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periodico bimestrale - sped. a.p. 45% - art. 2 comma 20/b - legge 662/96 - Filiale di Forlì - contiene i.p. direttore responsabile: Giovanni cioria - aut. trib. di rimini n. 185 del 16/8/80 e del 26/8/92 red. e amm. riccione - via montebianco 27 - tel. 0541 643884 stampa: la pieve poligrafica editore villa verucchio - Grafica: composet riccione
Famija arciunesa
Anno XXXIV - n°5 -
redazione@famijarciunesa.org
NOVEMBRE/DICEMBRE 2016
www.famijarciunesa.org
risate e solidarietÀ
La compagnia “La Rungaja” nella commedia:
“Lofe, sbrèmble e palotle”
(pag. 5)
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La Poesia di Natale di William Braga Prova Signor
Prova Signore
Prova Signor a fè nas ancora e tu Fiul...
Prova Signore a far nascere ancora tuo Figlio...
Ui è un post sora ma Spuntriciul te fnil dla Marièta, quèla cla vènd al smènte, che e saria propria adat. E cias di nait e dl'autostrèda ilà i mor te silenzie dla nota e una cumeta las putria ancora véda.
C'è un posto sopra Spontricciolo nel fienile della Marietta, quella che vende le sementi, che sarebbe proprio adatto. I rumori dei night e dell'autostrada là muoiono nel silenzio della notte e una cometa si potrebbe ancora vedere.
Prova Signor... me a dégh che da noun e tu Fiul in tl'amaza.
Prova Signore... io dico che da noi tuo Figlio non te lo ammazzano.
E che porta la su Mà! E quand al lòme al s'acènd si mount da Montfior a San Marèin te sirèin dla sera cl'asarpounsa dasdé davanti ma la porta ad chèsa a guardè la pèsa dal stèle...
E che porti sua Mamma! E quando le luci si accendono sui monti da Montefiore a San Marino nel sereno della sera che si riposi seduta davanti alla porta di casa a guardare la pace delle stelle...
Prova Signor. Me a dégh che da noun e tu Fiul in tl'amaza.
Prova Signor. Io dico che da noi tuo Figlio non te lo ammazzano.
Rampanti e dis che per Giuda l'ha priparè la s-ciopa e la munizioun da trentadò; Sarpènt ma Erode ui magnaria un'urècia; Torrazzi ad Rémne, e principe de Foro, l'ha scrét un'urazioun da s-ciantè e còr mi giòdic dl'impér.
Rampanti dice che per Giuda ha preparato lo schioppo e la munizione da trentadue; Serpente a Erode mangerebbe un'orecchia; Torrazzi di Rimini, il principe del Foro, ha scritto un'orazione da spezzare il cuore ai giudici dell'impero.
Perà Signor... ma Rampanti ormai spès la vésta laj s'apana; ma Sarpènt uj cmènza a caschè i dint e Torrazzi a parlè trop us'indurmènta.
Però Signore... a Rampanti ormai spesso la vista si annebbia; a Serpente cominciano a cadere i denti e Torrazzi a parlare troppo si addormenta.
E isé, Signor, se t'vò che e tu Fiul iché e nasa, fa prèst Signor, fa prèst che e tèmp e pasa.
E così, Signor, se vuoi che tuo Figlio nasca qui, fa presto Signore, fa presto che il tempo passa.
ASSOCIAZIONE CULTURALE PER RICCIONE
Festa di Fine Estate!
domenica 2 ottobre 2016 parco oltremare
Bissando l’affluenza dello scorso anno millequattrocento adulti più un nugolo di bambini hanno fatto da emozionata cornice ai Delfini della Laguna di Taras, ai Rapaci della falconeria, al Volo dell’Arcobaleno, al Pianeta mare, alle Nuove Amicizie, alla Dimostrazione Cinofila, in una giornata all’insegna della Natura per la Festa di Fine Estate che Famija Arciunesa ha organizzato, grazie alla ospitalità di Costa Endutainment, nel Parco Oltremare sulle colline di Riccione, Domenica 2 Ottobre u.s. Nel pomeriggio dopo “Conoscere i Delfini” è stato effettuato il sorteggio dei biglietti vincenti della Sottoscrizione a premi “Splendore in laguna”a scopo benefico, grazie alla generosità di 18 orefici-gioiellieri riccionesi sempre tangibilmente vicini alle proposte di F.A. Sono così stati raccolti 4.000 euro che verranno impiegati nel 2017 nel progetto-dono in via di definizione. I bimbi impegnati nell’estrazione dei numeri vincenti della Sottoscrizione “Splendore in laguna”. Una parte dei fortunati vincitori della sottoscrizione, esibisce i premi appena ritirati. La folla dei millequattrocento.
I bimbi “estrattori” dei numeri vincenti.
Una parte dei fortunati vincitori.
I gioiellieri che hanno donato per una splendida sottoscrizione TAMBURINI GIOIELLERIA Viale Ceccarini
IRIS BIJOUX Viale Dante
ORO MODA Viale S. Martino
CENCIARINI GIOIELLERIA Viale Ceccarini
BARTORELLI MAISON Viale Dante
L’ARGENTO Viale Virgilio
GIOIELLERIA GIOIE C.SO F.LLI CERVI
ZUCCHI GIOIELLI Viale Gramsci
BALEANI ALTA GIOIELLERIA Viale Ceccarini
MENGUCCI GIOIELLERIA Corso F.lli Cervi
FILIPPUCCI NELLO Viale Gramsci
TORSANI GIOIELLERIA Viale S. Martino
GIOIELLERIA TONINI Viale Dante
SPADARELLA GIOIELLI Viale Virgilio
MENGUCCI VALERIO Viale Dante
GIOIELLERIA BERNARDI Viale CECCARINI
VAGNINI ORAFO Via Veneto
GAZZA LADRA Via Emilia
REDAZIONE Direttore Responsabile: Giovanni Cioria • Capo Redattore: Giuseppe Lo Magro • Redazione: Nives Concolino, Maria Grazia Tosi • Hanno collaborato a questo numero: William Braga, Tino Casalboni, Pier Giorgio Ricci, Rodolfo Bacchini, Adriano Prioli, Albo Casadei (Archivio), Giorgio Manusardi, Bruno Bezzi, Edmo Vandi, Roberto Betti, Edoardo Copponi, Lorenzo Scola, Dante Tosi (Archivio), Stefano Arduini, Mario Tonini, Novella Zammarchi • Foto: Pico e Gianni Zangheri • Pubblicità: Tel. 338 4304667 • Grafica e impaginazione: Studio Grafico Composet Riccione: 0541 606680 • Stampa: La Pieve Poligrafica Editore Villa Verucchio S.r.l.
teAtro diAlettAle
La Compagnia “La Rungaja” in:
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“Lofe, sbrèmble e palotle” Peti silenti, sonori e corposi
Dopo sei anni di assenza dalle scene, la Compagnia dialettale “La Rungaja” torna a respirare la polvere del palcoscenico. Il debutto avverrà giovedì 15 Dicembre alle ore 21.00 al Teatro del Mare- Spazio Tondelli, in via Don Minzoni, interpretando “Lofe, sbrèmble e palotle “ due atti comici di Giuseppe Lo Magro. A calcare il legno del teatro riccionese un mix di “marpioni” e di “reclute”. Per il sesso debole le pimpanti: Marzia Boschetti, Enrica Tosi Brandi, Antonella Colangelo, Laura Clementi. Per il cosiddetto sesso forte gli eclettici: Gianni Piccioni, Paolo Manenti, Iglis Serafini, Paolo Del Bello, Ferdinando Gabellini, Alessandro Formilli, Alberto Malaguti. Dietro le quinte: Miriam Bacchini (costumista) e Giuseppe Lo Magro (Regia). La trama è stuzzicante. L'architetto N.H.
Gli appuntamenti: Ore 21.00 Dicembre 2016 Giovedi 15 Domenica 18 Gennaio 2017 Mercoledì 04 Giovedi 05
- 2 atti di Giuseppe Lo Magro
Aristide Rondella Colonna ha progettato e fatto costruire l'iper ambulatorio “Salus per sempre”, aperto 24 ore su 24, che offre “ Il meglio del meglio per il tuo benessere, dalla culla alla tomba” vantando eccellenze mediche e attrezzatura all'avanguardia. Mente vulcanica quella di Aristide, sempre alla ricerca di strabilianti novità attira “clienti”. Per il varo del “transatlantico della salute” c'è al timone il Direttore Sanitario dott. Romeo Giulietta, marchigiano di Fanano, sfegatato studioso della Divina Commedia, che si avvale del “nostromo” Drianina Ciuffolotti, professionista “una e trina” visto che deve vestire gli abiti di donna delle pulizie, segretaria e infermiera. All' Open Day, che pubblicizza ghiotte offerte gratuite agli ultra sessantacinquenni, si presentano cinque tipi “strampala-
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ti”, con un vissuto avventuroso e malattie ai confini della realtà : Colomba Cacciatori “Katiuscia”, Arturo Mataloni “Gnagnos”, Celso Candelotti “Fritura”, Anselmo Palazzoni “Foxtrot” e Polifemo Saltafossi “Brusacul”. E così c'è il doppio incontro-scontro ( visita mattutina e visita pomeridiana) con lo staff medico composto dai plurilaureati dottori: Ivano Vescica (Ninfomania e Dermatologia), Santina Pifferi (Urologia e Gastroenterologia), Carolina Del Divano (Sessuologia e Traumi Psichici), Genoveffa Contabile (Medicina legale e Risarcimenti), Salvatore Gesso (Ortopedia e Trapianti ossei). Nonostante incomprensioni e fraintendimenti, le paradossali sintomatologie dei “malati” trovano la cura più indicata e il finale vede tutti soddisfatti per aver ottenuto quanto agognato.
L'utile delle recite verrà devoluto in beneficenza a: Reparto Oncologia pediatrica Ospedale di Rimini Caritas di Riccione Centro 21 di Riccione A.I.S.M. Ass. Italiana Sclerosi Multipla sezione di Riccione.
Una lettera per dire grazie
che mi ha incoraggiato ad uscire. Mi hanno salvato. I miei più cordiali saluti e auguri di Buon Natale e Felice Anno Nuovo.
Il fatto è avvenuto due anni fa e narra di un salvataggio che ha avuto momenti difficili vicini allo sfociare in tragedia. Sicuramente il destino, in fase benevola, ha voluto che , assieme ai due carabinieri, capitasse un vigile di Riccione, conoscitore del luogo e soprattutto con le caratteristiche giuste. Il bravo Luca Biagini è un ragazzone di due metri, con le spalle di un armadio, giocatore di basket per diletto e un viso che trasmette la sua calma olimpica. Il suo intervento è stato rassicurante, le sue parole tranquilizzanti e il suo sorriso empatico. Ben oltre il mero dovere di un uomo in divisa. Il malcapitato Tino è così sfuggito al panico. Quel giorno, il “gigante buono” delle favole era reale, ed era lì ad aiutarlo. Seppure in ritardo, ci sentiamo di dire il nostro grazie a Luca e dare un pò di luce ad un episodio che, in verità, non ha avuto la risonanza che avrebbe meritato; ma si sa, viviamo in una società morbosa che predilige altre vicende a gesti di altruismo e generosità.
Tino Casalboni (dic.2014)
La redazione
AL Comando Carabinieri Compagnia Riccione, al Comando Polizia Municipale Riccione, al Comando Carabinieri Compagnia Rimini Io Santino Casalboni, titolare della Foto Kino, Via Dante 255, voglio comunicare che in data 3/12/2014 alle 16.40, venivo bloccato nella mia autovettura in località Via Venezia in evento allo straripamento del Rio. Mi trovavo con l'acqua di circa un metro, trovandomi in difficoltà d'uscita, quando ad un certo punto vedevo la mia salvezza! Due carabinieri e un vigile che conosco, i quali sprezzanti del pericolo che vi era in quei momenti e visto che l'acqua era aumentata e superava il metro e mezzo, riuscivano a forza ad aprire la portiera della mia auto, visto che non riuscivo a muovermi, avevo l'acqua alla gola! Mi tiravano fuori dall'auto portandomi in salvo e così pure mia moglie. Ringrazio i Carabinieri e i Vigili di essere presenti ad ogni azione pericolosa e a salvare noi cittadini. Un cordiale e oltre sentito ringraziamento ai due carabinieri Luigi Teodori e Daniele Bollante e al vigile Luca Biagini
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“Virgo Fidelis” Patrona Arma dei Carabinieri L’Associazione Nazionale Carabinieri sezione di Riccione ha celebrato il 13 Novembre 2016 il compimento dei 50 anni della sede sezionale. Per tale occasione è stato dato incarico ad una valente iconografa, suor Maria Grazia Uka, dell’Ordine delle Suore Basiliane della comunità ortodossa di rito bizantino che risiede in Calabria, di rappresentare mediante una preziosa icona la Madonna “Virgo Fidelis” patrona dell’Arma dei Carabinieri, perchè sia di conforto e di protezione per tutti i Carabinieri, sia quelli operativi che quelli non più in servizio. L’Icona è eseguita su legno di noce di 40x60 cm., perfettamente liscio e finemente preparato per iniziare il disegno e poi su tutta la sua superficie sono applicati dapprima leggeri fogli d’oro a 18 carati, mentre avviene la preparazione dei colori con pigmenti di “terre originali”, artisticamente mischiati per metterne in risalto le varie sfumature. I colori vengono applicati secondo il metodo più antico, cioè con tuorlo d’uovo come legante, per assicurare la durata nel tempo. Il termine Icona deriva dal
greco eikon, che può essere tradotto con immagine e nel campo dell’arte religiosa identifica una raffigurazione sacra dipinta su tavola. E’ l’arte dei primi secoli del
Cristianesimo, di deviazione bizantina. Un’usanza profondamente radicata nelle famiglie russe è la benedizione che i genitori impartiscono ai figli ormai adulti per iniziare una vita autonoma. Viene usata una Icona del Salvatore per i figli maschi e una delle Madre di Dio per le figlie femmine. In una ninnananna russa, la promessa della madre suona come una futura eredità per il bimbo: “Ti consegno una sacra Icona che ti accompagni per via: vessillo ti sia nel cammino. Prega che non ti abbandoni”. L’icona è stata inaugurata domenica 13 novembre 2016 alle ore 11:00 presso la Chiesa della Pentecoste e il parroco don Giorgio Dell’Ospedale, durante la Santa Messa comunitaria, ha effettuato la Cerimonia della Benedizione. Tale iniziativa è stata occasione per fare conoscere l’Arma dei Carabinieri nelle sue varie componenti, con un’attenzione particolare ai giovani, ai quali si vuole rimarcare non solo i compiti operativi rivolti alla difesa dell’ordine e della sicurezza pubblica ma anche l’impegno nel sociale attraverso azioni culturali e di volontariato.
90 ANNI DI CALCIO RICCIONESE, DOPO IL LIBRO LA MOSTRA Dopo la pubblicazione del libro "90 ANNI DI CALCIO RICCIONESE", presentato lo scorso mese di giugno e che si trova tuttora in gran parte delle edicole riccionesi, sarà allestita a breve, una mostra di foto, articoli di quotidiani, locandine, cimeli della storia calcistica della città di Riccione. Durante la mostra si potrà acquistare il libro che parla di tutte le Società calcistiche della Perla Verde del passato e del presente. Dal 1926 al 2016, dalle prime partite allo “Stadium” di Viale San Martino alla “Fossa dei Leoni” di Viale Lazio fino ad arrivare allo “Stadio Nicoletti” di Via Forlimpopoli. L’ingresso alla mostra sarà gratuito. Info 339-2395564 Rodolfo Bacchini
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Riccione - Viale D’Annunzio, 133 Tel. 0541 646006 - Bus Stop n. 41 otticabacchini@libero.it
teatro di qualità
Una gran bella stagione! Domenica 6 novembre è stato inaugurato il cartellone teatrale 2016-2017 de “La bella stagione” presso lo Spazio Tondelli di Riccione a cura di Riccione Teatro, storico ente promotore del premio di drammaturgia e del Riccione TTV Festival (rassegna che mette in relazione l’immagine con le arti sceniche) che proprio dal 3 all’8 novembre ha presentato la sua 23esima edizione, innalzando un ‘ponte d’arte’ tra due importanti realtà culturali e d’intrattenimento. La stagione bella del teatro riccionese, diretta da Simone Bruscia, questa volta proporrà un programma ancora più ricco della scorsa, e con i suoi venti appuntamenti che si snoderanno in un interessante programma fatto di prosa d’autore ma anche di musica d’avanguardia e di danza, intende accontentare le più variegate fasce di pubblico, tenendo conto anche dei bambini, che per quattro domeniche pomeriggio con La Bellina vedranno sul palco originali e divertenti pièce teatrali. Una sfida ardita quella che Riccione Teatro, in collaborazione con l’Istituzione Riccione per la Cultura, il Comune di Riccione e ATER, sta portando avanti con sempre maggiore successo, tenuto poi conto del contenitore teatrale a disposizione, le cui esigue potenzialità richiedono un’ancora maggior capacità d’individuare spettacoli da piccoli spazi… ma di grande prestigio. Info: cell.3200168171 – prevendita www.liveticket.it
di Maria Grazia Tosi
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Decorare il muro del T.R.C.
Tempo fa sui quotidiani locali è apparso un articolo che ventilava l’ipotesi di “ammorbidire” l’impatto visivo del lungo muro delimitante il tracciato del T.R.C. con le opere di alcuni writers. Ben vengano, c’è da coprire tanto.... però un suggerimento lo proponiamo dalla redazione di F.A. Nei tratti riguardanti i sottopassaggi perchè non mettiamo delle “gigantografie” della nostra Riccione di ieri, magari con delle targhette esplicative. Alcuni esempi?
A L B A Incrocio Viali Emilia – Rimini – Portovenere. Castello Mattioli – Albergo Imperiale.
S A V I O L I
Incrocio Viali Puccini – Rimini. Albergo Savioli – Goletta del dancing Savioli.
Gran Premio dello Spettacolo.
Gran Bal en Tète.
P O R T O Tra le Rotonde Flavio Gioia e Saviolina - Viali Dei Mille- Parini. Le barche da pesca - Il molo col faro.
Naturalmente sono possibili tante altre scelte, purchè si documenti la nostra bella Perla verde
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Dalla creatività di Gianluca nasce Oro moda. Gianluca Casadei è diventato negli anni sinonimo di creatività e realizzazione di gioielli unici, garantendo al cliente la fedeltà del disegno e la pronta consegna. Nel suo laboratorio nascono dall’oro anelli, bracciali e monili frutto del suo estro non comune e si effettuano riparazioni di oggetti in oro, argento, anche con pietre incastonate, oggi possibile grazie alla tecnica laser che permette di eseguire saldature senza riscaldare il metallo ed evitare alterazioni. Da Gianluca puoi trovare articoli da regalo in argento, oggettistica, cornici, orologeria dei prestigiosi marchi: Sector, Citizen,Vagary, Liu Jo, con Silvia disponibile a consigliare la miglior scelta per ogni particolare esigenza.
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di Adriano Prioli
Pista ciclabile sul porto
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Chi percorre in auto la via Milano da sud verso nord, una volta giunto al porto canale se non presta molta attenzione nel procedere, invade la pista ciclabile che, proveniente dal lungomare, si protende verso la strada per raggiungere la parte opposta del canale. Il rischio di questa distrazione può comportare l’investimento dell’ignaro ciclista che invece si sente sicuro nel percorrere la pista ciclabile che non è sufficientemente protetta e segnalata. Per essere tale, a mio giudizio, c’è solo un sistema, ed è quello di proseguire con un cordolo, rialzando leggermente l’asfalto a mo’ di dosso, dal marciapiede di viale Milano fino alla mezzeria del ponte in modo che la pista sia contenuta fra il dosso e l’esistente marciapiede sul lato mare (vedi linea colorata nella foto).
Povera Saviolina!
Eccolo qua il pannello con la storia della Saviolina appeso al muro della ferrovia in fondo a Viale Parini, di fronte alla rotonda ad essa intitolata. Tristemente abbandonato, con la cornice arrugginita, nella sporcizia e nell’incuria. Un po’ di dignità! Fa parte della nostra storia!!!
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mondo pittura
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di G.L.M.
La mostra permanente di Ruberto E’ un grande artista di casa nostra Giuseppe Ruberto; conosciuto ai più come il “Pittore del colore”. I suoi mari e le sue campagne sono un inno iridato che sparge gioia cromatica su ogni parete che li ospita. La calma delle barche a riposo nel porto canale o la prosperità delle vele gonfie nel mare increspato. La tranquillità di un’aia vestita dal sole estivo con le galline razzolanti o le onde del grano dorato e maturo pettinate dal vento. La serena ricerca dei raccoglitori invernali di molluschi sulla battigia, imperturbabili alle strida dei gabbiani o i placidi sicuri preparativi del pescatore
Giuseppe Ruberto, il Pittore del Colore.
che sistema le reti della sua battana, incurante dello sguardo dei turisti curiosi. Questi sono solo alcuni dei temi che animano le sue tele perchè Giuseppe può anche realizzare i vostri sogni colorati e rendere attuali i vostri ricordi più cari. Voi spiegate e il suo pennello trasforma in immagini. Oltre che nello studio di Via Marche ora il valente artista espone nella Galleria “Garage” nel cuore del Paese vecchio. Un luogo elegante che collega Corso Fratelli Cervi (di fronte a Piazzetta Matteotti (quella con la Fontana a Ruota), dal bar del Corso a Piazza Unità. Alla prossima passeggiata fate un capatina, ne vale la pena.
L’ingresso della galleria “Garage” su Piazza Unità.
La vetrina di Ruberto all’interno della galleria “Garage”.
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di Maria Grazia Tosi
Laura Brioli, un vulcano di note Vent’anni di bel canto sono stati celebrati il 25 ottobre 2016 da Laura Brioli, la bellissima Mezzosoprano riccionese che ha onorato la nostra città modulando la sua voce calda e brunita nei teatri di tutto il mondo. Risale appunto dall’ottobre del ’96 la sua prima esibizione, che con le Nozze di Figaro a Sassari ha dato il via ad una prestigiosa carriera che si sta allargando all’insegnamento di canto lirico. Una giovane donna dalla grande comunicabilità e forza d’animo, qualità che affiancate a talento e studio l’hanno supportata nel guadagnarsi un posto d’onore nel panorama artistico, ma che ha speso anche recentemente quando in occasione di una grave malattia ha pubblicamente testimoniato il coraggio e la positività necessari per combatterla, attivando così un’importante azione di sensibilizzazione. Cosa ti hanno regalato 20 anni di carriera e cosa tolto? “Ripensare a questi 20 anni mi fa tanta tenerezza e mi regala tanto orgoglio. Una cosa posso dire è che ho studiato tantissimo, per un lavoro totalizzante, dove il livello di impegno e di competitività è altissimo; e non è solo un lavoro, è una grande passione che coinvolge tutti gli aspetti della vita, ricoprendone sicuramente una parte predominante. Ma non mi ha impedito di vivere gli affetti, la famiglia, gli amici. Come madre penso di avere fatto un buon lavoro perché ho un ragazzo d’oro: l’ho portato sempre assieme a me, con grandi sacrifici soprattutto economici, ma è stato bellissimo perché abbiamo visitato il mondo insieme, ed è cresciuto vivendo le emozioni del teatro e sono certa che questa apertura è stata importante. Poi è arrivata la scuola ed è dovuto restare a casa, così cercavo di essere presente qualitativamente quando c’ero, ma aveva comunque vicino il papà, le nonne e delle super baby sitters quando non c’ero. La mia carriera mi ha regalato gioia, ebrezza, soddisfazione, mi ha fatto viaggiare, mi ha dato la possibilità di lavorare con artisti eccelsi che mi hanno donato anche la loro amicizia... mi ha fatto sentire unica. Cosa mi ha tolto.... sicuramente la spensieratezza, perché quando canti certi ruoli a certi livelli il peso della responsabilità è altissimo. Ma in fondo, in fondo… mi ha tolto poco, perché non gliel’ho permesso.” Come e dove si articola il tuo lavoro di insegnante di canto? “L’insegnamento è arrivato nella mia vita lentamente e ora invece è un aspetto essenziale. Ho iniziato quasi per gioco dando dei consigli ad allievi più giovani, ma la passione di ricercare la perfezione dell’emissione mi ha travolto, e ho passato ore e ore a studiare i maggiori trattati di canto, l’anatomia, la funzionalità muscolare e tanti aspetti che gravitano intorno
alla professione del cantante, da quelli musicali a quelli anatomici e psicologici. Ho fondato un’associazione per promuovere lo studio del canto e per organizzare eventi musicali, si chiama Lirincanto e nasce dalle prime sillabe dei nomi delle mie città di nascita e d’adozione LI-vorno e RI-ccione IN CANTO appunto (il nome l’ha inventato la mia cara amica Rita Angelini), e ha aperto una succursale a Firenze, all’ Isola d’Elba e presto a Milano. Inoltre a Livorno sono il Direttore dell’ ‘Istituto Musicale Rodolfo Del Corona, dove insegno canto e canto corale, e per due anni sono stata docente presso l’Istituto Musicale Niccolini Palli di Livorno. Quattro anni fa ho insegnato anche a Riccione, ma per motivi di salute sono stata assente per circa due anni; da settembre scorso però ho riaperto con gioia i corsi in collaborazione con l’Istituto Musicale dove è possibile fare lezione una volta al mese.” Perché hai voluto raccontare il tuo ‘scontro’ con la malattia? “Questa domanda mi sta particolarmente a cuore. Ho scoperto la malattia nel luglio del 2015, mentre stavo cantando a Torre del Lago la Madama Butterfly di Puccini; alternavo le prove in teatro agli esami in ospedale. Poi l’intervento di mastectomia radicale e la chemioterapia. Ho dovuto interrompere il mio lavoro di artista (continuavo invece a insegnare al liceo), e tutti coloro che mi conoscevano mi dicevano di non dire niente nel mio ambiente perché temevano che questo potesse fermare la mia carriera. Per alcuni mesi non ho detto niente ufficialmente, ma nel mio animo stavo vivendo un grande dilemma: questo è un evento che cambia radicalmente la vita, le priorità, non potevo più fingere di stare bene, mi sembrava di vivere una bugia. Di cosa dovevo vergognarmi? Di avere avuto un cancro? No. Un bel giorno ho fatto outing e mi sono sentita liberata… lo
rifarei mille volte. Mi ha dato tanta forza soprattutto essere abbracciata dall’affetto di tanti amici lontani che mi hanno fatto sentire tutta la loro presenza e il loro sostegno, e mi piacerebbe dare la stessa forza a chi sta affrontando questa battaglia. E’ stata molto difficile, estremamente dolorosa fisicamente e moralmente, ma ho sempre lottato con tutte le mie energie fisiche e psichiche per tornare a fare una vita normale, e penso di avercela fatta con grande onore.” Quali i progetti che vorresti portare avanti per il futuro? “Per contrastare il dolore ho fatto mille progetti! Nelle lunghe ore di insonnia dovute agli effetti collaterali delle cure ho pensato tanto per realizzare cose bellissime. Prima di tutto restaurare la scuola del Corona che ora veleggia serena con i suoi corsi musicali, ho inventato un metodo di studio che unisce le mie competenze linguistiche e musicali, si chiama Cantinglese, impara l’inglese cantando, e sta avendo molto successo a Livorno e presto uscirà un libro didattico. Ho creato una fiorente scuola di canto e un corso di canto corale dove si insegna ai coristi la tecnica vocale lirica e i risultati sono esaltanti. Ho tenuto come docente un corso di Lingua Inglese al Conservatorio di Castelfranco, un’esperienza meravigliosa, sto organizzando una stagione concertistica a Livorno, mi sono iscritta ad un Master universitario, la mia terza laurea, e a Firenze nascerà una bellissima Accademia di cui sarò docente di canto. E poi ho voluto organizzare un concerto insieme alla Fondazione ARCO di Pisa e tre mie colleghe artiste che hanno vissuto il mio stesso percorso di malattia: sarà un evento molto emozionante, un inno alla vita!” Quando sarai ancora qui a Riccione per inondarci di bella musica? “Hai ragione , vi inonderò di musica.... Sono molto felice di annunciare che presto inizieranno i concerti ad abbonamento della Stagione 2016/17, ITALIAN OPERA TOUR , una serie di eventi musicali lirico-sinfonici organizzati da dicembre a maggio in collaborazione con il M° David Boldrini di Firenze, Riccione per la cultura e con il patrocinio del Comune di Riccione. Il mio desiderio è quello di tornare a Riccione che è la mia terra, la casa del mio cuore, e farlo portando quello che è la mia anima e la mia passione, il canto. Quest’anno questo desiderio si realizzerà e questo mi riempie di gioia; questa gioia è amplificata da un evento a cui tengo molto: festeggiare con la mia famiglia, i miei amici e la mia gente un appuntamento importante, i miei vent’anni di carriera, e questo avverrà a fine novembre in una serata che mi vedrà protagonista in un evento celebrativo che intendo offrire alla cittadinanza.”
palazzo del turismo
di ni.co.
Loredana Ceresa è in pensione E’ stata testimone di diversi cambiamenti turistici della città e di grandi eventi per i quali ha lavorato a testa bassa con responsabilità sempre nell’ombra, lontano dai riflettori. Dopo oltre 40 anni di lavoro alle dipendenze del Comune, dei quali circa la metà trascorsi al Turismo, la funzionaria Loredana Ceresa, lo scorso 31 agosto è andata in pensione. I colleghi l’hanno salutata con un brindisi e un nodo in gola. In tutti questi anni, Loredana, che ha visto avvicendarsi ben cinque sindaci (Terzo Pierani, Massimo Masini, Daniele Imola, Massimo Pironi, Renata Tosi), con la sua discrezione e grande capacità comunicativa ha imbastito ottimi rapporti con tutti. Quand’è cominciata la sua avventura lavorativa? “Nel 1973, ma in sono entrata in ruolo in Comune nel 1980, prima della laurea. Assunta come stagionale al Centro estivo “Bertazzoni”, in seguito ho lavorato come insegnante d’asilo, poi sono approdata al Turismo, dove ho vissuto i maggiori eventi della città”. Il turismo in questi anni com’è cambiato? “ Ha subito varie mutazioni, ma alla fine è rimasto sempre un turismo di massa. Abbiamo comunque assistito alla destagionalizzazione. Un tempo era tutto incentrato sull’estate, anche con le iniziative si è poi cominciato a puntare pure sui mesi invernali”. Lei é stata un perno dei grandi eventi. Ne ricordiamo alcuni? “Si, quello che ricordo di più sono le edizioni di Un Disco per l’estate (trasmissione canora della Rai, poi passata a Mediaset) ai tempi delle conduzioni di Cecchetto, Fiorello e Bonolis. Avevano rapporti diretti con il produttore Bibi Ballandi e con tutta l’organizzazione. Poi tante altre trasmissioni televisive, ricordo quella con Licia Colò! Non solo tv? “No. C’era anche la grande Fiera del francobollo, organizzata da Renato Rus-
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so, che a Riccione tra agosto e settembre ogni anno portava migliaia di collezionisti e le delegazioni delle poste di una cinquantina di nazioni . Tra le ultime importanti manifestazioni che ho avuto il piacere di seguire ci sono state anche il Christmas Village e le iniziative di Radio Deejay. Al di là del mio lavoro, ho sempre assistito a ogni evento d’intrattenimento e culturale per interesse personale”. In tutti questi anni ha visto alternarsi ben cinque sindaci… “Si, ma ho lavorato bene con tutti e con soddisfazione, gestendo anche le sale del Palazzo del Turismo”. Ora cosa farà? “Non so, farò quello che la vita mi riserverà. A me piace molto viaggiare. Da quando ho lasciato il lavoro, cosa che comunque mi è dispiaciuta per i colleghi e l’ambiente, mi sono già concessa alcuni viaggi”.
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16 ASSOCIAZIONE CULTURALE PER RICCIONE
Una serata ricca di testimonianze e poesia Il 16 settembre scorso, nella sala del Buon vicinato “Amici del parco, piano terra della “Casa della Micia” (Parco della Resistenza - Viale Montebianco), a vent’anni dalla scomparsa (18.09.1996) è stato ricordato un “grande” di Riccione: Dante Tosi. L’iniziativa di Famija Arciunesa, nata da un’idea di Giuseppe Lo Magro, ha raccolto inaspettatamente e ...piacevolmente, l’adesione di una ottantina di persone, costringendo gli organizzatori, una volta esauriti i posti nella sala, a collocare altre sedie nel porticato (nonostante la serata climaticamente frizzante).
L’amarcord si è aperto illustrando le opere di Dante; sulle pareti erano stati collocati i poster con le copertine delle sue dodici pubblicazioni: La marineria da pesca riccionese dal 1750 al 1950 (1985), I Pionieri – Riccione vocazione turistica originale (1986), Società di Mutuo Soccorso a Riccione dal 1886 al 1925 (1989), Memoria Marina riccionese (1991), Riccione. Una rotta nel vento 1923-1943 (1994), Storie di porto. Alla ricerca di un luogo antico (1998), Le storie di Dolfo...e altre (1998), Se...una notte rubano il mare. Poetica di mare e di riva (2001), Ritorno alle case (2004), Taca banda (2006), La Seconda Guerra Mondiale a Riccione. Memorie di un quindicenne (2015), Cantachiaro (2016). Come si evince dalle date, i primi cinque libri sono stati curati da Dante stesso mentre gli ultimi sette hanno avuto il “marchio” della Famija Arciunesa che ne aveva “ereditato” le bozze. Alla lista appena descritta vanno aggiunte le opere dialettali (nate da idee di Dante e aperte ad altri auto-
ri): i cinque Quaderni della Congrega de dialèt arciunes (1989-1993) e i quattro giornalini “L’udor dla pièda” (19931994). Del “Cantachiaro”, quaderno di 44 pagine con la copertina di Paolo Santovito, presentato in anteprima la sera stessa e donato a tutti i partecipanti, ha parlato Maria Grazia Tosi, figlia di Dante. Con la chiarezza di linguaggio che le è propria, ha illustrato la raccolta di articoli apparsi su F.A. in diciotto puntate (dal 1987 al 1990) rimarcando come Dante fosse una penna creativa e poco “allineata” e come, dopo quasi trent’anni, certe riflessioni si ripropongano denotando la lungimiranza di un autore profondamente innamorato di Riccione. Poi è stata la volta delle testimonianze. Edmo Vandi e Lorenzo Canducci hanno ricordato con affetto episodi vissuti e il sorriso lieve che accompagnava le loro parole era la dimostrazione di quanto bene per Dante è rimasto nei loro cuori. Un simpatico intervento ha avuto protagonista Ercole Leurini. Avendo appena scoperto per caso le poesie di Dante, con amore a prima lettura, ne ha recitata una. Paolo Ciotti invece, si è cimentato nella lettura di alcune pagine del libro “Le storie di Dolfo...e altre”. In quegli scritti Dante, intervistando suo padre Rodolfo, ha narrato com’era la vita a Riccione tra le due Guerre e prima del boom economico, come ogni giorno era una “battaglia” per procurarsi il necessario, come chi aveva “ingegno” e fantasia riusciva a sbarcare il lunario, come l’onestà e l’amicizia fossero sacre. E il personaggio Rodolfo Ciotti detto “Dolfo” era tutto questo, era la testimonianza vivente di un mondo duro e tenero in egual misura.
Dante Tosi
Dal volte, se mèr, ui è dal vose, dal vose cère ad marinèr...
ASSOCIAZIONE CULTURALE PER RICCIONE
In mezzo a tutto ciò la lettura delle poesie; in lingua e in vernacolo. Per le prime due interpreti eccezionali, due lettrici con l’anima, due voci dai toni giusti: Alessia Canducci e Giorgia Penzo. Dire che non volava una mosca non è metaforico. Hanno veramente trasmesso il senso dei pensieri di Dante, hanno fatto “vedere” quanto descritto in quei versi. Più facile per il dialetto, con l’interpretazione di Edmo Vandi e Giuseppe Lo Magro che l’autore hanno conosciuto a fondo negli incontri nella Congrega de dialèt arciunes e nelle serate di poesia vernacolare al Teatro Africa. Alla fine tanti applausi e i visi commossi dei familiari di Dante hanno gratificato chi ha dato vita ad un dovuto e sentito “amarcord”.
Da sinistra: Alessia Canducci, Giuseppe Lo Magro, Maria Grazia Tosi, Paolo Ciotti, Giorgia Penzo, Edmo Vandi.
la poesia di dante tosi
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Se... una notte rubano il mare
Ricordo del mare Siamo partiti il mattino presto, coi viveri,le ombrelle e tutto il resto; con Tonia, la cavalla, al biroccino prestati da nostro zio Agostino.
E... la mattina Virgilio trova il cogollo e i tramagli piantati nel deserto di sabbia, traverso gli scanni.
Eravamo, io e la mia Francesca con il vestito color di pesca; la Maria col suo bel Primino tanto caro quanto mingherlino.
E... il dalmata, il cane di Dario che corre dietro le ombre e ai silenzi insopportabili delle onde che non frangono più.
Antonio ha portata la morosa, l’Ebe, in una veste tutta vaporosa; ha voluto venire anche Martina accompagnata dalla zia Pasquina.
E... la paranza di Alessio che non torna più al porto, dispersa a nove braccia d’acqua legata ai calamenti della tartana.
Siamo arrivati che il sole si levava dal mare che ancora coccolava e portava un’aria frizzantina, un segno chiaro di buona mattina.
E... le brezze di greco e scirocco che non s’intingono più volando leggere sulle onde, per temperare le nostre stagioni. Se... una notte rubano il mare!
Fiore di donna
Abbiamo stesi i teli e aperti gl’ombrelli sulla sabbia tra gusci di calcinelli; e colle camicie bianche e i bragaloni abbiamo vissuto un giorno da leoni.
Un refolo di garbino, nel sole caldo d’agosto, si é insinuato nella camicia da bagno di una ragazza, alzandola e sfilandola volante foglia nel vento, lasciandola ignuda, spaurita e compiaciuta per lo scherzo patito. E, a noi ragazzi fortunati, é rimasto negli occhi la dolce forma di un fiore nel corpo maturo di donna.
Pioggia d'agosto
Granchi di riva Scorribande di granchi, sulla riva a caccia di cibo, risalgono durante la notte le sabbie della bassa marea, nel loro ridicolo andare traverso a guadagnare le secche, ammucchiandosi intorno ai resti di una cheppia, lasciata nello sbrocco dei tramagli. E ognuno portandosi via una parte da trangugiare in pace, discosti. L’alba si preannunzia sul mare nei vapori vermigli, e subito dardi splendenti del sole colpiscono i capanni, le insegne spente, il verde dei pini. E loro, in fretta tornano in mare.
Le gocce scoppiano in fiori di spuma sul mare e s’aprono cerchi che dilatano minime onde. Fuggono i bagnanti a cercare precari ripari, ma i temerari amanti restano a godersi la pioggia che scende tra i capelli sul collo sugli occhi e fa dolci le labbra aride del salino intrise nel gioco delle onde di questo giorno d’agosto. Il gabbiano stride forando nel suo volo radente la coltre di pioggia che placa le onde e i rumori. Stratta il maestrale che squarcia il cielo e riapre allo splendore del sole.
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di Nives Concolino
Dario Fo e il suo feeling con Riccione E’ stato costante il legame che Dario Fo (1926-2016) ha mantenuto con Riccione fin da bambino, quando arrivava in Riviera per trascorrere le vacanze in colonia. Il “Giullare” del teatro nel tempo è poi tornato più volte per spettacoli, presentazioni di libri, nonché mostre come “Il Teatro dell’occhio” nel 1984 allestita in occasione del Premio Nazionale Riccione Ater per il Teatro. In una grande retrospettiva si presentò l’opera di Fo come scenografo costumista, grafico e anche pittore, con l’esposizione di 150 opere fra disegni, bozzetti, acquerelli originali con i progetti di scena, i costumi, i pupazzi, i manife-
sti, i tazebao politici e gli oggetti di scena. Ma l’impronta più popolare che il celebre artista ha lasciato alla città, è stata la serie di vele d’epoca che tuttora addobbano le casine dei bagnini in spiaggia. Dario Fo avanzò le proposte al sindaco di allora, Daniele Imola, che a sua volta le fece realizzare agli studenti del Liceo Artistico (già Istituto d’arte) Fellini, su disegno dello stesso Fo. “Riccione mi piace! – Mi confessò il Nobel qualche anno fa -. La prima volta sono venuto in riviera con l’organizzazione dei ferrovieri, che portava i bambini nelle colonie elioterapiche. Avevo cinque anni. Sono andato al mare dappertutto, ma per me il mare è rimasto l’Adriatico. Qui tra l’altro ho tanti bei ricordi. Ho allestito la mia prima grande mostra di pittura e ho debuttato con due diverse commedie, tra cui Quasi per caso una donna: Elisabetta. Ci sono poi tornato per il debutto de Il vangelo degli straccioni. Amo questa città nel suo contesto, amo la collina, il mare la gente. La frequento da quando sono nato, come un uccello di ritorno”.
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di ni.co.
Enrico il Pazzo, re dell’etere E’lo speaker-intrattenitore più amato dalle donne, uno “Scorpione” sempreverde che con la sua voce calda e sensuale, a tratti altisonante e vigorosa, accende l’atmosfera, regalando emozioni e musica. Enrico il Pazzo, storica voce di Radio Sabbia, quest’anno festeggia i suoi quarant’anni di carriera, cominciata nel 1976 nell’emittente del cammello. Ogni giorno, l’autore e protagonista del celebre Sca Sciusciù, all’ora di pranzo accompagna i “sabbiolini” in un popolare itinerario musicale tra dediche, messaggi e saluti dei suoi fan. Una lunga carriera? “Si, sono arrivato a Radio Sabbia, nata il 9 giugno 1976, un mese/due dopo la sua apertura. Eravamo in viale Milano, a pochi passi da viale Ceccarini. Allora c’erano Stefano Lazzaro, Enrica Tosi Brandi, Stefano Savioli (capitan Cocoricò), il giornalista Marzio Cesarini, Stefano Coveri,solo per citarne alcuni. Si sono poi aggiunti altri colleghi, tra i quali Gilberto Gattei, Betty Miranda e Katia Galassi. Ho seguito tutte le tappe e gli spostamenti della radio da viale Amendola all’attuale sede, in viale Veneto”. In questi 40 anni Enrico il Pazzo è diventato la leggenda dell’etere? “E’ così! Sono uno Scorpione pungente!”. Che fa impazzire soprattutto le donne, come le circuisce? “Le coccolo, dico a tutte che sono belle e questo le fa sentire importanti”. Ci racconta qualche aneddoto? “Con la tecnologia ora è più difficile, ma quando si inviavano le letterine, mi scrivevano di tutto e dentro ci trovavo anche dei pensierini. Mi hanno regalato perfino reggiseni e perizoma. Grazie a Dio, mi sono successe solo cose allegre. Aprire il microfono per me non è un lavoro ma un divertimento.”. Qual è il segreto di tanto successo? “Non c’è un segreto. Sono solo rimasto sempre me stesso e mi mantengo così. Sono l’unico dei pochissimi a fare ancora dediche e richieste nelle mie due ore e mezzo di trasmissione. Non ho neppure mai cambiato orario. Enrico il Pazzo show va in onda sempre dalle 11 alle 13,30”. Nei suoi programmi ha ospitato artisti di grido, vero?
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“Si, ho intervistato tantissimi cantanti, da Renato Zero a Gianni Morandi, dai Pooh a Loredana Berté”. Lei ha inciso un disco che ancora si canticchia, è così? “Vero. Nel 1981 ho inciso Sca Sciusciu. Il brano è piaciuto a Claudio Cecchetto che, dopo avermi chiesto il permesso, nel 1982 ne ha fatto una cover, che mandato a Sanremo. Quel 45 giri, diventato anche sigla del Publiphono radiomare, è stato uno dei dischi più venduti dell’anno, tanto da finire nell’Olimpo delle hit parade. I fan vorrebbero conoscere la sua età, ma lei non li accontenta… “Sono arrivati ad offrirmi mille euro per sapere quanti anni ho, ma neanche se mi danno un miliardo svelerò la mia data di nascita!”. Lei è richiesto anche per le serate nei locali? Si mi chiamano ovunque, sono stato anche a Perugia e a Brescia, ma lavoro principalmente tra Marche ed Emilia- Romagna, sono stato più volte a Bologna e Modena”. Musica e motori, lei è un amante dei kart? “Si, ne possiedo uno. Anni fa, quando correvo in pista, ho avuto anche successo. E’ una passione che mi è rimasta, ma ora corro solo per allenarmi”.
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CURIO ITÀ senzaeta’ di Maria Grazia Tosi
“COM’è ANDATA L’ESTATE 2016?” Questo il titolo del questionario compilato dai titolari di hotel che a fine stagione è stato elaborato tenendo conto di tutti i dati da loro inviati nel corso dell’estate, ma anche di quelli pervenuti dall’Ufficio Statistica della Regione e dagli OTA (Booking.com, Expedia, Trivago, Tripadviso…), dati che con meticolosità l’Osservatorio Turistico Luigino Montanari tramite l’Associazione Albergatori di Riccione ha approfondito e codificato. Un monitoraggio credibile, che ha confrontato le risposte pervenute da 110 strutture, il 25% delle 399 presenti nel nostro Comune. Com’è andata? I numeri dicono bene! La stagione 2016 è stata un po’ la fotocopia del 2015 regalando un maggior ottimismo rispetto alle precedenti, in particolar modo quella del 2012, la peggiore. Molteplici le informazioni che il questionario ci riporta. I mercati in crescita italiani sono risultati la Lombardia e l’Emilia Romagna e per l’estero la Svizzera e Liechtenstein. Le migliori settimane dell’estate sono state la quarta di giugno, la terza di luglio e la terza di agosto. Si è profilato molto importante il ‘prodotto Natale-Capodanno’ con 46.600 presenze contro le 29.800 del 2013. Il mese di marzo-aprile, quello che si ricollega alla Pasqua, ha registrato 5000 presenze in meno rispetto al 2014, ma questo ha dipeso dal periodo in cui è caduta la Festività… quest’anno troppo anticipato. Per il mese di maggio le presenze sono state meno del 2015, ma per il 2017, profilandosi i giorni giusti perché il 1° maggio sarà un lunedì e il 2 giugno un venerdì, si prevedono più brillanti risultati. Gli albergatori si sono detti mediamente soddisfatti della redditività delle loro aziende e propensi ad investire in esse per il prossimo anno. A proposito di quanto questi vorrebbero che l’Amministrazione investisse, la qualità urbana e quella delle acque sono risultate al primo posto, a seguire la sistemazione dei marciapiedi, nuove aree verdi, maggiori parcheggi anche fuori dal centro… Il tema divertimento–benessere ha riscontrato il desiderio di incentivare locali per fasce d’età oltre i 40 anni, locali al mare per aperitivi, un parco termale di altissimo livello, progetti per valorizzare il prodotto mare, nuove aree gioco, palestre. CINQUE GENERAzIONI ACCOGLIENTI Un’autentica ricchezza la famiglia, che operativamente coesa ha rappresentato il pilastro della nostra proposta ricettiva. Pochissime sono rimaste quelle attività che di padre in figlio e per più generazioni si sono passati esperienza… e clientela
Di stagione in stagione
(anche quella, spesso, con la medesima dinamica). Un albergo al centro dell’Alba, il Vergilius (un tempo TV), ne ha viste persino cinque. Era il 1930 quando Augusto Casali e la moglie Ida acquisirono la licenza di affittacamere, e nel loro villino all’incrocio tra via Verdi e via Tasso iniziarono ad ospitare i primi sporadici bagnanti. Dopo la guerra, nel ’46, la struttura venne ampliata tanto da diventare anche dependance di hotel, nel ’54 venne ampliata una volta di più trasformandola in pensione che per tre anni venne data in affitto, e nel ‘58 gestita direttamente: Assunta (la figlia) seguiva la cucina, Virgilio Tosi (il genero) teneva le ‘public relations’ (oltre a fare il pescatore e il direttore del Dancing Savioli), il loro figlio Alberto ormai grande e appena sposato con Luciana si unì al gruppo e crebbero le due figlie, Donatella e Stefania, sempre dentro l’albergo, che nel frattempo aumentava di qualità e stelle. E siamo alla quarta generazione, alla quale si aggiungono Daniele e Martina, figli di Donatella, anche loro coinvolti nella stimolante ed aggregante azienda di famiglia. Parlando con il titolare di terza generazione, Alberto (Bertino), è curioso appuntare qua e là alcune note. Clientela: “Forse negli anni ’60-‘70 c’era più bella gente, anche in pensioni modeste come era la nostra. Nei decenni successivi quello di Riccione è diventato in generale un mercato più popolare… anche se ho notato che ultimamente si sta avvicinando a quello di un tempo, forse perché sono stati incrementati eventi rivolti a fasce più svariate di clientela, forse perché é diminuito il movimento serale provocato dai locali a spiaggia e quindi in giro c’è minor caos: era incredibile quello che sino alla costrizione del sottopasso di Viale Verdi
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penalizzava tantissimo proprio questa zona, facendo diventare il viale un punto fastidiosamente nevralgico per le file interminabili che si creavano soprattutto qui al semaforo”. Strutture: “Nel 1958 erano circa 500 le strutture poi sono diventate circa 800 e ora si sono dimezzate, perché tante sono state trasformate in appartamenti. Qui sul Viale Verdi, dal sottopasso al mare, prima eravamo in 13 alberghi: Argentina, Medusa, Frankfurt, Gioia, Rialto, Aglaia, Amarcord (allora Floridiana), Alba, City (prima Ostenda), Flavia, Urania, Luana e noi. Ora siamo rimasti solo noi, Luana e Urania”. Soggiorni: “Decisamente più lunghi: prima dei clienti spesso arrivavano i loro bauli col treno… poi
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21 loro, solitamente sempre in treno, in auto raramente; clienti che hanno soggiornato qui in hotel anche per più di mezzo secolo”. Personale: “Veniva ricercato nell’entroterra riminese e si lavorava tutti come una grande famiglia, dove meno erano le regole e le ripicche e maggiore la disponibilità e cooperazione”. Menu: “Una volta proponevamo tutti lo stesso cibo e nei giorni fissi: venerdì pesce a pranzo, giovedì ravioli e arrosto e uova alla sera, domenica lasagne e pollo… il menù a scelta era un’utopia e le intolleranze alimentari non facevano impazzire gli chef”. Prezzi: “Non ricordo bene quali fossero quelli dei primi anni perché ero troppo piccolo, ma ho appreso poi che a metà degli anni ’30 anche negli alberghi più importanti una settimana di soggiorno si aggirava sulle 200-300 Lire”! Tassa di Soggiorno: “E’ ritornata come un tempo, quando ci mettevano in allarme gli ispettori che passavano di persona a controllare. Ora sono cambiate le modalità di accertamento e riscossione… e la tassa si paga, augurandosi, sia noi albergatori che i turisti stessi, venga investita nel miglior modo possibile”. TASSA DI SOGGIORNO, UN GIORNO A proposito di Tassa di Soggiorno: per chi non lo sapesse venne istituita col provvedimento del 26 giugno 1923, poco dopo l’acquisizione dell’autonomia di Riccione; venne poi costituito un corpo di 6 esattori ai quali era assegnata una delle 6 sezioni relative a due precise zone: la prima comprendente il perimetro a mare della ferrovia, dalla via Fogliano (ora Via Verdi) a via all’Insegna (ora San Martino), e la seconda comprendeva tutto il restante territorio comunale. Per la prima zona la tassa era di 20 Lire per gli adulti e 10 lire per ragazzi e domestici; nella seconda zona era di 15 Lire per gli adulti e di Lire 7,50 per ragazzi e domestici. Gli esattori venivano retribuiti con la percen-
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tuale del 6% delle tasse incassate, che nel 1923 ammontarono a 114.090 Lire. Tornando ai giorni nostri, il Comune di Riccione nel 2016 prevede d’incassare 2.980.000 euro, contro un gettito che nel 2015 ne ha fruttati 2.968.019,09. TUTTI SChEDATI La gestione delle prenotazioni se da parecchi anni è affidata alla velocità, precisione e funzionalità del computer, che viene utilizzato nelle su sempre più sofisticate potenzialità, divertente è vedere di quale portata fosse il registro sul quale si appuntavano gli alloggiati: risalendo a metà degli anni ‘30 un ingombrante foglio di cm 50 x 70 veniva compilato a penna, dove non solo erano specificai i normali dati che anche ora devono risultare indispensabili, nome, data di nascita e località, residenza, estremi del documento… ma anche il nome del padre, il nome della madre e la professione. Una ricerca di maggiori possibilità identificative della clientela (anche considerato il contesto socio-politico)… o invece solo un’anticipatoria strategia balneare (analisi dei mercati, maggiori contatti promozionali)? TURISMO A QUATTRO zAMPE Possedere un cane e portarlo con sé in vacanza sembra sia una tendenza sempre più acclamata. Per la prossima stagione 2017 l’Associazione Albergatori in collaborazione con il Canile di Riccione sta lavorando al progetto “Pet-Friendly”, al fine di rendere la nostra città attrezzata all’accoglienza di turisti con relativi quattro zampe. Perché sono tanti gli hotel che accettano cani… ma si contano sulle dita quelli specificatamente loro dedicati. Da quest’inverno si vorrebbe dar vita ad una serie di attività per promuovere la nostra Riccione quale destinazione ‘amica degli animali’ a livello nazionale, creando uno specifico club di
prodotto: “Un interessante trend – spiega Luca Cevoli direttore dell’Associazione -, che andrà a diversificare una volta di più l’offerta della nostra città, proponendo realtà veramente certificate ad ospitare in modo ottimale i turisti che si portano i loro amici in vacanza. Una settantina di albergatori si sono già dichiarati favorevoli”. Perché è stato inviato a tutti gli hotel un questionario per sondare la disponibilità di ciascuna struttura ad offrire ambienti adeguati, speciali servizi come dog-sitter, collegamento con spiaggia dog-friendly, un educatore cinefilo, ma anche la voglia di seguire corsi di for-
mazione per cercarsi un mirato mercato. Perché un conto è accettare un cane… un altro é predisporre tutti i più specifici comfort come fa ad esempio l’Hotel Corona, che da anni con convinzione e competenza sa offrire, quali una saletta ristorante riservata con adeguati menu, brandina ed attrezzatura in camera, possibilità di un dog-sitter, un veterinario a disposizione 24 ore al giorno, la convenzione con una spiaggia a lui accessibile. Quello della spiaggia è un punto debole infatti, perché molto spesso non riesce appieno ad accontentare la vasta richiesta di turisti + cani. Si dovranno adeguare, perché a tutt’oggi sono poco più di una ventina quelle dove ci si possa portare i cani, concentrate principalmente nella zona Fontanelle e Alba, anche se di queste sono solo 3-4 quelle regolarmente autorizzate e tutelate.
2014
NSANDO AL DOMANI
FLAMINIA 341
RICCIONE - LA PERLA VERDE
Articolo del Settembre 1973
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di Albo Casadei
Festa della “MATER ADMIRABILIS” Un buon parroco e un valente artista
Fu verso la fine degli anni '50 che, in una piccola città della Provenza, a pochi chilometri dal Mediterraneo, conobbi l’Abbè Pierre», un giovane prete della carità cristiana, povero, generoso, lavoratore e predicatore, dalla tunica lisa e dalle mani bucate non dalle stigmate, ma da ampie falle dalle quali uscivano abbondanti elemosine. Molti colleghi e correligiosi francesi, incapaci di emulare la generosa carica dei suoi sentimenti, finivano con il deriderlo, defraudandolo, in una presa di posizione d'invidia, di quella dignità e prestigio che però non si acquistano con l’abito nuovo, al posto di quello sdrucito, -perchè “l'abito non fa il monaco” -ma con la pratica attuazione degli insegnamenti di ‘Cristo: «AMA IL PROSSIMO TUO COME TE STESSO!». E l’«abbé Pierre», l’abate Pietro, sorrideva al suo prossimo; lo amava e lo beneficava sino ad annullare se stesso... Che c’entra tutto questo discorso? Che cosa ha a che vedere l'abbé Pierre con la festa della «Mater Admirabìlis», protettrice della parrocchia di Riccione-Marina? C'entra per via di un accostamento che mi viene spontaneo fare tra la vita religiosa e pubblica dell’abate Pietro e quella di Don Mario, povero nonostante la ricchezza della sua parrocchia, infaticabile nei collegamenti coi suoi parrocchiani e sempre disposto ad aiutare chiunque gli si presenti in nome della carità. La piccola chiesa di Marina, istituita a parrocchia sotto la protezione della «Mater Admirabìlis» nell’anno 1952, la cui festa si celebra ogni anno nella penultima domenica di ottobre, vide posare la sua prima pietra nell’Agosto 1909. Le decorazioni delle pareti e le immagini dei santi apostoli, sono opera del popolarissimo ed eccentrico pittore Gobbi, conosciuto dai riccionesi di oltre mezzo secolo fa, e tramandato alla memoria dei posteri non in virtù della sua arte, ma come il più strano tipo di dissipatore, divenuto addirittura proverbiale in rapporto all’austera semplicità dei miei concittadini dell’epoca, i quali, con un senso tutto loro della morale, quando volevano ammonire, qualche giovane sbandato, dicevano: «...Se vai avanti cosi, morirai nel pidocchi come II pittore Gobbi». Ricordo il simpatico Don Giuseppe, il prete della mia prima infanzia il quale sapeva chiedere l’elemosina con tanta garbata comicità, da indurre anche mia madre a fargliela, nonostante le ristrettezze economiche di allora. Ricordo poi i barbuti missionari africani, Padre Tito dalla vasta cultura umanistica e Padre Pietro Ribeira, portoghese, uomo colto e rettore di questa chiesa per molti anni. Infine Don Mario, il suo primo parroco, il quale generoso com’è, dà molto ed ottiene molto, perchè anche in que-
Lo scultore Savino Cicconi mentre sta “ricamando” lo scialle della Vergine.
sta «doppia partita», «le vie del Signore sono infinite». Come primo atto pubblico del suo ministero, provvide a raddoppiare la capacità ricettiva della piccola chiesa, rendendola più bella, più comoda, più calda di rapporti umani in comunione con la Divinità della quale è buon ministro. Egli fece coprire le capriate che sostenevano il tetto, con un soffitto a pannelli di cornici e rosoni di stucco; chiamò un grande pittore: Padre Giovanni Lerario da Pescara, il quale ha mirabilmente dipinto l'Abside; commissionò ad un valente orafo locale di antica scuola, un ricco diadema d'oro e di gemme per la «Mater Admirabilis», la quale non possiede beni di sorta, nè opere d'arte antica e moderna, ma ha l'inesauribile ricchezza del cuore del suo parroco e il bene delle devozioni dei suoi fedeli parrocchiani. Sicché anche questa chiesa, un tempo spoglia, possiede ora i suoi modesti tesori: l'Abside, il ricco diadema, le decorazioni pittoriche varie e una statua della Madonna, opera-dono che lo scultore Savino Cicconi ha ricavato da un tronco d'albero proveniente dalla Nigeria. Si tratta, per l’esattezza, di un legno venato, privo di nodi, appartenente al fusto maschio di un «AGHBA», del diametro di un metro, alto 165 centimetri, dal quale l'artista ha tratto l’immagine della Mater Admirabilis protettrice. Savino Cicconi è, per la prima volta nella sua vita di scultore, alle prese con il legno, perchè la sua specialità sono i metalli. Maresciallo di prima classe, motorista dell'Aeronautica, tuttora in attività di servizio presso il 5° Stormo di Miramare di Rimini, residente da diversi anni
con la famiglia a Riccione, dove per molti è il solito «illustre sconosciuto», Savino è un artista vero, anche se non proviene da nessuna accademia d’arte. Autodidatta, egli ha collezionato numerose medaglie d’oro alle mostre degli hobby di Riccione, alle quali partecipa da una quindicina di anni, nonché alle esposizioni di Bari, Taranto, Reggio Emilia, Milano e Roma, dove ha sempre ottenuto primi premi e grandi soddisfazioni. Là, nel piccolo ingresso del «Cinema Africa», attiguo alla casa parrocchiale, senza banchi, senza argani, talvolta senza neppure l'indispensabile per seguire l'impulsività del suo estro, ha lavorato incessantemente dal 23 febbraio scorso, tutti i pomeriggi, dopo aver assolto i suoi doveri di militare. Ha lavorato con passione, usando sgorbie, scalpelli, lame e punteruoli che si fabbrica da solo, adeguandoli ad ogni particolare impiego; ha lavorato con tenace volontà e soprattutto con l’animo illuminato dalla fede che ispirava i grandi del nostro bel Rinascimento. Dalla scorza ruvida di quel tronco di Aghba, ha liberato l'immagine gentile di una Madonna, con mano abilmente guidata da quel genio creativo che dà forma all’informe e vita alle cose morte. E, la sera del 21 ottobre 1973, festa della Parrocchia, la Madonna è stata condotta in processione attraverso le vie del centro cittadino. Otto mesi di «Tormento ed estasi», sono bastati al nostro Cicconi, artista genuino delle più pure tradizioni, a dare vivente spirito a questa immagine che ora ci appare tutta bella, consapevole, rassegnata e quasi inchinata nella accettazione di quell'alto volere che doveva privarla del più diletto dei figli: il suo Gesù, il Cristo delle genti... Anche il legno, compiacendosi con il genio dell'artista, ha voluto scoprirgli una sottile venatura bianca che, animata dal gioco delle ombre ha l'aspetto di una lagrima. Ma il capolavoro del nostro Cicconi sta nell'aver impresso al volto della Madonna una espressione di dolore, che, passando da un lato all’altro del volto, diventa mestizia e rassegnazione e poi espressione di beatitudine celestiale! E siccome l’ho seguito in questa purissima e dolorosa ansia creativa, ho voluto essergli vicino anche durante il solenne rito della benedizione impartita dal Vescovo Emilio. Alla domanda: «Cosa provi, vedendola già oggetto di culto da parte dei fedeli?», mi rispose: «Una sensazione meravigliosa di fede e di speranza, che non posso spiegare con altre parole»... Giusto, perchè non si è artisti come Cicconi, senza essere sorretti dalla fede e dalla speranza, per dire le quali ogni linguaggio umano è insufficiente. Nè si potrebbe vivere ed operare senza il sostegno e la spinta di tali sentimenti.
PRETI RICCIONESI
di Nives Concolino
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Don Luca Ruggeri: da architetto a sacerdote Voleva diventare un buon architetto, intanto, come tanti ragazzi della sua età, frequentava assiduamente le discoteche. Poi l’improvvisa “chiamata” al sacerdozio, così, don Luca Ruggeri, 27 anni riccionese, lo scorso 27 agosto è diventato prete. A ordinarlo sacerdote, nel santuario mariano della Baviera preferito da Papa Benedetto, quello di Altötting, è stato il cardinale Mauro Piacenza. La scelta della Germania non è casuale, è qui infatti che don Luca ha frequentato la comunità Famiglie di Maria. Tornato a Riccione in settembre, ha celebrato la prima messa il 2 ottobre nella nuova chiesa di San Martino, dove centinaia di amici e parenti l’hanno accolto con una grande festa. Subito dopo ha fatto ingresso da viceparroco nella parrocchia di San Francesco a Civitella del Tronto in Abruzzo. Ma qual è stata la scintilla che ha invertito la rotta del giovane Luca? “E’ cominciato tutto da un pellegrinaggio, durante il quale un gruppo di Riccione ha incontrato la comunità Famiglie di Maria, che ha gran parte delle missioni all’estero (in tutta Europa, fino al Sudamerica, ma soprattutto in Russia e Kazakistan) – racconta -. Da quel momento è nata un’amicizia, tant’è che alcune suore e sacerdoti sono stati invitati nella parrocchia dei S.S. Angeli Custodi. Sono quindi venuto in contatto con una suora che per carattere e stile assomigliava a mia mamma, andata in cielo nel 2004. Questo per me è stato un segno”. Come riporta lo stesso don Luca, l’idea di farsi prete, prima
di allora non l’aveva mai sfiorato. Si era diplomato, faceva il geometra e, come si diceva, aspirava a diventare architetto. “Non andavo in chiesa, ero l’opposto, un discotecaro, coltivavo amicizie anche al di fuori della chiesa – continua -. Avevo conosciuto una ragazza e mi ero innamorato. Con lei ho poi cominciato a fare anche un cammino di fede, finché a Riccione sono capitate queste suore. A una di loro ho chiesto consigli, volevo capire se la ragazza con la quale uscivo era quella giusta e lei mi ha consigliato
di frequentarla, ma di non prendere decisioni importanti per un anno, chiedendo al Signore di darmene conferma. Ho avvertito la necessità di fare una ricerca più profonda, fino a capire che la mia strada era un’altra”. Poi il chiaro segnale: “Sono andato a Roma, dove c’è una sede della comunità. Arrivato lì mi sono sentito come a casa mia ed è nato in me il desiderio di diventare missionario. Ero ancora innamorato, ma questo desiderio ha superato l’innamoramento. Dio mi ha parlato e io gli ho fatto spazio”.
re il suo ministero nella chiesa del Crocifisso (Sant’Andrea dell’Ausa), dove segue anche gli scout e i ragazzi dell’Azione Cattolica. “Sono entrato in seminario a 29 anni, ma la mia vocazione è nata a 27 anni. Ho fatto questo passo, anche se ero contento della mia famiglia e avevo
un lavoro che mi piaceva. Sono laureato in Economia aziendale e ho lavorato in campo amministrativo e nell’informatica. La scintilla si è accesa durante un’adorazione notturna nella notte di San Silvestro nella chiesetta di San Giuseppe al Punto Giovane. Ero entrato per stare lì dieci minuti, di fatto ci sono rimasto per tutta la notte. E’ stato un momento forte d’incontro con Gesù nell’eucarestia”. E’ seguita una verifica, la formazione e un percorso spirituale, anche con diversi amici preti. Don Eugenio è quindi entrato in seminario nel settembre 2009 a Rimini, dov’è rimasto tre anni, per poi proseguire gli studi a Bologna per un altro quadriennio. Alla base di questo grande passo come lui stesso spiega: “è stato il desiderio di una vita piena. Nonostante avessi tutto e la mia vita fosse normale (con gli amici si facevano gli aperitivi e andavamo al ristorante), sentivo che mancava qualcosa. Poi è arrivata la chiamata che mi ha indotto a fare una scelta non certo indolore, ma comunque di pace, un cammino che dona una gioia di fondo”.
Punto Giovane: consacrato Eugenio Savino Ogni anno è punto di riferimento per centinaia di ragazzi che partecipano alle convivenze con la guida di educatori e preti, il Punto Giovane di Riccione, da 18 anni gioiello della pastorale giovanile, nel frattempo è diventato un grande vivaio di vocazioni. Sono quattro i giovani tra cui i riccionesi don Davide Pedrosi e don Francesco Fronzoni, nonché Raffaele Masi di Miramare, che nel frequentarlo sono diventati preti. L’ultimo è don Eugenio Savino, anche lui riccionese, ordinato sacerdote dal vescovo Monsignor Francesco Lambiasi il primo ottobre nella cattedrale di Rimini. I parrocchiani hanno fatto festa con lui il 2 ottobre nella chiesa nuova di San Martino, dove ha celebrato la prima messa, seguita da un pranzo comunitario al quale hanno partecipato 140 persone. E’ stata una grande emozione, perché proprio in questa chiesa il novello prete è cresciuto nella fede, faceva parte del coro e suonava la chitarra e il pianoforte. Non aveva però mai pensato di diventare un pastore della chiesa. Al momento don Eugenio continua a svolge-
Area vecchia fornace
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di Nives Concolino
Nasce il Parco degli Olivetani
Con la piantumazione di circa 360 alberi, di cui 300 pini in sostituzione di quelli abbattuti per il Trc, e 1.600 arbusti autoctoni intervallati da aree giochi, a Riccione nasce il Parco degli Olivetani. I lavori, avviati in ottobre, riguardano l’area compresa tra Viale Einaudi, il Rio Melo, la Flaminia e la fornace Hoffmann (accanto alla nuova scuola media), dove si trasferirà il Museo del territorio. Come annunciato dagli assessori Roberto Cesarini (Lavori pubblici) e Susanna Vicarelli (Ambiente): “Questo progetto prevede il recupero e la riconversione della zona, da preservare in gran parte a verde, senza nuove edificazioni. Il nuovo parco infatti nascerà in un’area di interesse paesaggistico per i valori storici, naturali e morfologici del territorio, per cui per legge dev’essere
preservato. Vale a dire niente interventi edilizi o di impermeabilizzazione, ma solo manutenzione per non alterare le caratteristiche morfologiche dell’alveo”. Illustrato dall’agronomo della Geat, Giovanni Moretti, e dal progettista Simone Contadini, il progetto prevede solo la realizzazione di un pontile di legno sotto il quale sarà consentito il passaggio di piccole imbarcazioni, in particolare canoe, fino al ponte romano, sotto la Flaminia”. Il Parco degli Olivetani sarà pronto in primavera, in autunno verrà aggiunta un’area giochi di circa 800 metri quadri per bimbi fino10 anni. Per evitare gli allagamenti che interessano soprattutto l’area riservata alla sgambata dei cani, nel frattempo si provvederà a garantire il deflusso delle acque piovane con appositi lavori idraulici. Esteso
in gran parte sui sette ettari di superficie, che il Comune aveva acquistato nel 2001dalla società Oltremare con la vecchia fornace, il progetto include il “Bosco dei ciliegi nato nel 2008 da un’idea di Tonino Guerra. L’intervento, che avrà pure la funzione di creare una barriera di protezione tra parco e viale Einaudi, metterà in rete le piste e gli altri parchi della città.
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Passeggiando...
di Giuseppe Lo Magro
"Parco" della Fornace ora
Bene, bene, bene! Arriva il Parco della Fornace! O meglio, lo spazio destinato dalla precedente Amministrazione al “VERDE” verrà integrato con nuove piante (a parziale “risarcimento” di quelle abbattute per far spazio al T.R.C. “Trasporto Rovina Città”), nuovi sentieri, panchine eccetera. Tutto ciò non può che fare immenso piacere; avremo un luogo in cui
blico ma aperta a vandali, writers e parkour notturni, divenendo un “orto” di erbe spontanee. L’arena è ancora “selvaggia”. Sino all’ 11 Agosto ricca di sterpaglie, poi la decespugliazione, in tre/quattro giorni a cavallo di ferragosto (lasciando pericolosi cubi aperti nel terreno), con la piattaforma-palcoscenico sempre desolatamente grezza). Nel frattempo sono stati
passeggiare e godere il verde. Un semplice appunto, da cittadini che amano Riccione, parafrasando Benso, Conte di Cavour: “Abbiamo fatto l’Italia, ora dobbiamo fare gli italiani”....appena avremo fatto il Parco facciamo sì che sia mantenuto e conservato. Perchè l’esempio della Fornace e dell’arena lì vicino non ci lascia sperare molto. L’ex Fornace recuperata (con una bella spesa – si sussurra 700.000 e rotti euro- aspettiamo smentita e cifra molto più bassa) a fini culturali, sinora è rimasta chiusa al pub-
installati dei pali da illuminazione...speriamo nella prossima estate! Il luogo si presta a mille iniziative culturali, essendo facilmente raggiungibile, disponendo di capienti parcheggi e con la prerogativa di luogo all’aria aperta sotto un cielo di stelle. A proposito di parcheggi... A fianco dell’arena, quei pali da pseudo-tettoia che si estendono verso gli stalli ,vomitando una ruggine “cannibale” che sta aggredendo il muro di contenimento... devono continuare la loro opera distruttiva? Una grattata e un po’ di vernice?!?!
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il nostro “grAttAcielo”
La torretta di Riccione Il 24 aprile del 1933 viene inaugurata la V Triennale – Esposizione internazionale delle arti decorative e industriali moderne, per la prima volta a Milano e per la prima a volta in una sede che diventerà storica per tutte le edizioni future. Fu un’edizione memorabile per l’impegno profusovi dall’ormai regime fascista e per le novità presentate da tutte le manifestazioni artigiane, artistiche e soprattutto architettoniche all’insegna di una modernità che ancora oggi stupisce come fuori dal tempo. Grazie al munifico intervento della famiglia Bernocchi di Legnano, era stato costruito un palazzo apposta; architetto Giovanni Muzio. I nomi più altisonanti, se non i più modernamente avanzati, della cultura di allora, Giò Ponti e Mario Sironi avevano tracciato le linee guida dell’organizzazione che coinvolgeva tutto quello che poteva far moderna e bella la casa d’allora: pittura murale e da appendere, mosaici, scultura con ogni tipo di materiale, tessuti, pizzi e merletti, fotografia, illuminazione, floricoltura, giardinaggio e ornitologia, etc. Tutti gli ambienti di abitazione erano rappresentati, dalle ville borghesi al mare, in collina, in montagna a quelle specifiche per: aviatori, artisti, dopolavoristi, giovani sposi, alpinisti, etc.
Non erano tralasciate mostre relative ad aeroporti, stazioni ferroviarie, scuole, rifugi alpini, case rurali, case coloniali e case popolari. L’architettura più moderna ovviamente faceva gli onori casa e vedeva impegnati senza preconcetti tutti i più giovani e innovativi architetti che avranno tempo e occasione di far rifiorire le loro idee nel dopoguerra. Il mondo intero infine era invitato, e mostre e padiglioni saranno allestiti da: Francia, Inghilterra, Germania, Svezia, Stati Uniti, Giappone. In mezzo al parco erano poi state costruite parecchie strutture esemplificative, effimere che verranno demolite a manifestazione finita. Unica rimasta fu la Torre Littoria, poi Torre del Parco e ora Torre Branca, in traliccio d’acciaio alta 108 metri (pochi centimetri in meno della Madonnina del Duomo); architetto Giò Ponti. Sul numero 20 di Quadrante – Dicembre XIII, rivista romana di umanistica moderna in senso molto lato, diretta dai due mostri sacri Massimo Bontempelli e Pietro Maria Bardi, compare un
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di Giorgio Manusardi
corposo articolo dedicato ad una costruzione comparsa e subito sparita dal Parco Sempione al termine della V triennale. La casa in acciaio degli architetti Luigi Vietti e Luigi Carlo Daneri. In confronto dialettico col gruppo milanese facente capo a Giuseppe Pagano che presentano una struttura analoga come modulo di un complesso sviluppantesi in senso orizzontale, Vietti e Daneri, genovesi, concepiscono una specie di grattacielo che dovrebbe avere 8 piani, ma che viene limitato a 6. Montato in meno di 10 giorni dalle Officine Meccaniche di Savona (O.M.S. - Servettaz & Basevi) è l’esempio più chiaro dell’eccellenza della costruzione in acciaio nel campo edile. L’ingegner Ignazio Bartoli su Quadrante fa un’analisi approfondita sulla convenienza economica e tecnica delle costruzioni edili in acciaio, vista ancora con sospetto da costruttori e committenti. L’obiezione principale è il minor prezzo del metro cubo vuoto per pieno delle costruzioni tradizionali. Ma il telaio in acciaio, essendo meno spesso delle pareti in cemento armato, offre un maggior volume interno di un buon 10% che è altresì sfruttabile meglio perché carta bianca in pianta per l’immaginazione dell’arredatore di qualsivoglia tipologia di fruitore. La costruzione poi segue una successione prettamente industriale di fasi. Le travi vengono trafilate, sagomate con precisione meccanica in carpenteria e assemblate con chiodature o saldature in breve tempo. Non c’è bisogno di casseformi o impalcature, la struttura è autoportante da subito e grazie a semplici calcoli statici può svilupparsi in altezze senza limiti. La velocità di costruzione permette una più rapida messa a profitto della volumetria costruita. Non ultima è la smontabilità della struttura che potrebbe eternarne la vita. All’estero e soprattutto negli Stati Uniti si hanno imponenti esempi di edifici in acciaio dove, per sfatare un’altra obiezione dei passatisti, maestranze italiane tutt’altro che inesistenti, sono apprezzatissime. Insomma, quasi a confermare tutti gli asserti degli architetti Vietti e Daneri, Quadrante riporta: “La pratica dimostrazione di questa adattabilità è data dall’avvenuta ricostruzione dell’edificio smontato a mostra ultimata, trasportato e rimontato a Riccione in complessivi giorni 22, e adibito ad uso alberghiero con lievis-
sime modifiche esteriori introdotte d’iniziativa della ditta ricostruttrice”. La Torretta, così venne chiamata la nuova costruzione dai riccionesi, iniziò dunque una nuova vita in riva al mare Adriatico e, a riprova della bontà delle costruzioni in acciaio, dopo ottant’anni svetta ancora nel parco del Grand Hotel che un po’ malinconicamente trascina la sua struttura pressoché ottocentesca in un degrado irrecuperabile. Solo il mare è rimasto uguale a dispetto del turismo di massa e con esso la Torretta in acciaio splendida e razionale con la sua carica di modernità senza tempo.
Torre 900
Per i riccionesi é sempre stata il “grattacielo” tanto è più alta dei fabbricati circostanti, ma il suo nome é Torre 900 e l’ha fatta costruire il comm. Gaetano Ceschina nel 1937 nel parco del suo Grande Hotel Riccione, del quale é dipendenza residenziale di lusso. Per più anni é stata, in parte, utilizzata come sede della Segreteria particolare del Duce, nonché centro operativo di controllo e sicurezza della famiglia Mussolini. Il movimento delle persone e delle merci destinate alla Villa Mussolini era minuziosamente filtrata da questo Ufficio. Per esempio, un giorno, Virgilio, cameriere al Zanarini, incaricato di portare un vassoio di dolci ordinati da Donna Rachele, fu fermato al cancello e mandato all’Ufficio di controllo, al grattacielo. I funzionari ricevettero il pacco e rimandarono Virgilio alla pasticceria. Effettuato il controllo, dopo poco arrivò al Zanarini la telefonata che richiamava il “ragazzo Virgilio” a ritirare il pacco in questione e consegnarlo alla villa. In tema di controllo degli alimenti la signora Nanda ricorda quando le donne di casa del nonno Camillo preparavano il “brodetto alla marinara” per casa Mussolini e degli incaricati venuti a ritirarlo che prima di portarlo via lo facevano assaggiare ai bambini di casa. da Una Rotta nel vento di Dante Tosi
Settantanni dei Z AG H I N I dal 1946
70 1946-2016
Cereali • Sementi • Fiori Mangimi • Fertilizzanti
L’Angiòlla, Salvatore e il piccolo Franco.
La prima sede.
Salvatore Zaghini (1906) viveva a Misano Cella con la sua Angiòlla (Angelina Urbinati - 1919) coltivando un terreno agricolo e commerciando in erba medica (la spagnèra), che caricava sulla sua bicicletta. Una vita tranquilla, onesta, scandita dal ritmo delle stagioni, ricca però solo di sacrifici e privazioni. Il desiderio di migliorare e smettere di “tirare la cinghia” spinge Salvatore al grande passo: decide di trasformarsi definitivamente in commerciante di prodotti agricoli. E’ il 1946 quando acquista una casa a Riccione in Via Adriatica (l’attuale Corso F.lli Cervi) e, appena espletati i lavori legati alla terra, effettua il trasloco: 11 novembre, giorno di S. Martino. Sistemata la famiglia al primo piano, trasforma, di buona lena, il piano terra in magazzeno per esporre avena (la bièda), grano, cereali e quant’altro. All’esterno, fissati ai muri, gli anelli per legare le bestie da soma e da tiro dei contadini e i cavalli dei birocciai non devono attendere a lungo. Quell’angolo di strada si anima presto, l’attività si espande. Dei quattro Graziano, Bruno, Franco e Rita, soltanto Bruno e Franco seguono le orme di Salvatore che ha le soddisfazioni che si aspettava dalla vita: una bella famiglia e un buon lavoro. Bruno con la moglie Giovanna apre un negozio in via Puglia ampliando la vendita con i fiori. Franco rimane nella sede di Corso F.lli Cervi, impostandolo con la moglie Maria in maniera moderna il commercio con articoli floreali e prodotti per animali domestici e d’affezione. Poi Franco cede l’attivita al dettaglio e si trasferisce per commerciare all’ingrosso nella zona artigianale.
La seconda sede.
Negozio: via puglia, 26 tel 0541 602344 magazzino: via del commercio, 14 tel 0541 691292
Giovanna, Bruno e il figlio Andrea.
centro elisAbettA renzi
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di Maria Grazia Tosi
Scommetti su te stesso In occasione dell’evento conclusivo del progetto “L’azzardo non è un gioco” promosso da Volontarimini in collaborazione con Ausl e associazioni locali e svoltosi in Piazzale Ceccarini a Riccione la primavera scorsa, differenti realtà hanno interagito al fine di sensibilizzare cittadini ed istituzioni su un fenomeno che non deve essere minimizzato ma tenuto costantemente monitorato.Il Centro Elisabetta Renzi nell’occasione ha presentato l’apertura di uno sportello di consulenza: dietro lo slogan “Scommetti su te stesso” è stato così attivato un mirato punto d’ascolto per offrire una risposta concreta al disagio di chi si trova a vivere una dipendenza da gioco compulsivo ma anche al familiare preoccupato per il suo futuro. Da quando è partito il progetto, perché e come il Centro E. Renzi se ne è fatto carico? “Il progetto “L’azzardo non è un gioco” spiega la signora Maria Teresa Piasentini, vice-presidente del Centro, è nato nel 2015 ai tavoli di co-progettazione di Volontarimini a cui hanno partecipato le associazioni CML, Il Tassello Mancante, Centro 21, VAPS e noi. Dopo un percorso fatto di interventi nelle scuole, corsi di formazione per insegnanti, operatori e famiglie svoltisi nella nostra sede, nonché laboratori di teatro e danza per ragazzi con disabilità, il Centro, che si occupa dal ‘98 di consulenza educativa e familiare attraverso uno sportello aperto a tutti coloro che sentono il bisogno di migliorare la comunicazione e la relazione, si è preso carico di un altro sportello che accolga il giocatore e i suoi famigliari.” Quando si parla di gioco d’azzardo cosa si intende per esteso? “Nell’ambito del gioco d’azzardo sono compresi tutti i giochi in cui il fattore primario è la fortuna… a partire dal Gratta e Vinci: quindi la vincita o la perdita non si attribuiscono alle abilità del giocatore ma sono imputabili al caso. E quando il gioco d’azzardo diventa patologico sfocia nella dipendenza. Il giocatore non può farne a meno e diventa un pensiero fisso: da esso dipende la sua intera vita, e di conseguenza il rapporto con gli altri, familiari e non. Le conseguenze economiche, sociali e psicologiche sono ovviamente comprensibili.” Qual è la portata del fenomeno in Provincia e nel Comune? “Secondo i dati Istat, Rimini si colloca al 12°posto in Italia e al 1°in Regione per reddito pro capite speso nel gioco d’azzardo, con il primato per numero di sale scommesse rispetto al numero di abitanti maggiorenni. Nel 2014 erano 507 i luoghi in Provincia ove era possibile giocare d’azzardo, 71 nel solo Comune di Riccione. A questi numeri sarebbero da aggiungere tutti gli esercizi dove non si effettuano scommesse ma sono installate slot machine.
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Questa capillarizzazione di fatto abbassa la soglia di percezione del pericolo e mostra il gioco come strumento utile a far soldi in alternativa magari ad un lavoro precario.” Quando è aperto lo sportello, chi lo gestisce e quali gli obiettivi ultimi? “Lo sportello si contatta chiamando il 3332959463, e viene gestito dalle consulenti del Centro E. Renzi che sono associate all’AICCEF (Associazione Italiana Consulenti Coniugali e Familiari) che prevede formazione e supervisione continua da parte del prof. Raffaello Rossi di Bologna e la sua equipe. L’obiettivo primario dello sportello è di sostenere le famiglie con un congiunto affetto da gioco d’azzardo problematico o patologico, aiutare il giocatore problematico ed indirizzare il giocatore patologico al SERT (Servizio Dipendenze Patologiche) e ai G.A. (Giocatori Anonimi). E’ uno sportello gratuito, grazie anche al sostegno del Settore Servizi alla persona del Comune di Riccione.” centro di formazione per la famiglia e i giovani riccione - viale c. Battisti 31 Tel. 0541 600 959 info@centrorenzi.net www.centrorenzi.net
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un grande personaggio
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di Maria Grazia Tosi
Don Giovanni Montali: pastore della libertà Terzo dei sei figli di Michele e Maria Maggioli (i Zecchinella), Don Giovanni Montali nacque a Canonica (Santarcangelo di Romagna) il 28 marzo 1881. A 18 anni entrò in Seminario a Rimini e, come lui stesso scriverà, fu “attirato subito dagli studi sociali, in anni nei quali si propagava in Italia l’ideale della Democrazia Cristiana”, e il pensiero di don Romolo Murri, uno degli spiriti più vivaci ed acuti della cultura cattolica di inizio secolo, divenne per lui importante guida e fonte ispirativa. Fu ordinato sacerdote nel settembre 1906 poi nel luglio del 1908 venne trasferito alla parrocchia di San Lorenzino qui a Riccione, succedendo a don Leonardo Leonardi; parrocchia che venne distrutta per ben due volte, nel 1916 dal terremoto e nel 1944 dalla guerra. Convinto e carismatico protagonista del “modernismo” romagnolo, fu un parroco fortemente partecipe ai problemi dei suoi parrocchiani e coinvolto appieno nelle vicende socio-politiche di una località che non aveva ancora acquisito la propria autonomia da Rimini, e che si stava dando tanto da fare che cimentarsi in un’ascesa economica che avrebbe presto rappresentato nell’economia turistica della riviera romagnola una delle sue prime eccellenze. Non solo uomo di fede e di idee era Don Montali, ma anche grande studioso e scrittore… e amante della politica, nel suo significo
più nobile; sapeva parlare alla gente in modo ragionevole e rassicurante, ma sapeva anche scendere agguerrito in piazza per rivendicare i diritti dei più bisognosi contro ogni sopruso politico o abuso di potere. Un impegno civile così incisivo e non assoggettabile che più tardi lo porterà a soffrire duramente (i nazifascisti lo perseguiteranno e gli uccideranno barbaramente i due fratelli Luigi e Giulia gettandoli nel pozzo vicino alla canonica). Una posizione la sua che, come quella di Murri che per le sue idee troppo aperte venne scomunicato, si dimostrò spesso ‘scomoda’ anche per la Chiesa stessa perché non accomodante o allineata, ma che lo vide portavoce di grandi ideali non solo cattolici ma votati ai più colti ed innovativi concetti liberali. “Nel ‘19-’20 - scriveva lo stesso don Montali rispetto alla sua collocazione politica - sostenni i lavoratori nelle lotte agrarie del Riminese, quando alcuni proprietari terrieri che mi conoscevano bene giunsero perfino a togliermi il saluto qualificandomi peggiore di un socialista… Venuto il fascismo, poi, non mi lasciai spostare da esso neppure di un pollice dal mio programma”. Un personaggio forte, che ha contribuito a scrivere la storia di Riccione, lasciando, indipendentemente da considerazioni puramente politiche, un ricordo indelebile nella comunità riccionese. Una testimonianza interessante di valori universali
La famiglia Montali ritratta nel 1913. Sopra coi genitori e le tre sorelle. Sotto con i genitori, due sorelle e un fratello. perseguiti con tenacia… auspicabile anche in una moderna società, e che orgogliosamente ci teneva a ribadire: “Fin dalla mia giovinezza ormai lontana – appuntava nei suoi scritti in tarda età -, ho sempre combattuto per la libertà e per la democrazia, senza mai deviare”.
libri su riccione
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Igino Righetti rimane
Indagine non autorizzata
Passeggiando per riccione
Pare che sia ancora fra noi. La sua figura, gioviale e austera ad un tempo, sembra apparire ove gli antichi amici si riuniscono : egli è là, quasi vigile garante dello spirito sano e militante che li associa, a ricordare, ad ammonire, a incoraggiare, a far avvertire la bontà del programma e del convegno. Rimane, quasi scolpito, nella memoria degli amici, che non troveranno eguale da sostituirgli, e avranno sempre bisogno di ricorrere al suo ricordo, non soltanto per risentirsi giovani e buoni, com’è costume di chi procede negli anni, ed ha avuto la fortuna di incontrare allo svegliarsi della coscienza della vita un compagno, un maestro di raro valore che ne fece comprendere il senso e ne guidò il passaggio decisivo tra l’adolescenza e la maturità, ma per godere altresì d’una rediviva conversazione, cara e persuasiva come poche, che valga a rinfrancare le forze, a rassodare le idee, e a indicare la via, come, lui presente, sarebbe certamente avvenuto. G.B. Montini
Riccione, 1936. Nei dintorni dell’Hotel Des Bains, dove Mussolini passa le vacanze con donna Rachele e la famiglia, viene trovata assassinata una mondana. L’omicidio, che minaccia di turbare la quiete del Duce, getta nel panico la Questura riminese: i poliziotti si impegnano freneticamente nelle indagini e in poche ore arrestano il presunto colpevole. Il caso sembra chiuso, con gran sollievo della Questura, ma all’ispettore Marino, borghese piccolo piccolo e funzionario zelante, qualcosa non quadra... Sarà un’indagine non autorizzata, sul filo del rasoio, che porterà Marino a diretto contatto con l’entourage del Duce, tra gerarchi e giovani rampanti del Partito, eroi dell’Abissinia, dive dei Telefoni bianchi; come pure tra gli ex squadristi della malavita, della prostituzione e della cocaina...
L'idea di scrivere un libro su Riccione nasce dalle domande dei miei nipotini sulle mie origini e dal desiderio di avere radici anche qui. È qui che mi sento a mio agio, qui che ho scelto di vivere da circa trent’anni. L’ho desiderato e voluto. Riccione è giovane, frizzante, modaiola e rivolta al turismo per tutte le età. Mi piace questa cittadina perché trova sempre il modo di rinnovarsi, di essere al passo coi tempi anticipando spesso tendenze e mode. Mi sono sentita subito accolta, mai fuori posto. È un luogo per me congeniale, ha la giusta dimensione, è tutto a portata di mano, è un ambiente ricco di stimoli e poi... c’è il mare. Il mare, che meraviglia vivere in una città di mare! Quante volte, specialmente nelle brevi giornate d’inverno illuminate dal sole e da un cielo che è comunque blu, mi abbandono davanti alla sua immensità; gli occhi e i sensi rimangono incantati dallo sciabordio delle onde, dai colori che mutano continuamente col cambiare del tempo, dai gabbiani che volano e si posano maestosi ed eleganti sui moli.
Augusto Baroni, la San Vincenzo e l'Opera Pro-Baraccato Il pedagogista cattolico Augusto Baroni (1897-1967) diviene presidente delle Conferenze della San Vincenzo (introdotte a Bologna a metà dell’Ottocento dai fratelli Gualandi e dal pittore Guardassoni) e le rilancia in favore dei giovani. In questa attività è accompagnato da don Olinto Marella, con il quale condivide anche l’esperienza dell’Opera ProBaraccato per la costruzione di nuove case popolari (le Popolarissime). Baroni sarà insegnante del Collegio San Luigi (mentre don Marella sarà al Galvani e al Minghetti) e dal 1955 al 1967 sarà professore di pedagogia e storia della pedagogia all’Alma Mater.
Carlo Lucarelli, nato a Parma nel 1960, Carlo Lucarelli vive tra Mordano (Bo) e San Marino. Scrittore, Conduttore televisivo, commediografo, cronista di nera, regista, sceneggiatore, docente di scrittura creativa, Lucarelli ha già pubblicato 16 romanzi polizieschi. Il suo percorso narrativo va dai racconti brevi alla trilogia giallo-storica con il commissario De Luca pubblicata dalla Sellerio (“Carta bianca”, “L’estate torbida” e “Via delle Oche”). Dopo “Almost blue” (1997), “Il giorno del lupo” (1998 e 2008), “L’isola dell’Angelo caduto” (1999), “Mistero in blu” (1999 e 2008),” Guernica” (2000) e “Lupo mannaro” (2001). Libri pubblicati da Einaudi: “Un giorno dopo l’altro” (2000 e 2008) e i racconti di “Il lato sinistro del cuore” (2003); poi “Misteri d’Italia” (2002), “Nuovi misteri d’Italia” (2004), “La mattanza” (2004) e “Piazza Fontana” (2007), gli ultimi due con allegati i Dvd del ciclo televisivo “Blu notte”. L’opera di Lucarelli è tradotta in piú lingue ed è oggetto di versioni cinematografiche e televisive, tra cui la serie “L’ispettore Coliandro” e il ciclo dedicato al commissario De Luca.
Passeggiando per Riccione è l’affascinato percorso dell’autrice attraverso la Riccione che conoscete e quella meno nota con gli occhi sognanti di una rivierasca acquisita che ha conosciuto il mondo vivendo tra Roma e Bruxelles e che, più di tutto, desidera con questo libro incontrare i volti, le storie e le voci di decine e decine di protagonisti della cittadina del sud della Romagna... così come anche i luoghi, quelli più famosi e quelli ancora da scoprire. Daniela Sapone nasce a Roma un po’ di anni fa, successivamente vive a Bruxelles e un bel giorno sbarca a Riccione. Questo libro è un vero e proprio tributo alla città rivierasca.
mondo scuolA
di ni.co.
Gagliano nuova preside dell’IC1 Cambio di presidenza anche all’Istituto Comprensivo 1 “Geo Cenci”. Dopo un paio di settimane la neodirigente Filomena Liberti, subentrata al collega Paride Principi in forze al Liceo “Volta – Fellini”, è stata sostituita dalla dirigente napoletana Liliana Gagliano, già docente di Diritto ed Economia. Solo nella media della vecchia fornace, che quest’anno ha registrato un boom d’iscritti, guida circa 420 alunni, suddivisi in 18 classi, tre in più rispetto quelle costruite. In totale a Riccione sono più di 5.500 gli studenti che quest’anno frequentano le scuole. Oltre 2.500 (contro i 2.380 dell’anno precedente) sono iscritti alle superiori, 1.120 (compreso i 20 del corso serale e i 50 di San Patrignagno) all’Alberghiero Savioli e oltre 1.400 al Liceo Volta Fellini. Sono invece 1.163 gli studenti delle medie (917 nel 2015) e 1.830 quelli delle primarie statali e private (1.883). Altro capitolo i nidi e scuole dell’infanzia comunali. Sono 180 i bimbi dei nido (188 nel 2015) e 803 (697 del 2015) quelli delle scuole d’infanzia comunali e statali e 290 (279 nel 2015) quelli scuole d’ infanzia private. In vista del nuovo anno scolastico negli edifici dis-
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seminati da un capo all’altro della città sono stati effettuati circa 50 interventi di varia entità, tinteggiature, illuminazione, pavimentazioni, adeguamenti sismici, sistemazione di giardini e palestre.
Tontini al posto di Villa all’IC 2 L’Istituto Comprensivo 2 di Riccione è stato intitolato a Gianfranco Zavalloni, noto pedagogista, maestro e dirigente scolastico cesenate, scomparso a 54 anni nel 2012. La cerimonia si è tenuta lo scorso 13 settembre, dopo una serie dibattiti, confronti e momenti di formazione per insegnanti e dirigenti, alla presenza di Stefania Fenizi, moglie di Zavalloni. Al suo fianco, oltre al sindaco Renata Tosi, la preside Sandra Villa, che dopo anni di dirigenza all’IC2, è andata in pensione. Al suo posto è subentrato il collega Nicola Tontini. Durante l’intitolazione, che nello specifico riguarda la scuola dell’infanzia “Bertazzoni”, le primarie “Fontanelle”, “Panoramica”, “Riccione Paese”, “Riccione Ovest”, “Marina Centro” e la secondaria Fratelli Cervi, è stato traccia-
to un profilo di Zavalloni, al quale s’ispira il modello didattico adottato negli ultimi anni dal corapo docente di queste scuole. Per sedici anni maestro elementare, il noto pedagogista è stato pure dirigente scolastico a Sogliano al Rubicone e, dal 2008 al 2012 , responsabile dell’Ufficio Scuola del Consolato d’Italia di Belo Horizonte, in Brasile. E’ pure autore del libro “La pedagogia della lumaca” rivolto a insegnanti, educatori e genitori, chiamati a riflettere sulla necessità di introdurre nelle classi metodologie di rallentamento dei tempi per lasciare spazio alla creatività. Zavalloni, ecologista, uomo di pace, burattinaio per passione, ha scritto molti testi sulla scuola creativa, l’ecologia, la scuola di pace, curando in più casi anche le illustrazioni.
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(2ª Parte)
Riccione dopo la liberazione Alla fine di settembre del 1944 trascorrevo le mie giornate in strada. La scuola non era ancora iniziata. Molti edifici erano stati danneggiati. I carri armati alleati scorazzavano per la città, senza alcun rispetto per gli alberi rimasti, e i muri delle abitazioni. I bellissimi viali della Perla verde dell’Adriatico erano dei veri percorsi di guerra che, con le piogge, divenivano impercorribili per il fango e le buche diventate, a volte, dei veri crateri con relativo lago al centro. Gli Angloamericani avevano requisito quei pochi alberghi risparmiati dai bombardamenti. Il Quartier Generale aveva preso possesso del magnifico Grand Hotel con vista mare in via Roma (oggi via Gramsci). Il comandante della “piazza” di Riccione era il capitano Pietro della British Army. Nonostante, con la liberazione di Riccione, per noi la guerra fosse finita, procurarsi il cibo non era cosa facile. I raccolti erano “saltati”. La pesca non poteva essere praticata per ordine del comando alleato. Inoltre il mare era disseminato di numerose mine. I forni non avevano la farina per fare il pane e il pastificio Chigi di Morciano era fermo ormai da tanto tempo, per mancanza di materia prima. Ogni giorno, all’ora di pranzo, assieme ad altri bambini, miei coetanei, ci mettevamo in doppia fila all’uscita dell’Hotel Bristol, con in mano un piatto e una gamella di alluminio in cui, i soldati canadesi, al termine del rancio con generosità e pietismo, versavano il cibo a cui avevano rinunciato. Oggi, rivedendomi in quell’atteggiamento questuante, provo tanta vergogna da esitare dal raccontarlo. Ma, se solo penso agli stenti patiti dalla mia generazione per una guerra scellerata, credo che a vergognarsi dovrebbero essere altri e non noi bambini innocenti. Uscivamo da una guerra malconci in tutti i sensi. Mi ricordo che un giorno andai a far la fila per il cibo, vestito con un pigiama a righe e un paio di zoccoli ai piedi. Molti di quei soldati risero per quel mio abbigliamento, ma uno non rise affatto. Si avvicinò e mi diede una grossa cioccolata e con gli occhi lucidi, mi fece una carezza sulla guancia. Avevo solo nove anni, ma capii che, forse, gli ricordavo il figlio lontano: «Thank you» gli dissi, sorridendo. Egli chinò il capo e
si allontanò senza rispondere, forse per nascondere la commozione. Là dove oggi c’è l’hotel Belvedere c’era una bella villa di due piani senza recinzione, in quanto tutte le cancellate in ferro, durante la guerra, erano state divelte per farne materiale bellico. Io e altri amici entrammo nella villa il cui tetto era stato squarciato da una bomba, che senza esplodere, aveva trapassato il solaio del primo piano conficcandosi al piano terra. La scala interna era rimasta intatta, saliti al piano superiore, ricordo che trovammo un librone talmente grosso che, in due, a malapena riuscivamo a trasportare. Il librone aveva pagine patinate e illustrato con fotografie di località argentine. Oggi mi vergogno di dire quel che ne facemmo di quel bellissimo volume, ma, a distanza di settant’anni, sento il bisogno di confessare la scempiaggine commes-
del “fronte” tutti ci sentimmo, finalmente, liberi. Noi bambini, lasciati i giocattoli tradizionali, scoprimmo quelli che la guerra ci forniva in quantità impressionante. Cataste di fucili tedeschi bruciavano quasi in ogni angolo di strada. I fumogeni si trovavano in ogni dove. Anche proiettili di vario calibro, erano sparsi in spiaggia e nei campi. Le bombe a mano, poi, erano ammucchiate a cielo aperto a portata di tutti. E proprio con le bombe a mano balilla(1), un giorno, ci mettemmo a giocare, lanciandole, riparandoci dietro le macerie della vecchia colonia marina Enrico Toti. Pazzesco! Ricordo le battaglie a colpi di fionda. Ci sparavamo addosso i bossoli dei proiettili del mitra Thompson. Il povero Nello (detto Furmiga) portò, in fronte, il marchio di uno di essi fino al giorno che se ne andò in cielo. Di quel periodo ricordo,
sa da ragazzini di strada, che della guerra avevamo già visto così tante brutture. Infatti di ogni pagina facemmo immensi aeroplani da lanciare lontano. Se distruggere un volume, probabilmente di valore, per noi era solo un gioco, ben più pericoloso, era togliere l’ogiva ai proiettili dei cannoni per recuperare i lunghi “bucatini” di polvere da sparo con cui riempire le canne di un vicino canneto, per farne missili da spedire in cielo, dove esplodevano col botto. Che goduria! Dopo il passaggio
particolarmente, il 17 gennaio del 1945. Era tradizione che per la festa di S. Antonio si facesse un grande fuoco. Cosicché, in un campo vicino casa, accendemmo un grande falò con “contorno” di fuochi pirotecnici, utilizzando il materiale bellico esistente in gran quantità e varietà in ogni angolo di strada. Mentre stavo seduto su un muretto, un mio amico, accese un fumogeno che mi bruciacchiò una gamba. Come se nulla fosse, lenii il dolore con l’acqua di una pozza, ma l’odore di carne arrostita, mi sembra di averlo ancora nelle narici. Quando a fine serata andai a casa, mi guardai bene di raccontare l’accaduto ai miei genitori. La guerra ci aveva abituato a sopportare il dolore e la sofferenza. In tali miserevoli condizioni è d’obbligo crescere rapidamente. Alla mia generazione, tale crescita tolse il profumo della fanciullezza per lasciarle l’acre odore della polvere da sparo. 1. Bomba a mano di fabbricazione italiana, con involucro di latta, molto leggera, il cui effetto, più che uccidere, era quello di causare ferite.
la pagina di edmo vandi
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Musica che passione! La mia “carriera” musicale iniziò che avevo dodici anni. Era da poco “passato il fronte” quando mio padre mi mise in mano un violino che aveva barattato con un soldato polacco per un fiasco di vino annacquato. La consegna fu di imparare a suonarlo. L’ingrato solfeggio mi era già stato imposto nella Scuola di Musica di Paese (sede oggi della Scuola Elementare) che avevo già frequentato per tre anni. Le lezioni di violino iniziarono tosto dal maestro Franz Gualdi a casa sua in un viale della zona Alba. Le frequentai volentieri perché, in seguito si verificò una tenera simpatia con sua nipote che si chiamava Giancarla. Esaurita la simpatia finirono anche le lezioni del paziente Franz, per cui fu necessario trovare un altro maestro. Mio padre conosceva i “Lavradòr” (Bartolucci) sopratutto il Senior al quale era attribuito il detto “…. e fnès in gnint cumè e valzer ad Lavradòr” dovuto al fatto che il suo problema erano i finali che terminavano in niente come un fievole sospiro. Il figlio, Guerrino, si era diplomato al Conservatorio Musicale di Pesaro ed era giunto addirittura a far parte dell’Orchestra Santa Cecilia di Roma. Ma poi, si disse, una cocente delusione amorosa lo fece fuggire dalla Capitale per tornare a Riccione dove prese in affitto un monolocale in Piazza Matteotti (dove oggi c’è la sede dello IOR). Mio padre combinò le condizioni e così inziai a “sviolinare” nell’angusta cameretta. Ma il “Professore”, come veniva chiamato, ospitava anche sei gatti, non c’erano finestre e il fetore era insopportabile, così si arrivò a decidere di tenere le lezioni
a casa mia. Lavradòr junior accettò ma a patto di venire a mezzogiorno o alle venti di sera quando, guarda caso, mia madre, la Lucina, cucinava divinamente. Il tutto durò solo otto mesi quando trovai il violino troppo difficile (le note bisogna crearle) e mi innamorai della fisarmonica. Guerrino non si lamentò. Io non ero diventato Paganini ma lui era ingrassato di quattro chili. La fisarmonica la comprai per corrispondenza. Da Castelfidardo mi arrivò in una cassetta di legno piena di trucioli, una Soprani - 80 bassi, nera. 30 mila lire da pagarsi in dieci rate mensili. Il maestro questa volta fu “Mario de Pin” con lezioni nella sua casa in Via Machiavelli che raggiungevo in bicicletta , lo strumento a zaino sulle spalle. Durò un anno poi formai l’”0rchestra”, cioè un Duo con il chitarrista “Grigurièt” che abitava in Via Corsica e faceva il Messo presso Il Tribunale di Rimini. Suonavamo nelle feste private a duemila lire a sera. Mi piaceva ma la mia carriera di orchestrale finì bruscamente una sera quando una ragazzotta che si chiamava Mafalda e con la quale da qualche tempo filavo, ballò tutta la sera “guancia a guancia” con un falegname di Santandrea in Besanigo di dieci anni più grande di noi. Mi sentii l’umiliato portatore del classico “moccolo” e così decisi, di punto in bianco, di appendere la fisarmonica al chiodo e di passare dall’altra parte, cioè di quelli che ballavano. Intanto avevo compiuto 18 anni e mi lanciai nel mondo sconvolgente e tentatore della notte. A Riccione nella Casa del Popolo e da Marein, a Rimini al Floreal e da “Pagnòch”. D’estate invece a
schivare la consumazione al Vallechiara, al Florida o al Savioli. Ma a parte queste leggerezze la musica me la sono sempre sentita, e me la sento tutt’ora, dentro. Mi piace tutta, dal Jazz al Pop fino alla Lirica con un amore sconfinato per Puccini. Qualche difficoltà l’ho avuta con la Musica Sinfonica, trovandomi a condividere l’opinione di un ragazzino di dieci anni il quale, in una sera d’estate, in una sala del Palazzo del Turismo, aveva assistito in prima fila, attento e silenzioso accanto ai genitori, ad uno sfibrante concerto di Musica Sinfonica. Alla fine ritenni opportuno, nella mia veste di presentatore della serata, di chiamarlo sul palco per un doveroso applauso del pubblico (che avvenne scrosciante). Ma alla mia domanda: “La prossima settimana avremo un altro Concerto Sinfonico, immagino che vorrai essere ancora dei nostri”, la risposta fu chiara, secca e tagliente: “Manco morto!”.
I rasunamènt per capì la vita Un chèn l’è cumè un burdèl sla superinteligenza d’un anzièn. Jir l’è storia dmèn l’è un mistèr, og l’è un rigàl. J’èmne j’è cumè i gat, it sta tachèd se ti las lèbre. E papagàl l’è un raz culurèd da un burdèl. I marìd i custréng la mèj a fè quèl ch’la vò lja. Bà, l’è vera che quand e fnès la guèra un gnè piò e Telegiornale?
De Grandis
Da sin.: in piedi: Palmina Conti, Araldo Balena, Renata Copioli, Iliana Conti, Pietro Gabellini, Franca Copioli, Argenta Balena, Serena Balena, con accanto i figli Antonio ed Emilio. Seduti: Roberto Cucca, Miriam Montanari, Edmo Vandi.
Signor, fam veda sparì la varghègna ad tòt cal Colonie abandunède e diruchède… ...e dèp arcojme po’ azchènt ad ch’l’Alma Benedèta !
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Quando vuoi e durante tutto l’anno! Cos’è il Taekwondo? Un’arte marziale coreana dinamica grazie al largo uso di gambe e quindi tecniche di calcio. Le sue peculiarità? Disciplina che aiuta a formare il carattere del bambino dando sicurezza al più timido e autocontrollo ed equilibrio ai più vivaci. L’adulto svolge una buona attività fisica adattata all’età e al percorso che ciascuno desidera intraprendere (dall’agonismo all’amatoriale). Cosa trovi all’Asd TKD Riccione del maestro Roberto Betti? Un bellissimo gruppo affiatato, di agonisti e amatori bambini e adulti, dai 5 anni agli over 60 ognuno nel proprio corso indicato. Cosa facciamo? Il Taekwondo completo. Dall’agonismo (e quindi sport/gare di combattimento e gare di tecnica) al tradizionale alla preparazione fisica secondo gli obiettivi che ognuno sceglie. Quando si può iniziare? Quando vuoi tu durante tutta la stagione. L’inizio è la cintura bianca e il percorso inizia da qui con il programma adeguato alla cintura che indossi.
Cos’è il corso di Difesa da Strada? Dedicato a chi non vuole praticare un’arte marziale nasce il corso di Difesa da Strada. Niente a che vedere con il Taekwondo, o meglio, solo una piccola parte, perché quest’attività assembla più arti marziali con il risultato di saper conoscere le migliori tecniche di autodifesa (da mani nude, bastone, coltello, pistola). Semplice e adatto per donne e incisivo ed efficace per uomini. Affiancato da una preparazione fisica il corso non è impegnativo (1 volta a settimana) ma consigliabile a tutti (a partire dai 15 anni). Si può provare? Come si fa ad iscriversi? Per entrambe le attività (Tkd e Difesa da Strada) hai 2 prove gratuite, le iscrizioni avvengono presso la segreteria dello Stadio del nuoto di Riccione, essendo l’asd Taekwondo Riccione di Betti Roberto (dt Geo Ottaviani) affiliata alla Polisportiva Riccione. Nel prossimo numero di FA i risultati del Campionato Taekwondo Csen Pozzuoli (Napoli) e Torneo Csen Cattolica. Scuola EX Fornace corso TAEKWONDO Lunedì
16:50 (bambini 5-8 anni) 17:45 (bambini 9-13 anni) 18:45 (ragazzi 14-17 anni) 19:35 (agonisti-adulti) 20:35 (adulti)
Mercoledì 17:45 (bambini 9-13 anni) 18:45 (ragazzi 14-17 anni) 19:35 (agonisti-adulti) Venerdì
16:50 (bambini 5-8 anni) 17:45 (bambini 9-13 anni) 18:45 (ragazzi 14-17 anni) 19:35 (agonisti-adulti) 20:35 (adulti)
Giovedì
20:00 (corso agonisti) Palestra via Martinelli
Insegnanti D.T. Ottaviani Geo 7° Dan M. Betti Roberto 6° Dan Istr. Uguccioni Luna 4° Dan Istr. Sacripanti Linda 4° Dan
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Amarcord pagina dello sport
1959. Novella ed Enzo, teneri morosi. Poi innamoratissimi coniugi.
Enzo Masini
1938-2016
1962. Enzo dietro il bancone del mitico Bar Angelini all’Abissinia. Con lui “Filép”, Giuliano Vandi e Primo Angelini. Sitèmbre us ha port via un om specièl e na perchè l'era sora m'un bon quintèl. Un om specièl ch’un si triva mai indrì s'l’incuntrava qualche scalugnèd da iutì. Ul fèva s'un suris che t'an trov invèl com e Sol ch'l'arschèlda tòt i fradèl. La Novella e e Camping i su amor ma lor l'ha dè, sempre, tòt e su cor. Me Bar Angelini la fat la su gavetta l'era svég, te servizie come una saetta. Amigh ad tòt e ma tòt e vleva bèn senza diversità ad raze, tòt cris-cèn.
1974. Con il grande amico “Bafiti” Ebo Bezzi, affilando i coltelli per “fare la festa” ad una porchetta gigantesca. Le loro cene erano “esuberati” nel cibo e vulcaniche nello svolgimento. Riunivano tutti i mattacchioni di Riccione e circondario, compresi musici e cantastorie.
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Adés l'è a spas tra'l novle de Paradis e l'avrà cunquistè tòt se su bèl suris e a scumèt che sl'incountra e Signor ul ciapa sètabrac e i cmènza a zcor.
2105. Enzo con l’inseparabile cappello da cow-boy.
Settembre ha portato via un uomo speciale e non perchè era sopra a un buon quintale. Un uomo speciale che non si tirava indietro se incontrava qualcuno sfortunato da aiutare.
Al Bar Angelini ha fatto la sua gavetta, era sveglio, nel servizio come una saetta. Amico col mondo, a tutti voleva bene senza diversità di razze, tutte persone.
Lo faceva con un sorriso che non c’è in giro come il Sole che riscalda tutti i fratelli. La Novella e il Camping i suoi amori a loro ha dato, sempre, tutto il suo cuore.
Ora è a spasso tra le nuvole del Paradiso e avrà conquistato tutti col suo sorriso e scommetto che se incontra il Signore lo prende sottobraccio e subito a parlare.
tradizioni natalizie
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Il Presepe di Viale Abruzzi per l’A.I.S.M.
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STAR BENE
Siamo un gruppo di amici con la passione del presepe. Dedichiamo il nostro tempo libero alla realizzazione di questa tradizione che affonda nella notte dei tempi. Per noi tutto è iniziato quando il Parroco della Parrocchia di San Martino di Riccione lanciò la proposta di allestire nella ricorrenza del Natale dei presepi nelle varie zone del Paese. Raccogliemmo subito l’idea mettendosi all’opera e allestendo un nostro Presepe Animato che col passare del tempo è diventato più ampio, meccanizzato ed elettronico. Innumerevoli i mestieri e gli artigiani in movimento con figure assai più vicine alla realtà, un fiume che scorre con acque limpide, luci che tratteggiano le varie fasi del giorno e della notte. Tutto costruito con materiale riciclato. Dopo vari posizionamenti in giardini privati, prima in Via Abruzzi poi in Via Campania (che veniva montato e smontato ogni anno) il Comune ha messo a disposizione una struttura stabile nel recinto della Palestra Comunale di Via Abruzzi 46 (zona Villa Alta). La visita è libera e aperta al pubblico che è sempre molto numeroso! Le offerte raccolte sono versate in beneficenza alla vicina
Associazione AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla). Il nostro gruppo è formato da: Edoardo Copponi, Stefano Tonti, Rino Boschetti, Adriano Ciavatta, Arnaldo Grossi, Giorgio Tonti, Stefano Marconi.
I GANODERMA o REISHI Sono due specie di funghi (Ganoderma o Reishi Rosso e Ganoderma o Reishi Nero) che si dice abbiano proprietà miracolose. Il Ganoderma o Reishi è un fungo saprofita della quercia e del castagno; come tale, per vivere, necessita del relativo substrato legnoso in decomposizione. Componenti "miracolose" del Ganoderma o Reishi. E’ un fungo officinale impiegato nelle varie tecniche mediche tradizionali orientali; i principi attivi del Ganoderma o Reishi sono: • I polisaccaridi -glucani e gli etero-glucani, molecole notoriamente anti-tumorali ed immunostimolanti • Proteine definite Ling Zhi-8 (LZ-8), peptidi anti-allergici, ipocolesterolemizzanti ed ipotensivi • Acidi ganoderici (triterpeni), steroli in grado di ridurre le reazioni allergiche limitando la produzione di istamina, ottimizzando la respirazione cellulare e favorendo la funzionalità epatica. Il Ganoderma o Reishi non è l'unico fungo dalle proprietà benefiche; si conoscono anche lo Shitake, il Maitake ed il Cordyceps, che pur vantando una composizione chimica molto simile, non contenendo gli acidi ganoderici (dal sapore amaro). Può essere consumato in forma alimentare o come estratto. Il Ganoderma o Reishi è stato sperimentato nel trattamento di numerose patologie e condizioni cliniche; con grande stupore da parte degli scienziati, si è dimostrato molto utile per il suo potenziale adattogeno. Proprietà benefiche del Ganoderma o Reishi: analgesico, antiallergico, preventivo dalla bronchite, anti infiammatorio, stimolante le cellule immunitarie Natural Killer (NK), antibatterico per effetto dell'immunostimolazione, anti-
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virale per l'aumento della produzione di interferone, antiossidante, antitumorale, ipotensivo, ipocolesterolemizzante, cardio tonico, antidepressivo e rilassante, mucolitico, ostacola il virus HIV (sia in vitro che in vivo), migliora la funzionalità cortico-surrenalica, aumenta la produzione di interleuchina 1 e 2 prodotta da macrofagi e splenociti. Nonostante venga consigliato come coadiuvante di terapie molto complesse, il Ganoderma o Reishi è un integratore alimentare e non un farmaco, pertanto risulta adatto al consumo in qualsiasi età e stato fisio-patologico; sia chiaro, l'eventuale assunzione DOVREBBE essere valutata e consigliata dal medico di base che, d'altro canto, a volte non ne conosce la composizione o gli effetti specifici. Ci sono effetti collaterali nell'utilizzo di Ganoderma o Reishi? Sia nella medicina tradizionale Cinese che in base agli istituti erboristici contemporanei, il Ganoderma o Reishi è considerato un’ERBA SUPERIORE e di 1ª QUALITA', ovvero un prodotto assolutamente innocuo (anche clinicamente osservato e testato) che può essere consumato per lunghi periodi in assenza di effetti collaterali. Tuttavia, in alcuni soggetti si possono osservare poche reazioni nel periodo iniziale; ad esempio: disturbi digestivi, vertigini, mal di ossa ed eruzioni cutanee. Alcuni le correlano ad una sorta di "disintossicazione" repentina, ma non si esclude che siano allergie o più genericamente intolleranze alimentari. La qualità degli integratori a base di Ganoderma o Reishi dipende dalla coltivazione (metodo, qualità del fungo, qualità del legno, clima ed ambiente ecc.) e dall'estrazione del principio attivo (metodo). Come si può dedurre, l'etnia più "colta e preparata" nella produzione degli integratori a base di Ganoderma o Reishi è quella giapponese (metodo di coltivazione naturale); inoltre, vista e considerata l'imprevedibilità del mercato (soprattutto online), si consiglia: 1) Di cercare marchi debitamente etichettati. 2) Di evitare acquisti di dubbia provenienza. Scola dr Lorenzo
90 anni fa... la nostra storia
da “Una Rotta nel Vento� di Dante Tosi
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Impegno e adesione per il Prestito del Littorio Il Governo nazionale, per rimediare alla gravissima situazione finanziaria dello Stato, con Regio Decreto 29 novembre 1926 decide di “consolidareâ€? buona parte dei Buoni del Tesoro. Cioè lo Stato non restituirĂ il valore nominale dei Buoni alle singole scadenze ma li cambierĂ (la cosiddetta conversione forzosa) con altri Titoli di Stato che non avranno una scadenza prestabilita. I nuovi Titoli, chiamati Prestito Nazionale del Littorio, godranno di un interesse base del 5% che, tenuto conto che verranno emessi al prezzo di 87.50 per ogni 100 lire di nominali, di fatto il frutto sarĂ del 5.72 % annuo. Un’operazione che stravolge il rapporto giuridico e fiduciario tra lo Stato e i suoi creditori. In pratica i sottoscrittori dei Buoni del Tesoro godranno degli interessi ma non avranno, per un periodo indefinito, la possibilitĂ di rientrare in possesso del loro capitale. Un provvedimento come si vede molto grave che si giustifica solo dalla impossibilitĂ dello Stato di onorare le scadenze dei propri debiti. Le cartelle del Prestito Nazionale del Littorio non sono limitate a sostituire i titoli consolidati, ma entrano sul mercato anche come emissione offerta ai risparmiatori. E’ un richiamo alla solidarietĂ che i cittadini, nonostante la botta subita, in qualche misura accoglierĂ . A Riccione fu fatta una campagna di convincimento per la sottoscrizione delle cartelle del Prestito Nazionale del Littorio imperniata sui sentimenti di fedeltĂ e di solidarietĂ che ogni cittadino deve avere verso la Patria nel momento del bisogno. Le sottoscrizioni della emissione furono copiose, e alla fine della campagna -corta e battente- 236 riccionesi (tra cui 50 dipendenti pubblici) sottoscrissero l’importo di 181.200 lire in cartelle del nuovo Prestito.
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Amici che se ne vAnno
di Nives Concolino
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Abner Fascioli, una vita dedicata al turismo Era un decano del turismo riccionese, una pilastro del settore alberghiero che ha contribuito a far conoscere la Perla verde anche all’estero. L’ingegnere Abner Fascioli, già docente dell’istituto Alberghiero Savioli e titolare di due storici hotel (il Vienna che durante la guerra fu quartiere generale dei gerarchi e l’Abner, pochi mesi fa venduto ai Ciuffoli), se n’è andato per sempre in punta di piedi lo scorso 17 ottobre. A tradirlo è stato il suo cuore che tanto ha amato Riccione, la sua professione e l’inseparabile moglie, Liliana Riguzzi, che fino due anni fa l’ha affiancato per mezzo secolo nella vita e nel lavoro. Tenacia, lungimiranza e passione fin dall’inizio dell’attività, hanno spinto Fascioli con alcuni colleghi, come Luigino Montanari e Manlio Conti, a varcare i confini italiani per far conoscere agli stranieri non solo i propri hotel, ma la città nel suo insieme, quella Riccione che stava vivendo l’epoca d’oro. “Per fare promozione ho girato l’Europa intera con la mia auto, fino a percorrere un milione di chilometri - ricordava spesso Abner, che si contraddistingueva per il suo spirito di accoglienza, eleganza e signorilità -. Andavo anche in Finlandia e in Norvegia. In un solo giorno ero capace di andare e tornare dalla Francia. Si contattavano le agenzie che con il ciclostile stampavano i programmi estivi con l’intento di comparire in brochure e cataloghi”. Nel suo Dna c’era sempre quella grande passione ereditata da nonna Elisa e dal padre Mario che aveva aperto la Gran Pensione Vienna, dopo aver acquistato due lotti e le rispettive villette di ritorno dall’Ame-
rica. Abner era nato in quel giardino e ne andava fiero. Era orgoglioso anche della mamma Agenore Ferretti, che nel periodo in cui fu assessore della Pubblica istruzione, lottò per far aprire l’Istituto Alberghiero Savioli, dove per alcuni anni lui stesso ha poi insegnato. Fascioli si adoperò per far aprire l’Associazione Albergatori di Riccione, per la quale fu consigliere e probo viro. Fece pure parte del cda di Promhotels. Sotto il suo aspetto apparentemente burbero, ricordano i colleghi, si celava un cuore d’oro e tanta generosità. Per il suo operato
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svolto anche all’estero, è stato nominato Cavaliere della Repubblica e console onorario. Ha ottenuto anche l’onorificenza di commendatore dell’Ordine al merito del Gran Ducato di Lussemburgo dal primo ministro Jean-Claude Juncker. Sono tantissime le persone, imprenditori, professionisti, colleghi e amici che gli hanno dato l’ultimo saluto alla Mater Admirabilis, assieme alla sorella Licia e ai nipoti Massimo e Marco. Tra i tanti i vertici locali dell’Aia, il presidente regionale di Federalberghi Alessandro Giorgetti, l’ex direttore dell’Aia di Rimini Guido De Sio, l’ex sindaco Terzo Pierani, l’amico collega Claudio Montanari assessore al Turismo e il conte Fabrizio Pullé, presidente del Rotary Club, del quale il noto albergatore era socio. “La vita di Abner è stata spesa con impegno sociale che ha portato tanto valore alla nostra riviera”_ sottolinea il parroco don Valerio Celli che nel giorno delle esequie rivolto all’albergatore ha detto: “Mi raccomando, Abner, non abbandonarci, dal cielo aiutaci, seguici e stacci vicino come hai fatto in questa vita”. Rodolfo Albicocco, presidente dell’Aia rimarca: “Per noi albergatori e per i nostri dipendenti Abner è stato sempre un punto di riferimento, un maestro. E’stato consigliere dell’Aia e di Promhotels, dove ha portato un grosso contributo”. Tra le decine di messaggi di cordoglio giunti alla famiglia spiccano quelli dell’Ambasciata del Gran Ducato di Lussemburgo, di Walter Marcheselli, presidente della Best Western, del console onorario di Genova del Lussemburgo e di Lorenzo Cagnoni, presidente di Rimini Fiera.
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120 anni fa... la nostra storia
da “Una Rotta nel Vento” di Dante Tosi
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1896. Nasce il porto canale Nel periodo 1860-1870 i pescatori riccionesi sono insofferenti, non possono più restare con le loro barche ancorate sulla riva del mare, col rischio di perderle ad ogni burrasca. La precarietà della situazione spinge i proprietari ad emigrare nei porti di Cattolica e di Rimini nei quali si è al sicuro e dai quali si può continuare l’attività peschereccia in ogni stagione dell’anno. Si tratta di 50/60 marinai con un carico di famiglia di 200/250 persone che, oltre al resto, soffrono i disagi e gli scompensi di una migrazione stagionale e permanente per lo più obbligata. Un esodo che coinvolge circa un quarto della popolazione della borgata. Don Carlo Tonini, parroco della Chiesa di San Martino, conosce e vive il problema dei suoi parrocchiani e si fa promotore di un progetto per la costruzione di un ridosso alla foce del Rio Melo. La minima opera portuale consiste: “di una palafitta di metri 50 nella marea all’imboccatura e metri 40 lungo il Rio”, piantata sulla riva destra del piccolo corso d’acqua. Il progetto, secondo i conti del Parroco, prevede una spesa di 8.000 lire ed il suo finanziamento è previsto con la contribuzione dei proprietari delle barche e da un esborso dei Comuni limitrofi ritenuti
beneficiari dell’approdo. Solo nel 1896, a 30 anni dalla iniziativa di don Carlo e ben diciott’anni dopo la sua morte, l’opera verrà finanziata grazie a Maria Boorman Wheleer Ceccarini, consentendo la successiva costruzione del porticciolo alla foce del Rio Melo. La munifica signora prestò la somma di 24.000 lire (rimborsabili in rate annuali di 2.000 lire - all’interesse del 3,5 %, che poi, su richiesta di Sebastiano Amati e Giovanni Papini rappresentanti di Riccione in Consiglio comunale, migliorò rinunciando alla percentuale) al Comune di Rimini che non aveva la disponibilità necessaria a coprire la sua quota di impegno per un’opera pubblica di primaria necessità a lungo invocata dai marinai riccionesi. In data 26 agosto 1896 viene stipulato il contratto per la costruzione del porto di Riccione. Il Comune di Rimini incarica la ditta Bartoldi Luigi di realizzare le due palizzate con pali di pino, infissi a doppio rango, ravvicinati per contenere l’imbottitura con sassi del monte tenuti assieme da cinture trasversali e da cordoni di tavole di pino inchiavardate. Per proteggere i piccoli moli all’esterno sarà ammucchiato, alla rinfusa, pietrame d’Istria. L’opera fu completata l’anno successivo.
Achenza: il paraolimpionico che ama Riccione Anche Riccione vanta una medaglia paraolimpica. A vincere un bronzo nel triathlon alle Paraolimpiadi di Rio de Janeiro è stato Giovanni Achenza (31 luglio 1971), che da oltre un anno con la sua famiglia vive nella nostra città, dove veniva in precedenza sia per godersi le vacanze che per allenarsi. Il paraolimpionico ha dato il meglio di se anche al Campionato italiano di triathlon, che si è tenuto a Riccione dal 30 settembre al 2 ottobre, classificandosi primo assoluto in tutte le cinque categorie. Il 30 dello stesso mese ha poi partecipato a una staffetta al Forte Village, in Sardegna, con i suoi amici campioni paraolimpici. Da Roma a Padova, intanto, Achenza è stato convocato per una serie di premiazioni, un particolare riconoscimento è arrivato anche dalla sede centrale dell’Inail. “Mi sono trasferito a Riccione nel novembre 2015. Sono venuto ad abitare qui perché ci venivamo da lungo tempo. Visto che il posto ci è piaciuto, abbiamo cercato un punto di appoggio, soprattutto per gli impegni che ho nella stagione agonistica. Oltretutto a Riccione ci sono le strutture adatte per lo sport che pratico”. Achenza fa triathlon che preve-
de 750mt. a nuoto, 20Km. di ciclismo e 5km di corsa con sedia a rotelle. Alle paraolimpiadi ha conquistato il suo bronzo, lasciandosi alle spalle campioni di alto livello. Il quarto un australiano, è cinque volte campione del mondo e anche il quinto, un americano, è un campione
mondiale. “Non pensavo lontanamente di superarli! – Esclama Achenza-. In quanto ai primi due: gli olandesi Plat e Schipper, devo sottolineare il fatto che hanno metà dei miei anni!”. Achenza parla anche dell’incidente che l’ha indotto a vivere in carrozzina: “Sono rimasto vittima di un infortunio sul lavoro nel 2003 nella mia ditta individuale, ero impresario edile. Sono caduto da una scala a pioli a solo un metro e mezzo di altezza. Questo mi ha procurato una lesione midollare con conseguente amputazione sotto il ginocchio. Sono seguiti l’intervento e la riabilitazione, finché nel 2007 ho cominciato a fare sport. Prima di allora non avevo praticato alcuna disciplina. Mi dividevo tra casa e famiglia. Ho moglie, Costanza Fresu, che mi segue durante le mie attività, e due figlie Franca di 23 anni e Caterina di 19. Non è difficile incontrare Achenza per le strade di Riccione, il campione si allena sulla Statale e sulla Panoramica per Pesaro. Per il nuoto, alterna la piscina comunale di Riccione a quella di Cattolica. Nives Concolino
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libri nostrani
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a cura di Giuseppe Lo Magro
La Romagna dei nomi
(5ª parte)
di Tino Dalla Valle
Ci sono anche questi femminili
maschili
Dativa, Disca, Oriele, Nik Maria, Ledia, Imperide, Irsa, Zabeide, Verbina, Viserpina, Tundra, Laula, Marita, Marimba, Desotea, Anatalide, Alpedita, Blandina, Crisperta, Talma, Tarsilla, Samria, Sidonia, Zenilde, Talice, Zurea, Xella, Zurilla, Tassilia, Raminga, Helke, Gualfarda, Godolina, Gismira, Grimalda, Zidiana, Dardera, Zelfa, Ateiina, Idria, Alissia, Idonia, Almina, Brunetilde, Cleofide, Delide, Edilia, Friglia, Filordelfia, Lecinia, Federegonda, Janna, Felesia, Ippazia, Ferradina, Fidalma, Fideima, Idelma, Idelba, Miralba, Oeta, Amantina, Nefalda, Loide, Idalia, Ilia, Elmina, lima, Adigina, Gualdrada, Felisia, Dolinda (forse abbreviativo di Teodolinda), Adovisca, Eliana, Veltra, Adria, Miria, Topazia, Mirta, Wilsa, Smeralda, Denia, Carmelita, Alferina, Lidovina, Albcrina, lima, Mufina, Atenista, Denisia di Ravenna, sorella di Dalide, Ismenia, Rima, Ardevilla, evidentemente sbagliato per Artevilla o Artivilla, Randina, Rodomilda, Mentea, Geldippa, Velma, Oletta, Ochenia, Edilia, Milla, Iofra, Vegredina, Zurilla, Eurosia, Inelve, Zulima, Lera, Archita, Abelinda, Liuba, Barberina, Emelia, Palina, Blandina, Semira, Azelma, Ardilia, Edra, Evantelina, Irsa, Tide, Viliana, Pilbe, Pacchisella, Polcheria, Florisa, Precilda, Fleanna, Altibonda, Onesina, Farida, Orestilia.
Clondiano, Kiliano, Alciso, Deschiero, Leven, Domizio Veraldo, Aldemaro, Artimedio, Nardo, Olao, Rositano, Germanino, Fofe, Albamo, Aredano, Delcisio, Ruben, Aniceto, Neto, Ebo, Delco, Minto, Giro, Terzillo, Corisando, Ivro, Armanino, Maggiorino, Jerus, Veliero, Macero, Feorello, Desio, Edio, Consiglio, Inere, Ilico, Dazio, Arlem, Curio, Clotario, Fighino, Erodio, Delmino, Dovio, Dercisio, Danglande, Rampollo, Idio, Medano, Ruffisto, Ergo, Pobleto, Eudenico, Idario, Ridoello, Ebot, Palmasio, Elicio, Splendore, Prezzemolino, Eusano, Pardo, Servilio, Servio, Peo, Rivaldino, Torondo, fratello di Arsenio, Rigo, Tacillo, Fulgor, fratello di Luce, Telesforo, Gemeo, Rigido, Dermo, Veglio, Vesio, Ferruglio, Godullo, Generaldo, Fauber, Ginmiglio, Ritrode, Gigliante, Folliano, Rando, Remolo (forse dalla celebre figurina della Perugina), Svenio, Cleandro, Selberino, Rionero, Rotildo, Manetto, Taldino, Lodoviglio, Senesio, Damerio, Ardemio, Onerio, Azzolino, Alisio, Anorio, Evardo, Fusco, Olivetto, Quartiglio, Rainaldo, Zoello, Solindo, Sogifredo, Arsedeo, Esorio, Abbo, Cleanto, Aglas. Irvano, Maio, Nuido, Mainardo, Orviero, Onnivole, Rodesindo, Antenato, Dinimo, Etichio, Goriantino, Ghiero, Fiorigio, Ageo, Calino, Egene, Eulo, Admeto, Girolando, Geminio, Amelicco.
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I detti di una volta Magnè la sipa Mangiare la seppia Magnè la sipa -Mangiare la seppia, è un modo arguto per mettere in evidenza una posizione di stallo che può verificarsi nello svolgere di una situazione. Nel gergo marinaresco significa che una barca in navigazione si trova quasi ferma per il pochissimo vento oppure che l’addetto alle vele è poco esperto nell’imbrigliare il soffio che procura la spinta. A volte indica anche una fase di rallentamento della pesca per problemi che frenano il traino delle reti; cioè essere quasi fermi, non avanzare. Un ti magna gnènca e bréch ad Cichèt – Non ti mangia neanche il somaro di Cicchetti Metafora nata in tristi tempi di carestia. Si narra che il carrettiere Cicchetti (“ricco” solo di miseria) avesse nel vecchio borgo, accanto alla modesta abitazione, un ricovero per il suo somaro. Col poco lavoro c’era da mangiare a malapena per lui e famiglia, così, il sempre più smagrito somaro era spesso segregato nel ricovero ben serrato da un portone di legno. Digiuna oggi e digiuna domani al povero animale non restò altro che mangiarsi il portone. Da questo fatto il popolo riccionese creò il modo di dire per indicare una persona poco appetibile per la sua indigeribilità. Cioè l’essenza della scontrosità, del non essere disponibile a nulla...un tipo da tenere a distanza, di quelli da: “Meglio perderlo che smarrirlo”.
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1975-2016
41 anni e... non sentirli! Ebbene sì, cari amici sportivi appassionati di ciclismo e non solo, sono 41 anni e non li dimostra, il gruppo “G.S. Riccione” nasce nell’autunno del 1975 per volontà di alcuni amici appassionati della “bicicletta”, al Bar Louisiana. Tra i fondatori, ricordiamo Serafini Sergio, Piccioni Paolo, Casadei Sergio, Mantani Luciano, Casadei Luigi, Maioli Aldo, Gregorio e Giorgio Benelli, Ricci Ottavio, Capelli Paolo e Bruno Piccioni. Dal 1980 è nato il sodalizio con l’AVIS donatori del sangue Comunale di Riccione e ancora oggi, dopo 36 anni, il gruppo ciclistico che nel frattempo ha preso la denominazione di “A.S.D. Riccione AVIS” è sempre rimasto fedele allo sponsor a dimostrazione di un binomio di impegno sociale e sportivo. Oggi il Gruppo è composto da una sessantina di soci, tra cui diversi fondatori, numerosi donatori e giovani sportivi che ne hanno preso le redini, continuando l’opera con lo stesso entusiasmo e con l’impegno manifestato ad organizzare eventi ciclistici, sociali e culturali in Italia e all’estero. L’anno 2016 è iniziato a Febbraio con le medio fondo del calendario “Rimini e San Marino” per concludersi a Settembre, con un piazzamento di società al 5 posto con 201 presenze. In Aprile decima partecipazione con 27 iscritti a Faenza per la Gran Fondo “Le Cime di Romagna” con un duplice piazzamento undicesimi in classifica generale su 364 società partecipanti primi
Il Gruppo Riccione AVIS con la divisa celebrativa del 40°.
nella classifica dei gruppi AVIS. A Maggio 12 nostri tesserati hanno organizzato “L’ETRURIA TUSCANY TOUR”. Percorsi la bellezza di 441 km. con 5873 mt. di dislivello, veramente bravi! In giugno come consuetudine ormai da qualche anno, 10 temerari sono tornati in Trentino, Val di Fassa, precisamente a Moena, dove hanno scalato diversi passi, complimenti anche a loro. A fine agosto, il 27/28 gita al Lago Trasimeno a Castiglione del Lago, 7 partecipanti con giro intorno al lago e visita a Montepulciano, complimenti. Conclusione della stagione sportiva con le tre cronometro sociali: 25 settembre crono scalata Mercatino
Conca-Montealtavelio; 2 ottobre cronometro in linea Faetano-Pian della Pieve; 16 ottobre crono a coppie Pian della Pieve-Faetano-Parco del Marano. L’anno si concluderà con il tradizionale pranzo sociale l’11 dicembre, dove ci saranno le varie premiazioni delle gare e della classifica generale a punti. Dall’A.S.D. Riccione AVIS a tutti voi e famiglie un augurio di Buon Natale, buone feste e un 2017 ricco di soddisfazioni, personali e sportive con un arrivederci sulle strade per pedalare e divertirci insieme. Arduini Stefano Presidente A.S.D. Riccione AVIS
AVVISO IMPORTANTE PER I NOSTRI LETTORI In caso non riceviate la rivista Famija Arciunesa a casa vostra potete ritirarne una copia presso la sede di Famija Arciunesa Via Montebianco 27 il Martedì, Giovedì e sabato dalle 16,00 alle 18,30.
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La pagina del dialetto
di Giuseppe Lo Magro
As= Asso. La prima carta di ogni seme nel gioco delle carte Asa= Asse, tavola di legno. “Ciapè oun sèta l’asa”. Prendere uno sotto l’asse. Battere, sconfiggere. “Strasnè agl’asi”. Trascinare le asse. Alla fine dell’esistenza, senza più forza. “Fnì sl’asa”. Finire sull’asse. Ridursi in rovina. “L’asa da lavè”. L’asse da lavare. Appoggiata al mastello per battere, bagnare e insaponare i panni. “L’asa de pèn”. L’asse del pane. Per cuocerlo nel forno. “L’asa de furmai”. L’asse del formaggio. Per farlo asciugare lontano da topi e altri pericoli. Brèt= Berretto. Comune copricapo per tutti, giovani e anziani. Portato dritto, sugli occhi, sulla nuca, di sghembo oppure (frachèd sa gl’urèce) calato sulle orecchie. Anche: Britèin e britac. Brèta= Berretta. Magari fatta di lana in casa. Vivace, multicolore. “Fè una brèta”= Fare una berretta, cioè calare il cappello fino al naso e poi picchiare. “At fac una brèta”= Ti calo in testa un piatto di minestra, una mezza anguria, un vaso da notte. “Tan mi fè gnènca una brèta”= Non mi fai neanche una “berretta”. Modo volgare e scurrile per invitare uno a non scocciarti più! Brùd= Brodo. “Ad chèrna, ad galèina, ad capòun, ad ose, ad pès. A chi sta male: “Bé una muliga ad brùd”= Bevi un po’ di brodo. “Un brùd ch’us taja se curtèl”. Un brodo che si taglia col coltello. Denso e sostanzioso al contrario di “Un brùd lèngh”...che è come acqua colorata. “Brud arfurzèd”. Brodo rinforzato. Magari con carne di manzo, pollo, doppione, muscolo, pomodoro, rosso d’uovo e spruzzata di parmigiano. L’avaro invece: “Ut rigala un brùd ad ove marmaride”. Ti regala un brodo di uova sode. “Brudèin”. Brodino leggero. Broda= Brodaglia, broda. Quella che si da al maiale. “Cus ch’l’è sta broda (brudaja)? Bus= Buco, foro, pertugio. “E bus dla sradura”. Il buco della serratura. “Bus de cul”. Buco del sedere. “Fès un bus ad chèsa”. Farsi una casa modesta. “Un bus ad butega”. Un piccolo negozio. “Ciud un bus”. Saldare un debito. “Fè bus-bus”. Spiare, guardare di nascosto. “A sèm scap tòt da un bus”. Siamo nati tutti nello stesso modo. “E bus de gat”. Il foro nella porta per far entrare e uscire il gatto di casa. Busa= Buca, fossa. La busa dal patéde, dal zòche, di fasul. La buca delle patate, delle zucche dei fagioli. Ogni vegetale ha la sua. “Va tla busa de stabie”. Vai nella buca del concime. Vattene! “Tat tzì ardòt una busa de stabie”. Ti sei ridotto una buca di concime. Sporco al massimo. “Ste lèt e fa la busa”. Questo letto fa la buca. “Andè tla busa”. Andare nella buca. Morire.
E dèbte
Il debito
Pavlèin e fèva e calzulèr e us la sgavagnèva e giòst. Mo trì la carèta l’era dura. Quèl ch’ul mandava in bès-cia l’era quii ch’in paghèva e lavor. Aldo “Sbucioun” l’era oun ad cla raza, ui pisìva andè a biroun tòt eleghènt, sal schèrpe locìde e si tach una muliga piò èlt de nurmèl, vést ch’l’era basòt, e u si fèva fè sempre da Pavlèin. Paghè? Ui giva sempre: “A pas admèn!” Mo i dé i pasèva e di sèld gnènca l’èmbra. Una dmènga ui capita d’incuntrèl te vespasiano, che e fèva un bsugnin…un puteva scapè. “ Bondè Aldo, l’è un pèz ch’aspét, e saria ora che tam ciudés che bùs”- ui dis una muliga incazèt. “ Tè rasoun” –ui arspond – “s’ut va bèn l’aferi ca ho tal mène, e prèim bus ca ciud l’è e tù” e dèp una scruladèina piò lènga de solit l’è ‘ndè per i fat su.
Paolino faceva il calzolaio e se la sgavagnava il giusto. Ma tirare la carretta era dura. Quello che lo mandava in bestia erano quelli che non pagavano il lavoro. Aldo “Borioso” era uno di quella razza, gli piaceva andare a zonzo tutto elegante, con le scarpe lucide e coi tacchi un po’ più alti del normale, visto che era bassotto, e se li faceva fare sempre da Paolino. Pagare? Gli diceva sempre:” Passo domani!” Ma i giorni trascorrevano e di soldi neppure l’ombra. Una domenica gli capita d’incontrarlo nel vespasiano, che faceva un bisognino… non poteva scappare. “Buongiorno Aldo, è un pezzo che aspetto, sarebbe ora che mi chiudessi quel buco (debito)”- gli dice un po’ alterato. “Hai ragione “- gli risponde – se ti va bene l’affare che ho per le mani, il primo buco che chiudo è il tuo”- e con una scrollatina più lunga del solito è andato per i fatti suoi.
scriviamo in dialetto
Festival internazionale pirotecnico al Marano Fine Maggio 2016
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J’amarcord dla Nuvèla Zammarchi I ricordi della Novella Zammarchi
di Mario Tonini
St’an e Marano l’è stè testimonie d’un evènt che e fa stè a nès d’insò e bèca spalanchèda, fat ad mijèra ad culur, varièd cuntinuamènt a tèmp ad musica e per piò d’una serèda. L’Om, emènch sla fantasia, e circa l’apuntamènt sal stèle ch’al guèrda da cl’imensa balcunèda ch’l’è e Cel, per durì poch, tòt e scancèla e vènt, dèp avé las e fugh a dè l’ilusioun d’una caschèda. Un dialogh a dò t’un fantasmagorich crescènd e intènt per tòt, sèta una catedrèla ad scintéle, Beethoven sa èlt musicésta che un si fa e pèr, i ha fat pansè me Mènd com che po’ és stupènd, se fòs sempre snè d’amirè per véda al robe bèle, sal mijèra culur di fugh, mòsica e mormorio de mèr.
Quest’anno il Marano è stato testimone d’un evento che fa stare a naso in sù e bocca spalancata, fatto di migliaia di colori, variati continuamente a tempo di musica e per più d’una serata. L’Uomo, almeno con la fantasia, cerca l’appuntamento con le stelle che guardano da quell’immensa balconata che è il Cielo, per durare poco, tutto cancella il vento, dopo aver lasciato il fuoco a dare l’illusione d’una cascata. Un dialogo a due in un fantasmagorico crescendo e intanto per tutti, sotto una cattedrale di scintille, Beethoven con altri musicisti che non si fa il pari, hanno fatto pensare al Mondo come può essere stupendo, se fosse sempre solo da ammirare per vedere le cose belle, con migliaia colori dei fuochi, musica e mormorio del mare.
Quand andèva a spas Quand a s’era una burdèla a stèva in Via Catalani da i mi Non matèrne. Um pisiva d’andè a spas e a cnusiva tòta la gènta ch’la stèva da cal pèrte. In fènd a Via Leoncavallo ui era un casèl se pasag a livèl ch’il gestiva i “Refi”: la Mà Gigia, e Bà (an m’arcord e nom), e i quatre fiul Elda, Elena, Franco e Romolo, ch’il ciamèva “Ruglòun” perchè l’era un tip squajunèd. Quand a pasèva ilé am farmèva spès a guardè l’Elena che, adlà dla sbara sla bandierèina glupida, la fèva véda me machinésta che la strèda la era lébra. Sora e pasag a livèl ui era una carèra (adés Via Romagna) cla purtèva me Ghèt de Rì finènta la Flamigna. La era ciamèda la carèra ad “Cantoun” perchè la era in salida e da cima ui era la pusioun di Cantoun. Ilé dintonda ui era di èlt cuntadèin: Ciòch, Brigòun, Martlòun, Curaza (famòs per al su angurie), Sarbèla e Giarmoj! A proposit ad Giarmoj. Una spòsa (una muliga birba) las va cunfsè: “Mi pardoni signor arcipretolo, mo io ho rubato qualche plino a Giarmoglio, solo che li ho mangiati e non ce li posso ardare. Che penitenza che mi da?” Da ch’l’èlta pèrta dla carèra ui era un viul che e purtèva m’j’ort chi eva davanti la chèsa dl’urtlèn. Us cmanzèva sla Mina ad “Ravòun” e po’ la Sunta ad “Ravòun” e via via Scrèch, Brusòr, Sarbèla, Pésga e Mundbèl. L’utma l’era propria sla spènda de Rio Melo. Radisèin, fnòc, chèvle, insalèda... pèsghe, barcocle, pere, susèine... tota roba fresca!
La carèza
La carezza
La mi spòsa la durmiva isé bèn che a guardèla l’era una blèza. Ho pruvè a fej una carèza! O che la ha vù paura o che diavle me an e sò l’am s’è arvolta al’impruvisa la èva tolt e déda per na radisa!
La mia sposa dormiva così bene che a guardarla era una bellezza. Ho provato a farle una carezza! O che ha avuto paura o che diavolo io non so si è rivoltata all’improvviso aveva preso il dito per una radice!
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