POIESIS RIVISTA PER POETI ED APPASSIONATI DI POESIA CHIARA MIGLIUCCI FANZINE AMATORIALI GIUGNO 2022 PRIMA EDIZIONE a cura di con la partecipazione di Irene Mascia e ivo Tudgiarov


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Cos’è «Poeisis»?
Un nuovo progetto Autore: Chiara Migliucci Cos’è «Poiesis»? Un progetto culturale per promuovere la poesia, e promuoverci come autori. La rivista è infatti scritta da poeti, o aspiranti tali. Come nasce l’idea? Nasce da un’idea di Chiara Migliucci (sui social: chiaraancoraunavolta).
L’idea di base è quella di una rivista sulla poesia per poeti, ma che serva anche ad avvicinare alla poesia persone che non la scrivono ma che magari, la leggono con piacere. Perché «Poiesis»? In greco antico questa parola significa creazione poetica. Significa anche “fabbricare”. E la poesia è proprio questo: fabbricare arte partendo dal nulla. Nel caso della pittura, della scultura, si parte da materiali tangibili per creare qualcosa di altrettanto tangibile, mentre per la poesia non è così, gli strumenti siamo noi, e il prodotto finale è qualcosa che appartiene solo alla nostra interiorità. La poesia è quindi un fare, un produrre, solo con la forza del pensiero, e questa rivista vuole questo, creare, produrre arte, solo con la forza del pensiero. Ma non vogliamo neanche che passi il messaggio che la poesia sia aleatoria, perché la poesia è concreta, è intorno a noi, basta saperla trovare. Inoltre, è in tema il collegamento che si può fare tra il greco e la sua lingua sorella: il latino. una parola da prendere in considerazione in questa lingua antica è Felix: Questo vocabolo significa appunto felice; può essere utilizzata come aggettivo per definire le persone, ma anche gli oggetti in particolare gli alberi. Avete capito bene, un albero può essere felice, ma in che senso? un albero felice è un albero che dà molto frutto, quindi che crea, che produce frutto. Quindi plausibile associare tale entità a qualche forma di felicità, data da quella che è la nostra creazione.
Adotteremo l’inusuale “io penso, io dico, io credo” che ai professori del liceo proprio non piaceva. Perché noi crediamo profondamente che la scrittura, come la poesia, sia sempre il punto di vista di chi la scrive, ma ciò, non è sempre ovvio. E questo deve essere chiaro, perché il lettore deve essere cosciente che quello espresso è il mio pensiero, e non un concetto universalmente valido. Solo così il lettore può farsi una propria idea. Inoltre crediamo sia anche una forma di rispetto per il lettore, in quanto lo si invita, nel momento in cui non è d’accordo con l’autore, a prendere le distanze e a dire la propria.
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Di cosa si occuperà «Poiesis»? Di Poesia a tutto tondo. Di tecnicismi per gli appassionati, di interviste agli emergenti, come anche di proprorre una maggiore diffusione delle poesie ritenute più meritevoli, compresa l’analisi del testo di poesie note e non. Ma si tratterà, come una rivista che si rispetti, di attualità poetica, di relazioni con altre forme d’arte, e di come si sposa il mondo moderno con la poesia. Insomma, questo è un progetto davvero ambizioso. A cosa ambiamo? A creare, a produrre, a fare con la sola forza del pensiero. Che stile adotterà «Poiesis»? Non si tratterà del solito giornale “formale”, in quanto poeti, crediamo che il miglior metodo di comunicare qualcosa, sia quello di far emozionare chi legge. Non adotteremo quindi il classico stile giornalistico, di tipo informale. e freddo, ci sarà prima di tutto, il pensiero di chi scrive, ma espresso in maniera palese, tale da imporre il proprio punto di vista.
Autore: Irene Mascia “Io non conosco il greco antico”, dice un professore universitario alla sua prima lezione. Insegna greco antico. “Non lo conoscete nemmeno voi, e non illudetevi: non lo conoscerete mai.” Si siede sulla cattedra non dietro la cattedra, proprio sulla cattedra e fa partire un video da YouTube. È una canzone, è strana, ha sempre lo stesso ritmo e le stesse note che salgono e scendono a ogni sillaba… “Questa, ragazzi” sorride “è l’Odissea”. Ma procediamo con ordine. L’Odissea è il secondo poema omerico, una delle primissime attestazioni poetiche nella storia dell’umanità, in coppia con l’Iliade. Sulla paternità delle due opere, l’esistenza di Omero e se sia stato o no il primo poeta della storia è inutile dilungarsi; che i Greci avessero una percezione di poesia pre Omero lo si può intuire dall’esistenza di figure mitologiche come il cantore Orfeo, la cui lira finirà proprio sull’isola di Lesbo, una delle patrie della poesia lirica per intenderci, la patria della poetessa Saffo e dei componimenti brevi, molto più vicini all’idea moderna di “poesia”. E inoltre la scrittura non è “un fatto greco”: l’epopea di Gilgamesh, per quanto ne sappiamo, risale a circa il 1200 a. C., ed è in scrittura cuneiforme, tipica della Mesopotamia. La testimonianza scritta più antica dell’Iliade sembrerebbe essere datata “solo” al 775 a.C.
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La poesia non dà il pane: ma dà le vocali Omero e la storia della scrittura

Mesopotamia anche l’Egitto si colora di scrittura; nessuna delle due scritture ha vocali, un segno rappresenta una sillaba per entrambe. La differenza sostanziale è il supporto scelto: Se i Sumeri scrivono su tavolette d’argilla molto resistenti, gli Egizi preferiscono il pregiato papiro che subito diventa sinonimo di ricchezza e prestigio, diffondendosi nelle zone circostanti. È Omero stesso a definire “Fenici” (che significa “uomini Rossi”) gli abitanti delle coste dell’attuale Libano, che usavano questa scrittura di tipo sillabico su papiro. Col passare dei secoli il papiro è andato quasi completamente perduto. Fortunatamente, però, non tutti erano ricchi abbastanza. Ed è così che a Ugarit, un porto fenicio in contatto con l’isola greca di Cipro, viene ritrovata una tavoletta piena di storie popolari e leggende, e la cosa straordinaria è la firma: il compositore dell’opera è un sacerdote: Atanu Purliani, ma a scriverla sotto dettatura è uno scriba di nome Ilimiku. Lo scriba, dice, non sapendo come riprodurre determinati suoni indispensabili alla riuscita del racconto fino ad allora tramandato oralmente, ha inventato dei segni grafici (attualmente indecifrabili). Ma cosa c’entra Orfeo? Orfeo è un poeta, scrive Virgilio nelle Georgiche quando racconta la sua storia. Ma in realtà Orfeo non è solo un poeta: è un cantore. Orfeo ha una lira, canta e suona; questo è il suo punto di forza. Mai una menzione alla bellezza delle sue parole e dei suoi versi, ma di certo sì, alla sua voce. Quando il professore di greco sceglie un video su YouTube e l’Odissea è una
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Ma i Greci non avevano alcun dubbio sull’esistenza di Omero, né tantomeno sul primato delle sue opere. Una teoria, particolarmente accolta da università americane come Harvard e Wisconsin, legherebbe strettamente Gilgamesh e la scrittura mesopotamica a Orfeo proprio grazie a Omero. La scrittura nasce in Mesopotamia per motivi economici e di contabilità, e subito è una rivoluzione. Non si sa se per contatto diretto o semplicemente per medesime contemporaneamenteesigenze,alla
Poetiche
Fanzine Poiesis giugno 2022 n°1 5 canzone, allora tutto ha un senso: probabilmente Omero non era solo un poeta. Omero era come Orfeo. Chi i ha studiato un po’ di greco antico riesce a trovare un’altra prova: perché attualmente i suoi poemi si “leggono in metrica”, si dà un ritmo al verso grazie agli accenti sulle vocali, un ritmo che non conosciamo ma che abbiamo provato a schematizzare. E allora è più semplice immaginare un Omero dettare a uno scriba una canzone, pregando la scriva con quell’alfabeto che esiste già, quello di Gilgamesh e della tavoletta di Ugarit. Ma come il povero Ilimiku, lo scriba, si chiede: ma come faccio a far capire che è una canzone? Come posso segnalare il ritmo se non esistono lettere che non siano Alloraessenziali?loscribainventa altri segni. Quelli che, nella canzone del video su YouTube, “si alzavano e si abbassavano”. Quelli dove gli studenti del liceo classico mettono gli accenti metrici, quelli che ancora oggi noi inconsapevolmente usiamo. Lo scriba prende quella scrittura sillabica e ci inventa le vocali. A differenza di Ilimiku la sua invenzione ha successo: l’Iliade e l’Odissea sono i testi più antichi che abbiamo in alfabeto vocalico in greco antico, quello da cui poi deriverà la nostra lingua. È una storia vera? La certezza nell’antico non esiste, ma non esistono nemmeno testi precedenti ai poemi omerici che contengano le vocali. I poeti e i filologi possono consolarsi un po’ così, perché d’altronde è straordinario pensare di dovere la propria lingua a un poeta che ancora ci si chiede se esista; perché Omero siamo noi, ci appartiene, è il progenitore della stirpe dei moderni e il padre poeta dell’antico. È il filo rosso della storia. E se si dice che la poesia non dà il pane allora ci si può dar pure ragione, ma a patto che si ammetta una cosa: fare versi forse non dà da mangiare, i miracoli, però, li fa sicuramente.
Ricordo la notte in cui la Russia ha iniziato l’invasione dell’Ucraina. Dormivo beatamente, il che è abbastanza raro avendo sofferto per due anni di insonnia per via dell’ansia che la pandemia mi aveva accollato. Al mattino, dopo il risveglio da un sonno rigenerante, mi sono diretto al parco per sfruttare uno dei primi giorni di sole che la fine dell’inverno ci regalava. Quando mi sono avvicinato al bancone del bar per ordinare un espresso ho colto dai discorsi di due ragazzi parole come “invasione”, “bombe” e “guerra”. Maleducatamente, ma anche piuttosto spaesato, mi sono rivolto verso di loro e ho chiesto di quale guerra stessero parlando. Guerra in Ucraina, bello! Quanta giovialità per tanta indecenza, ho pensato. Subito dopo, non so perché, mi sono vergognato così tanto da tornare a casa senza bere il mio caffè e senza godermi un po’ di meritato sole. Mi sentivo a disagio a passare una tranquilla giornata al parco con bombe che cadevano a soli 2500 km di distanza e solamente un paio di nazioni a separarci, se contiamo Austria e Slovacchia. Verso sera, però, mi sono sentito anche terribilmente stupido per questo mio senso di colpa improvviso. Non mi sono mai sentito così in tutte le altre catastrofi umanitarie degli ultimi 10 anni: I campi fortificati per isolare i profughi a Lesbo, dove i bambini arrivavano e forse arrivano ancora al suicidio per quanto si sentono disperati e abbandonati a un destino che sanno non dovrebbe appartener loro (fonte “la Repubblica”). Israele e Palestina, la storia più assurda della storia del diritto al suolo. Yemen, Afghanistan, Brasile, Siria. La lista è più lunga del mio senso di colpa da europeo cresciuto in una democrazia pacifista, ma spesso anche
Fanzine Poetiche Poiesis giugno 2022 n°1 6 Il volto della guerra Autore: Ivo Tudgiarov 30/02/2022

Fanzine Poetiche Poiesis giugno 2022 n°1 7 ignorante. Ogni bomba e ogni morto causato da una guerra è frutto di un interesse economico non dichiarato. La propaganda politica sfrutta l’emisfero destro del nostro cervello, il cosiddetto “poeta”. Vende discorsi come “denazificazione” o “assistenza al popolo” o qualunque altra frase prefabbricata per sollecitare in noi la produzione di ossitocina, cortisolo e/o testosterone, ovvero gli ormoni legati alle nostre emozioni primarie, come ansia, mitigazione dell’aggressività a favore di un senso di accoglienza e accettazione, stress, senso di allerta, vigilanza e reattività. Il mattino dopo, il mio senso di colpa era diventato impotenza. La catastrofe Ucraina è una delle catastrofi globali che serpeggiano la pace politica ed economica dai primi anni 2000. Che io ricordi almeno dal 2001: attentato alle torri Comegemelle.senonbastasse, la somma di tutti questi eventi ha generato gravi crisi economiche, come quella avvenuta a cavallo tra il 2008 e il 2009 e come quella che sta accadendo in questo momento. Nel momento in cui scrivo, infatti, le materie prime, ovvero le commodities in termini finanziari, cominciano a subire inflazioni dai toni storici, scarsità incolmabili dovute al fatto che molte di queste sono per lo per lo più presenti in percentuali non trascurabili in nazioni come Cina e Russia. Le grandi nemiche dell’occidente, e non dal 24 febbraio 2022. Gas, elettricità e petrolio stanno volando sui listini azionari e chi ne guadagna è chi ne possiede la maggioranza. A noi spetta di rimboccarci le maniche e sostenere la nostra “fazione” attraverso un esborso pecuniario mai visto in tempi recenti.
Come nasce? Si tratta di una poesia scritta una mattina d’autunno, una delle tante nelle quali ho preso il treno per andare a lavoro. Una volta sceso, percorrendo a piedi la solita strada, mi sono soffermato sui volti che vedevo passarmi vicino: ho come percepito tutta la distanza fra me e loro. La via era affollata di studenti e pendolari, ma avevo la sensazione di essere solo:
ovunque si posasse il mio sguardo, non incontrava altro che ombre. Non è nulla di nuovo e forse è proprio questa la cosa più triste. Ricordo che appena ho messo piede in ufficio, ancora deserto, mi sono messo a scrivere le parole che hai appena letto. Tutto molto di getto. Credo che questo testo si possa intendere come una denuncia all’indifferenza, figlia, in fondo, di un senso di collettività che non si respira più da tempo nel contesto sociale in cui viviamo, o di cui a volte si avverte solo la parvenza. In generale come arrivi a scrivere una poesia? Descrivici proprio il processo creativo La creazione è un qualcosa di spontaneo, una necessità profonda, una voce da dentro che solo tu riesci a sentire nel momento in cui ti metti a scrivere. Si potrebbe definire come un’epifania. In genere descrivo ciò che il pensiero rielabora sulla base degli stimoli provati: a volte si tratta di episodi della quotidianità, altre volte di semplici dettagli, per lo più visivi, che mi catturano; altre ancora sono frammenti dell’inconscio. I testi
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Interviste ai poeti Davide Stagno Autore: Chiara Migliucci Mattino passeggio fra la gente come il raggio che trafigge la penombra di una stanza. Tristemente silenzioso Nella fiumana senza orecchi Rifrangono su sagome Scheggiati ora i miei occhi Un’altra canzone lasciata A marcire con labbra serrate Su scorci impassibili Di strade battute Di che cosa parla questa poesia?
Fanzine Poetiche Poiesis giugno 2022 n°1 9 prendono corpo nell’arco di pochi minuti, anche se poi c’è sempre quel verso che non suona come vorresti, motivo per cui ti arrovelli a trovare la formula più adatta. In cuor tuo sai sempre quando il componimento è finito: capita di tornare a distanza di settimane su un testo e cambiare qualcosina. Credo sia la lente del pensiero il fattore determinante di una poesia: tanto più essa riesce a vedere a fondo, tanto più le parole saranno espressione della nostra interiorità più autentica. La sfida del poeta è di tradurre l’imponderabile attraverso la finitezza delle parole. Qual è lo scopo di una poesia? Credi abbia un ruolo importante per le persone? Credo che innanzitutto la poesia sia un sollievo per chi la scrive. Dal mio punto di vista, scrivere significa tendere la mano a sé stessi. È il tentativo di fuggire dalla propria follia portandola alla luce, mettendola su carta. Per questo penso che tutto ciò che ruoti attorno alla poesia sia accessorio: parlo ad esempio di concorsi, libri da vendere, ma anche l’idea che una poesia debba necessariamente veicolare dei valori. Nel tempo, mi sono reso conto che la poesia possiede un superpotere: è in grado di connettere le anime. Se prendi atto di questo concetto, capisci che allora delle semplici parole possono avere un impatto sugli altri, portare quell’intimo sollievo anche a degli sconosciuti. Yeats diceva: “se ciò che dico risuona in te, è semplicemente perché siamo entrambi rami di uno stesso albero”. Il mondo ha bisogno della poesia in qualità di testimonianza dell’arte e dunque dell’esistenza stessa. Qual è il tuo poeta preferito? Quali sono le tue influenze principali? Non ho un poeta preferito e, a dirla tutta, ne ho ancora molti da scoprire e approfondire. L’ultimo che ho letto, proprio in questi giorni, è stato Quasimodo: lui ovviamente è molto famoso, ma leggo e apprezzo anche poeti meno conosciuti o provenienti da altri paesi. Per fortuna esiste il web, che in questi casi diventa uno strumento molto utile per espandere la propria conoscenza. Tutto ciò che mi colpisce di un autore diventa parte
Pensi che essere un poeta "che soffre" sia prerequisito per fare il poeta? come un poeta che nel tuo caso si sente solo o incompreso dal mondo
integrante della mia scrittura, per questo ritengo che il mio stile sia un mix di tanti ingredienti: in alcune poesie si possono trovare l’ermetismo di Montale, l’essenzialità di Ungaretti e il sentimento di Pascoli tutti assieme. Lo dico ovviamente senza paragonarmi a questi mostri sacri, ma per rendere chiaro il concetto. Mi trovo molto vicino alla corrente simbolista, sia per poetica, sia per il senso di ribellione verso la società, ancora molto moderno a mio avviso: in particolare, condivido l’idea per la quale sia limitante considerare la scienza come unico mezzo per la conoscenza del vero. La poesia, infatti, ci consegna le chiavi per accedere alle sfere più recondite dell’animo umano, quali il sogno e l’inconscio, dove la scienza fatica ad arrivare. Credo che oggi più che mai sia necessario riscoprire la propria spiritualità e in questo senso la poesia ci dà una grossa mano.
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Penso che una persona che soffre sia più portata a esternare con l'arte, talvolta la poesia, il proprio malessere, allo scopo di trarne giovamento.
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Caterina Losi Autore: Chiara Migliucci
Non serve pensare al futuro se non si vive qui e ora dove puoi decidere e plasmare il tuo domani da una mia personale analisi, noto che nelle tue poesie, oltre che in questa ovviamente, torna un concetto, quello del "qui e ora", parlacene un po'. Qui e ora per me è esattamente il momento in cui stiamo vivendo. Spesso ci ritroviamo a pensare al futuro, ci lamentiamo se non va come vogliamo noi, ma in realtà, per averlo, dobbiamo lavorare sul presente, su come possiamo raggiungere - o almeno avvicinarci il futuro che vorremmo. In particolare, penso a me stessa, perché ho 26 anni e non ho ancora raggiunto nessuno degli obiettivi che mi sono posta (e che mi hanno imposto) fin da piccola: (sposarsi, avere una famiglia, avere un buon lavoro, personalmente vorrei pubblicare più libri...). Ma sinceramente, ultimamente ho iniziato a darci poco peso, perché per raggiungere tutto quello che vorrei dovrei iniziare - e sto iniziando - a concentrarmi su di me, su come sono messa oggi, a fare il punto della situazione Quanto metti di te stessa nella poesia che scrivi? Molto. A volte, però, capita che ho bisogno di una "spinta" e allora scrivo basandomi su temi a random. In questi casi potrei scrivere in base alla mia esperienza, oppure qualcosa di più generico, senza riferimenti specifici. pensi che questa "esperienza" sia importante per scrivere? mi spiego meglio: senza aver vissuto determinate emozioni, o stati d'animo, come la tristezza o la nostalgia, pensi se ne possa parlare con la poesia? o basta aver letto tanto al riguardo?
Penso che ci voglia un po' di entrambi, forse tendendo più all'esperienza personale. A volte leggo poeti che mi fanno provare determinate emozioni e svegliano in me la necessità di
Fanzine Poetiche Poiesis giugno 2022 n°1 12 approfondire e dire la mia. Però, come dicevo all'inizio, ho iniziato a scrivere successivamente a specifiche situazioni. Pian piano che il malessere dentro cresceva, sentivo il bisogno di esternarlo. E dopo aver rilasciato tutta la tristezza, ho iniziato a scrivere anche di momenti belli, di felicità e quotidianità. In sostanza credo serva anche sentire una necessità di raccontarsi.
Ti ha fatto bene esternare questo male con la poesia? credi di essere cambiata? Mi ha fatto bene nel senso che adesso so che, a volte, non sto bene. Riconosco di avere bisogno di aiuto a tirare fuori tutto e anche per curarmi, quindi sì, mi ha fatto bene perché mi ha aiutato a capire questo. Forse in questo sono cambiata: prima vivevo in una bolla che pensavo fosse perfetta per me, dove non vedevo il mondo che c'è fuori, in tutti i suoi colori, fino ai più bui. Ora la mia testa è più autonoma, fuori dalle regole e tabù imposti da ciò che ho sempre vissuto. Ad oggi mi definisco più triste ma comunque niente che non si possa provare a risolvere o a capire con un po' di aiuto. Penso comunque che la scrittura sia un'ottima terapia e un primo passo per curarsi.
Antonio Esposito Autore: Chiara Migliucci Mare... Calmo, piatto, placido come un tavolo blu poi all'improvviso tira il vento s'increspa , s'agita, s'infuria come se l' avesse fatto arrabbiare e spinge, spazza via, porta con sé chiunque capita li libero di esprimersi cambia all'improvviso non lo puoi calmare puoi provare a prevederlo ma è difficile farlo. Invade i sensi ti rilassa, ti fa sentire libero ti libera da tutti i problemi c'è qualcosa di magico , speciale in questo mare, lasciati trasportare da quest'onda che ti inonda l'anima di sensazioni ti può piacere ma ti può dar fastidio puoi aver paura e puoi aver piacere di buttarti in quelle onde non evitarlo quando è calmo e non sfidarlo quando è arrabbiato è proprio unico questo mare. Qesta poesia mi ricorda molto "o mare" di De Filippo. A tal proposito però, lui parlava del mare come un male inconsapevole di essere tale, tu invece parli di un contrasto tra il bene e il male di questa entità. quindi, secondo te, con la poesia, si può parlare di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato? anche se si tratta di qualcosa apparentemente neutrale, come il mare Si il male e il bene sono molto presenti nelle mie poesie, sono una parte noi, ognuno di noi ha una parte cattiva, io faccio parlare le emozioni quindi per me, è un sì. La parte cattiva la esterni nelle tue poesie? o preferisci mostrare solo il buono? La scrittura per me è uno sfogo di emozioni, possono essere positive, negative, non ho paura di esprimerle perché mi sento libero. Io dono il mio cuore nei miei scritti e mi ispiro molto alla natura, a un fiore, al mare, alle farfalle perché sono allegre e particolari proprio come le emozioni.
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Il tema amoroso l'ho trattato varie volte sia in modo positivo che negativo e in quel caso è dipeso dal mio stato d'animo. noto che tornano molto temi allegri nella tua poesia, come i simboli che hai appena citato. l'idea classica del poeta che si ha è quella del "maledetto". pensi che sia meno accettato un poeta felice rispetto ad un poeta sofferente? Io credo che l'importante sia che il poeta dia libero sfogo alle sue emozioni, per me è rilevante questo, poi se la gente non mi comprende non mi interessa perché io il mio messaggio l'ho mandato se mi vuoi seguire sono con te, se mi vuoi criticare fallo in modo costruttivo. Io sono un poeta romantico e allegro ma se non sto bene lo esterno senza problemi.
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Ben Jonson nasce l’11 giugno di 450 anni fa. Oltre ad essere stato un drammaturgo, figura di primo piano nella scena teatrale elisabettiana, forse non tutti lo sanno, fu anche un poeta. In particolare, egli fu un contemporaneo di Shakespeare. Benjamin ha avuto influenze perlopiù latine, avendo una cultura principalmente umanistica, nella poesia, in particolare, ammirava Catullo, Orazio e Marizale, da cui prese in prestito l’eleganza che si sposava perfettamente con la concisione. Jonson aveva, nella poesia, una vena malinconica, da drammaturgo qual era, come si può notare in questa poesia: Vieni, mia Celia, proviamo, finché possiamo, i giochi dell’amore; il tempo non sarà nostro per sempre, egli, alla fine, troncherà il nostro Dunque,vantaggio.non spendiamo i suoi doni ilinvano:soleche tramonta potrebbe sorgere maancora;seperdiamo questa luce una sola èvolta,connoi notte perpetua. Perché dovremmo rinviare le nostre Reputazionegioie? e maldicenze non sono che Nonbazzecole.possiamodeludere gli occhi Di poche povere spie domestiche? O ingannare le sue compiacenti cosìorecchie,rimosse dal nostro inganno? Non è peccato rubare i frutti dell’amore, ma rivelare i dolci furti; da cogliere, da contemplare, questi hanno crimini di cui rendere conto.
Autore: Chiara Migliucci
Jonson: esistenzialista ante-litteram

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Ben ci sta dicendo che tutto potrebbe finire, anche l’amore; quindi, non dobbiamo perderci ciò che offre. Ma ad un certo punto, ci dice una cosa che se analizzata a fondo potrebbe spiazzare: se la vita, l’amore ed ogni bene terrestre dura così poco, allora, perché non godercelo fino in fondo? Il concetto spiazza perché ci invita ad approfittare della caducità della vita, per godere fino in fondo della stessa. In altre parole, è un invito a vivere in funzione della morte, che non si intende morte fisica, ma morte delle cose che ci stanno attorno. Sembra paradossale, e pure questo è un concetto ripreso da molti filosofi, che abbracciarono la corrente dell’esistenzialismo. Ma cos’è l’esistenzialismo?
È quella corrente di pensiero che pone al centro di tutto in senso dell’esistenza. In altri termini si chiedevano, “cosa viviamo a fare? Qual è il senso di tutto ciò?”. E Jonson a questa domanda, dà una risposta paradossale. Ci dice che dobbiamo vivere al cento per cento la vita, perché dobbiamo morire. Sì, esattamente, avete capito bene. Ma andiamo più a fondo, e rifacciamoci ad un filosofo che verrà più avanti nei secoli, lui si chiama Heidegger. Egli formulò, nel periodo nazista, esattamente ciò che questa poesia poteva far suppore poco meno di quattrocento anni prima: ossia che la morte, propriamente detta, non è la fine di tutto, bensì è quel mezzo che permette di raggiungere in maniera autentica sé stesso, conoscendosi a fondo. Ma in che senso tutto ciò? Nel senso che la morte pone i limiti alla vita; quindi, se non sapessimo di dover morire, che senso avrebbe vivere? Saremmo soltanto su una strada infinita, senza meta, senza obiettivo, una strada circolare, e non potremmo goderci ogni bene materiale, lo daremmo per scontato, per infinito. Possiamo fare un parallelismo con il periodo elisabettiano e quello nazista di Heidegger. Infatti, entrambi hanno vissuto in un periodo di grande splendore per la propria nazione, e ciò non poteva non influenzare il loro pensiero. Infatti, il grande patriottismo, e quindi l’esaltazione della nazione era un “motivo per cui vivere”, non a caso, i nazisti e gli elisabettiani, erano pronti
Fanzine Poetiche Poiesis giugno 2022 n°1 17 a morire per la propria patria, proprio perché morire dava senso all’esistenza, morire per la propria patria allora, glorificava la loro stessa esistenza.
maniera, qualcosa di noi resta, che sia anche una semplice molecola: ella, infatti, credeva nelle forme di energia. Come lei stessa afferma, la prima fonte di energia conosciuta dall’uomo è il sole, dal quale deriva la nostra energia, quella vitale. Quindi, in un’intervista afferma dichiaratamente che “la nostra vita, è frutto del sole, e quest’ultimo è frutto dell’energia dell’universo, che non so da dove derivi, ma la scienza prende atto che c’è, esiste”. È facile intuire che la Hack avesse una filosofia di vita vicina a quella del buddhismo. Ma da mente superiore quale era, non ricercava la felicità, lontano, laggiù nell’universo tra le stelle ma dichiarò che per lei la felicità è “sapersi contentare delle cose buone che abbiamo, nel trovare soddisfazione nel proprio lavoro, negli affetti di chi ci conosce”, quindi in ciò che si conosce, e non in ciò che è lontano da noi. Torniamo quindi al principio, cosa c’entra Margherita Hack, astrofisica, con i poeti? C’entra il pensiero, il ricercare qualcosa di astrale, ma non tra le stelle, ma in noi stessi, il tentare di trovare una forma di energia dentro di
Fanzine Poetiche Poiesis giugno 2022 n°1 18 Margherita Hack, e quello che non conosce.
In questo mese, ricorre il centenario della nascita dell’astrofisica Margherita Hack. Ma cosa c’entrano le stelle con la Margheritapoesia? è stata una libera pensatrice, notoriamente atea, diceva che “Con la morte si spenge il nostro cervello, che è quello che io considero l'anima; dopo la morte non ci siamo più; le nostre molecole, gli atomi che costituivano il nostro corpo sopravviveranno e serviranno a formare altri esseri o semplicemente altri oggetti”, ma non era certo una persona senza qualcosa in cui credere fortemente dalle sue stesse parole si può infatti intuire che in qualche

Fanzine Poetiche Poiesis giugno 2022 n°1 19 noi che ci muova, che ci porti a vivere per una ragione. In questi termini vogliamo ricordarla con una poesia che crediamo bene si adatti al suo pensiero. Se tardi a trovarmi, insisti. Se non ci sono in nessun posto, cerca in un altro, perché io sono seduto da una qualche parte, ad aspettare te… e se non mi trovi più, in fondo ai tuoi alloocchi,ravuol dire che sono dentro di te. Io credo che una foglia d’erba non valga affatto meno della quotidiana fatica delle Estelle.laformica è ugualmente perfetta, come un granello di sabbia, come l’uovo di uno scricciolo, E la piccola rana è un capolavoro pari a quelli più famosi, E il rovo rampicante potrebbe ornare i balconi del cielo. E la giuntura più piccola della mia mano qualsiasi meccanismo può deridere. Walt Whitman
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Ringraziamenti si ringraziano per questa prima edizione: Chiara Migliucci Ideatrice del progetto «Poiesis»
Irene Mascia Responsabile del giornale: https://www.instagram.com/ir.nxx/profilohttps://www.momentidiversi.com/ig:
Ivo tudgiarov Profilo ov/https://www.instagram.com/ivotudgiarig: