali per l’osservazione delle opere esposte. Ne risulta un ambiente interno “ovattato” in cui la luce valorizza tanto le strutture esistenti in cemento armato, quanto i materiali moderni del progetto. A proposito di questi ultimi, descriviamo sinteticamente le finiture scelte, valide per le tutte le sale del museo. Come si vede nei render di progetto, la pavimentazione è formata da una speciale malta ecologica di colore

bianco con effetto simile alla resina epossidica. Questo materiale, caratterizzato da un alto coefficiente di riflessione luminosa, dilata la percezione spaziale e aumenta il contributo della luce naturale. Le strutture esistenti in cemento armato sono lasciate grezze, trattate solamente con un prodotto protettivo a base di biossido di titanio. Le pareti opache sono in cartongesso, finite con una semplice rasatura tinteggiata. Infine, i componenti dell’allestimento sono in legno con finitura laccata bianca, anch’essa riflettente. Per quanto riguarda i colori, tema strettamente connesso all’uso della luce e dei materiali, si sono utilizzati colori il più possibile neutri in modo da non creare interferenze o contrasti eccessivi con gli oggetti esposti. Il tema cromatico dominante prevede l’uso del bianco per pavimenti e soffitti, in modo da aumentare la percezione spaziale del volume relativamente basso. Infatti, è stato seguito il principio secondo cui colori chiari su pareti opposte tendono a respingersi dilatando lo spazio percepito. Questa scelta risulta inoltre efficace per la massimizzazione dell’effetto luminoso. La maggior parte delle superfici verticali sono invece di colore grigio. Ancora una volta un colore neutro evita problemi con la percezione dei contenuti esposti e crea sfondi ottimali per certe opere. Al contrario, le pareti laterali che si sviluppano in senso longitudinale lungo tutto il fabbricato, presentano una tinta arancio. Questo colore, che ben si intona con quello del cioccolato, viene generalmente percepito come caldo e tende a scandire il senso di percorrenza della visita. Il suo contributo spezza la monotonia delle tinte neutre per generare una sensazione di calore e accoglienza, in linea con i contenuti esposti, molto differenti dalle opere di arte contemporanea che si possono trovare, ad esempio, nel Museo Ettore Fico (completamente bianco). Passiamo ora alla descrizione della seconda sala, intitolata “Torino e il Cioccolato” (86 m2) (fig. 94), per la quale valgono le stesse considerazioni fatte a proposito di finiture superficiali e scelte cro-

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fig. 94 - Render interno di progetto, “Torino e il Cioccolato”

matiche. Al centro, un grande tavolo con base piena, sostiene un modello volumetrico della città di Torino realizzato in cioccolato. Questo elemento, oltre ad essere attrattore principale della stanza, funge da deviatore del percorso. I visitatori possono infatti girarci intorno, avvicinandosi alle pareti dove vengono esposti pannelli e stampe vintage che riguardano la storia di Torino in relazione al cioccolato. Si precisa che in tutte le sale del museo, l’illuminazione artificiale è ottenuta mediante faretti led per spazi espositivi, montati su binari per lo scorrimento comandato (fig. 95). I binari sono fissati al soffitto mediante sospensioni metalliche e i cavi elettrici al loro interno confluiscono nelle intercapedini dei setti in cartongesso, a vantaggio di una perfetta integrazione architettonica. Il progetto di queste luci, presenti anche nel Museo Ettore Fico, consente di indirizzare i fasci luminosi verso qualsiasi punto delle sale, in modo da valorizzare le opere di allestimento esposte. Se nel-

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le sale della navata Sud sono previsti due binari disposti in senso longitudinale, per tutta la lunghezza del fabbricato, per gli ambienti della navata Nord essi formano un percorso rettangolare generato dall’offset del loro perimetro. Quest’ultimo caso è visibile ad esempio nella sala di approfondimento dedicata alla scultura (100 m2) (fig. 96). Qui, il colore bianco utilizzato per tutte le superfici, crea uno sfondo di contrasto perfetto per la valorizzazione delle sculture di cioccolato. Queste sono fissate su basamenti di sezione quadrata di varie altezze (in relazione al tipo di scultura), di nuovo con finitura lucida bianca e scuretto alla base. La soluzione dello scuretto è utilizzata inoltre per tutti i punti di appoggio tra le pareti in cartongesso e il pavimento. Il visitatore ha la possibilità di girare intorno al gruppo scultoreo e osservare le opere da vicino addentrandosi nei percorsi interni. Diversamente dalla classica situazione in cui l’oggetto è al centro e l’osservatore esterno l’ammira, qui egli


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fig. 96 - Render interno di progetto, “Sala della Scultura”

fig. 95 - Faretti led scorrevoli del Museo Ettore Fico (fotografia propria del 29/04/2017)

ha l’opportunità di essere “osservato” a sua volta dalle opere, a vantaggio di un coinvolgimento totale. L’ambiente successivo rappresenta l’apice del percorso espositivo (fig. 97). Si tratta di un grande open space (187 m2) dominato da due installazioni percorribili internamente. Queste possono anche essere temporanee, dato che il grande ambiente indiviso si presta bene ad ospitare installazioni di varie dimensioni. Come accade in molti

spazi espositivi pensati soprattutto per l’arte contemporanea, si possono alternare nel corso dell’anno, mostre temporanee con tematiche specifiche, ampliando in modo considerevole le possibilità di utilizzo dell’ambiente stesso. Nella situazione qui rappresentata, troviamo un’opera di allestimento che riprende la forma del gianduiotto, realizzata in materia plastica trasparente colorata e struttura metallica di sostegno. Due porte permettono di attraversare l’oggetto ma si potrebbe anche pensare di sfruttarlo per lo svolgimento di attività. Una possibilità è la realtà virtuale simulata, dove il visitatore, una volta entrato, si immerge nel mondo digitale per compiere un tour in un’immaginaria fabbrica del cioccolato o magari nel passato industriale torinese. Il secondo oggetto che troviamo nello spazio è il cosiddetto “ricciolo di cioccolato” ovvero una struttura formata da profili di sostegno e rivestimento in fogli di alluminio verniciato, nel quale l’utente può entrarvi seguendo un percorso a

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fig. 97 - Render interno di progetto, spazio espositivo principale (climax)

spirale per arrivare al centro e trovare oggetti o rappresentazioni inerenti al tema espositivo. Proseguendo nella descrizione della sala, notiamo che la parete inclinata ospita una porta di sicurezza a doppia anta che conduce alla via di fuga. Questa può essere utilizzata anche per lo spostamento delle opere dal magazzino alle sale e viceversa. Dalla parte opposta invece troviamo sei passaggi, materializzati da pareti in policarbonato che vanno da terra all’intradosso della trave di mezzeria, che conducono in alcuni spazi filtro di dimensioni contenute. Quattro di questi (12 m2 ciascuno) sono dedicati ai possibili usi del cioccolato in ambito culinario e sono allestiti con vetrine espositive e pannelli. Un quinto, di dimensioni doppie (24 m2), ospita un “annusario” con molte varietà di cacao contenute in tubi di vetro trasparente. Questi spazi filtro collegano il grande ambiente open space con due sale a tema, pensate come approfondimenti. La prima riguarda la Nutella (65 m2) (fig. 98) in

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quanto prodotto alimentare di grande successo, entrato a far parte della storia e della tradizione piemontese. Da una parte i visitatori possono sedere su divanetti tondi, che richiamano il tappo del barattolo della Nutella, per assistere alle proiezioni cinematografiche proposte su un telo fissato a parete. Dall’altra parte, oltre ai vari manifesti pubblicitari del passato che tappezzano le pareti, un tavolo interattivo di nuovo di forma tonda, permette di interagire con la grande parete di fondo. Questa è formata da barattoli in vetro o plastica trasparente colorata (color arancio), ognuno dei quali può essere illuminato internamente per creare scritte ed altri effetti. È come se la parete fosse un grande monitor e i barattoli i suoi pixel. L’altra sala disimpegnata dagli spazi filtro è dedicata a packaging e design dei prodotti di cioccolato (64 m2) (fig. 99). Qui grandi tavolette sono sospese sopra la testa del visitatore ed illuminate in modo da valorizzare il design moderno del loro incar-


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fig. 98 - Render interno di progetto, “Sala della Nutella”

fig. 99 - Render interno di progetto, “Packaging e Design”

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tamento. Oltre a ciò, sulla parete di fondo una teca lineare illustrata da un pannello espositivo continuo, contiene alcuni prodotti significativi per il tema del packaging. Diversamente da altri ambienti, il colore delle pareti di questa sala, così come quelle degli spazi filtro, è il marrone per richiamare in modo diretto il cioccolato. Prima di passare all’ultimo settore espositivo del piano terra, vediamo come è stato utilizzato il blocco a due piani che arriva fino a Via Cervino. Al piano terra troviamo un grande magazzino (127 m2) per il deposito delle opere di allestimento e per i rifornimenti del laboratorio di cioccolato. Lo spazio è arredato con armadiature metalliche su tutte le pareti disponibili in modo da ampliare le possibilità di deposito, anche per oggetti di ridotte dimensioni. Al suo interno troviamo inoltre il nuovo portone sezionale, dotato di porta di sicurezza pedonale, che permette l’ingresso delle opere da Via Cervino e funge al tempo stesso da via di fuga. Un piccolo disimpegno

permette di raggiungere un servizio igienico a norma per disabili e l’ufficio di gestione (43 m2). Questo open space arredato con semplici scrivanie, sedie da ufficio e armadiature, è direttamente aerato ed illuminato da due finestre in affaccio sulla via. In aggiunta, l’ufficio è dotato di un ingresso separato per i dipendenti, tramite un portoncino pedonale in affaccio sulla rientranza esterna nel volume del fabbricato. Infine, un disimpegno ospita la rampa di scale che conduce al piano superiore ed è collegato al magazzino, all’ufficio e alla via di esodo. Tornando al percorso della mostra, un’alta parete in policarbonato (fig. 100), sagomata nella parte alta come il profilo degli shed, divide il settore della parte espositiva classica dal laboratorio, dove l’utente diventa attivo nello svolgimento di attività. Ancora una volta il setto trasversale è forato da un portale in asse con gli altri. Esso, oltre a differenziarsi nel materiale, è l’unico che riguarda anche la galleria al piano superiore. Si tratta dunque di una linea

fig. 100 - Render interno di progetto, “Galleria Espositiva”

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di separazione netta grazie alla quale il visitatore, nel percepirla, intuisce il passaggio da una situazione ad un’altra. Una volta entrati nel laboratorio (210 m2) (fig. 101), ci si trova davanti ad un lungo bancone da cucina sovrastato da una cappa di aspirazione sospesa, rivestita nella solita lamiera a maglia esagonale. Qui i maestri cioccolatieri eseguono dimostrazioni culinarie e mostrano le tecniche di preparazione di alcuni prodotti, che verranno poi portati nella limitrofa sala degustazioni. Come possiamo vedere, la parete di compartimentazione della via di fuga termina con il setto in policarbonato. Lo spazio così ricavato nel laboratorio, scandito da pilastri in acciaio (profilati HEA) per il sostegno del soppalco, è utilizzato per l’esposizione dei macchinari storici per la lavorazione del cioccolato. In primo piano possiamo vedere, ad esempio, una mescolatrice a tavola ruotante per semi di cacao, in utilizzo nella prima metà del ‘900. Viene generalmente riconosciuta con il nome

di conca ruotante per via della lavorazione che effettua: il concaggio del cioccolato. Anche se svolge la stessa funzione, il secondo macchinario visibile nel render del laboratorio si differenzia dal primo nella forma ed è infatti definibile come conca piana. Oltre ai vari macchinari storici, il laboratorio contiene tutte quelle apparecchiature (funzionanti) utilizzate dai maestri artigiani per eseguire le dimostrazioni. Abbiamo quindi una vera e propria cioccolateria composta da: piani cottura, lavelli armadiati, banconi di appoggio, forni da pasticceria, carrelli di servizio, abbattitore digitale, impastatrice planetaria, temperatrice da banco in continuo per cioccolato, scioglitrice professionale da banco per cioccolato e ogni altro accessorio o macchinario utile alla preparazione dei prodotti. Potremmo quindi definire il laboratorio come una vera e propria fabbrica di cioccolato in miniatura, dove i visitatori hanno la possibilità di prendere parte alle attività produttive. In adiacenza a questo

fig. 101 - Render interno di progetto, laboratorio (factory tour)

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spazio, nella navata Nord, troviamo due ambienti ad esso strettamente correlati. Il primo è l’area didattica (104 m2) pensata per attività pratiche di gruppi scolastici e bambini in genere. Essa risulta separata e autonoma in modo da non interferire con il percorso di altri utenti del museo. A dividerla è una parete traslucida munita di porta scorrevole per la totale chiusura della sala. La tinta di questo ambiente si scosta da quelle sinora utilizzate, segnalando ulteriormente la specificità della sua destinazione funzionale. L’arredo è formato da un bancone da lavoro che si sviluppa su tre lati della stanza e da sedute a disegno di forma cubica per i bambini. Al bancone si accostano due gradoni in legno che ne seguono il profilo e sono da utilizzarsi come sedute rivolte verso la parte centrale, dove un grande tappeto serve per varie attività ed intrattenimento. In questo modo la sala può essere utilizzata come vera e propria aula didattica per svolgere attività di laboratorio oppure come piccolo tea-

trino. Il secondo spazio adiacente al laboratorio è la sala per le degustazioni (96 m2) (fig. 102). Qui i visitatori possono sedersi tranquillamente e gustare i prodotti preparati in tempo reale, oppure servirsi autonomamente al grande tavolo lineare centrale. Dietro un bancone da cucina, un maestro artigiano prepara pietanze e impiatta i prodotti provenienti dal laboratorio per poi distribuirli ai visitatori o arricchire il tavolo da buffet. Il colore blu scuro scelto per le pareti di questa sala crea un’atmosfera rilassata e informale. Qui il pubblico trova un vero e proprio punto di ristoro; una pausa che spezza il percorso e prepara per le fasi successive. Il passo seguente consiste nella rampa di scale che porta al piano della galleria pittorica (160 m2) (fig. 103). Essa è ricavata sul nuovo soppalco in acciaio realizzato per raccordare vari punti del fabbricato e generare un percorso espositivo organico. Si sviluppa per una lunghezza di circa 65 metri e può contenere più di 16 grandi pitture. In alternativa può

fig. 102 - Render interno di progetto, “Sala Degustazione”

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fig. 103 - Render interno di progetto, “Galleria Espositiva”

essere utilizzata per mostre fotografiche o stampe varie. Ad ogni campata della struttura preesistente (sei in totale), un portale in policarbonato intelaiato scandisce la prospettiva. Ancora una volta ritroviamo il tema dell’enfilade, già incontrato a partire dalla prima sala al piano terra ma con direzione opposta dello sguardo. Anche qui un binario lineare continuo con faretti led scorrevoli garantisce le condizioni ottimali per la fruizione delle opere. In realtà, nelle ore diurne la galleria è inondata di luce naturale diffusa grazie alla vicinanza con il serramento della prima fila di shed. In effetti, la scelta progettuale di collocare la galleria in quella specifica posizione ha ben tre motivazioni: permettere il collegamento tra piano terra, piano primo del magazzino e piano primo del blocco servizi; avere una via di esodo sottostante che collegasse un luogo sicuro (vano scala) con le varie sale e al tempo stesso consentire gli spostamenti tra uffici e atrio senza interrompere la visita; infine, come ab-

biamo detto, sfruttare le condizioni di illuminazione naturale ottimali, dovute alla struttura industriale stessa. La galleria porta con sé altre due importanti implicazioni. La prima è il fatto di consentire in qualsiasi punto l’affaccio sul piano terra. Il visitatore ha la possibilità di riorientarsi e guardare il percorso fatto in precedenza da un nuovo punto di vista sopraelevato. Ciò consente di avere un’idea più chiara del museo e del suo funzionamento, a vantaggio di un appagamento personale per il visitatore. Altra implicazione consiste nella valorizzazione del contenitore di matrice industriale. Come sappiamo, gli edifici di questa tipologia si basano sulla linearità monoassiale che, in questo punto del percorso, può essere percepita nella sua interezza. Se al piano terra, le esigenze funzionali di una mostra permanente hanno richiesto la suddivisione in sale, negando parzialmente la struttura preesistente, una volta raggiunta la galleria, la prospettiva a lungo raggio tende ad esaltarla con forza

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ancor maggiore. Il fascio delle linee di forza viste in prospettiva induce al movimento nella direzione del percorso e genera contrasto alla vista del flusso controcorrente del piano terra. Arrivati alla terza campata della galleria, l’utente ha la possibilità di entrare nella sala multimediale dedicata al ruolo del cinema e della televisione nella storia del cioccolato (83 m2) (fig. 104). Ci si trova in una sala parzialmente buia, illuminata esclusivamente dai monitor dei totem interattivi, dal grande telo per le proiezioni e dalla base dei divanetti. La piccola sala è pensata come approfondimento e può intrattenere più o meno a lungo il visitatore in base alla sua propensione alla multimedialità. Nello stesso blocco si trova anche un ufficio open space (57 m2) raggiungibile dalla scala al piano terra e un bagno per il personale. La sala multimediale contiene una porta di servizio, generalmente chiusa durante la mostra, per eventuali necessità di collegamento immediato con il piano terra. Una volta usciti dal-

la sala si percorre la galleria per le restanti tre campate, per giungere nel vano distributivo verticale. Questo blocco rappresenta un vero e proprio perno per il nuovo museo. Esso oltre a collegare i tre piani a diverse quote, distribuisce anche alcuni importanti spazi in orizzontale. L’ascensore permette ai disabili la totale fruizione degli ambienti sia interni che esterni. Il blocco si configura inoltre come luogo sicuro in caso di incendio, direttamente aerato ed illuminato nella parte sommitale da un grande lucernario modulare in alluminio e vetro, oltre a permettere l’uscita verso l’esterno al livello della terrazza. La scala in acciaio risponde ai requisiti dimensionali previsti per gli edifici pubblici, mentre le pareti resistenti al fuoco (REI 180) ospitano due porte di sicurezza ad ogni piano. Proseguendo il percorso al livello uno, si arriva nello spazio flessibile per eventi e mostre temporanee (220 m2) (fig. 105). Questo grande spazio è pensato per ospitare diverse funzioni, più o meno indipen-

fig. 104 - Render interno di progetto, “Sala Multimediale” (Cinema e TV)

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fig. 105 - Render interno di progetto, spazio flessibile per eventi e mostre

denti dalla mostra permanente. Una parte del piano di calpestio è formata dal solaio preesistente mentre quella verso la facciata dal nuovo soppalco in affaccio sull’atrio. L’ambiente, oltre a ricevere aria e luce dalla facciata su Via F. Cigna, prevede la realizzazione di 17 lucernari nella copertura esistente a due falde inclinate. Inoltre, tre file di faretti led garantiscono l’illuminazione artificiale delle opere o dell’ambiente in generale. In comunicazione diretta con lo spazio troviamo i servizi igienici suddivisi per genere, formati ognuno da antibagno, wc standard e bagno per disabili. Inoltre un disimpegno confluisce in un deposito attrezzature da 18 m2, pensato per consentire variazioni nell’allestimento della sala. È stata fatta una verifica dimensionale della possibilità di ospitare i pannelli espositivi mobili per le mostre temporanee oppure sedie e tavolini per gli eventi. Passando nuovamente per il vano distributivo, si può raggiungere l’ultimo livello del fabbricato. Qui un corpo emergente rispet-

to al volume principale contiene il vano scala (27 m2), la centrale termica (29 m2), un piccolo deposito per arredi e attrezzature (9 m2) e un terrazzino esterno delle stesse dimensioni. Questo blocco, anche se notevolmente ampliato, ricalca gli spazi del precedente (parzialmente demolito), in modo da stravolgere il meno possibile il funzionamento dell’edificio, con un notevole vantaggio in termini di risparmio economico. Al blocco si connette una passerella esterna in acciaio di nuova costruzione che conduce il visitatore alla grande terrazza (150 m2) (fig. 106), un tempo inaccessibile. Mentre i suoi usi possono essere diversi, alcune caratteristiche appaiono come dati fissi. Il primo è il brises soleil pensato per consentire l’utilizzo della terrazza anche nella stagione estiva e nelle ore più calde. Esso è composto da pale in alluminio verniciato, montate su una struttura di sostegno, appoggiata a terra tramite profilati metallici, disposti lungo due lati della terrazza in modo da lasciare

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fig. 106 - Render esterno di progetto, terrazza per eventi, degustazioni, loisir

libero lo spazio intermedio. La forma del frangisole, visibile anche in facciata, riprende ancora una volta le linee compositive inclinate e richiama, forse ancor più direttamente, la copertura a shed. Gli spazi esterni sono poi delimitati e protetti dallo stesso tipo di parapetti già incontrati per i soppalchi interni. Anche la pavimentazione è la stessa, ma trattata per resistere alle condizioni esterne. Una lunga fioriera delimita due lati della terrazza, donando un po’ di vegetazione all’ambiente pre-industriale, mentre dei divanetti con tavolini da esterni si dispongono nello spazio centrale per il relax del pubblico in seguito al percorso di visita. Un lungo tavolo permette inoltre di creare buffet e degustazioni all’aperto. Come già sottolineato, la terrazza è comunicante con quella del Museo Ettore Fico in modo da consentire un raddoppio dello spazio per eventi di maggiori dimensioni o mostre a cura dei due musei. A questo punto la visita termina effettivamente e l’utente può riutilizzare il blocco scale per arrivare al piano terra. Qui, dopo esser passato in un apposito corridoio, giunge nell’atrio nei pressi del guardaroba. Egli può ritirare gli indumenti eventualmente depositati, magari utilizzare i servizi igienici e poi dirigersi verso l’uscita. Prima di uscire, può acquistare gadget e oggetti nella biglietteria di fron-

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te a sé oppure alcuni prodotti alimentari del negozio di cioccolato. Non resta che occuparci del progetto definitivo delle facciate. Quella su Via Cervino merita una spiegazione minima. Infatti, gli unici interventi previsti sono: la sostituzione dei serramenti delle due finestre che danno verso gli uffici di gestione e la sostituzione della grande serranda metallica avvolgibile con un nuovo portone sezionale (l=4,8 m – h=4,85 m) dotato di porta pedonale di sicurezza. La facciata su Via F. Cigna invece materializza i concetti già espressi nel paragrafo sul concept. La sua complessità può essere spiegata tramite un esploso assonometrico che mostri i vari layer di cui è composta (fig. 107). Il primo strato è costituito dalla facciata esistente, opportunamente svuotata delle porzioni di muratura comprese tra i pilastri e la trave di bordo della struttura. Le superfici sono state trattate con pittura bianca a base di biossido di titanio con proprietà autopulenti, antibatteriche e antinquinanti. Il layer successivo è formato invece dai nuovi serramenti in alluminio a taglio termico e specchiature in vetro triplo camera bassoemissivo. Questi ampliano le possibilità di ingresso della luce naturale e consentono l’aerazione degli ambienti da essi delimitati. A chiudere ermeticamente il sistema


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fig. 107 - Esploso assonometrico della facciata su Via F. Cigna

è una facciata continua realizzata in profilati di alluminio a taglio termico e “channel glass”. Questo materiale, chiamato anche vetro u-glass profilato, da sempre usato nei capannoni industriali del XX secolo, è qui impiegato in una concezione moderna. Si tratta di una soluzione tecnologica, sperimentata anche dall’architetto Steven Holl in “The Nelson-Atkins Museum of Art” (Kansas City, Stati Uniti) (fig. 108 – fig. 109) che consente di valorizzare l’edificio attraverso gli effetti di luce artificiale che derivano dallo spazio interno. Il suo effetto è di tipo diffondente e crea due situazioni differenti per il giorno e la notte. Infatti, nelle ore diurne (fig. 110) il cuore della facciata mostra attraverso la semitrasparenza le parti interne del museo e la facciata preesistente dell’e-

dificio industriale mentre, nelle ore serali o notturne (fig. 111) esso appare in un’esplosione di energia luminosa. Il materiale è simile al policarbonato usato negli interni ma meno soggetto all’usura, in particolare da parte degli agenti atmosferici. Anche il channel glass consente l’ingresso della luce naturale evitando lo spiacevole fenomeno dell’abbagliamento. Infine, alla facciata si vanno ad applicare i due corpi laterali realizzati mediante struttura di sostegno in profilati metallici e rivestimento in pannelli di lamiera forata a maglia esagonale, verniciata di nero. Il solido di destra ospita il logo dell’MCT, stampato direttamente sulla lamiera, e un’insegna luminosa recante la denominazione per esteso del nuovo museo. In generale la facciata è concepita per mostrare tre diffe-

fig. 108 - Fotografia diurna dell’interno del Nelson-Atkins Museum of Art di Steven Holl (Fonte: http://magdabiernat. com/commercial/files/gimgs/76_0_ MB-OTTO_Kansas_IMG_0619.jpg)

fig. 109 - Fotografia notturna dall’esterno del Nelson-Atkins Museum of Art di Steven Holl (Fonte: https://images.adsttc. com/media/images/500e/f1c0/28ba/ 0d0c/c700/0efe/newsletter/stringio. jpg?1413951764)

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fig. 110 - Render esterno di progetto, facciata su Via F. Cigna (ore diurne)

fig. 111 - Render esterno di progetto, facciata su Via F. Cigna (ore serali)

renti livelli di trasparenza in modo da renderla quasi misteriosa, mentre le profondità giocano un ruolo decisivo nella sua movimentazione attraverso ombre e contrasti. I solidi in lamiera hanno anche la funzione di schermatura della radiazione solare degli ambienti retrostanti e di integrazione

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visiva con la facciata del Museo Ettore Fico. Infatti il materiale prosegue la continuità della “lavagna” del MEF e permette di percepire il lungo prospetto come unicum, pur trattandosi di due composizioni molto differenti. Va ancora ricordato che la facciata continua funge anche da parapetto a


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protezione della terrazza, isolandola dal caos di via F. Cigna, e che lo sdoppiamento della porta di ingresso permette di accedere al negozio in modo indipendente dalla visita al museo.

4.3 – La demolizione selettiva e la gestione dei rifiuti da C&D I primi interventi edilizi da eseguire sono ovviamente le demolizioni e le rimozioni di materiali e componenti. Come abbiamo visto, il fabbricato contiene una grande quantità di finiture e opere edilizie interne dovute all’ultima trasformazione prevista dalla Wolmer S.r.l.. La maggior parte di esse devono essere rimosse a causa della bassa qualità, dell’usura e soprattutto dell’incoerenza rispetto alla struttura industriale. Come già ricordato, la progettazione eseguita con un software di tipo BIM, ha permesso una rapida e precisa individuazione delle porzioni di fabbricato da demolire. Il modello digitale dello stato di fatto è stato costruito per contenere tutte le stratigrafie reali dell’edificio o in qualche caso ipotizzate. La gestione delle fasi temporali di progetto ha permesso la demolizione di singoli strati o finiture, le cui quantità sono state poi computate in automatico dal software. La tabella riportata in fig. 112 rappresenta un’elaborazione manuale dei dati di output ottenuti in seguito all’interrogazione del software di progettazione. Per i componenti edilizi da demolire, dopo esser stati raggruppati in base alla categoria di appartenenza, sono state riportate le caratteristiche dimensionali, utilizzando di volta in volta l’unità di misura adeguata. Inoltre è stata fatta una stima delle quantità in termini di peso (Kg) in modo da avere una precisa quantificazione dei rifiuti prodotti. Il procedimento seguito è simile all’analisi dei carichi utilizzata generalmente per il calcolo strutturale. Infatti, per molti materiali si è fatto riferimento al peso unitario (Kg/m2 – Kg/m3) ricavato da schede tecniche o documenti di scienza delle costruzioni, mentre per componenti più complessi come le controsoffittature si è reso necessario un calcolo

analitico sulla scomposizione dei vari elementi. Come emerso dalla tabella, la quantità totale di rifiuti da demolizione ammonta a 265 tonnellate (fig. 113). I dati contenuti, verranno in seguito utilizzati per il computo metrico estimativo, al fine di stimare il costo di costruzione. Per vedere nel dettaglio le opere di demolizione previste si faccia riferimento alla tavola 5.0, allegata alla presente relazione. I materiali demoliti con l’incidenza maggiore in termini di peso sul totale sono sicuramente cemento armato e calcestruzzo, con 176 tonnellate che corrispondono al 66% (fig. 114). In questo primo raggruppamento sono comprese tutte le murature in blocchi di calcestruzzo, la mensola in cemento armato della facciata su Via F. Cigna e la demolizione delle strutture di copertura in laterocemento previste per l’ampliamento del blocco distributivo. Anche se l’immagine mostra un volume di demolizioni esiguo, l’incidenza maggiore è dovuta all’alto peso specifico di calcestruzzo e acciaio. In seconda posizione abbiamo il cartongesso, con 56 tonnellate che corrispondono al 21,2% del peso totale (fig. 115). La grande quantità di componenti edilizi in cartongesso è dovuta interamente al progetto di trasformazione dell’edificio in rivendita di tappeti e tessuti (2010). I principali componenti sono controsoffitti con pannelli quadrati in cartongesso, tramezzi leggeri, contropareti e lastre usate come intonaco a secco. Abbiamo poi metalli e vetro (fig. 116) con 25,2 tonnellate, ovvero il 9,5 % del totale. Tra questi troviamo i serramenti in alluminio e vetro da sostituire, un manto di copertura in lamiera metallica, due serrande avvolgibili, alcune porte interne di sicurezza e tutte le strutture di sostegno delle opere in cartongesso. Tra le materie platiche e bituminose (2 tonnellate – 0,75%) (fig. 117) troviamo invece le lastre in policarbonato alveolare a chiusura degli shed, il pavimento vinilico adesivo al primo piano e gli strati bituminosi di impermeabilizzazione delle coperture. Infine, con il peso di 1,5 tonnellate (0,5%) (fig. 118) compaiono le porte

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fig. 112 - Tabella delle demolizioni e rimozioni di materiali e componenti edilizi

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fig. 113

fig. 114

calcestruzzo e cemento armato fig. 116

TOTALE

metalli e vetro fig. 117

fig. 115

materie plastiche e bituminose fig. 118

cartongesso

legno (porte interne)

da fig. 113 a fig. 118 - Rappresentazione volumetrica delle opere di demolizione e rimozione

interne in legno, usate nel blocco servizi e uffici. Tra i materiali in demolizione di difficile rappresentazione a causa delle ridotte quantità troviamo i rivestimenti ceramici dei bagni, l’isolante poliuretanico contenuto nei pannelli sandwich delle coperture, gli intonaci a base si calce (spicconatura), i sanitari esistenti in porcellana, i battiscopa in ceramica e gli elementi lapidei delle scale. Si precisa che sono stati omessi tutti quei materiali o componenti presenti in quantità tali da risultare trascurabili per l’analisi. Se fino ad ora i componenti da rimuove-

re sono stati considerati come opere edilizie, iniziamo qui a trattarli come veri e propri rifiuti dell’attività di demolizione. Introdurre il tema della gestione dei rifiuti significa infatti pensare alla fase di fine vita di un oggetto e prevedere o indirizzare il suo destino futuro. La normativa in materia ambientale (D. Lgs. 152/2006 e s.m.i.) definisce il rifiuto come “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”30. La tabella dei rifiu30 - D. Lgs. 152/2006, art. 183, allegato A,

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ti da demolizione (fig. 119) individua le quantità in peso dei componenti rimossi dal fabbricato suddividendoli in base al codice C.E.R. (Catalogo Europeo Rifiuti) di appartenenza. Questo codice è formato da sei cifre delle quali le prime due definiscono il settore produttivo di provenienza del rifiuto, che nel caso dell’edilizia è 17 (rifiuti delle operazioni di costruzione e demolizione, compreso il terreno proveniente da siti contaminati). La presenza del simbolo * connota il rifiuto come pericoloso, definendo così scenari di smaltimento diversi dal resto dei rifiuti da C&D (Costruzione e Demolizione). Secondo il decreto legislativo n° 205 del 3 Dicembre 2010, (che recepisce la direttiva 98/2008 sui rifiuti) art. 184, classificazione: i rifiuti sono classificati secondo l’origine in rifiuti urbani e rifiuti speciali e secondo le caratteristiche di pericolosità in rifiuti pericolosi e non pericolosi. Tutti i rifiuti da C&D, che si possono suddividere tra quelli derivanti da costruzione/manutenzione e quelli di demolizione, sono rifiuti speciali, rappresentando circa il 40% del totale in ambito nazionale. Di questi rifiuti solo il 10 % risulta essere pericoloso, ovvero contaminato da: amianto, oli, solventi, vernici ed altre sostanze nocive che ne compromettono la riciclabilità. Nel nostro caso appena 200 Kg di isolante poliuretanico, corrispondente allo 0,06% del peso totale dei rifiuti, risulta essere pericoloso. Come si vede nei grafici (fig. 120 – fig. 121) le porzioni più consistenti di rifiuti non pericolosi sono il cemento (17.01.01) con il 61,6% e i materiali da costruzione a base di gesso (17.08.02) che rappresentano il 16,8%. Una volta definito il quadro generale dei rifiuti prodotti dal progetto per il Museo del Cioccolato di Torino, iniziamo a parlare dei possibili scenari di smaltimento. I rifiuti pericolosi devono essere smaltiti presso appositi impianti autorizzati per non arrecare danno all’ambiente, necessitando di cautele sia nella fase di trasporto che in quella di smaltimento. Inoltre, durante la raccolta e il trasporto deCapo I, Titolo I, Parte quarta.

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fig. 119 - Tabella dei rifiuti prodotti per demolizione suddivisi per codice CER

vono essere imballati ed etichettati in conformità alle norme vigenti in materia di imballaggio ed etichettatura delle sostanze pericolose (ADR). I rifiuti speciali non pericolosi invece possono essere destinati alle apposite discariche, oppure conferiti a discariche per rifiuti inerti o ancora in centri di trattamento e recupero per la formazione di materia prima seconda (MPS). Quest’ultimo scenario rappresenta oggi un obiettivo importante da ricercare per la sostenibilità ambientale. Infatti, come espresso dal D.Lgs. 152/2006: “[…] entro il 2020 la preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio e altri tipi di recupero di materiale, incluse operazioni di colmatazione che utilizzano i rifiuti in sostituzione di altri materiali, di rifiuti da costruzione e demolizione non pericolosi, […] sarà aumentata almeno al 70% in termini di peso.” 31

Si tratta di una politica intrapresa già da molti anni che tuttavia nel settore edilizio stenta ancora a trovare risposte concrete, soprattutto in Italia. Il concetto di MPS viene poi sostituito da quello di cessazione della qualifi31 - D. Lgs. 152/2006, art. 181, Capo I, Titolo I, Parte quarta.


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fig. 120 - Grafico riassuntivo dei rifiuti da demolizione espresso in peso (tonnellate)

fig. 121 - Grafico riassuntivo dei rifiuti da demolizione espresso in percentuale sul peso totale

ca di rifiuto dall’articolo 184-ter del decreto legislativo 205 del 3 Dicembre 2010 (IV correttivo del D.Lgs. 152/2006):

bientali per gli acquisti della pubblica amministrazione in edilizia. I criteri ambientali minimi devono obbligatoriamente essere rispettati dalle stazioni appaltanti italiane, tenendoli anche in considerazione ai fini della stesura dei documenti di gara per l’applicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Il progetto dell’MCT, pur trattandosi di un intervento privato, intende rispettare i criteri ambientali minimi, con particolare attenzione a quelli sulla sostenibilità dei materiali. A tal proposito, si precisa che il progetto deve contenere un capitolo dedicato alla fase di fine vita e che deve prevedere un piano per il disassemblaggio e la demolizione selettiva dell’opera in modo da permettere il riutilizzo o il riciclo di materiali e componenti edilizi. È inoltre prevista la stesura di un elenco che contenga tutte le parti del fabbricato che è possibile riciclare. Nel nostro caso, il rispetto di tali criteri è stato condotto sia nella fase di demolizione precedente al progetto, sia per i materiali di nuova costruzione, come vedremo nel paragrafo successivo. Per i rifiuti prodotti sono stati individuati, a seguito di una ricerca in ambito locale, quelli che possono essere conferiti a impianti autorizzati di recupero/riciclo nel Comune di Torino. Infatti, il sito web della Regione Piemonte contiene uno strumento efficace per l’indivi-

“Un rifiuto cessa di essere tale quando è stato sottoposto ad un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni: la sostanza o oggetto è comunemente usata per scopi specifici; esiste un mercato o una domanda per tale sostanza o oggetto; la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; l’utilizzo di tale sostanza o dell’oggetto non comporterà impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.” 32

L’obiettivo del 70% di recupero dei rifiuti entro il 2020, viene inoltre richiamato direttamente dal documento sui “Criteri Ambientali Minimi” (CAM)33, contenete indicazioni generali sugli appalti di nuova costruzione, ristrutturazione e manutenzione di edifici e per la gestione dei cantieri. Si tratta di un aggiornamento dei criteri am32 - D. Lgs. 205/2010, art. 184-ter, Capo I, Titolo I, Parte quarta. 33 - Quotidiano del Sole 24 Ore, Edilizia e Territorio. (31 Gennaio 2017). Nuovo codice/3. Nei bandi di gara i criteri ambientali minimi per la progettazione degli interventi. Fonte: http://www.ediliziaeterritorio.ilsole24ore.com/ print/AEd0hwK/0?refresh_ce=1

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duazione di tali impianti34 attraverso la ricerca in base a: Provincia; Comune; tipologia di rifiuto; codice CER; scenari di smaltimento come recupero di rifiuti, di energia e materia oppure smaltimento in discarica. Da tale ricerca è emerso un consistente numero di impianti locali specializzati nel recupero dei rifiuti metallici. In seguito al contatto telefonico con alcuni di questi è stato possibile ottenere anche un prezzo medio per il conferimento, andando così ad abbattere una parte dei costi sostenuti per le opere di demolizione. Sapendo che alluminio e acciaio vengono pagati settanta centesimi di euro per ogni chilogrammo, è stato previsto l’avvio al riciclo di 23,9 tonnellate, corrispondenti al 9% del totale dei rifiuti prodotti, con un ricavo di 16.375 euro circa. Per quanto riguarda il ferro, pagato solamente 10 centesimi al chilogrammo, sono presenti 286 Kg (0.1%) con un ricavo di appena 30 euro. Inoltre, un’indagine di mercato fatta per una tesi di laurea magistrale del Politecnico di Torino35, ha stimato che il prezzo medio di vendita a centri di recupero/riciclaggio di blocchi in cemento, calcestruzzo e ceramica si aggiri intorno a 4 euro per ogni tonnellata. Utilizzando questo dato per l’MCT si può immaginare di avviare al recupero 184,8 tonnellate di rifiuti inerti da demolizione, corrispondenti al 69,7% del totale, con un ricavo di soli 740 euro. Possiamo quindi affermare che, in totale, dei rifiuti dovuti alle attività di demolizione selettiva per il progetto del museo, una quota pari a 208,7 tonnellate (78,7% del totale) possa essere recuperata o riciclata in appositi impianti situati entro la distanza massima di 40 Km dal sito. In aggiunta, tale conferimento contribuisce all’abbattimento del costo di demolizione del 23,2%, con un ricavo totale di circa 17.500 euro. Per altri materiali come legno, vetro, 34 - http://www.sistemapiemonte.it/webimp/ impiantiAction.do 35 - Zingale, M. (2017). Demolizioni in edilizia: aspetti tecnici e di costo (Tesi di Laurea Magistrale in Ingegneria Edile, Politecnico di Torino, Torino, Italia).

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plastica e pietra, seppur recuperabili, non è stato possibile individuare centri autorizzati per il riciclo/recupero abbastanza vicini a Torino, disposti ad acquisire le quantità prodotte. Per il cartongesso sono attivi in Italia alcuni impianti sperimentali di riciclo che tuttavia riguardano ambiti di mercato troppo distanti per un concreto conferimento dal sito torinese. Va ancora ricordato che il riciclo di grandi quantità di materiali e componenti, come previsto per il progetto dell’MCT, può essere effettuato solo nel caso di utilizzo di tecniche di demolizione non tradizionali. Risulta infatti necessario l’impiego di una demolizione di tipo selettivo. Lo scopo della decostruzione è quello di selezionare frazioni il più possibile omogenee di materiale, per aumentarne il livello di riciclabilità. Questo approccio, ancora poco sviluppato in Italia, privilegia la qualità del materiale ottenibile dal riciclaggio. I vantaggi dell’uso di tecniche di decostruzione (demolizione selettiva) consistono principalmente nel risparmio di materie prime e nella riduzione di emissioni nocive nel suolo derivanti dal deposito sul territorio di materiale non completamente inerte. La demolizione selettiva consiste nella rimozione controllata di parti del fabbricato e nell’accatastamento degli scarti nell’ambito del cantiere, opportunamente separati in frazioni omogenee. Spesso si ricorre all’uso di cassoni scarrabili posti in cantiere per tutta la durata delle attività di demolizione, in modo da consentire il trasporto differenziato dei vari materiali agli impianti specifici. Essi consentono inoltre di limitare il rischio di contaminazione dell’ambiente. La separazione può essere fatta in fase iniziale oppure operata a fine demolizione sul cumulo indifferenziato. La demolizione selettiva ben si adatta alle operazioni costrette in spazi limitati, come avviene nel nostro caso per via delle caratteristiche del fabbricato illustrate in precedenza. La rimozione delle finiture e la demolizione di strutture in cemento armato sarà infatti eseguita da singoli operatori con l’ausilio di strumenti e tecniche quali sega a di-


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sco, elettrosega a catena diamantata, pinzatura manuale o radiocomandata, carotaggio ecc.. Il grande ambiente open space al piano terra sarà utile al deposito differenziato degli scarti mentre lo svuotamento del vano scala esistente per il suo futuro ampliamento verrà sfruttato per il trasporto di quota. Inoltre, l’apertura dei varchi nella facciata su Via F. Cigna in fase iniziale consentirà l’ingresso di piccoli macchinari muniti di pinza idraulica per demolizione controllata, oltre agli strumenti più tradizionali di scavo. Possiamo concludere affermando che la maggior parte delle operazioni consisteranno in un semplice smontaggio manuale. Infatti, escludendo la demolizione di solai, coperture e murature perimetrali, quasi tutti gli interventi sono di rimozione di serramenti e sanitari o di smontaggio delle opere in cartongesso. In effetti, lo stato di fatto presenta un alto livello di disassemblabilità dovuto agli interventi di occultamento della struttura industriale originaria. Il progetto dell’MCT, come si nota dai disegni tecnici di sovrapposizione con lo stato di fatto (tavola 5.0), mira a limitare il più possibile gli interventi di demolizione strutturale e lo stravolgimento della distribuzione interna allo scopo di agire positivamente sulla sostenibilità economica ed ambientale.

4.4 – La sostenibilità dei materiali e la riqualificazione energetica Nel corso di questo paragrafo vedremo le strategie progettuali messe in atto per il contenimento dei consumi energetici, gli aspetti impiantistici e i dettagli di materiali e componenti edilizi scelti. Se fino ad ora ci siamo occupati delle opere di demolizione, analizziamo qui tutte le implicazioni connesse all’inserimento nel fabbricato dei nuovi materiali di progetto. Ancora una volta si faccia riferimento alla tavola 5.0 intitolata “interventi edilizi”. Essa contiene piante e sezioni in scala 1:200 con la sovrapposizione tra lo stato di fatto e la fase di progetto. Come avviene per gli elaborati grafici da allegare nelle comuni pratiche edilizie, gli interventi di demolizione sono rappresentati con il colore giallo mentre le opere di nuova costruzione con il colore rosso. Un primo aspetto che emerge dalle rappresentazioni è il consistente volume di demolizioni del blocco servizi, contrapposto alla maggiore concentrazione di nuove costruzioni nell’ambiente open space. Il secondo aspetto rappresenta una scelta progettuale fatta sin dalle prime fasi di progetto, per consentire la massima integrazione possibile tra le dotazioni impiantistiche e l’architettura. Data la volontà di riportare in vista le strutture industriali a shed del capannone principale, la consueta soluzione che prevede l’inserimento di molte apparecchiature impiantistiche in un controsoffitto non risulta possibile. Inoltre le altezze interne ridotte dovute soprattutto alla presenza di travetti secondari in cemento armato della struttura esistente, rendono impraticabile la soluzione del pavimento galleggiante. Questo sarebbe risultato ottimale per l’impianto elettrico ma soprattutto per un impianto termico del tipo underfloor air distribution (UFAD). Non avendo a disposizione due soluzioni basate sulla distribuzione orizzontale, l’unica via possibile è quella di progettare delle intercapedini laterali per l’inserimento dei terminali e sovradimensionare in fase di progettazione la potenza di mandata in modo da raggiungere le parti più

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interne del fabbricato. Come si vede nei disegni tecnici di progetto, sono state disposte intercapedini da circa 60 centimetri, quasi sempre continue, su tre lati del volume principale (Nord, Sud, Est), in adiacenza alle pareti perimetrali esistenti. Tale soluzione tecnologica comporta necessariamente una riduzione della superficie calpestabile e del volume interno, portando tuttavia con sé alcuni importanti vantaggi. Essa contribuisce alla resistenza termica nei confronti delle dispersioni, grazie al fatto che si inserisce uno strato d’aria aggiuntivo oltre ai materiali che la racchiudono, con un conseguente decremento della trasmittanza termica della stratigrafia di parete. La scelta risulta quindi coerente con l’obiettivo di contenimento dei consumi energetici. In secondo luogo, l’assenza del pavimento galleggiante ha permesso la scelta di una pavimentazione continua, dalle proprietà visive citate nei paragrafi precedenti. Infine, le intercapedini consentono di distribuire su tutta l’altezza dell’edificio la possibilità di inserimento dei terminali impiantistici in modo da controllare la stratificazione delle temperature in ambiente. Si precisa che la soluzione illustrata è stata utilizzata nel volume principale per i motivi appena visti, mentre per servizi igienici, magazzino, uffici ed altri spazi di servizio si è scelto di predisporre controsoffitti continui in cartongesso con intercapedine orizzontale. Qui infatti le altezze interne lo consentivano e non erano presenti strutture di alcun tipo da lasciare in vista per essere valorizzate. Una controparete con intercapedine verticale si eleva su tre piani nel blocco distributivo per raggiungere la centrale termica, posta nel blocco servizi, a livello della terrazza. Questo collegamento consente infatti di raggiungere ogni punto delle intercapedini a partire dalla centrale termica senza che condotti aeraulici o altre apparecchiature tecnologiche siano visibili dagli ambienti del museo. Una soluzione particolare si è resa necessaria per la via di fuga al piano terra. Qui l’intercapedine non si trova in adiacenza alla parete perimetrale ma è stata sposta-

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ta dalla parte opposta del corridoio per raggiungere lo spazio espositivo interno. Lo spazio vuoto per il passaggio degli impianti si viene a generare tra la parete verticale rivolta verso la via di esodo e la parete inclinata in cartongesso che prospetta il volume espositivo. Oltre all’impianto termico e di ventilazione forzata, le intercapedini laterali consentono il passaggio degli impianti elettrici, nascondendo ad esempio i cablaggi dei faretti led per l’illuminazione interna o dei macchinari del laboratorio di produzione del cioccolato. La soluzione tecnologica è stata anche utilizzata nel progetto del Museo Ettore Fico all’ultimo piano, dove era necessario lasciare in vista la copertura a botte della grande navata. Pur non potendo occuparci in questa sede di progettazione dell’impianto termico, occorre comunque fare alcune precisazioni circa la tipologia normalmente impiegata per questo tipo di edifici. Con buona probabilità, come per il MEF, si tratterà di un impianto per climatizzazione di tipo misto aria-acqua con unità terminali locali di tipo idronico (ventilconvettori) per il controllo della temperatura, accoppiato ad un sistema di ventilazione meccanica controllata per il controllo di indoor air quality, umidità relativa interna e velocità dell’aria. Questa tipologia permette il controllo di tutte e quattro le variabili del benessere termo-igrometrico degli occupanti, sia in regime estivo che invernale. La centrale termica conterrà il o i generatori di calore (generalmente caldaia o pompa di calore e chiller) per il trattamento dell’acqua da inviare ai terminali idronici tramite pompe e tubazioni. Inoltre sarà presente un’unità di trattamento aria (UTA), provvista di recuperatore di calore, per il trattamento dell’aria esterna da immettere in ambiente. Questa sarà trasportata verso gli ambienti da una rete di canali e ventilatori ed immessa con opportuni terminali. La rete di distribuzione aeraulica, così come i ventilconvettori, sfrutterà lo spazio delle intercapedini di cui abbiamo parlato. Ad affacciarsi sugli ambienti saranno unicamente


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le griglie di estrazione e le bocchette di immissione dell’aria, senza perciò compromettere la composizione architettonica. La ventilazione meccanica controllata a parziale ricircolo consente inoltre di rispettare i requisiti igienico-sanitari previsti. Molti ambienti, a causa della struttura del fabbricato, risulterebbero infatti privi di aerazione. Occorre ancora ricordare che la scelta dei ventilconvettori, cioè di terminali che funzionano attraverso uno scambio termico prevalentemente convettivo, è motivata dalla necessità di rendere immediatamente “visibile” in ambiente l’effetto sensibile di controllo della temperatura. Questo aspetto va incontro al concetto di variabilità (tipica della destinazione museale) delle fasce orarie di utilizzo dell’impianto; questione ben diversa nel caso, ad esempio, di una residenza. Inoltre, il fatto di non sfruttare l’inerzia termica dell’involucro edilizio, si accorda con la strategia di riqualificazione energetica che affronteremo più avanti in questo paragrafo: il cappotto termico interno. Per concludere gli aspetti relativi all’impianto termico, motiviamo la scelta di un sistema di climatizzazione misto aria-acqua anzichè di uno a tutt’aria. Per prima cosa, delegare ai terminali idronici il controllo della temperatura significa ridurre la dimensione dei canali per la distribuzione dell’aria. Tale riduzione di volume va incontro alla ridotta disponibilità di vuoti per il passaggio degli impianti dato che, come già detto, risultava impossibile la predisposizione di controsoffitti e pavimenti galleggianti. L’altra motivazione è che l’impianto a tutt’aria risulta più adatto per la climatizzazione di grandi ambienti mentre quello misto consente un controllo locale di tipo “ambiente per ambiente”, adatto agli spazi differenziati dell’MCT. Al fine di soddisfare il fabbisogno di energia elettrica, il progetto prevede l’installazione di collettori solari fotovoltaici sulle falde inclinate opache della copertura a shed (rivolti verso Sud) (fig. 122 – fig. 123). È stato fatto un predimensionamento di massima dell’impianto fotovoltaico, da instal-

lare in aderenza alla falda, seguendo il metodo di calcolo definito dal D.Lgs. 28/11 “Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE. (11G0067) (GU Serie Generale n.71 del 28-03-2011 - Suppl. Ordinario n. 81)” : • P (KW) = S / K con: P (KW) = potenza elettrica minima dell’impianto S (m2) = superficie in pianta del livello terra dell’edificio K (m2/KW) = coefficiente variabile in base alla data di richiesta del titolo edilizio (50 dal 01/01/2017) • P = 1170 / 50 = 23,4 KW Senza fare distinzioni tra le varie tecnologie disponibili, che corrispondono ad efficienze diverse, da un ricerca sul web possiamo affermare che, in media, per ogni KW di potenza dell’impianto si necessita di una superficie di pannelli pari a circa 10 m2. In base a

fig. 122 - Programma funzionale del livello di copertura

fig. 123 - Modello tridimensionale del progetto con indicazione dei collettori solari installati (in arancio)

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tale ragionamento: • Superficie minima di pannelli da installare: 23,4 KW x 10 m2 = 234 m2 Infine, considerando la potenza media di un comune pannello fotovoltaico possiamo stimare il numero di pannelli da installare sulle falde del nostro edificio: • N° di pannelli da installare: 234 m2 / 2,6 KWp = 90 I collettori hanno un peso totale di 3,8 tonnellate (0,6% del peso totale delle nuove opere) e la realizzazione completa dell’impianto ha un costo stimato di 142.536 euro (6,8% di C.C.). Oltre all’impianto fotovoltaico, per la riqualificazione energetica dell’edificio si prevede l’installazione di un impianto solare termico per la totale copertura del fabbisogno di acqua calda sanitaria e come integrazione per il riscaldamento. Tuttavia, a causa della complessità dei calcoli e della mancanza di una formula normativa immediata come per il fotovoltaico, non sono stati eseguiti predimensionamenti. Anche se gli aspetti sulle dotazioni impiantistiche di progetto sin qui trattate richiederebbero figure professionali e progetti specifici, paralleli a quello architettonico, sembrava doveroso far cenno alle principali tecnologie attualmente impiegate nel settore edilizio e dare qualche specifica sulle questioni energetiche del nuovo museo. Questa parte non ha dunque la pretesa di validità tecnica ma serve per orientare e tenere in considerazione gli aspetti impiantistici che, come sappiamo, necessitano di integrazione rispetto al progetto architettonico e, per far ciò, occorre che l’architetto sappia tenerne conto sin dalle prime fasi di ideazione. Arriviamo ora al tema dell’involucro edilizio, che richiederebbe una trattazione ben più ampia di quella che verrà qui presentata, ma che si potrà ritenere comunque sufficiente per gli scopi del presente lavoro. Il primo consistente intervento adottato per la riqualificazione energetica dell’invo-

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lucro è un cappotto termico interno il più possibile continuo, realizzato in pannelli in fibra di poliestere riciclato (fig. 124). Si tratta di un materiale isolante termico ed acustico, ottenuto dalla lavorazione delle bottiglie in PET derivanti dallo smaltimento dei rifiuti urbani. È formato quasi al 100% da poliestere e non contiene leganti; è totalmente riciclabile e mantiene inalterate nel tempo le sue caratteristiche di resistenza meccanica e isolamento. È disponibile in vari spessori e densità e presenta una conducibilità termica di 0.036 W/mK, paragonabile a quella dei migliori isolanti termici disponibili sul mercato. Secondo il Prezzario della Regione Piemonte (edizione 2015), un pannello con densità 30 Kg/m3 dello spessore di 10 cm costa 17,92 euro/ m2. Un pannello dello stesso spessore, stessa densità e conducibilità termica in EPS (polistirene espanso sinterizzato) costa invece solamente 6,03 euro, cioè circa un terzo dei pannelli di poliestere. Per il progetto dell’MCT si è scelto di utilizzare un prodotto dal costo maggiore ma con spiccate caratteristiche ecologiche e di riciclabilità totale a fine vita, anche per rispondere ai già citati CAM. Si precisa che è stata scelta la soluzione del cappotto termico interno, quasi inevitabile, a causa dell’impossibilità di agire sull’involucro esterno. Come abbiamo visto, il fabbricato confina su tre lati con altre proprietà; aspetto che risulta co-

fig. 124 - Pannelli in fibra di poliestere riciclato (Fonte: http://2bresine.it/images/ pannelli/pannelli-in-fibra-di-poliestere. jpg)


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munque vantaggioso per le dispersioni termiche. Infatti, la maggior parte delle stratigrafie disperdenti scambia calore con ambienti riscaldati, mentre solo le facciate e la copertura con l’aria esterna. Il cappotto è realizzato su tutte le pareti perimetrali, i solai e le coperture, per un peso totale di 12,1 tonnellate (1,8% del peso totale), con un corrispondente costo di 164.743 euro (7,9% di C.C.) (fig. 125). Evitiamo qui l’approfondimento relativo a tecnologie di realizzazione, soluzione di ponti termici e altri dettagli, tipici della fase di progettazione esecutiva. A contribuire alla resistenza termica dell’involucro opaco nei confronti delle dispersioni ci sono poi le contropareti e i controsoffitti in cartongesso. Questi sono sempre formati da due lastre accoppiate di cartongesso resistenti al fuoco (1,3 mm + 1,3 mm) e struttura di sostegno in acciaio inossidabile, finite con rasatura superficiale e tinteggiatura (fig. 126). In alcuni casi la lastre vanno a contatto con l’isolante, mentre nella maggior parte dei casi lasciano un’intercapedine per il passaggio degli impianti, come visto in precedenza. Nel caso del solaio di base invece, la resistenza termica aggiuntiva è data dalla pavimentazione continua e dal relativo massetto. A proposito dell’involucro opaco occorre ancora menzionare le murature perimetrali del blocco distributivo verticale di nuova costruzione. La loro stratigrafia è composta da blocchi forati in conglomerato di argilla espan-

sa dello spessore di 20 o 30 cm (fig. 127), legati da malta cementizia, e da uno strato di intonaco da 2 centimetri su entrambe le facce. I blocchi sono ottenuti da un conglomerato cementizio, alleggerito con argilla espansa, e presentano ottime caratteristiche di isolamento termico (U=0,57 W/m2K), leggerezza, isolamento acustico (Rw= 52,0 dB), resistenza meccanica e resistenza al fuoco (classe REI 180). Tale stratigrafia risulta quindi indicata per la realizzazione di murature tagliafuoco per luoghi sicuri in caso d’incendio, unendo a questa esigenza tutta una serie di proprietà vantaggiose. La presenza dell’argilla espansa, classificata secondo le norme antincendio come “Classe 0”, permette all’elemento co-

fig. 125 - Rappresentazione assonometrica del volume di fibra di poliestere riciclato

fig. 127 - Blocco forato in conglomerato di argilla espansa (Fonte: https://www. faidanoi.it/bioedilizia/materiali-blocchi-in-argilla-espansa/)

fig. 126 - Esempio di controparete interna in cartongesso con isolamento (Fonte: http://www.knauf.it/default.aspx)

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struttivo di conservare, sotto l’azione del fuoco, la resistenza meccanica “R”, la tenuta “E” e l’isolamento “I”. Il conglomerato di argilla espansa può contenere materia riciclata, anche se non si hanno a disposizione precise informazioni a riguardo; può inoltre essere conferito a centri di recupero per inerti ed essere quindi facilmente riciclato; come tutte le murature legate da malta ed intonacate presenta un basso valore di disassemblabilità. Il suo utilizzo, oltre alle ottime proprietà espresse, è dovuto anche al fatto di essere costituito per buona parte da materie prime naturali, comparendo spesso tra i materiali della bioedilizia. È presente nel progetto in misura di 38,6 tonnellate (5,8% del peso totale), con un conseguente costo, comprensivo di fornitura e posa, di 19.550 euro (0,9% di C.C.) (fig. 128). Trattando ora il tema dell’involucro trasparente, occorre anzitutto occuparci della chiusura degli shed. La soluzione adottata è formata da serramenti apribili motorizzati in profili di alluminio a taglio termico e lastre in policarbonato alveolare coestruso (di colore bianco) a sette pareti, dello spessore di 32 mm e con passo di 900 mm (fig. 129 – fig. 130). La trasmittanza termica del sistema è compresa tra 1,0 e 1,3 W/m2K, cioè paragonabile ad un buon serramento in vetro. La possibilità di aprire i serramenti degli shed permette di aerare naturalmente il grande volume principale, mentre il comando motorizzato si rende indispensabile a causa dell’altezza. Come già espresso nei paragrafi preceden-

fig. 128 - Rappresentazione assonometrica del volume di conglomerato di argilla espansa in blocchi

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fig. 129 - Dettaglio tridimensionale di serramenti apribili in policarbonato e alluminio per coperture a shed (Fonte: https:// www.gallina.it/?lang=it)

fig. 130 - Dettaglio tridimensionale di serramenti apribili in policarbonato e alluminio a taglio termico (Fonte: https:// www.gallina.it/?lang=it)

ti, l’effetto diffondente generato dalle lastre traslucide è ideale per l’illuminazione interna di spazi espositivi e rappresenta quindi una scelta progettuale consapevole. La decisione di utilizzare il policarbonato si deve inoltre a costo e peso inferiori, a parità di dimensioni e proprietà termiche, rispetto ad una vetrata isolante con telai in alluminio a taglio termico. Il policarbonato è stato utilizzato anche per alcu-


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ne pareti interne, in lastre da 20 mm a quattro pareti (fig. 131), montate su semplici telai metallici. Oltre ai vantaggi appena espressi, il policarbonato alveolare presenta un riciclabilità totale ed è facilmente disassemblabile. In totale, nel nuovo museo, questo materiale è presente con un peso di 2 tonnellate (0,3% del peso totale) e con un costo di 37.590 euro (1,8% di C.C.) (fig. 132). Per quanto riguarda invece gli altri serramenti in progetto, che possiamo trovare nelle due facciate, nel lucernario del vano scala e nei lucernari dello spazio flessibile, si è adottata una soluzione più classica costituita da telai in alluminio a taglio termico e specchiatura in vetro bassoemissivo a tripla camera (fig. 133). Il sistema ha una trasmittanza termica complessiva di circa 1,2 W/m2K ma può variare a seconda di dimensioni e dettagli tecnologici. Tra i serramenti abbiamo poi il grande portone sezionale di tipo industriale, a chiusura del-

la facciata su Via Cervino (fig. 134). Serve per l’ingresso nel magazzino delle opere più grandi ed è dotato di porta pedonale esterna di sicurezza in modo da servire come via di fuga. Ha dimensioni di 4,8 x 4,85 metri ed è costituito da pannelli di chiusura in acciaio zincato o alluminio, con interposto isolante termico per raggiungere i requisiti minimi di trasmittanza richiesti dalla normativa vigente. Infine, tra i componenti dell’involucro trasparente troviamo la facciata continua realizzata in “channel glass” per la facciata su Via F. Cigna (fig. 135 – fig. 136). Questa è composta da profili in

fig. 133 - Serramento in alluminio a taglio termico triplo vetro-camera (Fonte: http://www.fresialluminio.it/sistemi-planet/fullglazing.html) fig. 131 - Lastre in policarbonato alveolare (Fonte: https://www.alfesrl.com)

fig. 132 - Rappresentazione assonometrica del volume di policarbonato alveolare

fig. 134 - Esempio di portone sezionale industriale con porta pedonale di sicurezza (Fonte: http://www.go-italia.com/it/ industriale/porta-pedonale)

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le lastre di policarbonato, si ottiene un peso totale di alluminio e vetro pari a 16,3 tonnellate (2,4% del peso totale) e un costo di 152.783 euro (7,3% di C.C.) (fig. 137). Come dimostrato dai dati presentati, alluminio e vetro sono stati utilizzati in modo considerevole nel progetto, soprattutto per via della possibilità di riciclarli a fine vita e di disassemblarli in maniera rapida e semplice. Inoltre essi contengono un buon quantitativo di materia riciclata, andando così incontro al soddisfacimento dei CAM.

fig. 135 - Channel glass, dettaglio tecnologico di facciata continua (Fonte: http:// glassengineer.com/)

fig. 136 - Channel glass, elemento singolo ad effetto diffondente (Fonte: https://www.residentialproductsonline. com/new-textured-channel-glass-makes-objects-seemingly-disappear)

alluminio a taglio termico ed elementi accoppiati in vetro, profilati ad “U”. Il sistema ha ottime proprietà termiche grazie alla camera d’aria interposta, ma anche acustiche e di trasmissione luminosa. Inoltre, diffonde la luce evitando il fenomeno dell’abbagliamento e limita il surriscaldamento dovuto alla radiazione solare incidente. Può essere costituito da materia riciclata; è riciclabile al 100% e perfettamente disassemblabile. Raggruppando i serramenti in alluminio e vetro semplice, il portone sezionale, la facciata continua in channel glass, il frangisole in alluminio della terrazza e tutti i telai per

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Una volta definiti i componenti dell’involucro edilizio, si può passare alla descrizione degli altri materiali e soluzioni tecnologiche che compongono il progetto nel suo complesso. Il primo materiale, che abbiamo già incontrato nella descrizione del progetto architettonico del paragrafo 4.2, è la lamiera forata a maglia esagonale (fig. 138). Questa è tagliata in pannelli di acciaio di varie dimensioni, verniciata di nero e montata su una sottostruttura in profilati di alluminio. Nel progetto dell’MCT è utilizzata per formare contropareti interne, per il tamponamento dei parapetti in acciaio e per la realizzazione dei corpi schermanti in facciata. Come sappiamo, l’acciaio è facilmente riciclabile e i pannelli di lamiera sono riutilizzabili e disassemblabili al 100%, così come tutti i profili di sostegno. L’acciaio si ritrova nel progetto anche per i pannelli delle porte antincendio e, a scopo struttu-

fig. 137 - Rappresentazione assonometrica del volume di alluminio e vetro


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fig. 138 - Lamiera forata in acciaio a maglia esagonale (Fonte: http://www. europerf.it/it/lamiere-forate-fori-esagonali.php)

rale, nei pilastri profilati “HE160A” per il sostegno dei nuovi soppalchi e del nuovo vano distributivo; nella scala che si eleva su tre piani per raggiungere la terrazza e nella rampa che collega il laboratorio con la galleria pittorica. Chiaramente un certo tipo di acciaio strutturale si trova anche in tutti i nuovi elementi in cemento armato gettato in opera, questa volta con un basso livello di disassemblaggio. Questo materiale, oltre ad essere totalmente riciclabile, è anche caratterizzato da altissime percentuali di contento di materia riciclata. Inoltre, il fatto di funzionare attraverso la connessione a secco di singoli elementi, permette una facile disassemblabilità a fine vita, eccetto che per le armature annegate nel calcestruzzo. Nel progetto sono presenti 50,2 tonnellate di acciaio (7,5% del peso totale), con un costo complessivo di 277.816 euro (13,3% di C.C.) (fig. 139). Dato che sono state accennate, trattiamo ora le strutture di nuova costruzione in calcestruzzo armato. Il materiale è previsto per la fondazione puntuale (plinti) dei pilastri in acciaio, per il nucleo ascensore di tre piani, per i nuovi solai e per la copertura del blocco distributivo. Se fondazioni e nucleo ascensore sono classici getti in opera di cemento armato, i nuovi solai piani sono strutture miste acciaio e calcestruzzo, con lamiera grecata e rete elettrosaldata, con uno spessore della soletta di 15,5 cm. Questi solai sono sorretti da travi

primarie e secondarie in profilati di acciaio del tipo “IPE”, che scaricano i pesi sui pilastri di cui abbiamo parlato. Sul piano grezzo dei soppalchi è previsto il getto di un massetto in calcestruzzo alleggerito, per la successiva posa della pavimentazione continua. Per quanto riguarda il solaio piano di copertura del blocco distributivo, si prevede il getto di un massetto di pendenza dello spessore medio di 8 centimetri. Calcestruzzo e cemento armato sono presenti nel progetto in misura di 358 tonnellate (53,6% del peso totale), con un costo di 103.562 euro (4,9% di C.C.) (fig. 140). Come si vede nell’immagine, l’uso di questo materiale è stato limitato il più possibile e delegato alle sole opere strutturali principali. Il suo problema maggiore è la difficoltà di disassemblaggio dovuta al getto in opera e all’elevata

fig. 139 - Rappresentazione assonometrica del volume di acciaio

fig. 140 - Rappresentazione assonometrica del volume di calcestruzzo e cemento armato

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resistenza meccanica. Tuttavia può essere riciclato a fine vita, come aggregato per il confezionamento di nuovi calcestruzzi. Infatti, le “Norme Tecniche per le Costruzioni” (Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale, G.U. 23/09/2005, paragrafo 11.1.9.2) parlano esplicitamente di aggregati riciclati, provenienti dal recupero di rifiuti da C&D, per la sostituzione parziale o totale degli inerti naturali nel calcestruzzo. Il cemento armato previsto per il progetto dell’MCT ha un contenuto medio di materia riciclata pari al 30%, che rappresenta un buon compromesso tra sostenibilità e resistenze meccaniche elevate. Altra tecnica costruttiva tradizionale impiegata nel progetto è la realizzazione di murature in laterizio forato (mattoni a 6 o 9 fori), legate con malta cementizia ed intonacate su entrambi i lati con intonaco a base di calce dello spessore di 2 centimetri. Queste sono usate per i tramezzi dei servizi igienici e in altri locali del blocco servizi esistente. Il laterizio è riciclabile e si può prevedere l’impiego di mattoni con un contenuto di materia riciclata del 10%. Il problema di tramezzi di questo tipo è la difficile disassemblabilità, caratteristica di tutte le murature legate con malta ed intonacate. Tuttavia questa tecnica è impiegata in minima parte nel progetto, con un peso totale di laterizio e malta pari a 12,6 tonnellate (1,9% del peso totale delle nuove opere), con un conseguente costo di 6.083 euro (0,3% di C.C.) (fig. 141). Gli intonaci a base di calce sono impiegati anche per le murature tagliafuoco del blocco scale e sono costituti dal 45% di materia riciclata. Contengono infatti materie prime di origine naturale e minerali riciclati. Inoltre, a fine vita sono riciclabili al 100% previa spicconatura. Sono presenti 48,3 tonnellate di nuovo intonaco, che corrispondo al 7,2% del peso totale delle nuove opere in progetto. Abbiamo poi le porte interne semplici realizzate in legno tamburato e rivestimento in laminato plastico, con un peso totale di 1,6 tonnellate (0,24% del peso totale) e un conseguente costo, comprensivo di fornitura e posa, di 23.195 euro (1,1% di C.C.).

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Possono essere facilmente disassemblate e riciclate a fine vita per formare nuovi prodotti derivati del legno. Per quanto riguarda le coperture, abbiamo le guaine per l’impermeabilizzazione in polipropilene, che possono essere riciclate dopo un’opportuna separazione delle colle utilizzate per l’aderimento al massetto di pendenza e contengono fino al 30% di materia plastica riciclata. Sono presenti in misura di 1,2 tonnellate (0,18% del peso totale) e costo di circa 9.000 euro (0,43% di C.C.). La copertura piana non praticabile del blocco distributivo contiene inoltre uno strato superficiale di inerti di recupero (pietrisco) per la protezione delle guaine, che può essere reimpiegato a fine vita nuovamente come inerte per l’edilizia. Il loro impiego nel progetto è molto esiguo, con un peso di 4,8 tonnellate (0,73% del peso totale) e un costo di appena 110 euro (0,005% di C.C.). Tra i materiali di progetto impiegati in maniera più consistente c’è sicuramente il cartongesso. La sua versatilità e la possibilità di rimuoverlo facilmente in base alle mutate esigenze o a fine vita, rappresentano caratteristiche adatte per una destinazione flessibile come quella museale. Abbiamo già parlato di contropareti, con o senza intercapedine, e di controsoffitti in cartongesso, a proposito delle proprietà termo-fisiche dell’involucro edilizio. Il materiale è stato anche utilizzato per la realizzazione di tramezzi e superfici espositive, in vari spessori. La configurazio-

fig. 141 - Rappresentazione assonometrica del volume di laterizio


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ne tipica di un tramezzo è così composta (fig. 142): due lastre di cartongesso dello spessore di 1,3 cm ognuna, per ogni faccia della parete, e due file di profili guida in acciaio inossidabile da 7,5 cm, con passo di 60 cm. Le lastre sono rese solidali alla sottostruttura grazie a viti autoperforanti fosfatate. Alla base della parete due profili guida ad “U” (75x50x0,6 mm) si appoggiano sul sottofondo che, nel nostro caso è formato dalla pavimentazione esistente in ceramica, lasciata in opera e ricoperta dal nuovo pavimento continuo. Infine, due profilati metallici ad “L” interrompono le lastre ad un’altezza di 8 cm dal suolo per creare lo scuretto di base. Gene1.3

1.3

1.3

7.5

7.5

ralmente nei tramezzi in cartongesso è possibile inserire tra i profili uno strato di lana minerale per l’isolamento acustico, che qui non è stato preso in considerazione dato che i setti si inseriscono nello stesso volume in continuità. Lo spazio tra i profili può però essere usato per il passaggio dei cavi elettrici, in particolare dei faretti led per l’illuminazione delle opere. Riassumendo, si ottiene un tramezzo dello spessore di 20,2 cm, caratterizzato da buone proprietà di resistenza meccanica e antincendio, con lastre in classe di reazione al fuoco A2s1d0 (non infiammabile) e profili in classe A1. Purtroppo, le lastre in cartongesso attualmente in commercio contengono

1.3

Vite autoperforante 212/35 punta HS Vite autoperforante 212/25 punta HS Lastra in cartongesso (sp. 1.3 cm) Lastra in cartongesso (sp. 1.3 cm)

INTERNO

INTERNO

Profilo guida a "U" (75x50x0.6 mm)

Lastra in cartongesso (sp. 1.3 cm) Lastra in cartongesso (sp. 1.3 cm) Profilo guida a "U" (75x50x0.6 mm)

8.0

Profilato metallico ad "L" Profilo guida a "U" (75x50x0.6 mm)

2.1

16.0

2.1

20.2

fig. 142 - Dettaglio stratigrafico di un tramezzo interno in cartongesso doppialastra con scuretto alla base (scala nominale 1:10 - fuori scala)

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solamente l’1% di materia riciclata post-consumo e nei dintorni di Torino non sono attivi impianti autorizzati per il recupero degli scarti. Considerando la totalità dei manufatti in cartongesso, il progetto dell’MCT impiega 83,2 tonnellate di questo materiale (12,5% del peso totale), con un costo di 197.828 euro (9,4% di C.C.) (fig. 143). Per concludere, non resta che occuparci del materiale utilizzato per tutte le pavimentazioni sia interne che esterne e per i rivestimenti a parete dei servizi igienici. Si tratta di una speciale malta ecologica (fig. 144), esente da gesso, cemento, resine epossidiche e sostanze tossiche per l’uomo, con la quale si possono realizzare superfici continue di alta qualità. È composta da un miscela complessa di polimeri sintetici in emulsione acquosa e cariche minerali, con inerti provenienti da riciclo in misura del 40% in peso. A fine vita può essere totalmente riciclata. Questo materiale è stato scelto anche per la bassa produzione di VOC tossici in ambiente, la facilità di pulizia, l’igienicità e l’elevata resistenza all’usura, oltre che per le proprietà estetiche ricercate. Si tratta dunque di un materiale eco-compatibile, usato in grande quantità nel progetto, senza rischi di alcun tipo per l’uomo e l’ambiente. Unico difetto di questa tecnologia innovativa è la bassa disassemblabilità, caratteristica comune di tutte le pavimentazioni continue gettate in opera. Abbiamo un peso complessivo di 11,2 tonnellate (1,7% del peso totale) e un costo di costruzione pari a 181.692 euro (8,7% di C.C.) (fig. 145). Al gruppo di materiali presentati

fig. 143 - Rappresentazione assonometrica del volume di cartongesso

bisogna poi aggiungere tutta una serie di elementi minori come i sanitari, le maniglie delle porte, guarnizioni, impianti e altri componenti che entrano in misura non significativa nel peso totale del sistema delle nuove costruzioni. Facendo un resoconto generale, possiamo affermare che il peso totale dei nuovi materiali di progetto inseriti nel fabbricato ammonti a 668 tonnellate circa (fig. 146). Analogamente a quanto visto per i rifiuti da demolizione, una tabella (fig. 147 – fig. 148) mostra nel dettaglio tutti i materiali e i componenti edilizi di nuova previsione utilizzati nel progetto. La stima dei pesi segue procedimenti di calcolo analoghi e la determinazione delle quantità

fig. 144 - Esempio di pavimentazione continua realizzata in “Ecomalta” della Oltremateria (Fonte: http://www.oltremateria.it/)

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fig. 145 - Rappresentazione assonometrica del volume di “ecomalta” per pavimenti e rivestimenti

fig. 146 - Rappresentazione assonometrica del volume totale dei nuovi materiali

deriva ancora una volta dal modello digitale BIM. Infine, per quanto riguarda il rispetto di alcuni criteri contenuti nel documento sui CAM, mostriamo la tabella di verifica riportata in fig. 149. I due requisiti di riciclabilità e disassemblabilità sono richiamati nel criterio 2.4.1.1 “Disassemblabilità” recante:

prevedere l’uso di materiali come specificato nei successivi paragrafi. In particolare tutti i seguenti materiali devono essere prodotti con un determinato contenuto di riciclato.” 37

“Almeno il 50% peso/peso dei componenti edilizi e degli elementi prefabbricati, escludendo gli impianti, deve essere sottoponibile, a fine vita, a demolizione selettiva ed essere riciclabile o riutilizzabile. Di tale percentuale, almeno il 15% deve essere costituito da materiali non strutturali; Verifica: Il progettista dovrà fornire l’elenco di tutti i componenti edilizi e dei materiali che possono essere riciclati o riutilizzati, con l’indicazione del relativo peso rispetto al peso totale dei materiali utilizzati per l’edificio.” 36

Il contenuto di materia riciclata invece si trova nel criterio 2.4.2 “Criteri specifici per i componenti edilizi”: “Allo scopo di ridurre l’impiego di risorse non rinnovabili e di aumentare il riciclo dei rifiuti, con particolare riguardo ai rifiuti da demolizione e costruzione ( coerentemente con l’obiettivo di recuperare e riciclare entro il 2020 almeno il 70% dei rifiuti non pericolosi da costruzione e demolizione), fermo restando il rispetto di tutte le norme vigenti, il progetto deve 36 - Decreto 11 Gennaio 2017, Adozione dei criteri ambientali minimi per gli arredi per interni, per l’edilizia e per i prodotti tessili, 17A00506, GU Serie Generale n.23 del 28-012017, Allegato 2, p. 49.

Il criterio 2.4.1.1 deve essere rispettato sul peso totale dei nuovi materiali. Dalla tabella notiamo che la riciclabilità totale, che ammonta all’86%, risulta superiore al 50% mentre la disassemblabilità, per come è stata interpretata, raggiunge solamente il 24% a causa della presenza di calcestruzzo e cemento armato. In effetti questo dato è verificato per i soli materiali non strutturali (53%). Invece per il criterio 2.4.2 ci sono indicazioni specifiche per i vari componenti edilizi: dalla tabella emerge che solamente cartongesso e policarbonato non soddisfano il requisito. Per concludere, anche se i requisiti CAM sono obbligatori solamente per le opere pubbliche, il progetto dell’MCT raggiunge alti livelli di qualità nel rispetto della sostenibilità dei materiali scelti, pur trattandosi di un intervento privato.

37 - ivi, p. 51.

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fig. 147 - Tabella riassuntiva dei nuovi materiali e componenti edilizi (parte I)

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fig. 148 - Tabella riassuntiva dei nuovi materiali e componenti edilizi (parte II)

fig. 149 - Tabella di verifica dei Criteri Ambientali Minimi in Edilizia

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Capitolo 5.0 Valutazione della Sostenibilità Economica dell’Investimento


Fabrizio Trimboli

5.1 – Il costo di costruzione L’ultimo capitolo di questa tesi di laurea magistrale affronta il tema della sostenibilità economica, mettendo nero su bianco i conti e le analisi condotte di volta in volta nel corso della progettazione. L’obbiettivo è quello di arrivare ad una valutazione economico-finanziaria dell’investimento privato ed avanzare alcune conclusioni in base ai risultati raggiunti. Non si tratta di un resoconto redatto alla fine del percorso per giustificare i risultati, ma del coinvolgimento delle discipline economiche ed estimative come strumento attivo durante tutto l’iter progettuale. Già nel corso del capitolo precedente abbiamo visto le tabelle riassuntive delle quantità di materiali e componenti, in demolizione e di progetto, che rappresentano il primo passo per la stima del costo di costruzione. Questa è stata effettuata attraverso il procedimento di stima analitica che prevede la redazione di un computo metrico estimativo. A tal proposito, è importante precisare che il livello di dettaglio della progettazione architettonica ha permesso di ottenere risultati, oltre che attendibili, molto vicini a quelli di un progetto esecutivo. La stima è stata eseguita mediante la precisa individuazione di tutte le opere edilizie e delle lavorazioni da eseguire per raggiungere quanto mostrato negli elaborati di progetto. Ci si è avvalsi delle voci di costo contenute nel Prezzario della Regione Piemonte (edizione 2015)38. Come spesso accade in progetti di questo tipo, non tutte le voci di costo necessarie per la stima sono presenti nel prezzario, a causa di lavorazioni o materiali particolari, scelti dal progettista per varie ragioni. Ciò è ancor più vero quando si ha a che fare con materiali innovativi o costituti da materia riciclata, come previsto per il progetto dell’MCT. Per tale ragione, si è resa necessaria la costruzione analitica delle voci di costo mancanti. Questa consiste nella quantificazione di quattro 38 - http://www.regione.piemonte.it/oopp/ prezzario/

voci principali: il costo della mano d’opera, dei materiali, delle attrezzature necessarie per eseguire la lavorazione (noli e trasporti) e dei costi fissi (spese generali ed utile di impresa). Il costo medio orario della mano d’opera edile deriva da una tabella ministeriale pubblicata da Regione Piemonte39, nella quale si riportano le retribuzioni in funzione dei quattro livelli di qualificazione previsti per gli operai. Attraverso l’uso di un manuale per l’analisi prezzi40 è stato possibile individuare i tempi per l’esecuzione delle opere di nostro interesse e le squadre di lavoro normalmente impiegate. In questo modo è stato sufficiente moltiplicare il costo medio orario di un certo tipo di operaio per il tempo necessario all’esecuzione di un’unità dimensionale della lavorazione. La somma degli importi degli operai costituenti la squadra di lavoro tipo fornisce il costo unitario della mano d’opera. Per quanto riguarda i materiali da costruzione invece, sono stati utilizzati i valori del manuale sopra citato oppure preventivi di fornitura dal mercato. Infatti, per alcuni prodotti si è dovuto contattare telefonicamente o tramite email alcuni produttori, chiedere un preventivo specificando le caratteristiche particolari del prodotto, e poi fare (quando possibile) la media di almeno tre preventivi di fornitura del mercato locale. Abbiamo poi il costo unitario che deriva da noli di attrezzature e trasporti. Questi sono stati desunti dal manuale, data la presenza di una grande casistica a riguardo, utilizzando il nolo “a caldo” o “a freddo” a seconda delle esigenze. A questo punto, sommando i tre costi unitari ottenuti si ha un primo totale parziale che rappresenta la parte più corposa del nuovo prezzo. A questa vanno aggiunti i cosiddetti costi fissi, i quali si suddividono in spese generali (pari al 13%) e utile di impresa (pari al 10%), per un totale di 24,30% del totale parziale appena citato. Le 39 - http://www.regione.piemonte.it/oopp/ prezzario/dwd2/mano_edile.pdf 40 - Del Mastro, A. (2015). Analisi dei prezzi in edilizia e ingegneria civile. II edizione, Roma: EPC EDITORE

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percentuali sui costi fissi sono le stesse applicate in tutte le voci del Prezzario della Regione Piemonte. Nelle tabelle di analisi compare inoltre una colonna che mostra l’incidenza percentuale della specifica voce parziale sul costo unitario finale. Si precisa che, in alcuni casi, sono state eseguite analisi prezzi parziali cioè determinando solo alcuni dei 4 componenti elementari e sommando poi nel computo specifiche voci del prezzario, come ad esempio la sola posa in opera del materiale. Ciò è avvenuto con lo scopo di utilizzare quanto più possibile le voci del prezzario, sia per omogeneità di dati, sia per la maggiore accuratezza con la quale sono determinati. In generale, sono state eseguite 3 analisi prezzi per la parte su demolizioni e rimozioni (fig. 153) e 9 per le nuove costruzioni (fig. 162 – fig. 163), identificate con la sigle: NP1; NP2; …; NPn. I nuovi prezzi unitari sono stati poi inseriti nel computo metrico estimativo che troviamo nelle pagine seguenti. Esso è stato suddiviso in due tabelle distinte, ovvero una per le demolizioni (da fig. 150 a fig. 152) e una per le opere in costruzione (da fig. 154 a fig. 161), in modo da ottenere dei costi di costruzione parziali, che verranno sommati solo in seguito per la definizione del quadro economico. Al fondo delle due tabelle otteniamo dunque il costo di demolizione netto, pari a 57.874,33 euro e il costo delle nuove opere edili, pari a 2.094.862,36 euro. La somma di questi due valori darà il costo di costruzione finale del progetto per il Museo del Cioccolato di Torino. Sempre al fondo delle tabelle troviamo due specchietti contenenti il calcolo dei costi unitari, relativi alla superficie lorda di pavimento (2.754 m2) e al volume lordo del fabbricato (15.135 m3). Occorre ancora fare due precisazioni sulla determinazione dei costi, osservando le parti finali delle due tabelle. La prima riguarda le demolizioni per le quali si è giunti alla stima del costo di demolizione lordo sommando i vari prezzi. Questo ammonta a 75.377,40 euro ma deve essere scontato dai ricavi derivanti dal conferimento di alcuni rifiuti a centri di recupero/rici-

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clo. Infatti, come visto nel paragrafo 4.3, i rifiuti metallici, il calcestruzzo e i materiali ceramici possono essere riciclati a fine vita, generando un ricavo dalla vendita agli impianti che si occupano di trasformarli. Il totale stimato di tali ricavi è di circa 17.503 euro, ottenendo così un costo di demolizione netto pari a 57.874,33 euro (21 €/m2 SLP – 3,82 €/m3). I tempi e costi maggiori per una demolizione di tipo selettivo sono perciò ricompensati da un abbattimento del costo di demolizione del 23% circa. La seconda precisazione riguarda invece le nuove costruzioni. Dalla semplice somma dei prezzi in tabella si è giunti al costo totale delle nuove opere edili, corrispondente a 1.588.983 euro. A questo valore bisogna però aggiungere una stima del costo delle nuove reti impiantistiche. Per far ciò, dato che ovviamente non ci si è occupati in questa sede di specifici progetti per gli impianti, è stato usato un metodo parametrico, sulla base dei valori forniti dal Museo Ettore Fico. Conoscendo infatti il costo sostenuto dal MEF per l’impianto termico, l’impianto elettrico e quello degli idranti, e immaginando che le tipologie di tali dotazioni siano identiche per entrambi i musei, è stato possibile ricavare in maniera semplice i tre valori. Come abbiamo visto in precedenza, l’impianto termico descritto per il MCT è dello stesso tipo di quello del MEF, così come tutti i componenti dell’impianto elettrico e di illuminazione, tra cui i faretti led. La stima ottenuta mediante tale procedimento si è resa possibile proprio grazie alla marcata similarità tra i due interventi. Se per impianto elettrico ed idranti si è ritenuto opportuno usare come parametro la superficie lorda di pavimento, per l’impianto termico si è ritenuto più corretto l’uso del volume riscaldato. Il costo stimato delle nuove reti impiantistiche è di 505.879,10 euro (24% del costo totale) che, sommato al costo delle opere edili, dà come risultato totale 2.094.862,36 euro (760 €/m2 SLP – 138 €/m3).


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fig. 150 - Computo metrico estimativo, tabella opere edili in demolizione (parte I)

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fig. 151 - Computo metrico estimativo, tabella opere edili in demolizione (parte II)

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fig. 152 - Computo metrico estimativo, tabella opere edili in demolizione (parte III)

fig. 153 - Costruzione analitica voci di costo relativa a demolizioni e rimozioni

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fig. 154 - Computo metrico estimativo, tabella opere edili in costruzione (parte I)

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fig. 155 - Computo metrico estimativo, tabella opere edili in costruzione (parte II)

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fig. 156 - Computo metrico estimativo, tabella opere edili in costruzione (parte III)

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fig. 157 - Computo metrico estimativo, tabella opere edili in costruzione (parte IV)

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fig. 158 - Computo metrico estimativo, tabella opere edili in costruzione (parte V)

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fig. 159 - Computo metrico estimativo, tabella opere edili in costruzione (parte VI)

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fig. 160 - Computo metrico estimativo, tabella opere edili in costruzione (parte VII)

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fig. 161 - Computo metrico estimativo, tabella opere edili in costruzione (parte VIII)

fig. 162 - Costruzione analitica voci di costo relativa alle nuove costruzioni (parte I)

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fig. 163 - Costruzione analitica voci di costo relativa alle nuove costruzioni (parte II)

5.2 – Il costo dell’allestimento museale In questo paragrafo affrontiamo la stima del costo per l’allestimento del museo. Ciò non significa che andremo a stimare il costo di quadri, sculture di cioccolato, stampe e documenti storici, dato che un simile lavoro porta con sé una complessità tale da non poter essere affrontata in una tesi di questo tipo e che comunque darebbe un risultato non così rilevante per gli scopi prefissati. L’allestimento museale vero e proprio mette in campo diverse fi-

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gure professionali, tra cui quella del curatore, con specifiche competenze nel settore, maturate nel corso di anni di esperienza. Inoltre, conoscere i costi dei contenuti del museo per come li abbiamo esposti richiederebbe la precisa definizione di ogni singolo oggetto e una ricerca di mercato tesa all’acquisto, magari con contrattazioni sul valore. Ostacolo ancor maggiore è il fatto che alcuni beni non hanno nemmeno un vero e proprio valore di mercato. Infine, possono esserci doni o prestiti da parte di istituzioni e fondazioni varie. Per le ragioni esposte,


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non possiamo che limitarci a stimare il costo da sostenere per l’acquisto di arredi, sia mobili che fissi, dei macchinari del laboratorio di cioccolato e della realizzazione dei tre allestimenti fissi tematici. La possibilità di calcolare un simile dato è dovuta al disegno puntuale di tutti gli arredi del museo, come mostrato dai disegni tecnici di progetto e dai render. Lo scopo del suo ottenimento è quello di inserirlo nella costruzione del piano economico-finanziario per valutare, in modo quanto più realistico possibile, la sostenibilità dell’investimento per il soggetto privato che intende realizzare il museo. Il primo passo per la determinazione del valore consiste nei costi delle forniture di arredi fissi e mobili “da catalogo” (fig. 164 – fig. 165). Tale denominazione deriva dal fatto che si è immaginato di acquistare una serie di elementi disponibili sul mercato, con caratteristiche molto simili agli arredi disegnati nel progetto. Una ricerca di mercato condotta sul web ha permesso di ottenere i prezzi più recenti di elementi d’arredo ripetibili. È stato sufficiente moltiplicare i valori di mercato dei beni per il numero di elementi da acquistare. Sommando i dati, si ottiene un costo totale di 200.800 €. Si precisa che i valori sono da considerarsi al netto di IVA, che verrà aggiunta nel quadro economico come voce indipendente. La tabella contiene: i principali macchinari utilizzati nelle cioccolaterie, compresi gli elettrodomestici come forni, abbattitori, lavelli, piani cottura ecc.; arredi semplici come sedie, tavoli, tavolini, divanetti, armadi, scrivanie e banconi da lavoro; apparecchiature elettroniche come monitor, videoproiettori, totem touch screen e tavoli interattivi; arredi specifici per musei come vetrine espositive, pannelli stampati e piedistalli. Le fonti utilizzate per il reperimento dei valori di mercato variano in base alle categorie di beni appena citati. La seconda parte del lavoro consiste nella stima del costo di realizzazione di alcuni allestimenti fissi tematici (fig. 166) e più precisamente: il “ricciolo di cioccolato” ovvero una struttura composta da

profilati metallici e rivestita da fogli di alluminio verniciato; il “gianduiotto gigante” formato da struttura di sostegno metallica e rivestimento in pannelli di PMMA colorato; la “parete in barattoli di Nutella” realizzata tramite fissaggio a parete di barattoli in plastica trasparente colorata. Per stimare il costo di queste opere è stato utilizzato il metodo classico del computo metrico estimativo. Ciò è stato possibile grazie al fatto che si tratta di vere e proprie costruzioni da realizzare in opera. I materiali e le lavorazioni sono contenute nel Prezzario della Regione Piemonte, ad eccezione dei barattoli in plastica il cui prezzo è stato rilevato direttamente dal mercato. Il risultato di questa stima, pari a 24.100 €, sembra ancor più attendibile del precedente, dato che le voci da prezzario si avvicinano molto a quanto rappresentato nel progetto. Nel caso degli arredi da catalogo dobbiamo tener conto di un certo intervallo di incertezza, dovuto a differenze di finitura tra gli elementi disegnati per l’MCT e i modelli trovati sui siti web dei fornitori. Nella realtà, nel momento in cui si deve realizzare l’allestimento per un nuovo museo di questo tipo, occorre contattare uno o più fornitori specializzati nel settore e chiedere un preventivo per la costruzione ad hoc degli arredi. Il fornitore, interessato al ricavo massimo, tenterà di occuparsi di tutti gli aspetti dell’allestimento, sottoponendo al curatore un’offerta personalizzata per il “pacchetto completo”. Per tale motivo, si è qui adottato un metodo di stima semplificato, il cui scopo non è quello di ottenere il valore preciso del costo di allestimento, ma avere un ordine di grandezza abbastanza attendibile da inserire nel piano economico-finanziario per saggiare la convenienza dell’investimento. Fatte le dovute precisazioni, si ottiene un costo totale per l’allestimento del museo pari a 224.900 € circa. Infine, la fig. 167 rappresenta un’elaborazione ulteriore dei dati, andando ad illustrare i costi di allestimento delle principali sale del museo e individuando con una scala cromatica quattro diversi range di valori monetari.

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fig. 164 - Stima dei costi di allestimento museale, fornitura arredi mobili e fissi “da catalogo (parte I)

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fig. 165 - Stima dei costi di allestimento museale, fornitura arredi mobili e fissi “da catalogo (parte II)

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fig. 166 - Stima dei costi di allestimento museale, realizzazione in opera di allestimenti fissi tematici

fig. 167 - Sezioni prospettiche (fuori scala), costi di allestimento per le principali sale

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5.3 – La definizione dell’investimento totale Una volta calcolato il costo di costruzione per il progetto del nuovo museo torinese e i costi dell’allestimento museale, passiamo alla definizione del quadro economico. Questa tabella (fig. 168) contiene tutti i costi e le spese da sostenere per l’investimento iniziale, da parte del soggetto privato che intende realizzare il progetto. Il quadro economico si suddivide in due parti (A e B) nella quale la prima rappresenta la somma dei costi principali, riguardanti la realizzazione delle opere edilizie, mentre la seconda contiene tutta una serie di somme aggiuntive per la definizione dell’investimento totale. La somma del costo di intervento (A) pari a 2.195.791 euro e del totale delle somme aggiuntive (B) pari a 2.756.354 euro, genera come risultato il costo totale dell’investimento iniziale, detto anche costo di realizzazione, pari a 4.952.146 euro. Analizziamo ora, per una maggiore chiarezza, tutte le voci che compongono la tabella. La prima rappresenta il costo di costruzione (C.C.) che abbiamo già incontrato nel paragrafo 5.1, derivante dal computo metrico estimativo. Come abbiamo visto, è dato dalla somma del costo di demolizione netto, del costo di costruzione delle nuove opere edili e di quello delle nuove dotazioni impiantistiche, per un totale di 2.152.737 euro. L’altra voce di costo che compare nella definizione del quadro A è una stima sintetica degli oneri di sicurezza del cantiere. In genere si può stimare come il 2% del costo di costruzione, generando nel nostro caso un totale di 43.055 euro. Con queste due somme si chiude la parte di costi da sostenere per la costruzione fisica dell’opera. Passando invece al quadro B, troviamo come prima voce la spesa per l’acquisto del fabbricato, pari a 1.850.000 euro. Come già ricordato, questo dato deriva dalla reale compravendita dell’edificio, avvenuta nel 2016. Abbiamo poi le spese tecniche che comprendono gli onorari dei professionisti per le diverse fasi di progetto. Queste riguardano ad esempio il rilievo del fabbricato, la

progettazione architettonica, strutturale ed impiantistica, il confezionamento di pratiche per la richiesta delle autorizzazioni necessarie, il piano per la sicurezza in fase di realizzazione, la direzione lavori, accatastamento e agibilità. Nei procedimenti di stima, le spese tecniche vengono spesso indicate con una percentuale del costo di costruzione che va dall’8% al 10%. Nel nostro caso si è deciso di inserire 8% per tener conto della situazione non troppo favorevole del mercato immobiliare e del settore edilizio. Il dato è stato anche confermato in un confronto diretto con un professionista che si occupa d progettazione architettonica nella città di Torino. Per il progetto dell’MCT, le spese tecniche ammontano a 172.219 euro circa. La terza voce del quadro economico B è rappresentata dal contributo per il rilascio del permesso di costruire. Come espresso dal DPR 380/2001 e s.m.i.: “1. Salvo quanto disposto all’articolo 17, comma 3, il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nel presente articolo.” 41

Per quanto riguarda il contributo sul costo di costruzione: “3. La quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all’atto del rilascio, è corrisposta in corso d’opera, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, non oltre sessanta giorni dalla ultimazione della costruzione.” 42 “10. Nel caso di interventi su edifici esistenti il costo di costruzione è determinato in relazione al costo degli interventi stessi, così come individuati dal comune in base ai progetti presentati per ottenere il permesso di costruire. Al fine di incentiva41 - D.P.R. 6 giugno 2001, n° 380 e succ. mod. ed integr., Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, G.U. n. 245 del 20/10/2001 s.o. n. 239, aggiornato con il D.Lgs. 27/12/2002 n. 301 (G.U. n. 16 del 21/1/2003), Sezione II “Contributo di costruzione”, art. 16 “Contributo per il rilascio del permesso di costruire”, comma 1. 42 - ivi, comma 3.

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fig. 168 - Quadro economico re il recupero del patrimonio edilizio esistente, per gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’articolo 3, comma 1, lettera d), i comuni hanno comunque la facoltà di deliberare che i costi di costruzione ad essi relativi non superino i valori determinati per le nuove costruzioni ai sensi del comma 6” 43

Per il calcolo del contributo sul costo di costruzione è stato prima di tutto recuperato il dato denominato “Costo di costruzione edificio residenziale da utilizzarsi per il modello 801/77 (come da nota Regione Piemonte 18/11/2015 prot 37818/A1612A), contenuto in una tabella pubblicata ed aggiornata ogni anno dal Comune di Torino (Direzione Territorio e Ambiente – Area Edilizia Privata)44. Nella tabella del 2017 tale valore ammonta a 395,26 €/m2. Il secondo dato necessario al calcolo è un’aliquota variabile che tiene conto di caratteristiche tipologiche e parametri funzionali. Sempre secondo il DPR 380/2001 e s.m.i.: 43 - ivi, comma 10. 44 - http://www.comune.torino.it/ediliziaprivata/atti/tariffe.shtml

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“[…] Il contributo afferente al permesso di costruire comprende una quota di detto costo, variabile dal 5 per cento al 20 per cento, che viene determinata dalle regioni in funzione delle caratteristiche e delle tipologie delle costruzioni e della loro destinazione ed ubicazione.” 45

Nel nostro caso possiamo utilizzare un’aliquota pari al 6,5%. Pertanto, il contributo sul costo di costruzione si calcola moltiplicando la superficie lorda di pavimento di progetto per il costo di costruzione di riferimento (adeguato annualmente) per l’aliquota tipologico-funzionale. Si ottiene in questo modo la somma che compare nel quadro economico B, pari a 70.755 euro. Per quanto riguarda invece gli oneri di urbanizzazione, suddivisi tra primaria e secondaria, bisogna ancora una volta fare riferimento alle tabelle

45 - D.P.R. 6 giugno 2001, n° 380 e succ. mod. ed integr., Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, G.U. n. 245 del 20/10/2001 s.o. n. 239, aggiornato con il D.Lgs. 27/12/2002 n. 301 (G.U. n. 16 del 21/1/2003), Sezione II “Contributo di costruzione”, art. 16 “Contributo per il rilascio del permesso di costruire”, comma 9.


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pubblicate annualmente dal Comune di Torino. Qui vengono forniti i valori espressi in euro/m2 in funzione della destinazione d’uso del fabbricato. Per maggiore chiarezza: “2. La quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione va corrisposta al comune all’atto del rilascio del permesso di costruire e, su richiesta dell’interessato, può essere rateizzata. A scomputo totale o parziale della quota dovuta, il titolare del permesso può obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione […]” 46 “4. L’incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria è stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle parametriche che la regione definisce per classi di comuni […]” 47

Per il calcolo degli oneri di urbanizzazione, nel caso di ristrutturazione di un edificio esistente, occorre verificare la differenza tra gli oneri pagati per l’ultima destinazione d’uso ospitata dal fabbricato e quelli dovuti per la nuova attività da insediare. Tale procedimento consente di corrispondere al Comune solamente la differenza residua, incentivando gli interventi di recupero edilizio. Nel caso specifico dell’MCT, la tabella comunale riporta il valore 205,82 €/m2 per gli oneri di urbanizzazione totali, riferiti ad attività commerciali con superficie lorda di pavimento maggiore di 2000 m2. In effetti la Wolmer S.r.l. era un’attività commerciale con SLP pari a 2.544 m2. A questo punto non resta che individuare la destinazione d’uso del nuovo museo privato. Nelle Norme Urbanistico Edilizie di Attuazione della Città di Torino, possiamo trovare la voce “A4. attività associative e culturali” tra le attività terziarie48. Riprendendo 46 - D.P.R. 6 giugno 2001, n° 380 e succ. mod. ed integr., Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, G.U. n. 245 del 20/10/2001 s.o. n. 239, aggiornato con il D.Lgs. 27/12/2002 n. 301 (G.U. n. 16 del 21/1/2003), Sezione II “Contributo di costruzione”, art. 16 “Contributo per il rilascio del permesso di costruire”, comma 2. 47 - ivi, comma 4. 48 - Città di Torino, Direzione Urbanistica e

la tabella sugli oneri di urbanizzazione vediamo che il valore per le attività direzionali è pari a 205,82 €/m2, per cui otteniamo una differenza residua nulla. Per tale ragione, il contributo per il rilascio del permesso di costruire che compare nel quadro economico è dato dal solo contributo sul costo di costruzione. Tra le voci del quadro B troviamo la spesa per forniture e arredi. Questa è stata calcolata con i procedimenti visti nel paragrafo precedente ed è data dalla somma tra costo di arredi mobili e fissi “da catalogo” e costo di realizzazione in opera di allestimenti fissi tematici, per un totale di 224.902 euro. Altra spesa da tenere in considerazione è l’eventuale presenza di imprevisti nella fase di costruzione dell’opera, dovuti per esempio ad errori di progettazione. In genere si stima pari al 10% del costo di costruzione per interventi di recupero/restauro e al 5% per le nuove costruzioni. Nel caso in esame si è comunque deciso di utilizzare la percentuale più bassa, a causa la ridotta complessità dell’edificio da recuperare. Abbiamo poi le spese per collaudo e agibilità da sostenere alla fine della fase di realizzazione, stimabili come 0,5% del costo di costruzione. Infine, tra le somme aggiuntive compare l’IVA (imposta sul valore aggiunto). Questa è stata applicata in regime ordinario al 22% per le voci: spese tecniche; forniture e arredi; collaudo/agibilità. Invece per tutto ciò che riguarda le opere edilizie (C.C. – oneri sicurezza – imprevisti) è possibile usufruire dell’IVA agevolata al 10%. Infatti, essa si applica a tutti i casi di lavori di restauro, risanamento conservativo e ristrutturazione edilizia. Per concludere, la fig. 169 mostra i valori parametrici finali, ottenuti dalla definizione del quadro economico. Purtroppo, a causa della difficoltà Territorio, Area urbanistica, Piano Regolatore Generale di Torino – Norme Urbanistico Edilizie di Attuazione, Volume I, testo coordinato al 31 Agosto 2017, fonte: http://www. comune.torino.it/geoportale/prg/cms/variazioni-al-prg/varianti-comma-7/358.html.

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fig. 169 - Costi parametrici finali rispetto a SLP e volume lordo di costruito

di individuazione di interventi simili, non si dispone di dati attendibili per il confronto dei valori ottenuti. L’unica possibilità è paragonare il costo di realizzazione ottenuto con quello effettivamente sostenuto per il recupero del Museo Ettore Fico. Sappiamo infatti che il capitale iniziale investito per il MEF è di circa 3.000.000 euro, corrispondente ai seguenti valori parametrici: 1.498 €/m2 SLP e 190 €/m3. Come possiamo vedere, il confronto tra questi dati e il costo di realizzazione dell’MCT, al lordo del costo per l’acquisto del bene, appare assolutamente coerente nell’ordine di grandezza. Il fatto di avere un costo parametrico superiore di circa 300 €/ m2 è motivato dalle scelte effettuate in termini di sostenibilità dei materiali adottati e dall’allestimento di una mostra permanente. In effetti, un museo dai contenuti fissi richiede una progettazione di dettaglio delle varie sale mentre uno spazio pensato per ospitare mostre temporanee prevede principalmente i costi da sostenere per la realizzazione del contenitore generico, adattabile di volta in vota in base alle esigenze.

5.4 – La costruzione del Piano Economico Finanziario per la gestione La valutazione della sostenibilità economica di un progetto può essere condotta mediante una serie di strumenti che variano in funzione del tipo di investimento. La prima grande distinzione da fare è tra investimenti pubblici e privati, con la possibilità intermedia di eventuali collaborazioni e partenariati pubblico-privati (PPP). Come abbiamo visto, la trasformazione immaginata per il contenitore della ex Wolmer S.r.l. è interamente realiz-

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zata da un soggetto privato. Gli strumenti variano inoltre a seconda del livello di dettaglio raggiunto con la progettazione dell’opera e nel nostro caso potremmo dire che si tratta di un progetto definitivo. Infine, le tipologie di valutazioni dell’investimento possono riguardare la fase di realizzazione oppure considerare anche la gestione dell’opera per un certo periodo temporale. Nel caso in esame, lo strumento più indicato per la valutazione sembra essere il Piano Economico Finanziario (PEF). Esso ci permette di individuare le capacità di reddito delle attività che s’intende gestire con la realizzazione del progetto. In aggiunta, individua i fabbisogni finanziari correlati alla realizzazione dell’investimento. Si tratta dunque di una valutazione di convenienza da sottoporre al soggetto privato che intende trasformare il fabbricato industriale. Il primo passo nella costruzione del piano è la definizione del periodo temporale di riferimento. Per il Museo del Cioccolato di Torino si è immaginata una durata dell’investimento di 26 anni, dei quali i primi due riguardano la fase di acquisto e trasformazione del fabbricato, mentre i restanti quella di gestione del nuovo spazio espositivo. Esso può essere suddiviso in tre principali attività o fonti di reddito: la mostra permanente con la vendita dei biglietti di ingresso; le attività didattiche per gruppi e scuole; la locazione degli spazi previsti per il negozio/cioccolateria/gelateria. Come vedremo nel corso del paragrafo, intorno a questi tre aspetti ruota tutta una serie di costi di gestione da tenere sotto controllo nella valutazione. Per la costruzione del piano occorre anzitutto definire la quota totale di costi e ricavi connessi all’operazione, sia iniziali che in esercizio (fig. 170).


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fig. 170 - Stima di costi e ricavi in esercizio

Per il momento, l’unico dato di input a nostra disposizione è il costo dell’investimento iniziale, definito grazie al quadro economico presentato nel paragrafo precedente. Se a questa prima voce sommiamo la stima degli investimenti successivi (rinnovo e manutenzione straordinaria) otteniamo il primo gruppo di costi da inserire nel piano: i costi di investimento. In maniera sintetica, le spese per la manutenzione straordinaria sono state stimate come il 3% dell’investimento iniziale, generando un costo di 148.564 euro. Abbiamo poi la sostituzione di arredi e opere di allestimento dovuta all’usura. Si è immaginato di dover sostituire, durante tutto l’arco temporale della gestione, il 20% di questi elementi; la percentuale risulta abbastanza contenuta dato che, diversamente da altre destinazioni funzionali, l’arredo di un museo non sembra particolarmente soggetto a danni provocati dagli utenti. Stiamo parlando infatti di opere che molto raramente entrano in contatto diretto con il pubblico e perciò non sono così soggette ad usura.

Invece, per quanto riguarda i macchinari alimentari e gli elettrodomestici contenuti nel laboratorio di cioccolato, il ragionamento fatto prevede una loro totale sostituzione entro i 26 anni considerati. Come sappiamo, questi oggetti hanno una vita utile minore dovuta a parti meccaniche in movimento, alla presenza di apparecchiature elettroniche e il contatto con sostanze alimentari ed i solventi utilizzati per la pulizia. Per tali motivi, almeno una volta sarà necessario risostenere la spesa totale per il loro acquisto. Infine, tra gli investimenti di rinnovo abbiamo la sostituzione degli apparecchi elettronici come totem touch screen, tavoli interattivi, videoproiettori e schermi. Questi, avendo durata ancora minore, verranno sostituiti interamente almeno tre volte nell’arco temporale di riferimento. In totale, si ottiene una spesa per il rinnovo pari a 96.448 euro che, sommata al costo della manutenzione straordinaria, genera come risultato 245.012 euro. Sommando poi questo valore con l’investimento iniziale si ottiene il

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totale dei costi di investimento, pari a 5.197.158 euro. Vedremo in seguito la distribuzione temporale dei vari costi che, per il momento, sono stimati nel loro valore totale. L’altra macro-voce riguardante le spese è rappresentata dai costi di gestione. Tra questi, la voce manutenzione ordinaria, dovuta all’erogazione del servizio principale, è stata stimata in maniera semplificata come un costo annuo pari allo 0,3% dell’investimento edilizio. Ne consegue una spesa annuale di 14.586 euro circa. Per tutti gli altri costi di gestione invece sono stati utilizzati i dati gentilmente forniti dalla direzione del Museo Ettore Fico. L’obiettivo è quello di comprendere il modello di gestione di questo museo e replicarlo, a seguito di opportune modifiche, per simulare la gestione dell’MCT. La possibilità di utilizzare un simile metodo di stima deriva dalla forte similarità dei due oggetti, sia nelle attività svolte che nella localizzazione. La prima voce tra i costi di gestione visibili in tabella è “acquisti di beni di consumo”. Questo dato, pari a 30.000 euro annuo per il MEF, è stato aumentato di un terzo per tener conto della maggiore necessità di acquisto di certi beni per un museo a mostra permanente. Invece, i costi di servizi e utenze possono essere più facilmente stimati per via parametrica rispetto alla superficie lorda di pavimento. In effetti, le spese per acqua, gas, luce, riscaldamento, pulizia ecc., sono direttamente legate alla dimensione dell’edificio, che può essere sintetizzata in modo ragionevole dal parametro della SLP. Dividendo il dato fornito di 40.000 €/anno per la superficie del MEF, pari a 2.002 m2, si ottiene un costo parametrico di 19,98 €/m2/anno. Moltiplicando questo valore per la SLP del nostro museo (2.754 m2), otteniamo una spesa da sostenere annualmente per servizi e utenze pari a circa 55.000 euro. Una tra le voci di costo più consistenti tra i dati forniti dal MEF riguarda il lavoro non dipendente. Si tratta delle spese sostenute per consulenze esterne ed ammonta a 85.000 euro circa. Non avendo alcun parametro dimensionale per un suo confronto, questo dato è

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stato stimato riducendolo a meno della metà del suo valore. Il motivo di tale scelta deriva dal fatto che il Museo Ettore Fico funziona in base all’organizzazione di tre grandi mostre ogni anno, della durata di quattro mesi ciascuna, e di circa cinquanta eventi tra concerti, spettacoli, feste private e visite guidate con apericena. All’opposto, l’MCT, avendo a disposizione una mostra fissa o comunque poco soggetta a variazioni, risente meno dell’esigenza di consulenze esterne. Infatti, come già precisato, il nostro museo presenta un costo iniziale maggiore anche per via della progettazione di un allestimento ben definito. Continuando a trattare i costi di gestione, troviamo le spese di rappresentanza, amministrative, di pubblicità, e per le assicurazioni. Ancora una volta, la stima del valore monetario non può basarsi su parametri verificabili ma solamente su ragionamenti che portano a variazioni percentuali del dato di partenza. In questo caso, si ritiene opportuno considerare la somma di 80.000 euro ugualmente valida per entrambi i musei. La voce annuale con incidenza maggiore è il costo del personale dipendente, pari a 130.000 euro. Sapendo che il MEF ha in forza dieci dipendenti, possiamo considerare un costo unitario di 13.000 €/dipendente/anno. A questo punto non resta che immaginare il numero di dipendenti da inserire nel Museo del Cioccolato di Torino per consentirne il corretto funzionamento. Abbiamo sicuramente un addetto al guardaroba, un dipendente per la biglietteria/ reception, una persona per il percorso di visita al piano terra, un’altra per il piano primo e infine il direttore, per un totale di 5 dipendenti fissi. Infatti, come abbiamo detto, il negozio ha una gestione indipendente dal museo, mentre il personale addetto alle attività didattiche e di laboratorio appartiene alla voce “consulenze di terzi”. Moltiplicando il valore parametrico per i cinque dipendenti fissi, otteniamo un costo annuo per il personale pari a 65.000 euro. L’ultima voce tra i costi di gestione è rappresentata dalle spese bancarie, come ad esempio l’a-


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pertura e la gestione di conti correnti, piccoli finanziamenti ecc.. Tale somma di 4.000 euro annui si può ragionevolmente immaginare dello stesso importo per il nostro museo. Sommando tutte le voci sin qui descritte, otteniamo un costo annuo totale di gestione pari a 298.881 euro. Per concludere la parte relativa alle spese, nell’ultima macro-voce “accantonamenti” troviamo i costi per il TFR (trattamento di fine rapporto) del personale dipendente. La procedura corretta prevede la stima in base ai contratti di lavoro ma qui ci si può accontentare di immaginare l’accantonamento annuo di una mensilità per ogni dipendente. Pertanto, il totale degli accantonamenti ammonta a 5.416 euro annui. In base ai costi in esercizio previsti, ogni anno è necessario sostenere circa 304.298 euro di spese, esclusi eventuali imprevisti. Passiamo ora alla stima dei ricavi di gestione. Per far ciò occorre anzitutto fare un’ipotesi di base riguardante il numero di visitatori previsto annualmente per il nuovo museo. Dai dati del Museo Ettore Fico sappiamo che nel 2015 sono stati venduti circa 25.000 biglietti. Lo stesso vale per l’anno 2016, mentre per il 2017 si prevede il raggiungimento del limite massimo di 35.000 visitatori, forse grazie all’apertura di “Edit”, il grande polo dedicato a food&beverage nell’isolato dell’ex I.N.C.E.T.. L’ipotesi è che il numero di visitatori annuo dell’MCT sia almeno uguale a quello del MEF. Nella realtà tale numero risulterebbe con buona probabilità superiore, a causa della maggiore attrattività generata da un museo del cioccolato per Torino. Tuttavia, per essere cautelativi nella costruzione del Piano Economico Finanziario, diciamo che il numero di biglietti venduti dall’MCT in un anno è pari a 25.000. Ciò significa avere una media di 68 utenti al giorno. Possiamo ritenere questo dato attendibile se lo paragoniamo ad altri musei della città di Torino. Dall’analisi dei competitori locali sappiamo infatti che: il Polo dei Musei Reali di Torino ne ha 876 al giorno, il Museo Civico d’Arte Antica di Palazzo Madama 544, il Borgo Medie-

vale 308, la Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea (GAM) 1020 e il Museo d’Arte Orientale (MAO) 292. Proseguendo, si precisa che il valore di 35.000 del MEF è stato scartato per due ragioni: per prima cosa si tratta di una previsione anziché di un dato reale effettivamente registrato; inoltre per ben due anni si è verificato lo stesso numero di visitatori, pari a 25.000, per cui si può ritenere più attendibile. Va ancora detto che la stima di un dato così sensibile avrebbe richiesto la costruzione di un’analisi del bacino di utenza. Data la complessità di un’operazione simile e il conseguente ottenimento di un dato difficilmente verificabile, si è ritenuto altrettanto attendibile l’utilizzo di un dato stimato con metodo semplificato, ma sulla base di valori reali, effettivamente verificatisi nello stesso luogo. Affermiamo quindi che se il piano genera risultati positivi utilizzando come soglia base 25.000 visitatori, nel caso in cui tale numero sia superiore la convenienza dell’investimento non può che migliorare. Per le ragioni espresse utilizziamo come ricavi derivanti dalla vendita dei biglietti lo stesso dato fornito dal MEF, ovvero 100.000 euro/ anno. Come verifica, possiamo dividere tale somma per in numero di visitatori, ottenendo un prezzo unitario di 4 €/visitatore. Questo valore non rappresenta il prezzo del biglietto perché tiene conto di tutte le tipologie di ingressi disponibili. Sono infatti previsti biglietti interi, ridotti, gratuiti, con audioguida, per gruppi ecc.. Il prezzo unitario rappresenta perciò una media pesata dei prezzi delle varie tipologie di ingresso. Allo stesso modo si è stimato il ricavo derivante dalla vendita di gadget, libri e oggetti vari. Si è utilizzato il dato di 70.000 euro/anno del MEF, ottenendo una spesa media per ogni visitatore di 2,80 euro, quindi assolutamente credibile. Per le altre voci invece, si è deciso di mettere in pratica procedimenti di stima diversi, totalmente indipendenti dai dati del Museo Ettore Fico. Il primo riguarda la locazione degli spazi, che nel nostro caso coincidono con il negozio in affaccio su Via F. Cigna. La fonte consul-

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tata è la banca dati dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI) dell’Agenzia delle Entrate49. La microzona in cui ricade il fabbricato è la n° 36 “SPINA 4 – DOCKS DORA”, per la quale non sono disponibili dati per il settore commerciale. Per questo motivo, dopo aver consultato i dati relativi alle microzone 37 “REBAUDENGO”, 35 “MADONNA DI CAMPAGNA” e 21 “PLAERMO”, si è ritenuto opportuno utilizzare i valori di quest’ultima (fig. 171), date le caratteristiche di similarità nel tessuto delle due aree limitrofe. Per il primo semestre del 2017, si ottiene un valore medio di locazione della destinazione commerciale compreso tra 7,2 e 14 €/m2/mese (superficie lorda), considerando uno stato conservativo “normale”. Per la nostra stima, si ritiene opportuno l’utilizzo del valore 14 €/m2/mese in modo da tener conto delle migliori caratteristiche del negozio appartenente al museo rispetto alla qualità media delle attività commerciali nell’area. Ciò significa avere un ricavo unitario di 168 €/m2/anno, per cui la locazione del negozio da 156 m2 genera un ricavo annuale di 26.208 euro. Un’ultima voce tra i ricavi di gestione è data dai laboratori didattici che si possono effettuare nella specifica area del museo adiacente al laboratorio di produzione. Diversamente da altri musei in cui sono previste visite 49 - http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/ content/Nsilib/Nsi/Documentazione/omi/ Banche+dati/quotazioni+immobiliari

guidate e piccole attività per ragazzi e bambini, il Museo del Cioccolato di Torino offre una vera e propria aula per l’apprendimento dell’arte della cioccolateria. Qui i gruppi scolastici possono trascorrere un’intera giornata nel museo, tra la visita della mostra permanente e l’attività di laboratorio assistita. Proprio a causa della specificità di tale attività, non proposta dal MEF per ovvie ragioni, si è dovuto ricorrere alla stima del numero potenziale di utenti nel seguente modo. Dalla banca dati dell’Istituto Nazionale di Statistica (Istat), è stata effettuata una ricerca della popolazione residente a Torino al 1° Gennaio 2017, con età compresa tra 3 e 14 anni50. Da tale ricerca è emerso un numero totale pari a 88.412. Possiamo ipotizzare che almeno il 5% degli studenti di scuola d’infanzia, primaria e secondaria di primo grado, svolga almeno una volta l’anno un laboratorio didattico con visita al museo. Ciò vuol dire 4.420 giovani utenti l’anno, provenienti dal Comune di Torino. Facendo qualche semplice calcolo di verifica della credibilità del dato, se di divide per il numero medio di alunni di una classe scolastica, si ottengono 221 classi in un anno, ovvero meno di una classe al giorno. Allo stesso modo, si può immaginare di avere un’affluenza dell’1% del totale tra bambini e ragazzi delle scuole situate in Provincia di Torino. Da un totale di 181.372 si arriva a 1.142

50 - http://demo.istat.it/

fig. 171 - Banca dati sulle quotazioni immboliari, OMI, Agenzia delle Entrate, risultato interrogazione Anno 2017 - Semestre I, Fascia “Semicentrale”, Zona “PALERMO” (Fonte: https://wwwt.agenziaentrate.gov.it/servizi/Consultazione/risultato.php)

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studenti, cioè circa 57 classi l’anno. Considerando che tra gli ingressi per scuole del MEF, la visita guidata più il laboratorio (intera giornata) costano 7 euro per ogni studente, possiamo ragionevolmente fissare il prezzo per l’MCT a 10 euro, tenendo conto della migliore qualità offerta e del costo delle materie prime (cioccolato) necessarie. Infine, moltiplicando il prezzo di 10 euro a studente per il numero stimato di utenti potenziali, pari a 5.563, si ottiene un ricavo annuo di 55.630 euro. A questo punto, possiamo notare come il totale dei ricavi di gestione, pari a 251.838 euro/anno sia inferiore al totale dei costi di gestione annuali calcolati in precedenza. Tale considerazione potrebbe spingerci a pensare che l’investimento per il nuovo museo, non solo risulti poco conveniente, ma persino svantaggioso. Ecco che dobbiamo introdurre il tema dei contributi a fondo perduto. Ogni museo, sia pubblico che privato, riceve finanziamenti e donazioni da parte di varie istituzioni, che gli consentono di avere un bilancio positivo a fine anno. Senza tali contributi infatti, la quasi totalità dei musei italiani non avrebbe risorse sufficienti per coprire i costi di gestione e sarebbe così costretta ad interrompere l’erogazione dei servizi culturali. Per fare qualche esempio basato su dati concreti, precisiamo che il Polo dei Musei Reali di Torino spende ogni anno circa tre milioni di euro, ricavandone appena la metà. Anche il MAU ha un bilancio annuale negativo, dettato da 22.842 euro di ricavi a fronte di 25.577 euro di spese. Il Museo A come Ambiente, pur avendo bilancio positivo, presenta una differenza annuale tra ricavi e costi di appena 2.136 euro. A conferma che anche i musei privati funzionano grazie a tali contributi, dai dati sul MEF risulta un totale costi annui pari a circa 440.000 euro contro i soli 200.000 euro per i ricavi. Come spiega il direttore, il pareggio del bilancio è reso possibile dai contributi deliberati da: Regione Piemonte, Compagnia di San Paolo, Fondazione CRT ed eventuali sponsor privati. Se per il MEF la differenza annuale tra ricavi e costi, al net-

to di contributi a fondo perduto, è molto consistente (240.000 euro), per l’MCT è di soli 52.460 euro. Questo ci induce a pensare che, grazie ai contributi, non solo l’MCT potrebbe pareggiare il bilancio annuale ma riuscirebbe a coprire la grande spesa di investimento iniziale in un numero ragionevole di anni. I contributi a fondo perduto sono di due tipi: possono giungere nel momento iniziale per alleggerire il costo di realizzazione dell’opera (contributo iniziale) oppure essere deliberati annualmente per contribuire alle spese di gestione (contributi in esercizio). I due dati presenti in tabella (1.500.000 € - 550.000 €) non derivano da una stima della possibile incidenza di tali contributi ma rappresentano vere e proprie variabili del Piano Economico Finanziario. Infatti, l’obiettivo è quello di trovare le soglie minime che i contributi a fondo perduto devono raggiungere per far sì che l’operazione funzioni. Ritorneremo su questo punto alla fine del piano, quando analizzeremo i risultati finali. Consapevoli del fatto che un museo è un’opera a bassa redditività, il soggetto privato che intende realizzarlo non è mosso dal mero scopo di lucro ma contrappone finalità culturali e sociali, difficilmente traducibili in termini monetari. Una volta definiti tutti i dati di input possiamo passare alla costruzione del Piano Economico Finanziario (fig. 172 – fig. 173 – fig. 174). La prima operazione da eseguire è la distribuzione temporale dei ricavi stimati. Mentre il contributo iniziale a fondo perduto di 1.500.000 euro può essere collocato nell’anno 1, ovvero il secondo anno impiegato per la realizzazione dell’opera, tutti gli altri ricavi che abbiamo visto si presentano ogni anno a partire dal terzo, fino alla conclusione dell’investimento. Nella realtà l’andamento dei ricavi non sarà costante, oltre che per la loro variabilità intrinseca, a causa dell’inflazione. Come sappiamo, l’inflazione è un aumento progressivo del livello medio generale dei prezzi di beni e servizi, che genera una diminuzione progressiva del potere d’acquisto della moneta. Per tener conto di

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fig. 172 - Piano economico-finanziario, tabella da anno 0 ad anno 8 (parte I)

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fig. 173 - Piano economico-finanziario, tabella da anno 9 ad anno 17 (parte II)

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fig. 174 - Piano economico-finanziario, tabella da anno 18 ad anno 25 (parte III)

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questa variabile nel piano, si è fatto in modo di aumentare percentualmente sia costi che ricavi, ad intervalli temporali prestabiliti. Osservando l’indice dei prezzi FOI (indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati) sul sito web dell’Istat51, si può notare che dal 2013 al 2010 (base) c’è un incremento di 1,072%, nel 2014 di 1,074%, nel 2015 ancora 1,074% e nel 2016 si registra 0,999% rispetto alla nuova base del 2016. In sostanza, per ben quattro anni l’inflazione rimane pressochè costante. Nel piano si è immaginato di proseguire questo andamento, lasciando inalterato il valore dei ricavi per i primi 5 anni. Nei periodi successivi si è invece deciso di aumentare i valori con un’inflazione annuale dello 0,5% per 5 anni e poi dell’1% fino alla fine, adeguandoli però ogni 5 anni, attraverso la consueta formula di matematica finanziaria: k * (1 + i)n; dove k rappresenta il valore monetario dei 5 anni precedenti; i l’indice inflattivo; n il numero di anni, che in questo caso vale 5. Per quanto riguarda i costi invece, l’inflazione viene adeguata ogni anno, sempre a partire dall’anno 5. Nei cinque anni successivi cresce dello 0,5% annuo e infine, dall’anno 10 cresce dell’1% annuo fino alla fine del periodo. Proseguiamo ora nell’illustrazione delle voci contenute in tabella e nella loro distribuzione temporale. Una volta distribuiti tutti ricavi ed aggiustati per tener conto dell’inflazione, una riga della tabella (A) ne riporta la somma totale, calcolata anno per anno. Il blocco di voci successivo riguarda i costi di investimento, tra i quali per prima cosa vediamo l’investimento iniziale. Quest’ultimo è stato distribuito nei primi due anni che, come già accennato, riguardano la realizzazione dell’opera. Nell’anno 0 confluiscono: metà delle spese tecniche, metà del contributo per il rilascio del permesso di costruire, metà del costo di costruzione, metà oneri di sicurezza, metà dell’IVA sia al 10% che al 22% e l’intera spesa di acquisto del fabbricato. Nell’anno 1 invece troviamo la metà di tutte le altre spese 51 - http://www.istat.it/it/

rimanenti. Tra i tanti modi possibili di distribuire l’incidenza dell’investimento iniziale, è stato scelto di suddividerlo in due parti uguali, ad eccezione della spesa di acquisto del fabbricato, in modo da avere due porzioni abbastanza omogenee, consapevoli del fatto che quest’operazione non ha effetti rilevanti per il risultato del piano. La seconda voce di costo riguarda la manutenzione straordinaria, che si immagina di sostenere solo una volta, tutta insieme nell’anno 13. Il valore è stato aggiustato in base all’inflazione, passando da 148.564 euro a 158.500 euro. Tale costo di investimento per rinnovo dovrà essere sostenuto nuovamente dopo la fine dei 25 anni, entrando come costo di investimento iniziale per il gestore successivo. Abbiamo poi le sostituzioni dell’allestimento museale, ipotizzate sulla base della durata di vita utile dei vari beni. Di arredi e opere di allestimento si è deciso di sostituirne il 20% dopo 20 anni di gestione. Per i macchinari alimentari si è invece fatto il seguente ragionamento: un terzo di questi macchinari ha vita utile inferiore per cui va sostituito ogni 10 anni mentre gli altri due terzi durano 20 anni. In questo modo, nell’anno 11 troviamo la sostituzione del terzo “a vita breve” mentre nell’anno 21 abbiamo di nuovo la sostituzione del terzo “a vita breve” più quella dei due terzi “a vita lunga”. Il ragionamento è identico per gli elettrodomestici, mentre per gli apparecchi elettronici si complica ulteriormente a causa della loro breve durata. Qui abbiamo un terzo che si usura totalmente ogni 5 anni e due terzi da sostituire ogni 10. Alla fine dei 26 anni, gli apparecchi elettronici saranno sostituiti interamente tre volte. A questo punto, una riga della tabella (B) riporta la somma, periodo per periodo, dei costi di investimento. Il terzo blocco di voci contiene i costi di gestione, per i quali la distribuzione temporale risulta molto semplice: essi si ripresentano ogni anno con lo stesso valore, a meno degli incrementi percentuali dovuti all’inflazione. Un caso singolare è dato dalla manutenzione ordinaria (D) che si immagina non necessaria nel pri-

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mo anno dopo la fine dei lavori di trasformazione. Possiamo ora calcolare, anno per anno, il totale dei costi (riga E), sommando i costi di investimento, quelli di gestione e quelli per la manutenzione ordinaria. Possiamo poi inserire una riga con gli accantonamenti (fondo TFR) che si verificano in ogni periodo, dall’anno 2 al 25. Arriviamo così al primo dato significativo del Piano Economico Finanziario, cioè il “margine operativo lordo” (G). In ogni periodo temporale, è dato dal totale dei ricavi (A) meno il totale dei costi (E) meno gli accantonamenti (F). Dalla tabella emerge come solamente nei primi due anni (costruzione) i flussi di cassa siano negativi, a causa dell’alta incidenza dell’investimento iniziale. Vediamo ora il calcolo degli ammortamenti che ci permettono di definire il reddito operativo (I). L’ammortamento è un procedimento contabile con cui un investimento pluriennale viene suddiviso per la vita utile del bene. Il costo sostenuto per l’acquisto viene ripartito per il numero di anni in cui il bene sarà presumibilmente impiegato. I coefficienti di ammortamento sono stati estrapolati dalle tabelle ministeriali contenute nel D.M. 31 Dicembre 198852. Ad esempio, l’ammortamento degli apparecchi elettronici è calcolato considerando un coefficiente del 20%. Ciò significa che il bene, acquistato oggi, ha una durata teorica di 5 anni. Nella tabella del nostro piano vediamo allora che a partire dall’anno 2, abbiamo ogni anno per 5 anni, un ammortamento del 20% del costo totale degli apparecchi elettronici. La stesso concetto è utilizzato per l’ammortamento delle sostituzioni dei beni che compongono l’allestimento. Un caso particolare è rappresentato dall’ammortamento degli interventi edilizi. Dato che il coefficiente di ammortamento degli edifici è del 3%, ne risulta una durata teorica di 33 anni. Siccome la durata totale del nostro piano 52 - D.M. 31 dicembre 1988, Coefficienti di ammortamento del costo dei beni materiali strumentali impiegati nell’esercizio di attività commerciali, arti e professioni., G.U. n. 27 del 02/02/1989 s.o.

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di gestione risulta inferiore alla durata teorica degli interventi edili (26<33), il calcolo dell’ammortamento è stato fatto inserendo ogni anno un ventiseiesimo del loro costo totale. Infine, l’ammortamento della manutenzione straordinaria è calcolato a partire dall’anno nel quale si verifica (anno 13) fino alla fine, dividendo anno per anno il suo costo totale per il numero di anni nel quale si ripartisce (13 anni). Una volta definiti tutti gli ammortamenti possiamo calcolarne il valore totale (riga H) anno per anno, per poi calcolare il reddito operativo come differenza tra il margine operativo lordo e la somma degli ammortamenti (G-H). Si ottiene una riduzione dei flussi di cassa positivi e un incremento di quelli negativi. In effetti lo scopo del procedimento contabile appena descritto è di consentire un alleggerimento dell’imposizione fiscale, grazie alla riduzione della base imponibile nel calcolo delle imposte. Prima di occuparcene vediamo la determinazione degli oneri finanziari. Una delle ipotesi di base del piano è che una parte del capitale investito sia di proprietà del soggetto che attua la trasformazione mentre l’altra sia capitale da prestito. Per questo motivo si è immaginata l’apertura di una linea di credito a medio termine per il finanziamento della somma di denaro mancante. Si tratta di un finanziamento distribuito nel tempo, che prevede il ripristino della disponibilità con versamenti periodici. Per prima cosa occorre calcolare l’esposizione nei confronti dell’istituto di credito, ovvero la somma, periodo per periodo, dei debiti contratti. All’anno 0 essa è costituita dal 70% del reddito operativo. Ciò significa supporre che il capitale proprio valga il 30% (equity) mentre quello da prestito il rimanente 70% (debt). Nel periodo successivo (anno 1) l’esposizione sarà data dalla somma di: 70% del reddito operativo (debt); esposizione del periodo precedente; oneri su debito contratti. Dal terzo anno la formula rimane invariata, ma invece del 70% del reddito operativo si calcolerà il 100% di quel flusso di cassa. Per maggiore chiarezza, abbiamo una quota di debt pari


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a 2.534.736 euro, contro un equity di 1.086.315 euro. Sulla base dell’esposizione si calcolano gli interessi passivi da pagare alla banca per il prestito del capitale (oneri su debito) e gli interessi attivi ricevuti dalla banca per il deposito del capitale (interessi su credito). Gli interessi passivi si pagano, periodo per periodo, sull’esposizione complessiva nei confronti della banca nelle fasi iniziali dell’investimento (esposizione negativa) in base ad un tasso di interesse passivo stabilito nel contratto, che qui ipotizziamo come il 5% annuo. Come si nota dalla tabella, a partire dall’anno 12 l’esposizione diventa positiva per cui si interrompe il pagamento degli interessi passivi. Invece, gli interessi attivi si incassano periodo per periodo, sulle somme depositate nelle fasi finali dell’investimento (dopo la copertura del debito), in base ad un tasso di interesse attivo fissato nel contratto, che nel nostro caso vale 0,2% annuo. Dall’anno 12 inizieremo a percepire piccole somme di denaro, fino alla fine dell’investimento. Sempre tra gli oneri finanziari troviamo la redditività del capitale proprio. È una somma di denaro annuale costante che si ottiene moltiplicando il valore di equity per il costo del capitale proprio (kE). “[…] il costo del capitale proprio (Ce), solitamente quantificato utilizzando il modello del Capital Asset Pricing Model (CAPM), che stabilisce l’esistenza di una relazione lineare tra il rendimento atteso di un titolo e il premio per il rischio di mercato. Tale premio non è altro che la differenza tra il rendimento atteso del mercato e il rendimento di un’attività priva di rischio. Il CAPM determina così la maggiore o minore rischiosità dell’investimento in una determinata società quotata, rispetto alla rischiosità del mercato azionario nel suo complesso.” 53

La relazione che permette di calcolare il costo del capitale proprio è: kE = rf + β × (rm – rf) con:

53 - http://www.borsaitaliana.it/notizie/sotto-la-lente/costo-medio-ponderato139.htm

- rf = rendimento di un’attività priva di rischio; - β = sensitività del rendimento atteso dell’impresa (rischiosità sistematica); - rm – rf = premio per il rischio (market risk premium), ovvero la differenza tra il rendimento atteso del mercato e il rendimento di un’attività priva di rischio. Non avendo a disposizione un sufficiente livello di dettaglio per poter determinare il costo del capitale proprio attraverso tale metodo, si ricorre ad una semplificazione accettabile: kE è dato dalla somma del rendimento a rischio nullo e di un premio al rischio minimo, che possiamo ipotizzare come l’1%. La gestione di un’opera ad alta redditività avrebbe richiesto molto più di un solo punto percentuale come premio per la rischiosità dell’investimento, ma dobbiamo ricordare che lo scopo di realizzazione del museo non mira alla massimizzazione del profitto. Il rendimento a rischio nullo è stato determinato facendo riferimento alle quotazioni dei BTP italiani (buoni del tesoro poliennali)54. Sono stati ricercati gli investimenti in titoli di stato, a rischio nullo, di pari durata rispetto al nostro investimento. Quest’ultimo, avendo durata complessiva di 26 anni, dovrebbe terminare nel 2043, ma siccome non sono attualmente presenti BTP con identica durata, è stata fatta una media tra quattro quotazioni con scadenze simili: 5% (2040); 2,55% (2041); 3,25% (2046); 2,7% (2047). Si ottiene così un rendimento risk free di 3,38% e di conseguenza un costo del capitale proprio pari a 4,48%. Ritornando alla tabella del Piano Economico Finanziario, possiamo completare la riga corrispondente alla redditività del capitale proprio inserendo ogni anno una somma di denaro pari a 45.526 euro. Nella riga successiva troviamo la somma totale degli oneri finanziari (L) e in quella ancora dopo l’utile ante imposte (M), dato dalla differenza, periodo 54 - http://www.borsaitaliana.it/borsa/obbligazioni/mot/btp/lista.html

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per periodo, tra reddito operativo e oneri finanziari (I-L). A questo punto non resta che calcolare le imposte presunte, ovvero IRES (imposta sul reddito delle società) e IRAP (imposta regionale sulle attività produttive). La prima è un’imposta proporzionale e personale, con aliquota pari al 27,5%. Applichiamo tale aliquota all’utile ante imposte, considerando la possibilità di scomputo delle perdite pregresse. Ciò significa che l’importo da pagare risulta nullo finché l’imponibile IRES non diventa positivo. Il primo anno l’imponibile coincide con il primo flusso di cassa ante tasse, mentre dal secondo anno in poi è dato dalla somma tra l’imponibile del periodo precedente e il flusso di cassa del periodo considerato. Solamente nel momento in cui i flussi di cassa ante tasse cambiano di segno, diventando positivi, inizia una graduale riduzione dell’imponibile. Quando quest’ultimo diventa positivo iniziamo a pagare l’imposta e la base imponibile è data semplicemente dal flusso di cassa ante tasse di quel periodo. Tuttavia, dato che l’investimento iniziale consistente fa fatica ad essere azzerato da flussi limitatamente positivi, teniamo l’ipotesi cautelativa che le perdite pregresse non recuperate oltre i 5 anni vadano perse. In questo modo si inizia a pagare l’imposta a partire dal sesto anno. Senza tale ipotesi avremmo scontato le perdite pregresse per un periodo di tempo troppo grande, iniziando a pagare l’imposta dopo il quattordicesimo anno. Per quanto riguarda invece l’IRAP, si applica un’aliquota del 3,9%, utilizzando come base imponibile il totale dei ricavi di un periodo al netto dei costi sostenuti. Siccome alcune spese, come ad esempio il costo del personale, gli interessi passivi ecc., non sono deducibili, stimiamo l’imponibile in maniera semplificata dicendo che è dato dalla differenza tra i ricavi del periodo considerato e il 70% dei costi dello stesso periodo. Nel nostro caso iniziamo a pagare l’imposta a partire dal secondo anno, dato che l’imponibile diventa immediatamente positivo. A questo punto possiamo sommare le imposte, ottenendo

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in tabella la riga denominata “totale imposte presunte” (N). Per ottenere l’utile netto occorre semplicemente sottrarre all’utile ante imposte, periodo per periodo, il totale delle imposte presunte. L’ultima operazione sui flussi di cassa riguarda la determinazione del margine operativo netto (MON). Si ottiene sommando l’utile netto e gli ammortamenti calcolati in precedenza. In effetti gli ammortamenti contribuiscono alla definizione del reddito operativo ma non rappresentano una vera e propria uscita di cassa, per cui occorre aggiungerli nuovamente al termine del piano. Arriviamo finalmente ai risultati del Piano Economico Finanziario (fig. 175). Per prima cosa possiamo calcolare i due indicatori di redditività: VAN e TIR. Il “valore attuale netto” (VAN) è l’incremento di ricchezza, valutato al momento iniziale, che l’operatore realizza grazie all’investimento. Rappresenta la somma attualizzata dei flussi di cassa, che in questo caso coincidono con il margine operativo netto (MON). Il saggio di sconto da utilizzare è pari al rendimento netto di un investimento a rischio nullo di pari durata temporale, che come abbiamo visto in precedenza vale 3,38%. Il primo aspetto da verificare è che il VAN si maggiore di 0: nel nostro caso si ottiene un valore di 1.392.108 euro. Per verificare la convenienza dell’investimento possiamo anzitutto confrontare il primo indicatore di redditività ottenuto con la quota di capitale proprio. Se “VAN > Equity” (come nel nostro caso) significa che l’incremento di ricchezza generato dall’investimento è almeno pari alla quota di capitale proprio investita. Ciò non basta, occorre calcolare il secondo indicatore di redditività, cioè il “tasso di rendimento interno” (TIR). Esso misura la redditività del capitale investito. Dal punto di vista del calcolo, è quel tasso di sconto che annulla il VAN, cioè rende equivalenti i flussi positivi e negativi. Si impone “VAN=0” e si trova il tasso di sconto corrispondente. Otteniamo così un TIR pari a 6,3%, che andiamo a confrontare con la soglia di accettabilità, dopo averla definita. Essa è la redditività minima


Fabrizio Trimboli

fig. 175 - Piano economico-finanziario, risultati

che l’operatore si attende dall’investimento. Nel caso di un PEF, data l’ipotesi di base secondo cui la somma investita è in parte capitale proprio e in parte capitale da debito, ci saranno diverse redditività attese. Per questo motivo la soglia di accettabilità dell’investimento coincide con la media ponderata tra il costo del capitale proprio e il costo del debito. Tale media ponderata si esprime attraverso il WACC (Weighted Average Cost of Capital), ovvero il tasso di rendimento minimo che un fornitore di risorse richiede come compensazione per il proprio contributo di capitale, calcolabile con la seguente espressione: WACC= kE x (E/D+E) + kD x (1-t) x (D/ D+E) con: kE= costo del capitale proprio; kD= costo dell’indebitamento; t= aliquota fiscale sulle imposte sui redditi; E= capitale proprio (equity); D= indebitamento (debt). Va ancora precisato che il costo dell’indebitamento coincide con il tasso di interesse passivo della linea di credito a medio termine (5%) e che l’aliquota fiscale sulle imposte sui redditi equivale all’aliquota IRES (27,5%). Si ottiene un WACC pari a 3,85%. Infine, occorre verificare che il TIR sia maggiore del WACC affinché l’operazione funzioni. Nel nostro caso abbiamo “6,3% > 3,85%” per cui la redditività del capitale investito supera la redditività minima che l’operatore si attende dall’investimento.

Possiamo pertanto concludere che: l’investimento da parte del soggetto privato per la realizzazione dell’MCT e per la sua gestione venticinquennale, genera un incremento di ricchezza accettabile rispetto agli scopi prefissati e il capitale investito rende più del minimo richiesto dallo stesso soggetto per aver rischiato il proprio capitale. Ciò risulta corretto a patto che tutte le ipotesi di base siano soddisfatte e che le due variabili “contributo iniziale a fondo perduto” e “contributi in esercizio” presentino i valori minimi fissati: rispettivamente 1.500.000 euro e 550.000 euro/anno. Nel caso non fosse possibile ricevere contributi con tale entità minima, l’investimento non risulterebbe conveniente. Il VAN sarebbe minore dell’equity o addirittura negativo, mentre il TIR sarebbe inferiore alla soglia di accettabilità. A verifica della correttezza dell’ordine di grandezza dei due valori impostati, riportiamo qui il valore dei contributi deliberati annualmente in favore del Museo di Arte Contemporanea di Rivoli. Il totale dei proventi per l’anno 2015 è stato di 3.702.973 euro mentre per il 2016 ammonta a 4.069.179 euro. Anche se le differenze tra il museo di Rivoli e l’MCT sono molte, possiamo intuire come l’ottenimento di 550.000 euro ogni anno non rappresenti una soglia impossibile da raggiungere.

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6.0 - Conclusioni


Fabrizio Trimboli

CONCLUSIONI

Come abbiamo visto nel corso della presente trattazione, il progetto per il Museo del Cioccolato di Torino tocca tutta una serie di temi che vanno dall’inquadramento urbano fino alla verifica della convenienza dell’investimento per il soggetto che intende realizzarlo. L’obiettivo primario è quello di mostrare un potenziale scenario di trasformazione per uno dei tanti “contenitori” ereditati dal secolo dell’industria. Data la vastità di tale patrimonio, con particolare riferimento alla città di Torino, il progetto vuol configurarsi come possibile caso per un suo recupero coerente, con la consapevolezza di dover adattare di volta in volta le tecniche di progetto in base a luogo, fabbricato, condizioni sociali, economiche, politiche e a tutte le altre variabili che entrano necessariamente in gioco. Se la scelta della destinazione d’uso rappresenta un dato di partenza, dettato dalla committenza privata, tutto ciò che ne deriva nasce come risposta concreta ad uno specifico problema, affrontato imbrigliando le tecniche più moderne del progetto di architettura. Aspetto fondamentale che si pone alla base di tutte le fasi di progetto è la multidisciplinarità. Il processo vede infatti vari contributi, più o meno approfonditi, tra cui quello dell’allestimento museale, la composizione architettonica, l’interior design, le discipline estimative e di valutazione economica, oltre a vari cenni sugli aspetti strutturali, impiantistici e di illuminotecnica. Anche se il livello di dettaglio non raggiunge la fase esecutiva di cantiere, il progetto contiene tutti i presupposti per un possibile approfondimento. Il fatto di aver affiancato alla rappresentazione grafica un corposo apparato di calcolo, consente di verificare in ogni momento la coerenza e la fattibilità del progetto. Oltre alla definizione degli aspetti economici, tale documentazione di supporto consente la precisa individuazione di tutte le caratteristiche dimensionali del progetto ma soprattutto la quantificazione dei materiali interessati dalla trasformazione. Questo sforzo aggiuntivo va in dire-

zione di una maggiore sostenibilità dei processi costruttivi. L’intento è quello di confezionare un prodotto architettonico concretamente realizzabile in riferimento all’attualità del settore edilizio torinese, cercando di utilizzare quanto più possibile le tecniche e i materiali del progetto sostenibile. Si è deciso di non eccedere in tal senso, in modo da non generare un semplice esercizio progettuale, destinato a rimanere sul piano ideale. Il confronto con le discipline economiche rappresenta dunque uno strumento efficace per mantenere il progetto ancorato alla realtà o meglio, alle reali caratteristiche che questo assumerà nel mercato immobiliare locale. Potremmo sintetizzare il lavoro svolto nel seguente modo: un soggetto privato ha richiesto un progetto di recupero e rifunzionalizzazione di un ex fabbricato industriale, fissando la generica destinazione museale. Per prima cosa è stato definito il tipo di museo. In seguito sono stati definiti i contenuti e disegnati gli spazi tenendo conto tanto del contenitore esistente, quanto della comunicazione operata attraverso l’allestimento. Sono stati presentati i processi di gestione dei rifiuti da demolizione e le caratteristiche dei nuovi materiali inseriti. In seguito è stato comunicato il costo dell’investimento necessario per operare la trasformazione; costo che deriva da una continua verifica/ modifica delle scelte progettuali. Infine è stata messa sul tavolo del committente la valutazione di un ipotetico piano di gestione pluriennale, mettendolo così al corrente delle implicazioni economico-finanziarie connesse alla decisione di effettuare l’investimento. Si tratterà dunque di un investimento a bassa redditività che avrà bisogno di finanziamenti pubblici affinchè risulti economicamente sostenibile. Pur presentando alcune inevitabili semplificazioni, il risultato finale del processo descritto rappresenta un prodotto completo in grado di rispondere in maniera approfondita alle richieste preliminari iniziali.

151


MCT - il Museo del Cioccolato di Torino - uno Scenario Post-Industriale per Barriera di Milano

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Fabrizio Trimboli

Ringraziamenti Desidero ringraziare tutte le persone che in maniera più o meno diretta hanno contribuito allo svolgimento di questa tesi di laurea magistrale. In particolare, ringrazio la Prof.ssa Manuela Rebaudengo per la pazienza, la gentilezza e la disponibilità dimostrate, per le conoscenze e le competenze che è stata in grado di trasmettermi e per la passione con cui affronta l’arduo compito dell’insegnamento. Ringrazio la Prof.ssa Valeria Minucciani per i preziosi consigli a proposito di aspetti progettuali e grafici, per l’avermi spronato di volta in volta a non accontentarmi dell’esito e nell’avermi trasmesso tecniche e metodi del suo modo di operare nel campo dell’architettura. Un pensiero speciale va alla mia famiglia e in particolar modo ai miei genitori Concetta Donato e Cosimo Trimboli, senza i quali non avrei potuto raggiungere tale traguardo. Meritano il maggiore dei ringraziamenti per l’enorme supporto offerto in questi cinque anni di studio, per la fiducia dimostrata nei miei confronti e per la possibilità concreta di raggiungimento dell’obiettivo. Grazie di cuore a Valeria Gioda per il delicato ruolo di compagna in questo difficile percorso, per il sostegno emotivo costante, l’incoraggiamento e le efficaci osservazioni critiche su buona parte del lavoro svolto. Grazie a Cristiano Tosco per essere stato un buon amico e compagno di studi insostituibile, per aver contribuito in modo sostanziale alla mia formazione e per la tenacia e la passione impiegate nel raggiungimento dei nostri obiettivi. Ringrazio il Prof. Franco Rivero per aver rivestito il ruolo di primo vero maestro ma soprattutto per avermi fatto scoprire ed amare il mondo dell’architettura. Un grazie agli amici del pampurio per la presenza costante e i momenti di svago passati insieme. Grazie a Davide Leoni per il supporto, i buoni consigli e il piacevole interesse mostrato per il lavoro. Desidero inoltre ringraziare l’architetto Alex Cepernich per l’aiuto fornito nello svolgimento della tesi e per il contributo offerto in termini di formazione professionale. Infine, si ringraziano: Marco Tilelli per i dati sul Museo di Arte Contemporanea del Castello di Rivoli; Gaetano Di Marino per le informazioni sui Musei Reali di Torino; Andrea Busto e tutto lo staff del Museo Ettore Fico per disponibilità e collaborazione.

155


Allegati


COLLOCAZIONE URBANA

BASE: CARTA DELLE CIRCOSCRIZIONI DI TORINO RIELABORAZIONE GRAFICA

-

(SCALA NOMINALE 1:25.000)

VIABILITÀ

BASE: CARTA TECNICA DI TORINO

FONTE: HTTP://WWW.COMUNE.TORINO.IT/GEOPORTALE/

RIELABORAZIONE GRAFICA

-

(SCALA NOMINALE 1:5.000) -

SCALA

1:20.000

BASE: CARTA TECNICA DI TORINO

FONTE: HTTP://WWW.COMUNE.TORINO.IT/GEOPORTALE/

RIELABORAZIONE GRAFICA

- SETTIMO T.SE - A4

TESSUTO

(SCALA NOMINALE 1:5.000) -

SCALA

SERVIZI

1:20.000

E

ATTREZZATURE DI QUARTIERE

BASE: CARTA TECNICA DI TORINO

FONTE: HTTP://WWW.COMUNE.TORINO.IT/GEOPORTALE/

RIELABORAZIONE GRAFICA

RA RU ST

RA RU ST

RACCORDO AUTOSTRADALE TORINO - CASELLE

-

-

(SCALA NOMINALE 1:1.000) -

SCALA

1:2.000

FONTE: HTTP://WWW.COMUNE.TORINO.IT/GEOPORTALE/

ZO

ZO

N

N

A IL D

A IL D

PARCO AURELIO PECCEI

LLI

CE

SO

COR

5

VER

DOCKS DORA

6

4 1

3

7 REBAUDENGO

8

CORSO GROS

SETO

2

BORGO VITTORIA

(SCALA NOMINALE 1:5.000)

SCUOLE PUBBLICHE

CES

FONTE: HTTP://WWW.COMUNE.TORINO.IT/GEOPORTALE/

AR E

PRG

BASE: TAVOLA N°1 AZZONAMENTO

MCT

- S. MAURO T.SE - SETTIMO T.SE

STAZIONE TORINO REBAUDNGO FOSSATA LIO

TAVOLA 2.0

GAGLIARDI ART SYSTEM

RS

O

GIU

280 m

0

BARRIERA DI MILANO

NA

CO

STAZIONE DORA

PARCO DORA

SC O

CIG

URBAN BARRIERA

FR

O

NE

RS

CO

AN CE

LINEE BUS

INC IP

E

IA BR

OD

VIA

DO

UM

OPEN INCET

PR

CORSO PALERMO

O RS

CO DELLA

CITTÀ

DI

DEL

1996

TORINO, SEZIONE EDILIZIA PRIVATA - PIAZZA SAN GIOVANNI N°5

VIA

VALPRATO

B

D

14 m

A

VIA

0

FO

COMPLESSO INDUSTRIALE S.I.C.M.E.

L’ISOLATO S.I.C.M.E.

MCT VIA

GOLDER ASSOCIATES “ENGINEERING EARTH'S DEVELOPMENT. PRESERVING EARTH'S INTEGRITY”

VISTA A VOLO D’UCCELLO DELL’AREA DI INTERVENTO - BASE FOTOGRAFICA DA: GOOGLE EARTH PRO

A. BAN

DEL

ARCHIVIO EDILIZIO

ALLO

STATO ATTUALE

LIRA S.R.L.

GAGLIARDI ART SYSTEM

CARMA S.R.L.

AZIENDA INFORMATICA

GALLERIA ESPOSITIVA DI PIETRO

STUDIO DI ARCHITETTURA

GAGLIARDI E CHRISTIAN DOMKE

CERVINO

DREAM S.R.L.

NISSAN AUTO S.P.A.

NEGOZIO

CONCESSIONARIO VEICOLI

A - FOTOGRAFIA SU VIA F. CIGNA (N°114) - 2010

B - FOTOGRAFIA SU

FONTE:

FONTE:

ARCHIVIO EDILIZIO

DELLA

CITTÀ

DI

TORINO, SEZIONE EDILIZIA PRIVATA - PIAZZA SAN GIOVANNI N°5

VIA

ARCHIVIO EDILIZIO

ATTIVITÀ COMMERCIALI AL DETTAGLIO

AREA MERCATALE

COMMERCIALI E CAPANNONI

VIA

FONTE:

A

-

EDIFICI INDUSTRIALI,

MORFOLOGIA DEL CONTESTO URBANO C

IGN

F. CIGNA

PASSATO

F. C

SU VIA

RIELABORAZIONE GRAFICA

AURORA

VIABILITÀ AUTOMOBILISTICA

IA

PROSPETTO

NEL

MAGGIORI ATTIVITÀ COMMERCIALI AR RIP

IA

CENTRO

L’ISOLATO S.I.C.M.E.

LINEE FERROVIARIE

RA

AR RIP

RIT A

DO

HE

A

RG

SUPERMARKET R VA

MA

RA

A

NO

GIN

DO

RE

AREE VERDI PUBBLICHE

O

O

46 / 49 / 77

FERMATE TRASPORTI PUBBLICI

RS

RS

STAZIONE CARABINIERI

CO

CO

DONATO

46

LINEE BUS

PARCHEGGI PUBBLICI

CIRCOLO ARCI

SAN

50 / 51

LINEA BUS

F. CIGNA (N°114) - 2006

DELLA

CITTÀ

DI

TORINO, SEZIONE EDILIZIA PRIVATA - PIAZZA SAN GIOVANNI N°5

BIJOUXCREA

CENTRO INFINITI TORINO CONCESSIONARIO VEICOLI

NEGOZIO MCT

MUSEO ETTORE FICO

MOSTRE, EVENTI, AREA EDUCATIVA

VI

MEF

LA CITTÀ INDUSTRIALE

LA CITTÀ CONSOLIDATA

15.135 m

3

50.508 m3

RV IN

CE

F. CIGNA (N°116) - 1955

3

D - FOTOGRAFIA DEL COMPLESSO EX S.I.C.M.E. - 2012

VIA

VIA

FONTE: HTTP://WWW.MUSEOFICO.IT/MUSEO/STORIA/

NEGOZIO

NA

COMMERCIALE

ALTRO

C - FOTOGRAFIA SU

LO SCARABEO S.R.L.

IG

MCT

2.447 m

F. C

O

LA CITTÀ FUTURA

A

15.816 m3

FONTE: HTTP://WWW.MUSEOFICO.IT/MUSEO/STORIA/

TERZIARIO

51.040 m3

ISOLATO DI PROGETTO - RICOSTRUZIONE SCHEMATICA TRIDIMENSIONALE DELL’ISOLATO OGGETTO DI INTERVENTO CON INDICAZIONE DELLE PRINCIPALI DESTINAZIONI D’USO PRESENTI E LORO QUANTIFICAZIONE IN TERMINI DI VOLUME LORDO DI COSTRUITO. SI RIPORTANO INOLTRE I NOMI DELLE MAGGIORI ATTIVITÀ ATTUALMENTE INSEDIATE. LE RAGIONI DELLA COMPLESSITÀ MORFOLOGICA DELL’ISOLATO SONO DA RICERCARSI NELLA SERIE DI NUMEROSE TRASFORMAZIONI AVVENUTE NEL CORSO DEL

‘900, COME PASSAGGI DI PROPRIETÀ, FRAZIONAMENTI, PERMUTE, DEMOLIZIONI

DI PORZIONI EDIFICATE E NUOVE COSTRUZIONI. ATTRAVERSO LE PRATICHE CONSERVATE PRESSO L’ARCHIVIO EDILIZIO DEL COMUNE DI TORINO NON SAREBBE DIFFICILE TRACCIARE LA STORIA DEL SUSSEGUIRSI DI TALI CAMBIAMENTI MA CIÒ ESULEREBBE DALLO SCOPO DELLA PRESENTE RICERCA. SI RICORDANO INVECE QUATTRO MOMENTI CHE HANNO CONTRIBUITO IN MODO SIGNIFICATIVO A PLASMARME LE VOLUMETRIE CHE OGGI POSSIAMO VEDERE:

-

IL NUOVO STABILIMENTO I.N.C.E.T.

- L’ACQUISTO -

(INDUSTRIA

NAZIONALE CAVI ELETTRICI TORINO) DISEGNATO DALL’INGEGNER ALDO MARINI NEL

DELLO STABLIMENTO DA PARTE DELLA S.I.C.M.E.

IL FALLIMENTO DELLA SOCIETÀ NEL

2004

(SOCIETÀ

1955;

INDUSTRIALE COSTRUZIONI MECCANICHE ED ELETTRICHE) NEL

1965

CHE HA LASCIATO NUMEROSI SPAZI DISMESSI TRA CUI QUELLI OGGETTO DI INTERVENTO, CHE DAL

E IL GRANDE AMPLIAMENTO NEL

2010

AL

2015

1968;

È STATO OCCUPATO DALLA WOLMER S.R.L.

(RIVENDITA

DI TAPPETI E TESSUTI);

- IL PROGETTO REALIZZATO DAL 2009 AL 2014 PER IL NUOVO MUSEO DEDICATO AL PITTORE PIEMONTESE ETTORE FICO, SU IDEAZIONE DI ANDREA BUSTO (ATTUALE DIRETTORE M.E.F.) E ALEX CEPERNICH (ARCHITETTO PROGETTISTA), CHE HA CONVERTITO UN LUOGO DA SEMPRE DESTINATO ALL’INDUSTRIA IN UNO SPAZIO PER LA CULTURA APERTO A TUTTI.

TAV.

1.0

POLITECNICO DI TORINO A.A. 2017-2018 CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN ARCHITETTURA PER IL PROGETTO SOSTENIBILE

INQUADRAMENTO URBANO MCT- IL MUSEO DEL CIOCCOLATO

DI

TORINO: UNO SCENARIO POST-INDUSTRIALE PER BARRIERA

DI

MILANO

TESI DI LAUREA MAGISTRALE - CLASSE LM-4 RELATORE: PROF.SSA MANUELA REBAUDENGO CORRELATORE: PROF.SSA VALERIA MINUCCIANI

LAUREANDO: FABRIZIO TRIMBOLI


SPACCATO PROSPETTICO - PIANO TERRA (LIVELLO 0)

Sezione BB' - Scala 1:200 2.64 8.10

5.96

5.17

3.28 6.23

5.49 7.33

2.52

+0.00

ALTRA PROPRIETA' 6.87

CORTILE INTERNO 1.40

9.87

4.73

A'

CORTILE INTERNO 9.37

1.64

+0.00

CENTRALE TERMICA

1.61

CONSUMAZIONE

6.67

13.59

2.16

22.9 0

4.66

6.99

NCE

7.36

CONSUMAZIONE 5.56

3.31

6.84

ALTRA PROPRIETA'

4.27

5.49

FRA

C.T. 3.34 WC

4.27

ingresso BAR

VIA

SPOGLIAT. 3.30

4.79

NA CIG

6.14

5.12

SCO

FOTOGRAFIA A - 25/07/16

CUCINA

4.69

1.26

2.44

SUPPORTO CUC.

3.10

22.76

5.40

3.82

WC

1.03

5.43 2.70

1.81

1.26

1.10

3.50

4.97

8.57

6.12

2.23

45.58

Ripostiglio 9 m²

2.40

Locale Tecnico 9 m² 3.56

9.23

9.18

8.54

3.88

A

5.13 3.13

B'

0.85 5.47

2.21 5.43

4.91 3.32

30.87

CONFERENZE

10.54

ESPOSITIVO

2.24

1.34

4.81

1.32

2.16

7.93

LOCALE TECNICO QUADRI E.

11.46

1.44

+0.00

7.04

6.11

7.16

1.35

BOOK SHOP PT

7.00

ESPOSITIVO

+6.50

7.00

ESPOSITIVO

2.52

7.00

ESPOSITIVO

CATERING

MAGAZZINO

9.01

12.42

8.80

7.04

1.20

2.23

6.33

10.80

2.06

ESPOSITIVO

3.13

+0.00

+0.00 50.09

1.82

6.54

5.80

18.10

2.51

3.26

INGRESSO UFFICI

B

66.61

4.53

1.10

10.36

10.63

2.64

10.29

20.18

B

3.93

Stoccaggio e lavorazione materiali 1624 m²

WC 3 m²

+0.00

21.62

10.57

18.98

2.83

10.26

+0.00

5.42

8.22 66.56

Antib. 5 m²

5.17

2.30

3.28

3.22

2.09

1.20

10.90

7.73

+1.73

3.05

1.68

2.20

Magazzino 159 m²

9.43

ALTRA PROPRIETA'

1.38

+3.47

19.29

ALTRA PROPRIETA'

ALTRA PROPRIETA'

18.50

+0.00

3.01

3.05

2.00 3.90

1.12

3.68

11.48

TAV.

2.0

A

Altre proprietà

MCT- IL MUSEO DEL CIOCCOLATO DI TORINO: UNO SCENARIO POST-INDUSTRIALE PER BARRIERA

Aree di pertinenza del Museo Ettore Fico

POLITECNICO DI TORINO CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN ARCHITETTURA PER

RESTITUZIONE STATO DI FATTO DI

MILANO

3.17

4.93

2.00 3.90

3.01

4.80 4.85

1.94

5.37

VIA CERVINO

2.97

8.70

7.60

2.60

7.49

Pianta Livello 0 - Scala 1:200

+3.47

11.89

Disimpegno 24 m²

0.81

5.67

2.09

9.66

1.69

4.39

4.59

1.88

Antibagno 7 m²

8.88

IL

TESI DI LAUREA MAGISTRALE - CLASSE LM-4 RELATORE: PROF.SSA MANUELA REBAUDENGO CORRELATORE: PROF.SSA VALERIA MINUCCIANI

A.A. 2017-2018 PROGETTO SOSTENIBILE LAUREANDO: FABRIZIO TRIMBOLI

4.02

1.70

Sezione AA' - Scala 1:200

+0.00

2.68

Laboratorio 14 m²

Ufficio 27 m²

WC 4 m²

Locale Tecnico 7 m²

9.74

5.92

10.71

3.28

4.86 3.13

4.82

1.43

0

9.46

FOTOGRAFIA B - 18/07/17

Laboratorio 59 m²

7.76

1.87

4.20

Laboratorio 22 m²

2.11

5.67 5.48

6.95

17.2

4.81 3.13

2.46

2.40

Cassa 18 m²

1.86

23.9

3

19.59


SPACCATO PROSPETTICO - PIANO PRIMO (LIVELLO +1)

6.87

UFFICIO

10.05

3.31

3.80

UFFICIO

2.07

WC

TERRAZZA

3.38

UFFICIO

2.81

3.02

DIS.

UFFICIO

ALTRA PROPRIETA'

C'

2.26

3.60

5.65

4.92

9.96

7.22

MEZZANINO

BOOKSHOP

22.01

+3.20

+0.00

ESPOSITIVO 10.38

VUOTO SU P.T. 10.54

NA

3.50

4.97

SCO FRA

NCE

+0.00

6.12 +6.50

CIG

8.57

VIA

FOTOGRAFIA A - 25/07/16

8.22 3.28

2.41

1.67

1.30

Spogliatoio 8 m²

Spogliatoio 8 m²

3.15

3.12

+3.15

3.67

1.79

Antib. 6 m²

1.11

1.64

Antib. 6 m²

+0.00

+3.63

1.64

D

3.47

Dis. 8 m²

4.73

13.77

+0.00

+3.15

Laboratorio 135 m²

D

2.83

+3.15

10.65

12.27

+0.00

1.34

1.79

B

2.69

1.26

5.17

3.22 2.74

2.70

Dis. 14 m²

+3.47

1.20

1.68

10.94

7.80

ALTRA PROPRIETA'

ALTRA PROPRIETA'

21.54

10.94

ALTRA PROPRIETA'

14.21

5.18

A

4.80 4.85

+0.00

Pianta Livello +1 - Scala 1:200

2.00 3.90

VIA CERVINO

C

5.31

2.00 3.90

FOTOGRAFIA B - 25/07/16

Altre proprietà

Aree di pertinenza del Museo Ettore Fico

ALTRA PROPRIETA'

10.48

2.86

2.52

3.28

2.64

5.87 2.70

3.28

3.28

+3.75

+3.15

6.17

7.09

3.02

+6.50

+0.00

Sezione DD' - Scala 1:200

TAV.

2.1

POLITECNICO DI TORINO CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN ARCHITETTURA PER

RESTITUZIONE STATO DI FATTO MCT- IL MUSEO DEL CIOCCOLATO DI TORINO: UNO SCENARIO POST-INDUSTRIALE PER BARRIERA

DI

MILANO

IL

TESI DI LAUREA MAGISTRALE - CLASSE LM-4 RELATORE: PROF.SSA MANUELA REBAUDENGO CORRELATORE: PROF.SSA VALERIA MINUCCIANI

A.A. 2017-2018 PROGETTO SOSTENIBILE LAUREANDO: FABRIZIO TRIMBOLI

Sezione CC' - Scala 1:200

Magazzino 151 m²


FOTOGRAFIA A - 25/07/16

VISTA PROSPETTICA COMPLESSIVA - COPERTURA (LIVELLO +2)

ALTRA PROPRIETA'

2.16

4.34

NA

VUOTO SU P.T.

+6.50

TERRAZZA +6.50

CIG

10.80

ESPOSITIVO

9.15

10.06

10.66

6.08

2.93

11.13

SALA VIDEO

+0.00

66.13

10.67

13.99

FOTOGRAFIA C - 25/07/16

+6.50

78.26

3.99

FOTOGRAFIA B - 25/07/16

10.61

3.99

VIA

FRA

NCE

SCO

A

21.64

C

B

3.22 4.39

10.64

0.80 1.20

1.18

1.10 0.80 1.00 0.80

1.00 0.80

66.78

3.99

Locale Tecnico 5 m²

6.56

2.84

1.84 19.40

3.99

0.70 0.76

2.68

3.28

Terrazza 9 m²

+6.50

Pianta Livello +2 - Scala 1:200

Prospetto Sud - Scala 1:100

TAV.

2.2

VIA CERVINO

Aree di pertinenza del Museo Ettore Fico

Altre proprietà

Prospetto Ovest - Scala 1:100

POLITECNICO DI TORINO CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN ARCHITETTURA PER

RESTITUZIONE STATO DI FATTO MCT- IL MUSEO DEL CIOCCOLATO DI TORINO: UNO SCENARIO POST-INDUSTRIALE PER BARRIERA

DI

MILANO

IL

TESI DI LAUREA MAGISTRALE - CLASSE LM-4 RELATORE: PROF.SSA MANUELA REBAUDENGO CORRELATORE: PROF.SSA VALERIA MINUCCIANI

A.A. 2017-2018 PROGETTO SOSTENIBILE LAUREANDO: FABRIZIO TRIMBOLI


METAPROGETTO

DEL

PERCORSO ESPOSITIVO

INGRESSO

ATRIO /

MEF

RECEPTION

VERSO MEF

MEF ATRIO /

INGRESSO

INTRODUZIONE

RECEPTION

MCT

AL TEMA

MCT

ESPOSIZIONE:

APPROFONDIMENTO:

FOCUS SU

SCULTURA

TORINO

(ATTESA)

TERRAZZA MEF

AREA

SALA

DIDATTICA

DEGUSTAZIONE

CLIMAX

LABORATORIO

ESPOSIZIONE:

EVENTUALE

TERRAZZA

(ATTIVITA’)

PITTURA

MOSTRA A TEMA

(CONCLUSIONE)

APPROFONDIMENTO NEGOZIO

SERVIZI / GUARDAROBA

CINEMA / TELEVISIONE (PAUSA)

LOCALE TECNICO QUADRI E.

S RIFLESSIONE

COLLEGAMENTO CON PIANO SUPERIORE

IL

AREA DIDATTICA

PERCORSO ESPOSITIVO

PRIMI SCHIZZI DI PROGETTO

SALA DEGUSTAZIONE

PERCORSO NEGOZIO DIMOSTRAZIONI DI MAESTRI ARTIGIANI

SCULTURA

RECEPTION E

PIANO TERRA (LIVELLO 0)

COLLEGAMENTO

S

PIANO PRIMO (LIVELLO +1)

MEF

ATRIO NEGOZIO

BLOCCO SERVIZI

STORIA CACAO E CIOCCOLATO IL

FACTORY TOUR TORINO E CIOCCOLATO

SPAZIO FLESSIBILE PER EVENTI E MOSTRE TEMPORANEE

GALLERIA ESPOSITIVA: PITTURA

Pianta Livello 0 - Scala 1:200 DEGUSTAZIONE

MULTIMEDIALE: CINEMA E TV

UFFICI GESTIONE

GIANDUIOTTO INTERATTIVO MAGAZZINO

COPERTURA (LIVELLO +2)

TERRAZZA E COLLEGAMENTO

MEF

MCT CORPO CENTRALE: SEMITRASPARENZA

MEF

CORPI LATERALI: OPACITÀ

BLOCCO DISTRIBUTIVO

S

COLLEGAMENTO CON PIANO SUPERIORE

IL

I

COLLEGAMENTO CON PIANO INFERIORE

IL

PERCORSO ESPOSITIVO

PROSPETTO

SU VIA

F. CIGNA

INGRESSO: TRASPARENZA

I

INCLINAZIONE SHED VERSO MOSTRE TEMPORANEE

SPACCATI PROSPETTICI DEL PROGETTO DEFINITIVO

PROGRAMMA FORMALE

VERSO USCITA

S

TUTTA LA COMPOSIZIONE SI BASA SULLE DUE INCLINAZIONI DELLA COPERTURA A SHED TIPICA DEI FABBRICATI INDUSTRIALI DEL XX SECOLO. LA SCELTA COMPOSITIVA DI UTILIZZARLE PER TAGLIARE LA PARTE SOMMITALE DEI SETTI INTERNI E PER IL DISEGNO DELLA FACCIATA SU VIA F. CIGNA HA LO SCOPO DI VALORIZZARE IL CONTENITORE DEL NUOVO MUSEO.

ALTRA PROPRIETA'

PIANO TERRA (LIVELLO 0)

ALTRA PROPRIETA'

Pianta Livello +1 - Scala 1:200

INCLINAZIONE ASSI SHED

(SEZIONE)

30°

60°

VERSO MEF

I COSTI DELL’ALLESTIMENTO MUSEALE

PROGRAMMA FUNZIONALE Spazi Espositivi

Attività commerciale

Atrio / Reception

Spazi Serventi

0 - 2.000 € 2.000 - 10.000 €

10.000 - 18.000 € 18.000 - 32.000 €

TERRAZZA- 20.000 €

Uffici gestione

PIANO PRIMO (LIVELLO +1)

TERRAZZA PER EVENTI DEGUSTAZIONI LOISIR

I

COLLEGAMENTO CON PIANO INFERIORE

IL

PIANO TERRA (LIVELLO 0)

SALA DEGUSTAZIONE 5.400 €

AREA DIDATTICA 8.400 €

PACKAGING E DESIGN 15.900 €

SALA DELLA NUTELLA 14.000 €

SALA DELLA SCULTURA 500 €

STORIA E ORIGINE DI CACAO E CIOCCOLATO 31.800 €

DEPOSITO ATTREZZATURE - 950 €

COPERTURA (LIVELLO +2)

I

SPAZIO ESPOSITIVO PRINCIPALE - 15.000 €

Pianta Livello +2 - Scala 1:200 TOTALE COSTI FORNITURA ARREDI MOBILI E FISSI “DA CATALOGO”: 200.800 €

COPERTURA (LIVELLO +2)

3.0

SPAZIO FLESSIBILE PER EVENTI / MOSTRE 8.400 €

PIANO PRIMO (LIVELLO +1)

LABORATORIO - 31.000 €

TAV.

ATRIO / RECEPTION - 13.800 €

DI

REALIZZAZIONE ALLESTMENTI FISSI TEMATICI:

POLITECNICO DI TORINO CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN ARCHITETTURA PER

CONCEPT MCT- IL MUSEO DEL CIOCCOLATO DI TORINO: UNO SCENARIO POST-INDUSTRIALE PER BARRIERA

TOTALE COSTI 24.101 €

TORINO E IL STORIA E ORIGINE DI CIOCCOLATO 6.800 € CACAO E CIOCCOLATO 31.800 €

DI

MILANO

IL

TESI DI LAUREA MAGISTRALE - CLASSE LM-4 RELATORE: PROF.SSA MANUELA REBAUDENGO CORRELATORE: PROF.SSA VALERIA MINUCCIANI

GUARDAROBA - 1.680 €

COSTO TOTALE FORNITURE E ARREDI (IVA ESCLUSA): 224.902 €

A.A. 2017-2018 PROGETTO SOSTENIBILE LAUREANDO: FABRIZIO TRIMBOLI


VISTA A - ATRIO / RECEPTION / GUARDAROBA

VISTA B - STORIA E ORIGINE DI CACAO E CIOCCOLATO

VISTA C - TORINO E IL CIOCCOLATO

VISTA D - SALA DELLA SCULTURA

VISTA E - SPAZIO ESPOSITIVO PRINCIPALE (CLIMAX)

VISTA F - SALA DELLA NUTELLA

6.87

CORTILE INTERNO 1.40

9.89

4.73

CORTILE INTERNO

4.66

1.64

2.16

9.37

CENTRALE TERMICA

1.61

CONSUMAZIONE

13.59

+0.00

23.1

1

7.36

6.99

NCE FRA VIA

ALTRA PROPRIETA'

4.27

CONSUMAZIONE 5.56

3.31

6.84

4.27

5.49

ingresso BAR

C.T. 3.34 WC

6.67

SCO

5.12

SPOGLIAT. 3.30

4.79

CIG NA

6.14

2.80

CUCINA

4.69

1.26

2.44

SUPPORTO CUC.

A'

3.10

22.76

5.80

7.04

6.11

7.16

1.35

BOOK SHOP PT

5.40

3.82

WC

1.03

0.83

16.05

6.27

2.23

4.18

Distribuzione Orizzontale 14 m²

4.98

1.50

2.01

B

Annusario 24 m²

10.68

Torino e il Cioccolato 86 m²

0.67

1.81

21.42 5.17

Spazio Espositivo Principale 187 m²

Laboratorio 210 m²

+0.00

5.42

H

7.99 3.13

6.58

1.92 2.04

Distribuzione verticale 27 m²

Via di Esodo 108 m²

44.12

2.91 2.50

1.50

Nuovo parcheggio biciclette

VISTA H - LABORATORIO (FACTORY TOUR)

10.22

2.64

22.07

WC 3 m²

WC 4 m²

Sala Degustazione 96 m²

11.05

+0.00

WC 2 m²

3.44

I Prodotti del Cioccolato - D 12 m²

E

11.10

1.96

WC 2 m²

3.52

I Prodotti del Cioccolato - C 12 m²

7.75

WC 2 m²

WC 4 m²

7.35

9.83

1.50

Rip.

I Prodotti del Cioccolato - B 12 m²

0.61

0.98

1.51

10.47

Laboratorio 42 m²

4.04

5.39

WC 2 m² Locale Tecnico 11 m²

2.00

2.71

Antibagno 7 m²

I Prodotti del Cioccolato - A 12 m²

3.52

1.00

1.50

Distrib. Orizz. 14 m²

D

3.60

2.03

Magazzino 22 m²

5.90 2.85

10.68

C

Antibagno 12 m²

5.91

Guardaroba 27 m²

2.00 4.00 9.41

4.49

7.73

Nuovo parcheggio biciclette

1.26 5.91

4.46

3.40

2.00

Disimpegno 6 m² 4.98

2.21

5.06

1.87

2.54 2.85

10.86

Packaging e Design 64 m²

3.61

2.34

Spogliatoio 5 m²

I

G

11.01

Area Didattica 104 m²

1.13

WC 4 m²

70 m²

4.97

F

8.42

8 23.1

Negozio / Gelateria / Caffetteria

3.50

6.12

+0.00

2.00

17.24

9.40

7.75

15.09

Atrio 222 m²

6.89

ESPOSITIVO

2.23

9.34

9.09

A

4.20 2.64

1.10

Sala della Nutella 65 m²

Sala della Scultura 100 m²

Storia e Origine di Cacao e Cioccolato 193 m²

1.24 2.64

2.40 2.85

0.85

1.37

0.88 2.64 1.24 2.64

2.62

3.16 2.85

1.42

CONFERENZE

1.40

2.16

7.93

LOCALE TECNICO QUADRI E.

11.46

1.44

+0.00

7.00

ESPOSITIVO

+6.50

7.00

ESPOSITIVO

CATERING

MAGAZZINO

VISTA G - PACKAGING E DESIGN

7.00

ESPOSITIVO

12.42

9.01

1.20

2.23

6.33

10.80

2.06

8.80

7.04

+0.00

+0.00

ESPOSITIVO

50.09

3.13

6.54

1.82

18.10

2.51

3.26

INGRESSO UFFICI

2.94

7.62

1.20

3.17

1.57

9.19

10.65

+1.73

+0.00

Magazzino / Deposito 127 m²

2.72

5.85

WC 4 m²

ALTRA PROPRIETA'

4.87

10.63

2.60

2.70

3.17

Ufficio Open Space 43 m²

11.48

VIA CERVINO

VISTA I - SALA DEGUSTAZIONE

Pianta Livello 0 - Scala 1:200

TAV.

4.0

A

Altre proprietà

Aree di pertinenza del Museo Ettore Fico

POLITECNICO DI TORINO A.A. 2017-2018 CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN ARCHITETTURA PER IL PROGETTO SOSTENIBILE

PROGETTO MCT- IL MUSEO DEL CIOCCOLATO

1.12

2.00 3.90

5.37

2.00 3.90

3.01

4.80 4.85

8.53

2.94

DI

TORINO: UNO SCENARIO POST-INDUSTRIALE PER BARRIERA

DI

MILANO

TESI DI LAUREA MAGISTRALE - CLASSE LM-4 RELATORE: PROF.SSA MANUELA REBAUDENGO CORRELATORE: PROF.SSA VALERIA MINUCCIANI

LAUREANDO: FABRIZIO TRIMBOLI

4.02

1.70

Sezione AA' - Scala 1:200

Dis. 3 m²

+3.47

2.00

ALTRA PROPRIETA'

ALTRA PROPRIETA'

Vano Scala 27 m²

18.27

Nuovo parcheggio biciclette


2.66

2.02

2.50

11.10

2.96

3.71

11.38

10.23

2.53

6.70

6.70

3.86

3.30

2.13 4.02

5.08

5.68

6.15

2.12

2.95

2.70 8.49

+0.00

0.87

Sezione BB' - Scala 1:200 ALTRA PROPRIETA' 6.87

UFFICIO

C'

10.05

3.31

3.80

UFFICIO

TERRAZZA

3.38

UFFICIO

2.81

3.02

DIS.

UFFICIO

2.27

3.60

5.65

4.92

ALTRA PROPRIETA'

9.96

WC

2.07

VISTA J - GALLERIA ESPOSITIVA

7.22

MEZZANINO

BOOKSHOP

22.01

+3.20

+0.00

ESPOSITIVO 10.38

VUOTO SU P.T. 10.54

NA

3.50

4.97

SCO VIA

FRA

NCE

+0.00

6.12 +6.50

CIG

8.57

6.15 4.90 2.34

5.68

2.53

+0.00

9

2.96 +3.15

3.12

WC 4 m²

3.69 2.70 6.57 2.48

+3.15

0.95

0.98

0.98

K

65.68

Distribuzione Verticale 27 m²

Galleria Espositiva 160 m²

+3.15

2.01

21.71

1.80

2.83

5.15

1.59

Antib. 5 m²

5.52

5.94 2.34

1.20

3.61

D

1.46

2.49

+0.00

2.46

9.07

9.42

9.77

M

1.92

+3.63

WC 4 m²

0.98

2.64

Dep. Attrezzature 18 m²

D

J

2.89

2.00

0.55

3.91

15.20

WC 2 m² Antib. 5 m²

0.80 2.34

1.89

1.94

Dis. 4.83 6 m²

11.25

7.75

5.91

VISTA K - GALLERIA ESPOSITIVA

3.71

1.20

Spazio Flessibile Eventi / Mostre 220 m²

2.93

B

7.3

+0.00

B'

Vano Scala 19 m²

Sala Multimediale 83 m² 1.20

1.57 6.89

7.69

10.51

+3.47

1.53

1.03

ALTRA PROPRIETA'

Ufficio Open Space 57 m²

VISTA L - SALA MULTIMEDIALE (CINEMA E TV)

10.50

+0.00

4.80 4.85

4.95

C

2.00 3.90

Aree di pertinenza del Museo Ettore Fico

Altre proprietà

2.91

2.91

2.50

2.91

2.70

2.04

3.25

3.13

2.51

2.98

+3.15

2.93

8.48

10.22

+6.50

ALTRA PROPRIETA'

2.96

3.30

0.75

Pianta Livello +1 - Scala 1:200

2.00 3.90

5.09

VIA CERVINO

+0.00

VISTA M - SPAZIO FLESSIBILE PER EVENTI / MOSTRE

Sezione DD' - Scala 1:200

TAV.

4.1

POLITECNICO DI TORINO A.A. 2017-2018 CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN ARCHITETTURA PER IL PROGETTO SOSTENIBILE

PROGETTO MCT- IL MUSEO DEL CIOCCOLATO

DI

TORINO: UNO SCENARIO POST-INDUSTRIALE PER BARRIERA

DI

MILANO

TESI DI LAUREA MAGISTRALE - CLASSE LM-4 RELATORE: PROF.SSA MANUELA REBAUDENGO CORRELATORE: PROF.SSA VALERIA MINUCCIANI

LAUREANDO: FABRIZIO TRIMBOLI

Sezione CC' - Scala 1:200

Dis. 2 m²

7.39

3.59

L

ALTRA PROPRIETA'

ALTRA PROPRIETA'

WC 3 m²


Predimensionamento di massima dell’impianto fotovoltaico, da installare in aderenza alla falda, con metodo di calcolo definito dal DLgs 28/11 “Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE. (11G0067) (GU Serie Generale n.71 del 28-03-2011 - Suppl. Ordinario n. 81)” : ALTRA PROPRIETA'

P (KW) = S / K con: P (KW) = potenza elettrica minima dell’impianto S (m2) = superficie in pianta del livello terra dell’edificio K (m2/KW) = coefficiente variabile in base alla data di richiesta del titolo edilizio (50 dal 01/01/2017)

2.16

4.34

P = 1170 / 50 = 23,4 KW

2.93

11.13

ESPOSITIVO

VUOTO SU P.T.

+6.50

TERRAZZA

CIG NA

SALA VIDEO

10.80

10.06

9.15

N° di pannelli da installare: 234 m2 / 2,6 KWp = 90

11.01

6.08

Superficie minima di pannelli da installare: 23,4 KW x 10 m2 = 234 m2

+6.50

+0.00

10.67

3.99 13.22

10.18

78.26

Terrazza 150 m²

10.21

VISTA N - TERRAZZA PER EVENTI / DEGUSTAZIONI / LOISIR

3.99

VIA

1.17

FR A

NCE

SC O

66.13

+6.50

12.34

Centrale Termica 29 m²

2.84

Dep. 9 m² 3.11

1.10 0.80 1.00 0.80

66.78

3.99

1.22 2.20

1.81

1.80

10.80

+6.50

3.99

4.83 5.91

1.49 3.59 19.33

9 m²

0.97 2.20

O

0.97 2.20 Terrazzino

1.50 2.20

0.58

21.64

N

17.94

Distribuzione Verticale 27 m² 8.38

P

Pianta Livello +2 - Scala 1:200

VIA CERVINO

Aree di pertinenza del Museo Ettore Fico

Altre proprietà

ESPLOSO ASSONOMETRICO DELLA FACCIATA SU VIA F. CIGNA

FACCIATA ESISTENTE (MODIFICATA) NUOVI SERRAMENTI IN ALLUMINIO A TAGLIO TERMICO

FACCIATA CONTINUA IN “CHANNEL GLASS”

VISTA O - FACCIATA SU VIA F. CIGNA (ORE DIURNE)

STRUTTURA DI SOSTEGNO IN PROFILATI METALLICI SOLIDI COSTITUITI DA PANNELLI IN LAMIERA METALLICA FORATA A MAGLIA ESAGONALE

LOGO MUSEO

MU

SE

O

CI

OC CO

LA TO

TO

RI

NO

INSEGNA LUMINOSA

Prospetto Ovest (via Francesco Cigna) - Scala 1:100 VISTA P - FACCIATA SU VIA F. CIGNA

TAV.

4.2

POLITECNICO DI TORINO CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN ARCHITETTURA PER

PROGETTO MCT- IL NUOVO MUSEO DEL CIOCCOLATO

DI

TORINO: UNO SCENARIO POST-INDUSTRIALE PER BARRIERA

DI

MILANO

IL

TESI DI LAUREA MAGISTRALE - CLASSE LM-4 RELATORE: PROF.SSA MANUELA REBAUDENGO CORRELATORE: PROF.SSA VALERIA MINUCCIANI

A.A. 2017-2018 PROGETTO SOSTENIBILE LAUREANDO: FABRIZIO TRIMBOLI

ILLUMINAZIONE SERALE DALL’ INTERNO


INTERVENTI DI DEMOLIZIONE B

C

B'

A'

CALCESTRUZZO E CEMENTO ARMATO 176 ton - 66 % DI TOTALE PESO RIFIUTI DA DEMOLIZIONE 17.521 € - 30,3 % DI COSTO DI DEMOLIZIONE NETTO RICAVI PER CONFERIMENTO A IMPIANTO DI RICICLO: 740 €

SCO

CIG NA

C'

VIA

F RA

NCE

METALLI E VETRO 25,2 ton - 9,5 % DI TOTALE PESO RIFIUTI DA DEMOLIZIONE 4.677 € - 8,1% DI COSTO DI DEMOLIZIONE NETTO RICAVI PER CONFERIMENTO A IMPIANTO DI RICICLO: 16.763 €

TOTALE OPERE IN DEMOLIZIONE PESO TOTALE RIFIUTI DA DEMOLIZIONE: 265 ton (A) COSTO DI DEMOLIZIONE LORDO: 75.377 € (B) RICAVI DA CONFERIMENTO PER RICICLO: 17.503 € (A-B) COSTO DI DEMOLIZIONE NETTO: 57.874 € 21 €/m2 SLP - 3,8 €/m3

CARTONGESSO 56 ton - 21,2 % DI TOTALE PESO RIFIUTI DA DEMOLIZIONE 30.875 € - 53,3 % DI COSTO DI DEMOLIZIONE NETTO

LEGNO (PORTE INTERNE) 1,3 ton - 0,5 % DI TOTALE PESO RIFIUTI DA DEMOLIZIONE 665 € - 1,1 % DI COSTO DI DEMOLIZIONE NETTO

MATERIE PLASTICHE E BITUMINOSE 2 ton - 0,75 % DI TOTALE PESO RIFIUTI DA DEMOLIZIONE 8.095 € - 14,0 % DI COSTO DI DEMOLIZIONE NETTO

Opere in costruzione

INTERVENTI DI COSTRUZIONE

Opere in demolizione Opere invariate

MATERIA RICILATA - 98% RICICLABILITÀ - 100% DISASSEMBLABILITÀ - 90%

MATERIA RICILATA - 75% RICICLABILITÀ - 100% DISASSEMBLABILITÀ - 100%

MATERIA RICILATA - 40% RICICLABILITÀ - 75% DISASSEMBLABILITÀ - 0%

Pianta Livello 0 - Scala 1:200

Sezione AA' - Scala 1:200 *

VIA CERVINO

NELLA RAPPRESENTAZIONE

A

GRAFICA È ESCLUSO L’ACCIAIO D’ARMATURA DEL C.A.

“ECOMALTA®” PER PAVIMENTI E RIVESTIMENTI 11,2 ton - 1,7 % DI TOTALE PESO OPERE EDILI 181.692 € - 8,7 % DI TOTALE C.C. OPERE EDILI

MATERIA RICILATA - 0% RICICLABILITÀ - 100% DISASSEMBLABILITÀ - 100%

C

B'

CIG SCO

CONGLOMERATO DI ARGILLA ESPANSA 38,6 ton - 5,8 % DI TOTALE PESO OPERE EDILI 19.548 € - 0,9 % DI TOTALE C.C. OPERE EDILI

POLICARBONATO ALVEOLARE 2 ton - 0,3 % DI TOTALE PESO OPERE EDILI 37.590 € - 1,8 % DI TOTALE C.C. OPERE EDILI

A'

NCE

MATERIA RICILATA - 33% RICICLABILITÀ - 85% DISASSEMBLABILITÀ - 24%

B

NA

MATERIA RICILATA - / RICICLABILITÀ - 75% DISASSEMBLABILITÀ - 0%

C'

FRA

FIBRA DI POLIESTERE RICICLATO 12,1 ton- 1,8 % DI TOTALE PESO OPERE EDILI 164.743 € - 7,9 % DI TOTALE C.C. OPERE EDILI

VIA

ACCIAIO 50,2 ton - 7,5 % DI TOTALE PESO OPERE EDILI 277.816 € - 13,3 % DI TOTALE C.C. OPERE EDILI

MATERIA RICILATA - 10% RICICLABILITÀ - 100% DISASSEMBLABILITÀ - 0%

TOTALE OPERE IN COSTRUZIONE PESO TOTALE OPERE IN COSTRUZIONE: 668 ton (A) C.C. OPERE EDILI: 1.588.983 € (B) COSTO NUOVE RETI IMPIANTISTICHE: 505.879 € (A+B) TOTALE OPERE IN COSTRUZIONE: 2.094.862 € 760 €/m2 SLP - 138 €/m3 COLLETTORI SOLARI 3,8 ton - 0,6 % DI TOTALE PESO OPERE EDILI 142.536 € - 6,8 % DI TOTALE C.C. OPERE EDILI MATERIA RICILATA - 90% RICICLABILITÀ - 75% DISASSEMBLABILITÀ - 100%

LATERIZIO LEGATO CON MALTA DI CALCE 12,6 ton - 1,9 % DI TOTALE PESO OPERE EDILI 6.083 € - 0,3 % DI TOTALE C.C. OPERE EDILI

MATERIA RICILATA - 1% RICICLABILITÀ - / DISASSEMBLABILITÀ - 100%

MATERIA RICILATA - 30% RICICLABILITÀ - 100% DISASSEMBLABILITÀ - 0%

Opere in costruzione Opere in demolizione Opere invariate ALLUMINIO E VETRO 16,3 ton - 2,4 % DI TOTALE PESO OPERE EDILI 152.783 € - 7,3 % DI TOTALE C.C. OPERE EDILI

CALCESTRUZZO ARMATO 358 ton - 53,6 % DI TOTALE PESO OPERE EDILI 103.562 € - 4,9 % DI TOTALE C.C. OPERE EDILI

TAV.

5.0

C.C. TOTALE : 2.152.737 € 782 €/m2 SLP - 142 €/m3

Sezione CC' - Scala 1:200

Sezione BB' - Scala 1:200 CARTONGESSO 83,2 ton - 12,5 % DI TOTALE PESO OPERE EDILI 197.828 € - 9,4 % DI TOTALE C.C. OPERE EDILI

VIA CERVINO

A

POLITECNICO DI TORINO A.A. 2017-2018 CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN ARCHITETTURA PER IL PROGETTO SOSTENIBILE

INTERVENTI EDILIZI MCT- IL MUSEO DEL CIOCCOLATO

Pianta Livello +1 - Scala 1:200

DI

TORINO: UNO SCENARIO POST-INDUSTRIALE PER BARRIERA

DI

MILANO

TESI DI LAUREA MAGISTRALE - CLASSE LM-4 RELATORE: PROF.SSA MANUELA REBAUDENGO CORRELATORE: PROF.SSA VALERIA MINUCCIANI

LAUREANDO: FABRIZIO TRIMBOLI



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